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Resoconto integrale delle discussioni
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Giovedì 15 novembre 2007 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Verso una risposta dell'UE alle situazioni di fragilità
 3. Inventario della realtà sociale (discussione)
 4. Comunicazione delle posizioni comuni del Consiglio: vedasi processo verbale
 5. Turno di votazioni
  5.1. Statuto e finanziamento dei partiti politici a livello europeo (votazione)
  5.2. Statistiche trimestrali sui posti di lavoro vacanti nella Comunità (votazione)
  5.3. Applicazione dell’acquis di Schengen a Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia (votazione)
  5.4. Ricostituzione degli stock di tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo (votazione)
  5.5. L’interesse europeo: riuscire nell’epoca della globalizzazione(votazione)
  5.6. Applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (votazione)
  5.7. Applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen (votazione)
  5.8. Situazione in Pakistan (votazione)
  5.9. Conferenza di Bali sul cambiamento climatico (votazione)
  5.10. Sviluppo della politica europea di vicinato (votazione)
  5.11. Relazioni economiche e commerciali con l’Ucraina (votazione)
  5.12. Verso una risposta dell’UE alle situazioni di fragilità (votazione)
  5.13. Inventario della realtà sociale (votazione)
 6. Dichiarazioni di voto
 7. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 8. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 9. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto
  9.1. Comunità cristiane in Medio Oriente (discussione)
  9.2. Uzbekistan (discussione)
  9.3. Somalia (discussione)
 10. Turno di votazioni
  10.1. Comunità cristiane in Medio Oriente (votazione)
  10.2. Uzbekistan (votazione)
  10.3. Somalia (votazione)
 11. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 12. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 13. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale
 14. Dichiarazioni scritte che figurano nel registro (articolo 116 del Regolamento): vedasi processo verbale
 15. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale
 16. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale
 17. Interruzione della sessione
 ALLEGATO (interrogazioni scritte)


  

PRESIDENZA DELL’ON. LUISA MORGANTINI
Vicepresidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta è aperta alle 10.00)

 

2. Verso una risposta dell'UE alle situazioni di fragilità
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione su “Verso una risposta dell’UE alle situazioni di fragilità: l’intervento in circostanze difficili per lo sviluppo sostenibile, la stabilità e la pace”.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. (FR)Signora Presidente, onorevoli parlamentari, dal luglio 2007 la Commissione e la Presidenza portoghese dell’Unione europea collaborano strettamente per varare il processo di elaborazione di una risposta dell’UE più strategica ed efficace a situazioni di fragilità in paesi partner.

Tale processo dovrebbe essere portato avanti dalle future Presidenze. L’obiettivo non è quello di etichettare o classificare dei paesi, bensì quello di adattare a situazioni specifiche gli strumenti e le risposte di cui dispongono. In simili situazioni di fragilità, la riduzione della povertà risulta fortemente ostacolata. Le capacità istituzionali sono molto limitate e gli Stati non sono in grado di assumere funzioni di governo, prostrati dalle conseguenze di catastrofi naturali,da violenti conflitti o dalla mancanza di volontà politica da parte del governo di perseguire gli obiettivi di sviluppo. In casi estremi, queste situazioni possono avere ripercussioni al di là dei confini nazionali, con effetti sulla stabilità regionale, o addirittura sulla sicurezza mondiale.

L’idea di fragilità non è nuova, benché il dibattito internazionale sia relativamente recente. Donatori, paesi partnere società civile sono da tempo consapevoli della necessità di interventi di maggiore efficacia in situazioni particolarmente sfavorevoli, al fine di realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Ogni situazione è complessa e diversa e richiede una risposta adeguata, dove entrino in gioco le azioni diplomatiche, gli aiuti umanitari, la cooperazione allo sviluppo, nonché interventi in materia di sicurezza e gestione delle crisi.

L’efficacia della risposta dell’Unione europea richiede certamente un impegno nel lungo termine, ma anche la definizione di obiettivi chiari nel prendere iniziative in un paese fragile. I principi guida dovrebbero continuare ad essere lo sviluppo della capacità e la sicurezza,nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile e della riduzione della povertà.

Tuttavia, bisognerebbe evitare che il sostegno a situazioni di fragilità avvenga a discapito dei paesi più efficienti. L’impegno per il rafforzamento degli aiuti torna dunque in primo piano. La Commissione europea ha presentato una comunicazione che propone un approccio pragmatico affinché l’Unione europea si impegni con maggiore efficacia nei contesti difficili ai fini dello sviluppo sostenibile, della stabilità e della pace.

La comunicazione è stata inviata a tutte le Istituzioni dell’Unione europea e in occasione del Consiglio “Affari generali”, il 19 e 20 novembre, si adotteranno le conclusioni sull’argomento. La Commissione sarà invitata a elaborare un piano di lavoro specifico per attuare le raccomandazioni e gli interventi prioritari presentati nella comunicazione, che mira ad affrontare situazioni di fragilità con maggiore efficacia sostenendo le iniziative dei paesi partnerintese a creare o a ripristinare le condizioni necessarie per il loro sviluppo sostenibile.

Il 2008 sarà dedicato alla definizione dell’approccio strategico dell’Unione europea alle situazioni di fragilità, un processo che richiede la partecipazione attiva di tutte le Istituzioni dell’Unione europea e di tutti coloro che lavorano per lo sviluppo nell’UE e nei paesi partner.

Il contributo del Parlamento europeo a questa attività è di grande interesse per la Commissione, che lo invita a partecipare attivamente al dibattito, che dovrebbe rendere possibile la definizione di una strategia generale di risposta a situazioni di fragilità, contribuendo così a creare condizioni idonee per lo sviluppo sostenibile, la stabilità, la pace e la governance democratica.

 
  
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  Nirj Deva, a nome del gruppo PPE-DE.–(EN) Signora Presidente, è sempre molto utile poter discutere di questioni così importanti di fronte a un’Aula palpitante di colleghi impazienti di ascoltare quello che il Parlamento ha da dire su questa materia così importante. Inoltre, sono veramente grato al Commissario per aver delineato i principi fondamentali e le sue opinioni su come intendiamo affrontare questo problema.

La fragilità è una condizione che ha molte cause diverse.La prima naturalmente è il processo di decolonizzazione, quando le potenze coloniali hanno tracciato delle righe arbitrarie sulla carte geografiche, senza tenere conto della stabilità interna della società civile e dividendo i paesi in due, tre o quattro, a prescindere dalle tribù o dalle fazioni religiose, e così via. Tutto questo ha indotto una certa instabilità.

Poi esiste una forma di instabilità naturale, che ora affligge le nazioni più fragili: paesi soggetti a inondazioni, piccole isole con un’economia basata su un unico prodotto, paesi che non sono geograficamente in grado di sostenersi perché Dio li ha dotati di pochissimi attributi, nonché paesi afflitti dalla desertificazione, un fenomeno che comincia a provocare migrazioni di massa.

Nel mondo esistono 26 cosiddetti Stati fragili, e i popoli più vulnerabili nel mondo subiscono conseguenze catastrofiche, in alcuni casi non per colpa loro, ma qualche volta a causa della scarsa governabilità, o a causa di conflitti interni, o di guerre civili, e talvolta a causa di dittatori colpevoli di genocidi, come avveniva non molto tempo fa in Sierra Leone e Liberia.

Ora, è possibile che uno Stato fragile si trasformi in un paese sostenibile, come sta accadendo davanti ai nostri occhi in Sierra Leone. Ma questo richiede degli sforzi, richiede impegno, un impegno di lungo termine, come ha affermato il Commissario, per la crescita economica del paese. Occorre un impegno per la costruzione della nazione, un’espressione che utilizzo a ragion veduta in quest’Aula, perché il mio paese, il Regno Unito, così come Francia e Spagna e altri paesi europei, conoscono da tempo il concetto di costruzione della nazione. Ma è qualcosa di completamente sconosciuto per altre superpotenze emergenti che, per dirla in tutta franchezza, non hanno assolutamente idea di che cosa sia la costruzione di una nazione.

Dobbiamo essere capaci di collegarci al corpus di conoscenze storiche riposto nella consapevolezza delle nazioni europee, per assistere altri paesi che si stanno affermando in tutto il mondo nel processo di costruzione della nazione. Se l’avessimo fatto, e se il Primo Ministro Blair l’avesse fatto, penso che la situazione in Iraq, ad esempio, ora sarebbe completamente diversa.

L’Iraq è uno Stato fragile? Sì, lo è, perché è instabile; la governancenon è salda ed esistono problemi di sicurezza. Altri paesi africani sono molto fragili – Sudan, Somalia, piccole isole – e come ho già detto per tutti questi paesi occorre attingere a un insieme di conoscenze di cui disponiamo già e per questo sono veramente lieto di aprire la discussione questa mattina.

 
  
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  Presidente. − Grazie molte, onorevole Deva. Temo che abbia dimenticato un fattore di instabilità. Quando si arriva in questi paesi l’instabilità ricomincia.

 
  
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  Alain Hutchinson, a nome del gruppo PSE. (FR)Signora Presidente, Commissario Špidla, onorevoli colleghi, prima di tutto vorrei esprimere il mio apprezzamento per la comunicazione che – come diceva il Commissario – è effettivamente venata di reale pragmatismo da parte della Commissione e oggi ci consente di discutere un problema che preoccupa non solo i cittadini dei paesi partnerdell’UE nel sud del mondo, ma anche i nostri concittadini che spesso, e legittimamente, si chiedono quanto sia efficace l’aiuto allo sviluppo fornito dall’Unione europea.

In questo caso particolare, il messaggio essenziale della nostra risoluzione si può riassumere in una frase e dovrebbe essere sostenuto da tutti, al di là delle divisioni politiche. Si tratta di istituire un sistema di cooperazione semplificato, che consenta alla Commissione e agli Stati membri di fornire più rapidamente di quanto non riescano a fare oggi gli aiuti promessi ai paesi partner alle prese con crisi di particolare gravità – e non mi soffermerò sull’argomento, perché l’onorevole Deva ne ha già parlato lungamente. In mancanza di questi aiuti, per le popolazioni di questi paesi le possibilità di sopravvivenza diminuiscono di giorno in giorno. Una volta che gli aiuti sono stati approvati, cosa che di per sé non è un’impresa facile, la complessità e la lunghezza delle procedure attuali per la consegna degli aiuti europei possono determinare situazioni ancora più drammatiche e dannose per le popolazioni beneficiarie.

Prendiamo ad esempio il Burundi, un piccolo paese dove ho presieduto la missione parlamentare di osservazione alle ultime elezioni, due anni fa, e dove avrò il piacere di ritornare tra qualche giorno. L’Unione europea ha svolto un lavoro di notevole importanza in quel paese, sostenendo il processo di democratizzazione elettorale e istituzionale dopo un conflitto sanguinoso durato più di dieci anni. Una volta al potere, le nuove istituzioni elette democraticamente si sono subito confrontate con la realtà e le esigenze della popolazione, in termini di sanità, istruzione e agricoltura, che rappresentavano aree prioritarie di intervento.

In questi settori i progetti non mancano, ma per la loro attuazione l’aiuto europeo è sicuramente decisivo. Non solo per rispondere alle necessità urgenti della popolazione, ma anche per consentire alle autorità pubbliche, ancora fragili, di avviare un processo di ricostruzione senza il quale esiste il forte rischio che il paese piombi nuovamente nel caos. Dopo due anni, signor Commissario, l’aiuto di bilancio annunciato dall’UE non è ancora arrivato.

Quel che è vero per la regione dei Grandi Laghi è vero anche per altre regioni del mondo. Per questo motivo, signora Presidente, purché siano chiaramente definite le condizioni che sono tenuti a rispettare per pretenderlo, tutti i paesi del mondo con cui l’Unione europea coopera e che stanno vivendo una grave situazione di fragilità dovrebbero potersi basare su un sistema di eccezioni che garantisca un intervento rapido ed efficace.

 
  
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  Ryszard Czarnecki, a nome del gruppo UEN. – (PL)Signora Presidente, sono lieto di poter intervenire dopo aver ascoltato esperti e specialisti di primo pianoche hanno passato degli anni a discutere di questo problema, tra i quali includo anche lei, signora Presidente.

Vorrei richiamare l’attenzione sul problema del numero crescente di Stati riconosciuti come instabili. In sei anni, il loro numero è quasi raddoppiato, passando da 14 a 26, quindi si tratta di un problema reale, di una sfida crescente per l’Unione europea.

Tengo a sottolineare che oltre la metà di questi Stati instabili si trova nell’Africa subsahariana, per cui è evidente che occorre dedicare un’attenzione particolare a quella regione dell’Africa e del mondo.

Inoltre, ritengo che si debba sottolineare con forza l’esigenza di promuovere l’autorità dei governi in questi paesi. L’Unione africana ha ragione quando rileva che il problema della ricostruzione è anche una questione politica, più che una questione tecnica. Alla luce di questa considerazione, i meccanismi della democrazia e della trasparenza sono aspetti fondamentali.

Sono totalmente d’accordo con l’onorevole Hutchinson, che ha parlato prima di me, sull’esigenza di semplificare le procedure affinché il nostro aiuto sia più rapido e più reale.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE.–(ES) Signora Presidente, anch’io apprezzo veramente molto il fatto di trattare questo argomento in quest’Aula, perché benché sia vero che non esiste una definizione legislativa completa di uno Stato in condizioni di fragilità, esistono molti casi che empiricamente rientrano in questa categoria. Ad esempio, questo pomeriggio si discuterà, tra l’altro, del caso della Somalia.

Questa risoluzione ci consente dunque di affrontare alcuni dei problemi più gravi presenti in simili contesti – ad esempio, il fatto che la fragilità spesso dipende da una situazione di estrema povertà che tende ad essere accompagnata dal collasso istituzionale e dall’insicurezza a tutti i livelli.

Inoltre, è fondamentale anche partire dal principio che questi Stati rappresentano una sfida in termini di sviluppo, e questo significa che occorre definire urgentemente un’agenda coerente basata sul principio umanitario di non fare danni; il principio fondamentale, e un’importante lezione da trarre dalle recenti vicende relative all’atteggiamento dell’organizzazione francese “l’Arca di Zoé”, in Ciad.

Gli interventi esterni, in particolare gli interventi europei, in simili contesti si devono basare sull’attuazione di programmi sul campo, flessibili e adattabili a esigenze mutevoli e basati su una strategia pianificata a breve, medio e lungo termine. Troppo spesso ci fermiamo a misure necessarie nel breve termine, ma che fondamentalmente perdono di vista le conseguenze nel medio e lungo termine.

Infine, devo sottolineare l’importanza di istituire un duplice meccanismo di responsabilità, in particolare prevedendo l’obbligo dei paesi beneficiari di rendere conto a coloro che hanno fornito risorse, fondi e donazioni, ma anche alle rispettive popolazioni, che sono tenuti a proteggere e di cui devono garantire la sopravvivenza. Anche i donatori dovrebbero garantire la loro disponibilità a rendere conto a queste popolazioni.

 
  
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  Pedro Guerreiro, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signora Presidente, senza dubbio è urgente fornire aiuti umanitari maggiori e migliori in un mondo sempre più iniquo e ingiusto, dove la ricchezza si concentra nelle mani di pochi a spese dello sfruttamento e della miseria di milioni di persone. Senza dubbio,una maggiore e migliore cooperazione allo sviluppo è necessaria con urgenza in un mondo che si trova ad affrontare una nuova corsa agli armamenti e la crescente militarizzazione delle relazioni internazionali, guidata dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Proprio per questo motivo siamo seriamente preoccupati per i tentativi di condizionare l’aiuto allo sviluppo a strategie di sicurezza intese nella pratica a perseguire obiettivi più o meno nascosti di interferenza, sfruttamento di risorse e neocolonialismo.

Un’analisi della situazione internazionale non deve trascurare, né sottovalutare le cause esterne che fomentano e aggravano le contraddizioni che così spesso sono alla radice dei problemi. Basta guardare la lista molto soggettiva di quelli che la Banca mondiale considera Stati fragili. Quanti casi di interferenza e aggressione esterna rispecchia?

Abbiamo veramente bisogno di un’agenda per la cooperazione e lo sviluppo che risponda alle esigenze fondamentali di milioni di esseri umani, basata sul rispetto della sovranità e dell’indipendenza nazionali nonché su soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali – un’agenda che incoraggi la smilitarizzazione delle relazioni internazionali, che promuova relazioni economiche eque e paritarie e la cancellazione del debito estero pagato tempo fa, un’agenda che superi le politiche che sono causa di profonde ingiustizie e ineguaglianze, al fine di costruire un mondo più giusto, più pacifico, più umano e di maggiore solidarietà.

 
  
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  Ana Maria Gomes, a nome del gruppo PSE. – (PT)Negli Stati fragili, il legame tra governance, sviluppo e sicurezza è fondamentale. L’UE deve definire le priorità strategiche per le relazioni con questi Stati, basandosi sul principio generale della sicurezza delle popolazioni.

Non basta sostenere le istituzioni governative: è essenziale promuovere il rafforzamento del controllo parlamentare, e sostenere mass media liberi e pluralisti, l’indipendenza del sistema giudiziario e la responsabilizzazione della società civile, dando la priorità alle donne, ai gruppi vulnerabili e alle minoranze. Tutto questo richiede impegno da parte dell’UE.

Oggi la Somalia illustra tragicamente l’indifferenza dell’Europa. Le cause della fragilità che scatenano violenti conflitti, aggravando l’incapacità dello Stato – quali cattivagovernance, estrema povertà o violazione dei diritti umani– devono essere discusse in un dialogo bilaterale, e spesso il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri non lo fanno. Occorre tenere conto delle cause della fragilità nella definizione delle strategie e nella globalizzazione degli strumenti finanziari dell’UE. L’aiuto allo sviluppo dev’essere mirato allepopolazioni e il sostegno finanziario diretto ai governi si dovrebbe prendere in considerazione solo quando esistono provedel loro impegno a risolvere i conflitti, a costruire uno Stato di diritto democratico e a migliorare la governance e la sicurezza delle popolazioni.

Infine, e purtroppo si tratta di un aspetto trascurato dalla comunicazione della Commissione e dalla risoluzione sulla quale voteremo, l’UE deve investire di più, oltre che in programmi di DDR (disarmo, smobilitazione e reinserimento) e SSR, nel controllo dei trasferimenti internazionali di armi leggere, che alimentano i conflitti armati che perpetuano la fragilità di molti Stati.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione.−(CS)Onorevoli parlamentari, vi ringrazio per la discussione breve, ma molto completa. Consentitemi di riassumerla come segue: in sostanza ha rispecchiato il sostegno del Parlamento per la posizione, il concetto, l’idea generale della Commissione. Naturalmente, nel corso della discussione sono emersi alcuni aspetti che si potranno discutere in occasioni future. Ad esempio, la questione dei trasferimenti di armi leggere e molti altri spunti che, a mio parere, arricchiscono in misura significativa il concetto generale.

 
  
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  Presidente. − Comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione(1) a norma dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì alle 12.00.

 
  

(1)Vedasi processo verbale


3. Inventario della realtà sociale (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Elizabeth Lynne, a nome della commissione per l'occupazione e gli affari sociali, sull’inventario della realtà sociale (2007/2104(INI)) (A6-0400/2007)).

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE), relatore.–(EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare i relatori ombra. Il fatto che una relazione di questa portata non abbia ricevuto emendamenti in plenaria dimostra che si tratta veramente di una relazione della commissione per l’occupazione e gli affari sociali di cui possiamo tutti essere fieri. Inoltre, desidero ringraziare la Commissione per la stretta collaborazione e la Presidenza portoghese per aver fatto della politica sociale una priorità del suo semestre di Presidenza.

L’Europa è di fronte a una sfida enorme. Una sfida in termini di equità, di potenziale perduto, di incapacità di vivere una vita indipendente dalla carità altrui, una vita libera dalla discriminazione, dalla povertà e dall’esclusione sociale.

Il nostro obiettivo è chiaro: vogliamo ampliare le opportunità, affinché nessuno rimanga indietro, a prescindere dal contesto sociale e dalle circostanze. La visione dell’Europa dev’essere di libertà e opportunità per tutti, di maggiori opportunità e incentivi al lavoro, rafforzando nel contempo la rete di sicurezza per chi non è più in grado di lavorare.

I dati del 2007 sono agghiaccianti: 72 milioni di cittadini europei continuano a vivere in povertà e l’8 % della popolazione dell’Unione europea è interessata dal problema della povertà lavorativa. Si tratta di dati veramente scioccanti. Ma che cosa significano effettivamente? Significano che un cittadino su sei ora vive al di sotto della soglia di povertà – uno su sei! Molti non crederebbero che possa essere possibile nel 2007. Cinquant’anni dopo il Trattato di Roma, cinquant’anni di crescita economica, il 10% dei cittadini appartiene a nuclei famigliari dove nessuno ha un lavoro! In ogni caso, la povertà resta uno dei principali problemi sociali in Europa, e la riduzione dell’esclusione sociale dev’essere al centro delle nostre politiche.

In alcune aree stiamo ottenendo risultati positivi, ma dobbiamo essere sinceri: nella maggior parte è il contrario. Il divario tra ricchi e poveri in molti Stati membri dell’UE è in aumento. L’eliminazione della povertà legata al reddito deve restare una priorità per gli Stati membri, ma per una persona su sei che vive in una situazione di povertà finanziaria ce ne sono molte di più che sono escluse dalla società per altri motivi. Dobbiamo prendere atto che per molte famiglie – persino per molti individui – i problemi sono più complicati del semplice reddito basso. Le barriere alle opportunità sono complesse. Più di qualsiasi altra misura, è vitale l’intervento anticipato. Ovviamente, prevenire è meglio che curare.

Nel Regno Unito, sappiamo che la figlia di una madre minorenne ha tre volte più possibilità di diventare lei stessa una madre minorenne; sappiamo che i figli di un padre carcerato sono oltre quattro volte più a rischio di venire condannati per un reato rispetto agli altri. Tuttavia, in molte aree non c’è bisogno di reinventare la ruota. Basta guardare in che modo altri paesi dell’UE affrontano questi problemi e imparare da loro. Occorre condividere con maggiore efficacia le migliori prassi. La Finlandia, ad esempio, ha introdotto un approccio sostenibile olistico che si è dimostrato incredibilmente efficace nel ridurre il numero di persone senza una casa. La Danimarca, nel frattempo, sta mettendo in atto nuove politiche per migliorare la qualità della vita dei senzatetto di lungo periodo, invece di porsi solo l’obiettivo di integrare questi individui nella società tradizionale. In Belgio, persone che hanno provato l’esperienza della povertà collaborano con gli assistenti sociali per aiutarli a capire meglio le esigenze dei poveri.

La povertà non è sempre causata dalla disoccupazione: anche la povertà lavorativa è un problema. Per questo motivo auspico uno scambio di migliori prassi per la fissazione di un salario minimo dignitoso in tutti gli Stati membri. Almeno cinque Stati membri dell’UE non lo prevedono neppure. Allo stesso modo, dobbiamo spingere tutti gli Stati membri a garantire un reddito minimo di sussistenza per tutti.

Gli Stati membri devono impegnarsi maggiormente anche per impedire lo sfruttamento dei lavoratori vulnerabili; per assicurarsi che i disabili e gli anziani abbiano accesso all’occupazione; per impedire il contrabbando; per salvaguardare i diritti dei richiedenti asilo; per garantire parità di accesso per tutti all’assistenza sanitaria e ai servizi sociali; per destigmatizzare le persone con problemi di salute mentale e promuovere un approccio più costruttivo alla droga e all’alcol.

Sono solo alcuni dei problemi trattati nella relazione. La visione dell’Europa dev’essere di libertà e opportunità per tutti. Per questo è così importante considerare l’istituzione di meccanismi a livello europeo, affinché lo scambio di migliori prassi divenga una realtà.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione.−(CS)Signora Presidente, onorevoli parlamentari, innanzi tutto desidero congratularmi con la relatrice, l’onorevole Lynne, per la sua relazione molto interessante ed esauriente. Sono lieto di vedere che il Parlamento europeo ha deciso di affrontare la gamma piuttosto ampia di problemi sociali trattati da questa relazione, problemi che devono essere risolti urgentemente. Questa relazione rappresenta un contributo significativo verso un inventario della realtà sociale su base continuativa.

Questo documento giunge in un momento in cui la Commissione e gli Stati membri stanno valutando la possibilità di rafforzare la dimensione sociale della strategia di Lisbona. Dobbiamo rispondere ai timori dei nostri cittadini e ci rendiamo conto che la giustizia sociale è uno dei problemi più sentiti. Dai sondaggi dell’opinione pubblica emerge che l’Unione europea dovrebbe svolgere un ruolo di primo piano nel promuovere una società più integrata e coesa.

Come ha affermato il Presidente Barroso durante un dibattito sulla globalizzazione ieri mattina, l’Unione europea ha compiuto notevoli progressi nella realizzazione degli obiettivi di Lisbona. Si stanno creando nuovi posti di lavoro: solo l’anno scorso i nuovi posti di lavoro sono stati 3,5 milioni. Il tasso di disoccupazione è sceso al 7% circa. Benché sia ancora troppo elevato, è comunque il più basso degli ultimi dieci anni. La crescita economica è stata soddisfacente, nonostante la recente instabilità finanziaria.

Tuttavia, non c’è spazio per l’autocompiacimento. L’attuazione della strategia di Lisbona non è stata equilibrata e non tutti i suoi obiettivi sono stati raggiunti. In effetti, 12 milioni di cittadini sono ancora disoccupati, e spesso si tratta di giovani o di disoccupati di lunga durata, con scarse prospettive di crescita professionale o di avanzamento sociale; l’8% della forza lavoro europea è colpita da povertà lavorativa; 78 milioni di cittadini europei sono poveri e uno su cinque nell’Unione europea vive in condizioni di qualità inferiore.

In breve, occorre fare di più per rispondere ai nostri obiettivi sociali comuni. Ora che si cominciano a evidenziare i risultati positivi della strategia dell’Unione europea per la crescita e l’occupazione, è il momento giusto per cominciare a perseguire gli obiettivi sociali.

Apprezzo il riferimento contenuto nella relazione alla necessaria volontà e determinazione politica per affrontare le questioni della povertà e dell’esclusione. Anch’io ritengo che sia urgente risolvere il problema della povertà infantile, combattere la discriminazione e promuovere la diversità. Naturalmente, significa monitorare il recepimento della normativa pertinente nella legislazione nazionale e, ove necessario, istituire procedimenti contro gli Stati membri scoperti ad agire in violazione della legislazione dell’Unione europea.

La relazione prende in esame anche le barriere che impediscono la partecipazione nella società e l’integrazione nel mercato del lavoro. Concordo che occorre combinare misure di sostegno con adeguate reti di sicurezza, onde garantire che nessuno rimanga escluso.

Questo atteggiamento è rispecchiato nella recente comunicazione della Commissione sull’inclusione attiva, che definisce tre elementi chiave di un approccio strategico equilibrato all’inclusione attiva:

– accesso a mercati del lavoro integrati;

– migliore accesso ai servizi;

– adeguato sostegno al reddito.

La comunicazione inoltre dà il via alla seconda fase di consultazioni con le parti sociali su questi problemi, nell’intento di accelerare la cooperazione dell’Unione europea in materia di inclusione attiva.

A seguito delle consultazioni, la Commissione intende formulare una raccomandazione sui principi comuni dell’inclusione attiva, prevista per la seconda metà del 2008. In un’ulteriore comunicazione da adottare nelle prossime settimane, la Commissione presenterà inoltre nuove misure a sostegno dell’inclusione attiva dei disabili.

La Commissione è grata al Parlamento europeo per il suo impegno costante nella lotta alla discriminazione. Come affermato nel programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2008, la Commissione intende presentare delle proposte per risolvere il problema delle lacune esistenti nella protezione ai sensi dell’articolo 13 del Trattato. Le proposte, che dovrebbero essere adottate entro la prossima estate, si baseranno sul dialogo a lungo termine con il Parlamento europeo, sull’esperienza del 2007 quale “Anno europeo delle pari opportunità per tutti” e su ampie consultazioni pubbliche.

L’Unione europea ha compiuto progressi significativi verso la parità di genere, e il Parlamento europeo si è dimostrato un partnerimportante in questo processo. Tuttavia, occorre continuare a rafforzare la parità di genere anche in futuro. Si tratta di un diritto fondamentale, nonché di una condizione vitale per raggiungere gli obiettivi dell’Europa in materia di crescita, occupazione e coesione sociale. Accolgo dunque con particolare favore il riferimento della relazione alla parità di genere.

Dal Trattato di Amsterdam, l’Unione ha fatto dei progressi in tutti i settori della parità di genere e dal 2003 nell’area delle pari opportunità per i disabili. Detto questo, c’è ancora molto lavoro da fare in entrambi i campi. Il fatto che persistano molteplici discriminazioni è un ottimo motivo per continuare a promuovere le pari opportunità in tutti i campi. Questo argomento sarà trattato nella comunicazione della Commissione da adottare nel 2008, che si baserà sugli insegnamenti tratti dall’Anno europeo delle pari opportunità per tutti.

Onorevoli parlamentari, i cambiamenti nella situazione sociale dell’UE seguono naturalmente l’evoluzione della nostra società e gli sviluppi nel concetto globale nel suo complesso. Ciononostante, sono convinto che il concetto fondamentale, ossia trovare un equilibrio tra gli aspetti di tipo economico, sociale ed ecologico, sia tuttora valido. Quindi, spetta a noi continuare a cercare nuovi approcci che ci consentano di superare i problemi che ancora sussistono.

 
  
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  Miroslav Mikolášik, relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare.–(SK)Benché sia necessario monitorare la situazione sociale e le politiche sociali negli Stati membri al fine di individuare i problemi e le sfide per l’Unione, le misure che prendiamo per affrontarli sono anche più importanti.

Per quanto concerne la sanità pubblica, dovremmo concentrarci sui problemi dei cittadini europei nel campo dell’assistenza sanitaria. Tenendo conto delle tendenze demografiche e dell’aumento dell’aspettativa di vita, occorre formulare delle strategie di sanità pubblica intese a migliorare la nostra qualità di vita, e in particolare a prevenire malattie e a combatterle con efficacia. Nel contempo, queste strategie dovrebbero tener conto dell’esigenza di un’assistenza sanitaria di alta qualità, accessibile e affidabile per i cittadini di tutti i segmenti della società, a prescindere dallo stato sociale, dall’età o dal paese di residenza.

Bisognerebbe prestare un’attenzione particolare ai gruppi più svantaggiati, quali i disabili fisici o mentali, gli anziani e i bambini. Alla luce dei crescenti costi dell’assistenza sanitaria, gli Stati membri dovrebbero adottare misure efficaci, quali campagne informative mirate, l’uso di farmaci generici, l’uso di nuove tecnologie, misure di mutua assistenza a livello locale o maggiore solidarietà tra generazioni e nelle famiglie. Inoltre, e in collaborazione con la Commissione, gli Stati membri dovrebbero formulare politiche ad hoc e sostenere iniziative per la lotta al tabagismo, all’alcolismo e all’obesità, contribuendo così a migliorare la qualità di vita dei nostri concittadini.

Ultimo, ma non per questo meno importante, dovremmo concentrarci sull’attuazione efficace della legislazione esistente in materia di sanità pubblica. Gli Stati membri e la Commissione dovrebbero garantire l’applicazione della legislazione comunitaria sulla qualità dell’acqua, dell’aria e del suolo e sull’inquinamento acustico, nonché l’applicazione delle normative sui prodotti chimici, ivi compresi quelli coperti dal sistema REACH.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. – (PT)Nel suo parere, la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere sottolinea che la povertà e l’esclusione sociale hanno un carattere pluridimensionale, con un nesso specifico con la situazione economica delle famiglie, le condizioni abitative, l’accesso all’istruzione, alla sanità e alla continuità dell’assistenza.

La commissione sottolinea che le donne e i minori sono le principali vittime della povertà e dell’esclusione socialee segnala che detto rischio si aggrava nel caso degli immigranti, degli anziani, dei portatori di disabilità e dei membri di famiglie monoparentali. Inoltre, rileva che in media il 15% degli alunni abbandona prematuramente il sistema scolastico, ma in alcuni paesi, come il Portogallo, questa percentuale raggiunge circa il 40%, il che desta preoccupazione per quanto riguarda l’istruzione e la formazione delle giovani.

Insiste sull’importanza di mantenere servizi pubblici di qualità, un solido sistema di previdenza sociale pubblico e universale, nonché elevati livelli di protezione sociale e un’occupazione di qualità e con diritti, garantendo che queste politiche pubbliche comprendano una chiara prospettiva di genere nella loro definizione e applicazione; infine, sollecita la Commissione e gli Stati membri ad attribuire la massima priorità all’inclusione sociale e ai diritti delle donne, rettificando di conseguenza le rispettive politiche e comprendendovi la politica di ripartizione dei redditi.

 
  
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  Edit Bauer, a nome del gruppo PPE-DE. (HU)Grazie molte, signora Presidente. Signor Commissario, onorevoli colleghi, la relazione dell’onorevole Lynne, per la quale mi congratulo caldamente, chiaramente non ha, né può avere, l’ultima parola in materia di inclusione sociale e trasformazione della politica sociale.

Spesso tendiamo a pensare che il modello sociale europeo sia eterno. Ma è ovvio che anche la politica sociale deve cambiare, alla luce della globalizzazione, ma anche dell’andamento dell’economia, delle aspettative sociali, della sfida demografica e dell’evoluzione dei valori, poiché occorre trovare risposte adeguate alle sfide attuali. Anche per questo motivo, l’iniziativa della Commissione di preparare una sorta di inventario dei problemi sociali che gravano sulla popolazione europea va accolta con favore.

Ovviamente, i quasi 500 milioni di cittadini dell’Unione non sono una massa omogenea. Benché le differenze di reddito tra i vecchi Stati membri siano in calo, le differenze tra regioni ricche e povere evidenziano ancora una tendenza ad aumentare. I due terzi della popolazione dei dieci nuovi Stati membri dell’UE vivono in regioni povere, dove il livello di reddito è pari alla metà, o anche meno, del reddito medio nei vecchi Stati membri. La situazione è anche peggiore in Bulgaria e Romania, dove il reddito medio non raggiunge nemmeno un terzo del reddito pro capite nei vecchi Stati membri.

Non c’è dubbio che per combattere la povertà occorre conoscere meglio le diverse forme in cui il problema si manifesta. Tuttavia, per questo abbiamo bisogno di nuovi indicatori della povertà, poiché finora disponiamo solo di dati generali sul rischio di povertà relativa.

Per questo motivo, attendiamo con ansia la comunicazione della Commissione in proposito, che richiama l’attenzione anche su nuovi rischi di impoverimento. Ad esempio, sappiamo poco in merito a quanto siano pericolose le proporzioni assunte dal debito pubblico. In 12 dei 15 vecchi Stati membri, il debito pro capite supera 16 000 euro, pari al 90% del reddito medio annuo di una famiglia.

Mi consenta un’ultima osservazione, signora Presidente. La relazione rileva ancora una volta l’importanza della lotta alla povertà infantile, a nostro parere un punto estremamente importante.

 
  
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  Richard Falbr, a nome del gruppo PSE.–(CS)Signora Presidente, signor Commissario, prima di tutto ringrazio l’onorevole Elizabeth Lynne per l’eccellente relazione e la valida collaborazione. L’esclusione sociale è dovuta a un’ampia gamma di fattori, e sarebbe veramente un peccato non dare seguito alla relazione con ulteriori iniziative. Nel mio intervento, vorrei sottolineare l’importanza dei servizi pubblici e il loro contributo all’eliminazione della povertà e dell’esclusione. Una volta privatizzati, i servizi pubblici diventano più costosi e meno accessibili. Mi dispiace che non siamo riusciti ad adottare la posizione che condanna gli Stati che applicano un’imposta di base bassa, rendendo così impossibile l’accumulo di fondi sufficienti per l’adempimento dei compiti sociali dello Stato. Sarebbe sicuramente utile se gli Stati membri si informassero reciprocamente sui rispettivi successi nell’ambito dello scambio di informazioni sui metodi sperimentati. Naturalmente, apprezzerei anche uno scambio di informazioni sui metodi che non si sono rivelati utili, o addirittura hanno sortito l’effetto opposto. So che non è una normale prassi, ma sono certo che sarebbe utile se le parti sociali e le organizzazioni non governative lo facessero.

Una condizione fondamentale per impedire che un numero crescente di cittadini degli Stati membri si ritrovino a dipendere da sistemi previdenziali spesso imperfetti è la disponibilità di un numero adeguato di posti di lavoro pagati ragionevolmente. Non possiamo tollerare il fatto che persone che lavorano spesso dipendano anche dai servizi sociali. Di conseguenza, dobbiamo puntare a stabilire un salario minimo adeguato in tutti gli Stati membri, con iniziative legislative o contratti collettivi, a seconda del metodo tradizionale di ciascun paese. Si stanno accelerando gli sforzi per adeguare i meccanismi delle pensioni di vecchiaia. Nel prendere misure per preservare il pilastro fondamentale – la pensione di vecchiaia statale – tutti gli Stati membri dovrebbero rispettare le relative convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro che hanno ratificato. L’integrazione dei disabili nel mercato del lavoro è particolarmente importante. Occorre quindi valutare criticamente le azioni dei governi che hanno abolito diversi incentivi per aumentare il numero di posti di lavoro riservati ai disabili, e la Repubblica ceca è uno di questi.

 
  
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  Ona Juknevičienė gruppo ALDE. –(LT)Mi congratulo con la collega onorevole Lynne per la sua relazione e per aver ottenuto un compromesso politico che tiene conto dei pareri dei diversi gruppi politici in merito alle realtà sociali all’interno dell’Unione.

È vero che i governi degli Stati membri sono i diretti responsabili della riduzione della povertà. Spetta a loro prendere le misure necessarie per garantire che i cittadini abbiano un posto di lavoro, che i bambini frequentino le scuole e che i più poveri beneficino dell’assistenza sociale.

Tuttavia, il ruolo dell’Unione nel risolvere i problemi connessi alla povertà e alla disuguaglianza resta altrettanto importante. Il fatto che 78 milioni di cittadini europei vivano in povertà e che il divario sociale tra poveri e ricchi sia in costante crescita indica chiaramente che occorre intervenire a livello nazionale ed europeo.

Nella maggior parte degli Stati membri esistono salari minimi adeguati. Tuttavia, esistono ancora casi in cui i datori di lavoro non pagano i salari stabiliti, agendo così in violazione della legge. Come ho già segnalato in più di una occasione, i lituani che lavorano all’estero talvolta subiscono questo trattamento illegale. Non dovremmo tollerare che i datori di lavoro si comportino in questo modo.

Apprezzo la risposta degli Stati membri all’invito del Consiglio a ridurre la povertà infantile. Tuttavia, non hanno ancora preparato dei piani d’azione per affrontare il problema. I disabili e gli anziani sono particolarmente vulnerabili. Dobbiamo assicurarci che possano ricevere almeno un’assistenza minima di lungo periodo a prezzi accessibili. Il Fondo sociale ha stanziato delle risorse a questo proposito. È una vergogna che nel mio paese restino inutilizzate.

Concordo con la posizione della relatrice sulla necessità di condividere le esperienze e di seguire gli esempi positivi in campo previdenziale. Occorre imparare dagli Stati membri che stanno facendo un uso efficiente delle risorse stanziate dall’UE, condividendo la loro esperienza. Onorevoli colleghi, per promuovere la fiducia dei cittadini nell’Unione europea e nelle sue Istituzioni dobbiamo risolvere i problemi più difficili che li affliggono.

Nel suo intervento in quest’Aula, il Presidente francese Nicolas Sarkozy ha affermato che i francesi sentono che l’UE non si cura di loro e non garantisce la sicurezza sociale. I cittadini francesi non hanno votato contro la Costituzione, ma contro l’Europa, perché non si sentono sicuri al suo interno.

La Commissione ha promesso di preparare una relazione basata sulle realtà sociali, con un’analisi delle tendenze sociali. Mi auguro che l’obiettivo principale della relazione sia un quadro di azioni che definisca le modalità per ridurre o addirittura abolire la povertà in Europa. Poi saremo in grado di ottenere il sostegno dei nostri cittadini e forse cominceremo ad avere la sensazione di lavorare per loro.

 
  
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  Sepp Kusstatscher, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, la relazione in esame contiene numerose idee in materia di politica sociale, e di questo ringrazio l’onorevole Lynne. Poiché la politica sociale nell’UE non ha la stesso peso della politica economica, questa relazione non è tanto un inventario– come dice il titolo – quanto piuttosto un elenco di misure sociopolitiche necessarie negli Stati membri.

Avrei due commenti da fare. Le questioni sociopolitiche sono di competenza degli Stati membri. Noi a livello europeo possiamo solo fare delle raccomandazioni. L’Europa è in una situazione di squilibrio perché c’è stata un’armonizzazione economica, ma non sociale. L’Europa non è diventata più equa dopo Lisbona 2000. Al contrario, la povertà è in aumento. Per combattere veramente la povertà e consentire a tutti i cittadini dell’UE di vivere con dignità e giustizia non abbiamo bisogno solo di economia, mercato e concorrenza, ma anche di un mercato interno sociale, giusto, ecologico, per tutti.

Secondo: spesso alle parole non seguono i fatti. Sappiamo bene quali sono i problemi. Non abbiamo veramente bisogno di studi e analisi. È tempo di agire. Non è sufficiente dichiarare il 2010 “Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale”. Occorre un programma efficace di lotta alla povertà, occorrono dati – affinché tutti, anche i disoccupati, abbiano un reddito di base sufficiente e possano vivere dignitosamente. Si tratta di una questione di giustizia ed è un diritto di tutti.

 
  
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  Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL. – (SV) Signora Presidente, onorevole Lynne, si tratta di un buon inventario della situazione di insicurezza sociale nella quale sono costretti a vivere ormai troppi cittadini degli Stati membri. Dall’inventario inoltre emerge la connessione tra povertà, sovraffollamento, esclusione sociale, aumento dei problemi sanitari e riduzione dell’aspettativa di vita.

Nell’inventario si rileva l’importanza del diritto alla casa, al lavoro e alla sicurezza sociale, nonché i diritti delle donne e dei disabili, Inoltre, si afferma che problemi come il gioco d’azzardo, il consumo di alcol e droghe e il tabagismo aumentano l’esclusione sociale. Quindi, la conclusione è che gli Stati membri devono affrontare questi problemi.

Fin qui tutto bene, ma la realtà spesso è molto diversa. Spesso ci si ferma alle belle parole, perché l’UE, in virtù di varie direttive e regolamenti e con riferimento alle norme del mercato interno e della concorrenza, spesso impedisce agli Stati membri di risolvere i problemi.

Inoltre, concediamo sovvenzioni ai produttori di vino e tabacco. La libera circolazione delle merci, ad esempio, impedisce alla Svezia di mantenere una politica restrittiva sull’alcol, molto importante. La Svezia ha il monopolio sul gioco d’azzardo per limitarne la pratica, ma l’UE minaccia un procedimento giudiziario. Questo doppio atteggiamento si ripete per quanto riguarda il testo della legislazione sulla pubblicità fuorviante e mirata ai bambini, perché l’UE con l’altra mano adotta direttive sulla TV che prevedono la pubblicità indiretta e mirata ai bambini.

La realtà sociale si può cambiare, ma per farlo occorre dare maggiore importanza agli aspetti della sanità pubblica e dell’ambiente rispetto alle norme di concorrenza del mercato interno e occorre dare più importanza alla sicurezza e alla previdenza sociale rispetto alla deregolamentazione e alla privatizzazione.

Il gruppo GUE/NGL intende votare a favore della relazione e continueremo a fare il possibile per migliorare la sicurezza sociale dei cittadini.

 
  
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  Kathy Sinnott, a nome del gruppo IND/DEM.–(EN) Signora Presidente, inizialmente, quando ho avuto notizia dell’inventario della realtà sociale, ho apprezzato il fatto che qualcuno volesse aprire una discussione reale sullo stato della società.

Purtroppo, leggendo i documenti della Commissione, sono rimasta delusa per il fatto che l’inventario non considerava la realtà sociale, bensì gli indicatori economici.

Non sono convinta che gli indicatori economici siano una misura affidabile della realtà sociale. Se lo fossero, il miglioramento della situazione economica dell’Irlanda negli ultimi decenni avrebbe dovuto corrispondere a un miglioramento della coesione sociale, invece che ad un aumento di problemi quali criminalità, tossicodipendenza, suicidi, alienazione, disgregazione della famiglia, esclusione e solitudine.

Non dovremmo limitarci a chiedere se una persona ha un posto di lavoro, bensì se è apprezzata, integrata e gratificata fisicamente, emotivamente, intellettualmente e spiritualmente, e dovremmo verificare se il rispetto per questa persona si estende a chiunque altro, a prescindere dall’età, dalle dimensioni, dalle capacità, dal colore e da altre caratteristiche.

Per fare un inventario corretto della realtà sociale, bisognerebbe considerare anche la sostenibilità dell’habitat naturale dell’essere umano: la famiglia. Tenendo presente questo aspetto, non ci limiteremmo a considerare il divario tra ricchi e poveri, ma anche la disgregazione della famiglia e l’isolamento sociale.

Per comprendere la realtà sociale, dobbiamo partire dalla realtà degli esseri umani che compongono la società. Vi faccio solo un esempio, e mi auguro che saprà illustrare i risultati contradditori che si ottengono considerando da un lato il denaro e dall’altro gli uomini e le donne. Siamo tutti d’accordo che le donne dovrebbero avere il diritto di lavorare e di ricevere un trattamento paritario sul posto di lavoro. Ma quando esercitiamo pressioni economiche sulle donne che amerebbero stare a casa a lavorare e magari prendersi cura di un figlio piccolo, e le spingiamo sul mercato del lavoro, registriamo un tasso di occupazione molto elevato e presumiamo che significhi una realtà sociale più sana. Tuttavia, se consideriamo il bambino, che ha bisogno della vicinanza della madre, e valutiamo la perdita che subisce, che secondo gli scienziati sarà neurologica e permanente, allora dovremmo chiederci se questa elevata occupazione si traduce veramente in un indicatore di una realtà sociale più sana.

Il lato ironico delle riflessioni a breve termine, del fatto di concentrarsi esclusivamente sulla dimensione economica di una società, è che è proprio il benessere delle persone e delle famiglie a livello umano che in ultima analisi esercita il maggiore impatto sulle nostre economie.

Prendiamo ad esempio il costo di una popolazione in difficoltà per ministero delle Finanze. Pensiamo al costo della criminalità, della droga, dell’abbandono scolastico, ecc. La crescita economica può essere annullata dalla crescita dei problemi sociali. Il termine “economia” deriva dalla parola greca che indica la gestione della casa. L’economia dovrebbe servire alle persone, aiutarle a sentirsi a casa nelle rispettive comunità, a casa con se stesse.

Se riusciamo a ottenere questo risultato, in futuro faremo l’inventario di una realtà sociale molto positiva.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL)Signora Presidente, la relazione dal titolo un po’ criptico “Inventario della realtà sociale” è stata adottata quasi all’unanimità nella commissione per l’occupazione e gli affari sociali – c’è stato un solo voto contrario – e questo non è affatto una sorpresa. Tutto sommato, le 97 raccomandazioni contenute nella relazione sono inviti ad assistere tutto e tutti: poveri, donne, uomini, giovani, anziani, disoccupati, lavoratori a basso reddito, disabili, persone oggetto di discriminazioni, malati, i sani di oggi che potrebbero ammalarsi domani, e così via.

Potrei affermare, con un po’ di ironia, che l’unico gruppo omesso dalla relazione è quello a cui appartengo: gli uomini bianchi eterosessuali di mezza età con un orientamento politico di destra.

Parlando seriamente, comunque, direi che in quest’Aula non esiste una singola persona che non sia d’accordo sul fatto che i membri più deboli della nostra società hanno diritto a una tutela e che una società civile in ultima analisi può essere giudicata in base al grado di protezione sociale che riserva alle persone che, per ragioni oggettive, trovano difficile svolgere un ruolo normale nella società. Quindi, saremmo veramente cattivi se non appoggiassimo il catalogo di buone intenzioni e di politiche sociali da Babbo Natale contenuto nella relazione.

Ciononostante, non intendo appoggiare la relazione. Il fatto è che l’elenco di raccomandazioni contiene una serie di elementi che non posso sostenere, in particolare per quanto concerne la politica di immigrazione, l’integrazione e la diversità e anche la mancanza di una protezione essenziale per la politica della famiglia. Il motivo principale per cui non posso appoggiare la relazione, però, è molto più fondamentale. La politica sociale e qualsiasi cosa possa essere compresa sotto l’etichetta di “sicurezza sociale” è un esempio eclatante di un campo di competenza degli Stati membri, e talvolta anche dei rispettivi stati federali, ma non dell’Unione europea.

A meno che qualcuno in quest’Aula abbia una macchina per produrre denaro e risorse dall’aria, sempre che una simile macchina esista, le misure di protezione sociale devono comunque essere finanziate con il denaro dei contribuenti. Questo significa che occorre fare delle scelte e che purtroppo non possiamo sempre presentarci come Babbo Natale per tutto e per tutti.

Occorre prendere delle decisioni che sono fondamentali per un’intera società e queste decisioni devono essere prese al livello più basso possibile, il più vicino possibile ai cittadini, e non nelle torri d’avorio di Bruxelles, Lussemburgo o Strasburgo.

Secondo l’esperienza nel mio paese, ad esempio, fiamminghi e valloni hanno fatto scelte sostanzialmente diverse su questioni quali l’assistenza sanitaria e l’approccio alla disoccupazione. Le società fiamminga e vallone sono diverse, i rispettivi mondi politici ed economici sono diversi e quindi optano per approcci e priorità diversi. Se questo è vero per il Belgio di oggi, quanto sarà più vero, mutatis mutandis, per i diversi Stati membri dell’Unione europea, ad esempio Regno Unito e Romania?

Sarebbe diverso se questa relazione fosse solo un elenco di buone intenzioni, ma le Istituzioni europee intendono appropriarsi del campo della politica sociale per anni, e questa non è una bella cosa.

 
  
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  Gabriele Stauner (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, contrariamente ad alcuni degli oratori che sono intervenuti prima di me, credo che ci si debba solo congratulare con la Commissione per le comunicazioni su cui si basa questa discussione. Non solo rappresentano un valido riferimento per gli Stati membri alla ricerca di fatti e dati sociali ma anche, a mio parere, un segnale certo che l’UE e la Commissione stiano considerando seriamente una politica sociale a se stante.

Se dichiariamo il nostro impegno per il modello sociale europeo, nel senso di non limitarci a celebrarlo come una tradizione e una conquista storica, ma anche di trasformarlo in un marchio dell’Europa unita per il futuro, allora un inventario della nostra realtà sociale è un presupposto fondamentale. Soprattutto a seguito degli allargamenti del 2004 e 2007, dobbiamo finalmente prendere le distanze dall’idea che la politica sociale europea sia un’appendice del mercato interno.

Tuttavia, questo non è poi così ovvio, poiché in molte aree purtroppo la predominanza della politica economica nelle proposte della Commissione è evidente. A questo proposito, ricorderei ai colleghi il Libro verde “Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo” e il dibattito sulla “flessicurezza”.Il primo è stato archiviato ieri dalla Commissione, una notizia che posso solo accogliere con gioia, raccomandando di procedere nello stesso modo con le proposte sulla “flessicurezza”, dirette contro diritti conquistati duramente dai lavoratori nei rapporti di lavoro.

Tutti i punti affrontati in questa relazione – molte grazie all’onorevole Lynne – sono di grande attualità. Penso al dibattito sul salario minimo nel mio paese e alle rivendicazioni salariali sostenute dagli scioperi in corso nelle ferrovie in Francia e Germania. Quando si parla di politica salariale, è giusto affermare che un lavoro a tempo pieno deve garantire il sostentamento della persona, uomo o donna, che lo svolge. Altrimenti non adempie alla responsabilità cristiana dei datori di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Lavorare deve valere la pena: il principio fondamentale dev’essere questo.

