Indice 
Resoconto integrale delle discussioni
Mercoledì 28 novembre 2007 - Bruxelles Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 3. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 4. Verifica dei poteri: vedasi processo verbale
 5. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 6. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale
 7. Seguito dato alle posizioni e alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
 8. Proclamazione del consenso sull’aiuto umanitario (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 9. Situazione in Georgia (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 10. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 11. Dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
 12. Ordine dei lavori
 13. Benvenuto
 14. Approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea da parte del Parlamento europeo (discussione)
 15. Principi comuni di flessicurezza (discussione)
 16. Discussione sull’avvenire dell’Europa (discussione)
 17. Accordi di partenariato economico (discussione)
 18. Modifica della direttiva 2004/49/CE relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie – Interoperabilità del sistema ferroviario comunitario (rifusione) – Modifica del regolamento (CE) n. 881/2004 che istituisce un’Agenzia ferroviaria europea (discussione)
 19. Coordinamento di determinate disposizioni degli Stati membri concernenti le attività televisive (discussione)
 20. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
 21. Controllo sull’acquisizione e la detenzione di armi (discussione)
 22. Una nuova politica comunitaria per il turismo: una partnership più forte per il turismo europeo (discussione)
 23. Aiuto macrofinanziario al Libano (discussione)
 24. Commercio e cambiamento climatico (discussione)
 25. Referendum in Venezuela (discussione)
 26. Ordine del giorno della prossima seduta: vedi verbale
 27. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. RODI KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
1. Ripresa della sessione
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  Presidente. - Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo sospesa giovedì 15 novembre 2007.

 

2. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

3. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale

4. Verifica dei poteri: vedasi processo verbale

5. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale

6. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale

7. Seguito dato alle posizioni e alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale

8. Proclamazione del consenso sull’aiuto umanitario (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

9. Situazione in Georgia (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

10. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

11. Dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale

12. Ordine dei lavori
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  Presidente. - Il progetto definitivo di ordine del giorno, redatto ai sensi degli articoli 130 e 131 del Regolamento, è stato distribuito. Sono state proposte le seguenti modifiche.

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE.(DE) Signora Presidente, l’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sugli accordi di partenariato con i paesi ACP, in merito alla quale è prevista una risoluzione. Stamattina e negli ultimi giorni, il nostro gruppo ha tenuto discussioni molto serrate sull’argomento. Con grande impegno, abbiamo altresì tentato di formulare una risoluzione di compromesso assieme agli altri gruppi. Sfortunatamente, ciò si è rivelato impossibile. Tuttavia non vogliamo rinunciare a questo compito, e stiamo ancora cercando di ottenere tale risultato prima di ricorrere ai voti contestati.

A nome del mio gruppo, propongo pertanto che la risoluzione su questa dichiarazione della Commissione e la relativa votazione siano posticipate fino alla tornata di dicembre. Sarei riconoscente ai membri di quest’Assemblea se potessero sostenere tale procedura, perché lascerebbe spazio per negoziare e raggiungere un compromesso.

 
  
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  Presidente. - Onorevole Schulz, riferiremo su questo argomento a tempo debito, in base all’ordine dei lavori.

Per quanto riguarda mercoledì

– La discussione comune sulle ferrovie comunitarie avrà luogo prima della discussione della relazione dell’onorevole Hieronymi concernente le attività televisive.

– La relazione Ortuondo Larrea sull’interoperabilità del sistema ferroviario comunitario sarà posta in votazione durante la prossima tornata a Strasburgo.

Per quanto riguarda giovedì

Desidero informarvi che per il tempo delle votazioni:

– la relazione dell’onorevole Leinen sulla modifica del regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee è stata approvata conformemente all’articolo 43, paragrafo 1, ed è iscritta al turno di votazioni.

– la votazione sulla relazione Johannes Blokland concernente i prodotti chimici pericolosi è rinviata alla tornata di gennaio, in modo che si possa raggiungere la conciliazione alla prima lettura.

Per tornare, onorevole Schulz, all’argomento da lei sollevato:

dal gruppo socialista mi è giunta la richiesta di rinviare alla tornata di dicembre la votazione sulle proposte di risoluzione concernenti gli accordi di partenariato economico, con la conseguente riformulazione delle scadenze per la presentazione dei testi.

 
  
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  João de Deus Pinheiro, a nome del gruppo PPE-DE.(PT) Signora Presidente, noto lo spirito di compromesso dimostrato dall’ala socialista e, a nome del gruppo PPE-DE, devo dichiarare che anche noi vi siamo aperti e quindi non mi oppongo a questo suggerimento. Tuttavia, a seguito del referendum in Venezuela, durante la tornata di dicembre ci farebbe piacere formulare una risoluzione anche sulla situazione di tale paese. In questo spirito di compromesso e anche nel clima natalizio, ritengo che possiamo conciliare queste proposte.

 
  
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  Presidente. - Onorevole Pinheiro, questo punto non riguarda il Venezuela, ma la proposta presentata dal gruppo socialista concernente il rinvio delle proposte di risoluzione concernenti gli accordi di partenariato economico alla tornata di dicembre.

Qualche collega desidera intervenire a favore di questa proposta?

 
  
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  João de Deus Pinheiro, a nome del gruppo PPE-DE.(PT) Signora Presidente, probabilmente lei non ha ascoltato ciò che ho detto. Ho iniziato dichiarando che, in uno spirito di compromesso, saremmo disposti ad accettare questo suggerimento. Tuttavia, proprio nel clima di pacificazione natalizio, ci farebbe piacere se gli amici socialisti, dal canto loro, accettassero la nostra proposta di risoluzione sulla questione del Venezuela all’indomani del referendum.

 
  
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  Presidente. - Qualche collega desidera intervenire contro questa proposta?

 
  
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  Helmuth Markov, a nome del gruppo GUE/NGL. (DE) Signora Presidente, sono alquanto sorpreso dalla richiesta del gruppo socialista. La proposta di risoluzione presentata congiuntamente dai Socialisti, dai Verdi e del mio gruppo comprendeva la risoluzione presa a Kigali. A Kigali, anche i membri del gruppo PPE-DE avevano approvato questo compromesso, quindi non riesco semplicemente a capire il motivo per cui tutto ciò debba essere rinviato a un’ulteriore discussione, quando i membri di quest’Assemblea avevano già raggiunto un accordo. A Kigali, infatti, tutti avevano già approvato il compromesso! Pertanto esprimo la mia opposizione al rinvio, poiché è già stato registrato il consenso di un gran numero di deputati e il documento potrebbe essere votato anche oggi stesso.

 
  
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  Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signora Presidente, cerchiamo di non fraintenderci: il problema non riguarda la sostanza, bensì il fatto di voler garantire la maggioranza. Ritengo che ciò sia legittimo. Onorevole Markov, lei ha assolutamente ragione; la proposta implica un nuovo inizio della discussione, cosa difficile da capire, tuttavia i Socialisti mirano – vediamo – ad assicurare la maggioranza per sostenere un risultato che tutti quanti vogliono comunque raggiungere. Questo è il fulcro e il motivo per cui è stata richiesto il rinvio. Non ho altro da aggiungere.

 
  
  

(Il Parlamento accoglie la richiesta)

 
  
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  Presidente. - La votazione sulle proposte concernenti gli accordi di partenariato economico è rinviata a dicembre e i termini di presentazione sono pertanto prorogati nel modo seguente:

proposte di risoluzione: mercoledì 5 dicembre 2007, alle 12.00;

emendamenti e proposte di risoluzione comune: lunedì 10 dicembre, alle 19.00.

La votazione si svolgerà mercoledì 12 dicembre.

Mi è giunta una richiesta dal gruppo del Partito popolare europeo e dei Democratici europei per concludere la discussione della dichiarazione della Commissione sul referendum in Venezuela, con la presentazione delle proposte di risoluzione.

Qualche collega desidera intervenire contro questa richiesta?

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. (DE) Signora Presidente, l’onorevole de Deus Pinheiro ha appena accennato al clima natalizio. Vi sono anch’io favorevole, ma non bisogna esagerare. Dopotutto, in quello spirito, eravamo decisamente propensi ad accogliere un compromesso da Kigali.

Riguardo al Venezuela, discutendo sul Presidente Chávez emergeranno sempre divergenze di opinione e, a dire il vero, anche controversie. Riteniamo che il dibattito – tuttora in corso – abbia la sua utilità; ma non pensiamo che si possa giungere a una risoluzione sensata in tempi brevi, entro oggi o domani. Se tale risoluzione è posticipata alla tornata di dicembre, saranno già trascorse tre settimane. E’ molto utile tenere la discussione adesso, ma non vogliamo una risoluzione, perché sarebbe raffazzonata oppure giungerebbe troppo tardi. A mio giudizio, dovremmo tenere il dibattito oggi e ciò sarà sufficiente.

 
  
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  Presidente. - Qualche collega desidera intervenire a favore di questa richiesta?

 
  
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  João de Deus Pinheiro, a nome del gruppo PPE-DE.(PT) Signora Presidente, la ringrazio per questa opportunità. Una nuova situazione emergerà a seguito del referendum che sta per svolgersi in Venezuela. Si tratta di un referendum molto importante e ritenevo altrettanto importante che quest’Aula discutesse la questione razionalmente adesso, considerando i possibili esiti della consultazione. Potremo allora tentare di approvare una risoluzione a dicembre. Penso che sia possibile e che dovremo fare questo sforzo. E’ nello spirito del Natale e della cooperazione che vi sottopongo questo suggerimento.

 
  
  

(Il Parlamento respinge la richiesta)

(L’ordine dei lavori è così fissato)

 

13. Benvenuto
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  Presidente. - Oggi abbiamo il grande piacere di dare il benvenuto presso la nostra Assemblea a una delegazione del Parlamento della Repubblica islamica dell’Afghanistan. Essa ha visitato il nostro Parlamento lo scorso dicembre a Strasburgo, e ora siamo lieti di accoglierla anche a Bruxelles.

(Applausi)

Onorevoli colleghi, desidero esprimere le nostre profonde e sincere condoglianze alla vostra Assemblea e al popolo afghano per l’attacco terroristico del 6 novembre 2007, in cui hanno perso la vita 6 vostri deputati e circa 100 cittadini afghani. Tra le vittime vi era Sayed Mustafa Kazemi, membro della delegazione afghana che ci aveva fatto visita a Strasburgo l’anno scorso.

Lo scopo della vostra presenza qui è iniziare un dialogo su base regolare, che ci consenta di giungere più rapidamente a una migliore comprensione della situazione politica e sociale in Afghanistan, e che ci offra l’opportunità di discutere l’assistenza di cui necessita il vostro paese.

Confido che tutti voi consideriate questa visita come un simbolo del nostro comune impegno a promuovere i valori democratici e il pieno rispetto dei diritti umani nel mondo intero.

Desidero esprimere la nostra soddisfazione per la vostra visita e il nostro impegno a rafforzare la cooperazione tra i nostri governi.

Per quanto è mia conoscenza, voi avete già contatti proficui con il Parlamento europeo, e vi auguro un proseguimento costruttivo della vostra missione, un piacevole soggiorno e un buon viaggio di ritorno nel vostro paese.

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE). - (EN) Signora Presidente, il mio richiamo al Regolamento si riferisce all’articolo 9, paragrafo 2, concernente il regolare svolgimento dei lavori parlamentari.

Siamo stati informati della presenza di amianto negli edifici di Strasburgo noti come Winston Churchill e SDM. L’ultima relazione “ha confermato una presenza di amianto più diffusa” rispetto a quanto si ritenesse inizialmente presso le nostre sedi di lavoro. L’amianto è uno dei materiali cancerogeni più pericolosi e può mettere in pericolo la vita umana. Dovremmo pertanto richiedere informazioni appropriate sulla valutazione del rischio e dati dettagliati sulla rimozione dell’amianto dagli edifici del Parlamento, incluso il programma e le misure di sicurezza previste a tal fine. La salute e la sicurezza dei deputati, dei dipendenti e dei visitatori del Parlamento deve avere la priorità assoluta.

 
  
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  Presidente. - Onorevole Hegyi, in buona sostanza questo non è un problema procedurale ma, poiché ha sollevato una questione così vitale, desidero dichiarare che il Segretario generale ha già rilasciato una comunicazione in merito alla possibile presenza di amianto nei nostri edifici.

 

14. Approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea da parte del Parlamento europeo (discussione)
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  Presidente. - L’ordine del giorno reca la relazione di Jo Leinen, a nome della commissione per gli affari costituzionali, sull’approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione da parte del Parlamento europeo [2007/2218(ΑCI)] (A6-0445/2007).

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signora Presidente, signora Vicepresidente della Commissione, onorevoli deputati, la proclamazione solenne della Carta dei diritti fondamentali da parte dei Presidenti del Consiglio, del Primo Ministro portoghese José Sócrates, del Parlamento europeo e della Commissione europea, prevista per il 12 dicembre a Strasburgo, costituirà senza dubbio uno dei momenti più significativi nella storia recente dell’Unione e della Presidenza portoghese dell’Unione europea.

Compiremo un passo in avanti che avrà implicazioni importanti e concrete per il consolidamento di valori universali come la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà. Grazie al nuovo Trattato di Lisbona, la Carta avrà lo stesso valore dei trattati; in altre parole sarà giuridicamente vincolante. Data la sua importanza, questo fatto deve essere debitamente sottolineato e il Parlamento, nonché i governi nazionali e la Commissione, dovrebbero andarne tutti orgogliosi. Esso segna la conclusione di un lungo percorso.

La decisione di attribuire valore giuridico alla Carta dei diritti fondamentali ha un impatto che supera gli usuali ambiti politici e diplomatici, poiché riguarda direttamente i negozi giuridici dei nostri cittadini. E’ un risultato concreto dell’Europa. Le riforme istituzionali del Trattato di Lisbona sono chiaramente importanti, ed è anche vero che i cambiamenti apportati alle politiche comunitarie, alla politica estera e della sicurezza comune, della giustizia e degli affari interni nonché ad altri settori assumono un’importanza vitale perché l’Unione possa affrontare il futuro e le sfide che ci attendono. Tuttavia l’esistenza di un catalogo di diritti, vincolante per le Istituzioni europee e gli Stati membri nel momento in cui applicano la legislazione europea, ha un significato che va ben oltre tutto questo. D’ora in poi, poniamo i nostri cittadini al centro del progetto europeo.

Poiché il discorso verte sui diritti fondamentali, a nome della Presidenza e quindi del mio paese, voglio anche esprimere la mia soddisfazione per il protocollo del Trattato di Lisbona che prevede l’adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché tale documento rappresenta il concretizzarsi di un’ambizione nutrita da tempo.

Riguardo a tutto ciò, devo congratularmi con il Parlamento e con l’onorevole Leinen per avere approvato il 12 novembre il presente progetto di relazione della commissione per gli affari costituzionali. L’Assemblea ha ancora una volta dimostrato il proprio impegno per i diritti fondamentali dell’Unione europea. Non mi resta altro che esprimere il mio sincero auspicio che il Parlamento possa votare a favore di questa relazione, consentendo alle tre Istituzioni di proclamare solennemente la Carta dei diritti fondamentali il 12 dicembre.

(Applausi)

 
  
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  Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. (EN) Signora Presidente, la Carta dei diritti fondamentali rappresenterà uno strumento essenziale nell’ambito della nostra Unione basata sullo Stato di diritto. Essa riporta un vero e proprio catalogo dei diritti di cui dovrebbero godere tutti i cittadini dell’Unione, da quelli individuali legati alla dignità, alla libertà, all’uguaglianza e alla solidarietà, fino a quelli che concernono la condizione di cittadinanza e la giustizia. La Carta non modificherà le competenze dell’Unione, bensì offrirà diritti più forti e una libertà maggiore ai cittadini.

Le istituzioni, gli organi, gli uffici e le agenzie dell’Unione saranno vincolati dai diritti previsti dalla Carta e i medesimi obblighi spetteranno anche agli Stati membri, quando attueranno la legislazione comunitaria. I cittadini potranno appellarsi ai diritti della Carta dinanzi ai tribunali, e la corretta applicazione della Carta stessa sarà ufficialmente controllata dalla Corte di Giustizia.

La Commissione valuta favorevolmente che il potere giuridicamente vincolante della Carta sia stato mantenuto nel corso dei negoziati interni alla Conferenza intergovernativa. Come il Parlamento, avremmo preferito assistere all’adozione della Carta in tutti i 27 Stati membri, senza eccezioni alla piena applicabilità in sede di giudizio, ma non dovremmo comunque sottovalutare i risultati ottenuti. La forza giuridica costituisce uno dei maggiori passi in avanti compiuti verso la realizzazione di un’Unione legittima e responsabile, concentrata sugli interessi dei cittadini. All’inizio questo obiettivo non era affatto scontato, e si è dovuto compiere un lungo cammino per realizzarlo pienamente.

La Carta proclamata nel 2000 non era giuridicamente vincolante. Durante la Convenzione europea del 2002-2003 e la successiva CIG del 2003-2004, essa fu adattata a tale scopo, ma il processo fu poi interrotto per la mancata ratifica del Trattato costituzionale.

Al Consiglio europeo del giugno 2007 è stato deciso che il trattato futuro avrebbe incluso un riferimento alla Carta, nella versione adattata e infine approvata nel 2004, e che avrebbe avuto lo stesso valore giuridico dei trattati, come ora è prescritto nel nuovo Trattato.

Il relatore propone che il Parlamento approvi la Carta quale passo necessario prima della proclamazione solenne e, naturalmente, la Commissione appoggia in pieno tale suggerimento. Anche la Commissione approverà la Carta il 12 dicembre, unitamente ai Presidenti del Parlamento e del Consiglio.

La proclamazione della Carta revisionata fornirà la base per un riferimento all’interno del nuovo Trattato, che sarà firmato il giorno successivo a Lisbona, estendendo il valore giuridico e l’applicabilità in sede di giudizio ai diritti ivi contenuti.

Grazie al nuovo Trattato e alla Carta dei diritti fondamentali, l’Unione rafforzerà innegabilmente la propria tutela dei diritti umani. L’Unione Europea non è solo un mercato, ma anche uno spazio comune basato su valori e diritti condivisi.

 
  
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  Jo Leinen, relatore. (DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente, onorevoli colleghi, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea rappresenta un componente fondamentale del Trattato di Lisbona, anzi potrebbe addirittura definirsi l’anima del nuovo Trattato di riforma. Sono lieto che le tre Istituzioni siano tutte concordi nel considerare il Trattato di Lisbona un documento incentrato non solo sulle istituzioni o sulle politiche, ma sulle persone, sui 500 milioni di persone che risiedono nell’Unione Europea. La Carta è un segno tangibile dell’impegno espresso dall’Unione europea per tutelare i nostri cittadini nei confronti di tutti gli atti promulgati dall’UE.

In quest’ottica, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea costituisce una pietra miliare nel percorso di passaggio da un’Europa degli Stati ad un’Europa dei cittadini, e tale processo è sempre stato appoggiato da noi del Parlamento europeo. Con questa Carta e i 50 diritti e libertà in essa contenuti, l’Unione Europea acquisirà il catalogo dei diritti fondamentali più completo e moderno a livello mondiale. Non esiste nulla del genere in nessun’altra parte del mondo, e quindi dovremmo essere fieri del risultato. A partire dall’articolo 1 sulla tutela della dignità umana, fino all’ultimo articolo della Carta, concernente il diritto di non essere puniti due volte per lo stesso reato, la Carta garantisce una maggiore tutela dei diritti e ne cita anche alcuni non necessariamente contemplati all’interno delle singole costituzioni dei 27 Stati membri. Vorrei semplicemente richiamare la vostra attenzione su alcuni punti come il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani attraverso la moderna tecnologia genetica, oppure il diritto alla protezione dei dati di carattere personale, alla libertà d’informazione e d’accesso ai documenti, ma anche il diritto a un buon governo (“good governance”), che propugniamo in tutto il mondo, ma che naturalmente deve valere anche per noi in prima persona.

Per la prima volta, un catalogo dei diritti fondamentali pone sullo stesso piano i diritti economici e sociali da un lato e i diritti politici e le libertà civili dall’altro. In un’epoca di globalizzazione, sono certo che fornirà un’adeguata tutela alle persone. Come ha ripetutamente segnalato il Parlamento, è deplorevole che il nuovo Trattato non riporti integralmente il testo della Carta e che quest’ultima, di conseguenza, non risulti tanto visibile quanto avrebbe potuto esserlo. Tuttavia, ritengo che dovremmo notare con soddisfazione quanto dichiara l’articolo 6 del Trattato di Lisbona: “L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Tale dichiarazione fuga ogni dubbio circa la possibilità per i cittadini dell’Unione europea di ottenere, grazie al Trattato, la tutela dei propri diritti dinanzi ai tribunali nazionali e, in ultima istanza, dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee a Lussemburgo.

Dobbiamo ancora approvare questa Carta in seduta plenaria poiché è stata modificata e, purtroppo, potremmo osservare che risulta peggiorata rispetto all’edizione del 2000. Mi riferisco in particolare alla diluizione dell’articolo 52, che potrebbe determinare problemi nell’interpretazione delle clausole ancora molto vaghe in esso contenute. Tuttavia, la Carta è stata salvata e farà parte dei trattati. Ritengo che la Carta sia un simbolo. Proprio come ribadito in quest’Assemblea: l’UE non rappresenta solo un grande mercato con la relativa unione monetaria, ma è anche una comunità di valori incaricata della loro difesa sia sul piano delle politiche interne, che su quello delle politiche estere europee.

L’opzione di non partecipazione, esercitata da due Stati membri come il Regno Unito e la Polonia, è estremamente deplorevole. Tale atto è fonte di rammarico e desidero rivolgere un appello ai Governi e ai Parlamenti di questi due paesi, perché intraprendano tutti gli sforzi possibili per ritirare tale opzione nel più breve tempo possibile, consentendo a tutti i 27 Stati membri di difendere, su una medesima base comune, i diritti fondamentali e i valori dell’Unione. Sostengo quindi l’approvazione dell’emendamento dei Verdi, che domani dovrà essere votato in aggiunta alla relazione della commissione per gli affari costituzionali. Vi invito quindi a votare in favore di questa importante relazione.

 
  
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  Íñigo Méndez de Vigo, a nome del gruppo PPE-DE.(ES) Signora Presidente, questa mattina il mio gruppo ha ricordato e festeggiato l’approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ora i membri del mio gruppo indossano una spilla con lo slogan: “Yes to the Europe of values” (“Sì all’Europa dei valori”).

A tale proposito, concordo con le dichiarazioni pronunciate dagli oratori precedenti, in particolare con la Vicepresidente Wallström, ossia che l’Unione europea non è soltanto un mercato. L’Unione europea è un progetto politico, basato su principi e valori che uniscono tutti i popoli europei.

Di conseguenza, signora Presidente, oggi è un buon giorno, perché è in programma una risoluzione che ci consentirà di celebrare e proclamare solennemente questa Carta dei diritti fondamentali durante la prossima tornata di Strasburgo.

Come tutti sanno, chi di noi aveva avuto la fortuna di partecipare alla redazione della presente Carta nella prima Convenzione, ne era uscito con l’amaro in bocca. E questo per due ragioni: la prima è che, nonostante avessimo abbozzato la Carta in modo da renderla giuridicamente vincolante, alla fine non si è potuto centrare questo risultato a Nizza perché sei governi l’hanno respinta.

Tuttavia il tempo ci ha dato ragione, e ora la Carta avrà valore giuridico grazie al Trattato di Lisbona. L’amarezza si è trasformata in soddisfazione.

La seconda ragione, signora Presidente, è che a Nizza, per quanto mi ricordo, non c’è stata alcuna proclamazione solenne. Poiché la Carta è stata firmata in sordina, si è persa la grande opportunità di spiegare ai popoli europei che i diritti e le libertà da essa sanciti costituiscono le nostre caratteristiche identificative.

Tuttavia, grazie alla determinazione del Presidente del Parlamento europeo e dei nostri tre rappresentanti in seno alla Conferenza intergovernativa, il 12 dicembre, durante la tornata di Strasburgo, raggiungeremo l’obiettivo mancato a Nizza. Proclameremo solennemente questa Carta e riaffermeremo, come hanno fatto i membri del gruppo PPE-DE, il nostro impegno per i diritti e le libertà da essa sanciti.

Voteremo, signora Presidente, a favore della relazione dell’onorevole Leinen.

 
  
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  Richard Corbett, a nome del gruppo PSE. (EN) Signora Presidente, il gruppo PSE sostiene la riadozione della Carta nella sua nuova versione affinché possa, attraverso il Trattato di riforma, diventare vincolante per le Istituzioni europee. In tal modo, si colmerà un grande divario. Finora, le Istituzioni europee in quanto tali non sono mai state vincolate in modo così inoppugnabile al rispetto degli stessi diritti, che tutti i nostri Stati membri osservano in virtù delle loro costituzioni, dell’adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo o ad altri strumenti internazionali affini. La Carta sarà vincolante per le Istituzioni europee, e tutto l’apparato legislativo comunitario dovrà osservare tali diritti, pena l’annullamento della legislazione europea da parte delle corti.

Suscita sorpresa l’opposizione alla Carta di alcuni euroscettici che, come viene da pensare, dovrebbero invece giudicare favorevolmente l’obbligo – o meglio il vincolo – imposto alle Istituzioni europee perché agiscano in questa direzione – eppure ve ne sono! E’ forse inopportuno che, di conseguenza, alcuni Stati membri abbiano avvertito la necessità di specificare, in un apposito protocollo, come la Carta dovrà interagire con le rispettive leggi nazionali.

Ciò ha a sua volta determinato confusione. Un collega vi ha appena fatto riferimento parlando di opzione di non partecipazione; naturalmente non si tratta di nulla del genere. La Carta resta vincolante per le Istituzioni europee e per l’intero apparato legislativo comunitario, indipendentemente dalle sue ripercussioni sulle leggi nazionali di alcuni paesi.

 
  
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  Andrew Duff, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signora Presidente, la solenne proclamazione della Carta rappresenta l’apice del nostro lavoro che, fin dal 1999, mira a creare una forma superiore di regime dei diritti per l’Unione.

Poiché lo scopo primario della Carta è la tutela dei cittadini dall’abuso degli ampi poteri attualmente conferiti all’Unione, è strano e deprecabile che uno Stato membro cerchi di sottrarsi al suo effetto vincolante. Sono convinto che il protocollo britannico sarà considerato imperfetto dal punto di vista giuridico, nonché come un grave errore politico.

I tribunali sono tenuti ad elaborare una giurisprudenza per l’intero sistema dell’Unione, che non guardi alla nazionalità ma resti fedele al principio chiave della legislazione comunitaria, ossia di attingere i diritti fondamentali dalle tradizioni comuni a tutti gli Stati membri, e non esclusive di uno soltanto. E’ mia opinione personale, peraltro condivisa dal mio gruppo, che l’opzione di non partecipazione del Regno Unito sia un atto vergognoso da dimenticare al più presto.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN.(PL) Signora Presidente, la Carta dei diritti fondamentali è stata redatta nel 2000 come una dichiarazione dei valori che avrebbero guidato la politica dell’Unione. Quest’ultima sarebbe entrata far parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Da quel momento in poi, la Corte di giustizia avrebbe cessato di pronunciarsi sulla base dei principi giuridici generali derivanti dalle costituzioni degli Stati membri.

Ora siamo nel 2007 e l’Unione accederà alla Convenzione europea, ma non perché diventi l’unico sistema europeo per la tutela dei diritti umani. Stiamo creando un’alternativa basata su una Carta giuridicamente vincolante. Si tratta della prima volta sotto molti punti di vista. I principi giuridici generali rimarranno come terza serie di fonti per il pronunciamento su questioni concernenti i diritti fondamentali.

Tutto ciò sta complicando il sistema di tutela dei diritti fondamentali in Europa, rendendolo ancora più incomprensibile per i cittadini. Molti europei sono preoccupati della situazione. Queste sono sostanzialmente le ragioni per cui due Stati membri hanno optato in favore di protocolli che li salvaguardino dalle conseguenze inaspettate degli effetti della Carta.

 
  
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  Johannes Voggenhuber, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signora Presidente, oggi mi dichiaro orgoglioso di far parte di quest’Assemblea che, fin dal primo giorno, è stata una valorosa sostenitrice dei diritti fondamentali e civili in generale, nonché di questa Carta in particolare. Nove anni sono trascorsi da quando, al Vertice di Colonia, fu lanciata l’iniziativa di iniziare a lavorare su una Carta giuridicamente vincolante, e questo processo non si è ancora concluso.

Avendo avuto il privilegio di partecipare in prima persona all’intero iter costituzionale, desidero condividere con voi due esperienze. La prima è assai ironica: è strano che, in questi nove anni, nulla sia stato così laborioso e controverso, o così difficile da realizzare come quei documenti che contemplano i principi a fondamento dell’Unione europea, che dovrebbero essere considerati ovvi: la democrazia, i diritti parlamentari, i diritti sociali, l’economia di mercato, la trasparenza legislativa, nonché i diritti e le libertà fondamentali. Questa situazione così strana deve per forza avere attinenza con le cause della crisi di fiducia che sta assalendo l’Unione europea.

La seconda esperienza che desidero condividere con voi è l’importanza di non cedere alla stanchezza o al disincanto, né di scoraggiarsi. Da molto tempo sono convito che Sisifo sia il santo patrono d’Europa. Pertanto ritengo – oggi più che mai – che dovremmo tentare ancora una volta di appellarci alla Polonia e al Reno Unito, in nome dell’indivisibilità dei diritti fondamentali, dei diritti umani e delle libertà inviolabili, affinché si uniscano a questo grande consenso europeo!

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL.(FR) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, durante la nostra prossima seduta approveremo nuovamente la Carta dei diritti fondamentali.

Prima di fare questo, permettetemi di porre una domanda che forse non è così semplice come sembra. Questa sarà la Carta iniziale proclamata nell’anno 2000 o, come suggerisce la relazione Leinen, il rimaneggiamento adattato e completato con il progetto precedente di Trattato costituzionale? Naturalmente i due testi non sono identici e ritengo deplorevole che le loro differenze non siano definite con chiarezza, anche se tale definizione avrebbero sollevato alcune fondate controversie.

Per esempio, la commissione francese dei diritti umani ha espresso, cito, seria preoccupazione per gli emendamenti apportati agli articoli sui diritti sociali – continuo a citare – che minacciano di rimuovere il contenuto sociale della Carta.

Uno dei principali autori della Carta originale, l’avvocato Guy Braibant, ha spiegato alla stampa – cito – che le condizioni di applicazione del testo sono cambiate. Prima di tutto, la parola “potrebbe” è sostituita in alcuni casi con “deve”. In più – continuo a citare – vi è un riferimento ufficiale alle “spiegazioni” del Presidium. Malgrado l’intento teoricamente pedagogico e del tutto neutrale, tali spiegazioni interpretano le leggi in senso piuttosto minimalista. I diritti fondamentali sono stati indeboliti, chiuse le virgolette.

Quale testo approveremo nella prossima seduta? Ho un’altra domanda che discende logicamente dalla prima: l’approvazione sarà valida in tutti i paesi dell’UE? Questo tipo di azione non può tollerare alcuna ambiguità. Per questo apprezzerei una risposta precisa alle mie due domande.

 
  
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  Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. (DA) Signora Presidente, ho partecipato alla preparazione della Carta e, in entrambe le convenzioni, ho proposto una soluzione molto semplice: consentire all’Unione europea di entrare nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Così facendo, le Istituzioni risulterebbero vincolate allo stesso modo dei singoli paesi. Colmeremmo un divario. Nel rendere la Carta giuridicamente vincolante, non ne stiamo colmando nessuno. Anzi, stiamo creando una serie di lacune nelle tutele di cui godiamo come cittadini in virtù delle nostre costituzioni nazionali, e in quanto parte dei diritti umani europei comuni. L’interpretazione attivista della Corte del Lussemburgo avrà sempre la precedenza sia su Strasburgo che sulla nostra Corte suprema. La Carta non è adatta a costituire una fonte di diritto indipendente. E’ troppo imprecisa. Il diritto alla vita inizia con la nascita? Se no, quanti mesi prima? Il diritto di intraprendere un’azione sindacale si applica anche ai dipendenti del settore pubblico? La libertà d’espressione per i funzionari pubblici è molto migliore sotto la Corte di Strasburgo che del Lussemburgo. Inoltre, ieri abbiamo assistito a un esempio da manuale dei possibili conflitti. La Corte di Strasburgo ha dato ragione al giornalista tedesco Hans-Martin Tillack, confermando che l’OLAF ha agito in modo contrario alla legge, quando lo ha arrestato e gli ha confiscato 16 scatole di documenti, computer e telefoni. Lussemburgo sosteneva la tesi del furto delle fonti del giornalista. Strasburgo ha invece condannato il furto e l’arresto, perché attribuisce priorità alla libertà di stampa.

La Carta sarà presentata come una vittoria dei diritti umani. Forse. In realtà, sembra più un biglietto della lotteria falso. In un certo senso, ci stiamo assumendo un grande rischio per diritti umani così faticosamente conquistati come la libertà di espressione e di stampa. L’estrazione dei numeri della lotteria è però decisa dai giudici del Lussemburgo su cui non si esercita alcun controllo parlamentare e, solo nel caso di una loro condanna, i trattati saranno emendati all’unanimità per ovviare a eventuali ripercussioni. Una carta del genere è irrealizzabile e sembra piuttosto un imprigionamento dei nostri diritti.

 
  
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  Jim Allister (NI). - (EN) Signora Presidente, siamo tutti sostenitori dei diritti umani e sto diventando un po’ insofferente verso quelle persone – provenienti soprattutto da paesi in cui, storicamente parlando, tali diritti rappresentano quasi una novità – che attaccano il Regno Unito come se fosse un paria per avere “esercitato” l’opzione di non partecipazione ai sensi del protocollo 7.

A tutti costoro mi permetto di rammentare che, già dal lontano 1688, la Bill of Rights (“Dichiarazione dei diritti”) costituiva il fulcro della Glorious Revolution (“Gloriosa rivoluzione”) compiuta nel Regno Unito. Da allora, il nostro paese è divenuto un faro di libertà: non mi pare quindi il caso di puntare il dito contro di noi e darci lezioni sui diritti umani.

Alcuni potrebbero sentirsi urtati dal fatto che abbiamo guastato la festa, mantenendoci temporaneamente a distanza da alcune trappole del superstatalismo comunitario, ma vorrei precisare che agire in questo senso è un nostro diritto nazionale e politico. Purtroppo, l’opzione di non partecipazione scomparirà quando la Corte di Giustizia porrà mano al proprio ordine del giorno centralizzante. Alla fine, queste persone l’avranno vinta – qualora il Regno Unito si rivelasse così stolto da ratificare il Trattato nonostante l’opposizione del suo popolo.

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE). - (DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente, tra i diritti fondamentali dei cittadini vi è anche quello di non essere ignorati. Questa Carta dei diritti fondamentali offre loro una tutela simile a quella prevista dal classico Stato costituzionale, ma l’Unione europea non è uno Stato. Eppure possiede una competenza legislativa ed è soltanto quest’ultima, in quanto esercitata dalle istituzioni dell’Unione europea, a ricadere su base vincolante sotto la tutela e il controllo della Carta dei diritti fondamentali. Ne consegue che la legislazione europea e l’azione delle Istituzioni europee sono legate a valori e a decisioni basate su di essi, nonché sul primo articolo della Carta, che è il più nobile: “La dignità umana è inviolabile”.

Io interpreto questo principio secondo la concezione cristiana di umanità. Si potrebbe però interpretare partendo anche da altre fonti. L’impegno vincolante da parte nostra nei confronti di tale principio, e da parte delle tre Istituzioni al suo rispetto, rappresenta un enorme passo avanti. Ciò vale per l’intera Unione Europea. E’ indubbio che la Polonia e il Regno Unito siano Stati di diritto. Tuttavia, con la mancata firma e l’esclusione dalla Carta, non proteggono se stessi, ma stanno cercando di mettere al riparo qualcosa che è già protetto. Il fatto è che questa Carta non è per niente applicabile alla legislazione e alle istituzioni nazionali; pertanto, stanno proteggendo una situazione che di fatto è già scontata. Mi auguro che soprattutto in Polonia – dove la maggioranza del Parlamento e della popolazione sono di altro avviso, ma il Presidente si avvale delle proprie facoltà – si assista a un cambiamento in tempo utile.

La natura giuridicamente vincolante della Carta può essere ulteriormente rafforzata se perseguiamo una strategia armonizzata. Signor Presidente in carica, le sono grato perché ci stiamo avvalendo dell’opportunità offerta da una singola personalità giuridica, e perché stiamo portando avanti l’adesione alla Convenzione di Strasburgo. Se ciò avrà esito positivo, l’ambito giuridico europeo acquisirà coerenza, accomunando la tutela dei diritti fondamentali a livello nazionale ed europeo. Spero che nasca un’Europa dei cittadini orientata sui valori, di cui potremo essere fieri!

 
  
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  Józef Pinior (PSE).(PL) Signora Presidente, la Carta dei diritti fondamentali è l’equivalente di inizio XXI secolo delle grandi dichiarazioni dei diritti umani e civili pronunciate nei secoli XVIII, XIX e XX. Si tratta di famose dichiarazioni sulla libertà e sullo Stato di diritto, che hanno forgiato la democrazia contemporanea. La nostra Carta trae origine dagli eventi che hanno contribuito allo sviluppo della democrazia, e più precisamente del sistema contemporaneo della democrazia liberale, nel corso degli ultimi 200 anni.

Non vedo la ragione per cui alcuni paesi europei non debbano adottarla. Chiedo all’onorevole Szymański come si possa seriamente lottare contro di essa nel paese che ha dato i natali a Solidarność, e che ha guidato l’Europa intera a conquistare la sua attuale concezione di libertà, Stato di diritto e democrazia?

Mi appello al governo polacco di Varsavia e, in particolare, al Primo Ministro Tusk. Ministro Tusk, il suo gruppo parlamentare ha vinto le elezioni un mese fa, grazie ai voti dei polacchi che desiderano l’inserimento della Carta nel Trattato di riforma europeo. Confido che non vorrà deludere gli elettori che l’hanno sostenuta un mese fa. Chiedo al governo polacco di includere la Carta dei diritti fondamentali nel Trattato di riforma, in modo che sia vincolante anche nella mia patria. La Polonia di Solidarność, la Polonia europea, la Polonia della tolleranza e dell’apertura ritiene che la Carta dei diritti fondamentali costituisca un elemento fondamentale del Trattato di riforma. Non possiamo permetterci di essere ricattati dall’ala destra conservatrice, che vorrebbe strapparci il consenso a non attuare la Carta nella nostra patria.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO
Vicepresidente

 
  
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  Bronisław Geremek (ALDE).(PL) Signor Presidente, ritengo che la Carta dei diritti fondamentali rappresenti una conditio sine qua non per qualsiasi comunità desideri agire conformemente al sistema di valori che discende dal rispetto della dignità umana. Questo dà origine ai principi di libertà, uguaglianza e solidarietà. Non vedo la ragione per cui paesi come il Regno Unito o la Polonia, che desiderano far parte della Comunità, debbano negare la loro partecipazione a qualcosa che costituisce il fondamento dell’azione comune.

Questa Carta sostiene il riferimento ai valori sociali, al modello sociale europeo. Inoltre dichiara, senza ambiguità di termini, che si applica la legislazione interna nazionale quando si tratta di usi e costumi locali. Di conseguenza, non esiste alcun motivo per esercitare l’opzione di non partecipazione in questo ambito. Confido che sia la Polonia sia il Regno Unito sceglieranno alla fine di partecipare.

 
  
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  Bernard Wojciechowski (IND/DEM).(PL) Signor Presidente, il dibattito su questa relazione tocca molte questioni e, indirettamente, anche la base per creare un nuovo quadro giuridico. Nell’agosto 2007, il Presidente di questo Parlamento ha reso una dichiarazione in proposito a una riunione di profughi. Ha affermato che la fonte del diritto alla patria dovrebbe essere ricercata nel diritto alla dignità e, come tale, costituisce un diritto umano fondamentale.

Il diritto alla dignità è sancito dal primo articolo della Carta. L’opinione del Presidente è stata criticata in seno al Parlamento polacco. L’Associazione tedesca dei profughi lamenta il destino delle persone reinsediate dalla Polonia. Cosa succederebbe se le rimostranze tedesche e un’interpretazione specifica della dignità umana fossero applicate all’Alsazia e alla Lorena? Un centro per i reinsediati potrebbe essere istituito anche in questo caso, oppure ci sarebbe una riconciliazione? Tentare di far discendere il diritto alla patria dal diritto alla dignità costituisce un’interpretazione errata dell’assiologia dei diritti umani, come ha affermato l’onorevole Karski, deputato del Parlamento polacco. Un’interpretazione che faccia chiarezza sulla legislazione primaria è accettabile, ma non lo è la sua estensione.

Il Presidente del Parlamento europeo ha fatto riferimento a Papa Giovanni Paolo II. Desidero ricordare a quest’Assemblea e al suo Presidente che nel 1965 l’allora arcivescovo Karol Wojtyła pubblicò una dichiarazione scritta, secondo la quale i vescovi tedeschi avrebbero chiaramente affermato che i tedeschi reinsediati dall’Est desideravano, e in verità dovevano, capire che un’intera nuova generazione di Polacchi stava crescendo in quella regione, e quei Polacchi consideravano come patria la terra assegnata ai loro genitori. Questo argomento non richiede alcuna disquisizione morale o giuridica, né interventi di oratori sentimentali.

Sono fermamente convinto che possiamo comunque raggiungere l’unanimità sulla Carta in quest’Assemblea, nonostante la recente allusione del Presidente Sarkozy al fatto che l’unanimità contraddice la democrazia. Vane speranze, Presidente Sarkozy, dato che lei non è riuscito nemmeno a convincere i lavoratori della metropolitana parigina.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI).(NL) Signor Presidente, nessuno può contestare che i cittadini d’Europa debbano essere dotati di diritti e libertà fondamentali, rispetto ai ai loro paesi nonché all’Unione europea. Un’Europa senza diritti e libertà cesserebbe di essere Europa. Oggi, tuttavia, non è questo il problema, perché le costituzioni nazionali e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo tutelano già a sufficienza i cittadini nei confronti dei rispettivi governi. Per quanto riguarda le Istituzioni europee, i cittadini possono affermare i propri diritti e libertà fondamentali in accordo con la giurisdizione fissa della Corte di giustizia. Il vero punto della questione è che, con la proclamazione di questa Carta, si compie un altro passo verso l’Europa federale. La gente vuole una Dichiarazione dei diritti europea come quella della Confederazione degli Stati Uniti. Eppure, la differenza tra i due documenti è che questa Carta non si limita ad enumerare i diritti e le libertà tradizionali. A volte, tuttavia, sembra effettivamente un’enumerazione di tutte le promesse socio-economiche possibili. Il manifesto non corrisponde minimamente al carico.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld (PPE-DE). - (SV) Signor Presidente, signora Vicepresidente, signor Presidente in carica, onorevoli colleghi e – non da ultimo – cittadini d’Europa, oggi è un’occasione di festa, un grande momento, un giorno di gioia immensamente importante, molto più importante di quanto tanti di noi possano rendersene conto. E’ importante per coloro che credono sia nel principio dei diritti fondamentali sia nello sviluppo e nell’integrazione dell’Europa.

La necessità, che le Istituzioni dell’UE siano vincolate ai valori sostenuti da noi tutti, avrebbe dovuto risultare evidente già da parecchio tempo, ma non è stato così. In effetti, anche i Britannici credono nei principi della legge, a prescindere da come vengono posti in essere. Ben pochi parlamentari direbbero che sono lieti di assistere alla soppressione dei diritti umani; anzi, la grande maggioranza esprime un’opinione diametralmente opposta. E’ stata una gioia e un onore avere partecipato allo sviluppo di questi valori che, ne sono convinta, rivestono grande significato per noi.

Ora sappiamo tutti cosa rappresenta l’Unione, anche se non siamo riusciti a leggere l’intero Trattato. Si tratta di valori belli, buoni, a cui tutti dobbiamo contribuire, e dobbiamo garantire che l’Unione ci aiuti ad applicarli correttamente. Grazie di cuore a Jo Leinen e a tutti coloro che ci hanno assistito nel lavoro, e – non da ultimo – congratulazioni vivissime ai popoli d’Europa!

 
  
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  Libor Rouček (PSE).(CS) Onorevoli colleghi, il 12 dicembre il Presidente del Parlamento, assieme ai Presidenti del Consiglio e della Commissione europea, proclamerà solennemente la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Sono convinto che, nella votazione di domani, la schiacciante maggioranza dei deputati esprimerà il proprio consenso a questo documento e a questo passo storico.

La Carta dei diritti fondamentali rispecchia il patrimonio morale e spirituale apportato dai popoli europei all’Unione. Riflette valori come la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, i principi di democrazia e lo Stato di diritto. Si concentra sull’individuo perché, tra l’altro, la Carta stabilisce la cittadinanza dell’Unione. Sono lieto che la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali abbia luogo dopo l’allargamento dell’Unione europea ai nuovi Stati membri. Ciò significa che la Carta, a suo modo, è un riflesso morale, giuridico e politico dell’unità dell’Unione europea: da ovest a est, da nord a sud. Ritengo inoltre che i governi e i parlamenti di Polonia e Regno Unito arriveranno a comprendere questo fatto e che, nel prossimo futuro, consentiranno ai loro cittadini di partecipare a questo momento storico.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). (SK) Accolgo favorevolmente l’approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, perché rende più visibili quei diritti che già esistono per i cittadini dell’Unione europea. Tuttavia, desidero chiedere che siano chiariti i possibili conflitti d’interessi tra questa Carta dei diritti fondamentali, un documento dell’Unione europea, e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, un documento del Consiglio d’Europa, che l’Unione europea ha altresì dichiarato di voler osservare. Da ciò consegue che potrebbe sorgere un conflitto d’interessi tra la Corte di giustizia del Lussemburgo e la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

Quale sarà la posizione della Corte di Strasburgo rispetto a quella del Lussemburgo? Sarà una corte suprema e costituzionale? Questo risultato è attualmente accettabile per la Corte di giustizia? L’Unione europea, che è dotata di personalità giuridica, ha un giudice separato nella Corte europea dei diritti dell’uomo? Desidero sottolineare la necessità di risolvere tale questione giuridica in modo da evitare un problema perché, quando la Carta dei diritti fondamentali diventerà giuridicamente vincolante, mi aspetto un aumento delle controversie legali nell’ambito dei diritti umani.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, anch’io sono lieto, come quasi tutti i colleghi che mi hanno preceduto – purtroppo solo quasi tutti –, di conferire il mandato, nella giornata di oggi o domani, al Presidente di quest’Assemblea per la firma della Carta.

I diritti dell’uomo rappresentano il nostro tratto distintivo sia all’interno che all’esterno dell’Europa. Tuttavia esorto alla prudenza, a non farci prendere dall’entusiasmo né a “fare il passo più lungo della gamba”. Attraverso la Carta e la necessaria ratifica del Trattato di Lisbona, stiamo ponendo una base giuridicamente vincolante per gli importanti diritti fondamentali classici e sociali, che diventeranno impegnativi per le Istituzioni europee e per l’applicazione delle leggi comunitarie. Inoltre, stiamo rendendo possibile il ricorso alla Corte di giustizia del Lussemburgo per affermare tali diritti fondamentali, anche se a condizioni stabilite in modo molto restrittivo. Tuttavia, ciò non significa che ogni cittadino potrà presentare immediatamente un’istanza alla Corte, né che potrà farlo sempre come alcuni – presi dall’emozione – hanno occasionalmente affermato. Tali affermazioni non sono utili all’oggetto che qui ci interessa.

Asteniamoci quindi da questo genere di dichiarazioni, che ci fanno mancare l’obiettivo, e riteniamoci soddisfatti del risultato raggiunto. Ora abbiamo impostato una linea di condotta importante nell’Unione europea – non solo rispetto ai diritti classici ma anche alla nostra politica sociale – di cui, in tutta coscienza, possiamo essere orgogliosi. Essa contempla l’equilibrio tra famiglia e lavoro, il divieto del lavoro minorile, la protezione della salute per tutti, nonché un elevato livello di tutela dell’ambiente e dei consumatori. Dovremmo esserne lieti; è la verità e non occorre abbellirla!

 
  
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  Carlos Carnero González (PSE).(ES) Signor Presidente, ritengo che stiamo discutendo un argomento straordinariamente importante per la gente. Senza dubbio, cercare di spiegare la riforma dell’Unione europea può risultare molto complicato, ma è certamente facile sottolineare l’importanza della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Sarà giuridicamente vincolante? Se anche non è esplicitamente dichiarato nel Trattato, è nostro dovere farlo sapere. A mio giudizio, la decisione che abbiamo preso di firmare la Carta prima del Trattato di Lisbona è molto positiva. Da questo momento in poi, dobbiamo anche dire che non saranno consentite altre eccezioni in futuro, poiché hanno un effetto negativo sui cittadini dei paesi interessati e dell’Unione europea nel suo insieme.

Ritengo quindi di vitale importanza compiere uno sforzo, come ha proposto l’onorevole Leinen nella sua relazione, per sostenere chiaramente la Carta dei diritti fondamentali e la sua natura giuridicamente vincolante.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 29 novembre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Magda Kósáné Kovács (PSE), per iscritto. (HU) I cittadini dei paesi europei hanno lottato sia autonomamente che insieme per ciascuno dei diritti contenuti nella Carta dei diritti fondamentali. Proprio per questo motivo, ci rallegra constatare che, divenendo tale Carta giuridicamente vincolante, finalmente i diritti fondamentali potranno concretizzarsi con maggiore efficacia non solo negli Stati membri, ma anche a livello di legislazione e applicazione europea.

I cittadini europei ne godranno i benefici, se potranno accedere al rimedio legale in caso di violazione dei loro diritti fondamentali a livello europeo. Tali garanzie renderanno l’Unione europea e le sue Istituzioni più democratiche, più direttamente accessibili e più verificabili per mezzo miliardo di cittadini europei.

Rendere la Carta dei diritti fondamentali giuridicamente vincolante chiuderà un capitolo nella storia della lotta per i diritti fondamentali. Ritengo altresì che, per quanto riguarda il futuro, la Carta debba diventare l’ars poetica d’Europa. Accanto all’interesse economico comune, l’Europa deve indicare la strada da seguire per i diritti fondamentali, e plasmare i suoi abitanti come un’unica entità, non solo attraverso i diritti classici di libertà, ma anche garantendo i diritti sociali e culturali, le pari opportunità e i diritti delle minoranze.

Nella sua Ars poetica Orazio disse: “Voi che scrivete, scegliete una materia adatta alle vostre forze e provate a lungo che cosa le vostre spalle…possano sostenere”. Spero che le Istituzioni dell’Unione europea siano forti e coraggiose a sufficienza per garantire gli stessi diritti fondamentali a tutti i cittadini in ogni angolo d’Europa.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE), per iscritto. (FI) Il 19 ottobre è stato firmato a Lisbona un trattato che renderà l’Unione europea più fattibile e democratica, rafforzandone i diritti civili. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve diventare giuridicamente vincolante, e l’UE dovrebbe aderire alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La Carta dei diritti fondamentali costituiva la seconda parte della Costituzione non ratificata. In una conferenza intergovernativa, i deputati di quest’Assemblea hanno approvato un’iniziativa per cui i Presidenti del Parlamento europeo e della Commissione, nonché il Presidente in carica del Consiglio firmeranno la Carta dei diritti fondamentali il 12 dicembre, in una cerimonia che si svolgerà durante la seduta plenaria del Parlamento, e tale documento sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Ciò si accorda in modo eccellente con i valori rappresentati dalla Carta dei diritti fondamentali. Inoltre, la cerimonia accrescerà la visibilità del documento. Per tutti questi motivi è ovvio che desideriamo conferire al nostro Presidente, Hans-Gert Pöttering, il mandato di firma.

 

15. Principi comuni di flessicurezza (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Ole Christensen, a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, sui principi comuni di flessicurezza [2007/2209(INI)] (A6-/2007).’’’.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, pensavo che mi chiedesse un intervento conclusivo sulla discussione concernente la Carta, che non ho preparato, e questo spiega la ragione della mia confusione.

Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, la questione della flessicurezza costituisce un punto fondamentale nell’ordine del giorno europeo e risulta essenziale per il futuro dei modelli economici e sociali europei. Si tratta di una questione complessa, che comporta la capacità di gestire i cambiamenti nonché di promuovere l’occupazione e la sicurezza sociale nell’ambito di un contesto globale in rapido cambiamento, con la necessità di trovare risposte alle sfide della competizione globale, dell’innovazione tecnologica e dell’invecchiamento demografico. Ci occorrono mercati più flessibili, ma ciò significa anche che dobbiamo garantire condizioni e strumenti migliori nonché più sicurezza ai nostri cittadini, affinché possano affrontare positivamente il cambiamento. Questa è la sfida che dobbiamo affrontare.

Da parte nostra, la Presidenza portoghese ha tentato di contribuire attivamente alla ricerca di soluzioni integrate ed equilibrate in questo ambito. A seguito della comunicazione della Commissione presentata a giugno, avevamo la responsabilità di condurre un processo finalizzato a eseguire il mandato del Consiglio europeo e raggiungere il consenso sul principio comune della flessicurezza. La comunicazione della Commissione costituiva naturalmente un eccellente punto di partenza per questo lavoro, poiché ci ha aiutato a sviluppare il concetto e a intensificare la discussione delle soluzioni, che potevano fungere da piattaforma comune per le varie linee che ogni Stato membro avrebbe dovuto seguire.

Considerando che i punti di partenza e le situazioni sono vari, le soluzioni dovranno essere altrettanto differenziate. Al fine di creare le condizioni per un avanzamento in quest’ambito, abbiamo sviluppato varie iniziative con le principali parti attive a livello europeo, compresa una Conferenza sulle sfide della flessicurezza. Tale incontro ha registrato una buona partecipazione dal punto di vista politico e ha consentito di discutere gli sviluppi in proposito, nonché le prospettive future. Abbiamo altresì cercato di analizzare l’esperienza acquisita nei paesi in cui i modelli sono stati applicati con buoni risultati, e di individuare quegli elementi che possono essere impiegati anche in altri contesti. Abbiamo altresì acquisito le opinioni di commissioni di esperti sull’occupazione e sulla previdenza sociale, nonché del Comitato delle Regioni. Abbiamo anche cercato di incoraggiare la partecipazione delle parti sociali attive in questo ambito, poiché siamo consapevoli che il nuovo modello richiede l’impegno risoluto di tutte le parti in causa e la considerazione degli interessi di tutti.

In questo contesto, l’accordo che abbiamo raggiunto con le parti sociali durante il Vertice sociale tripartito, tenutosi il 18 ottobre a Lisbona, ha fornito un importante impulso a questa discussione. Il dialogo a vari livelli e il coinvolgimento delle parti sociali risultano decisivi per garantire il successo di qualsiasi strategia di riforma dei mercati del lavoro. Il coinvolgimento generale nel processo è la chiave per trovare soluzioni positive, e abbiamo bisogno di un clima di fiducia tra le parti sociali e con le istituzioni. Noi tutti dobbiamo essere preparati ad accettare e ad assumerci la responsabilità del cambiamento. Desidero sottolineare la qualità della discussione e degli interventi in tutte le fasi, sia in termini tecnici e accademici che in termini di disamina del contenuto politico e del processo.

A seguito di tutte le attività menzionate, per le quali abbiamo sempre potuto contare sull’assistenza della Commissione, il Consiglio è ora in grado di sostenere un serie di principi comuni di flessicurezza, che auspichiamo di approvare formalmente durante l’incontro del 5 e 6 dicembre. Questi principi comuni, su cui tutti abbiamo concordato, comprendono in particolare la considerazione della diversità delle situazioni nazionali, che richiederanno approcci e soluzioni altrettanto differenziati, l’esigenza di superare la segmentazione del mercato del lavoro, le varie dimensioni della flessicurezza – legislazione del lavoro, istruzione, formazione, previdenza – il riconoscimento dell’importanza del dialogo sociale in questo contesto, la promozione dell’inclusione sociale, la non discriminazione, la parità e la riconciliazione di lavoro e vita familiare, nonché l’esigenza di garantire compatibilità tra le politiche da un lato e la solidità e sostenibilità delle finanze pubbliche dall’altro. Desidero sottolineare che, in buona sostanza, si è riscontrato un vasto accordo in quest’Aula. Devo porre in risalto l’eccellente lavoro che noi e quest’Assemblea abbiamo compiuto in proposito.

Una volta adottati, i principi comuni formeranno uno strumento essenziale per l’attuazione del prossimo ciclo della strategia di Lisbona. Gli Stati membri saranno invitati a considerare questi principi nel definire e attuare le politiche nazionali, sviluppando i propri meccanismi e approcci in relazione alle situazioni specifiche, che saranno monitorate nell’ambito dei programmi di riforma nazionali. Le parti sociali saranno altresì incoraggiate a tutti i livelli, perché contribuiscano alla definizione e all’attuazione delle misure di flessicurezza utilizzando i principi comuni come riferimento. Riteniamo essenziale investire nella mobilità sociale dei nostri cittadini all’interno di questa strategia e, in proposito, devo citare l’importanza vitale assunta dal coinvolgimento di quest’Assemblea. Dato il soggetto che rappresenta politicamente e la sua vicinanza alle persone, quest’Aula può fornire un eccellente contributo nell’assicurare una migliore comprensione del concetto di flessicurezza. Il principio fondamentale è che la flessibilità e la sicurezza devono essere considerate come elementi di sostegno e rafforzamento reciproco, piuttosto che di opposizione, e questo deve essere pienamente compreso dai nostri cittadini.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. − (CS) Signor Presidente, la comunicazione dalla Commissione sulla flessicurezza ha dato origine a un’importante e utile discussione in tutta l’Unione. Ringrazio il relatore, l’onorevole Christensen, e gli altri deputati che hanno partecipato attivamente alla disamina del concetto.

