Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Ole Christensen, a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, sui principi comuni di flessicurezza [2007/2209(INI)] (A6-/2007).’’’.
Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, pensavo che mi chiedesse un intervento conclusivo sulla discussione concernente la Carta, che non ho preparato, e questo spiega la ragione della mia confusione.
Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, la questione della flessicurezza costituisce un punto fondamentale nell’ordine del giorno europeo e risulta essenziale per il futuro dei modelli economici e sociali europei. Si tratta di una questione complessa, che comporta la capacità di gestire i cambiamenti nonché di promuovere l’occupazione e la sicurezza sociale nell’ambito di un contesto globale in rapido cambiamento, con la necessità di trovare risposte alle sfide della competizione globale, dell’innovazione tecnologica e dell’invecchiamento demografico. Ci occorrono mercati più flessibili, ma ciò significa anche che dobbiamo garantire condizioni e strumenti migliori nonché più sicurezza ai nostri cittadini, affinché possano affrontare positivamente il cambiamento. Questa è la sfida che dobbiamo affrontare.
Da parte nostra, la Presidenza portoghese ha tentato di contribuire attivamente alla ricerca di soluzioni integrate ed equilibrate in questo ambito. A seguito della comunicazione della Commissione presentata a giugno, avevamo la responsabilità di condurre un processo finalizzato a eseguire il mandato del Consiglio europeo e raggiungere il consenso sul principio comune della flessicurezza. La comunicazione della Commissione costituiva naturalmente un eccellente punto di partenza per questo lavoro, poiché ci ha aiutato a sviluppare il concetto e a intensificare la discussione delle soluzioni, che potevano fungere da piattaforma comune per le varie linee che ogni Stato membro avrebbe dovuto seguire.
Considerando che i punti di partenza e le situazioni sono vari, le soluzioni dovranno essere altrettanto differenziate. Al fine di creare le condizioni per un avanzamento in quest’ambito, abbiamo sviluppato varie iniziative con le principali parti attive a livello europeo, compresa una Conferenza sulle sfide della flessicurezza. Tale incontro ha registrato una buona partecipazione dal punto di vista politico e ha consentito di discutere gli sviluppi in proposito, nonché le prospettive future. Abbiamo altresì cercato di analizzare l’esperienza acquisita nei paesi in cui i modelli sono stati applicati con buoni risultati, e di individuare quegli elementi che possono essere impiegati anche in altri contesti. Abbiamo altresì acquisito le opinioni di commissioni di esperti sull’occupazione e sulla previdenza sociale, nonché del Comitato delle Regioni. Abbiamo anche cercato di incoraggiare la partecipazione delle parti sociali attive in questo ambito, poiché siamo consapevoli che il nuovo modello richiede l’impegno risoluto di tutte le parti in causa e la considerazione degli interessi di tutti.
In questo contesto, l’accordo che abbiamo raggiunto con le parti sociali durante il Vertice sociale tripartito, tenutosi il 18 ottobre a Lisbona, ha fornito un importante impulso a questa discussione. Il dialogo a vari livelli e il coinvolgimento delle parti sociali risultano decisivi per garantire il successo di qualsiasi strategia di riforma dei mercati del lavoro. Il coinvolgimento generale nel processo è la chiave per trovare soluzioni positive, e abbiamo bisogno di un clima di fiducia tra le parti sociali e con le istituzioni. Noi tutti dobbiamo essere preparati ad accettare e ad assumerci la responsabilità del cambiamento. Desidero sottolineare la qualità della discussione e degli interventi in tutte le fasi, sia in termini tecnici e accademici che in termini di disamina del contenuto politico e del processo.
A seguito di tutte le attività menzionate, per le quali abbiamo sempre potuto contare sull’assistenza della Commissione, il Consiglio è ora in grado di sostenere un serie di principi comuni di flessicurezza, che auspichiamo di approvare formalmente durante l’incontro del 5 e 6 dicembre. Questi principi comuni, su cui tutti abbiamo concordato, comprendono in particolare la considerazione della diversità delle situazioni nazionali, che richiederanno approcci e soluzioni altrettanto differenziati, l’esigenza di superare la segmentazione del mercato del lavoro, le varie dimensioni della flessicurezza – legislazione del lavoro, istruzione, formazione, previdenza – il riconoscimento dell’importanza del dialogo sociale in questo contesto, la promozione dell’inclusione sociale, la non discriminazione, la parità e la riconciliazione di lavoro e vita familiare, nonché l’esigenza di garantire compatibilità tra le politiche da un lato e la solidità e sostenibilità delle finanze pubbliche dall’altro. Desidero sottolineare che, in buona sostanza, si è riscontrato un vasto accordo in quest’Aula. Devo porre in risalto l’eccellente lavoro che noi e quest’Assemblea abbiamo compiuto in proposito.
Una volta adottati, i principi comuni formeranno uno strumento essenziale per l’attuazione del prossimo ciclo della strategia di Lisbona. Gli Stati membri saranno invitati a considerare questi principi nel definire e attuare le politiche nazionali, sviluppando i propri meccanismi e approcci in relazione alle situazioni specifiche, che saranno monitorate nell’ambito dei programmi di riforma nazionali. Le parti sociali saranno altresì incoraggiate a tutti i livelli, perché contribuiscano alla definizione e all’attuazione delle misure di flessicurezza utilizzando i principi comuni come riferimento. Riteniamo essenziale investire nella mobilità sociale dei nostri cittadini all’interno di questa strategia e, in proposito, devo citare l’importanza vitale assunta dal coinvolgimento di quest’Assemblea. Dato il soggetto che rappresenta politicamente e la sua vicinanza alle persone, quest’Aula può fornire un eccellente contributo nell’assicurare una migliore comprensione del concetto di flessicurezza. Il principio fondamentale è che la flessibilità e la sicurezza devono essere considerate come elementi di sostegno e rafforzamento reciproco, piuttosto che di opposizione, e questo deve essere pienamente compreso dai nostri cittadini.
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. − (CS) Signor Presidente, la comunicazione dalla Commissione sulla flessicurezza ha dato origine a un’importante e utile discussione in tutta l’Unione. Ringrazio il relatore, l’onorevole Christensen, e gli altri deputati che hanno partecipato attivamente alla disamina del concetto.