Quello che mi sconvolge ogni volta è la povertà infantile, che purtroppo è presente anche nel mio paese. Credo che dovremmo dedicare una particolare attenzione a questo problema, che non dovrebbe esistere. Effettivamente, mi piacerebbe assistere a rapidi progressi negli Stati membri, che rendessero superfluo dichiarare il 2010 “Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale”.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MIGUEL ANGEL MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 
  
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  Jan Andersson (PSE).(SV)Signor Presidente, signor Commissario, anch’io desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Lynne per l’eccellente lavoro e l’ottima relazione. Sono stato invitato personalmente ad un convegno nelle Azzorre dove si è svolto un dialogo tra noi, Commissione e Parlamento, e la società civile su questi temi.

Inoltre, vorrei esprimere il mio apprezzamento alla Commissione per aver trattato seriamente questi temi nella sua nuova comunicazione sull’esclusione sociale e per la sua intenzione di presentare una raccomandazione in proposito il prossimo anno. Proprio come afferma il Commissario Špidla, la situazione in Europa in generale è molto positiva, con l’aumento della crescita e dei posti di lavoro, ma nel contempo i divari si stanno allargando, e la povertà è in aumento. Esistono notevoli differenze tra gli Stati membri. In alcuni casi le differenze sono estremamente grandi, e non sto parlando solo delle differenze tra vecchi e nuovi Stati membri – ci sono nuovi Stati membri con differenze minime e vecchi Stati membri dove i divari sono profondi. Bisogna affrontare il problema.

A mio parere, la strategia della Commissione, con i suoi tre pilastri, è molto valida. Riguardo al lavoro, non basta creare posti di lavoro, perché ci sono anche lavori che non consentono di mantenersi e non sono responsabilizzanti. Occorrono posti di lavoro buoni, con retribuzioni dignitose. Quando in commissione abbiamo analizzato la situazione dei redditi minimi abbiamo notato notevoli differenze tra i vari Stati membri. È necessario uno scambio di esperienze su questo punto, per individuare le migliori prassi. Poi ci sono i servizi pubblici, ai quali tutti devono poter accedere: servizi sociali, alloggi, assistenza sanitaria e così via. Riguardo ai metodi, intendiamo rafforzare il metodo di coordinamento aperto.

In conclusione, vorrei ricordare che oggi voteremo sulla posizione del Parlamento relativa, tra l’altro, agli imminenti orientamenti integrati. La dimensione sociale dev’essere inclusa negli orientamenti integrati, per combinare gli aspetti della crescita e dell’occupazione con la dimensione sociale, cosicché riusciamo a considerare questi temi nel loro insieme e non separatamente gli uni dagli altri.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE).- (ET)Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio l’onorevole Lynne per aver sollevato una questione molto importante. Apprezzo l’intento della relazione, vale a dire di richiamare l’attenzione di varie parti interessate sulla discussione di quello che costituisce la realtà sociale dell’Europa. Si tratta di un tema di ampia portata e per questo motivo mi potrò soffermare solo su un paio di punti fondamentali.

Al Vertice di Nizza, nel 2000, gli Stati membri si erano impegnati a ottenere una riduzione significativa e misurabile della povertà e dell’esclusione sociale entro il 2010. Purtroppo, le azioni mirate a raggiungere tale obiettivo non hanno avuto un particolare successo.

Un’Europa aperta, basata sulla libera circolazione e sul libero commercio, ha contribuito al progresso economico da cui dipendono il benessere delle persone e una migliore qualità di vita. Tuttavia, negli ultimi anni è apparso evidente che per molti europei si tratta di capire se l’effetto netto della globalizzazione, della liberalizzazione e di una maggiore concorrenza contribuisca a migliorare il loro benessere.

Oggi, nel XXI secolo, il livello di povertà ed esclusione sociale in Europa è preoccupante. Il Commissario Špidla recentemente ha affermato che circa il 20% della popolazione, in altre parole un cittadino su cinque, rischia la povertà. Tutti gli Stati membri forniscono servizi e prestazioni sociali, ma anche tenendo conto di questi aiuti un sesto della popolazione vive in povertà.

Ci siamo mai chiesti perché le cose stanno così in una Unione che non è stata creata forzatamente? Perché ora, a 62 anni dalla fine della guerra e a 50 anni dall’istituzione dell’Unione, non siamo ancora in grado di garantire i diritti fondamentali delle persone? La mia domanda è questa: un’economia di successo è un fine di per se stessa o dovrebbe essere un mezzo per migliorare il benessere delle persone?

Inoltre, con gli aiuti sociali gli Stati membri si impegnano a fornire prestazioni equivalenti all’ammontare minimo necessario per vivere, a fornire aiuti sufficienti per raggiungere questo obiettivo. Non occorre recepire formalmente montagne di direttive – serve solo ad autoilludersi. Questo solleva la questione se l’attuazione puntuale dei testi approvati sia garantita al livello delle istituzioni europee, anche nelle “politiche non vincolanti”.

In Europa non dovremmo concentrarci solo sui risultati economici e sulla concorrenza, bensì considerare l’istituzione di una maggiore solidarietà sociale e di misure sociali sostenibili. E dove abbiamo adottato una decisione in tal senso, dobbiamo anche garantirne l’attuazione. I nostri cittadini si aspettano questo da noi.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN). – (PL)Signor Presidente, purtroppo lo sviluppo economico, che tutti desideriamo così ardentemente, è accompagnato da un aumento della stratificazione dei redditi, che indebolisce la coesione sociale e crea seri problemi nel caso dei gruppi più deboli – colpiti dalla disoccupazione, che percepiscono salari bassi o che hanno difficoltà ad accedere all’istruzione e all’assistenza sanitaria.

Le iniziative approvate al Consiglio europeo di Nizza sono state attuate in modo inadeguato. Esistono ancora gruppi sociali con un reddito inferiore al minimo necessario per sopravvivere. La mancanza di indipendenza economica interferisce anche con il senso di dignità delle persone. Un divieto generale alla discriminazione e una garanzia di pari opportunità, principalmente per i disabili, ovviamente sono necessari, ma comportano un aumento della spesa per finalità sociali. Poiché le nostre popolazioni stanno invecchiando sorgono timori in merito alla capacità finanziaria dei sistemi previdenziali.

Mi congratulo con l’onorevole Lynne per la sua eccellente relazione, che richiama l’attenzione su questi e altri importanti problemi sociali nei nostri paesi, nonché sui metodi che si potrebbero utilizzare per affrontarli. Sono certamente favorevole a questo progetto.

Tuttavia, vorrei richiamare la vostra attenzione su una contraddizione nell’approccio dell’Unione europea ai problemi sociali ed economici. La pressione per limitare la spesa per finalità sociali impedisce di affrontare numerosi problemi sociali. Un esempio che si potrebbe citare è la riforma del sistema pensionistico in Polonia.

 
  
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  Carlo Fatuzzo (PPE-DE).- Signor Presidente, onorevoli colleghi, non solo mi congratulo con la onorevole Elizabeth Lynne per la sua relazione, anche perché ho saputo che nel fare questo inventario di tutto quello che non funziona nel sociale in Europa, ne ha trovate così tante di cose che non funzionano che i funzionari del Parlamento sono stati costretti a trascinarla via dalla sua scrivania per essere qui questa mattina e non aveva ancora finito.

Perché è vero che c’è tanta povertà in Europa, ma perché mi sono ricordato entrando qui e vedendo il mio collega di banco Fernando Fernández di quello che lui disse a Puebla nel Messico – alcuni anni fa in cui mi trovai con lui in una conferenza sulla povertà in tutto il mondo – e lui disse: la colpa della povertà, la più importante colpa della povertà è colpa del malgoverno che c’è in tutto il mondo. Quindi i responsabili della povertà, numero uno e i primi, sono i governi, i malgoverni nazionali, non noi Unione europea: e quindi sia questa una chiamata alla responsabilità dei governi nazionali che tanto pretendono e tanto chiedono all’Europa, ma poco fanno specialmente dove c’è bisogno di fare.

E ho incontrato anche l’amico von Wogau venendo in Aula, che mi ha chiesto: ma è vero che in Italia le pensioni di chi muore, lascia una vedova o resta totalmente inabile sono di 50 euro al mese per tutta la vita? Si, Presidente, ho dovuto dirgli che purtroppo è vero! È per questo motivo, unico rappresentante dei pensionati eletto per questo in questo Parlamento europeo, dico sì al salario minimo per chi ha la fortuna di lavorare, dico sì a una pensione minima in Europa per tutti coloro che sono anziani pensionati e dico sì anche a chi disoccupato, senza lavoro, senza pensione ha diritto di avere anche lui un reddito minimo.

 
  
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  Karin Jöns (PSE).(DE) Signor Commissario, onorevole Lynne, sono molto grata alla Commissioneper le iniziative e all’onorevole Lynne per la sua eccellente relazione. Chiunque voglia combattere la povertà – come ha già ricordato l’onorevole Fatuzzo – deve realmente concentrarsi con maggiore intensità sulle generazioni più anziane. Occorre restare al passo con i cambiamenti demografici e garantire, nonostante i costi in costante aumento nel sistema sanitario, che sarà comunque possibile invecchiare con dignità anche in futuro. Gli anziani hanno diritto a un’assistenza sanitaria completa, di qualità e a lungo termine, a prescindere dal reddito o da dove vivono.

Occorre con urgenza uno scambio mirato di esperienze tra gli Stati membri su come organizzare al meglio e garantire un’assistenza accessibile e di qualità. In particolare, dobbiamo tenere conto del problema del numero crescente di persone affette da demenza. Tuttavia, per farlo abbiamo bisogno di dati validi; anche per questo chiediamo alla Commissionedi fornirci questi dati al più presto.

In un’Europa sociale, tutti i pazienti devono avere pari accesso a farmaci prescritti e prodotti medicinali. Ad esempio, è semplicemente inaccettabile che lo stesso antibiotico costi 3 euro in Belgio e 34 euro in Germania. Quindi sono lieta che con questa relazione invitiamo la Commissione e gli Stati membri ad aprire un dialogo intenso con noi, con l’industria farmaceutica e i gruppi di pazienti, al fine di definire degli orientamenti equilibrati per una maggiore trasparenza per quanto concerne l’efficacia e il prezzo dei medicinali. Questo è un altro contributo alla riduzione dei costi dell’assistenza sanitaria per tutti noi.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (EL)Signor Presidente, signor Commissario, anch’io mi congratulo con la Commissione per le due comunicazioni e mi auguro che continuerà con delle proposte costruttive.

La collega onorevole Lynne, con la sua sensibilità per le questioni sociali, e tutti noi con i nostri emendamenti, abbiamo partecipato a tutte le iniziative del metodo di coordinamento aperto (OMC) previste nei piani d’azione nazionali. La relazione sull’inventario della realtà sociale è intesa a fornire un orientamento alla politica sociale degli Stati membri e dovrebbe tenere conto del fatto che oggi in Europa esistono gravi problemi demografici che interessano direttamente la coesione sociale e la solidarietà tra generazioni.

Gli Stati membri non forniscono ancora alle famiglie il sostegno che dovrebbero ricevere, benché costituiscano la base della società. La povertà è in aumento, nelle famiglie monoparentali e nelle famiglie numerose, a causa del basso reddito, ma anche a causa del sostegno sociale carente e di un trattamento poco equo, soprattutto nella tassazione.

Le condizioni di vita delle famiglie interessano direttamente i bambini, specialmente nelle categorie sociali più vulnerabili. Le disparità nell’accesso alle risorse e alle opportunità sono in aumento e limitano lo sviluppo personale,nonché lo sviluppo economico e la coesione futuri dell’Europa. L’UE non dovrebbe essere in grado, per ciascun bambino nato sul suo territorio, di garantire un reddito che copra le spese per crescerlo ed educarlo, equivalente al reddito pro capitein ogni Stato membro?

La politica per la promozione della coesione sociale si deve basare sulla partecipazione al mercato del lavoro. Inoltre, deve contribuire all’integrazione sociale dei disoccupati e di coloro che offrono servizi informali all’interno della famiglia. Per questo motivo, gli Stati membri sono chiamati innanzi tutto a individuare dei modi per riconoscere le competenze non ufficiali acquisite nella cura di bambini e persone a carico, quali formazione preliminare ed esperienza di lavoro. In questo modo si agevolerà l’integrazione di queste persone nel mercato del lavoro, garantendo i diritti all’assicurazione e alla pensione.

La solidarietà tra le generazioni dev’essere mantenuta utilizzando le conoscenze e l’esperienza degli anziani e diffondendole tra le generazioni più giovani. Gli Stati membri sono chiamati a promuovere sistemi per lo scambio di servizi tra le generazioni e a investire in programmi di volontariato, di carattere educativo, culturale o commerciale.

Questo sarà possibile creando infrastrutture adeguate e fornendo informazioni sulle maggiori opportunità per gli anziani di partecipare a tali attività, affinché non vengano emarginati o siano vittime dell’esclusione sociale.

 
  
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  Alejandro Cercas (PSE).- (ES)Signor Presidente, onorevole Lynne, signor Commissario, grazie molte per averci presentato questa comunicazione e questo documento, che indubbiamente ci consentiranno di migliorare le nostre conoscenze sui cambiamenti e sulle tendenze, nonché sulla nostra agenda futura.

Dovremmo però evitare di fare un errore. Abbiamo molti documenti, molte analisi, molte discussioni e molte parole, ma anche in questo caso, come per le malattie, oltre alla diagnosi ci vuole la cura.

È vero, signor Commissario, che abbiamo bisogno di una cura europea, attraverso l’Unione, le sue Istituzioni e i suoi meccanismi, per affrontare i problemi di oggi e di domani, considerando che se non lo facciamo a livello comunitario sarà impossibile farlo esclusivamente al livello degli Stati membri.

Alcuni Stati membri in rapido progresso, come il mio, cominciano a risentire della minaccia di politiche intese a rallentare questa tendenza, o a istituire in altri Stati membri una concorrenza sleale con l’offerta e l’evoluzione sociale presente nei nostri paesi. Signor Commissario, la prego di tenere presente il fatto che comincia a diffondersi la sensazione che la politica sociale europea, che negli anni ’60 e ’70, come mi ha scritto oggi in una lettera un sindacalista spagnolo, era mirata ad armonizzare il progresso, e negli anni ’80 e ’90 si limitava a garantire dei requisiti minimi, ora comincia a scivolare verso una politica sociale dove gli Stati membri competono per arrivare al minimo comune denominatore.

Signor Commissario, i rischi che ci attendono in futuro non comprendono solo l’invecchiamento e la globalizzazione, ma anche una contagiosa mancanza di solidarietà e un nazionalismo aggressivo, xenofobo e antieuropeo, che minacciano le vittorie dell’Europa in campo sociale, attuali e future.

 
  
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  Agnes Schierhuber (PPE-DE).(DE)Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei associarmi ai sinceri ringraziamenti alla nostra relatrice, l’onorevole Lynne. La protezione e l’inclusione sociale contribuiscono a combattere la povertà e l’esclusione nell’assistenza sanitaria preventiva e in molte altre aree, e rappresentano alcune delle principali sfide per il futuro.

Il concetto di “reddito minimo” spesso viene discusso in modi diversi nello Stato membro dal quale provengo. Tuttavia, sostengo pienamente l’approccio dell’onorevole Stauner per quanto riguarda i posti di lavoro, il lavoro a tempo pieno e il reddito. In Austria il partenariato sociale è fortemente consolidato e ci offre una grande opportunità, utile per cercare di trovare una soluzione con l’accordo di tutti gli interessati. Questo significa che da noi non vengono proclamati tanti scioperi come in altri paesi dell’UE, dove spesso sono all’ordine del giorno.

Questo è il motivo per cui l’approccio a una regolamentazione a livello comunitario dev’essere molto attento. I diversi sistemi previdenziali nazionali ci impongono di procedere con cautela in eventuali armonizzazioni.

La nostra preoccupazione dev’essere quella di offrire una protezione sociale a tutti i lavoratori e di promuoverne l’inclusione sociale. Ovviamente dev’essere possibile che, nel quadro della sussidiarietà, gli Stati membri debbano e possano avere standard più elevati.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE).- (EN) Signor Presidente, la realtà sociale dell’Europa è una realtà di povertà diffusa. Settantadue milioni di uomini, donne e bambini vivono al di sotto della soglia di povertà, molti sono senzatetto e molti disabili o confinati nelle loro case per la mancanza di servizi. Molte persone sono intrappolate in una situazione di povertà da normative assistenziali poco flessibili.

Temo che comunicazioni e orientamenti non servano a risolvere il problema. Pur non sottovalutando le difficoltà incontrate dal Commissario Špidla, ritengo che si debbano istituire degli obblighi giuridici, affinché gli Stati membri mettano in atto i necessari cambiamenti.

I lavoratori assistono alla svalutazione delle loro pensioni e a nuove minacce alla sicurezza del posto di lavoro e molti temono la corsa al ribasso. Il problema è che la disuguaglianza è insita nel modello economico di molti Stati membri. Per molti di essi, compresa l’Irlanda, l’atteggiamento è “cominciamo a creare ricchezza e poi affronteremo i problemi sociali”. Questo significa ignorare la realtà del fatto che le disuguaglianze sociali frenano il progresso economico e che non è possibile una prosperità sostenibile per tutti se si tratta la politica sociale come un aspetto secondario e non ci si avvale del talento sprecato di 72 milioni di persone, per non parlare delle miserie umane che si nascondono dietro questo dato.

 
  
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  Tomáš Zatloukal (PPE-DE).- (CS)Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, le società europee stanno vivendo dei cambiamenti radicali per quanto riguarda la natura del lavoro e della vita famigliare, lo status sociale delle donne e la mobilità sociale. I valori sociali stanno cambiando e le società diventano sempre più multiculturali. I recenti sviluppi hanno ampliato gli orizzonti delle persone, che ora possono scegliere tra più alternative nel prendere decisioni in merito alla propria vita.

Benché gli Stati membri dell’Unione europea siano tra i paesi più ricchi del mondo, stanno emergendo nuove tipologie di povertà e disuguaglianza. Decine di milioni di cittadini europei continuano a vivere in povertà. L’inclusione e la protezione sociale sono valori fondamentali dell’Unione europea e diritti fondamentali di tutti gli individui. Tuttavia, gli Stati membri devono impegnarsi maggiormente per combattere la povertà infantile. In assenza di miglioramenti significativi nell’inclusione dei bambini di gruppi sociali svantaggiati anche a livello pre-scolastico, il numero di bambini che abbandona la scuola precocemente non diminuirà, né saremo in grado di aumentare il numero di studenti che completano la scuola secondaria, acquisendo competenze fondamentali. Un numero crescente di cittadini dovrà fare i conti con l’esclusione sociale, la disoccupazione e altri spiacevoli fenomeni sociali, pericolosi di per sé e per l’economia e la società.

Da questo punto di vista, è essenziale anche combattere la disoccupazione giovanile ed è importante eliminare gli ostacoli presenti in alcuni programmi di formazione professionale, affinché risultino più flessibili ed efficaci e rispecchino le esigenze del mercato del lavoro. In questo modo, le persone svantaggiate avranno migliori opportunità di affermarsi. Il rafforzamento della coesione sociale e l’eliminazione della povertà e dell’esclusione sociale devono rappresentare priorità politiche per l’Unione europea e i suoi Stati membri.

 
  
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  Richard Howitt (PSE).- (EN) Signor Presidente, apprezzo questa discussione e la relazione sulla realtà sociale e, pur giudicando positivamente l’inventario, lo scambio di migliori prassi e il metodo di coordinamento aperto, la realtà di cui dobbiamo renderci conto è che questi strumenti non sono ancora serviti a eliminare certe situazioni: in Germania le donne vengono pagate il 24 % in meno rispetto agli uomini; in Polonia, quasi un bambino su tre vive in povertà; e nel mio paese, il Regno Unito, il divario tra ricchi e poveri è il più elevato degli ultimi quarant’anni.

Penso che i programmi europei di finanziamenti sociali e programmi nazionali come il New Dealnel Regno Unito siano misure proattive essenziali nel mercato del lavoro per eliminare le reali barriere che impediscono a dei gruppi sociali di progredire dalla disoccupazione al lavoro;inoltre, sono convinto che il lavoro sia ancora uno degli strumenti migliori per combattere la povertà.

Ringrazio il Commissario Špidla per il fermo impegno nel programma di lavoro della Commissione riguardo alla nuova legislazione sull’articolo 13 sulla discriminazione, di cui abbiamo discusso a lungo insieme. Io e questo Parlamento attendiamo con ansia di lavorare con lui sui dettagli, non ultimo in occasione della conferenza della Presidenza la prossima settimana.

Ma tutti noi – Commissario e parlamentari – dobbiamo stare attenti ai discorsi sul fatto che l’inventario ritardi la nuova agenda sociale in Europa, o che la deregolamentazione in un dato settore effettivamente aumenti la disuguaglianza e l’ingiustizia, invece di combatterle.

I sindacalisti, le ONG in campo sociale e naturalmente i disabili, con i quali ho lavorato per oltre vent’anni, sono scettici su quello che stiamo facendo per l’Europa sociale. Dobbiamo prestare ascolto alle loro preoccupazioni e fornire una risposta.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. (CS)Signor Presidente, la discussione è stata estremamente ampia e dettagliata. Sarebbe molto difficile fornire una risposta dettagliata alle singole osservazioni, quindi consentitemi di rispondere con una breve sintesi.

Innanzi tutto, mi pare che dalla discussione sia emerso chiaramente che il Parlamento è favorevole all’idea dell’inventario della realtà sociale, e benché concordi con l’onorevole Cercas che la diagnosi non equivale alla cura, sono anche del parere che una terapia non è possibile senza una diagnosi. La nostra società è in costante evoluzione e dobbiamo trovare nuovi metodi per adeguarci, oppure riformare quelli vecchi. Per agire con efficacia, occorre comprendere il quadro globale.

Penso che la discussione presenti un altro comune denominatore, ossia il fatto che, benché la realtà sociale in certa misura abbia dinamiche proprie, noi abbiamo comunque i nostri valori: un concetto generale europeo di modello sociale che comprende l’inclusione, la protezione e le attività sociali in generale. Quindi non è accettabile, nel nostro modo di agire e di pensare, adottare un atteggiamento passivo. C’è sempre la possibilità di sperimentare politiche proattive e nuovi interventi.

Vorrei sottolineare anche una terza idea. Indubbiamente, come la maggior parte delle politiche, la maggioranza delle decisioni europee rispetta il principio di sussidiarietà, secondo il quale le politiche volte a risolvere un dato problema vengono trattate nel modo migliore e più efficace. Questo significa che non esistono dubbi in merito alla posizione degli Stati membri in materia di politica sociale. D’altro canto, dalla discussione è emerso chiaramente che l’obiettivo non si può raggiungere solo al livello degli Stati membri, senza iniziative a livello europeo. Quindi è nostro compito individuare le sinergie più vantaggiose ed efficaci in questo campo.

La discussione ha evidenziato una preoccupazione che anch’io condivido in certa misura: il timore che esista il rischio che le disparità e le incompatibilità tra le politiche sociali nei singoli Stati membri possano determinare una concorrenza che abbassi gli standard sociali. La Commissione europea non intende permetterlo. La nostra idea fondamentale è di rendere compatibili le singole politiche sociali europee, in modo tale da garantire la concorrenza e lo sviluppo dal basso verso l’alto, ai fini di un progresso che comprenda sempre una dimensione sociale.

Onorevoli parlamentari, dalla discussione emerge chiaramente che la politica sociale e quella economica non si possono porre come scelte alternative. L’unica possibilità è quella del “non solo/ma anche”, ossia di uno sviluppo equilibrato delle due politiche insieme, senza privilegiarne una rispetto all’altra. Normalmente si tende a dare la priorità alla politica economica. Tuttavia, dalla discussione è risultato chiaro che il Parlamento europeo non è favorevole a questa impostazione.

Onorevoli parlamentari, avete citato un’ampia gamma di problemi, in particolare la questione dell’assistenza sanitaria, compreso l’accesso ai farmaci e la sua organizzazione generale. Avete parlato degli effetti dell’invecchiamento demografico e dell’importanza di servizi di interesse generale. Sono lieto che tutti questi punti di vista siano rappresentati nei documenti strategici della Commissione europea. Intendiamo integrarli in una strategia globale generale.

Onorevoli parlamentari, in conclusione vorrei esprimere i miei ringraziamenti all’onorevole Lynne, la cui relazione, discussa oggi in quest’Aula, è senza dubbio un elemento importante dell’impegno globale volto a garantire un progresso in tutta l’Unione europea.

 
  
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  Presidente. − Grazie, signor Commissario. Anch’io, in qualità di Presidente, vorrei congratularmi con l’onorevole Lynne per una relazione che ha avuto un notevole impatto nella società civile.

Sono stato un testimone privilegiato di come le carovane di giovani che hanno attraversato l’Europa protestando contro la povertà e a favore dell’inclusione, abbiano fatto proprio il documento dell’onorevole Lynne portandolo di città in città, da una capitale europea all’altra, onorando il Parlamento europeo, grazie al lavoro della nostra collega.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alle 12.00.

(La seduta, sospesa alle 11.35, è ripresa alle 12.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING
Presidente

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE).- (ES) Signor Presidente, vorrei chiederle, insieme alla collega onorevole Mann, che oggi non può essere presente in Parlamento, e ad altri colleghi, di trasmettere la solidarietà dei cittadini dell’Unione europea, rappresentati da questo Parlamento, verso le vittime della tempesta tropicale, poi trasformatasi in un uragano che ha devastato Haiti, la Repubblica Dominicana, la Giamaica, Cuba, Barbados e altre zone dei Caraibi, lasciando una scia di distruzione, malattia e morte.

Inoltre, signor Presidente, esprimiamo la nostra solidarietà alle vittime delle inondazioni negli Stati messicani di Oaxaca, Chiapas e soprattutto Tabasco. Signor Presidente, vorrei chiederle di non limitarsi a trasmettere la nostra solidarietà, ma anche di invitare la Commissione europea a mobilitare gli strumenti di cui dispone per alleviare la situazione e porre rimedio ai danni che colpiscono sempre le aree più svantaggiate.

 
  
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  Presidente. −La ringrazio molto, onorevole Salafranca. Per quanto riguarda il Parlamento procederemo come richiesto, e inoltre trasmetteremo le sue riflessioni alla Commissione.

 

4. Comunicazione delle posizioni comuni del Consiglio: vedasi processo verbale

5. Turno di votazioni
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  Presidente. −L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)

 

5.1. Statuto e finanziamento dei partiti politici a livello europeo (votazione)
  

- Relazione Leinen (A6-0412/2007)

- Prima della votazione:

 
  
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  Jo Leinen (PSE), relatore. – (DE)Signor Presidente, lo scorso venerdì il Consiglio ha approvato nella sostanza il contenuto di questo regolamento sul finanziamento dei partiti politici a livello europeo. Inoltre, questa mattina in un trialogo con la Commissione e il Consiglio abbiamo raggiunto un accordo sulle questioni ancora in sospeso. Quindi, esiste la possibilità realistica di approvare il progetto in prima lettura e creare i presupposti per un finanziamento migliore già per il 2008.

Suggerisco quindi di posticipare la votazione al 29 novembre, alla prossima plenaria a Bruxelles.

 
  
  

(Il Parlamento approva la proposta)

 

5.2. Statistiche trimestrali sui posti di lavoro vacanti nella Comunità (votazione)
  

– Relazione Athanasiu (A6-0335/2007)

 

5.3. Applicazione dell’acquis di Schengen a Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia (votazione)
  

– Relazione Coelho (A6-0441/2007)

 

5.4. Ricostituzione degli stock di tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo (votazione)
  

Relazione Braghetto (A6-0408/2007)

 

5.5. L’interesse europeo: riuscire nell’epoca della globalizzazione(votazione)
  

– Proposta di risoluzione comune: B6-0435/2007

– Prima della votazione sul titolo che precede il paragrafo 1:

 
  
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  Margarita Starkevičiūtė, a nome del gruppo ALDE.–(EN) Suggerirei di modificare il titolo della prima parte in “Dimensione esterna di Lisbona”. Vale a dire, modificherei “Politiche esterne” in “Dimensione esterna di Lisbona”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Prima della votazione sul paragrafo 5:

 
  
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  Hartmut Nassauer (PPE-DE).(DE)Signor Presidente, a causa del ritiro di un emendamento orale al paragrafo 5, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei desidera votare “no”, contrariamente a quanto indicato nelle sue liste.

 
  
  

Prima della votazione sul paragrafo 14:

 
  
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  Udo Bullmann (PSE).(DE)Signor Presidente, alcuni deputati hanno un problema con la parte centrale, da points out that oneadomestic demand. D’accordo con l’onorevole Caspary del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, suggerisco pertanto di aggiungere le parole in some MemberStatesdopo European economy, e mi auguro che con questo si risolvano i problemi relativi alla parte centrale. Credo che potrebbe essere di aiuto anche al gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Prima della votazione sul paragrafo 30:

 
  
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  Daniel Caspary (PPE-DE).(DE)Signor Presidente, non ho obiezioni a rinviare il testo, ma chiederei comunque di procedere alla votazione. Se il Parlamento vota a favore, il testo diventa di competenza di altri, ma può darsi che non venga approvato, e per questo chiedo di votare sul testo originale.

 
  
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  Presidente. –Non è stata richiesta una votazione per parti separate.

– Dopo la votazione finale:

 
  
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  Jan Andersson (PSE).(SV)Signor Presidente, il Parlamento ha appena votato a favore dell’aggiornamento e della modifica degli orientamenti integrati, che riguardano, ad esempio, la dimensione sociale. Finora la Commissione ha scelto di non prestarvi attenzione.

Vorrei sentire i commenti del Commissario Špidla sulla decisione che ha preso ora il Parlamento e se intende promuovere gli orientamenti integrati aggiornati e modificati all’interno della Commissione.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione.−(CS)La decisione presa dal Parlamento ha un certo peso e la Commissione dovrà tenerne conto nel preparare l’ulteriore documentazione. Quindi, il voto del Parlamento ovviamente ha il suo peso e la questione degli orientamenti integrati è stata fondamentale nella discussione con il Parlamento.

 
  
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  Presidente. −Interpretiamo “un certo peso” come “grande peso” e raccomandiamo alla Commissione di adottare il nostro parere.

 

5.6. Applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (votazione)
  

Proposta di risoluzione comune: B6-0462/2007

– Prima della votazione:

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE. (FR)Signor Presidente, onorevoli colleghi, faccio riferimento agli articoli 19 e 166 del Regolamento. Prima che il Parlamento proceda alla votazione sulla proposta di risoluzione comune presentata da alcuni gruppi sulla libertà di circolazione, desidero condannare fermamente a nome del mio gruppo l’attacco personale al Vicepresidente della Commissione Franco Frattini contenuto nel paragrafo 13 della stessa.

Intendo denunciare una manovra politicamente poco dignitosa dei socialisti italiani, sostenuta da alcuni dei miei colleghi, che non è degna della sfida che ci troviamo ad affrontare. Cosa ancora più grave, questa distorsione falsa dei commenti del Vicepresidente Frattini, che la nostra Istituzione dovrebbe respingere, non ci permette di prendere una decisione serena.

Se il nostro gruppo dovesse votare contro la risoluzione a causa di questa manovra, questo non andrebbe comunque a diminuire il nostro sostegno a favore di tutti i rumeni e degli altri cittadini dell’UE che rispettano le leggi e il paese che li ospita.

L’Europa è fondata sullo Stato di diritto, come ribadiamo nella risoluzione firmata dal mio gruppo sull’iniziativa comune dei nostri colleghi italiani e rumeni. La questione della libertà di circolazione non è un problema solo nazionale, ma di portata europea. Onorevoli colleghi, non si tratta di un regolamento di conti politico, ma di una questione di valori.

(Applausi)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE)Signor Presidente, in quest’Aula si è tenuta un’ampia discussione alla quale ha partecipato il Commissario Frattini, che ha reagito con molta moderazione nei suoi commenti e nelle sue risposte agli interventi di vari deputati. La risoluzione critica un solo punto, ossia il fatto che, come si può dimostrare, il Commissario Frattini abbia fornito al pubblico un’informazione scorretta su un punto specifico del diritto europeo.

Il fatto che la nostra risoluzione lo corregga e chiarisca inoltre che il Commissario competente per la protezione legale dei cittadini europei abbia rilasciato una dichiarazione scorretta su una questione fondamentale relativa ai diritti dei cittadini è un compito di questo Parlamento e non ha nulla a che vedere con teorie cospirative. Tuttavia, sappiamo bene, onorevole Daul, che lei è patetico, perché è stato spinto da Forza Italia a fare la sua dichiarazione. Questo è tutto quello che c’è da dire sulla questione.

(Applausi a sinistra)

 
  
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  Presidente. −Adesso non è il momento di tenere una discussione!

 
  
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  Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE.– Signor Presidente, onorevoli colleghi, penso che questa dichiarazione del presidente Daul si commenti da sola, questo Parlamento si esprimerà con una maggioranza e ha tutti i diritti di criticare o stigmatizzare i Commissari. È un diritto sovrano di questa Assemblea!

Se abbiamo fatto quello che è stato fatto è perché il Commissario Frattini ha fatto un’interpretazione del diritto comunitario sbagliata e anche se queste urla selvagge mi impediscono di parlare, io voglio ripetere che noi agiamo qui come deputati europei verso un Commissario europeo e continueremo a farlo!

(Applausi a sinistra)

 
  
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  Presidente. −Vi pregherei di essere un po’ meno emotivi nel trattare la questione.

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE.–(EN) Signor Presidente, vorrei fare brevemente un richiamo al Regolamento. A prescindere da qualsiasi dibattito politico di partito, è veramente poco saggio che i Commissari si facciano coinvolgere in questioni di partito nei loro paesi o in altri. A mio parere, non è affatto irragionevole che quest’Aula ricordi alla Commissione i suoi doveri a questo proposito.

(Applausi a sinistra)

 
  
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  Presidente. −Ancora tre interventi e poi chiudiamo questa breve discussione.

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. (FR)Signor Presidente, non ho bisogno di aggiungere molto a quanto hanno già detto gli onorevoli Monica Frassoni, Graham Watson e Martin Schulz. Vorrei semplicemente dire che sarebbe sensato, quando un Commissario vede che le sue parole vengono contestate da quattro gruppi che non appartengono tutti alla stessa parte dell’emiciclo, che rifletta su cosa dovrebbe evitare di rifare se vuole mantenere la fiducia del Parlamento.

(Applausi)

 
  
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  Antonio Tajani (PPE-DE).- Signor Presidente, onorevoli colleghi, ai sensi degli articoli 151 e 19 del regolamento, le chiedo di valutare la ricevibilità del paragrafo 13, che contiene un immotivato ed infondato attacco personale al Vicepresidente della Commissione. Si tratta di un testo che se approvato, dopo le dichiarazioni del portavoce del Presidente della Commissione in difesa di Frattini, provocherebbe un disdicevole contrasto tra Parlamento e Commissione per motivi di politica interna. Le chiedo pertanto di mettere in votazione il testo della risoluzione senza il paragrafo 13 e contemporaneamente chiedo agli autori di ritirare il testo attraverso un emendamento orale.

 
  
  

– Prima della votazione sul paragrafo 1:

 
  
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  Roberta Angelilli (UEN).- Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei aggiungere il seguente emendamento orale: esprime il proprio dolore per l’assassinio della signora Reggiani avvenuto a Roma il 31 ottobre scorso e presenta sentite condoglianze ai suoi familiari.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Prima della votazione sul paragrafo 13:

 
  
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  Roberta Angelilli, a nome del gruppo UEN.– Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei aggiungere il seguente emendamento: considera la scolarizzazione e la lotta alla dispersione scolastica all’interno delle comunità rom uno degli strumenti fondamentali per combattere esclusione sociale, sfruttamento e criminalità..

 
  
  

(L’emendamento orale non è accolto)

– Prima della votazione sul considerando F:

 
  
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  Roberta Angelilli (UEN).- Signor Presidente, onorevoli colleghi, considerando l’importanza delle condizioni stabilite dagli articoli 5, 6, 7 e 8 della direttiva 38, relativi al diritto di ingresso e di soggiorno.

 
  
  

(L’emendamento orale non è accolto)

 

5.7. Applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen (votazione)
  

Proposta di risoluzione: B6-0448/2007

 

5.8. Situazione in Pakistan (votazione)
  

Proposta di risoluzione comune: B6-0472/2007

– Prima della votazione sul paragrafo 1:

 
  
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  Robert Evans, a nome del gruppo PSE.–(EN)Signor Presidente, in qualità di presidente della delegazione per le relazioni dei paesi dell’Asia meridionale, ho condotto i negoziati su questo testo di compromesso.Riconosco che si tratta di una questione delicata ed è importante che tutti noi prendiamo atto della situazione in Pakistan. Penso che l’intera Aula vorrà inviare un messaggio forte e unitario al Generale Musharraf.

In uno spirito di compromesso e, mi auguro, per ottenere il sostegno di tutto il Parlamento, proporrei il seguente emendamento orale. Nel considerando A, ci riferiamo al fatto che il Presidente Musharraf “ha sospeso la Costituzione e lo Stato di diritto sostituendoli con la legge marziale”. Proporrei di scrivere che li ha sostituiti “con lo stato di emergenza, de facto legge marziale”. Poi, in linea con i suggerimenti di altri colleghi, in tre altri punti, ai paragrafi 1, 10 e 11, bisognerebbe sostituire “legge marziale” con“stato di emergenza”. Mi auguro che la mia proposta ottenga il pieno sostegno dell’Aula.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

 

5.9. Conferenza di Bali sul cambiamento climatico (votazione)
  

Proposta di risoluzione: B6-0432/2007

– Prima della votazione:

 
  
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  Satu Hassi (Verts/ALE).- (FI) Signor Presidente, vorrei dire solo che un punto importante nella versione finlandese della risoluzione è stato tradotto erroneamente. Nel paragrafo 1, concernente il mandato negoziale di Bali, nel testo finlandese c’è un equivoco, che suggerisce che questa risoluzione riguarderebbe il mandato negoziale interno all’UE prima della Conferenza di Bali. In effetti, il mandato di Bali prevede che alla Conferenza i paesi che hanno ratificato l’accordo sul clima cercheranno di ottenere un mandato a negoziare per rendere possibile la definizione del prossimo accordo sul clima. In altre parole, il paragrafo 1 del testo finlandese dice “per concordare un mandato a negoziare per la Conferenza”, mentre dovrebbe dire “su un mandato a negoziare per un accordo in occasione della Conferenza”.

 
  
  

– Dopo la votazione:

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).- (EN) Signor Presidente, il mio voto dovrebbe essere registrato come contrario all’emendamento 7. Temo che si sia accesa la luce sbagliata quando ho premuto il pulsante. Questo non cambia l’esito della votazione, ma per me è una questione delicata. Chiedo quindi che il mio voto sia registrato come contrario.

 
  
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  Presidente. −Prenderemo nota della sua osservazione.

 

5.10. Sviluppo della politica europea di vicinato (votazione)
  

Relazione Obiols i Germà e Tannock (A6-0414/2007)

- Prima della votazione sul paragrafo 14/2:

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE).- (FR)Signor Presidente, mi scusi, ma vorrei solo chiarire che la cancellazione del termine “accordi di riammissione” riguarda solo la prima parte del paragrafo 14, per eliminare qualsiasi ambiguità sull’interpretazione del voto.

 
  
  

−Prima della votazione sull’emendamento 3:

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE), relatore.–(EN) Signor Presidente, vorrei aggiungere al paragrafo 19a la seguente formulazione: “sottolinea l’esigenza di coinvolgere e di collaborare con i paesi SEE (Islanda, Norvegia, Liechtenstein) e la Svizzera e di sfruttare appieno la loro esperienza di collaborazione con l’Unione europea”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Prima della votazione sul paragrafo 42:

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE), relatore.–(EN) Signor Presidente, solo per confermare che l’emendamento orale è inteso a cancellare il paragrafo, per cuidovrebbe essereconsiderato prima dell’emendamento 13, quindi l’ordine della votazione nella lista dev’essere modificato.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

 

5.11. Relazioni economiche e commerciali con l’Ucraina (votazione)
  

Relazione Zaleski (A6-0396/2007)

– Prima della votazione:

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE), relatore. – (DE)Signor Presidente, prima del voto vorrei ringraziarla, con i miei colleghi della commissione per il commercio internazionale, per l’ottimo lavoro che è stato fatto e che ci consente di risparmiare tempo grazie all’assenza di emendamenti.

La relazione dovrebbe mandare un segnale chiaro al nuovo governo e al parlamento dell’Ucraina che, da parte nostra, abbiamo fatto quanto necessario per garantire che si possano svolgere i negoziati per la zona di libero scambio. Siamo partner fiduciosi in questo dialogo. Se oggi in quest’Aula è presente un rappresentante dell’Ucraina, lo pregherei di riferire al parlamento nazionale che il Parlamento europeo raccomanda di votare senza indugio sulla richiesta di adesione dell’Ucraina all’OMC e di ratificare tale adesione non appena viene presa una decisione a Ginevra.

A reciproco vantaggio dell’UE e dell’Ucraina, chiedo a tutti voi di sostenere questa relazione. Molte grazie.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. −Onorevole Zaleski, se mi fosse consentito di congratularmi con lei per come si esprime bene nella mia lingua, lo farei volentieri.

 

5.12. Verso una risposta dell’UE alle situazioni di fragilità (votazione)
  

– Proposta di risoluzione: B6-0476/2007

 

5.13. Inventario della realtà sociale (votazione)
  

– Relazione Lynne (A6-0400/2007)

– Prima della votazione sul paragrafo 9:

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE), relatore.–(EN) Propongo che al paragrafo 9 la parola “donne” sia sostituita con “persone”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO
Vicepresidente

 

6. Dichiarazioni di voto
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  Presidente. - L’ordine del giorno reca le dichiarazioni di voto.

 
  
  

- Relazione: Jo Leinen (A6-0412/2007)

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. −(PL)La relazione dell’onorevole Leinen afferma specificamente che “la novità più importante della proposta della Commissione è che viene offerta la possibilità di sovvenzionare a carico del bilancio dell’Unione, oltre ai partiti politici europei, anche le fondazioni politiche ad essi affiliate”.

Concordo che il regolamento proposto contribuirà a migliorare la stabilità finanziaria dei partiti politici europei e il finanziamento delle campagne elettorali alle elezioni del 2009 per il Parlamento europeo.

 
  
  

- Relazione: Carlos Coelho (A6-0441/2007)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).- (SK)Un anno fa sembrava che la data dell’estensione dello spazio Schengen sarebbe stata rinviata al 2009. Sono lieta che tutti noi ci siamo impegnati per trovare rapidamente una soluzione costruttiva per far sì che la libera circolazione delle persone senza controlli ai passaporti diventasse una realtà.

Sono quindi favorevole alla relazione dell’onorevole Carlos Coelho, che conferma l’adesione allo spazio Schengen di nove nuovi Stati membri. A mio parere la libera circolazione delle persone senza controlli ai passaporti è un vero successo per l’integrazione europea, e per questo motivo sono felice di votare a favore di questa relazione. L’adesione dei nuovi Stati membri, compresa la Slovacchia, allo spazio Schengen, conferma chiaramente ai popoli europei che la cortina di ferro innalzata dai regimi totalitari comunisti tra l’Europa occidentale e orientale sarà consegnata ai libri di storia dopo il 21 dicembre 2007.

Per me il voto su questa relazione è un evento storico, perché si svolge nella stessa settimana in cui le Repubbliche slovacca e ceca commemorano – il 17 novembre – il diciottesimo anniversario della caduta del regime totalitario che impediva ai cittadini di viaggiare in Europa. Credo che tutti i cittadini europei saranno lieti di questo regalo di Natale.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL)Signor Presidente, ho votato contro la relazione dell’onorevole Coelho principalmente per richiamare l’attenzione sui numerosi problemi derivanti dalla politica delle frontiere aperte dell’accordo di Schengen. Tutto sommato, il sistema di Schengen si regge, o non si regge, da un lato su un controllo rigoroso dei confini esterni – che, per essere chiari, non viene attuato – e dall’altro su un approccio severo nei confronti del crimine in tutti gli Stati membri, coordinato in tutti gli Stati membri – che si riscontra troppo raramente. Infine, tutti i paesi dello spazio Schengen devono seguire una rigorosa politica di immigrazione, completamente incompatibile, ad esempio, con le ondate di legalizzazioni di massa a cui abbiamo assistito in molti Stati membri negli ultimi anni.

In simili circostanze, come persona e come politico, non posso rallegrarmi di non dovermi più sottoporre ai controlli alle frontiere interne, perché non lo faranno neppure criminali e immigrati clandestini, con conseguenze deleterie per la nostra società.

 
  
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  Oldřich Vlasák (PPE-DE).- (CS)Signor Presidente, mi consenta di parlare della relazione del mio collega, l’onorevole Carlos Coelho, sul progetto di decisione del Consiglio sulla piena applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen nei nove Stati membri che hanno aderito all’UE nel 2004. Personalmente, ritengo che questa decisione sia assolutamente vitale. L’adesione dei nostri paesi, compreso il mio, la Repubblica ceca, non dovrebbe essere rinviata in nessuna circostanza. Tutte le analisi ad oggi dichiarano obiettivamente che tutti questi paesi sono adeguatamente preparati per l’ampliamento dello spazio Schengen. Grazie ad uno sforzo incredibile degli Stati membri interessati, i numerosi esperti che hanno partecipato alle ispezioni, quali polizia, autorità giudiziarie, funzionari e altri, hanno riscontrato che oggi questi Stati membri sono sufficientemente preparati per applicare tutte le disposizioni dell’acquisdi Schengen in maniera soddisfacente. Presumo quindi che anche il Consiglio “Giustizia e affari interni” esprimerà il suo sostegno a questa decisione il 6-7 dicembre di quest’anno. L’importanza simbolica dell’eliminazione delle frontiere interne che i nostri cittadini associano all’adesione allo spazio Schengen passerà alla storia e si può paragonare solo alla caduta della cortina di ferro quasi vent’anni fa.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE).- (CS)Onorevoli colleghi, sono lieta che – nonostante i problemi tecnici – ci ritroviamo tutti a votare sulla relazione che conferma che i nuovi Stati membri, compresa la Repubblica ceca, sono pronti ad aderire allo spazio Schengen già nel 2008. Apprezzo l’impegno e l’apertura degli Stati membri e della Commissione durante le intense consultazioni tecniche prima dell’ampliamento. Indubbiamente, lo spazio Schengen allargato rappresenterà una sfida maggiore per la sicurezza interna dell’Europa, ma d’altro canto, e vorrei sottolinearlo, si tratta del culmine degli sforzi intesi a realizzare la libera circolazione in uno spazio veramente integrato. L’anno prossimo l’Europa sarà unita come non era mai stata prima. La cortina di ferro è definitivamente crollata e vi ringrazio per questo.

 
  
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  Sylwester Chruszcz (NI). – (PL)Signor Presidente, l’adesione della Polonia allo spazio Schengen comporta potenziali vantaggi derivanti dalla comodità nell’attraversare le frontiere, ma anche delle minacce.

Un fenomeno negativo che la Polonia vive già da qualche anno sono le difficoltà incontrate dai cittadini dei nostri vicini orientali ad entrare nel nostro paese, ivi compresi i polacchi che vivono in Bielorussia e in Ucraina. La mancanza di controlli ai confini può determinare molti fenomeni negativi associati alla criminalità e all’immigrazione clandestina. Ci preoccupano anche le misure prese per eliminare i controlli alle frontiere nazionali negli Stati membri a favore di servizi di frontiera paneuropei. Per questo motivo mi sono astenuto dal voto su questa materia.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT)Come sosteniamo da tempo, a nostro parere le aree della giustizia e degli affari interni sono competenze centrali dei singoli Stati, in particolare del Portogallo. Ci opponiamo pertanto al loro progressivo trasferimento alle istituzioni sovranazionali dell’UE in un processo che giustifica ogni nuovo “progresso” sulla base dei precedenti “progressi”.

È il caso della creazione dello spazio Schengen, con l’acquisdi Schengen, che serve da catalizzatore per la comunitarizzazione di politiche e misure connesse ai controlli alle frontiere – visti, asilo o immigrazione – ovvero di meccanismi giudiziari o di polizia.

Tanto più quando tale comunitarizzazione avviene in un contesto nel quale le principali potenze dell’UE, di concerto, si assicurano che il processo decisionale conferisca loro la possibilità di difendere e salvaguardare i loro interessi, che non è certo il caso del Portogallo.

Come abbiamo già dichiarato, la fondamentale collaborazione internazionale ed europea tra Stati sovrani con uguali diritti in questa materia è una cosa, ma l’inaccettabile cessione degli elementi fondamentali per la salvaguardia della sovranità nazionale e della democrazia a istituzioni sovranazionali dominate dalle maggiori potenze dell’UE, onde creare una “fortezza Europa”, è tutt’altra cosa.

Di qui il nostro voto.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, voto contro questa relazione in quanto, come già altre volte ampiamente espresso, anche recentemente, durante i miei interventi all’interno di questa Aula, sono fermamente contrario all’accordo di Schengen. Lo sono, ulteriormente, quando poi questo accordo diventa lo strumento per veicolare la circolazione di immigrazione clandestina e pericolosi movimenti da un capo all’altro dell’Unione.

Le frontiere di questi Paesi che si vuole far entrare a far parte dell’acquis di Schengen rappresentano un facile veicolo per delinquenti. L’incontrollata immigrazione da parte di soggetti provenienti dalla galassia della ex repubblica comunista sovietica e dal Medio Oriente beneficerebbe di un ulteriore strumento di ingresso. Senza considerare il grave disordine sociale che la libera circolazione dei cittadini per gli Stati dell’Unione indiscutibilmente causa all’Italia e agli altri paesi.

 
  
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  Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. − (SV)La cooperazione di Schengen deve restare aperta a tutti gli Stati membri che desiderano aderirvi e parteciparvi. D’altro canto, è estremamente importante che tutti i paesi aderenti alla cooperazione soddisfino già i requisiti al momento dell’adesione, perché la cooperazione comporta un confine esterno comune. In caso di carenze in un paese, la Svezia non ha modo di controllare la protezione delle frontiere. Dalle ispezioni effettuate emergono dei problemi da risolvere, per cui sarebbe ragionevole ritardare l’adesione finché non siano stati soddisfatti tutti i requisiti.

 
  
  

- Relazione: Iles Braghetto (A6-0408/2007)

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm e Inger Segelström (PSE), per iscritto. − (SV)Con questa dichiarazione di voto, i sottoscritti deputati socialdemocratici del Parlamento europeo desiderano chiarire il voto espresso sulla relazione Braghetto(A6-0408/2007).

A nostro parere, è molto importante istituire un piano di ricostituzione del tonno rosso, da tempo una specie a rischio a causa della pesca eccessiva. Col tempo questa situazione rischia di danneggiare l’intero ecosistema delle zone di pesca interessate. Tuttavia, riteniamo che la risoluzione della Commissione non sia completamente adeguata, e pertanto abbiamo espresso un voto contrario.

Abbiamo votato a favore degli emendamenti 4 e 6 della commissione – due emendamenti che comportano l’eliminazione di due esenzioni, a nostro parere discutibili, per la pesca al tonno rosso.

Abbiamo sostenuto anche l’emendamento 13, inteso a promuovere l’adozione di un piano di ricostituzione degno di questo nome. La proposta va molto al di là della proposta originale, e ha tutto il nostro sostegno. Il livello degli stockdi tonno rosso è ancora pericolosamente basso e l’Unione europea deve assumersi maggiori responsabilità per il loro ripristino.

 
  
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  Gérard Deprez (ALDE), per iscritto.(FR)Desidero chiarire il mio voto sulla relazione sul piano di ricostituzione del tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo.