Grazie al vostro impegno e alla cooperazione con le altre commissioni parlamentari, il Parlamento europeo sarà in grado di approvare una risoluzione che sosterrà significativamente l’approccio proposto dalla Commissione. Nella nostra società, la sicurezza dipende dal cambiamento. Ora dobbiamo coordinare le modalità per ricercare nuove forme di sicurezza: migliori qualifiche, la capacità di trovare nuove occupazioni, misure di protezione moderne e adeguate al nuovo mercato del lavoro.

In anni recenti, per ogni posto di lavoro perso nell’industria europea, ne sono stati creati quattro nuovi in altri settori. La questione più importante è come acquisire il controllo di questi spostamenti e gestire il cambiamento con successo. Dobbiamo inoltre chiederci per quali motivi si sta assistendo alla segregazione del mercato del lavoro in alcuni Stati membri.

Accolgo molto favorevolmente la relazione che state esaminando oggi, in quanto riconosce che la flessicurezza può offrire una strategia per la riforma del mercato del lavoro. Inoltre, il testo sostiene la struttura in quattro assi delineata dalla Commissione per la politica della flessicurezza. Mi sento quindi di esprimere tutto il mio sostegno alla proposta sui principi comuni menzionata al paragrafo 15 della presente relazione. Le vostre proposte si orientano grosso modo nella stessa direzione di quelle che la Commissione ha formulato nella sua comunicazione. Comprendo il vostro desiderio che alcune questioni, come le misure per combattere la precarietà, siano illustrate con maggiori dettagli. Tuttavia, ritengo che i principi debbano essere concisi e considerati dal punto di vista dell’intera comunicazione.

Desidero altresì esprimere la mia soddisfazione per il consenso espresso dalle parti sociali europee a partecipare all’analisi dei problemi del mercato del lavoro; la loro analisi, presentata al recente Vertice sociale tripartito di Lisbona il 18 ottobre 2007, prendeva in esame anche la flessicurezza. Il loro consenso dimostra che il dialogo sociale può portare a risultati concreti. In effetti, lei ha fatto riferimento a quest’analisi congiunta nella sua proposta di risoluzione.

Ora vorrei rispondere ad alcune opinioni critiche espresse nella sua relazione. Per quanto mi è dato capire, lei continua a sostenere che la discussione sulla flessicurezza dovrebbe essere più equilibrata. Prima di tutto, desidero ricordarle che la comunicazione della Commissione è il risultato di un intenso dialogo tra tutte le parti interessate e di un’attenta consultazione con specialisti di spicco in questo campo. Sono convinto che l’approccio della Commissione sia equilibrato, poiché l’obiettivo è sostenere simultaneamente la flessibilità e la sicurezza e, com’è già stato detto, questi due elementi sono sinergici e per nulla incoerenti.

E’ ovvio che la discussione sulla flessicurezza non deve essere utilizzata impropriamente per puntare alla deregolamentazione del mercato del lavoro. Al contrario, la flessibilità e la mobilità devono avere un obiettivo più elevato: posti di lavoro migliori, un migliore equilibrio tra lavoro, vita privata e famiglia, un’economia più efficiente nel suo complesso. Come sapete, nelle prossime settimane il Consiglio prenderà una decisione in merito ai principi comuni della flessicurezza. In seguito, le parti interessate procederanno alle discussioni programmate a livello nazionale, che consentiranno l’attuazione delle strategie di flessicurezza in riferimento alle caratteristiche specifiche dei singoli Stati. Confido che le relative parti interessate garantiranno il raggiungimento di un approccio equilibrato nell’ambito della flessicurezza.

Per quanto riguarda il lato economico, si dovrebbe apprezzare che i costi associati alla politica della flessicurezza risultino di gran lunga inferiori ai benefici concreti in termini di maggiore dinamismo del mercato del lavoro e minore disoccupazione. Inoltre, per tutta una serie di casi, ciò non significa un aumento dei costi finanziari, bensì un uso più efficiente delle risorse disponibili.

Desidero inoltre rispondere al paragrafo della relazione, in cui si afferma che il contratto a tempo indeterminato dovrebbe costituire la base di un sistema di sicurezza sociale. La Commissione non ha assolutamente intenzione di sminuire l’importanza del contratto a tempo indeterminato. Tuttavia, ritengo che dovremmo adottare sistemi più generali di sicurezza sociale, applicabili sia ai contratti a tempo indeterminato sia all’impiego a tempo parziale: in breve, l’intenzione è fornire a queste forme di occupazione un’adeguata copertura a livello di sicurezza sociale, e non di indebolire i contratti a tempo indeterminato.

Signor Presidente, ritengo che, eccezion fatta per qualche riserva, la relazione offra un utile e rilevante contributo alla discussione sulla flessicurezza e, ancora una volta, desidero ringraziare per questo il Parlamento europeo.

 
  
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  Ole Christensen, relatore. (DA) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è per me un grande piacere partecipare alla seduta di oggi in qualità di relatore. I negoziati in Parlamento sono stati completati, e ora possiamo presentare una relazione equilibrata che riflette gli atteggiamenti di tutto lo spettro politico. Il concetto complessivo alla base delle presenti linee guida sulla flessicurezza è affrontare le sfide che interessano i mercati del lavoro in Europa. Notate che utilizzo il plurale, ossia “mercati del lavoro”, perché la relazione riconosce che non esiste una ‘”taglia unica” per la flessicurezza. Nonostante non vi sia un modello comune in proposito, dobbiamo riconoscere che l’Europa sta affrontando molte sfide comuni nei suoi mercati del lavoro, e quindi necessita di una risposta congiunta. Tra le sfide demografiche emerge che, nel 2050, per ogni pensionato ci saranno 1,5 dipendenti. Attualmente, il dato è di 3 dipendenti per pensionato. Circa 100 milioni di europei vivono sulla soglia della povertà o al di sotto di essa. Gli effetti della disuguaglianza si notano anche troppo facilmente se si paragonano tra loro paesi con grandi differenze, come per esempio quelli dell’Europa orientale con quelli dell’Europa occidentale. Tuttavia, tali effetti si possono individuare anche all’interno dei paesi stessi, dove la disuguaglianza sta aumentando. In Europa, il sei per cento dei dipendenti può essere considerato come “lavoratore povero” e un crescente numero di essi sta vivendo il degrado delle proprie condizioni lavorative, la conseguente incertezza dell’occupazione e una situazione molto insoddisfacente. I contratti a breve termine e il lavoro temporaneo stanno aumentando, mentre il normale contratto d’impiego a tempo indeterminato vede minacciata la propria esistenza. Il lavoro precario raggiunge il 12 per cento in Europa. Inoltre, sta crescendo anche il lavoro nero e illegale. In alcuni paesi, il lavoro illegale costituisce quasi il 15 per cento di tutta l’occupazione. Dobbiamo invertire questo andamento, sia perché è oneroso per l’Europa, sia perché queste condizioni di lavoro incerte e instabili colpiscono spesso i gruppi più deboli della società.

L’istruzione costituisce la materia prima più importante dell’Europa in un mercato globale competitivo, ma ad essa non viene prestata sufficiente attenzione. In effetti, il 15 per cento dei nostri giovani abbandona l’istruzione troppo presto, in un periodo in cui il mercato del lavoro sta ponendo elevati requisiti in fatto di conoscenze. Chi non coglie l’importanza dell’istruzione avrà difficoltà a lungo termine, e pertanto abbiamo il dovere di aiutare queste persone.

A questo punto, le sfide sono chiare per l’Europa. La nostra responsabilità è comunicare un messaggio e una visione di come le affronteremo. A tale proposito, desidero ringraziare la Commissione per il suo eccellente contributo. Abbiamo beneficiato di una buona collaborazione per la relazione, e il mio ruolo è stato naturalmente quello di tirare le fila tra le diverse opinioni dell’Aula. La mia percezione di relatore è che vi sia l’esigenza di rafforzare l’attenzione sull’Europa sociale, per garantire che i diritti dei lavoratori siano rispettati in tutta l’UE, e per ottenere posti di lavoro più numerosi e migliori. Una maggiore flessibilità all’interno delle organizzazioni non deve andare a scapito delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Come possiamo garantire questo? Nello specifico, la relazione pone in risalto l’esigenza che il contratto di lavoro a tempo indeterminato diventi il modello standard in Europa. In secondo luogo, dobbiamo garantire che le parti sociali siano maggiormente coinvolte. Un mercato del lavoro flessibile e sicuro si basa sulla condizione che le decisioni non siano prese senza considerare i dipendenti. La loro partecipazione è assolutamente essenziale e non potrà mai essere sottolineata a sufficienza nell’attuazione delle strategie di flessicurezza.

Infine, la relazione tratta ciò che potremmo definire il quadro della flessicurezza. In altre parole, i termini e le condizioni nazionali per attuare la flessibilità e la sicurezza. La flessibilità e la flessicurezza hanno un costo. Tuttavia, non è denaro sprecato; si tratta invece di un investimento che produce un incentivo. Per esempio, se s’investe nel personale, quest’operazione potrebbe forse sembrare una spesa nel breve termine, ma l’esperienza ha dimostrato che produrrà dividendi a più lunga scadenza. Pertanto, la flessicurezza così come noi la intendiamo nell’Europa settentrionale, richiede un sistema previdenziale di una certa entità e dimensione. A tale proposito, dobbiamo essere onesti e ammettere che gli sviluppi attuali di alcuni paesi, dove c’è competizione per una progressiva riduzione della pressione fiscale, complicheranno molto il finanziamento dell’aspetto sociale della flessicurezza. Pertanto, tenterò una volta per tutte di mettere a tacere le voci che definiscono la flessicurezza come un concetto neoliberale, volto a minare i diritti dei dipendenti. Non è questo il caso, anzi è proprio il contrario.

In conclusione spero che, attraverso questa discussione in Aula e in tutta Europa, potremo sfatare alcuni miti che abbondano sull’argomento della flessicurezza. In quanto relatore, grazie al notevole aiuto dei miei colleghi, ho potuto redigere alcune linee guida equilibrate per la flessicurezza, che indicano come l’Europa dovrebbe sviluppare in futuro il proprio mercato del lavoro per renderlo sia competitivo che sociale. Questa strategia ci consentirà anche di scoprire come affrontare la precarietà che colpisce i dipendenti in Europa. Attualmente, molti temono che i loro posti di lavoro saranno trasferiti e che la loro posizione sul mercato del lavoro diventerà superflua.

Infine, desidero ringraziare il relatore ombra, i relatori delle altre commissioni e tutti coloro che hanno contribuito alla presente relazione. Concludo esprimendo l’auspicio che i capi di Stato e di governo, quando s’incontreranno in Portogallo a dicembre, includeranno le raccomandazioni del Parlamento nelle fasi successive del lavoro che porterà al raggiungimento di linee guida comuni per la flessicurezza.

 
  
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  Olle Schmidt, relatore del parere della commissione per i problemi economici e monetari. − (SV) Signor Presidente, ringrazio il relatore per il buon lavoro svolto. I cambiamenti determinati dalla globalizzazione offrono nuove e migliori opportunità a tutti i paesi del mondo ma, naturalmente, pongono anche delle sfide. L’Europa si trova a un crocevia. Possiamo scegliere di accogliere la nuova economia flessibile e le sue possibilità, oppure trincerarci dietro varie forme di protezionismo.

La flessicurezza è uno degli strumenti più importanti per la creazione di un mercato del lavoro che, come dice il relatore, valorizzi pienamente il potenziale della forza lavoro. Formazione, mobilità e inserimento professionale sono le parole chiave. E’ chiaro che non vi sono modelli universalmente applicabili, ma possiamo e dovremmo imparare da ognuno di essi. Nel parere della commissione per i problemi economici e monetari, noi puntualizziamo che i sistemi di protezione troppo rigidi possono sì tutelare chi si trova al loro interno, ma anche rendere difficile ad altri l’accesso al mercato del lavoro.

Il relatore ha posto in evidenza che anche la crescita della popolazione costituisce un problema in Europa. Più persone avranno bisogno di più posti di lavoro. La flessicurezza, se impiegata correttamente, costituisce un buon modello, perché l’Europa continui a svilupparsi positivamente nell’ambito di un’economia globale. L’esempio della Danimarca, che il relatore non ha menzionato, penso che lo dimostri.

Signor Presidente, vi è almeno un aspetto su cui dovremmo concordare in quest’Aula, ossia che al giorno d’oggi esistono troppi disoccupati. L’Europa deve continuare a crescere in modo da creare nuovi posti di lavoro.

 
  
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  Giovanni Berlinguer, relatore del parere della commissione per la cultura e l’istruzione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione del collega Christensen è stata essenziale per spostare in avanti il documento iniziale.

Queste norme possono avere grande valore soltanto se si garantisce contemporaneamente tutela alle categorie più a rischio – immigrati, donne, anziani e disabili – ma anche agli adulti che hanno bassi livelli di istruzione e che sono più vulnerabili e meno protetti.

Inoltre, pesano le disuguaglianze sempre più profonde nella nostra società, l’assenza di un salario minimo che deve essere deciso in tutti i paesi e il riconoscimento dei diritti. Bisogna inoltre accrescere il patrimonio di conoscenze dei lavoratori. E’ urgente anche determinare fondi economici per applicare queste norme e individuare risorse reali.

Infine, mi sembra che vi sono stati molti nuovi squilibri nei rapporti fra capitale e lavoro negli ultimi anni e, in questo quadro, pesano le rendite e le speculazioni finanziarie e diventano più ridotti i salari. Questo deve essere uno dei compiti che dobbiamo assumere insieme nel progresso di questi temi.

 
  
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  Tadeusz Zwiefka, relatore del parere della commissione giuridica.(PL) Signor Presidente, è poco probabile che il cosiddetto modello di flessicurezza sia efficace sul mercato del lavoro europeo, se non è affiancato da altre azioni e proposte volte a promuovere l’imprenditoria e a semplificare la costituzione di nuove imprese. Ho in mente, per esempio, l’attività di redazione di uno statuto per la società privata europea.

In merito ai principi comuni per l’attuazione della flessicurezza, desidero sottolineare che, in tale ambito, l’introduzione di complesse soluzioni legislative a livello europeo si pone in controtendenza rispetto ai principi di sussidiarietà e proporzionalità. La politica sociale e dell’occupazione rientra nelle competenze degli Stati membri, e qualsiasi azione dell’Unione europea nell’ambito della flessicurezza deve essere conforme al principio di sussidiarietà contemplato nell’articolo 5 del Trattato UE.

Inoltre, la complessità interna del modello non favorisce l’introduzione delle norme legislative comunitarie, né il cosiddetto approccio “taglia unica” alla questione. Dalla valutazione dell’impatto emerge che il coordinamento aperto può offrire il metodo più appropriato. Ciò è particolarmente importante per i nuovi Stati membri che, considerando l’eredità del loro passato, possono trovarsi di fronte a vari problemi strutturali. Si devono altresì ricordati gli elevati costi a breve termine, associati all’introduzione di percorsi per l’attuazione del modello di flessicurezza, nonché il notevole onere che graverà sui bilanci.

 
  
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  José Albino Silva Peneda, a nome del gruppo PPE-DE.(PT) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, le riforme che l’Unione europea deve attuare per garantirsi una posizione competitiva nell’economia mondiale non possono essere considerate unicamente come iniziative limitate al settore pubblico, ma richiedono anche cambiamenti di comportamento e di atteggiamento da parte sia dei lavoratori che delle aziende.

Questi cambiamenti possono essere attuati con successo soltanto se esiste un clima di fiducia tra i partner sociali, che può essere sviluppato unicamente promuovendo il dialogo sociale. Per quanto riguarda la gestione del mercato del lavoro, dobbiamo passare da una mentalità dominata dalla cultura del conflitto a un nuovo approccio basato sulla cultura della cooperazione. A me personalmente non piace il termine “flessicurezza”. Preferirei parlare di “cambiamento in sicurezza”, perché qualsiasi cambiamento comporta dei rischi. E’ importante ridurli al minimo. Non si può chiedere alle persone di essere flessibili, quando non hanno fiducia in se stesse o nel mondo che le circonda. Pertanto, nella presente relazione sottolineiamo costantemente la necessità di politiche dell’occupazione attive e sistemi di apprendimento lungo tutto l’arco della vita.

Il gruppo PPE-DE ha presentato 120 emendamenti alla relazione iniziale e, a seguito di un processo di negoziazione, siamo giunti a una versione finale che ritengo equilibrata e completa. E’ stato raggiunto un buon equilibrio tra i concetti di flessibilità e sicurezza, nonché tra gli interessi di tutte le parti coinvolte nel processo, in particolare le parti sociali e gli enti pubblici. La relazione riporta chiaramente l’esigenza di applicare i principi di sussidiarietà e proporzionalità all’attuazione e alla gestione della flessicurezza. Raccomando quindi che il presente documento sia approvato dall’Assemblea.

 
  
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  Stephen Hughes, a nome del gruppo PSE. (EN) Signor Presidente, mi congratulo vivamente con il relatore.

Desidero soffermarmi su quattro punti, partendo anzitutto dalla Commissione. Prima nel Libro verde sul diritto del lavoro e ora nella comunicazione sulla flessicurezza, essa pone l’accento sulla sicurezza dell’occupazione piuttosto che del posto di lavoro. Noi sottolineiamo l’importanza di entrambi, poiché riconosciamo le necessità delle aziende flessibili. Per azienda flessibile s’intende un’impresa che ha l’esigenza di modificare la propria linea di produzione ogni sei mesi o la propria infrastruttura informatica ogni quattro, e quindi necessita di collaboratori duttili, ben qualificati e fedeli – e sicuramente tutto questo non si ottiene da un personale frammentato, segmentato e occasionale.

In secondo luogo, il corretto funzionamento del concetto di flessicurezza presuppone l’esistenza di tutta una serie di fattori: un clima macroeconomico buono e stabile, investimenti in politiche valide e attive per il mercato del lavoro, un dialogo sociale ben sviluppato e politiche di alta qualità per la protezione sociale. Tutti questi elementi sono importanti ed è chiaro che non sono facili da ottenere. La Commissione deve pertanto riconoscere che la flessicurezza può essere raggiunta solo in alcuni Stati membri e in un arco di tempo considerevolmente lungo.

In terzo luogo, si deve costruire una forma equilibrata di flessicurezza sulla base dei principi menzionati nel paragrafo 15 della presente relazione, e tali principi devono essere inseriti in un pacchetto di linee guida emendate. Devono avere visibilità ed essere applicati altrimenti tutto il lavoro svolto, su cui riferisce questa valida relazione, sarà sprecato.

Infine, sia il Consiglio che la Commissione sottolineano incessantemente l’importanza della flessicurezza, ma come può il Consiglio godere di credibilità, se la direttiva sul lavoro interinale resta bloccata? Come si possono prendere sul serio le altre istituzioni quando le forme di lavoro atipiche, volte allo sfruttamento, continuano a proliferare in tutti i nostri Stati membri? Per troppi milioni di lavoratori, flessicurezza significa soltanto flessibilità, e non ha nulla a che vedere con la sicurezza. Questa relazione illustra i modi in cui le cose possono cambiare.

 
  
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  Bernard Lehideux, a nome del gruppo ALDE.(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desideriamo sostenere la Commissione nel suo tentativo di incoraggiare la riflessione collettiva sulla flessicurezza. L’UE deve porsi dietro il dialogo tra tutti i protagonisti di questo ambito. Inoltre il nostro gruppo è lieto che, per la prima volta in Europa, i partner sociali abbiano raggiunto un accordo in un documento comune, per chiedere agli Stati membri di attuare le politiche di flessicurezza. Si tratta di un risultato estremamente importante, perché la flessicurezza ha senso solo se è introdotta in un’atmosfera di fiducia tra lavoratori e datori di lavoro.

In quanto rappresentanti eletti dai cittadini dell’UE, abbiamo una particolare responsabilità nel creare le condizioni per questo tipo di fiducia. E’ nell’interesse di tutti entrare in gioco, e soprattutto non dobbiamo cedere alla tentazione di opporci alla flessibilità, che andrebbe a beneficio dei datori di lavoro, e alla sicurezza, che costituirebbe una compensazione per i dipendenti.

Attuare la flessicurezza significa garantire flessibilità e sicurezza per i dipendenti e nel contempo per i datori di lavoro. Ai dipendenti occorre flessibilità per conciliare la vita professionale con quella personale, o per seguire nuovi percorsi di avanzamento. Ai datori di lavoro occorre sicurezza tanto quanto ai dipendenti, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti giuridici dei rapporti contrattuali con il personale.

La relazione fa un passo nella giusta direzione. E’ equilibrata e propone un quadro che consente agli Stati membri di adottare principi comuni. Desidero esprimere il mio ringraziamento e le mie congratulazioni al relatore per il suo lavoro. Gli Stati membri non devono essere costretti a imporre una particolare visione di flessicurezza. E’ ovvio che i mercati del lavoro hanno caratteristiche estremamente diverse da uno Stato membro all’altro. Stiamo puntando al coordinamento delle politiche del lavoro, non a un’armonizzazione peraltro prematura.

I nostri concittadini, tuttavia, desiderano vedere un’Europa che fornisca soluzioni alle sfide della globalizzazione. Tutelando le opzioni professionali, facilitando l’adattamento dei dipendenti, accettando e accompagnando le svolte improvvise della vita, la flessicurezza può costituire uno strumento unico per ammodernare i nostri modelli sociali. Non perdiamo l’occasione di raggiungere l’accordo unanime a lavorare verso un obiettivo comune.

 
  
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  Ewa Tomaszewska, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, la tendenza a forme di lavoro più flessibili si è sviluppata in un periodo di disoccupazione molto alta, quando era relativamente facile costringere un lavoratore ad accettare condizioni peggiori semplicemente per mantenere il proprio posto di lavoro. Quando i lavoratori non disponevano dei mezzi per provvedere ai loro bisogni primari e a quelli della famiglia, erano persino disposti a tollerare umiliazioni sul posto di lavoro, a rinunciare alla copertura assicurativa contro gli infortuni e a lavorare illegalmente per stipendi da fame.

Per fortuna, la situazione del mercato del lavoro sta cambiando. Quasi tutti i datori di lavoro polacchi sottovalutavano l’importanza dell’occupazione permanente. Di conseguenza, ora la forza lavoro non è sufficiente e oltretutto la Polonia ha assistito all’emigrazione di quasi due milioni di giovani, molti dei quali con un elevato grado di istruzione. L’impiego flessibile, che non riconosce l’importanza della sicurezza del posto di lavoro, apporta vantaggi a breve termine per i datori di lavoro ma danneggia i lavoratori. Sono lieta che la proposta di risoluzione del Parlamento europeo attribuisca più importanza all’esigenza di assicurare il posto di lavoro di quanto non faccia la Commissione europea. Vorrei sottolineare come la ricerca condotta dall’Organizzazione internazionale del lavoro confermi che i lavoratori con contratti permanenti forniscono prestazioni più efficaci.

Mi congratulo con il relatore per il lavoro svolto.

 
  
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  Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, la discussione sulla flessicurezza dimostra che non è possibile trasferire un modello sociale predefinito da uno Stato membro all’intera UE. Nemmeno la Commissione sembra volerlo. Il documento non si occupa di come migliorare la sicurezza sociale dei lavoratori alla luce del radicale cambiamento che sta investendo il mercato del lavoro, no, la Commissione intende promuovere la flessibilità dei rapporti di lavoro senza essere in grado di garantire una migliore sicurezza sociale per i lavoratori; quest’ultima rientra nelle competenze degli Stati membri, che tuttavia le riservano gradi d’importanza molto diversi.

Inoltre, non possiamo partire dal presupposto che il ruolo chiave e la funzione di controllo dei sindacati – componenti imprescindibili del modello di flessicurezza danese – siano dati per scontati ora, o nel prossimo futuro, dagli altri Stati membri. Alcuni governi, che intendono e propugnano la flessicurezza esclusivamente come flessibilità, stanno ulteriormente riducendo i diritti sindacali. Noi Verdi critichiamo il tentativo di introdurre, con il concetto di flessicurezza, una deregolamentazione del diritto del lavoro per raggiungere la competitività globale dell’Unione a scapito dei diritti dei lavoratori. Purtroppo, la coalizione di quest’Assemblea segue la Commissione e sta perdendo l’occasione di introdurre un elemento essenziale – la sicurezza sociale – quale componente di uguale importanza nel modello di flessicurezza.

Mi chiedo in che modo i Socialisti intendano spiegare la questione ai lavoratori. Temo che, in futuro, perderemo ogni opportunità di discutere i vantaggi indubbiamente insiti nel modello di flessicurezza. Pertanto, se la relazione non sarà modificata, non potremo accordare il nostro consenso.

 
  
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  Roberto Musacchio, a nome del gruppo GUE/NGL. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la flexicurity non è una cosa nuova, ma un vecchio modello danese, datato addirittura fine Ottocento, in cui è lo Stato che garantisce sicurezze che non ci sono nei contratti di lavoro, con forti costi.

La causa nuova di questa Europa è una precarietà drammatica che colpisce i giovani e il lavoro, ma che danneggia tutta la società. Per combattere questa precarietà si deve cambiare strada rispetto alle ricette e alle ideologie liberiste che le hanno prodotte. Non è vero che la precarietà crea lavoro e crescita economica. E’ vero il contrario. Ora si rischia con la flexicurity una nuova ideologia, che mantiene però in atto le vecchie politiche di precarietà.

Per questo noi ci siamo battuti per cose molto concrete: contro l’idea di un indice di rigidità del mercato del lavoro e invece per un indice del buon lavoro, per ribadire che è normale il lavoro stabile, che è quello che dà sicurezza; contro i licenziamenti senza giusta causa che sono una discriminazione; contro il ripetersi dei lavori atipici, la precarietà a vita, che è una sorta di moderna schiavitù; per il diritto al reddito a chi non ha lavoro e che non può vivere d’aria; per riunificare forme diverse di assistenza; contro la discriminazione delle donne nel lavoro.

Il fatto che non ci sia una previsione di spesa per garantire la flexicurity – il 2% che è stato tolto – e che dunque non ci possa essere un investimento che dia fiducia, la dice lunga sul rischio di un’operazione che può diventare demagogica.

Lavoratori e giovani chiedono fatti concreti, non ideologie ormai vecchie. Sono i punti per i quali ci siamo battuti in questo Parlamento e che chiediamo vengano votati.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard, relatore del parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. − (NL) Signor Presidente, la Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere è passata quasi inosservata in questo dibattito, ma per fortuna è riuscita a prendere la parola all’ultimo minuto.

Più della metà della popolazione europea è di sesso femminile e, allo stato attuale, le donne sono solitamente sovrarappresentate sul mercato del lavoro per quanto riguarda i contratti temporanei e part-time. Pertanto, le donne devono affrontare i problemi legati a una maggiore precarietà, all’accumulo insufficiente di contributi pensionistici e alle spese mediche inadeguate. Se autorità come la Commissione e il Governo olandese intendono accrescere la flessibilità dei diritti di licenziamento per esubero, questo gruppo sarà condannato ad affondare sempre più nell’oppressione e nella mancanza di diritti. Sono stata quindi felicissima, quando la commissione per i diritti della donna ha presentato all’unanimità una serie di proposte per migliorare questo punto del documento della Commissione. Purtroppo, tra tutte queste ampie e nobili proposte, il relatore ha scelto di accoglierne solo alcune. Così facendo, ha disonorato la commissione per i diritti della donna e ignorato le disuguaglianze molto concrete che esistono. Mi rivolgo quindi a tutti i deputati perché sostengano, nella votazione di domani, gli emendamenti presentati proprio per prevenire questa disuguaglianza.

 
  
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  Thomas Mann (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, sempre meno persone trascorrono l’intera vita professionale presso un unico datore di lavoro, quindi devono sapersi adattare senza problemi ai cambiamenti delle condizioni di vita e di lavoro. Nel contempo, devono però godere di un’adeguata sicurezza dell’occupazione. Commissario Spidla, il concetto di flessicurezza sarà accettato su vasta scala solo nel momento in cui si raggiungerà un equilibrio tra flessibilità e sicurezza. Da un lato, occorre maggiore flessibilità perché le aziende possano individuare nicchie di mercato, diventare più innovative, e programmare attivamente il loro sviluppo, anziché limitarsi a reagire agli eventi. Dall’altro, i lavoratori degli Stati membri necessitano della sicurezza fornita dai moderni sistemi di tutela sociale, nonché di accordi affidabili tra parti sociali responsabili. Inoltre, è necessario creare le giuste condizioni generali per offrire posti di lavoro più stabili e un più agevole passaggio a nuove professioni. L’abuso delle nuove forme d’impiego deve essere contrastato quanto l’attività autonoma fittizia e il lavoro nero.

Un altro aspetto prioritario è costituito dall’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, essenziale per preparare i nostri lavoratori alla globalizzazione. A mio giudizio, concordare un parametro del 2 per cento del PIL su base vincolante non è accettabile, poiché dobbiamo lasciare qualche spazio di manovra agli Stati membri in materia finanziaria. Tuttavia, i governi e le aziende devono garantire investimenti molto più cospicui nella nostra principale risorsa, ovvero personale istruito, altamente qualificato, motivato e versatile.

Il gruppo PPE-DE ha nuovamente sottoposto vari emendamenti su mia iniziativa. In uno di essi, sosteniamo che le imprese debbano avere la facoltà di decidere autonomamente il tipo di approccio alla questione della responsabilità sociale. Quest’ultima deve continuare a basarsi su un sistema volontario e non obbligatorio.

Infine, permettetemi di dire che anticipare dal 2013 al 2009 la data di abolizione delle misure transitorie, che ostacolano la libera circolazione dei lavoratori, trasmette un segnale sbagliato. Laddove si corrispondono compensi orari notevolmente superiori a fronte di un elevato livello di sicurezza sociale, la pressione dell’immigrazione è intensa e difficile da gestire. Anche in questo caso non si deve trascurare la sicurezza, nonostante la flessibilità indubbiamente necessaria.

 
  
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  Jan Andersson (PSE). - (SV) Signor Presidente, Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, vorrei iniziare ringraziando il relatore per il buon lavoro svolto e l’eccellente relazione. Al pari di José Albino Silva Peneda, anch’io preferisco parlare di “cambiamento in sicurezza”, cambiamento che incontriamo sotto forma di globalizzazione e crescita demografica. Penso che sia un’espressione migliore.

Vi è una differenza tra la proposta della Commissione e quella del Parlamento, e riguarda nello specifico gli aspetti del cambiamento su cui si concentra l’attenzione. La proposta del Parlamento si orienta in effetti su un punto diverso. La Commissione si concentra sulla sicurezza dell’occupazione piuttosto che su quella del posto di lavoro. Tale distinzione non dovrebbe esistere. Occorre combinare la certezza di poter trovare un nuovo posto di lavoro con un elevato livello di sicurezza occupazionale. In Parlamento cerchiamo di concentrarci sulla partecipazione al processo, su sindacati forti e su un solido dialogo sociale. Ci concentriamo su una politica dell’occupazione attiva, su maggiori investimenti nella formazione e su forti sistemi di sicurezza sociale.

Molti hanno detto che non esiste un singolo modello, ma che tutti devono procedere sulla base dei propri concetti. Si può applicare il processo di Lisbona. Ora, quando si tratta di stabilire dei principi, sosterrei ciò che ha affermato Stephen Hughes: vi invito a consultare il paragrafo 15 per evincere i principi che dovrebbero costituire le linee guida.

Infine, a Elisabeth Schroedter vorrei dire che non è vero che il relatore non ha avuto contatti con il movimento dei sindacati europei. I contatti ci sono stati per tutto il periodo, e ci sostengono pienamente nel nostro tentativo di modificare il punto focale dell’attenzione. Non formarsi un’opinione prima che lo facciano i ministri dell’occupazione significherebbe cedere a loro l’esclusivo diritto di decidere. Il Parlamento deve avere una linea …

(Il Presidente toglie la parola all’oratore.)

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE). - (ET) Signor Presidente, onorevoli colleghi.

L’Unione europea non ha soltanto bisogno di riformare rapidamente le proprie istituzioni, ma deve anche offrire ai cittadini e alle imprese una politica che attenui gli effetti collaterali dell’intensa competizione e dell’apertura del mercato.

Considero importante incoraggiare relazioni di lavoro stabili, in cui vi sia un elevato livello di fiducia. Le modifiche alla legislazione sul lavoro avrebbero un successo maggiore, se i dipendenti si sentissero più sicuri. Dobbiamo inoltre ricordare che la sensazione di sicurezza spesso dipende anche dalla facilità con cui si riesce a trovare un nuovo posto di lavoro.

Ritengo che i problemi maggiori nell’Unione europea siano correlati all’offerta di forza lavoro flessibile e qualificata, e quindi la questione dovrebbe costituire il fulcro della strategia europea di flessicurezza.

Lo scopo più importante deve essere quello di creare un mercato del lavoro flessibile, innalzando il livello di istruzione tramite programmi di formazione e aggiornamento.

 
  
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  Roberta Angelilli (UEN). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, la flessicurezza non è né una panacea né un tabù. Basta mettersi d’accordo sulle regole del gioco. E’ scontato che l’Europa deve essere all’altezza delle sfide della globalizzazione e della concorrenza – non sempre leale – che ci impone l’economia mondiale.

Per tutto questo c’è bisogno di flessibilità, ma senza rinunciare al modello sociale europeo, ai suoi valori, agli standard di sicurezza e, soprattutto, di solidarietà. Quindi flessibilità a condizione che ci siano regole certe, che ci siano garanzie e meccanismi di compensazione.

Soprattutto l’Europa deve saper guidare gli Stati membri attraverso una strategia che metta insieme alcuni ingredienti fondamentali: la formazione continua e di buon livello, misure previdenziali adeguate, servizi di buona qualità a partire dai servizi per l’infanzia, sistemi di sicurezza sociale che sostengano il lavoratore nei periodi di inattività. Il sostegno, tra l’altro, non deve essere necessariamente sotto forma di sussidi, ma anche come offerta di opportunità per qualificarsi al meglio rispetto all’offerta di lavoro.

Infine, sistemi di conciliazione fra lavoro e vita familiare che permettano, soprattutto alle donne, di avere realmente pari opportunità nel mondo del lavoro.

Certo, questi obiettivi richiedono risorse importanti ma solo così la flexicurity potrà essere un’opportunità e non una scorciatoia verso la deregulation del mondo del lavoro.

 
  
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  Donata Gottardi (PSE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, ringrazio anch’io il relatore per il lavoro svolto, per di più in così poco tempo.

Anch’io penso che una parola è una parola. La flexicurity non è una politica buona o cattiva in sé. Non è nemmeno una singola politica, ma un insieme di azioni combinate ed equilibrate. Dipende da come sono progettate e dipende da come sono applicate.

Normalmente si ritiene che sia una strategia volta a rendere più flessibile il mercato del lavoro e a compensare, con sostegni economici e formativi, il passaggio da un posto di lavoro all’altro. Una visione tutto sommato difensiva, di contenimento del danno, mentre quello di cui abbiamo bisogno è rilancio, innovazione e qualità.

Se proviamo a declinare la flexicurity al femminile, possiamo trovare una corretta chiave d’ingresso. Intanto abbiamo la possibilità di rilevare che sono le donne le principali destinatarie dei lavori più precari e instabili. E poi, nello stesso tempo, scoprire tutte le potenzialità positive di una strategia, se intendiamo la flessibilità non come precarietà, ma come organizzazione flessibile del lavoro e dei tempi per incontrare le esigenze delle persone.

E se intendiamo la sicurezza non solo come indennità di formazione, ma anche come accompagnamento delle diverse attività e scelte durante la vita delle persone, ecco che si entra nella prospettiva propositiva e innovativa, rivolta al futuro e non vecchie ricette del passato.

 
  
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  Manuel Lobo Antunes, Presidente in carica del Consiglio. − (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli deputati, sarò molto breve. Poiché i lavori di quest’Assemblea continueranno anche dopo l’argomento in oggetto, ci tengo a comunicarvi che, a giudizio della Presidenza, o meglio della nostra Presidenza, questa è naturalmente una discussione importante e necessaria. Lo si può dedurre sia dalle nutrite presenze, sia dal gran numero di colleghi che hanno voluto partecipare e collaborare alla discussione.

Naturalmente flessibilità significa mobilità e, in un mondo globalizzato, è necessario introdurre un termine come “mobilità”, che significa adattamento ai cambiamenti. Tuttavia, il discorso non si limita alla mobilità, ma riguarda anche la sicurezza. Ciò significa impegnarsi nei confronti delle persone, dei lavoratori, delle loro qualifiche e della loro formazione, nonché per la tutela delle famiglie e della qualità del lavoro.

Ovviamente confidiamo che le principali linee guida da noi concordate con le parti sociali consentiranno, nella pratica dei fatti, di sviluppare e instaurare le misure necessarie per garantire la flessibilità e la sicurezza, nonché per offrire all’Europa condizioni migliori con cui affrontare brillantemente le sfide posteci a seguito della globalizzazione.

Auspichiamo che il Consiglio adotti queste linee guida nella sua riunione del 5 e 6 dicembre. Sono certo che, in futuro, si dimostreranno giuste e costituiranno le basi corrette per una politica che renda l’Europa più forte e competitiva.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. − (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, quando guardo il monitor, vedo quanto veloce passa il tempo, quindi consentitemi di menzionare solo due cose: primo, da questa discussione emerge con chiarezza, e lo desidero sottolineare, che l’obiettivo della flessicurezza non è assolutamente imporre un singolo modello nazionale sull’intera Unione europea. Anzi, si riconosce la natura distintiva di modelli diversi. Tuttavia, vorrei segnalare come i paesi che attuano i principi in oggetto godano di una migliore situazione del mercato del lavoro, e non stiamo soltanto parlando dei paesi scandinavi.

L’altro problema che desidero menzionare è la questione dei costi. Ancora una volta vi rimando a un esempio tipico spesso citato, quello della Danimarca, in cui le spese per la previdenza sociale e l’assistenza sanitaria non sono superiori alla media del contesto europeo. Questo fatto dovrebbe essere sempre posto nel giusto rilievo.

Onorevoli colleghi, vi ringrazio per questa discussione così animata che, nonostante la sua brevità, ha contribuito ad arricchire il concetto di flessicurezza. Permettetemi di ringraziare in particolar modo il relatore.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 29 novembre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Christian Ehler (PPE-DE), per iscritto. (DE) In uno degli emendamenti presentati per questa relazione, si tenta di conquistare il sostegno del Parlamento europeo ai salari minimi. Ritengo questo approccio sostanzialmente errato. Le condizioni e i parametri vigenti sui mercati regionali del lavoro sono così diversi, che non si può sperare di accrescere il benessere dei cittadini con un approccio europeo; esso, al contrario, finirebbe per incentivare povertà, disoccupazione e lavoro nero.

Vi è inoltre la richiesta di portare i salari minimi ad almeno il 50-60 per cento della retribuzione media nazionale. Quale paese europeo dispone di un salario minimo così elevato? Prima di porre in discussione emendamenti di questo tipo, i richiedenti dovrebbero almeno prendersi la pena di dare un’occhiata alla realtà europea. Stiamo tentando di difendere una politica europea di determinazione dei salari, che mira ad aumentare del 20 per cento i valori minimi esistenti a livello nazionale. Se questa non è demagogia!

Mi auguro che in Parlamento emerga una chiara maggioranza che stronchi tali pericolose utopie, perché non farebbero altro che incrementare la disoccupazione e la povertà, ponendo in discussione la competitività dell’economia europea.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ci rammarica il fatto che la relazione non si opponga, con sufficiente chiarezza, alla strategia di flessicurezza difesa dalla Commissione europea. Essa si limita invece a proporre alcuni palliativi per i principi definiti nella comunicazione della Commissione.

Di conseguenza, non solo abbiamo votato contro di essa in seno alla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, ma abbiamo anche insistito sulla presentazione di proposte che rifiutassero l’approccio della flessicurezza adottato in quel documento. Lo abbiamo fatto perché tale approccio punta a deregolamentare i mercati e la legislazione del lavoro determinando, in pratica, la distruzione degli attuali accordi contrattuali, la liberalizzazione dei licenziamenti ingiustificati e una maggiore precarietà per i lavoratori in generale.

Nessun palliativo può resistere al costante indebolimento della contrattazione collettiva, alla svalutazione dei sindacati e alla trasformazione dei contratti a tempo indeterminato in accordi temporanei con il pretesto della globalizzazione capitalista.

Nell’enorme dimostrazione, che la CGTP (Confederazione generale dei lavoratori portoghesi) ha organizzato per il 18 ottobre a Lisbona, i lavoratori portoghesi hanno detto no a queste proposte. Ciò che vogliono è più occupazione e diritti, cosa che presuppone impegno per la produzione, maggiori investimenti in servizi pubblici di alta qualità e rispetto per la dignità dei lavoratori.

Pertanto insistiamo sulle proposte che abbiamo presentato. Se continueranno a essere respinte, allora voteremo contro questa relazione, perché rifiutiamo la flessicurezza.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE), per iscritto. (RO) La relazione solleva un punto essenziale da discutere per l’Europa: le azioni, che l’Unione europea intraprende a favore dell’integrazione nel mercato del lavoro, non possono ignorare la limitazione arbitraria alla libera circolazione dei lavoratori. Otto dei paesi entrati nell’UE nel 2004 – assieme alla Romania e alla Bulgaria – devono rispettare periodi transitori di almeno due anni, che possono arrivare fino a sette anni.

A partire dal secondo anno, le Istituzioni europee sono attivamente coinvolte nel processo di autorizzazione dei periodi di transizione imposti dagli Stati membri. Per questa ragione, chiedo che a dicembre il Consiglio europeo esamini molto attentamente la questione della limitazione alla libera circolazione nell’Unione europea per i nuovi Stati membri, e che adotti una posizione comune obbligatoria per ridurre al minimo le barriere alla libera circolazione del lavoro.

La questione della limitazione all’accesso del mercato del lavoro è direttamente correlata al primo principio menzionato dal relatore, ossia all’“azione europea contro le pratiche di lavoro illecite, segnatamente nei contratti non standard”. In qualità di membro del Parlamento europeo, ho ricevuto numerose lagnanze di cittadini rumeni che, nei paesi in cui svolgono la loro attività, subiscono l’abuso di essere privati della retribuzione per il loro lavoro, nonché delle condizioni più elementari di previdenza sociale e assicurazione sanitaria. I regolamenti, che adotteremo sulla base del concetto di flessicurezza, dovrebbero in primo luogo eliminare tali situazioni.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 17.05, è ripresa alle 17.10)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING
Presidente

 

16. Discussione sull’avvenire dell’Europa (discussione)
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  Presidente. − Onorevoli colleghi,

¡Bienvenido al Parlamento Europeo, señor Rodríguez Zapatero! Es un gran placer contar con su presencia.

Desidero esprimerle il mio sincero ringraziamento per avere accettato l’invito del Parlamento europeo a partecipare alla discussione odierna sull’avvenire dell’Europa, una discussione che assume grande rilievo per quest’Assemblea. Alcuni primi ministri dell’UE, tra cui Guy Verhofstadt, Romano Prodi e Jan Peter Balkenende, ci hanno già fatto visita e si sono confrontati con noi sulle questioni più importanti per il futuro dell’Unione. Abbiamo avuto l’opportunità di ascoltarne le opinioni e di discuterle con loro, anche in momenti caratterizzati da una grande incertezza sugli sviluppi dell’UE. Oggi siamo qui riuniti per ascoltarla. In base a una decisione della Conferenza dei presidenti – ossia dei presidenti dei gruppi politici – questa forma di discussione si concluderà con un intervento del Primo Ministro svedese Frederik Reinfelt.

Signor Primo Ministro, ritengo importante ricordare che, nel 2005, la Spagna aveva tenuto un referendum su ciò che all’epoca costituiva il progetto di Trattato costituzionale, e che il 77 per cento dei cittadini si era espresso in suo favore.

(Applausi)

Siamo quindi particolarmente lieti di poterla accogliere qui, signor Primo Ministro, ora che ci accingiamo a firmare il Trattato di Lisbona dopo un lungo periodo di riflessione e, a dire il vero, anche di crisi: un documento in cui è stato possibile includere la sostanza del Trattato costituzionale.

In qualità di Stato importante tra la compagine europea, da sempre la Spagna ha prestato un grande contributo all’Unione, non solo dopo il suo ingresso nel 1986, ma già molto tempo prima. La Spagna ha sempre dimostrato – e ciò vale per tutti i principali partiti – di essere un paese caratterizzato da un profondo “credo” europeo, che prende iniziative ed è pronto ad impegnarsi per il futuro condiviso dal nostro continente.

L’ordine del giorno reca la discussione sul futuro dell’Europa con la partecipazione del capo del governo spagnolo e membro del Consiglio europeo.

 
  
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  José Luis Rodríguez Zapatero, Presidente del governo spagnolo. − (ES) Signor Presidente, onorevoli deputati,

quale sostenitore attivo e impegnato dell’Europa, nonché Primo Ministro di un paese che è profondamente favorevole all’Europa, è per me motivo di grande orgoglio presentarmi oggi dinanzi al Parlamento, l’Aula più rappresentativa d’Europa.

Qui si riunisce la ricca pluralità delle nostre nazioni. Qui esprimiamo le nostre identità, partendo dalla diversità per arrivare a ciò che ci unisce. Se c’è un’istituzione che rappresenta enfaticamente l’anima del nostro progetto, allora si tratta proprio di quest’Aula, poiché è qui che si presta ascolto ai desideri diretti dei cittadini europei.

Quest’Assemblea è gradualmente divenuta più solida e meglio attrezzata, e ora accoglie in tutta comodità la vasta famiglia europea. Tuttavia, è anche divenuta più forte ed esigente perché, essendo cresciuta la sua rappresentatività, è aumentata anche la sua capacità innanzitutto di guidare, poi di controllare tutte le nostre politiche e azioni.

Pertanto, onorevoli deputati, siamo esattamente nel luogo giusto per discutere l’Europa che vogliamo vedere e l’Europa di cui abbiamo bisogno. Devo quindi ringraziarvi per avermi dato l’occasione di esporre i miei pensieri e le mie proposte sul presente e sul futuro dell’Unione.

Gli spagnoli associano il concetto di Europa con il desiderio di pace, libertà, democrazia e prosperità.

Le nostre migliori tradizioni si riallacciano ai valori con cui identifichiamo lo spazio politico e culturale europeo.

Per molti anni, abbiamo mantenuta viva la speranza di partecipare a un processo iniziato più di mezzo secolo fa.

Il successo goduto dalla Spagna negli ultimi due decenni dipende in larga misura dal dinamismo sociale prodotto dalla nostra adesione all’Unione, e dall’efficace utilizzo degli strumenti messi a nostra disposizione dalla solidarietà dei membri che ci hanno preceduto in questo progetto.

In quanto spagnoli, dobbiamo molto all’Europa e, fin dall’inizio, ci siamo uniti a questo progetto con un profondo senso di gratitudine, che desidero ribadire oggi di fronte al Parlamento europeo.

Non sorprende che abbiamo approvato il Trattato costituzionale in un referendum, né che abbiamo profuso la nostra buona volontà e flessibilità per superare la crisi istituzionale, rimanendo nel contempo saldi, coerenti e tenaci nella salvaguardia del contenuto di base, senza il quale il progetto sarebbe stato svalutato.

Abbiamo superato il pericolo, ma ci attende ancora un’altra sfida: costruire l’Europa necessaria a noi e al mondo del XXI secolo.

Vogliamo un’Europa dei valori. L’identità europea è stata plasmata nel corso di una lunga storia oscurata dalla tragedia, ma anche illuminata dalle più nobili creazioni del genere umano, dalla luce del pensiero, dal calore e dalla creatività dei nostri artisti, dalle profonde convinzioni dei nostri statisti e delle nostre donne, nonché dal coraggio dei nostri popoli.

Libertà, legalità, diritti umani, tolleranza, pari opportunità, solidarietà, tutti questi valori costituiscono il codice etico dell’Europa. La vera essenza dell’Europa risiede qui, nell’adesione a questi valori, e non semplicemente in uno spazio geografico.

(Applausi)

La nostra Europa deve avere una sostanza politica reale. Solo in questo modo potremo costruire un’Unione in linea con le nostre ambizioni.

Se desideriamo raggiungere questo risultato, l’Europa deve necessariamente essere efficace. Deve essere un’Unione capace di affrontare a testa alta le sfide della nostra epoca.

La fonte di legittimazione e l’obiettivo ultimo dell’Europa sono i suoi popoli. Tra i cittadini del mondo, noi europei beneficiamo di quasi tutti i diritti e siamo tutelati al meglio. Tuttavia, non siamo un’isola e non possiamo vivere felici pensando che questi diritti non esistono, o sono violati in altre parti del mondo. Abbiamo il dovere morale di garantire che tutti possano goderne. E’ questo dovere morale che attribuisce all’Europa una missione nel mondo.

Quest’Europa dei valori, dotata di effettiva sostanza politica e sostenuta dai suoi popoli, è quindi l’Europa di cui abbiamo bisogno. In un mondo che cambia divenendo sempre più complesso, dobbiamo perseguire la strada dell’integrazione. Se cediamo all’isolazionismo, alla prospettiva ristretta dei nostri confini e al primato degli interessi nazionali, perderemo inevitabilmente potere e diventeremo irrilevanti.

E’ giunto il momento di unire le forze e riaccendere il nostro entusiasmo. Sentivamo dire sempre più spesso che l’Europa era in crisi, che dubitava di se stessa, che i suoi popoli si sentivano lontani dal progetto e che l’allargamento avrebbe indebolito la determinazione dell’Unione politica.

Non condividevo questo punto di vista pessimistico. Abbiamo già vissuto queste situazioni difficili in passato e ne siamo sempre usciti più forti. Jean Monnet diceva che le persone accettano il cambiamento solo quando si trovano di fronte alla necessità, e che riconoscono la necessità solo quando incombe una crisi. Spinti dalla necessità, abbiamo compiuto dei cambiamenti che produrranno molti frutti.

Ho un’alta considerazione del processo che ci ha condotto all’approvazione del nuovo trattato. Non è stato facile. Stiamo sviluppando un modello assolutamente nuovo nella storia della civiltà politica e, passo dopo passo, stiamo facendo progressi sulle realtà concrete di cui Schumann parlava. E’ del tutto logico che, a volte, possa occorrerci più tempo per prendere le decisioni. Tuttavia stiamo già vedendo i frutti del nostro lavoro.

Riconoscere lo straordinario contributo di questo Parlamento è un atto di dovuta correttezza. Per la Spagna, che ha lottato allo scopo di mantenere un atteggiamento favorevole all’Europa e l’equilibrio del trattato, il sostegno di quest’Aula è stato incoraggiante e decisivo.

Durante i negoziati, l’Europa ha continuato a compiere passi in avanti. Presto avremo i nuovi strumenti previsti dal trattato, e assisteremo a una notevole espansione della gamma di questioni su cui si potrà decidere a maggioranza qualificata, allo scopo di trovare soluzioni ai problemi che preoccupano i nostri popoli.

Ora più che mai, l’Europa deve diventare un faro di progresso e benessere. Non possiamo più ritardare l’apertura e la modernizzazione delle nostre economie. Dobbiamo impegnarci a raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona. Questo deve essere il nostro principale e immediato punto di riferimento per affrontare le sfide della globalizzazione nella sua duplice dimensione interna ed esterna.

Dobbiamo essere ambiziosi. L’esperienza ci ha insegnato che, quando ci siamo, tendiamo a fare bene. L’impatto straordinario dell’introduzione dell’euro, ora in fase di estensione ai nuovi Stati membri, dimostra chiaramente le potenzialità che emergerebbero se continuassimo ad accrescere la nostra integrazione. Dobbiamo portare a termine lo sviluppo del mercato interno per i beni, i servizi e le reti, e dobbiamo rafforzare le istituzioni preposte al monitoraggio della concorrenza per assicurarne il corretto funzionamento.

Nella sua dimensione esterna, l’Europa deve giocare un ruolo guida nello sviluppare regole eque per la globalizzazione. Dobbiamo accrescere la trasparenza e l’apertura dei nostri mercati e sostenere quelli dei nostri partner extracomunitari in un contesto di concorrenza leale. Dobbiamo dirigerci verso il ciclo di Doha. Dobbiamo costituire un esempio nella promozione del commercio internazionale.

Il mondo globalizzato ci richiede uno sforzo particolare nell’innovazione tecnica e nella ricerca, allo scopo di trarre il massimo beneficio dallo straordinario potenziale dei nostri scienziati e delle nostre università, nonché di combinare l’eccellenza con la coesione territoriale. Il nostro modello di efficace integrazione comporta che tutti gli Stati membri abbiano uguale accesso alle nuove tecnologie.

Intendiamo compiere progressi in ambito previdenziale. La nostra è un’Europa sociale, un’Europa dei diritti sociali.

(Applausi)

Il nostro modello economico è inconcepibile senza equità, e l’equità non può essere raggiunta senza tutele. Il nostro successo deve essere misurato in base alla nostra capacità di continuare a crescere, garantendo solidarietà e coesione.

Dobbiamo promuovere condizioni di occupazione stabili e dignitose, aiutare i nostri lavoratori ad adattarsi ai cambiamenti del sistema produttivo ed essere campioni delle politiche di inclusione sociale, pari opportunità, sicurezza sul lavoro e garanzie per la salute dei nostri cittadini.

Questa nuova Europa, ancora più allargata, potrà avere successo solo se rafforziamo la solidarietà tra tutti gli Stati membri. La coesione è un principio fondamentale, derivante in particolare dall’impegno che tutti abbiamo assunto, e dall’esigenza di creare legami decisivi per garantire l’integrazione politica dell’Unione.

La Spagna, che ha ampiamente beneficiato della solidarietà comunitaria, vede con favore che anche i nuovi Stati membri possano trarne vantaggio, ed è disposta a condividere le sue esperienze affinché essi possano fare buon uso di questa solidarietà.

L’Europa è ora immersa in un processo di grande importanza strategica: la creazione di uno spazio’ comune di libertà, sicurezza e giustizia, lo sviluppo dell’area di Schengen e il sistema delle frontiere esterne. Non può esserci prova migliore della nostra reciproca fiducia che mettere in comune la sicurezza, una scelta nei cui confronti gli Stati membri con una frontiera esterna hanno assunto particolare responsabilità. La Spagna è sempre stata in prima linea per queste iniziative e continuerà a sostenerle con la massima determinazione.

Desidero sottolineare l’importanza di rafforzare la politica dell’immigrazione europea. L’immigrazione è una realtà che ha già avuto un impatto sull’ordine del giorno europeo; ma questo impatto è destinato a crescere, poiché riguarda certi aspetti molto sensibili del nostro progetto.

Dobbiamo iniziare riconoscendo inequivocabilmente il potenziale positivo dell’immigrazione, che spazia dal sostegno della popolazione fino al rafforzamento della diversità culturale, senza dimenticare la spinta potenziale per le nostre economie, che è risultata molto evidente nel caso della Spagna.

Dobbiamo favorire politiche dell’integrazione che rispettino i diritti e richiedano dei doveri. Un’Europa che garantisce questa integrazione sarà più degna, più libera e più sicura.

Nel contempo, dobbiamo agire sulle cause che stanno alla base della migrazione. Dovremmo farlo attraverso il dialogo e l’efficace cooperazione con i paesi di origine e di transito.

Dobbiamo consolidare la solidarietà tra gli Stati membri e dotarci delle risorse appropriate per controllare efficacemente i confini esterni. La Spagna ha sviluppato misure attualmente applicate con successo, ma resta ancora molto da fare. Dobbiamo rafforzare l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere, migliorare la nostra cooperazione sul campo e mettere fuori gioco quelle mafie che sfruttano il bisogno vitale e urgente di questi uomini e donne di fuggire da vite di miseria e frustrazione.

(Applausi)

Ci confrontiamo con l’importante sfida di prevenire e combattere il terrorismo e la criminalità organizzata. Dobbiamo essere più ambiziosi nella nostra cooperazione giudiziaria e tra le forze di polizia. Avendo vissuto esperienze dolorose, la Spagna conosce fin troppo bene l’esigenza indispensabile di un’azione congiunta, e sarà sempre in prima linea per questa politica.

Proponendo nuove iniziative e fornendo il buon esempio, l’Europa deve cercare di sviluppare risposte multilaterali ai problemi globali. Lo stiamo già facendo nella lotta contro il cambiamento climatico, con il nostro impegno a ridurre entro il 2020 del 20 per cento le emissioni di gas a effetto serra ’. Possiamo e dobbiamo porci alla guida del processo, affermare l’Europa come punto di riferimento e incoraggiare un nuovo consenso nei negoziati che si apriranno a Bali in dicembre.

Ci attende un enorme compito nel campo dell’energia. La Spagna sostiene la necessità di un’adeguata politica energetica con un mercato unico trasparente, nonché di forniture garantite con il minimo impatto ambientale. A nostro giudizio, potremo contare su una politica energetica europea credibile soltanto se svilupperemo un sistema ben articolato di interconnessioni tra tutti gli Stati membri.