Grazie al vostro impegno e alla cooperazione con le altre commissioni parlamentari, il Parlamento europeo sarà in grado di approvare una risoluzione che sosterrà significativamente l’approccio proposto dalla Commissione. Nella nostra società, la sicurezza dipende dal cambiamento. Ora dobbiamo coordinare le modalità per ricercare nuove forme di sicurezza: migliori qualifiche, la capacità di trovare nuove occupazioni, misure di protezione moderne e adeguate al nuovo mercato del lavoro.
In anni recenti, per ogni posto di lavoro perso nell’industria europea, ne sono stati creati quattro nuovi in altri settori. La questione più importante è come acquisire il controllo di questi spostamenti e gestire il cambiamento con successo. Dobbiamo inoltre chiederci per quali motivi si sta assistendo alla segregazione del mercato del lavoro in alcuni Stati membri.
Accolgo molto favorevolmente la relazione che state esaminando oggi, in quanto riconosce che la flessicurezza può offrire una strategia per la riforma del mercato del lavoro. Inoltre, il testo sostiene la struttura in quattro assi delineata dalla Commissione per la politica della flessicurezza. Mi sento quindi di esprimere tutto il mio sostegno alla proposta sui principi comuni menzionata al paragrafo 15 della presente relazione. Le vostre proposte si orientano grosso modo nella stessa direzione di quelle che la Commissione ha formulato nella sua comunicazione. Comprendo il vostro desiderio che alcune questioni, come le misure per combattere la precarietà, siano illustrate con maggiori dettagli. Tuttavia, ritengo che i principi debbano essere concisi e considerati dal punto di vista dell’intera comunicazione.
Desidero altresì esprimere la mia soddisfazione per il consenso espresso dalle parti sociali europee a partecipare all’analisi dei problemi del mercato del lavoro; la loro analisi, presentata al recente Vertice sociale tripartito di Lisbona il 18 ottobre 2007, prendeva in esame anche la flessicurezza. Il loro consenso dimostra che il dialogo sociale può portare a risultati concreti. In effetti, lei ha fatto riferimento a quest’analisi congiunta nella sua proposta di risoluzione.
Ora vorrei rispondere ad alcune opinioni critiche espresse nella sua relazione. Per quanto mi è dato capire, lei continua a sostenere che la discussione sulla flessicurezza dovrebbe essere più equilibrata. Prima di tutto, desidero ricordarle che la comunicazione della Commissione è il risultato di un intenso dialogo tra tutte le parti interessate e di un’attenta consultazione con specialisti di spicco in questo campo. Sono convinto che l’approccio della Commissione sia equilibrato, poiché l’obiettivo è sostenere simultaneamente la flessibilità e la sicurezza e, com’è già stato detto, questi due elementi sono sinergici e per nulla incoerenti.
E’ ovvio che la discussione sulla flessicurezza non deve essere utilizzata impropriamente per puntare alla deregolamentazione del mercato del lavoro. Al contrario, la flessibilità e la mobilità devono avere un obiettivo più elevato: posti di lavoro migliori, un migliore equilibrio tra lavoro, vita privata e famiglia, un’economia più efficiente nel suo complesso. Come sapete, nelle prossime settimane il Consiglio prenderà una decisione in merito ai principi comuni della flessicurezza. In seguito, le parti interessate procederanno alle discussioni programmate a livello nazionale, che consentiranno l’attuazione delle strategie di flessicurezza in riferimento alle caratteristiche specifiche dei singoli Stati. Confido che le relative parti interessate garantiranno il raggiungimento di un approccio equilibrato nell’ambito della flessicurezza.
Per quanto riguarda il lato economico, si dovrebbe apprezzare che i costi associati alla politica della flessicurezza risultino di gran lunga inferiori ai benefici concreti in termini di maggiore dinamismo del mercato del lavoro e minore disoccupazione. Inoltre, per tutta una serie di casi, ciò non significa un aumento dei costi finanziari, bensì un uso più efficiente delle risorse disponibili.
Desidero inoltre rispondere al paragrafo della relazione, in cui si afferma che il contratto a tempo indeterminato dovrebbe costituire la base di un sistema di sicurezza sociale. La Commissione non ha assolutamente intenzione di sminuire l’importanza del contratto a tempo indeterminato. Tuttavia, ritengo che dovremmo adottare sistemi più generali di sicurezza sociale, applicabili sia ai contratti a tempo indeterminato sia all’impiego a tempo parziale: in breve, l’intenzione è fornire a queste forme di occupazione un’adeguata copertura a livello di sicurezza sociale, e non di indebolire i contratti a tempo indeterminato.
Signor Presidente, ritengo che, eccezion fatta per qualche riserva, la relazione offra un utile e rilevante contributo alla discussione sulla flessicurezza e, ancora una volta, desidero ringraziare per questo il Parlamento europeo.
Ole Christensen, relatore. − (DA) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è per me un grande piacere partecipare alla seduta di oggi in qualità di relatore. I negoziati in Parlamento sono stati completati, e ora possiamo presentare una relazione equilibrata che riflette gli atteggiamenti di tutto lo spettro politico. Il concetto complessivo alla base delle presenti linee guida sulla flessicurezza è affrontare le sfide che interessano i mercati del lavoro in Europa. Notate che utilizzo il plurale, ossia “mercati del lavoro”, perché la relazione riconosce che non esiste una ‘”taglia unica” per la flessicurezza. Nonostante non vi sia un modello comune in proposito, dobbiamo riconoscere che l’Europa sta affrontando molte sfide comuni nei suoi mercati del lavoro, e quindi necessita di una risposta congiunta. Tra le sfide demografiche emerge che, nel 2050, per ogni pensionato ci saranno 1,5 dipendenti. Attualmente, il dato è di 3 dipendenti per pensionato. Circa 100 milioni di europei vivono sulla soglia della povertà o al di sotto di essa. Gli effetti della disuguaglianza si notano anche troppo facilmente se si paragonano tra loro paesi con grandi differenze, come per esempio quelli dell’Europa orientale con quelli dell’Europa occidentale. Tuttavia, tali effetti si possono individuare anche all’interno dei paesi stessi, dove la disuguaglianza sta aumentando. In Europa, il sei per cento dei dipendenti può essere considerato come “lavoratore povero” e un crescente numero di essi sta vivendo il degrado delle proprie condizioni lavorative, la conseguente incertezza dell’occupazione e una situazione molto insoddisfacente. I contratti a breve termine e il lavoro temporaneo stanno aumentando, mentre il normale contratto d’impiego a tempo indeterminato vede minacciata la propria esistenza. Il lavoro precario raggiunge il 12 per cento in Europa. Inoltre, sta crescendo anche il lavoro nero e illegale. In alcuni paesi, il lavoro illegale costituisce quasi il 15 per cento di tutta l’occupazione. Dobbiamo invertire questo andamento, sia perché è oneroso per l’Europa, sia perché queste condizioni di lavoro incerte e instabili colpiscono spesso i gruppi più deboli della società.
