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Testi presentati :

RC-B6-0435/2007

Discussioni :

PV 14/11/2007 - 2
CRE 14/11/2007 - 2

Votazioni :

PV 15/11/2007 - 5.5
CRE 15/11/2007 - 5.5

Testi approvati :


Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 14 novembre 2007 - Strasburgo Edizione GU

2. L’interesse europeo: riuscire nell’epoca della globalizzazione (discussione)
Processo verbale
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  Presidente. − Onorevoli colleghi, sono lieto di vedere che due presidenti di gruppo sono finalmente qui. Uno che non avevo notato ora sta rapidamente raggiungendo il suo posto.

L’ordine del giorno reca la presentazione delle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sull’interesse europeo: riuscire nell’epoca della globalizzazione.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. (PT) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, la globalizzazione non è solamente un fenomeno che va visto sotto il profilo delle conseguenze economiche e delle implicazioni tecnologiche. Per voi, onorevoli colleghi, per i membri del Consiglio dell’Unione europea e in realtà per tutti noi, si tratta essenzialmente di una questione politica. Globalizzazione significa anche persone che perdono il proprio lavoro, regioni in crisi, settori economici che scompaiono nonché nuove minacce per la sicurezza dell’ambiente; ma significa anche nuove opportunità occupazionali, nuovi settori di produzione e prezzi più bassi per una vasta gamma di prodotti, con la possibilità di una migliore destinazione delle risorse finanziarie e della crescita del commercio di beni e servizi.

La globalizzazione ha alimentato uno scambio di idee e un contatto tra le persone che mai si erano visti in precedenza. Le prospettive di un arricchimento sia economico che culturale sono enormi, ma lo sono anche i rischi di nuove tipologie di squilibri globali. Ci troviamo davanti alla sfida di orientare questa nuova e sempre più fluida interdipendenza in un mondo che è sempre più piccolo. Soprattutto il saper affrontare e regolare la globalizzazione costituisce una questione centrale per le nostre democrazie e per l’idea stessa di democrazia efficiente. L’interrogativo è: saremo in grado di mantenere il controllo politico delle scelte fondamentali di governance economica e di molti altri aspetti della nostra vita nelle mani dei nostri concittadini e dei nostri rappresentanti eletti?

Credo fermamente che in vari settori cruciali noi europei avremo successo solo se saremo capaci di dare nuove soluzioni politiche collettive ai problemi più seri del nostro tempo, come quelli della crescita economica e della creazione di occupazione, della protezione dell’ambiente, dell’energia, della migrazione e della lotta contro il terrorismo.

L’Unione europea ha rimesso mano alle proprie politiche interne adattandole per assicurare una competitività e uno sviluppo equo e sostenibile. Il rafforzamento della coesione sociale e il rispetto per l’ambiente devono costituire i criteri guida delle riforme economiche. L’investimento nella ricerca, nell’innovazione e nell’istruzione deve essere il motore della crescita e dell’occupazione. Tuttavia non siamo soli, e sarebbe da irresponsabili ripiegarsi su se stessi nella convinzione che la risposta possa risiedere nell’egoismo. Il nuovo mondo che ci troviamo davanti non ha muri o roccaforti che resistano. Dobbiamo lavorare assieme agli altri paesi e le altre regioni per ottenere risultati che sono positivi per tutti.

Stabilità, libertà, sicurezza e prosperità possono essere sicure e durature solo se condivise. E’ questa la vocazione dell’Europa. Dobbiamo guidare e orientare la globalizzazione in base ai nostri principi e ai nostri valori, guardando oltre noi stessi con un approccio universalistico, come abbiamo fatto nei momenti migliori della nostra storia comune.

Lavorando assieme, l’UE e gli Stati membri hanno dimostrato di poter affrontare problemi e sfide comuni sfruttando la loro esperienza di 50 anni d’integrazione. Il nuovo trattato di Lisbona prevede condizioni istituzionali più efficaci e più trasparenti per l’azione dell’UE nel mondo. La sfida è quella di mantenere e consolidare quanto abbiamo raggiunto in tale arco di tempo e stabilire come difendere i nostri interessi e come trasmettere i nostri valori comuni al di là dei confini.

La versione rinnovata della strategia di Lisbona ha fornito il quadro per la risposta dell’Europa a tale sfida. L’avvio di un nuovo ciclo di governance ci dà l’opportunità di riflettere sulla strada che intendiamo seguire. La comunicazione della Commissione in esame oggi costituisce un ottimo punto di partenza per la discussione e ha fornito la base per la discussione tra i capi di Stato e di governo all’incontro formale di Lisbona del 19 ottobre. Il nostro lavoro in Consiglio parte da questo documento e punta a definire un pacchetto di testi che diano un contributo alla preparazione del ciclo successivo della strategia di Lisbona.

Il Consiglio ECOFIN di questa settimana ha adottato delle conclusioni, il Consiglio sulla competitività del 22 novembre approverà anch’esso dei testi mentre il Consiglio per l’occupazione del 5-6 dicembre ha in programma di adottare conclusioni sul futuro della strategia europea per l’occupazione nel quadro del ciclo successivo della strategia di Lisbona. Altre formazioni del Consiglio si sono occupate di questioni relative alla preparazione del ciclo successivo. Posso confermare che siamo sostanzialmente d’accordo con la Commissione: la versione rinnovata della strategia di Lisbona deve continuare ad essere il quadro appropriato per la risposta europea alle maggiori sfide che affrontiamo, in particolare quella della globalizzazione. L’Europa sta facendo significativi progressi. Gli obiettivi fissati nelle quattro aree prioritarie − occupazione, conoscenza e innovazione, contesto commerciale europeo ed energia, cambiamenti climatici − scelti nel 2006 sono ancora appropriati.

Le linee portanti del nuovo ciclo devono mantenere la stabilità necessaria a consolidare i risultati. Allo stesso tempo è importante apportare correzioni e miglioramenti in modo da poter liberare l’intero potenziale della rinnovata strategia di Lisbona. Sfruttando lo slancio generato dai progressi già fatti dobbiamo porci come prioritaria una maggiore rapidità delle riforme per rendere più forti le nostre economie.

L’UE ha responsabilità a livello globale e dev’essere meglio preparata per affrontare la globalizzazione tramite un approccio strategico, coerente e determinato a livello globale. Occorre contemporaneamente restare fermamente impegnati nell’attuazione delle misure a livello nazionale che ci consentano di gestire con più efficacia i problemi che nascono dai cambiamenti demografici, con la qualità delle finanze pubbliche e la relativa sostenibilità di lungo termine, con il mercato del lavoro, l’occupazione, la coesione sociale, il mercato interno, la competitività, la ricerca e innovazione, l’energia e i cambiamenti climatici nonché formazione e istruzione.

Contemporaneamente il programma comunitario di Lisbona ha un ruolo importante da svolgere nel nuovo ciclo offrendo garanzie più efficaci sulla necessaria coerenza delle riforme. Va potenziata la partecipazione di Parlamento e Consiglio, sviluppando lo scambio delle buone pratiche tra gli Stati membri. La migrazione ha un compito fondamentale da svolgere nel contesto della globalizzazione contribuendo a far aumentare il potenziale per la crescita e ad agevolare le correzioni. Secondo una relazione recente presentata al Consiglio questa settimana sugli effetti della situazione sulla mobilità della manodopera, la crescita demografica dell’UE viene costantemente alimentata dai flussi migratori e occorre prendere atto di come questi contribuiscano in modo decisivo ad accrescere la flessibilità necessaria per far fronte alle crisi e per compensare i bassi livelli mobilità intraregionale.

In tale contesto globalizzato la dimensione esterna della strategia di Lisbona va rafforzata e sviluppata, proiettando gli obiettivi politici ed economici nonché gli standard sociali e ambientali dell’UE oltre i suoi confini. Come sapete questo è il tema affrontato nella discussione tra i capi di Stato e di governo all’incontro informale di Lisbona, in cui abbiamo esaminato in particolare le questioni relative all’instabilità dei mercati finanziari e al cambiamento climatico. Tale interessante e stimolante discussione politica, alla quale ha preso parte anche il Presidente di questo Parlamento, ha confermato la nostra fiducia nel futuro.

Come già evidenziato in quest’Aula dal Primo Ministro portoghese José Sócrates, l’Europa ha tra l’altro il di guidare il processo di globalizzazione ed è in condizione di farlo, sfruttando le nuove opportunità che si sono venute a creare, anche per quanto riguarda idee e scambi culturali. Rafforzando le relazioni tra i popoli e l’interdipendenza tra le nazioni, l’UE dà un contributo fondamentale per la pace e la stabilità globale. L’Europa dispone delle condizioni politiche e istituzionali per dare una risposta coerente alle sfide poste dalla globalizzazione nei settori economico, sociale e ambientale e può pertanto influire sul processo di globalizzazione. Abbiamo bisogno di una maggiore cooperazione strategica con i nostri partner al fine di elaborare una nuova agenda globale che combini la reciproca apertura dei mercati, norme migliorate in materia ambientale, sociale, finanziaria e sulla proprietà intellettuale nonché l’esigenza di aiutare la capacità delle strutture istituzionali dei paesi in via di sviluppo.

Come annunciato dal Primo Ministro portoghese al termine dell’incontro formale di Lisbona, il Vertice europeo del 13-14 dicembre approverà una dichiarazione dell’UE sulla globalizzazione. Si tratterà di un’indicazione chiara rivolta ai cittadini e al mondo della determinazione e dell’impegno dei leader europei volti a stimolare la capacità dell’UE di influire sull’agenda della globalizzazione e di individuare le giuste risposte.

Le sfide che abbiamo davanti sono difficili e stimolanti e la Presidenza portoghese continuerà a impegnarvisi. Contiamo sul sostegno del Parlamento europeo, come sempre, per promuovere e sviluppare un’azione comunitaria e nazionale concordata a livello globale e che consenta all’Europa di assumere le proprie responsabilità nel contesto mondiale e di riuscire a sostenere le sfide future.

Talvolta tendiamo a dimenticare cosa significhi l’Europa per molti in questo mondo globalizzato. Le immagini dei migranti prostrati sulle nostre spiagge sono un duro richiamo a tale realtà e alla nostra condizione di privilegiati, in un’Europa che si è fatta baluardo della speranza: speranza di costruire un modello che coniughi libertà, crescita economica, giustizia sociale e protezione ambientale su una base di partenariato, cooperazione e responsabilità condivisa.

Non è in gioco solo il nostro successo come europei. Come sapete, il motto della nostra Presidenza è quello di un’Unione più forte per un mondo migliore, e noi crediamo veramente che l’Europa debba svolgere un ruolo cruciale nel costruire un mondo più giusto e più equilibrato.

 
  
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  José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. (PT) Signor Presidente, signor Segretario di Stato per gli affari europei in rappresentanza della Presidenza del Consiglio, onorevoli deputati, la globalizzazione è il tema centrale per questa generazione di europei. In un modo o nell’altro essa tocca le vite di tutti i nostri cittadini, pertanto è giusto che sia collocata in cima all’agenda europea.

Come sapete sono personalmente convinto che l’agenda europea per il XXI secolo vada organizzata largamente attorno al tema della globalizzazione, mantenendo ovviamente i valori e i principi che da sempre ispirano il progetto europeo. La globalizzazione tuttavia va vista anche come un’opportunità per l’Europa di difendersi e di affermare i propri interessi in un mondo che si fa sempre più interdipendente. Sono pertanto molto lieto di partecipare a questa discussione su tale tema organizzata dal Parlamento europeo.

Come ha appena detto il Segretario di Stato, il documento della Commissione elaborato il mese scorso sull’interesse europeo ha dato il via ad un’ottima discussione in occasione del Consiglio europeo informale di Lisbona. Ho trovato un particolare incoraggiamento nel consenso raggiunto sulle nostre idee per una risposta alla globalizzazione. Vorrei anche ringraziare la Presidenza portoghese per il suo costante sostegno a questa agenda globale europea e all’esigenza di dare alla strategia di Lisbona una dimensione in grado di rispondere alle sfide della globalizzazione.

Noi sosteniamo anche l’idea di una dichiarazione sulla globalizzazione in occasione del Consiglio europeo di dicembre. Questa costituirebbe un ottimo modo per consolidare tale consenso, che va promosso anche qui nel Parlamento europeo con la stesura di una proposta congiunta per una risoluzione su un tema così importante.

L’Unione europea infatti è venuta elaborando una risposta graduale e veramente europea alla globalizzazione che ha incoraggiato gli europei a sfruttare al massimo tale fenomeno. Tale risposta riconosce tuttavia le legittime preoccupazioni di coloro i quali si trovano ad affrontare i cambiamenti, dato che non va dimenticato che alcuni possono essere colpiti dai suoi effetti negativi, e noi dobbiamo dare una risposta anche a queste persone.

Penso che l’interesse europeo stia nel trovare il giusto equilibrio ma che tuttavia non possa in nessun caso essere una risposta improntata alla paura o al disfattismo, ma deve essere basato sulla fiducia. Negli ultimi mesi è sorto anzi un nuovo interesse: la turbolenza dei mercati finanziari ha mostrato come la salute dell’economia europea sia legata agli sviluppi a livello globale, mentre le condizioni climatiche estreme hanno dimostrato quanto gravi possano essere le conseguenze del cambiamento climatico e quanto urgente stia diventando una risposta a questo problema. Ogni giorno vediamo che sui posti di lavoro in Europa, l’energia in Europa, la salute dei nostri cittadini e la qualità della vita in tutta Europa incide una dimensione globale.

Signor Presidente, sono convinto che dobbiamo partire da una base di fiducia. Abbiamo l’esperienza che ci deriva dall’essere l’economia più grande e il più grande esportatore del mondo. Abbiamo inaugurato nuovi approcci per affrontare nuovi problemi – si pensi allo scambio delle quote di emissione – e disponiamo di alcune chiare regole di base che ci sono state utili.

In primo luogo abbiamo la responsabilità di proteggere i nostri cittadini senza essere protezionisti. Dobbiamo orientare le nostre politiche in modo che altri ci seguano, dobbiamo fare da apripista. Non dobbiamo chiudere le nostre porte ma piuttosto far sì che gli altri aprano le loro. Per l’Europa, il maggior esportatore del mondo, un approccio protezionista costituirebbe una scelta controproducente.

In secondo luogo siamo aperti ma non ingenui. Ciò significa che non siamo disposti a fare concessioni per chi non rispetta determinati principi fondamentali. Era questo lo spirito che ha ispirato le nostre recenti proposte volte all’applicazione delle norme sugli investimenti per l’energia alle aziende dei paesi terzi.

Terzo, i vantaggi di un sistema basato su regole sono molti e l’esperienza dell’Unione europea la pone nella posizione ideale per fornire una solida base regolamentare a livello globale, un modo concreto per intervenire direttamente sulla globalizzazione. Se vogliamo essere onesti, dobbiamo riconoscere che per avere economie aperte abbiamo bisogno di alcune regole. I mercati non possono lavorare senza istituzioni e nell’Unione europea abbiamo, più di chiunque altro, l’esperienza per mettere assieme regole diverse ed esperienze nazionali diverse. E’ per questo che penso veramente che siamo più attrezzati di qualsiasi altro soggetto in tutto il mondo per orientare la globalizzazione – senza imporre, ma proponendo il nostro modello per questa fase di globalizzazione che ci accingiamo ad attraversare.

Disponiamo inoltre di alcuni strumenti che ci aiutano a guardare alla globalizzazione con fiducia. Mai come oggi è stato chiaro che l’euro rappresenta un vantaggio per la stabilità del sistema finanziario internazionale. La possibilità di ricorrere al diritto comunitario per fissare obiettivi vincolanti in termini di gas serra e di energie rinnovabili ci conferisce una credibilità senza paragoni e con la nuova strategia di Lisbona disponiamo di una leva consolidata per le riforme in Europa.

Quando nel 2005 abbiamo rilanciato la strategia di Lisbona abbiamo cercato di perfezionarla in vari modi. Abbiamo aumentato il coinvolgimento e la responsabilità tramite un partenariato definito tra Stati membri e Commissione. Abbiamo chiarito il lavoro che andava fatto adottando raccomandazioni specifiche per paese. Ogni Stato membro dispone ora di un proprio programma di riforme nazionale e ogni Stato membro accetta il fatto che proseguire sulla strada delle riforme rappresenta uno sforzo collettivo. Abbiamo inoltre rifocalizzato gli strumenti finanziari dell’Unione su crescita e occupazione.

I risultati stanno dando frutti. Nonostante le preoccupazioni del momento i risultati sono migliorati: negli ultimi due anni, nell’Unione europea a 27 sono stati creati quasi 6,5 milioni di posti di lavoro; nel periodo 2007-2009 si prevede ne verranno creati altri 8 milioni. Le riforme di Lisbona hanno indubbiamente aumentato il potenziale di crescita dell’economia europea.

Non vi è tuttavia spazio per sedersi sugli allori, dato che il lavoro è tutt’altro che terminato. Gli Stati membri dell’Unione devono procedere speditamente con le riforme. E’ il metodo migliore per dare alle nostre economie una maggiore capacità di recupero al cospetto di prospettive economiche incerte.

Le quattro aree prioritarie concordate per il 2006 forniscono il giusto quadro per Lisbona: ricerca e innovazione, un miglior contesto imprenditoriale (lotta alla burocrazia e promozione di condizioni migliori per gli investimenti), maggiore possibilità di occupazione e le grandi questioni energetiche e climatiche. Tali settori e la definizione di tali settori hanno conferito alla strategia una focalizzazione molto più mirata. Va da sé che tali settori siano anche strettamente intrecciati. L’Europa non diventerà mai un’economia basata sulla conoscenza e a bassa produzione di anidride carbonica senza una manodopera altamente qualificata e senza più ricerca e maggiore innovazione.

Vorrei sottolineare questo punto sulla ricerca e l’innovazione. Vorrei cogliere questa opportunità per ringraziare il Parlamento europeo per aver appoggiato la richiesta della Commissione di un triangolo della conoscenza formato da ricerca, istruzione e innovazione. Desidero ringraziarvi e attirare la vostra attenzione sulla necessità di lavorare assieme per far sì che il progetto Galileo continui ad essere un grande progetto europeo, e vorrei anche ringraziarvi per il sostegno dato al progetto IET.

Stiamo facendo progressi sulla strada di uno spazio europeo per la conoscenza. Infatti nel nostro documento una delle novità era precisamente la presentazione dell’idea di una quinta libertà: la libertà della circolazione della conoscenza nell’Unione europea.

Non potremo mai creare un nuovo dinamismo senza un clima idoneo anche per le nostre PMI. In Europa ci sono 23 milioni di PMI. E’ per questo che penso che tutti tali settori presi assieme possano creare un circolo virtuoso che contribuisce contemporaneamente a tutti i nostri obiettivi.

Preparandoci per il lancio del prossimo ciclo triennale occorre aggiornare la strategia alla luce di quanto abbiamo imparato e delle nuove circostanze. Occorre una maggiore focalizzazione sulla dimensione sociale. Maggiori investimenti per l’istruzione e la formazione per tutte le età costituiscono l’arma migliore contro la sperequazione e l’esclusione sociale e, come ho detto prima, non tutti ottengono vantaggi dalla globalizzazione. Se vogliamo poter contare sul sostegno dei cittadini dell’Unione europea per la nostra agenda dovremo a tempo debito prendere in considerazione i timori relativi alla dimensione sociale. Per questo motivo, ad esempio, la Commissione ha proposto un adeguamento del fondo per la globalizzazione, proprio perché abbiamo riconosciuto fin dall’inizio l’esigenza di dare risposte concrete su tali temi.

Trovo particolarmente incoraggiante l’accordo tra le parti sociali sulla serie di principi per la flessicurezza proposti dalla Commissione prima dell’estate. Infatti in occasione del Consiglio europeo informale di Lisbona abbiamo ricevuto ottime notizie in merito all’accordo tra le parti sociali europee. Mi auguro che il Consiglio europeo di dicembre possa dare il suo pieno sostegno a tali principi. Si tratta di un’ottima base, che consente a ciascuno Stato membro di trovare un migliore equilibrio tra flessibilità e sicurezza nel proprio mercato del lavoro.

Un’incisiva attuazione delle riforme non ancora completate, una maggiore enfasi sulle competenze e l’istruzione, azioni concrete per trasformare l’Europa in un’economia a bassa produzione di anidride carbonica: queste, ritengo, sono le priorità per il prossimo ciclo.

Gli orientamenti integrati forniscono un importante strumento di coordinamento, un quadro comune perché più Stati membri possano perseguire i rispettivi programmi di riforma nazionali. Le analisi e i riscontri provenienti dagli Stati membri indicano che gli orientamenti funzionano. Essi costituiscono le fondamenta del programma comunitario di Lisbona. La mia impressione è che, pur essendo necessario aggiornarli, vale il principio: se non è rotto, non aggiustarlo.

Occorre inoltre fare di più per far sì che la strategia di Lisbona avanzi a pari velocità in tutti gli Stati membri: una riforma che avanza a passo più lento in uno Stato membro ha ovviamente un effetto domino sugli altri. Occorre inoltre un maggiore coinvolgimento dei parlamenti, delle parti sociali e delle autorità locali e regionali.

L’impegno di quest’Aula per la strategia di Lisbona è stata fondamentale per mantenerne lo slancio. Assieme al Vicepresidente Verheugen e all’intero Collegio attendo con impazienza di poter approfondire il nostro lavoro congiunto nel passaggio al prossimo ciclo di Lisbona.