Signor Presidente, onorevoli deputati,

siamo attori sulla scena globale, perché non costituiamo soltanto un progetto per europei. Non realizzeremo completamente i nostri obiettivi, se ci limiteremo a difendere i nostri interessi. Li raggiungeremo soltanto se proietteremo i nostri valori sulla scena internazionale e se consolideremo la nostra Unione come un’area di pace, stabilità e solidarietà.

Il successo della nostra integrazione sarà largamente misurato in base al significato che assumeremo per gli altri, al significato che la nostra voce avrà per il mondo intero. Il futuro ha più che mai bisogno dell’Europa. La nostra ambizione non deve essere che il mondo guardi al nostro grande passato, bensì al nostro futuro aperto.

Il nuovo trattato ci metterà a disposizione strumenti efficaci per la nostra politica estera comune. Le istituzioni del Presidente del Consiglio e dell’Alto rappresentante per gli affari esteri, nonché la riassegnazione delle competenze e delle risorse conferirà a questa politica maggiore enfasi e continuità.

Possiamo inoltre avvalerci dell’esperienza maturata negli ultimi anni, in cui abbiamo acquisito capacità di gestione delle crisi civili e militari, e siamo intervenuti con successo nei teatri di scontro più difficili come il Congo o la Bosnia.

Siamo i principali portatori di sviluppo e aiuti umanitari. E questo non solo per il nostro concetto di dignità, le nostre radici umanistiche e il senso di giustizia, ma anche per il nostro interesse specifico. Soltanto lo sviluppo condiviso e la giustizia nel mondo possono garantire la sicurezza in tempi così difficili.

In un periodo di profondi cambiamenti della situazione internazionale, l’Europa deve accrescere la propria legittimazione quale area di integrazione e democrazia, nonché sviluppare la propria capacità di raggiungere il consenso a livello internazionale.

La nuova Europa non può essere vista come isolata dai propri vicini a est e a sud. La nostra prosperità deve andare di pari passo con la loro. Dobbiamo far sentire la nostra voce e ascoltare la loro per impegnarci insieme in un dialogo proficuo.

Siamo molto impegnati nelle relazioni con i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, in cui dobbiamo riaffermare la vera dimensione dell’Europa: essa è interessata a tutti i contributi che possono giungere dagli altri, rispetta le differenze, offre i propri valori senza imporli e sviluppa partenariati nell’ambito di una nuova politica di vicinato.

I divari di reddito più consistenti del pianeta emergono proprio tra le sponde settentrionali e meridionali del Mediterraneo, ed è in quella regione che tuttora persistono conflitti profondamente radicati. Tuttavia, è altrettanto vero che le società dell’Africa settentrionale sono giovani e dinamiche, e che i loro sistemi politici si stanno gradualmente aprendo, consentendo libertà importanti. Le relazioni con il mondo islamico, nell’ambito delle quali l’Europa deve seguire un percorso di dialogo e partenariato, saranno contraddistinte dall’immagine che riusciremo a delineare di noi stessi in questa regione.

Dobbiamo approfittare del prossimo Vertice UE-Africa per affrontare le richieste giustificate e pressanti di un continente che soffre vicino, e nel contempo così lontano da noi, e che sta bussando ansiosamente alla nostra porta. Dobbiamo adottare provvedimenti per far sì che le persone non abbandonino i lori paesi, per sostenere le loro aspirazioni di vita e prosperità nei loro luoghi d’origine.

Possiamo inoltre offrire un approccio europeo alle sfide più importanti che caratterizzano la scena internazionale come, per esempio, il processo di pace in Medio Oriente e le relazioni con il mondo islamico, la lotta contro il terrorismo internazionale, la non proliferazione nucleare, la relazione strategica con la Russia e con i principali paesi asiatici, il rispetto dei diritti umani e l’espansione della democrazia, la lotta contro la fame e la povertà, la generalizzazione dell’accesso all’istruzione e alle cure sanitarie, nonché la coesione sociale.

Dobbiamo intensificare la nostra presenza attiva in tutte le aree geografiche del pianeta, incoraggiando gli altri processi di integrazione. A questo punto permettetemi di sottolineare, a titolo di esempio, l’importanza di espandere le nostre relazioni con l’America latina e promuovere negoziati su accordi di associazione tra l’Unione e i vari gruppi regionali latinoamericani.

Dobbiamo prendere un impegno deciso per il multilateralismo, e rafforzare il ruolo centrale delle Nazioni Unite negli sforzi di mediazione e partecipazione alla risoluzione dei conflitti. E’ altresì vitale che l’Unione compia progressi nel definire una politica di difesa comune, che ci consenta di partecipare in modo attivo e indipendente al mantenimento della pace internazionale e della sicurezza su mandato delle Nazioni Unite.

Lo sviluppo delle necessarie capacità civili e militari, i Gruppi di combattimento dell’Unione europea, le iniziative per una forza di risposta rapida e i programmi dell’Agenzia per la difesa europea costituiscono importanti passi in avanti che, tuttavia, risultano ancora inadeguati.

Signor Presidente, onorevoli deputati,

volevo condividere con voi alcuni aspetti basilari della mia visione dell’Europa e gli obiettivi che, a mio giudizio, dovremmo porci ora pensando al futuro. Ho cercato di delineare l’Europa dal punto di vista della Spagna. Ora permettetemi di parlarvi brevemente della Spagna dal punto di vista dell’Europa.

Le politiche attuate dal mio governo negli ultimi anni sono state caratterizzate dagli stessi elementi che distinguono le priorità europee.

Stiamo attraversando un periodo di crescita economica, giorno dopo giorno ci apriamo sempre di più e introduciamo riforme nell’ottica delineata dalla strategia di Lisbona. Nel 2007 abbiamo già centrato uno dei due obiettivi principali del nostro programma di riforma nazionale, ossia raggiungere un tasso di occupazione del 66 per cento, e conseguiremo il secondo, la piena convergenza con il reddito pro capite europeo, prima della scadenza inizialmente programmata per il 2010.

Abbiamo preso un risoluto impegno per la formazione delle risorse umane, la fornitura di infrastrutture e l’espansione delle tecnologie di comunicazione. Stiamo così fornendo il nostro contributo perché l’economia dell’Europa sia fondata sulla conoscenza, e sia competitiva nella società dell’informazione.

Il nostro modello sociale è diventato più ricco e forte. Abbiamo sane finanze pubbliche, che evidenziano un eccedenza di circa il 2 per cento del prodotto interno lordo, un debito pubblico in calo e un consolidato sistema di previdenza sociale.

In Spagna l’occupazione è cresciuta in modo spettacolare – tre milioni di nuovi posti di lavoro negli ultimi quattro anni – e l’occupazione è diventata più stabile. Stiamo facendo progressi grazie agli accordi che abbiamo raggiunto con la forza lavoro, e stiamo vivendo il periodo di massima armonia nelle relazioni sindacali da quando è nata la nostra democrazia.

Abbiamo iniziato ad attuare una politica sociale, stabilendo il diritto di assistenza ai disabili e alle persone a carico. Questo pertanto costituirà un nuovo pilastro del nostro sistema previdenziale.

La sostenibilità è diventata una componente vitale del nostro modello di crescita. Nel 2006 siamo riusciti a ridurre le emissioni di gas serra per la prima volta, seppur beneficiando ancora di un’intensa crescita economica. Siamo impegnati per Bali come lo siamo per Kyoto.

I cittadini spagnoli godono di più diritti come una maggiore influenza sociale e l’uguaglianza tra uomini e donne, ora pienamente sviluppata e garantita per legge nonché, cosa molto significativa, i matrimoni tra coppie omosessuali, che sono riconosciuti equivalenti agli altri e conferiscono dignità a tutti noi in quanto parte della società.

La Spagna ha sostenuto il multilateralismo e continuerà a farlo. La Spagna ha sostenuto l’Unione e le Istituzioni europee e continuerà a farlo.

Come abbiamo dimostrato negli ultimi anni, continueremo ad accrescere la nostra cooperazione allo sviluppo, in modo da poter figurare tra i dieci principali paesi in termini di percentuale del prodotto interno lordo destinata agli aiuti per lo sviluppo. Continueremo ad aumentarla in modo da arrivare allo 0,7 per cento nei prossimi quattro anni, portando solidarietà e dignità a milioni di persone in tutto il mondo.

Signor Presidente,

per molto tempo abbiamo potuto soltanto dire che, se l’Europa fosse progredita, anche la Spagna lo avrebbe fatto. A mio giudizio oggi possiamo affermare, con orgoglio ma anche con umiltà, che se la Spagna continua a progredire come ha finora dimostrato, anche l’Europa lo farà.

Sono totalmente convinto che l’Europa supererà le nostre aspettative. Possiamo affidarci alla straordinaria capacità di tutte le sue Istituzioni, in particolare di questo Parlamento. Nei momenti più difficili, onorevoli colleghi, il Parlamento europeo si è sempre dimostrato una difesa contro il pessimismo, un coraggioso e infaticabile campione dell’integrazione europea. Oggi desidero esprimervi un ringraziamento del tutto particolare. Le vostre proposte e i vostri dibattiti hanno influenzato le principali riforme che l’Unione ha attuato durante tutti questi anni.

In quest’Aula, tra tutti voi, l’Europa può essere percepita con un’intensità maggiore che in qualsiasi altro luogo. L’Europa vive qui con più speranza e fiducia.

In conclusione, desidero quindi esprimere il riconoscimento della Spagna e del sottoscritto per il prestigio e il lavoro compiuto da quest’Assemblea, nonché dagli uomini e dalle donne di tutte le ideologie e di tutti i paesi che, attraverso varie legislature, ci hanno consentito, da questi banchi, di realizzare l’Europa di oggi e preparare l’Europa di domani.

Abbiamo superato con successo il recente pericolo. Ora dobbiamo affrontare le molte sfide che ancora ci attendono. Dobbiamo guardare fermamente al futuro e lavorare insieme per realizzare l’Europa di cui abbiamo bisogno e, soprattutto, l’Europa di cui ha bisogno il mondo.

Molte grazie.

(L’Assemblea, in piedi, applaude lungamente)

 
  
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  Jaime Mayor Oreja, a nome del gruppo PPE-DE.(ES) Signor Presidente, stimato Primo Ministro, onorevoli colleghi, a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, desidero ringraziare il Primo ministro spagnolo per le sue riflessioni sull’orientamento dell’Unione europea.

Avremmo sicuramente preferito che il suo discorso e i suoi pensieri sull’Europa fossero stati espressi in un altro momento, prima e non dopo il Vertice di Lisbona, e più precisamente non settantadue ore dopo la sua nomina a Primo ministro, perché queste circostanze non sono mai favorevoli al raggiungimento del vero obiettivo di un simile incontro. Tuttavia, onorevoli colleghi, sarebbe altresì sleale da parte mia – e il nostro gruppo non lo vorrebbe – se non ringraziassi il Primo Ministro, né valutassi con correttezza il suo contributo indubbiamente molto utile per la direzione che in futuro prenderà l’Europa.

Non è facile per me parlare di libertà e Unione europea a nome del gruppo PPE-DE soprattutto perché, nel mio schieramento, sono state vissute esperienze personali così recenti e così tipiche della difesa della libertà, che non riesco a trovare parole adeguate o sufficienti per spiegare il profondo e reale significato da noi attribuito all’Unione Europea.

Il nostro gruppo è lieto dell’indubbio progresso compiuto al Vertice di Lisbona ma, per amor del vero, non può esimersi dal considerare che non abbiamo ancora la spinta politica, né l’ambizione sufficiente a trasformare l’Unione europea di oggi nell’Unione europea di cui abbiamo bisogno per il futuro dei nostri popoli. Non possiamo realizzare l’Europa che ci manca se non crediamo in noi stessi. Non possiamo completare l’Unione europea per inerzia o con belle parole, né basandosi semplicemente su principi comuni. Parole come coerenza e autenticità non sono sufficienti, per esempio, quando si deve affrontare il recepimento delle direttive europee o la conformità al protocollo di Kyoto.

Signor Primo Ministro, ciò che manca è indubbiamente la determinazione, la difesa dei nostri valori e l’impegno. Sono questi gli elementi che ci consentiranno di consolidare la forza morale dell’Unione e in ultima analisi la sua cultura, ossia ciò che sostiene sostanzialmente il nostro progetto. Tuttavia, dobbiamo sensibilizzare i cittadini europei su questi elementi che ancora mancano. Dobbiamo comunicarli e spiegarli chiaramente. Dobbiamo condividere con loro quest’esigenza politica di impegno, e avere il coraggio di dire la verità su ciò che ancora manca. Non ne saranno demotivati ma, anzi, esprimeranno le speranze, i sogni e la vicinanza di cui abbiamo così disperatamente bisogno. Dobbiamo informarli con maggiore chiarezza sui problemi. Dobbiamo porli come priorità e lavorare alle questioni urgenti per trovare il modo di distribuire i poteri tra l’Unione e le nazioni europee, senza generalizzare ma, anzi, assegnando le priorità e individuando i problemi più urgenti che restano da affrontare.

Signor Primo Ministro, l’accordo, il consenso e l’approccio graduale sono metodi tradizionalmente europei, perché il consenso è più un metodo che un valore. Ciò significa che dobbiamo definirlo e organizzarlo e, nel contempo, dobbiamo dare pieni poteri ai gruppi politici europei, perché senza di essi non potrà esserci un’Unione europea. Inoltre non dovremmo portare in quest’Aula eventuali disaccordi o dissensi nazionali (comunque reali e profondi), come invece ha fatto sfortunatamente la Spagna alcuni mesi fa, e voi ne siete a conoscenza.

Signor Primo Ministro, esistono problemi che richiedono una soluzione europea. Questo senza dubbio rafforza l’Unione ma, a giudizio del nostro gruppo, rafforza anche le nazioni europee. L’Unione non crescerà più forte se le nazioni europee s’indeboliscono ma, anzi, avverrà l’esatto contrario: per essere completata, l’Unione europea ha bisogno di membri forti e sarà impossibile ultimare questo progetto con nazioni indebolite, che ne minacciano l’integrità territoriale.

Il valore della libertà è ciò che ci unisce, e completa tutti gli altri valori definiti nella Carta dei diritti fondamentali, che sarà firmata il 12 dicembre a Strasburgo. Tuttavia, non si tratta soltanto di un’illusione: è un rinnovato impegno verso la libertà, non solo nel territorio della nostra Unione, ma soprattutto in quello degli amici con cui abbiamo tradizionalmente condiviso la nostra cultura, in America latina e anche in alcune repubbliche dell’Europa orientale. E’ anche in questi paesi che dobbiamo cercare di consolidare il nostro quadro di principi e valori.

Voglio infine esprimere un altro principio: coerenza e non parole. La storia ha dimostrato il benefico effetto della nostra cultura sul mondo. Dovremmo trasmetterla e, nel contempo, essere consapevoli che non possiamo chiudere questo valore all’interno dell’Unione europea.

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo molto lieti di accogliere il Primo Ministro Rodríguez Zapatero al Parlamento europeo. Ci fa piacere che lei sia venuto qui dopo il Vertice di Lisbona, nonché 72 ore dopo la sua nomina a candidato. Saremmo stati ancor più felici se oggi il gruppo PPE–DE fosse stato rappresentato almeno dal proprio Presidente.

Vi posso dire una cosa: questo pomeriggio, l’onorevole Daul si è perso un bel discorso del Primo Ministro spagnolo! Si è anche perso quello meno bello dell’onorevole Mayor Oreja, quindi per lui forse è stato meglio non presenziare. Poiché i posti vuoti nell’ala destra di quest’Aula sono molto eloquenti, permettetemi di dire che, quando il Primo Ministro svedese Reinfeldt ci farà visita, data la sua appartenenza alla stessa famiglia politica, il gruppo socialista parteciperà con gli stessi numeri di oggi; a mio giudizio la cortesia è una qualità che si ha o non si ha – e di certo manca a quelli che siedono sulla destra!

(Applausi)

La Spagna e gli spagnoli, rappresentati dal loro Primo Ministro, hanno diritto al rispetto da parte di tutti gli schieramenti politici di quest’Assemblea. Noi glielo accordiamo. Signor Zapatero, lei ha ringraziato quest’Assemblea e l’Unione europea. E’ stato davvero memorabile che lo abbia fatto il capo di governo di un paese che ha dovuto subire 40 anni di spietata e brutale dittatura, e che ha acquistato la propria libertà e pluralità democratica grazie all’integrazione europea. Alzarsi in piedi e ringraziare l’Unione europea le fa grande onore, signor Primo Ministro. Tuttavia, anche noi le dobbiamo dei ringraziamenti per il successo che ha coronato gli sforzi della Spagna. Dobbiamo ringraziare il popolo e i democratici spagnoli, uomini e donne, poiché il contributo reso all’Europa va a favore della democrazia, della pluralità, del progresso culturale e della stabilità sociale. Pertanto esprimiamo il nostro ringraziamento al governo spagnolo.

(Applausi)

La Spagna, così come tutta la regione iberica, rappresenta un modello per l’Europa. Per inciso, ciò vale anche per la Grecia e per tutti quei paesi che hanno dovuto superare le dittature fasciste e farsi strada verso l’Unione europea all’inizio e alla metà degli anni ‘‘80. In quanto europei occidentali, all’epoca noi avevamo la libertà di viaggiare in quei paesi, e ora siamo in grado di confrontare il loro passato con il loro presente. La Spagna è un paese in fiorente crescita economica, un paese pieno di speranza, con un grande futuro, il cui popolo ha reso un enorme contributo alla pace nel mondo, un paese dalla prospera economia che, data la sua forza, sta giustamente bussando alla porta del G8. Chi l’avrebbe mai detto vent’anni fa? E perché dico che la Spagna è un modello? Lei stesso lo ha affermato, signor Primo Ministro: se le politiche strutturali e regionali dell’Unione europea avranno gli stessi effetti economici prodottisi in Spagna anche nei paesi che sono entrati nell’Unione europea il 1° maggio 2004, l’Europa nel suo complesso potrà guardare a un futuro davvero radioso. Per questo dico che la Spagna è un modello per l’Europa.

(Applausi)

Signor Primo Ministro, la Spagna – come lei stesso ha spiegato molto bene – ha tratto giovamento dall’integrazione in Europa. Come molti altri paesi dell’Unione europea, la Spagna ha ceduto una parte di sovranità quando ha introdotto l’euro. La rinuncia alla sovranità monetaria comporta la cessione di una parte di sovranità nazionale. Eppure, proviamo ad immaginarci solo per un attimo cosa sarebbe potuto succedere, se la Spagna avesse mantenuto la peseta e se il governo Zapatero avesse decretato come primo atto ufficiale il ritiro delle truppe dall’Iraq. Il dollaro avrebbe potuto prendersi gioco della peseta, e con quali conseguenze economiche? La cessione della sovranità monetaria ha in realtà conferito un certo grado di indipendenza e sovranità alla Spagna. Ecco un altro motivo per cui questo paese rappresenta un valido modello: esso dimostra che l’integrazione europea rende più forti, non più deboli!

(Applausi)

Il Primo Ministro Zapatero ha trattato varie questioni. A nome del mio gruppo, degli uomini e in particolare delle donne che vi fanno parte, desidero soltanto accennare alle pari opportunità. Esistono davvero pochi i capi di governo in Europa che si siano impegnati più di lei, signor Primo Ministro, nel promuovere i diritti delle donne. Anche per questo, a lei va il ringraziamento del Parlamento europeo.

(Applausi)

(ES) Signor Primo Ministro, la esortiamo a perseverare in queste sue politiche eccellenti, moderne e progressiste. Fanno bene alla Spagna, e ciò che fa bene alla Spagna è benefico anche per l’Europa. Continui così, signor Primo Ministro.

(Il suo gruppo, in piedi, applaude)

 
  
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  Graham Watson (ALDE). - (EN) Signor Presidente, quando gli Stati membri procederanno a ratificare il Trattato di riforma, come auspichiamo e crediamo si farà, potremo finalmente guardare a un’Unione europea rinata – un’Unione capace di affrontare nuove sfide, con l’umiltà di ascoltare i propri cittadini e con la volontà politica di agire. La ratifica del Trattato non potrebbe essere più sollecita, e il mio gruppo desidera ringraziarla, Primo Ministro Zapatero, per gli sforzi da lei compiuti al fine di accelerare il processo.

Il mio gruppo non vede la necessità di convocare un’assemblea di esperti che s’interroghino sul futuro dell’Europa. E’ già stato fatto, noi c’eravamo e lo dimostrano le nostre t-shirt. Il cosiddetto “periodo di riflessione” è ora giunto al termine. Siamo a metà strada nella strategia di Lisbona e solo ora stiamo compiendo progressi in termini di crescita e posti di lavoro. Stiamo completando il mercato unico e liberando il potenziale degli imprenditori europei. Stiamo aprendo percorsi di migrazione legale a favore sia delle economie già sviluppate, che di quelle in via di sviluppo.

Ora non è il momento di tornare al tavolo da disegno francese, né di seguire un nuovo piano britannico per la tanto magnificata area di libero scambio. Queste visioni sono solo punti di vista marginali, spacciati come opinione della maggioranza. Esse non rispecchiano il reale consenso. La maggior parte dei nostri cittadini desidera che l’Unione garantisca un’economia forte e capace di crescere. Desiderano maggiore partecipazione dell’UE a tutti i livelli, un maggiore coinvolgimento nella lotta al terrorismo, una maggiore cooperazione in materia di sicurezza e di difesa e più azioni a favore dell’ambiente. Allora, e solo allora, l’Europa potrà diventare una parte attiva sulla scena globale, capace di attuare un cambiamento duraturo.

In che modo si può garantire crescita e posti di lavoro, se l’Europa si rinchiude nel protezionismo? Come possiamo combattere il cambiamento climatico se non riusciamo ad agire di concerto? Come possiamo diffondere la pace, la prosperità e la giustizia nel mondo, se l’Europa bisticcia ai margini dello scenario? Questo è il motivo per cui all’Europa occorrono più politici, che siano pronti a guidarla e ad adottare un approccio paneuropeo.

Signor Primo Ministro, riunendo i 18 amici della Costituzione a Madrid, lei ha dimostrato che la sua visione di un’Europa aperta, integrata e competitiva è condivisa da molti. E’ quella visione che i progressisti di tutti i partiti di quest’Assemblea vogliono vedere prosperare ed espandersi. Il gruppo ALDE s’impegnerà al fianco di tutti coloro che la condividono e lottano per realizzarla – a destra, a sinistra o al centro – al fine di garantire che l’Europa progredisca. Non tollereremo chi professa tale visione, senza dimostrarla nei fatti.

Signor Primo Ministro, la Spagna è spesso giustamente lodata per la trasformazione economica e sociale compiuta dopo il suo ingresso nell’Unione. Abbiamo bisogno che altri seguano il suo esempio e la sua ambizione per un’Europa prospera e aperta.

(Applausi dal centro e dalla sinistra)

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. (EN) Signor Presidente, vorrei unirmi ai miei colleghi nel dare il benvenuto al Primo Ministro, ma in modo diverso. Il Primo Ministro è giunto preparato a un dibattito sul futuro dell’Europa ma, purtroppo, ha ascoltato alcune argomentazioni incentrate sul passato dell’Europa, anziché sulla direzione che tutti noi dovremmo seguire.

Penso che, quando si considerano le necessità dell’Europa per il XXI secolo, ciascuno di noi sappia benissimo quali siano. Allo stesso modo, ognuno di noi sa che le ideologie del passato non sono riuscite a soddisfare da sole tali esigenze. Abbiamo ottenuto dei progressi solo coordinando e combinando metodi e ideali diversi. Sul fronte dell’uguaglianza, della giustizia, dello sviluppo economico, o della sanità e della sicurezza, è sempre stato necessario selezionare e acquisire singoli elementi dai metodi che sono risultati vincenti in passato.

A nome del mio gruppo, vorrei esprimere riconoscenza al Primo Ministro per il rispetto che ha dimostrato verso quest’Assemblea nel ringraziare l’Unione e soprattutto il Parlamento, in quanto voce rappresentativa dei cittadini dell’Unione europea. Noi stessi ci consideriamo – talvolta – come la vera voce rappresentativa. Potremmo anche sbagliarci, ma nessuno può mettere in dubbio la nostra trasparenza e il nostro mandato democratico di parlare a nome del popolo.

Troppo spesso, i pareri e le opinioni del Parlamento europeo sono relegati ai margini delle discussioni che si svolgono a livello intergovernativo. Qualche tempo fa mi ha fatto molto piacere che, durante il periodo di riflessione sul Trattato, ormai definitivamente concluso, il Primo Ministro abbia deciso di riunire gli “amici del metodo comunitario”, ribattezzandoli “amici della Costituzione”, per cercare di creare un’avanguardia pronta alla possibile evoluzione degli eventi. Egli ha notato che il successo di tale mossa gli aveva aperto altre porte ed opportunità in seno al governo, quando ha dovuto chiederli sostegno per questioni come l’immigrazione.

Se oggi potessi fare un appello al Primo Ministro per il futuro dell’Europa, vorrei che continuasse a esercitare la sua influenza non solo nell’Unione europea, ma anche e soprattutto in America Latina, dove i problemi legati a libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani stanno diventando sempre più evidenti sotto la maschera dei movimenti democratici.

Infine, alcuni di noi condividono una visione dell’Europa “tutta rose e fiori”, piena di grandi opportunità e, soprattutto, di rispetto per le differenze fondamentali e la dignità presenti all’interno dell’Unione europea. Dobbiamo raggiungere un punto in cui non cercheremo più di omogeneizzare tutto in un’unica forma o dimensione, ma capiremo che, attribuendo dignità alla differenza, si può effettivamente creare un’Unione europea migliore per il futuro, più variopinta e sicuramente più vitale.

(Applausi)

 
  
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  Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE.(ES) Signor Primo Ministro, il gruppo Verts/ALE apprezza realmente la sua solida posizione pro-europea, il suo coraggio di tenere un referendum sul Trattato costituzionale e l’abilità dimostrata dal suo governo nel portare avanti, con calma e senza guerre di religione, leggi e provvedimenti per le pari opportunità, i diritti individuali e le libertà che sono di esempio a molti paesi europei, nonostante io non veda molte donne tra il suo seguito oggi.

Apprezziamo i suoi commenti sull’immigrazione, ma non sempre le sue azioni, come apprezziamo che siano stati sottolineati gli aspetti positivi dell’immigrazione e non solo l’illegalità del fenomeno, come forse ha fatto il suo predecessore.

Per questa ragione le dirò, Primo Ministro, che lei ci è mancato negli ultimi due anni e nella crisi istituzionale degli ultimi mesi che è sfociata, senza infamia e senza lode, nel “mini” Trattato di Lisbona. L’ordine del giorno della Conferenza intergovernativa è stato dettato dai nemici della Costituzione europea mentre gli amici, come lei, hanno dimostrato una discrezione eccessiva dopo il famoso incontro dei diciotto.

Ora in Europa riscontriamo l’esistenza di vari approcci: il sistema a duplice amministrazione di Sarkozy, il nazionalismo atlantico di Gordon Brown e il pro-europeismo piuttosto formale, ma molto sincero di Romano Prodi. Qual è la sua opinione? Chi sono i suoi alleati?

Signor Primo Ministro, lei ha accennato alla questione del cambiamento climatico, nonostante l’idea di un nuovo contratto tra il genere umano – anche di sesso femminile, suppongo – e il pianeta sia ormai una vecchia storia. Inoltre, lei ha estesamente ribadito la gratitudine per l’aiuto europeo. Devo dirle che oggi è chiaro, e lo è già da qualche tempo, che i fondi europei sono utilizzati anche per trasformare la Spagna nel paese con più chilometri di strada per abitante dove il cemento, sempre grazie ai finanziamenti comunitari, ha determinato gravi fatti di speculazione e corruzione, contribuendo ad allontanare la Spagna, assieme all’Italia mio paese e alla Danimarca – nonostante voi siate un po’ peggio – dalla conformità agli obiettivi di Kyoto.

Per come la vedo, la Spagna non ha recepito la direttiva “Eurobollo” e ha una politica infrastrutturale molto estensiva. Auspichiamo che, quale risultato delle sue promesse elettorali sul cambiamento climatico – e non guasta fare un po’ di campagna elettorale, persino qui – la Spagna cambi decisamente direzione. Speriamo altresì che, nel suo governo, il fantastico ministro dell’Ambiente abbia molto più spazio di manovra di quanto le sia stato finora lasciato.

(Applausi)

Signor Primo Ministro, per concludere, devo dire che qui nel Parlamento europeo l’apprezziamo moltissimo e la ringraziamo per le sue parole, ma abbiamo bisogno di alleati nei governi degli Stati membri. Non possiamo fermarci, perché abbiamo bisogno di persone che vogliono l’Europa e che ne hanno una visione.

(Applausi)

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL.(FR) Signor Presidente, signor Primo Ministro, l’intervento è stato bello. Per molti versi, si tratta di un discorso umanista che sono disposto ad accettare come ideale per l’Europa del futuro. Tuttavia, dobbiamo ammettere che occorre apportare molte modifiche alle procedure e alle strutture dell’Unione europea, affinché la realtà attuale assomigli alla visione da lei appena delineata.

Lei sostiene che la nostra è un’Europa sociale. Bravo! Tuttavia non è pessimistico affermare che, in buona sostanza, quest’Europa sociale deve essere ancora costruita. Secondo i trattati, il quadro attuale della politica sociale europea è quello di un’economia di mercato aperta in regime di libera concorrenza. Questa situazione stimola naturalmente la competizione tra modelli sociali e tende a ridurre le nostre prerogative nel nome della concorrenza, abbassa il costo della manodopera, favorisce la precarietà e mina i diritti sociali.

La questione sociale è indubbiamente la ragione principale, che spiega la sfiducia dei nostri cittadini nei confronti delle Istituzioni europee. Il Presidente della Banca centrale europea, per esempio, lo ho appurato di persona quando poco tempo fa è intervenuto alla Conferenza della Confederazione europea dei sindacati, presentando la sua teoria, quella ufficiale dell’UE, sulla moderazione dei salari in nome della competitività dei prezzi. Ha incontrato un’opposizione unanime. Come ho già detto, il ministro delle Finanze tedesco ha citato il rischio di una crisi di legittimazione del modello economico e sociale europeo. Ci permetta quindi di dare uno sguardo a questi aspetti, o meglio di rendere più credibile la sua visione del futuro.

Lei ha anche menzionato le relazioni con l’Africa e la necessità di rispondere ai loro appelli per la giustizia. Lei ha ragione. Tuttavia, in questo caso specifico, dobbiamo riprendere il progetto di accordo di partenariato economico che è stato respinto da tutti i nostri partner africani, perché certi – e penso con ragione – che l’abbinamento tra sviluppo delle capacità umane e libero scambio non costituiscano un buon abbinamento.

Concludo, Primo ministro, ringraziandola per averci ricordato quelli che, a mio giudizio, sono gli obiettivi ultimi dell’Europa, e se ancora non siamo d’accordo sulle visioni del presente, vorremmo almeno raggiungere il consenso sulle prospettive future.

 
  
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  Graham Booth, a nome del gruppo IND/DEM. (EN) Signor Presidente, è un piacere vedere il Primo Ministro qui a Bruxelles. Egli rappresenta un modello per gli altri capi di governo europei, perché ha consentito al proprio popolo di decidere in merito alla Costituzione. Per questo merita il nostro plauso. In tale occasione, la schiacciante maggioranza del popolo spagnolo si è pronunciata a favore dei programmi.

Vorrei però sapere il motivo per cui non ha intenzione di ripetere l’esperienza. Dopotutto, dovrebbe confidare in un risultato analogo. Forse perché, come ha detto il Primo Ministro, il Trattato di riforma non ha tralasciato alcun punto fondamentale del Trattato costituzionale? Se le cose stanno così, sarebbe ragionevole pensare che non ritenga necessario porre lo stesso quesito al suo popolo due volte. O forse il Trattato di riforma, nella versione presentata al popolo britannico, è così diverso da costituire un’entità totalmente separata e troppo complessa per essere compresa dai cittadini?

Questa, naturalmente, è la chiave di tutte le nostre prospettive future. O l’élite politica non si cura di ciò che la gente vuole, come nel caso di Sarkozy e Brown, o ritiene che le persone siano troppo stupide per decidere su cose più importanti dell’hamburger da ordinare da McDonalds. Mi sembra che l’Unione europea si stia rapidamente trasformando nel primo stato post-democratico al mondo. Al Primo Ministro mi sento di dire questo: se le élite europee non consentiranno ai popoli di esprimersi, alla fine essi troveranno altri modi per farsi sentire.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a mio giudizio la sfida più grande che l’Unione europea deve attualmente affrontare è la totale mancanza di partecipazione democratica nel processo decisionale. Le Istituzioni europee sono sempre più guardate con sospetto – secondo me a ragione, è un dato di fatto – dai nostri cittadini, i quali non accettano che molte decisioni fondamentali, avendo una ricaduta diretta sulle loro vite, siano prese in torri d’avorio senza il controllo né di strumenti né di persone. In più, non esiste alcuna base democratica a fondamento di tali decisioni. Vi illustrerò due esempi.

Primo esempio: il testo dei nuovi trattati europei sarà presto firmato a Lisbona. Tutti sanno che è una versione scarsamente emendata della Costituzione europea. Lo stesso Primo Ministro Zapatero ha dichiarato che non è stato modificato alcun componente fondamentale. Ora, quel testo è stato respinto dai referendum democratici svoltisi in Francia e nei Paesi Bassi, ma la gravità del risultato è stata sdrammatizzata. Di fatto, lo scenario migliore è che potremo forse organizzare consultazioni occasionali per fare felici gli eurocrati, ma i pronunciamenti realmente democratici, espressi con lo strumento referendario, saranno buttati assieme alla spazzatura. In questo modo, temo che l’Europa tenda sempre più a diventare un club ristretto che, governando un super-stato, non tollererà alcuna partecipazione e, di conseguenza, non potrà più definirsi una vera democrazia. Lo stesso discorso vale in pratica anche per il trattamento riservato a un possibile accesso della Turchia all’Unione europea. I nostri cittadini non la vogliono, ma auspicano l’esatto opposto, perché la Turchia non è un paese europeo – dal punto di vista culturale, geografico o religioso, né in alcun altro modo – eppure, la Commissione e il Consiglio non tengono conto delle opinioni della maggioranza dei nostri cittadini. Anziché discutere il futuro dell’Unione, dovremmo condurre un dibattito sulla convalescenza della democrazia nelle Istituzioni comunitarie.

 
  
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  José Luis Rodríguez Zapatero, Presidente del governo spagnolo. − (ES) Signor Presidente, innanzitutto desidero ringraziare tutti coloro che sono intervenuti per il tono e il contenuto dei loro commenti. Mi ritengo espressamente soddisfatto per la vivacità con cui si è svolta la discussione, dato che avevo sperato proprio in questo. Mi fa piacere di avere potuto contribuire a un confronto tanto animato e intenso, soprattutto per alcuni interventi di cui vi ringrazio dal profondo del cuore.

La Spagna è riconoscente all’Unione europea, ai suoi padri fondatori e a grandi Stati come la Francia, la Germania e l’Italia, che ci hanno aiutato a portare la democrazia nel nostro paese, ci hanno accolto in Europa e, con le loro risorse, hanno contribuito al nostro sviluppo. Siamo grati anche ad altre figure pubbliche e a statisti che non ho menzionato oggi, come Helmut Kohl, Mitterrand e Palme che tanto hanno contribuito sia alla democrazia che al futuro della Spagna. Siamo molto orgogliosi di portare il nostro contributo a questa causa comune.

La gratitudine è accompagnata dal ricordo dei risultati, che la Spagna è riuscita a ottenere negli ultimi 25 anni. Probabilmente, nessun altro paese al mondo ha visto una tale trasformazione politica ed economica e un tale progresso nei diritti, nella libertà e nelle condizioni sociali quanto il popolo spagnolo nell’ultimo quarto di secolo.

La Spagna è sempre stata molto impegnata per l’Europa e decisamente pro-europea. I rappresentanti di tutti i partiti, culture e ideologie, nonché figure molto autorevoli in ambito politico hanno prestato servizio nelle Istituzioni europee, nella Commissione e in questo Parlamento, dove abbiamo avuto tre Presidenti. Abbiamo tutti compiuto il nostro dovere molto bene e, a questo punto, desidero rendere omaggio a coloro che hanno rappresentato la Spagna all’interno delle Istituzioni europee. Essi sono riusciti a plasmare una cultura comune pro–europea sotto forma di organizzazione politica che, stando ai discorsi fin qui pronunciati, non ha precedenti.

L’unione politica che chiamiamo Unione Europea non ha precedenti né modelli a cui ispirarsi, perché non rientra in nessuna delle classificazioni politiche finora conosciute. Qui risiede la grandezza dell’Unione europea e anche la sua imprevedibilità, dato che occorre formare una volontà comune condivisa da 27 paesi, 27 bandiere, 27 Stati, 27 nazioni, 20 lingue e da tante ideologie diverse, che si esprimono qui nel Parlamento europeo.

Di conseguenza, qualsiasi progresso compiuto nel processo europeo non ha avuto un unico colore, né è giunto da un unico paese o da un’unica ideologia. Non ha avuto un solo colore, intendo colore ideologico, né una sola bandiera. Ogni avanzamento è stata la somma di tutte le parti, ciascuna con la propria bandiera e il proprio colore, nel nome della coesistenza e dell’unità. Se esiste un concetto che davvero rappresenti l’anima europea, allora è quello di un’unione di democratici. Questa è l’Europa: un’unione di democratici, che fonda il progresso su posizioni il più possibile consensuali, che rispetta e coinvolge tutti offrendo le stesse opportunità, persino a chi si trova in profondo disaccordo con ciò che rappresenta l’Unione europea. Si tratta di un club che offre le stesse opportunità a chi è favorevole all’Europa e a chi non vuole il suo progresso: in questo sta la sua grandezza. Questa è la grandezza del club europeo; questa è la grandezza, in breve, di un’unione di democratici.

Qualcuno ha citato un “mini Trattato”. La prospettiva che adottiamo può sempre lasciarci insoddisfatti in termini di raggiungimento degli obiettivi, ma se questo nuovo Trattato è ratificato da tutti e se funziona, non sarà un mini, ma un grande Trattato. Questa è almeno la posizione che, a mio giudizio, dovremmo assumere oggi. Dobbiamo dargli tempo e vedere il potenziale che potrebbe esprimere una volta entrato in vigore e utilizzato per affrontare i cambiamenti che ci attendono.

E’ stato fatto riferimento alla ratifica del trattato. Questo passo si è reso necessario perché la Spagna ha tenuto un referendum consultivo sul Trattato costituzionale che, da allora, è stato sottoposto a una rinegoziazione di natura sostanziale, nel senso più classico di ciò che il concetto europeo rappresenta.

Mi è stato chiesto – e non voglio evitare alcuna domanda – perché non abbiamo portato questo documento alla prova di un referendum. Ci sono due ragioni molto ovvie: la prima è che il popolo spagnolo si è già espresso in favore di un Trattato costituzionale. Il documento che ora abbiamo approvato, denominato Trattato di Lisbona e in attesa di ratificazione, contiene molti aspetti del precedente Trattato costituzionale. La seconda ragione, molto importante, è che nel nostro paese esiste un vasto consenso alla ratifica parlamentare di questo trattato, sia tra chi di noi è d’accordo con questo documento, sia addirittura tra le minoranze che non lo sono.

Tuttavia, devo sottolineare un punto che ritengo importante per il futuro. Non so se potremo mai risolverlo, ma è un problema ovvio all’interno dell’Unione europea: abbiamo un sistema di ratifica imperfetto, che non è mai stato sottoposta a una discussione approfondita. A mio giudizio, la ratifica dovrebbe essere comune, da parte di tutti i paesi e, se possibile, in un unico atto con un unico strumento. Questo obiettivo è chiaramente difficile da realizzare al momento, ma molto auspicabile, e spero che col tempo possa avverarsi.

Alcuni relatori hanno sollevato la questione – che esisteva fin dall’inizio, dalla fondazione dell’Unione nella sua prima forma di Comunità europea del carbone e dell’acciaio, e quindi come Comunità economica europea – della relazione tra Unione europea e Stati nazionali. Spesso questo aspetto ha messo in discussione le condizioni di salute della democrazia nell’Unione europea, perché molte decisioni sono logicamente prese attraverso una procedura intergovernativa.

Ora esprimerò molto rapidamente la mia opinione sull’argomento.

Innanzitutto, lo stato nazionale è una forma di organizzazione politica che, in termini storici, cerca di unificare i territori, razionalizzare l’azione pubblica e, di conseguenza, preparare la strada ai sistemi democratici. Pertanto ha compiuto un importante compito storico.

L’Unione europea è una forma di organizzazione politica basata sull’esperienza dello stato nazionale, ma costituisce una fase più alta. Senza nulla togliere allo Stato nazionale, si aggiunge ad esso e alla sua configurazione tradizionale. Questo perché, come dimostrato nella storia della coesistenza, della civiltà e della comunità politica, unirsi è di solito un’operazione additiva. L’unione e la condivisione sono i due cardini dell’Unione europea. Non si tratta di eliminare o indebolire ciò che il tradizionale concetto di Stato nazionale rappresenta. In effetti, a una più forte Unione europea corrispondono Stati nazionali più forti. Questa è la mia opinione.

Ciò significa anche che l’Unione europea sarà più capace, attraverso istituzioni che richiedono la legittimità e la costante legittimazione da parte dei politici e dei governi di questi paesi ... Respingo assolutamente una teoria particolare che esiste all’interno dell’Unione europea secondo cui, per molti problemi della nostra vita economica, privata o sociale, la responsabilità risiede a Bruxelles. Questo atteggiamento è dannoso per l’integrazione dell’Unione europea e dei nostri cittadini, ed è anche scorretto in quasi tutte le occasioni.

Come può dimostrarci la storia e insegnarci il presente, ritengo che la tendenza a criticare gli altri per ciò che non siamo riusciti a ottenere sfoci nella malinconia e in un atteggiamento negativo tra le persone.

Alcuni relatori hanno citato obiettivi concreti e belle parole. Sono d’accordo: in termini politici, non vi possono essere azioni senza parole, né parole senza azioni. Pertanto, a mio giudizio tutto ciò che rappresenta un’opzione per il futuro deve avere priorità, priorità politiche che siano credibili e osservabili nelle azioni e nelle decisioni. Sono loro a costituire l’oggetto della discussione. Desidero riassumere le tre che mi sembrano più importanti per il futuro dell’Unione europea.

Permettetemi di dire che queste priorità non hanno attinenza con i trattati, le norme o le strutture procedurali, la revisione o la riduzione della legislazione da parte della Commissione che, peraltro, sarebbe molto opportuna. Esse si riferiscono piuttosto agli obiettivi politici del periodo in cui stiamo vivendo. Concordo con chi ha detto che l’Unione europea è frutto dell’interazione di molte ideologie e valori. Tuttavia, l’Unione europea può essere una forza regionale capace di guidare mondo nei valori e nelle azioni, solo se individua correttamente le priorità del periodo storico in cui ci troviamo all’inizio del XXI secolo.

La prima priorità è guardare alle conoscenze dell’Europa, perché le migliori esperienze di questo continente costituiscono una lezione di valore inestimabile. La scienza, la creatività e l’innovazione sono ciò che hanno reso forti le nostre economie e i nostri paesi socialmente integrati. Ora la sfida lanciata dalla scienza, che costituisce anche un’opportunità, è quella del cambiamento climatico e delle fonti di energia. Devo sottolineare un elemento già emerso in qualche discorso, perché non è molto noto e non l’ho spiegato bene nel mio intervento. La Spagna è ancora molto lontana dai requisiti del protocollo di Kyoto. Questo può essere vero, ma lo è altrettanto il fatto che, nel 2006, un anno dopo che il mio governo è andato al potere, le emissioni di gas serra sono state ridotte del 4 per cento nonostante l’economia sia cresciuta del 4 per cento. Siamo quindi impegnati in un’azione intensiva che continuerà a concentrarsi prima di tutto sulle energie alternative e rinnovabili e, in secondo luogo, sul risparmio e sull’efficienza energetica.

Circa 20 anni fa, la grande discussione su come porsi alla testa dell’innovazione in Europa – sono certo che questo Parlamento se n’è occupato in innumerevoli occasioni – riguardava lo sviluppo di una nuova economia, quella delle tecnologie dell’informazione. In futuro, la nuova economia idonea a garantire la capacità produttiva, e pertanto la prosperità, sarà quella che più rapidamente riuscirà a ridurre la nostra dipendenza dal carbone, fornendo una fonte di energia alternativa sempre più potente. A mio giudizio, questa è la prima sfida. Devo sottolineare che non si tratta solo di una sfida ma anche di una grande opportunità, perché in essa risiede buona parte di quelle conoscenze che ci porteranno a grandi risultati, e buona parte di quelle potenziali fonti di occupazione e attività a maggiore valore aggiunto, che offrono una buona capacità sociale.

In secondo luogo, l’Europa deve avanzare sotto il profilo sociale. Indubbiamente tale avanzamento può avere luogo solo se l’Europa si ricorderà del continente africano, dell’America Latina e di parte del continente asiatico, e se nel contempo compiremo passi risoluti e decisivi nell’aiuto alla cooperazione e allo sviluppo.

Questo è perché, e vogliate scusarmi se lo dico pubblicamente, non so come possano considerarci i popoli e i governi di molti paesi africani, quando a volte vedono l’Unione europea interrogarsi su cosa ne pensa di una grave crisi. Non so come possano giudicarci. Sto soltanto dicendo come la vedo io. Per fortuna, grazie soprattutto al nostro lavoro sulla democrazia, sulla capacità di innovazione e sui sistemi previdenziali nati in questo continente, grazie a questi tre valori (lavoro, democrazia e previdenza sociale), noi potremo essere il continente e l’Unione con la migliore tutela sociale e il massimo livello di reddito e di benessere.

Per me, migliorare il sistema previdenziale continua a essere un obiettivo fondamentale. Un’economia aperta non è incompatibile con uno Stato previdenziale, che garantisca i diritti sociali degli individui. Anzi, sono complementari. Le politiche sociali non consumano ricchezza, ma possono contribuire a crearla, a creare le condizioni perché tutti possano partecipare, attraverso le pari opportunità nell’istruzione, la riconciliazione di famiglia e vita lavorativa, che richiede una politica sociale, e la stabilità dell’occupazione, che rappresenta il migliore incentivo per la produttività nel compito di generare ricchezza. Le politiche sociali con obiettivi orientati alla produttività e alle persone sono un modello possibile che funziona. Naturalmente, il modello che può determinare la massima trasformazione è quello della piena integrazione e uguaglianza delle donne in tutti gli ambiti lavorativi e sociali.

Negli ultimi 30 anni la Spagna è cambiata molto, anche grazie alla democrazia. Tuttavia, ciò che ne ha mutato di più il volto è stata l’integrazione delle donne nella vita lavorativa, sociale e civica del paese. Questo ci ha cambiato di più e ci ha cambiato in meglio, ne sono certo, perché ha portato con sé valori di solidarietà e progresso. Desidero ricordare che ho un governo composto in eguale misura da uomini e donne; effettivamente non vi figura nessuna delle persone qui presenti.

Infine voglio menzionare il nostro terzo obiettivo che, assieme alla sfida del cambiamento climatico, all’estensione del sistema previdenziale e all’affermazione dei diritti sociali, deve essere sviluppato come tratto distintivo dell’Europa. Ci ha consentito di arrivare fino a questo punto e di costituire un riferimento per gli altri paesi. Il terzo obiettivo principale è garantire e rafforzare la coesistenza in modo molto particolare, ricordando che viviamo in un continente dove, negli ultimi 20 o 30 anni, si sono verificati crescenti cambiamenti demografici in molti paesi.

Tale tipo di coesistenza comporta l’integrazione, l’assoluta e totale intolleranza di qualsiasi manifestazione di razzismo e xenofobia. Questo è ciò che significa il termine per noi. L’Europa non deve tradire nemmeno uno dei suoi valori e, se vi è un valore essenziale per l’Europa democratica, è proprio quello del rispetto della diversità religiosa e culturale e, pertanto, il fermo rifiuto di qualsiasi manifestazione di xenofobia o razzismo. Falliremmo come europei, se soccombessimo a questa tentazione.

Questa coesistenza deve essere accompagnata da una grande tolleranza. Accrescere i diritti individuali e collettivi non è solo la migliore espressione di libertà, ma è anche un altro valore in cui, a mio giudizio, l’Europa deve identificarsi. A dire il vero, quale migliore libertà può esserci che rispettare le credenze religiose, culturali e politiche di tutti, o le loro preferenze sessuali quando decidono di convivere o sposarsi? Quale espressione di libertà potrebbe essere migliore di questa?

Se l’Europa è un’unione di democratici, come ho detto prima, non può esserlo soltanto per la libertà: l’Europa deve essere incentrata sia sulla libertà che sull’uguaglianza.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. − La ringrazio molto, signor Primo Ministro. Il tempo a sua disposizione è terminato, ma potrà comunque restare per ascoltare i prossimi interventi.

La riunione dell’Ufficio sta per iniziare e quindi, prima di andare, desidero ringraziarla per la sua visita e il suo intervento. Desidero ringraziare espressamente lei, la Spagna – e tutti i governi della Spagna libera che hanno collaborato alle questioni europee – per il vostro contributo all’Europa. Sulla base delle esperienze maturate negli ultimi due decenni, confidiamo che la Spagna resterà sempre fedele alla propria vocazione europea indipendentemente da chi la governa.

E’ con questo spirito che desidero rinnovarle i miei più sentiti ringraziamenti per la sua visita di oggi.

 
  
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  Jacques Toubon (PPE-DE).(FR) Signor Primo Ministro, limiterò le mie osservazioni al tema dell’immigrazione, una seria preoccupazione per il futuro dell’Europa su cui lei ha fatto alcune proposte consensuali.

E’ vero che nessuno può dare lezioni in quest’ambito tanto difficile, ma lo è altrettanto che nessuno può sentirsi esonerato dalla solidarietà necessaria in uno spazio unificato. Dai sondaggi di opinione emerge che alcuni paesi hanno un approccio più economico, e altri più culturale.

In paesi che pongono gli interessi economici in testa, conviene naturalmente garantire la manodopera essenziale adattando le leggi, e quindi le misure di regolarizzazione occasionalmente adottate en masse dai governi nazionali, senza preoccuparsi troppo dei timori che ne derivano, mentre gli altri Stati membri tentano di controllare i flussi migratori.

Potremmo citare, per esempio, l’operazione del vostro governo che ha regolarizzato centinaia di migliaia di immigrati clandestini. All’epoca, la Francia aveva espresso rammarico e disapprovazione. Il nostro Presidente era stato piuttosto esplicito sull’argomento. Tali operazioni non si dovranno più ripetere in futuro, tanto più che la Spagna riceve legittimamente finanziamenti dall’UE per gestire le situazioni drammatiche che si verificano sulle sue sponde africane.

Il PPE sostiene le politiche basate sull’elaborazione individuale delle domande di regolarizzazione, e pertanto non accetta procedure en masse, che altro non fanno se non aumentare i timori. In conformità a queste linee, la Presidenza francese proporrà un patto europeo per l’immigrazione. Inoltre, Primo ministro, nei prossimi anni il Trattato di Lisbona fornirà gli strumenti per agire all’unisono e astenersi dall’attuare politiche isolate. Questo è nell’interesse a lungo termine dell’Unione europea, della Spagna e di tutti gli Stati membri.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO
Vicepresidente

 
  
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  Enrique Barón Crespo (PSE).(ES) Signor Presidente, signor Primo Ministro, signora Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, a nome dei Socialisti spagnoli vorrei ringraziare il Primo Ministro per essere venuto qui oggi.

E’ stato detto che il suo è stato un discorso ideale. E’ stato anche detto che ha un ordine del giorno molto ambizioso. Vorrei innanzi tutto ribadire al Primo Ministro che la validità del suo approccio è stata dimostrata nella pratica dei fatti; in altre parole, egli ha fornito una serie di dati economici, politici e sociali che giustificano il pro-europeismo non solo in generale, ma anche nel concreto. A questo punto, permettetemi di riferire brevemente su un argomento emerso qui oggi. E’ stata menzionata la questione della regolarizzazione di massa. Al momento, la Francia e la Germania stanno copiando il sistema

(Applausi)

adottato dalla Spagna, che comprende la regolarizzazione individuale, la partecipazione dei datori di lavoro e dei sindacati. Ci dica, onorevole, cosa sta accadendo nel suo paese.

In secondo luogo, signor Presidente, desidero ringraziare personalmente il Primo Ministro per essersi riferiti ai veterani e al lavoro che stiamo svolgendo qui da molti anni. Vorrei puntualizzare un aspetto in proposito: oltre a ciò che abbiamo ricevuto – ed è giusto e opportuno esserne riconoscenti – abbiamo anche portato alcuni elementi. Pur non essendo proprietà intellettuale della Spagna, l’Europa popolare e sociale, la coesione e la Carta dei diritti fondamentali devono molto all’influenza spagnola e possiamo andarne a buon diritto orgogliosi.

Per quanto riguarda la ratifica, concordo con ciò che ha detto il Primo Ministro. E’ singolare che chi non ha fatto nulla nel proprio paese, né compiuto un singolo passo verso la ratifica della Costituzione o l’approvazione del Trattato, cerchi ora di dare lezioni a chi ha eseguito il lavoro.

(Applausi)

Ora devo portare alla vostra attenzione un punto ben specifico. Questo processo di ratifica deve contemplare un appello alla solidarietà e alla lealtà reciproca; non è giusto che alcuni facciano il loro lavoro mentre altri tentano di rinegoziare. In Europa questo comportamento deve finire una volta per tutte.

Concludo, signor Presidente, dicendo che il sindaco Oreja ha commesso un lapsus rieleggendo l’onorevole Zapatero come Primo Ministro alcuni mesi prima delle elezioni stesse. Al momento, l’onorevole Zapatero è soltanto un candidato a tale carica. Sarebbe interessante se, in vista dell’elezione del prossimo Presidente della Commissione, i gruppi politici, a partire dal PPE-DE, passassero al candidato una copia del discorso dell’onorevole Zapatero.

(Applausi)

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó (ALDE).(ES) Signor Primo Ministro, benvenuto in quest’Aula.

In Spagna, l’impegno per la costruzione dell’Europa ha fortunatamente riunito quasi tutte le forze politiche, comprese quelle della Catalogna. Questa convergenza, iniziata nel 1986, è proseguita con l’euro ed è stata riconfermata nella discussione sulla Costituzione europea. Ha consentito ai governi precedenti, e anche al suo, di condurre la campagna per un’Europa politica e ambiziosa. Il suo discorso di oggi conferma lo stesso impegno e mi congratulo per questo.

Tuttavia, signor Primo Ministro, la sua responsabilità non termina con discorsi entusiastici carichi di fervore europeo. L’Europa ha bisogno di leader impegnati nel progetto di azioni politiche quotidiane, non solo in atti solenni e istituzionali. Non riusciamo sempre a vedere questo impegno quotidiano in alcune azioni del suo governo, con la conseguenza di inevitabili e improduttivi confronti con la Commissione europea. Non riusciamo nemmeno a riconoscerlo in coloro che sembrano aspettare l’altrui iniziativa prima di definire la propria posizione.

E’ comunque arrivato il momento che, nell’ambito di questo progetto comune, i leader politici costruiscano un’Europa portatrice di speranza perché, onorevole Zapatero, l’Europa è più che la semplice somma dei successi nazionali dei suoi governi, compresi quelli che lei potrebbe avere avuto.

L’adozione del Trattato di Lisbona segnerà la fine di una fase, ma il lavoro sarà appena all’inizio. Si dovrà continuare a costruire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nonché una vera politica europea dell’immigrazione; accrescere la competitività delle nostre aziende e le opportunità previdenziali per i nostri cittadini, e anche far sentire la voce dell’Europa nel mondo e migliorare le relazioni con i nostri vicini, tra cui quelli nel Mediterraneo, a cui la Spagna può prestare tanto aiuto.

Senza rinunciare né mancare di riflettere sull’estrema diversità nazionale e linguistica, la Spagna ha molto da offrire nel trasformare in realtà questo grande ideale comune e lei, se le urne confermeranno la fiducia nel suo governo, da solo o assieme ad altri, dovrà esprimere un impegno assoluto e personale per il raggiungimento di questi obiettivi.

 
  
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  Guntars Krasts (UEN). - (LV) Grazie, signor Presidente. Signor Primo Ministro, il Trattato di Lisbona approvato a dicembre non si limiterà a plasmare le precondizioni istituzionali per il futuro dell’Europa. A mio parere, si delineano tre valutazioni dei risultati di Lisbona, su cui chiunque ritenga importante il futuro dell’Europa può concordare – sia chi accoglie favorevolmente gli esiti di Lisbona, sia chi li rifiuta. Da quando è stato raggiunto l’accordo, alcuni motivi inducono a un certo ottimismo sul futuro dell’Unione europea, in primo luogo per quanto riguarda la capacità di raggiungere il consenso tra gli Stati membri; in secondo luogo, vi è stato un atteggiamento prudente nel valutare l’accordo raggiunto, poiché non sarà possibile apprezzare il reale effetto del Trattato finché non sarà rimasto in vigore per diversi anni; in terzo luogo è stato giudicamene negativamente il fatto che, a seguito degli esiti referendari nei Paesi Bassi e in Francia, il Trattato costituzionale sia divenuto tale in parte evitando di ascoltare l’opinione pubblica. Paradossalmente, tuttavia, uno dei compiti principali del Trattato costituzionale era proporsi in modo più comprensibile e accettabile alla società europea. Quale membro della Convenzione europea, obietto all’utilizzo e allo spirito della parola “costituzione” per il nuovo trattato. L’esito di Lisbona segue un approccio che io sostengo, ma non penso che le ragioni delle sue modifiche servano al futuro dell’Europa. Grazie.

