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Procedura : 2007/2003(INI)
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Ciclo del documento : A6-0409/2007

Testi presentati :

A6-0409/2007

Discussioni :

PV 28/11/2007 - 24
CRE 28/11/2007 - 24

Votazioni :

PV 29/11/2007 - 7.32
CRE 29/11/2007 - 7.32
Dichiarazioni di voto
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Testi approvati :

P6_TA(2007)0576

Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 28 novembre 2007 - Bruxelles Edizione GU

24. Commercio e cambiamento climatico (discussione)
Processo verbale
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Alain Lipietz, a nome della commissione per il commercio internazionale, sul commercio e il cambiamento climatico [2007/2003(INI)] (A6-0409/2007).

 
  
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  Alain Lipietz, relatore. − (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, questa è una relazione piuttosto importante in vista dell’imminente Conferenza di Bali.

Sappiamo bene che il commercio internazionale si sta sviluppando a una velocità doppia rispetto al prodotto mondiale lordo, e che sta determinando la crescita dell’industria dei trasporti, uno dei più prolifici produttori di gas serra. Inoltre permette di delocalizzare la produzione, il che può essere un bene in termini di utilizzo della manodopera e applicazione delle regolamentazioni salariali ma, dato che non considera assolutamente il costo dei gas serra prodotti dalla divisione del lavoro, può accelerare la loro formazione e di conseguenza il cambiamento climatico.

Per fornirvi solo qualche dato: le navi, che trasportano un carico 40 volte maggiore rispetto agli aerei, producono soltanto il doppio dei gas serra, eppure continuiamo a utilizzare gli aerei per trasportare le nostre merci e ottimizzare il ciclo di produzione. Pertanto ritengo che, a seguito del rapporto Stern e delle quattro relazioni del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, dovremmo essere consapevoli che vale la pena attendere mezza giornata o persino tre giorni in più perché un prodotto arrivi a destinazione, piuttosto che distruggere il nostro clima a un costo che il rapporto Stern stima in 5 000 miliardi di dollari.

Oltre a esprimere questo commento, la relazione compie un tentativo per aprire determinate vie. Ovviamente ve ne sono alcune riferite ai trasporti. Siamo lieti che poco tempo fa sia stata tenuta una votazione per aggiungere l’industria aeronautica al sistema europeo delle quote. La relazione incoraggia la riflessione sull’organizzazione industriale, allo scopo di ridurre la scala geografica delle catene di produzione – avvicinando il produttore all’utente finale – e presenta una serie di proposte in merito ai beni ambientali.

Ciò che stiamo proponendo, nel contesto dell’OMC e degli accordi bilaterali o biregionali – in altre parole, di tutti gli accordi che stiamo attualmente negoziando – è assegnare la priorità, nell’ambito della valutazione sugli effetti ambientali da essi formulata, all’impatto sul cambiamento climatico. Suggeriamo di attribuire priorità anche a un sostanziale abbattimento delle barriere tariffarie e non tariffarie – e qui stiamo pensando in particolare alle royalty – che ostacolano il commercio di beni e servizi propri in grado di ridurre la produzione di gas serra.

In assenza di accordi biregionali negoziati dall’Europa, evidentemente tutto ciò deve essere attuato in un contesto il più possibile multilaterale, magari assieme all’OMC. Non possiamo tuttavia escludere la possibilità che, dopo il 2012, nella fase iniziale post-Kyoto, l’umanità non abbia ancora raggiunto un accordo unanime sulla lotta contro il cambiamento climatico. La decisione dell’Europa di porsi alla testa del processo colpirà in fin dei conti alcuni suoi settori, anche se non tutti. In molti casi, però, essere leader della lotta al cambiamento climatico offre un vantaggio sulla concorrenza. In alcuni di essi, e sto pensando nello specifico all’industria del cemento, ciò potrebbe porre enormi problemi e portare persino al turismo del cemento. In tale eventualità, quanto tutte le possibilità di accordi multilaterali saranno esaurite, suggeriamo l’adozione dell’articolo XX del GATT, che consente l’applicazione di compensazioni fiscali alla frontiera (“border-tax adjustments”) per ripristinare condizioni di concorrenza leale.

