Frank Vanhecke (NI). - (NL) Signor Presidente, la relazione Leinen mette ancora più in evidenza il nocivo sistema di self-service che questa Unione europea sta sviluppando in tutti i partiti politici. A mio avviso, è tipico che addirittura le campagne elettorali a livello europeo siano ora finanziate dal contribuente, campagne che sono ovviamente lanciate a nome dei partiti europeisti in quanto, come sappiamo, lo sbarramento è impostato appositamente in alto e per gli euroscettici è di fatto impossibile soddisfare i criteri per il finanziamento. Si tratta dell’ennesimo caso di furto fiscale mascherato e spacciato in quest’Aula per democratizzazione. Coloro che si sono serviti da soli e si sono serviti del denaro del fondo comunitario sono le stesse persone che hanno rifiutato apertamente un referendum democratico in Francia, nei Paesi Bassi e precedentemente in Danimarca, e che continuano a rifiutarlo ancora oggi. Sono le stesse persone secondo le quali i nostri cittadini non hanno il diritto di esprimere la propria opinione sull’adesione o meno della Turchia all’UE. Per l’amor del cielo, facciamoli smettere di parlare di democratizzazione e facciamoli smettere di spacciare la loro sete di denaro per desiderio di aiutare la società.
Philip Claeys (NI). - (NL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Roure per diversi motivi basilari. Uno di questi è il fatto che gli Stati membri sono perfettamente in grado di assicurare la tutela contro il razzismo con le proprie leggi. In altre parole, l’azione dell’UE a tal proposito non è sostanzialmente in linea con il principio di sussidiarietà e la direttiva quadro costituisce a sua volta un attacco alla libertà di espressione. Se da un lato è accettabile lottare contro il razzismo, ovvero quel razzismo che si fonda su un uso specifico della violenza o su un incitamento a compierla, dall’altro non è accettabile che questo concetto sia confuso con un legittimo discorso pubblico, quale ad esempio l’opposizione all’immigrazione di massa o all’islamizzazione o la difesa dell’identità nazionale.
Jean-Louis Bourlanges (ALDE). – (FR) Signor Presidente, come tutti gli onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione dell’onorevole Roure relativa alla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale. Il mio voto è stato determinato innanzitutto dal fatto che ne approvo gli orientamenti, ma anche dalla posizione del relatore e della commissione per le libertà civili che hanno proposto una relazione orientata alla tutela della libertà di pensiero, di ricerca e di espressione. Ogni decisione di questo tipo comporta un rischio e cioè quello di dare a un’autorità politica il diritto di dire alle persone ciò che è lecito pensare, dire o scrivere.
Nel mio Paese, abbiamo assistito ad alcune leggi poco opportune: l’onorevole Gollnisch, ad esempio, voleva far inserire nei programmi scolastici dei riferimenti adulatori all’azione coloniale della Francia. In modo ancora più astuto, alcune leggi estremamente chiare, quali quella dell’onorevole Taubira, sono state mal interpretate o sfruttate per portare avanti procedimenti penali ingiustificati contro opere storiche la cui obiettività, rigore intellettuale e qualità accademica in generale erano stati universalmente accolti dagli storici.
L’opinione che abbiamo adottato pare poter prevenire abusi di questo genere, in primo luogo, perché riconosce formalmente la libertà di espressione quale diritto fondamentale e, in secondo luogo, perché la decisione quadro non ha lo scopo di punire eventuali commenti, analisi o opinioni, bensì l’istigazione all’odio che è un concetto completamente diverso. Ci auguriamo che tutti gli Stati membri e i gruppi politici possano adottare lo stesso approccio saggio ed equilibrato come ha fatto il nostro relatore.
Koenraad Dillen (NI). - (NL) Signor Presidente, io ho votato contro la relazione Leinen sul finanziamento dei partiti politici a livello europeo in quanto non è accettabile che i fondi europei vengano destinati ad associazioni politiche europee esistenti discriminando quindi quei gruppi che non avvertono la necessità di organizzarsi a livello europeo. Considero inoltre alquanto cinico il fatto di presentare il finanziamento europeo per le campagne elettorali e per ogni sorta di fondazione politica europea come un rafforzamento della democrazia in Europa. Perché, come appena sostenuto dall’onorevole Claeys, qui succede che i partiti coinvolti sono esattamente quelli che ci hanno sempre detto di ignorare l’astensionismo di Francia e Paesi Bassi in merito alla Costituzione europea e di continuare semplicemente con il processo di ratifica, e sono quegli stessi partiti che non si sono nemmeno mai espressi chiaramente sulla questione di un referendum per l’adesione della Turchia. E questo rappresenterebbe dunque un rafforzamento della democrazia in Europa. Ma il finanziamento, chiaramente, è appropriato solamente per quei partiti la cui idea di Europa è politicamente corretta. Ecco il motivo per cui ho votato contro.
Frank Vanhecke (NI). - (NL) Signor Presidente, dato che ho già ampiamente criticato la prima relazione dell’onorevole Leinen, vorrei semplicemente far eco all’opinione dell’amico Philip Claeys che ha in effetti risposto adeguatamente all’inconsueto commento dell’onorevole Bourlanges. Le nozioni di razzismo da un lato e di legittimo discorso pubblico dall’altro si stanno confondendo completamente. Questo appare evidente dai commenti del Centro europeo di monitoraggio del razzismo che sostiene che l’islamofobia è una nuova forma di discriminazione e che la risposta alle vignette danesi è una normativa contro la blasfemia. Nel momento in cui sappiamo che il discorso pubblico normale inerente l’islam e l’islamizzazione può essere interpretato come istigazione all’odio nei confronti dei musulmani, ciò diventa estremamente pericoloso. Per tutti questi vari motivi, consideriamo l’intero discorso inaccettabile e abbiamo votato contro entrambe le relazioni Leinen e Roure.
Philip Claeys (NI). - (NL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Leinen in quanto le norme sul finanziamento dei partiti a livello europeo, che già giudicavo inaccettabili in sé, si stanno allargando. Per qualificare, è necessario applicare non solo criteri numerici ma anche ideologici con la conseguenza che i partiti controcorrente non avrebbero nessuna possibilità. I partiti e gruppi costituiti decidono chi riceverà il finanziamento e non c’è nemmeno una disposizione che permetta di far appello contro queste decisioni.
Dobbiamo anche essere consapevoli del processo decisorio rampicante o tipica “tattica del salame” messa qui in atto. Il principio del finanziamento ai partiti a livello europeo era stato cautamente sollevato qualche anno fa e, all’epoca, era stato espressamente deciso che il denaro non doveva servire a finanziare le campagne elettorali. E ora? Le campagne elettorali verranno finanziate in ogni caso. E, in aggiunta a questo, il denaro verrà destinato a ogni sorta di fondazione politica. Alla luce di queste circostanze, Signor Presidente, comprenderà il motivo per cui ho votato contro questa formula di self-service.