 
  
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  David Hammerstein (Verts/ALE).(ES) Signor Primo Ministro Zapatero, sono assolutamente lieto che lei sia intervenuto qui oggi, e che abbia attribuito tanta importanza alla sfida del cambiamento climatico nonché alla necessità di agire subito. Benvenuto nel club.

Nel contempo, le parole devono essere accompagnate da decisioni politiche positive e l’innegabile verità è che la Spagna è ancora la pecora nera del cambiamento climatico, con cifre ben lontane dagli obiettivi di Kyoto. Ciò richiede una risposta sostanziale in termini di energie rinnovabili; abbiamo bisogno di una politica che preveda una tassazione. Accolgo con favore la proposta, seppur ingannevole, del centesimo aggiuntivo sulla benzina. Nel contempo, vorrei che la Spagna presentasse una proposta per una tassa ambientale europea, allo scopo di affrontare la valanga di merci estere che si riversano sul nostro mercato e le importazioni di prodotti inquinanti.

Saremmo lieti se le cospicue sovvenzioni per il carbone fossero abolite, a livello sia europeo che spagnolo, se le misure fiscali per ridurre il folle consumo energetico spagnolo potessero essere prese sul serio e se gli investimenti in infrastrutture potessero essere ridestinati alle ferrovie e ad altre forme di trasporto pubblico, anziché alle strade.

Concludo con una nota più positiva, congratulandomi in modo estremamente sincero per l’abbandono graduale dell’energia nucleare da parte della Spagna. Questa decisione è molto importante e vorrei chiedere agli altri leader europei di notarla perché l’energia nucleare è molto costosa, molto pericolosa e molto lenta da costruire e non è la risposta al cambiamento climatico.

 
  
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  Willy Meyer Pleite (GUE/NGL).(ES) Benvenuto, signor Primo Ministro. Come lei sa, io faccio parte di una di quelle minoranze che avrebbe voluto sottoporre il Trattato di Lisbona a un referendum in Spagna e in tutti gli Stati membri.

L’ho ascoltata attentamente e c’è ancora tempo perché lei prenda l’iniziativa. C’è ancora tempo perché l’Europa tenga un referendum, in tutti gli Stati membri, nello stesso giorno, per dare conto a un elemento fondamentale nella nostra storia: le persone. La nostra posizione non è soltanto di facciata; è profondamente democratica nel senso che non possiamo costruire un progetto europeo, o ultimarne la costruzione, senza la partecipazione diretta della gente.

Ritengo che lei sia eccessivamente ottimista quando sostiene che abbiamo finito di costruire la nostra Europa sociale. In quest’Aula dobbiamo spesso colegislare con attacchi diretti allo stato sociale europeo in termini di lavoro e sicurezza dell’occupazione. Attualmente è in corso una discussione sulla flessicurezza. Ritengo quindi che dibattere il consolidamento di questo stato sociale sia ancora un punto in sospeso.

Terminerò con una richiesta, signor Primo Ministro. Il Vertice UE-Africa è imminente. Non dimentichi i territori occupati del Sahara occidentale. La Spagna e l’Unione europea hanno una responsabilità fondamentale in quell’area. Spetta all’Unione europea dare sostanza alla richiesta del diritto all’autodeterminazione avanzata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e, se possibile, realizzarla nel corso del Vertice UE-Africa.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). (SK) Signor Primo Ministro, lei ha portato i suoi omaggi al Parlamento, e io desidero esprimere i miei rispetti a lei e, per suo tramite, alla Spagna. Il futuro dell’Europa rappresenta un compito enorme per il Parlamento europeo. Nel contesto dell’approvazione della legislazione, il sistema di codecisione è esteso fino a coprire 68 ambiti tematici tra cui energia, cambiamento climatico, fondi strutturali, cooperazione nel diritto penale, proprietà intellettuale, e così via. Il Parlamento europeo diventerà colegislatore per il 95 per centodelle leggi europee e dovrà decidere su una quantità di testi di legge doppia rispetto a quanto fa attualmente. Inoltre eleggerà il Presidente della Commissione europea, che dovrà riferire al Parlamento europeo su ogni discussione che avrà luogo in seno al Consiglio europeo.

Nel 2009, pertanto, il Parlamento europeo sarà l’Assemblea più forte da quando ha iniziato la sua attività nel 1968. Sarà un partner paritario rispetto alle altre Istituzioni europee. Nel 2009 saremo quindi tenuti ad aumentare la partecipazione alle elezioni per questa istituzione forte. L’ultima tornata elettorale ha registrato l’affluenza alle urne più bassa in assoluto, solo il 47 per cento dell’elettorato, e in Slovacchia, paese che io rappresento qui, la percentuale è stata addirittura dell’11 per cento. Ci attende un’enorme mole di lavoro da compiere.

 
  
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  Manfred Weber (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, signor Primo Ministro, onorevoli colleghi, volevo congratularmi con il collega Schulz. E’ riuscito a ricevere il plauso dei suoi amici socialisti con una polemica ottusa e – oserei perfino dire sciocca – nei confronti del gruppo PPE–DE. Poco dopo il termine del suo discorso, tra i Socialisti vi erano tanti posti vuoti come tra noi. Sarei tentato di affermare che i socialisti prestano orecchio solo ai loro grandi leader, ma non sono interessati al dibattito; tuttavia non lo faccio, perché siamo tenuti a trattarci con rispetto reciproco. Ritengo che il collega Schulz ci debba delle scuse.

Permettetemi di vivacizzare la discussione con una domanda: cosa abbiamo realmente imparato oggi? Abbiamo appurato che la Spagna è una nazione europea. Credo di essere nel giusto, affermando che si tratta della stessa nazione descrittaci dal Primo Ministro Aznar. Tuttavia, oggi abbiamo anche assistito ad un discorso di politica interna in preparazione alle elezioni.

Non credo che il Parlamento europeo abbia il compito di assecondarlo. Il Cancelliere Angela Merkel e il Presidente Sarkozy, che sono già intervenuti qui, non hanno fatto politica interna, ma hanno parlato dell’Europa. Tali dibattiti, infatti, hanno valore solo se entriamo nel dettaglio delle questioni. E, su questo punto, il collega Dupont ha del tutto ragione. Il fatto che la Spagna abbia legalizzato 700 000 immigrati è stato condannato in termini inequivocabili dal Presidente Sarkozy la scorsa settimana, proprio in questo Parlamento. Sarebbe stato interessante apprendere perché il Consiglio europeo sia ovviamente animato da alcune dispute in proposito. Sarebbe stato interessante sentire come stiamo realmente affrontando il problema dell’immigrazione. Sappiamo di avere a che fare con una massiccia immigrazione clandestina e che sono state presentate direttive europee molto chiare, contenenti regole e procedure per il rimpatrio dei migranti clandestini. Esse sono state bloccate dal Consiglio europeo, e non procedono.

Non vedo come possiamo spiegare ai nostri cittadini perché stiamo discutendo i grandi e nobili valori dell’Europa, mentre nell’attività quotidiana del Consiglio europeo – di cui anche lei fa parte, singor Primo Ministro – qualsiasi progresso si è purtroppo fermato.

Il mio messaggio è che i discorsi sull’Europa e i suoi valori fondamentali sono importanti, ma le azioni europee devono assumere la priorità.

 
  
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  Bernard Poignant (PSE).(FR) Signor Primo Ministro, quando parliamo del futuro dell’Europa, la storia non è mai troppo lontana. E’ stata piuttosto semplice per i nostri concittadini, finché il Muro di Berlino è rimasto in piedi. Sapevamo dove risiedeva la minaccia, perché aveva un luogo di provenienza e un volto. Eravamo l’avanguardia della libertà, nonostante la nostra vicinanza geografica a Franco, e comunque non era necessario parlare di frontiere, perché erano stabilite dalla Cortina di ferro, che divideva opportunamente l’Europa e il discorso finiva lì.

Ora ritengo che il futuro dell’Europa risieda nella sua geografia. Basta dare un’occhiata alla realtà che la circonda. Siamo vicini al teatro di scontri che impegnano il mondo intero, da Gaza a Kabul. Là occorre un po’ di spirito di riconciliazione europeo. Siamo anche prossimi alla zona della fame, alla terra delle pandemie mondiali, all’Africa, che lei ha altresì menzionato. Anche qui è necessaria qualche forma di partecipazione, perché è da questo luogo che possiamo controllare i flussi migratori.

Inoltre siamo prossimi a una regione che, negli ultimi anni, ha evidenziato segnali di fanatismo religioso pur con le dovute eccezioni. Anche qui dobbiamo appellarci al dialogo tra le culture, e non a shock culturali. Siamo altresì molto vicini alle riserve di petrolio e di gas di cui abbiamo bisogno. Ciò significa che parte delle nostre prospettive dipende dalla sicurezza delle forniture e dall’indipendenza dell’energia.

Vi sono alcune spiegazioni che potremmo dare ai nostri concittadini un po’ disorientati sulla questione. L’Europa moderna è situata tra nazioni continentali. Gli imperi non esistono più. Ne avevate uno, come noi. Qua e là ne sono rimasti alcuni pezzi. Non esistono più blocchi. All’Europa bisogna imprimere una nuova direzione, ma non si può farlo aggiungendo semplicemente direttive. Si devono definire alcune prospettive di ampio respiro per ricostruire o tentare di ricostruire una sorta di sogno europeo. Questa è la mia visione parziale del futuro dell’Europa.

Infine desidero chiedere la sua indulgenza, Primo Ministro, perché il prossimo anno cadrà il bicentenario della campagna spagnola di Napoleone I. Poiché la conosco personalmente, e il prossimo anno è previsto un turno di presidenza francese, la prego di essere indulgente con noi.

 
  
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  Andrew Duff (ALDE). - (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il Primo Ministro per il suo tonificante intervento sul tema dell’unione politica. Gli sarei grato se potesse trovare il tempo di recarsi a Londra e ripeterlo a Gordon Brown, suo collega Primo Ministro socialdemocratico, senza dimenticare i passaggi sull’importanza della dimensione sociale del mercato unico, della solidarietà e della coesione dell’Unione di fronte alle sfide globali.

Tra due settimane, il Primo Ministro parteciperà alla riunione di dicembre del Consiglio europeo per discutere la proposta di creare un comité des sages assieme al Presidente Sarkozy. Le sarei grato se potesse riferire quest’ultimo che non dovremmo sconvolgere le prospettive di ratifica del Trattato, riaprendo contese sulle procedure e sull’equilibrio dei poteri. Le chiedo inoltre di sottolineare che non ha senso tentare di fissare le frontiere geografiche dell’Europa. Il processo di allargamento è saldamento consolidato. L’Europa troverà la sua forma definitiva quando i paesi europei ancora esclusi dall’Unione non vorranno più unirsi a noi.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAREK SIWIEC
Vicepresidente

 
  
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  Mirosław Mariusz Piotrowski (UEN).(PL) Signor Presidente, l’Europa è stata chiaramente definita e le sue frontiere sono state fissate dal punto di vista geografico. In un contesto politico, tuttavia, il termine Europa è divenuto sinonimo di allargamento dell’Unione europea. Da un lato, non tutti i paesi europei appartengono a questa organizzazione, dall’altro quasi tutti i deputati del Parlamento stanno facendo pressione per includere paesi extraeuropei come la Turchia.

Quando si discute il futuro dell’Europa, è importante considerare le sue radici e i suoi valori fondamentali. Vi sono migliaia di documenti che si riferiscono ai valori europei. Tuttavia essi non sono sempre chiaramente definiti, nemmeno per esempio nella Carta dei diritti fondamentali oggetto della discussione attuale. A conti fatti, le radici europee sono cristiane, e i valori fondamentali di quella cultura sono stati delineati molto tempo fa. Gli sforzi costanti per definire ciò che è ovvio hanno condotto a distorcere la prospettiva, e hanno inciso sul potenziale di risposta ai veri problemi del vecchio continente come il preoccupante invecchiamento della popolazione europea, la migrazione, la concorrenza aggressiva dei paesi asiatici, il terrorismo, le epidemie, le nuove malattie e anche la sicurezza energetica.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE).(ES) Signor Primo Ministro, è giusto e corretto riconoscere che, dopo un preoccupante periodo di incertezza, lei figuri tra i leader che hanno rinvigorito le relazioni transatlantiche dell’Europa e devo congratularmi con lei per questo.

Eppure, per tutti coloro che tra noi si considerano profondamente pro-europei, è triste vedere come queste relazioni transatlantiche siano ancora gravate da due zavorre responsabili del loro passato affossamento: troppo mercantilismo e troppo intergovernamentalismo. Notiamo anche che, nonostante la navigazione proceda in modo soddisfacente, la direzione presa – o la rotta tracciata, per continuare con il gergo marinaresco – è quella indicata dalla bussola del Cancelliere Merkel e del presidente Sarkozy, che sta chiaramente guidando la barca verso la destra conservatrice.

Ci chiediamo, signor Primo Ministro, di quanto spazio di manovra disponga per raddrizzare la barca e correggere la rotta. Come pensa di convincere coloro che, pur essendo pro-europei, temono di salire a bordo dell’Europa perché non la considerano sicura, non sanno dove sta andando, non riescono a vedere né l’Europa sociale, ecosostenibile o responsabile sulla scena internazionale, né tantomeno l’Europa trasparente, democratica e popolare di cui lei ha tanto spesso parlato? Lei pensa di poter guidare il salto dall’Europa del mercato all’Europa politica? Come?

Inoltre, dato che lei si è tanto congratulato con quest’Assemblea, non pensa che per il Parlamento sia giunto il momento di porsi come principale legislatore europeo?

Per inciso, mentre ci stiamo occupando dell’argomento, e alla luce delle nuove informazioni sull’impiego delle basi spagnole per il trasporto dei prigionieri a Guantánamo, intende il governo, attraverso il Consiglio di sicurezza dell’ONU, rivedere le proprie relazioni con gli USA?

Lo dico, signor Primo Ministro, perché tutto ciò ha attinenza con l’Europa, in particolare con la sua credibilità.

 
  
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  Sylvia-Yvonne Kaufmann (GUE/NGL). - (DE) Signor Presidente, signor Primo Ministro, domani il Parlamento deciderà se la Carta dei diritti fondamentali diventerà giuridicamente vincolante. Per me, in quanto ex membro della Convenzione costituita allo scopo di redigerne il progetto, questa sarà una votazione molto importante, e non solo perché ebbi l’onore di collaborare al più moderno documento europeo sui diritti fondamentali e perché io – come pure molti altri – ho lottato sette lunghi anni, affinché acquisisse forza giuridica.

La Carta dei diritti fondamentali si basa sull’indivisibilità dei diritti umani civili, politici e sociali. Ciò è di fondamentale importanza per un deputato della Sinistra come me, perché sono originaria di Berlino e, fino alla rivoluzione pacifica del 1989, ho vissuto nella DDR. Per me, il chiaro “sì” alla Carta è la logica conseguenza della valutazione critica della nostra storia: un confronto necessario e incentrato sulla massiccia violazione dei diritti umani e fondamentali perpetrata dal “socialismo reale”.

Il suo paese, signor Primo Ministro, svolge un ruolo importante nell’UE. Votando “sì” al referendum sul Trattato costituzionale nella versione di allora, i cittadini spagnoli hanno fornito un grosso contributo affinché la Carta non fosse accantonata. Lei dovrebbe e potrebbe riallacciarsi a questi eventi. Tutti ripongono grandi aspettative nell’Europa. Si aspettano che l’Europa affronti le loro esigenze e preoccupazioni quotidiane. Desiderano che l’Europa si adoperi di fatto – senza limitarsi a ripetere un ritornello, come ha detto Jean-Claude Juncker – per diventare un’Europa dei lavoratori, un’Europa realmente basata sulla solidarietà. Nell’Unione europea si deve quindi condurre un’energica campagna contro la pressione sui salari e a favore delle tutele sociali. Salari minimi per tutti, che possano garantire la sussistenza: questo è ciò di cui abbiamo bisogno. Di fatto, la questione sociale è determinante per il futuro dell’Europa!

 
  
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  Roger Helmer (NI). - (EN) Signor Presidente, signor Primo Ministro, il Trattato di Lisbona, o piuttosto la ribattezzata Costituzione, rappresenta la vostra idea del futuro d’Europa. Questa è la Costituzione respinta con decisione dagli elettori francesi e olandesi nel 2005, che ora stiamo tentando di imporre senza il consenso dei cittadini.

Nei 27 Stati membri, i sondaggi d’opinione dimostrano che la maggioranza dei cittadini vuole un referendum sul Trattato. In Regno Unito, l’80% desidera un referendum, a cui 2/3 degli intervistati voterebbero “no”, eppure il nostro governo ci impedisce di votare, contrariamente a quanto promesso con solennità nel suo programma elettorale.

Signor Primo Ministro, lei parla di un’Europa di democrazia, ma l’Europa calpesta l’opinione pubblica. Il disprezzo che noi dimostriamo nei confronti di quest’ultima mette in ridicolo la nostra aspirazione a diventare una “Unione dei valori”. I miei elettori continuano a ripetermi di avere votato nel 1975 a favore di una zona di libero scambio, non di un’unione politica. E’ giunto il momento di smantellare le strutture politiche sovranazionali dell’UE e di ritornare alla semplice associazione commerciale, che era stata promessa ai britannici nel 1972.

 
  
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  Marianne Thyssen (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, accogliere il Primo Ministro spagnolo alla seduta di oggi potrebbe dare erroneamente l’impressione che non siamo ancora usciti dal periodo di riflessione sulla Costituzione, poiché questa serie di discussioni con i primi ministri era stata organizzata a tale scopo. Per fortuna, tuttavia, ci siamo lasciati alle spalle quel periodo e, nel frattempo, abbiamo concordato un buon Trattato di riforma. Naturalmente lei è il benvenuto qui, Primo Ministro, perché ora vale la pena occuparci del futuro dell’Europa. Ora più che mai, perché il Trattato non costituisce un punto d’arrivo, ma piuttosto un nuovo inizio.

Non è una conclusione, ma uno strumento che dobbiamo applicare efficacemente e che ci offre una prospettiva per una migliore amministrazione, più democrazia, la realizzazione di valori come libertà, sicurezza, prosperità e un’ulteriore espansione della nostra economia sociale e di mercato in un mondo aperto e globalizzato. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi posso assicurare che sono gli stessi obiettivi perseguiti da molti Belgi nel desiderio di giungere a una riforma dello Stato. Cito questo fatto per inciso, poiché mira alla realizzazione di quegli obiettivi che condividiamo qui con tante persone.

 
  
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  Adrian Severin (PSE). - (EN) Signor Presidente, vorrei congratularmi con il Primo Ministro per essere uno dei pochi capi di Stato che utilizzano lo stesso linguaggio qui a Bruxelles e nelle rispettive capitali. Vorrei inoltre complimentarmi con lui per essere uno dei rarissimi Primi Ministri a non nascondere ciò che l’Europa è, e cosa dovrebbe rappresentare per il proprio popolo. Per questo lei gode dell’appoggio dei suoi cittadini, che hanno espresso una grande “sì” alla Costituzione europea.

Desidero cogliere questa opportunità per congratularmi con il Primo Ministro, perché la Spagna ha riconquistato il giusto grado di rappresentanza in quest’Assemblea, in questo Parlamento, con effetto dal 2009.

Penso che il messaggio della Spagna sia chiaro per tutti noi, e lo condividiamo: l’Europa sarà sociale o non lo sarà affatto; l’Europa sarà una parte attiva sulla scena globale o non lo sarà affatto; l’Europa sarà in grado di coniugare solidarietà e sussidiarietà o fallirà nel suo intento; l’Europa riuscirà ad offrire un modello di sviluppo sostenibile o scomparirà dalla scena; l’Europa potrà offrire una soluzione per l’inclusione sociale, le pari opportunità e il conferimento di potere al popolo o cadrà a pezzi; l’Europa sarà in grado di combinare multiculturalismo e coesione civica, libera concorrenza e generosità, efficienza e giustizia, flessibilità e sicurezza, o perderà di significato.

Condivido altresì la posizione del Primo Ministro secondo cui la sicurezza è indivisibile e dovrebbe essere individuale, sociale, nazionale e internazionale per tutti. Condivido anche il suo punto di vista sull’immigrazione. Sì, la risposta giusta alle sfide dell’immigrazione è l’integrazione e non l’espulsione, l’integrazione e non l’emarginazione. La risposta giusta dovrebbe essere orientata alla cura delle cause e non dei sintomi.

Comprendo molto bene perché al Primo Ministro non occorra un altro referendum per il nuovo Trattato. Egli ha già un “maxi mandato” e, pertanto, può accettare un “mini Trattato”. Dobbiamo giungere rapidamente alla ratifica e quindi ripensare il nostro percorso verso un’Europa più integrata.

(Applausi)

 
  
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  Bogdan Pęk (UEN).(PL) Signor Presidente, mentre seguivo questo dibattito, ho avuto l’impressione che tutto sia bello e destinato a migliorare, nonostante il livello attuale sia già così buono che difficilmente potrebbe essere meglio. Vi sono, tuttavia, una serie di problemi sui cui i grandi leader dell’Unione europea parlano con una voce sola’, ma sembrano sbagliarsi.

Dobbiamo affrontare una nuova quasi-religione, e più precisamente il cosiddetto effetto serra, presentato in modo tale da rendere necessaria la massima riduzione delle emissioni. Gli Stati europei sono pertanto costretti a competere con paesi che non hanno piani rigorosi di limitazione delle emissioni. Nel frattempo, tutti gli scienziati seri ritengono che l’effetto serra sia un fenomeno naturale ricorrente su base ciclica, e che la somma degli sforzi umani possa determinare una differenza solo di pochi punti percentuali.

Onorevoli colleghi, non vi spingo a impegnarvi in illusioni. Vi invito invece a ideare una politica energetica sensata, perché ora il petrolio costa USD 100 e alcuni ritengono che il suo prezzo sia destinato a salire presto. A questo punto si pongono domande ovvie: perché succede e chi sta approfittando della situazione?

 
  
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  Gerardo Galeote (PPE-DE).(ES) Signor Primo Ministro, devo ribadire le parole di benvenuto espresse da tutti i colleghi del mio gruppo in un atto di rispetto e cortesia parlamentare, che mi pare non sia giunto dal gruppo PSE.

Signor Primo Ministro, noi deputati spagnoli dovremmo sentirci lusingati dal fatto che lei sia venuto qui oggi, prima di riferire al Parlamento spagnolo sull’esito del Consiglio di Lisbona, cosa che lei indubbiamente prevede di fare prima che il Parlamento spagnolo si sciolga; dovrà convenire che il popolo spagnolo si merita una spiegazione dato che, come lei ha ricordato, è stato il primo a tenere un referendum su una Costituzione che ancora non esiste.

Signor Primo Ministro, l’impegno pro-europeo del suo discorso è pienamente condiviso dalla vasta maggioranza di quest’Aula. Ecco perché immaginerei che ora, passando dall’Europa alla Spagna, come lei ha affermato, lei condivida la nostra preoccupazione sul fatto la Spagna sia il fanalino di coda dell’Europa nel recepire le direttive comunitarie a livello di legislazione nazionale, ma si ponga in testa alla classifica delle procedure di infrazione delle leggi comunitarie. Analogamente, devo dire che gli impegni a lei espressi oggi in favore dell’ambiente – assolutamente encomiabili – contrastano con la dura realtà dei fatti, perché abbiamo appena appurato da una relazione della Commissione europea che il nostro paese è uno dei più lontani dal raggiungimento degli obiettivi indicati nel protocollo di Kyoto.

Signor Primo Ministro, non posso augurarle buona fortuna per le elezioni del prossimo marzo. E’ vero che il suo intervento è stato più che altro un discorso da campagna elettorale, ma voglio, e questo è l’aspetto cruciale della questione, che lei si adoperi con il massimo impegno per ristabilire il consenso tra le forze politiche spagnole in seno alle Istituzioni europee, che è scomparso, signor Primo Ministro, non per le iniziative giunte da questa parte del ...

(Il Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  José Luis Rodríguez Zapatero, Presidente del governo spagnolo. − (ES) Signor Presidente, vorrei brevemente puntualizzare due aspetti sulle questioni sollevate con più insistenza: la politica dell’immigrazione e la regolarizzazione della situazione dei migranti in Spagna.

Sono favorevole a una politica dell’immigrazione comune per l’Unione europea, che comprenda il controllo delle frontiere, l’integrazione e uno statuto per la regolamentazione comune. Siamo molto lontani da questo punto, ma ai due deputati che hanno presentato il problema posso assicurare una cosa: al momento della mia nomina a Primo Ministro, ho riscontrato nel mio paese la presenza di 700 000 lavoratori immigrati clandestinamente che erano sfruttati, non pagavano tasse né contributi previdenziali e lavoravano in un’economia informale o sommersa.

I nostri valori europei sono diritti, legalità, trasparenza e Stato di diritto. Nel mio paese cercherò sempre di garantire che nessuno lavori illegalmente, sia sfruttato, veda negati i propri diritti e non contribuisca agli oneri sostenuti da un paese democratico. Mai.

(Applausi)

Non so quanti di questi 700 000 siano entrati dalla Francia. Non lo so. Ma so che la Francia e la Spagna, dopo tanto dialogo dovuto a divergenze di opinione, ora condividono una filosofia e un approccio politico comune. Lo stesso discorso vale per il governo tedesco. La mancanza di una politica comune sull’immigrazione ha determinato esperienze e situazioni molto diverse da un paese all’altro. Non esistendo un’ottica comune in materia, tendiamo a rinfacciare i nostri problemi alla Francia, che li rinfaccia Spagna, la Germania li ascrive all’Italia e l’Italia alla Germania. Ciò non è assolutamente utile per il nostro scopo, ma va a scapito della costruzione dell’Europa.

Quando avremo una politica di frontiere esterne condivise, in cui ciascuno fornirà il proprio contributo per il controllo, nonché una politica di integrazione e stato comune, non saremo tentati di criticare un paese per avere affrontato la questione di legalizzare 700 000 persone, che lavorano al di fuori della legge.

Per quanto riguarda il cambiamento climatico, non posso sottolineare l’argomento con maggiore fermezza, ma nemmeno guardare indietro a un governo in particolare, perché nel mio paese si sono succeduti governi di ogni colore... Senza dubbio la Spagna ha registrato un’enorme crescita economica. So soltanto che il governo da me presieduto è l’unico ad avere arrestato l’incremento delle emissioni dei gas serra – cosa che abbiamo fatto nel 2006 – e l’unico ad averne iniziato la riduzione, pur incrementando la crescita economica del 4%. Il 2006 è stato altresì il primo anno in cui è stato abbassato il consumo primario di elettricità in Spagna. Siamo estremamente determinati in questo ambito, come lo siamo stati in altri settori dell’azione politica, in cui non abbiamo esitato ad approvare leggi di vasta portata o a prendere decisioni di forza in materia di politica estera, quando eravamo contrari ad alcune azioni. Sulla scena internazionale, non mancheremo di essere risoluti o determinati nell’affrontare ciò che ho descritto come un’enorme sfida e un’enorme opportunità. Posso assicurarvi che la Spagna non è il paese peggiore e certamente non solo sarà per i prossimi anni, perché ci accingiamo a compiere un enorme sforzo nazionale per ridurre drasticamente le emissioni dei gas serra, investire in energie rinnovabili alternative e perseguire una politica di efficienza e risparmio energetico.

Termino ribadendo la mia profonda gratitudine nei confronti del Parlamento europeo. Qui mi sono sentito soddisfatto e anche europeo, profondamente europeo e, quando esco da questa nostra casa comune, mi sento di esserlo ancora di più. Mi sarebbe piaciuto moltissimo venire qui prima.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Katalin Lévai (PSE), per iscritto. – (HU) Signor Presidente, lo sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro sono esigenze primarie per l’Europa attuale. Si devono compiere progressi nell’occupazione tramite lo sviluppo economico e ciò richiede una pianificazione più lunga di 1-2 anni, nonché l’impiego più flessibile dei fondi di solidarietà.

Dobbiamo confrontarci con la minaccia del cambiamento climatico, e dobbiamo organizzare una fornitura di energia sicura e sostenibile. La protezione dell’ambiente e l’introduzione di tecnologie ecologiche sono divenute questioni globali, che investono l’intera società.

Seguendo la Strategia di Lisbona, e modificandola laddove necessario, si deve trasformare l’Unione in una regione di prosperità, solidarietà e libertà, cercando nuovi partenariati con il mondo intero, ma soprattutto con i suoi immediati vicini, l’Asia e l’Africa.

L’Europa deve svolgere il ruolo di guida nella globalizzazione! A tale scopo è importante creare una società basata sulla conoscenza dove i cittadini, attraverso l’istruzione e la formazione, possano acquisire una conoscenza flessibile e trasferibile, da utilizzare nella vita quotidiana. L’apprendimento permanente costituisce la base per la mobilità del lavoro. Dobbiamo raggiungere la piena uguaglianza delle opportunità nell’occupazione, combattere l’esclusione sociale, sostenere chi resta indietro, chi si trova in situazioni svantaggiate ed è stato relegato ai margini della società. In particolare, grande attenzione deve essere riservata alle piccole e medie imprese, che possono costituire gli strumenti di una società del welfare e di un appropriato livello di occupazione.

La produzione di energia deve essere sostenuta da solide fondamenta, i consumi devono essere ridotti e le scorie eliminate con l’introduzione di tecnologie per il risparmio energetico. La proporzione delle fonti di energia alternative deve essere incrementata parallelamente alla riduzione dell’uso dei carburanti fossili.

 

17. Accordi di partenariato economico (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sugli accordi di partenariato economico.

 
  
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  Ján Figeľ, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, sono lieto di avere l’opportunità di illustrare a che punto siamo arrivati nei negoziati concernenti gli Accordi di partenariato economico (APE). Mi fa piacere notare che, la scorsa settimana, la strategia proposta dalla Commissione nella propria comunicazione del 23 ottobre sia stata sostenuta dal Consiglio. E’ stata impressa una svolta ai negoziati quando, sempre la scorsa settimana, il Commissario Mandelson è intervenuto alla commissione per il commercio internazionale del Parlamento.

Questi negoziati stanno procedendo molto rapidamente. Vorrei darvi un’idea del punto a cui siamo arrivati. Nell’Africa orientale è stato firmato un accordo preliminare con la Comunità dell’Africa orientale: Kenya, Uganda, Ruanda, Burundi e Tanzania. Siamo molto vicini a un accordo interinale con i paesi dell’Oceano Indiano, nel contesto del gruppo dell’Africa orientale e meridionale.

Nella Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale, abbiamo siglato un accordo preliminare con Botswana, Lesotho, Swaziland e Mozambico. L’Angola si unirà non appena le sarà possibile. Nei prossimi giorni, Sudafrica e Namibia decideranno in merito alla loro partecipazione.

In parallelo stiamo lavorando a un accordo quadro per la regione del Pacifico nel suo complesso, nonché a un accordo completo e specifico di accesso al mercato per salvaguardare gli interessi immediati di quei paesi, che effettuano gli scambi commerciali della regione con l’Unione europea. Mi aspetto che questo accordo venga annunciato molto presto.

Nelle regioni restanti, la situazione è meno chiara. Per quanto riguarda l’Africa occidentale e centrale, sono in corso incontri con i cosiddetti “sottogruppi”. Può darsi che riusciamo a concludere accordi interinali sulle merci con i paesi più interessati, che potrebbero poi essere sviluppati fino al livello di APE completi con l’intera regione nel 2008. Ciò dipenderà naturalmente dal loro desiderio di intraprendere questa strada e di presentare accordi di accesso al mercato compatibili con l’OMC.

Nella regione caraibica, abbiamo un accordo su praticamente qualsiasi punto, ma non su quello cruciale dello scambio di merci, per il quale la proposta della regione risulta ben lontana da ciò che si può sostenere in senso all’OMC. I negoziati continuano, ma per sbloccarli occorre una chiara decisione politica da parte della regione, che dovrebbe presentare un piano di accesso al mercato compatibile con l’OMC.

In tutte le regioni stiamo assumendo un approccio pragmatico e flessibile, al fine di ottenere ciò che rappresenta ancora il nostro obiettivo per questi accordi: APE completi per quattro regioni. Puntiamo al pieno accordo con loro, perché ciò modernizzerà la nostra relazione commerciale e la porrà al servizio dello sviluppo.

Negli ultimi giorni abbiamo compiuto progressi significativi ma, allo stato attuale, non possiamo garantire un’intesa che comprenda nuovi accordi commerciali conformi all’OMC con tutti i paesi ACP.

La conformità all’OMC costituisce la componente essenziale di tutti gli accordi, siano essi APE completi, accordi preliminari o soltanto intese su determinate merci. In sua assenza, possiamo offrire soltanto il sistema generalizzato di preferenze.

La prossima settimana, il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” deciderà in merito al regolamento CE, allo scopo di attuare l’accesso al mercato offerto agli ACP. E’ il migliore che sia mai stato proposto in un accordo bilaterale: pieno accesso senza dazi/quote, con periodi di transizione solo per due prodotti – zucchero e riso.

Continueremo a fare tutto il possibile per finalizzare gli accordi. Abbiamo presentato la nostra offerta e, nel momento in cui qualsiasi paese ACP ce ne sottoporrà una conforme all’OMC per concludere la trattativa, potremo procedere rapidamente e proporre al Consiglio di avvalersi della regolamentazione dell’accesso al mercato prevista dagli APE.

Abbiamo espresso la nostra disponibilità a lavorare con le subregioni, se questo è ciò che i paesi ACP desiderano. Abbiamo accettato di continuare i negoziati dopo il 1° gennaio 2008 su temi quali servizi, investimenti e altri ambiti correlati al commercio, che costituiscono una parte così rilevante della componente di sviluppo di tali accordi. Abbiamo altresì dichiarato il nostro impegno a garantire intese commerciali equivalenti o migliori di Cotonou a qualsiasi paese raggiunga un accordo con noi. Abbiamo infine offerto l’apertura completa dei nostri mercati e generosi servizi quale contropartita degli scambi di merci.

Ciò che non possiamo fare è estendere il regime commerciale di Cotonou mentre portiamo avanti i negoziati. In mancanza di un APE, abbiamo chiarito che non possiamo né vogliamo proporre soluzioni illegali o incerte.

Ai nostri partner ACP occorrerà supporto per attuare gli accordi e apportare le necessarie modifiche e riforme. Ecco perché la Commissione sta lavorando per assicurare che il Fondo di sviluppo europeo ponga gli “aiuti a favore del commercio” come priorità nel contesto degli APE. Ecco perché stiamo collaborando a stretto contatto con gli Stati membri, affinché contribuiscano con ulteriori finanziamenti nel contesto della strategia di aiuti agli scambi commerciali appena adottata dall’UE.

Sappiamo che concludere questi negoziati significa prendere decisioni politiche difficili, ma accogliamo lo spirito di leadership dimostrato da quelle regioni e da quei paesi ACP, che hanno deciso di unirsi a noi nel siglare gli accordi APE. Continueremo a sostenerli nell’attuazione degli impegni assunti, collaborando per garantire che queste relazioni commerciali contribuiscano realmente al loro sviluppo.

 
  
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  Robert Sturdy, a nome del gruppo PPE-DE. (EN) Signor Presidente, dire che non siamo al punto in cui dovremmo essere dopo sette anni di negoziati è, forse, un eufemismo. Non sono certo che sia corretto annunciare una svolta.

Durante le ultime settimane, alcuni membri degli ACP hanno dimostrato crescente imbarazzo per la prospettiva di un regime tariffario SPG limitato – come il Commissario stesso lo ha definito – che li attende dal 1° gennaio, qualora non dovessero firmare un accordo APE. La Commissione europea dichiara che il tentativo di giungere a un accordo interinale sia con i singoli Stati che con i gruppi subregionali ha avuto successo. Come ha riferito il Commissario, la firma del gruppo dell’Africa orientale ha avuto luogo ieri e quella dei paesi SADC la scorsa settimana – con l’eccezione di Sudafrica e Namibia! Che tipo di accordo economico è quello che esclude alcuni paesi? E’ stato riferito che la Commissione sta incalzando l’Africa occidentale perché stringa un accordo senza la Nigeria, uno dei principali paesi africani che ha enormi negoziati commerciali sul tavolo delle trattative con l’Unione europea. Quale effetto avrà nel lungo termine la firma di questi cosiddetti accordi quadro? E che dire dell’integrazione regionale? Per come la vedo io, questi accordi stanno smantellando proprio le regioni descritte nella mia relazione, che costituiscono il vero soggetto degli APE.

La risoluzione del Parlamento, elaborata da un gruppo politico, esprime in modo inequivocabile l’esigenza di guardare al futuro, verso negoziati che stanno procedendo rapidamente. Potremmo anche non apprezzare le soluzioni proposte, ma la scadenza è imminente e, al momento, non ci sono alternative. La dichiarazione di Kigali è stata assai critica e pesante. La risoluzione odierna del Parlamento è orientata al futuro e mi auguro che anche noi potremo esserlo.

Come suggerisce il nome, gli APE costituiscono un primo passo verso relazioni commerciali complete ed omnicomprensive tra UE e ACP. L’astensione dal voto dichiarata dal gruppo PSE mi ha deluso.

Cedo la parola con una riflessione conclusiva per il Commissario. Nel Regno Unito circola la battuta che al mondo esistono tre grandi bugie: “l’assegno è stato spedito”, “non è colpa mia” e “vengo dall’Unione europea e sono qui per aiutare”.

 
  
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  Harlem Désir, a nome del gruppo PSE.(FR) Signor Presidente, signor Commissario, non possiamo fare a meno di osservare come il modo in cui la Commissione europea ha condotto i negoziati non abbia garantito la firma di APE veri e propri prima della data programmata. Su questo punto concordo con l’onorevole Sturdy: gli accordi interinali pongono in questione i gruppi regionali, che sono stati creati e che formavano la base delle discussioni finalizzate alla firma di questi APE.

Ben lungi dal rafforzare i legami e la fiducia tra l’Europa e i paesi ACP, i negoziati hanno sollevato grande preoccupazione. Vi è il timore di perdere risorse pubbliche: di recente, il Presidente senegalese ha comunicato alla stampa che una percentuale compresa tra il 35 per cento e il 70 per cento dei bilanci africani era costituita dai dazi doganali: la Nigeria, per esempio, è destinata a perdere 800 milioni di euro.

Si temono le conseguenze della liberalizzazione per settori fragili delle economie ACP, che dovranno affrontare la concorrenza delle aziende europee. Si temono le richieste di inclusione di alcuni punti nella seconda fase, che non corrispondono agli obblighi dell’OMC. Sto pensando a servizi, investimenti, mercati pubblici e regole di concorrenza. Si teme la minaccia di introdurre dazi doganali più elevati nel 2008 per paesi ACP non LDC, quale forma di ricatto che li porti ad accettare qualsiasi accordo.

Ritengo che dobbiamo infondere nuova linfa alle relazioni ACP-UE e riportare i negoziati sul binario dei principi fondamentali di Cotonou. Gli APE sono strumenti di sviluppo. La liberalizzazione non è un fine in sé. Lo scopo dell’APE è rafforzare le economie ACP per aiutarle ad entrare nell’economia mondiale.

La sottoscrizione di un APE non dovrebbe peggiorare le condizioni dei paesi APC rispetto a prima. I firmatari devono beneficiare di un sistema preferenziale almeno tanto favorevole quanto quello precedente. Gli accordi devono basarsi sugli interessi dei paesi ACP e sulla loro diversificazione economica.

Si devono chiarire le regole di origine per appurare quanto i nuovi paesi beneficeranno di qualsiasi nuova misura di accesso al mercato da noi presentata, e si devono attuare meccanismi di autentica compensazione finanziaria. Si deve comprendere il messaggio espresso nella Dichiarazione di Kigali dai deputati dei paesi ACP e dell’Europa. La data del 31 dicembre non è un colpo così fatale come quello che avete già affrontato.

 
  
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  Gianluca Susta, a nome del gruppo ALDE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi dell’ALDE abbiamo condiviso la richiesta del capogruppo socialista di rinvio del voto per tentare un accordo più ampio sul testo della risoluzione.

Condividiamo anche noi la preoccupazione e gli auspici che l’incontro di Kigali ha sintetizzato nel documento conclusivo. Gli APE sono un importante strumento di sviluppo, di integrazione regionale, di riduzione della povertà. Questi obiettivi devono essere il fine dell’azione dell’Unione europea nel mondo globalizzato. Il libero scambio, le regole dell’OMC e gli stessi APE sono strumenti, non il fine, a cui deve tendere il commercio mondiale.

Tuttavia, dobbiamo anche ribadire che il vuoto giuridico che deriva dalla scadenza degli accordi di Cotonou è un rischio grave per gli stessi paesi ACP, e questo ben al di là della legittimità o meno di quegli accordi rispetto alle regole e alle decisioni dell’OMC stessa.

Auspichiamo anche noi che i negoziati in corso in tutte le sei regioni si possano concludere in fretta, e che la ripresa e la felice conclusione del più complesso negoziato a Doha per la riforma del commercio mondiale possano offrire un quadro definitivo in cui le ragioni dello sviluppo dei paesi più poveri trovino una soddisfazione più compiuta anche per i rapporti tra UE e ACP.

Noi sappiamo però che i negoziati ACP procedono a rilento e che la riforma del commercio mondiale, che avrebbe anche il pregio di rilanciare il multilateralismo nel commercio mondiale, langue.

E’ allora necessario pragmaticamente perseguire soluzioni praticabili. In questo quadro riteniamo che la strategia promossa dalla Commissione di procedere in due tempi, e cioè prima con degli accordi ad interim che riguardino solo il commercio dei beni e dopo uno più generale, serva ad evitare l’interruzione del flusso dei beni a tariffe vantaggiose, come previsto a Cotonou, con grave danno per i paesi ACP.

 
  
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  Frithjof Schmidt, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, mi ha stupito sentirvi parlare dei negoziati come se nulla fosse andato a monte nelle trattative, come se tutto si fosse svolto a meraviglia per la Commissione.

Negli ultimi mesi abbiamo più volte segnalato – qui in Parlamento – che la Commissione ha sovraccaricato i negoziati con i paesi ACP. Abbiamo segnalato, inoltre, che un accordo sulle merci era sufficiente a soddisfare i requisiti dell’OMC, e che un accordo sui temi di Singapore non era essenziale. La Commissione non ha voluto ascoltare questa critica, anzi l’ha messa da parte. La svolta improvvisa verso accordi interinali del tipo “solo merci” è troppo blanda e giunge con troppo ritardo. A questo punto, equivale ad ammettere il fallimento causato dalla propria mancanza di perspicacia. Sarebbe stato più onorevole da parte vostra ammettere una volta per tutte, con una buona dose di autocritica, di avere adottato una strategia di negoziazione errata.

Il secondo grave errore riguarda il modo in cui sono state condotte le trattative. Ovviamente si è gestita la questione come se si trattasse di un normale accordo di libero scambio, e non di un accordo quadro basato sullo sviluppo. I paesi ACP hanno lamentato all’unanimità di essere stati posti sotto pressione, e ciò conferma la deplorevole atmosfera dei negoziati. Abbiamo udito molto distintamente questo messaggio a Kigali, e devo ricordare alla Commissione che è molto importante anche il tono, e non solo la sostanza dei negoziati.

A questo punto è essenziale evitare di commettere un altro grave errore. Dobbiamo trovare una soluzione per quei paesi non LDC che, al momento, non si sentono in grado di firmare. Dobbiamo evitare il collasso delle relazioni commerciali, di conseguenza ci serve una proposta di accordo transitorio per il 2008.

 
  
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  Helmuth Markov, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, l’approccio ai negoziati da parte della Commissione era completamente sbagliato. Esso faceva parte della strategia “Europa globale”, incentrata sull’accesso al mercato delle grandi imprese europee operanti a livello transnazionale.

Mi sono sempre chiesto che cosa avesse a che fare un simile approccio con un accordo di partenariato. Partenariato, infatti, significa tutt’altro: significa rispetto per il paese che deve intraprendere un processo di sviluppo economico e sociale. Un simile accordo deve promuovere il riconoscimento che l’erogazione di aiuti allo sviluppo non dipende dalla stipulazione degli APE. Gli accordi di partenariato economico devono tener conto dello sviluppo dei paesi deboli, e anche di quelli debolissimi. Nessun paese, se non li sottoscrive, deve subire un peggioramento della situazione attuale. Questo è il significato di una cooperazione leale e di un approccio basato sulla solidarietà. La Commissione è rimasta lontanissima da tutto ciò. Trovo positivo che ora, incalzata da molte parti, essa cominci a seguire un’altra strategia, nonostante io rimanga molto scettico per il suo operato con i paesi del MERCOSUR, dell’ASEAN e delle Ande, dove sta ancora perseguendo lo stesso vecchio modo di pensare.

Sembra che noi europei diciamo: “Ecco cosa succederà, prendere o lasciare”. Ciò, lo ripeto, non ha niente a che vedere con il partenariato. Sono piuttosto irritato – anzi inorridito – per quanto è accaduto qui oggi, poiché non abbiamo potuto utilizzare come base la versione della Dichiarazione che tutti i deputati presenti a Kigali avevano approvato. Il Parlamento avrebbe dovuto dare il suo supporto a questa delegazione approvando la decisione.

(Il Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Maria Martens (PPE-DE).(NL) Signor Presidente, gli APE sono un tema controverso in Africa e lo stanno diventando sempre più anche in Europa. La questione suscita differenze di opinione fondamentali in merito alla possibilità di combattere la povertà per mezzo della crescita economica sostenibile nei paesi ACP. E’ chiaro che l’aiuto puramente finanziario non ha reso un contributo reale alla riduzione della povertà. Riteniamo che questi accordi commerciali possano aprire una via per allontanarci da una lunga storia di aiuti scarsamente efficaci. Il commercio globale con i paesi ACP si è ridotto. Ora non arriva all’1 per cento e in Africa non sono stati conseguiti gli Obiettivi di sviluppo del Millennio. La situazione deve cambiare. L’Europa ha il dovere morale di aiutare i paesi ACP a crescere economicamente, e di aumentare gli scambi commerciali con loro. Gli APE sono stati pensati per fornire un contributo a tale scopo.

Signor Presidente, i benefici del commercio e dell’integrazione economica sono evidenti, soprattutto in un mondo sempre più globalizzato. La concorrenza, un clima favorevole agli investimenti, l’accesso al mercato, e fabbriche operative sono essenziali per la crescita economica dei paesi ACP. Dobbiamo essere flessibili e pragmatici, pur restando nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio. La firma degli accordi commerciali completi non è più prevista per la scadenza del 1° gennaio 2008. Alcuni paesi dell’Africa orientale e meridionale hanno raggiunto accordi interinali del tipo “solo merci”, che comunque non possono essere considerati come un progresso verso lo sviluppo regionale. Dobbiamo iniziare rapidamente a fornire supporto tecnico per rafforzare questi paesi ed eventualmente raggiungere un accordo completo che comprenda, per esempio, i servizi.

 
  
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  Glenys Kinnock (PSE). - (EN) Signor Presidente, come altri hanno già affermato, anche il mio gruppo raccomanda, nell’interesse della credibilità e dell’autenticità, che il Parlamento definisca una posizione conforme a quanto unanimemente concordato nell’Assemblea parlamentare paritetica e poi ripreso dalla Dichiarazione di Kigali. A mio giudizio si tratta di un documento moderato ed equilibrato, derivante dai lunghissimi e positivi negoziati che sono stati condotti tra tutti i nostri gruppi politici – compreso, ovviamente, quello dell’onorevole Sturdy, come egli stesso ha ricordato – e con i paesi ACP.

Non ho mai fatto esperienza del tipo di pressione che gli ACP hanno subito durante i negoziati, né tantomeno della minaccia di una pesante penalizzazione a opera del regime tariffario SPG europeo. E’ stata proprio quella minaccia a determinare la nascita di nuovi raggruppamenti regionali, e forse potremo assistere ad accordi bilaterali, per esempio con la Costa d’Avorio. Questi sottogruppi, di cui il Commissario ha parlato, non dovrebbero essere considerati come una grande conquista, ma piuttosto come un elemento che mette a rischio l’integrazione regionale, causando notevoli tensioni tra gli ACP.

Mauritius, Seychelles, Madagascar e Comore hanno concluso un APE subregionale; l’Africa occidentale e centrale non ha presentato offerte di accesso al mercato e quindi dovrà affrontare il sistema SPG. Pare che, all’interno della SADC, il Sudafrica e la Namibia abbiano raggiunto una linea rossa che non riescono a oltrepassare, e abbiano ricevuto la richiesta di introdurre le clausole di nazioni più favorite con l’obbligo di concedere all’UE qualsiasi accesso al mercato che potrebbero riservare in futuro ad altri paesi. Il Pacifico, d’altro canto, non sta affrontando il migliore dei negoziati ed è improbabile che altri paesi firmeranno o sigleranno, oltre le Fiji e Papua Nuova Guinea.

Intransigenza e mancanza di flessibilità hanno chiaramente alienato gli ACP, soprattutto quando si rendono conto che la Commissione sta spingendo per ottenere accordi dai paesi ACP che non ha mai richiesto ad altri, e i colleghi della commissione per il commercio internazionale lo possono confermare. Sia tecnicamente che politicamente, l’accordo del tipo “solo merci” si è dimostrato impossibile, persino per i Caraibi che dispongono di una capacità maggiore di qualsiasi altra regione. Appena la settimana scorsa, hanno dichiarato che il contenuto dell’offerta era semplicemente insostenibile per loro.

Di certo, la Commissione deve compiere un passo indietro, allentare la pressione e rivalutare come può garantire di non fare l’impensabile, ossia di gettare i paesi non LDC in pasto ai lupi. La reciproca volontà di continuare i negoziati in buona fede deve essere comunicata all’OMC, per evitare l’interruzione degli scambi conseguente alla mancata firma di un APE entro la scadenza.

L’UE deve apportare le necessarie modifiche alla legislazione interna, per consentire la prosecuzione degli attuali accordi commerciali. In seguito, l’UE e gli ACP potrebbero lavorare insieme per garantire che non subentri alcuna opposizione o sfida in seno all’OMC.

In qualità di deputati del Parlamento europeo, non possiamo semplicemente tornare ai nostri collegi elettorali, dovunque siano in Europa, e affermare che i vulnerabili paesi ACP stanno per essere trattati in questo modo, quando essi concordano già sul fatto che i partenariati economici, a cui è stato loro richiesto di aderire, sono lesivi dei loro interessi.

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, desidero informarvi delle serie preoccupazioni espresse nei recenti mesi dalle comunità d’oltremare in relazione agli APE.

Gli APE non possono equivalere a semplici accordi di libero scambio, realizzati sotto gli auspici dell’OMC, né possono mettere a repentaglio le economie già fragili delle nostre comunità d’oltremare. Dovrebbero rappresentare una forma di partenariato autentico, finalizzata a creare un nuovo quadro economico e commerciale favorevole allo sviluppo di tutti questi territori. L’ubicazione geografica delle comunità d’oltremare, estremamente vicine a molti paesi ACP, le pone al centro di accordi preferenziali reciproci con questi paesi.

Sono ben consapevole del fatto che le regioni ultraperiferiche e i paesi e i territori d’oltremare (PTOM), costituenti il territorio d’oltremare europeo, siano di pertinenza di soli sei Stati membri dell’UE e che, ovviamente, le questioni di queste aree siano largamente sconosciute. Ciononostante, la situazione particolare delle regioni ultraperiferiche è nota e deve essere presa più specificamente in considerazione nell’ambito dei negoziati sulla base dell’articolo 299, paragrafo 2, del Trattato CE. Inoltre, occorre prestare particolare attenzione ai PTOM vicini ai paesi ACP per quanto riguarda il rispetto degli accordi di associazione, che già li legano all’UE in virtù di questo articolo.

Vi ringrazio per sostenere l’emendamento che intendo presentare, nel tentativo di assicurare un equilibrio intelligente tra l’integrazione regionale dei territori d’oltremare e i loro legami con l’Europa. Nonostante i negoziati possano essere difficili, in particolare per quanto attiene la protezione dei mercati locali e l’elenco dei prodotti sensibili, confido che la Commissione troverà un compromesso rispettoso tra gli interessi specifici delle regioni ultraperiferiche, dei PTOM e dei paesi ACP.

 
  
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  Erika Mann (PSE). - (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, a mio giudizio sarà importante sfruttare le prossime settimane allo scopo di conferire una forma soddisfacente, per tutte le parti in causa, a un accordo di grande importanza ed enorme risonanza simbolica. Non si tratta soltanto di negoziare un accordo di libero scambio per le regioni e i paesi africani e di avvicinarli all’Europa, ma anche di produrre un’intesa che generi una fase di sviluppo, combatta la povertà, e dimostri concretamente che l’UE può discutere condizioni capaci di far sentire i sentire i paesi africani a proprio agio e legati all’Unione europea.

Vi sono diversi punti importanti. Voi stessi ne avete parlato e ne avete citato alcuni. E’ necessario che gli accordi regionali vadano a reale beneficio dei paesi interessati. Occorre altresì garantire che anche i paesi non LDC ottengano un accordo e non siano esclusi, e che tutti i paesi possano svilupparsi nella giusta direzione. L’accordo, da voi proposto nella forma di approccio a duplice fase, deve quindi assicurare che nessuno venga escluso, e che l’effetto finale sia un reale orientamento verso la giusta direzione, cosa che oggi non è ancora garantita.

Onorevole Markov, dovremmo avvalerci dell’opportunità che avremo a disposizione se domani non adotteremo la risoluzione, allo scopo di raggiungere un consenso in Parlamento; e ritengo vi siano sufficienti punti di convergenza perché ciò accada.

 
  
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  Ján Figeľ, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questa interessante discussione. Sono certo che tutti consideriamo questo processo ancora in corso. Anche se non ne faccio parte direttamente né personalmente, ritengo che, ai fini di un accordo, sia necessaria la buona volontà di entrambe le parti e il consenso di più partner.

Come ho già spiegato nel mio intervento introduttivo, stiamo operando in modo flessibile e pragmatico. Chi è pronto o disposto a seguire lo stesso approccio non lo fa a scapito di altri, ma al fine di conseguire un risultato graduale importante per tutte le regioni e per il commercio internazionale nel suo complesso.

Sono state poste alcune domande e avanzate critiche in merito al tono dei negoziati. Voglio assicurarvi che ciò avviene in uno spirito di partenariato. In tale ottica, noi teniamo conto degli obiettivi di sviluppo e dei vincoli a cui i nostri partner sono soggetti.

Alcune domande riguardavano gli accordi del tipo “solo merci”. Gli accordi preliminari costituiscono un primo passo verso APE completi, sostengono lo sviluppo degli ACP e l’integrazione regionale. In tal modo, non perdiamo di vista il quadro generale e le esigenze complessive delle regioni e dei paesi nostri partner.

Non voglio ripetere molti punti che ho già illustrato in apertura, ma il processo continua. Talvolta una scadenza pressante impone di trovare una soluzione negli ultimi giorni o settimane, ma noi stiamo comunque facendo progressi reali. Ho citato parecchi nomi e paesi dove di recente abbiamo siglato accordi preliminari e continueremo su questa linea, perché il nostro interesse reale è di trovare soluzioni.

I processi continueranno, perché la situazione si articola in più fasi. Come ho già detto, dal 1° gennaio continueremo a lavorare su aspetti come i servizi, gli investimenti e altri ambiti legati al commercio.

Credo che la prossima settimana il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” sosterrà la proposta di un regolamento comunitario per attuare l’accesso al mercato offerto ai paesi ACP. Ribadisco che è la proposta migliore mai presentata in un accordo bilaterale. Si tratta di un approccio non solo aperto, ma anche molto costruttivo. La strategia che la Commissione ha proposto, e che ho tentato di descrivere, è stata pienamente confermata dal Consiglio – di tutti i 27 paesi – ed è in questo spirito di partenariato costruttivo che intendiamo proseguire.

L’obiettivo è giungere a un accordo di partenariato economico nel senso più completo del termine: esso fungerà da catalizzatore per l’integrazione regionale. Una volta conclusi gli accordi preliminari, procederemo verso questo obiettivo. Nessuno sarà escluso o tralasciato dal processo. Non solo abbiamo in mente i paesi meno sviluppati, ma li sosteniamo assai attivamente.

Ritengo sia tutto quanto io possa dirvi al momento in risposta alle vostre domande e a titolo di conferma, ma sono certo che l’Assemblea tornerà su questo punto nelle settimane e nei mesi prossimi, perché riguarda anche la tempistica dei nostri accordi.

 
  
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  Presidente. – Ho ricevuto quattro proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 22, del Regolamento. La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà il 12 dicembre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE), per iscritto. (EN) Siamo entrati in un periodo critico per gli Accordi di partenariato economico (APE). Un accordo conforme all’OMC è fondamentale per i paesi ACP meno sviluppati.

Peccato che non si sia sempre manifestato un rapporto di fiducia tra le due parti. Nessun paese dovrebbe sentirsi sotto pressione, quando deve decidere la partecipazione a un accordo. La Commissione avrebbe dovuto fare di più per estendere maggiormente i negoziati.

L’UE è il principale partner commerciale per la maggioranza dei paesi ACP.

Nel 2004, l’UE ha importato merci dai paesi ACP per un valore complessivo di 28 miliardi di euro. Tale cifra equivale al doppio della somma stanziata dal 2000 al 2007 per gli aiuti allo sviluppo nell’ambito del nono FES a favore della regione ACP.