Questo, onorevoli colleghi, costituisce la base delle mie proposte.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. (EL) Signora Presidente, onorevoli deputati, siamo riconoscenti alla commissione per il commercio internazionale perché, con la sua iniziativa, affronta le questioni relative al commercio e al cambiamento climatico.

La relazione di Alain Lipietz costituisce un’utile fonte di idee e proposte politiche. Ne siamo lieti, perché riconosce l’interrelazione tra i vari aspetti dei negoziati.

Il cambiamento climatico è una questione molto seria, che riguarda sostanzialmente tutti i settori, tra cui il commercio. Dobbiamo impegnarci a definire una politica coerente e di sostegno reciproco. L’Unione europea punta a facilitare il commercio, garantendo che sia concretamente realizzabile e che contribuisca anche ad altre politiche, come per esempio quella sul cambiamento climatico.

Accogliamo favorevolmente il fatto che la relazione riconosca le prospettive di negoziazione sui beni e i servizi ambientali. Riteniamo che ciò rappresenti un importante contributo del commercio agli obiettivi relativi al cambiamento climatico. Auspichiamo che si compiano progressi sulla questione durante la tornata di negoziati commerciali multilaterali in corso, ai fini dell’agenda di Doha per lo sviluppo. Siamo lieti che sia stata riconosciuta la necessità di concedere al Segretariato degli accordi multilaterali sull’ambiente lo status di osservatore presso l’Organizzazione mondiale del commercio, cosa che abbiamo tentato di ottenere per la tornata attuale di negoziati commerciali. Siamo inoltre soddisfatti per il riconoscimento del contributo che i nostri nuovi accordi di libero scambio possono apportare alle questioni del cambiamento climatico, attraverso disposizioni speciali.

Le correlazioni tra le opportunità di accesso ai nuovi mercati, ossia di maggiori flussi commerciali, e le politiche sul cambiamento climatico sono ovvie.

Le politiche ambientali forniscono un forte incentivo per l’innovazione tecnologica e promuovono la prestazione economica. Dai dati scientifici ed economici emerge, con grande chiarezza, che i benefici del contenimento del cambiamento climatico superano il costo delle politiche applicate per la loro riduzione.

L’adozione di ulteriori misure per combattere il cambiamento climatico può determinare vantaggi significativi in termini di concorrenza per i produttori di paesi che applicano limitazioni alle emissioni di carbonio, perché – in combinazione con altre politiche – ridurranno il consumo di risorse preziose e favoriranno lo sviluppo di innovazioni tecnologiche ecologiche, che hanno crescenti opportunità di accesso al mercato. In questo modo, arriveremo a una situazione di cui beneficeranno tutti, in termini sia di competitività che di ambiente. Dobbiamo continuare la ricerca di altre opportunità, che rafforzino l’apporto positivo della politica commerciale alla lotta contro il cambiamento climatico.

Noto che la relazione include in tale contesto aspetti come il credito all’esportazione, la progressiva eliminazione delle sovvenzioni al commercio che ha un impatto negativo sul clima, il rafforzamento e l’ampliamento dell’accesso al mercato per gli investimenti esteri diretti. Sono tutti argomenti interessanti che possiamo discutere con maggiore approfondimento.

Dobbiamo continuare a impegnarci anche sui criteri di sostenibilità per i prodotti forestali, la deforestazione e l’abbattimento illegale degli alberi.

Per concludere, consentitemi di ribadire il mio ringraziamento per questo prezioso contributo alla discussione sul cambiamento climatico in un momento molto importante, a pochissimi giorni dall’inizio della Conferenza di Bali, che speriamo fornirà la motivazione a negoziare un accordo internazionale post­2012.

 
  
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  Jens Holm, relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. − (SV) Signora Presidente, è giunto il momento che il commercio mondiale, cresciuto in misura esponenziale dal 1990, si confronti con le proprie responsabilità sul clima. Qual è il risultato dal punto di vista climatico? Ovviamente, l’aumento dei trasporti e delle emissioni. E’ ragionevole, per esempio, che gli allevatori dell’UE importino milioni di tonnellate di soia dal Brasile per l’industria della carne europea, o che il pesce possa essere catturato in Norvegia, spedito in Cina per la filettatura e la pulizia e quindi di nuovo in Europa per la conservazione? No, certamente no!