Il nesso tra globalizzazione e Lisbona offre un’ottima opportunità per dimostrare come attualmente l’agenda economica europea non costituisca un optional, ma come sia cruciale per dare il via ad un futuro di successo per l’Europa. Riforma economica, visione globale, economia a basso tasso di anidride carbonica: questi sono gli obiettivi interconnessi che vanno perseguiti parallelamente e solo l’Unione europea dispone della capacità e della coerenza di cui l’Europa ha così bisogno. Solo assieme possiamo tentare di raggiungere ciò che nel documento abbiamo chiamato “l’interesse europeo”.

Consentitemi di concludere dicendo che credo veramente che non sia solo un interesse europeo. Io credo veramente che, nell’epoca della globalizzazione, anche il resto del mondo abbia bisogno di un’Europa più impegnata, in cui i nostri interessi sono protetti e difesi ma anche in cui i nostri valori – i valori della libertà e della solidarietà – vengono confermati in quest’epoca di globalizzazione.

(Applausi)

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Caro Presidente Hans-Gert, caro Presidente del Consiglio Lobo Antunes, caro Presidente della Commissione José Manuel Barroso, la globalizzazione non è per i nostri concittadini un concetto astratto. La globalizzazione è una realtà che si vede ogni giorno e gli europei si rivolgono ai loro governi e alle loro istituzioni per trovare soluzioni ai problemi ad essa legati.

Su tale tema i nostri concittadini si attendono molto dall’Unione europea. Essi si attendono di essere protetti e di ricevere sicurezza, ovvero protetti fisicamente nei confronti delle minacce terroristiche e protetti dagli avvenimenti imprevedibili dei mercati finanziari. Ma i nostri concittadini si rivolgono anche a noi per vedersi garantire ciò di cui hanno bisogno e la propria sicurezza alimentare. L’estate scorsa il forte aumento dei prezzi dei cereali ha infiammato i prezzi al consumo. I consumatori europei vogliono essere sicuri che le importazioni di prodotti a basso offrano tutte le garanzie di sicurezza. E la questione è particolarmente attuale: alla vigilia delle feste di fine anno dobbiamo poter garantire ai genitori e ai nonni che i giocattoli che compreranno per i loro bambini non ne metteranno a rischio la salute.

Se la globalizzazione deve essere un fattore di prosperità, essa deve essere giusta. Deve essere altresì accompagnata da regole etiche che proibiscano ad esempio lo sfruttamento dei minori. La globalizzazione non può avvenire a spese dei più deboli e deve essere uno strumento che combatte le ineguaglianze all’interno di un paese ma anche tra i paesi. La globalizzazione deve mirare ad aumentare il potere d’acquisto dei più poveri. Noi ci siamo sempre dichiarati favorevoli al libero commercio, ma un commercio fondato su regole severe. L’apertura dell’Unione europea al mondo esterno è un fattore propulsivo per l’economia mondiale e sono numerose le imprese che aspirano a stabilirsi in Europa. Esse devono accettare le nostre regole, rispettare le nostre norme in materia sanitaria, ambientale e di protezione dei consumatori.

In cinquant’anni l’Unione europea ha saputo creare un mercato interno che funziona, in cui l’armonizzazione normativa tra gli Stati membri ha sempre costituito la regola. L’Unione europea ha un ruolo da svolgere esportando le proprie competenze e aumentando il livello degli standard produttivi e di controllo qualità dei suoi partner. Con alcuni di questi siamo già sulla buona strada. Il successo della prima riunione del Consiglio economico transatlantico, tenutasi venerdì scorso a Washington, costituisce un segno positivo ed è opportuno raddoppiare gli sforzi per mettere di fronte alle loro responsabilità il Brasile, la Cina e l’India. Verso l’Africa siamo invece un po’ meno severi.

Per poter affrontare le sfide esterne dobbiamo, da una parte, rafforzare il nostro mercato interno aumentando i crediti per la ricerca e lo sviluppo e, dall’altra, coordinare meglio la ricerca e l’innovazione tra gli Stati membri. La globalizzazione offre nuove opportunità ma impone anche degli sforzi di adattamento, come la formazione continua per tutta la vita lavorativa.

Il gruppo accoglie favorevolmente le nuove iniziative della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione come anche loSmall Business Act proposto dalla Commissione in quanto le piccole e medie imprese continuano ad essere dei fattori molti importanti per la stabilità e la creazione di occupazione in Europa.

Cari colleghi, noi, i politici, ci troviamo sempre di più alle prese con le sfide rappresentate dai problemi energetici. Senza una politica comune per la sicurezza energetica e ambientale l’Unione europea continuerà ad essere vulnerabile. Con il barile di petrolio che ha raggiunto quasi i 100 dollari, c’è emergenza nella casa Europa. Ci manca una politica europea per l’energia per garantire la sicurezza dei nostri approvvigionamenti e una crescita sostenibile in tale settore. Dobbiamo aprire una discussione di fondo sulle energie rinnovabili ed esaminare le possibilità offerte dal nucleare civile per la fornitura di energia.

Tali discussioni devono avvenire nella massima trasparenza al fine di sensibilizzare i nostri concittadini e guadagnare il loro appoggio. Alla fin fine desideriamo tutti un’Europa energetica più pulita, più efficiente e anche più sicura. L’Europa deve definire i suoi interessi non solamente in termini di commercio ed economia mondiale ma anche in termini di cultura, di lingue e di tradizione. Ed è lavorando a risposte comuni alle sfide poste dalla globalizzazione che saremo in grado di proteggere gli interessi legittimi dei nostri concittadini senza essere protezionisti.

(Applausi)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il titolo di questa discussione rispecchia il fatto che il Parlamento europeo si accinge a discutere con il Consiglio e con la Commissione il ruolo che l’Europa – istituzioni europee e Stati membri – intende svolgere nel gestire le opportunità e i rischi della globalizzazione. Dobbiamo pertanto chiarire – come certamente farà la discussione oggi – che le conseguenze della globalizzazione possono essere viste in vari modi e possono essere affrontate con vari approcci alternativi tra loro.

I negoziati sulla risoluzione da adottare oggi hanno mostrato che esiste una profonda differenza, su molti temi un abisso, tra le idee della destra di quest’Aula e quanto chiediamo noi del gruppo socialista. Quanto diciamo in questa discussione definirà pertanto i parametri che applicheremo nella valutazione dei ruoli che devono svolgere le istituzioni, in particolare la Commissione. Dopo averla ascoltata molto attentamente, signor Presidente della Commissione, e aver ascoltato l’onorevole Daul, direi che c’è una base comune ma anche marcate differenze.

Tutti i futuri candidati per la carica di Presidente della Commissione verranno valutati dal nostro gruppo sulla base di alcuni criteri fondamentali, relativi in particolare all’idea che il candidato ha del ruolo della Commissione nell’economia globalizzata. Il coordinamento delle politiche macroeconomiche, per usare una terminologia tecnica, o semplicemente una politica economica e fiscale comune, dovranno essere ispirati ai principi della politica sociale. Il progresso economico in Europa deve portare ad una maggiore stabilità sociale. L’UE deve far sì che il progresso economico globale porti ad una maggiore parità tra diritti e opportunità in tutto il mondo. Anche questa è politica sociale. Il benessere umano sia interno che esterno è il nostro metro di misura comune.

Il progresso economico è la precondizione per la sicurezza sociale – e non il contrario, come abbiamo sentito suggerire in alcuni interventi tenuti in quest’Aula. L’idea che da una minore sicurezza sociale in Europa possa nascere il progresso economico è una totale aberrazione. Chiunque pensi che l’UE possa essere utilizzata per erodere i risultati ottenuti nel settore della politica sociale dietro la cortina fumogena della globalizzazione si sbaglia. Forse l’ideale nei pensieri della destra di quest’Aula sono mercati deregolamentati che portino a massimizzare i profitti e abbassino gli standard sociali. Ma non è il nostro ideale. Quello che diciamo è che il segreto del successo dell’Europa è stato il progresso sociale e il progresso economico, due facce della stessa medaglia. Per quanto ci riguarda nulla è cambiato a tal proposito.

(Applausi)

Quella dell’onorevole Daul è stata un’interessante esclamazione. Per chi non l’ha sentita, ha detto: “L’economia prima di tutto”. No! Crescita economica e welfare sociale devono procedere di pari passo – questo è il punto cruciale, che mette in luce gli errori delle politiche della destra europea. Chiariamo subito una cosa: la schiacciante maggioranza dei governi che siedono nel Consiglio è di centro-destra e la Commissione, va da sé, non è l’Eldorado del socialismo. Lei Presidente Barroso è un politico di centro-destra, come la maggior parte dei Commissari. Teniamo quindi sotto controllo l’operato della Commissione per poter misurare la credibilità delle sue affermazioni.

Ovviamente c’è bisogno di ricerca, innovazione e istruzione, e ovviamente occorre che il mercato interno si sviluppi in un modo che protegga l’ambiente e stabilizzi le risorse della società. Sicuramente ne abbiamo bisogno! Ma abbiamo anche bisogno che la Commissione presenti proposte appropriate di direttive. Dopodiché avremo bisogno delle corrispondenti iniziative a livello legislativo per consolidare il processo. Vi sono alcuni spunti buoni che noi appoggiamo ma anche parecchi che dobbiamo esaminare approfonditamente.

Abbiamo inoltre bisogno di un’amministrazione efficiente. Non so se questa si debba chiamare migliore governance di Lisbona, come viene chiamata nei titoli dei documenti comunitari. Non so se l’uomo o la donna comune della strada capisce che cosa vogliamo dire con questo. E quando lei parla di semplificare l’amministrazione e chiama l’ex Primo Ministro della Baviera per dirigere l’iniziativa, posso solo dirle “complimenti e in bocca al lupo!”

Quello di cui abbiamo sicuramente bisogno – e su questo concordo di cuore con lei, signor Presidente della Commissione – è una serie di regole per ammansire questo capitalismo da Far West che si impone nei mercati finanziari e, lo voglio dire, minaccia le intere economie nazionali. Allora iniziamo da queste regole europee. Per descrivere chiaramente quanto occorre, mi consenta di dire che ci attendiamo che i capitalisti finanziari internazionali siano soggetti ad una supervisione, che le operazioni che effettuano siano trasparenti e, ovviamente, che il loro potere sia limitato; se vuole procedere su questa via, avrà il nostro sostegno. Si tratta di uno dei punti chiave per il progresso sociale dell’Europa.

In conclusione, signor Presidente – Hans-Gert – onorevoli colleghi, permettetemi di dire che la questione che discutiamo oggi, ovvero come dobbiamo organizzarci per affrontare la sfida della globalizzazione e qual è l’influenza che l’Europa, intendo l’Europa delle istituzioni – voi della Commissione e noi del Parlamento – può effettivamente mettere in campo per perseguire tali ambiziosi obiettivi, che questa questione dicevo costituisce anche il metro in base al quale gli elettori ci giudicheranno. Se continuiamo a limitarci a discussioni generali in cui descriviamo esattamente quel che vogliamo ma alle quali poi non facciano seguito misure legislative concrete qui e negli Stati membri, tutto questo esercizio sarà inutile. Per questo ci aspettiamo che quanto abbiamo illustrato qui possa ritrovarsi nella nostra risoluzione congiunta ed essere tradotto in una politica decisa.

(Applausi dalla sinistra)

 
  
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  Presidente. − Onorevole Schulz, il fatto che le sia stato consentito di superare abbondantemente il tempo a cui ha diritto non ha nulla a che vedere con il modo in cui lei si è rivolto al Presidente. Il tempo in più da lei impiegato verrà decurtato alla fine dal tempo totale a disposizione del suo gruppo.

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE.(EN) Signor Presidente, abbiamo appena ascoltato la lingua del passato:

Die Rede der Vergangenheit!

Ci sono altri che sanno, spesso meglio di noi, che stiamo già vivendo in una società globale. India, Cina e Brasile hanno colto l’ondata di opportunità e la stanno cavalcando al massimo, mentre troppi europei temono di essere schiacciati da quest’onda.

Ieri, rivolgendosi a noi, il Presidente Sarkozy ha parlato di “diversi possibili futuri per l’Europa del domani”, mettendo sul tappeto le nostre politiche per la concorrenza, l’energia e l’allargamento.

L’espressione tenuta dal Presidente Barroso durante gran parte di quel discorso è stata più eloquente delle sue parole di questa mattina. Se l’Europa sta con le mani in mano in quanto i leader nazionali – adducendo le preoccupazioni dei cittadini – contestano l’agenda dell’UE, perderemo la possibilità di orientare la globalizzazione secondo gli interessi collettivi dell’Europa.

Non sono i cittadini che dobbiamo convincere, sono gli Stati membri. Vari sondaggi d’opinione hanno indicato che la maggior parte dei nostri cittadini vedono l’Unione europea, e non i governi nazionali, come il soggetto più idoneo a gestire la globalizzazione.

Basta vedere come il terremoto della globalizzazione stia scuotendo il corpo politico europeo. Davanti alle sfide globali alcuni a destra indietreggiano, passando dal conservatorismo al nazionalismo, o dalla democrazia cristiana all’autocrazia cristiana. Lo spacco prodotto dalla globalizzazione attraversa proprio il PPE.

A sinistra Kurt Beck e i suoi amici stanno ritardando molte riforme necessarie. Franz Müntefering se n’è reso conto ed è per questo che ha abbandonato la votazione. E tuttavia vi sono dei visionari che vedono la necessità di fare riforme scrivendolo nel nuovo manifesto socialista europeo, che opportunamente è stato adottato ad Oporto.

In politica la divisione tra destra e sinistra non è più in materia di politica economica ma tra chi risponde alle sfide globali alzando il ponte levatoio e chi, con i liberaldemocratici, rivendica una società aperta.

Presidente Barroso, sull’approccio della Commissione alla globalizzazione lei gode in quest’Aula del sostegno della maggioranza. Tuttavia non è una maggioranza basata su un’unica famiglia politica. Anzi potrebbe addirittura spaccarsi e ridisegnare le famiglie politiche europee.

La globalizzazione orienterà sempre di più le nostre politiche. Non la globalizzazione nel senso economico piuttosto ristretto che si trova definito in questa comunicazione – sebbene sia nel nostro interesse avere un euro stabile, norme efficaci sulla concorrenza e una regolamentazione del mercato – ma nel suo senso più ampio, più olistico, che comprende crescita della popolazione mondiale e migrazione, cambiamento del clima e sicurezza energetica, crimine organizzato internazionale e suoi collegamenti con il terrorismo.

Non si tratta forse della conferma che abbiamo bisogno di agire su scala continentale, come sollecita il documento, di utilizzare la nostra massa critica per consentire agli europei di orientare la globalizzazione, come chiede la comunicazione della Commissione?

Se le cose stanno così, Presidente Barroso, dove sono le vostre politiche? La vostra tabella di marcia? Il vostro approccio comprensivo? Ci era stata promessa un’azione, e invece ci viene somministrato un documento altamente retorico ma povero di proposte. Questa non può essere l’ultima parola della risposta europea alla globalizzazione. Attendiamo la vostra revisione del mercato unico per vedere come intendete guidare la crescita dell’occupazione su un terreno difficile, nonché la vostra politica per l’emigrazione legale, sperando che affronti anche i timori dei paesi d’origine.

I miei colleghi e io attendiamo un’azione urgente per abbattere l’uso di energia e combattere il crimine transfrontaliero. Pensiamo anche che la salute sociale e la vitalità economica siano entrambe importanti. Se stiamo creando un mercato globale abbiamo bisogno di un nuovo contratto sociale globale che sappia conciliare le esigenze tra loro opposte della flessibilità e dell’equità in quanto, come ci ha insegnato Martin Luther King, “un’ingiustizia in un posto è una minaccia alla giustizia ovunque”.

Pertanto l’Unione deve trovare una sintesi tra l’agenda di Lisbona con la sua focalizzazione sulla competitività, l’agenda di Cardiff con la sua focalizzazione sui diritti sociali e l’agenda di Göteborg con la sua focalizzazione sull’ambiente.

Il mondo ha bisogno di un’Unione forte e unita per contrastare le ingiustizie, i conflitti e la povertà ovunque si manifestino in quanto siamo uno dei pochi attori in grado di affrontare le sfide globali e, se non ci mettiamo a capo di questa iniziativa, non lo farà nessun altro.

Ciò vuol dire porre fine alle ipocrisie delle tariffe commerciali per trovare un trattamento equo per i paesi in via di sviluppo nell’ambito del Doha Round, concludere un contratto sulle emissioni di anidride carbonica a Bali, utilizzando la nostra influenza collettiva per convincere l’America, e costruire un approccio internazionale ai mercati finanziari che si focalizzi su cooperazione in ambito regolamentare, convergenza tra norme tecniche ed equivalenza delle regole.

Per risolvere tali sfide in modo equo per tutti ci vuole più, non meno, globalizzazione. Poiché noi viviamo in un mondo interconnesso, un mondo che richiede solidarietà a livello globale non meno di quanta ne richieda tra i cittadini europei.

E noi vogliamo guardare avanti, con Victor Hugo, al giorno in cui gli unici campi di battaglia saranno quelli dei mercati aperti per gli affari e dello spirito umano aperto per le idee.

 
  
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  Mirosław Mariusz Piotrowski, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, la globalizzazione è un fenomeno che, per molti versi, è irreversibile. I singoli Stati membri dell’Unione europea non solo devono capirlo, ma devono anche rispondere a tali cambiamenti in modo concreto. L’azione dell’UE non può tuttavia pesare sugli interessi economici degli Stati sovrani, ad esempio ponendo restrizioni non giustificate sulle emissioni di biossido di carbonio, che arrecherebbero grave danno alle economie di paesi come la Polonia.

D’altra parte tali iniziative politiche non devono portare alla perdita dell’identità nazionale. Mentre vi sono paesi asiatici che riescono ad adattarsi alla nuova situazione e che si espandono economicamente in modo rapido, noi nel Parlamento europeo stiamo discutendo questioni così ponderose come gli specchietti retrovisori per i trattori agricoli e forestali e il ruolo e l’importanza dei circhi dell’Unione europea e altre questioni simili.

L’UE sta continuamente espandendo la propria normativa, rendendo sempre più difficile una concorrenza efficace e non sembra vedere la realtà, come si evince dal discorso di oggi del portavoce dei socialisti. Mi auguro che la discussione odierna contribuirà a cambiare il modo in cui vediamo la globalizzazione in una prospettiva europea.

 
  
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  Jean Lambert, a nome del gruppo Verts/ALE.(EN) Signor Presidente, penso che quanto abbiamo visto in questa specifica comunicazione sia un fallimento assoluto dell’immaginazione, se consideriamo la serietà della situazione che abbiamo davanti.

Non disponiamo di una reale definizione di globalizzazione. La globalizzazione si riferisce di norma al comparto economico, ed è di questo che desidero parlare.

Tale documento ci dice che stiamo affrontando la terza rivoluzione industriale. Penso che occorra imparare qualcuna delle lezioni delle rivoluzioni industriali passate. Quelle che non hanno preso pienamente in considerazione i costi ambientali, quelle che non hanno preso in piena considerazione i costi sociali. Esiste la presunzione che i costi dei beni di consumo continueranno ad essere bassi, spesso a spese dei paesi più poveri del mondo; che possiamo commerciare con paesi in cui imponiamo l’apertura dei mercati pur in assenza di un’infrastruttura sociale e di un settore pubblico sano; che occorra stare attenti alla sirena della reciprocità, se quest’ultima non è tra pari. Vi sono anche casi in cui abbiamo sopravvalutato il ruolo dei mercati per il raggiungimento degli obiettivi sociali ed esistono questioni in merito al consolidamento economico, in particolare quando questo si basa su un’economia di debito e sulla speculazione più che sulla realtà e pertanto diventa altamente pericoloso per la stabilità economica.

Il nuovo contesto che ci troviamo ad affrontare non riguarda solo il cambiamento climatico. Riguarda anche il livello massimo di produzione di petrolio e quanto ciò significherà per le opportunità dei paesi in via di sviluppo; riguarda anche il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo per il millennio.

E’ vero, dobbiamo riequilibrare commercio, dimensione sociale e dimensione ambientale. L’OMC dà la precedenza al commercio sui metodi di produzione, su qualsiasi altra cosa che ci dia il diritto di dire che non siamo d’accordo sul metodo di produzione delle merci in quanto non rispondente alle nostre regole. Abbiamo scelto di non codificare questo all’interno di regole.

Se consideriamo la crescita, parliamo ancora come se ciò che conta fosse la quantità e non la qualità e non cosa effettivamente cresce all’interno delle nostre società. Saluto positivamente la conferenza della Commissione prevista per la prossima settimana, tuttavia tale lavoro avrebbe dovuto essere in corso da anni.

Cosa faremo con il nostro settore agricolo? Con i settori turistici? Con gli altri settori alle prese con il cambiamento climatico? Non siamo d’accordo sul fatto che non è necessario riesaminare e rivedere gli orientamenti. Penso invece che dovremmo farlo.

Parlando di formazione e istruzione, la strategia per uno sviluppo sostenibile impone ora di considerare tale aspetto nel contesto del cambiamento climatico e dell’andamento ambientale. Non ho sentito descrivere alcun vero collegamento su tale questione. Su tale questione non esiste assolutamente alcuna strategia europea.