Alla luce della situazione veramente critica degli stockdi tonno rosso, l’Unione europea con questo regolamento reagisce nel seguente modo: una costante riduzione dei contingenti di cattura, limitazione dei periodi di pesca, rafforzamento delle misure di controllo per contrastare la pesca illegale. Sono favorevole a queste proposte.

Tuttavia, mi sento piuttosto pessimista.

Innanzi tutto, perché gli scienziati affermano già che le disposizioni del regolamento non sono sufficienti a garantire la ricostituzione degli stock e ritengono che ci sarebbero buoni motivi per fissare i contingenti ben al di là delle percentuali di catture annuali stabilite dall’ICCAT (Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi nell’Atlantico). Sono propenso a crederlo, per cui ho dato il mio sostegno all’emendamento 13 presentato dal gruppo Verde/Alleanza libera europea.

In considerazione della presenza nel Mediterraneo di flotte di paesi extra-UE, quali Libia, Turchia, Tunisia, Giappone e Cina, che non sono membri dell’ICCAT, è chiaro che il regolamento in esame avrà effetto solo se questi paesi sottoscrivono le disposizioni in esso contenute, e non esiste la certezza che lo facciano.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’istituzione di un piano pluriennale comunitario di ricostituzione del tonno rosso è l’attuazione pratica di una delle misure adottate dalla Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi nell’Atlantico.

Il piano prevede, tra l’altro, una riduzione costante dei contingenti di cattura, fermi stagionali, un aumento della taglia minima e un sistema di osservatori a bordo dei pescherecci e negli allevamenti ittici.

La raccomandazione adottata prevede anche una compensazione finanziaria da pagare ai pescatori durante i fermi stagionali, nell’intento di salvaguardare la flotta e l’occupazione nel settore.

Riteniamo inoltre che sia importante migliorare i controlli, aggiornare periodicamente il volume di catture dei vari pescherecci per impedire che alcuni paesi superino i contingenti assegnati a scapito di altri, come avviene attualmente. Ricorderete che la stagione della pesca al tonno rosso è stata chiusa da settembre a dicembre perché si sospettava che alcuni paesi avessero già superato i contingenti, come poi si è riscontrato.

Infine, ci rammarichiamo per la reiezione della nostra proposta, che sottolineava il fatto che la pesca costiera e tradizionale su piccola scala, oltre a fornire migliaia di posti di lavoro, consente lo sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. −(EN)Ho votato a favore della proposta di regolamento del Consiglio, che istituisce un piano di ricostituzione degli stockdi tonno rosso nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo. Ai sensi della proposta, i pescatori saranno risarciti per le perdite provocate dai fermi stagionali e dalle riduzioni dei contingenti intese a consentire la ricostituzione degli stock. Si raccomanda inoltre di evitare deroghe in materia di fermi stagionali e taglie minime. Occorre un’azione incisiva per garantire che gli stockdi questa specie non si riducano senza possibilità di rimedio.

 
  
  

- Risoluzione: L’interesse europeo (B6-0435/2007)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato contro questa risoluzione che raccoglie i principali aspetti delle politiche neoliberali a livello comunitario e cerca di incoraggiarne l’attuazione a livello mondiale.

Si tratta di una risoluzione che accetta la flessicurezza come un concetto da sviluppare e integrare nei programmi di riforma nazionali di ogni Stato membro, che tenta di nascondere le reali implicazioni e gli obiettivi propri della strategia di Lisbona e dei suoi orientamenti per le politiche in materia di economia e occupazione, in particolare le liberalizzazioni e privatizzazioni.

Non possiamo accettare una risoluzione favorevole all’intenzione di sviluppare una dimensione esterna della strategia di Lisbona, e precisamente la promozione della liberalizzazione dei mercati su scala mondiale, accentuandone la natura neoliberista e la tendenza ad interferire negli orientamenti economici di paesi terzi.

Nella comunicazione della Commissione sul suo contributo all’incontro di ottobre dei capi di Stato e di governo si dichiara che il rilancio della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione è stato un successo, ma si dovrebbe aggiungere “per i grandi gruppi economici e finanziari nazionali e internazionali” che hanno visto crescere i loro profitti in maniera esponenziale, mentre i lavoratori hanno dovuto fare i conti con l’erosione dei loro diritti.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. −(EN)Io e i miei colleghi del partito conservatore britannico siamo fermamente convinti che gli Stati membri dell’Unione europea debbano perseguire politiche intese a promuovere la posizione competitiva dell’Europa nell’economia globalizzata. A nostro parere, l’Europa dovrebbe perseguire con decisione l’agenda di Lisbona,concludendo accordi nei negoziati commerciali a livello mondiale,spingendo per l’ulteriore deregolamentazione che consenta all’industria e al commercio di competere nei mercati mondiali, promuovendo la liberalizzazione nel mercato interno, attuando con efficacia la direttiva sui servizi e aderendo a una valida politica di concorrenza. Tutto questo dev’essere sostenuto da un impegno incrollabile nei confronti del libero commercio e dei mercati aperti. Alcuni di questi elementi sono presenti in questa proposta di risoluzione e lo apprezziamo.

Purtroppo però riteniamo che nel complesso questa proposta comune sia una grande occasione sprecata. Avrebbe dovuto definire i principi basilari di un approccio comunitario alla globalizzazione, come descritto sopra, ma non lo fa. La proposta contiene degli elementi che porterebbero l’Europa in una direzione che minerebbe la capacità dell’UE di competere con successo nell’economia globalizzata.

 
  
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  Marie-Noëlle Lienemann (PSE), per iscritto.(FR)Questa risoluzione avrebbe dovuto rappresentare un’occasione per affermare alcune questioni urgenti e chiarire che cosa effettivamente si aspetta il Parlamento europeo dalle Istituzioni dell’Unione europea per garantire un rilancio della crescita e un progresso sociale condiviso nei nostri 27 Stati membri, e lo sviluppo nei paesi in via di sviluppo.

Non c’è niente di tutto questo, ma solo i soliti discorsi sulle virtù della globalizzazione. Non si parla di un contrappeso democratico alla BCE, che imponga una politica monetaria favorevole all’industria e all’occupazione. Non si parla di una strategia volta a contrastare la permeabilità dell’UE ai fondi speculativi e ai fondi sovrani. Non si parla di preferenza comunitaria, né della rigorosa imposizione di norme sociali (OIL) o ambientali. E neppure di aiuti allo sviluppo, essenziali per lo sviluppo comune.

E poi ci sorprendiamo per la scarsa crescita in Europa, i problemi sociali e la sfiducia dei cittadini!

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. −(EN)Ho votato a favore di questa risoluzione composita, in risposta alla comunicazione della Commissione“L’interesse europeo: riuscire nell’epoca della globalizzazione”. La risoluzione mette in evidenza una serie di modi in cui l’Unione può trarre vantaggio dalle opportunità offerte dalla globalizzazione: promuovere condizioni paritarie in materia di concorrenza e commercio; migliorare il processo decisionale politico dell’UE, rendendolo più partecipativo; e sottolineare la necessità di un rafforzamento della dimensione sociale dell’UE.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. −(EN) Accolgo con favore questa risoluzione che richiama l’attenzione su una serie di questioni interconnesse – dai diritti sociali ai regolamenti finanziari e a come i cittadini, in conseguenza dell’espansione dei mercati, possano trarne un senso. Occorre trovare un equilibrio tra le condizioni del libero mercato e le necessità dei paesi in via di sviluppo ed è assolutamente necessario portare avanti la discussione su questo tema.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto.(NL)L’Europa non riuscirà a combatterel’aumento della povertà né il crescente riscaldamento globale – le principali sfide della globalizzazione – se insiste a mettere l’accento sulla liberalizzazione. In effetti, è il libero commercio a creare questi problemi. La globalizzazione crea l’illusione che il livello generale di prosperità nel mondo sia in graduale aumento, ma nel contempo noto un costante aumento nel divario tra ricchi e poveri negli Stati membri. La liberalizzazione è anche la causa del grande disastro ambientale che ci attende se non ci affrettiamo a prendere misure incisive e praticabili per combattere il riscaldamento globale.

Non disporre di una politica decisa in questo campo è irresponsabile e criminale. Investire in un’economia efficiente in termini energetici e creare posti di lavoro in quel settore è comunque una scelta promettente. Il principio “chi inquina paga” viene trascurato troppo spesso. In quanto membro del gruppo Verde/Alleanza libera europea deploro l’assenza di questo aspetto.

Se l’Europa vuole un mercato unico che garantisca la libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali, dovrebbe anche prevedere standard sociali e ambientali elevati, che offrano protezione e rappresentino un esempio per il resto del mondo.

Il testo proposto resta vago e superficiale ed esemplifica ancora una volta la politica della Commissione.

 
  
  

-Risoluzione: Applicazione della direttiva 2004/38/CE (B6-0462/2007)

 
  
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  Mario Borghezio (UEN).- Signor Presidente, onorevoli colleghi, sarebbe veramente ipocrita se l’Aula, dopo aver votato a stragrande maggioranza l’emendamento orale dell’onorevole Angelilli, che ricorda e porta le condoglianze e la solidarietà del Parlamento europeo alla famiglia, – ricordo – di una vittima così, direi, immotivata, così grave dei fenomeni di criminalità avvenuta nel nostro Paese, poi non prendesse una posizione chiara per prevenire questi atti, questa vera e propria mattanza di persone oneste che avviene a causa della mancanza di controlli.

Nessuno vuole, ospita nel nostro paese, in Italia, sentimenti di xenofobia, specialmente verso gli appartenenti a un popolo come quello rumeno che, come ci ricordava un’editoriale del quotidiano L’Avvenire, ci ha dato uomini di cultura come Mircea Eliade, come Ionesco, come Cioran. Una grande civiltà che noi sentiamo vicina e che ci è cugina. Altro è la questione dell’invasione di criminali e in particolare l’emergenza rom, nei cui confronti ci vuole un’azione di prevenzione e di controllo alle frontiere, adottando i rilievi fotodattiloscopici, impronte digitali per prevenire e per sapere chi entra nel nostro paese con quali intenzioni se possibile e per, soprattutto, stabilire una data certa.

Perché se non vogliamo fare delle grida manzoniane in Europa, quando diciamo che dopo i tre mesi si devono fare i controlli, bisogna sapere la data certa dell’entrata e questo, come ha ammesso nell’Aula della Camera dei deputati il ministro Amato, oggi non si fa.

 
  
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  Robert Evans (PSE).- (EN) Signor Presidente, ho votato a favore di questa risoluzione perché riconosco che la libera circolazione delle persone è un principio fondamentale dell’Unione europea, che dev’essere rispettato e difeso da tutti gli Stati membri.

Inoltre, penso che abbiamo ragione a enfatizzare ancora una volta che l’UE effettivamente è stata fondata su misure volte a combattere tutte le forme di razzismo e xenofobia e tutte le forme di discriminazione. Analogamente, tutti noi in quest’Aula dovremmo riconoscere che le popolazioni rom in Europa sono forse le più discriminate, in alcuni paesi a livelli totalmente inaccettabili. Dovremmo comprendere che l’assimilazione, l’integrazione sociale e la protezione della minoranza rom sono obiettivi che l’Unione europea deve ancora realizzare. Penso che si tratti di un obiettivo per il quale dovremmo tutti lavorare, nello spirito della libera circolazione.

 
  
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  Carlo Fatuzzo (PPE-DE).- Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato contro la risoluzione sulla libera circolazione nell’Unione europea presentata dai gruppi di centrosinistra – spiegherò subito il perché – dopo avere dichiarato che sono assolutamente e totalmente favorevole alla proposta dell’onorevole Mario Mantovani di bloccare per tre anni l’ingresso di extracomunitari, ripeto di extracomunitari, nell’Unione europea e quindi anche in Italia, e per quanto riguarda i comunitari sono favorevolissimo al diritto di libera circolazione di lavoratori, cittadini, turisti purché non sia un permesso di licenza di uccidere.

Non è possibile che, come è avvenuto negli ultimi giorni in Italia, una signora di 45 anni è deceduta mentre ritornava a casa dopo il lavoro e un medico a pochi giorni dalla pensione sia stato ucciso nel corso di un tentativo di furto nella sua casa a Milano. Questa non è libera circolazione!

 
  
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  Marian-Jean Marinescu (PPE-DE).- (RO) Ho votato a favore della risoluzione sulla libera circolazione presentata da PSE, ALDE, Verdi e GUE/NGL, benché risponda solo in parte allo scopo per il quale ritengo che dovrebbe essere redatta una simile risoluzione.

A mio parere, il testo della risoluzione avrebbe dovuto offrire un sostegno ancora più chiaro ai cittadini europei che risiedono in paesi diversi da quello di origine, e implicitamenteai cittadini rumeni che risiedono in Italia e rispettano le leggi italiane.

Il testo sul quale abbiamo votato non condanna gli atteggiamenti xenofobi verso i cittadini rumeni e non fa riferimento all’amplificazione delle tensioni tra la comunità rumena in Italia e la popolazione italiana, generata anche dall’applicazione inadeguata del decreto emesso dal Consiglio dei ministri italiano e dalle dichiarazioni di certi politici italiani.

Ritengo inoltre che, come affermato nella risoluzione comune PPE-DE e UEN, l’applicazione efficace delle disposizioni giuridiche da parte delle autorità italiane avrebbe impedito questa situazione.

Chiedo alla Commissione europea e alle autorità italiane di prendere in considerazione anche le disposizioni della risoluzione comune dei gruppi PPE-DE e UEN, che non sono incluse nel testo adottato oggi.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL)Signor Presidente, la situazione effettivamente sta diventando sempre più ridicola. Ora una maggioranza di quest’Aula ritiene addirittura necessario rivolgere accuse di xenofobia al popolo e al governo italiani. Inoltre, nella proposta di risoluzione si dichiara che l’approccio del governo italiano al problema della criminalità tra i rom rumeni presenti nel paese in numero consistente ha contribuito ad aumentare le tensioni. Quindi la colpa di tutto questo è solo dell’Italia, che avrebbe dovuto partecipare ai programmi del Fondo sociale europeo per l’integrazione dei rom.

Vorrei chiarire a questo proposito che i cittadini e il governo in Italia hanno il diritto di difendersi e che quanto è accaduto dimostra soprattutto che la direttiva è inadeguata e che si dovrebbe rendere più agevole, e non più difficile, l’espulsione dei criminali – dei criminali, attenzione, non delle persone decenti che lavorano per sbarcare il lunario.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. –(EN)Ho votato a favore di questa risoluzione comune, dove si sottolinea che il diritto alla libera circolazione è un diritto fondamentale di tutti i cittadini dell’UE. Gli Stati membri hanno l’obbligo di assistere i cittadini di altri Stati membri che vivono nei loro territori e di garantire la dignità e il rispetto dei diritti di tutti i cittadini dell’Unione, a prescindere da dove risiedono.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono fermamente contrario a queste proposte di risoluzione e voglio esprimere fermamente il mio parere contrario. Il tutto è nato da un provvedimento del governo italiano, tuttavia tardivo e poco risolutore, che si è accorto della situazione di emergenza in Italia, purtroppo solo dopo terribili episodi di cronaca che hanno visto come responsabili cittadini dell’Unione.

Le disposizioni della direttiva 2004/38/CE sono chiare, quando stabiliscono che “Ciascun cittadino dell’UE ha diritto di soggiornare [...] nel territorio di uno Stato membro a condizione [...] di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante”.

Tali proposte di risoluzione, pertanto, mi sembrano inutili e pretestuose. I trattati impongono la libera circolazione dei cittadini all’interno dell’UE e nessuno vuole fare discriminazioni in base allo Stato di provenienza. Tuttavia nel momento in cui cittadini dell’Unione commettono gravissimi ed esecrabili episodi di violenza in un altro Stato o non possono dimostrare il motivo del loro soggiorno, come stabilisce la direttiva, è nell’interesse dell’intera Unione che vengano rispediti nel loro Paese di origine.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. −(RO)Ho votato a favore della risoluzione sulla libera circolazione, promossa dal PSE insieme ad altri gruppi politici, perché considero di estrema importanza, alla luce della situazione in Italia, non creare un precedente pericoloso che metta in dubbio il rispetto dei principi fondamentali dell’Unione europea.

Credo che questa situazione si dovrebbe risolvere immediatamente, per non permettere discriminazioni nei confronti di cittadini dell’Unione europea, a prescindere dalla loro nazionalità.

Le misure proposte dalla risoluzione sono intese a proteggere dagli abusi tutti i cittadini europei. L’UE ha bisogno di tutti i suoi cittadini e i rumeni dovrebbero sentire la solidarietà della popolazione europea, perché ci sono migliaia di rumeni che lavorano all’estero e che sono apprezzati per l’impegno, l’onestà e la correttezza.

La Carta dell’Unione da allegare al Trattato di riforma elenca i diritti fondamentali dei cittadini europei: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia. L’UE garantisce la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani, nonché la protezione delle minoranze. In tale contesto, le misure proposte dalla risoluzione contribuiranno ad una migliore integrazione della comunità rom.

 
  
  

- Risoluzione: Applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen (B6-0448/2007)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).- (SK)Per ribadire quanto si afferma nella proposta di risoluzione, anch’io vorrei congratularmi con il governo portoghese per aver presentato una proposta che fornisce una soluzione tecnica provvisoria – SISone for all – che consentirà ai nuovi Stati membri di collegarsi al Sistema informativo Schengen nel 2007, prima che la Commissione introduca il nuovo Sistema informativo Schengen II.

Le mie congratulazioni vanno anche ai nuovi Stati membri che entrano nello spazio Schengen, per l’enorme sforzo compiuto per soddisfare tutti i requisiti di Schengen in un periodo di tempo così breve. L’estensione dello spazio Schengen ad includere nove nuovi Stati a partire dal 21 dicembre 2007 è anche il risultato ampiamente meritato delle azioni del Parlamento europeo per mantenere la data stabilita in origine. Per questo motivo ho votato a favore di questa proposta di risoluzione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Abbiamo votato contro questa risoluzione perché siamo contrari in linea di principio alla comunitarizzazione in materia di giustizia e affari interni, un’area centrale della sovranità degli Stati. Il Trattato di “riforma” è un tentativo di trasformare in una politica comune la comunitarizzazione di giustizia e affari interni.

La comunitarizzazione – vale a dire la perdita della sovranità nazionale – è tanto più grave quando viene promossa in un contesto caratterizzato da politiche e misure comunitarie che compromettono pericolosamente diritti, libertà e garanzie dei cittadini che rappresentano il progresso della civiltà e conquiste democratiche fondamentali.

Prendiamo ad esempio la politica di asilo restrittiva e le crescenti difficoltà incontrate dai richiedenti asilo nell’ottenere diritti e garanzie. O ancora la politica di immigrazione con la sua impostazione orientata alla sicurezza, la criminalizzazione degli immigrati irregolari, i disumani “centri di detenzione” e le misure di rimpatrio, il trattamento discriminatorio, schiavista e predatorio delle risorse umane provenienti da paesi terzi. Si pensi all’uso crescente di strumenti di informazione e di memorizzazione di dati – ivi compresi i dati biometrici – a disposizione di una serie più ampia di organismi, anche in paesi terzi, ad esempio l’accesso di enti statunitensi ai dati dei passeggeri di voli aerei.

 
  
  

- Risoluzione: Pakistan (B6-0472/2007)

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV)L’attuale clima politico in Pakistan è sicuramente critico, poiché il Presidente ha dichiarato lo stato di emergenza e sono state commesse evidenti violazioni dei diritti umani con la privazione della libertà, le violenze contro manifestanti pacifici e la riduzione al silenzio dei mezzi di comunicazione.Ci opponiamo fermamente a tutto questo, ma siamo contrari anche al fatto che il Parlamento europeo, con questa risoluzione, faccia l’ennesimo tentativo di far prevalere l’UE sulle politiche estere indipendenti degli Stati membri.

L’ONU è l’unico organismo che, a nome dei suoi membri, possiede la competenza e l’autorità di esercitare pressioni nella comunità mondiale. Ripristinare la stabilità, la pace e il rispetto dei diritti umani in Pakistan è molto importante, ma non è un compito che l’UE dovrebbe sottrarre agli Stati membri.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. −(EN) Sono d’accordo che si dovrebbe porre fine allo stato di emergenza dichiarato (de factolegge marziale) e ripristinare lo Stato di diritto con effetto immediato, e ho votato per questo.

Per molti di noi, che sono osservatori della politica pakistana, è deprimente vedere come le comunità pakistane risentono negativamente della mancanza delle nostre circoscrizioni.

Il ritorno a una procedura democratica è essenziale per la credibilità e il corretto funzionamento della politica pakistana.

 
  
  

- Risoluzione: Conferenza di Bali sui cambiamenti climatici (B6-0432/2007)

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).- (FI) Signor Presidente, per il nostro gruppo l’emendamento concernente il riconoscimento del ruolo dell’energia nucleare nella nostra dichiarazione sulla Conferenza sul clima rappresentava una parte essenziale di questa risoluzione. Per questo motivo desideriamo esprimere la nostra soddisfazione per il fatto che il Parlamento ne ha dato conferma approvando l’emendamento 7. Non siamo i soli di questo parere. Anche il gruppo sui cambiamenti climatici dell’ONU, l’IPPC, ha confermato il ruolo dell’energia nucleare come forma di energia a bassa emissione. Inoltre, forse dovremmo ricordare che quest’Aula ha preso una decisione storica sulla relazione dell’onorevole Reul, con 509 voti a favore. Il Parlamento europeo ha riconosciuto che l’energia nucleare attualmente è la principale fonte di energia con basse emissioni di biossido di carbonio, e nel contempo ha evidenziato il suo ruolo nella lotta contro il cambiamento climatico.

D’altro canto, il nostro gruppo si è dichiarato contrario al paragrafo 25 della risoluzione, perché a nostro parere fa un inutile collegamento, o comunque un confronto, tra l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare e la diffusione di armi nucleari e la minaccia del terrorismo. Dovremmo ricordare che nell’atmosfera non esistono censori morali e non si evita una forma di energia, né si simpatizza per un’altra, per motivi ideologici. Solo l’eliminazione delle emissioni è importante, e ora le emissioni non sono le benvenute. In ogni caso, vorrei dire che siamo lieti che questo Parlamento abbia inviato un messaggio chiaro per la Conferenza sul clima e abbia riconosciuto la gravità della minaccia del cambiamento climatico.

 
  
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  Karin Scheele (PSE).(DE)Signor Presidente, la mia delegazione, dei socialdemocratici austriaci, si è astenuta dalla votazione sulla relazione sulla Conferenza di Bali esattamente per i motivi illustrati anche dall’onorevole Korhola. Appoggiamo gli altri messaggi politici della relazione, che è ottima. Ma la mia delegazione non può accettare di trasmettere il segnale che l’energia nucleare è un elemento essenziale per la lotta al cambiamento climatico. Inoltre, ritengo che dovrebbe spettare ai paesi e ai continenti decidere quale strategia seguire.

Vorrei sottolineare nuovamente il sostegno della mia delegazione riguardo a tutti gli elementi di questa relazione, compresa l’esclusione dei progetti relativi all’energia nucleare dal “meccanismo di sviluppo pulito”. Tuttavia, non intendiamo appoggiare questo segnale politico a favore dell’energia nucleare e per questo ci siamo astenuti. Per dimostrare il nostro assenso per il resto della relazione, che nel complesso è valida, non abbiamo espresso un voto contrario.

 
  
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  Bairbre de Brún, Jens Holm and Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. −(EN)Siamo a favore della risoluzione sull’imminente Conferenza di Bali, che tratta numerosi punti importanti. Tra l’altro, chiarisce l’ammontare consistente di emissioni derivanti dal settore zootecnico e sottolinea anche l’importanza del sostegno ai paesi in via di sviluppo nel lavoro di prevenzione e mitigazione inteso a limitare gli effetti negativi del cambiamento climatico. Tuttavia, non sosteniamo l’idea che l’energia nucleare debba essere considerata uno strumento necessario per prevenire il cambiamento climatico.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT)Ho votato a favore della proposta di risoluzione del Parlamento europeo sulla limitazione del surriscaldamento dovuto ai cambiamenti climatici a +2°C - la via da percorrere fino alla Conferenza di Bali sui cambiamenti climatici e oltre (COP 13 e COP/MOP 3). In considerazione del fatto che il cambiamento climatico oggi è una delle principali sfide per la società, penso che sia fondamentale che l’Unione europea rinnovi il suo ruolo guida in occasione della Conferenza di Bali e che si raggiunga un accordo globale sul clima post2012.

 
  
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  Elisa Ferreira (PSE), per iscritto. – (PT)L’emendamento 7 distrugge lo spirito di compromesso che era prevalso nei negoziati sul testo finale. La sua approvazione introduce un cambiamento fondamentale in un testo che avrebbe dovuto raccogliere un ampio consenso parlamentare sulle sfide di Bali.

Quindi, nello spirito di quell’obiettivo generale e, benché in qualità di relatore ombra avessi indicato al Partito socialista che avrei votato a favore, personalmente mi sono trovata costretta ad astenermi nella votazione finale, per protesta contro due aspetti: l’introduzione nel testo del summenzionato emendamento 7, che sostiene l’energia nucleare, e il metodo utilizzato dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e Democratici europei alla luce dello spirito di compromesso prevalso durante i negoziati sul testo.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT)Èvero che stiamo notando cambiamenti climatici molto marcati, rapidi e innaturali, derivanti da molti fattori, ma in particolare dalla natura predatoria delle politiche neoliberiste. Occorrono misure efficaci per adeguare le società umane a nuove condizioni di vita.

I cambiamenti climatici anticipati in diversi scenari scientificamente credibili e motivati potrebbero anche non essere lenti e graduali, a seconda delle misure prese nel frattempo.

Esiste un urgente bisogno di prendere misure più incisive e trasversali per evitare problemi più gravi in futuro, come la proliferazione di tragedie umane e ambientali.

Tuttavia, vogliamo sottolineare anche l’esigenza di rompere con le politiche neoliberiste a livello europeo e mondiale, altrimenti le maggiori potenze e le multinazionali continueranno ad imporre i propri interessi in termini di profitti, nello sfruttamento delle risorse naturali e nel commercio internazionale, ivi compreso lo scambio di emissioni di gas a effetto serra, che avrà un impatto estremamente negativo sullo sviluppo umano equilibrato.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV)I problemi ambientali sono transfrontalieri e pertanto la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite è un’importante arena diplomatica per il cambiamento a livello mondiale. Nella risoluzione in questione, l’UE mira a riunire gli Stati membri sotto una bandiera comune per indirizzare i negoziati in quella che considera la giusta direzione.

Quello di limitare il cambiamento climatico è un obiettivo valido, ma è deplorevole che nelle mani dell’UE la politica ambientale mondiale oltrepassi i confini della politica estera nel momento in cui dettiamo a paesi terzi e agli Stati membri come dovrebbero essere le rispettive politiche nazionali sul clima. La June Listritiene che ogni paese dovrebbe votare singolarmente alla Conferenza sul clima e per questo abbiamo scelto di votare contro la risoluzione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. −(EN)Ho votato a favore di questa risoluzione della commissione sul cambiamento climatico, che definisce la proposta di posizione negoziale dell’UE per l’avvio dei colloqui sul futuro della cooperazione globale sul cambiamento climatico dopo il 2012. La risoluzione contiene una posizione valida per una riduzione progressiva delle emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale, tenendo in considerazione l’impatto sociale del cambiamento climatico, l’intenzione auspicata dall’UE di limitare il riscaldamento globale ad un massimo di 2°C e l’esigenza vitale di una adesione globale al sistema.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE), per iscritto. −(EN) A nome della delegazione Fine Gael (PPE-DE):

i deputati di Fine Gael hanno votato a favore della proposta di risoluzione, poiché ritengono importante fornire l’opinione del Parlamento europeo sul cambiamento climatico prima della Conferenza di Bali. Tuttavia, hanno votato contro l’emendamento 7, poiché sono da sempre contrari all’energia nucleare.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. −(EN) Desidero ringraziare i relatori,che si sono concentrati sugli aspetti relativi a uno dei problemi più importanti del nostro tempo.

I limiti alle emissioni con obiettivi di riduzione, accanto alla produzione di energia alternativa non basata sul carbone, in alcune giurisdizioni non sono accettati nel modo concordato dall’UE. Ma questa Conferenza può fare molto per unire e coordinare gli interventi internazionali.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. −(RO)La risoluzione sulla limitazione dei cambiamenti climatici a 2°Cè un documento estremamente importante per il nostro futuro e per questo motivo ho votato a favore della sua adozione.

I cambiamenti climatici rappresentano una sfida notevole, con conseguenze catastrofiche per l’ambiente e le comunità umane.

Si tratta di un problema che dovremmo affrontare con misure a breve, medio e lungo termine. I cambiamenti climatici hanno già avuto effetti disastrosi sull’agricoltura, sui sistemi idrologici, sulle foreste, sulla fauna e sulla flora. Paesi quali Grecia, Romania, Bulgaria, Spagna e Portogallo hanno affrontato periodi di siccità e inondazioni.

L’UE dovrebbe riaffermare il proprio ruolo di leader nella lotta al cambiamento climatico. I meccanismi finanziari disponibili per proteggere le risorse idriche, evitare la deforestazione e promuovere tecnologie non inquinanti dovrebbero essere aumentati e resi disponibili all’accesso degli Stati membri.

Dobbiamo consentire ad ogni Stato membro di definire il proprio mixdi risorse energetiche. Nel contempo, gli Stati membri che producono energia nucleare dovrebbero garantire la sicurezza delle installazioni e in particolare un adeguato smaltimento delle scorie. Sono necessari fondi per la ricerca finalizzata alla riduzione della quantità di scorie e all’aumento della sicurezza delle installazioni.

 
  
  

- Relazione: Raimon Obiols i Germà, Charles Tannock (A6-0414/2007)

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL)Signor Presidente, non intendo affatto sminuire l’ottimo lavoro svolto dai due relatori sullo sviluppo della politica europea di vicinato, ma vorrei segnalare che la relazione presenta una lacuna: omette di richiamare l’attenzione sull’immensa sfida rappresentata dall’immigrazione dal sud del mondo, per la quale a mio parere anche gli stessi paesi nordafricani hanno enormi responsabilità.

Avrei voluto che questa relazione contenesse un appello per una politica comune tra gli Stati membri dell’UE e i paesi nordafricani per contrastare l’immigrazione clandestina, che invitasse gli stessi paesi nordafricani ad impegnarsi e facesse dipendere il sostegno finanziario e materiale degli Stati membri dalla buona volontà, da un approccio comune a questa enorme sfida.

A mio parere, si tratta di un aspetto fondamentale che manca nella relazione e per questo mi sono astenuto dal voto.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT)A seguito della decisione di compiere nuovi passi significativi nell’integrazione capitalista europea, precisamente al livello di quello che è noto come il “ruolo dell’UE nel mondo”, che si traducono nel progetto “costituzionale” – ora ripreso nel Trattato di “Riforma” – e nelle attuali politiche dell’UE, la maggioranza del PE sta approvando una relazione, che sarebbe obbligatorio leggere, sul rafforzamento della politica europea di vicinato (PEV).

Qualsiasi dubbio in merito agli scopi e alle ambizioni reali dell’UE in relazione alla PEV si chiarirebbe immediatamente leggendo la relazione. Si tratta di un programma inteso effettivamente a interferire nell’intera area del Mediterraneo, del Medio Oriente, dell’Asia centrale e dell’Europa orientale, e a controllarla. È un programma mirato a realizzare obiettivi quali “stimolo e rafforzamento dell’impegno dei governi dei paesi PEV sulle riforme politiche ed economiche”, l’assimilazione delle “politiche comuni” dell’UE da parte di questi paesi e il loro “allineamento con la politica estera dell’UE”, nonché la creazione di una zona di libero scambio.

La relazione auspica inoltre “un maggior numero di azioni comuni da parte dell’UE e degli USA” per “la promozione della democrazia, il consolidamento della sicurezza energetica e il rafforzamento della sicurezza regionale nel vicinato dell’UE”, un punto talmente trasparente da essere ridimensionato nella votazione in Aula.

Sarebbe meglio leggere la relazione...

 
  
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  Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. −(PL)La politica di vicinato assume nuova importanza in un momento in cui l’ulteriore allargamento dell’Unione europea sta passando di moda. Il vicinato del Mediterraneo presenta caratteristiche diverse dal vicinato dell’Europa orientale, dove molti paesi usciti dall’area di influenza sovietica dichiarano apertamente il proprio desiderio di accedere alla Comunità europea. In questo caso, come polacchi, ungheresi e lituani possono ben capire, qualsiasi forma sostitutiva di coinvolgimento non può soddisfare le ambizioni nazionali, esercita un’influenza minore sugli orientamenti necessari nell’evoluzione politica ed economica di questi paesi e fornisce scarsi incentivi a rafforzare le procedure di uno Stato basato sulla democraziae sullo Stato di diritto, sui principi di mercato e su un reale rispetto per i diritti dei cittadini.

Dalla prospettiva di un paese ai confini dell’Unione europea come la Polonia, sembrerebbe che la politica migliore fosse la massima apertura alle aspirazioni dei paesi ubicati al di là del nostro confine orientale, ovviamente nell’intento di creare un’area di stabilità attorno all’Unione europea e limitare il campo d’azione della demagogia, che abbonda nelle giovani democrazie.

È giustificato anche uno sforzo di bilancio basato sullo Strumento europeo di vicinato e partenariato (ENPI), il nuovo strumento che sostituisce i programmi TACIS e MEDA, a sostegno dell’evoluzione auspicata nella nostra parte del mondo. Finora, il vicinato dell’Europa orientale ha ricevuto minori finanziamenti del vicinato del Mediterraneo. Più l’Unione europea si allarga, maggiori diventano le nostre responsabilità nei confronti del Vecchio Continente.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL)La relazione sullo sviluppo della politica europea di vicinato riassume i modi e i mezzi dell’intervento imperialista nei paesi vicini e rientra nella strategia imperialista dell’UE a livello mondiale. Come al solito, la relazione usa le “riforme democratiche” e la “democratizzazione” nei paesi vicini come il pretesto più adatto per esercitare coercizioni e pressioni sui governi che non si allineano alle sue politiche. Si tratta di sostenere e finanziare l’attività delle numerose organizzazioni della società civile, affinché possano portare avanti il loro ruolo di erosione all’interno di questi paesi e promuovere i piani interventisti dell’UE.

Il Parlamento europeo invita i paesi vicini a partecipare alla politica anti-migrazione dell’UE, intensificando le misure repressive contro i migranti. Li invita a collaborare strettamente in tutti i suoi meccanismi repressivi, quali Europol e l’agenzia di protezione delle frontiere Frontex; li integra nei paesi dell’UE per limitare la libertà democratica e colpire i movimenti popolari, con il pretesto di combattere il terrorismo. Auspica apertamente “azioni comuni da parte dell’UE e degli USA nel portare avanti obiettivi” quali interventi imperialisti comuni e la divisione del bottino.

È nell’interesse dei popoli resistere, capovolgendoli, ai piani imperialisti dell’UE e degli USA in quest’area e intensificare la lotta per l’indipendenza nazionale e la sovranità popolare.

 
  
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  Pierre Schapira (PSE), per iscritto.(FR)Il rafforzamento della politica europea di vicinato (PEV), come descritto in questa relazione, richiede l’approfondimento della cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo, attraverso l’intensificazione del dialogo tra governi, autorità locali e rappresentanti della società civile. Inoltre, è essenziale ricordare che la PEV deve seguire gli orientamenti stabiliti dalla politica di sviluppo dell’Unione europea. Quasi tutti i paesi del Mediterraneo meridionale e orientale sono paesi in via di sviluppo, secondo l’elenco ufficiale stilato dal Comitato per gli aiuti allo sviluppo dell’OCSE. La realizzazione degli obiettivi di sviluppo del millennio dovrebbe pertanto essere una priorità delle iniziative dell’UE nella regione.

 
  
  

- Relazione: Zbigniew Zaleski (A6-0396/2007)

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE).- (SK) Sono favorevole al rafforzamento dei rapporti con l’Ucraina e sostengo la promozione del dialogo strutturato con questo paese, nostro immediato vicino a est.

In occasione delle ultime elezioni, l’Ucraina ha mostrato una grande determinazione a mettere in atto le riforme democratiche. Ha deciso di continuare con una coalizione chiaramente pro-europea, moderna e progressista. Inoltre, dobbiamo ricordare che l’Ucraina è un paese vasto, con un interessante potenziale economico, nonché un partner serio nelle relazioni economiche. È tempo di firmare un accordo di cooperazione economica con l’Ucraina, per una zona di libero scambio, in considerazione del fatto che l’Ucraina sta per aderire all’Organizzazione mondiale del commercio.

Sono pienamente favorevole alla creazione di un sistema affidabile di transito dell’energia tra l’Ucraina e l’UE. Sono molto favorevole alla cooperazione nell’agricoltura e in materia ambientale, ma vorrei porre l’accento innanzitutto sulla cooperazione nel settore della scienza e dell’istruzione e sul rafforzamento della dimensione dell’economia basata sulla conoscenza.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).- (SK)L’Ucraina è un vicino di importanza strategica per l’UE e un “ponte” naturale che collega l’UE con la Russia e l’Asia centrale. Si tratta di un grande paese, che con la “rivoluzione arancione” ha preso la strada della democrazia. L’Ucraina è ormai un partner fondamentale della politica di vicinato dell’Unione europea.

La nostra collaborazione con l’Ucraina deve migliorare e dobbiamo fornire tutto il possibile sostegno diplomatico e politico all’adesione dell’Ucraina all’OMC. I negoziati sulla zona di libero scambio dovrebbero cominciare al più presto, affinché si possa firmare un accordo ambizioso altrettanto presto. Tutti noi sappiamo quanto sia complessa la situazione in Ucraina, una democrazia molto giovane e fragile. Oggi questo paese si trova di fronte a una decisione strategica: spostarsi verso la Russia o verso l’Unione europea?

Per questo motivo, l’eccellente ed equilibrata relazione dell’onorevole Zbigniew Zaleski giunge in un momento in cui l’Ucraina ha bisogno di una chiara prospettiva europea. Mi compiaccio di questa relazione e le ho dato il mio sostegno inequivocabile nella votazione. A mio parere, dopo le elezioni parlamentari il paese sarà in grado di formare un governo che avvicinerà ulteriormente l’Ucraina alla nostra casa comune europea.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL)Signor Presidente, l’intenzione dell’Unione europea dovrebbe essere quella di promuovere relazioni sempre più forti e più strette con l’Ucraina. La relazione dell’onorevole Zaleski, che abbiamo approvato, contiene molti suggerimenti in questo senso.

L’Ucraina dovrebbe essere il nostro partner strategico, non solo per la sua specifica ubicazione geografica e le sue dimensioni, ma in particolare in virtù del ruolo che svolge nella regione e delle sue relazioni con la Russia e gli Stati dell’Asia centrale. È dunque nell’interesse dell’UE rafforzare e sviluppare i legami economici e politici con questo paese.

Siamo tutti consapevoli di quanto debba impegnarsi ancora il popolo ucraino sulla strada per raggiungere standard occidentali nell’economia, nel livello di vita, in campo sociale e nel rafforzamento del sistema democratico nello Stato. L’UE dovrebbe fornire un aiuto per il raggiungimento di questi obiettivi, e un modo per farlo sarebbe quello di concludere un accordo di libero scambio con l’Ucraina, nonché di sostenere la sua adesione all’OMC. Questo contribuirebbe a rafforzare l’economia di mercato, la democrazia e lo Stato civile, portando l’Ucraina più vicina all’adesione all’UE.

L’avvicinamento di UE e Ucraina è un processo lungo e difficile, che procede a diversi livelli, ma è comunque necessario. Affinché le due parti si avvicinino, l’Ucraina deve proseguire con le riforme economiche e sociali già avviate, mantenere la sua politica pro Europa e rafforzare la sua democrazia. Da parte sua, l’UE deve mandare un chiaro segnale del fatto che esistono delle prospettive per l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV)La June Listè favorevole all’aumento degli scambi e all’intensificazione delle relazioni economiche con l’Ucraina. Un simile sviluppo sarebbe vantaggioso per entrambe le parti nel breve e nel lungo periodo. Tuttavia, è evidente che lo scopo di fondo della relazione non è solo il rafforzamento delle relazioni economiche, ma anche l’affermazionedella politica estera dell’UE. Il tono della relazione è palesemente dittatoriale e le proposte per la cooperazione sono presentate quasi esclusivamente alle condizioni dell’UE e mantenendo in primo piano gli interessi dell’UE. Per questo motivo la June List ha scelto di votare contro questa relazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. −(EN)Ho votato a favore della relazione in esame, in qualità di relatore ombra del gruppo socialista. Il documento indica le aree dove UE e Ucraina dovrebbero rafforzare le loro relazioni e tratta di una zona di libero scambio con l’Ucraina, delle forniture di energia e delle relazioni con la Russia. Le relazioni commerciali ed economiche costituiscono una componente fondamentale di un auspicato rapporto più forte e più profondo tra l’UE e l’Ucraina.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT)Le relazioni dell’UE con l’Ucraina rientrano nella politica europea di vicinato che, come sottolinea la relazione, mira a sostenere lo sviluppo dell’economia di mercato nei paesi confinanti con l’UE, in altre parole il capitalismo.

La relazione mira alla firma di un accordo di libero scambio (ALS), ossia all’integrazione dell’Ucraina “nel mercato unico comunitario” mediante il “graduale recepimento da parte dell’Ucraina dell’acquis comunitario”.

Cito la relazione:

- “esorta l’Ucraina … a prestare maggiore attenzione alla liberalizzazione del mercato assicurando la positiva realizzazione del processo di privatizzazione, lo smantellamento dei monopoli” (leggi: aziende pubbliche) “e l’indipendenza della Banca nazionale dell’Ucraina”;

- “incoraggia il ravvicinamento e la convergenza delle norme nei settori dell’agricoltura, dell’industria e dei servizi” attraverso “la conformità con le norme comunitarie”, e alla luce dell’adesione condizionata dell’Ucraina allo spazio economico unico (SES) con la Russia e altre ex repubbliche dell’Unione sovietica “ricorda che alcune disposizioni dell’accordo SES, se pienamente attuate, potrebbero essere in contraddizione con l’instaurazione di una zona di libero scambio con l’UE”. Che lo si creda o meno, come afferma il relatore,l’accordo con la Russia “impedirebbe di fatto all’Ucraina qualunque forma reale di sovranità economica e avrebbe pesanti ripercussioni sull’indipendenza del paese”.

Che dire di più...

 
  
  

- Risoluzione: Verso una risposta dell’UE alle situazioni di fragilità (B6-0476/2007)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT)Troviamo alcune delle tendenze che “in certa misura costituiranno l’approccio umanitario dell’UE in futuro” molto preoccupanti ed estremamente negative, nella forma di iniziative quali “la risposta dell’UE a situazioni di fragilità nei paesi in via di sviluppo” o “il consenso europeo in materia di sviluppo”, mirate sostanzialmente ai paesi africani, ma anche ai paesi dei Caraibi e del Pacifico.

Da un’analisi di queste iniziative emerge il tema centrale di includere lo “sviluppo” nelle dimensioni esterne al fine di realizzare gli obiettivi strategici delle principali potenze dell’UE (PESC/PESD), vale a dire la promozione dello “sviluppo” come strumento di interferenza e controllo in una strategia che, significativamente, non esclude “l’intervento militare coercitivo”.

Di qui un ampio programma e un’intera gamma di strumenti che, a nostro parere, fondono e confondono i confini tra “aiuto” e “interferenza”, ad esempio su questioni fondamentali quali la “costruzione dello Stato”.

Esiste certamente un’urgente necessità di mostrarsi solidali con molti paesi che hanno ereditato situazioni disastrose dal colonialismo e che sono vittime di decenni di interferenze, ma questa solidarietà, per essere efficace, si deve basare sul rispetto dei principi della sovranità e dell’indipendenza nazionale e su una politica di cooperazione e di aiuto allo sviluppo efficace e genuina.

 
  
  

- Relazione: Elizabeth Lynne (A6-0400/2007)

 
  
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  Carlo Fatuzzo (PPE-DE).- Signor Presidente, onorevoli colleghi, con grande piacere dichiaro che ho votato a favore della proposta dell’onorevole Elizabeth Lynne di lottare contro la povertà che c’è in Europa.

A questa, come vede, affollatissima Aula del Parlamento europeo a Strasburgo, devo però denunciare il fatto che in Italia vi sono delle discriminazioni nei confronti degli anziani pensionati, che li fanno vivere in povertà se diventano inabili dopo i 65 anni di età, mentre concede loro un’indennità economica importante se diventano inabili prima dei 65 anni di età.

E allora Presidente, poiché il 12 dicembre 2007 prossimo, a Bruxelles verrà firmata la nuova forma di trattato che prevede forma giuridica alla Carta dei diritti fondamentali, chiedo che venga il 12 dicembre aperta una procedura d’infrazione contro l’Italia perché viola il diritto degli anziani di essere considerati tali e quali tutti gli altri cittadini di età diversa da quella anziana.

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm e Inger Segelström (PSE), per iscritto. − (SV)Noi socialdemocratici svedesi abbiamo votato a favore della relazione. È importante che in Europa si intensifichi la lotta alla povertà a all’esclusione sociale. Tuttavia, vorremmo chiarire la nostra posizione. Al paragrafo 32 si parla dell’istituzione di un salario minimo dignitoso nei singoli Stati membri. La relazione afferma chiaramente che si dovrebbe fare, se del caso, in collaborazione con le parti sociali. Riteniamo pertanto che il modello di accordo collettivo presente nei paesi nordici sia coperto dalla formulazione.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. − (SV)I conservatori svedesi valutano positivamente gran parte della relazione sull’inventario della realtà sociale. Nel caso di molte delle proposte, quali quelle concernenti la migrazione economica e le maggiori opportunità di conciliare un lavoro retribuito con la famiglia, siamo stati una forza trainante nella politica nazionale.

Tuttavia, i conservatori svedesi hanno scelto di votare contro la relazione poiché numerose proposte superano i confini del principio di sussidiarietà. Ad esempio, non riteniamo che il Parlamento europeo debba occuparsi dei programmi di recupero negli istituti di correzione, né del trattamento della dipendenza dal gioco d’azzardo. Né dovrebbe esprimere opinioni sul regime scelto dagli Stati membri per la gestione del servizio di assistenza sanitaria; inoltre, non accettiamo l’affermazione che la deregolamentazione danneggerebbe la qualità dell’assistenza. Anche le misure politiche per il mercato del lavoro, quali l’introduzione dei salari minimi, dovrebbero essere decise a livello nazionale.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT)Abbiamo votato a favore della relazione perché registra dati importanti sulla situazione sociale: 78 milioni di cittadini europei continuano a vivere in povertà, l’8% dell’Unione europea è colpito da povertà lavorativa e in molti Stati membri dell’UE il divario tra ricchi e poveri sta aumentando.

Inoltre, contiene alcune raccomandazioni positive, quali l’esigenza di stabilire un salario minimo dignitoso, proteggere l’indennità di disoccupazione e sostenere i disabili, benché non affronti le cause alla radice di questa situazione sociale, né auspichi la fine delle politiche neoliberiste, come invece proponiamo noi.

Di conseguenza, le richieste in merito ai necessari cambiamenti politici sono poche. Purtroppo, la relazione comprende solo in parte le proposte contenute nel mio parere adottato nella commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, tra le quali vorrei sottolineare l’appello alle Istituzioni comunitarie e agli Stati membri a conferire la massima priorità all’integrazione sociale e ai diritti delle donne, modificando di conseguenza le rispettive politiche, ivi compresa la politica di distribuzione del reddito.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. −(EN) Personalmente, con i colleghi del partito conservatore britannico ritengo che le decisioni in materia di politica sociale dovrebbero essere di competenza degli Stati membri. Auspichiamo che le competenze europee non si estendano anche a questa sfera e che i paesi non siano soggetti a pressioni per adottare politiche che potrebbero essere inutili per il loro benessere in termini economici e sociali. Riteniamo inoltre che il “modello sociale europeo” costituisca una barriera allo sviluppo economico e sociale.

Siamo favorevoli ad alcuni argomenti presenti nella relazione, quali l’aiuto a chi deve uscire da una condizione di povertà ea chi deve rientrare nel mondo del lavoro, nonché il sostegno ai disabili e l’assistenza agli anziani. Le politiche relative a queste e altre questioni sociali sono gestite in modo ottimale dagli Stati membri, tenendo conto delle situazioni nazionali. In sostanza, crediamo che un’economia forte sia la strada migliore per realizzare il progresso sociale.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto.(FR)La relazione sull’inventario della realtà sociale in Europa descrive fin dall’inizio la realtà della situazione economica e sociale. È un’ammissione di impotenza in un oceano di assurdità europeiste sfornate da un pensiero politico globalista e ultraliberista.

Dal 2000, nessuna delle misure adottate per combattere la disoccupazione, la povertà e l’esclusione ha dato dei risultati. Peggio ancora, mentre l’Unione europea auspica una maggiore immigrazione economica e la protezione del suo cosiddetto modello sociale, la relazione ci ricorda che 78 milioni di europei vivono in condizioni di povertà.

Tuttavia, dimentica di citare che cosa accompagna l’inferno della povertà, che non è solo economica. È psicologica, per milioni di europei che si sentono culturalmente e socialmente emarginati nella loro terra, e che assistono al trasferimento all’estero del loro lavoro, con le delocalizzazioni. È anche fisica, quando la violenza e l’insicurezza ampiamente generate dalle popolazioni di immigrati frustrati dalle difficoltà di integrazione vanno ad aggravare l’intera situazione.

La soluzione quindi non sta nel riconoscere l’ibrido sistema europeo, schizofrenico e ultraliberista, bensì nel contestarlo al fine di promuovere un’Europa di identità recuperate, che garantisca la protezione e la preferenza comunitaria innanzi tutto agli europei!

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. −(PL)Sono d’accordo che l’integrazione sociale e la sicurezza sociale sono alcuni dei valori fondamentali dell’Unione europea e un diritto fondamentale di tutti i cittadini.

La relazione sottolinea correttamente l’esigenza di tenere conto della eterogeneità etnica e religiosa nella legislazione comunitaria, al fine di proteggere tutti i cittadini da violenze e discriminazioni.

Concordo inoltre con l’affermazione che l’accesso a beni e servizi dovrebbe essere un diritto di tutti i cittadini dell’UE.

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. – (PT)La politica sociale è in larga misura di competenza degli Stati membri e per questo motivo sono favorevole alla promozione del metodo di coordinamento aperto, nonché allo scambio di migliori prassi nell’intento di combattere l’esclusione sociale.

I sistemi di sicurezza sociale si devono basare su principi che motivano i beneficiari a cercare opportunità di occupazione e non fungere da incentivo perverso all’inattività.

Il basso livello di istruzione della popolazione e l’elevato tasso di abbandono scolastico dovrebbero farci fermare a riflettere, poiché sono gli individui meno qualificati quelli più esposti all’esclusione sociale.

Questa situazione è particolarmente preoccupante nel mio paese, il Portogallo, dove nel 2005 oltre il 39% dei giovani (tra i 18 e i 24 anni) aveva completato solo la scuola secondaria inferiore.

Occorre invertire questa tendenza e fornire ai cittadini le competenze necessarie per entrare con successo nel mercato del lavoro.

Poiché questa proposta segue questo orientamento, ho votato a favore.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. −(PL)Voto a favore della relazione dell’onorevole Lynne sull’inventario della realtà sociale.

La relatrice osserva giustamente che la Strategia di Lisbona rinnovata non mira solo ai risultati economici e alla competitività, ma anche al rafforzamento della coesione sociale e alla dimensione sociale della sostenibilità. L’integrazione e la sicurezza sociale rappresentano valori fondamentali dell’UE e un diritto fondamentale di tutti i cittadini, a prescindere dall’etnia, dall’età, dal sesso, dal livello di disabilità, dall’orientamento sessuale o dalla religione.