Sylwester Chruszcz (NI). - (PL) Signor Presidente, oggi ho votato a favore dell’adozione della risoluzione della situazione in Georgia e desidero esprimere la mia forte preoccupazione per quanto accaduto recentemente a Tbilisi e per la violenza da parte delle forze di sicurezza.
La situazione in questa regione necessita di un dialogo tra tutte le parti, compresi i leader dell’opposizione. La comunità internazionale, alla quale fanno parte l’Unione europea e la Federazione Russa, deve fare il possibile per garantire che le prossime elezioni in Georgia si svolgano in modo democratico nel rispetto dei diritti umani e della libertà dei mezzi d’informazione.
Mi ha comunque sorpreso vedere che i membri del gruppo UEN hanno chiesto di eliminare una frase nel paragrafo C relativa alla liberazione delle persone considerate prigionieri politici.
Signor Presidente, credo non abbiate sentito il mio nome correttamente all’inizio, dopo l’introduzione più lunga. Per questo motivo non ero sicuro che mi fosse già stata data la parola.
Jaroslav Zvěřina (PPE-DE). – (CS) Non condivido l’entusiasmo per questo testo che prevale qui in linea generale. A mio avviso, i dieci comandamenti di Dio, che Mosè ha trasmesso al mondo molto tempo fa, devono essere considerati validi nel campo dei diritti dell’uomo e, ovviamente, devono essere ritenuti validi anche i contenuti della Dichiarazione delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo.
Il nostro più grande valore dev’essere la libertà dell’individuo che deve essere limitata solamente per prevenire che la stessa prevarichi quella degli altri. Nello specifico, alcune disposizioni inerenti i diritti sociali non sono qui definite chiaramente e risultano di difficile interpretazione. Questo riguarda principalmente i provvedimenti relativi alla non discriminazione e quei diritti quali il diritto palese degli anziani di partecipare alla vita sociale e culturale. Sono convinto che le verità palesi non dovrebbero avere nulla a che vedere con i mezzi legislativi. Il provvedimento inerente ai diritti dei lavoratori finisce col creare problemi piuttosto che principi chiari.
A mio avviso, l’Unione europea non è semplicemente un bacino di operai in affitto. Per questo motivo, se non si dà sufficiente attenzione alla tutela della proprietà privata e ai diritti dei proprietari e delle imprese, la Carta opera in modo poco equilibrato. Sono giunto alla conclusione che l’esistenza di questa carta non è fondamentalmente essenziale alle nostre vite.
Seán Ó Neachtain (UEN). – (GA) Signor Presidente, io voto a favore di questa relazione in quanto credo fermamente che il Trattato di riforma, altrimenti detto Trattato di Lisbona, dia statuto giuridico alla Carta dei diritti fondamentali con i suoi 54 diritti individuali compresi il diritto alla vita, la proibizione della tortura, l’uguaglianza davanti alla legge, il rispetto della vita familiare e il diritto alla giustizia.
Credo che la maggior parte della popolazione in Irlanda sia a favore di questa Carta, così come lo è il governo, considerando che la Costituzione europea è stata approvata un paio di anni fa.
Signor Presidente, in Irlanda saremo chiamati a indire un referendum sulla riforma europea, ovvero sul Trattato di Lisbona, e se questo va a buon fine, dovremo preparare una campagna chiara, trasparente, visibile e professionale. Credo che il voto favorevole degli irlandesi dipenderà molto dall’azione intrapresa dall’Europa per garantire il pieno rispetto dei diritti dell’uomo nel Trattato.
Kathy Sinnott (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, l’articolo 3(d) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione consente la clonazione a scopo terapeutico, vietando solamente quella a scopo riproduttivo. Tale affermazione contrasta con la Dichiarazione sulla clonazione umana emessa dalle Nazioni Unite l’8 marzo 2005 in cui veniva riconosciuta la necessità di vietare ogni forma di clonazione umana. La clonazione, qualunque sia lo scopo per cui viene fatta, distrugge esseri umani allo stato embrionale e io non posso votare a favore di questo. Avrei voluto sostenere l’articolo 26 inerente ai diritti di inserimento delle persone con disabilità.
Frank Vanhecke (NI). - (NL) Signor Presidente, non voglio che ci sia qui alcun fraintendimento. Il fatto che io abbia votato contro la relazione di Leinen sui diritti dell’uomo non significa che io non voglia che i cittadini europei abbiano più diritti e libertà fondamentali, anzi. Mi sono spesso espresso a favore della libertà di espressione e contro le leggi che puntano ad ammutolire i cittadini, sia dentro che fuori quest’aula. Ma il punto è che questa relazione non riguarda le libertà fondamentali. I cittadini europei, fortunatamente, godono già di molti diritti e libertà estremamente fondamentali con i quali far fronte agli abusi nel loro stesso paese e a livello di Unione europea. Ho espresso un voto contrario in quanto il rendere questa Carta vincolante costituisce di fatto un enorme passo avanti a favore di un’Europa federale. Io sono a favore dell’Europa come confederazione di nazioni libere e, di conseguenza, ho votato contro questa relazione sui diritti fondamentali senza, naturalmente, essere contrario ai diritti basilari in sé.
Mario Borghezio (UEN). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, sette ore passate nei sotterranei in una cella del Palazzo di giustizia belga, grazie al sindaco di Bruxelles e al silenzio delle competenti autorità, mi hanno fatto riflettere molto sui diritti fondamentali.
Io punto il dito, e per questo la delegazione della Lega Nord ha votato contro la Carta dei diritti, sulla scarsa attenzione che vi è stata in ordine ai pericoli insiti nell’articolo 10. Nulla quaestio sulla libertà di religione, ma la libertà dei riti, senza limiti? I limiti che nella Costituzione del mio paese in Italia ci sono: limiti della decenza pubblica, della sicurezza e dell’ordine pubblico.
L’Unione europea sa che vi sono episodi di antropofagia? Sa che cosa sono i riti voodoo? Credo che abbiano fatto bene i colleghi fiamminghi a ricordare con parole chiare l’ambiguità di questi testi che l’Unione europea emette per esempio contro l’islamofobia. Ma non si parla mai della cristianofobia, del razzismo anti-bianco. Sono fenomeni reali e allora l’Unione europea dovrebbe badare anche a questi rischi e a questi pericoli e tutelare i cittadini autoctoni, la sua cultura e le sue tradizioni, l’identità dei popoli europei, se vogliamo l’Europa dei popoli, e non l’Europa che diventa un melting pot, nel quale non vengono tutelati veramente i diritti fondamentali.
Noi ne siamo testimoni, noi che siamo stati sbattuti in galera nel silenzio dell’Europa per aver difeso le nostre idee e i diritti dei cittadini europei.
Francesco Enrico Speroni (UEN). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io ho votato contro la relazione sulla Carta dei diritti fondamentali, non certo perché io sia contrario a questi diritti, ma per sottolineare un’ambiguità, un pericolo insito proprio nella formulazione di questi diritti, in particolare – come ha già ricordato il collega Borghezio – all’articolo 10, dove la libertà di culto religioso, di pratiche e di riti religiosi non incontra nessun limite.