Quando si parla di un’economia a basso tasso di anidride carbonica, mi chiedo come ci arriveremo. Questo documento non dice niente che ci dia grande fiducia su tali temi.

E occorre esaminare ancora la parte che riguarda l’inclusione sociale. La disparità retributiva tra i sessi c’è ancora. C’è ancora bisogno di retribuzioni con cui si possa vivere e la flessicurezza deve prendere in considerazione la sicurezza finanziaria dei singoli.

Dobbiamo ancora integrare Lisbona e Göteborg, è questa la sfida. Questo documento non è all’altezza e non sono neanche convinto che il Parlamento lo sia.

 
  
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  Jiří Maštálka, a nome del gruppo GUE/NGL.(CS) Onorevoli colleghi, prima di tutto desidero esprimere la mia delusione per la versione finale del progetto di risoluzione. Sono deluso per due motivi. Il primo è che è un peccato che per molto tempo sia stato impossibile raggiungere un accordo e che un accordo a maggioranza sia stato raggiunto solo all’ultimo minuto e sotto la pressione delle scadenze, il che ha avuto secondo me un prezzo, con concessioni eccessive su questioni fondamentali. Il secondo motivo di delusione è dovuto al fatto che la risoluzione non rispecchia l’interesse europeo, come recita il titolo del documento e, più propriamente, non rispecchia neanche gli interessi della maggioranza dei cittadini europei.

Tale doppia delusione deriva dalla mia analisi della proposta di risoluzione congiunta che non riconosce in alcun modo gli influssi negativi della globalizzazione e, in realtà, non offre ai cittadini nulla più di un approccio per sopportare la globalizzazione, come se si trattasse di sopportare ad esempio delle inondazioni. Secondo me è impossibile che la globalizzazione possa piacere, come non possono piacere le inondazioni, tanto meno sopportarle. L’approccio normale è quello di cercare di intervenire su tali processi, per prevenirne gli impatti negativi. Tuttavia la risoluzione non contiene niente di tutto questo: non offre neanche un modello di sviluppo globale sostenibile.

Nella sua proposta di risoluzione il nostro gruppo politico si è concentrato in particolare sui seguenti fatti:

la lotta contro la povertà, dato che le statistiche indicano che circa 80 milioni di persone nell’Unione europea hanno un reddito disponibile inferiore al 60 per cento del reddito medio nazionale equivalente;

abbiamo sottolineato la necessità di mezzi più efficaci per assicurare i diritti dei cittadini, come accesso all’occupazione di qualità e ben retribuita e a standard sociali minimi;

sulla strategia di Lisbona, abbiamo evidenziato che è necessaria una nuova strategia integrata per la sostenibilità e la solidarietà che vada a sostituire l’attuale strategia di Lisbona e che offra un efficace strumento di attuazione.

Ieri alcuni gruppi politici hanno approvato una risoluzione congiunta ignorando completamente la proposta del nostro gruppo. In tal modo hanno indicato chiaramente che attribuiscono maggior importanza alle questioni economiche rispetto ai diritti sociali e alla giustizia. Per i motivi che ho esposto sopra il nostro gruppo non appoggerà la risoluzione.

 
  
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  Godfrey Bloom, a nome del gruppo IND/DEM.(EN) Signor Presidente, ieri abbiamo ascoltato con piacere il discorso meravigliosamente astuto del Presidente francese. Ho ascoltato attentamente questo uomo grande, se non d’aspetto, di parola. Ha dichiarato il proprio incrollabile appoggio al libero commercio. Ma, ovviamente, qualora altri paesi fossero per il protezionismo, allora anche lui lo sarebbe. Ha dichiarato il proprio incrollabile appoggio per la democrazia: la gente ha avuto diritto a far sentire la propria voce, salvo poi, come sembra, ignorarla, dato che i popoli francese e olandese sono stati ignorati. Lui è, così dice, prima di tutto un europeo, ma francese fino all’osso, un francese prima di tutto, ma un europeo fino all’osso. Certo, magari con l’aggiunta di un po’ di gulasch ungherese.

Abbiamo bisogno di un esercito, di una marina e di navigazione europei per far sì che i nostri valori di pace si diffondano ampiamente, perché non dobbiamo mai più fare guerre. Dobbiamo sviluppare le nostre istituzioni democratiche senza però, sembrerebbe, farlo troppo. I francesi non possono tenere un altro referendum in quanto ciò potrebbe portare ad un referendum inglese e chiaramente sappiamo tutti che gli inglesi brucerebbero la nuova Costituzione – pardon – il nuovo “trattato”.

Dobbiamo, ha suggerito, esaminare noi stessi più attentamente e far sì che vi sia più maternità, non solo per le donne ma anche per gli uomini; più torta di mele, specialmente per i poveri, che la vogliano o no. Per parafrasare un adagio, un vecchio adagio inglese – mi piace mettere alla prova i migliori interpreti del mondo – non si è trattato altro che di “un’intortata di mele”.

 
  
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  Dimitar Stoyanov (ITS)- (BG) Per prima cosa desidero ricordare alla Commissione e al Consiglio che la globalizzazione non è un processo che esiste da solo, che l’Europa costituisce un fattore importante sulla scena politica mondiale e che la politica perseguita dall’Europa deciderà lo sviluppo o meno della globalizzazione.

Ed è esattamente questo che non sono riuscito a capire della strategia della Commissione. Non ho cioè capito se la Commissione intende perseguire una politica che sviluppi la globalizzazione o se al contrario rallenti tale processo. Vorrei inoltre attirare la vostra attenzione sul fatto che il mercato unico da solo non garantisce il successo dell’Europa nel processo di sviluppo della globalizzazione.

Il Consiglio ha dichiarato che ritiene molto importante la competitività tuttavia nell’Unione europea vi sono attualmente nuove economie, che sono fragili e poco competitive anche sul mercato interno.

La Commissione a sua volta ha dichiarato che lo sviluppo della strategia di Lisbona è importantissimo soprattutto per queste economie nell’ottica di realizzarne i programmi nella prospettiva della globalizzazione.

Io prevedo invece che, in particolare per la Bulgaria, il mio paese, la strategia di Lisbona non avrà successo in quanto, come abbiamo sostenuto più volte, la Bulgaria non era pronta quando ha aderito all’Unione europea. Pertanto mi chiedo come possiamo proteggere gli interessi dei cittadini europei se non ricorriamo a qualche forma di protezionismo.

La società aperta di cui parla l’onorevole Graham Watson è semplicemente insidiosa per le economie più deboli dell’UE. Se prima di una solidarietà all’interno della Comunità viene la solidarietà globale, allora a cosa ci serve la Comunità?

In tale contesto uno sviluppo futuro della globalizzazione con le economie deboli caratterizzate da un pesante deficit commerciale e da una mancanza di competitività anche nel mercato interno continuerebbe a tenere sotto pressione l’economia fino al collasso, e queste economie che si sono sforzate per intraprendere uno sviluppo normale crollerebbero come castelli di sabbia.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).- (CS)(l’inizio del discorso non era udibile) ... per fare uno sforzo in modo che l’Europa possa svolgere un ruolo il più forte possibile sul mercato mondiale. A tal fine tuttavia i negoziati commerciali a livello mondiale devono giungere al termine, occorre abbattere i sussidi agli agricoltori europei e ridurre i dazi doganali statunitensi. E’ inoltre necessario prendere una posizione più ferma nei confronti della Cina in seno all’OMC e impiegare in modo sistematico misure antidumping. Se vogliamo affrontare con successo la globalizzazione dobbiamo sbarazzarci dell’eccessivo carico normativo che ostacola le piccole e medie imprese. Ciò è quanto era stato promesso dalla Commissione Barroso, che tuttavia si è bloccata all’inizio del percorso.

L’Unione risulterebbe inoltre più forte con l’adesione di Turchia e Ucraina e se potesse stringere un opportuno partenariato economico con la Russia. La politica sulla migrazione non è una buona cosa. Invece di essere la meta finale dei poveri, l’Europa dovrebbe essere la destinazione finale dei cervelli che attualmente vanno in Cina e negli Stati Uniti. Se veramente vogliamo affrontare le sfide della globalizzazione, la cosa più importante è avere un’Unione che parla con un’unica voce sulla scena internazionale; diversamente non sarà presa sul serio. Mi auguro che i capi di Stato giungeranno alle medesime conclusioni in dicembre.

Mi siano consentite un paio di osservazioni finali. Il collega onorevole Schulz ha citato un capitalismo da Far West che imperverserebbe sui mercati finanziari. Si tratta della retorica dei giorni più bui del comunismo, in cui i capitalisti finanziari erano chiamati i “gangster di Wall Street”. E tutti sappiamo cosa abbia significato questo atteggiamento per le economie del blocco orientale.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE).- (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare i Presidenti del Consiglio e della Commissione per le loro dichiarazioni su questa questione fondamentale per il futuro dell’Europa.

Per poter sopravvivere e prosperare l’Europa deve saper rispondere alle sfide della globalizzazione e noi dobbiamo essere all’altezza di tali sfide scorgendone le opportunità e non solo le minacce. Raggiungere gli obiettivi dell’agenda di Lisbona è di fondamentale importanza per la prosperità futura dell’Europa e dobbiamo fare in modo di raggiungere finalmente un accordo nell’ambito dell’OMC. Occorre riformare la politica agricola comune proponendo condizioni eque non solo ai nostri agricoltori ma anche a quelli dei paesi non industrializzati. Occorre fare progressi e procedere più speditamente con la deregolamentazione, liberando imprese e industria dalle pastoie per consentire loro di competere in condizioni competitive con Cina e India e dobbiamo inoltre sostenere ulteriormente gli sforzi del Cancelliere Merkel volti a creare un mercato comune transatlantico.

Accolgo con soddisfazione la recente dichiarazione sulla globalizzazione del Presidente della Commissione, secondo il quale la ragion d’essere dell’UE per il XXI secolo è chiaramente definita: dare all’Europa gli strumenti per competere in un mondo globalizzato. E per fare questo, ha detto, dobbiamo investire nelle persone, nella crescita, nell’occupazione, nella sicurezza energetica, nella lotta contro il cambiamento climatico e offrire ai consumatori condizioni più eque. Il Presidente ha proseguito sostenendo che il protezionismo non potrebbe arricchire l’Europa, che impoverirebbe solo i nostri cittadini, e non li proteggerebbe. Si tratta di una dichiarazione fondamentale che meriterebbe l’attenzione di tutti i governi europei.

Va da sé che per quanto riguarda servizi finanziari e principi contabili, le norme europee si stanno rapidamente qualificando quali standard globali e di questo sono fiero. In Europa la via per andare avanti è quella di una riforma radicale del modello sociale europeo, di una maggiore flessibilità dei mercati del lavoro e di una maggiore opera di deregolamentazione e di riduzione degli oneri per le imprese.

Chiaramente dobbiamo essere in prima linea anche nella risposta al cambiamento del clima, e saluto con soddisfazione la decisione del Parlamento di inserire le emissioni del settore aereo e il sistema di scambio delle emissioni, un’altra dimostrazione della nostra volontà di porci alla guida della comunità internazionale.

Nella lotta contro la povertà occorre assicurare programmi comunitari credibili, costo-efficienti e mirati. Dobbiamo migliorare le opportunità commerciali per il mondo in via di sviluppo e voltare pagina in Africa.

Dovremo essere fieri di quanto abbiamo finora raggiunto, tuttavia restano ancora molte opportunità da cogliere.

 
  
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  Robert Goebbels (PSE).- (FR) Signor Presidente, nel corso dei negoziati sul progetto di risoluzione sulle sfide della globalizzazione, ho potuto misurare l’abisso che separa destra e sinistra in questo Parlamento. I colleghi del PPE e dell’ALDE hanno tentato di criticare quei milioni di cittadini che, di fronte ai tagli occupazionali che fanno seguito alle delocalizzazioni e alle fusioni/acquisizioni e confrontando i loro esigui redditi con gli incentivi faraonici di manager che, tra l’altro, predicano la moderazione salariale, dubitano degli effetti vantaggiosi della globalizzazione.

Penso che la globalizzazione sia un processo necessario, in particolare per dare ai paesi più poveri accesso ai commerci internazionali e per elevare in tal modo il livello di vita della popolazione. Ma non facciamoci ingannare dagli slogan! Il mercato perfetto caro ai liberali non esiste. La concorrenza è sì necessaria ma mai libera.

Prendiamo come esempio il mercato dell’energia. Il 90% delle risorse energetiche mondiali è controllato da Stati sovrani. Il mercato del petrolio è dominato da un cartello. Un altro cartello si sta formando per il mercato del gas. La formazione dei prezzi non è trasparente e riguarda a malapena il 40 per cento degli scambi mondiali. Un terzo del prezzo finale finisce nelle tasche di una lunga catena di intermediari, speculatori il cui apporto economico è nullo. Quando gli speculatori e i loro “mezzi speciali” si impantanano, le banche centrali iniettano miliardi nel sistema finanziario per evitare un rischio sistemico ma così facendo diventano assicuratori della speculazione.

Qualche CEO può cavarsela senza grossi danni tuttavia milioni di consumatori si indebitano e sono costretti a vendere la casa. In sei mesi quasi mezzo milione di americani ha dovuto dichiarare insolvenza personale. L’economia europea intanto segna il passo. La Commissione rivede al ribasso le proprie previsioni economiche, tuttavia la politica che essa stessa propone si risolve nel ripetere le solite formule magiche. Ci viene detto che ci vuole più crescita e più posti di lavoro tramite un miglior coordinamento, più ricerca e sviluppo, ci viene detto che occorre rispondere alle nuove realtà sociali.

Ma dove sono i soldi per farlo? Dove sono i mezzi? Il Presidente Barroso non vuole migliorare gli orientamenti integrati. La destra rifiuta di discutere un coordinamento economico. Sarkozy parla in gran pompa di tutto e di niente ma non ha mai pronunciato una sola volta in trenta minuti la parola “sociale”. Tutti i sondaggi lo confermano: i cittadini vogliono più sociale, più sicurezza, più potere d’acquisto, migliori servizi pubblici.

I sindaci di dieci capitali europee hanno appena firmato una dichiarazione per la difesa di servizi pubblici che siano accessibili a tutti. E la Commissione cosa fa? Si rifugia dietro il misero protocollo del futuro trattato che assicura la sussidiarietà solo per i servizi non economici per togliere così di mezzo servizi pubblici voluti dagli europei. Il mio gruppo non accetterà tale rinuncia della Commissione. Assieme ai sindaci, al Comitato delle regioni, al Comitato economico e sociale e ai sindacati noi porteremo avanti una battaglia politica per un’Europa più sociale che riconosca il ruolo prioritario dei servizi pubblici.

(Applausi)

 
  
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  Margarita Starkevičiūtė (ALDE).(LT) Molti cittadini dell’UE sono preoccupati per i mutamenti che si verificano nell’ambiente in cui vivono e che sono imputabili alla globalizzazione; il nostro dovere di politici è quello di fornire una risposta. Molto spesso il Parlamento incoraggia gli Stati membri a preparare una strategia comune, tuttavia vorrei sottolineare che dovremmo iniziare da noi stessi. L’elaborazione di questa risoluzione è risultata molto difficile, non essendo semplice sintetizzare i pareri di tutte le commissioni in un unico parere generale. Pertanto vorrei suggerire di tentare di combinare più spesso i pareri delle varie commissioni e le varie risoluzioni in un parere generale in modo da poter dare ai cittadini dell’UE una risposta coordinata su quanto effettivamente faremo.

Un’altra questione molto importante riguarda il nostro ruolo di protagonisti globali. Vorrei dire che il nostro ruolo nel mondo deve essere un ruolo attivo. Attualmente l’Unione europea rappresenta l’unione più grande grazie all’allargamento ma grazie anche alle nuove opportunità. Noi dobbiamo assumere il ruolo più grande da svolgere a prescindere dalla nostra disponibilità o indisponibilità ad assumerlo. Ciononostante l’impressione è quella che stiamo prendendo tempo, come se stessimo aspettando che qualcuno ci presentasse la soluzione. La nostra politica estera tramite la dimensione esterna della strategia di Lisbona dovrebbe essere di tipo attivo.

In tema di politica interna desidero sottolineare l’importanza di una revisione delle priorità. In base alle ricerche più recenti, il motivo del ritardo dell’Unione europea nella crescita della produttività non va imputato alla mancanza di computer o di attrezzature tecnologiche ma a problemi gestionali. Noi non sfruttiamo appieno il mercato interno e non creiamo le condizioni positive per la circolazione delle merci e l’allargamento del mercato finanziario. Un’altra questione: è giusto che la priorità principale dell’UE per il mondo di domani sia lo sviluppo delle tecnologie? Non c’è piuttosto la possibilità che la produzione alimentare possa diventare la priorità principe, come ci avvertono gli esperti?

In sintesi dobbiamo sviluppare un nuovo approccio verso il nostro mercato economico e dare la precedenza all’espansione del mercato interno. In tema di politica sociale, richiamata qui più volte, sono d’accordo che debba costituire una delle priorità principali del nostro programma, ma sostengo anche che debba essere attiva. Dobbiamo abbandonare la tendenza a sostenere una certa categoria di persone; il nostro ruolo deve essere quello di creare opportunità affinché esse possano guadagnarsi da vivere. Queste persone non devono essere indotte ad approfittare di quanto viene loro dato, ma debbono essere attori attivi sul mercato. Per questo avrebbe senso investire nelle sfere sociali perché questo, in futuro, contribuirebbe a raccogliere un capitale intellettuale assicurando un aumento della produttività.

In conclusione desidero sottolineare l’importanza di un miglioramento del coordinamento fra le istituzioni dell’UE. Questa risoluzione e la discussione di oggi costituiscono esempi di cosa sia un buon coordinamento. Mi auguro che in futuro avremo la possibilità di discutere tali questioni non solo durante le sedute notturne ma anche nelle ore diurne.

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN).(GA) Signor Presidente, è nell’interesse dell’UE disporre di un sistema commerciale internazionale forte ed equo sotto gli auspici dell’Organizzazione mondiale per il commercio. Pertanto non è accettabile che i colloqui del Doha Round debbano ruotare esclusivamente attorno ad ulteriori concessioni dell’UE in tema di agricoltura che, dopotutto, rappresenta solo il 5% degli scambi mondiali. E il rimanente 95 per cento? Si tratta forse di una resa?

Ho l’impressione che il Commissario Mandelson sia troppo disponibile a cedere per quanto riguarda l’agricoltura dell’UE. Al momento il Commissario sostiene una riduzione del 46 per cento dei dazi all’importazione nel settore agricolo. Tuttavia, come ieri in questo Parlamento ha detto il Presidente Sarkozy, dobbiamo conservare le nostre fonti interne di approvvigionamento alimentare. Per fare un esempio l’America finora non ha ceduto di un millimetro in campo agricolo. Per verificare questo punto è sufficiente leggere l’ultima legge statunitense sull’agricoltura.

Occorre fare progressi nei negoziati sul commercio internazionale nei settori dell’industria, del commercio e dei servizi. Il dazio medio del 4 per cento in vigore nell’UE rimane al 4 per cento, mentre il tasso equivalente in Asia e nel sud America è del 30 per cento. Quando i settori del software e delle telecomunicazioni dei mercati indiano e cinese saranno aperti, ci sarà la possibilità di un progresso spinto dalla concorrenza. Inoltre la semplificazione dovrebbe riguardare non solo le procedure doganali ma anche i futuri accordi commerciali.

 
  
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  Pierre Jonckheer (Verts/ALE).- (FR) Signor Presidente del Parlamento, signor Vicepresidente della Commissione, trovo che nel documento che ci è stato sottoposto e nel discorso del Presidente Barroso vi sia un grande assente, ovvero proprio quell’analisi e quelle proposte che stiamo facendo sul funzionamento dei mercati finanziari internazionali, sull’esistenza di paradisi fiscali internazionali, sulla lotta contro la criminalità finanziaria internazionale e sulla fiscalità internazionale nonché sui flussi di capitali in senso stretto.

Penso in realtà che il dibattito internazionale su tale piano sia regredito. Non vedo, né nei documenti scritti né nel discorso del Presidente della Commissione, alcuna iniziativa politica di una qualche incisività su tali temi che dopotutto sono assolutamente gravi non posso fare a meno di pensare al cambiamento climatico e alla discussione che si terrà a Bali, che coinvolge una dimensione finanziaria estremamente importante, in particolare in relazione all’aiuto dei paesi cosiddetti più fragili perché possano aderire al protocollo di Kyoto 2.

Ciò richiede, lo sappiamo tutti, fondi pubblici estremamente consistenti. E’ dove li troviamo? Penso che la rinuncia, il rifiuto di dare priorità a tale discussione nelle sedi internazionali – anche se so che è estremamente difficile farlo – possa nuocere alla nostra politica sul piano internazionale.

La seconda osservazione che vorrei fare riguarda la battaglia mondiale sulle norme e in particolare sulle norme ambientali e le norme in ambito sociale, ma più in particolare sulle norme ambientali.

Il documento della Commissione è molto generico. Lo ha detto l’onorevole Watson e convengo con lui. A pagina 6 voi dite: “A seguito delle discussioni bilaterali settoriali con i paesi terzi, ad emergere è oggi una nuova impostazione a livello internazionale focalizzata sulla cooperazione normativa, sulla convergenza degli standard e sull’equivalenza delle norme”. Signor Vicepresidente, vorrei sapere con precisione cosa significa questo per il mantenimento delle norme europee in materia ambientale. Cosa significa per il loro sviluppo futuro e che cosa significa concretamente per la loro promozione a livello internazionale richiamata dal Presidente Barroso.