Purtroppo, una parte della società nell’UE continua a vivere in condizioni di povertà. Gli Stati membri propongono varie forme di protezione nei confronti della povertà e dell’esclusione sociale. Ritengo pertanto che bisognerebbe approfondire la cooperazione e promuovere lo scambio di modelli di migliori prassi tra gli Stati in questo campo.

Inoltre, bisognerebbe prestare attenzione al problema della disoccupazione giovanile e alla lotta contro la povertà infantile, poiché i bambini delle famiglie povere hanno minori opportunità di accedere ad una futura occupazione.

 
  
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  Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. − (SV)La relazione in esame contiene numerose lodevoli dichiarazioni contro la discriminazione e sull’importanza di un trattamento equo, che meritano la nostra attenzione. Purtroppo, contiene anche dichiarazioni di portata estremamente ampia, concernenti tra l’altro l’introduzione di salari minimi. La Svezia si oppone all’introduzione di salari minimi stabiliti dai politici. A prescindere da quella che si può pensare sia una politica sociale ragionevole, l’UE deve accettare che gli Stati membri scelgano soluzioni diverse. Questo non deve diventare l’ennesimo esempio di interferenza dell’UE nella regolamentazione dettagliata di un settore che deve restare di totale competenza degli Stati membri.

I paesi dell’UE presentano anche livelli di sviluppo molto diversi. L’introduzione di salari minimi impedisce ai paesi più poveri di competere.

 

7. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 13.20, è ripresa alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. RODI KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 

8. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

9. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto

9.1. Comunità cristiane in Medio Oriente (discussione)
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  Presidente. –L’ordine del giorno reca la discussione su sette proposte di risoluzione sulle comunità cristiane in Medio Oriente(1).

 
  
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  Mario Mauro (PPE-DE), autore.– Signora Presidente, onorevoli colleghi, la libertà religiosa costituisce un oggettivo fattore di riconoscimento per il rispetto dei diritti dell’uomo. Le violenze subite dai cristiani nel mondo rappresentano infatti una ferita e una sfida contemporanea alla dignità della persona.

Intendevo presentare questo progetto di risoluzione già alla scorsa plenaria di ottobre, ma il coordinamento dei gruppi politici mi ha chiesto di posticipare la risoluzione alla plenaria di novembre, per poterci dare il tempo di preparare un testo più dettagliato e circondato da un più ampio consenso. Nel testo che voteremo questo pomeriggio, frutto di un compromesso con socialisti, liberali, Unione per l’Europa delle nazioni, e Indipendenza e democrazia, sono rimasti i caratteri salienti del progetto iniziale di risoluzione.

Abbiamo inoltre potuto inserire riferimenti concreti a violenze e soprusi perpetrati nel corso di quest’ultimo anno non solo in Medio Oriente, ma anche in altre parti del mondo nei confronti delle comunità cristiane. Si tratta di fatti prevalentemente riferibili a Iraq, Egitto, Pakistan, Turchia, Cina, Vietnam e proprio il fitto lavoro di coordinamento svolto in questi ultimi giorni e il conseguente ritrovamento di numerosi episodi avvenuti fuori dal Medio Oriente, ci ha condotto a trovare un titolo nuovo, più consono, che recita in questo modo: “gravi episodi che compromettono l’esistenza delle comunità cristiane e di altre comunità religiose”.

Sicuramente il testo non è comprensivo di tutte le violenze contro i cristiani, penso ad esempio all’Eritrea, penso al Nord Corea. Ma, cari colleghi, vi prego di apprezzarne il messaggio politico, rivolto anche a quei paesi e a quegli episodi che non sono stati citati. Proprio il lavoro di coordinamento con gli altri gruppi mi ha permesso fin dall’inizio di chiarire che l’intenzione di questa risoluzione non è assolutamente di rinfocolare il conflitto di civiltà. L’Europa è sempre in prima fila nella difesa dei diritti delle minoranze e non può continuare a ignorare il crescente danno che viene recato a tanti cristiani.

Oggi, cari colleghi, il nostro Parlamento potrà esprimersi su una tematica urgente e importante, per la difesa della vita e della libertà religiosa e non solo dei cristiani, ma di milioni di persone di qualsiasi fede. Chiedo quindi...

(La Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Glyn Ford (PSE), autore.–(EN) Signora Presidente, parlo a nome del gruppo socialista per esprimere il nostro totale sostegno a questa proposta di risoluzione comune sulla persecuzione religiosa.

In un minuto posso toccare solo alcuni elementi della risoluzione, e voglio concentrarmi sulla drammatica situazione della comunità cristiana in Iraq, che un tempo rappresentava quasi il 10 % della popolazione. In quanto sostenitore della campagna Save the Assyrians, devo dire che questo Parlamento è solito basarsi su un consenso di compromesso, che talvolta risulta in un livellamento e nella perdita di significato.

È vero anche per questa risoluzione. Nel considerando K si deplora la situazione dei villaggi assiri situati in prossimità del confine turco. Perché? Perché il governo turco sta effettivamente bombardando i villaggi assiri, sostenendo che nascondono militanti del PKK, cosa che sembra alquanto improbabile. Il considerando S si riferisce alla situazione in Siria, dove sono confluiti decine di migliaia, se non centinaia di migliaia, di rifugiati fuggiti da Giordania e Iraq, ma che ora sta chiudendo i confini.

Occorrono aiuti e assistenza.

 
  
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  Adam Bielan (UEN), autore. – (PL)Signora Presidente, innanzi tutto desidero esprimere la mia soddisfazione e ringraziare gli altri coautori della risoluzione che tratta di un problema importante come la situazione delle comunità cristiane in certi Stati del Medio Oriente, nonché su scala mondiale.

Nel contempo, in quanto firmatario della risoluzione, vorrei sottolineare che la garanzia della libertà di religione è il primo passo verso la garanzia dei diritti umani fondamentali e i casi di persecuzione di cristiani che si verificano nel mondo sono un esempio evidente di violazione di questi diritti.

Inoltre, pur essendo consapevole del fatto che assistiamo a una totale assenza di reazioni sulla questione da parte di autorità, istituzioni e movimenti politici in tutto il mondo, vorrei sottolineare ancora una volta l’importanza della risoluzione in esame per la difesa dei diritti dei cristiani e porre l’accento sul fatto che il gruppo Unione per l’Europa delle nazioni la sostiene pienamente.

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE), autore. (FR)Signora Presidente, non oso pensare a quali espressioni avrebbero le facce dei colleghi del PPE se venissero a conoscenza dell’adozione di una risoluzione sulle comunità musulmane in Europa da parte degli Stati del Golfo o dell’ASEAN. Sarebbe vissuta come un brutto shock, un segnale di aggressività, un’intrusione inaccettabile di un’autorità religiosa di un paese extra-UE nelle relazioni tra i nostri Stati membri e le minoranze religiose. Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te è anche un precetto cristiano.

Parlando seriamente, una simile risoluzione verrebbe forse percepita come un invito alla tolleranza e al dialogo interculturale e religioso? Certamente no! L’Unione europea, così orgogliosa dei suoi valori, sarebbe saggia a dar prova, su questa materia ultradelicata, di un minimo di discernimento e rispetto per le convenzioni internazionali.

Per affrontare le violazioni dei diritti delle minoranze religiose, condannare l’assassinio di cristiani o le limitazioni della libertà di culto, possiamo scegliere tra due approcci ugualmente fondati. Il primo consiste nel rivolgersi a un paese, sulla base dei suoi impegni internazionali e degli accordi reciproci, e chiedere di avviare un’indagine, di processare i responsabili e garantire che i diritti delle minoranze religiose siano rispettati; e questo è ciò che facciamo regolarmente in questa sede.

Il secondo approccio è quello adottato dalle Nazioni Unite, attraverso una risoluzione presentata da 12 paesi e da tutti gli Stati dell’UE, concernente l’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione basate su religione, credo e libertà di pensiero e di coscienza, perché nel diritto internazionale – e questo è molto importante – sono tutti aspetti collegati. I diritti individuali alle convinzioni personali, alla religione, al pensiero e alla coscienza sono interdipendenti.

Che cosa faremo se oggi adotteremo questo testo inaccettabile che ci viene proposto? Ignoreremo il lavoro svolto dai nostri Stati membri alle Nazioni Unite e seguiremo un approccio diverso, che probabilmente incoraggerà certi paesi a sfruttare le questioni religiose nelle loro relazioni internazionali. Andremo contro l’approccio equilibrato raccomandato, ad esempio, dalla signora Jahangir, relatore speciale delle Nazioni Unite, attualmente agli arresti domiciliari in Pakistan, e alla fine contribuiremo a rendere più fragile la situazione delle minoranze religiose, ivi compresi i cristiani, in tutto il mondo.

Ancora una volta, di concerto con gli esperti che lavorano per la libertà di religione, come Christian Solidarity Worldwide, dico che con questa risoluzione non facciamo che aumentare il pericolo per coloro che intendiamo proteggere.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM), autore. – (NL)Signora Presidente, onorevoli colleghi, se veramente abbiamo a cuore i diritti fondamentali, non possiamo non essere preoccupati per la situazione precaria delle comunità cristiane in Medio Oriente. La presente proposta di risoluzione rappresenta un incitamento in proposito per tutte le Istituzioni europee.

Una recente visita di una delegazione del nostro Parlamento ci ha fornito maggiori indicazioni sulla vita quotidiana dei cristiani libanesi, che temono di diventare una sorta di cittadini di seconda classe, come i loro correligionari in quasi tutti i paesi della regione.

Si trovano a dover scegliere tra la sicurezza personale e la dignità personale,con le convinzioni religiose. I cristiani libanesi vorrebbero mantenerle entrambe.

La violenza politica degli ultimi anni nella terra dei cedri oggi colpisce direttamente i cristiani. Un informatore in Libano la scorsa settimana ha rivelato che, anche se i cristiani non sono l’obiettivo primario, la maggioranza dei politici assassinati sono di religione cristiana, così come i giornalisti che sono diventati l’obiettivo di attacchi, e questo rappresenta un’intimidazione per la popolazione cristiana del Libano.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE), autore.–(EN) Signora Presidente, per migliaia di anni la presenza dell’uomo sulla terra è stata soggetta ai pericoli di forze letali, al di là delle sue capacità di difesa o della sua comprensione. Queste forze vanno da disastrosi fenomeni naturali a incomprensibili malattie fisiche e mentali. L’uomo è riuscito a far fronte più facilmente a questo stato di impotenza grazie alla sua fede in un’entità superiore, che ha chiamato “Dio”. Gruppi diversi di esseri umani hanno sviluppato una diversa visione e un diverso approccio nei confronti di Dio.

Il risultato è stata la creazione di un gran numero di religioni, che naturalmente sono di origine umana, e non divina, e per questo risentono di numerose debolezze, quali il fanatismo, il dogmatismo e il rifiuto di accettare il diritto di altri popoli ad un credo differente. Queste debolezze differiscono per numero e intensità nelle diverse religioni e purtroppo vengono spesso sfruttate da leaderestremisti religiosi e da politici privi di scrupoli.

Così si è arrivati alle guerre di religione e al compimento di crimini abietti contro gli esseri umani in nome della religione. Il cristianesimo e l’islam, due delle principali religioni dell’umanità, non sono esenti da questi tristi soprusi e la storia è piena di esempi vergognosi in proposito. Ovviamente, con il passare del tempo, la maggior parte delle religioni sono diventate più mature e pervase di umanesimo, e questo è certamente vero per la cristianità. Ma purtroppo questo cambiamento non è avvenuto in altre religioni.

Per questo in alcuni paesi, principalmente islamici, i cristiani vengono perseguitati, talvolta con estremo vigore criminale e talvolta con il consenso di gruppi politici e persino dei governi. È veramente una situazione molto triste, che interessa una serie di paesi e di regioni nel mondo – alcuni esempi sono già stati citati oggi in quest’Aula – ma è più evidente in Medio Oriente.

Con questa risoluzione ci auguriamo di richiamare l’attenzione sulla persecuzione dei cristiani in questi paesi e di contribuire a garantire che le autorità politiche e religiose di questi paesi comprendano pienamente che un simile comportamento aggressivo non è compatibile con i principi del rispetto dei diritti umani, né con i veri insegnamenti di una religione compassionevole.

La ringrazio signora Presidente, come vede mi restano ancora venti secondi!

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), autore. – (NL)Signora Presidente, le comunità cristiane in Medio Oriente risalgono ai primi anni del cristianesimo, precedenti alla diffusione del cristianesimo in Europa e dell’islam in Medio Oriente.

Tuttavia, oggi vengono spesso considerate un elemento alieno in quella che ormai è un’area a prevalenza islamica. Questo non dipende solo dall’intolleranza religiosa di certi settori dell’islam; la colpa è anche dell’Europa.

Per tre volte nella storia l’Europa e il cristianesimo hanno suscitato avversione e odio in quella regione. La prima volta con le crociate alla fine del Medio Evo, quando eserciti di occupazione europei presero il controllo di siti sacri, non soltanto per i cristiani, ma anche per ebrei e musulmani. La seconda volta dopo il crollo dell’impero ottomano, all’inizio dell’ultimo secolo, quando Egitto, Sudan, Giordania e Iraq finirono sotto il controllo coloniale britannico e Siria e Libano sotto quello francese.

Attualmente siamo nella terza fase. Le posizioni dell’Europa su Israele, Palestina e Iraq hanno suscitato una forte opposizione in Medio Oriente, dove l’Europa è sospettata di concentrarsi in primo luogo sulle proprie forniture di energia, sulla salvaguardia delle proprie rotte di trasporto e sulla concessione di un trattamento preferenziale alle minoranze etniche o religiose meglio disposte nei suoi confronti.

Una possibile conseguenza è il fatto che le minoranze cristiane nel lungo periodo non siano più in grado di resistere in Medio Oriente e siano destinate a fuggire in Europa. Una soluzione migliore sarebbe quella di concedere più libertà d’azione a cristiani ed ebrei in Medio Oriente, così come dovrebbe fare l’Europa con la sua minoranza islamica.

 
  
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  Bernd Posselt, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE)Signora Presidente, mi perdoni se lo dico, ma il discorso dell’onorevole Flautre è assurdo. I musulmani fanno molto per le minoranze musulmane. Noi sosteniamo i musulmani e altre minoranze religiose. Tuttavia, purtroppo è vero che se noi non facciamo nulla per i cristiani, nessun altro lo farà.

La Lega islamica, o araba, non si è mai battuta per i diritti dei cristiani, come invece abbiamo fatto noi per i diritti di musulmani. Quindi è ora che ci occupiamo di questo tema. È un atto di giustizia, anche se devo dire chiaramente che il problema non è l’islam. I cristiani in Medio Oriente sono sopravvissuti per 1 200 anni sotto il dominio islamico. Ma è proprio in questa nostra epoca così avanzata che sono seriamente in pericolo, soprattutto in Iraq, occupato dall’Occidente.

Dobbiamo prendere atto della nostra responsabilità affinché possano sopravvivere e vivere in libertà e dignitosamente. La maggior parte delle persecuzioni religiose avvengono nella Cina comunista, nella Russia nazionalista e pseudo-cristiana, nelle dittature comuniste – e anche sotto i regimi islamici. A mio parere, l’islamismo è semplicemente una perversa ideologia dittatoriale del XX secolo. Noi europei abbiamo un compito a questo proposito, e dobbiamo svolgerlo.

(Applausi)

 
  
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  Paulo Casaca, a nome del gruppo PSE. – (PT) Signora Presidente, le mie congratulazioni agli autori di questa proposta di risoluzione comune. Mi sembra opportuno ricordare che prima della persecuzione dei cristiani c’è stata, ad esempio, la persecuzione degli ebrei, e che sono stati e sono tuttora perseguitati gli yazidi, i mandei e gli stessi musulmani, shiiti o sunniti, in Iraq.

Non sarebbe giusto, né equilibrato, paragonare quanto sta accadendo in Iraq con quanto accade in Europa. In effetti, bisogna ricordare che coloro che vengono perseguitati in Iraq purtroppo non hanno, in Europa, la protezione a cui avrebbero diritto, che si tratti di cristiani o meno. Ci sono casi incredibili di totale mancanza di sensibilità da parte dell’Unione europea per quanto riguarda gli iracheni perseguitati. Concludo ricordandovi, senza per questo dimenticare tutti gli altri, Padre Ragheed Ganni e l’intera congregazione della Chiesa dello Spirito Santo a Mosul, forse il crimine più mostruoso commesso quest’anno.

 
  
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  Marcin Libicki, a nome del gruppo UEN. – (PL)Signora Presidente, oggi in quest’Aula parliamo della brutale persecuzione dei cristiani, in particolare in Medio Oriente. Tuttavia, non dovremmo perdere di vista il fatto che i cristiani vengono perseguitati in tutto il mondo, e non sono d’accordo con quanto ha affermato l’onorevole Casaca sull’esistenza di numerose minoranze religiose che vengono perseguitate.

Vorrei pregarlo di fornirci degli esempi di persecuzioni su vasta scala di queste minoranze; non sto parlando dell’uccisione casuale, comunque riprovevole, di un infedele, ma di casi in cui un’altra religione viene perseguitata come vengono perseguitati i cristiani. Sono pienamente d’accordo con l’onorevole Posselt, e mi associo a molto di quanto è stato detto finora, quando sono stati citati numerosi esempi di persecuzione di cristiani, ma non, come afferma l’onorevole Casaca, di molte altre religioni. Non è vero. I cristiani sono i principali obiettivi delle persecuzionie sono soprattutto i cristiani che vengono perseguitati.

Ieri in Parlamento abbiamo ascoltato un intervento del Presidente Sarkozy, che ha parlato della necessità di difendere l’identità europea. Qual è questa identità? Chi ci difenderà se noi non difendiamo noi stessi e le radici della nostra identità? I cristiani in Medio Oriente sono testimoni della nostra identità europea. Sono là da 2 000 anni e dobbiamo difenderli se devono restarci.

 
  
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  Giusto Catania, a nome del gruppo GUE/NGL.– Signora Presidente, onorevoli colleghi, io credo che oggi con questa proposta di risoluzione stiamo facendo un passo importante perché questo Parlamento deve sempre condannare atti ed episodi che mettono a repentaglio la vita di uomini e donne a causa del proprio credo, della propria opinione politica o religiosa.

La libertà religiosa è un valore e noi lo dobbiamo sottolineare, e se è vero che in alcuni contesti i cristiani rischiano la persecuzione e la criminalizzazione, per questa ragione questo Parlamento li deve tutelare e difendere, così come allo stesso modo questo Parlamento ha sempre difeso e tutelato i cittadini musulmani che sono stati discriminati in Occidente. Noi pensiamo che tutte le religioni debbano svolgere un ruolo positivo, un ruolo di pace per favorire il rispetto della diversità e per questo motivo dobbiamo condannare con forza qualsiasi forma di integralismo religioso che spesso contribuisce allo scontro di civiltà e per questa ragione credo che quello che fa questo Parlamento deve andare sempre nella direzione dell’ascolto e della promozione del dialogo interreligioso.

Ci sono alcuni esempi importanti che dimostrano come è possibile costruire un’opzione in cui le religioni si possano ascoltare e costruire insieme percorsi di condivisione. Mi preme anche ricordare il sacrificio di alcuni cattolici, di alcuni cristiani, che hanno combattuto per la libertà dei poveri, dei popoli e per il riscatto sociale. Per questa ragione il nostro gruppo vota a favore di questa risoluzione anche ricordando preti come Peppino Diana o come Pino Puglisi che sono morti per lottare contro la criminalità organizzata e mafiosa.

 
  
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  Kathy Sinnott, a nome del gruppo IND/DEM.–(EN) Signora Presidente, sono favorevole a questa proposta di risoluzione comune, perché ritengo fondamentale proteggere le minoranze cristiane in Africa, Asia e Medio Oriente. È importante che proteggiamo tutte le comunità religiose dalla persecuzione. A mio parere, è inaccettabile che delle persone siano soggette a limitazioni nella loro vita quotidiana, riguardo a quello che possono fare e a dove possono andare, alla possibilità di possedere dei beni e di ottenere un’istruzione o un lavoro, o che subiscano minacce di morte, a causa della loro affiliazione cristiana.

La libertà di religione è un diritto umano fondamentale e pertanto è essenziale che i governi garantiscano che anche le minoranze religiose nei rispettivi paesi possano praticare il loro credo libere da costrizioni, vale a dire senza subire minacce di morte o altro.

I musulmani devono capire che dovrebbero promuovere il principio della libertà religiosa e della tolleranza, la stessa libertà e tolleranza di cui godono e che si aspettano in altri paesi, molti dei quali hanno popolazioni prevalentemente cristiane.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).- (FI) Signora Presidente, a mio parere l’iniziativa dell’onorevole Mauro è particolarmente importante. Ogni giorno, cristiani pacifici subiscono la minaccia di un’oppressione sistematica e vengono utilizzati come capri espiatori in crisi che non li riguardano. Si tratta di una situazione veramente deplorevole e di una questione che è necessario evidenziare. Tuttavia, per migliorare la situazione dei cristiani effettivamente è importante analizzare il problema nell’ambito di un contesto più ampio. Non sono solo i cristiani ad avere difficoltà, ma in molti paesi anche musulmani, buddisti, indù, ebrei, sikh e ahmadi hanno dei problemi. La lista è lunga.

La libertà di religione è essenziale per una società che rispetta i diritti umani e le libertà civili. Si tratta, come in passato, di un meta-diritto, in pratica di un presupposto per l’esistenza di altri diritti umani, che rispecchia la condizione della società nel suo complesso. La decadenza di una società si evidenzia prima di tutto nelle limitazioni alla libertà di religione e nella situazione delle minoranze religiose. Per questo motivo dobbiamo dichiarare il nostro fermo sostegno alla risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione.

Vale la pena notare che in molti paesi, come il Pakistan e l’Indonesia, le comunità religiose si sono unite per cercare di affermare la libertà di religione e la protezione delle minoranze. Quindi anche la religione stessa potrebbe essere una soluzione. Un dialogo pluralista consente sempre di allentare le tensioni e porta dei vantaggi alla libertà di religione e alla società intera.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE).(PT)La persecuzione delle minoranze religiose in molti paesi dovrebbe farci riflettere sulla fragilità degli aspetti di civiltà che pensiamo di avere raggiunto. La libertà religiosa è un pilastro essenziale e inalienabile dei diritti umani universali. Malgrado le intenzioni lodevoli, la risoluzione in esame è incompleta.

Il PE deve levare la propria voce in particolare contro la persecuzione delle minoranze cristiane, ma innanzi tutto contro tutte le forme di intolleranza e discriminazione basate sul credo o sulla religione che in effetti interessano tutte le comunità religiose. Ci dovremmo preoccupare anche dell’islamofobia e dell’antisemitismo, che sono in crescita in Europa e nel mondo. Se ci concentriamo quasi esclusivamente sulla discriminazione nei confronti dei cristiani, potremmo dare l’impressione sbagliata. Occorre quindi sottolineare che il PE sostiene pienamente la risoluzione sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione fondate sulla religione o sul credo presentata dagli Stati membri dell’UE all’Assemblea generale dell’ONU.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski (UEN). – (PL)Signora Presidente, anche il Medio Oriente ha le sue radici cristiane. A prescindere dalle differenze, i cristiani in molte occasioni sono riusciti a dimostrare di essere in grado di vivere accanto a musulmani, ebrei o ai seguaci di altre religioni, in pace e nel rispetto reciproco.

Ultimamente, tuttavia, abbiamo assistito ad azioni di seguaci della fede islamica che costituiscono l’attuazione pratica del falso concetto che un buon musulmano deve essere anti-cristiano. Il giornalista libanese Hazem Saghieh ne ha parlato recentemente.I numerosi e spesso gravi casi di violazioni dei diritti di persone che, solo a causa della loro fede cristiana, sono trattate come cittadini di seconda classe sono una prova della violazione del principio fondamentale della libertà umana: la libertà di praticare una religione.

Occorre farsi una domanda: che cosa possiamo fare nell’Unione europea, aperta e rispettosa dei diritti dei concittadini musulmani, per i cristiani che non godono nemmeno di una minima parte di tali diritti in quei paesi? Dov’è un minimo di reciprocità? Non negli omicidi motivati dalla religione, né nella diffusa discriminazione, né nel rifiuto di acconsentire alla costruzione di chiese cristiane e neppure nella distruzione di monumenti della cultura cristiana.

L’intero mondo vuole la pace, e le persone vogliono la libertà, compresa la libertà di religione.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE). – (PL)Signora Presidente, alla luce dell’attuale situazione politica in Medio Oriente i cristiani che vivono in quella regione si sentono sempre più minacciati. Uno dei motivi è l’aumento dell’influenza dei fondamentalisti islamici, che li incolpano per qualsiasi difficoltà subita dagli abitanti della regione. A causa dei loro legami religiosi con i popoli occidentali, vengono accusati anche di occidentalizzare le tradizionali strutture sociali, dicui le popolazioni del Medio Oriente parlano poco volentieri.

Un modo in cui i fondamentalisti esprimono la propria insoddisfazione consiste nell’organizzare manifestazioni anti-occidentali, durante le quali si distruggono simboli associati al cristianesimo e negozi gestiti da cristiani. In casi estremi si commettono persino degli omicidi. La passività dei governi fa sì che un numero crescente di famiglie cristiane decida di emigrare.

La risoluzione descrive una serie di problemi che affliggono i cristiani in Medio Oriente. Tuttavia si tratta solo di alcuni esempi, quindi secondo me il Parlamento europeo dovrebbe preparare una relazione completa sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente, o comunque sulla situazione delle fedi religiose in generale. Bisognerebbe anche riflettere su come condurre un dialogo tra civiltà che consenta la partecipazione efficace della società cristiana e delle regioni musulmane.

 
  
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  Jerzy Buzek (PPE-DE). – (PL)Signora Presidente, mi congratulo con l’onorevole Mauro. Non ho alcun dubbio in merito a questa risoluzione e la appoggio pienamente. L’unico problema è se noi siamo efficaci, se lo saremo e se riusciremo a cambiare qualcosa. Possiamo agire in tre modi.

Innanzi tutto attraverso pressioni diplomatiche, ossia quello che stiamo già facendo. Ma occorre mobilitare anche i governi europei. Ogni diplomatico dovrebbe tenerne conto. Dobbiamo spingere in questo senso in colloqui bilaterali e multilaterali. L’unico modo per ottenere un buon risultato in questo caso è la pressione diplomatica su vasta scala.

La seconda possibilità sono le sanzioni economiche. So bene, dall’esperienza del mio paese venti o trent’anni fa, che cosa abbiano significato le sanzioni economiche per il governo comunista di Varsavia – sanzioni ben selezionate, per non danneggiare i cittadini. Occorre usare anche questo metodo.

Infine, l’analisi approfondita delle nostre iniziative, perché i paesi del Medio Oriente e di altre parti del mondo hanno i loro alti e bassi. Questo dipende anche dalle nostre azioni, che non sempre sono molto coerenti o prudenti. Parlo di interventi, eventi culturali e anche discorsi di diplomatici. Non dobbiamo nascondere le nostre convinzioni, anzi, dobbiamo esporle con chiarezza. Tuttavia, occorre agire con giudizio, oltre che con fermezza.

 
  
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  Danuta Hübner, membro della Commissione.−(EN) Signora Presidente, la Commissione è consapevole delle discriminazioni basate sulla religione e sul credo, e le condanna fermamente. La nostra politica è di combattere tutti i tipi di discriminazione, nelle relazioni bilaterali e nei consessi multilaterali come l’ONU.

In occasione dell’Assemblea generale dell’ONU, l’UE ha adottato l’approccio di presentare periodicamente la sua risoluzione sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione fondate sulla religione o sul credo. L’anno scorso, il consenso sul testo della risoluzione ha raggiunto un record di 99 co-sponsor.

Insieme agli Stati membri, prestiamo una particolare attenzione ai diritti umani e alla situazione della democrazia nei paesi partner. Solleviamo questi problemi nel dialogo politico, attraverso iniziative e dichiarazioni pubbliche, ricordando ai partneri rispettivi impegni ai sensi del diritto internazionale, che vieta le discriminazioni fondate su qualsivoglia base.

L’UE si sta impegnando attivamente per promuovere la causa della protezione dei diritti umani nel quadro della politica di vicinato, il cui piano d’azione copre un’ampia gamma di temi a questo proposito. Nelle singole riunioni della sottocommissione per i diritti umani con Giordania, Israele, Marocco, Libano e Tunisia si sono già analizzati i progressi compiuti nell’attuazione degli impegni del piano d’azione della politica di vicinato in materia di diritti umani e libertà fondamentali. La prima riunione della sottocommissione per i diritti umani con l’Egitto è prevista per i prossimi giorni di questo mese.

Parallelamente ai contatti bilaterali con i governi e al sostegno per le riforme politiche, sosteniamo anche organizzazioni non governative in tutto il mondo, attive nella protezione e nella promozione dei diritti umani. A nostro parere, i difensori dei diritti umani svolgono un ruolo indispensabile nella società.

Riteniamo ugualmente importante mantenere e promuovere la libertà di religione in Europa. L’UE può mostrare e condividere buone prassi.

 
  
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  Presidente. –L’onorevole Casaca ha chiesto di rilasciare una dichiarazione personale, ai sensi dell’articolo 145 del Regolamento.

 
  
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  Paulo Casaca (PSE).(PT)Signora Presidente, mi dispiace di non essere stato sufficientemente chiaro. La mia solidarietà per le comunità cristiane perseguitate in tutto il Medio Oriente, e in particolare in Iraq, è totale e incondizionata. Ho semplicemente rilevato, e intendo fornire al collega tutto quanto ritenga necessario, che purtroppo simili persecuzioni non si limitano alla comunità cristiana, e che anche la comunità yazida, la comunità mandea e gli stessi shiiti e sunniti, che sono al di fuori delle principali comunità, sono state oggetto di terribili persecuzioni in quel paese; è un fatto che non si può ignorare. Intendevo solo sottolinearlo e dichiarare che sono disposto a fornire tutta la documentazione necessaria.

 
  
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  Presidente. –Onorevole Casaca, ha superato il tempo massimo per le dichiarazioni personali.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà al termine della discussione.

 
  

(1)Vedasi processo verbale .


9.2. Uzbekistan (discussione)
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  Presidente. –L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sull’Uzbekistan.(1)

 
  
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  Katrin Saks (PSE). - (ET)Signora Presidente, onorevoli colleghi, vorrei ricordare quello che il Presidente francese Nicolas Sarkozy ha detto proprio in quest’Aula un paio di giorni fa: tutti coloro che non hanno rispettato i nostri valori, preferendo invece aggiudicarsi degli appalti, hanno perso su tutti i fronti. Per quanto concerne l’Uzbekistan e più in generale l’Asia centrale nel suo complesso, esiste il pericolo che nel valutare le risorse energetiche della regione gli interessi dei singoli paesi comincino a prevalere sui nostri valori comuni. Purtroppo, questo rischio è evidenziato anche dall’incapacità di accordarsi su una proposta di risoluzione a sostegno di PPE e UEN sulla decisione del Consiglio di sospendere il divieto di rilascio del visto ai funzionari uzbeki per sei mesi in assenza di un reale cambiamento nella situazione dei diritti umani.

La proposta di risoluzione si riferisce inoltre alla situazione molto critica dei diritti umani in Uzbekistan. Tuttavia, finora c’è stata un’intesa con l’Uzbekistan, e l’ho sentito proprio con le mie orecchie, sul fatto che i diritti umani sono una questione interna del paese. Non possiamo accettare una simile impostazione e vi esorto a sostenere la prima versione più critica della proposta di risoluzione.

 
  
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  Elisabeth Jeggle (PPE-DE), autore. – (DE)Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, in quanto istituzione democratica non possiamo permettere che i diritti umani vengano calpestati, in nessun paese del mondo. Tuttavia, troviamo ugualmente inaccettabile che proprio in quest’Aula le relazioni diplomatiche e la cooperazione interparlamentare tra l’UE e l’Uzbekistan vengano messe a rischio senza rifletterci. Le proposte di risoluzione presentate dal gruppo socialista al Parlamento europeo, dal gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa e dai gruppi di sinistra equivalgono ad un gioco di demolizione diplomatica.

Nell’ultima risoluzione del Parlamento, datata ottobre 2006, ci eravamo impegnati per una soluzione costruttiva, orientata al dialogo. Oggi però non stiamo perseguendo il dialogo, bensì stiamo sbattendo una porta. Il mio gruppo non può rispondere di questo, quindi vi invito a respingere le proposte di risoluzione presentate dai gruppi PSE e ALDE e dalla sinistra.

A favore della proposta di risoluzione presentata dal nostro gruppo, insieme al gruppo dell’Unione per l’Europa delle nazioni ricordiamo i seguenti punti. La situazione politica in Uzbekistan non è affatto soddisfacente. La situazione dei diritti umani resta allarmante per molti aspetti. Tuttavia, nonostante tutto si è fatto qualche progresso. Ad esempio, l’8 e il 9 maggio di quest’anno si è svolto il primo ciclo del dialogo sui diritti umani tra Unione europea e Uzbekistan. Una risoluzione del Parlamento europeo deve chiarire la situazione attuale e la risoluzione in esame si può basare solo su questo.

 
  
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  Adam Bielan (UEN), autore. – (PL)Signora Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare i coautori della risoluzione. Nel contempo, tenendo conto degli orientamenti della Comunità sulla protezione dei diritti umani adottati nel 2004, vorrei sottolineare l’esigenza di migliorare le relazioni tra l’Unione europea e l’Uzbekistan. Tuttavia, mi preme chiarire che queste relazioni si dovrebbero basare sui principi della democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, con un particolare accento su quest’ultimo aspetto.

Inoltre, in merito alla decisione di sospendere per un periodo di sei mesi alcune sanzioni imposte all’Uzbekistan, sostengo l’iniziativa di monitorare i progressi del paese in fatto di rispetto dei diritti umani. La decisione negativa del ministero della Giustizia uzbeko in merito al riconoscimento dell’ufficio preposto al monitoraggio di questi diritti dimostra che occorre ancora un notevole impegno in questo campo.

In qualità di Vicepresidente di questo Parlamento competente per la politica di vicinato, tra l’altro in Uzbekistan, esorto le istituzioni internazionali, e in particolare le autorità uzbeke, a svolgere un’azione di sostegno che promuova lo sviluppo di una società civile.

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE), autore. (FR)Signora Presidente, l’intento di questa risoluzione è semplice: dire la verità. Che è ciò che il popolo uzbeko e gli attivisti per i diritti umani vogliono da noi.

L’urgenza deriva dalle uccisioni di giornalisti e dissidenti che si sono verificate negli ultimi mesi e dalle conclusioni del Consiglio del 15 ottobre, presentate a torto come una vittoria diplomatica dal Presidente Karimov. Il fatto importante è che le sanzioni sono state prorogate di 12 mesi perché non sono state effettuate inchieste sul massacro di Andijan e le riunioni di esperti in materia non hanno prodotto alcun risultato.

Per quanto concerne la sospensione di sei mesi del divieto al rilascio dei visti, concordiamo che il divieto si dovrebbe rinnovare automaticamente se nel giro di sei mesi non vengono soddisfatti gli eccellenti criteri introdotti, quali le visite del relatore speciale delle Nazioni Unite.

D’altro canto, contestiamo le conclusioni sui presunti progressi in materia di diritti umani. Per fare un esempio, la pena di morte non è stata ancora effettivamente abolita e il dialogo UE-Uzbekistan sui diritti umani è sospeso.

Infine, nella risoluzione condanniamo l’uccisione di numerosi giornalisti indipendenti e dissidenti ed esigiamo che si svolgano indagini serie e imparziali.

Sono preoccupata per le intenzioni di PPE e UEN, che propongono di andare più in là di tutti gli Stati membri, interpretando le conclusioni del Consiglio non solo come una sospensione dei divieti al rilascio dei visti ma effettivamente come una revoca dei visti stessi. Al paragrafo 3 dichiarano che l’inefficacia delle sanzioni è un incoraggiamento per il regime uzbeko, un’affermazione senza senso, intellettualmente e politicamente. Il testo non cita nemmeno i 13 attivisti per la difesa dei diritti umani, il cui immediato rilascio è stato richiesto per lettera dal Presidente Pöttering.

Infine, il paragrafo 9 cita la difficile situazione di Human Rights Watch. Questo è positivo, ma l’organizzazione ha fatto sapere chiaramente di non voler essere citata in una risoluzione tecnicamente poco corretta e pericolosa per gli attivisti per i diritti umani e per il popolo uzbeko, e che alla fine, come si può ben capire, sarà usata come strumento di propaganda dal dittatore, il Presidente Karimov.

Di conseguenza, chiedo ai deputati del PPE e dell’UEN di sottoscrivere l’atteggiamento di serietà che è opportuno adottare su questa materia e nei confronti del popolo uzbeko e di sostenere la nostra proposta di risoluzione, che non dice nient’altro che la verità sulla situazione dei diritti umani in Uzbekistan.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE), autore.–(EN) Signora Presidente, la persistenza dal 1989 del regime di governo tirannico del Presidente Karimov in Uzbekistan è una piaga cancerosa per la democrazia. Il regime di Karimov è responsabile dell’applicazione di una politica di terrore e corruzione nel suo paese, di cui naturalmente sono vittime principali i cittadini dell’Uzbekistan. Queste persone sono esposte ad arresti e incarcerazioni arbitrari, a torture e maltrattamenti, enonostante le numerose richieste di riforme democratiche presentate dalla comunità internazionale e dall’UE, il Presidente Karimov continua a non prenderne nota.

Questo mi ricorda un altro individuo che governa il suo paese in modo altrettanto totalitario e non prende nota delle esortazioni ad attuare riforme democratiche. Parlo del re Abdullah dell’Arabia Saudita, un paese dove le donne non hanno il diritto di voto, e nemmeno il diritto di guidare un’automobile, e dove gravi abusi dei diritti umani sono parte della vita quotidiana.

A questo proposito, purtroppo, alcuni governi dell’UE, sono colpevoli di adottare due pesi e due misure: attaccano violentemente il Presidente Karimov – molto giustamente – ma sono estremamente gentili con il re Abdullah. In effetti, recentemente il Re Abdullah ha ricevuto un’accoglienza stravagante in occasione delle sue visite di stato in Gran Bretagna e in Italia.

La principale differenza tra l’Uzbekistan e l’Arabia Saudita è il denaro – molto denaro – e finché il Re Abdullah spende i suoi miliardi in Gran Bretagna e in Italia, il suo coinvolgimento in gravi violazioni dei diritti umani e delle istituzioni democratiche nel suo paese si può trascurare per convenienza. Suppongo che sia per questo che quando ho suggerito di discutere oggi in quest’Aula sulla situazione in Arabia Saudita, quasi tutti i gruppi abbiano respinto la mia proposta. Mi auguro che la prossima volta si possa mostrare una maggiore sensibilità.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), autore. – (NL)Signora Presidente, in Uzbekistan occorre un cambiamento radicale. Lo slancio iniziale in questa direzione è stato stroncato sul nascere il 13 maggio 2005, con una violenza che è costata la vita a centinaia di manifestanti. Da allora il mondo esterno è rimasto in silenzio per un lungo periodo di tempo e non è successo molto, inizialmente, dopo la nostraprecedente discussione su argomenti urgenti e di attualità il 27 ottobre 2005.

Tuttavia, non è solo negli Stati più noti, come Ucraina, Georgia e Bielorussia, che dopo il crollo dell’Unione Sovietica hanno preso il potere dei regimi autoritari; in particolare, è successo anche in Turkmenistan e Uzbekistan, dove non ha trionfato la democrazia, ma un piccolo gruppo di persone che aveva acquisito esperienza nel vecchio apparato statale e nelle forze di sicurezza.

Non avendo altro obiettivo che quello di restare al potere, queste persone hanno trasformato aziende statali in loro proprietà personali, hanno manipolato i risultati elettorali, hanno concesso all’opposizione il minor spazio di manovra possibile, hanno ostacolato le libere organizzazioni, limitato la libertà di stampa e, se del caso, usato la violenza contro il loro stesso popolo. Purtroppo, questo stato di cose persiste in Uzbekistan.

A tutt’oggi, l’atteggiamento dell’Europa nei confronti dell’Uzbekistan è troppo influenzato da interessi economici e militari. Pare che alla dittatura in Uzbekistan sia stato concesso di restare in essere perché si è dimostrata utile nell’intervento militare in Afghanistan. Un simile atteggiamento distruggerebbe completamente la credibilità delle pretese europee in materia di diritti umani e democrazia. L’Europa non deve mettere i diritti e le libertà degli uzbeki in secondo piano rispetto ad altre considerazioni.

 
  
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  Karin Scheele, a nome del gruppo PSE. – (DE)Signora Presidente, sotto la Presidenza tedesca del Consiglio, e su esplicita richiesta del governo federale tedesco, le sanzioni contro l’Uzbekistan sono state alleggerite a condizione che il governo di Karimov si impegnasse a migliorare la situazione dei diritti umani nel paese. Tuttavia, nelle prigioni uzbeke si utilizza ancora la tortura; la situazione dei diritti umani in Uzbekistan non è migliorata affatto. Ne abbiamo notizia dalle organizzazioni internazionali, che assistono a gravi attacchi alla società civile, che non colpiscono soltanto le organizzazioni per i diritti umani, ma anche organizzazioni femminili, centri di informazione e molte altre organizzazioni. I difensori dei diritti umani sono condannati a lunghi periodi di detenzione e numerosi attivisti, compresi dei giornalisti, hanno dovuto fuggire.

Non dobbiamo ridurre le sanzioni, né revocarle. Ancora una volta ci rendiamo conto che, persino in questo Parlamento, i discorsi sui diritti umani cambiano a seconda che ci sia in gioco o meno l’accesso alle materie prime. Occorre mandare un chiaro segnale del fatto che non lo accettiamo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE.–(ES) Signora Presidente, vorrei cogliere l’occasione di questa discussione per allertare il Parlamento e richiamare la sua attenzione su un gruppo di persone particolarmente perseguitato in Uzbekistan, e non solo in Uzbekistan, ma anche in Turkmenistan. Si tratta sostanzialmente della popolazione di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT).

Di solito, gay e lesbiche sono doppiamente perseguitati, in molti casi perché sono attivisti, ma anche perché sono gay e lesbiche. Le persone che riconoscono pubblicamente di appartenere a questo gruppo, o che vengono denunciate come tali, devono aspettarsi dai due ai cinque anni di detenzione.

Penso che forse, in un simile contesto, quando parliamo di diritti umani in generale, normalmente teniamo conto di tutti i diritti umani, ma spesso ci dimentichiamo di questo particolare gruppo sociale, che ha esigenze specifiche e che all’ultima riunione dell’OSCE, a Madrid, ha cercato di presentare le sue rivendicazioni scontrandosi con l’incomprensibile opposizione di molti governi.

Penso che sia qualcosa di cui dovremmo ricordarci e che, in ogni caso, dovremmo riprendere nella discussione sulle relazioni tra Unione europea e Asia centrale.

 
  
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  Józef Pinior (PSE).- (EN) Signora Presidente, innanzi tutto sono veramente preoccupato per l’atteggiamento del gruppo PPE-DE in merito alla situazione dei diritti umani in Uzbekistan. Non dovremmo farci ingannare dagli sforzi ipocriti per acquisire rispettabilità intrapresi dal governo uzbeko nell’intento di dare l’impressione di un progresso democratico e di un miglioramento delle relazioni con l’Unione europea.

No, negli ultimi due anni l’Uzbekistan non ha fatto nessun progresso. Il governo non ha ancora autorizzato un’indagine indipendente sugli omicidi di Andijan. Secondo la relazione ONU, i diritti umani vengono ancora calpestati e si fa ancora uso della tortura. Gli oppositori politici non hanno ancora il diritto di esprimersi liberamente. La stampa è ancora agli ordini del governo. Vogliamo denunciarlo, e contestiamo al governo due omicidi, di un regista teatrale e di un giornalista, entrambi noti per avere criticato il governo uzbeko.

Non dobbiamo sostenere il trucco della auto-rielezione del Presidente Karimov il 23 dicembre, e dobbiamo restare molto prudenti e attenti riguardo alla situazione politica uzbeka, anche se possono risentirne alcuni interessi nazionali all’interno dell’Unione europea. I diritti umani non devono mai dare la precedenza alle relazioni economiche nell’Unione europea.

 
  
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  Danuta Hübner, membro della Commissione.−(EN) Signora Presidente, la nuova strategia per l’Asia centrale adottata di recente rispecchia l’impegno dell’Unione europea per una maggiore cooperazione a lungo termine con la regione. I paesi dell’UE e dell’Asia centrale, compreso l’Uzbekistan, hanno concordato di stabilire come elementi chiave della strategia i diritti umani, lo Stato di diritto, il buon governo e la democratizzazione.

Intendiamo rafforzare il sostegno alla protezione dei diritti umani e la creazione e lo sviluppo di un sistema giudiziario indipendente, fornendo così un contributo sostenibile al consolidamento dello Stato di diritto e al rispetto delle norme internazionali in materia di diritti umani in Asia centrale.

Le relazioni UE-Uzbekistan devono essere inserite in questo contesto, dove l’incoraggiamento a prendere misure positive per migliorare la situazione dei diritti umani e la democratizzazione sono alla base del dialogo e della cooperazione. Le nostre relazioni con l’Uzbekistan hanno vissuto una fase difficile negli ultimi anni, in particolare dai fatti di Andijan nel maggio del 2005, e restiamo seriamente preoccupati in merito alla situazione dei diritti umani.

Siamo fermamente convinti di avere maggiori possibilità di incoraggiare il progresso nella situazione dei diritti umani in Uzbekistan attraverso il coinvolgimento, piuttosto che con l’isolamento. L’isolamento non ha funzionato. Siamo favorevoli al graduale rinnovato impegno dell’ultimo anno, dopo che il Consiglio di cooperazione UE-Uzbekistan ha concordato di istituire un dialogo regolare sui diritti umani, avviato nel maggio di quest’anno. Due cicli di colloqui specialistici si sono tenuti anche sugli avvenimenti di Andijan. Inoltre, stiamo pianificando un dialogo con la società civile uzbeka sulla libertà dei media che dovrebbe tenersi a Tashkent all’inizio del prossimo anno. Accogliamo con favore anche l’introduzione dell’habeas corpusin Uzbekistan e l’abolizione della pena di morte, che dovrebbe entrare in vigore nel gennaio 2008.

In occasione dell’ultima riunione del Consiglio “Affari generali” gli Stati membri dell’UE hanno concordato il rinnovo delle misure restrittive, ma nel contempo hanno approvato la sospensione condizionale del divieto di rilascio dei visti. Il Consiglio ha esortato l’Uzbekistan a rispettare pienamente i propri obblighi internazionali in relazione ai diritti umani e, in particolare, a consentire il libero accesso ai detenuti da parte di organismi internazionali pertinenti, a collaborare efficacemente con i relatori speciali dell’ONU, a permettere a tutte le ONG di operare senza restrizioni e a rilasciare dal carcere gli attivisti per la difesa dei diritti umani, ponendo fine alla loro persecuzione.

Il Consiglio ha stabilito che la sospensione delle restrizioni sui visti sarebbe stata rivista dopo sei mesi, per valutarei progressi dell’Uzbekistan nel rispettare le condizioni. Le autorità uzbeke hanno convenuto di proseguire la discussione in materia di diritti umani nel contesto del Comitato di cooperazione UE-Uzbekistan all’inizio dell’anno prossimo.

L’Uzbekistan si è anche dimostrato aperto a discutere con la Commissione su possibili modi per rafforzare l’assistenza della Comunità nel sostegno alle riforme delle sue istituzioni politiche, quali il parlamento, e alla riforma del sistema giudiziario, di cui discuteremo ulteriormente in occasione del Comitato di cooperazione. Il fatto che le misure restrittive dell’UE restino in essere è un chiaro segnale, per gli uzbeki e per l’opinione pubblica in generale, delle nostre preoccupazioni in merito alla situazione nel paese.

L’Uzbekistan ha ancora molta strada da fare in materia di diritti umani e noi continueremo a sottolineare, in linea con le conclusioni del Consiglio, che ci attendiamo di vedere progressi concreti nella situazione dei diritti umani nel paese.

I diritti umani restano un aspetto importante e difficile delle nostre relazioni con l’Uzbekistan, ma la Commissioneritiene che l’impegno sia il modo migliore di promuovere sviluppi positivi.

 
  
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  Presidente. –La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà al termine della discussione.

(Testo abbreviato conformemente all’articolo 142 del Regolamento)

 
  
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  Véronique Mathieu (PPE-DE), per iscritto. (FR)Quando l’Europa si afferma, le libertà progrediscono.

L’Unione europea deve assolutamente perseguire la politica avviata nel 2005 dopo la cieca repressione di Andijan, rimasta completamente impunita, che secondo l’OSCE e Human Rights Watchha provocato dai 500 ai 1000 morti. Le numerose sfide future(energia, terrorismo, libertà) impongono all’Europa di mobilitarsi più che mai nelle sue regioni periferiche. La missione più urgente è quella di agire per promuovere i diritti umani e far dipendere le relazioni positive con l’Uzbekistan dai progressi nelle libertà fondamentali. L’UE non può ignorare la realtà di uno Stato di diritto illusorio e dell’odioso assassinio, lo scorso settembre, del regista Mark Weil, noto per la sua opposizione al regime di Tashkent. Il parlamento uzbeko recentemente ha fatto qualche passo avanti verso l’abolizione della pena di morte e verso una giustizia civile. Benché queste decisioni siano ancora insufficienti, la fermezza dell’Unione europea non è stata vana e contraddice i principi di una realpolitik inaccettabile e pericolosa. Bisogna andare ancora avanti per ottenere la democrazia e la stabilità politica, ma finalmente abbiamo cominciato a sperare. Spetta al grande paese che è l’Uzbekistan non rovinare questa speranza, costruendo un reale partenariato con l’Europa.

 
  

(1) Vedasi processo verbale.


9.3. Somalia (discussione)
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  Presidente. –L’ordine del giorno reca sei proposte di risoluzione sulla Somalia.(1)

 
  
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  John Bowis (PPE-DE), autore.–(EN) Signora Presidente, da molte generazioni nel mio collegio elettorale di Londra sono presenti persone provenienti dal Somaliland e dalla Somalia. Hanno una lunga tradizione di lavoro nella marina mercantile britannica per poi spedirein patria il denaro guadagnato. Durante il mio mandato al parlamento britannico, sono stato copresidente del gruppo interpartitico somalo-britannico. Talvolta si discuteva di questioni generali, talvolta di problemi personali, e così via. I problemi erano molti. I somali erano persone meravigliose, che tuttavia non erano governate da leader particolarmente brillanti.

Ora le cose sono addirittura peggiorate. Abbiamo uno Stato mancato. Le statistiche sanitarie del paese sono tra le peggiori al mondo. Ogni giorno la popolazione subisce violenze e combatte con l’aumento costante dei tassi di mortalità infantile e materna. Si trova tra i due fuochi delle truppe etiopi e governative e delle milizie fedeli alle Corti islamiche. Per questo la situazione del paese è un punto all’ordine del giorno di oggi. Sappiamo quanto sia difficile vivere in Somalia oggi. Ci rendiamo conto della pressante necessità di fornire aiuti umanitari, e tuttavia non siamo in grado di farlo. Siamo consapevoli della necessità di forze di pace e apprezziamo le promesse dell’Unione africana, ma non ci piace quello che sta fornendo effettivamente, che è ben lontano da quanto promesso.