L’istruzione costituisce la materia prima più importante dell’Europa in un mercato globale competitivo, ma ad essa non viene prestata sufficiente attenzione. In effetti, il 15 per cento dei nostri giovani abbandona l’istruzione troppo presto, in un periodo in cui il mercato del lavoro sta ponendo elevati requisiti in fatto di conoscenze. Chi non coglie l’importanza dell’istruzione avrà difficoltà a lungo termine, e pertanto abbiamo il dovere di aiutare queste persone.
A questo punto, le sfide sono chiare per l’Europa. La nostra responsabilità è comunicare un messaggio e una visione di come le affronteremo. A tale proposito, desidero ringraziare la Commissione per il suo eccellente contributo. Abbiamo beneficiato di una buona collaborazione per la relazione, e il mio ruolo è stato naturalmente quello di tirare le fila tra le diverse opinioni dell’Aula. La mia percezione di relatore è che vi sia l’esigenza di rafforzare l’attenzione sull’Europa sociale, per garantire che i diritti dei lavoratori siano rispettati in tutta l’UE, e per ottenere posti di lavoro più numerosi e migliori. Una maggiore flessibilità all’interno delle organizzazioni non deve andare a scapito delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Come possiamo garantire questo? Nello specifico, la relazione pone in risalto l’esigenza che il contratto di lavoro a tempo indeterminato diventi il modello standard in Europa. In secondo luogo, dobbiamo garantire che le parti sociali siano maggiormente coinvolte. Un mercato del lavoro flessibile e sicuro si basa sulla condizione che le decisioni non siano prese senza considerare i dipendenti. La loro partecipazione è assolutamente essenziale e non potrà mai essere sottolineata a sufficienza nell’attuazione delle strategie di flessicurezza.
Infine, la relazione tratta ciò che potremmo definire il quadro della flessicurezza. In altre parole, i termini e le condizioni nazionali per attuare la flessibilità e la sicurezza. La flessibilità e la flessicurezza hanno un costo. Tuttavia, non è denaro sprecato; si tratta invece di un investimento che produce un incentivo. Per esempio, se s’investe nel personale, quest’operazione potrebbe forse sembrare una spesa nel breve termine, ma l’esperienza ha dimostrato che produrrà dividendi a più lunga scadenza. Pertanto, la flessicurezza così come noi la intendiamo nell’Europa settentrionale, richiede un sistema previdenziale di una certa entità e dimensione. A tale proposito, dobbiamo essere onesti e ammettere che gli sviluppi attuali di alcuni paesi, dove c’è competizione per una progressiva riduzione della pressione fiscale, complicheranno molto il finanziamento dell’aspetto sociale della flessicurezza. Pertanto, tenterò una volta per tutte di mettere a tacere le voci che definiscono la flessicurezza come un concetto neoliberale, volto a minare i diritti dei dipendenti. Non è questo il caso, anzi è proprio il contrario.
In conclusione spero che, attraverso questa discussione in Aula e in tutta Europa, potremo sfatare alcuni miti che abbondano sull’argomento della flessicurezza. In quanto relatore, grazie al notevole aiuto dei miei colleghi, ho potuto redigere alcune linee guida equilibrate per la flessicurezza, che indicano come l’Europa dovrebbe sviluppare in futuro il proprio mercato del lavoro per renderlo sia competitivo che sociale. Questa strategia ci consentirà anche di scoprire come affrontare la precarietà che colpisce i dipendenti in Europa. Attualmente, molti temono che i loro posti di lavoro saranno trasferiti e che la loro posizione sul mercato del lavoro diventerà superflua.
Infine, desidero ringraziare il relatore ombra, i relatori delle altre commissioni e tutti coloro che hanno contribuito alla presente relazione. Concludo esprimendo l’auspicio che i capi di Stato e di governo, quando s’incontreranno in Portogallo a dicembre, includeranno le raccomandazioni del Parlamento nelle fasi successive del lavoro che porterà al raggiungimento di linee guida comuni per la flessicurezza.
Olle Schmidt, relatore del parere della commissione per i problemi economici e monetari. − (SV) Signor Presidente, ringrazio il relatore per il buon lavoro svolto. I cambiamenti determinati dalla globalizzazione offrono nuove e migliori opportunità a tutti i paesi del mondo ma, naturalmente, pongono anche delle sfide. L’Europa si trova a un crocevia. Possiamo scegliere di accogliere la nuova economia flessibile e le sue possibilità, oppure trincerarci dietro varie forme di protezionismo.
La flessicurezza è uno degli strumenti più importanti per la creazione di un mercato del lavoro che, come dice il relatore, valorizzi pienamente il potenziale della forza lavoro. Formazione, mobilità e inserimento professionale sono le parole chiave. E’ chiaro che non vi sono modelli universalmente applicabili, ma possiamo e dovremmo imparare da ognuno di essi. Nel parere della commissione per i problemi economici e monetari, noi puntualizziamo che i sistemi di protezione troppo rigidi possono sì tutelare chi si trova al loro interno, ma anche rendere difficile ad altri l’accesso al mercato del lavoro.
Il relatore ha posto in evidenza che anche la crescita della popolazione costituisce un problema in Europa. Più persone avranno bisogno di più posti di lavoro. La flessicurezza, se impiegata correttamente, costituisce un buon modello, perché l’Europa continui a svilupparsi positivamente nell’ambito di un’economia globale. L’esempio della Danimarca, che il relatore non ha menzionato, penso che lo dimostri.