Quindi potrebbero benissimo essere autorizzate, essere praticate appunto delle pratiche sataniche, dei riti voodoo, dei riti contrari all’ordine pubblico, contrari al buon costume, contrari ad altri diritti che però qui non trovano alcun limite. Un eventuale ricorso alla Corte di giustizia del Lussemburgo, stando alla lettera del testo, non potrebbe far altro che dar ragione a chi praticasse questi riti, contrari a certe tradizioni ma anche al buon senso.
Georgios Papastamkos (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, in questa miniseduta plenaria, il gruppo PPE-DE ha deciso di esprimersi a favore della relazione Lipietz sul commercio e il cambiamento climatico. La relazione risulta valida e si concentra su molte delle preoccupazioni che tutti condividiamo. In ogni caso, abbiamo deciso di esprimere parere contrario su alcuni emendamenti ai paragrafi, in quanto siamo convinti che il surriscaldamento globale debba essere affrontato con misure sostenibili che non vadano a influire negativamente sulla crescita economica o sulle prospettive a lungo termine del modello sociale europeo.
In qualità di gruppo politico, siamo molto sensibili alla questione del cambiamento climatico. L’Unione europea ha dato l’esempio nel proporre soluzioni ad ampio raggio su come far fronte al cambiamento climatico. Siamo convinti che le proposte dell’Unione siano diventate il punto di riferimento di ogni discussione futura, e crediamo che le stesse siano compatibili con il nostro modello economico.
Riteniamo che il commercio mondiale sia stato d’aiuto all’economia mondiale, ma al contempo riconosciamo la necessità di fare qualcosa in più, in particolare nel settore dei trasporti in modo da ridurre le emissioni nocive. Ciononostante, il commercio mondiale in quanto tale non deve essere intaccato.
Brian Simpson (PSE), per iscritto. - (EN) Voterò a favore di questa relazione in quanto consente infine agli Stati membri e, in particolare al Regno Unito, di continuare a servirsi di misure imperiali.
Personalmente, prediligo il sistema metrico, ma ci sono degli spazi in cui il tipo di lavoro da svolgere impone l’utilizzo di unità di misura del sistema imperiale. Non mi riferisco alla vendita di ortaggi, ma a professioni quali il rinnovo dei mezzi di trasporto di interesse storico e protetto e, in particolare, delle ferrovie storiche.
Vorrei sottolineare che non tutti, nel Regno Unito, si servono delle unità di misura del sistema imperiale. Il gioco del rugby ha iniziato a usare il sistema metrico anni fa.
Peter Skinner (PSE), per iscritto. - (EN) E’ ora evidente che, nonostante i più deplorevoli tentativi da parte di alcuni di denigrare l’Unione europea per la questione delle unità di misura, l’UE è riuscita a gestire la questione in modo pratico. Da qualche tempo, i cittadini britannici utilizzano le unità di misura imperiali in concomitanza con il sistema metrico. Sebbene le scuole facciano oggi riferimento al sistema metrico e molti siano cresciuti con queste unità di misura, il principio di utilizzo delle misure imperiali resta vivo per molti altri. Questa posizione è accolta e dovrebbe tranquillizzare chi era rimasto confuso da rapporti stampa precedenti che indicavano il contrario.
David Martin (PSE), per iscritto. - (EN) Il Libano è oggi uno dei paesi più indebitati al mondo e la garanzia di un’assistenza macrofinanziaria da parte dell’UE è pienamente giustificata. In ogni caso, devono essere messe in chiaro delle condizioni che assicurino che le finanze dell’UE siano propriamente calcolate e che la frode o la cattiva gestione vengano trattate con tolleranza zero. E’ opportuno notare come ancora una volta sia l’UE a pagare il conto per gli attacchi di Israele ai paesi confinanti.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Dobbiamo garantire che la giustizia in Europa non rimanga ristretta nei confini nazionali che di fatto sono già scomparsi fisicamente tra gli Stati membri.
E’ fondamentale garantire un trattamento paritario per tutti i cittadini dell’UE, qualunque sia la loro nazionalità o il paese di residenza. Una persona indagata non residente nella Stato in cui si tiene il processo non deve ricevere un trattamento diverso da quello riservato all’indagato ivi residente.
Attualmente le misure cautelari non detentive non possono essere recepite o trasferite tra gli Stati membri in quanto non vi è un reciproco riconoscimento di tali misure. Questo fatto ostacola la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli.
Per questo motivo, sono a favore di questa proposta di decisione quadro sull’ordinanza cautelare europea nel corso delle indagini preliminari che dovrebbe consentire il riconoscimento delle ordinanze cautelari adottate durante le indagini preliminari, permettendo agli indagati di tornare allo Stato membro dove sono residenti durante la fase di indagine preliminare.
Questo riduce l’ambito di applicazione degli arresti (specialmente nei casi di reati minori) e incoraggia al contempo una cooperazione giudiziaria più efficace.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Come in precedenza, questa decisione quadro del Consiglio sull’ordinanza cautelare europea nel corso delle indagini preliminari tra gli Stati membri, che la relazione del Parlamento europeo ha appena approvato, è parte di un tentativo di rafforzare e portare a realizzazione uno “spazio comune europeo di giustizia” sulla scia dei programmi di Tampere e dell’Aia che miravano a “un’Europa senza frontiere (interne)”.
Tra gli altri aspetti, la proposta di una decisione quadro e la relazione sono a favore dell’estensione dell’uso del mandato d’arresto europeo per coprire tutti i reati (senza stabilire una soglia).
Queste e altre misure programmate hanno lo scopo di estendere l’ambito di applicazione per l’armonizzazione del diritto penale nei vari Stati membri dell’UE, di rafforzare la natura federalista dell’Unione Europea e di far progredire e attingere forza dal Trattato di “riforma” che toglie dagli Stati nuovi spazi di giurisdizione nelle questioni giuridiche e private.
Patrick Gaubert (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Dopo più di cinque anni di negoziazioni, il Consiglio ha finalmente raggiunto un accordo sulla decisione quadro inerente alla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale. Se da un lato possiamo accogliere questo passo in avanti, dall’altro dobbiamo comunque deplorare il fatto che questo sia avvenuto al prezzo di una tutela minima.
Come rilevato dalla relazione dell’onorevole Roure, la decisione quadro stabilisce solamente un livello minimo di armonizzazione, e la sua efficacia e ambito di applicazione sono stati pesantemente limitati dalle numerose deroghe previste.
Nonostante gli sforzi compiuti dal Parlamento europeo, consultato in materia, per dare maggior peso a questo testo, la decisione quadro manca di ambizione e non è all’altezza della sfida imposta ovvero la lotta al razzismo e il garantire che i valori universali vengano condivisi.
Questa decisione quadro deve essere percepita come un primo passo verso una migliore lotta contro il razzismo e la xenofobia su scala europea e un’armonizzazione massima nel settore.