Attualmente sono presenti solo truppe ugandesi. Gli etiopi non se ne andranno finché non si raggiunge la cifra promessa di 8 000 unità. Dobbiamo capire in che modo promuovere il dialogo – il dialogo attraverso i confini, al di là di alcuni dei nostri pregiudizi tradizionali – perché se non esiste dialogo non c’è neppure stabilità, e se non c’è stabilità allora non ci sarà futuro per quel paese. E se non ci sarà futuro, allora moriranno sempre più persone. Non ne saremo responsabili, ma non avremo nemmeno fatto nulla per impedirlo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), autore.–(ES) Signora Presidente, anch’io ovviamente voglio sottolineare l’importanza di questa risoluzione, soprattutto nel contesto della discussione di questa mattina. Stiamo parlando precisamente di come affrontare la situazione degli Stati più fragili. La Somalia non è solo uno Stato fragile, ma effettivamente è uno Stato mancato.

Tuttavia, su questo punto non dobbiamo dimenticare, come diceva l’onorevole Bowis, che l’enorme livello di violenza esistente nel paese attualmente è alimentato prima di tutto dal costante ingresso di armi, soprattutto armi leggere e munizioni, provenienti da altri paesi della regione e in molti casi direttamente dai paesi occidentali, tra cui l’Unione europea.

Quindi, oltre a reagire alle conseguenze immediate di quanto sta accadendo in Somalia, non dobbiamo dimenticare che anche noi siamo responsabili di questa situazione e quando parliamo dell’obbligo e della responsabilità di proteggere, come siamo abituati a fare in questo genere di discussioni, dobbiamo anche assumerci la nostra responsabilità in termini di prevenzione, ad esempio controllando le esportazioni di armi.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE), autore. – (PT) Ieri a Mogadiscio si sono sentiti incitamenti ad attaccare le forze dell’Unione africana – tale è la portata della tragedia e della perdita di controllo che stanno distruggendo la Somalia e infiammando l’intero Corno d’Africa. L’UE deve urgentemente fare pressione su tutte le parti del conflitto affinché si impegnino a promuovere un processo generale di riconciliazione nazionale, in grado di affrontare le questioni politiche all’origine della crisi. Il “governo transitorio” resterà una finzione se continua a non prendere misure per proteggere la popolazione civile e agevolare gli aiuti umanitari.

Secondo una recente relazione ONU, la Somalia è più che mai stracolma di armi. È essenziale che i paesi e i trafficanti che violano l’embargo sulle armi imposto nel 1992 vengano fermati e chiamati a rispondere. Infine, la forza di pace dell’Unione africana dev’essere urgentemente rafforzata e le truppe di occupazione etiopi devono andarsene. Bisognerebbe riconoscere che l’intervento etiope, sollecitato dall’amministrazione Bush con la complicità passiva dell’Unione europea, non ha portato la pace, né un governo e nemmeno ha contribuito a combattere il terrorismo in Somalia. Ha solo portato più sofferenza, povertà e morte alla popolazione dell’intera regione.

 
  
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  Marcin Libicki (UEN), autore. – (PL)Signora Presidente, oggi parliamo della tragedia della Somalia. Di solito si dice che in casi simili sono possibili tre misure di intervento: pressioni diplomatiche, embargo economico e, se necessario, l’intervento armato. Tuttavia, esiste una quarta possibilità di cui non si parla, ossia che i paesi dell’UE comincino a eliminare il potenziale per i propri pseudo-affari con burocrati corrotti in vari paesi post-coloniali, che poi intraprendono guerre civili spesso sostanzialmente nell’interesse degli pseudo-affari.

Vorrei aggiungere qualcosa sul tema trattato dagli onorevoli Romeva i Rueda e Gomes: sicuramente le armi utilizzate in questi paesi, inclusa la Somalia, vengono prodotte ed esportate dai cosiddetti paesi democratici, dai paesi economicamente sviluppati. Gli Stati di questa parte del mondo dovrebbero fare pressione sui propri produttori di armi e pseudo-uomini d’affari, per assicurarsi che non provochino i peggiori disastri che si verificano oggi sul pianeta, né vi svolgano un ruolo.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE), autore.–(EN) Signora Presidente, la Somalia in passato è stata oggetto di risoluzioni del Parlamento europeo e dell’ONU. Purtroppo, la situazione nel paese non è migliorata e la prolungata e distruttiva guerra civile è proseguita senza tregua. La tragedia delle sofferenze umane che ne conseguono continua, con centinaia di migliaia di profughi in condizioni di estrema povertà, migliaia di bambini malnutriti e morenti e la diffusione nella regione di malattie contagiose come il colera e l’epatite. Quel paese è in una situazione disperata, dove prevalgono l’anarchia e la legge della giungla.

Questa proposta di risoluzione comune, come le precedenti, contiene una serie di suggerimenti utili, quali la cessazione di tutti gli interventi militari stranieri in Somalia – principalmente dall’Etiopia e dall’Eritrea – e la piena attuazione dell’embargo sulle armi nei confronti della Somalia, che, benché imposto 15 anni fa, purtroppo non è ancora entrato veramente in vigore.

Facciamo anche un appello per la protezione della libertà di stampa, condannando fortemente le sistematiche intimidazioni nei confronti dei media da parte del governo somalo e la vergognosa assenza di indagini sull’uccisione di giornalisti considerati critici nei confronti del governo.

Nel fare questi appelli siamo consapevoli del fatto che le probabilità che vengano ascoltati sono veramente scarse. Tuttavia, bisogna perseverare nella speranza che forse il buon senso e un atteggiamento umanistico alla fine prevarranno e il popolo somalo vivrà giorni di pace e prosperità.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), autore. – (NL)Signora Presidente, dal 1991 la Somalia in pratica non esiste più come paese, almeno nel senso del territorio dell’ex colonia italiana. Solo nel nord, nella ex colonia britannica di Somaliland, esiste una specie di Stato, che tuttavia non è riconosciuto a livello internazionale.

Il posto dello Stato è stato preso da una serie di signori della guerra, che alternano periodi di combattimento a periodi di reciproca collaborazione. L’esercito della vicina Etiopia si è autonominato loro protettore comune. L’Unione delle Corti islamiche, d’altro canto, è il loro avversario comune e intende riunire la Somalia sulla base delle tradizionali norme islamiche, senza i signori della guerra.

Finora, tutti i tentativi di istituire un governo unitario accettato da tutti e di aiutare la Somalia a rimettersi in piedi sono falliti. Il sostegno finanziario della Commissione a favore delle istituzioni federali provvisorie create nel 2004 è apparso giustificato al momento, ma in seguito ha dato origine all’accusa che l’Unione europea stesse prendendo parte ad un conflitto armato e cooperando con l’Etiopia contro le forze che avrebbero preferito vedere al potere un rigoroso regime islamico.

Una politica europea di questo tipo, pur con le migliori intenzioni, non può avere successo senza il sostegno degli abitanti della Somalia. Per questo motivo, è bene che la proposta di risoluzione sulla quale ci accingiamo a votare auspichi la cessazione dell’intervento militare straniero e il dialogo e la riconciliazione sul piano nazionale.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg, a nome del gruppo PSE. – (PL)Signora Presidente, dalla caduta del regime di Siad Barre nel 1991 la Somalia non ha un governo adeguatamente funzionante. La situazione interna è dominata dal caos e dall’anarchia. A seguito del conflitto tra i ribelli dell’Unione delle Corti islamiche e le truppe del governo provvisorio, 850 000 persone sono rimaste senza casa e molte sono morte.

La situazione in Somalia è drammatica. Il colera si sta diffondendo in tutta la regione, oltre 1,5 milioni di persone richiedono assistenza medica urgente e decine di migliaia di bambini soffrono di malnutrizione. Esiste un rischio reale che il conflitto possa esercitare un effetto destabilizzante sull’intera regione. Ancora più preoccupante è il fatto che, degli 8 000 soldati promessi dall’Unione africana, finora solo 1 600 sono stati dislocati per un intervento di mediazione.

Per questo motivo, l’Unione africana, gli Stati Uniti, l’Unione europea e l’ONU dovrebbero aumentare gli aiuti umanitari e logistici a favore dei somali, oltre ad intensificare gli sforzi diplomatici mirati ad accelerare il processo di pace e ad istituire un governo stabile a seguito di libere elezioni nel 2009.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz, a nome del gruppo UEN . – (PL)Signora Presidente, la Somalia si trova nella penisola somala, nota come Corno d’Africa, ed è uno stato omogeneo dal punto di vista etnico e religioso. I somali costituiscono il 97% della popolazione, e quasi per il 100% professano la fede islamica.

Grazie alle sue risorse naturali, la Repubblica di Somalia, istituita nel 1960, disponeva delle condizioni necessarie per garantire lo sviluppo economico e una vita dignitosa ai suoi cittadini. Purtroppo, un colpo di Stato, una guerra civile, cambiamenti nell’orientamento politico, divisioni tribali e il coinvolgimento dell’Unione delle Corti islamiche con i suoi legami con i Talebani nella lotta per il potere si sono combinati a creare una situazione infernale per la popolazione della Somalia.

Come possiamo aiutare questo popolo? La soluzione della questione somala spetta all’ONU e all’Unione africana. Nell’interesse dell’Africa, l’Unione africana dovrebbe intensificare le sue attività politiche e militari per proteggere la popolazione e creare le condizioni necessarie affinché l’ONU e l’Unione europea possano fornire gli aiuti umanitari essenziali. Una discussione sulle violazioni dei diritti umani, all’ordine del giorno nel paese, non serve a cambiare la situazione della Somalia. Sono necessarie iniziative concrete sostenute dall’Unione europea.

 
  
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  Danuta Hübner, membro della Commissione.−(EN)Signora Presidente, concordo pienamente con l’onorevole Bowis sul fatto che finché c’è il dialogo c’è sempre speranza. A nostro parere, questo campanello d’allarme sulla Somalia nella discussione odierna è sicuramente tempestivo, poiché la situazione attuale pone una minaccia significativa alla pace e alla sicurezza, e non solo all’interno della regione. Inoltre, è causa di enormi sofferenze per la popolazione somala.

Come sapete, l’Unione ha assunto la guida del processo di pace in Somalia e nella creazione delle istituzioni federali provvisorie. Abbiamo sempre perseguito una soluzione politica che coinvolga tutte le parti, e la missione di pace del Commissario Louis Michel, l’ultimo tentativo di recuperare il processo di pace prima dell’intervento etiope nel dicembre 2006, è servita a collegare il sostegno UE alla missione di pace dell’Unione africana in Somalia e al varo di un vero Congresso nazionale di riconciliazione.

È in atto una catastrofe umanitaria a fronte di una riduzione degli spazi per gli aiuti umanitari in Somalia, che comporta anche la repressione dei mediaindipendenti e dei giornalisti, uccisi in attacchi mirati. I livelli attuali della crisi umanitaria nella Somalia meridionale e centrale hanno raggiunto proporzioni allarmanti. Si stima che 1,5 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria, tra cui oltre 730 000 sfollati interni, dei quali un terzo sarebbe a rischio estremo. Sempre secondo le stime, soltanto nelle ultime due settimane 173 000 abitanti di Mogadiscio sarebbero sfuggiti a violenze.

Inoltre, vi informo che in risposta alla crisi umanitaria in corso, l’ECHO, l’Ufficio per gli aiuti umanitari della Commissione, collabora con dei partneresecutivi per fornire sostegno a 1,5 milioni di persone, garantendo alla popolazione locale, agli sfollati e alle comunità ospitanti l’accesso all’acqua, strutture igienico-sanitarie, nutrimento, farmaci e aiuti per il bestiame e il sostentamento. Quest’anno ha stanziato la massima dotazione finanziaria per l’assistenza alla Somalia, per un ammontare di 20 milioni di euro.

Ci preoccupa molto anche l’evoluzione della situazione della sicurezza a Mogadiscio e in altre zone della Somalia meridionale e centrale. Pare che le sommosse si stiano espandendo e nelle ultime settimane tutte le parti hanno aumentato in misura significativa la propria capacità militare. L’UE è impegnata a seguire un approccio articolato su più fronti, che prevede il sostegno a una strategia generale per la sicurezza, con il cessate il fuoco e la piena dislocazione della missione dell’Unione africana, al fine di agevolare il ritiro delle truppe etiopi, e l’appoggio alla nomina di un rappresentante e di un Primo Ministro e un governo effettivi, fornendo rassicurazioni all’opposizione per favorirne il coinvolgimento nella parte restante del periodo provvisorio, fino alle elezioni del 2009. Inoltre, l’UE intende invitare tutte le parti al rispetto dei diritti umani fondamentali e del diritto umanitario internazionale.

Infine, occorre tenere conto delle dimensioni regionali della crisi e impegnarsi con l’Etiopia e l’Eritrea, che in Somalia combattono una guerra per procura che rischia di sfociare in un conflitto di confine tra i due paesi. La Commissione ha nominato un inviato speciale CE per la Somalia e sta promuovendo delle proposte per un’iniziativa dell’UE al Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”. Inoltre, conferma il suo impegno a collaborare strettamente con il Parlamento europeo per arginare la violenza e trovare una soluzione politica a questa crisi.

 
  
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  Presidente. –L’onorevole Matsakis interviene su una questione procedurale.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE).- (EN) Signora Presidente, un richiamo al Regolamento prima di procedere con la votazione. Ho notato ancora una volta che non sono presenti in Aula rappresentanti del Consiglio. Sta diventando una situazione quasi permanente e forse bisognerebbe fare qualcosa in merito.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà al termine delle discussioni.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Glyn Ford (PSE).- (EN) La situazione in Somalia rispecchia il crollo di uno Stato e il fallimento di un’economia. Non esiste un governo funzionante dal rovesciamento del regime di Said Barre nel 1991, che ha portato all’anarchia, alle lotte tra clan e al banditismo.

I recenti combattimenti tra l’Unione delle Corti islamiche e le truppe alleate dell’Etiopia e del governo federale provvisorio hanno avuto come conseguenza almeno 100 000 profughi e minacce di carestia. Tuttavia, il peggioramento della situazione della sicurezza a Mogadiscio ha impedito alle ONG internazionali di far fronte a questa catastrofe umanitaria in atto.

Apprezzo gli sforzi dell’Unione africana, intesi a costituire una forza di pace per contribuire alla riconciliazione nazionale, ma solo il 20% delle 8 000 unità promesse sono state effettivamente dislocate. L’Unione africana deve onorare i suoi impegni. Parallelamente, l’Unione europea deve intensificare il suo impegno per fornire un sostegno politico, finanziario e logistico.

La comunità internazionale, compresa l’UE, deve incrementare gli aiuti umanitari a favore degli sfollati. Tuttavia, una soluzione definitiva affinché la Somalia ritorni ad essere uno Stato funzionante impone che il Gruppo di contatto internazionale per la Somalia, che comprende Unione africana, ONU, UE e USA, si impegni con degli attori all’interno della Somalia per sostenere l’attuazione della Carta federale provvisoria e delle istituzioni.

 
  

(1)Vedasi processo verbale.


10. Turno di votazioni
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)

 

10.1. Comunità cristiane in Medio Oriente (votazione)
  

– (EL)Proposta di risoluzione comune Β6-0449/2007

 

10.2. Uzbekistan (votazione)
  

(EL)Proposta di risoluzione comune Β6-0451/2007

Dopo la votazione sulla prima proposta di risoluzione:

 
  
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  Evgeni Kirilov (PSE).- (EN) Signora Presidente, non sono riuscito a votare in tempo. La prego di inserire il mio voto a favore.

 

10.3. Somalia (votazione)
  

– (EL)Proposta di risoluzione comune Β6-0454/2007

 

11. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale

12. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

13. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale

14. Dichiarazioni scritte che figurano nel registro (articolo 116 del Regolamento): vedasi processo verbale

15. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale

16. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale

17. Interruzione della sessione
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  Presidente. – Dichiaro interrotta la sessione del Parlamento europeo.

(La seduta è tolta alle16.20).

 

ALLEGATO (interrogazioni scritte)
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO(La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è la sola responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 8 dell’on. Colm Burke (H-0794/07)
 Oggetto: Programma di riforma dopo le elezioni in Turchia
 

Il risultato delle ultime elezioni in Turchia ha conferito al nuovo governo turco un forte mandato per le riforme economiche e politiche. In che modo il Consiglio sta sostenendo il governo turco dinanzi alle sfide politiche ed economiche che attendono la Turchia al fine di garantire l’incremento dell’impulso alla riforma nel paese?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Le elezioni parlamentari turche hanno visto un’elevata affluenza alle urne.La composizione del nuovo Parlamento è maggiormente rappresentativa della popolazione turca rispetto alla precedente e il governo del Primo Ministro Erdogan gode di una maggioranza assoluta.Come ha dichiarato l’onorevole parlamentare, il governo ha ottenuto il rinnovo della sua legittimazione e gode ora di un mandato chiaro, che gli consentirà di continuare con determinazione il processo di riforma.

L’Unione europea ha colto, e continuerà a cogliere, ogni occasione, in particolare nel quadro dei vari incontri politici, per attirare l’attenzione della Turchia su quanto si attende l’UE, ovvero che il nuovo governo dia un nuovo impulso alle riforme dopo il rallentamento osservato lo scorso anno e nel periodo preelettorale.In tale contesto l’UE desidera attirare l’attenzione sull’intenzione della maggioranza parlamentare di scrivere una nuova costituzione, un processo che seguiremo da vicino.

Un progresso del processo di riforma, sia per quanto riguarda l’adozione di nuove leggi sia per quanto riguarda la loro attuazione, è essenziale per proseguire i negoziati di adesione e l’Unione conferma la propria disponibilità ad assistere la Turchia su questo percorso.Molto è il lavoro che resta da fare, in particolare per quanto riguarda i criteri politici.Abbiamo sottolineato la necessità di progressi significativi in settori come quello della libertà di espressione, della libertà religiosa e delle relazioni tra civili e militari.Chiaramente guardiamo alla situazione con viva preoccupazione nella parte sudorientale del paese; condanniamo senza riserve qualsiasi atto di terrorismo ed evidenziamo l’esigenza di mantenere il rispetto per lo Stato di diritto e la stabilità della regione.

Inoltre continuiamo a incoraggiare la Turchia verso una normalizzazione delle relazioni con la Repubblica di Cipro e chiediamo di dare piena attuazione al protocollo aggiuntivo dell’accordo di Ankara, come richiamato nella dichiarazione dell’UE del 21 settembre 2005 unitamente alle conclusioni del Consiglio dell’11 dicembre 2006.Sollecitiamo inoltre la Turchia ad aumentare gli sforzi per dare seguito in modo pieno e chiaro all’impegno assunto di mantenere rapporti di buon vicinato e all’impegno a risolvere qualsiasi controversia territoriale in corso in base al principio della composizione amichevole delle controversie ai sensi della carta delle Nazioni Unite coinvolgendo, se necessario la Corte di giustizia internazionale.

Sul piano economico auspichiamo che la Turchia prosegua sulla strada di una crescita economica sostenibile dando contemporaneamente attuazione al programma di riforme strutturali.

In sintesi desidero rammentare che l’Unione ha elaborato una strategia di preadesione che fornisce alla Turchia un quadro preparatorio all’adesione.L’accordo di associazione è uno strumento importante per la cooperazione di entrambe le parti.Il partenariato di adesione, che sarà prossimamente riveduto, stabilisce le priorità per il lavoro che resta da fare e serve inoltre da riferimento per adattare l’assistenza dell’UE alle specifiche esigenze del paese candidato.Quanto all’assistenza finanziaria, in base al nuovo strumento finanziario IPA gli stanziamenti medi annui destinati alla Turchia passeranno dai 497 milioni di euro del 2007 ai 653 milioni di euro nel 2010.

Inoltre i negoziati di adesione stessi costituiscono lo strumento più prezioso ed efficace per generare riforme.

 

Interrogazione n. 9 dell’on. Mairead McGuinness (H-0795/07)
 Oggetto: Liberalizzazione dei servizi postali nell’UE
 

La liberalizzazione completa dei servizi postali è stata decisa durante la riunione del Consiglio del 1° ottobre. In essa, è stato stabilito che l’apertura del mercato dei servizi postali nell’Unione europea dovrebbe essere completata entro il 31 dicembre 2010. Può il Consiglio rilasciare una dichiarazione in merito?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Come ha giustamente sottolineato l’onorevole parlamentare il Consiglio, nel corso della sua riunione del 1° ottobre 2007, ha raggiunto un accordo politico sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per il completamento del mercato interno dei servizi postali, la cui approvazione è prevista attraverso il meccanismo di codecisione e pertanto con la piena partecipazione del Parlamento.

Una delle caratteristiche principali di tale accordo è la scadenza ultima del 31 dicembre 2010 per dare attuazione alla direttiva di modifica.A tale riguardo determinati Stati membri (elencati nel nuovo articolo 3) hanno la facoltà di prorogare tale scadenza alla data ultima del 31 dicembre 2012, previa notifica alla Commissione.Ulteriori punti comprendono chiarimenti e correzioni importanti apportate alle definizioni di interesse nonché la salvaguardia del servizio universale, compreso il finanziamento del servizio e del sistema di autorizzazione.

L’accordo prende inoltre in considerazione le modifiche alla proposta della Commissione con l’inserimento di un notevole numero di modifiche suggerite nel parere del Parlamento europeo presentato in prima lettura.

Attualmente i giuristi linguisti stanno apportando gli ultimi ritocchi al testo dell’accordo per dar modo al Consiglio di adottare una posizione comune in occasione della prossima riunione.

Il Consiglio accoglie con particolare favore l’ottima collaborazione e la visione comune finora avute con il Parlamento europeo su tale cruciale questione.

 

Interrogazione n. 10 dell’on Avril Doyle (H-0797/07)
 Oggetto: Fondo per il rimpatrio di cittadini dell’Unione europea
 

Può il Consiglio esaminare la possibilità di istituire un fondo per coprire i costi di rimpatrio in caso di morte di un cittadino dell’Unione europea, quando risulta che la famiglia non è finanziariamente in grado di sostenerli?

In Irlanda, la recente crescita del numero di cittadini provenienti da altri Stati membri ha evidenziato i problemi finanziari che alcune famiglie potrebbero riscontrare nel rimpatriare la salma di un parente in un altro Stato membro. In molti casi, le comunità locali stanziano fondi per coprire i costi. Cosa succede quando non è cosi? Può essere istituito un “fondo per il rimpatrio” per risolvere questi casi?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La questione sollevata dall’onorevole parlamentare è interessante e riflette uno degli aspetti della questione più generale del “rimpatrio delle salme tra Stati” attualmente regolata dalla convenzione di Strasburgo del 1973, sottoscritta solo da alcuni Stati membri e che fissa norme rigide per il trasferimento delle salme.Tale argomento è stato oggetto del libro verde della Commissione sulla tutela consolare dei cittadini dell’Unione europea ma solo per quanto riguarda il trasferimento delle salme da Stati extra UE.

La questione del rimpatrio delle salme è di competenza degli Stati membri, che sulla questione hanno posizioni diverse.La maggior parte degli Stati, se non tutti, non prevede alcun obbligo o alcuna possibilità giuridica per il rimpatrio delle salme dei propri cittadini.La Presidenza ritiene pertanto improbabile che una decisione su tali questioni possa essere assunta nel breve-medio termine, in particolare per quanto riguarda l’istituzione di un fondo a copertura di costi che gli Stati membri, per la maggior parte, considerano perlomeno di responsabilità dei privati cittadini.

 

Interrogazione n. 11 dell’on. Jim Higgins (H-0799/07)
 Oggetto: Prevenzione delle malattie cardiovascolari
 

Come il Consiglio ben sa, le malattie cardiovascolari causano ogni anno la morte di 1,9 milioni di cittadini europei: la chiave per ridurre il numero di vittime è l’elaborazione di un piano che abbracci questioni sociali, politiche ed economiche. Per questi motivi, può il Consiglio indicare quali misure sta adottando in materia di prevenzione delle malattie cardiovascolari?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio sta attualmente ponendo l’accento sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari (CVD) occupandosi delle specifiche questioni sanitarie che influiscono sull’incidenza delle CVD.

– Alimentazione e attività fisica:nel 2005 il Consiglio ha approvato le conclusioni del Consiglio sulla promozione di stili di vita sani e la prevenzione del diabete di tipo 2 e anche, nel corso della riunione del 31 maggio 2007, le conclusioni sulla Promozione della salute mediante l’alimentazione e l’attività fisica.Attualmente il Consiglio sta elaborando una nuova serie di conclusioni sull’attuazione della strategia europea per i problemi di salute connessi alla nutrizione, al sovrappeso e all’obesità.Il gruppo di alto livello costituito per dare attuazione alla strategia discuterà come prioritaria la riduzione della quantità di sale nei prodotti alimentari, dato che il sale costituisce un fattore fondamentale per l’insorgenza delle CVD.

– Fumo:nel corso della riunione del Consiglio del 31 maggio 2007 si è avuto uno scambio di opinioni sulle opzioni strategiche per una politica per “Un’Europa senza fumo”.La riduzione del fumo attivo e passivo può costituire un importante passo avanti per quanto riguarda la salute cardiovascolare.

– Alcol:nel novembre 2006 il Consiglio ha approvato le proprie conclusioni sulla strategia europea per la riduzione dei danni causati dall’alcol.Un eccessivo consumo di alcol nonché gli effetti dannosi da esso derivanti costituiscono una delle principali priorità dei programmi delle presidenze tedesca, portoghese e slovena.

Vale la pena inoltre ricordare la Carta europea per la salute del cuore, redatta dalla Rete europea di cardiologia e dalla Società europea di cardiologia con il sostegno della Commissione europea e dell’OMS, che punta a ridurre l’impatto delle malattie cardiovascolari in Europa e nella regione europea dell’OMS e a ridurre le disparità fra i paesi di quest’area.

Tali azioni contribuiscono a ridurre i maggiori fattori di rischio per l’insorgenza delle CVD individuati nella risoluzione del Parlamento europeo del luglio 2007 e mettono in evidenza l’importanza di una prevenzione realizzata tramite uno stile di vita sano.

 

Interrogazione n. 12 dell’on. David Martin (H-0803/07)
 Oggetto: Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE a Kigali, risoluzione sugli accordi di partenariato economico
 

Considerate le preoccupazioni espresse dalla società civile e dai paesi ACP sul termine previsto per la conclusione degli accordi di partenariato economico, fissato a dicembre, quali sono i piani che il Consiglio dovrà negoziare con i colleghi africani durante l’assemblea parlamentare paritetica ACP-UE che si terrà a Kigali dal 17 al 23 novembre?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La responsabilità per la negoziazione degli accordi di partenariato economico a nome dell’UE spetta alla Commissione, sulla base delle linee guida approvate dal Consiglio nel giugno 2002.Di norma i negoziati vengono condotti a livello regionale.A livello di tutti i paesi ACP, il Consiglio dei ministri ACP-CE è responsabile dell’approvazione delle linee guida politiche e delle decisioni necessarie per dare attuazione alle disposizioni dell’accordo di partenariato di Cotonou (articolo 15 paragrafo 2 lettera b), comprese quelle relative agli EPA.In tale contesto il Consiglio dei ministri ACP-CE del 25 maggio 2007 ha appoggiato una revisione dei negoziati EPA, come previsto dall’articolo 37 paragrafo 4 dell’accordo di partenariato di Cotonou.

L’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE non costituisce un forum negoziale formale nel caso degli EPA ma svolge un ruolo più generale ed estremamente importante nel quadro del sistema di Cotonou.Ai sensi del disposto dell’articolo 17 paragrafo 2 dell’accordo di partenariato di Cotonou il ruolo dell’assemblea, quale organo consultivo, è infatti quello di promuovere i processi democratici attraverso il dialogo e la consultazione e di discutere le questioni che riguardano lo sviluppo e il partenariato ACP-UE.

Il Consiglio dell’UE è fortemente impegnato a fornire gli indirizzi politici a nome dell’UE al processo dell’EPA.Pertanto il Consiglio ha approvato le conclusioni dell’aprile 2006 e del maggio 2007 sottolineando il proprio impegno per gli EPA quali strumenti di sviluppo che contribuiscono ad eliminare la povertà negli Stati ACP.

 

Interrogazione n. 13 dell’on. Cristobal Montoro Romero (H-0806/07)
 Oggetto: Tassi di cambio
 

L’Unione europea è il principale esportatore e importatore di beni del mondo, è il maggiore esportatore di servizi ed è al secondo posto in quanto fonte e recettore di investimenti diretti. È pertanto uno dei principali beneficiari dell’economia globale e ha una grande responsabilità quando si tratta di affrontare le sfide globali. Una di esse, l’apprezzamento dell’euro di fronte alle principali valute del resto del mondo, è una conseguenza degli squilibri dell’economia mondiale e della bassa crescita economica dell’Unione europea a causa della debolezza della sua domanda interna.

Ritiene il Consiglio che l’Unione europea non abbia alcuna responsabilità nei confronti della rivalutazione dell’euro e che tale situazione dipenda esclusivamente dagli altri blocchi commerciali, come la Cina e gli Stati Uniti?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Come giustamente indica l’onorevole parlamentare, l’Unione europea è un leader economico globale sotto vari aspetti, nel commercio di beni e servizi e nel settore degli investimenti interni ed esterni.Tuttavia non posso concordare con la valutazione dell’onorevole parlamentare sulla crescita economica e la domanda interna dell’Unione:se le previsioni disponibili della Commissione europea si dimostreranno corrette, il PIL supererà il suo potenziale sia nel 2007 sia nel 2008 e la domanda interna aumenterà quest’anno ancora di più (e sarà superiore a quella degli Stati Uniti).

In verità l’Unione europea considera molto seriamente le proprie responsabilità nella risoluzione degli squilibri economici mondiali e si augura che ciò facciano anche i suoi partner mondiali.Da sette anni l’UE si adopera perché le riforme economiche previste nell’agenda di Lisbona trovino attuazione, per cercare di risolvere un’ampia serie di questioni legate sia alla domanda economica sia al programma generale per la competitività nell’economia globale.Le riforme introdotte con successo dagli Stati membri nel quadro dell’agenda di Lisbona stanno dando risultati e attualmente l’economia dell’UE si trova in una posizione più forte per affrontare l’attuale periodo di incertezza economica globale.Da parte nostra tuttavia non vi è compiacimento:il nostro impegno per le riforme strutturali deve continuare e continuerà secondo le priorità dell’agenda di Lisbona.

Per quanto riguarda la questione specifica del tasso di cambio dell’euro, posso informare l’onorevole parlamentare che il Consiglio non ha discusso le tendenze dei tassi di cambio per quanto riguarda l’euro o le valute degli Stati membri che non usano l’euro.

Nondimeno posso comunicarle che l’Eurogruppo ha approvato e deciso di rendere nota una dichiarazione sulle questioni legate al tasso di cambio nel corso della riunione dell’8 ottobre, ribadendo che la zona euro svolge il proprio ruolo per una riduzione ordinata degli squilibri tramite l’attuazione delle riforme strutturali e contribuendo a riequilibrare la crescita.

La situazione economica e lo sviluppo dei tassi di cambio sono stati inoltre discussi nel corso dell’incontro tra i ministri delle Finanze dei G7 tenutosi a Washington il 19 ottobre.Nella dichiarazione dei ministri delle Finanze dei G7 si legge il seguente paragrafo:“Sosteniamo che i tassi di cambio devono riflettere i fondamentali economici.Un’eccessiva volatilità e turbolenze nei tassi di cambio non sono desiderabili per la crescita economica.Continuiamo a monitorare attentamente i mercati dei cambi, collaborando ove necessario.Salutiamo con favore la decisione della Cina di aumentare la flessibilità della propria moneta ma, in previsione dell’aumento dell’avanzo delle partite correnti e dell’inflazione interna, sottolineiamo che occorre che la Cina permetta un apprezzamento rapido dell’effettivo tasso di cambio”.

 

Interrogazione n. 14 dell’on. Dimitrios Papadimoulis (H-0811/07)
 Oggetto: Possibile intervento dell’esercito turco nell’Iraq settentrionale
 

Nelle sue dichiarazioni del 10 ottobre 2007, il Primo Ministro turco Erdogan ha annunciato che presto presenterà all’Assemblea nazionale turca una risoluzione per chiedere l’autorizzazione allo svolgimento di azioni militari nell’Iraq settentrionale.

Considerato che l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza comune, sig. Solana, ha già preso posizione sull’argomento con una dichiarazione in cui ha affermato che “qualsiasi prospettiva di un’ulteriore complicazione della situazione della sicurezza in Iraq non è auspicabile, ed è questo il messaggio che trasmettiamo ai nostri amici turchi”, quali iniziative immediate assumerà il Consiglio per scongiurare un eventuale intervento militare dell’esercito turco nell’Iraq settentrionale? Quali sarebbero le ripercussioni di un siffatto intervento sul cammino della Turchia verso l’adesione all’Unione europea?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Stiamo seguendo la situazione molto attentamente e siamo in stretto contatto con le autorità turche.La Presidenza ha fermamente condannato i recenti atti terroristici nel sud-est della Turchia e ha quindi espresso la nostra solidarietà al popolo di quel paese.La comunità internazionale e tutti i principali protagonisti della regione in particolare devono sostenere gli sforzi della Turchia miranti a proteggere la popolazione e a contrastare il terrorismo, al contempo rispettando i diritti umani, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto, mantenendo la pace e la stabilità a livello internazionale e regionale e astenendosi dall’intraprendere misure militari sproporzionate.Vale inoltre la pena ricordare che la Presidenza ha partecipato alla conferenza ministeriale dei paesi confinanti con l’Iraq, svoltasi ad Istanbul il 2-3 novembre, durante la quale i partecipanti hanno espresso apprezzamento per gli sforzi intrapresi dal governo iracheno per combattere il terrorismo, compresi gli sforzi volti ad evitare che l’Iraq venga utilizzato come base per attacchi terroristici contro i paesi confinanti, e hanno richiamato gli accordi bilaterali siglati tra l’Iraq e i paesi confinanti in materia di lotta al terrorismo.Rafforzare il dialogo e la collaborazione tra i governi turco e iracheno è massimamente importante per tentare di risolvere il problema.

Quale paese che sta negoziando la propria adesione all’UE, e conformemente al quadro dei negoziati, la Turchia deve impegnarsi a mantenere buoni rapporti di vicinato e rispettare l’ordinamento giuridico internazionale.

In tale contesto posso assicurare all’onorevole parlamentare che continueremo a seguire la situazione molto da vicino e ad adoperarci per una soluzione basata sulla collaborazione tra Turchia e Iraq.

 

Interrogazione n. 15 dell’on. Chris Davies (H-0815/07)
 Oggetto: Controllo dell’applicazione della legislazione comunitaria durante la Presidenza portoghese
 

Intende la Presidenza in carica far sapere se ha previsto l’inserimento della questione dell’applicazione inadeguata della legislazione comunitaria da parte degli Stati membri all’ordine del giorno di una delle riunioni del Consiglio dei ministri previste durante l’attuale Presidenza?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La presidenza portoghese non intende al momento discutere la questione in seno al Consiglio.

Si ricorda che la Commissione, quale “custode dei trattati”, vigila sull’attuazione del diritto comunitario negli Stati membri.La Commissione presenta una relazione ogni due anni denominata “Quadro di valutazione del mercato interno” sulla trasposizione della normativa nei diversi paesi dell’Unione.La diciassettesima relazione è stata pubblicata il 5 luglio 2007.

La Presidenza non dispone di informazioni sulla data di pubblicazione della prossima relazione da parte della Commissione.

 

Interrogazione n. 16 dell’on. Nikolaos Vakalis (H-0822/07)
 Oggetto: Misure di riduzione delle emissioni inquinanti delle autovetture nelle città
 

Considerato l’ampio dibattito che è da tempo in corso sulla questione dell’inquinamento atmosferico nel centro delle grandi città europee e di come tale inquinamento sia legato al traffico degli autoveicoli, può dire il Consiglio a che punto si trova la procedura di adozione della direttiva in materia di tasse relative alle autovetture (COM(2005)0261), che mette in relazione le tasse sugli autoveicoli con le emissioni di CO2?

Può dire inoltre per quale motivo, più di un anno dopo l’approvazione, intervenuta il 5 settembre 2006, di una risoluzione del Parlamento europeo sull’argomento, la direttiva in questione non è ancora stata adottata? Può dire infine se la Presidenza intende far avanzare la procedura di adozione?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La Presidenza portoghese è dell’avviso che la politica fiscale debba contribuire maggiormente al miglioramento della sostenibilità ambientale.La Presidenza pertanto avvia un dibattito su tutte le iniziative che possano promuovere gli sforzi intrapresi per combattere i cambiamenti climatici e raggiungere gli obiettivi comunitari di diminuzione complessiva delle emissioni di gas serra, nella consapevolezza che le misure fiscali possono avere un impatto positivo sull’inquinamento e sul comportamento dei consumatori.

Alla luce di tale contesto la Presidenza portoghese ha intensificato le discussioni sulla proposta per una direttiva sulle imposte sulle autovetture [COM(2005)0261] in seno al gruppo di lavoro sulle questioni fiscali e ha presentato un testo di compromesso che dà maggiore flessibilità agli Stati membri, in particolare nella scelta dei criteri di prestazione ambientale da utilizzare come base per la differenziazione delle tasse (grammi di CO2 per chilometro, consumo di carburante o altri fattori che possono contribuire a ridurre le emissioni).La Presidenza portoghese ha stimolato una discussione generale su tale argomento in seno al Consiglio (ECOFIN) del 13 novembre con l’obiettivo di far adottare la proposta di direttiva possibilmente entro il termine del proprio mandato.

 

Interrogazione n. 17 dell’on Brian Crowley (H-0823/07)
 Oggetto: Lotta alla disoccupazione giovanile e di lunga durata in Europa
 

Può il Consiglio illustrare quali iniziative nuove e innovative abbia perseguito quest’anno, a livello europeo, per sostenere la lotta alla disoccupazione giovanile e di lunga durata in Europa?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

L’elaborazione e l’attuazione delle politiche dell’occupazione degli Stati membri sono principalmente di competenza degli stessi Stati.Nondimeno il Consiglio detiene varie responsabilità nel campo dell’occupazione e quest’anno ha preso in esame le politiche per l’occupazione(1) degli Stati membri sottolineando, tramite le linee guida per l’occupazione, l’importanza della lotta alla disoccupazione giovanile e alla disoccupazione di lungo periodo all’interno degli Stati membri.

Conformemente all’articolo 130 del trattato, il Consiglio ha istituito il comitato per l’occupazione, un organo consultivo che, nell’ottobre 2007, ha iniziato ad analizzare le politiche per l’occupazione degli Stati membri utilizzando l’analisi di Cambridge e prestando particolare attenzione all’occupazione giovanile.

Da quest’anno l’Unione dispone di un nuovo strumento, il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, nella lotta contro la disoccupazione di lungo periodo nei casi in cui vi siano stati licenziamenti collettivi.Come l’onorevole parlamentare sa, il Parlamento e il Consiglio hanno raggiunto l’accordo su tale strumento alla fine dell’anno scorso.

 
 

(1)Tramite la Relazione comune sull’occupazione approvata nel febbraio 2007.

 

Interrogazione n. 18 dell’on. Eoin Ryan (H-0825/07)
 Oggetto: Aiuti dell’Unione europea alla Sierra Leone
 

Alla luce delle elezioni presidenziali ed amministrative di quest’anno in Sierra Leone, condotte in modo molto pacifico e corretto, intende il Consiglio aumentare il livello di finanziamenti che l’Unione europea assegna attualmente alla popolazione della Sierra Leone, in modo tale da favorire la ricostruzione di questo paese devastato dalla guerra che, secondo le Nazioni Unite, è il secondo più povero al mondo?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Dopo l’annuncio, il 17 settembre, dei risultati definitivi delle elezioni nella Sierra Leone la Presidenza, a nome dell’UE, si è congratulata con il nuovo Presidente, Ernest Bai Koroma.Il Consiglio attende con interesse di poter instaurare con il nuovo governo un dialogo politico migliorato.

I cittadini della Sierra Leone hanno dimostrato in modo ammirevole un forte impegno per la democrazia durante tutta la fase elettorale.Le istituzioni fondamentali della Sierra Leone e la NEC (commissione elettorale nazionale) in particolare hanno svolto un importante ruolo per il successo delle elezioni.

Gli aiuti dell’UE alla Sierra Leone vengono erogati essenzialmente tramite il Fondo europeo di sviluppo (FES).Gli stanziamenti destinati alla Sierra Leone nel quadro del 10° FES per gli aiuti programmabili ammontano a 242 milioni di euro (rispetto ai 220 milioni del FES precedente), più 26,4 milioni di aiuti non programmabili (per situazioni eccezionali).Tale importo può essere riesaminato durante la revisione intermedia principalmente in base ai risultati ottenuti dal paese rispetto agli impegni assunti dai suoi rappresentanti.Tale nuova caratteristica della cooperazione dell’UE nel quadro del FES consentirà di erogare un sostegno adeguato ai paesi più impegnati nella riforma del sistema di governo interno.Auspichiamo che i nuovi leader della Sierra Leone contribuiranno a dare nuovo impulso allo sviluppo del paese in modo da poter ricevere un maggiore aiuto.

L’UE e vari Stati membri sostengono generosamente anche il tribunale speciale per la Sierra Leone.Attento ai recenti richiami del tribunale speciale sulla necessità di coprire il proprio finanziamento per 2008, gli organi preparatori del Consiglio hanno recentemente discusso il possibile ulteriore aiuto che potrebbe essere concesso e che comporta nuovi impegni per il bilancio 2008.

 

Interrogazione n. 19 dell’on. Liam Aylward (H-0827/07)
 Oggetto: Lotta al cambiamento climatico
 

Può il Consiglio far sapere quali concrete strutture amministrative e politiche stiano introducendo congiuntamente i governi dell’UE e il governo americano, con l’intento di lavorare congiuntamente all’adozione delle misure necessarie e specifiche volte a fermare il cambiamento climatico?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

L’UE ha deciso di inviare un segnale chiaro alla comunità internazionale indicante la sua determinazione a combattere i cambiamenti climatici e il suo impegno per l’avvio dei negoziati per un accordo globale post-Kyoto per il periodo successivo al 2012.

Il cambiamento climatico compare sistematicamente da anni nell’agenda diplomatica dell’UE e l’anno scorso ha assunto un ruolo preminente nel corso di vari vertici e incontri tra l’UE i paesi terzi, tra i quali gli Stati Uniti.

L’ultimo Vertice UE-USA del 30 aprile 2007 ha approvato una dichiarazione comune sulla sicurezza energetica e i cambiamenti climatici in cui si sottolinea l’interesse reciproco delle due parti ad assicurare approvvigionamenti sicuri, a prezzi ragionevoli e “puliti” di energia e ad affrontare il cambiamento climatico con l’obiettivo ultimo di stabilizzare le concentrazioni dei gas serra.

L’UE e gli Stati Uniti hanno tenuto un dialogo di alto livello su cambiamento climatico, energia pulita e sviluppo sostenibile a Helsinki il 24 e il 25 ottobre 2006, per l’uso delle iniziative esistenti come base per proseguire con il programma di azione dei G8 di Gleneagles.Il terzo incontro ministeriale del dialogo di Gleneagles su cambiamento climatico, energia pulita e sviluppo sostenibile si è svolto a Berlino il 9-11 settembre 2007 e ha visto la partecipazione dei rappresentanti 20 paesi con un elevato fabbisogno energetico, tra cui gli Stati Uniti, per discutere idee innovative miranti allo sviluppo di una politica integrata per l’energia e il cambiamento climatico.

Quest’anno il processo del G8 iniziato a Gleneagles ha partorito un importante risultato a Heiligendamm,ovvero il riconoscimento da parte di tutti i componenti del G8 che il processo sul clima dell’ONU costituisce l’organismo adatto per negoziare un’azione globale sul cambiamento climatico.Sempre a proposito del G8 vale la pena citare la riunione speciale degli sherpa (consulenti tecnici) sul cambiamento climatico (Berlino 16 ottobre 2007).

Un altro evento che ha offerto anch’esso l’opportunità di portare avanti il lavoro nel settore della cooperazione nel quadro degli incontri bilaterali UE-USA è stato l’evento ad alto livello sul cambiamento climatico organizzato dal Segretario generale delle Nazioni Unite (New York, 24 settembre 2007).

 

Interrogazione n. 20 dell’on. Seán Ó Neachtain (H-0829/07)
 Oggetto: Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo UE
 

Può il Consiglio garantire che le aree regionali e periferiche d’Europa saranno incluse nei programmi di finanziamento previsti dal settimo programma quadro di ricerca e sviluppo per il periodo 2007-2013?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il settimo programma quadro di ricerca e sviluppo si basa sulla premessa che le regioni sono tra i soggetti più importanti coinvolti nella politica dell’innovazione e la ricerca.

Nell’ambito del programma specifico “Capacità”, 126 milioni di euro vengono destinati in modo specifico all’iniziativa “Regioni della conoscenza”, oltre ad altri 340 milioni di euro destinati all’iniziativa “Potenziale di ricerca”, che verte in modo specifico sulla convergenza dell’Unione europea e sulle regioni ultraperiferiche.

In teoria le iniziative succitate (che sono mirate alle regioni) devono durare per tutto il corso del programma quadro.Per il settimo programma quadro è prevista una revisione intermedia che verrà condotta durante il programma stessoe che potrebbe influire in qualche modo su determinati aspetti del programma.Cionondimeno è molto probabile che le iniziative mirate in modo specifico alle regioni proseguiranno.

Da ricordare anche i progetti ERANet a titolo del programma specifico “Cooperazione”, che vale la pena menzionare in relazione alla dimensione regionale, considerando che una delle priorità del meccanismo corrispondente consiste nel sostenere la creazione di reti tra programmi pubblici regionali (e nazionali) di scienza e tecnologia.

Pertanto le regioni europee in generale (e le regioni ultraperiferiche in particolare) devono poter avere accesso alle iniziative di finanziamento a titolo del settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico fino al 2013.

Inoltre sarà probabilmente possibile ottenere una maggiore sinergia tra il programma quadro di RST e i programmi per le regioni europee collegati ai Fondi strutturali, principalmente consentendo l’accesso degli organismi regionali al programma quadro e dando modo alle regioni europee di sviluppare a livello locale i risultati ottenuti dalla partecipazione ai progetti previsti dal programma.

 

Interrogazione n. 21 dell’on. Marcin Libicki (H-0832/07)
 Oggetto: Diritto da concedere alla popolazione del Balochistan
 

Il Pakistan ha sostenuto la causa di autodeterminazione del Kashmir. Ritiene il Consiglio che il Pakistan debba concedere il medesimo diritto alla popolazione del Balochistan e alle regioni tribali del Pakistan anziché indulgere nell’uso delle forze armate, reprimendo così il suo stesso popolo?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio non ha mai assunto posizione sulla questione dell’autodeterminazione della popolazione del Balochistan.

 

Interrogazione n. 23 dell’on. Johan Van Hecke (H-0834/07)
 Oggetto: Trasferimento coatto di 1,5 milioni di cinesi in vista dei giochi olimpici
 

Yang Chunlin, un militante cinese per i diritti dei proprietari, è stato torturato in un carcere cinese. Secondo la sorella, Yang Chunping, l’attivista detenuto è rimasto incatenato per giorni nella stessa posizione e costretto a pulire gli escrementi degli altri prigionieri. Egli era stato arrestato perché aveva lanciato una petizione contro i giochi olimpici, raccogliendo oltre 10.000 firme - in particolare di contadini espropriati - con lo slogan “no ai giochi olimpici, sì ai diritti umani”. L’esproprio illegale di terreni è in Cina prassi corrente. Un milione e mezzo di persone sarebbero state cacciate dalle proprie case per permettere la costruzione di nuovi complessi sportivi.

Per lungo tempo si è pensato che l’organizzazione dei giochi olimpici in Cina avrebbe avuto un impatto positivo, in quanto la manifestazione consentirebbe una maggiore apertura della Cina a influenze esterne. Ora, tuttavia, sembra che l’idea di boicottare i giochi olimpici rappresenti l’unico strumento a disposizione dell’Europa ha per fare pressioni sulla Cina.Intende il Consiglio boicottare i giochi olimpici per far comprendere alla Cina che sono inammissibili le gravi violazioni dei diritti umani ?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Conformemente alle linee di indirizzo comunitarie sugli attivisti dei diritti umani, i capi missione europei a Pechino stanno seguendo da vicino la situazione degli attivisti, compreso il caso di Yang Chunlin, e il Consiglio solleva regolarmente presso le autorità cinesi i singoli casi più preoccupanti attraverso vari canali.

Alle autorità cinesi è stato inoltre consegnato un elenco di casi individuali prima degli ultimi colloqui tenutisi a Pechino il 17 ottobre.In occasione di tale incontro l’Unione europea ha espresso la propria preoccupazione per le vessazioni e l’attuale detenzione inflitte agli attivisti per i diritti umani.L’Unione europea deplora la sorveglianza e il controllo esercitati in modo crescente sui mezzi di informazione, anche tramite Internet, e ha difeso la libertà di espressione.L’UE ha inoltre sollevato la questione delle torture.Come già in occasione dei colloqui precedenti, l’UE ha invitato la Cina a ratificare il Patto internazionale sui diritti civili e politici, sottoscritto dalla Cina nove anni fa e che sancisce e tutela i diritti dei cittadini offrendo loro protezione in caso di abusi.

Nel quadro del dialogo sui diritti umani con la Cina, l’UE solleva regolarmente molte delle questioni contenute nella lettera aperta intitolata“Human rights wanted, not Olympic Games” (C’è bisogno di diritti umani, non di Olimpiadi) al centro della campagna di Yang Chunlin.Nel corso dell’ultima tornata di colloqui i temi toccati comprendevano:concessione ai giornalisti nazionali dello stesso livello di accesso e indipendenza concesso ai giornalisti stranieri, tutela dei diritti dei lavoratori cinesi all’interno dei cantieri e cessazione delle discriminazioni contro i lavoratori migranti.Il Consiglio esprime inoltre preoccupazione per l’allontanamento e lo sfollamento coatto della popolazione a causa di iniziative di sviluppo urbano, collegate o meno alle Olimpiadi.

In sintesi, il Consiglio concorda con l’onorevole parlamentare sul fatto che la situazione dei diritti umani in Cina continui a destare preoccupazione.Tuttavia sono stati osservati modesti progressi su determinate questioni, ad esempio la riduzione del numero di esecuzioni capitali a seguito della revisione delle sentenze di condanna a morte da parte del tribunale supremo del popolo, il minor numero di restrizioni imposte ai mezzi d’informazione stranieri dal 1° gennaio 2007 e il varo di una nuova legge sui contratti di lavoro.

Il Consiglio ritiene pertanto che valga la pena continuare il dialogo con le Cina su tali temi, anche se i risultati non sono sempre quantificabili al termine di ciascuna tornata di colloqui e se i progressi sono solo graduali.

Per quanto riguarda i diritti umani e le Olimpiadi, la Cina ha assunto una serie di impegni in tale ambito nel quadro della sua offerta di ospitare le Olimpiadi del 2008.Il Consiglio monitorerà pertanto la situazione attentamente sollevando le questioni motivo di preoccupazione.Quanto alla possibilità di boicottare i giochi non compete al Consiglio dell’UE assumere una decisione, essendo questa una questione che compete a ciascuno Stato membro del Comitato olimpico internazionale.

 

Interrogazione n. 24 dell’on. Justas Vincas Paleckis (H-0836/07)
 Oggetto: Ratifica del trattato di riforma
 

Il Consiglio europeo del 18 e 19 ottobre ha approvato il trattato di riforma che dovrà essere firmato a Lisbona il prossimo 13 dicembre. L’accordo raggiunto permetterà di concludere le discussioni sulla riforma istituzionale, che si sono protratte per sei anni, e di concentrarsi sui compiti più importanti dell’Unione europea. Tuttavia, come dimostra l’esperienza fatta con il trattato costituzionale dell’Unione europea, il trattato di riforma dovrà ancora superare vari ostacoli prima di essere ratificato dai 27 Stati membri. Stando ad analisi sociologiche, circa il 60% dei cittadini francesi che si sono opposti al trattato costituzionale hanno motivato la loro posizione sostenendo, fra l’altro, che il testo del trattato era molto complicato e incomprensibile. Rispetto al trattato di riforma, il trattato costituzionale era molto più breve e di più facile comprensione. Di conseguenza, sorgono dubbi circa la capacità degli Stati membri di spiegare ai loro cittadini il contenuto e il significato del nuovo trattato.