Commercio, e non aiuto, è la parola chiave per lo sviluppo e la crescita economica sostenibile. Senza disconoscere che molti paesi ACP affrontano notevoli sfide, gli APE dovrebbero essere considerati un’opportunità per quei paesi, purché siano elaborati correttamente.

L’Unione europea dovrebbe garantire il pieno appoggio al programma di sviluppo che accompagnerà ogni accordo APE.

Nel frattempo, dovrebbero essere messi in atto accordi interinali per garantire che non avvengano interruzioni nel commercio e che le fonti di reddito di milioni di persone non siano messe a repentaglio.

 
  

(1) Vedasi processo verbale.


18. Modifica della direttiva 2004/49/CE relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie – Interoperabilità del sistema ferroviario comunitario (rifusione) – Modifica del regolamento (CE) n. 881/2004 che istituisce un’Agenzia ferroviaria europea (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione congiunta:

– la relazione di Paolo Costa, a nome della commissione per i trasporti e il turismo, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/49/CE relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie [COM(2006)0784 – 6-0493/2006 – 2006/0272(COD)] (A6-0346/2007);

–di Josu Ortuondo Larrea, a nome della commissione per i trasporti e il turismo, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario comunitario (rifusione) [COM(2006)0783 – C6-0474/2006 – 2006/0273(COD)] (A6-0345/2007);

–di Paolo Costa, a nome della commissione per i trasporti e il turismo, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 881/2004 che istituisce un’Agenzia ferroviaria europea [COM(2006)0785 – C6-0473/2006 – 2006/0274(COD)] (A6-0350/2007).

 
  
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  Jacques Barrot, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, dopo avere approvato i primi due pacchetti per le ferrovie nel 2001 e nel 2004, e prima di approvare il terzo in data 13 dicembre 2006, la Commissione ha proposto una nuova serie di provvedimenti legislativi sul riconoscimento transnazionale del materiale rotabile, in particolare dei locomotori. L’obiettivo è rinnovare il settore ferroviario, rimuovendo gli ostacoli che si frappongono al funzionamento dei treni sulla rete ferroviaria europea.

La Commissione ha lanciato questa iniziativa per due motivi principali: facilitare il libero movimento dei treni all’interno dell’UE, rendendo la procedura di messa in servizio dei locomotori più trasparente ed efficiente, e semplificare i regolamenti, consolidando e fondendo le tre direttive concernenti l’interoperabilità ferroviaria in un unico documento.

L’intero pacchetto contiene una comunicazione e tre proposte legislative, assieme alla valutazione del loro impatto: nello specifico, la comunicazione definisce le difficoltà attuali e propone una serie di soluzioni per semplificare la certificazione dei veicoli ferroviari; la prima proposta chiede di riformulare le direttive esistenti in materia di interoperabilità ferroviaria e la seconda di emendare il regolamento che istituisce un’Agenzia ferroviaria europea, e infine la relazione si concentra sulla valutazione dell’impatto.

Su cosa vertono fondamentalmente questi testi? Un aspetto cruciale è facilitare la libera circolazione dei treni, e ciò riguarda la procedura di omologazione dei locomotori. Secondo le imprese ferroviarie e i produttori, la procedura di omologazione è estremamente lunga e costosa, e molte richieste delle autorità sembrano essere ben poco giustificate dal punto di vista puramente tecnico.

La Commissione condivide questa opinione e intende risolvere il problema, emendando la legislazione e anche chiedendo alle autorità ferroviarie degli Stati membri di modificare il loro atteggiamento, da qui emerge l’importanza della comunicazione, uscita assieme alle proposte legislative, per suggerire soluzioni che possano essere applicate immediatamente senza necessità di attendere i relativi emendamenti. Questa comunicazione non è stata pubblicata inutilmente. Un accordo di cooperazione è già stato sottoscritto a maggio per il corridoio Rotterdam-Genova e segue alla lettera i concetti proposti nella nostra comunicazione.

Potremmo anche menzionare la rifusione proposta delle direttive sull’interoperabilità e la sicurezza. Quando le ha redatte, la Commissione aveva due obiettivi in mente. Il primo era di semplificare la procedura di omologazione dei veicoli ferroviari. A tal fine, abbiamo introdotto il principio del reciproco riconoscimento delle autorizzazioni alla messa in servizio già rilasciate da parte di uno Stato membro. Il principio è che il materiale rotabile, la cui messa in servizio è già stata autorizzata in uno Stato membro, dovrà essere soggetto a un’ulteriore certificazione di un altro Stato membro solo per quanto attiene a taluni requisiti nazionali supplementari derivanti, ad esempio, dalle caratteristiche della rete locale.

In secondo luogo, nel tentativo di fare chiarezza, ci siamo avvalsi di un testo unico per combinare la direttiva del 1996 relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo ad alta velocità, con quella del 2001 relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale. A tale proposito, una nuova procedura di regolamentazione con controllo è stata introdotta per alcuni poteri delegati alla Commissione dal Consiglio e dal Parlamento europeo.

L’emendamento alle direttive concernenti l’interoperabilità e la sicurezza ci ha condotto a eseguire altre due operazioni. Nella nuova direttiva concernente l’interoperabilità, abbiamo modificato alcune questioni tecniche alla luce dell’esperienza maturata in dieci anni di lavoro da parte non solo della Commissione, ma anche degli Stati membri in riferimento alla procedura di comitatologia, dell’industria e del settore e, dal 2005, anche dell’Agenzia ferroviaria europea.

Inoltre abbiamo voluto rispondere ad altri operatori chiarendo, nella direttiva concernente sicurezza, le relazioni tra l’impresa ferroviaria e il soggetto incaricato della manutenzione. Attraverso questa direttiva, ci si è posti l’obiettivo di definire il nuovo quadro normativo che emerge dalle direttive comunitarie sull’apertura del mercato e dal nuovo contratto sull’utilizzo dei vagoni, attuato su scala internazionale con la convenzione COTIF.

Ora giungo al punto conclusivo della proposta di emendamento al regolamento che istituisce un’Agenzia ferroviaria europea. Essa riguarda l’estensione dei poteri di tale Agenzia, affinché possa sbrigare le varie procedure nazionali e i regolamenti tecnici esistenti per l’omologazione dei locomotori, redigere e quindi ampliare l’elenco dei requisiti da verificare una sola volta, o perché si tratta di normative riconosciute a livello internazionale, o perché possono essere considerati equivalenti tra gli Stati membri. Questo compito sarà eseguito in cooperazione con le autorità nazionali preposte alla sicurezza sotto la guida dell’Agenzia, che dovrà esprimere opinioni tecniche su richiesta di tali autorità o della Commissione.

Nell’approntare gli emendamenti in esame, abbiamo chiarito una serie di punti del regolamento sulla base dell’esperienza passata, soprattutto in relazione all’introduzione del sistema ERTMS (Sistema europeo di gestione del traffico ferroviario) e dei registri del materiale rotabile.

Signor Presidente, mi scuso per questo commento piuttosto tecnico; desidero soltanto ribadire che il primo e il secondo pacchetto ferroviario, e presto anche il terzo, formeranno il quadro giuridico ed economico per il valido funzionamento dei servizi ferroviari all’interno del mercato unico. L’operazione sarà completata dall’apertura dei mercati nazionali a livello tecnico. Si tratta dell’obiettivo atteso con tanta trepidazione dall’industria ferroviaria. Desidero ringraziare il Parlamento per il rapido e splendido lavoro compiuto su questi testi.

 
  
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  Paolo Costa, relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Vicepresidente della Commissione, anche se come ha detto il Commissario Vicepresidente, siamo costretti tra virgolette a un dibattito tecnico, oggi stiamo facendo un grosso passo in avanti politico.

Fin dallo stabilimento del primo trattato, dalla fine degli anni ‘50, tre sono state le linee su cui si è mossa la politica dei trasporti europea: creare un mercato unico, connettere delle reti che erano separate le une dalle altre e naturalmente, per creare un mercato unico, per modo e tra i modi, rendere interoperabili le reti così come si andavano costruendo. Quindi l’interoperabilità non è un fatto tecnico, ma è la precondizione perché si possa veramente costruire dei mercati di dimensione europea che sono assolutamente necessari e che sono lo scopo previsto nel trattato.

Sono stati fatti grossi passi in avanti in quasi tutto. Noi siamo rimasti un poco indietro nel settore ferroviario. Ci troviamo ancora oggi ad affrontare obiettivi che sono gli stessi degli anni ‘60. I motivi sono diversi, non è questo il momento per farlo, ma questo va detto per rafforzare la nostra convinzione che stiamo facendo un passo fondamentale e che è decisivo che noi otteniamo questi risultati.

Quindi l’interoperabilità è condizione essenziale per costruire, per poter muoversi sulle reti senza barriere tecniche, che vengono sollevate per impedire la completa piena circolazione delle motrici e dei vagoni, e quindi è un passo fondamentale che andava fatto e che va fatto il più rapidamente possibile.

Bene ha fatto la Commissione a non distinguere più tra interoperabilità sull’alta velocità e sulle reti tradizionali e quindi a spingere quanto più possibile in questa direzione.

Bene anche ha fatto a mettere contemporaneamente sul tappeto il problema della sicurezza, che a volte viene presentata – e qui bisogna essere molto delicati in questa affermazione – come un motivo per condizionare l’interoperabilità. Come si fa a fare attraversare una frontiera allo stesso macchinista che magari non capisce la lingua del paese in cui si muove? Come si fa a fare attraversare la frontiera a un locomotore che potrebbe non essere perfettamente adatto alla rete dall’altra parte? E così via.

Quindi allora bene si è fatto a mettere insieme le due cose. Noi dobbiamo assolutamente garantire la sicurezza ma nell’ambito di un sistema che è interoperabile, perché se la sicurezza viene posta in primo piano come condizione per impedire l’interoperabilità, c’è qualcosa che non funziona in questa faccenda. Il fatto che si sia deciso di avere un’Agenzia europea che si occupa di questo e di altro, come vedremo, è sicuramente il segnale che stiamo facendo sul serio.

Che cosa ha fatto il Parlamento? Il Parlamento ha sostanzialmente approvato le proposte della Commissione con alcune raccomandazioni che vanno nella direzione di rendere maggiormente interoperabile il sistema. Nella relazione sull’interoperabilità ha immaginato che ci siano dei tempi limite entro i quali si arriva alle autorizzazioni, naturalmente relative al materiale rotabile già in funzione, che il carico della prova sul fatto che qualcosa non è interoperabile anche per ragioni di sicurezza vada spostato sugli Stati membri, cioè si assuma a priori che una volta certificato tutto può andare dappertutto, salvo che qualcuno non mi spieghi che c’è qualche motivo serio perché questo possa essere fatto, e ha anche immaginato che si possano considerare gli aiuti di Stato per un retrofitting di tutto ciò che esiste in questa maniera. Questo mi pare il contributo dato in questa situazione.

Lo stesso vale per la sicurezza. Anche qui si è cercato di dire che entro una data – per esempio il 2010 è la nostra proposta – ci deve essere un’obbligatorietà di certificazione. Questo rende più tranquilli tutti, senza eccezioni, trattando tutti nella stessa maniera, non continuando a considerare i monopoli che di fatto ancora gestiscono i servizi ferroviari come particolarmente capaci automaticamente e quindi esenti da questa situazione.

Il terzo punto è quello di far agire l’Agenzia. Su questo devo dire che c’è la domanda chiave per quanto mi riguarda, che io rivolgo a tutti e alla Commissione in particolare. Noi abbiamo giustamente immaginato di distinguere la sicurezza dal resto creando 25 agenzie europee. E’ stata una cosa importante che abbiamo deciso qualche tempo fa. Mi domando, visto che queste non sono ancora in funzione, se non valga la pena di immaginare di avere un’unica Agenzia europea che agisca attraverso 25 planche nei diversi paesi. Questo è il tema fondamentale che consentirebbe di risolvere in maniera positiva il problema connesso di interoperabilità e sicurezza a livello europeo.

 
  
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  Josu Ortuondo Larrea, relatore. − (ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, per effetto della globalizzazione la nostra economia, il progresso comunitario e il benessere dei nostri cittadini dipendono oggi più che mai da un sistema di trasporto efficace, efficiente, economico e, soprattutto, sostenibile.

Tutte le modalità di trasporto sono necessarie. Le ferrovie hanno goduto di giorni gloriosi all’inizio, ma poi sono state marginalizzate dai veicoli che viaggiano su strade e autostrade, grazie alla loro maggiore versatilità, individualità e accessibilità. Ora che il nostro sistema stradale rischia il collasso e il nostro ambiente versa in uno stato critico a causa dell’inquinamento, ci rivolgiamo nuovamente alle ferrovie con la speranza che soddisfino in futuro le nostre esigenze di mobilità interna.

Consapevole di questo, la Commissione ha proposto un nuovo pacchetto legislativo volto a migliorare la parte tecnica del quadro normativo per il trasporto ferroviario, compresi una revisione delle direttive relative all’interoperabilità e alla sicurezza e del regolamento che istituisce l’Agenzia ferroviaria europea. In termini generali, è stato anni fa che le Istituzioni europee hanno iniziato a considerare l’esigenza di consolidare le ferrovie a livello comunitario. Per quanto riguarda l’aspetto dell’interoperabilità, è noto che nel luglio 1996, in altre parole 11 anni fa, abbiamo adottato la direttiva del Consiglio 96/48/CE relativa al sistema ferroviario ad alta velocità seguita, nel marzo 2001, dalla direttiva relativa al sistema ferroviario transeuropeo convenzionale.

Per oltre un decennio, tuttavia, i livelli di interoperabilità delle reti europee non hanno superato il 7 per cento, ed è proprio il requisito dell’omologazione nazionale di locomotori e macchine di trazione, in ognuno degli Stati membri in cui devono essere utilizzati, a costituire attualmente una delle principali barriere alla creazione di nuove imprese ferroviarie per il trasporto di passeggeri e merci, nonché un serio ostacolo all’interoperabilità del sistema ferroviario europeo. Poiché gli Stati membri non possono decidere autonomamente che la validità delle loro autorizzazioni alla messa in servizio sia estesa al territorio degli altri Stati membri, occorre un’iniziativa comunitaria per semplificare e armonizzare le procedure nazionali, e incoraggiare l’utilizzo più sistematico del principio di reciproco riconoscimento.

Le attuali direttive disciplinano soltanto la messa in servizio del materiale rotabile nuovo. La nuova direttiva è volta a consolidare, riconfigurare e fondere quelle attuali. Da parte nostra, sulla base di brevi relazioni tecniche che abbiamo richiesto in conformità del Regolamento del Parlamento, abbiamo proposto che i principi contenuti nell’ex articolo 14 della direttiva relativa alla sicurezza siano trasferiti in quella sull’interoperabilità. Tale richiesta risponde allo scopo specifico di fornire maggiore sicurezza giuridica al settore ferroviario e consentire la semplificazione dell’autorizzazione di messa in servizio.

Conveniamo sulla condizione che l’autorizzazione debba essere rilasciata da almeno uno degli Stati membri per ciascun veicolo, e che sia conforme alla dichiarazione “CE” nonché alle specifiche tecniche applicabili in materia di interoperabilità. Gli Stati membri considereranno conformi ai requisiti tecnici essenziali quei sottosistemi di natura strutturale autorizzati per la messa in servizio in qualsiasi altro Stato membro, e non richiederanno ulteriori autorizzazioni, salvo per quanto concerne la compatibilità con le caratteristiche specifiche dell’infrastruttura o determinate limitazioni.

Nella nostra relazione, volevamo strutturare le sezioni e gli aspetti vari della Direttiva in un modo più facilmente comprensibile agli interessati, dedicando un capitolo specifico ai requisiti per la messa in servizio dei veicoli, che si differenziano in base alla prima o alla seconda autorizzazione, alla conformità con tutte le STI (Specifiche tecniche di interoperabilità), o soltanto con alcune di esse.

Su tutti gli aspetti menzionati e nel corso dell’intera procedura, abbiamo mantenuto un contatto a scadenze periodiche con i relatori ombra dei vari gruppi politici, la Commissione e anche la Presidenza del Consiglio. Alla fine siamo riusciti a raggiungere un accordo, dopo aver risolto l’importante questione dei limiti massimi di tempo per decidere in merito a un’autorizzazione, superando il ben noto e paralizzante silenzio amministrativo dovuto alla mancata decisione.

Dopo aver profuso notevoli sforzi, abbiamo convenuto che l’autorizzazione sarà automatica in assenza di una decisione, e abbiamo espresso il nostro consenso sugli articoli restanti. A nome di questo Parlamento, abbiamo quindi presentato un emendamento congiunto sottoscritto da tutti i gruppi parlamentari, recante lo stesso testo che sarà sottoposto al Consiglio dei ministri dei Trasporti. Spero che il raggiungimento di un accordo in prima lettura sia di buon auspicio per l’intero settore.

Desidero concludere ringraziando tutti i relatori ombra per l’aiuto e la cooperazione al raggiungimento di questo obiettivo.

 
  
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  Georg Jarzembowski, a nome del gruppo PPE-DE. (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, a nome del mio gruppo desidero ringraziare sentitamente entrambi i relatori per la positiva e costruttiva collaborazione. A mio giudizio, siamo sempre riusciti a individuare punti in comune sulle questioni essenziali e a raggiungere un accordo in tempi rapidi; desidero quindi congratularmi con i relatori per avere fatto altrettanto con il Consiglio. Del resto, a che pro sarebbe valsa una lunga diatriba con quest’ultimo? Avremmo potuto perdere un anno intero! No, io credo che, nonostante tutto, abbiamo fatto progressi alla prima lettura e ciò rappresenta un grande successo per l’Assemblea, la Commissione e il Consiglio.

Desidero soffermarmi solo su due o tre punti nella certezza, signor Commissario, che lei li riferirà all’Agenzia ferroviaria europea. A quest’ultima stiamo infatti per conferire maggiore responsabilità nella definizione degli standard di sicurezza e dei criteri di interoperabilità. Spero che l’Agenzia ferroviaria europea saprà valorizzare queste opportunità a beneficio della nostra industria, che crei presto nuove norme e che operi in modo pratico ed efficiente. Tra parentesi, mi auguro anche – e qui mi richiamo al collega Paolo Costa, se mai potesse stare ad ascoltare ma, si sa, le telefonate sono sempre più importanti – che quante più funzioni assumerà l’Agenzia ferroviaria europea, tanto meno ne saranno coinvolte le autorità nazionali, e che una minore attività da parte loro si traduca in meno burocrazia. Se la burocrazia funziona correttamente a livello europeo, non saranno più necessarie 25 autorità nazionali. In tal modo, eviteremo all’industria ferroviaria europea il doppio lavoro e sovrapposizioni superflue.

Un’ultima osservazione: è molto importante, signor Commissario e onorevoli relatori, che ci troviamo d’accordo su questo punto. Se gli Stati membri non rispettano le scadenze per decidere sul reciproco riconoscimento, la loro approvazione s’intenderà accordata. Solo con questa funzione di approvazione potremo esercitare la pressione necessaria sulle autorità nazionali, perché non frenino costantemente le procedure.

Cerchiamo quindi di garantire insieme il risparmio dei costi attraverso il riconoscimento transnazionale del locomotori e del materiale rotabile, accrescendo la disponibilità e imprimendo un’ulteriore spinta soprattutto al traffico europeo di merci su rotaia.

 
  
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  Inés Ayala Sender, a nome del gruppo PSE.(ES) Signor Presidente, signor Vicepresidente Barrot, devo ammettere che mi sento combattuta perché il Primo Ministro Zapatero, dopo essersi presentato dinanzi a quest’Aula, sta ora partecipando a un ricevimento del Consiglio. Tuttavia, ho deciso di restare qui per ascoltarvi, sperando che riusciate in qualche modo a rafforzare l’europeizzazione del trasporto ferroviario.

Sono lieta che la Commissione abbia presentato agli europei questa opportunità e verità attraverso un esercizio di reale miglioramento della legislazione, che comporta la rifusione di una serie di vecchie direttive allo scopo di produrre un singolo testo e compiere un sostanziale passo in avanti a favore delle ferrovie.

A tale proposito, mi congratulo ancora una volta con l’onorevole Ortuondo per la dedizione, la tenacia e la minuziosità dimostrate nel mettere a punto un testo legislativo così valido. Devo esprimere la mia soddisfazione anche per l’eccellente cooperazione che animato tutti i gruppi allo scopo di compiere progressi su una questione tanto importante come quella dell’interoperabilità.

Devo inoltre dire che è stato raggiunto il migliore equilibrio possibile tra la sicurezza e l’esigenza di avanzare coraggiosamente verso l’interoperabilità. La sicurezza è assolutamente garantita anche nelle altre due relazioni, che l’onorevole Costa ha preparato sempre con grande dedizione.

L’Agenzia è migliorata e rafforzata e i suoi compiti e le sue esigenze sono meglio definiti. Speriamo altresì di riuscire a svilupparli più armoniosamente in futuro. I cittadini europei non devono temere, poiché la sicurezza ferroviaria è stata europeizzata e quindi rafforzata.

Occorreva completare urgentemente il lavoro sull’interoperabilità, poiché dobbiamo innanzitutto europeizzare il trasporto ferroviario e quindi migliorare la praticità e la logistica, ricordando che ora abbiamo anche un nuovo testo sui percorsi dedicati, che renderà l’interoperabilità persino più essenziale.

Come ha sostenuto l’onorevole Costa, si doveva compiere un progresso verso la realizzazione delle ambizioni del legislatore, in altre parole del Parlamento e del Consiglio, in riferimento all’autorizzazione alla libera circolazione dei treni. A mio giudizio, siamo riusciti a creare le condizioni per ridurre al minimo l’incertezza giuridica, sempre presente e responsabile delle barriere e degli ostacoli che tutte le questioni legate al reciproco riconoscimento delle autorizzazioni di materiale rotabile e locomotori hanno costantemente incontrato.

A mio giudizio abbiamo persino chiarito chi, come e quando le si debba riconoscere. Abbiamo impresso una piccola spinta, attraverso i progressi compiuti sul silenzio amministrativo ...

(Il Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Nathalie Griesbeck, a nome del gruppo ALDE.(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il dibattito odierno può sembrare piuttosto tecnico ai nostri concittadini. E sicuramente lo è, nonostante l’armonizzazione delle norme sull’interoperabilità e sulla sicurezza ferroviaria costituisca una delle principali preoccupazioni quando viaggiamo nella vita quotidiana. Ricordo, per esempio, il terribile incidente accaduto pochi mesi fa a Zoufftgen, tra il Lussemburgo e la Francia, che ha scioccato noi tutti.

Se desideriamo trovare una soluzione alle sfide che ci attendono, in particolare al cambiamento climatico, se vogliamo ridurre le emissioni di gas serra e realizzare il trasferimento modale, in altre parole ridurre i servizi di trasporto su strada a favore di altri sistemi che producano un minore inquinamento, dobbiamo rimuovere alcune barriere tecniche tuttora esistenti.

Per creare un autentico spazio ferroviario europeo, dobbiamo armonizzare le Specifiche tecniche di interoperabilità, oppure introdurre il reciproco riconoscimento delle norme. Le attuali procedure per le omologazioni nazionali del materiale rotabile sono troppo lunghe e costose. Dobbiamo facilitare l’iter amministrativo, ridurre le scadenze e fare tutto il possibile per armonizzare i regolamenti nazionali sulla sicurezza che, talvolta, determinano gravi restrizioni del traffico senza alcuna valida ragione.

Desidero, naturalmente, porgere i miei più calorosi ringraziamenti ai relatori Paolo Costa e Josu Ortuondo Larrea per lo splendido lavoro svolto, specialmente perché sembra soddisfare tutti i nostri gruppi politici e puntare, mi auguro, al consenso del Consiglio in prima lettura.

Desidero fare tre brevi osservazioni. Prima di tutto, come hanno detto i colleghi prima di me, sono lieta che sia stata raggiunta una maggiore leggibilità. Le disposizioni concernenti autorizzazioni saranno raggruppate in un unico documento legislativo: la direttiva relativa all’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo sia ad alta velocità che convenzionale.

Seconda osservazione: sono estremamente felice che una serie di principi, piuttosto tecnici a priori eppure molto importanti, siano stati adottati in relazione all’approvazione; in particolare, il riconoscimento transnazionale del materiale rotabile purché la rete locale non presenti caratteristiche specifiche, l’obbligo per le autorità nazionali di dimostrare i rischi effettivi ai sensi della sicurezza, e il ruolo chiarificatore dell’Agenzia nella compilazione e classificazione delle normative nazionali a scopo. In proposito, ritengo altresì importante che l’Agenzia si avvalga della consulenza di esperti operanti presso i gestori delle reti.

Sono inoltre soddisfatta del principio di autorizzazione implicita qualora le autorità nazionali non comunicassero le loro decisioni entro tre mesi, tuttavia desidero esprimere una chiara riserva sui limiti di tempo definiti per ritenere il detentore responsabile, perché temo che ciò potrebbe sollevare l’impresa ferroviaria dalla responsabilità.

 
  
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  Bogusław Rogalski, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, nell’emendare la direttiva relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie, è importante sostenere gli sforzi volti a creare un mercato comune per i servizi di trasporto ferroviario. Ecco perché si deve costituire un quadro comune per la regolamentazione della sicurezza delle ferrovie.

La Commissione dovrebbe essere autorizzata a regolare e adottare misure e obiettivi di sicurezza comuni, nonché a introdurre un unico sistema di certificazione. A tale scopo, i requisiti esistenti dovrebbero prima essere controllati, unitamente alle condizioni di sicurezza esistenti negli Stati membri, per stabilire se l’odierno livello di sicurezza del sistema ferroviario non sia peggiorato in qualche Stato membro. Si dovrebbero individuare gli ambiti prioritari in cui occorre migliorare la sicurezza. Un apposito certificato dovrebbe garantire l’applicazione, da parte dell’impresa ferroviaria, di un sistema di gestione della sicurezza che copra la fornitura dei servizi di trasporto sulla rete europea.

Il materiale rotabile autorizzato alla messa in servizio in un dato Stato membro deve essere coperto dalla stessa autorizzazione anche negli altri Stati membri, se questi ultimi la richiedono. La direttiva in questione sancisce che, ogni qualvolta il materiale rotabile è autorizzato a entrare in servizio, si deve nominare una persona giuridica responsabile della sua manutenzione. Questo è molto importante. La persona giuridica in questione potrebbe essere un’impresa ferroviaria, un subappaltatore o il proprietario del materiale rotabile. Questa misura risponde alle aspettative del mercato dei servizi.

L’iniziativa presentata garantirà una maggiore competitività del trasporto ferroviario e permetterà di conservare i posti di lavoro del settore. Gli emendamenti a questa direttiva pongono fine a un’ansiosa attesa, specialmente nei nuovi Stati membri. Pertanto mi congratulo con il relatore.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON.  LUIGI COCILOVO
Vicepresidente

 
  
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  Michael Cramer, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente, onorevoli colleghi, grazie a queste tre relazioni, la rete ferroviaria europea compirà notevoli progressi sulla via della convergenza. Gli standard di sicurezza saranno uniformati e monitorati dall’Agenzia ferroviaria europea. Il reciproco riconoscimento dei veicoli ferroviari all’interno degli Stati membri dell’UE, giunto con notevole ritardo, sarà infine garantito. Date queste premesse, desidero congratularmi di cuore con i due relatori e i relatori ombra poiché, senza questa valida collaborazione, non avremmo raggiunto un simile risultato.

Finalmente i tempi duri sono finiti. Per poter utilizzare un locomotore omologato in un altro Stato membro erano spesso necessari tre anni e cifre fino a 10 milioni di euro. Questa difficoltà si traduceva in una provocazione lesiva del trasporto ferroviario ecologico, già molto tempo prima che l’UE fosse allargata a 27 Stati membri. In futuro, l’omologazione di un veicolo ferroviario varrà automaticamente per tutti i 27 Stati membri dell’UE, purché uno di essi non sollevi obiezione entro 3 mesi, spiegando perché il funzionamento del veicolo non sia possibile per motivi di sicurezza. Il suo esercizio non potrà essere ostacolato da futili motivi come il colore di un estintore o le dimensioni dello specchietto laterale. L’onere della prova sarà quindi invertito. In passato, i fabbricanti dovevano eseguire un’ingente mole di minuzioso lavoro per dimostrare che non vi erano motivi di preoccupazione; in futuro, per eventuali dubbi in materia di sicurezza si dovrà presentare un caso valido. Sarà poi compito dell’Agenzia ferroviaria europea – che potrà esercitare maggiori competenze – decidere se tali timori sono giustificati.

Se il termine di tre mesi viene lasciato scadere senza obiezioni, l’omologazione varrà per l’intera rete ferroviaria dell’UE. In tal modo, sarà possibile produrre un maggior numero di veicoli ferroviari, abbassandone nel contempo i relativi costi. Soprattutto le Ferrovie federali tedesche si sono strenuamente opposte alla riduzione delle loro competenze. Grazie alla tenacia, dimostrata da tutti i gruppi di quest’Assemblea, si è potuto raggiungere un compromesso accettabile e la relazione di Josu Ortuondo Larrea può essere approvata per consenso e in prima lettura da parte di Commissione, Consiglio e Parlamento.

 
  
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  Erik Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL.(NL) Signor Presidente, nell’unirmi ai rallegramenti per l’unanime supporto a queste tre relazioni preparate dalla commissione per i trasporti e il turismo, desidero concludere la discussione con due osservazioni critiche: l’Agenzia ferroviaria europea può sì svolgere l’utile compito di sviluppare ulteriormente e applicare il nuovo Sistema di gestione del traffico ferroviario europeo, riducendone la dipendenza dai produttori. Tuttavia, la sua presenza è più necessaria in altri settori date le crescenti dimensioni di attività, liberalizzazione e concorrenza sui binari. Questi sviluppi necessitano di una mole sempre più cospicua di burocrazia che ne assicuri l’adeguato coordinamento.

Molto prima che fosse creata l’Unione europea, quel coordinamento aveva luogo in modo diverso. Esistevano validi accordi tra le compagnie ferroviarie nazionali che, per garantire i collegamenti sulle lunghe distanze, collaboravano tra loro e con la Compagnie Internationale des Wagons Lits. Dubito che il nuovo modello costituisca un miglioramento.

D’ora in poi, qualsiasi veicolo ferroviario autorizzato in linea di principio da uno Stato membro sarà accettato automaticamente anche negli altri. Tale situazione non esiste ancora, nemmeno sulla piccola scala dei tram urbani; questo perché l’angolazione delle curve, l’ubicazione delle fermate e, a volte, la distanza tra due binari rendono impossibile l’utilizzo dei tram su tutti i percorsi. Mi aspetto che anche le imprese ferroviarie si appelleranno di frequente a possibili eccezioni sulla base della sicurezza. Pertanto, vi sarà ben poco di diverso in pratica.

 
  
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  Michael Henry Nattrass, a nome del gruppo IND/DEM. (EN) Signor Presidente, la direttiva della Commissione relativa all’interoperabilità dichiara come proprio scopo quello di “consentire ai cittadini dell’Unione… di usufruire pienamente dei vantaggi derivanti dalla creazione di uno spazio privo di… frontiere”. Questa visione rappresenta un onere per il Regno Unito, perché molti cittadini dell’UE acquistano biglietti di sola andata.

Sono lieto che le ferrovie isolate, a scartamento ridotto e protette costituiscano un’eccezione. Ma cosa succederà alle tratte secondarie? Presumibilmente, tutto questo lavoro di burocrazia supplementare consentirà a lussemburghesi, lettoni e lituani di allinearsi e di gestire servizi da Long Eaton a Letchworth.

So che il provvedimento riguarda soprattutto i treni merci, “non-stop da Lisbona a Liverpool senza cambi di locomotore né del personale viaggiante”, come citano le istruzioni. Almeno c’è qualche speranza! Cosa dirà il personale sulla direttiva concernente l’orario di lavoro? Inoltre, il convoglio sarà fermato e ispezionato a ovest di Folkestone per verificare l’eventuale presenza di immigrati clandestini. Gli attuali locomotori portoghesi uscirebbero dai binari prima di entrare nel tunnel della Manica, poiché lo scartamento delle rotaie francesi è troppo ridotto.

Questo treno si fermerà. Il trionfo della cieca ideologia sul buon senso trasforma questo luogo in una “fabbrica di scartoffie”, che il Regno Unito è arrivato a disprezzare. Le auguro buona giornata, signor Presidente, ma la invito a occuparsi per prima cosa del concetto del tunnel.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Vicepresidente, per realizzare reti ferroviarie interoperabili ed assicurare un alto livello in mobilità sostenibile dei cittadini e di interconnessione tra le regioni dell’Unione, sicuramente è da accogliere con favore la semplificazione dell’attuale quadro normativo, perseguita con le relazioni Costa e Ortuondo Larrea. Ringrazio con l’occasione i colleghi per l’ottimo lavoro svolto, tanto più viste l’importanza strategica dell’interoperabilità del sistema, la necessità inderogabile della sicurezza, così come l’istituzione dell’Agenzia ferroviaria europea con l’estensione delle sue competenze.

Indubbiamente, per i citati fini, è condivisibile anche migliorare la parte tecnica del quadro normativo e promuovere il riconoscimento del materiale rotabile. La nuova procedura si baserà quindi sul principio del reciproco riconoscimento delle autorizzazioni già rilasciate da parte di uno Stato membro, per cui la necessaria certificazione complementare sarà quasi un pro forma.

Tutto giusto dunque, ma è indispensabile che tutto il materiale rotabile sia in condizioni adeguate, non solo quello che passa da un paese all’altro, ma anche quello circolante sulle reti locali. In Italia gli utenti del servizio ferroviario subiscono evidenti discriminazioni poiché il materiale rotabile più obsoleto e in condizioni spesso inadeguate, almeno rispetto a quanto è la norma in molti Stati dell’Unione, è utilizzato nella rete italiana locale.

Se la Commissione potesse entrare nel merito noterebbe l’enorme differenza di servizio offerto. Come da me evidenziato anche in altre occasioni, le ferrovie italiane offrono condizioni assolutamente inadeguate, soprattutto quanto al trasporto locale.

Anche per questo ritengo che occorra definire con maggior chiarezza le responsabilità dell’impresa ferroviaria e dei detentori in materia di sicurezza, così come anche in termini di rispetto degli standard sociali e del servizio da offrire agli utenti.

 
  
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  Luis de Grandes Pascual (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario Barrot, onorevoli colleghi, innanzi tutto intendo congratularmi con i relatori per il lavoro svolto nelle varie relazioni, che rappresentano un altro passo verso l’integrazione delle ferrovie europee.

Dobbiamo affrontare la sfida di sviluppare un sistema ferroviario europeo competitivo, redditizio, sostenibile e sicuro, in altre parole una vera alternativa ad altri mezzi di trasporto, che consenta il trasferimento modale.

Tuttavia, il sistema ferroviario europeo soffre tuttora di molti problemi che non sono stati ancora risolti. Possiamo viaggiare in treno da Madrid a Berlino ma, sfortunatamente, in un’Europa che pure ha una moneta unica e un mercato interno, questo viaggio sarebbe una vera epopea, perché manca un sistema ferroviario integrato.

Le differenze di scartamento tra alcuni paesi, la mancanza di standardizzazione e armonizzazione tecnologica del materiale rotabile e dei sistemi di segnalazione, le disparità nella formazione e certificazione dei macchinisti e l’irrisolvibile differenza tra le tensioni di alimentazione dei binari rendono il trasporto ferroviario meno competitivo, ostacolando la vera ragione per cui sono state progettate le reti di trasporto transeuropeo, ossia creare un mercato dei trasporti veramente unico e accrescere la costruzione dell’Europa.

Onorevoli colleghi, permettetemi di menzionare molto brevemente a voi e al Commissario il grave e ben noto problema che sta minacciando il collegamento tra la Penisola iberica e la rete ferroviaria europea, soprattutto nell’area del Mediterraneo. Non è soltanto una questione spagnola o francese, ma europea. Signor Commissario, se il lavoro su questa linea non sarà accelerato, a medio termine non saremo in grado di superare l’ostacolo orografico quasi insormontabile dei Pirenei.

A tale proposito, desidero chiedere alla Commissione europea e al Commissario di sollecitare i governi francese e spagnolo a risolvere questo problema, nell’ottica della creazione di un sistema ferroviario veramente europeo. So che al momento la Spagna sta attraversando un periodo difficile, perché un ministro è contestato e il governo, uscito sconfitto dalle elezioni, deve terminare il suo mandato, ma presto ci sarà un nuovo esecutivo e, di conseguenza, una nuova speranza. Auspico fortemente che questo problema, che non è né spagnolo né francese ma europeo, possa essere superato con esito positivo.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz (UEN).(PL) Signor Presidente, le condizioni in cui opera l’economia mutano costantemente. Di conseguenza, occorrono cambiamenti costanti in molti settori, e oggi ci occupiamo di quelli che riguardano il funzionamento delle ferrovie, e in particolare la loro sicurezza. Le disposizioni in materia devono quindi essere sistematicamente allineate con la situazione del momento.

Di recente si sono verificati molti cambianti, tra cui l’allargamento dell’area di Schengen per includere una serie di paesi, i cui sistemi ferroviari variano considerevolmente a livello di condizioni tecniche. Inoltre, in molti paesi sono stati eliminati i monopoli e sono nate imprese che possiedono la rete, nonché società di trasporti regionali e internazionali. Tutto ciò richiede definizioni e principi procedurali più rigorosi al fine di garantire la sicurezza sul territorio dell’Unione. La situazione sarà largamente risolta dagli emendamenti delle disposizioni nazionali che dovranno tenere conto di questi sviluppi.

Le proposte contenute nella relazione dell’onorevole Costa costituiscono un valore aggiunto. L’onorevole Costa suggerisce modifiche finalizzate alla semplificazione, come il trasferimento dell’articolo 14 dell’allegato VII alla direttiva concernente l’interoperabilità. Ciò migliorerà notevolmente la leggibilità della direttiva. Definire una responsabilità più chiara per la sicurezza è fondamentale. Desidero ringraziare l’onorevole Costa per tutto il lavoro svolto nel preparare la relazione.

 
  
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  Jacky Hénin (GUE/NGL).(FR) Signor Presidente, la questione apparentemente tecnica dell’interoperabilità del sistema ferroviario europeo e il ruolo dell’Agenzia ferroviaria europea in materia di sicurezza ci pongono al centro di una vera e propria scelta tra civiltà.

Le alternative sono due: o l’UE attua un mercato ferroviario europeo basato sulla competizione di “tutti contro tutti”, smembrando le imprese ferroviarie nazionali nella vaga speranza di mantenere livelli di sicurezza adeguati – perché questo è il senso delle proposte della Commissione – oppure prendiamo provvedimenti per la cooperazione tra le imprese ferroviarie di tutti gli Stati membri, allo scopo di attuare una rete in tutta l’UE per il trasporto di passeggeri e merci ad alta velocità e in piena sicurezza. Quest’ultimo obiettivo potrebbe essere raggiunto sviluppando l’alleanza Railteam, che riunisce i principali operatori europei dell’alta velocità.

Dovremmo notare che la storia delle ferrovie europee ha già deciso per uno dei due sistemi. Dieci anni fa, la Gran Bretagna ha attuato sulla propria rete ferroviaria le scelte che ora la Commissione sta proponendo. Risultato: un generale deterioramento del servizio e della sicurezza, che ha portato a incidenti mortali. Sempre dieci anni fa, nonostante l’opposizione della Commissione, dalla cooperazione tra SNCF e SNCB è nata la società Thalys. Risultato: un servizio efficiente, sicuro e di qualità in risposta alle esigenze dei passeggeri.

Sulla base di questa esperienza storica, intendo chiedere alla Commissione di abbandonare la scelta della concorrenza tra compagnie ferroviarie e di optare a favore della cooperazione.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente, onorevoli colleghi, l’Europa ha molto da offrire per aiutare tutti noi a migliorare il tenore di vita e l’economia. Purtroppo, quasi tutte queste buone intenzioni hanno nomi difficili da pronunciare.

Ciò vale in modo particolare per una delle priorità del pacchetto ferroviario in esame. “Interoperabilità” è la parola magica che descrive la nostra intenzione e il nostro obiettivo, se desideriamo disporre di un efficiente sistema ferroviario in Europa. I locomotori e il materiale rotabile devono essere adeguati gli uni agli altri; a tal fine, tuttavia, sono necessari processi di omologazione intercollegati.

La Commissione ha presentato una proposta in materia, che abbiamo ulteriormente elaborato in Parlamento con il consenso di tutti i raggruppamenti politici. Ci auguriamo che, assieme alle Specifiche tecniche di interoperabilità (STI), il risultato ci consenta di migliorare il coordinamento dei sistemi ferroviari in un’Europa unica. Il nostro sistema si basa sul concetto e sul principio del reciproco riconoscimento e dell’armonizzazione tecnica, fissa scadenze e criteri chiari per le omologazioni ed impone – cosa molto importante – nel caso in cui un richiesta di autorizzazione fosse respinta, che sia l’autorità nazionale competente a dimostrare l’effettivo rischio per la sicurezza, e non viceversa.

Noi vogliamo e auspichiamo che le molte funzioni trasferite all’Agenzia ferroviaria europea in questo contesto siano da essa eseguite nel modo più rapido e appropriato possibile. Posso solo sperare che quanto ha ricordato il collega Georg Jarzembowski sia davvero realizzato, ossia che, durante e al termine della procedura, avremo meno burocrazia nell’Europa unica di quanta non ne esista attualmente. Confidiamo che le nostre proposte potranno conquistare un largo consenso per la votazione in quest’Aula, affinché il risultato tangibile sia realmente quello di una maggiore interoperabilità.

 
  
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  Jacques Barrot, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero congratularmi con i relatori, gli onorevoli Ortuondo Larrea e Costa, per lo splendido lavoro svolto su una questione piuttosto tecnica in un periodo di tempo molto limitato.

Per quanto riguarda la proposta di rifondere le direttive concernenti l’interoperabilità ferroviaria, vedo che un accordo in prima lettura è a portata di mano. Questo è il risultato di diverse sessioni di lavoro e desidero congratularmi in particolare con l’onorevole Ortuondo Larrea per il suo personale impegno a seguire la proposta. E’ stato importante definire una procedura precisa e dettagliata per certificare i locomotori e gli altri veicoli ferroviari di fronte a possibili provvedimenti delle autorità nazionali preposte alla sicurezza e, nel contempo, imporre un tetto sul limite di tempo massimo concesso per la procedura di certificazione, come ha spiegato l’onorevole Jarzembowski.

Il risultato dei negoziati, a cui la Commissione ha reso un contributo tecnico, è un emendamento che rimodella completamente il testo della direttiva e che incontra il pieno consenso della Commissione. Così, signor Presidente, se questo accordo sarà confermato, invieremo un forte segnale politico all’industria e alle autorità nazionali competenti in materia di sicurezza.

Ora tocca a queste ultime impegnarsi per ridurre i tempi e i costi delle procedure di omologazione dei veicoli ferroviari. Adotteremo questa legislazione in tempi record, dimostrando che le leggi europee possono anche viaggiare alla stessa velocità del TGV.

Desidero rispondere al Presidente Costa in merito alle autorità nazionali preposte alla sicurezza. Sono state istituite a seguito della direttiva relativa alla sicurezza ferroviaria del 2004. Per quasi tutti gli Stati membri, ciò significava costruire un nuovo ente dal nulla, con tutte le conseguenti difficoltà legate al bilancio e all’assunzione di personale. Sarebbe un compito piuttosto difficile, signor Presidente, privare queste autorità di una funzione che è stata appena assegnata, e tale provvedimento susciterebbe dubbi sulla credibilità della nostra politica ferroviaria. Sono comunque d’accordo con lei. A lungo termine, possiamo immaginare che un giorno questo strumento sarà europeizzato in misura maggiore. Desideravo risponderle su questo punto.

Ora vengo alla questione della sicurezza, che lei ha trattato in qualità di relatore. Come lei auspicava, una parte di queste direttive è stata trasferita alla nuova direttiva sull’interoperabilità. Fatta eccezione per la conformità alla nuova decisione di comitatologia, a cui si giunge con l’introduzione della procedura di regolamentazione con controllo, il solo elemento importante che resta della proposta è la questione della manutenzione dei veicoli ferroviari e del ruolo dei rispettivi detentori.

Più di metà degli emendamenti presentati sono accettabili per la Commissione in linea di principio, o in parte. Tuttavia, devo citare la situazione dell’emendamento n. 21. Su questo argomento piuttosto tecnico, qualsiasi emendamento previsto deve essere conforme alla legislazione vigente, soprattutto alla direttiva concernente la sicurezza, ma anche alle Specifiche tecniche di interoperabilità per i vagoni in forza dal 31 gennaio 2007, nonché alla decisione sul registro nazionale dei veicoli entrata in vigore il 9 novembre 2007.

Per quanto possibile, questi emendamenti devono essere in linea con le varie situazioni che si possono concretamente incontrare. Essi devono porsi in stretta relazione con le pratiche vigenti in altre modalità di trasporto. Non devono racchiudere in una legislazione un modello contrattuale commerciale, che potrebbe evolversi parallelamente alla riforma del sistema ferroviario. Ecco perché l’emendamento 21 non incontra l’approvazione della Commissione. Lo stesso discorso vale, signor Presidente, nel caso degli emendamenti da n. 3 a n. 7, nn. 10, 14, 17 e 22, in buona sostanza per ragioni puramente tecniche o giuridiche.

Desidero concludere con alcune osservazioni sulla modifica proposta al regolamento che istituisce un’Agenzia ferroviaria europea. Poiché le nuove funzioni assegnate a quest’ultima dipendono fondamentalmente dalle direttive relative all’interoperabilità, alla sicurezza e alla certificazione dei macchinisti, il testo non dovrebbe più porre problemi significativi.

In relazione all’emendamento n. 4, in cui lei auspica che l’Agenzia funga da ente certificatore per le autorità nazionali, sono lieto che un compromesso responsabile sia stato raggiunto in riferimento alla relazione dell’onorevole Ortuondo Larrea. A lungo termine, l’Agenzia potrebbe assumersi tale mansione, ma al momento attuale gli esperti concordano che questo tipo di riorganizzazione sia prematuro. Si devono esaminare i modelli potenziali per la cooperazione tra l’Agenzia ferroviaria europea e le autorità nazionali preposte alla sicurezza. La Commissione si è impegnata a valutare l’impatto di tutte queste opzioni per consentire di prendere la decisione migliore entro il 2015.

Gli altri emendamenti sono accettabili nella forma attuale, in parte o in linea di principio, a eccezione di tre. In primo luogo, l’emendamento 5 conferisce all’Agenzia un ruolo di mediazione in problemi correlati al rilascio dei certificati di sicurezza. Non siamo d’accordo per le ragioni già citate. In secondo luogo, non accogliamo l’emendamento n. 6 per ragioni di coerenza con l’articolo corrispondente nella direttiva relativa alla sicurezza ferroviaria. Infine, non accogliamo l’emendamento n. 8 perché introdurrebbe l’Agenzia come consulente di progetti commerciali, mentre il suo compito è quello di un ente comunitario.

Ho ascoltato attentamente tutti gli interventi di oggi. Ritengo che il Parlamento europeo abbia valutato in modo fondamentalmente corretto il valore di queste disposizioni formulate per europeizzare sul serio le nostre ferrovie. Non intendo rispondere a tutte le domande poste. Desidero semplicemente dichiarare che alle reti transeuropee abbiamo destinato l’85% dei fondi per i progetti ferroviari. Vorrei comunicare all’onorevole de Grandes Pascual che non abbiamo trascurato i tracciati di montagna, in particolare i Pirenei.

A prescindere dall’approccio che si adotterà per il sistema ferroviario, dobbiamo comunque ammettere che, se vogliamo il ritorno in auge dei treni in Europa, dobbiamo compiere uno sforzo vero per europeizzare il sistema attraverso l’interoperabilità tecnica e le normative di sicurezza armonizzate.

Signor Presidente, il 2007 sarà un anno chiave per il trasporto ferroviario. Il 1° gennaio il trasporto di merci nazionale e internazionale è stato aperto alla concorrenza. Vediamo che il processo di rivitalizzazione del settore sta iniziando a dare frutti. La quota di mercato delle ferrovie, dopo un declino che dal 1970 ha interessato quasi tutti gli Stati membri, ora si è stabilizzata e di fatto sta crescendo.

Le proposte legislative in discussione qui oggi consentiranno alle compagnie ferroviarie di competere con il trasporto su gomma. Pertanto sono estremamente lieto dell’accordo sulla direttiva relativa all’interoperabilità, e la Commissione farà tutto il possibile per giungere rapidamente al consenso anche sugli altri due aspetti di questi provvedimenti.

Signor Presidente, mi consenta di esprimere la mia più sincera gratitudine a tutti colleghi che si sono impegnati a lungo su una questione così tecnica, senza mai perdere la concentrazione. Ritengo che, da allora, ciò ci abbia aiutato a compiere un progresso molto più rapido; se fossimo stati costretti a contemplare una seconda lettura, avremmo perso un anno prezioso. A mio giudizio, il 2007 sarà positivo sia per il trasporto ferroviario che per la lotta contro il riscaldamento globale, a cui sappiamo che questa modalità di trasporto può apportare un contributo particolarmente utile.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

Poiché due treni non possono arrivare contemporaneamente sullo stesso binario, voteremo sulla relazione Costa domani e sulla relazione Ortuondo Larrea martedì 11 dicembre a Strasburgo.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Marian-Jean Marinescu (PPE-DE), per iscritto. (RO) Accogliamo favorevolmente la proposta della Commissione di migliorare la legislazione nell’ambito dell’interoperabilità, considerando che è necessario migliorare il sistema di trasporto ferroviario nell’Unione europea.

Le procedure nazionali per l’omologazione dei locomotori e del materiale rotabile, nonché quelle per la certificazione dei macchinisti sono molto diverse tra loro, e proprio questa diversità impedisce di fatto la libera circolazione dei treni sul territorio dell’Unione.

E’ estremamente importante che le disposizioni sull’interoperabilità siano estese all’intera rete ferroviaria comunitaria. Le RTE sono già state progettate in base al principio di interoperabilità e, pertanto, gli investimenti dovrebbero concentrarsi sulle ferrovie convenzionali e su tutte le categorie di materiale rotabile, perché in futuro possano raggiungere gli standard comuni europei.

L’interoperabilità è un requisito, ma in alcune regioni del territorio europeo non si possono costruire ferrovie compatibili con i treni ad alta velocità: si tratta di zone montane, regioni isolate in generale, tracciati che attraversano gallerie e viadotti.

Ritengo che il legislatore dovrebbe emanare disposizioni specifiche perché, da un lato, non possiamo privare queste regioni dei benefici del trasporto ferroviario e, d’altro canto, non possiamo ignorare le condizioni necessarie alla sicurezza dei passeggeri, dei treni e delle infrastrutture stesse.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. (RO) Le norme nazionali imposte dagli stati membri in materia di sicurezza ferroviaria sono essenziali per la conformità ai requisiti di sicurezza e l’interoperabilità dei sistemi ferroviari.

Allo scopo di mettere in servizio qualsiasi tipo di materiale rotabile, si dovrà nominare un ente giuridico responsabile della manutenzione. Ritengo che le specifiche tecniche dovrebbero indicare i parametri di base e le caratteristiche tecniche richieste per la manutenzione dei componenti, dei sottogruppi o dei gruppi incorporati o progettati per l’inserimento in un sottosistema ferroviario.

Sul 66 per cento delle ferrovie rumene sono imposti limiti di velocità dovuti alle condizioni delle infrastrutture, e il 77 per cento del materiale rotabile è usurato. La Romania deve investire nello sviluppo del trasporto ferroviario. Considero estremamente importante che Romania e Bulgaria siano rapidamente collegate al sistema di trasporto ferroviario ad alta velocità.

La sicurezza del trasporto ferroviario è essenziale. La prima serie di progetti relativi agli obiettivi comuni di sicurezza ferroviaria, che punta a migliorare le prestazioni in questo ambito all’interno degli Stati membri, sarà approvata dalla Commissione entro il 30 aprile 2009 e la seconda serie entro il 30 aprile 2011. Chiedo alla Commissione europea di sostenere i nuovi Stati membri nell’accesso agli strumenti comunitari disponibili per sviluppare le infrastrutture dei trasporti.

 

19. Coordinamento di determinate disposizioni degli Stati membri concernenti le attività televisive (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura della commissione per la cultura e l’istruzione sul coordinamento di determinate disposizioni degli Stati membri concernenti le attività televisive [10076/6/2007 – C6-0352/2007 – 2005/0260(COD)] (Relatrice: Ruth Hieronymi) (A6-0442/2007).

 
  
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  Ruth Hieronymi, relatrice. (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, oggi discutiamo una posizione comune prenegoziata del Parlamento e del Consiglio sulla revisione della direttiva concernente l’esercizio delle attività televisive. Possiamo considerarla come un grosso successo per il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, pertanto vorrei anzitutto ringraziare di cuore i colleghi di tutti i gruppi politici e di tutte le commissioni interessate, specialmente i relatori ombra della commissione per la cultura e l’istruzione, Henri Weber, Ignasi Guardans Cambó e Helga Trüpel. Hanno lavorato molto perché oggi potessimo annunciare il successo di un risultato congiunto.

Il mio ringraziamento va anche a Viviane Reding – eletta Commissario dell’anno 2007, congratulazioni! – che, con grande decisione e altrettanto spirito di collaborazione, ha presentato la proposta di revisione della direttiva e vi ha lavorato assieme a noi.

Ringrazio anche il Consiglio, e più precisamente la Presidenza tedesca, sotto la cui guida è stato possibile arrivare a questa posizione comune, e la Presidenza portoghese attualmente in carica, che l’ha difesa con grande energia, consentendoci di discuterla qui oggi e di votarla domani.

Poiché la “televisione senza frontiere” è fondamentale per la libertà d’informazione e il pluralismo dei media in Europa, siamo lieti che la direttiva sulla televisione sia stata aggiornata nei tempi giusti. In base al principio del paese di origine, sono stati conseguiti obiettivi comuni per la televisione tradizionale e per forme nuove, indipendentemente dalla piattaforma. Per la televisione tradizionale ciò significa, anzitutto, il diritto a utilizzare brevi estratti dell’attualità in tutta Europa, tutele per un miglior accesso dei disabili, migliori controlli della pubblicità destinata ai bambini e supervisione nazionale indipendente sui media.

Abbiamo altresì migliorato le basi finanziarie delle attività televisive commerciali, non aumentando la pubblicità – tuttora limitata a un massimo di 12 minuti per ora – bensì introducendo regole più flessibili. Abbiamo compiuto il difficile passo di consentire l’inserimento dei prodotti affinché le televisioni private, in concorrenza con Google e altri operatori, siano in grado di offrire programmi realmente gratuiti in futuro. E’ stato il Parlamento europeo che, su questo fronte, ha lottato per ottenere adeguate direttive di trasparenza.

Per la moderna TV via Internet il principio da applicare, dopo la decisione di domani e la successiva attuazione nazionale, è che la televisione dovrà rimanere un prodotto economico e culturale indipendentemente dalla tecnologia impiegata. Questo è il modello europeo tutelato dal presente documento, che sarà denominato “direttiva relativa ai servizi di media audiovisivi”. Anche la TV via Internet e la TV mobile avranno un futuro in Europa, non solo come prodotti economici, ma anche come garanti fondamentali della libertà d’informazione e del pluralismo dei media.

Per questo è così importante che la modernizzazione della direttiva sia stata iniziata per tempo. “Per tempo” significa che i prossimi negoziati sul pacchetto delle telecomunicazioni, appena iniziati, come pure le discussioni sui contenuti on line, avranno luogo sulla base di un quadro giuridico chiaro per i servizi di media audiovisivi nuovi e tradizionali.

Pertanto, in vista della votazione di domani, chiedo il vostro sostegno per garantire un’ampia maggioranza favorevole al progresso della politica europea dei media!

 
  
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  Viviane Reding, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, per una madre è sempre una grande soddisfazione vedere il figlio a cui ha dato la luce crescere e diventare un adolescente vivace e intelligente. Ecco come mi sento questa sera: se penso alla direttiva relativa ai servizi dei nostri media audiovisivi “senza frontiere”, provo una sensazione di soddisfazione e orgoglio che desidero condividere con la madrina di questo bambino, l’eccellente Ruth Hieronymi che ha svolto il compito di relatrice.

Esistono molti modi per mettere alla prova l’intelligenza di un bambino. L’onorevole Hieronymi li ha elencati: una gamma adattata ai mezzi audiovisivi futuri, perché ampliata ai media su richiesta come il VOD (video on demand), la riaffermazione del principio del paese di stabilimento, e quindi il consolidamento della libertà di movimento dei programmi, l’aggiunta di una procedura di dialogo e cooperazione intelligente per prevenire o comporre qualsiasi conflitto potenziale, l’equilibrio tra il rispetto dei consumatori e più libertà per le nostre imprese; il miglioramento del diritto all’informazione con nuove regole per l’accesso a brevi estratti di eventi chiave. A mio giudizio tutte queste nuove caratteristiche, e altre ancora, dimostrano il raggiungimento di un equilibrio intelligente tra il rinnovamento e il rispetto dei valori.

Quali ulteriori testimonianze della vitalità del bambino, desidero citare la promozione della diversità culturale in ambito digitale, il riconoscimento di nuove tecniche pubblicitarie, un quadro giuridico finalmente definito per l’inserimento dei prodotti, l’attenzione dedicata all’accesso ai media audiovisivi da parte dei nostri concittadini con disabilità visive o uditive, e la fiducia che le disposizioni applicative della direttiva secondo il principio autoregolamentazione o coregolamentazione ripongono nel settore.