Nonostante queste carenze, ho votato per l’adozione di questa relazione nella plenaria in quanto è di estrema importanza per l’Unione europea, e il Parlamento europeo in particolare, al fine di lanciare un messaggio politico forte a favore dei diritti fondamentali.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Sostengo l’opinione di minoranza espressa ufficialmente dall’onorevole Dillen. La direttiva quadro sull’incriminazione di “talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia” è una legge europea liberticida che va a scapito della libertà di pensiero ed espressione allo stesso modo delle leggi Gayssot o Taubira in Francia.
D’ora in avanti nessun discorso politico a difesa dell’identità nazionale, o intervento a espressione di orgoglio per la storia del paese, o di opposizione alle ondate migratorie e alla minaccia universale alla libertà causata dall’inarrestabile processo di islamizzazione in atto nel nostro continente potrà sfuggire l’ira della polizia del pensiero. Ancora una volta, l’Europa non si sta schierando dalla parte dei cittadini autoctoni, in quanto chi ha disegnato questa direttiva e i membri del Parlamento europeo che l’hanno appena approvata hanno già stabilito nelle loro menti chi siano i criminali dichiarati e chi le presunte vittime.
Per quanto riguarda l’armonizzazione del diritto penale, in un periodo in cui le armi da fuoco vengono scagliate contro le forze di polizia nelle periferie francesi, il nostro continente è ancora sotto la minaccia di massacro da parte dei terroristi e i criminali incalliti approfittano dell’abolizione dei confini nazionali per commettere crimini orribili da un paese all’altro, in questo periodo, abbiamo cose più urgenti da fare che comprendere la dittatura intellettuale e giudiziaria di coloro che sostengono tutto ciò che è straniero e la multiculturalità forzata
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) La relazione dell’onorevole Roure si pone l’obiettivo della lotta contro il razzismo, uno scopo encomiabile che viene purtroppo usato per applicare una politica discriminatoria nei confronti dei nazionalisti dei nostri Stati membri che stanno diventando cittadini di seconda classe nei loro stessi paesi.
Due fatti di cronaca avvenuti la scorsa domenica testimoniano quanto espresso. L’omicidio di una giovane francese, Anne-Lorraine Schmitt, per mano di uno stupratore condannato di origine turca non ha ricevuto l’attenzione dei media come è invece successo per la morte, il medesimo giorno, di due “giovani”, Moushin e Larami, che si sono scontrati con un’auto della polizia mentre guidavano a velocità elevata e senza casco una minimoto non omologata. I telegiornali hanno dedicato ampio spazio a questo incidente e il Presidente della repubblica francese ha fatto visita ai genitori dei due adolescenti.
Per ottenere l’attenzione dello Stato è dunque necessario mettere a ferro e fuoco una città come fatto dalla gentaglia che pretendeva di vendicare la morte dei loro “amici” Moushin e Larami? Perché le vittime innocenti ricevono meno attenzioni dei delinquenti? E’ ormai ora di mettere fine a queste ingiustizie: il lassismo delle autorità, la folle politica di immigrazione portata avanti negli ultimi 30 anni e il presunto antirazzismo che in Francia pare più un perfetto razzismo antifrancese.
Martine Roure (PSE), per iscritto. – (FR) L’Unione europea non è soltanto un mercato unico; essa rappresenta, in particolar modo, l’unione di popoli che condividono gli stessi valori e, in primo luogo, la tutela dei diritti fondamentali. L’adozione della decisione quadro sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale era, per questo motivo, una necessità urgente.
L’Europa si sta muovendo nella lotta contro il razzismo e la discriminazione e, per questo motivo, si rende necessario uno strumento in grado di garantire lo stesso livello di protezione in tutti gli Stati membri contro gli atti di razzismo e xenofobia. E’ nostro dovere stabilire un giusto equilibrio, garantendo un’entità della pena equivalente per frasi e azioni che istighino alla violenza e all’odio, e assicurando al contempo il diritto alla libertà di espressione. Rispettiamo dunque, ad esempio, le tradizioni nazionali quando si tratta di condannare la tesi revisionista.
In ogni caso, deploro che la portata di questa proposta sia stata limitata dalla norma dell’unanimità in seno al Consiglio, e invito caldamente gli Stati membri ad andare oltre, assieme al Parlamento europeo, nel momento in cui questo testo verrà riesaminato.
Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. − (SV) La relazione dell’onorevole Roure ci ha dato molto da pensare. Naturalmente, approvo pienamente l’ambizione di combattere il razzismo e la xenofobia – qualunque sia la loro origine – su più fronti, e ci sono buone basi per discutere la legislazione a livello di UE. Le idee, siano esse buone o cattive, viaggiano rapidamente da un confine all’altro e tra la gente e la tutela giurisdizionale in Europa non è uniforme.
Al contempo, abbiamo motivo per essere cauti quando si tratta di armonizzare il diritto penale, non da ultimo in un settore che ha implicazioni costituzionali. La Svezia ha un atteggiamento aperto nei confronti della libertà di espressione, di stampa e di religione, atteggiamento non condiviso, per ovvi motivi, in alcune parti dell’Europa. La decisione del Consiglio, scrupolosamente negoziata e messa in atto durante la Presidenza tedesca, garantisce un minimo livello di protezione. La relazione dell’onorevole Roure cercava di fare un passo avanti e conteneva diverse considerazioni alquanto poco chiare. In conclusione, ho quindi votato contro questa relazione.
La libertà di espressione non può ovviamente essere assoluta, ma questa affermazione non spiega comunque che tutte le restrizioni debbano essere particolarmente ben motivate.
Marie-Hélène Descamps (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Il testo che abbiamo adottato oggi segna un traguardo importante per il settore dei mezzi audiovisivi e per i cittadini europei.
Esso rappresenta il risultato di lunghe negoziazioni nelle quali il Parlamento ha svolto un ruolo di spicco.
La proposta originale della Commissione europea ne risulta sensibilmente migliorata, in particolare grazie all’estensione del campo di applicazione della direttiva ai nuovi media e alla concretizzazione della promozione di opere audiovisive europee.
Questi punti garantiscono ai media audiovisivi tradizionali e digitali la possibilità di svilupparsi in modo competitivo nel rispetto della diversità culturale che sta alla base dell’identità dell’Europa.
Il riconoscimento del diritto ai brevi estratti costituisce inoltre un effettivo progresso a vantaggio degli enti televisivi, compresi quelli paneuropei, a patto che venga esercitato in modo ragionevole.
Infine, potremo disporre per la prima volta di regole chiare sull’inserimento di prodotti. Questo meccanismo esiste già, ma si sta attualmente evolvendo al di fuori di ogni regolamento e, di conseguenza, senza trasparenza o sicurezza giuridica. Con le garanzie che ci siamo proposti, l’inserimento di prodotti dovrebbe offrire nuove opportunità alla produzione e creazione audiovisiva europea, nel rispetto della tutela e dell’informazione necessarie ai consumatori.
Henri Weber (PSE), per iscritto. – (FR) Siamo giunti qui al termine di un processo lungo e laborioso durante il quale abbiamo ottenuto tutto ciò che il Consiglio poteva concederci. Abbiamo ristabilito ciò che ci sembrava necessario nel testo e, con nostra grande e lieta sorpresa, dobbiamo ammettere che quasi tutte le nostre nuove proposte sono state accolte.