Può il Consiglio indicare se intende adottare misure a livello europeo per assistere gli Stati membri nella presentazione del testo del trattato ai cittadini dell’Unione europea?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

I procedimenti di ratifica rientrano nell’esclusiva competenza dei singoli Stati membri.

 

Interrogazione n. 25 dell’on. Ryszard Czarnecki (H-0839/07)
 Oggetto: Ratifica dell’Accordo di stabilità ed associazione UE-Albania
 

Quando sarà completato il processo di ratifica dell’Accordo di stabilità ed associazione tra UE-Albania, firmato nel 2006?

Ad oggi, hanno ratificato l’accordo soltanto 10 dei 27 Stati membri - 6 “nuovi” Stati membri (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Lituania e Lettonia) e 4 “vecchi” Stati membri (Spagna, Irlanda, Svezia e Lussemburgo)

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Tali procedure giuridiche e parlamentari di ratifica variano tra uno Stato membro e l’altro.Pertanto il Consiglio non può prevedere quando dette procedure saranno completate,auspicando vivamente che si compiano ulteriori passi avanti nel completamento di tali procedure nei mesi a venire.

Per quanto riguarda la situazione l’attuale, oltre ai 10 Stati membri menzionati, altri due Stati (Regno Unito ed Estonia) hanno recentemente ratificato l’accordo di stabilizzazione e associazione tra UE ed Albania.

 

Interrogazione n. 27 dell’on. Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0844/07)
 Oggetto: Riforma dei sistemi pensionistici in Europa e donne lavoratrici
 

In Grecia, come in altri Stati membri, si è avviato recentemente un dialogo pubblico sulla riforma del sistema assicurativo nonché sull’eventuale adeguamento della legislazione “protettiva” per le donne attualmente vigente. In vista dell’organizzazione di un congresso sulla riforma dei sistemi pensionistici(1), che si terrà il 13 e 14 novembre a Lisbona, può la Presidenza dire qual è l’immagine che emerge dalle discussioni sinora svoltesi in seno al Consiglio Occupazione, Politica sociale, Salute e Consumatori (EPSCO) relativamente ai diversi sistemi pensionistici per le donne in ogni Stato membro? Quali modelli pensionistici hanno prodotto, a suo avviso, i migliori risultati in termini di remunerazione, occupabilità e carriera professionale delle donne? Intende chiedere alla Commissione l’elaborazione di uno studio comparativo in modo da individuare le migliori prassi per accrescere l’occupazione femminile nonché l’armoniosa conciliazione tra vita familiare e vita professionale?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Gli Stati membri sono stati invitati a fornire informazioni sui recenti sviluppi dei rispettivi sistemi pensionistici per contribuire alla relazione comune del Consiglio e della Commissione sulla protezione sociale e l’inclusione sociale redatta dal comitato per la protezione sociale, destinata ad essere approvata dal Consiglio e presentata in occasione del Consiglio europeo di primavera.L’onorevole parlamentare potrà reperire alcune informazioni sulla situazione attuale della riforma in Grecia alla corrispondente voce analitica dell’addendum alla relazione comune del 2007.(2)

Le questioni collegate alla conciliazione tra vita professionale e familiare costituiscono una delle priorità del Consiglio. Mi si consenta di cogliere questa opportunità per ricordare che le preoccupazioni espresse dall’onorevole parlamentare sono esattamente quelle affrontate nel corso dell’ultimo incontro informale dei ministri responsabili della promozione della parità di genere (4 ottobre), durante il quale sono stati analizzati in particolare i seguenti temi:integrazione della dimensione del genere nella crescita e dell’occupazione, lo spirito imprenditoriale della donna e l’integrazione nella vita lavorativa, conciliazione della vita professionale, personale e familiare di uomini e donne.

Nel corso della conferenza “Conciliazione della vita professionale, personale e familiare: nuove sfide per le parti sociali e le politiche pubbliche” tenutasi il 12 luglio, è stata messa in evidenza l’importanza strategica di tale conciliazione in particolare in termini di raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona in tema di occupazione, con particolare riguardo alle condizioni per l’accesso della donna (pari opportunità, servizi sociali, flessibilità dell’orario di lavoro).

 
 

(1)“The paths of sustainability and the reform of pensions systems”
(2)“Per l’azione congiunta sulla protezione sociale e l’inclusione sociale 2007 - profili dei paesi” (SEC (2007) 272).

 

Interrogazione n. 28 dell’on. Athanasios Pafilis (H-0846/07)
 Oggetto: Casi di cancro tra i militari che hanno prestato servizio nelle forze della NATO in Bosnia, Kosovo ed Afghanistan
 

Taluni articoli apparsi recentemente sulla stampa greca rivelano 23 casi di cancro tra i militari greci che hanno prestato servizio nelle forze armate della NATO in Bosnia, Kosovo ed Afghanistan dopo il 1996. Si sospetta sempre più che i casi siano correlati alla permanenza in zone inquinate dall’uranio impoverito, dal momento che sono stati registrati 3 casi di cancro all’apparato digerente, 2 ai testicoli, 3 di linfoma mentre, per i restanti 15 casi, non sono stati forniti dati. Casi analoghi di cancro si sono manifestati anche tra i militari di altri paesi con missioni militari nei paesi in conflitto, come l’Italia, in cui sono già stati confermati 225 casi e 37 morti.

Qual è la posizione del Consiglio sulle responsabilità dell’UE e della NATO riguardo all’uso di armi proibite durante la guerra contro la Iugoslavia? Intende indennizzare i militari contaminati come pure la popolazione?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Le questioni relative alle operazioni militari della NATO non rientrano nelle competenze dell’Unione europea, che non dispone di dettagli sulle questioni sollevate dall’onorevole parlamentare.

 

Interrogazione n. 29 dell’on. Paulo Casaca (H-0848/07)
 Oggetto: Doris Lessing e la dittatura iraniana
 

Il Premio Nobel per la letteratura del 2007 ha affermato al giornale El País che nessuno osa criticare la dittatura iraniana per via degli interessi petroliferi, dimostrando una perfetta comprensione delle motivazioni europee nella politica di concessioni che l’Unione europea persegue con Teheran.

Non ritiene il Consiglio che la sua politica di concessioni nei confronti di Teheran avrà gravi conseguenze per i cittadini iraniani e che metterà in pericolo la pace nel mondo?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio condanna il perdurante deterioramento della situazione dei diritti umani in Iran.La Presidenza dell’UE segue da vicino la situazione e a più riprese ha invitato l’Iran tramite iniziative, sia a Lisbona che a Teheran, e dichiarazioni ad adempiere ai suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani.

L’UE ha pubblicato varie dichiarazioni dall’inizio della Presidenza portoghese vertenti in particolare su giustizia minorile, casi di condanna a morte e libertà di espressione e continuerà tale attività in tutti i casi in cui ciò sia necessario e conformemente alle linee guida dell’Unione europea su pena di morte, tortura e attivisti per i diritti umani.

Ad oggi sono state intraprese cinque iniziative riguardanti i temi che più ci preoccupano, come il ricorso alla pena di morte in assenza delle norme minime definite a livello internazionale (esecuzione di minori, esecuzioni per lapidazione ed esecuzioni pubbliche), le aumentate limitazioni alla libertà di espressione, alla libertà di stampa e dei mezzi di informazione, la persecuzione di determinate minoranze e comunità religiose (nella fattispecie i Baha’i) e la persecuzione degli attivisti per i diritti umani.

L’UE ha pertanto cosponsorizzato ed è fortemente impegnata a sostenere la risoluzione proposta dal Canada e attualmente in discussione nella terza commissione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

 

Interrogazione n. 30 dell’on. Danutė Budreikaitė (H-0850/07)
 Oggetto: Destino di “Villa Lituania”
 

È ormai da 16 anni che la Lituania ha riconquistato la sua indipendenza dall’Unione Sovietica. Esattamente dallo stesso numero di anni la Lituania attende invano la restituzione di “Villa Lituania”, edificio di sua proprietà e sede della sua ambasciata fino al 1937. Nonostante la nota loro inviata dall’ambasciatore lituano Stasys Lozoraitis, i funzionari italiani avevano consentito ai sovietici di occupare “Villa Lituania”. Attualmente davanti all’edificio sventola la bandiera russa.

Sebbene Roma abbia sempre ribadito durante tutto questo tempo che la Lituania non ha perduto i suoi diritti su “Villa Lituania”, il ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema ha ora dichiarato che alla Lituania non verrà mai restituita la sua proprietà. Nel 1999 è stato offerto alla Lituania di prendere in affitto Palazzo Stozzi, sito ai margini della città di Roma. In tal modo però non è certo risolto il decisivo conflitto diplomatico sul recupero della proprietà perduta. “Villa Lituania” vale attualmente 20 milioni di euro.

In che modo, secondo il Consiglio, può la Lituania far valere le sue richieste legittime?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio non ha discusso la questione, non rientrando essa nelle sue competenze.

 

Interrogazione n. 31 dell’on. Pedro Guerreiro (H-0852/07)
 Oggetto: Finanziamento comunitario della futura politica marittima europea
 

La Commissione ha recentemente presentato le sue proposte per un futura “Politica marittima integrata” a livello UE. Considerando che qualsiasi iniziativa in questo settore deve salvaguardare le competenze degli Stati membri in merito alla gestione del loro territorio, in particolare delle loro acque territoriali e delle zone economiche esclusive (ZEE) nelle loro varie modalità come: sfruttamento delle risorse, trasporti, ricerca, gestione delle frontiere e sicurezza, ordinamento del territorio, ambiente o attività economiche come la pesca.

Come intende il Consiglio finanziare tale politica a partire dal bilancio comunitario sulla base del principio che per le nuove priorità devono essere previsti nuovi mezzi finanziari?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Nella sua comunicazione su una politica marittima integrata dell’Unione europea, approvata il 10 ottobre 2007, la Commissione illustra le proprie idee per una politica globale per gli affari marittimi e annuncia le iniziative e le azioni che intende proporre in futuro, in modo da formulare una politica marittima integrata per l’Unione europea.

È auspicabile che il Consiglio europeo si esprima, nel corso del suo incontro previsto nel dicembre 2007, sulla comunicazione della Commissione e sulle idee in essa contenute.

Il Consiglio attende con interesse di ascoltare le eventuali proposte per una futura politica marittima che la Commissione potrebbe presentare in virtù del suo diritto di iniziativa e le analizzerà seguendo le procedure previste e nel pieno rispetto delle regole comunitarie.Nel caso queste proposte comportino per le misure suggerite un sovvenzionamento da parte della Comunità il Consiglio, in stretta collaborazione con il Parlamento europeo, analizzerà la questione conformemente alle regole applicabili in tema di bilancio.

 

Interrogazione n. 32 dell’on. Diamanto Manolakou (H-0855/07)
 Oggetto: Intervento nelle questioni interne del Partito comunista ungherese dei lavoratori
 

Il tribunale di Budapest ha deciso di intervenire nelle questioni interne del Partito comunista ungherese dei lavoratori, arrivando sino al punto di annullare il suo 21° congresso. La Presidenza del Partito ha denunciato il carattere politico della sentenza, che non ha precedenti nella storia giudiziaria degli ultimi due decenni. Avendo la direzione del Partito rifiutato di dar seguito a quanto le era stato chiesto di fare, il Presidente del tribunale ha formulato un’accusa di diffamazione pubblica nei confronti del Presidente del Partito, Gyula Thurmer, e di sei membri della Presidenza, i quali possono anche essere condannati fino a due anni di carcere. Tale decisione rappresenta una violazione del principio di libertà di espressione, previsto dalla Costituzione ungherese, e si inserisce in una serie di azioni anticomuniste condotte nell’Europa orientale.

Condanna il Consiglio questa inaccettabile condotta del tribunale di Budapest nei confronti del Partito comunista ungherese dei lavoratori?

Non ritiene che le accuse che sono state rivolte a quest’ultimo costituiscano un grave atto di violazione delle libertà e dei diritti politici e democratici, e rappresentino un intervento illegale nelle questioni interne di un partito che è del tutto legale?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Non spetta al Consiglio esprimere opinioni su decisioni giudiziarie pronunciate da un tribunale di uno Stato membro.

 

Interrogazione n. 33 dell’on. Vural Öger (H-0859/07)
 Oggetto: Relazioni bilaterali tra la Turchia e Cipro
 

Per quanto riguarda la normalizzazione delle relazioni bilaterali tra la Turchia e la Repubblica di Cipro non è stato finora realizzato alcun progresso. Mentre nel 2006 la Presidenza finlandese del Consiglio aveva definito la “questione cipriota” come una delle priorità della sua politica estera, tale questione è rimasta finora esclusa dal programma della Presidenza portoghese del Consiglio.

Quali misure intende adottare la Presidenza portoghese, entro la fine del 2007, per superare l’attuale impasse nei colloqui?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La questione della normalizzazione dei rapporti bilaterali tra Turchia e Repubblica di Cipro viene seguita attentamente e affrontata ai livelli del caso.La ratifica e la successiva attuazione del protocollo che adegua l’accordo di Ankara sull’adesione dei dieci nuovi Stati membri dell’UE costituisce un obbligo che la Turchia ha assunto ma al quale non ha ancora ottemperato.Tale questione ha ricevuto grande attenzione, ad esempio nell’incontro della troika dei direttori politici di UE e Turchia tenutosi a Lisbona il 18 settembre.La questione sarà inoltre trattata al prossimo incontro dei ministri dell’UE e della Turchia che si terrà a Bruxelles il 20 novembre.Inoltre il Consiglio invita regolarmente la Turchia a modificare la propria politica relativa alla partecipazione della Repubblica di Cipro alle organizzazioni e ai forum internazionali.

Inoltre il Consiglio analizzerà la situazione sulla base della relazione di avanzamento pubblicata dalla Commissione il 6 novembre.Conformemente alle conclusioni del Consiglio dell’11 dicembre 2006, il Consiglio analizzerà le questioni affrontate nella dichiarazione dell’UE del 21 settembre 2005.La piena attuazione del protocollo costituisce inoltre una priorità a breve termine prevista dal partenariato per l’adesione, che sarà oggetto di revisione nel corso di quest’anno.L’ottemperanza della Turchia ai suoi obblighi rispetto alle priorità stabilite dall’UE e previste dal partenariato per l’adesione influiranno sul negoziato.

Per quanto riguarda la situazione di Cipro, l’Unione è tuttora impegnata a contribuire ad una soluzione del problema di Cipro nel contesto delle Nazioni Unite che sia inclusiva, praticabile e compatibile con i principi sui quali si fonda l’UE.A tale riguardo sosteniamo la rapida attuazione dell’accordo raggiunto l’8 luglio 2006 sotto l’egida delle Nazioni Unite e attendiamo tuttora con interesse l’inizio del lavoro delle commissioni tecniche e dei gruppi di esperti per approfondire le questioni.

Posso assicurare l’onorevole parlamentare che la Presidenza e l’Unione continueranno a sostenere gli sforzi fatti in tale direzione.

Mi si consenta inoltre di affermare che l’Unione è tuttora impegnata a contribuire ad una soluzione del problema di Cipro nel contesto delle Nazioni Unite che sia inclusiva, praticabile e compatibile con i principi sui quali si fonda l’UE.La Presidenza continua a sondare le parti in merito al raggiungimento di un consenso per una piena applicazione delle conclusioni del GAERC dell’aprile 2004 e del gennaio 2007.

 

Interrogazione n. 34 dell’on. Robert Evans (H-0861/07)
 Oggetto: Voli per Cipro settentrionale
 

Ha il Consiglio discusso l’autorizzazione di volare direttamente sull’aeroporto di Ercan (l’unico aeroporto internazionale che serve Cipro settentrionale), localizzato nelle vicinanze di Nicosia, la capitale cipriota divisa?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

I voli sono regolamentati a livello nazionale dalle competenti autorità degli Stati membri.La Commissione europea ha il compito di assicurare che tale attività regolamentare sia svolta nel rispetto del diritto comunitario e ciò comprende il rispetto degli obblighi derivanti a livello internazionale.Pertanto tale materia non è oggetto di discussione in seno al Consiglio.

Posso aggiungere che il governo della Repubblica di Cipro, nell’esercizio del suo diritto sovrano di designare gli aeroporti e i porti autorizzati per l’ingresso e la partenza in accordo con le leggi internazionali (convenzione di Chicago) ha ritenuto illegale il funzionamento dell’aeroporto di Tymbou (Ercan).L’aeroporto è collocato nella zona della Repubblica di Cipro sulla quale il governo di Cipro non dispone di un controllo effettivo e tuttavia esso opera senza la necessaria autorizzazione delle autorità competenti designate dal governo.

Mi si consenta inoltre di affermare che l’Unione è tuttora impegnata a contribuire ad una soluzione del problema di Cipro nel contesto delle Nazioni Unite che sia inclusiva, praticabile e compatibile con i principi sui quali si fonda l’UE.La Presidenza continua le sue iniziative per il raggiungimento di un consenso per una piena applicazione delle conclusioni del GAERC dell’aprile 2004 e del gennaio 2007.

 

Interrogazione n. 35 dell’on. Georgios Toussas (H-0863/07)
 Oggetto: Revoca immediata dell’embargo contro Cuba
 

Presidente degli Stati Uniti ha annunciato l’adozione di nuove misure nei confronti di Cuba, e ciò pochi giorni prima che si riunisca l’Assemblea generale dell’ONU (30 ottobre 2007), che discuterà un progetto di risoluzione e denuncerà la persistente politica di esclusione economica, commerciale e finanziaria che gli Stati Uniti attuano nei confronti di Cuba. Parallelamente, ha messo in evidenza la garanzia di un sostegno economico e politico a favore della cosiddetta “transizione alla democrazia”, vale a dire un contributo al rovesciamento del governo socialista del paese. Ha inoltre lasciato intendere, attraverso mass media internazionali, che verranno prese iniziative in vista della creazione di un “fondo internazionale per la libertà” inteso ad aiutare i cubani a ricostruire il loro paese, della concessione di autorizzazioni a gruppi privati perché promuovano l’accesso degli studenti cubani ad Internet e dell’invito alla gioventù cubana a prendere parte a programmi di borse di studio.

È d’accordo il Consiglio con la richiesta formulata a livello mondiale affinché l’Assemblea generale dell’ONU voti la revoca dell’embargo che gli Stati Uniti hanno imposto a Cuba? Condanna il Consiglio il ripetuto intervento degli Stati Uniti nelle questioni interne di Cuba?

 
  
 

La presente risposta, elaborata dalla Presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o gli Stati membri, non è stata fornita oralmente durante il tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di novembre del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

L’UE ritiene che la questione rientri innanzitutto soprattutto nell’ambito delle relazioni bilaterali tra gli Stati Uniti e Cuba.Ciononostante, come è accaduto l’anno scorso, l’UE ha votato a favore della risoluzione 61 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla necessità di porre fine all’embargo economico, commerciale e finanziario attuato dagli Stati Uniti nei confronti di Cuba.Il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 2271 di tutela contro gli effetti dell’applicazione extraterritoriale del diritto di un paese terzo e contro le azioni su di esso fondate o ad esso conseguenti e un’azione comune basata sugli articoli J paragrafo 3 e K paragrafo 3 del trattato UE sulle misure di tutela contro gli effetti dell’applicazione extraterritoriale del diritto di un paese terzo e contro le azioni su di esso fondate o ad esso conseguenti.L’UE continua ad invocare l’abrogazione delle leggi di Helms-Burton.

Inoltre nelle conclusioni del Consiglio, del 18 giugno 2007, in merito alla politica comunitaria nei confronti di Cuba si afferma che“L’UE riconosce il diritto dei cittadini cubani di decidere essi stessi del loro futuro e resta disposta a contribuire costruttivamente al futuro sviluppo di tutti i settori della società cubana, tra l’altro avvalendosi di strumenti per la cooperazione allo sviluppo”.

 

INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 43 dell’on. Liam Aylward (H-0828/07)
 Oggetto: Missione UE di mantenimento della pace in Ciad
 

Può la Commissione illustrare esaustivamente i progressi ad oggi compiuti nel dispiegamento dei 4.000 uomini della forza di mantenimento della pace UE in Ciad? Inoltre, può la Commissione indicare il numero di paesi europei che si sono impegnati a inviare contingenti per il mantenimento della pace nell’ambito di tale missione?

 
  
 

Il processo di programmazione è tuttora in corso e il processo formale di costituzione delle forze avrà inizio dopo l’approvazione del concetto operativo da parte del Consiglio che, in base alle informazioni di cui la Commissione dispone, è prevista nelle prossime settimane.Il processo di costituzione delle forze avverrà sotto la responsabilità del Comandante dell’operazione.Alcuni Stati membri dell’UE hanno fornito indicazioni a livello informale in merito al contributo alle forze di mantenimento della pace, che tuttavia non hanno al momento carattere vincolante.

Considerando che l’azione comune rientra nel quadro della Politica europea di sicurezza e di difesa, l’onorevole parlamentare può rivolgersi anche al Consiglio per ulteriori informazioni.

 

Interrogazione n. 44 dell’on. Seán Ó Neachtain (H-0830/07)
 Oggetto: Garantire un’istruzione primaria nel terzo mondo
 

Può la Commissione specificare quali programmi stia perseguendo per garantire un’istruzione primaria ai bambini dei paesi del terzo mondo e illustrarne le procedure generali di gestione? Può inoltre quantificare economicamente l’ammontare di tali aiuti?

 
  
 

La Commissione contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM) per un’istruzione primaria universale e ciò tramite una combinazione di strumenti.Questo è ribadito in modo chiaro dalla focalizzazione sugli MDG della Strategia per un consenso europeo e per l’Africa.

Nell’ambito della cooperazione bilaterale la Commissione europea sostiene attualmente gli sforzi dei paesi in via di sviluppo nel campo dell’istruzione attraverso oltre 400 progetti bilaterali e regionali attualmente in corso in oltre cento paesi.Nel 2006 la Comunità europea ha stanziato 517 milioni di euro per la componente “istruzione” della sua politica sviluppo e assistenza esterna:43 per cento per l’istruzione di base, 15 per cento per l’istruzione secondaria, 24 per cento per l’istruzione post-secondaria e 18 per cento in modo specifico per il sostegno istituzionale.

Oltre al sostegno dato tramite progetti, la Commissione fornisce un sostegno generale di bilancio a 28 paesi tramite il nono fondo di sviluppo europeo.Si tratta di uno strumento importante perché contribuisce al pagamento dei salari e di altre spese correnti coperte dai bilanci dei governi di quei paesi.I finanziamenti destinati a questi 28 paesi dovranno essere erogati, per circa il 30 per cento, in questo modo.Tramite questo strumento la Commissione fornisce un sostegno fondamentale all’istruzione, e questo costituisce un forte incentivo finanziario per l’attuazione di sane politiche nei settori sociali in quanto parte del sostegno erogato a titolo del bilancio generale è collegato ad indicatori che contribuiscano al raggiungimento degli OSM.

In linea con la dichiarazione di Parigi sull’efficacia e l’armonizzazione degli aiuti, la Commissione intende aumentare la quota dell’aiuto per lo sviluppo bilaterale programmabile da essa erogato tramite un sostegno al bilancio, generale o settoriale, portandola se possibile al 50 per cento.

Un approccio puramente contabile agli aiuti per lo sviluppo basato sugli stanziamenti per settori non può dirsi realmente completo.Ad esempio nel Ruanda il sostegno di bilancio viene erogato da un gruppo coordinato di donatori impegnati in un dialogo settoriale permanente con le autorità.I risultati si vedono in quanto si è riusciti a riassegnare la spesa pubblica ai settori sociali (riducendo al contempo le spese militari).Tra il 1998 e il 2004 la spesa sociale è aumentata dal 2,5 per cento al 7,5 per cento del prodotto interno lordo.Alcune specifiche operazioni hanno consentito di eliminare le tasse scolastiche il che ha portato ad un’impennata del tasso iscrizione scolastica che ha raggiunto il 93 per cento.

Per quanto riguarda il nuovo ciclo di programmazione, si stima un’assegnazione di 1,8 miliardi di euro per l’istruzione tramite il bilancio comunitario e il decimo fondo di sviluppo europeo (tutte le regioni).La Commissione sta migliorando le modalità di collegamento tra impegni di finanziamento e progressi in termini di OSM.Il contratto sugli OSM costituisce una forma potenziata di sostegno di bilancio generale con indicatori dei risultati collegati all’istruzione e ad altri settori rilevanti per gli OSM.L’obiettivo è quello di avere una prevedibilità a più lungo termine grazie alla quale il sostegno all’educazione non sia indebolito da dinamiche di stop and go che hanno spesso caratterizzato l’erogazione del sostegno di bilancio.

Infine il programma tematico “Investire nelle persone” fornirà anche esso un’ulteriore assistenza per i paesi in via di sviluppo nei casi in cui gli ordinari canali di sostegno economico non fossero sufficienti.Tale ulteriore sostegno andrà utilizzato per accelerare l’avanzamento verso l’obiettivo centrale dell’iniziativa “Istruzione per tutti” per un compimento universale della scuola primaria (UPC) tramite un contributo finanziario all’iniziativa di promozione accelerata dell’istruzione (Fast Track Initiative o FTI).

 

Interrogazione n. 45 dell’on. Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (H-0845/07)
 Oggetto: Aiuto comunitario alla crisi umanitaria in Myanmar
 

Recentemente diverse ONG operanti in Myanmar hanno lanciato avvertimenti sulla povertà e sulla minaccia che la popolazione locale sprofondi nella miseria a motivo dell’aumento del prezzo del petrolio come pure della mancanza di servizi sociali e delle spese pubbliche moderate per la salute e l’istruzione. Inoltre, ritengono che i programmi internazionali di aiuto siano alquanto limitati ed insufficienti. Il 15 e 16 ottobre 2007, il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” ha sottolineato che sono necessari programmi sostanziali di aiuto umanitario in Myanmar e ha dichiarato che l’UE è disposta ad aumentare l’aiuto a patto che venga effettuata una valutazione della situazione umanitaria.

Quali sono l’azione e la presenza europee nel paese e la cooperazione con le popolazioni e gli organismi locali nonché con gli organismi internazionali? Può la Commissione dire se dispone di una valutazione dell’attuale situazione umanitaria e delle eventuali ripercussioni dell’embargo internazionale? Intende adottare ulteriori misure ed iniziative umanitarie e diplomatiche?

 
  
 

La Commissione condivide le preoccupazioni delle organizzazioni umanitarie in merito alla generale vulnerabilità della popolazione della Birmania che negli ultimissimi anni è andata peggiorando.In considerazione di tali sviluppi la Commissione ha risposto aumentando costantemente negli ultimissimi anni i propri aiuti umanitari.Nel 1997 meno di 4 milioni di euro venivano destinati ogni anno per la crisi della Birmania, a copertura non solo dell’aiuto alle popolazioni che vivono all’interno del paese ma anche per i rifugiati birmani ospitati in campi di accoglienza nei paesi vicini.Nel 2007 i programmi in corso hanno raggiunto i 15,5 milioni di euro.

I settori dell’azione prioritaria in Birmania sono la protezione, l’assistenza sanitaria di base, l’acqua e le strutture igienico-sanitarie, gli aiuti alimentari e l’alimentazione per le donne gravide e che allattano e per i bambini.Nei campi per i rifugiati che si trovano in Thailandia, che sono circa 150 000, il sostegno della Commissione copre le necessità di base:cibo, assistenza sanitaria e accesso all’acqua potabile e strutture igienico-sanitarie.Tali azioni vengono attuate tramite le agenzie delle Nazioni Unite, il Comitato internazionale della Croce Rossa (ICRC) e delle organizzazioni partner non governative (ONG).

Inoltre la Commissione è in grado di informare l’onorevole parlamentare che è appena stato approvato un ulteriore sostegno di 1 milione di euro per il programma alimentare mondiale (WFP) e che i suoi servizi stanno attualmente preparando un nuovo programma del valore di 18 milioni di euro a copertura della fine del 2007 e di tutto il 2008 per rispondere alle esigenze in termini di protezione, assistenza sanitaria di base, acqua e strutture igienico-sanitarie delle popolazioni birmane più esposte, in particolare le minoranze etniche, e alle necessità dei rifugiati birmani in Thailandia.

Tale aiuto umanitario sarà integrato tramite la linea di bilancio per gli aiuti alle popolazioni sradicate con un’erogazione di 16 milioni di euro per il periodo 2007-2010 per Myanmar e Thailandia e, dal 2008, tramite il nuovo programma tematico sulla sicurezza alimentare, che ha avuto assegnati 16 milioni di euro per il solo Myanmar.

Oltre agli aiuti umanitari in senso stretto la Commissione ha inoltre elaborato programmi di lotta alla povertà.Per la prima volta dal 2007 è stato adottato un programma indicativo pluriennale (2007-2010) a beneficio del popolo birmano.Il programma, del valore di 32 milioni di euro, verrà utilizzato per sostenere le attività del fondo per le tre malattie che mira a combattere la devastazione causata da tubercolosi, malaria e HIV/AIDS(1) nel Myanmar.L’altro settore di intervento del programma sarà quello dell’istruzione di base tramite il programma “Istruzione per tutti” dell’UNICEF(2).

Inoltre in varie occasioni la Commissione ha espresso la propria preoccupazione, sia pubblicamente sia tramite una diplomazia discreta, in merito alla riduzione dello spazio umanitario nel Myanmar, come ad esempio le difficoltà incontrate dall’ICRC nell’esecuzione del proprio mandato nel Myanmar, in particolare in occasione delle visite ai detenuti e alle zone di conflitto nella parte orientale.Anche le limitazioni al lavoro e le condizioni di accesso per gli operatori umanitari nel Myanmar costituiscono un importante ostacolo all’aumento dei programmi di aiuto.

La Commissione è in grado di assicurare all’onorevole parlamentare che proseguirà i propri sforzi volti a convincere le autorità birmane e che porterà avanti il proprio aiuto umanitario.

 
 

(1)Virus dell’immunodeficienza umana/Sindrome da immunodeficienza acquisita
(2)Fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite

 

Interrogazione n. 46 dell’on. Nirj Deva (H-0866/07)
 Oggetto: Spesa sanitaria dei paesi in via di sviluppo e aiuti finanziari dell’UE
 

La dichiarazione di Abuja del 27 aprile 2001 include un impegno da parte dei governi africani a stanziare il 15% della spesa pubblica per la salute, ma dopo più di sei anni la maggior parte dei Paesi investe ancora una percentuale assai minore del proprio bilancio nella spesa sanitaria.

Vista la fondamentale importanza della salute nello sviluppo, quali misure intende adottare la Commissione per incoraggiare i governi dei paesi in via di sviluppo ad aumentare gli investimenti nazionali nel sistema sanitario e per raggiungere l’obiettivo del Parlamento di spendere il 20% degli aiuti finanziari comunitari per la salute e l’educazione?

 
  
 

In occasione del Vertice africano del 2001 su HIV/AIDS(1), tubercolosi e altre malattie infettive collegate tenutosi ad Abuja, i capi di Stato e di governo dell’Organizzazione per l’unità africana si sono impegnati a fissare un obiettivo per la destinazione di almeno il 15% del rispettivo bilancio annuale al miglioramento del settore sanitario.

Nella sua interrogazione l’onorevole parlamentare suggerisce che sei anni dopo la gran parte dei paesi investe per la sanità una percentuale molto più piccola dei rispettivi bilanci.Tuttavia il quadro non è poi così cupo.Nell’agosto 2007 la commissione regionale per l’Africa dell’Organizzazione mondiale della sanità ha segnalato che metà dei paesi della regione stanziano oggi per la sanità tra il 10 per cento e il 15 per cento del rispettivo bilancio nazionale.Inoltre dieci paesi della regione sono riusciti ad aumentare la spesa sanitaria portandola a 30-40 dollari pro capite.

La Commissione ha appoggiato la dichiarazione di Abuja originale e ha continuato a coinvolgere i governi africani (ministeri delle finanze e della sanità) attraverso una politica di dialogo su varie questioni di sviluppo tra cui sanità e spesa sanitaria.La Commissione continua a perseguire tale dialogo tuttavia la decisione in merito allo stanziamento delle risorse va assunta dai paesi partner e non a Bruxelles.

Due settimane fa (24-26 ottobre 2007) la Commissione ha partecipato al primo incontro dei ministri della Sanità dei paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) a Bruxelles; in quest’occasione oltre 40 ministri della Sanità hanno discusso le difficoltà dei paesi ACP a raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM) per la sanità.I temi centrali oggetto di preoccupazione e di discussione sono stati il finanziamento e la gestione dei sistemi sanitari.La dichiarazione che proviene dall’incontro ha ribadito ancora una volta l’impegno a proseguire sulla strada tracciata nella dichiarazione di Abuja.

Il dialogo politico con i paesi partner africani si basa sul lavoro sull’efficacia e la prevedibilità degli aiuti.La Commissione ha svolto un’azione trainante per l’adozione della nuova politica di sviluppo dell’UE che riflette l’ambizione europea di dare un contributo decisivo per il raggiungimento degli OSM tramite l’erogazione di un’assistenza ufficiale allo sviluppo maggiormente coordinata, in modo meno volatile e imprevedibile.

Un sostegno di bilancio basato sui risultati ottenuti, che rafforzi la capacità complessiva dei paesi partner a sviluppare e attuare i rispettivi piani di sviluppo, costituisce un passo importante a tale riguardo.In base al nono fondo di sviluppo europeo (FES) due terzi dei paesi che hanno beneficiato di un sostegno di bilancio avevano fissato degli obiettivi in termini di risultati collegati ai miglioramenti del finanziamento del settore sanitario.In base al decimo FES circa il 40 per cento dell’aiuto programmabile, a livello nazionale, avviene tramite un sostegno al bilancio, parte del quale sarà collegato agli esiti e ai risultati di bilancio nel settore sanitario.

Tuttavia anche il sostegno al bilancio non consente sempre quel margine fiscale sufficiente di cui i paesi hanno bisogno per finanziare gli elevati costi ricorrenti della sanità.Se la Commissione non fornirà un sostegno di lungo termine, prevedibile e coordinato, non sarà in grado di dare ai paesi partner sufficienti opportunità per rafforzare i rispettivi sistemi sanitari, assicurare numeri prevedibili di operatori sanitari e attuare i programmi sanitari essenziali per il raggiungimento degli MDG sanitari.

Per questo motivo, in base al decimo FES, sarà introdotta una nuova modalità di sostegno al bilancio, il contratto per gli MDG, che fornirà aiuti di più lungo periodo (sei anni) e maggiormente prevedibili, ponendo l’accento sui risultati quale mezzo per migliorare l’efficacia del sostegno al bilancio nell’accelerare il raggiungimento degli MDG.

La percentuale di riferimento del 20 per cento richiamata dall’onorevole parlamentare si riferisce ad un impegno della Commissione di destinare il 20 per cento della spesa assegnata nel quadro dello strumento di cooperazione allo sviluppo “all’istruzione di base e secondaria nonché alla sanità di base, attraverso il sostegno finanziario a progetti o a programmi in tali settori, stabilendo una media di tutte le aree geografiche” che rientrano in tale strumento.

 
 

(1)Virus dell’immunodeficienza umana/Sindrome da immunodeficienza acquisita

 

Interrogazione n. 50 dell’on. Frank Vanhecke (H-0808/07)
 Oggetto: Turchia e Corte europea dei diritti dell’uomo
 

Nella sua relazione intermedia del 2006 sulla Turchia la Commissione ha constatato che le riforme compiute in Turchia nel 2004 e nel 2005 hanno avuto effetti positivi sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). D’altro canto la Commissione ha anche osservato che talvolta la legislazione turca può ostacolare la riapertura di un procedimento giuridico interno.

All’inizio di ottobre 2007 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha espresso gravi critiche anche nei confronti della Turchia a causa della scarsissima cooperazione con la CEDU, accusandola in particolare di rendere molto difficile per la Corte l’accesso a un determinato procedimento. Inoltre l’Assemblea parlamentare ha insistito affinché le autorità competenti assicurino la protezione degli accusatori.

Quali sono gli effetti positivi relativi all’esecuzione delle sentenze della CEDU? Quale seguito riserva la Commissione alle risultanze e alle conclusioni dell’Assemblea parlamentare?

 
  
 

La relazione del 2006 sui progressi compiuti dalla Turchia accenna al fatto che le riforme intraprese dalla Turchia nel 2004 e nel 2005 hanno avuto riflessi positivi sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Tali riforme comprendono le modifiche del maggio 2004 alla costituzione turca che, tra le altre cose, aboliscono i tribunali per la sicurezza dello Stato e stabiliscono il primato degli accordi internazionali approvati rispetto al diritto interno nel campo dei diritti fondamentali.

Esse comprendono anche le modifiche del 2005 al codice penale e al codice di procedura penale che disciplinano ad esempio, i reati di tortura, privazione e maltrattamento.In base a tali modifiche la tortura in Turchia è stata definita in modo più conforme al diritto internazionale.Il comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa ha lodato il nuovo quadro giuridico della Turchia come uno dei più completi d’Europa.

Grazie a queste riforme la Turchia ha posto rimedio ad una serie di casi in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva giudicato la Turchia responsabile di violazioni dei diritti umani.Ciò ha avuto effetti positivi per quanto riguarda l’esecuzione delle sentenze della Corte.

La Commissione segue da vicino il lavoro di tutti gli organi del Consiglio d’Europa compresa l’Assemblea parlamentare e indirizza le proprie posizioni sulla base di questa collaborazione.

La Commissione continuerà a seguire da vicino la situazione dei diritti umani in Turchia e a collaborare con gli organi del Consiglio d’Europa.

 

Interrogazione n. 51 dell’on. Edit Herczog (H-0809/07)
 Oggetto: Sicurezza energetica nei Balcani
 

Come conseguenza delle aspettative e decisioni europee conseguenti all’adesione della Bulgaria, si presenterà nella regione dei Balcani un’insufficienza di energia elettrica. Con particolare riferimento all’obbligo uniforme delle istituzioni e degli Stati membri dell’Unione europea di preservare la sicurezza energetica in Europa, cosa farà la Commissione, o propone di fare, per affrontare la situazione creatasi a causa delle decisioni europee e per bloccare, prevenire e porre rimedio alle interruzioni nell’approvvigionamento che è possibile prevedere nella regione?

 
  
 

L’interrogazione dell’onorevole parlamentare si riferisce chiaramente alle conseguenze della chiusura, alla fine del 2006, delle unità 3 e 4 della centrale nucleare di Kozloduy.

Il governo bulgaro ha deciso di chiudere queste unità otto anni fa, ovvero nel 1999.La decisione si basava sulla considerazione assolutamente imperativa della sicurezza nucleare ed era in linea con gli obblighi previsti dal trattato di adesione per la Bulgaria.

Era noto che ciò avrebbe avuto delle conseguenze.

L’UE ha prestato un’assistenza finanziaria molto rilevante non solo per lo smantellamento ma anche per attenuare le conseguenze della chiusura.550 milioni di euro sono stati erogati come sovvenzioni principalmente tramite il fondo di sostegno allo smantellamento di Kozloduy gestito dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS).Metà di tale importo è inteso a finanziare i progetti che portino a sostanziali risparmi energetici, compreso il miglioramento delle centrali elettriche a lignite come quella di Pernik.Vi è inoltre in essere un prestito di 212,5 milioni di euro dell’Euratom per la modernizzazione delle unità 5 e 6 di Kozloduy, che di conseguenza funzionano ad un tasso di utilizzo più elevato di capacità elettrica.In base alle stime prudenziali fornite dalla BERS, l’effetto combinato di risparmi energetici finanziati dalla Commissione supererà la perdita di approvvigionamenti derivanti dalle unità 3 e 4 di Kozloduy.

Tuttavia la sicurezza nell’approvvigionamento elettrico richiede anche migliori interconnessioni tra i paesi.Si tratta principalmente di una questione di collaborazione tra gli operatori dei sistemi di trasmissione.Inoltre nella regione balcanica esiste un problema strutturale di insufficienti investimenti nella capacità di generazione di energia.Considerando l’importanza del fabbisogno è necessario attirare investimenti privati.Per tale motivo la Commissione sostiene fortemente la piena attuazione del trattato della Comunità dell’energia che fornisca un quadro giuridico e regolamentare comune in quella regione.L’integrazione del mercato e regole di mercato chiare sono sicuramente una precondizione essenziale per avere investimenti nella regione.

 

Interrogazione n. 52 dell’on. Yiannakis Matsis (H-0819/07)
 Oggetto: Operazioni militari turche nell’Iraq settentrionale
 

Da qualche tempo la Turchia effettua operazioni militari nell’Iraq settentrionale. La Grande Assemblea nazionale turca ha acceso il semaforo verde, con una sua decisione, all’invasione di truppe turche nell’Iraq settentrionale. Il ricorso alle armi e la violazione delle frontiere da parte di uno Stato contro un altro costituiscono una violazione del diritto internazionale e dei principi dell’Unione europea.

Come ha reagito e intende reagire la Commissione nei confronti della Turchia che sta già effettuando operazioni militari nell’Iraq settentrionale? Tale fatto influirà negativamente o non influirà sul suo processo di adesione? Le operazioni militari turche in Iraq saranno incluse nella relazione di valutazione della Commissione?

 
  
 

La Commissione condanna la violenza messa in atto dal partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) nel territorio turco.

Dal settembre 2007 tali attacchi hanno causato numerose vittime tra civili e militari.La comunità internazionale, in particolare tutte le parti interessate della regione, devono sostenere gli sforzi della Turchia volti a tutelare la popolazione e a combattere il terrorismo, nel rispetto dello Stato di diritto, mantenendo la pace e la stabilità a livello internazionale e regionale e astenendosi dall’intraprendere misure militari sproporzionate.Qualsiasi iniziativa non conforme a tali principi costituirebbe un successo della strategia di provocazione e violenza del PKK.

La Commissione attribuisce la massima importanza al rafforzamento del dialogo e della cooperazione tra il governo turco e il governo iracheno in modo da affrontare il problema e invita il governo iracheno e il governo regionale curdo a garantire il rispetto dei confini turchi ed assicurare che il territorio iracheno non venga usato per atti di violenza contro la Turchia.

 

Interrogazione n. 53 dell’on. Ryszard Czarnecki (H-0840/07)
 Oggetto: L’integrazione di Bosnia-Erzegovina e Macedonia nelle strutture dell’UE
 

Quando si potrà parlare di un calendario realistico per l’integrazione nelle strutture dell’UE di Macedonia e Bosnia-Erzegovina, visti i progressi compiuti da queste due nazioni negli ultimi anni?

 
  
 

All’ex Repubblica jugoslava di Macedonia nonché alla Bosnia-Erzegovina, quali Stati balcanici che partecipano al processo di stabilizzazione e associazione (SAP), è stata prospettata la possibilità di un’eventuale adesione all’UE.Prima di entrare a far parte dell’UE i due paesi dovranno conformarsi ai criteri di Copenhagen e alle condizioni fissate nel quadro della SAP.

Nel proprio documento strategico del 2005, la Commissione ha delineato i passi successivi che i paesi dei Balcani occidentali devono compiere per poter aderire all’UE.Gli accordi di stabilizzazione e associazione (SAA) miranti a preparare i paesi alla futura adesione all’UE segnano un importante passo su questa via.Risultati soddisfacenti nella conformazione agli obblighi previsti dai SAA costituiranno un elemento essenziale utilizzato dall’UE nel prendere in considerazione le domande di adesione.

Quanto all’arco temporale del processo di integrazione dei due paesi nell’UE, nel dicembre 2006 il Consiglio europeo ha dichiarato che l’Unione avrebbe evitato di fissare date obiettivo per l’adesione fino a quando i negoziati di adesione non fossero stati prossimi al termine.

L’ex Repubblica jugoslava di Macedonia ha presentato domanda di adesione nel 2004 ed è stata qualificata come paese candidato nel dicembre 2005.La Commissione potrà raccomandare l’apertura dei negoziati di adesione dopo che il paese avrà soddisfatto tutte le condizioni necessarie.

In particolare, prima che si possano avviare i negoziati di adesione, il paese dovrà ottenere risultati concreti nell’adempimento dei criteri di Copenhagen e nell’effettiva attuazione del SAA.Dovranno essere soddisfatti i criteri politici e dovranno essere stati compiuti significativi progressi verso il soddisfacimento dei criteri economici e degli obblighi derivanti dall’adesione.

Nel caso della Bosnia-Erzegovina i negoziati tecnici per il SAA sono stati ultimati nel dicembre 2006.Nel maggio 2007 gli Stati membri hanno confermato l’esito dei negoziati ribadendo tuttavia che, per concludere il SAA, la Bosnia-Erzegovina avrebbe dovuto soddisfare tutte e quattro le condizioni fondamentali fissate dall’UE nell’ottobre 2005:i) riforma della polizia; ii) piena collaborazione con il Tribunale penale internazionale per la ex Yugoslavia (ICTY); iii) riforma del sistema radiotelevisivo e iv) riforma della pubblica amministrazione.I progressi compiuti dalla Bosnia-Erzegovina fino ad oggi non hanno permesso di concludere il SAA.La conclusione del SAA costituisce una precondizione per un ulteriore avvicinamento della Bosnia-Erzegovina all’UE.

 

Interrogazione n. 54 dell’on. Diamanto Manolakou (H-0856/07)
 Oggetto: Accordo Gran Bretagna - Turchia
 

Recentemente la Gran Bretagna ha sottoscritto un accordo con la Turchia intitolato “Alleanza strategica Turchia - Regno Unito 2007/2008”, che è pervaso chiaramente da una logica dicotomica, dal momento che si fa riferimento in modo sistematico a logiche che danno per compiuta l’occupazione del 37% del territorio della Repubblica di Cipro da parte dell’esercito turco e violano in modo flagrante le risoluzioni 541/83 del 18/11/1983 e 550/84 dell’11/5/1984 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Tali risoluzioni condannano la “Repubblica turca di Cipro settentrionale” definendola entità illegale e scissa ed invitano tutti gli Stati a non riconoscere alcun altro Stato cipriota se non la Repubblica di Cipro. Allo stesso tempo, stando a taluni articoli, con questo accordo Cipro viene sacrificata a favore degli interessi turchi fungendo da moneta di scambio tra Gran Bretagna e Turchia affinché quest’ultima non invada l’Iraq.

Qual è la posizione della Commissione e come valuta tale accordo? Ritiene, inoltre, che tale accordo violi il diritto internazionale e comunitario e susciti un problema tra gli Stati membri dell’UE?

 
  
 

In primo luogo la Commissione desidera ricordare quella che da lungo tempo è la posizione nota dell’Unione europea che riconosce solo la Repubblica di Cipro come un soggetto del diritto internazionale.L’autoproclamata “Repubblica turca di Cipro del nord” non è riconosciuta né dell’Unione europea né da alcuno dei suoi Stati membri.

La Commissione non è in condizione di commentare o intervenire in merito agli accordi tra Stati membri e paesi terzi fintantoché non violano il diritto comunitario.

La Commissione ritiene fermamente che tali questioni evidenzino una volta di più l’urgente necessità di una completa composizione della questione di Cipro,e invita ancora una volta tutte le parti coinvolte a riprendere quanto prima i negoziati, che affrontino tutti gli aspetti della questione, sotto gli auspici delle Nazioni Unite in modo tale da addivenire ad una composizione complessiva.

 

Interrogazione n. 55 dell’on. Vural Öger (H-0860/07)
 Oggetto: Allargamenti e scarsa informazione dell’opinione pubblica europea
 

Nel contesto dei cicli di allargamento i responsabili decisionali europei hanno spesso trascurato di presentare in modo adeguato ai cittadini europei la portata storica e il potenziale delle nuove adesioni all’UE. Dopo l’allargamento a Est, la discussione pubblica è stata piuttosto marcata dagli allarmi per le eccessive tensioni sui mercati del lavoro a causa delle migrazioni di lavoratori dai nuovi Stati membri. Per quanto riguarda le prospettive di adesione di paesi dei Balcani occidentali, non sono stati illustrati all’opinione pubblica gli obiettivi dell’allargamento europeo e tale circostanza si traduce un una palese mancanza di informazione e in un calo drammatico del consenso sulla politica di allargamento dell’UE. Quali azioni intende la Commissione avviare in merito a tale carenza di informazione?

 
  
 

La Commissione si rammarica per l’atteggiamento negativo sulla politica di allargamento dell’UE che sembra prevalere in alcuni Stati membri.

La Commissione ha più volte sottolineato l’importanza di una migliore comunicazione e l’esigenza di contrapporre i fatti alle chimere.È essenziale una maggiore sensibilizzazione su entrambi gli aspetti, sia le sfide che i vantaggi derivanti dalla politica per l’allargamento.

Tuttavia è innegabile che la Commissione non possa da sola suscitare un cambiamento della percezione dell’opinione pubblica e che tutte le istituzioni dell’Unione europea devono fare la propria parte.A tale riguardo occorre un maggiore impegno da parte degli Stati membri stessi, a livello nazionale, regionale o locale.

La Commissione è ovviamente disposta a sostenerne gli sforzi mettendo a disposizione dati concreti e creando le sinergie con le istituzioni comunitarie e gli Stati membri interessati.A tale riguardo la Commissione ha moltiplicato le proprie attività e di seguito se ne propongono alcuni esempi.

In occasione del terzo anniversario dell’allargamento del 2004, è stata pubblicata una serie di pagine Web che illustrano l’impatto positivo dell’ultimo allargamento.

È di prossima pubblicazione una brochure sulla politica per l’allargamento destinata al pubblico in generale e redatta in tutte le lingue ufficiali.

Organizzazione di una serie di eventi che coinvolgono in particolare i giovani.

Quanto alla questione specifica della libera circolazione dei lavoratori dai nuovi verso i vecchi Stati membri (aspetto menzionato esplicitamente nell’interrogazione), la Commissione ha pubblicato una relazione in merito.

L’allargamento ha portato ad una graduale attuazione della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’UE.Quegli Stati membri che hanno aperto da subito il proprio mercato del lavoro ai nuovi Stati membri hanno tratto vari vantaggi:i lavoratori migranti hanno contribuito ad occupare i posti non occupati e hanno portato ad un’emersione del lavoro nero.Sulla base di tale positiva esperienza alcuni altri Stati membri stanno gradualmente adottando una politica di completa libertà di circolazione dei lavoratori.I timori di un’invasione di lavoratori migranti provenienti dai nuovi Stati membri con gravi turbative del mercato del lavoro dei vecchi Stati membri non si sono avverati.

Per il 2008 continueranno i progetti informativi sull’impatto dell’allargamento, che saranno integrati da attività di comunicazione volte a fornire una piattaforma per il collegamento tra soggetti della società civile degli Stati membri e dei paesi candidati e potenziali candidati all’accesso.

Per aumentare il sostegno dell’opinione pubblica ai futuri allargamenti ai paesi del sud-est europeo sarà necessario un impegno concertato.La Commissione è del parere che sarà necessario, in particolare, fornire dati di fatto sui notevoli benefici del quinto allargamento.

La Commissione si appella a tutte le parti perché forniscano informazioni e sostengano di sforzi per una migliore comunicazione, e non da ultimo auspica un sostegno da parte degli onorevoli parlamentari.

 

Interrogazione n. 59 dell’on. Inger Segelström (H-0810/07)
 Oggetto: Gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani
 

Il gruppo di esperti sulla tratta di esseri umani, costituito nel 2003, svolge un compito importante nel quadro della lotta dell’UE contro il traffico di esseri umani. Da informazioni risulta che la Commissione è in procinto di nominare nuovi membri del gruppo. Il gruppo consta degli stessi membri sin dalla sua costituzione. Entro quali scadenze e secondo quali modalità intende la Commissione procedere alla nomina dei nuovi membri? Come può la Commissione garantire una procedura di nomina trasparente? Come verranno designati gli esperti nazionali e disporrà ciascun paese di un suo rappresentante in seno al gruppo? Il mandato del gruppo resterà invariato o verrà modificato? Come intende la Commissione far sì che nel gruppo siano rappresentate anche ONG, come ad esempio organizzazioni femminili?