Signor Presidente, vi è almeno un aspetto su cui dovremmo concordare in quest’Aula, ossia che al giorno d’oggi esistono troppi disoccupati. L’Europa deve continuare a crescere in modo da creare nuovi posti di lavoro.
Giovanni Berlinguer, relatore del parere della commissione per la cultura e l’istruzione. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione del collega Christensen è stata essenziale per spostare in avanti il documento iniziale.
Queste norme possono avere grande valore soltanto se si garantisce contemporaneamente tutela alle categorie più a rischio – immigrati, donne, anziani e disabili – ma anche agli adulti che hanno bassi livelli di istruzione e che sono più vulnerabili e meno protetti.
Inoltre, pesano le disuguaglianze sempre più profonde nella nostra società, l’assenza di un salario minimo che deve essere deciso in tutti i paesi e il riconoscimento dei diritti. Bisogna inoltre accrescere il patrimonio di conoscenze dei lavoratori. E’ urgente anche determinare fondi economici per applicare queste norme e individuare risorse reali.
Infine, mi sembra che vi sono stati molti nuovi squilibri nei rapporti fra capitale e lavoro negli ultimi anni e, in questo quadro, pesano le rendite e le speculazioni finanziarie e diventano più ridotti i salari. Questo deve essere uno dei compiti che dobbiamo assumere insieme nel progresso di questi temi.
Tadeusz Zwiefka, relatore del parere della commissione giuridica. – (PL) Signor Presidente, è poco probabile che il cosiddetto modello di flessicurezza sia efficace sul mercato del lavoro europeo, se non è affiancato da altre azioni e proposte volte a promuovere l’imprenditoria e a semplificare la costituzione di nuove imprese. Ho in mente, per esempio, l’attività di redazione di uno statuto per la società privata europea.
In merito ai principi comuni per l’attuazione della flessicurezza, desidero sottolineare che, in tale ambito, l’introduzione di complesse soluzioni legislative a livello europeo si pone in controtendenza rispetto ai principi di sussidiarietà e proporzionalità. La politica sociale e dell’occupazione rientra nelle competenze degli Stati membri, e qualsiasi azione dell’Unione europea nell’ambito della flessicurezza deve essere conforme al principio di sussidiarietà contemplato nell’articolo 5 del Trattato UE.
Inoltre, la complessità interna del modello non favorisce l’introduzione delle norme legislative comunitarie, né il cosiddetto approccio “taglia unica” alla questione. Dalla valutazione dell’impatto emerge che il coordinamento aperto può offrire il metodo più appropriato. Ciò è particolarmente importante per i nuovi Stati membri che, considerando l’eredità del loro passato, possono trovarsi di fronte a vari problemi strutturali. Si devono altresì ricordati gli elevati costi a breve termine, associati all’introduzione di percorsi per l’attuazione del modello di flessicurezza, nonché il notevole onere che graverà sui bilanci.
José Albino Silva Peneda, a nome del gruppo PPE-DE. – (PT) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, le riforme che l’Unione europea deve attuare per garantirsi una posizione competitiva nell’economia mondiale non possono essere considerate unicamente come iniziative limitate al settore pubblico, ma richiedono anche cambiamenti di comportamento e di atteggiamento da parte sia dei lavoratori che delle aziende.
Questi cambiamenti possono essere attuati con successo soltanto se esiste un clima di fiducia tra i partner sociali, che può essere sviluppato unicamente promuovendo il dialogo sociale. Per quanto riguarda la gestione del mercato del lavoro, dobbiamo passare da una mentalità dominata dalla cultura del conflitto a un nuovo approccio basato sulla cultura della cooperazione. A me personalmente non piace il termine “flessicurezza”. Preferirei parlare di “cambiamento in sicurezza”, perché qualsiasi cambiamento comporta dei rischi. E’ importante ridurli al minimo. Non si può chiedere alle persone di essere flessibili, quando non hanno fiducia in se stesse o nel mondo che le circonda. Pertanto, nella presente relazione sottolineiamo costantemente la necessità di politiche dell’occupazione attive e sistemi di apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Il gruppo PPE-DE ha presentato 120 emendamenti alla relazione iniziale e, a seguito di un processo di negoziazione, siamo giunti a una versione finale che ritengo equilibrata e completa. E’ stato raggiunto un buon equilibrio tra i concetti di flessibilità e sicurezza, nonché tra gli interessi di tutte le parti coinvolte nel processo, in particolare le parti sociali e gli enti pubblici. La relazione riporta chiaramente l’esigenza di applicare i principi di sussidiarietà e proporzionalità all’attuazione e alla gestione della flessicurezza. Raccomando quindi che il presente documento sia approvato dall’Assemblea.
Stephen Hughes, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, mi congratulo vivamente con il relatore.
Desidero soffermarmi su quattro punti, partendo anzitutto dalla Commissione. Prima nel Libro verde sul diritto del lavoro e ora nella comunicazione sulla flessicurezza, essa pone l’accento sulla sicurezza dell’occupazione piuttosto che del posto di lavoro. Noi sottolineiamo l’importanza di entrambi, poiché riconosciamo le necessità delle aziende flessibili. Per azienda flessibile s’intende un’impresa che ha l’esigenza di modificare la propria linea di produzione ogni sei mesi o la propria infrastruttura informatica ogni quattro, e quindi necessita di collaboratori duttili, ben qualificati e fedeli – e sicuramente tutto questo non si ottiene da un personale frammentato, segmentato e occasionale.
In secondo luogo, il corretto funzionamento del concetto di flessicurezza presuppone l’esistenza di tutta una serie di fattori: un clima macroeconomico buono e stabile, investimenti in politiche valide e attive per il mercato del lavoro, un dialogo sociale ben sviluppato e politiche di alta qualità per la protezione sociale. Tutti questi elementi sono importanti ed è chiaro che non sono facili da ottenere. La Commissione deve pertanto riconoscere che la flessicurezza può essere raggiunta solo in alcuni Stati membri e in un arco di tempo considerevolmente lungo.