La nostra eccellente opinione ci fornisce l’opportunità di prendere misure concrete per affrontare il problema. Chiediamo che siano i trasporti a sostenere questo costo ambientale. Vogliamo diffondere la tecnologia verde nei paesi in via di sviluppo, per esempio apportando modifiche fondamentali ai diritti sui brevetti e alla proprietà intellettuale. Intendiamo abolire le sovvenzioni alla produzione di energia sporca. Vogliamo avere una certificazione ambientale obbligatoria per i biocarburanti e vogliamo che tutti gli accordi commerciali siano valutati dal punto di vista dell’impatto climatico. Sono soltanto alcuni esempi di questa eccellente relazione. Raggiungendo tali obiettivi, potremo assicurare che il commercio mondiale diventi parte integrante della soluzione e non del problema.

 
  
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  András Gyürk, relatore per opinione della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. (HU) Grazie per avermi concesso la parola, signora Presidente. Signor Commissario, onorevoli colleghi, il legame tra due argomenti discussi dalla relazione in esame è di estrema attualità. La connessione tra determinate forme di commercio e il cambiamento climatico è sempre più ovvia. E’ indiscutibile che l’intenso commercio internazionale determini numerose conseguenze nocive, tra cui l’incremento delle emissioni di biossido di carbonio, riducendo nel contempo gli habitat delle piante che assorbono i gas serra. Nonostante tutto ciò, sono convinto che il libero scambio non sia di per sé sinonimo di danno ambientale. E’ vero che la diffusione del commercio e della divisione internazionale del lavoro aumenta l’efficienza della produzione, in misura di gran lunga superiore agli effetti negativi. Ciò può tradursi in un minore consumo complessivo delle fonti energetiche.

In qualità di relatore della commissione per l’industria, permettetemi di illustrare tre riflessioni su questa linea, che ho tratto dall’opinione preparata dalla nostra commissione. Per prima cosa, è essenziale che le barriere commerciali alle tecnologie ecologiche siano rimosse con la massima rapidità possibile. A tale scopo, l’Unione europea dovrà assumere un ruolo attivo nei negoziati internazionali sul cambiamento climatico.

In secondo luogo, dobbiamo lottare perché in futuro i prezzo dei prodotti riflettano le conseguenze dannose che non risultano immediatamente evidenti, tra cui l’impatto sul cambiamento climatico.

In terzo e ultimo luogo, riteniamo che discussioni adeguatamente approfondite sull’interrelazione tra commercio e cambiamento climatico siano di primario interesse per la Comunità. Lo sono ancora di più, se si considera che l’Europa può svolgere un ruolo di guida nell’esportazione di prodotti e servizi ecologici nel mondo.

Onorevoli colleghi, come risulta evidente dai suddetti punti, i membri della commissione per l’industria concordano unanimemente sul fatto che solo la massima collaborazione internazionale può portare all’abbattimento delle barriere commerciali e a un’azione di contrasto del cambiamento climatico. Le discussioni interne alla commissione ci hanno confermato che, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, il commercio non è solo il problema, ma anche parte della soluzione. La ringrazio molto, signora Presidente.

 
  
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  Georgios Papastamkos, a nome del gruppo PPE-DE. (EL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, l’Unione deve assumere un ruolo di guida – come ha già largamente fatto – nell’adozione di politiche ecologicamente corrette. A tale proposito, il suo contributo è stato essenziale, Commissario Dimas. L’adattamento di tutte le strategie settoriali ai modelli di sviluppo sostenibile è, in qualsiasi caso, un obiettivo normativo primario.