La mia preoccupazione aumenta leggendo gli articoli di stampa che fanno il punto sui negoziati in corso tra l’Unione europea e la Corea del sud che lasciano intendere che, quando si tratta di difendere le norme o perlomeno le norme sociali, la nostra posizione è più debole rispetto a quella degli Stati Uniti.

Su tali questioni ci dovete delle risposte precise.

 
  
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  Sahra Wagenknecht (GUE/NGL).- (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la globalizzazione non è un processo naturale anche se ad alcuni piace presentarla in tal modo. La globalizzazione è essa stessa un prodotto della politica. E’ una creazione politica che nasce da ogni singola misura adottata per deregolamentare e liberalizzare la circolazione internazionale dei capitali. La sua creazione politica si perpetua ogni volta che un paese in via di sviluppo viene costretto, ricattandolo, ad aprire il suo mercato dei capitali per consentire acquisizioni dall’esterno. Si tratta di una creazione dei paesi industrializzati e, non da ultimo, dell’Unione europea.

Il termine globalizzazione non sta tanto ad indicare l’internazionalizzazione dell’economia quanto piuttosto il potere dei proprietari di immobili, di banche e conglomerati, che si sono sottratti all’intervento dei legislatori nazionali, di investire il proprio denaro ovunque vi siano utili maggiori, indipendentemente dalle conseguenze sociali. Quel potere ovviamente che consente loro di mettere l’uno contro l’altro i paesi che costituiscono potenziali luoghi di investimento, costringendoli a creare quelle condizioni che sono via via più favorevoli alla massimizzazione dei profitti.

E’ proprio questo il programma nascosto che si cela dietro l’obiettivo della concorrenza, ovvero la tendenza ad abbattere la fiscalità societaria, a distruggere i sistemi di welfare e attuare un dumping salariale selvaggio – in altre parole la tendenza verso un capitalismo sempre più sfrenato. Ciò significa ovviamente che non tutti perdono nel gioco della globalizzazione, perché vi sono anche vincitori a man bassa. Tra questi vi sono anche, e non tra gli ultimi, le conglomerate europee che hanno raggiunto il livello di protagonisti mondiali di questo processo di globalizzazione e i cui profitti negli ultimi anni non avrebbero potuto essere maggiori. Tuttavia la grande maggioranza non trae vantaggio da questi sviluppi. Al contrario la legge della giungla che prevale nel capitalismo sfrenato consente a chi ha di opprimere e sfruttare chi non ha.

La risoluzione presentata maschera questo stato di cose e il nostro gruppo non la sosterrà. Al contrario continueremo a lottare per un diverso ordine economico europeo, per un ordine economico in cui le persone non costituiscano semplicemente dei fattori di costo e in cui i paesi non siano ridotti a dei luoghi in cui fare affari.

 
  
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  Witold Tomczak (IND/DEM).- (PL) Signor Presidente, occorre distinguere due realtà: il fenomeno della globalizzazione e il programma del globalismo.

La globalizzazione nasce dallo sviluppo delle nuove tecnologie nei trasporti, nelle comunicazioni e nella raccolta ed elaborazione dei dati. La globalizzazione apre nuove opportunità ma crea anche nuove minacce. Sta a noi decidere come usarla.

Il globalismo, per converso, è un programma che mira a creare un potere globale sovranazionale. Tale approccio è contrario alla libertà dei popoli e delle nazioni ed esalta un piccolo numero di soggetti che dispongono di più capitali e infrastrutture globali, consentendo loro di realizzare i rispettivi egoistici interessi entro il perimetro di un paese globale, senza apporto alcuno per il bene dei cittadini e delle nazioni. Si tratta sostanzialmente di un programma totalitario, che è contrario agli ideali del pacifismo e che minaccia la nascita di conflitti.

L’Europa si trova davanti alla tentazione di mettere a repentaglio i diritti delle sue stesse nazioni al fine di accrescere il ruolo delle sue élite cosmopolite nella gestione del mondo. Cedere alla tentazione vorrebbe dire spazzare via una cultura secolare delle nazioni europee fatta di rispetto dei diritti umani e dei diritti delle società umane.

Nell’era della globalizzazione il successo dell’Europa dovrebbe risiedere nel rispetto dei diritti umani, dei diritti delle famiglie e delle nazioni che si concretizza nello sviluppo di istituzioni che garantiscono la tutela di tali loro conquiste. Il successo dell’Europa sarà quello di mostrare agli altri popoli e alle altre nazioni del mondo come creare una situazione di libertà e di dignità per i cittadini. Sarebbe un disastro se l’Europa scegliesse la strada di un programma di globalismo totalitario.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (ITS).- (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la globalizzazione, l’internazionalizzazione o “planetarizzazione”, secondo la definizione del gesuita Teilhard de Chardin, suscitano una constatazione banale: ci troviamo davanti ad una seconda globalizzazione, più completa di quella del ‘900 in quanto questa è contemporaneamente finanziaria, economica, linguistica, migratoria, ideologica ed è caratterizzata da un modello dominante, il mercato.

E’ altrettanto ovvio che tale globalizzazione comporta effetti negativi nei paesi del sud con un eccessivo sfruttamento, in India e in Cina, sia di esseri umani che delle risorse del terreno, dei boschi, dei mari, delle acque e con la messa a repentaglio dei diritti dell’uomo. Gli effetti che si avvertono nell’emisfero nord del mondo sono le delocalizzazioni, la perdita di impiego, destabilizzazione finanziaria dei sistemi sociali e, a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei costi legati alla quarta età, il rischio che l’Europa si trasformi in un Ruanda geriatrico, con tutto ciò che questo comporta in termini di disprezzo per la vita e pertanto di attentato ai diritti umani.

Davanti a tali realtà, a tali evidenze, noi cosa facciamo? Qualcosa che è un mix di formule magiche, di minimalismo e di arte divinatoria. Un esempio di parole magiche ce lo offrono attualmente le nostre discussioni e le nostre risoluzioni. Le formule magiche politiche consistono nell’invocare la strategia di Lisbona, l’economia più competitiva. Sembrerebbe quasi di vedere Krusciov all’ONU negli anni ‘60, quando voleva mettersi alla pari con il sistema capitalista. Una risposta alla globalizzazione alla Harry Potter.

Si fa anche del minimalismo. Un esempio perfetto di questo atteggiamento è il Fondo per la globalizzazione, con i suoi “contentini” finanziari. Invece di dominare la situazione ci si rimette alla volontà di Dio e si tenta di dare responsi oracolari. Nel nome del Padre Adam Smith, del Figlio Ricardo e dello Spirito Santo il Mercato, nel grande tempio planetario del libero-scambismo si sacrificano i dazi doganali, prima tagliandoli e poi sopprimendoli del tutto.

Questo sì che è pensiero magico! Tuttavia il genio europeo sta nell’aver inventato, 2500 anni fa, il pensiero logico, ovvero la ragione. Ebbene la ragione ci dice: il libero commercio è necessario, ma lo sono anche le protezioni sociali e culturali. Occorre pertanto conciliare la libertà commerciale e la sicurezza dell’uomo.

Per fare questo esiste una nuova tecnologia doganale, la tecnologia dei diritti doganali deducibili, ovvero dei diritti doganali pagabili dall’esportatore, che tuttavia gli generano un credito doganale pari alla somma dei diritti doganali da lui pagati e che possono essere detratti nel momento in cui acquista nel paese dell’importatore. Grazie a tali diritti doganali di nuova generazione modulabili, rimborsabili, negoziabili e riscontrabili si risolverà l’ovvio problema delle asimmetrie economiche, sociali, ambientali esistenti negli scambi tra nord e sud.

 
  
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  Jim Allister (NI).- (EN) Signor Presidente, aumenta sempre più il numero dei nostri elettori per i quali globalizzazione è sinonimo di desolazione, dato che una dopo l’altra le industrie si trasferiscano all’est.

Solo due settimane fa a Limavady, nella mia circoscrizione, Seagate Technology ha annunciato la chiusura delle proprie attività licenziando 960 lavoratori e lasciando la piccola cittadina sgomenta. Non si tratta solo del richiamo della manodopera a basso prezzo ma è anche il peso invalidante della normativa che sta distruggendo le nostre imprese.

Condivido quanto diceva ieri il Presidente Sarkozy, sul fatto che l’UE ha il diritto di proteggersi da tali devastazioni, e vorrei che lo facesse. Vi sono due iniziative immediate che aiuterebbero in tal senso: la prima è l’abbassamento della soglia per accedere al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Mille posti di lavoro in meno a Parigi costituiscono una cattiva notizia, ma in una piccola cittadina come Limavady sono una catastrofe. Pertanto la soglia dovrebbe essere più bassa per le economie più piccole. La seconda: l’UE deve allentare i divieti sugli aiuti di Stato in modo che una modesta detassazione del mondo industriale o che iniziative analoghe possano contribuire a tenere in vita il nostro settore manifatturiero. Invito la Commissione a dare una risposta positiva su tali due specifiche proposte.

 
  
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  Werner Langen (PPE-DE).- (DE) Signor Presidente, chiunque ascolti i discorsi sentiti qui oggi, in particolare quelli degli onorevoli Wagenknecht e Schulz, potrebbe dire che essi hanno parlato di un’epoca che, sono lieto di dire, è passata da molto tempo. Si tratta di formule riproposte dal vecchio repertorio socialista che non ci fanno fare il benché minimo passo in avanti sulle questioni della globalizzazione.

Chiunque sieda in quest’Aula sa che libertà economica, maggiore prosperità e modello sociale sono aspetti compatibili l’uno con l’altro. L’Europa ne è la migliore dimostrazione. Proprio come abbiamo inventato l’euro come programma interno per tenerci in forma per il mercato unico, ora abbiamo la strategia di Lisbona, pur con tutte le riserve e i problemi che essa suscita, come programma per acquisire la forma giusta per gareggiare nella competizione globale. Non abbiamo assolutamente alcun motivo per rinunciare alla globalizzazione. In questa sede la globalizzazione viene discussa in termini assolutamente irrealistici.

La globalizzazione è la molla principale della democrazia e della prosperità per i paesi in via di sviluppo. E’ assolutamente non veritiero dire che esistono solo lati negativi, come sembravano indicare gli esempi citati negli ultimi interventi. Al contrario tutti i paesi traggono beneficio dalla globalizzazione: sia i paesi in via di sviluppo, sia i nuovi paesi industrializzati e anche i paesi in via di sviluppo caratterizzati da un apparato statale eccessivo che non può più essere sostenuto dai contribuenti. Non possiamo rimettere indietro l’orologio, e l’Europa è il modello per il resto del mondo. Mi chiedo perché tacciamo questo fatto. Perché parliamo solo delle cose negative?

E’ chiaro che si può parlare di pratiche da Far West nei mercati finanziari. Certo, occorre sicuramente un coordinamento internazionale. Ci occorre una limitazione a livello internazionale e una supervisione. Ma chi, a parte l’onorevole Goebbels, ha detto che esistono anche malfunzionamenti sistemici che non siamo ancora riusciti a limitare? In Giappone la regola è quella che il top manager di un’azienda non può guadagnare più di venti volte il salario del dipendente medio. Come possiamo giustificare che i manager in Europa e negli Stati Uniti guadagnino mille volte più dei loro dipendenti? Possiamo sicuramente parlare di queste cose tuttavia non possiamo demonizzare la globalizzazione in generale in quanto essa apre nuove opportunità, coniugando libertà e prosperità.

 
  
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  Anne Van Lancker (PSE).- (NL) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, è una buona cosa vedere che la Commissione riconosce nella dimensione esterna un nuovo elemento della strategia di Lisbona, tuttavia è importantissimo non dimenticare che la globalizzazione ha anche implicazioni per la nostra politica interna europea.

Se da un lato la strategia di Lisbona è stata positiva per la crescita economica e l’occupazione, è anche vero che non tutti ne hanno tratto vantaggio. In Europa la globalizzazione ha notevolmente allargato il gap tra i lavoratori qualificati e quelli non qualificati.

Pertanto osservo con soddisfazione che la Commissione e il Consiglio dei ministri del lavoro riserverà in futuro un’attenzione maggiore alla dimensione sociale in quanto vi sono ancora troppe persone – lavoratori non qualificati, disabili, lavoratori anziani, migranti – che non hanno accesso ad una formazione accettabile e a buone prospettive occupazionali. Sei milioni di giovani abbandonano la scuola senza avere ottenuto un diploma, 72 milioni di persone vivono in povertà ai margini della società, per non contare i 14 milioni di lavoratori poveri europei.

La prosperità economica deve andare a vantaggio di tutti, uomini e donne. Consentitemi quindi di sottolineare tre ulteriori punti.

Primo: è chiaro che la nuova generazione di strumenti politici per Lisbona deve essere focalizzata molto più nettamente sull’inclusione sociale, sulle pari opportunità, sulla riduzione della povertà e su una idonea protezione sociale. La dimensione sociale deve tornare a comparire negli orientamenti integrati.

Secondo: occorre una maggiore enfasi sul mantenimento da parte degli Stati membri degli impegni assunti in materia di occupazione e formazione. Crescita economica non significa automaticamente occupazione di qualità; su tale punto occorre un impegno chiaro da parte degli Stati membri.

Terzo: occorre fare molto di più in partnership. Una strategia valida per la crescita, per l’occupazione e per l’inclusione sociale richiede anche un contributo dei parlamenti nazionali, delle autorità locali e regionali, delle parti sociali e della società civile.

Pertanto il mio gruppo non pensa che la generazione successiva di strumenti per la strategia di Lisbona possa essere costituita da strumenti ordinari. Mi auguro che il Vicepresidente della Commissione riconosca che vi sono molti motivi validi per apportare correzioni essenziali al pacchetto di Lisbona.

 
  
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  Bernard Lehideux (ALDE) . – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, tale ricorrente discussione sui vantaggi e gli svantaggi della globalizzazione non è particolarmente sensata, visto che ormai essa è una realtà.

L’unica vera questione per noi è come possa l’Unione europea tentare di trasformare un fenomeno che è inevitabile a vantaggio dei suoi cittadini. I cittadini europei si attendono riforme efficaci che facciano aumentare l’occupazione e li agevolino in una fase di cambiamento.

La fede riposta nella strategia di Lisbona è stata finora un po’ come aspettare Godot.Se ne sente molto parlare, non si vede l’ora che si concretizzi, ma nessuno l’ha ancora vista. Coloro i quali hanno le chiavi per il successo della strategia di Lisbona, ovvero gli Stati membri, devono mostrarci con quali risorse si possono raggiungere gli obiettivi che essi stessi hanno fissato. Dagli Stati membri ci attendiamo la realizzazione di iniziative e una valutazione piena e obiettiva dei loro risultati.

Non voglio in questa sede tracciare un quadro completamente buio. Alcuni segni incoraggianti ci sono, come il Fondo di adeguamento che funziona, anche se rimane da valutarne l’efficacia. E’ inoltre significativo il fatto che, per la prima volta in Europa, tra le parti sociali vi sia un’analisi condivisa sulle sfide a cui si deve rispondere in materia di mercati del lavoro. Le parti sociali hanno inoltre raggiunto un accordo per chiedere agli Stati membri di dare attuazione a politiche di flessicurezza, che combinino gli elementi accoppiati flessibilità-sicurezza sia per i dipendenti sia per i datori di lavoro.

Mi consenta, Presidente Barroso, di concludere sollecitandola a non sacrificare la dimensione sociale della strategia di Lisbona solo perché lei pensa che ci renda meno competitivi. L’uomo comune si aspetta un’Europa attenta alle sue preoccupazioni mentre le aziende si aspettano un’Europa che attui una politica per contrastare un diffuso dumping sociale.

 
  
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  Wojciech Roszkowski (UEN).- (PL) Signor Presidente, il documento della Commissione contiene molte parole sul ruolo dell’Unione europea nel processo della globalizzazione tuttavia mi chiedo se dia risposte specifiche alle domande che ci stiamo ponendo. Tenderei a dire di no.

Il documento dà l’impressione che delle buone norme a livello comunitario possano assicurare la crescita nell’UE e la prosperità dei cittadini. Tuttavia crescita e prosperità dipendono dagli sforzi dei cittadini, che devono aumentare la propria produttività rispetto al passato e devono dimostrare maggiore produttività ed efficienza rispetto ai cittadini di altri paesi.

Una buona regolamentazione non è sufficiente per assicurare la futura crescita economica dell’Unione europea. Non è sufficiente per eliminare le sperequazioni economiche tra vecchi e nuovi Stati membri, che si stanno ampliando ad un tasso più alto rispetto alla media comunitaria. Gli effetti della migrazione economica, dai paesi a basso costo del lavoro ai paesi ad alto costo del lavoro, non bastano.

La futura crescita economica dell’UE dipenderà dalla sua competitività e tuttavia il documento della Commissione si dilunga sulla protezione dei guadagni sociali. Questo va benissimo ma qui non si tratta dei fattori di crescita ma dei risultati della crescita. Se da un lato vogliamo proteggere quanto guadagnato sul piano sociale, non dobbiamo dimenticare che la crescita nasce dall’innovazione, da una maggiore efficienza organizzativa, da una maggiore produttività e da una migliore competitività.

 
  
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  Jill Evans (Verts/ALE).- (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare la Commissione e il Consiglio per le loro dichiarazioni. Sono d’accordo su quanto detto sulle possibilità che l’UE assuma un ruolo molto positivo. Tuttavia fino ad oggi la globalizzazione economica ha portato ad accelerare il degrado ambientale, il peggioramento delle condizioni dei lavoratori e gli squilibri sociali.

A livello locale le conseguenze sono un’insicurezza occupazionale e, ancor peggio, la perdita di occupazione nei settori manifatturiero e di servizi che ho potuto toccare con mano nella mia comunità in Galles, dove vivo, all’inizio di quest’anno con la chiusura della fabbrica di Burberry, con conseguente perdita di centinaia di posti di lavoro in un’area molto povera, un’area di convergenza.

Le aziende trovano che più facile guardarsi attorno, cercare la manodopera a più buon prezzo senza preoccuparsi delle conseguenze nonostante l’esistenza di accordi di responsabilità sociale delle aziende volontariamente sottoscritti che, come nel caso di Burberry, sono bellissimi in teoria ma non valgono quasi niente nella pratica.

Si tratta di conseguenze devastanti per le comunità locali, quelle comunità locali che, come abbiamo già sentito, sono essenziali per l’occupazione e la crescita, ovvero proprio per le finalità dell’agenda di Lisbona. Tutto ciò porta alla delusione della politica, alla dimostrazione che il mercato è più forte della democrazia.

L’UE può dare il suo contributo migliorando il livello del lavoro e sociale in tutto il mondo, compresi i costi del cambiamento climatico sul prezzo di mercato in modo da evitare pratiche di dumping ambientale. Gli effetti della globalizzazione rendono ancora più importante la protezione sociale per i lavoratori e le comunità.

Concordo sul fatto che la strada per il futuro sia un sostegno alle piccole imprese e la disponibilità di posti di lavoro sostenibili a lungo termine, di posti di alta qualità, e mi auguro che la proposta per uno small business act contribuisca a raggiungere nel lungo termine tale obiettivo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. RODI KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).- (PT) Signora Presidente, è giusto in questa discussione sottolineare il fatto che il successo dell’Unione europea dipende da come essa risponde in termini di solidarietà e di coesione economica e sociale. Fintantoché l’Unione europea continuerà ad accusare un livello elevato di indigenza che interessa il 17 per cento della popolazione, ovvero 80 milioni di persone nell’UE a 27, fino a quando l’insicurezza occupazionale continuerà a crescere come anche la percentuale dei lavoratori poveri, la nostra priorità fondamentale dovrà essere quella di abbandonare le politiche neoliberiste dando la precedenza ad un’occupazione associata a diritti, a retribuzioni accettabili, ad una maggiore protezione sociale e a servizi pubblici di standard elevato per tutti, favorendo investimenti produttivi da parte delle microimprese e delle piccole imprese e una più equa distribuzione della ricchezza prodotta in modo da favorire una reale convergenza tra gli Stati membri, sostenere lo sviluppo e il progresso sociale e attuare una politica di cooperazione con i paesi del terzo mondo.

 
  
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  Patrick Louis (IND/DEM) . – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, i nostri concittadini – che sono anche lavoratori, consumatori e contribuenti – riconoscono distintamente che l’Unione europea, nella sua attuale configurazione, non costituisce tanto un baluardo contro gli eccessi della globalizzazione finanziaria quanto piuttosto una tappa sulla via che porta a tali eccessi.

Da venti anni ormai ci viene promesso un futuro splendente, il regalo dell’euro e dell’abolizione delle frontiere, si tratta della prospettiva che ci hanno fatto balenare, ad esempio, per ottenere il nostro sostegno per il trattato di Maastricht nel 1992. Nonostante tutto questo il nostro comparto manifatturiero sta facendo le valigie lasciando dietro di sé milioni di disoccupati, una desolazione postindustriale e campagne deserte.