In terzo luogo, si deve costruire una forma equilibrata di flessicurezza sulla base dei principi menzionati nel paragrafo 15 della presente relazione, e tali principi devono essere inseriti in un pacchetto di linee guida emendate. Devono avere visibilità ed essere applicati altrimenti tutto il lavoro svolto, su cui riferisce questa valida relazione, sarà sprecato.
Infine, sia il Consiglio che la Commissione sottolineano incessantemente l’importanza della flessicurezza, ma come può il Consiglio godere di credibilità, se la direttiva sul lavoro interinale resta bloccata? Come si possono prendere sul serio le altre istituzioni quando le forme di lavoro atipiche, volte allo sfruttamento, continuano a proliferare in tutti i nostri Stati membri? Per troppi milioni di lavoratori, flessicurezza significa soltanto flessibilità, e non ha nulla a che vedere con la sicurezza. Questa relazione illustra i modi in cui le cose possono cambiare.
Bernard Lehideux, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desideriamo sostenere la Commissione nel suo tentativo di incoraggiare la riflessione collettiva sulla flessicurezza. L’UE deve porsi dietro il dialogo tra tutti i protagonisti di questo ambito. Inoltre il nostro gruppo è lieto che, per la prima volta in Europa, i partner sociali abbiano raggiunto un accordo in un documento comune, per chiedere agli Stati membri di attuare le politiche di flessicurezza. Si tratta di un risultato estremamente importante, perché la flessicurezza ha senso solo se è introdotta in un’atmosfera di fiducia tra lavoratori e datori di lavoro.
In quanto rappresentanti eletti dai cittadini dell’UE, abbiamo una particolare responsabilità nel creare le condizioni per questo tipo di fiducia. E’ nell’interesse di tutti entrare in gioco, e soprattutto non dobbiamo cedere alla tentazione di opporci alla flessibilità, che andrebbe a beneficio dei datori di lavoro, e alla sicurezza, che costituirebbe una compensazione per i dipendenti.
Attuare la flessicurezza significa garantire flessibilità e sicurezza per i dipendenti e nel contempo per i datori di lavoro. Ai dipendenti occorre flessibilità per conciliare la vita professionale con quella personale, o per seguire nuovi percorsi di avanzamento. Ai datori di lavoro occorre sicurezza tanto quanto ai dipendenti, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti giuridici dei rapporti contrattuali con il personale.
La relazione fa un passo nella giusta direzione. E’ equilibrata e propone un quadro che consente agli Stati membri di adottare principi comuni. Desidero esprimere il mio ringraziamento e le mie congratulazioni al relatore per il suo lavoro. Gli Stati membri non devono essere costretti a imporre una particolare visione di flessicurezza. E’ ovvio che i mercati del lavoro hanno caratteristiche estremamente diverse da uno Stato membro all’altro. Stiamo puntando al coordinamento delle politiche del lavoro, non a un’armonizzazione peraltro prematura.
I nostri concittadini, tuttavia, desiderano vedere un’Europa che fornisca soluzioni alle sfide della globalizzazione. Tutelando le opzioni professionali, facilitando l’adattamento dei dipendenti, accettando e accompagnando le svolte improvvise della vita, la flessicurezza può costituire uno strumento unico per ammodernare i nostri modelli sociali. Non perdiamo l’occasione di raggiungere l’accordo unanime a lavorare verso un obiettivo comune.
Ewa Tomaszewska, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, la tendenza a forme di lavoro più flessibili si è sviluppata in un periodo di disoccupazione molto alta, quando era relativamente facile costringere un lavoratore ad accettare condizioni peggiori semplicemente per mantenere il proprio posto di lavoro. Quando i lavoratori non disponevano dei mezzi per provvedere ai loro bisogni primari e a quelli della famiglia, erano persino disposti a tollerare umiliazioni sul posto di lavoro, a rinunciare alla copertura assicurativa contro gli infortuni e a lavorare illegalmente per stipendi da fame.
Per fortuna, la situazione del mercato del lavoro sta cambiando. Quasi tutti i datori di lavoro polacchi sottovalutavano l’importanza dell’occupazione permanente. Di conseguenza, ora la forza lavoro non è sufficiente e oltretutto la Polonia ha assistito all’emigrazione di quasi due milioni di giovani, molti dei quali con un elevato grado di istruzione. L’impiego flessibile, che non riconosce l’importanza della sicurezza del posto di lavoro, apporta vantaggi a breve termine per i datori di lavoro ma danneggia i lavoratori. Sono lieta che la proposta di risoluzione del Parlamento europeo attribuisca più importanza all’esigenza di assicurare il posto di lavoro di quanto non faccia la Commissione europea. Vorrei sottolineare come la ricerca condotta dall’Organizzazione internazionale del lavoro confermi che i lavoratori con contratti permanenti forniscono prestazioni più efficaci.
Mi congratulo con il relatore per il lavoro svolto.
Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, la discussione sulla flessicurezza dimostra che non è possibile trasferire un modello sociale predefinito da uno Stato membro all’intera UE. Nemmeno la Commissione sembra volerlo. Il documento non si occupa di come migliorare la sicurezza sociale dei lavoratori alla luce del radicale cambiamento che sta investendo il mercato del lavoro, no, la Commissione intende promuovere la flessibilità dei rapporti di lavoro senza essere in grado di garantire una migliore sicurezza sociale per i lavoratori; quest’ultima rientra nelle competenze degli Stati membri, che tuttavia le riservano gradi d’importanza molto diversi.
Inoltre, non possiamo partire dal presupposto che il ruolo chiave e la funzione di controllo dei sindacati – componenti imprescindibili del modello di flessicurezza danese – siano dati per scontati ora, o nel prossimo futuro, dagli altri Stati membri. Alcuni governi, che intendono e propugnano la flessicurezza esclusivamente come flessibilità, stanno ulteriormente riducendo i diritti sindacali. Noi Verdi critichiamo il tentativo di introdurre, con il concetto di flessicurezza, una deregolamentazione del diritto del lavoro per raggiungere la competitività globale dell’Unione a scapito dei diritti dei lavoratori. Purtroppo, la coalizione di quest’Assemblea segue la Commissione e sta perdendo l’occasione di introdurre un elemento essenziale – la sicurezza sociale – quale componente di uguale importanza nel modello di flessicurezza.