Certamente saremmo stati più soddisfatti se fossimo riusciti a frenare le emittenti e gli operatori privati nel settore della liberalizzazione della pubblicità e, naturalmente, avremmo preferito che l’inserimento di prodotti venisse abolito. Inoltre, avremmo sicuramente gradito una maggiore fermezza in riferimento alla pubblicità di bambini. Ma evidentemente, questa non era la posizione della maggioranza di quest’Aula o del Consiglio.
Dato che i servizi dei mezzi audiovisivi hanno urgentemente bisogno di questa nuova legislazione e dato che dobbiamo riconoscere l’aperta e infine proficua collaborazione tra il Consiglio e la Presidenza tedesca, possiamo ora affermare che il bicchiere è mezzo pieno. Il gruppo socialista si schiera quindi a favore della proposta per approvare il testo risultato dalle negoziazioni.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. − (PT) La fabbricazione e il traffico illecito di armi da fuoco, di parti e componenti delle stesse e di munizioni ha effetti nocivi sulla sicurezza di tutti i cittadini dell’UE. Inoltre, il rintracciamento delle armi da fuoco riveste un’importanza fondamentale nella lotta contro il crimine organizzato.
Prendere le misure necessarie per prevenire, combattere e sradicare questo tipo di crimine è essenziale.
In base ai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, la violenza tra individui e il suicidio occupano rispettivamente la terza e la quarta posizione nella classifica mondiale delle cause di infermità o morte precoce tra le persone di età compresa tra i 15 e i 44 anni, e buona parte di queste infermità e morti avviene tramite l’uso di armi da fuoco.
Questa iniziativa ha quindi lo scopo di adattare la direttiva sul controllo dell’acquisizione e detenzione di armi e di stabilire delle norme comuni che permettano agli Stati membri di monitorare l’acquisizione e la detenzione di armi da fuoco e il loro trasferimento in un altro Stato membro.
Sebbene la proposta della Commissione sia generalmente positiva, essa si limita a far propri gli aspetti del Protocollo dell’ONU 2001, quando è importante considerare anche i cambiamenti che la relazione della Commissione del 2000 ha identificato come necessari.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione del collega del mio gruppo onorevole Kallenbach sul tema delle armi, relazione che rappresenta un compromesso ben raggiunto.
L’uso legittimo di armi da fuoco gioca un ruolo importante nell’Unione europea. Le armi contribuiscono all’economia sotto vari aspetti, sia che si tratti della loro fabbricazione o vendita che dell’impiego in settori dell’economia rurale in cui la caccia rappresenta una necessità. Per migliaia di persone inoltre la caccia rientra nel settore delle attività ricreative.
Ciononostante, la presenza di controlli adeguati atti a evitare che le armi legittime sfocino nella criminalità risulta di vitale importanza. La relazione di oggi trova un delicato equilibrio che permetterà a coloro che si servono delle armi legittimamente di continuare a farlo e ostacola invece coloro che cercano di spingersi al di fuori dei confini della legge.
Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. − (PL) Signor Presidente, io voto a favore dell’adozione della relazione dell’onorevole Kallenbach che propone una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio a modifica della direttiva del Consiglio 91/477/CEE sul controllo sull’acquisizione e la detenzione di armi [COM(2006)0093 – C6-0081/2006 –2006/0031 (COD)]. Sono d’accordo sul fatto che la fabbricazione e il traffico illecito di armi da fuoco, di parti e componenti delle stesse e di munizioni abbia effetti nocivi sulla sicurezza di tutti i cittadini dell’UE.
La relazione evidenzia giustamente come le armi di piccolo taglio siano mezzi per la perpetrazione di atti violenti nella nostra società in quanto sono facilmente ottenibili, costano poco, sono trasportabili e semplici da usare.
Il testo sottolinea inoltre la necessità di includere nell’ambito di applicazione della direttiva sia il commercio on line che la messa a disposizione di piattaforme Internet d’appoggio al commercio di armi.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa relazione e accolgo l’adesione della Commissione europea al protocollo delle Nazioni Unite sull’acquisizione e la detenzione di armi da fuoco. Il protocollo consentirà una maggiore tutela del consumatore rafforzando i controlli di mercato, permettendo il rapido rintracciamento delle armi, grazie a un sistema di banche dati computerizzato, e la distruzione di armi illecite, contribuendo quindi alla riduzione della fabbricazione illecita e del traffico di armi da fuoco sui territori degli Stati membri.
Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. − (SK) Le armi non sono prodotti convenzionali. Esse rappresentano un enorme pericolo in particolare per i bambini e i giovani che sono minacciati dalla diffusione di una cultura di utilizzo delle armi in Internet. Nell’ultimo periodo, l’Europa è stata teatro di alcuni episodi estremamente negativi che vedevano come protagonisti principali giovani alle prese con le armi. Mi fa piacere che non siamo rimasti inermi di fronte a quanto accaduto in Finlandia e ad Anversa, in Belgio.
Mi rendo conto che l’abolizione delle armi comporterebbe un aumento del traffico illecito e, di conseguenza, questa questione richiede un approccio politico estremamente delicato. I protocolli dell’ONU hanno dato un punto di partenza per questa direttiva. Prima della loro ratifica, i loro obblighi devono essere trasmessi al diritto europeo.
Ho votato a favore di questa relazione in quanto introduce un compromesso fattibile che limita la vendita illecita di armi ma rispetta, al contempo, gli interessi autorizzati dei cacciatori e di coloro che possiedono legalmente delle armi da caccia. La direttiva porterà un miglioramento della marcatura delle armi riconoscendo, nello stesso tempo, che ogni Stato membro ha delle tradizioni autoctone e una cultura sull’uso delle armi. La direttiva abolirà l’uso delle armi tra i giovani al di sotto dei 18 anni. I giovani potranno prender parte alle battute di caccia solamente sotto la supervisione dei propri allenatori o genitori.
Credo che, grazie all’azione responsabile della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, l’Europa potrà contare su una moderna legislazione sulle armi. L’armonizzazione parziale delle norme in Europa non servirà soltanto a eliminare le vendite illecite, ma assicurerà anche che le armi pericolose, che costituiscono una minaccia per persone innocenti, scompaiano dalle nostre strade.
Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − (EN) Questa relazione sul controllo dell’acquisizione e la detenzione di armi dovrebbe essere accolta. La lotta contro il crimine con armi da fuoco e il contrabbando di armi deve essere una priorità all’interno dell’UE.
Astrid Lulling (PPE-DE) , per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Dumitrescu e sono soddisfatto che, grazie agli sforzi compiuti dal Parlamento, siamo stati in grado di adottare dei compromessi attuabili per tutte le parti in causa. Per Lussemburgo, l’articolo 5 del regolamento riveste un’importanza fondamentale.