Si ritiene che il rafforzamento del commercio internazionale fornisca un contributo allo sviluppo economico mondiale e, a dire il vero, un beneficio non solo per i paesi industrializzati, ma anche per quelli in via di sviluppo. Tuttavia, il rapido incremento del volume dei flussi transfrontalieri rappresenta una sfida alla politica sul clima. I limiti della relazione antagonistica o di reciproco sostegno tra il sistema commerciale mondiale e le politiche sul cambiamento climatico costituiscono l’oggetto della relazione di cui stiamo discutendo. Purtroppo, in essa emerge uno squilibrio tra componente commerciale e ambientale. Il rapido sviluppo del commercio internazionale dovrebbe essere trattato esclusivamente come fattore che causa stress ambientale. Inoltre, l’adozione di politiche sul clima non è di per sé sufficiente; vi è l’esigenza di un piano generale coerente che rifletta le preferenze ecologiste delle politiche inerenti i trasporti, il commercio, l’industria, l’energia e l’agricoltura. L’Unione deve comunque portare avanti il proprio ruolo di guida a livello mondiale, promuovendolo nelle relazioni commerciali con i paesi extracomunitari.

Onorevoli colleghi, la proposta di risoluzione contiene alcuni punti chiave. Il gruppo del Partito popolare europeo e dei Democratici europei ha deciso che la decisione finale a favore di tale proposta dovrebbe dipendere dall’esito delle votazioni su questi punti.

 
  
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  David Martin, a nome del gruppo PSE. (EN) Signora Presidente, quando si parla di cambiamento climatico, il commercio è spesso considerato parte del problema, ed è vero che alcune forme di scambio non possono essere giustificate. Spedire gamberi scozzesi in Tailandia, perché siano sgusciati e poi riportati in Scozia, è un’assurdità e uno spreco di energia. Tuttavia, come dimostra l’onorevole Lipietz in una relazione ben argomentata, il commercio può anche diventare parte della soluzione. Vi riporto solo tre brevi esempi.

In primo luogo, la definizione europea degli elevati requisiti di efficienza energetica, che trovano applicazione nel campo degli elettrodomestici come frigoriferi, lavastoviglie, forni a microonde e così via, non solo può determinare una riduzione delle emissioni di CO2, ma deve altresì creare le condizioni perché anche in altri paesi siano adottati standard migliori. Per citare un esempio, un unico stabilimento in Cina produce l’80 per cento dei forni a microonde di tutto il mondo. E’ improbabile che intenda applicare una norma per l’Europa e un’altra per il resto del mondo, o persino per il suo mercato interno.

Un secondo esempio, citato dalla commissione per l’industria, è costituito dai cosiddetti “beni verdi” o, per utilizzare la definizione giusta, dai beni e servizi ambientali. Eliminando i dazi sui beni e servizi ambientali, potremo incoraggiare lo scambio di prodotti che aiutino i paesi terzi a ridurre la loro impronta di carbonio, basti pensare per esempio all’esportazione di generatori efficienti sotto il profilo energetico, di tecnologia a onde e pannelli solari. Permettetemi di citare ancora una volta la Cina, che ogni anno aumenta la propria capacità di produzione di energia elettrica in misura equivalente alla capacità totale del Regno Unito. Chiaramente, incoraggiare la Cina a utilizzare la tecnologia più all’avanguardia e più efficiente potrebbe svolgere un ruolo importante nel proseguimento della sua crescita, in quanto potrebbe evitare l’aumento proporzionale della sua impronta di carbonio.

Un terzo ed ultimo ambito sarebbe la comunicazione di dati chiari sull’impatto ambientale dei prodotti, in modo che i consumatori possano compiere scelte informate. Tuttavia, occorre accertarsi che le informazioni siano calcolate e presentate in modo corretto. Le etichette del tipo “Food miles” (i cosiddetti “chilometri alimentari”), attualmente in uso presso alcuni supermercati del Regno Unito, non risultano soddisfacenti e rischiano di fornire informazioni fuorvianti. I fiori provenienti dal Kenya, per esempio, determinano un’impronta di carbonio assai minore rispetto ai più vicini olandesi coltivati in serre riscaldate ma, a colpo d’occhio, l’etichetta farebbe propendere per una conclusione diversa.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk, a nome del gruppo UEN.(PL) Signora Presidente, poiché intervengo in questa discussione riguardante l’impatto del commercio mondiale sul cambiamento climatico a nome del gruppo Unione per lEuropa delle nazioni, vorrei richiamare la sua attenzione sulle seguenti questioni.