Il Parlamento ha svolto un ruolo fondamentale nell’allevare il bambino dall’infanzia fino all’adolescenza, e per questo desidero esprimergli la mia riconoscenza. Questo è un altro esempio di splendida cooperazione tra le tre Istituzioni, che hanno completato con successo la legislazione destinata a formare il fondamento per l’industria e la cultura di domani.

Ora è giunto il momento che il bambino esca dal nido e apra le sue ali di adulto. Nel nostro caso, ciò significa che la direttiva comunitaria dovrà essere recepita dagli Stati membri. Pur rispettando la politica dell’UE, mi auguro che questa fase non provochi l’obesità del bambino. Sarebbe un esito ancora più paradossale, se si pensa che la nuova direttiva chiede espressamente agli operatori del settore di redigere codici di condotta per controllare la pubblicità che favorisce l’obesità infantile. Pertanto auspico che, per quanto possibile, gli Stati membri si astengano dall’aggiungere obblighi nazionali a scapito delle rispettive industrie di audiovisivi.

Sono assolutamente certa che il testo da sottoporre alla vostra approvazione di domani fornirà un’autentica sicurezza giuridica all’industria, e promuoverà anche i nostri valori di società e cultura. Con questo quadro giuridico, l’UE si pone all’avanguardia rispetto alla legislazione degli altri continenti. Penso che possiamo esserne orgogliosi. Stiamo inoltre sostenendo la creatività delle nostre industrie. Stiamo prestando un contributo per garantire ai nostri film il programma di finanziamento migliore in assoluto e, agli europei, l’accesso a programmi di qualità su reti televisive gratuite: questa sera, con voi e grazie a voi, ho quindi la sensazione che la nostra missione si sia compiuta.

 
  
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  Gunnar Hökmark, a nome del gruppo PPE-DE. (SV) Signor Presidente, per prima cosa mi permetta di congratularmi e di ringraziare il relatore per il lavoro svolto sull’argomento, nonché il Commissario. Si tratta di una questione che suscita molte opinioni diverse e decisamente forti, tuttavia abbiamo formulato una proposta che stiamo discutendo questa sera, e che indica la strada da seguire per la televisione europea.

Ritengo importante sottolineare alcuni aspetti, tra cui il principio di legislazione del paese d’origine, che costituisce una base migliore e più solida per la diversità, ma anche per la televisione europea comune e – cosa importante – condizioni migliori per un’industria cinematografica europea, poiché si tratta di un ambito strettamente correlato. Inoltre offre più spazio per l’esistenza di media gratuiti a livello transeuropeo.

E’ ovvio che alcuni aspetti avrebbero potuto essere ulteriormente migliorati. Io stesso pensavo che sarebbe stato opportuno dimostrare una maggiore apertura sulla questione degli orari della pubblicità, ma se non altro è stata accresciuta la flessibilità in proposito. Penso che la proposta, ora ritornata in quest’Aula, sull’inserimento dei prodotti costituisca un miglioramento. Abbiamo quindi motivo di essere soddisfatti per i progressi compiuti.

Consentitemi di rilevare un aspetto per il futuro, poiché questa legislazione è ampiamente basata sulla differenza tra i cosiddetti servizi dei media lineari e non-lineari. Penso che questa differenza perderà progressivamente importanza. E’ già evidente adesso che non è così grande né rilevante. Sono convinto che sarà importante seguire gli sviluppi di questo campo, in modo da evitare una situazione in cui i media televisivi tradizionali risultano svantaggiati in Europa rispetto a quelli che trasmettono in modo non-lineare, tramite Internet o altri mezzi perché, a lungo termine, ciò può danneggiare le nostre opportunità in un contesto globale. Ancora una volta desidero ringraziare il relatore e ribadire che abbiamo compiuto un passo in avanti.

 
  
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  Catherine Trautmann, a nome del gruppo PSE. (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, desidero iniziare il mio intervento citando il collega Henri Weber. Il testo è un compromesso accettabile per il gruppo socialista e, durante i negoziati, siamo riusciti ad aggiungere alcune preziose disposizioni per conservare il modello audiovisivo europeo. Desidero ringraziare l’onorevole Hieronymi, autrice della relazione, per la determinazione, la pazienza e anche per lo spirito di conciliazione particolarmente aperto e positivo.

Questa revisione si è resa necessaria anche per alcune questioni legate alla rivoluzione digitale nel contesto di un’economia basata sulla conoscenza. Le normative sono state estese ai nuovi servizi audiovisivi in modo appropriato. I minori sono tutelati contro l’incitamento a qualsiasi forma di discriminazione, così come lo sono i cittadini dell’UE. Questi nuovi servizi contribuiranno al finanziamento di film e della componente audiovisiva europea. Una percentuale degli incassi confluirà in conti di sostegno e sarà garantita l’esposizione di produzioni europee su cataloghi on line. Il pluralismo dei media è ora diventato un requisito ufficiale. Il ruolo delle autorità normative è stato accresciuto, e l’adozione delle disposizioni in materia di accessibilità generale è raccomandata agli Stati membri con la massima enfasi.

Per quanto riguarda la pubblicità, il gruppo socialista voleva mantenere le regole della direttiva attuale. Con una limitazione del 20 per cento all’ora, l’intervallo tra due pause pubblicitarie è ridotto a 30 minuti, mentre noi volevamo mantenere i 45 minuti dei canali europei. Siamo comunque soddisfatti che la pubblicità sia vietata durante i documentari, le trasmissioni informative e i programmi per bambini. Gli Stati membri potranno, tuttavia, scegliere se consentire questa forma di interruzione commerciale durante film, fiction televisive o trasmissioni sportive. In questo caso, vi sono severe disposizioni che disciplinano l’inserimento dei prodotti allo scopo di prevenire abusi o determinati effetti negativi.

Si è pertanto raggiunto un equilibrio tra la libertà di espressione, la circolazione delle informazioni, l’accesso pubblico ai nuovi servizi come il VOD (video on demand) e i contenuti di valore culturale ed economico. L’importanza attribuita alla qualità consentirà alla produzione europea di rafforzare la propria posizione. Questo è uno degli effetti principali della direttiva.

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó, a nome del gruppo ALDE.(FR) Signor Presidente, ritengo che un viaggio molto lungo sia arrivato al termine. Ci ha richiesto molto tempo e l’impegno di tanti di noi, deputati ed esperti, persino di persone che hanno seguito da vicino questa discussione al di fuori dell’Aula, perché per loro rivestiva grande importanza. Dovremmo sentirci tutti molto soddisfatti di noi stessi perché domani, a meno che non si verifichi qualche sorpresa, il testo risultante da tutti questi negoziati e discussioni sarà accolto all’unanimità, forse persino senza votazione, fornendo così la prova concreta che può essere approvato quasi per acclamazione.

E’ quindi giunto il momento di congratularsi con l’onorevole Hieronymi e gli altri relatori ombra, ma soprattutto con la signora e, devo dire, anche con il Commissario, che giudica la missione compiuta. Ha ragione. Oggi può provare a buon diritto che la sua sensazione è giusta.

Ciò significa che adotteremo un quadro giuridico con norme molto chiare, che accrescerà la sicurezza degli investimenti nei mezzi audiovisivi. Le normative potranno essere estese ai nuovi media digitali e ai mezzi altrettanto innovativi che vi sono associati, con tutte le caratteristiche essenziali richieste per la tutela dei consumatori e dei minori, senza sovrapporsi o semplicemente amplificare le disposizioni esistenti, perché gli strumenti sono nuovi e le risposte a livello giuridico devono esserlo altrettanto.

Certamente le nuove regole rendono più flessibile la pubblicità. Ne siamo consapevoli. Le abbiamo dibattute e alla fine abbiamo fornito il nostro sostegno. Il mio gruppo è stato quello che di gran lunga ha lavorato più duramente per garantire che il testo soddisfacesse le aspettative, senza snaturare il modello audiovisivo europeo. A dire il vero non ci siamo spinti tanto lontano, ma sappiamo – e dovremmo dirlo ad alta voce, perché abbiamo consapevolmente sostenuto l’inserimento dei prodotti – che se vogliamo una televisione gratuita per gli spettatori, nonostante non lo sia mai se non per gli spettatori stessi, e se non vogliamo che sia pagata soltanto dalle imposte e dai finanziamenti pubblici, devono esserci i mezzi per sostenerla nell’ambito di un quadro di concorrenza. Questo, allora, è il contesto in cui abbiamo autorizzato l’inserimento dei prodotti. Lo abbiamo reso trasparente, stabilendo con estrema chiarezza come e quando attuarlo.

Ora è giunto il momento di dare disposizioni per l’attuazione. A questo proposito, vorrei chiedere alla Commissione di assumersi ancora una volta le proprie responsabilità. E’ vero che il bambino è uscito dal nido, ma non del tutto. L’attuazione deve essere monitorata molto da vicino e in particolare, signora Commissario, bisogna fare qualcosa per un aspetto che mi preoccupa molto. Alcuni Stati membri hanno secondo me l’impressione che non esista regolamentazione per il periodo che intercorre da oggi al momento dell’effettiva attuazione. Potremmo parlare di un vuoto legislativo. Tuttavia ciò non è vero. La direttiva vigente “Televisione senza frontiere” ha definito regole per la pubblicità, stabilendo ciò che si poteva e ciò che non si poteva fare. Vi è la percezione generale che fino alla nuova regolamentazione, fino al recepimento della nuova direttiva da parte degli Stati membri, le norme già esistenti non potranno essere applicate. E’ responsabilità vostra e della Commissione mettere in chiaro che questa percezione non è corretta, e che la situazione non dovrebbe essere considerata in questo modo.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, gli emendamenti della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive, puntano a garantire che, all’interno degli Stati membri, i destinatari dei servizi dei media audiovisivi possano pienamente beneficiare dei vantaggi del mercato interno, attuando i principi di regolamentazione sulla base del paese di originale.

L’emendamento della direttiva porterà le disposizioni dell’Unione europea al livello dei più recenti progressi tecnologici. La proposta della Commissione europea distingue tra servizi lineari, e più precisamente la forma di trasmissione tradizionale, Internet o televisione mobile che fornisce costantemente materiali allo spettatore secondo il palinsesto in corso, e servizi non-lineari simili ai programmi televisivi scaricati su richiesta dalla rete.

Mantenere la direttiva “Televisione senza frontiere” nella sua forma attuale aggraverebbe le differenze ingiustificate che emergono nel trattamento normativo dei metodi di distribuzione di contenuti mediatici simili o identici. Le attuali disposizioni concernenti la televisione dovrebbero rimanere in vigore per i servizi lineari. Per quelli non-lineari, tuttavia, si dovrebbero stabilire disposizioni essenziali minime che potrebbero, per esempio, riguardare la protezione dei minori, il divieto dell’incitamento all’odio razziale e della pubblicità occulta. Tutto ciò è previsto nelle modifiche proposte. L’Unione per l’Europa delle nazioni voterà pertanto a favore di questa proposta.

 
  
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  Helga Trüpel, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signor Presidente, nel riprendere le discussioni sulla nuova versione della direttiva concernente l’esercizio delle attività televisive, che d’ora in poi sarà nota con il titolo “Servizi di media audiovisivi”, abbiamo condotto un dibattito politico sulla diversità culturale e sul mantenimento della qualità nelle trasmissioni televisive. La decisione conclusiva del Parlamento darà realmente inizio al processo legislativo. Il nostro sguardo, perciò, è già rivolto al futuro.

Invito gli Stati membri ad avvalersi del principio di sussidiarietà previsto dalla direttiva e a valorizzare pienamente la possibilità di una maggiore pluralità culturale e mediatica. Mi riferisco, in particolare, a maggiori diritti per i produttori indipendenti, al contributo che i servizi non lineari, proposti per esempio dai fornitori di video on demand, possono fornire alle produzioni europee, nonché alla limitazione dell’ambito di inserimento dei prodotti. Soprattutto la televisione pubblica dovrebbe rinunciare a quest’ultimo aspetto in Europa.

Lavorando alla nuova versione della direttiva, abbiamo condotto una battaglia su questioni di principio fondamentali, concentrandoci sul grado di apertura del mercato che vogliamo realmente, e sui punti che intendiamo regolamentare nello specifico. I Verdi ritengono che il dibattito si sia risolto a favore di una liberalizzazione più orientata al mercato, soprattutto per quanto riguarda la pubblicità. Il nostro gruppo, pertanto, non sosterrà la nuova versione della direttiva nella votazione di domani. Le numerose opzioni che consentono di introdurre ancora più pubblicità – nei programmi sportivi, nelle serie o nei film per la televisione – porteranno ad una perdita di qualità dei media europei. In futuro, pertanto, l’attività di trasmissione pubblica assumerà un compito ancora più importante, e dovrà essere posta dai legislatori nazionali in condizione di esercitare appieno la propria funzione educativa e informativa, anche attraverso nuovi mezzi come la TV mobile o via Internet. Pertanto, anche quando ci occupiamo della nuova versione della direttiva “Telecomunicazioni”, dobbiamo costituire un quadro appropriato a livello europeo se, un domani, le trasmissioni saranno ricevute in misura maggiore dai telefoni cellulari o da Internet.

 
  
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  Doris Pack (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, il compromesso che Ruth Hieronymi ha elaborato – naturalmente con l’aiuto dei suoi colleghi – incontra la mia sincera approvazione. Vorrei davvero ringraziarla di cuore; si trattava di un compito molto difficile che lei ha svolto egregiamente. Ritengo che il compromesso tocchi quasi tutti gli aspetti che volevamo trattare in prima lettura.

Sappiamo che il rapido sviluppo della tecnologia ha ormai reso la vecchia direttiva obsoleta. Io stessa avevo collaborato alla precedente versione. Al momento attuale sono emerse alcune novità: nuove possibilità di trasmissione, nuovi servizi “on demand” si sono affiancati alla TV tradizionale, quindi abbiamo bisogno di questa direttiva. Per me, inoltre, era importante sostenere in tale contesto il principio del paese di origine e mantenere i brevi estratti dell’attualità. La regolamentazione della pubblicità è stata resa più flessibile, ma ritengo giusto che non siano stati superati i 12 minuti all’ora. Le opere cinematografiche e i notiziari continueranno a non essere interrotti.

Un punto critico era, come lei sa, signora Commissario, l’inserimento dei prodotti. A malincuore, molti di noi hanno votato il compromesso attuale. Ma è un bene che ci sia innanzitutto un divieto, seguito dalle eccezioni che sono già state menzionate in questa sede. A mio giudizio, non avremo situazioni analoghe a quelle americane, se saranno applicate in modo corretto. La riduzione della pubblicità durante i programmi per i bambini è ugualmente ben accetta. Tale compromesso consente al settore audiovisivo di affrontare i grandi cambiamenti in atto, adattarsi alle condizioni delle tecnologie e del mercato e aiutare il settore audiovisivo ad accrescere la propria competitività futura. Esso rappresenta, al momento, il miglior punto d’equilibrio tra il pluralismo dei media e la pluralità culturale, e offre la possibilità di sviluppare un’industria audiovisiva europea più competitiva.

Ancora una volta grazie di cuore, signora Commissario, ma soprattutto grazie alla nostra collega Ruth Hieronymi.

 
  
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  Viviane Reding, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, posso soltanto concordare su ciò che è stato appena detto: infatti, grazie all’assistenza delle istituzioni e all’impegno del relatore e dei suoi colleghi, abbiamo formulato una direttiva destinata ad accompagnare la nostra industria audiovisiva verso il futuro, nel debito rispetto dei nostri valori e delle nostre culture. Si tratta di un notevole passo in avanti per questo settore, e posso soltanto rallegrarmene assieme a tutti gli oratori che lo hanno confermato.

E’ stata posta una domanda: cosa succederà nel periodo che intercorre da oggi e al momento in cui sarà effettivamente attuata la nuova direttiva? Sono in grado di rassicurare il collega da questo punto di vista. Continueremo ad applicare le regole della direttiva “Televisione senza frontiere”. Infatti, ho appena iniziato una procedura di infrazione ai danni della Spagna, che ha superato il tetto massimo consentito per la pubblicità. Lo stesso provvedimento sarà applicato a tutti gli Stati membri che non rispettano le regole: finché non ne disporremo di nuove, le vecchie disposizioni faranno ancora testo.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 29 novembre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Claire Gibault (ALDE), per iscritto. – (FR) Desidero congratularmi con gli onorevoli Hieronymi e Guardans per lo splendido dialogo tenuto con i deputati e per la qualità delle relazioni stilate assieme al Consiglio, che hanno consentito di sottoporre il presente documento estremamente consensuale alla seconda lettura.

Il Consiglio ha accettato un gran numero di richieste del Parlamento e tutte quelle del mio gruppo politico. Mi fa piacere che il testo includa due aspetti che mi stanno particolarmente a cuore: il principio del paese d’origine e la protezione dei bambini contro i messaggi pubblicitari.

Il Parlamento si è dimostrato capace di condurre negoziati con il Consiglio, che hanno portato alla formulazione di un testo più elaborato rispetto alle versioni precedenti. Non è stato un compito facile, ma abbiamo raggiunto il nostro scopo. Ora spero che il recepimento nelle leggi nazionali sarà facilitato dalla buona volontà dei nostri governi.

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE), per iscritto. (HU) Il nuovo regolamento per la televisione senza frontiere ha avuto un esito caratterizzato da luci e ombre. Constato con soddisfazione che stiamo creando le basi giuridiche per la televisione digitale e non-lineare. Il rapido sviluppo della tecnologia ci ha già portato all’undicesima ora. Ritengo sia molto importante che i canali televisivi del servizio pubblico, che trasmettono i valori della Comunità, si avvalgano delle opportunità fornite dalle nuove tecnologie. Se le televisioni pubbliche non riescono a tenere il passo con i canali commerciali in fatto di qualità tecnologica, allora si deve temere che perderanno gli spettatori finora conquistati, e che i loro programmi di qualità, tra cui quelli dedicati alla cultura e alla vita pubblica, non raggiungeranno le generazioni più giovani. La versione finale ammorbidisce le norme sulla pubblicità sotto ogni punto di vista. E’ particolarmente irritante vedere che non siamo riusciti a bandirne il poderoso incremento di volume, nonostante il nostro elettorato lo deplori in tutta Europa. Intristisce sapere che persino i programmi per bambini possono essere interrotti dalle pause pubblicitarie. Il regolamento sull’inserimento dei prodotti è un tenue compromesso. La legislazione certamente non realizza molti obiettivi del Parlamento europeo ma, in sua mancanza, il vuoto normativo sarebbe stato forse ancora più problematico.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto. (RO) Accolgo con soddisfazione la posizione comune del Consiglio, che modifica in modo significativo alcuni aspetti come la protezione dei bambini e dei minori, l’accesso dei disabili ai servizi audiovisivi e l’inserimento della pubblicità sui prodotti.

Alcol e tabacco, pubblicizzati dagli spot, sono percepiti dai giovani come strumenti di accettazione sociale tra gli adulti e queste forme di dipendenza sono correlate all’attrazione fisica, al divertimento, all’avventura e allo svago. Inoltre la pubblicità martellante su prodotti alimentari e bevande con un elevato contenuto di grassi e zucchero, rivolta specialmente ai bambini, mina le iniziative positive poste in atto per tutelare la salute pubblica, come l’educazione alla nutrizione e l’etichettatura corretta dei prodotti. L’Unione europea sta affrontando la crisi dell’obesità e la televisione aggrava la situazione. In Spagna, il 48 per cento della pubblicità trasmessa durante i programmi per bambini riguarda caramelle, prodotti di fast-food e patatine, mentre in Gran Bretagna l’80 e il 90 per cento della pubblicità televisiva è riservata ad alimentari con un elevato contenuto di grassi e zuccheri.

Il testo del Consiglio sottolinea la necessità di definire codici di condotta concernenti la pubblicità del “junk food” rivolta ai bambini, nonché di introdurre sistemi di filtro e codici PIN che accrescano la protezione dei minori dall’influenza negativa dei servizi audiovisivi, e che svolgano un ruolo importante nella lotta contro l’obesità.

 

20. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.

 
  
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  Vytautas Landsbergis (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, il Parlamento europeo ha recentemente adottato una saggia risoluzione nelle relazioni con un paese suo confinante. Vorrei citare alcuni passaggi. La prego di ascoltare attentamente e senza alcun timore: “premesso che” il “pubblico” russo “non è sufficientemente informato circa l’entità dei crimini commessi nella” Seconda guerra mondiale, e “più precisamente in” Finlandia, nei Paesi baltici, a Katyń e nella regione di Kaliningrad, il Parlamento “ritiene che i cittadini della” Russia “abbiano il diritto di apprendere la verità sulle… politiche di guerra e genocidio attuate nel loro nome, e di sapere quali sono gli autori dei crimini di guerra”; il Parlamento “ritiene che” la Russia “debba confrontarsi onestamente con il proprio passato” sovietico “ai fini del progresso, e tale confronto costituisce parte integrante del cammino verso la riconciliazione con i paesi limitrofi”.

Questo invito è stato rivolto dal nostro Parlamento - alla Serbia, che ha apprezzato i nostri suggerimenti, ma, poiché quest’Assemblea non si avvale di due pesi e due misure, le stesse forme di incoraggiamento dovrebbero essere utilizzate anche nei nostri documenti che riguardano la Russia.

 
  
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  Lívia Járóka (PPE-DE). - (HU) La ringrazio molto, signor Presidente. Onorevoli colleghi, signor Presidente, vorrei intervenire brevemente sulla situazione dei Rom europei, in riferimento all’opinione adottata nell’ultima sessione plenaria. Ritengo sia essenziale che la Commissione europea e il Parlamento lavorino fianco a fianco e si assumano la responsabilità per questa minoranza, svolgendo un ruolo molto più accentuato di quanto non abbiano fatto finora, preparando, attuando e monitorando i programmi destinati all’inclusione dei gruppi sociali esclusi e marginalizzati. In tale ambito, sarebbe molto importante che i deputati del Parlamento europeo lavorassero a stretto contatto con i commissari direttamente o indirettamente responsabili delle minoranze, della loro integrazione e inclusione e, in quanto gruppo specializzato, preparassero congiuntamente una strategia completa e transfrontaliera per i rom con un monitoraggio effettivo, offrendo a coloro che vivono nelle zone più povere e ai gruppi più svantaggiati l’opportunità di accedere ai programmi di sviluppo dell’Unione. A tale scopo, si deve redigere congiuntamente una mappa di crisi europea, con cui sia più facile valutare le zone afflitte dalla più grave povertà. Due anni fa, il Partito popolare europeo è stato il primo in quest’Assemblea ad adottare una strategia per i rom. Vorrei che gli altri partiti si unissero a noi. Ritengo molto importante presentarci insieme, fianco a fianco, all’audizione dei Rom che si terrà il 14 febbraio, e agire a beneficio di questa minoranza. E’ molto importante che accada qualcosa. Grazie.

 
  
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  Hans-Peter Martin (NI). - (DE) Signor Presidente, testimoni oculari riferiscono di una folle corsa del Segretario generale del Parlamento europeo, Harald Rømer, che ha quasi dell’incredibile. Il 14 novembre di quest’anno, alle ore 15.00, Rømer si è spostato dal Parlamento europeo verso il centro di Strasburgo a bordo di una vettura del corpo diplomatico, a quanto pare immatricolata in Lussemburgo. Schiacciando alcuni passeri sotto le ruote, ha percorso a grande velocità l’Allée de la Robertsau, superando a oltre 100 km orari le auto che si muovevano lentamente nelle code del traffico, lanciando improperi ai conducenti e costringendo i passanti sbigottiti ad allontanarsi dalle strisce pedonali per la propria incolumità.

Vorrei quindi rivolgere le seguenti domande all’onorevole Rømer: lei era veramente alla guida di quell’auto nel giorno indicato? Chi era al volante? Quali istruzioni ha – o non ha – impartito all’autista? Perché l’auto sembrava guidata da un pirata della strada e perché il limite di velocità è stato così gravemente superato? Ritiene che le norme del traffico non valgano per lei? Non ritiene che, in qualità di massimo funzionario del Parlamento europeo, lei dovrebbe mostrare un particolare rispetto per gli altri e per i limiti imposti dalle normative del traffico? Intenderà comportarsi così anche in futuro e tutti gli utenti della strada dovranno fuggire davanti a lei?

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE). - (RO) Domenica scorsa, i rumeni hanno eletto per la prima volta i loro rappresentanti al Parlamento europeo. La Romania si unisce quindi alla tradizione europea delle elezioni dirette del Parlamento, che è iniziata nel 1979.

Queste elezioni ci hanno dimostrato che abbiamo una grande responsabilità nei confronti dei nostri cittadini, a cui dobbiamo parlare di più dell’Unione europea, spiegando i benefici e la rigorosità della famiglia a cui apparteniamo. Nonostante la Romania sia il secondo paese a favore dell’Unione europea, questa volta l’affluenza alle urne è stata relativamente bassa (­29,4 per cento). Ciononostante, in queste elezioni si è chiaramente affermata la tendenza della popolazione europea. Ora i rappresentanti del partito democratico sono in Romania quasi tre volte più numerosi che in quest’Aula e, a seguito della nostra vittoria, il peso del PPE-DE nel Parlamento europeo è aumentato di quasi il 4 per cento.

Ringrazio i rumeni per la fiducia che ci hanno accordato, e voi per i messaggi positivi che avete trasmesso agli elettori del nostro paese.

 
  
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  Pierre Pribetich (PSE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la sabbia sta scendendo senza posa nella clessidra del Kosovo, e il 10 dicembre è ormai alle porte. Il dialogo tra sordi, che oppone un Kosovo estremamente autonomo entro i confini della Serbia a un’indipendenza sotto supervisione, pare purtroppo destinato a continuare. Le elezioni legislative del 18 novembre hanno soltanto accresciuto le aspirazioni politiche, segnando la vittoria degli indipendentisti in un ballottaggio caratterizzato da un’astensione da record.

L’UE deve pertanto presentare una strategia diversa dall’indipendenza, affermando una politica estera europea. La stessa parola indipendenza è una trappola, un sinonimo di caos per la nostra Europa. Accettando questo processo, stiamo aprendo un vaso di Pandora contenente tutti i nazionalismi, i regionalismi e i localismi che ciò comporta sul nostro territorio.

In un mondo globalizzato, l’indipendenza è un’illusione. Si devono esortare tutti i partiti a costruire una comunità regionale con scambi pacifici, che rispettino adeguatamente i principi democratici. Sostenere la divisione e l’indipendenza significa semplicemente rafforzare i nazionalismi. Ricordiamoci le parole pronunciate dal Presidente François Mitterrand al Parlamento: il nazionalismo è guerra, e la guerra non è soltanto il passato, ma può anche essere il nostro futuro.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE). - (EN) Signor Presidente, con ogni probabilità l’Irlanda sarà l’unico paese europeo a tenere un referendum sul Trattato di Lisbona. Io stessa sono favorevole all’UE e ho espresso il mio “sì” in tutti i referendum sui Trattati. Tuttavia, ho un problema che chiedo al Consiglio di risolvere.

Prima di chiedere ai cittadini di compiere una scelta informata, dobbiamo disporre di una versione consolidata del Trattato. Per capire meglio a cosa mi riferisco, è sufficiente consultare il Trattato a pagina 51, e più precisamente la sezione intitolata “Non discriminazione e cittadinanza”, pensando che qualsiasi cittadino vorrebbe leggerla e valutarla. Il punto 32 recita: “E’ inserito l’articolo 17 con il testo dell’articolo 12”. Al punto 33: “E’ inserito l’articolo 17a che riprende il testo dell’articolo 13; al paragrafo 2, i termini “il Consiglio può adottare” sono sostituiti da “... il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare i principi di base delle ...” e i termini alla fine del paragrafo “dovranno agire in conformità alla procedura di cui all’articolo 251” sono soppressi”.

Signor Presidente, non ho altro da aggiungere: penso che il concetto sia sufficientemente chiaro.

 
  
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  Roberta Alma Anastase (PPE-DE). - (RO) Signor Presidente, sono lieta di incontrarla qui oggi, tre giorni dopo un momento estremamente importante per la Romania.

In conformità con il Trattato di adesione all’Unione europea, questa domenica, sei mesi dopo la scadenza inizialmente stabilita, la Romania ha organizzato le proprie elezioni per il Parlamento europeo. Così i cittadini della Romania, cittadini europei, hanno potuto eleggere direttamente coloro che li rappresenteranno nell’istituzione più democratica dell’Unione europea. Anche se l’affluenza alle urne è in linea con la media europea non molto alta, sono convinta che, grazie alla partecipazione dei nostri nuovi colleghi della Romania, i cittadini rumeni acquisiranno una crescente consapevolezza dell’impatto dell’attività del Parlamento sulla loro vita quotidiana. Il fatto che i partiti estremisti non abbiano raggiunto la soglia richiesta per entrare in Parlamento costituisce la prova della maturità e del senso di responsabilità dimostrati dai cittadini rumeni nei confronti dell’Europa.

In questa occasione, desidero congratularmi con tutti i colleghi designati a rappresentare il nostro paese nel Parlamento europeo, e spero anch’io di poter collaborare per il benessere dei rumeni, a prescindere dalla loro appartenenza a schieramenti politici differenti.

 
  
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  Bogusław Rogalski (UEN).(PL) Signor Presidente, ieri i pescatori polacchi hanno dimostrato di fronte alla sede della Commissione europea a Bruxelles. Hanno protestato contro il provvedimento ingiusto e discriminatorio adottato dalla Commissione contro l’industria della pesca polacca.

Il problema è costituito dal divieto di pesca del merluzzo nel Mar Baltico, che costituisce la principale fonte di reddito per i pescatori polacchi. Il divieto è stato imposto dalla Commissione come pena per avere superato la quota annuale di pescato fissata per tale specie. Inoltre, la Commissione ha minacciato di non assegnare più quote alla Polonia per tutto il 2008, oppure di ridurle. Questo determinerebbe sicuramente il fallimento dell’industria della pesca polacca. Le quote destinate sono molto restrittive e si basano su dati incompleti o distorti in merito alle riserve di merluzzo nel Baltico.

Date queste condizioni, ci si chiede perché la Polonia sia stato il solo paese soggetto a verifica, pur avendo richiesto il controllo dettagliato della pesca in tutti gli altri. Anche i pescatori tedeschi, svedesi e danesi stanno superando le quote. I pescatori polacchi diventeranno il capro espiatorio del Commissario Borg? O forse questo è un tentativo di eliminare la concorrenza facendo ricorso alla Commissione europea? L’Unione non è evidentemente riuscita a fare proprio il concetto di uguaglianza e pertanto sostengo la protesta.

 
  
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  Maciej Marian Giertych (NI).(PL) Signor Presidente, chiedo che ci occupiamo della causa di una donna egiziana, Shadia Nagui Ibrahim, a cui sono stati comminati tre anni di reclusione perché, all’atto del matrimonio, pare che abbia dichiarato mendacemente di essere cristiana. In realtà ha detto il vero, perché è effettivamente cristiana, appartiene alla Chiesa copta e non sapeva che il padre, anche lui cristiano copto, si era convertito temporaneamente all’islam, prima di ritornare alla fede copta.

Per la legge egiziana, Shadia Nagui Ibrahim è musulmana, perché suo padre è stato musulmano. La fede personale non può essere determinata dalla posizione delle autorità nazionali o giudiziarie. E’ una questione di convinzione personale. Se l’Egitto vuole essere considerato un paese civile, deve emendare la sua intollerante legislazione anti­cristiana.

 
  
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  Antonio Tajani (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, mi rivolgo anche al signor Commissario per quanto riguarda l’uso distorto dei Fondi strutturali, che purtroppo è un fenomeno che si moltiplica nell’Unione europea.

E’ un caso clamoroso quello che è avvenuto in Ungheria per quanto riguarda il programma LEADER. Infatti, i gruppi d’azione LEADER – i GAL – che devono unire entità locali e comuni per utilizzare e sviluppare sul territorio il programma LEADER in Ungheria sono stati organizzati soltanto con amministrazioni facenti parte di una parte politica, cioè della parte politica del governo nazionale, escludendo amministrazioni locali dei partiti non di governo.

Questo è veramente uno scandalo e credo che la Commissione europea debba intervenire nei confronti del governo ungherese, magari aprendo una procedura d’infrazione, perché non vengono utilizzati in maniera corretta i Fondi strutturali e vengono danneggiate le popolazioni locali soltanto perché c’è un’amministrazione non in sintonia con il governo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ADAM BIELAN
Vicepresidente

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). - (EL) Signor Presidente, la Conferenza di Annapolis sul Medio Oriente si è conclusa con risultati contraddittori per l’Unione europea. Nei mesi recenti, sia il Commissario Waldner che l’Alto rappresentante Solana ci hanno assicurato in seduta plenaria, che l’Unione europea sta svolgendo un ruolo attivo nel plasmare la politica del Medio Oriente. Tuttavia, leggendo oggi il discorso del Presidente Bush, non vedo segnali in tale direzione. Al contrario, apprendo che le parti hanno convenuto di creare un meccanismo per attuare la road map, che dovrà essere controllato dagli USA. L’imminente trattato di pace sarà quindi attuato sulla base della road map, con gli USA come arbitro ultimo. Dov’è allora l’Unione europea? Quale messaggio di speranza possiamo trasmettere per il futuro, quando siamo semplici spettatori degli eventi?

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(LT) Signor Presidente, sabato scorso in Russia – a Mosca e a San Pietroburgo – i tentativi pacifici e del tutto legali, che i cittadini russi hanno messo in atto per dimostrare la loro disapprovazione della politica perseguita dall’attuale governo, sono stati brutalmente soppressi. Il leader del gruppo di opposizione L’Altra Russia, Gary Kasparov, i capi dell’Unione delle forze di destra, Nikita Belych e Boris Nemtsov, e altri seguaci hanno subito violenze e sono stati trattenuti dalla Militsya. Gary Kasparov è stato addirittura condannato a cinque giorni di carcere.

Questo incidente costituisce un’ulteriore prova del fatto che i Russi non hanno libertà di espressione e stanno vivendo in costante pericolo, come i membri dell’opposizione che temono costantemente per la sicurezza delle loro famiglie.

Signor Presidente, sono assolutamente convinto che noi del Parlamento europeo non possiamo tacere di fronte a questi eventi. Non possiamo applicare norme di moralità, democrazia e diritti umani a Birmania e Pakistan e applicarne altre, diverse e inferiori, alla Russia. Signor Presidente, la sollecito a prendere provvedimenti con l’obiettivo di difendere i diritti di libertà di espressione e riunione in Russia. Non importa in quale paese si stia lottando per la libertà – si tratta anche della nostra libertà. Pertanto, dovunque una persona libera sia tenuta in catene...

(Il Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Presidente. – La ringrazio molto, onorevole Andrikienė. Purtroppo non possiamo dedicare altro tempo a questo punto dell’ordine del giorno.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE). - (EN) Signor Presidente, per una questione di procedura, alcuni di noi stanno aspettando dalle 19.00 – ora sono le 21.40 – solo per avere la possibilità di parlare con un intervento di un minuto. Ora il tempo a disposizione è stato ridotto a meno di 15 minuti. Non è giusto nei confronti dei colleghi che hanno atteso il loro turno per tutta la sera: forse avremmo dovuto essere avvertiti prima, così non avremmo perso tanto tempo.

 
  
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  Presidente. – Posso capire la sua irritazione, ma ho assunto la Presidenza solo due minuti fa. Purtroppo sono stato informato che ci resta solo poco tempo. Dobbiamo chiudere le nostre discussioni a mezzanotte, e abbiamo ancora molti punti da trattare nell’ordine del giorno. Ne sono estremamente dispiaciuto.

 

21. Controllo sull’acquisizione e la detenzione di armi (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione di Gisela Kallenbach, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi [COM(2006)0093 – C6-0081/2006 – 2006/0031(COD)] (A6-0276/2007).

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, le armi da fuoco non sono prodotti normali come gli altri. I tragici eventi di Erfurt, Anversa, Helsinki e di altri luoghi ci hanno efficacemente dimostrato che costituiscono il pericolo potenziale per la sicurezza dei nostri concittadini, e soprattutto dei bambini. Ci occorrono pertanto normative molto severe che ne disciplinino la produzione, la vendita e il possesso.

Anche se la legislazione europea concede espressamente agli Stati membri di superare il grado di protezione comune assicurato dalle leggi dell’UE, sono estremamente grato che il Parlamento abbia cercato di accrescere in modo significativo i livelli di sicurezza applicabili alle armi da fuoco in Europa. Il mio particolare ringraziamento va all’onorevole Kallenbach, relatrice della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, e al presidente di quella commissione, onorevole McCarthy. Desidero ringraziare apertamente entrambe per l’eccellente collaborazione!

Vorrei ricordarvi la situazione che ha portato alla decisione odierna. Siamo partiti dalla necessità di apportare vari emendamenti alla nostra legislazione, che ci consentissero di ratificare il protocollo dell’ONU sulle armi da fuoco. Fino a quel momento, la revisione completa della legislazione europea in materia non era stata programmata. Grazie a voi, onorevoli colleghi, siamo riusciti a compiere questo passo in un’unica soluzione e al primo tentativo, in effetti anche il Consiglio ha dato il proprio benestare alla proposta unificata che ci troviamo a esaminare oggi.

Dovevamo individuare soluzioni per una serie di questioni complesse e oggi sottoponiamo alla prova il risultato delle nostre ricerche. Non intaccheremo le tradizioni e specificità culturali degli Stati membri, dove esistono usanze antiche molto diverse tra loro in fatto di caccia, tiro sportivo e collezione di armi, che abbiamo rispettato. Una carta europea d’arma da fuoco agevolerà gli spostamenti oltre confine e costituirà una solida base per gli incontri transnazionali di cacciatori e tiratori sportivi. Abbiamo altresì deciso di provvedere ad un’adeguata marcatura e registrazione delle armi da fuoco, per consentirne il trasferimento e il trasporto da uno Stato membro all’altro nel mercato interno, rendendo tali operazioni più trasparenti e di conseguenza più sicure.

Un’importante novità è costituita dalla registrazione di tutte le armi detenute a titolo personale. Dobbiamo sapere chi le possiede e di che tipo sono. La registrazione ci consentirà di limitare maggiormente il possesso o il trasferimento illegale. I dati dovranno essere conservati per 20 anni, onde garantire la rintracciabilità per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Ciò è certamente auspicabile. A tale proposito, tuttavia, la Commissione sta valutando se chiarire, in un’apposita dichiarazione, l’interpretazione del considerando 9e della direttiva relativa alla tutela dei dati.

Abbiamo altresì deciso che, in futuro, l’acquisto di armi da fuoco non sarà consentito ai minori di età inferiore ai 18 anni. Così facendo, l’Europa trasmette il chiaro messaggio che i giovani non dovrebbero avere accesso alle armi da fuoco. Ovviamente, i tiratori sportivi e i cacciatori, anche se non hanno ancora compiuto 18 anni, potranno ancora praticare il loro hobby, ma solo sotto la supervisione degli adulti, ad esempio degli istruttori o dei genitori. Troppe tragedie sono accadute perché i giovani sono entrati in possesso di armi da fuoco. Mi auguro che la nuova regolamentazione contribuisca ad evitarne altre e a rafforzare la consapevolezza, specialmente tra i giovani tiratori sportivi o cacciatori, di una maggiore cautela nel maneggio delle armi.

Ci siamo trovati di fronte a un problema nuovo derivante dagli sviluppi tecnologici e dalle attività criminali in Europa: mi riferisco alla trasformazione di copie, di per sé non pericolose, in armi da fuoco perfettamente funzionanti. L’onorevole McCarthy ha ricordato per prima la questione. Ciò ha determinato de facto l’elusione della legge, ma ora vi porremo un freno. Per inciso, vorrei sottolineare che nei prossimi due anni esamineremo più approfonditamente il problema della conversione delle copie, in modo da chiudere qualsiasi via di fuga. Ciò vale anche per la questione legata all’efficace disattivazione delle armi da fuoco.

Sapevate già che la Commissione era favorevole a introdurre sanzioni nella legislazione europea, avendo la Corte di Giustizia deliberato in modo chiaro sulla materia. La Commissione riconosce, tuttavia, che l’ottavo considerando comprende un riferimento a queste sanzioni in virtù del diritto penale e del Protocollo ONU. Ciò è importante, poiché l’osservanza dell’art. 5 del protocollo dell’ONU prevede l’applicazione di sanzioni da parte degli Stati membri. Confido sul fatto che anche gli Stati membri lo prevedano nel loro diritto nazionale. Una dichiarazione della Commissione su questo tema sarà inoltre presentata alla Segreteria generale del Parlamento europeo2(1). Vorrei quindi ringraziare in particolar modo l’onorevole Alvaro per il suo sostegno!

L’Europa avrà quindi una moderna legislazione sulle armi da fuoco, che pone come priorità la sicurezza dei cittadini e tiene conto dell’esigenza di tutelare i bambini e i giovani. Accresceremo quindi il livello di protezione fornito dalla legislazione comunitaria.

Ora è compito degli Stati membri riconoscere il segno dei tempi e, tenendo conto delle condizioni nazionali, sviluppare ulteriormente queste disposizioni su base individuale. In altre parole, qualsiasi Stato membro consideri necessarie e adeguate disposizioni più severe avrà il mio personale sostegno, e posso soltanto esortarlo ad agire in tal senso!

Mi affido ai vostri colleghi dei parlamenti nazionali, perché prendano una chiara decisione sulla questione delle armi da fuoco. La parola d’ordine deve essere: “sicurezza prima di tutto”. La decisione odierna apre la strada verso questo obiettivo e desidero ringraziarvi per il vostro sostegno in questo impegnativo cammino.

(EN) Dichiarazioni della Commissione allegate alla discussione

1) Dichiarazione sulle sanzioni

“La Commissione accoglie favorevolmente la rapida adozione della direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 91/477 relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi, ma deplora che il Consiglio si sia opposto alla sua proposta iniziale concernente l’articolo 16 sulle sanzioni penali.

La Commissione osserva che la Comunità ha facoltà di istituire sanzioni penali, in conformità all’articolo 5 del protocollo contro il traffico e la fabbricazione illeciti di armi da fuoco, loro parti e componenti e munizioni, addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata.

Di conseguenza, la Commissione ritiene che qualsiasi decisione di ratificare il Protocollo dovrebbe essere accompagnata da un’apposita dichiarazione che rifletta correttamente la sfera di competenza comunitaria.

La Commissione si riserva i propri diritti istituzionali in tal senso”.

2) Progetto di dichiarazione sulla tutela dei dati

“La Commissione osserva che il trattamento dei dati personali ai sensi della presente direttiva è subordinato all’osservanza della direttiva 95/46/CE, e non può pregiudicare il livello di tutela delle persone fisiche nel trattamento dei dati personali secondo le disposizioni del diritto comunitario e nazionale e, in particolare, non modifica i diritti e gli obblighi di cui alla direttiva 95/46/CE.

A tale proposito, pare fondata la necessità di prolungare da dieci a venti anni il periodo minimo di tenuta dei registri contenenti informazioni sui proprietari di armi. La Commissione è convinta che tale trattamento dei dati personali sia giustificato in considerazione sia della natura pericolosa sia della lunga durata di tali armi, nonché di un possibile uso improprio per scopi criminosi, che richiede pertanto la corretta identificazione delle armi da fuoco e dei rispettivi proprietari.

La Commissione osserva inoltre che, in considerazione degli scopi della presente direttiva e in conformità ai requisiti della direttiva 95/46/CE, l’accesso al sistema centralizzato di archiviazione dei dati, o al sistema che garantisce l’accesso a sistemi di archiviazione non centralizzati, dovrebbe essere disponibile unicamente per le forze di polizia e le autorità giudiziarie a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento dei reati penali”.

 
  
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  Gisela Kallenbach, relatrice. (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, un lungo processo si sta avvicinando a quella che io auspico sia una conclusione positiva. Permettetemi di aprire il mio intervento con un sentito ringraziamento a tutti coloro che vi hanno contribuito: i relatori ombra della Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, gli onorevoli Podestà, Lehtinen, Riis-Jørgensen, il presidente della commissione signora Aline McCarthy, la segreteria responsabile, i collaboratori dei relatori della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, il collega Alvaro e coloro che hanno sostenuto il processo, la Presidenza del Consiglio, rappresentata da António Delicado e dai suoi colleghi e, ultimo, ma non per questo meno importante, la Commissione, rappresentata da’ Michel Ayral e dai suoi colleghi, che il Commissario Verheugen ha motivato a formulare una soluzione comune.

Ho appreso molto nel corso di questo processo. Ho appreso il vero ruolo che i lobbysti possono giocare: alcuni hanno contribuito in modo costruttivo a raggiungere soluzioni comuni, ma altri si sono deliberatamente impegnati a ostacolare il processo diffondendo mezze verità e informazioni errate. Fin dall’inizio, mi è apparso chiaro che non è così semplice trovare il giusto equilibrio tra i requisiti di un mercato interno ben funzionante e i legittimi timori di sicurezza dei cittadini per l’uso illegale di armi da fuoco, nonché il comprensibile desiderio di cacciatori e tiratori sportivi di praticare i propri hobby senza limitazioni rilevanti. Come ha già ricordato il Commissario Verheugen, intendevamo avvalerci delle esperienze maturate nell’applicazione della direttiva 477/91, eliminare le mancanze riscontrate e trasformare in legge comunitaria il protocollo dell’ONU sulle armi da fuoco, sottoscritto dalla Commissione già nel 2002. Questa prospettiva ci ha pertanto indotti a introdurre determinati articoli che riguardano l’utilizzo, il commercio e l’acquisto illegali di armi da fuoco. Il compromesso tiene conto di queste esigenze. Confesso che avrei auspicato normative ancora più inequivocabili su alcuni punti, ad es. per conseguire una migliore legislazione o semplificazione, nonché per ridurre le categorie di armi da fuoco a due soltanto su base europea, come già avviene in due terzi degli Stati membri. Su questo fronte, tuttavia, non sono riuscita ad assicurarmi l’appoggio della maggioranza.

Complessivamente, sono molto soddisfatta del compromesso raggiunto. Soffermiamoci un attimo a pensare che attueremo una legislazione parzialmente armonizzata in 27 Stati membri. Le legislazioni nazionali vigenti in materia sono ancora assai disomogenee, e questa parziale armonizzazione agevolerà il commercio legale, contribuendo altresì ad una maggiore sicurezza. E’ impossibile garantire al 100 per cento che non vi saranno abusi, ma, come è già stato detto, tutti noi dovremmo riconoscere il nostro dovere di tentare, per quanto possibile, di prevenire eventi tragici come quelli avvenuti in Germania, Finlandia o in Belgio.

Non intendo scendere nei particolari della nuova normativa, che già conoscete e che il Commissario Verheugen ha già illustrato in parte. Sono lieta di sapere che, entro il 2014, un registro computerizzato delle armi da fuoco sarà introdotto negli Stati membri; questa misura migliorerà lo scambio di informazioni e agevolerà notevolmente la rintracciabilità in caso di abuso, oppure la renderà prioritaria. Considerando che ci troviamo nell’era di Internet, le disposizioni si applicheranno anche alle vendite on line esattamente come in quelle dirette.

Vorrei concludere sottolineando una serie di punti che dovrebbero agevolare la vostra decisione, nonché contrastare le argomentazioni di chi si oppone una migliore legislazione europea in materia di armi da fuoco. La direttiva non si applica ai collezionisti di armi e munizioni e nemmeno ai servizi pubblici, o alle istituzioni storiche e culturali; le disposizioni non avranno effetto retroattivo. Noi proponiamo registri nazionali sulle armi da fuoco, e non un registro europeo. Sebbene ne esista già uno simile per le vacche, nel caso delle armi pare un’operazione più complessa. In linea di principio, non ci opponiamo ai produttori, commercianti, tiratori sportivi o cacciatori che operano con le armi da fuoco in modo responsabile, nella piena consapevolezza della loro natura specifica.

Mi è stato riferito che, durante la discussione della direttiva originale negli anni ‘90, erano state espresse preoccupazioni molto serie e il dibattito aveva assunto un carattere molto emozionale. In seguito, la direttiva è stata giudicata assai utile, pratica ed efficace. Sono certa che anche il compromesso a voi presentato sarà un successo e conto quindi sul vostro sostegno.

 
  
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  Alexander Alvaro, relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. (DE) Signor Presidente, non c’è molto da aggiungere all’intervento della collega Kallenbach, se non che mi ha fatto piacere collaborare con Arlene McCarthy, presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, e con la mia collega della commissione, Gisela Kallenbach, con cui ho operato a stretto contatto e con grande fiducia in questa fase del processo e, non ultima, con la Commissione, rappresentata in questo caso dal Commissario Verheugen. Una collaborazione così stretta costituisce una rarità.

Cosa resta da dire in un minuto, quando si sono già impegnati 30 secondi per i ringraziamenti?

In buona sostanza, abbiamo raggiunto questo risultato: l’Unione europea ha dato il chiaro segnale che, nel regolamentare il commercio legale di armi da fuoco, mira a contrastare in eguale misura il trasferimento illegale e l’abuso. E’ stato ribadito che l’Unione europea non tollererà alcuna forma di crimine associato alle armi da fuoco nel proprio territorio, né chi utilizza armi da fuoco non acquistate legalmente, né tanto meno l’abuso dei diritti acquisiti dai cittadini grazie all’UE.

Invito tutti coloro che, come me, hanno ricevuto oggi innumerevoli e-mail di cacciatori e sportivi, che accusano l’Unione europea di limitare le loro libertà, a leggere la direttiva e rivolgersi alla Commissione per verificare che l’Unione europea ha agito in modo da tutelare i propri cittadini e non viceversa!

 
  
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  Guido Podestà, a nome del gruppo PPE-DE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio la relatrice, la signora Kallenbach, e i relatori ombra degli altri gruppi, per aver voluto garantire la propria costante disponibilità a confrontarsi, al fine di arrivare a un compromesso innovativo, ma devo dire anche equilibrato.

La proposta di modifica della direttiva è finalizzata a recepire il protocollo dell’ONU per la lotta contro il crimine organizzato riguardo all’acquisto e al commercio legale di armi destinate al solo uso civile. La direttiva tratta tematiche che toccano la sensibilità di tutti, quali la sicurezza dei cittadini, ma anche tradizioni sportive e consuetudini di vita per milioni di europei che praticano la caccia.

Anche attraverso confronti serrati con il Consiglio si è giunti a un testo che trova il giusto compromesso tra il desiderio di poter disporre di una normativa armonizzata e il rispetto delle specificità culturali di ogni paese, in sintonia con il principio di sussidiarietà.

Per il primo aspetto vorrei sottolineare il sistema di marcatura delle armi e delle loro parti essenziali, anche al fine di assicurare una possibile tracciabilità, l’obbligo di mantenere i dati non meno di 20 anni, una più rigorosa vigilanza sulle compravendite on line e quanto sappiamo del rischio che queste comportano, la limitazione dell’uso delle armi a minori e a persone che possano essere considerate pericolose per la sicurezza pubblica e l’introduzione di principi generali di neutralizzazione delle armi.

Per il secondo aspetto ricordo il mantenimento dell’attuale classificazione fino a quattro categorie, nel rispetto delle già citate specificità culturali e di costume, prevedendo una nuova valutazione di vantaggi e svantaggi derivanti da un’eventuale riduzione a due sole categorie, da farsi entro il 2012.

La scarsa disponibilità del Consiglio ha impedito però di avere il passaporto quale unico documento necessario per il trasporto delle armi e credo che questa sia un’occasione mancata.

 
  
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  Lasse Lehtinen, a nome del gruppo PSE. (FI) Signor Presidente, i miei sinceri ringraziamenti vanno al relatore signora Kallenbach, agli altri relatori ombra, e all’onorevole McCarthy, presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, per avere illustrato questo complesso pacchetto di legge. Quando abbiamo iniziato il lavoro quasi due anni fa, ci era stato assicurato che sarebbe stato un provvedimento soprattutto tecnico, finalizzato a recepire il protocollo dell’ONU sulle armi da fuoco nella legislazione comunitaria. Il processo, tuttavia, è stato tutt’altro che tecnico. Alcuni volevano bandire completamente le armi e limitarne l’uso legale, mentre altri non volevano alcun tipo di controllo sul loro acquisto e utilizzo.

Sotto la guida del nostro relatore, l’onorevole Kallenbach, abbiamo comunque raggiunto un compromesso equilibrato tra i gruppi principali, che considera la sicurezza degli individui e della società nonché le esigenze ad esempio dei cacciatori e di coloro che utilizzano le armi a scopo di svago. E’ un bene che tutte le armi dell’UE siano registrate per facilitarne la rintracciabilità, e che gli Stati membri debbano in futuro conservare i dati dettagliati sull’arma e sul proprietario per un periodo di 20 anni. Inoltre è importante che le armi imitate e trasformate siano altrettanto contemplate dalla direttiva. La semplificazione sarà notevole anche per i cacciatori e i tiratori sportivi, se la carta europea d’arma da fuoco sarà l’unico documento necessario per viaggiare da uno Stato membro all’altro, senza oneri per il titolare.

Ritengo che il limite d’età fissato a 18 anni e le eccezioni previste dalla direttiva siano sensati. Ciò significa per esempio che nel mio paese, la Finlandia, migliaia di cacciatori minorenni registrati potranno continuare a dedicarsi al loro hobby con il permesso dei genitori, proprio come hanno fatto finora. Sono direttive come queste che dimostrano il loro valore agli occhi del pubblico. Le quattro libertà acquisiranno analogamente forza, se l’UE si svilupperà in un’area sicura di diritti interni.

 
  
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  Samuli Pohjamo, a nome del gruppo ALDE. (FI) Signor Presidente, anch’io desidero innanzitutto ringraziare l’onorevole Kallenbach per l’ottima stesura della relazione. E’ importante per il futuro di tutti prevenire la fabbricazione e il commercio illegali di armi da fuoco. La relazione contribuirà a raggiungere questo obiettivo.

Noi Finlandesi ci siamo chiesti se i giovani debbano essere autorizzati o meno a continuare la caccia sportiva. In Finlandia questo sport è soggetto a licenza e strettamente sorvegliato, e cacciatori esperti offrono assistenza per insegnare l’uso sicuro e responsabile delle armi. Penso sia importante che questa miglior prassi e la lunga tradizione finlandese possano continuare anche dopo l’adozione di questa nuova direttiva. E’ importante che domani esprimiamo il nostro consenso a un compromesso attentamente preparato, in cui le differenti pratiche siano rese compatibili tra gli Stati membri, e che questi ultimi possano autorizzare, a determinate condizioni, l’acquisto e il possesso di armi da fuoco a scopo di caccia anche per i minori di 18 anni.

 
  
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  Andrzej Tomasz Zapałowski, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, è molto importante controllare il possesso di armi da fuoco, se vogliamo garantire la sicurezza delle persone che vivono in Europa. Chiaramente, qualsiasi disposizione in materia non deve limitare indebitamente i diritti dei cittadini a garantirsi sicurezza all’interno della loro proprietà, né devono ridurre il diritto alla sicurezza personale quando si svolgono importanti incarichi pubblici, o dopo averli conclusi.

Inoltre, i cittadini sono autorizzati a possedere armi da fuoco che costituiscono cimeli di famiglia, o che sono utilizzate per la caccia o a scopo sportivo. Tutto ciò fa parte della tradizione europea. Tutte le restrizioni dovrebbero fare riferimento allo stato psicologico dell’individuo ed essere applicate anche alle persone sospettate di avere commesso violazioni classificate come reati. Inoltre, ritengo che tali restrizioni debbano valere per gli aperti sostenitori del fascismo e del comunismo radicale, nonché per gli attivisti islamici estremisti.

Al momento, in Europa è disponibile una tecnologia che consente a chiunque abbia abilità manuale di fabbricarsi un’arma da fuoco amatoriale in modo relativamente rapido. Pertanto l’attuazione di restrizioni eccessive non eviterà alla criminalità organizzata di possedere armi da fuoco, ma ridurrà indebitamente i diritti dei cittadini, compreso quello all’autodifesa. I nostri controlli di frontiera dovranno essere rafforzati ulteriormente perché, se gli immigrati riescono ancora a entrare clandestinamente in Europa, le armi possono essere contrabbandate in modo ancora più facile.

 
  
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  Jens Holm, a nome del gruppo GUE/NGL. (SV) Signor Presidente, i cambiamenti proposti alla direttiva dell’UE sono finalizzati a migliorare il controllo delle armi. Sono previsti una migliore marcatura e requisiti più severi per il commercio e la fabbricazione. Questo è bene, ed è particolarmente apprezzabile che la commissione voglia dare un altro giro di vite a queste disposizioni. La questione assume particolare importanza se considerata alla luce della tragica e fatale sparatoria avvenuta qualche settimana fa alla scuola Jokela in Finlandia. La combinazione tra adolescenti alla deriva, la diffusione di una cultura della violenza su Internet e l’accesso alle armi ha sfortunatamente prodotto un esito letale. Ecco perché le misure più severe, che ora dobbiamo adottare, sono immensamente importanti.

Inoltre è bene che vi sia una direttiva con requisiti minimi. In altre parole, gli Stati membri possono andare oltre e avere una legislazione più progressiva. Mi piacerebbe che tutta la legislazione dell’UE avesse questa base. Si risolverebbero molti problemi. Sembra che possiamo raggiungere un accordo in prima lettura. Anche questo è bene, perché ci consente di risparmiare tempo e risorse che possono essere dedicate a qualcos’altro, per esempio a lavorare per instaurare una società più pacifica e a misura di bambino.