 
  
 

La Commissione condivide l’opinione dell’onorevole parlamentare in merito all’importante compito del gruppo di esperti sul traffico di esseri umani.Sin dalla sua costituzione l’attuale gruppo di esperti ha fornito alla Commissione pareri e considerazioni su molte importanti questioni.Nel 2004 ha pubblicato una relazione che continua ad essere una fonte di ispirazione per le attività future.

Attualmente la Commissione sta nominando un nuovo gruppo di esperti tenendo conto delle modifiche necessarie a seguito dell’allargamento e dell’esigenza di assicurare competenze specifiche, in particolare nel settore dello sfruttamento del lavoro.Il 17 ottobre 2007 la Commissione ha adottato una decisione che istituisce un nuovo gruppo di esperti sul traffico di esseri umani(1).

Il gruppo di esperti sarà composto di 21 membri, dei quali fino a 11 provenienti dalle amministrazioni degli Stati membri, fino a 5 provenienti da organizzazioni intergovernative, internazionali e non governative, fino a 4 provenienti dalle parti sociali e dalle associazioni dei datori di lavoro, 1 proveniente dall’Europol(2) e fino a 2 provenienti da università o altri istituti di ricerca.Il membro delle amministrazioni degli Stati membri sarà nominato dalla Commissione su proposta degli Stati membri;gli altri saranno nominati dalla Commissione scegliendo tra quelli che hanno risposto all’invito a presentare domanda.

Al fine di assicurare la trasparenza l’invito a presentare domande sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale e sul sito Web della Direzione generale giustizia, libertà e sicurezza.

 
 

(1)2007/675/CE:Decisione della Commissione, del 17 ottobre 2007, che istituisce il gruppo di esperti sulla tratta degli esseri umani, GU L 277 del 19 ottobre 2007.
(2)Ufficio europeo di polizia

 

Interrogazione n. 60 dell’on. Katerina Batzeli (H-0814/07)
 Oggetto: Futura azione dell’UE nel campo della delinquenza giovanile
 

Il Parlamento europeo ha approvato, il 21 giugno 2007, la risoluzione P6_TA(2007)0283 sulla delinquenza giovanile in cui richiede la configurazione di una strategia integrata a livello comunitario.

L’inclusione di azioni di lotta contro tale fenomeno e di messa in rete delle autorità competenti nel quadro di programmi comunitari di natura più generale come DAPHNE II o il programma “Prevenzione e lotta contro la criminalità” costituisce soltanto una soluzione temporanea dato che per far fronte sostanzialmente all’aumento preoccupante del fenomeno in tutta l’UE è necessario un programma comunitario specifico in materia di delinquenza giovanile.

Intende la Commissione pianificare una strategia europea di lotta contro il fenomeno?

In particolare, progetta la Commissione di elaborare uno studio e di pubblicare una comunicazione volta a pianificare un programma quadro comunitario che, come propone la risoluzione del Parlamento, sia incentrato sui tre pilastri fondamentali della prevenzione, dei provvedimenti giudiziari ed extragiudiziari e del reinserimento sociale degli autori?

Come valuta la Commissione la tendenza, constatata in taluni Stati membri, ad imporre pene detentive anziché pene alternative di carattere pedagogico e in quale misura ritiene opportuno promuovere determinati modelli e orientamenti europei minimi e comuni in materia di delinquenza giovanile?

 
  
 

La Commissione ha preso atto delle raccomandazioni contenute nella risoluzione adottata dal Parlamento il 21 giugno 2007, sulla base della relazione dell’onorevole parlamentare sulla delinquenza giovanile.

Non vi sono dubbi che tutte le parti interessate, principalmente quelle della società civile e le autorità locali e nazionali, debbano aumentare i propri sforzi per prevenire e combattere le cause che mettono i giovani in condizione di delinquere e per ridurre gli effetti della loro emarginazione sociale.

La Commissione sostiene pienamente un approccio multidimensionale nella prevenzione e nella lotta alla delinquenza giovanile.È necessario potenziare la collaborazione tra tutti i servizi pubblici e privati che hanno compiti nei settori della formazione, dell’istruzione, dell’occupazione e dell’integrazione sociale, con una focalizzazione in particolare sulle misure di prevenzione.La promozione dello scambio di informazioni e delle migliori pratiche deve costituire un cardine dell’azione dell’Unione europea, possibilmente in modo tale da condurre allo sviluppo di modelli di intervento o di linee guida minime.

La Commissione continua a sostenere la cooperazione tra i vari organi locali e nazionali attraverso strumenti finanziari con vari obiettivi diversi.Considerando la natura trasversale delle cause della delinquenza giovanile e delle modalità di affrontarla, non appare adeguato sviluppare un unico programma di sostegno finanziario.La diversità delle politiche pubbliche più adatte a prevenire la desocializzazione e l’emarginazione dei giovani impone l’uso di vari tipi di sostegno finanziario comunitario.

Attualmente è in fase di realizzazione un importante studio sul crimine giovanile che prevede la raccolta di dati statistici sulla giustizia criminale, sulla base di indicatori affidabili e confrontabili.La rete europea di prevenzione della criminalità (ECPN) costituisce uno strumento valido di consultazione e coordinamento per gli sviluppi a venire.

 

Interrogazione n. 61 dell’on. Brian Crowley (H-0824/07)
 Oggetto: Lotta all’importazione di droga via la costa occidentale europea
 

Può la Commissione far sapere quali progressi si stiano compiendo nel quadro del programma denominato M.A.O.C. (Maritime Analysis Operations Centre), nella lotta all’importazione di droga che si effettua lungo la costa occidentale europea?

 
  
 

Il Maritime Analysis and Operation Centre – Narcotics (MAOC-N) è un’iniziativa intergovernativa di lotta al crimine con un appoggio a livello militare costituita da sette Stati membri (Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Irlanda, Paesi Bassi e Regno Unito) con il compito di contrastare il traffico di droga, nella fattispecie cocaina, dai paesi dell’America latina verso l’Europa effettuato passando per la costa occidentale africana, per aria e per mare.Il MAOC-N ha sede a Lisbona (Portogallo), una collocazione adatta per coordinare le operazioni di lotta al narcotraffico se si considera che l’area operativa si concentra perlopiù nell’oceano Atlantico con la possibile estensione nel Mediterraneo occidentale.

Il MAOC-N è di fatto operativo dal 1° aprile 2007 e ciò è stato possibile tramite un trattato che si trova in fase di ratifica dal 30 settembre 2007.Dall’aprile 2007 il MAOC-N ha coordinato con successo, tramite lo scambio di informazioni tattiche tra gli aderenti, l’esecuzione di 27 operazioni che hanno portato al sequestro complessivo di 16 638 kg di stupefacenti, di cui 13 038 kg sequestrati da paesi partner e 3600 kg intercettati tramite le attività operative.

 

Interrogazione n. 62 dell’on. Eoin Ryan (H-0826/07)
 Oggetto: Lotta al consumo diffuso di cocaina in Europa
 

Può la Commissione far sapere quali sono gli attuali livelli di consumo di cocaina all’interno dell’Unione europea e quali i programmi posti in essere al momento, in modo coordinato a livello europeo, volti a combattere il consumo di cocaina nell’Unione europea?

 
  
 

La relazione annuale del 2006 sullo stato del problema della droga nell’Unione europea pubblicato dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA) indica che la cocaina ha sostituito le droghe di sintesi (ecstasy/anfetamine) al secondo posto degli stupefacenti più diffusi, dopo la marijuana.Ciò può spiegarsi con la stabilizzazione della diminuzione dell’uso di droghe sintetiche in atto nella maggior parte dei paesi comunitari a fronte dell’aumento dell’uso della cocaina in altri.L’uso della cocaina varia considerevolmente tra gli Stati membri, attestandosi ad un livello basso in tutti.

Tutti gli Stati membri dell’UE conducono ricerche e raccolgono dati con regolarità sulla prevalenza e la diffusione dell’uso della cocaina.Tali dati vengono raccolti seguendo metodi di monitoraggio affidabili e standard per poi essere elaborati, analizzati e ulteriormente elaborati dall’EMCDDA, in modo da ottenere un quadro comunitario complessivo.

Il piano di azione dell’UE per gli stupefacenti 2005-2008 incoraggia lo scambio delle migliori pratiche e il miglioramento dell’infrastruttura comunitaria per le conoscenze nel campo della prevenzione.La maggior parte degli Stati membri ha in corso programmi di prevenzione universali che combinano informazione, educazione e comunicazione rivolti al pubblico in generale ma anche programmi selettivi mirati a gruppi specifici (ad esempio giovani a rischio, contesti ricreativi, ecc.).La cooperazione a livello comunitario è sostenuta dal programma d’azione comunitaria per la salute pubblica e, attualmente (2007), anche dal programma per la prevenzione e l’informazione sugli stupefacenti.

 

Interrogazione n. 63 dell’on. Justas Vincas Paleckis (H-0837/07)
 Oggetto: Ampliamento dell’area Schengen
 

Nella riunione tenuta all’inizio di ottobre a Lisbona, i ministri dell’Interno degli Stati membri dell’UE hanno deciso di proporre la soppressione dei controlli sui veicoli e sulle persone alle frontiere interne dell’Unione il 21/22 dicembre di quest’anno. Nel contempo circola la notizia di una comunicazione ufficiosa dell’UE in cui si richiama l’attenzione dei nuovi Stati membri su taluni punti deboli nei controlli alle frontiere con paesi confinanti non appartenenti all’UE.

Qual è la posizione della Commissione in merito alle disfunzioni relative ai controlli compiuti alle frontiere di alcuni Stati membri con paesi confinanti come la Russia, l’Ucraina, la Bielorussia, la Serbia e la Croazia?

 
  
 

La procedura di valutazione Schengen condotta nella Repubblica ceca, in Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Ungheria, Slovacchia e Slovenia prima dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne è stata conclusa.Sebbene ai sopralluoghi condotti nell’ambito della valutazione partecipino esperti della Commissione, va sottolineato che tale procedura di valutazione si svolge sotto la responsabilità del Consiglio.

La procedura di valutazione sullo stato dei preparativi all’interno degli Stati membri interessati è iniziata nel 2006.Da allora si sono svolti vari sopralluoghi presso le frontiere esterne (ma anche presso consolati, stazioni di polizia e autorità preposte alla protezione dei dati) degli Stati membri interessati per verificare la corretta applicazione dell’acquis di Schengen.

A seguito di tale procedura di valutazioni e verifiche protrattasi per due anni, è emerso con evidenza che gli Stati membri interessati si sono dimostrati sufficientemente preparati per dare attuazione all’intero acquis di Schengen.Non risultano più difficoltà o problemi nel controllo dei confini territoriali con Russia, Ucraina, Bielorussia, Serbia e Croazia.

Il Parlamento viene consultato in merito alla bozza di decisione del Consiglio e conferma tale positiva valutazione e stabilisce la data per l’abolizione dei controlli alle frontiere tra questi Stati e i nuovi Stati membri.

 

Interrogazione n. 64 dell’on. Athanasios Pafilis (H-0847/07)
 Oggetto: Nuova era di sorveglianza “biometrica”
 

Il progetto definitivo di decisione quadro dei ministri della Giustizia e degli affari interni dell’UE legalizza una nuova era di sorveglianza “biometrica” delle opinioni e delle convinzioni dei cittadini. In tal modo, si rafforza la libertà senza limiti di cui godono i servizi segreti e si generalizza il trattamento e lo scambio di dati personali sensibili con qualsiasi terzo interessato, paese, organizzazione internazionale e/o impresa privata, persino “a titolo preventivo”, con lo scambio di informazioni su persone sospette ai fini della prevenzione e dell’investigazione di atti punibili o dell’esecuzione delle pene. Tali informazioni riguardano non soltanto le attività politiche e sindacali bensì si estendono anche ai dati relativi allo stato di salute, alle credenze religiose e filosofiche e all’origine etnica adducendo a pretesto la potenziale minaccia per la sicurezza pubblica di uno Stato membro ma anche scopi scientifici e statistici.

Qual è la posizione della Commissione in merito a tale decisione che viola la protezione dei dati a carattere personale e i diritti democratici?

 
  
 

La proposta della Commissione per una decisione quadro del Consiglio sulla protezione dei dati personali elaborati nel quadro della cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale non è ancora stata adottata dal Consiglio.

La bozza di decisione non disciplina il monitoraggio biometrico delle opinioni e delle convinzioni dei singoli.L’articolo 7 della bozza di decisione disciplina l’elaborazione di speciali categorie di dati,i dati personali sensibili.I dati personali che indicano l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, la fede religiosa o il credo filosofico o le affiliazioni con i sindacati e i dati relativi alla salute o vita sessuale sono considerati categorie speciali di dati.L’elaborazione delle categorie speciali di dati è consentita solo nei casi in cui sia strettamente necessario a condizione che le leggi nazionali garantiscano adeguate salvaguardie.La Commissione è del parere che ciò non contribuisca ad un aumento dell’elaborazione e dello scambio di dati personali sensibili.Il Garante europeo per la protezione dei dati ha fatto sapere di ritenere soddisfacente l’attuale formulazione dell’articolo 7.

La bozza di decisione quadro del Consiglio prevede un insieme chiaro di regole per l’elaborazione dei dati personali tra gli Stati membri.Inoltre esso disciplina in modo chiaro la trasmissione o la disponibilità dei dati personali provenienti da uno Stato membro e ricevuti da uno Stato terzo o da un organismo internazionale.Infine, la decisione quadro disciplina la trasmissione dei dati personali ricevuti o che l’autorità competente di un altro Stato membro ha messo a disposizione a soggetti privati negli Stati membri.

La bozza della decisione del Consiglio non ammette l’elaborazione e la trasmissione dei dati personali a qualsiasi soggetto interessato.I casi in cui tale pratica è ammessa (per la prevenzione, le indagini, la detenzione o la condanna nel caso di reati penali o per l’esecuzione di condanne penali) sono chiaramente e dettagliatamente previsti nella decisione quadro.Quanto alla necessità di evitare una possibile minaccia alla sicurezza pubblica, la bozza della decisione quadro del Consiglio consente l’elaborazione dei dati personali e la successiva trasmissione a terzi per prevenire un’imminente e grave minaccia alla sicurezza pubblica, a condizione che ciò non sia incompatibile con le finalità per le quali i dati erano stati raccolti.Le autorità competenti sono autorizzate esclusivamente ad elaborare tali dati conformemente alle disposizioni giuridiche applicabili e a condizione che tale elaborazione sia necessaria e commisurata allo scopo perseguito.Per quanto riguarda l’elaborazione dei dati personali per finalità scientifiche statistiche, la bozza di decisione quadro del Consiglio prevede che le competenti autorità possano ulteriormente elaborare i dati trasmessi a fini storici, statistici o scientifici a condizione che gli Stati membri assicurino le idonee salvaguardie, ad esempio, a titolo esemplificativo, anonimizzando i dati.

In conclusione la Commissione non ritiene che la bozza di decisione quadro del Consiglio violi la protezione dei dati personali o i diritti democratici.Dato che la decisione quadro prevede solo un insieme minimo di requisiti per la protezione dei dati, la Commissione è del parere che la valutazione delle misure nazionali assunte per assicurare la piena conformità con la decisione quadro, come previsto nell’articolo 27 della bozza della decisione quadro del Consiglio, vada utilizzata per stabilire se è possibile aumentare il livello di protezione dei dati.

 

Interrogazione n. 65 dell’on. Barbara Kudrycka (H-0867/07)
 Oggetto: Conferenza dell’Aya sul diritto internazionale privato; convenzioni di diritto civile
 

Di recente l’Unione europea ha aderito alla Conferenza dell’Aya sul diritto internazionale privato. Gli Stati membri necessitano un’autorizzazione della Comunità per aderire ad una serie di accordi internazionali di diritto civile. La Commissione europea ha presentato al Consiglio una serie di proposte perché le firmi e le ratifichi. Nel caso di alcune Convenzioni, le decisioni restano sospese per diversi anni. Alcune Convenzioni sono in vigore esclusivamente tra gli Stati membri che sono riusciti a ratificarle prima della loro adesione all’Unione europea.

Considera la Commissione che sia una buona politica: rifiutare ai cittadini europei il beneficio di convenzioni moderne negoziate frequentemente a richiesta e con l’attiva partecipazione degli Stati membri e della Commissione; tenere l’Europa lontana da strumenti globali di cooperazione, e ritardare all’infinito tali cambiamenti? Ritiene la Commissione compatibile l’adesione della Comunità alla Conferenza dell’Aya con il blocco pratico per quanto riguarda l’adesione agli strumenti sviluppati dai suoi membri? Ritiene la Commissione che l’Unione europea possa essere considerata dagli altri come un partner affidabile nei negoziati internazionali se per molti anni non è capace di farsi un’opinione e di decidere su cosa fare? Prevede la Commissione di prendere misure per risolvere il problema?

 
  
 

Pare alla Commissione che l’onorevole parlamentare faccia riferimento alle convenzioni internazionali la cui ratifica è sospesa per ragioni inerenti la controversia tra Regno Unito e Spagna su Gibilterra e non all’adesione alla convenzione dell’Aia sulla legge applicabile ad alcuni diritti su strumenti finanziari detenuti presso un intermediario, in merito alla quale il Consiglio è sostanzialmente diviso sull’opportunità di una ratifica in quanto il Parlamento stesso, con una risoluzione adottata il 14 dicembre 2006, sollecitava il Consiglio a non sottoscrivere la convenzione fino a quando uno studio esauriente sull’impatto non avesse stabilito che tale adesione non avrebbe introdotto distorsioni nei servizi finanziari del mercato interno.

Come già indicato nella risposta all’interrogazione scritta E-2576/07, la Commissione condivide pienamente il timore che le divergenze tra Spagna e Regno Unito su Gibilterra stiano bloccando l’adesione della Comunità a varie importanti convenzioni, specificatamente:

– convenzione dell’Aia del 1996 concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure per la tutela dei minori (convenzione dell’Aia per la tutela dei minori);

– convenzione Unidroit relativa alle garanzie internazionali sui beni mobili d’equipaggiamento e del suo protocollo relativo alle questioni specifiche dei beni mobili aeronautici (Città del Capo, 2001);

- protocollo delle organizzazioni marittime internazionali del 2002 della convenzione di Atene relativa al trasporto di passeggeri e relativi bagagli per mare;

– protocollo delle Nazioni Unite del 2003 sulla responsabilità civile e il risarcimento dei danni causati da effetti transfrontalieri in caso di incidenti industriali che interessano acque transfrontaliere;

– convezione del 2003 del Consiglio d’Europa sul contatto con i minori.

Dato che queste convenzioni ricadono, interamente o in parte, sotto l’esclusiva competenza della Comunità, gli Stati membri non possono ratificarle senza prima essere stati autorizzati in tal senso dalla Comunità.Pertanto il problema bilaterale tra Spagna e Regno Unito impedisce effettivamente a tutti gli altri Stati membri di ratificare queste convenzioni.

Come risulta dall’elenco il problema non interessa solo le convenzioni adottate nel quadro della conferenza dell’aia sul diritto privato internazionale ma anche altre organizzazioni internazionali come UNIDROIT e il Consiglio d’Europa.

La Commissione si è già fortemente impegnata per porre rimedio alla situazione.Per quanto riguarda in particolare la convenzione dell’Aia sulla protezione dei minori, la Commissione ha più volte scritto agli Stati membri interessati dal 2005, esortandoli a sbloccare la situazione che si fa sempre più inaccettabile per gli altri Stati membri desiderosi di ratificare questa preziosa convenzione.La questione è stata inoltre sollevata in vari consigli GAI(1) direttamente presso i ministeri interessati.

La Commissione ha ricevuto assicurazione dai due Stati membri interessati che sono in corso trattative sulla questione e che una soluzione al problema è attesa nell’immediato futuro.

 
 

(1)Giustizia e affari interni

 

Interrogazione n. 66 dell’on. Stavros Arnaoutakis (H-0868/07)
 Oggetto: Programma generale di solidarietà e di gestione dei flussi migratori
 

Per quanto riguarda l’attuazione dei nuovi fondi creati nell’ambito del Programma generale di solidarietà e gestione dei flussi migratori (Fondo europeo per l’integrazione dei cittadini dei paesi terzi, Fondo europeo per i rifugiati, Fondo europeo per le frontiere esterne e Fondo europeo per i rimpatri), in quale fase ci si trova? Sono stati decisi gli orientamenti dei fondi nonché la ripartizione per paese? Si prevede, e in quale misura, il coinvolgimento di enti regionali e locali come pure di organizzazioni non governative alla pianificazione e alla realizzazione delle azioni dei fondi?

 
  
 

Scopo delle linee guida strategiche è di fornire un indirizzo per la programmazione dei fondi comunitari all’interno degli Stati membri.Per quanto riguarda il Fondo per le frontiere esterne e il Fondo europeo per l’integrazione, le linee guida strategiche sono state adottate dalla Commissione nell’agosto 2007(1).L’adozione delle linee guida strategiche per l’attuazione del Fondo europeo per il rimpatrio e del Fondo europeo per i rifugiati è prevista per il novembre 2007.

L’adozione delle linee guida strategiche non sconta un ritardo particolare.Gli atti di base che istituiscono i fondi sono stati adottati solo nella primavera del 2007.Per tre dei fondi l’adozione delle linee guida avviene seguendo la procedura di regolamentazione con controllo che veniva utilizzata per la prima volta.

Per quanto riguarda le dotazioni destinate agli Stati membri per ciascuno dei quattro fondi, nel luglio 2007 la Commissione ha trasmesso agli Stati membri le dotazioni definitive per l’anno di bilancio 2007 e le dotazioni provvisorie per l’anno di bilancio 2008.

Gli importi dei fondi devono trovare esecuzione, per il 90-93 per cento, tramite gestione condivisa.Pertanto spetta agli Stati membri coinvolgere gli organi regionali e locali nonché le organizzazioni non governative nel processo di elaborazione e attuazione dei rispettivi programmi pluriennali e annuali.

Effettivamente le decisioni che istituiscono i fondi prevedono esplicitamente che gli Stati membri siano responsabili della selezione e della realizzazione dei progetti cofinanziati, nel rispetto dei generali obiettivi europei di programmazione.E’ a livello nazionale e locale che le specifiche esigenze prioritarie legate alla politica d’asilo, di integrazione, di gestione dei rimpatri e delle frontiere esterne possono essere meglio definite.

Quanto alle parti dei fondi la cui esecuzione spetta direttamente alla Commissione quali “azioni della Comunità”, saranno pubblicati a scadenze regolari degli inviti ad avanzare proposte.Le organizzazioni non governative nonché gli organismi regionali e locali possono inviare domande in particolare per il Fondo per l’integrazione, il Fondo europeo per i rifugiati e il Fondo per i rimpatri.

 
 

(1)Decisione della Commissione del 27 agosto 2007 che dà attuazione alla decisione n. 574/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio in merito all’adozione delle linee guida strategiche 2007-2013, GU L 233 del 5 settembre 2007, e decisione della Commissione del 21 agosto 2007 che dà attuazione alla decisione 2007/435/CE del Consiglio in merito all’adozione delle linee guida strategiche 2007-2013, così come notificato agli Stati membri.

 

Interrogazione n. 67 dell’on. Mairead McGuinness (H-0796/07)
 Oggetto: Stato della trattativa sugli APE con i paesi del gruppo ACP
 

Può la Commissione illustrare i progressi delle trattative sugli Accordi di partenariato economico (APE) con i paesi del gruppo ACP?

Esiste una crescente preoccupazione, soprattutto in alcuni Stati africani, che questi nuovi accordi minino il processo di sviluppo sostenibile che era alla base di ogni precedente accordo commerciale. Inoltre, sembra che questi accordi avvantaggeranno in modo sproporzionato l’Unione europea, a sfavore dei suoi partner commerciali del gruppo ACP. Ritiene la Commissione che questo rientri negli interessi a lungo termine dell’Unione?

È verosimile che i nuovi APE con i paesi del gruppo ACP entrino in vigore il 1° gennaio 2008, come previsto? Se non è così, intende la Commissione applicare misure transitorie fino al raggiungimento di un accordo? In tal caso, che tipo di misure transitorie pensa di applicare?

 
 

Interrogazione n. 68 dell’on. David Martin (H-0804/07)
 Oggetto: Termine degli APE: misure di salvaguardia per i paesi ACP
 

Il termine per la conclusione degli Accordi di partenariato economico (APE), che sostituiranno il sistema attuale di preferenze commerciali concesse ai paesi ACP nell’ambito dell’Accordo di Cotonou, è stato fissato al mese prossimo. La società civile si è espressa fortemente contraria alla conclusione di tali accordi entro la fine dell’anno, argomentando che molti dei loro aspetti principali non sono stati adeguatamente negoziati. Effettivamente, la loro conclusione costringerebbe alcuni dei paesi più poveri del mondo ad accettare una profonda liberalizzazione dei loro già vulnerabili mercati. Per rendere equi tali accordi, è necessario concedere ai paesi ACP più tempo per i negoziati e una maggiore flessibilità per stabilire, pianificare e attuare le proprie riforme commerciali. Dalla conclusione degli accordi entro l’anno potrebbe derivare il crollo delle esportazioni dei paesi ACP verso l’Unione europea. A loro volta i paesi ACP si vedrebbero dovrebbero cercare nuove fonti di reddito per il finanziamento dei sistemi sanitari e di pubblica istruzione.

In che modo intende proteggere la Commissione i paesi ACP nell’eventualità in cui gli EPA non siano conclusi entro la fine dell’anno?

 
 

Interrogazione n. 69 dell’on. Elspeth Attwooll (H-0817/07)
 Oggetto: Scadenza degli APE: tutela dei paesi ACP
 

L’attuale negoziato sugli Accordi di partenariato economico che sostituiranno l’odierno sistema di scambi con i paesi ACP, disciplinato dall’accordo di Cotonou, scadrà alla fine del mese prossimo. Il motivo della campagna promossa dalla società civile contro la conclusione degli accordi entro quella data è che alcuni aspetti chiave degli stessi non sono ancora stati sufficientemente discussi. Con una conclusione troppo frettolosa delle trattative, i già fragili mercati di alcuni degli stati più poveri del mondo dovrebbero subire una liberalizzazione che potrebbe ripercuotersi sfavorevolmente sulle esportazioni dei paesi ACP nell’Unione europea, e provocare notevoli contraccolpi sul finanziamento del loro sistema sanitario ed educativo. I paesi ACP, pertanto, hanno bisogno di più tempo per trattare, conservando flessibilità per pianificare le proprie riforme del sistema commerciale. È necessario che questi negoziati rimangano equi.

Se tuttavia gli APE non saranno conclusi entro la fine dell’anno, cosa propone la Commissione per proteggere i paesi interessati?

 
 

Interrogazione n. 70 dell’on. Alain Hutchinson (H-0858/07)
 Oggetto: Accordi di partenariato economico
 

Nella sua comunicazione del 23 ottobre 2007 sugli Accordi di partenariato economico la Commissione indica chiaramente che qualora gli APE non vengano firmati entro le scadenze fissate da parte delle regioni che negoziano con lei, la Commissione sarà disposta a firmare gli stessi APE solo con taluni paesi. Finora la Commissione ha sempre insistito con vigore che gli APE devono essere negoziati e conclusi a livello regionale, sottolineando che la firma di questi accordi ha senso solo in una prospettiva di integrazione regionale. Invece comportandosi come annunciato la Commissione sarebbe responsabile di gravi tensioni che sicuramente emergerebbero tra paesi di una stessa regione che beneficiassero di un trattamento differenziato, e quindi del tutto contrario all’obiettivo di integrazione regionale, a seconda che essi firmino o meno questo tipo di accordi.

Come intende la Commissione impedire che accordi di questo tipo arrechino un pregiudizio diretto ai paesi che non li firmassero? Come spiega la Commissione questa sua nuova posizione nei confronti della priorità da essa sempre data all’integrazione regionale per giustificare la firma degli APE?

 
  
 

In base all’accordo di Cotonou e ai suoi obiettivi di sviluppo sostenibile, di integrazione regionale e di maggiore partecipazione dei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) al sistema commerciale multilaterale, la CE conduce dal 2002 negoziati per un accordo di partenariato economico (APE) con il gruppo di stati e con le regioni ACP.Tali negoziati si trovano attualmente nella fase finale, prima del termine ultimo della fine del 2007, quando le attuali preferenze dell’accordo di Cotonou e la deroga dell’Organizzazione mondiale del commercio che le tutela scadono.La revisione congiunta ACP-CE del 2007 dei negoziati APE ha riaffermato l’impegno delle parti a rispettare la scadenza.

Gli obiettivi della CE restano la sostituzione dell’attuale regime commerciale di Cotonou con APE completi ed esaurienti che coprano le questioni relative allo scambio di beni e servizi, investimenti e aree collegate al commercio importanti per lo sviluppo dei paesi ACP, al fine di istituire mercati regionali efficienti e relazioni speciali tra queste regioni e l’UE.Allo stesso tempo i progressi nel corso dei negoziati APE sono stati discontinui.Nel caso non sia possibile portare a termine in tempo un APE completo, le parti devono trasferire le questioni già oggetto di negoziazione in un accordo fondato su un buon sistema di accesso al mercato per poi passare a ultimare i negoziati su altri settori nei primi mesi del 2008.Ciò contribuirà ad evitare interruzioni commerciali senza compromettere l’obiettivo di negoziare APE comprensivi con un pacchetto completo per lo sviluppo.

Analogamente, nel caso che all’interno di una regione vi siano determinati paesi che desiderano accedere ai negoziati, la Commissione è preparata a lavorare su tale base al fine di raggiungere accordi di accesso al mercato con l’obiettivo ultimo di addivenire ad APE completi.Per mantenere lo slancio dei programmi di integrazione regionale in corso, qualsiasi accordo di questo tipo costituirà un passo in più verso un APE completo aperto a tutti i paesi della regione in questione.

La Commissione ritiene che al momento non vi siano alternative a questo approccio pragmatico, delineato nella sua comunicazione del 23 ottobre 2007, e continuerà a perseguire gli obiettivi di sviluppo e non gli interessi offensivi dell’UE.

 

Interrogazione n. 71 dell’on. Georgios Papastamkos (H-0785/07)
 Oggetto: Strategia europea di sicurezza
 

Come valuta la Commissione l’efficacia, a tutt’oggi, della coniugazione degli aspetti interni ed esterni della sicurezza in applicazione della Strategia europea di sicurezza? Quali sono le carenze istituzionali, nell’attuazione della politica europea di sicurezza, per quanto riguarda il suo aspetto interno, che si basa su diversi pilastri costituzionali? Ritiene che il regime di sicurezza, basato sul carattere trasversale dei pilastri per quanto riguarda le questioni relative allo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, sia completo dal punto di vista istituzionale e operativo?

 
  
 

Nella strategia europea per la sicurezza si afferma che:“il contesto scaturito dalla fine della guerra fredda è caratterizzato da un’apertura sempre maggiore delle frontiere e da un’indissolubile interconnessione degli aspetti interni ed esterni della sicurezza”.L’intervento dell’UE ha riguardato gli aspetti sia interni che esterni delle minacce individuate nella strategia europea per la sicurezza, in particolare attraverso la strategia europea antiterrorismo del 2005, da una prospettiva interna, e attraverso la cooperazione e assistenza internazionale con partner strategici di paesi terzi.Per quanto riguarda la lotta contro il crimine organizzato, l’Unione europea sta sollecitando la ratifica degli accordi internazionali che compongono il quadro di riferimento per l’assistenza fornita dalla Comunità nei paesi terzi.L’Europol fornisce relazioni e statistiche annuali che contribuiscono ad arricchire le informazioni e la conoscenza sulle zone in questione.

L’attuazione della strategia europea per la sicurezza è più efficace laddove gli strumenti dell’UE e della Comunità lavorano per gli stessi obiettivi.La Commissione cerca da tempo di raggiungere tali obiettivi prendendo in considerazione anche gli aspetti esterni delle politiche interne.Tale compito sarà semplice una volta entrato in vigore il trattato di Lisbona, che elimina l’attuale divisione tra primo e terzo pilastro, introduce la procedura di codecisione e potenzia il ruolo del Parlamento.

Le azioni che rientrano nel quadro della PESC(1) e della PESD(2) continueranno a prendere in considerazione le minacce esterne parallelamente all’azione comunitaria all’esterno dell’UE e alle misure interne in materia di libertà, giustizia e sicurezza.

Più in generale la Commissione ritiene che i suoi obiettivi di politica interna ed esterna siano più che mai interconnessi e che ciò imponga una rinnovata visione sul modo in cui vengono pianificati, promossi e protetti gli interessi e valori dell’UE, includendovi ovviamente la sicurezza dei cittadini.

Tutti i nostri strumenti lavorano in concerto per rispondere alle sfide evidenziate nella strategia europea per la sicurezza:la politica per l’allargamento che estende la pace, la stabilità, la prosperità, la democrazia e lo Stato di diritto in tutta Europa; la nostra politica di vicinato, che mira a costruire relazioni basate su interessi e valori comuni con i paesi confinanti; la nostra politica commerciale, la nostra politica per l’aiuto umanitario per lo sviluppo e la nostra azione per i cambiamenti climatici e la sicurezza dell’energia.

L’eventuale revisione della strategia europea per la sicurezza dovrà prendere in considerazione tali nuove sfide globali e integrare a livello europeo tutte le risposte che ad esse vengono date, indipendentemente da considerazioni di carattere istituzionale, come affermato dalla Commissione nella sua comunicazione del 2006 “L’Europa nel mondo — Proposte pratiche per una maggiore coerenza, efficacia e visibilità”(3).

 
 

(1)Politica estera e di sicurezza comune
(2)Politica di sicurezza e di difesa comune
(3)COM(2006) 278 dell’8 giugno 2006

 

Interrogazione n. 72 dell’on. Glenis Willmott (H-0787/07)
 Oggetto: Salute e sicurezza nei paesi terzi
 

L’interrogante ricorda le recenti notizie dell’ennesima tragedia in una fabbrica d’abbigliamento a Bangalore dove un operaio indiano, colto da malore sul posto di lavoro, ha dovuto attendere per ore il permesso d’uscita ed è poi morto all’ospedale il giorno stesso. Il fatto assomiglia a un altro incidente verificatosi nella stessa fabbrica solo tre mesi prima: un’operaia incinta ha partorito da sola fuori dai cancelli dello stabilimento dopo essersi vista negare l’assistenza quando il travaglio l’ha colta durante il turno di lavoro. A quanto pare il neonato è deceduto.

Può dire la Commissione se considera la salute e la sicurezza sul lavoro un diritto fondamentale e può comunicare quale iniziativa intende adottare nelle relazioni e negli accordi con i paesi terzi in riferimento all’importanza di questi temi, in modo che si eviti in futuro il reiterarsi di incidenti assolutamente vergognosi e tragici?

 
  
 

La promozione a livello internazionale della salute e della sicurezza sul posto di lavoro costituisce uno degli obiettivi principali della strategia recentemente adottata dalla Commissione in materia(1).La strategia sottolinea la necessità di migliorare in tutto il mondo le norme per il lavoro.In tale contesto l’UE intende promuovere la prevenzione nel settore della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro tramite una cooperazione multilaterale con i competenti organismi internazionali (OIL(2), OMS(3)) e attività bilaterali nel contesto delle relazioni tra la Commissione e i paesi terzi, e in particolare con le economie emergenti come l’India.

 
 

(1)Comunicazione della Commissione “Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro” COM (2007) 62 del 21 febbraio 2007
(2)Organizzazione internazionale del lavoro
(3)Organizzazione mondiale della sanità

 

Interrogazione n. 73 dell’on. Avril Doyle (H-0798/07)
 Oggetto: Normativa in materia di identificazione equina - Riconoscimento passaporti dei cavalli
 

A livello di ogni singolo Stato membro, sono molteplici i problemi riguardanti la corretta applicazione delle esistenti direttive europee sull’identificazione degli equidi. L’autore della presente interrogazione ha infatti avuto modo di notare che non sempre i documenti di identificazione (passaporti) rilasciati dall’autorità competente di un determinato Stato membro sono riconosciuti da un altro Stato membro, e che in altri casi il passaggio da uno Stato membro all’altro avviene senza che i passaporti vengano debitamente controllati.

Può la Commissione fornire il suo parere sul bisogno di migliorare l’applicazione della normativa esistente e sulle possibili strategie da attuare per realizzare tale obiettivo?

 
  
 

La direttiva 90/426/CEE(1) del Consiglio fissa le norme per i controlli veterinari degli equini che transitano da uno Stato membro all’altro.Durante il trasporto tra uno Stato membro e l’altro, l’equino deve non solo essere accompagnato da un documento identificativo individuale (passaporto) ma anche da un attestato o certificato veterinario ufficiale rilasciato nel luogo di partenza.Tuttavia, ai sensi dell’articolo 6 della direttiva, alcuni Stati membri hanno riconosciuto ad altri deroghe in merito a questi requisiti di certificazione.

La decisione 93/623/CEE(2) della Commissione ha istituito il passaporto che accompagna gli equini registrati nei loro spostamenti.La decisione 2000/68/CE(3) della Commissione ha modificato la 93/623/CEE estendendo le disposizioni per l’identificazione degli equini anche alla riproduzione e alla produzione equina.

Onde assicurare un’applicazione più uniforme del diritto comunitario, la Commissione ha preparato una bozza di regolamento destinato a sostituire le due decisioni.Una volta adottato, il nuovo regolamento della Commissione, che come tale trova applicazione diretta, si rivolgerà direttamente ai vari soggetti responsabili per l’identificazione degli equini, assicurando l’identificazione di questi ultimi, entro un determinato periodo dalla nascita o dall’importazione, tramite un unico passaporto valido per tutta la vita dell’animale e a questo collegato tramite un ricetrasmettitore elettronico.

 
 

(1)Direttiva 90/426/CEE del Consiglio, del 26 giugno 1990, relativa alle condizioni di polizia sanitaria che disciplinano i movimenti di equidi e le importazioni di equidi in provenienza dai paesi terzi, GU L 224 del 18.8.1990
(2)93/623/CEE:decisione della Commissione, del 20 ottobre 1993, che istituisce il documento di identificazione (passaporto) che scorta gli equidi registrati, GU L 298, 3.12.1993
(3)2000/68/CE:Decisione della Commissione, del 22 dicembre 1999, recante modifica della decisione della Commissione 93/623/CEE e concernente l’identificazione degli equidi da allevamento e da reddito [notificata con il numero C(1999) 5004], HU L 23 del 18.1.2000

 

Interrogazione n. 74 dell’on. Cristobal Montoro Romero (H-0807/07)
 Oggetto: Proprietà delle imprese sui mercati dell’elettricità e del gas
 

Il Parlamento europeo, secondo quanto approvato con la risoluzione P6_TA(2007)0326 del 10 luglio 2007, sostiene che la proprietà pubblica nei mercati dell’energia elettrica e del gas rappresenta una delle cause principali di distorsioni a livello UE e che lo stimolo per la concorrenza in tali mercati è ridotto se esistono imprese pubbliche perché, nella maggior parte dei casi, in virtù del loro statuto societario, esiste un minore livello di trasparenza e informazione per i potenziali investitori e perché tali società dipendono da decisioni politiche adottate dai governi degli Stati membri.

Quali misure intende adottare la Commissione per includere tale aspetto nella sua politica, entro i limiti riconosciuti dal Trattato per la proprietà delle imprese del settore? Ritiene la Commissione che sia possibile continuare a procedere verso la creazione di un mercato unico dell’energia in presenza di oligopoli o monopoli pubblici promossi da alcuni governi europei?

 
  
 

Come stabilito nella relazione esplicativa alle proposte per il mercato interno della Commissione adottate il 19 settembre 2007, il pacchetto e, più specificamente, la proposta di un unbundling (disaccoppiamento) più efficace si applicano allo stesso modo alle società pubbliche e private.Ciò significa che indipendentemente dalla natura privata o pubblica, nessun singolo o aggregazione di singoli sarebbe in grado, da solo o in solido, di influire sulla composizione dei consigli di amministrazione, sulla votazione o sul processo decisionale degli operatori dei sistemi di trasmissione e allo stesso tempo sulle società fornitrici o produttrici.Questo fa sì che, nei casi in cui le attività di fornitura o produzione sono di proprietà pubblica, sia comunque assicurata l’indipendenza dell’operatore del sistema di trasmissione di proprietà pubblica; tuttavia tali proposte non impongono alle aziende di Stato di vendere le proprie reti ad una società privata.Ad esempio, per conformarsi a tale requisito, qualsiasi entità pubblica o lo Stato potrebbe cedere i diritti (da cui discende l’“influenza”) ad un altro soggetto giuridico di proprietà pubblica o privata.

La questione importante è che, in tutti i casi in cui si effettua un unbundling, lo Stato membro interessato deve dimostrare che nella pratica i risultati sono realmente efficaci e che le aziende operano in modo completamente separato l’una dall’altra, in modo da offrire condizioni realmente uniformi all’interno di tutta l’UE.Inoltre la proposta della Commissione obbliga gli Stati membri a garantire l’indipendenza dell’autorità di regolamentazione facendo sì che questa sia giuridicamente distinta e funzionalmente indipendente da qualsiasi altro soggetto pubblico o privato.

Tali disposizioni dovrebbero fare in modo che, indipendentemente dal regime di proprietà degli operatori dei sistemi di trasmissione o delle aziende fornitrici, tutti gli attori del mercato godano delle stesse condizioni e ricevano lo stesso trattamento da parte delle autorità di regolamentazione.

 

Interrogazione n. 75 dell’on. Manolis Mavrommatis (H-0812/07)
 Oggetto: Frodi nei prezzi dei biglietti aerei
 

Secondo una ricerca i cui risultati sono stati in parte pubblicati recentemente, circa 433 compagnie aeree e agenzie turistiche non forniscono, nelle loro offerte “low cost”, informazioni esatte e cifre reali, col risultato che i cittadini che utilizzano i siti web per conoscere i prezzi dei biglietti sono tratti in inganno. A quanto risulta dai dati finora disponibili, metà delle compagnie aeree trae in inganno il pubblico: circa 217 di esse, in 14 Stati membri e in Norvegia, non rispettano le norme comunitarie, ivi compreso l’obbligo di riportare in ciascun paese nelle pagine web il prezzo reale del biglietto nonché gli oneri aggiuntivi (tasse aeroportuali ecc) nella lingua ufficiale del paese e non solo in inglese come avviene oggi.

Quando intende la Commissione pubblicare i dati analitici della ricerca? Quali compagnie aeree contravvengono alle norme comunitarie per la protezione dei consumatori? Quali misure intende adottare la Commissione? Rientra tra i suoi prossimi obiettivi l’elaborazione di una proposta legislativa volta a tutelare i consumatori dalle frodi e ad assicurare loro il risarcimento dovuto?

 
  
 

La rete di tutela dei consumatori, istituita con il regolamento per la cooperazione per la tutela dei consumatori(1) meno di un anno fa, ha portato a termine alla fine di settembre 2007 la sua prima attività congiunta di vigilanza del mercato in forma di indagine a tappeto sui siti che vendono biglietti aerei.Si tratta di un nuovo e potente strumento di tutela.A questa attività hanno partecipato 15 Stati membri e la Norvegia.La Commissione intende partire da questa iniziativa pilota e ripetere nel futuro tali azioni di tutela.

Le autorità hanno controllato che i siti rispettassero la normativa europea e nazionale, individuando quelli che presentavano condizioni di non conformità.Tali siti sono attualmente sottoposti ad ulteriori indagini da parte delle autorità che decideranno sulle successive misure da prendere.Nei casi confermati di violazione della legge, le autorità fanno in modo che vengano adottate le opportune misure di tutela.

La Commissione comprende l’interesse per un’ampia divulgazione dei risultati di tale attività.Dato che responsabili per le azioni di tutela sono gli Stati membri, la Commissione sta discutendo con essi il seguito da dare a tale indagine a tappeto, in particolare per quanto riguarda una pubblicazione dettagliata delle risultanze.

I risultati preliminari dell’indagine indicano che una maggiore tutela basata sull’attuale normativa può proteggere i consumatori da pratiche commerciali ingannevoli.Il livello di tutela sarà aumentato ulteriormente con l’attuazione della direttiva contro le pratiche commerciali ingannevoli(2).La Commissione intende pertanto intensificare nel futuro l’applicazione della normativa con l’aiuto della rete di tutela dei consumatori.Prima di prevedere eventuali nuove proposte legislative la Commissione deve sfruttare al massimo il potenziale degli attuali strumenti.

In particolare la Commissione accoglie con favore la discussione legislativa attualmente in corso tra Parlamento e Consiglio in merito alla sua proposta di revisione del terzo pacchetto sul trasporto aereo(3).L’adozione del nuovo regolamento migliorerà la trasparenza dei prezzi chiarendo che il prezzo finale va inteso come comprensivo di tutte le tariffe, i supplementi, i sovrapprezzi, le tasse e i diritti che sono inevitabili e prevedibili al momento della pubblicazione.Sono interessati tutti i voli all’interno dell’UE nonché i voli di tutte le compagnie in partenza da un aeroporto dell’UE.

 
 

(1)Regolamento (CE) n. 2006/2004 del parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori («Regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori»)
(2)Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»)
(3)Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio recante norme comuni per la prestazione di servizi di trasporto aereo nella Comunità (rifusione) (COM(2006)396).

 

Interrogazione n. 76 dell’on. Willy Meyer Pleite (H-0813/07)
 Oggetto: Repressione nello stato di Oaxaca (Messico)
 

Nel 2004 in Messico, Ulises Ruiz Ortiz è diventato governatore dello stato di Oaxaca grazie a una frode elettorale. Secondo quanto ha denunciato Amnesty International, Ruiz Ortiz è responsabile di molteplici violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione indigena, degli insegnanti in sciopero per ottenere alimenti e condizioni di lavoro migliori, e di chiunque osi denunciare la repressione cui è sottomesso.

Nel giugno 2007, la Corte Suprema del Messico ha deciso di indagare sulle violazioni dei diritti umani perpetrate sotto il governo di Ruiz Ortiz.

Come pensa la Commissione di far valere la propria influenza affinché si insista nelle indagini su queste violazioni?

Poiché tale situazione perdura da oltre tre anni, e posto che nell’accordo di associazione tra l’Unione europea e il Messico figura una clausola relativa al rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto, ha considerato la Commissione la possibilità di rivedere detto accordo di associazione?

 
  
 

L’Unione europea e la Commissione sono particolarmente attente agli sviluppi della situazione di Oaxaca e controllano da vicino lo svolgersi degli avvenimenti.La Commissione è stata tenuta pertanto regolarmente informata sugli avvenimenti di Oaxaca dalla propria delegazione in quel paese, dalle organizzazioni della società civile e dalle autorità messicane.

La Commissione solleva la questione dei diritti umani ad ogni occasione opportuna, come ha fatto fin dall’inizio rafforzando, fin dal 2004, gli scambi con il Messico nel contesto del dialogo politico.La Commissione continuerà su tale linea in occasione dei prossimi contatti di alto livello previsti nel quadro dell’accordo globale e continuerà a prestare particolare attenzione alla situazione di Oaxaca.

Parallelamente alle varie azioni condotte dalla Commissione in base all’accordo, la delegazione dell’UE in Messico ha assistito e accompagnato l’eurodeputato nonché presidente della delegazione presso la commissione parlamentare mista UE-Messico on. Erika Mann nel corso della missione parlamentare ad Oaxaca del settembre 2006.In tale occasione l’on. Mann ha incontrato anche i rappresentanti dell’assemblea popolare delle popolazioni di Oaxaca (APPO).

La Commissione si tiene inoltre informata tramite le relazioni e i commenti di varie organizzazioni non governative per i diritti umani operanti a livello nazionale e internazionale, che riguardano tra l’altro il conflitto in corso a Oaxaca.La Commissione organizza inoltre incontri con tali organizzazioni per esaminare i risultati delle ricerche e delle analisi da esse condotte sulla situazione.Gli eurodeputati che fanno parte della delegazione interparlamentare UE-Messico hanno partecipato a questi incontri.In occasione dell’incontro della delegazione interparlamentare tenutosi in Messico alla fine del febbraio 2007, la delegazione messicana della Commissione ha organizzato una sessione sui diritti umani durante la quale è stato discusso il problema di Oaxaca.

Recentemente il Consiglio dell’UE ha chiesto informazioni sulla situazione dei diritti umani nello stato di Oaxaca. Dal 27 al 28 agosto 2007 è stata pertanto organizzata una missione dei rappresentanti delle ambasciate degli Stati membri e della delegazione messicana della Commissione.La missione ha tenuto incontri con il presidente della commissione di Stato per i diritti umani (CEDHO), con le ONG dei diritti umani, con il presidente della Corte suprema, con il procuratore generale, il Segretario di Stato e con il Sottosegretario per i diritti umani dello Stato di Oaxaca.Inoltre, in occasione dell’incontro mensile dei consiglieri politici tenutosi nel settembre 2007 durante il quale è stata esaminata la situazione di Oaxaca, ha parlato un rappresentante dell’ufficio del Segretario della sicurezza pubblica

Va osservato che la Commissione collabora attivamente con l’Alto commissario delle Nazioni Unite sulla questione dei diritti umani in Messico.La Commissione è impegnata in due progetti che sostengono i diritti umani, uno dei quali riguarda la situazione degli indigeni nel sistema carcerario di Oaxaca.In tale contesto la questione del conflitto di Oaxaca viene discussa nel corso degli scambi tra l’ufficio dell’Alto commissario e la Commissione e costituisce parte della nostra politica comune per la difesa dei diritti umani.

 

Interrogazione n. 77 dell’on. Chris Davies (H-0816/07)
 Oggetto: Controllo dell’applicazione della legislazione comunitaria durante la Presidenza portoghese
 

Intende la Commissione far sapere se ha richiesto l’inserimento della questione dell’applicazione inadeguata della legislazione comunitaria da parte degli Stati membri all’ordine del giorno di una delle riunioni del Consiglio dei ministri previste durante la Presidenza portoghese?

 
  
 

La Commissione non ha ancora chiesto l’inserimento nell’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio dei ministri che si terranno durante la Presidenza portoghese della questione dell’inadeguata attuazione della normativa comunitaria all’interno degli Stati membri.

Va ricordato che la Commissione ha recentemente adottato una comunicazione sull’applicazione del diritto comunitario(1) che è stata successivamente trasmessa alle istituzioni.La Commissione è attivamente impegnata nell’attuazione delle azioni annunciate in detta comunicazione.La Commissione ha convocato un gruppo di esperti nazionali per discutere la comunicazione nel corso della Presidenza portoghese, con la possibilità che alcune questioni individuate dalla Commissione vengano inserite nell’ordine del giorno di una riunione di una formazione del Consiglio nel corso del 2008.

È inoltre possibile che una discussione generale possa avvenire in una formazione del Consiglio in altre occasioni, ad esempio in occasione della presentazione della relazione annuale sull’attuazione di un programma o di un piano d’azione.

Per quanto riguarda in particolare il Quadro di valutazione del mercato interno, la Commissione ha presentato la sua prima relazione relativa al 2007 lo scorso luglio 2007.Una seconda relazione è attesa per il dicembre 2007 e si prevede che darà un contributo al dibattito in vista del prossimo Consiglio europeo di primavera del 2008.

Dal giugno 2005 la Commissione pubblica annualmente un Quadro sulle questioni di giustizia, libertà e sicurezza che, nella seconda parte, valuta l’attuazione della normativa comunitaria relativa a tali questioni a livello nazionale.