In primo luogo, quale leader mondiale dell’impegno a contrastare il cambiamento climatico, l’Unione europea chiede una riduzione compresa tra il 25 per cento e il 40 per cento delle emissioni globali di gas serra entro l’anno 2020. Si dovrebbe ricordare, tuttavia, che lo sviluppo economico dell’Unione europea potrebbe risultare minacciato se essa raggiungesse il suddetto obiettivo principalmente in virtù della propria azione, ma con uno scarso contributo da parte degli altri paesi.

In secondo luogo, le entità economiche che, in Europa, sono sottoposte a varie restrizioni derivanti dall’impegno a ridurre le emissioni dei gas serra, non riescono più a competere con quelle operanti in paesi dove tali restrizioni non si applicano. Molti settori e tipi di produzione hanno cessato di esistere in Europa per effetto della concorrenza sleale di produttori del Sud­est asiatico e nel Sudamerica.

In terzo luogo, a seguito dell’introduzione di limitazioni alle emissioni eccessive di gas serra sul territorio dell’Unione europea, abbiamo assistito allo spostamento delle attività produttive al di fuori dell’Europa, dove non tali limitazioni non esistono. Di conseguenza, in Europa molti posti di lavoro andranno persi per sempre.

In quarto luogo, se non si raggiunge alcun accordo per limitare le emissioni dei gas serra a livello globale, e se l’Unione europea è determinata a procedere per proprio conto, si dovrebbero applicare imposte di compensazione alle frontiere dell’Unione. Ciò dovrebbe valere in particolare per quei settori in cui la competizione è già stata seriamente colpita, perché i costi di produzione non hanno tenuto conto degli oneri ambientali. Laddove possibile, anche la cosiddetta dimensione climatica degli scambi commerciali deve essere presa in considerazione negli accordi commerciali bilaterali tra l’Unione europea e i paesi terzi.

Le stesse disposizioni dovrebbero essere applicate anche alle iniziative finanziate dalla Banca europea per gli investimenti. Qualora giungesse il sostegno di diversi tipi di imprese, tali disposizioni dovrebbero essere attuate anche dagli enti nazionali preposti a garantire i crediti all’esportazione e gli investimenti diretti.

 
  
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  Graham Booth, a nome del gruppo IND/DEM. (EN) Signora Presidente, Al Gore sostiene che il dibattito sul surriscaldamento globale è terminato e che è stata dimostrata, al di là di ogni dubbio, la responsabilità delle attività umane.

In sede di commissione, ho di recente suggerito che la discussione non poteva ignorare l’enorme impatto esercitato dal Sole sul clima della Terra per milioni di anni, e che l’alternanza tra lunghe ere glaciali e brevi periodi interglaciali fosse la spiegazione più plausibile. La mia tesi ha ricevuto un’accoglienza molto ostile.

Tuttavia, il presidente Markov ha sottolineato che non è corretto mettere al bando una posizione solo perché in conflitto con l’attuale ortodossia. Non dimentichiamo che, quando Galileo affermò nel XVII secolo che la Terra ruotava intorno al Sole, fu minacciato di tortura dalla Chiesa cattolica per avere osato contraddire la verità consolidata di un universo geocentrico. Solo nel 1992 la Chiesa ha finalmente ammesso che Galileo aveva ragione.

L’unica CO2, su cui si concentra la discussione in merito al riscaldamento globale, è il quantitativo irrisorio prodotto dalla combustione dei combustibili fossili. Tale volume relativamente modesto rappresenta l’unico apporto moderno che va ad aggiungersi alle enormi quantità costantemente prodotte da tutti gli esseri viventi e dalla decomposizione della materia organica, nonché dall’attività vulcanica.

Prima di rischiare di rovinare le economie mondiali con imposte sulle emissioni di carbonio e analoghi provvedimenti, le chiediamo di riaprire il dibattito e verificare in modo assolutamente inequivocabile chi sia nel giusto.

 
  
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  Daniel Caspary (PPE-DE) . – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, quando ci occupiamo di questo progetto di relazione, dovremmo concentrarci sul vero problema, ossia sul commercio e sul cambiamento climatico.