Quest’articolo reintroduce la libertà contrattuale permettendo a entrambe le parti, ovvero il consumatore e il professionista, di scegliere quale legge nazionale dovrebbe essere applicata al loro contratto, sia questa quella dello Stato membro di residenza del consumatore o quella dello Stato membro del professionista.
Nella sua proposta, la Commissione aveva tentato di modificare questa libertà e far sì che risultasse applicabile solamente la legge del Paese di residenza del consumatore. Le conseguenze di un tale provvedimento sarebbero state devastanti per gli Stati membri più piccoli, in quanto le aziende, di questi Paesi, attive nel mercato unico sarebbero state costrette ad applicare fino a 27 legislazioni nazionali diverse, fatto che avrebbe dissuaso soprattutto le PMI dall’intraprendere attività commerciali al di fuori delle frontiere nazionali.
I consumatori degli Stati membri più piccoli avrebbero sofferto una sensibile riduzione dell’offerta dato che la crescente burocrazia, risultante da questa proposta avrebbe potuto spingere gli operatori a bloccare la fornitura di servizi ai consumatori residenti in questi Paesi.
Inger Segelström (PSE), per iscritto. − (SV) Noi del partito socialdemocratico svedese abbiamo votato a favore di questa relazione in quanto, dal punto di vista della certezza del diritto e nel contesto di sviluppi avutisi sia a livello di commercio che di marketing, riteniamo sia importante avere norme moderne comuni per la scelta della legge nelle obbligazioni contrattuali. In ogni caso, non siamo soddisfatti del compromesso raggiunto e, di conseguenza, abbiamo votato contro il paragrafo 2 dell’emendamento n. 77 inerente ai contratti conclusi da consumatori. Riteniamo che l’Europa necessiti di una maggior tutela del consumatore con norme chiare sia per gli operatori commerciali che per i consumatori. Dal nostro punto di vista, questo compromesso non risolve la questione in modo soddisfacente.
La presenza di consumatori sicuri, consci dei propri diritti e che non hanno paura di effettuare acquisti oltre confine è importante per l’economia e la prosperità dell’Europa. In ogni caso, condividiamo la preoccupazione espressa dalle piccole imprese riguardo l’onere imposto a coloro che sono attivi nell’e-commerce in Europa, per quanto riguarda l’acquisizione di competenze sulla legislazione del consumatore nei vari Stati membri. Si tratta di una questione importante che deve essere risolta.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Karin Scheele sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1829/2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, in quanto ritengo che le modifiche presentate nella relazione, aventi lo scopo di allargare l’ambito di applicazione del regolamento, rinforzino il ruolo del Parlamento europeo nella sua attuazione, promuovendo quindi un miglior regolamento.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Il Parlamento europeo ha approvato oggi la relazione Scheele sugli alimenti e i mangimi geneticamente modificati. Come è ben noto, vi sono ancora diversi dubbi sugli alimenti geneticamente modificati e, in particolare, sull’impatto degli stessi sulla salute umana e animale. Per questo motivo, in assenza di certezza scientifica, deve essere mantenuto il principio precauzionale.
Inoltre, il fatto di alimentare gli animali con mangimi geneticamente modificati implica che questi prodotti entrino a loro volta a far parte della catena alimentare sebbene non ci siano garanzie a livello scientifico che gli stessi non siano dannosi alla salute.
In questa relazione, il Parlamento europeo sostiene la posizione della Commissione per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione, e pone una serie di condizioni sulla legislazione esistente senza risolvere le questioni principali.
Per questo motivo, non possiamo votare a favore. Sebbene le condizioni possano essere positive, esse non risolvono le questioni fondamentali.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Il mio gruppo ha proposto un importante emendamento alla relazione Scheele. Riteniamo che il Parlamento europeo dovrebbe avere pieno controllo sulle questioni inerenti agli OGM. Credo che gli OGM rappresentino una grave minaccia per la salute e l’ambiente nell’UE e tutte le decisioni a questo riguardo meritano di essere esaminate col massimo scrupolo.
Renate Sommer (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Dopo lunghe consultazioni, noi relatori dei gruppi politici di quest’Aula abbiamo approvato un compromesso per l’emendamento del regolamento (CE) n. 1829/2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, per quanto riguarda le competenze di esecuzione conferite alla Commissione. Questo compromesso è stato raggiunto in seguito alla consultazione con altri organi, compreso il Consiglio, e tiene in piena considerazione la nuova procedura di regolamentazione con controllo.
Da un lato, siamo riusciti a dare al Parlamento maggiori competenze rispetto a quanto previsto dalla bozza della Commissione. Dall’altro punto di vista, siamo anche stati in grado di correggere il progetto di relazione della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, ottenendo una proposta fattibile e realistica. Tutti gli emendamenti atti a sfruttare la procedura di comitato per modificare di nascosto gli elementi chiave della legislazione già esistente sugli OGM sono stati rifiutati.
Il punto è che non possiamo permetterci di voltare le spalle all’ingegneria genetica verde. Al contrario, gli OGM sono indispensabili per il nostro futuro. Alla luce del discorso sul clima, dovrebbe essere ora estremamente chiaro, anche ai politici ideologici del partito dei Verdi, che è necessario applicare metodi di bioingegneria per migliorare l’energia rinnovabile da utilizzarsi nella produzione di biomasse ed energia. Semplicemente, non abbiamo abbastanza superficie coltivabile per la crescita di quantità sufficienti di coltura energetica convenzionale. Inoltre, dobbiamo assicurarci che le colture alimentari ed energetiche non debbano fare a gara per lo spazio. Gli OGM autorizzati sono sicuri e l’ideologia non basta a sfamarci.
Hélène Goudin and Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Abbiamo detto “no” a un ulteriore finanziamento ai partiti politici a livello europeo. Alla base della democrazia, sta il concetto per cui i partiti politici si formano partendo dalle fondamenta con un processo di formazione dell’opinione, seguito dalla formulazione dei programmi politici e dalla presentazione del partito che continua la propria crescita al fine di ottenere il sostegno alle elezioni generali. L’idea di permettere all’organico politico e tecnocratico di avviare i partiti a livello europeo partendo dall’alto e servendosi del denaro dei contribuenti è ripugnante per la democrazia. Il risultato sarà quello di avere partiti indipendenti dei propri membri ma assoggettati a un’élite politica.
Di conseguenza, non è giusto ora aumentare i finanziamenti ai partiti dell’UE tramite appropriazioni per creare fondazioni politiche a livello europeo. I partiti dell’UE sono già costati ai contribuenti più di 10 milioni di euro nel bilancio UE del 2007, e pare che le fondazioni politiche riceveranno nuovamente lo stesso ammontare in contributi finanziari. Ciò significa che in futuro i contribuenti europei dovranno pagare circa 190 milioni di corone svedesi ai partiti dell’Unione e alle organizzazioni ad essi legate. I fondi vanno a partiti a livello europeo che non sono altro che puri interventi cartacei di Bruxelles, partiti che né i cittadini né i contribuenti hanno mai richiesto.