 
 

(1)COM(2007)502

 

Interrogazione n. 78 dell’on. Georgios Georgiou (H-0818/07)
 Oggetto: Futuro della Olympic Airways
 

Nella dichiarazione programmatica fatta dinanzi al parlamento nazionale il governo greco non ha detto praticamente nulla dicono a proposito del destino della Olympic Airways e non ha preso alcun preciso in merito al futuro della compagnia. L’attuale governo greco è al potere ormai da quattro anni e la disastrosa situazione in cui il Pasok ha lasciato la Olympic, che pure è una delle più antiche e sicure compagnie aeree del mondo, si è deteriorata ulteriormente.

Può la Commissione riferire con precisione degli eventuali progressi registratisi nei colloqui condotti con il governo greco in merito al futuro della Olympic Airways?

 
  
 

Dal 1994 la Commissione ha adottato cinque decisioni sugli aiuti di Stato a beneficio di Olympic Airways.Le prime tre erano decisioni condizionate con le quali venivano autorizzati aiuti da utilizzarsi per la ristrutturazione della compagnia entro la fine degli anni ‘90 a determinate condizioni.

Sfortunatamente tali decisioni non sono state rispettate e la ristrutturazione non ha prodotto gli effetti sperati.Pertanto nel dicembre 2002, e successivamente nel settembre 2005, la Commissione ha dovuto adottare due decisioni negative, che affermano che la Grecia aveva concesso aiuti illegali incompatibili con il mercato unico a Olympic Airways e Olympic Airlines.La prima di tali decisioni è stata confermata nella sostanza dal Tribunale di primo grado, a parte alcuni aspetti minori.Va inoltre ricordato che la Corte di giustizia ha affermato che la Grecia non aveva dato attuazione alla prima decisione.Siccome non era stata data attuazione alla decisione della Corte nella quale si stabiliva tale inottemperanza, la Commissione ha presentato ricorso ai sensi dell’articolo 228 del trattato CE.

Come va facendo da alcuni anni, la Commissione europea prosegue i colloqui con le autorità greche al fine di individuare una soluzione per i problemi riguardanti l’attuazione delle decisioni del 2002 e del 2005.Obiettivo della Commissione è assicurare il rispetto della normativa comunitaria, sia per quanto riguarda l’attuazione delle decisioni del 2002 e del 2005 sia per quanto riguarda eventuali altre misure che possano comportare l’uso di fondi pubblici a vantaggio di Olympic Airways/Airlines.

 

Interrogazione n. 79 dell’on. Markus Pieper (H-0820/07)
 Oggetto: Seguito dato alla relazione d’iniziativa “Conseguenze dei futuri ampliamenti sull’efficacia della politica di coesione” P6_TA(2007)0130
 

In quale misura ha la Commissione accolto i suggerimenti figuranti nella relazione d’iniziativa del Parlamento europeo “Conseguenze dei futuri ampliamenti sull’efficacia della politica di coesione” (P6_TA(2007)0130)?

Quali conseguenze ne sono state tratte?

Sono già stati elaborati progetti concreti per il modello graduale richiesto ed è già stata avviata a tale riguardo una riforma dell’ aiuto di pre-adesione? In caso negativo, quale calendario ha previsto la Commissione a tal fine?

 
  
 

La Commissione condivide pienamente i due principali punti di partenza della relazione:l’importanza e il successo della politica di coesione nel limitare le disparità e quindi nel contribuire alla coesione sociale, economica e territoriale dell’UE, nonché il fatto che, a seguito dei recenti allargamenti, tali disparità si siano ulteriormente allargate.La Commissione è inoltre pienamente consapevole della pressione posta dalla globalizzazione sulle economie europee in termini di delocalizzazioni, cambiamenti demografici, flussi migratori e altre questioni correlate.Per dare risposta a tali sfide la politica di coesione 2007-2013 è stata riformata e modernizzata allineandola alle agende di Lisbona e Göteborg.

La Commissione concorda inoltre sul fatto che, qualora la Croazia e gli Stati dei Balcani occidentali dovessero aderire all’UE prima del termine dell’attuale periodo di programmazione, potrebbero trovare posto nell’attuale quadro della politica di coesione senza particolari sconvolgimenti.Si fa notare all’onorevole parlamentare che le regole di ammissibilità attualmente applicate per il periodo 2007-2013 per l’UE-27 sono state fissate nel 2006.Per quanto riguarda la Turchia, la Commissione concorda sulla necessità di condurre, al momento opportuno, una valutazione dell’impatto specifica nella prospettiva del possibile impatto sulla politica di coesione comunitaria.In base al quadro di negoziato, le negoziazioni con la Turchia per l’adesione possono concludersi solo una volta che sarà stato stabilito il quadro finanziario per il periodo che inizia dal 2014 assieme alle possibili riforme che ne conseguono.

La Commissione valuterà pertanto, al momento opportuno, l’impatto di tutti i futuri allargamenti sulla politica di coesione dell’UE e proporrà le modifiche corrispondenti.Fino a quando tale valutazione non sarà stata fatta, la Commissione non è in grado di commentare eventuali stime dei costi associati.

La Commissione ritiene che una dotazione finanziaria sufficiente sia una precondizione essenziale per assicurare il successo della politica, in linea con le proposte della Commissione per le prospettive finanziarie 2007-2013, ed è assai desiderosa di accogliere eventuali proposte che puntino ad aumentare l’effetto leva della politica di coesione negli attuali Stati membri, come a rafforzare la partecipazione dei capitali privati o ad utilizzare strumenti finanziari innovativi al di là dei sussidi.Tuttavia, allo stato, la Commissione non è in grado di commentare eventuali stime sugli importi necessari in futuro per le specifiche politiche.

 

Interrogazione n. 80 dell’on. Milan Gaľa (H-0831/07)
 Oggetto: Formaldeide classificata come sostanza cancerogena
 

L’Ufficio europeo delle sostanze chimiche sta stilando una nuova classificazione delle sostanze chimiche (il 30° ATP). Alla luce delle più recenti ricerche presentate dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, la formaldeide chimica (Numero CAS: 50-00-0) costituisce un cancerogeno. L’interrogante si aspetta che, con l’applicazione della normativa REACH sui prodotti chimici, la Commissione faccia tutto il possibile affinché la formaldeide sia classificata come sostanza cancerogena.

L’interrogante vorrebbe inoltre sapere se la Commissione stia lavorando congiuntamente all’Ufficio europeo delle sostanze chimiche alla definizione di una nuova classificazione delle sostanze chimiche (il 30° ATP) e se si stiano compiendo sforzi per classificare la formaldeide come cancerogeno, al fine di tutelare i cittadini contro ciò che costituisce una sostanza pericolosa.

 
  
 

La formaldeide è classificata come sostanza cancerogena di categoria 3 dal 1996, ovvero da quando è stato adottato il 22° adattamento del progresso tecnico(1) della direttiva 67/548/CEE(2) relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose.Alla categoria 3 appartengono le sostanze che causano timori per l’uomo dovuti ai possibili effetti cancerogeni ma per le quali non è possibile effettuare una valutazione sufficiente a causa della scarsità di dati disponibili.

La Francia, tenendo conto della recente decisione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ha proposto di assegnare la formaldeide alla categoria 1 delle sostanze cancerogene.La categoria 1 comprende le sostanze di nota cancerogenicità per l’uomo.Nel settembre 2004 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha concluso che la formaldeide è cancerogena per l’uomo e l’ha assegnata al gruppo 1,che rappresenta una classificazione più alta rispetto alle valutazioni precedenti effettuate dalla stessa agenzia.

La proposta francese è stata discussa nel novembre 2005 dalla commissione tecnica per la classificazione e l’etichettatura ai sensi della direttiva 67/548/CEE(3) relativa alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose.Le raccomandazioni formulate dalla commissione tecnica vengono utilizzate dalla Commissione per elaborare una proposta di adattamento al progresso tecnico che aggiorni l’elenco delle sostanze della direttiva citata tramite la procedura di comitatologia.Tali sostanze sono inserite nell’allegato I.

Tuttavia, a seguito della ricerca in corso sulla cancerogenicità della formaldeide, in particolare a seguito di un aggiornamento di uno studio epidemiologico del National Cancer Institute statunitense, è stato deciso di posticipare qualsiasi eventuale decisione ad una riunione successiva.I risultati dello studio aggiornato del National Cancer Institute dovrebbero essere disponibili a breve.

Pertanto, non avendo la commissione tecnica della classificazione e l’etichettatura completato la propria discussione sulla cancerogenicità nella formaldeide, non è stato possibile inserirla né nella bozza di proposta per il 30° adattamento al progresso tecnico votato nel febbraio 2007 né nel 31° adattamento al progresso tecnico, che sarà sottoposto alla procedura di comitatologia entro la fine del 2007.

Tuttavia la proposta francese sarà nuovamente discussa nel quadro legislativo REACH(4) dal comitato per la valutazione dei rischi, la cui istituzione è prevista per il giugno 2008.Sulla base della raccomandazione del comitato per la valutazione dei rischi, la Commissione potrà quindi elaborare una nuova proposta per l’adattamento al progresso tecnico e modificare così, se del caso, l’attuale classificazione della formaldeide.

 
 

(1)Direttiva 96/54/CE della Commissione del 30 luglio 1996 recante ventiduesimo adeguamento al progresso tecnico della direttiva 67/548/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose, GU L 248 del 30.9.1996.
(2)GU 196 del 16.8.1967
(3)GU 196 del 16.8.1967
(4)Registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche

 

Interrogazione n. 81 dell’on. Johan Van Hecke (H-0835/07)
 Oggetto: Pirateria cinese su vasta scala
 

Sui siti delle aste on line sono in vendita CD di artisti europei chiaramente di fattura cinese (riportano, infatti, delle scritte in cinese), che sono senza il minimo dubbio contraffazioni illegali. Nonostante le promesse delle autorità cinesi di inasprire le normative, controlli più severi sulla contraffazione illegale e la pirateria restano evidentemente lettera morta. Ne consegue che, secondo le autorità doganali, oltre il 70% di tutti i prodotti contraffatti illegalmente viene dalla Cina.

Il più penalizzato risulta il settore audiovisivo e quel che più inquieta è il fatto che sono vittime della contraffazione cinese non soltanto celebri artisti americani, bensì anche artisti europei meno conosciuti.

Intende la Commissione affrontare ancora una volta con le autorità cinesi il problema della pirateria? È essa disposta a prevedere delle sanzioni, così come hanno fatto gli Stati Uniti presentando tra l’altro una serie di denunce all’OMC?

 
  
 

Un sistema di tutela e di applicazione del regime sulla proprietà intellettuale in Cina costituisce una priorità dell’UE.La Commissione è a conoscenza della pirateria che, in Cina, colpisce il settore audiovisivo e affronta regolarmente tale questione nel corso dei colloqui bilaterali sulle questioni della proprietà intellettuale con le autorità cinesi.Ad esempio la questione era contenuta nell’ordine del giorno dell’ultimo gruppo di lavoro UE-Cina sulla proprietà intellettuale tenutosi a Pechino il 27 settembre 2007.Le autorità cinesi si sono impegnate nell’affrontare la questione ma tali sforzi sono insufficienti.La questione sarà inoltre all’ordine del giorno del Vertice UE-Cina in programma per il 28 novembre 2007 in Cina.

La Commissione ha promosso un dialogo e una collaborazione con la Cina per contrastare la pirateria.Tale approccio collaborativo ha prodotto risultati limitati.La Commissione ha comunicato chiaramente alla Cina che sono necessari progressi significativi.A tale riguardo il Vertice UE-Cina sarà determinante per valutare la volontà della Cina di dare una risposta alle preoccupazioni dell’UE.Qualora la Cina continui a prestare un’attenzione insufficiente alle preoccupazioni dell’UE in merito alle questioni della proprietà intellettuale, la Commissione prenderà in considerazione la possibile presentazione di una denuncia presso l’Organizzazione mondiale del commercio.

 

Interrogazione n. 82 dell’on. Linda McAvan (H-0838/07)
 Oggetto: Infezioni nosocomiali
 

Dato che ogni anno approssimativamente 3 milioni di cittadini dell’UE contraggono infezioni nosocomiali e di conseguenza circa 50.000 persone perdono la vita, la necessità di trovare una risposta urgente risulta chiara. Può la Commissione far sapere se è possibile anticipare la pubblicazione di una raccomandazione sulle infezioni nosocomiali, prevista per l’autunno 2008?

 
  
 

Come affermato dall’onorevole parlamentare, le infezioni contratte nelle strutture di cura costituiscono una quota importante di malattie e mortalità nelle società europee.

La Commissione sta attualmente esaminando una bozza di proposta per una raccomandazione del Consiglio sulla prevenzione e il controllo delle infezioni nosocomiali.

La proposta viene elaborata con l’assistenza di un gruppo internazionale di esperti e integra:

le osservazioni provenienti dalle autorità di vigilanza della rete comunitaria sulle malattie trasmissibili, e

le osservazioni formulate dalle parti interessate nel corso di una consultazione pubblica svoltasi tra dicembre 2005 e gennaio 2006.

Le raccomandazioni principali riguarderanno l’istituzione o il potenziamento di:

misure di controllo e prevenzione per sostenere il contenimento delle infezioni;

programmi di prevenzione e controllo delle infezioni all’interno delle strutture di cura;

sistemi di sorveglianza basati su norme comuni;

formazione, istruzione, ricerca e scambio di informazioni.

All’interno del programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2008, la proposta è indicata come iniziativa strategica, a sottolineare l’importanza che la Commissione attribuisce alla proposta.

L’obiettivo è di sottoporre la proposta al Consiglio EPSCO (affari relativi a occupazione, politica sociale, salute e consumatori) durante la Presidenza francese nel 2008.

Considerando i tempi necessari per le varie fasi che portano all’adozione da parte del Collegio e alla trasmissione al Consiglio, non è realistico anticipare la proposta di sei mesi sottoponendola al Consiglio EPSCO durante la Presidenza slovena.

La Commissione desidera tuttavia assicurare all’onorevole parlamentare la propria determinazione ad evitare qualsiasi ritardo in questa iniziativa strategica.

 

Interrogazione n. 83 dell’on. Bill Newton Dunn (H-0841/07)
 Oggetto: Alberi secolari d’Europa
 

Intende la Commissione autorizzare l’estensione di Natura 2000 ai siti occupati da alberi secolari, come accade già in Scandinavia? Intende altresì rivedere le specie associate agli alberi secolari ed inserire nella direttiva sugli habitat quelle maggiormente a rischio?

 
  
 

La direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora(1) (direttiva sugli habitat) ha come obiettivo la protezione della biodiversità in tutta l’UE e in particolare la protezione delle specie e degli habitat importanti per gli obiettivi di conservazione dell’UE che sono elencati nella direttiva.La direttiva comprende un gran numero di tipi di habitat forestali che fanno riferimento specifico a specie arboree caratteristiche ivi presenti e per i quali è necessaria la designazione come siti Natura 2000.La protezione degli alberi è inoltre molto importante per la conservazione di specie come picchi e coleotteri che possono dipendere da alberi maturi e vecchi.Pertanto la rete Natura 2000 può comprendere alberi vetusti qualora contribuiscano agli obiettivi di conservazione di altri siti.

Manca tuttavia uno specifico riferimento all’inserimento dei siti nella rete Natura 2000 esclusivamente sulla base della presenza di un numero limitato di alberi molto vecchi.Sebbene tali alberi possono avere grande importanza dal punto di vista ecologico, culturale o storico, essi non sono considerati di per sé stessi fattori determinanti per la biodiversità generale.Per tale motivo la Commissione non ha in programma una modifica della direttiva che tenga conto degli alberi antichi tra i criteri per la designazione dei siti.Resta inteso che gli Stati membri sono liberi di fissare misure nazionali a protezione di tali importanti monumenti viventi.

 
 

(1)GU L 206 del 22.7.1992

 

Interrogazione n. 84 dell’on. Ivo Belet (H-0842/07)
 Oggetto: Prezzi massimi dell’energia
 

I prezzi per il gas e l’elettricità continuano ad aumentare in maniera smodata, fra l’altro anche in seguito a una mancanza di concorrenza, come avviene in Belgio. Questa situazione dovrebbe spronare le autorità nazionali e di regolamentazione a fissare prezzi massimi in maniera tale da poter in un certo qual modo comprimere i prezzi per il consumatore finale.

Concorda la Commissione che la fissazione (eventualmente temporanea) di tariffe massime costituisce uno strumento responsabile ed efficace per controbilanciare, a vantaggio del consumatore, la mancanza di concorrenza sul mercato dell’energia?

 
  
 

Il quadro giuridico europeo, in particolare gli articoli 3 paragrafo 3 delle direttive sull’elettricità(1) e sul gas(2), ammettono una regolamentazione dei prezzi in circostanze limitate, nella fattispecie onde far salvi gli obblighi di servizio pubblico e universale, ovvero il diritto per le famiglie e, se ritenuto appropriato da parte dello Stato membro, per le piccole imprese, di ricevere la fornitura di energia elettrica della qualità specificata all’interno del proprio territorio a prezzi ragionevoli, trasparenti e confrontabili in modo semplice e chiaro.Tali regolamentazioni dei prezzi tuttavia non possono ostacolare l’apertura del mercato(3).

Infatti, perché i mercati possano funzionare, è essenziale che le decisioni in materia di fornitura, produzione e investimenti vengano assunte sulla base di informazioni che siano il più pertinenti e il meno falsate possibile.Tra queste informazioni i prezzi costituiscono il dato più importante.

L’eventuale limitazione dei prezzi che non rientri nel legittimo obiettivo di assicurare il servizio universale così come previsto nelle direttive può costituire una minaccia significativa per la realizzazione di mercati dell’energia concorrenziali.Se le limitazioni fissate sono troppo basse o se i costi aumentano ma i prezzi regolamentati no, i fornitori di elettricità e gas possono facilmente trovarsi in una situazione di compressione di prezzi, in cui i prezzi al dettaglio non consentono più di coprire i costi.È essenziale che nel settore entrino nuovi soggetti in modo da rendere concorrenziali quei mercati che precedentemente erano oggetto di monopolio, e questi nuovi soggetti sono particolarmente vulnerabili in quanto devono ricorrere ai mercati dell’energia all’ingrosso per potersi approvvigionare di elettricità e gas.Non si tratta di un rischio solo teoricoin quanto si è già verificato in alcuni Stati membri.

Per questo motivo la Commissione ha dovuto avviare alcune procedure per infrazione contro gli Stati membri che hanno introdotto prezzi regolamentati o prezzi massimi che esulavano dall’obiettivo legittimo di assicurare l’universalità del servizio.La Commissione ha inoltre dovuto avviare azioni sulla base di altri strumenti giuridici, tra cui le norme sugli aiuti di Stato.

E’ da aggiungere che l’esistenza di mercati correttamente funzionanti e di segnali di prezzo costituiscono anch’essi prerequisiti per orientare le decisioni per gli investimenti.La fissazione di prezzi massimi può rendere poco interessante un mercato per gli investimenti e soffocare gli aumenti di capacità produttiva in quanto gli operatori privati non sono più in grado di recuperare i costi sostenuti o, almeno, non possono realizzare gli utili che sono possibili in altri mercati.Gli investimenti, ad esempio quelli finalizzati alla capacità di produzione, sono tuttavia importanti per assicurare il rimpiazzo delle capacità esistenti.Pertanto l’esistenza di mercati correttamente funzionanti e di segnali di prezzo è non solo importante per la realizzazione di un mercato interno dell’energia ma anche almeno altrettanto importante per il raggiungimento di altri obiettivi politici, in particolare per assicurare di approvvigionamenti energetici, raggiungere gli obiettivi di Kyoto fissati nel corso del Consiglio europeo di primavera del 2007 e gli obiettivi in materia di risparmio energetico(4).

La Commissione pertanto ritiene che l’azione vada focalizzata sulla questione centrale, ovvero sulle misure atte a migliorare le condizioni della concorrenza.Il terzo pacchetto di misure di liberalizzazione presentato dalla Commissione il 19 settembre 2007 nonché una maggiore azione per il rispetto delle norme comunitarie sulla concorrenza riflettono l’elevata priorità che la Commissione riconosce alla realizzazione di mercati energetici realmente concorrenziali.

 
 

(1)Direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE, GU L 176 del 15.7.2003.
(2)Direttiva 2003/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2003, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica e che abroga la direttiva 98/30/CE, GU L 176 del 15.7.2003.
(3)Cfr. inoltre il paragrafo 2.6, “Questioni relative alle utenze domestiche e ai piccoli clienti commerciali” della comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo “Prospettive del mercato interno del gas e dell’elettricità” del gennaio 2007 (COM (2006)841 def.).
(4)Eventuali prezzi mantenuti artificialmente bassi hanno come conseguenza minori investimenti per il risparmio energetico in quanto questo riduce gli utili (in quanto diminuisce la necessità di produrre energia) prodotti da tali investimenti.

 

Interrogazione n. 85 dell’on. Paulo Casaca (H-0849/07)
 Oggetto: La legislazione europea e i prodotti regionali
 

L’esistenza reale o presunta di una legislazione europea che proibisce la fabbricazione artigianale di prodotti tradizionali come il formaggio, i salumi e l’olio e che impone il divieto di utilizzare cucchiai di legno e oliere nei ristoranti, ha suscitato gravi preoccupazioni e ha rappresentato uno dei principali fattori di diffidenza dei cittadini nei confronti della realtà europea.

La Commissione può adottare misure per distinguere in modo chiaro e inequivocabile quale norma legislativa ha effettivamente carattere europeo e quale non ha tale carattere, in modo da permettere ai cittadini di distinguere ciò che è legislazione europea da ciò che non lo è?

 
  
 

La Commissione ritiene che le norme per l’igiene alimentare introducano di fatto la flessibilità necessaria per assicurare e sostenere il mantenimento della diversità nella produzione alimentare europea.

Inoltre la Commissione desidera sottolineare che non esiste in Europa un divieto contro la produzione su piccola scala di cibi tradizionali e che per i ristoranti non esiste in Europa un divieto all’uso di cucchiai di legno o di oliere.

In materia di igiene alimentare si applicano il regolamento (CE) n. 852/2004 e il regolamento (CE) n. 853/2004.Tuttavia, al fine di consentire la lavorazione nelle aziende agricole o di mantenere la possibilità di produrre alimenti con caratteristiche tradizionali e, inoltre, di utilizzare metodi tradizionali in qualsiasi fase di produzione, lavorazione o distribuzione degli alimenti, gli Stati membri possono introdurre misure a livello nazionale.

Sono stati elaborati e messi a disposizione strumenti utili, come i documenti orientativi della Commissione sull’attuazione dei regolamenti in materia di igiene e guide a livello nazionale alle buone prassi, in modo da assistere gli Stati membri e gli operatori del comparto alimentare nella comprensione della legislazione europea nel settore dell’igiene alimentare.

A partire dal 2008 la Commissione organizzerà dei corsi formativi per gli ispettori ufficiali all’interno degli Stati membri.Tali corsi avranno lo scopo di informare gli ispettori sui margini di flessibilità esistenti nella normativa sull’igiene alimentare.

 

Interrogazione n. 86 dell’on. Danutė Budreikaitė (H-0851/07)
 Oggetto: Realizzazione del progetto “Via Baltica”
 

Può illustrare la Commissione la situazione del progetto relativo alla costruzione della strada di lunga percorrenza “Via Baltica” dopo che sono stati interrotti i lavori di costruzione della circonvallazione della città di Augustów attraverso la valle del Rospuda e quindi una zona facente parte di Natura 2000?

 
  
 

Come già indicato nelle repliche alle precedenti interrogazioni orali sul progetto della Via Baltica (H-0157/07, H-0158/07 e H-0202/07), è compito della Commissione, ai sensi dell’articolo 211 del trattato che istituisce la Comunità europea, assicurare il rispetto delle disposizioni del trattato e delle misure assunte dalle istituzioni in applicazione dello stesso.

Per quanto riguarda la circonvallazione di Augustow, parte del progetto “Via Baltica”, il 21 marzo 2007 la Commissione ha deciso di deferire la questione alla Corte di giustizia.La decisione della Commissione del 21 marzo 2007 ha inoltre previsto misure provvisorie sulla base degli articoli 242 e 243 del trattato.La costruzione della circonvallazione di Augustow porterebbe alla distruzione di un ecosistema unico e alla scomparsa delle rare paludi di Rospuda.Il progetto ha effetti sulle zone di protezione speciale di cui alla direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici(1) (direttiva “Uccelli”) e sui siti proposti d’importanza comunitaria (pSCI) ai sensi della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche(2) (direttiva “Habitat”) nonché sui siti destinati ad essere proposti alla Commissione quali siti pSCI.

A seguito dell’annuncio da parte delle autorità polacche dell’inizio dei lavori nella valle di Rospuda il 1° agosto 2007, il 27 luglio 2007 è stata presentata alla Corte una richiesta di misura provvisoria.Va osservato che la Polonia ha successivamente confermato alla Corte che i lavori nella valle di Rospuda non sarebbero iniziati prima della sentenza della Corte stessa.La Commissione controlla da vicino la situazione relativa alla realizzazione del progetto.In base ai dati disponibili risulta che i lavori nella valle di Rospuda non siano ancora iniziati.

 
 

(1)GU L 103 del 25.4.1979
(2)GU L 206 del 22.7.1992

 

Interrogazione n. 87 dell’on. Pedro Guerreiro (H-0853/07)
 Oggetto: Proseguimento della liberalizzazione del commercio nel settore dei tessili e dell’abbigliamento e conseguenze per tale settore nell’Unione europea
 

Tenendo conto dei recenti sviluppi in merito alla scadenza del c.d. “Memorandum d’intesa” sulle esportazioni di alcuni prodotti tessili e di abbigliamento dalla Cina verso i paesi dell’Unione europea il 31 dicembre di quest’anno e la continuazione della liberalizzazione totale del commercio dei tessili e dell’abbigliamento, si chiede alla Commissione:

cosa pensa delle conseguenze della liberalizzazione del commercio nel campo dei tessili e dell’abbigliamento per questo settore strategico dell’Unione europea, in particolare per la redditività economica delle imprese (soprattutto delle PMI), nonché in termini di occupazione?

Cosa pensa delle conseguenze della liberalizzazione del commercio dei tessili e dell’abbigliamento per i grandi importatori e distributori, in particolare per quanto riguarda l’aumento esponenziale dei loro margini di guadagno con la conseguente pressione al ribasso dei prezzi alla produzione, mentre al contempo i margini per i consumatori rimangono uguali o aumentano?

 
  
 

Dopo la scadenza nel 2005 dell’accordo sui tessili e l’abbigliamento (ATC) e per affrontare l’aumento delle importazioni tessili dalla Cina, il protocollo d’intesa (MoU) di Shanghai ha previsto dei livelli concordati per le importazioni comunitarie dalla Cina di dieci categorie di prodotti.Tali livelli concordati si applicano alle importazioni spedite dalla Cina entro il 31 dicembre 2007.Il protocollo in sé rimane in vigore fino alla fine del 2008.

Si è trattato di un accordo una tantum con la Cina basato sulle disposizioni relative al suo ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) che ha dato un ulteriore margine di respiro all’industria comunitaria dandole modo di adattarsi alle nuove sfide poste dalla Cina quale importante protagonista mondiale nel settore tessile.

La Commissione, pienamente consapevole del fatto che altri paesi hanno concluso protocolli d’intesa che prevedono limitazioni alle importazioni che resteranno in vigore fino alla fine del 2008 e che per il settore tessile è necessaria una transizione graduale fino alla piena liberalizzazione che si avrà nel 2008, ha tenuto colloqui con la Cina per individuare il modo migliore per realizzare tale transizione.In tale spirito la Commissione e la Cina hanno varato un meccanismo di monitoraggio congiunto per il commercio di otto categorie di prodotti tessili nel 2008 (cat 4 t-shirt, cat 5 pullover, cat 6 pantaloni, cat 7 bluse, cat 20 biancheria per il letto, cat 26 abiti, cat 31 reggiseni e cat 115 filati in lino e ramiè).La sorveglianza riguarda le categorie economicamente importanti e quelle particolarmente delicate.Le due categorie non interessate sono quelle in cui l’impiego dei livelli concordati è stato e rimane il più basso nel periodo 2005-2007.

Con questa sorveglianza congiunta la Cina ha di fatto accettato di condividere con noi la responsabilità di assicurare una transizione graduale una volta che non saranno più in vigore, alla fine di quest’anno, i livelli concordati nel protocollo d’intesa.

Gli Stati membri, il comparto tessile e il settore commerciale hanno accolto positivamente l’accordo, concordando che una riproposizione della situazione del 2005 non era nell’interesse di nessuno.

Più in generale, anche se le questioni commerciali relative alla liberalizzazione degli scambi nel comparto tessile e dell’abbigliamento sono molto importanti, si tratta di un settore che nell’UE sta affrontando cambiamenti strutturali che vanno al di là dell’ambito puramente commerciale.

Infatti un processo di riaggiustamento strutturale era iniziato anni addietro prima dell’abolizione delle quote.Ciò ha reso più chiaro il fatto che i vantaggi competitivi nel comparto tessile e dell’abbigliamento europeo risiedano principalmente nell’innovazione, nella ricerca, nelle competenze delle maestranze e nell’accesso ai mercati.In tale settore industriale il potenziamento di tali punti di forza per la concorrenza rappresenta un importante contributo alla strategia di Lisbona.

Il comparto tessile dell’abbigliamento ha la possibilità di mantenere il proprio ruolo strategico nell’economia dell’UE.Tuttavia il comparto, nel futuro, potrebbe offrire un minor numero di posti di lavoro, anche se migliori.Vi è pertanto la necessità di iniziative collegate all’innovazione, alla ricerca e alle capacità quali strumenti principali per accrescere la vitalità delle aziende del settore.

Dopo la liberalizzazione del comparto tessile del 2005, la Commissione era interessata all’impatto della liberalizzazione sui prezzi ai consumatori e ha commissionato uno studio al riguardo.

Lo studio indicava chiaramente che i consumatori hanno tratto un notevole vantaggio dalla progressiva liberalizzazione del commercio tessile.In tutta l’UE i prezzi dell’abbigliamento sono scesi del 16,2% rispetto al livello generale dei prezzi riferito al periodo di abolizione graduale dell’ATC.Esiste un collegamento diretto tra liberalizzazione progressiva sulla base dell’ATC e riduzione dei prezzi:in media la caduta dei prezzi all’importazione è stata trasferita, per il 60%, ai consumatori, con conseguenti prezzi più bassi.Considerando che il prezzo al consumo è una sommatoria dei prezzi degli input dei servizi e dei prezzi dei prodotti importati, la riduzione non è perfetta.

Lo studio ha inoltre individuato le prove di un parziale assorbimento di tali vantaggi da parte della catena di distribuzione, il che indica disfunzioni a livello di mercato interno e problemi di concorrenzialità nel settore della distribuzione.Alcuni Stati membri hanno assistito ad una notevole diminuzione dei prezzi al consumo (riduzione del 50% dei prezzi dell’abbigliamento rispetto al livello complessivo dei prezzi) mentre in altri i prezzi sono rimasti perlopiù immutati.Tale generale divario tra gli Stati membri in termini di riduzione dei prezzi al consumo è collegato alla struttura dei settori nazionali dei servizi e in particolare al settore retail.

Lo studio costituisce l’inizio di un processo con il quale la Commissione si pone il problema di come assicurare un’equa distribuzione dei benefici derivanti dall’apertura commerciale e va visto nel più ampio contesto della nostra strategia globale per l’Europa.

 

Interrogazione n. 88 dell’on. Silvia Ciornei (H-0854/07)
 Oggetto: Sistema di scambi di emissioni dopo il 2012
 

La Commissione ha presentato una proposta per il sistema di scambi di emissioni dopo il 2012, discutendo della possibilità di fissare un unico tetto applicabile in tutta l’UE oppure tetti nazionali distinti. Le certificazioni potrebbero essere assegnate attraverso procedure di asta allargata o con l’ausilio di analisi comparative. Tale sistema gode del potenziale per poter fortemente incidere su questioni quali l’utilizzo dei carburanti all’interno dell’UE e degli Stati membri, la sicurezza della fornitura energetica UE e le opportunità di investimento, in particolar modo per realizzare centrali a carbone più efficienti.

Con quali strumenti intende la Commissione garantire che le decisioni degli Stati membri in materia di struttura del proprio mix energetico siano rispettate? Come si potrebbe concepire un sistema di scambi di emissioni che, contribuendo al continuo ammodernamento delle centrali a carbone, preveda anche la costruzione di centrali ad alta efficienza in vista del lancio - dopo il 2020 - dei programmi di cattura e stoccaggio del carbonio?

 
  
 

La proposta della Commissione per una revisione del sistema comunitario delle quote di scambio delle emissioni è ancora in preparazione.A seguito dell’esperienza maturata durante il primo periodo commerciale del sistema, uno degli obiettivi della revisione sarà quello di raggiungere una maggiore armonizzazione e una migliore prevedibilità, in particolare per quanto riguarda l’assegnazione delle quote agli impianti interessati dal sistema di scambio.

La struttura del mix energetico resta di competenza degli Stati membri.Il sistema comunitario per lo scambio delle quote di emissioni costituisce esclusivamente uno strumento atto ad assicurare che il costo del carbonio sia tenuto in considerazione nelle decisioni sugli investimenti e sulla produzione.Sulla base del sistema vengono incentivati gli investimenti destinati ad impianti energetici più moderni ed efficienti in quanto tali impianti hanno verosimilmente delle quote di scorta da vendere oppure devono comprare meno quote per coprire le loro emissioni.

 

Interrogazione n. 89 dell’on. Roberta Alma Anastase (H-0857/07)
 Oggetto: Proposte di misure a protezione dei diritti linguistici, compresi quelli dei rumeni, e intese a promuovere il multilinguismo, nel contesto dell’Anno europeo 2008 del dialogo interculturale
 

Il 2008 è stato proclamato Anno del dialogo interculturale, e la diversità culturale e la tolleranza reciproca sono tra i valori fondamentali dell’UE. Nel contempo, casi specifici di mancato rispetto dei diritti delle minoranze nazionali e, soprattutto, dei loro diritti linguistici si rilevano sia negli Stati membri dell’UE che nei paesi vicini. Ne costituisce un esempio flagrante la situazione delle comunità rumene e il disinteresse per i loro diritti linguistici in numerosi paesi europei, a rischio che il rumeno, una lingua ufficiale dell’Unione europea, decada e sia dimenticata.

Alla luce dell’attenzione dedicata al multilinguismo dal gennaio 2007 e della proclamazione del 2008 quale anno del dialogo interculturale, che azioni intende intraprendere la Commissione per promuovere il dialogo e la diversità culturale e per contribuire al miglioramento e al consolidamento del livello di protezione dei diritti linguistici delle minoranze nazionali, comprese le comunità di minoranza rumena? Che strumenti si utilizzeranno in tal senso, nel contesto sia delle politiche interne che di quelle esterne dell’Unione?

 
  
 

Nella sua comunicazione “Un nuovo quadro strategico per il multilinguismo”(1) adottato nel 2005, la Commissione riafferma il proprio impegno per il multilinguismo, sottolineando che il rispetto per la diversità linguistica costituisce uno dei valori base dell’Unione europea.La politica della Commissione per il multilinguismo incentiva la piena espressione di tutte le lingue, che hanno gli stessi diritti e il medesimo valore.

Il piano d’azione “Promuovere l’apprendimento delle lingue e la diversità linguistica” (2004-2006) costituisce la prima dichiarazione completa sulla politica per le lingue, fissando le azioni a livello europeo necessarie per compiere progressi in tale settore.Tali azioni riguardano tutte le lingue presenti all’interno dell’Unione europea, lingue ufficiali nonché nazionali, regionali, minoritarie e dei migranti.

Sia il piano d’azione che la comunicazione sul multilinguismo hanno sottolineato la necessità di considerare gli aspetti linguistici e altre politiche e altri programmi europei, ad esempio nei settori della cultura, dei mezzi di informazione e dell’inclusione sociale.Al fine di definire il contributo del multilinguismo per l’Anno europeo del dialogo interculturale 2008, la Commissione ha istituito un gruppo di alto livello di intellettuali con il compito di elaborare, entro la fine del 2007, una serie di raccomandazioni.

Uno degli obiettivi principali dell’Anno europeo del dialogo interculturale 2008 è quello di fornire i mezzi per un dialogo interculturale e un dialogo ai cittadini in modo da rafforzare il rispetto per la diversità culturale e linguistica.La sua preparazione ha portato allo sviluppo di una più ampia strategia di incentivazione del dialogo interculturale che comprende programmi e strumenti comunitari nonché alla mobilitazione degli Stati membri e di tutte le parti interessate,con il coinvolgimento anche di paesi terzi.

I curricula scolastici per l’apprendimento delle lingue ricadono nelle competenze degli Stati membri.Le lingue regionali e minoritarie sono tutelate dalla Carta europea delle lingue regionali e minoritarie,sottoscritta dagli Stati membri del Consiglio d’Europa.

La promozione dell’apprendimento delle lingue e della diversità linguistica costituisce un obiettivo del programma “Apprendimento permanente” 2007-2013.In passato il sostegno comunitario alle organizzazioni per la promozione delle lingue regionali e minoritarie era limitato all’http://ec.europa.eu/education/policies/lang/languages/langmin/eblul_it.html" e alla http://ec.europa.eu/education/policies/lang/languages/langmin/mercator_it.html".Ora il programma “Apprendimento permanente” è stato aperto ad altre organizzazioni di questo tipo.Nel 2008 l’attività trasversale del programma destinata alle lingue darà la precedenza a progetti che rafforzano l’acquisizione di competenze linguistiche al fine di migliorare il dialogo interculturale in Europae sarà aperta a praticamente tutte le lingue (lingue ufficiali degli Stati membri, regionali, minoritarie, dei migranti, “lingue extra UE”, ecc.).Tale nuovo programma ammette anche le domande per progetti e organizzazioni che sostengono e promuovono il rumeno quale lingua delle minoranze.

 
 

(1)COM(2005) 596

 

Interrogazione n. 90 dell’on. Robert Evans (H-0862/07)
 Oggetto: Violazioni dei diritti umani in Sri Lanca
 

Alla luce delle gravi dichiarazioni sulle violazioni dei diritti umani ad opera del governo dello Sri Lanka, intende la Commissione riconsiderare la posizione di tale Stato riguardo al sistema di preferenze generalizzate dell’Unione europea (GSP+)?

 
  
 

Sulla base del regolamento vigente del sistema di preferenze generalizzate (GSP)(1), il regime GSP+ è stato riconosciuto, per il periodo che va da gennaio 2006 alla fine del 2008, a quei paesi che entro la fine del 2005 soddisfacevano i requisiti di cui all’articolo 9 del regolamento.

Lo Sri Lanka era uno dei 15 paesi che nel 2005 soddisfacevano sia i criteri di vulnerabilità sia la ratifica delle convenzioni di cui all’allegato III del regolamento GSP.

Per poter continuare a beneficiare delle preferenze GSP anche in base al successivo regolamento GSP, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2009, i beneficiari dovranno dimostrare di essersi conformati ai requisiti di cui all’articolo 9 del citato regolamento:criteri di vulnerabilità, effettiva attuazione delle convenzioni internazionali e impegno a mantenere la ratifica delle convenzioni e la legislazione e le misure di attuazione.

L’elenco dei beneficiari GSP+ per gli anni 2009-2011 sarà adottato nel dicembre 2008 dopo un attento esame della conformità con i criteri di ammissibilità di cui all’articolo 9.

 
 

(1)Regolamento (CE) n. 980/2005 del Consiglio – GU L 169 del 30 giugno 2005 e rettifica in GU L 79 del 20 marzo 2007.

 

Interrogazione n. 91 dell’on. Georgios Toussas (H-0864/07)
 Oggetto: Diritto delle giovani donne alla maternità
 

In un momento in cui il fenomeno del calo delle nascite rappresenta un grave problema per le famiglie popolari nella maggior parte degli Stati membri, i datori di lavoro rimettono in questione il diritto delle giovani donne alla maternità e, più in generale, i diritti dei lavoratori. Un esempio caratteristico di tale situazione è rappresentato dalla misura illegale adottata dall’industria tessile “Varvaressos” di Naoussa, dove, con un documento interno, è stato chiesto ai capi della fabbrica di indicare le lavoratrici che potrebbero avere un figlio nel 2007 o nel 2008, il che significa che l’industria in questione, come altre imprese in generale, cerca di evitare i congedi parentali e le indennità di gravidanza e puerperio, diritti che i lavoratori hanno ottenuto lottando. Questo episodio non è estraneo all’intenzione dell’impresa di chiudere uno dei suoi tre stabilimenti procedendo immediatamente a licenziamenti o alla trasformazione dei contratti, prassi che avrebbe come prime vittime le donne giovani e quelle con bambini. Si tratta di una politica generalizzata, che viene adottata dai datori di lavoro per l’assunzione e il licenziamento di lavoratori.

Condanna la Commissione queste pratiche illegali dei datori di lavoro, che violano i diritti individuali e collettivi delle donne e dei lavoratori in generale?

 
  
 

L’articolo 10 della direttiva 92/85/CEE(1) vieta il licenziamento delle lavoratrici in gravidanza “nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità (...) tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato (...)”.

Inoltre la direttiva 2002/73/CE(2) definisce come situazione di discriminazione diretta una “situazione nella quale una persona viene trattata in maniera meno favorevole in ragione del suo sesso rispetto ad un’altra che così non viene trattata, non è stata trattata o non sarebbe trattata in una situazione analoga” (articolo 2), mentre l’articolo 7 afferma che “qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva 92/85/CEE costituisce una discriminazione ai sensi della direttiva”.

Pertanto qualsiasi pratica consistente nell’individuare le donne gravide da licenziare violerebbe il diritto comunitario.

La Commissione desidera sottolineare che spetta alle competenti autorità nazionali assicurare l’applicazione a livello nazionale del diritto comunitario da parte dei datori di lavoro.Gli Stati membri devono inoltre fare in modo che coloro i quali sono stati danneggiati a causa di una discriminazione dispongano degli strumenti per ottenere un risarcimento o una riparazione reale ed efficace.

 
 

(1)GU L 348 del 28.11.1992
(2)GU L 269 del 5.10.2002

 

Interrogazione n. 92 dell’on. Rumiana Jeleva (H-0865/07)
 Oggetto: Inquinamento del Mar Nero
 

La task force DABLAS è stata istituita nel novembre del 2001 per introdurre una piattaforma di cooperazione per la tutela del Danubio e del Mar Nero. Gli sforzi della task force DABLAS sono mirati ai seguenti paesi beneficiari: Bulgaria, Romania, Turchia e Croazia. Secondo gli esperti del settore, il 50% dell’inquinamento del Mar Nero è causato dal Danubio, ma ciascun bacino fluviale dei fiumi Dnieper e Dniester, che defluiscono direttamente nel mare, causa circa il 20% di contaminazione delle acque.

Quali sono le misure adottate dalla Commissione per prevenire l’inquinamento ambientale provocato dai bacini fluviali del Dniester e del Dnieper e dagli altri fiumi che si riversano direttamente nel Mar Nero e verrà estesa l’iniziativa DABLAS anche ad essi?

 
  
 

L’iniziativa Danubio-Mar Nero (DABLAS) è stata avviata a seguito della comunicazione della Commissione(1) del 2001 che metteva in evidenza i problemi di inquinamento di origine terrestre che interessano la regione Danubio-Mar Nero e illustrava il metodo elaborato dalla Commissione per affrontarli.

Come affluenti del Mar Nero, i due fiumi Dniester e Dnieper rientrano già nell’ambito generale dell’iniziativa sebbene i rispettivi bacini non siano condivisi da alcuno Stato membro dell’UE.

La comunicazione sottolinea che le due convenzioni ambientali pertinenti (la convenzione sulla cooperazione e la protezione e l’uso sostenibile del Danubio e la convenzione sulla protezione del Mar Nero contro l’inquinamento detta anche convenzione del Mar Nero) devono costituire la base per la cooperazione regionale.La convenzione del Mar Nero ha continuato ad essere attivamente coinvolta nell’iniziativa DABLAS durante tutta la fase di sviluppo.

L’importanza della convenzione del Mar Nero quale forum per la cooperazione ambientale regionale è stata riconosciuta anche nella recente comunicazione sulle sinergie per il Mar Nero(2).A seguito di questo la Commissione ha sondato la possibilità per la Comunità europea di diventare una parte contraente della convenzione.Ciò richiede una modifica della convenzione in modo da consentire alle organizzazioni per l’integrazione economica regionale, come la Comunità europea, di diventare parte contraente.

Inoltre il Parlamento europeo e il Consiglio stanno attualmente negoziando la proposta direttiva per una strategia marittima che avrà l’obiettivo di assicurare, entro il 2021, buone condizioni ambientali nei mari che circondano l’UE, compreso il Mar Nero.A tal fine la direttiva richiederà un ulteriore sforzo di cooperazione a livello regionale per coinvolgere adeguatamente gli altri paesi interessati per la sua implementazione nonché per combattere l’inquinamento terrestre.In tale contesto la convenzione del Mar Nero si pone come forum privilegiato sulla base del quale costruire tale cooperazione nella regione per le finalità della direttiva.

 
 

(1)Comunicazione della Commissione “Cooperazione ambientale nella regione del Danubio e del Mar Nero” COM(2001) 615.
(2)Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo - Sinergia del mar nero - Una nuova iniziativa di cooperazione regionale COM(2007) 160.

 

Interrogazione n. 93 dell’on. Jörg Leichtfried (H-0869/07)
 Oggetto: Trasporto di animali
 

Sono in numero incalcolabile gli animali ancora costretti a subire torture indicibili nel corso del trasporto sulle strade europee: per esempio non vengono rispettati i tempi di abbeveraggio, i vitelli feriti nel tragitto dovrebbero essere narcotizzati. La direttiva UE prevede una durata massima del trasporto di 8 ore, tuttavia una spedizione di pecore dalla Spagna alla Grecia è durata addirittura 96 ore. I difensori austriaci degli animali hanno allestito una piattaforma internet (http://www.gegentiertransporte.at" ) e raccolto finora più di 60.000 dichiarazioni di sostegno alla lotta contro simili irregolarità.

Come sarebbe possibile utilizzare nel modo più efficace dette oltre 60.000 firme raccolte affinché il Parlamento, ma anche la Commissione e il Consiglio, affrontino il problema delle irregolarità commesse nel corso del trasporto di animali? Quando si potrà disporre di una relazione della Commissione dedicata al trasporto di animali?

 
  
 

La Commissione condivide il parere dell’onorevole parlamentare in merito all’importanza che ha per le istituzioni comunitarie prendere in considerazione i timori espressi dai cittadini europei per il benessere degli animali.

Tra tali questioni, la corretta attuazione del regolamento sulla protezione degli animali durante il trasporto costituisce per la Commissione una delle massime priorità.

Tuttavia non si tratta di una questione di esclusiva competenza della Commissione.

Gli Stati membri sono pienamente responsabili per l’individuazione di soluzioni adatte ad assicurare rapidamente un’applicazione adeguata delle norme.

Le norme dell’UE sul trasporto degli animali prevedono severi requisiti per i veicoli, i conducenti e le condizioni di carico/scarico.

In occasione dell’ultimo Consiglio dei ministri dell’agricoltura dell’ottobre 2008 è stata discussa la questione di una migliore applicazione della normativa comunitaria sul trasporto degli animali.I ministri hanno chiesto un rispetto più rigoroso della normativa comunitaria in tutti gli Stati membri.

Nel frattempo la Commissione controlla attentamente l’applicazione del regolamento sul trasporto all’interno degli Stati membri.

Sia le missioni degli esperti veterinari della Commissione sia le denunce delle organizzazioni non governative sottolineano la necessità urgente di azioni coordinate.Allo stesso tempo la Commissione è consapevole del fatto che in alcuni Stati membri sono state intraprese azioni correttive per porre rimedio alle carenze.

La Commissione è pronta in qualsiasi momento a intraprendere azioni contro gli Stati membri che non attuano misure per l’applicazione delle norme comunitarie sul benessere degli animali.

L’uso dei sistemi di navigazione per il trasporto su lunghe distanze migliorerà i controlli e renderà possibili azioni mirate.L’istituzione di punti di contatto nazionali per il trasporto degli animali e la creazione di reti di autorità competenti negli Stati membri agevolerà la prevenzione di tali episodi di maltrattamento degli animali.Non si tratta comunque solo di una questione di sanzioni ai controlli.È necessaria una forte volontà politica per rafforzare l’importanza del benessere degli animali tra gli operatori nella catena alimentare.

Per quanto riguarda la futura proposta della Commissione sulla revisione dei tempi di trasporto e i margini di spazio, nel 2008 sarà condotta una valutazione d’impatto specifica.Essa comprenderà in particolare uno studio esauriente sullo stato attuale dell’attuazione degli aspetti sopraccitati della normativa.

 

Interrogazione n. 94 dell’on. Marusya Ivanova Lyubcheva (H-0870/07)
 Oggetto: Diffusione e pubblicità di prodotti che contengono sostanze stupefacenti
 

Recentemente varie pubblicazioni hanno annunciato l’uscita sul mercato di un prodotto con l’etichetta “C-Ice Swiss Cannabis Ice Tea” in diversi paesi europei. La bevanda, lanciata inizialmente in Svizzera, è adesso disponibile in Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Romania e Bulgaria (elenco non completo). Il produttore spiega che le parti stupefacenti della pianta sono state rimosse al fine di rendere legale il prodotto che, secondo quanto indicato, contiene il 5% di sciroppo di fiore di canapa e una minima dose, lo 0,0015%, di Thc. Ciò tuttavia non risulta chiaro ai consumatori. Vi è grande preoccupazione che la vendita del prodotto risulti pericolosa e conduca alla “normalizzazione della cannabis nell’immaginario collettivo dei giovani”. Sembra addirittura che il prodotto venga pubblicizzato come bevanda naturale.

Ritiene la Commissione che tali strategie di marketing siano adeguate in un periodo in cui l’uso di alcool, droghe e tabacco, in particolare tra i giovani, è divenuto un problema sociale serio?

Prevede misure specifiche per esercitare un controllo sulle pratiche pubblicitarie e di marketing che potrebbero promuovere connotazioni positive di prodotti o sostanze che, in dosi o forme diverse, sono notoriamente illegali o dannose?

 
  
 

Il nome di un marchio o anche un semplice nome utilizzato per la vendita di un prodotto alimentare che contenga la parola “cannabis” pone sicuramente delle perplessità sotto il profilo della salute pubblica.

In primo luogo l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità di prodotti alimentari venduti al consumatore finale è disciplinata dalla direttiva generale sull’etichettatura degli alimenti 2000/13/CE.Le norme generali vietano l’uso di informazioni che possano ingannare il consumatore.

In secondo luogo la cannabis è classificata quale stupefacente in tutti gli Stati membri ed è inclusa come tale nelle convenzioni delle Nazioni Unite in materia.Commercializzare un prodotto che addirittura indica di contenere questa sostanza è contrario alla lotta contro il traffico e il consumo degli stupefacenti nell’UE, che costituisce una priorità per tutti gli Stati membri e che si basa su una serie di strumenti legislativi a livello comunitario nonché sulla strategia comunitaria per gli stupefacenti 2005-2012 e sul piano d’azione comunitario per le droghe 2005-2008.

Oltre agli sforzi in corso nel quadro del programma comunitario per la salute pubblica, quest’anno vengono erogati notevoli finanziamenti a titolo del programma comunitario specifico per la prevenzione e l’informazione sugli stupefacenti, con l’obiettivo di sostenere gli Stati membri nel loro impegno a contrastare il consumo di stupefacenti.La commercializzazione di prodotti facendo leva sul richiamo costituito da questi stupefacenti è pertanto contrario alle politiche contro gli stupefacenti perseguite da tutti gli Stati membrie costituisce anche il motivo per cui alcuni Stati membri hanno vietato l’introduzione nei rispettivi mercati dei prodotti alimentari in oggetto sulla base dell’articolo 30 del trattato CE, che può giustificare un divieto per motivi di moralità pubblica e di sanità pubblica.

 
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