Sentendo il Presidente Sarkozy, in quest’Aula, sostenere la causa di una missione per proteggere l’Europa, verrebbe da pensare che egli non abbia mai accettato né Maastricht né il trattato di Lisbona. Fa un bell’effetto vederlo presentarsi come il Generale de Gaulle e dichiarare che all’OMC si opporrà a qualsiasi negoziato suscettibile di danneggiare i nostri interessi nazionali. Egli sembra tuttavia aver dimenticato che la Francia non dispone di un diritto di veto e che l’unico soggetto in condizioni di negoziare è una Commissario di Bruxelles, che sistematicamente ignora il mandato ricevuto dagli Stati membri.

Simili illusioni erano evidenti anche quando – ancora una volta con tutte le possibili giustificazioni – ha attaccato l’ossessione deflattiva della Banca centrale europea indipendente di Francoforte. Ma a chi dobbiamo credere, all’uomo che si presenta davanti alle telecamere per proclamare la sovranità francese o all’uomo che, con un trattato europeo, rinuncia alla nostra sovranità nazionale? La realtà è che il trattato di Lisbona conferma la logica dei trattati esistenti, che ci impediscono di intervenire sul corso dell’euro, di proteggere i nostri mercati e di difenderci da soli nei negoziati sul commercio mondiale.

E’ vero, il trattato cita quale obiettivo la protezione dei cittadini, tuttavia si tratta solo di una dichiarazione politica non sostenuta da alcuna forza giuridica. E’ significativo il fatto che il trattato rafforzi i poteri e l’indipendenza sia della Commissione sia della BCE e conseguentemente della linea di pensiero del libero commercio a cui essi si ispirano. Il protocollo n. 6 nonché gli articoli 3 e 4 del trattato CE puntellano la loro dogmatica concezione di una concorrenza senza pastoie, senza attenzione per gli interessi nazionali, senza alcun confine e incuranti della democrazia.

Noi pensiamo che i cittadini francesi e i cittadini d’Europa vogliano qualcosa di diverso. Pertanto invito a riabilitare un vero libero commercio in una forma che preveda scambi tra nazioni che le arricchisca senza privarle né delle loro difese né della loro identità.

 
  
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  Udo Bullmann (PSE).- (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, nei prossimi tre anni la Commissione intende presentare proposte per un riallineamento delle politiche economiche, sociali e ambientali dell’Unione europea. Si tratta di una cosa positiva in quanto, come tutti sappiamo, non esistono ancora proposte. Il documento di ottobre, che è alla base della nostra attuale discussione, è un documento succinto. Colgo l’occasione per osservare che, se da un lato è sempre positivo avere documenti succinti, in questo caso abbiamo un documento vuoto, senza respiro, dal quale non si evince alcunché in merito alla strada da seguire.

La Commissione deve aiutarci risolvendo una contraddizione. Se dobbiamo basare la discussione di oggi sulla copertina, sull’introduzione, ci troviamo ad affrontare sfide enormi: globalizzazione, cambiamento climatico, mercati finanziari internazionali – le sfide portentose che ci si parano davanti, in tutti gli Stati membri. Tuttavia se seguiamo la discussione sul piano delle implicazioni pratiche, ci viene detto che non è necessario cambiare gli orientamenti politici pratici. Ciò è incomprensibile. E’ assolutamente incomprensibile perché suscita un interrogativo sulla reale natura di questa discussione sulla globalizzazione. Si tratta di un pretesto per non fare niente in termini di attuazione pratica delle nostre politiche sociali, ambientali ed economiche, oppure è davvero un’opportunità per prendere visione del quadro completo e dare risposte alle domande e alle esigenze impellenti dei cittadini dei paesi dell’Unione europea?

Vorrei porre qualche altra questione. Se davvero il nostro futuro va visto in una società industrializzata ambientale, perché è così difficile discutere in Commissione, con la Commissione e addirittura in quest’Aula sulla politica per gli investimenti opportuna e necessaria per raggiungere questo obiettivo? Perché non possiamo parlare dei programmi per l’adeguamento degli edifici e dei veicoli e degli altri mezzi di trasporto moderni di cui abbiamo bisogno? Perché parlare di una politica decente per gli investimenti è quasi un tabù? E perché queste cose non compaiono nel programma della Commissione? Perché non ci sono neanche nel programma di lavoro di Lisbona? Spero solo che vi sia ancora spazio per modifiche.

Quando parliamo del triangolo della conoscenza – la necessità di istruzione, ricerca e innovazione – perché non possiamo trasformare il Patto europeo per la gioventù in uno strumento pratico e assicurare una formazione di qualità a tutti i giovani europei che possono così impiegare la loro intelligenza e una conoscenza specialistica nell’impresa di ristrutturare la società industrializzata? Queste sono le sfide pratiche a cui vogliamo dare risposta.

 
  
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  Marco Cappato (ALDE).- Signora Presidente, onorevoli colleghi, io credo che anche in questo dibattito ci sono stati interventi che hanno messo in contrapposizione la libertà economica con la garanzia e la protezione dei diritti sociali e la lotta contro la povertà.

Mettere in contrapposizione libertà economica e diritti sociali è roba del secolo scorso, non è più l’attualità politica della nostra Europa.Noi abbiamo certo da garantire il massimo delle regole nella libertà economica contro i monopoli, per la trasparenza dei mercati finanziari, per fare pagare i costi dell’inquinamento ambientale.Certo, questo è fondamentale!Ma sul piano dei diritti sociali quello che oggi ci impedisce nei nostri paesi di aiutare i più poveri sono esattamente dei sistemi di sicurezza sociale vecchi, che garantiscono le corporazioni, il lavoro organizzato e che non aiutano i disoccupati, quelli che rimangono fuori dalle garanzie e dalla protezione sociale.

Nel mio paese, l’Italia, abbiamo un sistema che al tempo stesso quasi obbliga ad andare in pensione a 58, 59 anni e al tempo stesso solo il 20% dei disoccupati hanno una protezione sociale.Ecco qual è il problema dei più poveri:non la globalizzazione o la libertà economica, ma la vecchiezza, il fatto che sono passati, sono antichi, vanno rinnovati e su questo la strategia di Lisbona e la Commissione può aiutare i meccanismi della sicurezza sociale.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN).- (PL) Signora Presidente, preferisco non ripetere alcune delle trite e banali affermazioni sui vantaggi della globalizzazione. Sarebbe utile presentare nel Parlamento europeo un parere critico sul globalismo.

Secondo me la migliore sintesi della nostra discussione la si può trovare nelle parole del filosofo canadese John Ralston Saul. Dedico le sue parole al coro che canta le lodi della globalizzazione e che anche oggi leva lo stesso canto nel Parlamento europeo. Il globalismo è un’ideologia che prende molti elementi tipici delle religioni occidentali. Il globalismo è credere in un’unica idea che esclude gli altri punti di vista. Alla base vi è la convinzione della supremazia dell’economia sugli altri settori della vita e la certezza che tutte le teorie economiche si siano dimostrate dei fallimenti tranne il liberismo e che quest’ultimo costituisca l’unica possibilità.

Tale convinzione nasce dal fatto che il liberismo ha messo in moto delle forze globali che sostengono il liberismo quale giusta strada per il futuro giudicando sbagliati gli altri metodi. Tuttavia il globalismo si illude perché crede che l’economia sia il motore della civiltà. Negli ultimi venti o trent’anni abbiamo imparato a considerare tutto in termini economici. Neanche Marx era arrivato a tanto; egli aveva dichiarato che l’economia è sì importante ma non era mai arrivato a dire che tutto vada visto sotto la luce del profitto.

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, il tema presentato oggi dalla Commissione è pieno di contraddizioni. Consentitemi di mettere in evidenza due punti.

In primo luogo la Commissione sottolinea che è necessario intensificare l’adattamento alle esigenze della globalizzazione per poter assicurare ai nostri cittadini standard di vita praticabili. Questa non è la situazione che abbiamo, se pensiamo al fallimento della strategia di Lisbona. La verità è che tali politiche che puntano ad una maggiore competitività aggravano le sperequazioni di ricchezza e di capacità produttiva e la Commissione europea è l’unica che vede un miglioramento della prosperità o l’eliminazione delle asimmetrie dello sviluppo tra gli Stati membri.

In secondo luogo il documento ci dice che la Commissione sta lavorando per un’Europa sociale, un’idea che abbiamo sentito ripetere così tante volte ma di cui non abbiamo mai trovato tracce concrete. Un piccolo esempio: dal 2002 il prezzo dei carburanti per autoveicoli è aumentato negli Stati membri del 35-50 per cento. Tale fattore, assieme a molti altri, colpisce il potere d’acquisto dei percettori di bassi redditi e nessuna delle strategie socio-economiche della Commissione sembra proporre una soluzione.

 
  
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  Daniel Caspary (PPE-DE).- (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, il nostro obiettivo per un successo europeo nell’era della globalizzazione può essere raggiunto se corriamo dei rischi. La nostra discussione pubblica si concentra troppo spesso sugli effetti negativi della globalizzazione. Tale discussione avviene ogniqualvolta le aziende eliminano posti di lavoro o delocalizzano, tuttavia diciamo poco su quanto di buono riceviamo dalla globalizzazione.

Se prendiamo come esempio la mia circoscrizione elettorale, la regione da cui provengo, osserviamo che non meno del 74 per cento della produzione industriale viene esportato. Nella mia regione i frutti positivi della globalizzazione sono ben presenti. Purtroppo nella stessa regione vi sono anche lavoratori che perdono il lavoro perché le loro aziende non riescono a mantenere la redditività tuttavia ce ne sono molti che possono trovare un nuovo impiego presso altre aziende che invece si avvantaggiano della globalizzazione, imprese che hanno saputo adattarsi, e questo porta ad una netta diminuzione della disoccupazione nella mia regione. Purtroppo parliamo troppo poco di questa faccia della medaglia.

L’Unione europea ha un ruolo importante da svolgere nel dare un orientamento alla globalizzazione. Vi sono 480 milioni di europei che devono difendere assieme i propri interessi e i propri valori. Abbiamo già l’economia più aperta del mondo ma abbiamo bisogno di un accesso ai mercati mondiali. Dobbiamo costituire una riserva più grande tramite una reciprocità. Barriere non tariffarie e altri ostacoli al commercio sono inaccettabili. Dobbiamo poterci difendere contro le pratiche commerciali sleali. A tal fine ci occorrono strumenti di difesa commerciale nonché un Commissario credibile ma non arrogante nel momento in cui deve rappresentare l’Unione europea nel mondo, in grado di difendere i nostri interessi commerciali in uno spirito di cooperazione e fiducia reciproca. Dobbiamo tutelare con maggiore efficacia la proprietà intellettuale, dobbiamo fare maggiore pressione per avere norme e standard a livello globale, dobbiamo rafforzare l’OMC e coltivare il partenariato transatlantico.

Se noi e la Commissione riusciremo ad assolvere a tali compiti, saremo davvero in grado di utilizzare e orientare la globalizzazione in modo tale da assicurare che i cittadini in generale possano continuare a condurre una vita in condizioni di libertà e prosperità.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).- (PT) Avere successo nell’era della globalizzazione è la grande sfida che l’Unione europea si trova ad affrontare. Il problema è capire com’è possibile conciliare competitività e coesione sociale ovvero, in altri termini, globalizzazione e regolamentazione.

La strategia di Lisbona contiene la risposta e il trattato di Lisbona renderà più semplice il processo decisionale, tuttavia il successo dipenderà soprattutto dalla capacità dell’Europa di vedere nella globalizzazione un’opportunità più che una minaccia. Occorre capire quanto sta accadendo in Cina e in India. La Cina ha superato il Regno Unito, la Francia e l’Italia nella classifica delle nazioni più industrializzate, ha superato gli Stati Uniti nell’esportazione di prodotti tecnologici e ha accumulato ingenti riserve finanziarie.

Quanto all’India sono pochi a conoscere il nome TATA. Tuttavia nel 2006 la società controllata della TATA che produce automobili aveva un valore di borsa maggiore della General Motors, mentre nessuno aveva sentito parlare del gruppo MITTAL prima che lanciasse un’offerta di acquisto ostile nei confronti di ARCELOR, scatenando il panico a Parigi, Bruxelles e Lussemburgo.

Occorre anche non dimenticare l’altra faccia del miracolo asiatico. Che è quello di una realtà di sofferenza che trova la sua radice nella complicità del governo di Pechino con le multinazionali occidentali che hanno spostato i propri impianti produttivi per sfruttare il basso costo della manodopera e l’assenza di Stato sociale.

E tuttavia è in Asia che sarà deciso l’esito della lotta al surriscaldamento del pianeta. L’Europa deve essere ferma e pretendere reciprocità nel commercio internazionale senza tuttavia adottare in modo sistematico politiche protezioniste. E’ vero che la concorrenza cinese è sleale considerando il livello dei redditi, la mancanza di diritti politici e sindacali, la contraffazione e la moneta sottovalutata, nessuno nega questo, tuttavia è anche vero che vi sono 800 milioni di cinesi e 700 milioni di indiani desiderosi di avere un reddito minimo decente e una maggiore giustizia sociale. Si tratta in tutti i casi di sfide per un’Europa più forte e un mondo migliore.

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE).- (EN) Signora Presidente, anch’io penso che la nostra reazione alla globalizzazione non debba basarsi sulla paura ma su un senso di opportunità e di adattamento intelligente.

Come dice la risoluzione, l’UE quale protagonista mondiale è uno dei maggiori beneficiari di un’economia mondiale aperta. Ciò non emergerebbe sempre chiaramente se si desse retta al gran parlare retorico anti-globalizzazione che si fa in Europa. Concordo con l’onorevole Czarnecki sul fatto che il liberismo si sia diffuso in tutto il mondo ma, diversamente da lui, giudico positivamente questa evoluzione.

L’UE può raggiungere il suo obiettivo solo con un approccio attivo e organizzato sullo scenario mondiale, e questo vale in particolare per la migrazione. Sono lieto di vedere che un paragrafo che avevo redatto per il gruppo ALDE può ritrovarsi quasi intatto nella risoluzione finale. Penso veramente che la migrazione debba avere carattere prioritario nell’agenda dell’UE, alla pari del cambiamento climatico e dell’energia. La pressione esercitata dall’esterno la vediamo tutti, così come vediamo le tensioni sociali e anche il razzismo in seno all’UE. Tuttavia non esiste ancora una politica comunitaria completa sull’immigrazione, sia legale che illegale, né sull’integrazione.

Infine non dobbiamo dimenticare il potenziale delle comunicazioni globali, e in particolare di Internet, per promuovere i diritti umani. E’ vero, forse non è così inevitabile come si pensava – basti considerare ad esempio la censura attuata in Cina – ma in ogni caso globalizzazione, Internet e altri sistemi di comunicazione globali costituiscono una potentissima forza positiva. Anche questo fa parte della globalizzazione.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel (UEN).- (PL) Signora Presidente, onorevoli colleghi del Consiglio e della Commissione, così come nella vita di ogni uomo all’infanzia segue l’adolescenza, così la globalizzazione sembra essere una fase naturale dello sviluppo dell’umanità, la sfida successiva che l’umanità si trova ad affrontare.

Nel quadro di questa difficile discussione su questa questione sempre mutevole e inusuale vorrei dire che, paradossalmente, tutti gli interventi precedenti, sia della destra che della sinistra, avevano per buona parte ragione.

La cosa più importante è che vi sia una reale necessità di creare orientamenti e le regole appropriati per una giusta suddivisione dei vantaggi della globalizzazione. Dato che, come dice la parola stessa, la globalizzazione è chiaramente un fenomeno onnicomprensivo, non è sufficiente che solo l’Unione europea debba avere tali istituti e regole – essi vanno accettati da tutto il mondo. Il Presidente Barroso ha fatto benissimo a dire che l’Unione europea può e deve proporre al mondo un modello giusto ed equilibrato per la globalizzazione.

 
  
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  Georgios Toussas (GUE/NGL). – (EL) Signora Presidente, il tema della discussione odierna è mal formulato. Il successo nell’epoca della globalizzazione non tutela né gli interessi europei né il benessere dei lavoratori dei paesi dell’UE ma solo gli interessi del mondo capitalistico. Nel quadro della globalizzazione il nuovo ordine che viene istituito dagli interessi commerciali e dalle multinazionali a livello comunitario e internazionale punta a moltiplicare i guadagni da capitale attraverso un maggior sfruttamento dei lavoratori.

Le affermazioni del Presidente Sarkozy di ieri sulla globalizzazione confermano che l’UE fa affidamento sul capitalismo e sottolineano l’intensità dei conflitti interni dell’imperialismo e l’intenzione di usare l’UE come un ariete contro altri grandi centri imperialistici, in particolare contro le conquiste e le giuste rivendicazioni dei lavoratori. Il denominatore comune di tutti tali iniziative è un attacco in grande stile contro i lavoratori. Riduzione dei salari, aumento dell’orario di lavoro, adattamento alle esigenze del capitalismo, aumento dell’età pensionabile, flessicurezza e riorganizzazione delle relazioni sindacali costituiscono il nocciolo centrale della strategia di Lisbona.

Noi riteniamo pertanto che la dura realtà vissuta da milioni di lavoratori non possa essere giudicata in termini di globalizzazione. Inoltre le argomentazioni addotte dalla Commissione e dal Consiglio in merito alla protezione ambientale non hanno convinto nessuno.

 
  
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  Robert Sturdy (PPE-DE).- (EN) Signora Presidente, è molto difficile che il Commissario Verheugen possa ascoltare tutto quanto viene detto in quest’Aula, tuttavia è vero che sono stati sollevati alcuni punti molto scottanti e mi auguro che li tenga in considerazione.

Ho ascoltato quanto detto dal Presidente Barroso. Penso che abbia comunicato un punto del quale sono totalmente convinto, ovvero che la globalizzazione c’è per portare vantaggi all’Unione europea. L’onorevole Toussas parlava poco fa, en passant, della classe lavoratrice tuttavia se non ci fosse la globalizzazione, se nell’Unione europea non ci fossero l’industria e le imprese, non ci sarebbero posti di lavoro. Ciò che mi ha preoccupato di più è stato quanto dichiarato dal Presidente Sarkozy ieri. Dobbiamo attenderci una Francia vecchia maniera, una Francia protezionista oppure una Francia che vuole far parte di una nuova generazione? Mi viene in mente quando i cinesi sono andati negli Stati Uniti a firmare la dichiarazione di adesione all’OMC. Il Presidente Clinton gli aveva impedito di firmare per 10 anni. Dopo che il Presidente Bush ebbe firmato, i suoi consiglieri si guardarono indietro dicendo “mio Dio, la Cina ha firmato! Cosa abbiamo fatto!” Quello che in realtà avevano fatto era mettere in moto tutta una serie di grandi opportunità per noi.

Dobbiamo guardare alla Cina e all’India come ad opportunità. Non dobbiamo sollevare il ponte levatoio, armare le mura, chiudere le porte, perché l’Europa si trova davanti ad un’immensa opportunità che deve cogliere. L’onorevole Caspary molto opportunamente ha parlato dell’occupazione nella sua circoscrizione elettorale. So come sia molto difficile mantenere l’occupazione ma se non vogliamo far parte di un mercato globale allora non andremo da nessuna parte. Ritengo che abbiamo davanti un’opportunità enorme, basta solo saperla cogliere. Dobbiamo pensare a cose come gli accordi di libero scambio. Attualmente il Marocco ha siglato un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. E’ un tema che dobbiamo esaminare.

Infine vorrei chiedere alla Commissione di lasciare che il mondo industriale e dell’impresa faccia quello che deve fare, facendo molta attenzione a non varare norme che pregiudichino le opportunità per l’Europa.

 
  
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  Pervenche Berès (PSE) . – (FR) Signor Presidente, signori Presidenti della Commissione e del Consiglio, abbiamo appena ascoltato il Presidente Barroso dirci che l’Unione europea si trova in una posizione speciale per offrire una buona base regolamentare a livello globale. E’ vero. Ma se ciò è quello che vogliamo fare dobbiamo anche fare ordine a casa nostra. Gli strumenti a disposizione dell’Unione per affrontare tali sfide comprendono quelli che noi chiamiamo “orientamenti” in materia di politica economica e di occupazione. Temo che oggi la Commissione stia cercando di nascondere tali necessari orientamenti dietro la globalizzazione. Ma gli orientamenti sono utili e dobbiamo riprenderli e rivederli.

Ciò va fatto in primo luogo perché, in occasione dell’ultimo Consiglio europeo di marzo, i capi di Stato e di governo hanno adottato la migliore strategia possibile per dare modo all’Unione europea di affrontare la globalizzazione e le questioni della fornitura energetica e del cambiamento climatico. Se, nel perseguimento di tale strategia, non utilizziamo tutti gli strumenti a nostra disposizione nell’Unione europea, compresi gli orientamenti – anzi forse gli orientamenti in particolare – non approderemo a nulla e non faremmo altro che alimentare la delusione circa la capacità dell’Unione di affrontare la globalizzazione.

Ciò va fatto anche perché il Commissario Almunia stesso ha riconosciuto che le questioni dei tassi di cambio, dei prezzi del petrolio e del reale impatto sull’economia dell’UE della crisi dei prestiti legata ai subprime inciderà sulla crescita economica prevista dell’Unione. Il Commissario ha rivisto le proiezioni al ribasso, dal 2,9 per cento al 2,4 per cento per l’Unione nel suo complesso e dal 2,6 per cento al 2,2 per cento per la zona dell’euro.