Mi chiedo in che modo i Socialisti intendano spiegare la questione ai lavoratori. Temo che, in futuro, perderemo ogni opportunità di discutere i vantaggi indubbiamente insiti nel modello di flessicurezza. Pertanto, se la relazione non sarà modificata, non potremo accordare il nostro consenso.
Roberto Musacchio, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la flexicurity non è una cosa nuova, ma un vecchio modello danese, datato addirittura fine Ottocento, in cui è lo Stato che garantisce sicurezze che non ci sono nei contratti di lavoro, con forti costi.
La causa nuova di questa Europa è una precarietà drammatica che colpisce i giovani e il lavoro, ma che danneggia tutta la società. Per combattere questa precarietà si deve cambiare strada rispetto alle ricette e alle ideologie liberiste che le hanno prodotte. Non è vero che la precarietà crea lavoro e crescita economica. E’ vero il contrario. Ora si rischia con la flexicurity una nuova ideologia, che mantiene però in atto le vecchie politiche di precarietà.
Per questo noi ci siamo battuti per cose molto concrete: contro l’idea di un indice di rigidità del mercato del lavoro e invece per un indice del buon lavoro, per ribadire che è normale il lavoro stabile, che è quello che dà sicurezza; contro i licenziamenti senza giusta causa che sono una discriminazione; contro il ripetersi dei lavori atipici, la precarietà a vita, che è una sorta di moderna schiavitù; per il diritto al reddito a chi non ha lavoro e che non può vivere d’aria; per riunificare forme diverse di assistenza; contro la discriminazione delle donne nel lavoro.
Il fatto che non ci sia una previsione di spesa per garantire la flexicurity – il 2% che è stato tolto – e che dunque non ci possa essere un investimento che dia fiducia, la dice lunga sul rischio di un’operazione che può diventare demagogica.
Lavoratori e giovani chiedono fatti concreti, non ideologie ormai vecchie. Sono i punti per i quali ci siamo battuti in questo Parlamento e che chiediamo vengano votati.
Kartika Tamara Liotard, relatore del parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. − (NL) Signor Presidente, la Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere è passata quasi inosservata in questo dibattito, ma per fortuna è riuscita a prendere la parola all’ultimo minuto.
Più della metà della popolazione europea è di sesso femminile e, allo stato attuale, le donne sono solitamente sovrarappresentate sul mercato del lavoro per quanto riguarda i contratti temporanei e part-time. Pertanto, le donne devono affrontare i problemi legati a una maggiore precarietà, all’accumulo insufficiente di contributi pensionistici e alle spese mediche inadeguate. Se autorità come la Commissione e il Governo olandese intendono accrescere la flessibilità dei diritti di licenziamento per esubero, questo gruppo sarà condannato ad affondare sempre più nell’oppressione e nella mancanza di diritti. Sono stata quindi felicissima, quando la commissione per i diritti della donna ha presentato all’unanimità una serie di proposte per migliorare questo punto del documento della Commissione. Purtroppo, tra tutte queste ampie e nobili proposte, il relatore ha scelto di accoglierne solo alcune. Così facendo, ha disonorato la commissione per i diritti della donna e ignorato le disuguaglianze molto concrete che esistono. Mi rivolgo quindi a tutti i deputati perché sostengano, nella votazione di domani, gli emendamenti presentati proprio per prevenire questa disuguaglianza.
Thomas Mann (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, sempre meno persone trascorrono l’intera vita professionale presso un unico datore di lavoro, quindi devono sapersi adattare senza problemi ai cambiamenti delle condizioni di vita e di lavoro. Nel contempo, devono però godere di un’adeguata sicurezza dell’occupazione. Commissario Spidla, il concetto di flessicurezza sarà accettato su vasta scala solo nel momento in cui si raggiungerà un equilibrio tra flessibilità e sicurezza. Da un lato, occorre maggiore flessibilità perché le aziende possano individuare nicchie di mercato, diventare più innovative, e programmare attivamente il loro sviluppo, anziché limitarsi a reagire agli eventi. Dall’altro, i lavoratori degli Stati membri necessitano della sicurezza fornita dai moderni sistemi di tutela sociale, nonché di accordi affidabili tra parti sociali responsabili. Inoltre, è necessario creare le giuste condizioni generali per offrire posti di lavoro più stabili e un più agevole passaggio a nuove professioni. L’abuso delle nuove forme d’impiego deve essere contrastato quanto l’attività autonoma fittizia e il lavoro nero.
Un altro aspetto prioritario è costituito dall’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, essenziale per preparare i nostri lavoratori alla globalizzazione. A mio giudizio, concordare un parametro del 2 per cento del PIL su base vincolante non è accettabile, poiché dobbiamo lasciare qualche spazio di manovra agli Stati membri in materia finanziaria. Tuttavia, i governi e le aziende devono garantire investimenti molto più cospicui nella nostra principale risorsa, ovvero personale istruito, altamente qualificato, motivato e versatile.
Il gruppo PPE-DE ha nuovamente sottoposto vari emendamenti su mia iniziativa. In uno di essi, sosteniamo che le imprese debbano avere la facoltà di decidere autonomamente il tipo di approccio alla questione della responsabilità sociale. Quest’ultima deve continuare a basarsi su un sistema volontario e non obbligatorio.
Infine, permettetemi di dire che anticipare dal 2013 al 2009 la data di abolizione delle misure transitorie, che ostacolano la libera circolazione dei lavoratori, trasmette un segnale sbagliato. Laddove si corrispondono compensi orari notevolmente superiori a fronte di un elevato livello di sicurezza sociale, la pressione dell’immigrazione è intensa e difficile da gestire. Anche in questo caso non si deve trascurare la sicurezza, nonostante la flessibilità indubbiamente necessaria.
Jan Andersson (PSE). - (SV) Signor Presidente, Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, vorrei iniziare ringraziando il relatore per il buon lavoro svolto e l’eccellente relazione. Al pari di José Albino Silva Peneda, anch’io preferisco parlare di “cambiamento in sicurezza”, cambiamento che incontriamo sotto forma di globalizzazione e crescita demografica. Penso che sia un’espressione migliore.