Inoltre, il fatto che i politici di quest’Aula si approprino così facilmente del denaro dei contribuenti per le proprie organizzazioni, in un momento in cui abbiamo un taglio alla spesa pubblica negli Stati membri è moralmente discutibile.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Se da un lato abbiamo il tentativo di imporre la sostanza di una proposta di trattato che è già stata rifiutata e variamente descritta come “costituzionale”, “mini”, “semplificata” e “di riforma”, dall’altro vediamo le istituzioni sopranazionali dell’UE continuamente impegnate a promuovere la creazione artificiale della cosiddetta “opinione pubblica europea”.
Inoltre, ci ricordiamo di come questa determinazione sia diventata qualcosa di simile a una crociata, dopo che Francia e Paesi Bassi hanno rifiutato la “Costituzione europea”, e abbia fatto ricorso a ogni mezzo possibile, compresi i “partiti politici a livello europeo” e ora le loro basi politiche, per promuovere la “formazione di una coscienza europea”.
Come sostenuto dalla Presidenza portoghese, il coinvolgimento di “tutti i nostri cittadini nell’affascinante processo di costruzione dell’Europa” è la “vera sostanza”, la “vera causa”, la “vera questione”. Dovremmo dunque chiederci come mai, nonostante tutto questo entusiasmo, si stiano evitando i referendum sul Trattato europeo.
In ogni caso, questa non è la volontà delle forze dominanti nell’UE. Ciò che queste ora vogliono, tra le altre cose, è che i fondi del bilancio comunitario finanzino le campagne elettorali per il Parlamento europeo dei partiti politici a livello europeo, fatto che creerebbe una chiara interferenza negli affari di politica interna e nel funzionamento democratico di ogni Stato.
Kartika Tamara Liotard e Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. − (NL) Nei paesi in cui convivono popoli diversi, è normale che manchino dei partiti operanti a livello nazionale. L’ex Austro-Ungheria contava una varietà di partiti socialdemocratici, cattolici e liberali ognuno a rappresentanza di una diversa etnia e ognuno legato agli interessi e alla lingua del proprio gruppo. Per decenni, il Belgio stesso non ha avuto partiti nazionali, ma solamente i partiti della regione fiamminga e vallona. Come potrebbe dunque l’Europa avere partiti “a livello europeo”?
Il nostro partito, ovvero il partito socialista nei Paesi Bassi, considera i partiti delle organizzazioni di base, dei movimenti popolari che operano insieme al fine di ottenere la loro visione di come la società dovrebbe essere e di conseguire gli interessi dei gruppi che ripongono in un dato partito la propria fiducia. I partiti non fanno parte del meccanismo dello Stato e non dovrebbero essere avviati utilizzando le entrate dei contribuenti. Per questo motivo, abbiamo votato contro le precedenti decisioni sul finanziamento dei partiti politici a livello europeo e siamo contrari anche all’aumento del livello di finanziamento all’85 per cento. Consideriamo inoltre illusorio il promuovere campagne per le prossime elezioni dell’UE a livello europeo piuttosto che nazionale. Ventisette elezioni nazionali si svolgono in situazioni differenti. Queste formano un parlamento con un collegio internazionale di membri accomunati da idee simili. Noi siamo tutti a favore di una cooperazione a livello internazionale tra persone con orientamenti simili, ma questo non necessita il finanziamento dell’UE.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) I partiti politici a livello europeo hanno posizioni politiche diverse e talvolta conflittuali in merito alle linee di condotta europee in vari settori. Per questo motivo, tutte le organizzazioni politiche a livello europeo legate ai partiti politici devono essere indipendenti in modo da poter promuovere le idee politiche che giudicano adeguate.
Le organizzazioni politiche a livello europeo nell’ambito di applicazione di questo regolamento devono avere il compito di promuovere politiche ufficiali europee spesso contrarie alle posizioni dichiarate dei partiti politici. Questo crea un’interferenza diretta nell’azione politica dei partiti politici europei e di quelli nazionali dai quali i primi sono sorti. Questa situazione equivarrebbe inoltre a un’interferenza indiretta nei procedimenti politici ed elettorali negli Stati membri in quanto darebbe origine, con il sistema della capitalizzazione, a partiti politici “favoriti” e “non favoriti” con conseguenti ripercussioni sui risultati delle elezioni del Parlamento Europeo.
Tutte le regolazioni devono quindi promuovere la libertà di opinione e la trasparenza, senza alcuna interdipendenza che comporterebbe una limitazione delle posizioni e dell’attività dei partiti politici a livello europeo e nazionale.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo questa relazione che cerca di garantire che il livello di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi sia minimo. Si tratta di un passo importante per la salute umana e animale.
– Proclamazione del consenso in materia di aiuto umanitario (B6-0484/2007)
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Come già sottolineato in precedenza, non possiamo sostenere il “consenso” ai principi, agli obiettivi e alle strategie dell’UE in materia di aiuto umanitario in paesi terzi, nel momento in cui questo consenso ci richiede di promuovere il cosiddetto intervento “umanitario” come fosse un “diritto” o addirittura un “dovere” e di servirci di “misure coercitive compreso l’intervento militare” come “ultima risorsa” mettendo in discussione i principi base del diritto internazionale.
Le conseguenze di una politica di questo tipo sono purtroppo ben visibili (sebbene vengano occultate e omesse). La politica camuffa obiettivi e interessi inammissibili chiamandoli “buone intenzioni” come se la costante denuncia dell’aggressione e occupazione militare dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati non fosse sufficiente, con le centinaia di migliaia di morti che ne sono derivate e le razzie alle enormi risorse naturali del paese.
“L’intervento umanitario” è uno strumento che le principali potenze usano per giustificare il proprio intervento in situazioni che esse stesse hanno così spesso alimentato e aggravato con anni di interferenze, allo scopo di ottenere i propri interessi strategici e a sostegno delle manovre prive di scrupoli delle multinazionali.
Per risolvere i gravi problemi che affliggono milioni di esseri umani è necessario avere rispetto per la sovranità nazionale, favorire la risoluzione pacifica dei conflitti internazionali e soddisfare gli urgenti bisogni dei paesi economicamente più poveri.
Roberta Alma Anastase (PPE-DE), per iscritto. − (RO) Ho votato a favore di questa risoluzione nella speranza che abbia un impatto concreto sulla situazione in Georgia, sulla decisione della stessa di continuare con determinazione la riforma democratica e sul processo di consolidamento delle azioni dell’UE in questo paese e, in generale, sul vicinato orientale.
In qualità di relatore della cooperazione nel Mar Nero, vorrei ribadire l’importanza di creare uno spazio di stabilità politica e di effettiva democrazia in questa regione. Il mio progetto di relazione specifica questo aspetto, tra le altre priorità chiave di cooperazione regionale, e la situazione in Georgia ci conferma il bisogno imperativo di promuovere e consolidare la cooperazione in questo campo. Ritengo che ci siano tre elementi fondamentali a questo scopo: consolidare la riforma democratica in Georgia, stabilire delle buone relazioni di vicinato nella regione con la costruttiva partecipazione della Russia nel processo e, infine il coinvolgimento profondo e più attivo dell’UE nell’attuale stabilizzazione e democratizzazione della Georgia e, in generale, della regione del Mar Nero.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Soltanto un paio di annotazioni inerenti la risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione in Georgia.