Ciò va fatto anche perché occorre dare una risposta alle aspettative dei cittadini europei e, a dispetto di quanto pensa il Presidente Sarkozy, l’Europa sociale costituisce una questione affatto reale che va affrontata se vogliamo evitare di essere ripudiati dai cittadini europei molto presto.

L’ultimo motivo in tal senso è stato indicato oggi dal Commissario Almunia quando ha ammesso che, nel contesto internazionale prevalente, la crescita europea sarà guidata principalmente, se non esclusivamente, dai consumi interni.

E’ mai concepibile che, in un contesto di totale mutamento, l’unico elemento costante sia costituito dagli orientamenti? E’ mai concepibile che non vi debba essere alcuna modifica nell’unico strumento dell’Unione atto a orientare in modo efficace le politiche economiche e sociali degli Stati membri?

Vorrei chiedere ai rappresentanti della Commissione e al Vicepresidente della Commissione di dire al Presidente Barroso che deve cambiare gli orientamenti, che deve considerare il nuovo quadro in modo che l’Unione possa dotarsi internamente dei migliori strumenti disponibili per affrontare a testa bassa le sfide della globalizzazione.

 
  
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  Wolf Klinz (ALDE).- (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, proprio coloro i quali dichiarano il loro impegno per un mondo più giusto non hanno remore ad accusare la globalizzazione delle difficoltà che le loro economie si trovano ad affrontare. Pertanto essi chiedono meno mercato libero, più norme e un maggiore intervento pubblico. Tuttavia la globalizzazione offre davvero la possibilità di una situazione in cui si può solo guadagnare in quanto consente alle economie emergenti e ai paesi che hanno ritardi nello sviluppo economico di recuperare terreno e dà a noi l’opportunità di sviluppare nuovi mercati per prodotti e servizi di qualità e della fascia alta del mercato.

Se tuttavia vogliamo cogliere queste opportunità dobbiamo fare la nostra parte, che significa raddoppiare i nostri sforzi nella formazione, nella specializzazione – in particolare per i giovani disoccupati – e nella formazione continua, con una maggiore creatività nel modo in cui concepiamo le catene e i processi di creazione di valore aggiunto della nostra economia, nonché favorire un’impresa ancora più libera. Una globalizzazione libera dalle pastoie porta mercati maggiormente aperti e maggiore concorrenza con conseguenti vantaggi per tutti i consumatori.

Dobbiamo resistere alla tentazione di blindare la nostra economia. Un’iniziativa di questo tipo degenererebbe rapidamente nel puro protezionismo. Al contrario dobbiamo alimentare la forza intrinseca della nostra economia perché essa continui a rinnovarsi. Investiamo nelle tecnologie del futuro e il futuro sarà nostro.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN).- (PL) Signora Presidente, l’economia deve produrre vantaggi per i cittadini e non il contrario. Le naturali differenze di velocità nello spostamento dei capitali e della manodopera nell’era della globalizzazione stanno portando ad una discesa vorticosa degli standard occupazionali. Il comparto manifatturiero si sta spostando verso regioni caratterizzate da salari sempre più bassi e da condizioni di lavoro sempre più pericolose. Ciò porta alla perdita di lavoro per i lavoratori delle regioni caratterizzate da standard di lavoro più elevati e alla diminuzione del potere d’acquisto dei dipendenti, che frena la domanda di beni di consumo.

Se l’Unione europea vuole emergere vincente nell’epoca della globalizzazione, deve individuare degli strumenti efficaci per combattere il dumping sociale e per affermare e proteggere la dimensione sociale dell’Europa.

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE).- (EN) Signora Presidente, penso che il contributo della Commissione alla discussione sulla globalizzazione sia molto utile.

Penso che la globalizzazione non sia una minaccia ma un’opportunità. L’Europa si trova in una posizione adatta per essere all’altezza della sfida. Disponiamo di infrastrutture, sistemi educativi, tecnologie e mercati dei capitali altamente sviluppati con dei nascenti mercati interni dinamici.

Non si ripeterà mai abbastanza che la forza dell’Europa risiede nel fatto di disporre di un mercato interno che è il trampolino di lancio per le nostre aziende a livello mondiale. Dappertutto in Europa spuntano innovazioni imprenditoriali. Tale proliferazione, che porta benessere all’Europa, non va appesantita con un’eccessiva burocrazia. Su questo punto conto in particolare sul Commissario Verheugen. La riduzione della burocrazia in Europa è un fattore chiave per la globalizzazione e la competitività europea. Dobbiamo concentrarci in particolare sulle PMI. Esse devono costituire il centro dell’attenzione della Commissione. Molto è stato ottenuto ma, ad esempio, le barriere fiscali rallentano ancora il mondo imprenditoriale europeo.

Un’impresa forte non può esistere senza la forza lavoro e questa minaccia di scomparire presto in Europa. I dati demografici mostrano che l’Europa ha bisogno di immigrazione. Sotto questo aspetto altre regioni del mondo si trovano in condizioni molto migliori delle nostre, e ciò spiega la loro performance economica. Si tratta di una questione delicata che impone una valutazione equilibrata di tutti gli interessi, non da ultimi quelli dei datori di lavoro. E’ una questione comunitaria, ovviamente, in quanto la competitività non si ottiene senza una forza lavoro mobile. A tal fine sono benvenute iniziative come quella della “blue card”.

Un altro elemento che deve potersi muovere liberamente, seppur in modo equilibrato, è il capitale. La stabilità finanziaria rappresenta una condizione irrinunciabile se vogliamo un’Europa competitiva ed economicamente sicura. I mercati finanziari sono, a livello mondiale, uno dei settori forti per l’Europa, uno dei nuovi comparti in cui abbiamo successo. Innovazione grazie ad una regolamentazione guidata dal mercato che non è sinonimo di lassismo – anche in questo caso facilitare il funzionamento del settore in tutta Europa è di fondamentale importanza.

Per quanto riguarda il mondo esterno l’Europa deve potersi qualificare quale forte protagonista mondiale. Occorre un’unità tra gli Stati membri dell’Unione europea e la Commissione può anch’essa contribuire a tale unità.

 
  
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  Jan Andersson (PSE). – (SV) Signora Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, preferirei guardare alle opportunità della globalizzazione piuttosto che ai problemi, tuttavia ciò dipende da come agiamo in Europa. Concordo che dobbiamo investire in ricerca e sviluppo, che dobbiamo fare più investimenti di lungo termine per l’ambiente e nelle persone e per l’apprendimento continuo, tuttavia ciò che la Commissione dimentica – l’errore contenuto nel documento della Commissione – è che stiamo trascurando la dimensione sociale.

Gli sviluppi a cui si assiste oggi in Europa mirano ad una crescita di qualità e ad aumentare l’occupazione ma anche ad una maggiore esclusione, ad un maggiore gap sociale e ad una maggiore insicurezza occupazionale – ovvero all’aumento di quei posti di lavoro, non da ultimo in Germania, che non consentono all’occupato di sostenersi se non con i contributi sociali. Dobbiamo collegare crescita e ambiente con una dimensione sociale che riduca il gap tra individui e regioni in Europa. Questo è stato oggetto delle discussioni a Guimarães a cui ho partecipato nel corso della riunione dei ministri del Lavoro e degli Affari sociali.

La Presidenza portoghese sta cercando di spingere sulla questione degli orientamenti integrati modificandoli in modo da dare maggiore chiarezza al collegamento sociale, rendendolo molto più integrato.

Tuttavia la Commissione non vuole che questo accada. La Commissione non vuole modificare gli orientamenti. Ma gli orientamenti vanno cambiati. Nella nostra risoluzione abbiamo concordato sul fatto che vogliamo nuovi orientamenti che integrino la dimensione sociale e, ovviamente, affrontino anche le questioni della sicurezza in una fase di cambiamento e della flessicurezza. La Commissione dovrebbe farsi carico anche di questo in modo che si possa avere un collegamento più stretto tra le questioni della crescita e la dimensione sociale.

Dobbiamo anche integrare la strategia di Lisbona, che al momento non è integrata né a livello nazionale, né regionale o locale. Molti non sanno neanche che la strategia di Lisbona esiste. Occorre integrarla e coinvolgere anche le parti sociali e la società civile in modo che tali questioni – dimensione sociale, crescita e occupazione – ricevano l’importanza che si meritano e vengano integrate.

 
  
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  Samuli Pohjamo (ALDE).- (FI) Signora Presidente, desidero portare il punto di vista del nord in questa discussione. Due anni fa o giù di lì lavoravo in un’organizzazione per lo sviluppo regionale vicino al circolo polare artico e al confine con la Russia. Per quella remota regione la globalizzazione costituiva sia una minaccia che un’opportunità. Abbiamo iniziato i lavori di sviluppo facendo affidamento sulle nostre forze e sfruttando la globalizzazione. Le aziende, il settore pubblico, il sistema educativo e le università mettevano assieme le loro risorse per costruire un ambiente produttivo innovativo. Il parco delle competenze veniva potenziato dai contatti con le reti di competenze a livello mondiale secondo lo spirito della strategia di Lisbona. Allo stesso tempo abbiamo lanciato progetti che prevedevano l’impiego di energie rinnovabili. I risultati sono incoraggianti. Ne sono un esempio particolare la crescita rapida del turismo internazionale in questa zona. Ritengo che questa regione possa proporsi come modello utile da seguire anche in altre parti d’Europa e che l’UE debba creare le condizioni per rendere maggiormente praticabile un lavoro di questo tipo.

 
  
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  Corien Wortmann-Kool (PPE-DE).- (NL) Signora Presidente, la statura che l’Europa si è guadagnata è merito del mercato unico, della liberalizzazione del mercato unico e della liberalizzazione del mercato mondiale, la globalizzazione. Ciò ci ha portato non solo benessere ma anche una democrazia stabile. Pertanto occorre essere molto sospettosi – e mi riferisco in particolare agli aspetti commerciali – nei confronti di una strategia eccessivamente difensiva e soprattutto di strumenti commerciali di tipo protezionistico.

Signora Presidente, per la competitività dell’Europa è molto più utile un atteggiamento di apertura verso il mondo, pertanto penso che sia importante riconoscere una maggiore priorità all’apertura dei mercati economici nei paesi extra UE, più in particolare nei paesi industriali emergenti come India, Brasile e Cina, in quanto l’enorme potenziale di crescita di questi mercati costituisce un’opportunità sia per le aziende europee sia per l’economia europea. Questi paesi industriali emergenti dovranno a loro volta aprire i loro mercati alle nostre aziende, anche quelle del terziario, e nell’interesse della reciprocità sollecito la Commissione a fare pressione in tal senso, nel corso dei negoziati a cui partecipa, su questi paesi in particolare.

Abbiamo visitato Singapore nel quadro di una delegazione della commissione per il commercio internazionale e abbiamo visto che le aziende americane ottengono un accesso di gran lunga migliore rispetto a quello che hanno le aziende europee, e questo non lo possiamo accettare. Pertanto dobbiamo agire in modo reattivo, se non altro perché siamo la più grande economia del mondo. Se riuniamo tutti le nostre forze dovremmo riuscire ad utilizzare la nostra forza per aprire questi mercati. Vi è poi, signora Presidente, la questione dell’abolizione dei dazi sulle importazioni e sulle barriere commerciali non tariffarie, ed è importante anche dare priorità a tali mercati emergenti nella nostra strategia sull’accesso ai mercati.

 
  
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  Katerina Batzeli (PSE). – (EL) Signora Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica, all’Europa viene chiesto di mostrare ai suoi cittadini un’altra faccia della globalizzazione. Non la faccia della concorrenza sfrenata ma la faccia della solidarietà sociale, della ridistribuzione, della diversificazione e dei valori culturali.

Nel contesto di tale dialogo interno e anche nell’apertura dell’UE al resto del mondo tramite le politiche economiche, sociali e ambientali nonché quelle per la sicurezza, per uno sviluppo praticabile e sull’immigrazione, la Commissione europea deve favorire e potenziare la cultura dell’ethos dell’UE. Nel suo lavoro legislativo annuale la Commissione deve promuovere direttamente, nell’ambito della strategia di Lisbona e anche del processo di rafforzamento della fase post-trattato di riforma, i settori della cultura che andrò ad indicare di seguito.

In primo luogo la Commissione deve rafforzare le industrie della cultura basandole su standard elevati di qualità, servizi innovativi e al contempo fornendo significative possibilità produttive e innovative all’economia europea. Si tratta di un settore di notevole importanza per il dialogo interculturale.

Secondariamente la Commissione deve rafforzare il triangolo della conoscenza − ricerca, istruzione, innovazione − che purtroppo non gode ancora di un sostegno a livello legislativo, sebbene ciò rientri negli obiettivi dell’UE.

L’innovazione in campo culturale non deve essere un lusso riservato a poche multinazionali ma una politica orizzontale che investa le PMI.

Signora Presidente, la Commissione europea e il Consiglio devono decidere in modo chiaro le rispettive posizioni per dare una risposta alle sfide della globalizzazione. Devono farlo tramite un dialogo aperto che deve iniziare dai parlamenti nazionali. La globalizzazione può qualificarsi come una parte della storia europea se può essere pervasa dall’ethos della cultura europea.

 
  
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  Sharon Bowles (ALDE).- (EN) Signora Presidente, alla globalizzazione si dà la colpa di tutto, dall’esplosione demografica al cambiamento del clima allo sfruttamento. Ma qui si tratta di prodotti dell’uomo; e anche la concorrenza è un fattore umano. Darwin la chiamava “selezione naturale”.

I cittadini europei sono timorosi. Noi dobbiamo educarli, è vero, ma non dichiarando che occorre una politica a livello comunitario per far fronte alla sfida rappresentata da un’economia globalizzata. Questo sì che mi fa paura, perché implica che non abbiamo una politica.

L’UE ha un potere unico a livello sovranazionale per orientare le cose e opporsi agli eccessi. In luglio il Financial Times così scriveva: “Bruxelles è la capitale mondiale della regolamentazione e questo, da Washington fino a Tokio, non possono ignorarlo”. Bene, se siamo arrivati a tale posizione, usiamola, ma con giudizio. Qual è lo scopo di un programma per la competitività se non quello di mantenere la nostra posizione nel mondo? Qual è l’utilità di avere un mercato unico se non riusciamo a completarne la realizzazione? E’ ora di smetterla di addurre scusanti: UE vuol dire raccogliere le sfide. Dobbiamo solo incominciare prima che la selezione naturale operi le sue scelte.

 
  
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  Cristobal Montoro Romero (PPE-DE).- (ES) Signora Presidente, signori rappresentanti del Consiglio e della Commissione, la globalizzazione è una cosa positiva per l’Europa, e l’Europa deve favorire la globalizzazione.

Stiamo assistendo ad una dissoluzione finora lenta ma in ogni caso irreversibile delle frontiere del mondo, un processo che è riuscito a liberare dalla povertà oltre 400 milioni di persone in meno di venti anni e per la prima volta, nel 2007, la Cina sarà il paese, la regione del mondo, con il maggior contributo alla crescita dell’economia mondiale − la Cina, non l’Unione europea!

Ciò significa, detto brevemente, che la globalizzazione costituisce una sfida ma anche una grande opportunità. E’ una sfida nel senso che apertura significa più crescita, più benessere e più occupazione, e questo va spiegato ai cittadini europei. Ciò che mi preoccupa è sentire usare in quest’Aula la parola “proteggere”.

Il protezionismo è la negazione della globalizzazione e una negazione dell’Unione europea. Proteggere i cittadini non è necessario nel momento in cui sono protagonisti della propria crescita economica e del loro benessere. Dobbiamo restituire tale capacità alla gente e dobbiamo pertanto anche fare dell’autocritica, qui all’interno dell’UE.

Questo perché nell’Unione europea non stiamo facendo quanto dovremmo in presenza di una crescita insufficiente, dal momento che anche noi abbiamo la nostra parte di responsabilità per la crisi dei mercati finanziari mondiali e, in breve, nel momento in cui non facciamo tutto quanto è necessario in casa nostra, sulla “soglia di casa”, per promuovere la crescita economica tra le piccole e medie imprese e creare più occupazione, in quanto abbiamo bisogno di occupazione, molta più occupazione di quanta ne potrà portare l’apertura dell’economia.

L’agenda di Lisbona costituisce davvero un riferimento: la realizzazione del mercato interno, il risanamento delle finanze pubbliche, la riforma e la modernizzazione del nostro mercato del lavoro, il nostro impegno per una riforma ambientale e le energie rinnovabili e, in breve, l’apertura dell’Europa significano davvero una maggiore coesione sociale europea.

 
  
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  Enrique Barón Crespo (PSE).- (ES) Signora Presidente, signor Presidente del Consiglio, signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, penso che sarebbe stato più opportuno che la discussione sulla globalizzazione si fosse tenuta sotto la Presidenza portoghese, perché sulla bandiera del Portogallo c’è una mappa, perché il Portogallo ha avuto un ruolo di primo piano nella globalizzazione quando gli europei hanno dato inizio a questo processo e perché la globalizzazione non è una piaga che ci minaccia. Gli europei hanno dato il via alla globalizzazione nel Rinascimento, quando eravamo meno sviluppati di cinesi e indiani, è così che ci vedono nel resto del mondo.

Ora, con il Trattato di Lisbona, saremo anche i pionieri in quella che definirei la “globalizzazione post-imperiale”. Non conquisteremo nuovi continenti; quello che faremo è dare una risposta con la quale riuniamo, per nostra scelta, i valori condivisi tra gli Stati e i popoli e porci come esempio di quel tipo di globalizzazione di cui c’è più bisogno, ovvero una globalizzazione politica e sociale.

Qui abbiamo parlato della nostra impetuosa e incontrollata globalizzazione finanziaria nonostante il fatto che abbiamo, ad esempio, un europeo a capo del Fondo monetario internazionale. Siamo nel blocco principale dell’OMC con specifiche responsabilità. Che cosa manca? Manca precisamente la possibilità per noi di trovare risposte in un mondo globalizzato che siano in linea con esso. Nello specifico vi sono due aspetti molto importanti e impegnativi in cui dobbiamo essere molto attivi: non solo lo sviluppo commerciale e tecnologico ma anche la difesa universale dei diritti umani, in particolare i diritti dei lavoratori, per i quali esiste l’Organizzazione internazionale del lavoro, e anche i negoziati e le politiche necessari per rispondere al cambiamento climatico.

Ad ogni buon conto, signora Presidente, e con questo chiudo, ritengo che gli europei non abbiano diritto ad avere un’opinione pessimistica della globalizzazione. L’abbiamo voluta e ora dobbiamo proporre risposte innovative.

 
  
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  Jerzy Buzek (PPE-DE).- (PL) Signora Presidente, signor Presidente, è ovvio che non saremo in grado di risolvere tutti i problemi della globalizzazione con una dichiarazione e una misura di promozione della strategia di Lisbona. Tuttavia la dichiarazione del Consiglio e della Commissione è positiva in quanto attira l’attenzione sul fatto che la globalizzazione non è una maledizione e non deve essere per forza una minaccia, potendo in realtà essere qualcosa di positivo per i cittadini europei; sono i cittadini e le loro attività che devono essere la guida principale dietro le iniziative dell’UE.

Sono a favore di quattro settori di attività. In primo luogo il triangolo della conoscenza, con un accento particolare sull’innovazione. Mi pare che su questo punto sia essenziale agire rapidamente per poter almeno avviare l’Istituto tecnologico e europeo.

In secondo luogo, il contesto imprenditoriale, e ciò significa un mercato interno pienamente aperto e libero senza monopoli ma caratterizzato da una concorrenza aperta, da meno regolamentazione e burocrazia, ovvero qualcosa per la quale il Vicepresidente della Commissione Günter Verheugen si sta battendo coraggiosamente.

Terzo, le risorse umane, che significano anche i problemi della migrazione e, principalmente, contrastare la fuga dei cervelli, il che richiede una migliore istruzione, investimenti attraenti e una dimensione sociale per l’UE basata sui traguardi raggiunti a livello economico.

Quarto e ultimo punto: energia e cambiamento del clima, che richiedono una politica energetica comune, e di questo penso siamo tutti consapevoli, e la riduzione delle emissioni. Tuttavia non è in alcun modo possibile che una riduzione dei gas serra nell’Unione europea possa salvare da sola il clima del pianeta. Per tale motivo occorre un’UE politicamente forte poiché solo così potrà esercitare un’influenza su Stati Uniti, Cina e India portandole ad aderire agli orientamenti per la protezione del clima.

Quanto alla riduzione delle emissioni nell’Unione europea, sono favorevole, tuttavia sono anche favorevole ad un’UE politicamente forte e ciò significa la piena ratifica del Trattato europeo il prima possibile.

 
  
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  Gary Titley (PSE).- (EN) Signora Presidente mi auguro, e sottolineo l’augurio, che il trattato di Lisbona sia destinato a chiudere un capitolo della storia dell’Unione europea, il capitolo della crescita dell’UE, del consolidamento e della pace e della stabilità del continente, dell’abbattimento delle barriere economico-commerciali tra gli Stati membri e dello sviluppo a livello istituzionale che era necessario per raggiungere tali obiettivi. Tuttavia ora occorre aprire un nuovo capitolo, il capitolo del guardarsi intorno, del portarsi all’altezza delle sfide della globalizzazione.