Vi è una differenza tra la proposta della Commissione e quella del Parlamento, e riguarda nello specifico gli aspetti del cambiamento su cui si concentra l’attenzione. La proposta del Parlamento si orienta in effetti su un punto diverso. La Commissione si concentra sulla sicurezza dell’occupazione piuttosto che su quella del posto di lavoro. Tale distinzione non dovrebbe esistere. Occorre combinare la certezza di poter trovare un nuovo posto di lavoro con un elevato livello di sicurezza occupazionale. In Parlamento cerchiamo di concentrarci sulla partecipazione al processo, su sindacati forti e su un solido dialogo sociale. Ci concentriamo su una politica dell’occupazione attiva, su maggiori investimenti nella formazione e su forti sistemi di sicurezza sociale.
Molti hanno detto che non esiste un singolo modello, ma che tutti devono procedere sulla base dei propri concetti. Si può applicare il processo di Lisbona. Ora, quando si tratta di stabilire dei principi, sosterrei ciò che ha affermato Stephen Hughes: vi invito a consultare il paragrafo 15 per evincere i principi che dovrebbero costituire le linee guida.
Infine, a Elisabeth Schroedter vorrei dire che non è vero che il relatore non ha avuto contatti con il movimento dei sindacati europei. I contatti ci sono stati per tutto il periodo, e ci sostengono pienamente nel nostro tentativo di modificare il punto focale dell’attenzione. Non formarsi un’opinione prima che lo facciano i ministri dell’occupazione significherebbe cedere a loro l’esclusivo diritto di decidere. Il Parlamento deve avere una linea …
L’Unione europea non ha soltanto bisogno di riformare rapidamente le proprie istituzioni, ma deve anche offrire ai cittadini e alle imprese una politica che attenui gli effetti collaterali dell’intensa competizione e dell’apertura del mercato.
Considero importante incoraggiare relazioni di lavoro stabili, in cui vi sia un elevato livello di fiducia. Le modifiche alla legislazione sul lavoro avrebbero un successo maggiore, se i dipendenti si sentissero più sicuri. Dobbiamo inoltre ricordare che la sensazione di sicurezza spesso dipende anche dalla facilità con cui si riesce a trovare un nuovo posto di lavoro.
Ritengo che i problemi maggiori nell’Unione europea siano correlati all’offerta di forza lavoro flessibile e qualificata, e quindi la questione dovrebbe costituire il fulcro della strategia europea di flessicurezza.
Lo scopo più importante deve essere quello di creare un mercato del lavoro flessibile, innalzando il livello di istruzione tramite programmi di formazione e aggiornamento.
Roberta Angelilli (UEN). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, la flessicurezza non è né una panacea né un tabù. Basta mettersi d’accordo sulle regole del gioco. E’ scontato che l’Europa deve essere all’altezza delle sfide della globalizzazione e della concorrenza – non sempre leale – che ci impone l’economia mondiale.
Per tutto questo c’è bisogno di flessibilità, ma senza rinunciare al modello sociale europeo, ai suoi valori, agli standard di sicurezza e, soprattutto, di solidarietà. Quindi flessibilità a condizione che ci siano regole certe, che ci siano garanzie e meccanismi di compensazione.
Soprattutto l’Europa deve saper guidare gli Stati membri attraverso una strategia che metta insieme alcuni ingredienti fondamentali: la formazione continua e di buon livello, misure previdenziali adeguate, servizi di buona qualità a partire dai servizi per l’infanzia, sistemi di sicurezza sociale che sostengano il lavoratore nei periodi di inattività. Il sostegno, tra l’altro, non deve essere necessariamente sotto forma di sussidi, ma anche come offerta di opportunità per qualificarsi al meglio rispetto all’offerta di lavoro.
Infine, sistemi di conciliazione fra lavoro e vita familiare che permettano, soprattutto alle donne, di avere realmente pari opportunità nel mondo del lavoro.
Certo, questi obiettivi richiedono risorse importanti ma solo così la flexicurity potrà essere un’opportunità e non una scorciatoia verso la deregulation del mondo del lavoro.
Donata Gottardi (PSE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, ringrazio anch’io il relatore per il lavoro svolto, per di più in così poco tempo.
Anch’io penso che una parola è una parola. La flexicurity non è una politica buona o cattiva in sé. Non è nemmeno una singola politica, ma un insieme di azioni combinate ed equilibrate. Dipende da come sono progettate e dipende da come sono applicate.
Normalmente si ritiene che sia una strategia volta a rendere più flessibile il mercato del lavoro e a compensare, con sostegni economici e formativi, il passaggio da un posto di lavoro all’altro. Una visione tutto sommato difensiva, di contenimento del danno, mentre quello di cui abbiamo bisogno è rilancio, innovazione e qualità.
Se proviamo a declinare la flexicurity al femminile, possiamo trovare una corretta chiave d’ingresso. Intanto abbiamo la possibilità di rilevare che sono le donne le principali destinatarie dei lavori più precari e instabili. E poi, nello stesso tempo, scoprire tutte le potenzialità positive di una strategia, se intendiamo la flessibilità non come precarietà, ma come organizzazione flessibile del lavoro e dei tempi per incontrare le esigenze delle persone.
E se intendiamo la sicurezza non solo come indennità di formazione, ma anche come accompagnamento delle diverse attività e scelte durante la vita delle persone, ecco che si entra nella prospettiva propositiva e innovativa, rivolta al futuro e non vecchie ricette del passato.
Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, sarò molto breve. Poiché i lavori di quest’Assemblea continueranno anche dopo l’argomento in oggetto, ci tengo a comunicarvi che, a giudizio della Presidenza, o meglio della nostra Presidenza, questa è naturalmente una discussione importante e necessaria. Lo si può dedurre sia dalle nutrite presenze, sia dal gran numero di colleghi che hanno voluto partecipare e collaborare alla discussione.
Naturalmente flessibilità significa mobilità e, in un mondo globalizzato, è necessario introdurre un termine come “mobilità”, che significa adattamento ai cambiamenti. Tuttavia, il discorso non si limita alla mobilità, ma riguarda anche la sicurezza. Ciò significa impegnarsi nei confronti delle persone, dei lavoratori, delle loro qualifiche e della loro formazione, nonché per la tutela delle famiglie e della qualità del lavoro.