 
  
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  Hélène Goudin, a nome del gruppo IND/DEM. (SV) Signor Presidente, la caccia è una consuetudine di antica data. Ogni Stato membro ha una tradizione venatoria unica nel suo genere da proteggere. Pertanto il dibattito attuale rappresenta la conclusione di un lungo processo. Forti volontà si sono opposte l’una all’altra, si sono tenute molte discussioni e il relatore ombra è stato escluso dalla partecipazione agli incontri tripartiti.

Molte delle proposte originali avrebbero potuto minacciare le culture venatorie degli Stati membri. Sfortunatamente, la carta europea d’arma da fuoco non è stata sufficiente quale unico documento necessario per l’uso occasionale di armi da caccia e tiro in un altro Stato membro. La libertà di circolazione è di fatto impedita, perché alcuni Stati membri sono autorizzati a richiedere documenti supplementari. I cacciatori e i tiratori comunitari saranno soggetti a una maggiore burocrazia rispetto a chi proviene da paesi terzi. Fortunatamente i diritti per tali autorizzazioni sono stati proibiti.

In qualità di relatore ombra, ho cercato di influenzare la relazione finale durante il processo, quando mi è stato permesso di partecipare alle riunioni. Il mio lavoro si è concentrato principalmente su due questioni. In primo luogo ho cercato di impedire il divieto di ordinare armi su Internet, nonché di prevenire cambiamenti nella disponibilità di esenzioni per le scuole che offrono corsi di formazione per la gestione delle risorse naturali e il tiro. Nelle regioni lontane, il divieto di acquistare su Internet impedirebbe l’accesso alle armi per scopi di caccia. Attualmente in Svezia abbiamo buoni regolamenti in materia di acquisti su Internet, che sono accettati sia dalla comunità di cacciatori che dalle autorità.

La seconda questione riguardava i criteri di età minima, che hanno effetto su diversi tipi di programmi della scuola secondaria superiore. In Svezia, la formazione alla caccia svolge un’importante funzione nell’insegnare alle future generazioni l’arte venatoria e la conservazione della selvaggina. Ora le nostre tradizioni venatorie possono continuare a esistere. Ciò che era un’ingombrante proposta burocratica è ora diventata un compromesso accettabile, seppur non ideale.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, Schengen e bande criminali sempre più brutali rendono senza dubbio essenziale adottare un approccio più severo al possesso illegale di armi da fuoco e alla criminalità organizzata. Tuttavia, l’intera questione si trasforma in una farsa quando innocenti cittadini, cacciatori e tiratori sportivi sono, di fatto, trattati alla stregua di criminali. La priorità principale deve essere di accrescere l’organico delle nostre forze di polizia, che sono state ridimensionate negli ultimi anni.

Nel Regno Unito, le statistiche sulla criminalità dimostrano che i reati sono aumentati da quando è stato introdotto il divieto totale sulle pistole e, a mio giudizio, questo dovrebbe farci riflettere. In un’epoca di crescente ingovernabilità, quando lo Stato risparmia sulla sicurezza pubblica, i cittadini innocenti in possesso di tutte le loro facoltà mentali devono avere la possibilità di respingere un attacco che minacci la loro vita, se necessario. Il fatto è che quasi tutti i crimini non sono commessi utilizzando armi acquistate legalmente.

L’UE dovrebbe forse concentrarsi di più su una protezione migliore delle proprie frontiere, per esempio aumentando le risorse disponibili per FRONTEX, e migliorando la cooperazione nella sfera della sicurezza.

I paesi dell’UE hanno una legislazione perfettamente funzionale in materia di armi da fuoco, e se si richiedono o si rivelano necessarie disposizioni più severe, si dovrebbero prendere le relative decisioni nei paesi interessati.

 
  
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  Andreas Schwab (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, se guardiamo alla situazione iniziale di questo dossier e al cammino che abbiamo compiuto, possiamo affermare a buon diritto che siamo riusciti a ricondurre un tema molto controverso su una base oggettiva. In collaborazione con la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, abbiamo trovato una soluzione che consente un migliore controllo delle armi da fuoco all’interno dell’intera Unione europea, senza tuttavia dimenticare i legittimi interessi dei tiratori sportivi e cacciatori, che temono un’eccessiva burocrazia e obblighi di registrazione troppo onerosi e complessi. Sono molto grato al Commissario Verheugen, al presidente della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, Arlene McCarthy, e naturalmente anche al nostro relatore ombra, che per mesi ha lavorato duramente a questo dossier affiancando il relatore e i colleghi interessati. Non è stata un’impresa facile per i vari gruppi coinvolti ma, a mio giudizio, abbiamo raggiunto una soluzione di compromesso che – data la situazione di partenza nel Consiglio – era l’unica strada possibile.

Per la parte relativa al commercio, che ricade nell’ambito del Protocollo dell’ONU e sarà trattata in seguito, la questione è fino a che punto la Commissione sarà in grado di presentare una proposta, che incontri l’approvazione generale del Consiglio e renda un po’ più semplice il lavoro in Parlamento. Su questo punto, signor Commissario, le auguro oggi senza ironia, anzi con la massima serietà, un grande successo nel convincere abilmente i colleghi del Consiglio, che gli obblighi assunti nell’ambito del protocollo dell’ONU devono naturalmente valere anche per l’UE.

Ringrazio, pertanto, tutti coloro che hanno contribuito a tenere in gioco la palla su questo tema molto controverso. Credo che sia stata raggiunta una soluzione sicura per tutti gli interessati sulla base di un compromesso, che mi auguro sarà sostenuto da una vasta maggioranza.

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE). - (EN) Signor Presidente, parlo in qualità di deputato interessato alla questione, e non come presidente della commissione. Credo che, con questa nuova legge sulle armi, possiamo dimostrare ai nostri concittadini che l’Europa può intervenire per affrontare il problema delle armi illegali. Abbiamo leggi severe in Gran Bretagna ma, senza questo documento dell’Unione Europea, le armi da fuoco continueranno d arrivare sulle strade di città come Manchester e Liverpool.

Onorevoli colleghi, questa è una copia di una Smith & Wesson da 9 mm – un’arma convertibile progettata per sparare cartucce a salve o a gas lacrimogeno – che, se trasformata, spara pallottole vere. Niente paura: non è carica, è convertibile, ma non convertita. Una pistola come questa ha ucciso tragicamente una ragazza di 12 anni di Manchester, Kamilah Peniston. Madri contro la violenza, madri che hanno perso i figli per reati legati alle armi da fuoco, mi chiedono da dove vengano queste pistole e che cosa stiamo facendo per fermare il contrabbando di queste armi mortali.

Da quanto mi riferisce la Greater Manchester Police, il 46 per cento di tutte le pistole sequestrate l’anno scorso era costituito da armi convertite, che ora rappresentano un’alternativa facile ed economica per i criminali e stanno diventando un problema sempre più grave in tutta Europa – non solo nel Regno Unito.

Per questo motivo ringrazio il Commissario Verheugen, la nostra relatrice, onorevole Kallenbach, l’onorevole Alvaro e i 25 Stati membri per avere sostenuto i miei emendamenti, che daranno un giro di vite e inaspriranno i controlli su queste armi convertibili. Ponendole sotto lo stesso sistema di controllo delle pistole autentiche, risulterà più difficile per le bande criminali entrarne in possesso e s’interromperà il contrabbando di tali armi vietate in Gran Bretagna.

Nel Regno Unito, l’Association of Chief Police Officers sostiene pienamente questa legge e i suoi requisiti in materia di armi convertibili e disattivate, marcatura, rintracciabilità e controlli sulla vendita di armi a distanza, Internet incluso.

In seguito al recenti fatti accaduti in Finlandia e alla tentata sparatoria in una scuola tedesca, è chiaro che risultano necessarie norme di sicurezza più rigorose per il controllo delle armi a livello comunitario. Questa è l’Europa che dimostra il proprio pragmatismo, prendendo un provvedimento concreto per proteggere i suoi cittadini.

Le tragiche e assurde morti di giovani per armi da fuoco nella mia regione – come Jessie James di 15 anni, Rhys Jones di 11 anni, Kamilah Peniston di 12 anni – sono un tema profondamente delicato. Le loro vite sono state stroncate. Qui, in Europa, dobbiamo garantire a loro e alle loro famiglie che toglieremo queste armi dalle strade.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE). - (ET) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi.

Nella società attuale, con tutti i suoi pericoli, qualsiasi tentativo di accrescere la sicurezza delle persone è sempre bene accetto, con tutto il cuore. La sicurezza è un prerequisito per qualsiasi libertà. La sicurezza è una caratteristica fondamentale per la società democratica.

E’ ancora vivo nella nostra mente il massacro della scuola Jokela, Anche se purtroppo non è stato il primo caso, dobbiamo fare in modo che sia l’ultimo.

Secondi i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, la violenza interpersonale e i suicidi si classificano rispettivamente al terzo e al quarto posto nel mondo, tra gli individui di età compresa tra i 15 e 44 anni, come cause che portano a stati patologici e a mortalità prematura.

Buona parte di questi casi comporta l’uso delle armi da fuoco. La loro facile reperibilità è stata associata a un maggiore tasso di mortalità da armi da fuoco.

Accogliamo con estremo favore il fatto che l’Unione europea capisca l’esigenza di spostare l’attenzione sulla minaccia specifica.

Desidero entrare nel merito di un altro aspetto. Da quando è stata recepita la direttiva nel 1993, Internet si è sviluppato notevolmente ed è diventato un mercato elettronico.

Pertanto, l’obiettivo della direttiva di fermare il commercio delle armi da fuoco potrà essere raggiunto solo il suo ambito arriverà a comprendere il commercio su Internet.

Sono quindi dell’avviso che gli Stati membri dell’Unione europea debbano reagire in modo appropriato e coerente alla situazione specifica delle armi da fuoco. A tale scopo ci occorrono misure preventive e punitive armonizzate, da integrare in un’unica politica.

Vorrei infine concludere esprimendo i miei ringraziamenti alla relatrice e a coloro che hanno lavorato con lei.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, vorrei soltanto ricordare all’onorevole McCarthy che le armi da fuoco sono vietate in quest’Aula.

 
  
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  Jim Allister (NI). - (EN) Signor Presidente, per mancanza di tempo mi soffermo su un unico punto. Vorrei sottolineare che la carta europea d’arma da fuoco produce di fatto delle discriminazioni, perché colpisce la comunità dei cacciatori. Se il proprietario di un’arma registrata desidera andare a caccia in quasi tutti gli altri paesi dell’UE, deve semplicemente esibire il proprio Europass al punto d’ingresso ma, per entrare nel Regno Unito, deve presentare il suo Europass in anticipo, quindi aspettare da sei a otto settimane affinché sia esaminato dalla polizia locale. In tal modo, egli rimane privo del documento per tutto quel periodo e, nel frattempo, non può andare a caccia in altri paesi.

Non c’è bisogno di una simile burocrazia, che danneggia gravemente la promozione di vacanze venatorie nel Regno Unito e anche nel mio collegio elettorale dell’Irlanda del Nord. Una fotocopia anticipata dell’Europass otterrebbe sicuramente lo stesso scopo. Confido, pertanto, che quest’anomalia sarà affrontata nel modo opportuno.

 
  
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  Michl Ebner (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la base per l’emendamento di questa direttiva era rappresentata dal Protocollo dell’ONU e dall’esigenza di un’efficace lotta al terrorismo. Questo era altresì il fondamento per la proposta della Commissione. La proposta del relatore ha adottato un approccio decisamente rivoluzionario alla direttiva vigente.

Se poi si guarda all’oggetto della discussione odierna e della votazione di domani, si tratta di un compromesso che, come spesso accade, non soddisfa tutte le parti. Il compromesso consiste nel fatto che, da una parte, si tenta di combattere tutto ciò che è illegale – e qui non si è mai abbastanza rigorosi – mentre, dall’altra, si cerca di non complicare troppo l’utilizzo di armi da fuoco legali. Per alcuni aspetti, come ad esempio le categorie o la registrazione, sicuramente sarebbero state appropriate norme più severe sulla base della sussidiarietà, eppure l’esito non è stato positivo al 100 per cento. Tuttavia le premesse ci sono: presto vedremo come questo esercizio funzionerà all’atto pratico e come gli Stati membri affronteranno la questione.

A mio giudizio si tratta di un compromesso attuabile e so che tutti gli interessati si sono impegnati molto per raggiungerlo. Pertanto, anche da parte mia, un doveroso grazie!

In tale contesto, tuttavia, dovremmo rammentare sempre la differenza tra armi da fuoco legali e illegali. Dobbiamo affrontare la questione dell’illegalità in modo rigoroso e coerente, ma anche adottare un approccio prudente e la semplificazione della burocrazia quali punti di riferimento in ambito giuridico.

 
  
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  Véronique Mathieu (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il testo da presentare alla votazione di domani è un compromesso che, finalmente, soddisfa quasi tutti gli utilizzatori legali di armi da fuoco. Il testo originale della Commissione era perfettamente accettabile per noi, come lo erano le posizioni del Consiglio. Il relatore, sfortunatamente, ha adottato posizioni piuttosto strane, e abbiamo dovuto controbattere le sue idee iniziali in modo abbastanza deciso. Desidero altresì ringraziare l’onorevole Podesta per il lavoro davvero faticoso, la pazienza e la diplomazia espressa in seno al gruppo PPE e a molte riunioni di lavoro.

Il compromesso che abbiamo prodotto soddisfa tutti gli utilizzatori legali di armi da fuoco. Direi che i cacciatori francesi sono decisamente soddisfatti per il mantenimento delle quattro categorie: si tratta di una questione importante in Francia, e questa sera esprimo la mia soddisfazione in proposito. Sono lieta altresì di manifestare il mio compiacimento per il sistema di registrazione centrale, perché è altrettanto logico poter rintracciare le armi da fuoco. Ritengo che sia un punto di estrema importanza per la sicurezza dei cittadini. Anche i commercianti di armi sono soddisfatti per la marcatura CIP. Siamo soddisfatti per la questione delle vendite a distanza e relativamente soddisfatti del testo nel suo complesso.

Tutto ciò premesso, ritengo che il lavoro dell’anno scorso dovrebbe farci riflettere sulla questione delle posizioni iniziali dei relatori, e dovremmo diffidare dall’adottare posizioni eccessivamente inflessibili su alcuni aspetti iniziali. In effetti, se la Commissione, il Consiglio e il gruppo PPE non avessero fermamente difeso le loro posizioni, ritengo che saremmo stati guidati verso un testo impossibile da applicare, verso posizioni verdi e verso un’ideologia fortemente lesiva dei cacciatori e degli utilizzatori legali di armi da fuoco.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, volevo soltanto chiedere all’onorevole McCarthy se la sua arma è regolarmente immatricolata e registrata, e se ha il permesso di introdurla in quest’Aula.

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE). - (EN) Signor Presidente, devo rispondere alla domanda, perché dimostra che l’onorevole Rübig non ha compreso la legislazione in oggetto. Non essendo classificata come arma da fuoco, non occorre alcun permesso: chiunque può acquistarla per strada, criminali compresi. Perciò il signor Rübig dovrebbe essere ben sicuro delle sue affermazioni prima di intervenire.

Desidero tuttavia soffermarmi su una questione procedurale, riguardante un’accusa rivolta all’onorevole Goudin, e vorrei correggere il verbale. Nessun relatore ombra è stato escluso da questo trilogo. Il gruppo IND/DEM è stato invitato e ha nominato un relatore 18 mesi fa, il quale non si è mai presentato alle riunioni della commissione né alle audizioni, né tantomeno ai dibattiti ai triloghi. L’onorevole Goudin sa perfettamente di essere stata nominata due settimane fa come sostituta del relatore ombra assente.

Intendo difendere l’operato della nostra relatrice, dei relatori ombra e della commissione, perché noi ci assumiamo i nostri impegni seriamente, lavoriamo in modo responsabile e il gruppo IND/DEM dovrebbe fare altrettanto.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 29 novembre 2007.

 
  

(1)2 Cfr. “Dichiarazioni della Commissione allegate alla discussione”


22. Una nuova politica comunitaria per il turismo: una partnership più forte per il turismo europeo (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione di Paolo ’Costa, a nome della commissione per i trasporti e il turismo, su una nuova politica comunitaria per il turismo: una partnership più forte per il turismo europeo [2006/2129(INI)] (A6-0399/2007).

 
  
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  Paolo Costa, relatore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, il rapporto che presento, e che ho avuto il piacere di costruire con la collaborazione di molti colleghi, è la continuazione operativa di un rapporto che questo Parlamento ha già approvato – il rapporto dell’onorevole Queiró – che voleva dare un contributo del Parlamento alla politica turistica europea.

Il criterio che informa questo rapporto è quello di definire un diverso, e spero più operativo, approccio della politica all’interesse turistico dell’Unione europea, che in questo momento è limitata dalla disposizione del trattato.

Gli Stati membri non hanno consegnato alle Istituzioni europee grandi competenze in materia turistica con il trattato esistente, e debbo dire che neanche il trattato che approveremo, e che mi auguro l’Unione approverà nel prossimo mese a Lisbona, allargherà di molto le competenze formali in materia turistica dell’Unione.

Ma, nel contempo, i trattati esistenti consentono all’Unione di esercitare una grande quantità di politiche che hanno un grande effetto sul turismo e sulla sua possibilità di crescita o di mantenimento della sua competitività di leader mondiale come l’Europa è.

Quindi, l’idea di questo rapporto è di indicare alcune possibilità. La lista che noi, che il Parlamento ha preparato con l’aiuto di tutti, è solo la lista indicativa, che io mi auguro possa essere ulteriormente arricchita. E’ una lista di possibilità di utilizzare competenze piene dell’Unione europea oggi esistenti a fini turistici.

Due esempi per tutti: il turista è un viaggiatore e quindi, per definizione, molte delle politiche di trasporto possono essere viste in termini e a favore o rilette in termini e a favore del turismo; il turista è un consumatore, per cui molte delle attività di protezione dei consumatori dell’Unione europea possono essere rilette in termini delle esigenze del turista.

Ma se vogliamo altre politiche, il turista, soprattutto il turista extraeuropeo che arriva in Europa, è un signore che attraversa le frontiere così come altri attraversano le frontiere per motivi diversi. Una politica dei visti, una politica di immigrazione dell’Unione europea va accuratamente rivista, in modo da tener conto dell’opportunità di invitare più turisti che sia possibile.

Molti dei contratti che i turisti sottoscrivono oggi in maniera diretta, utilizzando le tecnologie informatiche attraverso Internet, sono protetti in maniera non completa e quindi l’Unione europea, proteggendo questo tipo di contratti o introducendo tipi di contratti che li proteggono, può fare molto per i turisti, e così via particolareggiando.

Insomma, credo che possiamo dire che, riconoscendo tutti che il turismo è una delle industrie che ha più grandi prospettive per l’Europa, che è utile soprattutto per gli obiettivi di coesione che riesce a mantenere, per la valorizzazione di risorse come le risorse culturali e le risorse ambientali che può perseguire, questo grande obiettivo della crescita dell’economia turistica può essere perseguito non solo con le competenze formali che l’Unione ha, ma anche attraverso tutte queste.

Quindi l’idea, il senso di questo rapporto è di invitare, a partire da questo rapporto, la Commissione e il Consiglio, a immaginare un insieme di iniziative che formalmente apparterranno ad altre competenze – ripeto la protezione dei consumatori, sicurezza nel trasporto, garanzia su alcuni contratti relativi al turismo, politiche di immigrazione, politiche di promozione coordinate al di fuori dell’Europa, e così via –, di mettere insieme un insieme di iniziative, un pacchetto di iniziative turistiche, che credo possano essere il contributo vero delle Istituzioni europee – insisto – al mantenimento e alla crescita di un comparto che sappiamo contare molto e che sempre di più conterà per il futuro dell’Unione europea.

 
  
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  Günter Verheugen, Membro della Commissione. (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei congratularmi con il presidente della commissione, l’onorevole Costa, per la sua relazione. Tale documento indica chiaramente quanto il turismo sia influenzato da politiche comunitarie differenti ma, soprattutto, quanto importante sia questo settore per l’Europa intera.

Il turismo è un’espressione del modo di vivere e del benessere europeo e, nel contempo, un settore economico significativo caratterizzato da un notevole potenziale di crescita e occupazione. In effetti, già oggi il turismo produce direttamente o indirettamente oltre il 10 per cento del prodotto interno lordo dell’Unione europea e fornisce circa il 12 per cento di tutti i posti di lavoro.

Tuttavia, l’Europa non è la sola a voler trarre vantaggio dalle straordinarie prospettive economiche promesse dallo sviluppo del turismo. Dobbiamo dotarci di capacità che ci consentano lo sviluppo in una situazione di concorrenza con altri mercati del turismo, siano essi nuovi o tradizionali.

Su questo fronte, l’Europa può partire da vantaggi competitivi che già oggi la rendono una meta turistica assai attraente. Disponiamo di un’eredità storica ineguagliabile; abbiamo una concentrazione geografica unica di luoghi interessanti e culturalmente diversi, e godiamo della meritata reputazione di offrire servizi di alto livello.

Queste sono le carte vincenti per progettare il futuro prodotto turistico “Europa”. Le nostre mete devono essere semplicemente le migliori e le più accattivanti, devono costituire un’offerta che induca europei e non a trascorrere sempre più le loro vacanze in Europa.

Ciò significa che i criteri da soddisfare in altri settori della nostra economia devono essere soddisfatti anche nel turismo: dobbiamo formulare un prodotto innovativo e offrire ai consumatori la scelta ottimale, che risponda ai massimi requisiti di qualità e che sia il più ecologico possibile. In breve, un prodotto che sia espressione dei valori e dei punti forza europei.

Permettetemi di illustrare, con un paio di esempi, come vengono promossi collaborazione e vantaggio competitivo nel settore turistico. Lo scorso mese si è tenuto in Portogallo il Forum europeo del turismo, evento annuale che riunisce tutti gli operatori del settore e che costituisce un’eccellente opportunità per collaborare e farsi conoscere. In tale occasione, ho avuto l’onore di assegnare il premio “Destinazione europea d’eccellenza” a dieci località designate come migliori destinazioni rurali europee emergenti d’eccellenza. Questo progetto pilota contribuisce a migliorare il profilo di tutte le destinazioni europee al di fuori dell’Europa, e ad attirare l’attenzione sulla diversità e sulla qualità del nostro turismo. Vorrei inoltre ricordare che questo tipo di processo era stato esplicitamente richiesto nella precedente relazione parlamentare iniziata dall’onorevole Queiró. Vorrei ringraziare il Parlamento europeo, e in particolare l’onorevole Costa, per l’ampio sostegno accordato a questa iniziativa vincente. Sono lieto di potervi comunicare che ora, al secondo turno del concorso, parteciperà un numero di paesi notevolmente superiore.

In questa fase, possiamo affermare che il portale web per la “destinazione Europa” è già stato un successo e che fornisce una base solida con potenziale di espansione. Ora stiamo valutando altre soluzioni per migliorare l’immagine dell’Europa come meta turistica e speriamo, pertanto, nel vostro sostegno.

Permettetemi, infine, di sottolineare che l’aumento della sostenibilità nel turismo costituisce un aspetto centrale della nostra politica. Ne sono convinto: se integriamo gli aspetti della sostenibilità in tutti gli ambiti del settore turistico, tuteleremo esattamente quei vantaggi competitivi che già oggi fanno dell’Europa la più attraente meta turistica del mondo.

Il mese scorso, la Commissione ha presentato un nuovo “ordine del giorno per un turismo europeo sostenibile e competitivo”. I suoi elementi rispondono alle richieste della presente e della precedente relazione del Parlamento. Ritengo altresì che, anche su questo fronte, continueremo a collaborare con successo.

Auspico che tale “ordine del giorno” sia approvato da tutte le parti interessate del settore turistico e dai viaggiatori stessi, tra cui includo anche noi di quest’Assemblea, perché in fondo siamo tutti viaggiatori frequenti.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DIANA WALLIS
Vicepresidente

 
  
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  Stavros Arnaoutakis, relatore per parere della commissione per lo sviluppo regionale. (EL) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il settore turistico riveste un’importanza particolarmente significativa. Direttamente e indirettamente, genera più del 10 per cento del PIL dell’Unione europea e costituisce una fonte d’occupazione per il 12 per cento della forza lavoro. Nonostante ciò non rientri nella competenza dell’Unione europea, esiste una serie di misure e provvedimenti che possono contribuire a una tendenza al rialzo e allo sviluppo sostenibile del settore. Molte di queste sono già menzionate nella relazione e, a questo punto, anch’io desidero congratularmi con il relatore.

Le sfide che il turismo deve affrontare richiedono una risposta politica coerente a livello comunitario: un quadro d’azione completo e competitivo, con obiettivi quantitativi e qualitativi specifici. Nel nuovo periodo di pianificazione, dati gli obiettivi che ci siamo posti in base alla strategia revisionata di Lisbona, la cooperazione e la sinergia risultano necessari a tutti i livelli – europeo, nazionale, regionale e locale – per consentire al settore turistico di fornire il proprio contributo al loro raggiungimento di tali scopi. E’ inoltre necessario coordinare le politiche e le azioni che hanno un impatto diretto o indiretto sul settore turistico.

Onorevoli colleghi, vorrei sottolineare che abbiamo già risposto alla domanda sul tipo di settore turistico che vogliamo nell’Unione europea. Vogliamo un settore attuabile, che si sviluppi secondo i principi di sostenibilità e che offra prodotti e servizi turistici di alta qualità, ma senza escludere nessuno. Potremo raggiungere questo scopo se agiremo tutti insieme, a ogni livello.

 
  
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  Marie-Hélène Descamps, relatrice per parere della commissione per la cultura e l’istruzione. − (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il turismo è estremamente importante per l’UE. Senza dubbio ha effetti fondamentali sulla crescita economica e sulla creazione di posti di lavoro in Europa. Oltre a questi aspetti, incoraggia l’integrazione, il dialogo tra i vari popoli e la conoscenza reciproca delle culture, quindi ci aiuta nello sviluppo di un senso di cittadinanza europea. In mancanza di una politica comune per il turismo, le questioni di questo settore, che copre aree diverse e coinvolge una vasta gamma di servizi e professioni, devono essere prese in considerazione a livello europeo.

La relazione presentataci oggi porta alla luce questa esigenza. Devo pertanto congratularmi con il relatore per l’eccellente lavoro svolto e, più nello specifico, per avere sostenuto alcune priorità dichiarate dalla commissione per la cultura e l’istruzione. La diversità e la ricchezza dell’Europa indicano che è ancora la destinazione turistica più popolare al mondo. Se vogliamo mantenere questa posizione, dobbiamo ripensare le nostre politiche e aggiornarle per prestare più attenzione alla cultura. Analogamente, dobbiamo sottolineare la necessità di conservare il patrimonio naturale e culturale dell’Europa e promuovere la cultura tradizionale, in particolare l’artigianato, le attività e le capacità artistiche e popolari che stanno scomparendo, incoraggiando le iniziative volte ad accrescere e promuovere questa eredità.

In questo contesto, tra le varie misure dobbiamo sostenere la creazione di un’etichetta del tipo “Eredità culturale europea”, che sono certa accrescerà il senso di appartenenza dei nostri concittadini a uno spazio culturale e a un’identità comune. E’ inoltre essenziale incoraggiare lo sviluppo di nuove tecnologie, che svolgono un ruolo tanto essenziale nella vendita di prodotti turistici, promozione di eventi e beni culturali nonché gestione e conservazione dei siti, e continueremo a operare in questo modo.

Infine, assieme a tutti gli operatori turistici di ogni livello, dobbiamo promuovere un turismo sostenibile e di alta qualità che sia competitivo, ecologico, responsabile e soprattutto accessibile a tutti.

 
  
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  Luís Queiró, a nome del gruppo PPE-DE.(PT) Signora Presidente, signor Commissario, la relazione in oggetto osserva giustamente – e mi devo congratulare con il relatore – che il settore turistico si trova al crocevia di numerose politiche dell’Unione europea e che ha un impatto fondamentale sulla crescita e sull’impiego, nonché sulla coesione sociale e territoriale. Pertanto è essenziale realizzare alcuni aspetti della politica del turismo, osservando la definizione dei principi guida contenuta nella risoluzione del Parlamento dell’8 settembre 2005, di cui sono stato relatore.

Il primo aspetto riguarda la semplificazione e l’armonizzazione delle procedure di applicazione dei visti turistici per l’ingresso negli Stati membri, con l’intento di ridurne costi e facilitare l’accesso all’Unione europea dei turisti provenienti da paesi terzi. Tuttavia riteniamo sia giusto, se non essenziale, mantenere le norme di sicurezza richieste per combattere il terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione clandestina. Dobbiamo inoltre ammodernare il sistema per la raccolta di informazioni statistiche, tra cui i Conti satellite, poiché è soltanto con dati aggiornati e affidabili che le autorità pubbliche e il settore potranno prendere decisioni strategiche, che consentiranno all’Europa di mantenere la sua attuale posizione di leadership.

Devo inoltre fare una puntualizzazione sulla questione piuttosto controversa che riguarda la possibile armonizzazione degli standard qualitativi per le sistemazioni turistiche in Europa. La molteplicità degli schemi di classificazione degli hotel non va disgiunta dall’esigenza di proteggere i diritti e le aspettative dei turisti, quando operano le loro scelte. Sarà possibile instaurare, nell’Unione europea, standard minimi per la sicurezza e la qualità, che garantiscano l’affidabilità e la trasparenza delle informazioni fornite a questi consumatori? Ciò è certamente auspicabile, ma riteniamo che sarà possibile soltanto su base volontaria e invitando tutte le parti interessate a partecipare a quest’attività. Se lo desidera, la Commissione potrà assumere un ruolo di guida fondamentale in proposito.

Non vi è tempo a sufficienza per menzionare altri aspetti egualmente importanti di questa relazione, tra cui il turismo accessibile per utenti con mobilità ridotta, i diritti dei passeggeri, la promozione esterna delle destinazioni europee e lo sviluppo di politiche sostenibili. Tuttavia, com’è stato adeguatamente dimostrato, e terminerò su questo punto, il Parlamento europeo ha fatto il suo lavoro e speriamo che gli altri enti pubblici, in collaborazione con il settore privato, rafforzino il loro spirito di cooperazione, rispondendo efficacemente alle sfide che lo sviluppo di una politica rinnovata e sostenibile per il turismo comporta.

 
  
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  Emanuel Jardim Fernandes, a nome del gruppo PSE.(PT) Signor Commissario, onorevoli colleghi, la nuova politica comunitaria per il turismo, proposta dalla Commissione europea e discussa nella relazione Costa, merita il mio pieno sostegno. Ciò è dovuto sia agli obiettivi principali definiti con il rilancio della strategia di Lisbona – miglioramento della competitività, creazione di maggiori e migliori posti di lavoro, sviluppo sostenibile – e anche per gli strumenti attraverso i quali la Commissione si propone di realizzarli: coordinamento intracomunitario e in seno alle autorità nazionali, cooperazione tra le varie parti interessate e formulazione di provvedimenti di sostegno specifici.

Il relatore, l’onorevole Paolo Costa, con cui mi congratulo per la qualità della relazione e anche per la disponibilità ad accettare gli emendamenti proposti, ha richiamato l’attenzione su alcuni aspetti e fonti di preoccupazione omessi dalla comunicazione della Commissione. Ha presentato opportunità e soluzioni possibili relativamente a una rinnovata politica dell’UE per il turismo, in particolare sulla politica di concessione dei visti, l’armonizzazione delle norme qualitative, il miglioramento della visibilità e la comprensione delle etichette da parte dei turisti, la protezione dei consumatori, l’accessibilità del turismo da parte di utenti con mobilità ridotta, la garanzia dei diritti dei passeggeri e la promozione delle destinazioni sul territorio dell’Unione europea. A nostro giudizio, è assolutamente giusto che questi aspetti vengano presi in considerazione e che siano proposte soluzioni.

Il progetto di relazione dell’onorevole Costa è stato a sua volta arricchito e migliorato da una serie di emendamenti, molti dei quali presentati dai colleghi del mio gruppo. Io stesso, per rafforzare i termini delle proposte della Commissione e tenere conto delle proposte del relatore, ho presentato vari emendamenti sulla base delle posizioni che ho difeso nella relazione Queiró. Essi includevano: l’esigenza di considerare adeguatamente l’handicap di accessibilità che colpisce regioni con caratteristiche naturali o geografiche specifiche, come le regioni ultraperiferiche; l’esigenza di una politica comunitaria rinnovata, che renda il turismo europeo sostenibile dal punto di vista economico, sociale, territoriale, ambientale e culturale; la promozione dell’Europa come destinazione turistica o insieme di attraenti destinazioni turistiche; l’esigenza di coordinare le politiche che esercitano un impatto diretto o indiretto sul turismo; una più stretta cooperazione tra le parti interessate del settore – la Commissione europea e gli Stati membri, le regioni, gli enti locali e i servizi turistici – e una migliore valorizzazione degli strumenti finanziari europei esistenti. Pertanto invito in modo particolare il mio gruppo a sostenere questa relazione, e sollecito la Commissione e il Consiglio a prendere in debita considerazione i suggerimenti e le raccomandazioni del Parlamento europeo.

 
  
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  Nathalie Griesbeck, a nome del gruppo ALDE.(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, il turismo costituisce certamente una fetta molto larga delle nostre economie ma, in una certa misura, rappresenta anche la costruzione continua dell’identità europea e della nostra politica di coesione. Spesso contribuisce, ovviamente, a mantenere in attività le aree più isolate, e spesso è la risorsa principale delle regioni ultraperiferiche.

Questa relazione completa definisce i punti principali su cui l’UE può fornire un vero valore aggiunto, allo scopo di ottimizzare tale risorsa in modo intelligente e offrire benefici a tutti coloro che lavorano del settore del turismo, ai turisti stessi e, in breve, agli europei, preservando i nostri paesaggi ed ecosistemi a lungo nel tempo.

Personalmente, poiché provengo da una regione abbastanza fortunata da confinare con tre vicini europei, sono particolarmente sensibile al turismo transfrontaliero e spero che, attraverso i partenariati, questa forma di turismo aiuti a costruire uno spazio vero per chi vive sia dentro che fuori i confini dell’UE.

Tuttavia, per aprirci maggiormente al turismo extracomunitario, dobbiamo attuare una politica coordinata per la concessione dei visti turistici. Auspico altresì che l’UE adotti strumenti statistici e un approccio transettoriale in termini di finanziamento comunitario, allo scopo di produrre i ben noti effetti leva sull’innovazione, sui posti di lavoro, su un’offerta e una qualità dei servizi migliorate. Spero che possiamo creare etichette di qualità europee rispondenti a criteri ecologici e sociali, e molto semplicemente accrescere l’informazione e la protezione dei consumatori europei.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski, a nome del gruppo UEN.(PL) Signora Presidente, quando Thomas Cook aprì la sua prima agenzia di viaggi nel 1841, non poteva certo prevedere che, 166 anni dopo, il turismo avrebbe costituito direttamente circa il 5 per cento del reddito dei paesi europei. Dovrei aggiungere che, se si considerano i legami con gli altri settori, attualmente il turismo genera oltre l’11 per cento del PIL e circa 25 milioni di posti di lavoro.

Pertanto desidero ringraziare l’onorevole Costa per la sua relazione su un settore così dinamico dell’economia. Sappiamo tutti che il turismo non è direttamente incluso nei regolamenti dell’Unione. Eppure, il ruolo di coordinamento e promozione dell’Unione fornisce un notevole contributo nel presentare l’Europa come meta turistica molto attraente e diversa. Ha attinenza con il turismo interno, nonché con il movimento di viaggiatori dall’esterno all’interno dell’Unione e viceversa.

Tali questioni rivestono grande importanza per i nuovi Stati membri, tra cui la Polonia. Solo ora molte persone iniziano a scoprire quanto attraenti siano le destinazioni turistiche una volta precluse dalla cortina di ferro. In tale contesto le autorità nazionali, regionali e locali devono svolgere un ruolo importante nell’incoraggiare il turismo, che comprende anche forme come il cosiddetto turismo verde, il turismo di ricerca dell’eredità culturale europea, il turismo della salute, i pellegrinaggi e l’ecoturismo alla ricerca delle bellezze naturali.

Sono lieto che i problemi dei disabili e dei turisti più anziani siano stati presi in considerazione, nonostante si sarebbe potuto prestarvi forse più attenzione. Il Fondo di coesione dovrebbe essere utilizzato in modo oculato per sostenere le sviluppo delle infrastrutture, in particolare dei trasporti. Anche il Fondo per lo sviluppo regionale europeo potrebbe essere utilizzato per sostenere lo sviluppo delle TIC, Internet compreso, e promuovere la cooperazione transfrontaliera a beneficio del turismo nel senso più ampio del termine. Inoltre, si potrebbe attingere al Fondo sociale europeo per finanziare i programmi di formazione in questo settore.

In conclusione, vorrei sottolineare che gli standard rappresentano la chiave del successo in questo settore. La qualità mediocre non soddisfa nessuno. Un turista deluso della qualità dei trasporti o di un hotel, o una turista che ha vissuto una brutta esperienza in un ristorante, non vi farà ritorno. Potrà essere raggirato o raggirata una volta soltanto.

 
  
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  Sepp Kusstatscher, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signora Presidente, vorrei esprimere i miei ringraziamenti all’onorevole Paolo Costa. Di questa relazione accolgo favorevolmente soprattutto quegli aspetti che sottolineano l’importanza della sostenibilità sociale ed ecologica. Un paesaggio naturale e culturale attentamente conservato costituisce il migliore polo d’attrazione verso una destinazione turistica.

L’accettazione del turismo da parte dei cittadini del paese ospitante – in altre parole, delle persone che vivono e lavorano in quel luogo, costituisce un importante presupposto per garantire che i turisti si sentano realmente accolti. Un elevato livello di formazione e la soddisfazione generale tra i dipendenti del settore turistico contribuiscono alla soddisfazione dei turisti. La mobilità è un presupposto per il settore, soluzioni “a basso impatto” – come gli spostamenti con mezzi di trasporto pubblici, in bicicletta o a piedi – stimolano la crescita senza distruggere le basi essenziali di un settore turistico sano e, naturalmente, sostenibile.

Questa vasta relazione comprende una serie di idee che dovrebbero essere qualcosa di più che buoni propositi. Mi auguro che i principi ecologici e sociali siano inclusi nell’annunciata “Agenda europea 21 per il turismo”.

 
  
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  Kyriacos Triantaphyllides, a nome del gruppo GUE/NGL. (EL) Signora Presidente, il turismo, specialmente in paesi come Cipro, Spagna, Grecia e altri, è un settore di grande importanza economica, eppure la Commissione europea non ha niente da dire a coloro che vi lavorano.

Si tratta di un’industria che ha applicato forse per prima gli orari flessibili per i dipendenti, in cui i licenziamenti stagionali sono all’ordine del giorno e l’impiego di cittadini stranieri pone due questioni fondamentali: innanzitutto quella del loro sfruttamento e, in secondo luogo, il loro utilizzo da parte delle grandi catene alberghiere quale strumento di ricatto per ridurre gli stipendi o le indennità corrisposte ai lavoratori locali.

A parte questo, la Commissione europea conferma senza fare commenti sostanziali che la creazione di posti di lavoro in questo settore è dovuta all’elevato livello di lavoro a tempo parziale e alle condizioni d’impiego flessibili. Pare quindi che il concetto d’impiego a lungo termine sia stato gettato alle ortiche.

 
  
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  Etelka Barsi-Pataky (PPE-DE). - (HU) Signora Presidente, desidero richiamare l’attenzione sulle opportunità insite nel turismo della salute. E’ importante che ci avvaliamo di tutti i programmi disponibili per sostenere questo tipo di attività, compreso il secondo Programma d’azione comunitario in materia di sanità pubblica. Desidero sottolineare che dobbiamo coinvolgere maggiormente il settore assicurativo nel sostegno al turismo della salute, e insieme dobbiamo capire come attuare la cooperazione transfrontaliera con questo finanziamento.

La questione è se saremo in grado di inserire questi servizi nel mercato comune. Non solo costituiscono una parte della crescita economica, ma aiutano anche i cittadini europei perché tutti possano beneficiare delle opportunità offerte dal turismo della salute e, in tale ambito, dal mercato comune. In effetti è vero che, a tale scopo, avremo o avremmo bisogno di una definizione leggermente migliore del sistema, quindi sostengo decisamente l’iniziativa dell’onorevole Costa, che ha senza dubbio indicato una via per compiere progressi in questa direzione. Sarebbe bene per nostro turismo europeo se chi proviene dall’esterno, dai paesi terzi, sapesse cosa ottiene dai servizi in contropartita del prezzo pagato. In breve, per riassumere, penso che quando parliamo di questo settore, dobbiamo guardare al turismo secondo una prospettiva più molteplice, e dobbiamo anche esaminare cosa i suoi servizi ci possono apportare dal punto di vista del mercato comune. Vi ringrazio molto.

 
  
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  Robert Evans (PSE). - (EN) Signora Presidente, anch’io vorrei congratularmi con il relatore, l’onorevole Costa, presidente della commissione per i trasporti e il turismo, il quale ha esordito precisando che i Trattati consentono politiche di sicuro impatto sul turismo. E’ pertanto molto opportuno soppesare questo aspetto così come il fatto, ricordato dall’onorevole Arnaoutakis poco fa, che almeno il 12 per cento dei posti di lavoro nell’UE è legato al turismo.

Al giorno d’oggi, l’Unione europea rappresenta molto di più di un semplice mercato comune per merci e capitali. E’ un mercato comune per le persone. Come sappiamo, i cittadini comunitari viaggiano molto di più che in passato, anche in veste di turisti. Molti, forse moltissimi, hanno ottime esperienze, ma è la minoranza – i pochi che hanno vissuto esperienze meno felici – a costruire la cattiva reputazione di alcuni aspetti del settore.

Vorrei richiamare l’attenzione dei colleghi in particolare sui punti 24 e 25, che richiedono una serie di linee guida complete per le strutture ricettive sensibili alle esigenze dei consumatori. Tali linee guida dovrebbero tenere in considerazione le esigenze delle famiglie con bambini. Non tutti gli hotel possono essere in grado di soddisfarle, ma il settore deve orientarsi il più possibile su questo tipo di utenti.

Allo stesso modo, il sistema di classificazione deve contemplare le esigenze degli anziani e dei disabili. La commissione per i trasporti ha discusso la questione in riferimento alle compagnie aeree, ed è giusto rivendicare che anche le strutture ricettive non risultino discriminanti nei confronti di questa categoria sociale. E non dovrebbero nemmeno essere autorizzate ad esprimere giudizi morali sulle coppie che possono essere qualificate come tali.

La relazione sottolinea giustamente, come nel paragrafo 48, l’opportunità di elaborare una carta dei diritti e dei doveri del turista, e che i turisti dovrebbero a loro volta comportarsi correttamente rispettando gli hotel e gli esercizi turistici.

Si tratta di una valida relazione, di una storia “a lieto fine” che trasmette questo messaggio: il Parlamento sta agendo in modo ragionevole per l’interesse dei consumatori. Spero che il messaggio raggiunga tutti i popoli d’Europa.

 
  
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  Alfonso Andria (ALDE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, vi sono spunti tutti interessanti che emergono dalla relazione di Paolo Costa, assolutamente eccellente.

Io vorrei svolgere soltanto e velocemente qualche considerazione, a partire dalle profonde mutazioni della domanda, dovute in massima parte alla globalizzazione, alla presenza sempre più massiccia di turisti extraeuropei sui nostri territori e all’allungamento della vita, il che comporta l’esigenza di pensare ad una politica del turismo nell’Unione europea adeguata ai tempi che viviamo e ripensata anche strategicamente.

Il collega Queiró ha posto in evidenza la necessità dell’omologazione dei sistemi di classificazione alberghiera, su cui concordo pienamente, e aggiungo anche l’esigenza di individuare standard europei di qualità e di sicurezza dei prodotti turistici.

E’ necessario poi rispondere alle nuove esigenze dei cittadini quali fruitori e consumatori dei servizi turistici. Da questo punto di vista, soltanto due dei tanti esempi che si possono cogliere nella relazione Costa sul piano innovativo: una etichetta “accesso per tutti”, che garantisca servizi di accesso per i turisti a mobilità ridotta, o il programma europeo del turismo per la terza età.

Qui uno spunto conclusivo sulla formazione: pensare anche a profili specifici e particolari per assistere ed accogliere il turismo della terza età e il turismo dei disabili.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL).(PT) Pur accettando e apprezzando molti aspetti trattati da questa relazione, dobbiamo intervenire nella discussione per sottolineare innanzitutto che l’attività turistica e il turismo di alta qualità richiedono la regolamentazione delle professioni del settore tramite regimi legali, che proteggano i diritti del lavoro, incentivando i posti di lavoro di qualità e il personale qualificato. A nostro giudizio ciò implica, tra gli altri aspetti, un’adeguata formazione professionale, il miglioramento delle condizioni di lavoro, la promozione di accordi contrattuali stabili, nonché livelli retributivi equi e dignitosi.

In secondo luogo, vorremmo ribadire che il turismo può contribuire alla coesione territoriale, allo sviluppo economico e all’occupazione regionale, ecco perché si deve adottare un approccio transregionale nelle politiche comunitarie e nei finanziamenti destinati a questo settore, definendo in particolare un programma comunitario specifico per integrare le azioni degli Stati membri. Questi punti formano il contenuto di alcune proposte che abbiamo presentato, e che speriamo siano supportate dal Parlamento.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE).(PL) Signora Presidente, non ci occupiamo spesso di turismo in quest’Aula e quindi sono particolarmente riconoscente all’onorevole Costa per averlo fatto. Desidero congratularmi con lui per il valido operato.

A mio giudizio, le caratteristiche più positive di questa relazione sono l’approccio sostenibile al turismo, nonché l’esigenza di migliorare la coesione europea e la qualità della vita. Accolgo altresì favorevolmente che sia stato posto l’accento sull’importanza dell’accesso ai servizi turistici.

Anche la politica dei visti è citata in questa relazione. La considero una questione cruciale, dovremmo prestare grande attenzione nel monitorare il rilascio dei visti e l’attività ai valichi di confine sul territorio dei nuovi paesi di Schengen. La Russia e l’Ucraina hanno espresso preoccupazione in merito alla concessione di visti a conducenti, compresi gli autisti dei pullman, e ai corrieri. In effetti, proprio ieri l’onorevole Barroso ha ricevuto il capo dell’Associazione dei trasportatori su strada internazionali dell’Ucraina che ha espresso i timori della categoria. Conosco bene la situazione e ho riferito un mese fa all’onorevole Frattini in proposito. Finora non è prevista alcuna risposta in tempi brevi. La considero una questione importante. E’ essenziale per il Parlamento e per la Commissione concentrarsi sul monitoraggio dell’attuazione della politica dei visti.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 29 novembre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. La fase di impasse inerente il Trattato costituzionale esplica i suoi effetti anche sul settore del turismo che, nella impostazione in discussione, dovrebbe divenire materia comunitaria. In questi anni, i singoli Stati membri hanno portato avanti delle strategie legate all’offerta turistica che hanno permesso, in generale, un potenziamento complessivo di questo comparto nel quadro delle singole realtà socio-economiche dei 27 Stati. E’ aumentato il numero dei turisti, si sono implementati gli investimenti, è cresciuto il fabbisogno di personale, con evidenti risvolti positivi in termini di occupazione. Ciò che è mancato, finora, è un chiaro e complessivo piano da parte delle Istituzioni Comunitarie: sta aumentando la competizione tra le varie realtà presenti e, con tutta evidenza, stanno emergendo nuovi, importanti offerte in differenti aree del Mondo. In questo contesto l’Europa deve essere all’altezza della situazione, pertanto deve accettare e vincere le impegnative sfide che si profilano all’orizzonte.

 
  
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  Zita Gurmai (PSE), per iscritto. (HU) La globalizzazione, i cambiamenti demografici e i maggiori trasporti stanno contribuendo notevolmente alla rapida crescita del turismo che presenta, a sua volta, un grande potenziale di sviluppo e occupazione. Attualmente il turismo contribuisce a circa il 4 per cento del PIL dell’UE, e indirettamente a più del 10 per cento, offrendo circa il 12 per cento di tutti i posti di lavoro.

Il turismo incoraggia gli individui a una migliore comprensione reciproca, promuove la formazione dell’identità europea e, attraverso le relazioni con i gruppi sociali, economici e culturali, favorisce il dialogo tra le culture. Instaurare un modello per il turismo europeo è un compito di primaria importanza per l’Unione, perché deve essere costruito su valori legati alla qualità e alla sostenibilità degli obiettivi, nonché alle pari opportunità di accesso per tutti.

Si devono promuovere attivamente la semplificazione delle regole, l’armonizzazione delle politiche che riguardano il turismo e l’estensione dell’impiego degli strumenti finanziari europei disponibili. Lo sviluppo del turismo deve essere sostenibile; in altre parole, deve rispettare le comunità locali e la protezione ambientale. A tale scopo ci occorrono un quadro di sostegno e una struttura efficace, che coinvolgano tutte le parti regionali e locali interessate, agevolando forme di partenariato e una leadership efficace. Per quanto riguarda le misure attuate allo scopo di realizzare gli obiettivi, dobbiamo ricordare i principi fondamentali di sussidiarietà, che definiscono la divisione di responsabilità tra le singole parti coinvolte.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. − (SK) Dal punto di vista dello sviluppo sostenibile, regionale e locale integrato, il turismo esercita un impatto considerevole sulla coesione economica, sociale e territoriale dell’UE a 27. Inoltre svolge un ruolo importante nell’accrescere l’occupazione delle aree meno sviluppate dell’Europa, contribuendo ad appianare le disparità regionali. Inoltre, anche se non è stato ancora possibile sviluppare un approccio transfrontaliero coerente al turismo su scala comunitaria, non possiamo permettere che l’Europa perda la sua quota di mercato in questo settore.

La Commissione, di concerto con gli Stati membri e i consigli regionali, dovrebbe incoraggiare e sostenere finanziariamente nuove forme di turismo come quello ecologico, agricolo, sociale e della salute. A mio parere si tratta di uno strumento che assicura lo sviluppo sostenibile delle regioni e sottolinea l’importanza di tutelare il patrimonio naturale e culturale, nonché la sua conservazione per le generazioni future.

Il turismo deve essere supportato meglio dalle campagne di informazione. Le PMI, principalmente quelle di nuova creazione nel settore, o le aziende che offrono nuovi prodotti o sviluppano l’attività economica in nuove località o regioni turistiche, devono avere un migliore accesso all’informazione e la possibilità di avvalersi dei programmi di finanziamento europei disponibili attraverso i fondi strutturali.

Desidero altresì sottolineare l’esigenza di uno scambio delle esperienze acquisite attraverso i progetti turistici già attuati, in quanto offrono l’opportunità di imparare dagli approcci scorretti, che hanno portato al fallimento dei progetti, ed evitare errori simili in altre regioni europee.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE), per iscritto. (DE) Gli sviluppi degli ultimi anni hanno dimostrato che il turismo europeo, come ogni altro settore economico, è fortemente influenzato dalle più ampie condizioni globali.

Per superare brillantemente queste sfide con esito positivo, è essenziale rafforzare il coordinamento delle politiche nazionali. Nell’ottica del principio della sussidiarietà, gli Stati membri devono avvalersi delle opportunità offerte su scala comunitaria al fine di intensificare le politiche nazionali già esistenti. Solo in questo modo, l’UE potrà contribuire efficacemente a contenere la dilagante burocrazia e, attraverso l’armonizzazione, a eliminare gli ostacoli che si frappongono al settore turistico. Dobbiamo porci l’obiettivo di impiegare al meglio le risorse disponibili e valorizzare tutte le opportunità per creare sinergie, allo scopo di accrescere la competitività dell’UE nel mondo e creare nuovi posti di lavoro.

In tale contesto, un primo passo significativo consisterebbe nel semplificare le procedure di ottenimento del visto e ridurre i costi dei visti turistici all’interno dei paesi dell’UE.

Esorto infine l’UE ad approvare standard qualitativi uniformi per le strutture alberghiere in Europa, onde aumentare la trasparenza e, nel contempo, rafforzare i diritti dei consumatori. Ciò non deve tuttavia tradursi in un abbassamento delle norme nazionali, bensì rappresentare un segnale importante per i consumatori. L’UE deve valorizzare le possibilità di cui dispone per sostenere attivamente i singoli Stati membri in questo contesto, senza tuttavia porre in questione le competenze nazionali esistenti.

 

23. Aiuto macrofinanziario al Libano (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Kader Arif, a nome della commissione per il commercio internazionale, sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla concessione di un’assistenza macrofinanziaria al Libano [COM(2007)0476 – C6-0290/2007 – 2007/0172(CNS)] (A6-0452/2007).

 
  
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  Günter Verheugen, Membro della Commissione. (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziare il Parlamento per il sostegno accordato alla proposta della Commissione dello scorso agosto. Come l’onorevole Arif, sottolinea nella propria relazione, il Libano si trova in una situazione molto difficile, sia dal punto di vista politico che economico. Il suo fabbisogno finanziario ha raggiunto una fase acuta. Con quest’assistenza macrofinanziaria, l’Unione europea sta tenendo fede all’impegno assunto durante la Conferenza internazionale dei donatori lo scorso gennaio, quando abbiamo concordato la concessione del sostegno finanziario al Libano.

Come ben sapete, l’attuazione dell’aiuto finanziario è accompagnata da notevoli incertezze a causa della crisi politica e costituzionale, che non è stata ancora superata. La Commissione mantiene tuttavia la sua promessa di concludere tutte le procedure interne necessarie per rendere operativa l’assistenza, non appena le circostanze lo consentiranno.

I nostri colloqui con le autorità libanesi sulle condizioni politiche correlate al programma si stanno avvicinando alla conclusione, e vi posso garantire che tali condizioni saranno pienamente conformi agli obiettivi del piano d’azione UE-Libano, elaborato nell’ambito della politica europea di vicinato, nonché al programma di riforma economica a medio termine delle autorità libanesi. Naturalmente, come richiesto dal progetto di relazione, utilizzeremo ogni mezzo disponibile per ridurre il più possibile il rischio di frode, corruzione e uso improprio delle risorse finanziarie.

Noto che il relatore propone varie modifiche al progetto della Commissione. Le valuteremo molto attentamente e comunicheremo la nostra opinione al Consiglio. Tuttavia, posso affermare sin d’ora che non ci opporremo alla maggior parte degli emendamenti sulle disposizioni giuridiche stesse.

La Commissione è consapevole che, alle audizioni sui nuovi aiuti finanziari, il Parlamento dovrà rispettare scadenze molto strette. La tabella di marcia è stata serrata per tutte le istituzioni partecipanti, a causa della peculiare natura di questa assistenza finanziaria come strumento di crisi.

Per semplificare la situazione e migliorare la collaborazione con la commissione per il commercio internazionale (INTA), la Commissione s’impegna per il futuro ad aggiornare la segreteria dell’INTA sistematicamente, e con il dovuto anticipo, sulle nuove transazioni di assistenza finanziaria, inviando una nota informativa non appena si prospetti un nuovo aiuto di questo tipo.

 
  
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  Kader Arif, relatore. − (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sono lieto di presentarvi oggi questa relazione sulla concessione dell’assistenza macrofinanziaria (AMF) al Libano. E’ la testimonianza dell’impegno preso dall’UE per contribuire al recupero del paese dopo una serie di crisi.

Il Libano è attualmente uno dei paesi più indebitati al mondo, con un rapporto debito pubblico­PIL del 180 per cento. L’impatto della guerra civile tra il 1975 e il 1990, il conflitto con Israele dell’estate 2006, l’instabilità politica cronica e una politica economica alla deriva hanno causato una seria crisi economica, finanziaria e sociale. Data la situazione, occorre prendere provvedimenti urgenti.

Pare che i fondi associati all’adozione del Piano d’azione UE-Libano nel gennaio 2007, elaborato nell’ambito della politica europea di vicinato, non saranno disponibili fino al 2009. L’AMF eccezionale che intendiamo adottare colmerà questo ammanco e avrà un impatto immediato sulle finanze pubbliche e sulla bilancia dei pagamenti libanese, purché sia attuata immediatamente. Essa consisterà in una donazione di 30 milioni di euro e in un prestito di 50 milioni di euro, che aiuteranno il governo libanese a intraprendere la ricostruzione postbellica e continuare la sua rinascita economica.

La mia relazione sostiene pienamente l’esigenza di assicurare l’assistenza finanziaria al Libano. Tuttavia, introduce una serie di emendamenti alla proposta del Consiglio a scopo di chiarezza e trasparenza.

Innanzi tutto, dovremmo ricordarci che l’assistenza deve essere strettamente complementare rispetto ai finanziamenti che provengono dalle istituzioni di Bretton Woods, dal Club di Parigi, dai donatori bilaterali e dall’UE nel quadro di altri meccanismi. Deve essere coerente con l’azione esterna o con altre politiche comunitarie, e garantire il valore aggiunto dell’impegno comunitario.