Abbiamo bisogno di un’Europa globale che fissi un’agenda completamente nuova per la globalizzazione che si fondi sui principi dell’apertura, dell’equità e dell’importanza della cooperazione tra Stati membri. Quali siano le sfide lo sappiamo, essendo state esse approfondite nel corso della discussione. Le due maggiori ritengo siano il cambiamento climatico e la migrazione, ma vi è anche l’esigenza di mantenere elevate la crescita e l’occupazione. Abbiamo bisogno di una agenda sociale moderna ed efficace. Dobbiamo affrontare il terrorismo e il crimine e favorire una sicurezza al di là dei nostri confini e affrontare il problema della povertà. In tali settori, come diceva l’onorevole Bowles, le politiche ci sono. Tuttavia diciamolo chiaramente: i progressi giungono lentamente, in modo discontinuo e non sono sempre molto efficaci.

Se vogliamo veramente affrontare la globalizzazione occorre operare uno spostamento radicale e fondamentale, non solo nelle nostre politiche ma anche nella concezione complessiva dell’Unione europea. Ora dobbiamo focalizzarci semplicemente sull’azione e sul raggiungimento degli obiettivi. Dobbiamo far sì che gli Stati membri mantengano le promesse in quanto un quadro comunitario esiste. Quello che non abbiamo sono 27 Stati membri che fanno tutti come dicono di voler fare e la nostra attenzione deve ora concentrarsi sul mantenimento delle promesse e sulla traduzione concreta del potenziale che l’UE ha.

 
  
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  Alexander Radwan (PPE-DE).- (DE) Signora Presidente, proverò a sintetizzare la questione della globalizzazione in due minuti! La mia prima richiesta è quella di trattare il tema della globalizzazione con un po’ più di onestà nelle nostre discussioni. La Baviera, la regione da cui provengo, ottiene metà del proprio PIL dalle esportazioni. Molti sono critici verso la globalizzazione tuttavia se chiedessimo loro se sono d’accordo che alle imprese locali venga vietato di operare sul mercato mondiale, risponderebbero di no.

Analogamente, se ci rivolgessimo al pubblico che siede in galleria e chiedessimo se c’è qualcuno preparato a rinunciare alla possibilità di acquistare beni a prezzi competitivi – apparecchi elettrici, tessili o quant’altro – non si farebbe avanti nessuno. Tutti sanno che le importazioni dai paesi a basso costo sono alla base dei bassi tassi di inflazione degli ultimi anni. E’ giusto riconoscere questo fatto anche se regolarmente si parla della globalizzazione come di una minaccia.

L’Europa deve orientare il processo della globalizzazione in quanto questo stesso processo porta vantaggi ai nostri industriali manifatturieri e ai nostri consumatori. Questo è il motivo per cui, ad esempio, occorre eliminare la burocrazia, il che è un obiettivo importante sia per il Commissario Verheugen sia per l’Europa. Con questo non voglio dire che tale compito spetti unicamente alla Commissione, ma mi rivolgo anche al Parlamento e al Consiglio. Ora parliamo di globalizzazione ma più tardi è prevista l’adozione della direttiva sulla protezione del suolo, aumentando così la burocrazia. In breve è necessario che la nostra azione sia rigorosamente coerente. E a noi spetta anche dare un orientamento all’Europa.

Se pensiamo alla crisi dei mutui subprime che ha colpito gli Stati Uniti, dobbiamo anche pensare al fatto che i mercati finanziari internazionali sono interconnessi e che noi europei dobbiamo contribuire affinché certe cose si verifichino. Cosa facciamo in tema di agenzie di rating e in tema di hedge funds? Purtroppo il Commissario McCreevy, competente per queste questioni, non ha ancora assunto un ruolo guida di un movimento che voglia porre un freno agli americani e ad altri mercati e per questo l’Europa è in ritardo.

Cionondimeno ritengo fermamente che l’Europa sia ben preparata alla globalizzazione. Ne traiamo vantaggio, e ciò va spiegato all’opinione pubblica, dobbiamo fare pressione per avere degli standard minimi, anche se questi non sarebbero standard europei, dopodiché saremo preparati e in condizione di vincere la gara della globalizzazione. Che la globalizzazione avvenga o meno non lo si decide a Bruxelles o a Strasburgo.

 
  
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  Magda Kósáné Kovács (PSE).- (HU) La ringrazio, signora Presidente. Parlo come rappresentante di una regione che dopo la guerra non ha potuto scegliere il proprio destino. Il nostro paese e la parte più fortunata d’Europa erano separati dal filo spinato, eppure neanche questo ha potuto arrestare gli effetti imprevisti della globalizzazione.

Nel 2000 abbiamo iniziato a conoscere la concorrenza e la solidarietà nella strategia per il lavoro e i lavoratori e nella strategia di Lisbona. Da allora l’equilibrio si è sbilanciato più volte verso la valorizzazione del capitale ed è sorto il timore che il lato umano della strategia cominciasse a venir meno.

Competitività e lavoro sono concetti incontrovertibilmente e storicamente inseparabili e stiamo cominciando a renderci conto che un lavoro vale solo se è parte di una vita che vale. Una vita che vale comprende anche una sicurezza di base, un contributo ad una vita sana e allo sviluppo, l’assenza di discriminazioni e condizioni di vita accettabili.

Tuttavia l’Europa non deve concepirsi solo come difensore di diritti ma anche come un soggetto che dà forma alle aspirazioni di generazioni, che crea opportunità per i cittadini europei e per i cittadini dei paesi terzi che vogliono realizzare qualcosa di concreto. Ed è esattamente per questo motivo che la solidarietà non deve rimanere solo uno slogan, ma deve costituire la possibilità per chi è in grado di fare cose concrete, o deve consentire loro di farle.

Onorevoli colleghi, il mercato del lavoro e il sistema capitalistico che punta al ritorno degli investimenti è spregiudicatamente selettivo; l’ottenimento di nuove risorse umane richiede investimenti a costi maggiori di quelli sostenuti dal capitale, il cui spostamento è addirittura più facile, per acquistare manodopera. L’Europa dei valori non può accettare che coloro i quali si trovano all’inizio della vita lavorativa, gli anziani, gli esclusi dalla povertà, coloro i quali sono obbligati ad acquisire nuove competenze e gli zingari che sostengono il peso di vari svantaggi non abbiano lavoro. Proprio perché il peso delle condizioni sfavorevoli non debba gravare eccessivamente sulle spalle delle generazioni future, i fondi comunitari spesi per noi non solo li mantengono all’interno di quella che definiamo una vita dignitosa, ma continuano anche ad aumentare le prospettive di una competitività europea. La ringrazio, signora Presidente.

 
  
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  Georgios Papastamkos (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, la conclusione che è naturale trarre dalla discussione è che la proiezione del modello europeo sul megaschermo globale comporta rischi e opportunità.

Di norma la globalizzazione viene percepita dai cittadini europei come un fenomeno esterno, senza un chiaro intervento normativo o politico europeo. Spetta pertanto al piano europeo d’azione mostrare che in realtà esiste un interesse europeo visibile e misurabile che viene tutelato, contemporaneamente all’incoraggiamento di un accordo globale.

Quanto all’agenda commerciale esterna dell’Unione, è mia opinione che la priorità vada riservata, tra le altre cose, a far sì che vi siano condizioni di reciprocità e di concorrenza nell’accesso ai mercati, in condizioni di equità, come il Presidente francese Sarkozy ha enfatizzato ieri in quest’Aula.

Il severo quadro normativo europeo in materia di protezione ambientale e di tutela della salute pubblica per consumatori e lavoratori è un indice significativo della maturità politica e istituzionale dell’Unione. Tuttavia se non vogliamo che questo costituisca un prolungato svantaggio competitivo per l’Unione, occorre trovare una risposta equivalente da parte di altri protagonisti internazionali.

Il compromesso tra aspetti interni ed esterni della strategia di Lisbona contribuirà a promuovere il modello europeo nel settore globale della governance. Tuttavia esso si scontra con il minore rigore normativo e una minore completezza di condizioni giuridicamente vincolanti che si riscontrano nell’OMC e nelle altre organizzazioni internazionali. L’Unione è chiamata a svolgere un ruolo primario e costruttivo ad un livello superiore di cooperazione internazionale, essa è chiamata a dare la precedenza all’accettazione di obblighi vincolanti e all’adozione di standard internazionali, nell’interesse di una crescente convergenza normativa.

 
  
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  Stephen Hughes (PSE).- (EN) Signora Presidente, quella presente è una discussione di vasta portata e giunti alla fine alla sua conclusione vorrei riportare al centro dell’attenzione la politica sociale come fattore produttivo.

Il lancio del pacchetto degli orientamenti integrati doveva nelle intenzioni portare ad una realizzazione equilibrata dei capitoli economico, sociale e della sostenibilità del processo di Lisbona ma in pratica, se si guarda agli orientamenti per l’occupazione, vediamo che si è trattato non di integrazione ma di subordinazione. Gli orientamenti per l’occupazione sono diventati praticamente invisibili, nascondendo l’amplissima variabilità del rendimento degli Stati membri nella serie di indicatori e di obiettivi che dovrebbero raggiungere in base alla strategia per l’occupazione contro la disoccupazione giovanile, l’integrazione dei lavoratori anziani – tutta una serie di fattori. In alcuni Stati membri la spesa per la formazione continua e le misure attive per il mercato del lavoro è effettivamente scesa negli ultimi cinque anni – non è migliorata, è scesa. Tale fatto è disastroso per tutto il processo di Lisbona.

La strategia per l’occupazione ha bisogno pertanto di ricevere maggiore visibilità nel prossimo ciclo di Lisbona. Un altro punto: la risoluzione congiunta che stiamo discutendo oggi sottolinea in più punti l’esigenza di assicurare un lavoro accettabile e di concentrarsi sul miglioramento della qualità del lavoro. A tale focalizzazione non contribuisce il fatto che la Commissione si concentri sull’idea di sicurezza dell’occupazione e non sulla sicurezza del posto di lavoro, e ciò viene ripetuto sia nel libro verde sul diritto del lavoro sia nella comunicazione sulla flessicurezza. Nel nostro lavoro sulla flessicurezza in seno alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali abbiamo detto chiaramente che sono importanti sia la sicurezza dell’occupazione sia la sicurezza del posto di lavoro.

Un’azienda flessibile che si trova in una fase rapidi cambiamenti – un’azienda che cambia la linea produttiva ogni sei mesi e la configurazione dell’infrastruttura informatica ogni quattro – ha bisogno di una forza lavoro adattabile, qualificata, leale e impegnata e non di un mercato del lavoro casualizzato e frammentato. Faremo pertanto del nostro meglio per contribuire ad elaborare una serie valida di principi sulla flessicurezza, che dovranno però condurre alla modifica degli orientamenti. In precedenza il Presidente Barroso ha detto: “Se non è rotto, non aggiustarlo”. Ebbene io dico: è rotto e va aggiustato.

 
  
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  Philip Bushill-Matthews (PPE-DE).- (EN) Signora Presidente, mi congratulo con la Commissione per l’ottimo documento e vorrei solo sottolineare i seguenti quattro punti.

Il primo riguarda l’economia della conoscenza. Ritengo che il modo in cui l’economia della conoscenza ha trovato espressione nel documento, laddove si dice che la libera circolazione delle idee e degli scienziati è forse la “quinta libertà” dell’UE, sia bellissimo e mi piacerebbe vedere che tale approccio trova anche una realizzazione concreta.

Rispondendo a quanto appena dichiarato dall’onorevole Hughes, penso che questo punto rispecchi effettivamente il punto in cui siamo giunti nella discussione in seno alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, ovvero che vogliamo spostarci dall’idea della sola e semplice protezione del posto di lavoro verso la protezione dell’occupazione, incentivando la capacità di assunzione e rafforzando le competenze. In tal modo il successo dell’Europa nell’epoca della globalizzazione può tradursi in un successo per i singoli – il successo dei cittadini – ovvero quello che dovrebbe essere l’obiettivo dell’UE.

Il secondo punto riguarda le PMI. E’ stato fatto riferimento ad un’ampia serie di nuove proposte per la fine del 2008. Mi compiaccio di questo, ma c’è un “ma”: vorremmo non dover spostare la nostra focalizzazione verso nuove proposte di accordo domani prima di esserci concentrati sulla realizzazione degli impegni esistenti che richiedono un’azione oggi stesso. Qui in particolare vorrei richiamare l’attenzione del Commissario Verheugen su questa riduzione del 25% della semplificazione della normativa comunitaria esistente. Pertanto vi chiediamo di farci vedere qualcosa di concreto in generale, meglio prima che dopo, in quanto ciò avvantaggerà particolarmente le PMI. In tale contesto vorrei sostenere una revisione completa della direttiva sull’orario di lavoro, sulla quale è opportuna da parte di tutti – e dico tutti, compresi gli onorevoli colleghi – un po’ di immaginazione.

Terzo: va benissimo aggiungere una dimensione esterna, tuttavia cerchiamo prima di realizzare la dimensione interna, completando la realizzazione del mercato unico prima di elaborare grandi ambizioni all’esterno. All’onorevole Schulz e all’onorevole Hughes vorrei dire che sono assolutamente d’accordo che ciò non serve solo per il nostro progresso economico ma anche perché consentirà di realizzare un progresso sociale.

Infine un’osservazione più personale: c’è un’unica cosa che mi dà qualche problema nel documento ed è la primissima riga del frontespizio, che recita “Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni”. Riconosco che il Comitato economico e sociale europeo e il Comitato delle regioni esistono – anche se non hai capito bene perché – tuttavia non li porrei sullo stesso piano delle due istituzioni titolari della codecisione.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE).- (SK) Il fenomeno della globalizzazione viene sempre più avvertito. In tale situazione l’Unione europea deve reagire in modo rapido stabilendo se la competitività europea non solo è stata mantenuta ma anche se sia cresciuta, se la strategia di Lisbona − ovvero lo strumento che dovrebbe renderlo possibile − sia in grado di fornire soluzioni particolarmente in tema di innovazione, energia, migrazione, istruzione e demografia. Tutto ciò deve favorire la crescita e la capacità di creare occupazione.

Nuove sfide si profilano in relazione all’ambiente, come le emissioni di CO2, l’uso di pesticidi, i timori sulle riserve e le fonti di acqua pulita, la protezione del suolo e l’agricoltura. Ma non da ultimo vi sono anche sfide che riguardano la salute e le epidemie nonché la lotta contro l’obesità, le malattie cardiovascolari e la crescente frequenza di tutti i tipi di cancro.

Onorevoli colleghi, la globalizzazione porta con sé altre sfide nei settori della sicurezza e della migrazione e cresce il pericolo derivante dalla criminalità e dal terrorismo. Ben presto assisteremo alla caduta delle ultime rovine della cortina di ferro e dell’Europa divisa, quando nove nuovi Stati membri aderiranno all’area Schengen. Occorre fare il possibile per proteggere quest’area comune impedendo l’accesso ai migranti illegali che vanno ad aggravare la situazione della sicurezza negli Stati membri. D’altro canto sostengo un approccio responsabile per quanto riguarda i permessi di lavoro per i migranti legali: occorre valutare attentamente e scegliere personale qualificato per i settori che più ne hanno bisogno.

Ritengo inoltre che i vecchi Stati membri dell’Unione europea – e vorrei che la Commissione ne prendesse nota – eliminassero le assurde limitazioni sull’assunzione dei cittadini dei nuovi Stati membri. Nella situazione attuale ciò appare un anacronismo incomprensibile.

 
  
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  Tokia Saïfi (PPE-DE) . – (FR) Signora Presidente, l’Unione europea non può cadere vittima della globalizzazione o dare ai propri cittadini l’impressione di essere coinvolti in qualcosa sul quale non possono decidere. Pertanto la domanda da porsi non è se la globalizzazione sia buona o cattiva, quanto chiedersi se siamo preparati per esercitare il nostro peso su tale processo e correggerlo. Per affrontare tale sfida l’Unione europea deve poter conciliare competitività e coesione economica e sociale. Anche il potenziamento delle norme multilaterali fa parte di tale processo.

In un sistema economico aperto il metodo migliore per assicurare il rispetto dei diritti di consumatori e cittadini è rispettare le regole della concorrenza e istituire un mercato giusto ed equo coerente con gli standard in materia ambientale e sociale. Pertanto fintantoché non avremo un insieme di norme internazionalmente riconosciute, è essenziale conservare e non indebolire i nostri strumenti di difesa commerciale, che costituiscono gli unici nostri strumenti contro il dumping. Penso che sì, sia possibile per l’Europa proteggere i suoi cittadini senza essere protezionista. L’Europa ha bisogno anche di investire in quei settori che ne decideranno il potere economico futuro, vale a dire ricerca, innovazione e sviluppo di tecnologie pulite.

Inoltre, al fine di sostenere coloro che hanno maggiori difficoltà a trarre vantaggio dalla globalizzazione, l’Europa deve aumentare i meccanismi per realizzare sul piano pratico la solidarietà, ad esempio tramite il Fondo europeo di adattamento alla globalizzazione e la flessicurezza. Se si tratta di stare al passo con la concorrenza internazionale, è interesse dell’Europa anticipare i processi di adattamento e avviare le riforme. L’Unione europea dispone di tutte le capacità e le risorse necessarie per rispondere a tale sfida.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).- (FI) Signora Presidente, avere successo nella globalizzazione è di vitale importanza per il benessere dell’Europa, dato che essa crea contenuti concreti. Ora che stiamo giungendo al termine del ciclo triennale della nuova strategia di Lisbona, dobbiamo focalizzare la nostra attenzione in particolare sulla dimensione esterna. Vorrei sottolineare in particolare tre elementi.

In primo luogo l’energia – la fornitura energetica e l’indipendenza energetica – determina la posizione delle società nel contesto competitivo internazionale. A tale riguardo la situazione europea non è felice. La diminuzione dell’autosufficienza energetica costituisce un serio problema per l’UE. Attualmente importiamo già metà del nostro fabbisogno energetico dall’esterno e si prevede che tale dipendenza dall’importazione aumenterà. Oltre a fare uno sforzo deciso per aumentare l’autosufficienza energetica ci occorre una forte politica estera sull’energia − una voce comune − solidarietà e sicurezza delle importazioni.

La seconda questione centrale riguarda il cambiamento climatico, che è un fenomeno globale che sta avendo un impatto negativo sull’ambiente planetario, sull’economia e la società e che impone soluzioni planetarie. Le iniziative unilaterali falsano la concorrenza e favoriscono le emissioni di anidride carbonica. In termini di globalizzazione diventa sempre più ineludibile una sistema globale per lo scambio delle emissioni, l’impegno vincolante su tale progetto da parte di tutti i paesi industrializzati e delle economie emergenti nonché l’abbattimento delle barriere per l’accesso al mercato per le tecnologie pulite.

Terzo, l’UE dovrebbe sempre tenere a mente l’acuta visione di Schuman, secondo il quale nella nostra storia di successo l’economia dovrebbe servire per il raggiungimento di obiettivi comuni, del bene per l’uomo, della pace e della stabilità. La nostra tradizione culturale ci impone di combattere per un mondo più umano che rispetti i diritti dell’uomo. Solo così facendo la globalizzazione potrà essere nell’interesse di ciascuno. Solo a quel punto potremo impedire che il mondo ci sfugga di mano.

 
  
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  Panayiotis Demetriou (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor commissario, i cittadini europei in generale sembrano accogliere il fenomeno storico della globalizzazione con scetticismo e molti di loro, sicuramente, con paura e con un atteggiamento completamente negativo. Questo a causa della rivoluzione che si sta verificando nell’economia globale e nel tessuto sociale europeo. Pregiudizi, timori e soprattutto inazione e osservazione passiva degli sviluppi non costituiscono tuttavia il metodo adatto per affrontare il nuovo scenario mondiale. La situazione non può tornare indietro. La globalizzazione è qui per restare, che ci piaccia o meno. Come ha detto il Presidente Barroso, è in corso la costruzione del grande villaggio globale.

L’UE ha interessi europei da proteggere, pertanto deve partecipare alla globalizzazione in modo metodico, pianificato, collettivo e dinamico, al fine di elaborare proprie norme operative per il nuovo sistema mondiale. L’UE deve andare avanti, deve puntare al benessere dei cittadini europei e naturalmente anche dei cittadini di tutto il mondo. Vera comunità di principi e di valori, l’UE deve mettere al primo posto la sua natura con al centro l’uomo, promuovendola a livello internazionale. Essa deve trasformare la competizione economica in una vera gara di emulazione per favorire libertà, democrazia, lo Stato di diritto, la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani, la protezione dell’ambiente e la coesistenza pacifica di nazioni e individui. Questo è il ruolo che l’UE può e deve svolgere nel processo della globalizzazione.

 
  
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  Marianne Thyssen (PPE-DE).- (NL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, questa discussione non giunge affatto troppo presto. La globalizzazione è ormai un fatto. Ogni generazione ha le sue sfide, per così dire. Ebbene la nostra sfida è quella di rispondere nel miglior modo possibile alle nuove circostanze portate con sé dalla globalizzazione.

La migliore risposta non è ovviamente quella di opporsi alla globalizzazione, come alcuni vorrebbero ancora che facessimo. Non possiamo e non cercheremo di farlo. Ciò sarebbe comunque particolarmente controproducente per noi in Europa in quanto più di ogni altro dipendiamo dal resto del mondo per le materie prime, l’energia, i mercati di esportazione e anche, se si considera l’invecchiamento della nostra popolazione, per la manodopera.