Nella prima versione, sfortunatamente, il relatore non è riuscito a sviluppare proposte economiche positive e socialmente sostenibili per affrontare il problema. Personalmente, ritengo che la relazione e anche il relatore stesso abbiano fin troppo spesso frainteso cosa realmente s’intenda per commercio e trasporti. Il problema non è il commercio mondiale né la divisione globale del lavoro; il problema non è che, grazie al commercio, anche le aree finora più povere stanno vivendo uno sviluppo economico ma, piuttosto, che i trasporti non siano ancora sufficientemente efficienti ed ecologici. Senza dubbio il nostro problema è che, a causa della povertà o dello scarso benessere in alcune regioni del mondo, molti individui e molti paesi non possono permettersi la protezione del clima necessaria e sensata dal punto di vista economico ed ecologico.

Solo integrando queste aree nel commercio mondiale riusciremo a creare condizioni in cui le popolazioni possano permettersi la protezione dell’ambiente e del clima. Chi è costretto a lottare quotidianamente per la propria sussistenza, non pensa a questi problemi. Solo grazie ad un efficiente commercio globale saremo in grado di vendere le nostre moderne tecnologie in tutto il mondo, apportando così un concreto contributo alla protezione del clima.

Ecco perché, dal mio punto di vista, un incremento del commercio, e non la sua riduzione, rappresenta la soluzione alla questione degli scambi internazionali e del cambiamento climatico.

Sono quindi molto grato all’onorevole collega Georgios Papastamkos per aver introdotto numerosi aspetti importanti nei dibattiti della commissione, e lo sono anche nei confronti del gruppo ALDE per avere presentato vari emendamenti, che vanno in questa direzione, in vista dell’assemblea plenaria di domani.

Desidero concludere con un appello. Purtroppo questa relazione riporta vari punti in cui abbiamo screditato la nostra economia sociale di mercato. Dovremmo trovare il modo di eliminare tali passaggi contrari alla nostra impostazione economica, che ha garantito benessere e sicurezza sociale a tante persone. Sarei molto grato se i gruppi dimostrassero un po’ di creatività in proposito, affinché anche il nostro schieramento possa accordare il proprio voto alla relazione.

 
  
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  Elisa Ferreira (PSE).(PT) Devo iniziare congratulandomi con il relatore per il lavoro minuzioso che ha compiuto su una questione tanto complessa come il rapporto tra commercio e cambiamento climatico. L’Europa ha svolto un ruolo di guida nella lotta contro il peggioramento del cambiamento climatico. Tuttavia, per essere credibile e raggiungere gli obiettivi proposti, deve rafforzare le varie politiche in materia. In particolare la politica commerciale, una delle politiche comuni di più vecchia data dell’Unione, non deve e non può essere dimenticata. L’equilibrio tra ambiente e commercio non è facile da raggiungere né è stato sufficientemente raggiunto, soprattutto nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio.

In seno all’Unione europea, centrare gli obiettivi in materia di cambiamento climatico richiede uno sforzo efficace per ridurre le emissioni di carbonio che, a sua volta, avrà un impatto sulle condizioni di produzione e sui costi di un crescente numero di settori produttivi. E’ tempo di chiederci se, in un mondo dominato dalla competizione globale e posto davanti al problema della sopravvivenza del pianeta, sia sensato che tale sforzo sia compiuto più che altro dall’Europa. E’ accettabile che le emissioni di così tanti settori siano spostate dal suolo europeo verso aree del globo meno protette sotto il profilo ecologico? La violazione dell’ambiente può essere una fonte legittima di concorrenza? Sono accettabili normative di conformità ambientale diverse per i principali beni commerciabili a livello mondiale, a seconda dell’area del globo in cui sono prodotti?

La mia risposta a tutte queste domande è no. Dobbiamo trovare un equilibrio tra ambiente, compreso il cambiamento climatico, e commercio che garantisca uno sforzo collettivo, proporzionale ed equo, senza escludere nessuno, e in particolare i principali partner commerciali globali. Un nuovo equilibrio tra lo sviluppo di vaste zone impoverite del globo e la sopravvivenza del pianeta deve essere rapidamente raggiunto attraverso il dialogo, il mutuo rispetto e la determinazione di affrontare obiettivi convergenti. Lo sforzo deve essere globale e possiamo solo sperare che in dicembre, a Bali, abbia un inizio serio e impegnato.