Il Consiglio dovrà inoltre accogliere esplicitamente e pubblicamente le raccomandazioni del Parlamento per quanto riguarda le condizioni e i criteri associati alla sovvenzione, in altre parole maggiore trasparenza e sostenibilità delle finanze pubbliche, applicazione delle priorità macro­economiche e finanziarie, attuazione di misure specifiche per prevenire eventuali rischi di frode, corruzione e abuso di fondi, distribuzione dell’assistenza secondo un giusto equilibrio tra spesa post-conflitto, ricostruzione, indebitamento eccessivo ed esigenze sociali della popolazione, pieno rispetto delle norme internazionali in materia di democrazia e di diritti umani e dei principi fondamentali dello Stato di diritto. L’erogazione di aiuti al Libano deve essere subordinata alla realizzazione di progressi concreti verso il conseguimento dei suddetti obiettivi, secondo quanto definito in un accordo di finanziamento redatto congiuntamente con le autorità libanesi.

Oltre al nostro lavoro di base su questo testo, desidero altresì menzionare alcune difficoltà incontrate nel corso della redazione della presente relazione, data la sua natura di urgenza. E’ per questa ragione che, in merito a qualunque possibile decisione futura relativa alla concessione di programmi di AMF, la Commissione e il Consiglio devono assicurare maggiore tempestività. Affinché il Parlamento possa eseguire il proprio lavoro in modo soddisfacente, deve ricevere informazioni di migliore qualità nei tempi dovuti. A tale proposito, l’adozione di un sistema di “allerta precoce” da parte della Commissione garantirebbe una gestione più rapida del dossier da parte della commissione parlamentare competente ed eviterebbe ritardi ingiustificati, che potrebbero avere un grave impatto negativo sui beneficiari finali degli aiuti finanziari. La qualità e la coerenza del nostro lavoro, nonché la qualità della nostra cooperazione con le altre istituzioni fanno grande affidamento su questo fattore.

Desidero sottolineare, in linea con le precedenti risoluzioni del Parlamento, che uno strumento importante come l’AMF non può essere considerato semplicemente “eccezionale”. Deve avere una base giuridica regolare e non può essere basato su una decisione ad hoc del Consiglio per ogni operazione. Un regolamento quadro sull’AMF, approvato in codecisione, è necessario al fine di migliorare la trasparenza, la responsabilità, il controllo e i sistemi di resoconto.

Dobbiamo inoltre adottare rapidamente disposizioni per organizzare discussioni interistituzionali sulla base giuridica più idonea per questo tipo di strumento. Nel caso dell’AMF per il Libano, uno dei paesi che figurano nella Politica europea di vicinato e che è anche classificato come paese in via di sviluppo, riteniamo che tale azione avrebbe dovuto essere basata sull’articolo 179 del Trattato CE e non sull’articolo 308 del Trattato CE.

Proprio perché il Libano è un paese in via di sviluppo, il Parlamento insiste sul fatto di non trascurare l’aspetto sociale delle riforme che il Governo libanese potrebbe intraprendere. Secondo il programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), circa il 24 per cento dei libanesi vive in stato di assoluta povertà e il 52 per cento è considerato “indigente”. Inoltre, circa il 9% della popolazione è analfabeta, meno di un terzo ha completato le scuole elementari e solo il 13 per cento ha un titolo di studio universitario.

Nonostante questa realtà, si deve ammettere che la questione sociale non è al centro del dibattito politico libanese, e che il contenuto sociale della riforma prevista è estremamente limitato rispetto alle preoccupazioni finanziarie ed economiche. Tuttavia, è nell’interesse del Libano e dei suoi partner, come ho già detto, raggiungere un equilibrio equo tra le varie voci di spesa, in particolare i finanziamenti per l’istruzione e la formazione. Le perduranti disuguaglianze sociali possono avere gravi ripercussioni economiche e politiche, che potrebbero prolungare l’instabilità del paese, e questo non va dimenticato.

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, relatore per parere della commissione per gli affari esteri. − (ES) Signora Presidente, il Libano si trova in una situazione estremamente seria e tesa ed è chiaro che deve trovare una via d’uscita dalla crisi istituzionale. Ricordando questo, la prossima settimana un gruppo di lavoro della commissione per gli affari esteri si recherà in visita nel paese per fare ciò che questo Parlamento ha sempre fatto: portare la testimonianza di solidarietà della nostra istituzione con la causa della pace, della comprensione, dell’armonia, della riconciliazione e del consolidamento democratico.

E’ stato proprio tenendo a mente questo scopo, che l’onorevole Arif ha stilato la relazione sull’assistenza macrofinanziaria al Libano. Devo dirgli che, in seno alla commissione per gli affari esteri, non volevamo dilungarci troppo in particolari tecnici data la situazione estremamente seria e tesa in Libano che, come ho detto, è seguita alla successione del Presidente Lahoud. Tuttavia, volevamo garantire il pieno rispetto della competenza del Parlamento quale strumento dell’autorità di bilancio, nonché la massima chiarezza e trasparenza come stava proponendo il relatore, e quindi l’impiego efficace e corretto del finanziamento, evitando qualsiasi forma di corruzione, come indicato dal Commissario Verheugen nel suo intervento.

In questo contesto, riteniamo che l’assistenza macrofinanziaria rientri nello spirito dell’accordo di associazione tra l’Unione europea e i paesi del Mediterraneo, nell’ambito del futuro quadro della Politica europea di vicinato e, naturalmente, nel rispetto degli obblighi sanciti negli accordi della Conferenza Parigi III sulla ricostruzione e la ripresa del Libano, nonché nella prospettiva degli accordi presi con le istituzioni internazionali.

 
  
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  Esko Seppänen, relatore per parere della commissione per i bilanci. (FI) Signora Presidente, in qualità di relatore per parere della commissione per i bilanci, noto con soddisfazione che la commissione responsabile ha adottato le proposte da noi presentate. La commissione è stata molto coraggiosa a proporre il nuovo concetto di “periodo di disponibilità” dell’assistenza finanziaria, e a interpretarlo in modo che la validità dell’atto giuridico possa essere prolungata semplicemente attraverso la procedura di comitatologia. La commissione è soltanto un organo esecutivo e non può assumersi il ruolo di legislatore. Diverrebbe tale se dovesse decidere la durata dell’assistenza finanziaria.

In merito alla commissione per il bilancio, noto con soddisfazione che il comitato responsabile ha adottato una posizione positiva sulla nostra proposta di emendamento alla base giuridica, nonostante ciò riguardasse soltanto le proposte future di assistenza macrofinanziaria. A nostro giudizio, una base giuridica più consona sarebbe costituita dall’articolo 179 del Trattato CE, e non dal generico articolo 308 che è stato impiegato. Auspichiamo che la Commissione e il Consiglio prendano in considerazione questo messaggio del Parlamento.

 
  
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  Tokia Saïfi, a nome del gruppo PPE-DE. (FR) Signora Presidente, il vuoto istituzionale esistente in Libano costituisce una grave minaccia per il paese e la regione in generale. Con un Parlamento inoperante, i deputati in pericolo di vita, un Governo destabilizzato e un’economia paralizzata, il Libano deve trovare una via d’uscita dalla crisi. Ora più che mai, l’UE deve mantenersi vigile a sostegno del suo vicino e alleato.

L’assistenza macrofinanziaria proposta oggi dall’UE non potrebbe essere più gradita. Questa sovvenzione eccezionale limitata nel tempo e destinata a correggere la situazione di bilancio di un paese, in cui gli sforzi concordati per ridurre l’indebitamento sono stati vanificati dal sanguinoso conflitto dell’estate 2006, rientra pienamente nella Politica europea di vicinato e di partenariato euromediterraneo. Non si tratta pertanto di una forma tradizionale di assistenza, poiché questo sostegno del bilancio contribuirà ad accrescere l’indipendenza e la sovranità politica ed economica del Libano. Naturalmente, l’assistenza deve essere soggetta a un meccanismo antifrode, allo scopo di garantire una maggiore trasparenza nella gestione e nella destinazione dei finanziamenti.

Dobbiamo inoltre assicurare un migliore coordinamento delle istituzioni finanziarie che stanno lavorando alla ricostruzione del paese. Dobbiamo, infatti, attuare con coerenza lo strumento del vicinato, le misure del FMI e le azioni del FEMIP ai fini di un’assistenza efficace e sostenibile. Poiché la Conferenza di Annapolis apre una finestra di speranza, il Libano resta un fattore chiave per la pace e la stabilità nella regione.

 
  
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  David Martin, a nome del gruppo PSE. (EN) Signora Presidente, accolgo con favore la relazione dell’onorevole Arif. Com’era nelle aspettative, si tratta di un testo ben argomentato ed equilibrato.

Tuttavia, mi rammarico che, ancora una volta, l’Unione europea debba farsi carico della propensione di Israele a lanciare bombe in Medio Oriente prima, e poi a preoccuparsi delle conseguenze solo in un secondo tempo.

E’ vero che il Libano aveva difficoltà finanziarie già prima di iniziare il conflitto con Israele nell’estate del 2006 ma, forse, quello scontro è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il Libano, come l’onorevole Arif ha ricordato, è ora uno dei paesi più indebitati al mondo e, secondo l’UNDP, quasi un libanese su quattro vive in stato di assoluta povertà.

In Libano, nonostante i problemi che il paese deve affrontare, esiste un governo determinato a raggiungere la stabilità economica. In una simile situazione, è giusto essere preparati a fornire assistenza macrofinanziaria per contribuire alla rinascita. A buon diritto, l’onorevole Arif rivendica garanzie sull’effettiva disponibilità di politiche adeguate ad affrontare la corruzione e ad appurare che i finanziamenti non siano oggetto di abuso. Il giusto meccanismo per farlo passa attraverso l’assoluta trasparenza nella concessione e nell’investimento dei fondi, un idoneo monitoraggio delle spese e una valutazione ex post delle misure adottate.

Come il Commissario ha segnalato, il Libano è divenuto partner dell’Unione europea nel quadro della politica europea di vicinato. I fondi legati a tale politica non saranno disponibili fino al 2009 o al 2010 ma, quando lo saranno, sono ansioso di vedere come l’UE affiancherà il Libano nelle riforme sociali ed economiche. Nel frattempo, l’assistenza macrofinanziaria può fare una grande differenza, aiutando il Libano ad affrontare il proprio indebitamento e portare stabilità al proprio governo. Pertanto accolgo favorevolmente quest’iniziativa.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE).(PL) Signora Presidente, oggi stiamo discutendo l’assistenza macrofinanziaria al Libano. Il paese sta attraversando la crisi economica e politica più seria dalla fine della guerra nel 1990. L’Assemblea ha udito, da molti esperti indipendenti sui problemi del Medio Oriente, che l’Unione europea dovrebbe sostenere attivamente le autorità democratiche in Libano.

Ora il Libano si trova a un crocevia molto importante. E’ in una fase in cui gli ultimi fantasmi della guerra possono essere finalmente accantonati. Vi è però il pericolo che tutti i vecchi conflitti riesplodano. Pertanto dovremmo utilizzare gli strumenti disponibili e svolgere un ruolo di mediazione attivo per contribuire a risolvere i conflitti interni del Libano. Lo scontro con Israele ha causato enormi danni a un paese che è appena riuscito, con grande difficoltà, a ricostruire le proprie infrastrutture dopo 20 anni di guerra. Il conflitto ha esercitato un impatto negativo anche sulle relazioni sociali interne. Ha condotto a un rafforzamento delle forze radicali, facendo ripiombare il paese in un conflitto interno tra comunità.

Il Libano ha bisogno di tempo per ristabilizzarsi. Ha bisogno di mediazione tra tutte le parti. L’assistenza finanziaria assicurata dall’Unione europea, da altri paesi e istituzioni gli fornirà un’opportunità per rimettersi in rotta verso la riforma. Nonostante richieda tempo, com’è normale in questi casi, la riforma porterà alla nascita di un paese politicamente, socialmente ed economicamente stabile.

Accolgo favorevolmente l’iniziativa della Commissione e l’impegno dei deputati a occuparsi della questione dell’assistenza macrofinanziaria. Questo ci consente di inviare un segnale al popolo libanese, rassicurandolo sul fatto che l’Unione europea si considera suo partner. Anch’io desidero quindi ringraziare il relatore per l’impegno e la competenza con cui ha coinvolto il Parlamento nel processo decisionale sull’assistenza al Libano. Infine, dobbiamo ricordare che ricostruire il Libano è nell’interesse sia di noi europei che del popolo libanese.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 29 novembre 2007.

 

24. Commercio e cambiamento climatico (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Alain Lipietz, a nome della commissione per il commercio internazionale, sul commercio e il cambiamento climatico [2007/2003(INI)] (A6-0409/2007).

 
  
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  Alain Lipietz, relatore. − (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, questa è una relazione piuttosto importante in vista dell’imminente Conferenza di Bali.

Sappiamo bene che il commercio internazionale si sta sviluppando a una velocità doppia rispetto al prodotto mondiale lordo, e che sta determinando la crescita dell’industria dei trasporti, uno dei più prolifici produttori di gas serra. Inoltre permette di delocalizzare la produzione, il che può essere un bene in termini di utilizzo della manodopera e applicazione delle regolamentazioni salariali ma, dato che non considera assolutamente il costo dei gas serra prodotti dalla divisione del lavoro, può accelerare la loro formazione e di conseguenza il cambiamento climatico.

Per fornirvi solo qualche dato: le navi, che trasportano un carico 40 volte maggiore rispetto agli aerei, producono soltanto il doppio dei gas serra, eppure continuiamo a utilizzare gli aerei per trasportare le nostre merci e ottimizzare il ciclo di produzione. Pertanto ritengo che, a seguito del rapporto Stern e delle quattro relazioni del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, dovremmo essere consapevoli che vale la pena attendere mezza giornata o persino tre giorni in più perché un prodotto arrivi a destinazione, piuttosto che distruggere il nostro clima a un costo che il rapporto Stern stima in 5 000 miliardi di dollari.

Oltre a esprimere questo commento, la relazione compie un tentativo per aprire determinate vie. Ovviamente ve ne sono alcune riferite ai trasporti. Siamo lieti che poco tempo fa sia stata tenuta una votazione per aggiungere l’industria aeronautica al sistema europeo delle quote. La relazione incoraggia la riflessione sull’organizzazione industriale, allo scopo di ridurre la scala geografica delle catene di produzione – avvicinando il produttore all’utente finale – e presenta una serie di proposte in merito ai beni ambientali.

Ciò che stiamo proponendo, nel contesto dell’OMC e degli accordi bilaterali o biregionali – in altre parole, di tutti gli accordi che stiamo attualmente negoziando – è assegnare la priorità, nell’ambito della valutazione sugli effetti ambientali da essi formulata, all’impatto sul cambiamento climatico. Suggeriamo di attribuire priorità anche a un sostanziale abbattimento delle barriere tariffarie e non tariffarie – e qui stiamo pensando in particolare alle royalty – che ostacolano il commercio di beni e servizi propri in grado di ridurre la produzione di gas serra.

In assenza di accordi biregionali negoziati dall’Europa, evidentemente tutto ciò deve essere attuato in un contesto il più possibile multilaterale, magari assieme all’OMC. Non possiamo tuttavia escludere la possibilità che, dopo il 2012, nella fase iniziale post-Kyoto, l’umanità non abbia ancora raggiunto un accordo unanime sulla lotta contro il cambiamento climatico. La decisione dell’Europa di porsi alla testa del processo colpirà in fin dei conti alcuni suoi settori, anche se non tutti. In molti casi, però, essere leader della lotta al cambiamento climatico offre un vantaggio sulla concorrenza. In alcuni di essi, e sto pensando nello specifico all’industria del cemento, ciò potrebbe porre enormi problemi e portare persino al turismo del cemento. In tale eventualità, quanto tutte le possibilità di accordi multilaterali saranno esaurite, suggeriamo l’adozione dell’articolo XX del GATT, che consente l’applicazione di compensazioni fiscali alla frontiera (“border-tax adjustments”) per ripristinare condizioni di concorrenza leale.

Questo, onorevoli colleghi, costituisce la base delle mie proposte.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. (EL) Signora Presidente, onorevoli deputati, siamo riconoscenti alla commissione per il commercio internazionale perché, con la sua iniziativa, affronta le questioni relative al commercio e al cambiamento climatico.

La relazione di Alain Lipietz costituisce un’utile fonte di idee e proposte politiche. Ne siamo lieti, perché riconosce l’interrelazione tra i vari aspetti dei negoziati.

Il cambiamento climatico è una questione molto seria, che riguarda sostanzialmente tutti i settori, tra cui il commercio. Dobbiamo impegnarci a definire una politica coerente e di sostegno reciproco. L’Unione europea punta a facilitare il commercio, garantendo che sia concretamente realizzabile e che contribuisca anche ad altre politiche, come per esempio quella sul cambiamento climatico.

Accogliamo favorevolmente il fatto che la relazione riconosca le prospettive di negoziazione sui beni e i servizi ambientali. Riteniamo che ciò rappresenti un importante contributo del commercio agli obiettivi relativi al cambiamento climatico. Auspichiamo che si compiano progressi sulla questione durante la tornata di negoziati commerciali multilaterali in corso, ai fini dell’agenda di Doha per lo sviluppo. Siamo lieti che sia stata riconosciuta la necessità di concedere al Segretariato degli accordi multilaterali sull’ambiente lo status di osservatore presso l’Organizzazione mondiale del commercio, cosa che abbiamo tentato di ottenere per la tornata attuale di negoziati commerciali. Siamo inoltre soddisfatti per il riconoscimento del contributo che i nostri nuovi accordi di libero scambio possono apportare alle questioni del cambiamento climatico, attraverso disposizioni speciali.

Le correlazioni tra le opportunità di accesso ai nuovi mercati, ossia di maggiori flussi commerciali, e le politiche sul cambiamento climatico sono ovvie.

Le politiche ambientali forniscono un forte incentivo per l’innovazione tecnologica e promuovono la prestazione economica. Dai dati scientifici ed economici emerge, con grande chiarezza, che i benefici del contenimento del cambiamento climatico superano il costo delle politiche applicate per la loro riduzione.

L’adozione di ulteriori misure per combattere il cambiamento climatico può determinare vantaggi significativi in termini di concorrenza per i produttori di paesi che applicano limitazioni alle emissioni di carbonio, perché – in combinazione con altre politiche – ridurranno il consumo di risorse preziose e favoriranno lo sviluppo di innovazioni tecnologiche ecologiche, che hanno crescenti opportunità di accesso al mercato. In questo modo, arriveremo a una situazione di cui beneficeranno tutti, in termini sia di competitività che di ambiente. Dobbiamo continuare la ricerca di altre opportunità, che rafforzino l’apporto positivo della politica commerciale alla lotta contro il cambiamento climatico.

Noto che la relazione include in tale contesto aspetti come il credito all’esportazione, la progressiva eliminazione delle sovvenzioni al commercio che ha un impatto negativo sul clima, il rafforzamento e l’ampliamento dell’accesso al mercato per gli investimenti esteri diretti. Sono tutti argomenti interessanti che possiamo discutere con maggiore approfondimento.

Dobbiamo continuare a impegnarci anche sui criteri di sostenibilità per i prodotti forestali, la deforestazione e l’abbattimento illegale degli alberi.

Per concludere, consentitemi di ribadire il mio ringraziamento per questo prezioso contributo alla discussione sul cambiamento climatico in un momento molto importante, a pochissimi giorni dall’inizio della Conferenza di Bali, che speriamo fornirà la motivazione a negoziare un accordo internazionale post­2012.

 
  
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  Jens Holm, relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. − (SV) Signora Presidente, è giunto il momento che il commercio mondiale, cresciuto in misura esponenziale dal 1990, si confronti con le proprie responsabilità sul clima. Qual è il risultato dal punto di vista climatico? Ovviamente, l’aumento dei trasporti e delle emissioni. E’ ragionevole, per esempio, che gli allevatori dell’UE importino milioni di tonnellate di soia dal Brasile per l’industria della carne europea, o che il pesce possa essere catturato in Norvegia, spedito in Cina per la filettatura e la pulizia e quindi di nuovo in Europa per la conservazione? No, certamente no!

La nostra eccellente opinione ci fornisce l’opportunità di prendere misure concrete per affrontare il problema. Chiediamo che siano i trasporti a sostenere questo costo ambientale. Vogliamo diffondere la tecnologia verde nei paesi in via di sviluppo, per esempio apportando modifiche fondamentali ai diritti sui brevetti e alla proprietà intellettuale. Intendiamo abolire le sovvenzioni alla produzione di energia sporca. Vogliamo avere una certificazione ambientale obbligatoria per i biocarburanti e vogliamo che tutti gli accordi commerciali siano valutati dal punto di vista dell’impatto climatico. Sono soltanto alcuni esempi di questa eccellente relazione. Raggiungendo tali obiettivi, potremo assicurare che il commercio mondiale diventi parte integrante della soluzione e non del problema.

 
  
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  András Gyürk, relatore per opinione della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. (HU) Grazie per avermi concesso la parola, signora Presidente. Signor Commissario, onorevoli colleghi, il legame tra due argomenti discussi dalla relazione in esame è di estrema attualità. La connessione tra determinate forme di commercio e il cambiamento climatico è sempre più ovvia. E’ indiscutibile che l’intenso commercio internazionale determini numerose conseguenze nocive, tra cui l’incremento delle emissioni di biossido di carbonio, riducendo nel contempo gli habitat delle piante che assorbono i gas serra. Nonostante tutto ciò, sono convinto che il libero scambio non sia di per sé sinonimo di danno ambientale. E’ vero che la diffusione del commercio e della divisione internazionale del lavoro aumenta l’efficienza della produzione, in misura di gran lunga superiore agli effetti negativi. Ciò può tradursi in un minore consumo complessivo delle fonti energetiche.

In qualità di relatore della commissione per l’industria, permettetemi di illustrare tre riflessioni su questa linea, che ho tratto dall’opinione preparata dalla nostra commissione. Per prima cosa, è essenziale che le barriere commerciali alle tecnologie ecologiche siano rimosse con la massima rapidità possibile. A tale scopo, l’Unione europea dovrà assumere un ruolo attivo nei negoziati internazionali sul cambiamento climatico.

In secondo luogo, dobbiamo lottare perché in futuro i prezzo dei prodotti riflettano le conseguenze dannose che non risultano immediatamente evidenti, tra cui l’impatto sul cambiamento climatico.

In terzo e ultimo luogo, riteniamo che discussioni adeguatamente approfondite sull’interrelazione tra commercio e cambiamento climatico siano di primario interesse per la Comunità. Lo sono ancora di più, se si considera che l’Europa può svolgere un ruolo di guida nell’esportazione di prodotti e servizi ecologici nel mondo.

Onorevoli colleghi, come risulta evidente dai suddetti punti, i membri della commissione per l’industria concordano unanimemente sul fatto che solo la massima collaborazione internazionale può portare all’abbattimento delle barriere commerciali e a un’azione di contrasto del cambiamento climatico. Le discussioni interne alla commissione ci hanno confermato che, per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, il commercio non è solo il problema, ma anche parte della soluzione. La ringrazio molto, signora Presidente.

 
  
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  Georgios Papastamkos, a nome del gruppo PPE-DE. (EL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, l’Unione deve assumere un ruolo di guida – come ha già largamente fatto – nell’adozione di politiche ecologicamente corrette. A tale proposito, il suo contributo è stato essenziale, Commissario Dimas. L’adattamento di tutte le strategie settoriali ai modelli di sviluppo sostenibile è, in qualsiasi caso, un obiettivo normativo primario.

Si ritiene che il rafforzamento del commercio internazionale fornisca un contributo allo sviluppo economico mondiale e, a dire il vero, un beneficio non solo per i paesi industrializzati, ma anche per quelli in via di sviluppo. Tuttavia, il rapido incremento del volume dei flussi transfrontalieri rappresenta una sfida alla politica sul clima. I limiti della relazione antagonistica o di reciproco sostegno tra il sistema commerciale mondiale e le politiche sul cambiamento climatico costituiscono l’oggetto della relazione di cui stiamo discutendo. Purtroppo, in essa emerge uno squilibrio tra componente commerciale e ambientale. Il rapido sviluppo del commercio internazionale dovrebbe essere trattato esclusivamente come fattore che causa stress ambientale. Inoltre, l’adozione di politiche sul clima non è di per sé sufficiente; vi è l’esigenza di un piano generale coerente che rifletta le preferenze ecologiste delle politiche inerenti i trasporti, il commercio, l’industria, l’energia e l’agricoltura. L’Unione deve comunque portare avanti il proprio ruolo di guida a livello mondiale, promuovendolo nelle relazioni commerciali con i paesi extracomunitari.

Onorevoli colleghi, la proposta di risoluzione contiene alcuni punti chiave. Il gruppo del Partito popolare europeo e dei Democratici europei ha deciso che la decisione finale a favore di tale proposta dovrebbe dipendere dall’esito delle votazioni su questi punti.

 
  
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  David Martin, a nome del gruppo PSE. (EN) Signora Presidente, quando si parla di cambiamento climatico, il commercio è spesso considerato parte del problema, ed è vero che alcune forme di scambio non possono essere giustificate. Spedire gamberi scozzesi in Tailandia, perché siano sgusciati e poi riportati in Scozia, è un’assurdità e uno spreco di energia. Tuttavia, come dimostra l’onorevole Lipietz in una relazione ben argomentata, il commercio può anche diventare parte della soluzione. Vi riporto solo tre brevi esempi.

In primo luogo, la definizione europea degli elevati requisiti di efficienza energetica, che trovano applicazione nel campo degli elettrodomestici come frigoriferi, lavastoviglie, forni a microonde e così via, non solo può determinare una riduzione delle emissioni di CO2, ma deve altresì creare le condizioni perché anche in altri paesi siano adottati standard migliori. Per citare un esempio, un unico stabilimento in Cina produce l’80 per cento dei forni a microonde di tutto il mondo. E’ improbabile che intenda applicare una norma per l’Europa e un’altra per il resto del mondo, o persino per il suo mercato interno.

Un secondo esempio, citato dalla commissione per l’industria, è costituito dai cosiddetti “beni verdi” o, per utilizzare la definizione giusta, dai beni e servizi ambientali. Eliminando i dazi sui beni e servizi ambientali, potremo incoraggiare lo scambio di prodotti che aiutino i paesi terzi a ridurre la loro impronta di carbonio, basti pensare per esempio all’esportazione di generatori efficienti sotto il profilo energetico, di tecnologia a onde e pannelli solari. Permettetemi di citare ancora una volta la Cina, che ogni anno aumenta la propria capacità di produzione di energia elettrica in misura equivalente alla capacità totale del Regno Unito. Chiaramente, incoraggiare la Cina a utilizzare la tecnologia più all’avanguardia e più efficiente potrebbe svolgere un ruolo importante nel proseguimento della sua crescita, in quanto potrebbe evitare l’aumento proporzionale della sua impronta di carbonio.

Un terzo ed ultimo ambito sarebbe la comunicazione di dati chiari sull’impatto ambientale dei prodotti, in modo che i consumatori possano compiere scelte informate. Tuttavia, occorre accertarsi che le informazioni siano calcolate e presentate in modo corretto. Le etichette del tipo “Food miles” (i cosiddetti “chilometri alimentari”), attualmente in uso presso alcuni supermercati del Regno Unito, non risultano soddisfacenti e rischiano di fornire informazioni fuorvianti. I fiori provenienti dal Kenya, per esempio, determinano un’impronta di carbonio assai minore rispetto ai più vicini olandesi coltivati in serre riscaldate ma, a colpo d’occhio, l’etichetta farebbe propendere per una conclusione diversa.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk, a nome del gruppo UEN.(PL) Signora Presidente, poiché intervengo in questa discussione riguardante l’impatto del commercio mondiale sul cambiamento climatico a nome del gruppo Unione per lEuropa delle nazioni, vorrei richiamare la sua attenzione sulle seguenti questioni.

In primo luogo, quale leader mondiale dell’impegno a contrastare il cambiamento climatico, l’Unione europea chiede una riduzione compresa tra il 25 per cento e il 40 per cento delle emissioni globali di gas serra entro l’anno 2020. Si dovrebbe ricordare, tuttavia, che lo sviluppo economico dell’Unione europea potrebbe risultare minacciato se essa raggiungesse il suddetto obiettivo principalmente in virtù della propria azione, ma con uno scarso contributo da parte degli altri paesi.

In secondo luogo, le entità economiche che, in Europa, sono sottoposte a varie restrizioni derivanti dall’impegno a ridurre le emissioni dei gas serra, non riescono più a competere con quelle operanti in paesi dove tali restrizioni non si applicano. Molti settori e tipi di produzione hanno cessato di esistere in Europa per effetto della concorrenza sleale di produttori del Sud­est asiatico e nel Sudamerica.

In terzo luogo, a seguito dell’introduzione di limitazioni alle emissioni eccessive di gas serra sul territorio dell’Unione europea, abbiamo assistito allo spostamento delle attività produttive al di fuori dell’Europa, dove non tali limitazioni non esistono. Di conseguenza, in Europa molti posti di lavoro andranno persi per sempre.

In quarto luogo, se non si raggiunge alcun accordo per limitare le emissioni dei gas serra a livello globale, e se l’Unione europea è determinata a procedere per proprio conto, si dovrebbero applicare imposte di compensazione alle frontiere dell’Unione. Ciò dovrebbe valere in particolare per quei settori in cui la competizione è già stata seriamente colpita, perché i costi di produzione non hanno tenuto conto degli oneri ambientali. Laddove possibile, anche la cosiddetta dimensione climatica degli scambi commerciali deve essere presa in considerazione negli accordi commerciali bilaterali tra l’Unione europea e i paesi terzi.

Le stesse disposizioni dovrebbero essere applicate anche alle iniziative finanziate dalla Banca europea per gli investimenti. Qualora giungesse il sostegno di diversi tipi di imprese, tali disposizioni dovrebbero essere attuate anche dagli enti nazionali preposti a garantire i crediti all’esportazione e gli investimenti diretti.

 
  
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  Graham Booth, a nome del gruppo IND/DEM. (EN) Signora Presidente, Al Gore sostiene che il dibattito sul surriscaldamento globale è terminato e che è stata dimostrata, al di là di ogni dubbio, la responsabilità delle attività umane.

In sede di commissione, ho di recente suggerito che la discussione non poteva ignorare l’enorme impatto esercitato dal Sole sul clima della Terra per milioni di anni, e che l’alternanza tra lunghe ere glaciali e brevi periodi interglaciali fosse la spiegazione più plausibile. La mia tesi ha ricevuto un’accoglienza molto ostile.

Tuttavia, il presidente Markov ha sottolineato che non è corretto mettere al bando una posizione solo perché in conflitto con l’attuale ortodossia. Non dimentichiamo che, quando Galileo affermò nel XVII secolo che la Terra ruotava intorno al Sole, fu minacciato di tortura dalla Chiesa cattolica per avere osato contraddire la verità consolidata di un universo geocentrico. Solo nel 1992 la Chiesa ha finalmente ammesso che Galileo aveva ragione.

L’unica CO2, su cui si concentra la discussione in merito al riscaldamento globale, è il quantitativo irrisorio prodotto dalla combustione dei combustibili fossili. Tale volume relativamente modesto rappresenta l’unico apporto moderno che va ad aggiungersi alle enormi quantità costantemente prodotte da tutti gli esseri viventi e dalla decomposizione della materia organica, nonché dall’attività vulcanica.

Prima di rischiare di rovinare le economie mondiali con imposte sulle emissioni di carbonio e analoghi provvedimenti, le chiediamo di riaprire il dibattito e verificare in modo assolutamente inequivocabile chi sia nel giusto.

 
  
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  Daniel Caspary (PPE-DE) . – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, quando ci occupiamo di questo progetto di relazione, dovremmo concentrarci sul vero problema, ossia sul commercio e sul cambiamento climatico.

Nella prima versione, sfortunatamente, il relatore non è riuscito a sviluppare proposte economiche positive e socialmente sostenibili per affrontare il problema. Personalmente, ritengo che la relazione e anche il relatore stesso abbiano fin troppo spesso frainteso cosa realmente s’intenda per commercio e trasporti. Il problema non è il commercio mondiale né la divisione globale del lavoro; il problema non è che, grazie al commercio, anche le aree finora più povere stanno vivendo uno sviluppo economico ma, piuttosto, che i trasporti non siano ancora sufficientemente efficienti ed ecologici. Senza dubbio il nostro problema è che, a causa della povertà o dello scarso benessere in alcune regioni del mondo, molti individui e molti paesi non possono permettersi la protezione del clima necessaria e sensata dal punto di vista economico ed ecologico.

Solo integrando queste aree nel commercio mondiale riusciremo a creare condizioni in cui le popolazioni possano permettersi la protezione dell’ambiente e del clima. Chi è costretto a lottare quotidianamente per la propria sussistenza, non pensa a questi problemi. Solo grazie ad un efficiente commercio globale saremo in grado di vendere le nostre moderne tecnologie in tutto il mondo, apportando così un concreto contributo alla protezione del clima.

Ecco perché, dal mio punto di vista, un incremento del commercio, e non la sua riduzione, rappresenta la soluzione alla questione degli scambi internazionali e del cambiamento climatico.

Sono quindi molto grato all’onorevole collega Georgios Papastamkos per aver introdotto numerosi aspetti importanti nei dibattiti della commissione, e lo sono anche nei confronti del gruppo ALDE per avere presentato vari emendamenti, che vanno in questa direzione, in vista dell’assemblea plenaria di domani.

Desidero concludere con un appello. Purtroppo questa relazione riporta vari punti in cui abbiamo screditato la nostra economia sociale di mercato. Dovremmo trovare il modo di eliminare tali passaggi contrari alla nostra impostazione economica, che ha garantito benessere e sicurezza sociale a tante persone. Sarei molto grato se i gruppi dimostrassero un po’ di creatività in proposito, affinché anche il nostro schieramento possa accordare il proprio voto alla relazione.

 
  
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  Elisa Ferreira (PSE).(PT) Devo iniziare congratulandomi con il relatore per il lavoro minuzioso che ha compiuto su una questione tanto complessa come il rapporto tra commercio e cambiamento climatico. L’Europa ha svolto un ruolo di guida nella lotta contro il peggioramento del cambiamento climatico. Tuttavia, per essere credibile e raggiungere gli obiettivi proposti, deve rafforzare le varie politiche in materia. In particolare la politica commerciale, una delle politiche comuni di più vecchia data dell’Unione, non deve e non può essere dimenticata. L’equilibrio tra ambiente e commercio non è facile da raggiungere né è stato sufficientemente raggiunto, soprattutto nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio.

In seno all’Unione europea, centrare gli obiettivi in materia di cambiamento climatico richiede uno sforzo efficace per ridurre le emissioni di carbonio che, a sua volta, avrà un impatto sulle condizioni di produzione e sui costi di un crescente numero di settori produttivi. E’ tempo di chiederci se, in un mondo dominato dalla competizione globale e posto davanti al problema della sopravvivenza del pianeta, sia sensato che tale sforzo sia compiuto più che altro dall’Europa. E’ accettabile che le emissioni di così tanti settori siano spostate dal suolo europeo verso aree del globo meno protette sotto il profilo ecologico? La violazione dell’ambiente può essere una fonte legittima di concorrenza? Sono accettabili normative di conformità ambientale diverse per i principali beni commerciabili a livello mondiale, a seconda dell’area del globo in cui sono prodotti?

La mia risposta a tutte queste domande è no. Dobbiamo trovare un equilibrio tra ambiente, compreso il cambiamento climatico, e commercio che garantisca uno sforzo collettivo, proporzionale ed equo, senza escludere nessuno, e in particolare i principali partner commerciali globali. Un nuovo equilibrio tra lo sviluppo di vaste zone impoverite del globo e la sopravvivenza del pianeta deve essere rapidamente raggiunto attraverso il dialogo, il mutuo rispetto e la determinazione di affrontare obiettivi convergenti. Lo sforzo deve essere globale e possiamo solo sperare che in dicembre, a Bali, abbia un inizio serio e impegnato.

 
  
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  Stavros Arnaoutakis (PSE). - (EL) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, è vero che le transazioni commerciali a livello europeo e globale sono aumentate notevolmente negli anni recenti. Pur incentivando lo sviluppo economico delle nazioni, l’incremento degli scambi commerciali ha anche un impatto significativo sul cambiamento climatico. Per mio conto, esprimo preoccupazione in merito a questo problema particolare. Dobbiamo decidere come la politica commerciale possa fornire un aiuto positivo alla risoluzione del problema del cambiamento climatico.

L’obiettivo di una riduzione entro il 2020 del 20 per cento delle emissioni dei gas serra è piuttosto ambizioso. Spero che vinceremo la scommessa, perché il costo di perderla sarà enorme. A questo punto, vorrei sottolineare il contributo del Commissario e congratularmi con lui per tutte le iniziative e l’impegno dimostrato in tale direzione.

Occorrono maggiore sostegno e più impegno verso una transizione a mezzi di trasporto più ecologici; la promozione di un’industria più benefica per il clima; lo sviluppo di nuove tecnologie e l’istituzione di disincentivi finanziari per le attività dall’impatto negativo sul clima; l’efficace cooperazione tra le Nazioni Unite, l’Organizzazione mondiale del commercio e l’Unione europea; la continua consultazione e partecipazione della società civile e delle organizzazioni non governative, che operano nel settore ambientale. Il Parlamento europeo dovrà svolgere un ruolo importante. Auspico che dalla Conferenza di Bali, a dicembre, arrivino quei messaggi di ottimismo in cui tutti stiamo sperando.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 29 novembre 2007.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. (FI) Semplificare la politica per la lotta al cambiamento climatico riveste un’importanza vitale ai fini della produttività. La relazione in esame è davvero preziosa e suscita una discussione del tutto necessaria: la politica commerciale deve costituire parte integrante di quella sul clima, perché la crescita degli scambi si traduce in una maggiore quantità di gas serra. D’altro canto, la politica commerciale esplica a sua volta un effetto molto specifico come forma di politica sul clima e, pertanto, può diventare un componente della soluzione.

Prima di tutto, la politica commerciale riveste grande valore nella promozione delle tecnologie ambientali. Il commercio internazionale è uno degli strumenti più efficaci per il trasferimento della tecnologia. Il ruolo dell’Organizzazione mondiale del commercio è importante, perché indispensabile per rimuovere i dazi sui prodotti ecologici e migliorare le regole della proprietà intellettuale. D’altro canto, per esempio, è intollerabile che l’OMC sostenga ancora oggi sovvenzioni ai carburanti fossili che distorcono il mercato, in quanto ostacolano il cammino verso una tecnologia verde.

Vi sono valide ragioni per cui la relazione non tiene in grande considerazione l’esito di Kyoto. Il protocollo di Kyoto è pieno di scappatoie che, di fatto, stanno aggravando la situazione. Le azioni unilaterali distorcono la concorrenza e determinano la fuoriuscita di carbonio. Spostare le emissioni da un luogo all’altro non significa ridurle. Inoltre, la solidarietà verso i popoli dei paesi in via di sviluppo non deve causare la contaminazione del loro ambiente. Kyoto porta allo sfruttamento ambientale. Il cambiamento climatico si configura sempre più come un fenomeno planetario e complesso e, in quanto tale, richiede soluzioni globali. E’ essenziale che tutti i paesi industriali e le economie emergenti s’impegnino obbligatoriamente a formulare un programma altrettanto globale di scambio delle emissioni.

Sono completamente d’accordo con i timori espressi dalla relazione per l’effetto dell’incremento degli scambi sul destino delle foreste. L’UE deve prestare particolare attenzione al rischio costituito dai biocarburanti sui pozzi di assorbimento forestali. D’altro canto, però, non si deve nemmeno permettere che gli obiettivi stabiliti dalla Commissione per le fonti di energia rinnovabili vadano ad accelerare il cambiamento climatico.

 

25. Referendum in Venezuela (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione: Referendum in Venezuela.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. (EN) Signora Presidente, il Consiglio elettorale nazionale ha annunciato che il 2 dicembre 2007 si terrà un referendum popolare sulla proposta di riforma costituzionale presentata dal Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela e dall’Assemblea nazionale. In quell’occasione, il popolo del Venezuela potrà esercitare il proprio diritto democratico di decisione su proposte di modifica che si ripercuoteranno su aspetti importanti della vita politica, istituzionale, economica e sociale del paese.

La Commissione sta seguendo attentamente l’attuale processo di riforma costituzionale in Venezuela, così come in altri paesi della regione. In particolare, sottolinea l’importanza attribuita al fatto che ogni nuova costituzione, o riforma costituzionale, dovrebbe rafforzare la democrazia e lo Stato di diritto. Ritiene altresì che ogni costituzione dovrebbe essere basata su un ampio consenso popolare e riflettere adeguatamente la pluralità e la diversità di ogni nazione. Le costituzioni dovrebbero unire i popoli e non dividerli.

La Commissione sta seguendo con interesse l’intenso dibattito che si sta svolgendo sulla riforma costituzionale in Venezuela. Essa ha osservato che alcuni settori della società venezuelana sono favorevoli alle modifiche proposte, ma prende anche atto della forte opposizione espressa da altri. Questi ultimi manifestano preoccupazioni, in particolare per quanto riguarda gli aspetti della riforma che a loro parere – una volta approvati – determinerebbero una maggiore concentrazione di poteri nelle mani del Presidente, un indebolimento dei meccanismi di controllo democratico e delle istituzioni esistenti, nonché una minaccia al pluralismo democratico. Altri ritengono che ciò che viene proposto vada al di là di una semplice riforma ed implichi la modifica della struttura fondamentale dello Stato.

La Commissione è consapevole della situazione, a cui sta dedicando la debita attenzione. Da un lato, ritiene che il popolo del Venezuela dovrebbe pronunciarsi in prima persona sulla proposta di riforma, dall’altro sottolinea l’importanza attribuita a una campagna elettorale condotta in modo aperto e in uno spirito di rispetto reciproco. Essa esprime anche l’auspicio che il referendum si svolga in un’atmosfera serena e all’insegna della trasparenza.

Per inciso, la missione di osservazione elettorale, inviata dall’Unione europea per le ultime elezioni presidenziali in Venezuela, ha ritenuto che il processo elettorale fosse generalmente conforme alle norme internazionali e alla legislazione nazionale, e ha sottolineato il clima tranquillo in cui si sono svolte le consultazioni.

 
  
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  Francisco José Millán Mon, a nome del gruppo PPE-DE.(ES) Signora Presidente, tutto il continente americano è vicinissimo all’Europa in termini di valori, ideali, visione del mondo e individui, dignità e diritti. Nella mia concezione, ciò che definiamo Occidente comprende chiaramente anche l’America latina.

Negli anni recenti sono emerse alcune tendenze positive nell’intera America latina, che l’hanno avvicinata ancora di più all’Europa: elezioni pluraliste e consolidamento democratico, crescita con politiche economiche più bilanciate e aperte, processi di integrazione regionale e accordi molto importanti con l’Unione europea.

Tuttavia, vi sono eccezioni in questo panorama positivo: oltre a Cuba, che ormai non è più una novità, sta ora emergendo il Venezuela. Il paese sta vivendo un processo di crescente autoritarismo che limita le libertà, l’opposizione è minacciata e si sta creando paura tra la gente, che teme di non potere più esprimere il voto in segreto. Quest’Aula esprime rincrescimento per la chiusura di Radio Caracas Televisión, avvenuta lo scorso maggio.

Domenica un referendum costituzionale sarà frettolosamente tenuto allo scopo di introdurre un regime autoritario ed esclusivo, che propone di instaurare il cosiddetto “Socialismo del XXI secolo”. Una persona fino a poco tempo fa molto vicina al presidente Chávez ha persino definito il processo come “colpo di Stato”. Mi dispiace che una missione di osservazione elettorale dell’Unione europea non sia stata ufficialmente invitata.

Ma c’è di più: questo referendum si svolge in un clima di violenza e tensione, che è persino costato la vita ad alcuni studenti dell’opposizione. Negli ultimi anni l’insicurezza fisica e giuridica, i rapimenti e le occupazioni di terreni hanno registrato un aumento. Di conseguenza, solo citare un esempio, molti dei miei compatrioti galiziani hanno lasciato il paese a un ritmo medio di mille persone all’anno da quando il Presidente Chávez è salito al potere.

Incoraggiato dagli elevati prezzi del petrolio, il Presidente Chávez sta cercando seguaci e alleati in altri paesi, sta facendo molto rumore nei forum internazionali e sta intervenendo nelle questioni di sovranità dei paesi vicini. Come ha dichiarato il Presidente Uribe, il Presidente Chávez vuole accendere la miccia del continente. Il suo atteggiamento è un problema per la stabilità democratica del Venezuela e per i processi di armonia e integrazione nell’America latina nel suo complesso. Sta inoltre distruggendo le relazioni tra i paesi del continente e l’Unione europea, che si erano ampliate nell’ultimo decennio.

Considerando il Vertice che si terrà prossimamente a Lima, l’atteggiamento del Presidente Chávez costituisce una seria sfida che l’Unione europea e i suoi Stati membri devono considerare attentamente.

 
  
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  Luis Yañez-Barnuevo García, a nome del gruppo PSE.(ES) Signora Presidente, la prima cosa che dobbiamo fare in questo Parlamento, conformemente alla nostra tradizione di rispetto e non-interferenza, è di non infiammare ulteriormente la situazione con le nostre parole, sia sui nostri continenti che nei paesi terzi.

L’onorevole Millán Mon ha ragione nell’affermare che l’America Latina ha compiuto negli ultimi anni un processo di sviluppo molto positivo, sul fronte politico – poiché la vasta maggioranza dei suoi paesi è democratica – dal punto di vista economico e, seppure in misura più modesta, sociale.

L’Europa vi ha estesamente contribuito attraverso le sue aziende, i suoi investimenti e in particolare i suoi aiuti allo sviluppo, che sono i più cospicui del continente.

Dato il contesto generale, non direi che il Venezuela costituisce un’eccezione, ma piuttosto che esiste una situazione particolare dovuta alla personalità, altrettanto particolare e unica nel suo genere, del Presidente Chávez. Tuttavia, non si deve dimenticare – specialmente non in un’istituzione democratica come questa – che il Presidente Chávez è stato rieletto tre volte a larga maggioranza e senza sospetti fondati di brogli elettorali.

In questo circostanze – badate bene che non stiamo parlando di dittatura – dobbiamo procedere con cautela, cercare di intensificare il dialogo tendendo la mano dell’amicizia e anche incoraggiare questo paese, che è palesemente fratturato e diviso, a impegnarsi nel dialogo interno, in un’opera di consenso e riconciliazione. Dobbiamo agire nella consapevolezza che un paese non può essere trasformato con una maggioranza di appena il 60 per cento o il 40 per cento, e che le regole del gioco non possono essere cambiate senza un vasto consenso che coinvolga almeno il 70 per cento o l’80 per cento della popolazione, com’è successo in altre realtà intorno a noi e nel nostro vecchio continente, nell’Unione europea.

Ammettiamo che la situazione interna sia molto preoccupante per le ragioni che ho descritto: la deriva o il sospetto di deriva verso l’autoritarismo; la concentrazione dei poteri; la conseguente perdita della divisione dei poteri, e quindi anche la riduzione della libertà d’espressione tramite uno strumento poco noto in Europa, il cosiddetto “en cadena”, che consente al Presidente o a uno dei suoi ministri di disporre, in qualsiasi momento, la trasmissione dei suoi messaggi a reti radiofoniche e televisive unificate, con trasmissioni di durata ben superiore a qualche minuto. Infatti, in casi eccezionali possono continuare per diverse ore al giorno. In un paese, dove si leggono pochi quotidiani e la radio e la televisione sono i principali media, questa è effettivamente una situazione problematica.

Tuttavia insisto – e termino a questo punto – che dobbiamo essere prudenti di fronte a questo referendum, offrire il dialogo, tendere la mano dell’amicizia e cercare di mediare tra le due fazioni opposte in Venezuela.

 
  
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  Marios Matsakis, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signora Presidente, il Venezuela è un paese di eccezionale bellezza naturale ed è molto ricco di materie prime. Possiede alcuni dei maggiori giacimenti di petrolio, carbone, ferro e oro del mondo. Nonostante le sue ricchezze naturali, la maggioranza dei venezuelani è rimasta molto povera, e ancora troppe persone vivono in condizioni di terribile indigenza. Solo un’esigua minoranza, appartenente a una ricca élite, ha tratto beneficio dalla ricchezza del paese.

In queste condizioni di evidente disuguaglianza sociale, non c’è da meravigliarsi che politici populisti come Hugo Chávez siano riusciti ad imporsi come salvatori dei poveri. Non stupisce nemmeno che il programma di nazionalizzazione del Presidente Chávez sia stato accolto favorevolmente dalla maggior parte dei venezuelani. Essi hanno ravvisato in lui la persona che li avrebbe riscattati dalla miseria della povertà e della privazione.

Lo stesso ragionamento vale per l’imminente referendum sulla riforma costituzionale. Sono certo che otterrà la necessaria approvazione popolare e che sia ormai troppo tardi per modificare l’opinione pubblica. Pertanto, ciò a cui in buona sostanza assisteremo dopo il 2 dicembre sarà l’ascesa di un altro Fidel Castro. Sembra proprio che, mentre un leader totalitario sta tramontando a Cuba, ne stia nascendo un altro in Venezuela. Tuttavia, pur diagnosticando questa triste realtà, dovremmo forse chiederci se anche noi in Occidente non siamo in qualche modo responsabili di come stanno andando le cose in Venezuela.

Dobbiamo fare questa riflessione non solo per assicurare teoricamente la nostra correttezza morale e politica, ma anche per evitare, nella pratica dei fatti, che simili eventi si ripetano in futuro. Purtroppo, è evidente che negli ultimi anni abbiamo commesso molti errori gravi nei nostri rapporti con il Venezuela. Hugo Chávez è giunto al punto attuale anche grazie al nostro aiuto, alla nostra politica estera fatta di omissioni e avalli. Pertanto, pensando a come trattare con lui in futuro, dobbiamo anzitutto porgere le nostre scuse al popolo venezuelano.

 
  
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  Alain Lipietz, a nome del gruppo Verts/ALE.(FR) Intervengo in qualità di presidente della delegazione per le relazioni con i paesi della Comunità andina. Nell’ambito della mia funzione, visito il Venezuela una o più volte all’anno.

Da quando ho iniziato ad andare in quel paese, in altre parole dal colpo di stato militare tentato contro il Presidente Chávez, sento i media venezuelani gridare contro il Presidente e contro la dittatura. Negli hotel dove ho soggiornato, nonostante avessero tre, quattro o persino cinque stelle, non era consentito guardare la televisione pubblica, e comunque non è sempre possibile farlo perché il segnale è normalmente disturbato. I generali autori del colpo di stato passeggiano ancora tranquillamente nella piazza principale di Caracas, e il presidente Chávez, legalmente eletto e rieletto per altre due volte, non ha mai alzato un dito contro di loro.

Il Venezuela è uno dei paesi che sta cercando di affrontare, nel modo più pacifico possibile, i conflitti di normale amministrazione ormai in tutta l’America Latina. Non sono pienamente entusiasta di tutte le modiche che il presidente Chávez ha cercato di apportare alla costituzione boliviana. Tutto ciò premesso, come ha già dichiarato l’onorevole Matsakis, è il popolo venezuelano che dovrà decidere.

Possiamo certamente scusarci se abbiamo dato l’impressione di sostenere il colpo di stato militare. E’ vero che tale fatto ha contribuito a radicalizzare il regime in Venezuela. Tuttavia ritengo che, prima di qualsiasi altra cosa, dovremmo rispettare la decisione del popolo venezuelano.

 
  
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  Willy Meyer Pleite, a nome del gruppo GUE/NGL.(ES) Signora Presidente, vorrei chiedere alla destra europea di non intromettersi più nel Venezuela.

Alla destra europea non piace Cuba perché non tiene elezioni, e nemmeno il Venezuela per la ragione opposta. In realtà, il Venezuela è uno dei paesi dell’America latina che ha tenuto il maggior numero di consultazioni elettorali, tutte supervisionate dall’Organizzazione degli Stati americani, dall’Unione europea e da fondazioni prestigiose come il Centro Carter.

Onorevoli colleghi della destra, ciò che non gradite è il sistema. Smettete di immischiarvi e rispettate il popolo sovrano che sta esercitando la propria volontà e che continuerà a farlo. Non dovremmo anticipare gli eventi. Non abbiamo forse convenuto in seno alla Commissione europea, come ha dichiarato il Commissario Dimas, che le ultime elezioni territoriali si sono svolte all’insegna della massima correttezza?

Onorevoli colleghi della destra, dobbiamo aspettare, vedere e rispettare il pronunciamento del popolo venezuelano, senza interferire in alcun modo.

 
  
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  José Ribeiro e Castro (PPE-DE).(PT) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, nel 1848 Carlo Marx proclamò il socialismo del XIX secolo, e fu un disastro. Nel 1917 Lenin, con la Rivoluzione russa, proclamò il socialismo del XX secolo, e fu un altro disastro. Vari deputati di quest’Aula sono usciti dal disastro per unirsi a noi in libertà. Il problema del socialismo del XXI secolo, proclamato dal Presidente Chávez in Venezuela, è che questo secolo è soltanto all’inizio e non sappiamo cosa succederà. Tuttavia, possiamo immaginare che, come nel XIX e nel XX secolo, anche questa volta sarà un disastro.

Lo vediamo sfociare di fatto nella violenza. Non sono le elezioni che ci preoccupano; è la violenza brutale perpetrata dalle autorità contro gli studenti venezuelani, che protestano perché non viene loro riconosciuto il diritto di dimostrare. Negli ultimi giorni, alcuni di loro hanno perso la vita nelle strade di Caracas e in altre città. Sono le minacce alla libertà di espressione che preoccupano i giornalisti indipendenti e liberi di tutta l’America Latina, e soprattutto del Venezuela, e che hanno portato alla chiusura di Radio Caracas Televisión.

Questa è la linea che ci preoccupa, e con ragione perché, nella riforma costituzionale proposta dal presidente Chávez, parole come “decentramento”, “iniziativa privata”, “libertà di concorrenza” e “giustizia sociale” hanno ceduto il posto a termini come “Socialismo”, “Socialista”, “imposizione dello Stato socialista”, “eliminazione dell’indipendenza della Banca centrale” e “potere del popolo”. E’ risaputo in tutto il mondo che, quando si utilizza l’espressione “potere del popolo”, il realtà il popolo ne sarà privato e la democrazia sarà distrutta. Ciò è successo dovunque tale espressione sia stata impiegata. “Forze armate boliviane”, “comuni”, questa è la linea che ci dovrebbe preoccupare, che ha seminato instabilità e violenza negli ultimi anni e mesi per le strade di Caracas, e che rappresenta una minaccia alla stabilità regionale, se ciò che è accaduto nelle relazioni tra Venezuela e Colombia dovesse continuare. Ecco perché è essenziale che monitoriamo da vicino gli eventi del Venezuela non solo in solidarietà con i partiti democratici e la società civile, che combatte per la stabilità regionale e la strenua difesa della democrazia, ma anche con grande coesione nella diplomazia dell’Unione europea.

 
  
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  Alojz Peterle (PPE-DE). - (SL) Oggi abbiamo sottoscritto la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, esprimendo il nostro impegno a rispettare la dignità umana, i valori democratici e lo Stato di diritto. Ciò che ha costituito la base per la brillante crescita interna dell’Unione europea è anche il punto di partenza per sviluppare relazioni con i nostri partner in tutto il mondo.

L’Unione europea nel suo complesso vuole una coooperazione più stretta e stabile con i paesi dell’America Latina, senza dimenticare le loro interconnessioni regionali. Considerando la natura specifica e i veri interessi dei paesi dell’America Latina, riteniamo che solo in questo modo sia possibile costruire relazioni strategiche a lungo termine con le realtà che con noi condividono gli stessi valori e principi fondamentali.

In Venezuela, lo sviluppo politico ha recentemente deviato da questo corso. Sta minando la dinamica e l’entità della futura cooperazione tra America latina e Unione europea, nonché la dinamica dell’integrazione all’interno dell’America latina stessa. Il referendum costituzionale sta polarizzando il Venezuela, perché le nuove proposte si concentrano sul potere politico e non condurranno a una società aperta, ideologica e democratica. Crediamo nella società sociale, non in quella socialista, perché esclude chi la pensa diversamente.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Incredibile! Il Parlamento europeo ha messo all’ordine del giorno una dichiarazione della Commissione sulla riforma costituzionale prevista per il 2 dicembre nella Repubblica Bolivariana del Venezuela, quando ciò che invece dovrebbe figurare nel programma dei lavori è una discussione sul tentativo di negare a tutti i popoli degli Stati membri dell’UE il diritto a essere consultati, mediante referendum, sul cosiddetto Trattato “costituzionale”, “mini”, “semplificato”, “riformato” o adesso di “Lisbona”.

In buona sostanza, l’inserimento di questa discussione nell’ordine del giorno rappresenta un tentativo di rispondere a coloro che sostengono e promuovono una politica inaccettabile ed estremamente seria di interferenza e tentata destabilizzazione di uno Stato sovrano, specialmente quando si tratta di un processo su cui soltanto il popolo venezuelano può decidere, esprimendo la propria opinione in un referendum (!) sull’emendamento della propria costituzione nazionale.

Senza dubbio, il Governo e il popolo venezuelano costituiscono un esempio di ciò che preoccupa i principali interessi economici e finanziari costituiti nell’Unione europea: un esempio di affermazione della sovranità nazionale e dell’indipendenza; un esempio di realizzazione di un programma per l’emancipazione patriottica e lo sviluppo; un esempio di solidarietà internazionale e anti-imperialista; un esempio di ciò per cui vale la pena combattere, ossia la possibilità di realizzare un paese e un mondo più giusti, democratici e pacifici.

 

26. Ordine del giorno della prossima seduta: vedi verbale

27. Chiusura della seduta
  

(La seduta è tolta alle 00.05)

 
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