La nostra risposta è di assecondare la globalizzazione e di cercare di adattarla. Ciò significa stringere accordi e fissare norme a livello internazionale. Come Europa abbiamo una grossa esperienza in tema di accordi intracomunitari. Pertanto usiamo questa esperienza per dare maggiore esempio a livello internazionale.

Questo andrebbe fatto, signora Presidente, con la necessaria fiducia in se stessi ispirandosi ai valori che ispirano anche la nostra azione all’interno dell’UE, i valori che abbiamo così ben espresso nel trattato di riforma e nella Carta dei diritti fondamentali.

Onorevoli colleghi, le assicurazioni ricevute ieri sul fatto che il Programma di lavoro e legislativo della Commissione per il 2008 è focalizzato sulla volontà di orientare al meglio la globalizzazione costituisce un sintomo positivo, il segno che si comincia a fare sul serio. Il fatto che la globalizzazione fosse anche uno dei temi discussi nel corso del Vertice informale di Lisbona indica che la strategia di Lisbona ha bisogno di una nuova dimensione esterna.

Quale coordinatore del mio gruppo per la strategia di Lisbona desidero sottolineare che tale strategia ci ha motivati ad agire. Gradualmente, anche se a ritmo altalenante, stiamo approdando a qualcosa. Il primo ciclo triennale dopo la revisione di metà periodo volge al termine e forse è necessaria una nuova correzione. Mi permetto di suggerire, signora Presidente, che d’ora in poi ci concentriamo meno su obiettivi, percentuali e statistiche e più sugli obiettivi reali, ovvero innovazione, un contesto imprenditoriale positivo, competitività, crescita e più posti di lavoro e di migliore qualità.

In definitiva dobbiamo lavorare per raggiungere l’obiettivo che, spero, tutti condividiamo, ovvero quello di assicurarci buone possibilità di avere una qualità di vita accettabile per il maggior numero possibile di persone.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE).- (CS) La capacità dimostrata dall’Europa nel passato di adattarsi all’era moderna va ammirata, tuttavia quando si tratta di globalizzazione non siamo sicuri di come trovare una strategia adeguata che consenta all’Europa di essere protagonista. Il primo passo di questa ricerca è comprendere che nella strategia di Lisbona la dimensione esterna è assente e che essa dovrà entrare a far parte di una strategia economico-sociale più complessa. Tale strategia dovrà individuare il contrasto tra un’economia europea altamente regolamentata e un commercio globale liberalizzato, proponendoci uno strumento per ridurre al minimo tale contrasto che di fatto rende Europa molto meno competitiva.

I due motivi che giustificano una regolamentazione all’interno di un’area economica comune sono l’esigenza di una concorrenza leale e un elevato livello di protezione dei consumatori. Tuttavia tali fattori vengono sempre più erosi da un’ondata di merce economica proveniente dai paesi terzi e di merce contraffatta. Ci troviamo davanti a compiti che fanno tremare i polsi, come controlli sull’impressionante volume di merci importate non conformi agli standard di sicurezza europei.

Il nodo principale della nostra complessa strategia deve essere quello di favorire la convergenza degli strumenti regolamentari, in altre parole la creazione di norme e regole planetarie non solo di ordine tecnico ma che riguardino anche il campo ecologico, sociale e le regole e le norme per la sicurezza. Un modo per contribuire a tale processo è quello di insistere costantemente sul rispetto dei diritti umani nei paesi terzi. La libertà di parola consentirà ai cittadini di questi paesi di esigere standard di vita e di lavoro più elevati, contribuendo così a creare una convergenza dall’altra parte.

La nostra nuova politica energetica fornisce una buona risposta alla sfida della globalizzazione e propone un buon esempio. Tuttavia dobbiamo anche rivedere altre politiche, che successivamente entreranno a far parte di una strategia adeguata e complessa per la gestione della globalizzazione. Per fare un esempio dobbiamo sbarazzarci di alcuni rimasugli del passato come la politica agricola.

Se vogliamo continuare a svolgere un ruolo importante sulla scena globale, non dobbiamo solo reagire ma dobbiamo collaborare attivamente nell’elaborazione di norme di convergenza globali sia all’interno che all’esterno dell’UE. Un poco l’Europa deve cambiare. Diversamente possiamo attenderci di fare la fine della rana bollita: l’acqua raggiungerà il bollore gradualmente e dopo sarà troppo tardi per uscire dalla pentola.

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI).- (DE) Signora Presidente, uno degli oratori che mi ha preceduto, l’onorevole Alexander Radwan, ha dichiarato che l’Europa era ben preparata per la globalizzazione, tuttavia la versione moderna della globalizzazione ci accompagna già da diciotto anni. Nel frattempo noi stiamo scivolando direttamente dentro la trappola della globalizzazione – ovvero le discussioni di come era in passato, l’inversione del benessere di massa e l’attacco contro la democrazia – la trappola europea, un prodotto del peccato politico originale che è quello di non essere stati capaci di assicurare un trattato decente già a Nizza, avendo preferito un allargamento frettoloso ad un’Unione più approfondita.

Il risultato è che i problemi di oggi sono essenzialmente legati alla burocrazia, allo spreco di miliardi di euro e, anche, ad errori nel reclutamento delle élite politiche europee. Al riguardo proprio il Commissario Verheugen rappresenta un caso lampante. I miserevoli attacchi personali rivolti contro la sua persona sono iniziati quando lei ha cercato di mettere un freno alla burocrazia. Qui c’è un uomo nuovo e stanno già cercando di togliergli il terreno sotto i piedi. Vedremo cosa saprà fare sull’eccessiva burocrazia.

Non è così che si andrà avanti. Se non siamo capaci di sanare questi malanni, l’Unione resterà politicamente paralizzata e le sfide della globalizzazione avranno il sopravvento su di noi.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. (PT) Signora Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli deputati, assistiamo ad una discussione lunga e piena e, tra tutte quelle a cui ho partecipato in quest’Aula a nome della Presidenza, questa è quella in cui ha espresso la propria opinione il maggior numero di partecipanti e di deputati. Si tratta certamente di una questione molto attuale e di grande importanza e – non illudiamoci – difficile e anche controversa, che ha fatto sorgere un’ampia varietà di pareri, analisi e commenti. Penso tuttavia che ci sia una conclusione comune, che è quella che la globalizzazione costituisce un dato acquisito che si svilupperà ulteriormente e si manifesterà in altri modi.

Non esiste una possibilità di girare le spalle e tornare indietro, non possiamo far tornare indietro l’orologio della storia. La globalizzazione stessa è il risultato della nostra marcia verso il futuro. Quello che dobbiamo fare, quello che dobbiamo analizzare e decidere riguarda naturalmente come sfruttare al massimo e ottenere il maggior beneficio dalla globalizzazione, riducendo o eliminando tutti i rischi noti ad essa associati e tenendo sempre presente – e questo è per me un punto molto importante – che la globalizzazione deve essere al servizio dell’umanità e dei cittadini e non il contrario. Non devono cioè essere l’umanità, i cittadini o gli esseri umani al servizio della globalizzazione.

Vi sono inoltre pochi dubbi sul fatto che per poter essere in grado di sfruttare al massimo e di trarre beneficio da quanto la globalizzazione ha da offrire, noi europei dobbiamo dare alle nostre imprese, grandi e piccole o medie, gli strumenti e le politiche che consentano loro di affrontare le sfide della globalizzazione economica. Occorre aumentare il livello delle qualifiche e addestrare i cittadini europei nonché riformare il nostro modello sociale. Non si tratta di ridurre o annacquare questo modello, al contrario. Esso va rafforzato e adattato in modo da poter rispondere efficacemente alle sfide e alle minacce portate dalla globalizzazione. In campo ambientale va riconosciuto che l’Unione europea si è dimostrata capace di proteggere l’ambiente nonché capace di porsi alla guida e di indicare la strada da prendere come nessun altro blocco regionale del mondo è riuscito a fare. I negoziati che inizieranno a Bali in dicembre mostreranno chiaramente quello che sto dicendo.

Infine devo anche accennare alla “dimensione esterna” della strategia di Lisbona, così strettamente collegata alla globalizzazione. L’idea è quella di invitare altri soggetti che condividano questa strada, queste difficoltà e queste sfide della globalizzazione a condividere con noi i valori e i principi economici, sociali e ambientali, naturalmente dicendo molto chiaramente che la globalizzazione avrà successo per tutti solo se riusciamo davvero a metterci d’accordo su un mondo sociale, economico e ambientale veramente regolamentato per tutti e al servizio di tutti. Si tratta di un aspetto fondamentale. Non possiamo essere ingenui. Noi pensiamo che con politiche solide e principi e valori solidi possiamo, come dicevo, raggiungere quello che per noi è un traguardo fondamentale: una globalizzazione al servizio dell’umanità.

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione.−(DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, la comunicazione della Commissione sull’interesse europeo alla base della discussione di oggi è semplicemente un documento di discussione. Non è il programma di Lisbona per i prossimi tre anni. E’ un documento inteso a stimolare la discussione in seno al Consiglio europeo e al Parlamento europeo, in modo che la Commissione possa tradurre i risultati di tale discussione in proposte per il prossimo ciclo di Lisbona. Tali proposte non verranno formulate prima di dicembre. Non sono ancora state presentate e pertanto gli onorevoli deputati che hanno criticato la Commissione per non aver presentato proposte concrete sono stati vittime di un equivoco.

Non è questo l’oggetto della discussione di oggi. Obiettivo della Commissione era quello vedere cosa voi, rappresentanti degli elettori europei, avete da sottoporre all’attenzione della Commissione per l’elaborazione del piano di Lisbona. Sono lieto di poter rispondere positivamente a gran parte di quanto è stato detto qui.

Gli orientamenti continueranno ad essere lo strumento fondamentale del nuovo pacchetto di Lisbona. Come ha detto chiaramente il Presidente Barroso, lo strumento ha funzionato e non lo cambieremo ma, ovviamente, lo formuleremo in modo da poter tenere conto delle esperienze maturate negli scorsi tre anni e per poter dare maggior spessore alle questioni emerse durante tale periodo.

Vorrei citare alcuni esempi. Dovremo porre un accento maggiore sui collegamenti tra competitività, energia e ambiente. Nella discussione di oggi sono emerse varie richieste in tal senso. Ciò è perfettamente giusto. E’ ora di smettere di considerare le politiche separatamente. Occorre un approccio completamente unitario. Dobbiamo riconoscere una maggiore importanza alla formulazione di proposte nette volte a far sì che la concorrenza globale, che certamente vogliamo, si svolga in condizioni di parità, con regole uguali per tutti. Dobbiamo riservare una maggiore attenzione per capire come la politica sociale possa sostenere i cambiamenti strutturali. Nella discussione odierna mi pare sia emersa una posizione trasversale che vede in questo il vero grosso problema, e tale posizione è certamente giustificata.

Vorrei dire qualcosa al riguardo. Penso che non sia corretto considerare gli investimenti rivolti alla stabilità sociale e alla sicurezza sociale come semplici elemosine. Al contrario si tratta anche di investimenti nel potenziale economico, in quanto non vi può essere dubbio che il potenziale economico europeo dipende da lavoratori fortemente motivati e fortemente efficienti e il motivo per cui noi disponiamo di questo asset è che abbiamo livelli salariali elevati e un alto livello di sicurezza sociale.

Non è vero che crescita economica e stato sociale si escludano a vicenda. In realtà, come hanno detto più operatori oggi, ciascuno di questi fattori integra e alimenta l’altro. Ritengo che questa sia una considerazione fondamentale. Vorrei inoltre sottolineare il fatto che, se non altro perché sempre più regioni e settori scontano la mancanza di una forza lavoro qualificata e specializzata, la questione dell’occupabilità va affrontata in modo molto più energico di quanto fatto finora. Per questo ritengo che siamo sulla stessa lunghezza d’onda su molte di tali questioni.

Consentitemi di aggiungere che la Commissione condivide l’opinione secondo la quale le turbolenze viste recentemente sui mercati finanziari esigano un’azione internazionale e multilaterale. Non è possibile lasciare semplicemente che le cose facciano il loro corso in quanto siamo in presenza, com’è stato detto, di un difetto strutturale congenito del sistema finanziario internazionale. Non si tratta un errore umano da parte di quei manager che ora vengono liquidati con buonuscite di 100 o 200 milioni di dollari; no, è il risultato di un problema strutturale.

Vorrei inoltre fare un’altra breve considerazione sulla discussione di base che si è svolta qui oggi sul tema della globalizzazione. In primo luogo è molto difficile creare una politica europea comune sulla base di tale discussione in quanto non vi è accordo su quale sia in realtà l’interesse europeo. Nel nostro lavoro di ogni giorno ci troviamo sempre a dover affrontare una definizione multiforme dell’interesse europeo. A seconda della situazione l’interesse europeo risiede di volta in volta nel fatto di avere prezzi bassi al supermercato in uno Stato membro oppure in un alto livello occupazione industriale in un altro, ovvero c’è un conflitto di obiettivi non facile da risolvere. L’interesse europeo può risiedere in un alto livello occupazionale nell’industria dell’acciaio di Liegi, per citare un esempio molto attuale, oppure nel fatto di avere norme ambientali di alto livello per il sistema europeo di scambio delle emissioni. Ci troviamo continuamente davanti ai conflitti senza che vi sia una linea uniforme a cui i 27 Stati membri possano attenersi al fine di definire qual è l’interesse europeo comune.

In secondo luogo non possiamo far nostro l’approccio secondo il quale la globalizzazione andava bene fintantoché voleva dire che i paesi poveri del sud del mondo erano dominati dai paesi ricchi del nord ma che è diventata cattiva quando i paesi del sud del mondo sono diventati dei concorrenti. Non è una reazione giusta. Né è accettabile esigere standard ambientali e sociali elevati nelle regioni in via di sviluppo rifiutando al contempo di modificare le proprie politiche.

Oggi sento dire in Europa che Cina e India devono cambiare i loro standard in ambito ambientale e sociale. Certo che devono, ma i cinesi e gli indiani vedono in tali richieste delle pure misure protezionistiche europee, dato che noi abbiamo raggiunto il benessere avvalendoci di bassi standard sociali e ambientali e ora diciamo agli altri che vogliamo conservare quello che abbiamo mentre loro non possono averlo.

Tale politica, onorevoli deputati, è destinata al fallimento, ve lo assicuro. L’unico approccio percorribile è quello di dimostrare a queste economie in via di sviluppo che vi è un’altra possibilità, che è possibile trasformare la sfida ambientale e sociale in una opportunità economica. Da qui il termine di “politica industriale ambientale”.

Penso che su questo punto ci sia un ampio consenso e su tale base la Commissione lavorerà sodo per presentare le proprie proposte per il prossimo ciclo di Lisbona. Tali proposte verranno prese in esame durante il prossimo Consiglio di primavera che si terrà in marzo; in tal modo il Parlamento europeo avrà ampie possibilità di esprimersi sulle iniziative e le proposte specifiche prima della decisione finale che verrà presa nel marzo del prossimo anno.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Signor Commissario, la ringraziamo per la sintesi.

Comunico di aver ricevuto sette proposte di risoluzione, ai sensi dell’articolo 103 paragrafo 2 del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione avrà luogo domani alle ore 12.00.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Edit Herczog (PSE), per iscritto. (HU) Signora Presidente, signori rappresentanti del Consiglio e della Commissione, onorevoli colleghi, la conseguenza di uno sviluppo della globalizzazione è che un numero sempre maggiore di paesi diventa democratico e si converte al libero commercio su scala globale. Ciò in sé mostra il successo di una politica cinquantennale dell’Europa fatta di pace e democrazia. D’altro canto il fatto che alcuni paesi talvolta acquisiscano un vantaggio nel commercio internazionale ricorrendo a strumenti illegali è un sintomo che il passaggio ai sistemi costituzionali è graduale e non si attua subito in modo perfetto. E’ proprio per tale motivo che l’obiettivo dell’Europa deve continuare ad essere la promozione e il rafforzamento della democrazia.

Il grado del nostro successo nella competizione globale che da questo deriva dipende da noi. Come anche l’autore della relazione del Parlamento sulla globalizzazione, anch’io so che abbiamo preso atto delle sfide e ora è il momento di agire.

Occorre pensare al fatto che il benessere che abbiamo oggi deve essere mantenuto anche per i nostri nipoti e in modo tale che nel frattempo gli altri popoli della terra possano anch’essi seguire questa strada. Ma mi chiedo: avranno l’energia? Avranno un ambiente vivibile? Di questo si tratta quando parliamo di politica energetica europea e di costruire un’economia a basso tenore di anidride carbonica.

Occorre assicurare che ciascun europeo, indipendentemente dalla sua provenienza e dalla situazione in cui si trova, nonché ogni impresa, indipendentemente dalle dimensioni e dalla sede, possano sviluppare il proprio talento e le proprie migliori capacità. E’ questo che significano pari opportunità, costruzione di una società basata sulla conoscenza, politica per l’innovazione e nuova politica europea per le PMI.

Occorre passare all’era digitale e per fare questo occorre realizzare una e-inclusione in tutti i settori e che riguardi tutti.

In breve abbiamo già pronti tutti gli strumenti, dobbiamo solo usarli. E’ ora di mettersi al lavoro.

 
  
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  Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. (PL) La globalizzazione è un processo inarrestabile tuttavia il successo dell’Unione europea in questa globalizzazione non è scontato. Certamente la strategia di Lisbona, per come è stata fin qui attuata, non costituisce una ricetta per il successo. Anzi è solamente una strategia sulla carta e anche nella fase di medio periodo, nel 2005, era chiaro che l’obiettivo principale, ovvero la competizione con gli Stati Uniti nel campo della competitività e dell’innovazione, non era stato conseguito.

Nel frattempo altre sfide si sono affacciate con l’offensiva economica portata da Cina, India e altri paesi asiatici. Finora la molteplicità dei delicati obiettivi ha celato il fatto che manca il coraggio politico per intraprendere riforme strutturali a livello nazionale, ovvero al livello al quale si decide la possibilità di avere un’Europa innovativa e dinamica. A causa di questa mancanza di coraggio l’Unione europea sta cercando soluzioni alternative, ad esempio riponendo le proprie speranze in una modifica radicale del bilancio comunitario con conseguente aumento della spesa pubblica per la ricerca e lo sviluppo. Ciò non basta se è slegato dalla capacità di sostenere assieme i rischi con l’aiuto di aziende innovative del settore finanziario privato.

Una soluzione come quella dell’Istituto europeo di tecnologia illustra la tendenza verso soluzioni istituzionali, mentre il Fondo di adeguamento alla globalizzazione mostra fino a che punto possono spingersi gli ingiustificati timori europei. La risposta giusta alla sfida della globalizzazione è quella di una piena liberalizzazione del mercato e di una coraggiosa riforma del modello sociale europeo.

 
  
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  Joseph Muscat (PSE), per iscritto.(EN) Per poter avere successo in quest’epoca di globalizzazione l’Unione europea deve sviluppare una politica estera di investimenti diretti per l’Europa.

Ci occorre una politica che copra i seguenti interventi:

- investimenti diretti dall’estero verso l’UE, ovvero investimenti diretti in Unione europea provenienti da altre parti del mondo;

- investimenti diretti all’estero dall’UE, ovvero investimenti diretti provenienti dall’Unione europea verso altre parti del mondo;

- investimenti interni diretti all’estero, ovvero investimenti diretti verso uno Stato membro e provenienti da un altro Stato membro.

E’ vero che elementi di una tale politica esistono già, come il settimo programma quadro che pone le condizioni per attirare investimenti per la ricerca e lo sviluppo.

Tuttavia questa è solo una parte, seppur importante.

Dati e cifre mostrano l’immensa importanza degli investimenti diretti all’estero per l’economia mondiale moderna, oppure la posizione europea negli investimenti diretti nel resto del mondo.

Tali dati indicano che se vogliamo dare una qualche forza reale agli obiettivi di Lisbona, all’Europa occorre una politica di IDE complessiva che consenta di cogliere i massimi benefici della IDE per i nostri cittadini.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE), per iscritto.(EN) Oggigiorno gli europei non trovano nulla di strano nell’andare a fare trekking nel Sudamerica, chattare online con amici africani od ordinare CD dagli Stati Uniti. A causa della globalizzazione il mondo si sta restringendo. Soprattutto per le giovani generazioni, se spostarsi in Europa è un po’ come fare un giro nella propria città, spostarsi nel pianeta è andare appena un po’ più in là.

E tuttavia il termine globalizzazione ha ancora un’eco negativa. Un timore comune è quello che, a causa della globalizzazione, i paesi a basso costo del lavoro sottrarranno occupazione all’Europa.

L’UE ha un ruolo importante nel modificare tali atteggiamenti. E deve farlo, dimostrando che assieme gli Stati membri sono abbastanza forti non solo per sopravvivere alla globalizzazione ma anche per guadagnarvi. Come si afferma nella dichiarazione, l’Europa è il maggiore esportatore mondiale di beni e servizi e la seconda destinazione di investimenti diretti esteri. Restando ai dati sull’occupazione, nel 2006 sono stati creati complessivamente 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro.

Certamente ci sono cose da migliorare: la politica dell’Europa per l’innovazione potrebbe bastare se potenziata; è necessaria una regolamentazione del mercato globale; una prevenzione del cambiamento climatico non deve essere un problema solo dell’Europa. Eppure, complessivamente, non nutro dubbi sul fatto che l’UE saprà superare la prova della globalizzazione a pieni voti.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. EDWARD McMILLAN-SCOTT
Vicepresidente

 
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