 
  
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  Stavros Arnaoutakis (PSE). - (EL) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, è vero che le transazioni commerciali a livello europeo e globale sono aumentate notevolmente negli anni recenti. Pur incentivando lo sviluppo economico delle nazioni, l’incremento degli scambi commerciali ha anche un impatto significativo sul cambiamento climatico. Per mio conto, esprimo preoccupazione in merito a questo problema particolare. Dobbiamo decidere come la politica commerciale possa fornire un aiuto positivo alla risoluzione del problema del cambiamento climatico.

L’obiettivo di una riduzione entro il 2020 del 20 per cento delle emissioni dei gas serra è piuttosto ambizioso. Spero che vinceremo la scommessa, perché il costo di perderla sarà enorme. A questo punto, vorrei sottolineare il contributo del Commissario e congratularmi con lui per tutte le iniziative e l’impegno dimostrato in tale direzione.

Occorrono maggiore sostegno e più impegno verso una transizione a mezzi di trasporto più ecologici; la promozione di un’industria più benefica per il clima; lo sviluppo di nuove tecnologie e l’istituzione di disincentivi finanziari per le attività dall’impatto negativo sul clima; l’efficace cooperazione tra le Nazioni Unite, l’Organizzazione mondiale del commercio e l’Unione europea; la continua consultazione e partecipazione della società civile e delle organizzazioni non governative, che operano nel settore ambientale. Il Parlamento europeo dovrà svolgere un ruolo importante. Auspico che dalla Conferenza di Bali, a dicembre, arrivino quei messaggi di ottimismo in cui tutti stiamo sperando.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 29 novembre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. (FI) Semplificare la politica per la lotta al cambiamento climatico riveste un’importanza vitale ai fini della produttività. La relazione in esame è davvero preziosa e suscita una discussione del tutto necessaria: la politica commerciale deve costituire parte integrante di quella sul clima, perché la crescita degli scambi si traduce in una maggiore quantità di gas serra. D’altro canto, la politica commerciale esplica a sua volta un effetto molto specifico come forma di politica sul clima e, pertanto, può diventare un componente della soluzione.

Prima di tutto, la politica commerciale riveste grande valore nella promozione delle tecnologie ambientali. Il commercio internazionale è uno degli strumenti più efficaci per il trasferimento della tecnologia. Il ruolo dell’Organizzazione mondiale del commercio è importante, perché indispensabile per rimuovere i dazi sui prodotti ecologici e migliorare le regole della proprietà intellettuale. D’altro canto, per esempio, è intollerabile che l’OMC sostenga ancora oggi sovvenzioni ai carburanti fossili che distorcono il mercato, in quanto ostacolano il cammino verso una tecnologia verde.

Vi sono valide ragioni per cui la relazione non tiene in grande considerazione l’esito di Kyoto. Il protocollo di Kyoto è pieno di scappatoie che, di fatto, stanno aggravando la situazione. Le azioni unilaterali distorcono la concorrenza e determinano la fuoriuscita di carbonio. Spostare le emissioni da un luogo all’altro non significa ridurle. Inoltre, la solidarietà verso i popoli dei paesi in via di sviluppo non deve causare la contaminazione del loro ambiente. Kyoto porta allo sfruttamento ambientale. Il cambiamento climatico si configura sempre più come un fenomeno planetario e complesso e, in quanto tale, richiede soluzioni globali. E’ essenziale che tutti i paesi industriali e le economie emergenti s’impegnino obbligatoriamente a formulare un programma altrettanto globale di scambio delle emissioni.

Sono completamente d’accordo con i timori espressi dalla relazione per l’effetto dell’incremento degli scambi sul destino delle foreste. L’UE deve prestare particolare attenzione al rischio costituito dai biocarburanti sui pozzi di assorbimento forestali. D’altro canto, però, non si deve nemmeno permettere che gli obiettivi stabiliti dalla Commissione per le fonti di energia rinnovabili vadano ad accelerare il cambiamento climatico.

 
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