Ovviamente confidiamo che le principali linee guida da noi concordate con le parti sociali consentiranno, nella pratica dei fatti, di sviluppare e instaurare le misure necessarie per garantire la flessibilità e la sicurezza, nonché per offrire all’Europa condizioni migliori con cui affrontare brillantemente le sfide posteci a seguito della globalizzazione.
Auspichiamo che il Consiglio adotti queste linee guida nella sua riunione del 5 e 6 dicembre. Sono certo che, in futuro, si dimostreranno giuste e costituiranno le basi corrette per una politica che renda l’Europa più forte e competitiva.
Vladimír Špidla, Membro della Commissione. − (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, quando guardo il monitor, vedo quanto veloce passa il tempo, quindi consentitemi di menzionare solo due cose: primo, da questa discussione emerge con chiarezza, e lo desidero sottolineare, che l’obiettivo della flessicurezza non è assolutamente imporre un singolo modello nazionale sull’intera Unione europea. Anzi, si riconosce la natura distintiva di modelli diversi. Tuttavia, vorrei segnalare come i paesi che attuano i principi in oggetto godano di una migliore situazione del mercato del lavoro, e non stiamo soltanto parlando dei paesi scandinavi.
L’altro problema che desidero menzionare è la questione dei costi. Ancora una volta vi rimando a un esempio tipico spesso citato, quello della Danimarca, in cui le spese per la previdenza sociale e l’assistenza sanitaria non sono superiori alla media del contesto europeo. Questo fatto dovrebbe essere sempre posto nel giusto rilievo.
Onorevoli colleghi, vi ringrazio per questa discussione così animata che, nonostante la sua brevità, ha contribuito ad arricchire il concetto di flessicurezza. Permettetemi di ringraziare in particolar modo il relatore.
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 29 novembre 2007.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Christian Ehler (PPE-DE), per iscritto. – (DE) In uno degli emendamenti presentati per questa relazione, si tenta di conquistare il sostegno del Parlamento europeo ai salari minimi. Ritengo questo approccio sostanzialmente errato. Le condizioni e i parametri vigenti sui mercati regionali del lavoro sono così diversi, che non si può sperare di accrescere il benessere dei cittadini con un approccio europeo; esso, al contrario, finirebbe per incentivare povertà, disoccupazione e lavoro nero.
Vi è inoltre la richiesta di portare i salari minimi ad almeno il 50-60 per cento della retribuzione media nazionale. Quale paese europeo dispone di un salario minimo così elevato? Prima di porre in discussione emendamenti di questo tipo, i richiedenti dovrebbero almeno prendersi la pena di dare un’occhiata alla realtà europea. Stiamo tentando di difendere una politica europea di determinazione dei salari, che mira ad aumentare del 20 per cento i valori minimi esistenti a livello nazionale. Se questa non è demagogia!
Mi auguro che in Parlamento emerga una chiara maggioranza che stronchi tali pericolose utopie, perché non farebbero altro che incrementare la disoccupazione e la povertà, ponendo in discussione la competitività dell’economia europea.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ci rammarica il fatto che la relazione non si opponga, con sufficiente chiarezza, alla strategia di flessicurezza difesa dalla Commissione europea. Essa si limita invece a proporre alcuni palliativi per i principi definiti nella comunicazione della Commissione.
Di conseguenza, non solo abbiamo votato contro di essa in seno alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, ma abbiamo anche insistito sulla presentazione di proposte che rifiutassero l’approccio della flessicurezza adottato in quel documento. Lo abbiamo fatto perché tale approccio punta a deregolamentare i mercati e la legislazione del lavoro determinando, in pratica, la distruzione degli attuali accordi contrattuali, la liberalizzazione dei licenziamenti ingiustificati e una maggiore precarietà per i lavoratori in generale.
Nessun palliativo può resistere al costante indebolimento della contrattazione collettiva, alla svalutazione dei sindacati e alla trasformazione dei contratti a tempo indeterminato in accordi temporanei con il pretesto della globalizzazione capitalista.
Nell’enorme dimostrazione, che la CGTP (Confederazione generale dei lavoratori portoghesi) ha organizzato per il 18 ottobre a Lisbona, i lavoratori portoghesi hanno detto no a queste proposte. Ciò che vogliono è più occupazione e diritti, cosa che presuppone impegno per la produzione, maggiori investimenti in servizi pubblici di alta qualità e rispetto per la dignità dei lavoratori.
Pertanto insistiamo sulle proposte che abbiamo presentato. Se continueranno a essere respinte, allora voteremo contro questa relazione, perché rifiutiamo la flessicurezza.
Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE), per iscritto. – (RO) La relazione solleva un punto essenziale da discutere per l’Europa: le azioni, che l’Unione europea intraprende a favore dell’integrazione nel mercato del lavoro, non possono ignorare la limitazione arbitraria alla libera circolazione dei lavoratori. Otto dei paesi entrati nell’UE nel 2004 – assieme alla Romania e alla Bulgaria – devono rispettare periodi transitori di almeno due anni, che possono arrivare fino a sette anni.
A partire dal secondo anno, le Istituzioni europee sono attivamente coinvolte nel processo di autorizzazione dei periodi di transizione imposti dagli Stati membri. Per questa ragione, chiedo che a dicembre il Consiglio europeo esamini molto attentamente la questione della limitazione alla libera circolazione nell’Unione europea per i nuovi Stati membri, e che adotti una posizione comune obbligatoria per ridurre al minimo le barriere alla libera circolazione del lavoro.
La questione della limitazione all’accesso del mercato del lavoro è direttamente correlata al primo principio menzionato dal relatore, ossia all’“azione europea contro le pratiche di lavoro illecite, segnatamente nei contratti non standard”. In qualità di membro del Parlamento europeo, ho ricevuto numerose lagnanze di cittadini rumeni che, nei paesi in cui svolgono la loro attività, subiscono l’abuso di essere privati della retribuzione per il loro lavoro, nonché delle condizioni più elementari di previdenza sociale e assicurazione sanitaria. I regolamenti, che adotteremo sulla base del concetto di flessicurezza, dovrebbero in primo luogo eliminare tali situazioni.
(La seduta, sospesa alle 17.05, è ripresa alle 17.10)
PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING Presidente