In primo luogo, sebbene questa denoti il deterioramento della situazione politica e la repressione in Georgia, si tratta comunque di un’altra espressione di interferenza da parte dell’UE, eufemisticamente descritta come sostegno per le “riforme politiche ed economiche necessarie” e per i “valori euro-atlantici”.
In secondo luogo e di conseguenza a quanto appena detto, la relazione riconosce i “progressi politici, democratici ed economici realizzati dal Presidente e dal governo georgiano” nonostante il suo contenuto sostenga esattamente il contrario e ometta di citare l’ondata di repressione alla quale le cerchia progressiste del paese sono state a lungo sottomesse.
In terzo luogo, la risoluzione ignora il fatto che sono il deterioramento della situazione sociale ed economica in Georgia e le condizioni di vita della maggior parte della popolazione – con il calo delle entrate e dell’occupazione – a essere alla base dell’attuale insoddisfazione sociale e ad aver intensificato le disuguaglianze interne che coloro che sono al potere stanno cercando di sfruttare e manipolare come già avevano fatto nel passato recente.
Infine, in risposta a questi eventi significativi, il Parlamento europeo “esorta” il Presidente Saakasshvili e le autorità georgiane quando ha “condannato” altri per molto meno.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. − (PT) La Carta dei diritti fondamentali approvata a Nizza nel 2000 è un elenco di valori comuni a livello europeo nei quali tutti i cittadini si possono identificare.
Questi valori sono il risultato del ricco patrimonio culturale dei diversi paesi dell’UE, delle loro tradizioni costituzionali e delle loro leggi e caratterizza l’Unione non soltanto come un’entità economica bensì anche come una comunità di valori condivisi.
Il Parlamento europeo ha richiesto sistematicamente che venga conferito lo stato di diritto primario alla Carta, in modo da renderla un punto di riferimento centrale per la Corte di giustizia e i giudici nazionali e in modo da attribuirle uno status giuridicamente vincolante.
Sono dunque molto soddisfatto di vedere infine questa proposta confermata e mi fa piacere notare che il progetto del Trattato di riforma tutela la sostanza della parte II del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa.
Deploro che la Carta sia stata incorporata solo in forma di allegato e non sia stata inserita nel corpo del Trattato come sarebbe opportuno, vista la sua importanza. Mi rammarico inoltre del fatto che il Regno Unito e la Polonia abbiano esercitato il proprio diritto di astensione da questo impegno nei confronti dei diritti fondamentali, sebbene recenti dichiarazioni da parte del nuovo governo polacco sembrino indicare un atteggiamento diverso molto più in accordo con lo spirito comune.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) E’ evidente che questa relazione sulla Carta dei diritti fondamentali viene usata come uno scudo per risuscitare la sostanza della Costituzione europea e raggirare il volere sovrano dei popoli di Francia e Paesi Bassi che l’hanno respinta, al fine di evitare di indire dei referendum sul cosiddetto Trattato di riforma. Questo non è ammissibile e per questo motivo noi abbiamo votato contro.
Da un lato, è ipocrita parlare di difesa dei diritti fondamentali quando si sta tentando di nascondere alla gente il contenuto di questo trattato, di evitare un discorso aperto atto a chiarire le questioni e di impedire ai cittadini di esprimere la propria opinione alle urne in referendum nazionali.
In ogni caso, dobbiamo rilevare nuovamente che la Carta è meno autorevole di altri strumenti quali la costituzione della Repubblica portoghese, la Carta sociale europea e il Consiglio della convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che sono documenti validi a livello internazionale, più completi e riconosciuti come legittimi.
Infine, non dobbiamo dimenticare che lo scopo principale della Carta è quello di favorire il cambiamento neoliberale, federalista e militarista al quale mira il cosiddetto Trattato di riforma.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Il fatto che l’Unione Europea si prepari nuovamente ad approvare la Carta dei diritti fondamentali mostra semplicemente come i cittadini dell’Europa vengano ingannati. La carta originale è stata modificata, in particolare per quanto concerne l’impatto giuridico, in modo da garantire la sottoscrizione del Trattato costituzionale da parte del Regno Unito a Roma. Questa è stata una concessione ottenuta dai britannici.
In ogni caso, il protocollo 7 del futuro Trattato di Lisbona, che stabilisce il diritto alla non partecipazione per Regno Unito e Polonia, sancisce, per “evitare dubbi”, che “la Carta non estende la competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea” a emettere una sentenza contro le leggi o regolazioni di questi paesi sulla base della Carta, né “crea diritti azionabili dinanzi a un organo giurisdizionale applicabili alla Polonia o al Regno Unito”. Ciò significa che i diritti stabiliti nella Carta non sono diritti della Comunità e io non voglio avere nulla a che vedere con questo raggiro.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Tutte le Istituzioni dell’UE sono già legate dal diritto internazionale che garantisce la tutela dei diritti dell’uomo, come emerge abbastanza chiaramente dalla delibera della Corte di giustizia europea nel caso Racke. Al di là di questo, tutti gli stati dell’UE hanno ratificato la Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali e la Convenzione è vincolante su tutti gli Stati membri e svolge la propria funzione con profitto.
Inoltre, un nuovo testo metterebbe a rischio la sicurezza giuridica in quanto la Corte di giustizia europea a Lussemburgo potrebbe formulare delle sentenze in contrasto con le decisioni prese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo che opera già in modo soddisfacente.
Ci opponiamo alla proposta di conferire un potere giuridicamente vincolante alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nella versione allegata alla presente relazione.
Riteniamo non sia corretto dare al Presidente un mandato solenne di proclamare la Carta prima della firma del Trattato e ci opponiamo a tutte le azioni intraprese per la pubblicazione della stessa all’interno della Gazzetta ufficiale dell’Unione europea da effettuarsi prima che la procedura di ratifica si concluda con un esito positivo, sempre che questo sia il caso.
Al contrario, invitiamo gli Stati membri a iniziare le negoziazioni al fine di permettere all’UE di aderire alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali così che le istituzioni dell’UE siano a loro volta unite da queste disposizioni comuni sui diritti dell’uomo.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Sembrerebbe che il Parlamento europeo abbia approvato (?) la “Carta dei diritti fondamentali” (CDF) per la seconda volta, dopo sette anni dalla prima ratifica.
Dovremmo qui notare che la CDF è stata redatta da una cosiddetta “convenzione”, istituita a questo scopo e sostenuta da un consenso basato sul denominatore comune più piccolo, sotto la spinta di forze favorevoli alle posizioni più reazionarie, ovvero il partito laburista inglese capeggiato da Tony Blair.
Ciò che ne risulta è una CDF molo meno autorevole sui diritti sociali rispetto, ad esempio, alla costituzione della Repubblica portoghese o alla Carta Sociale europea ratificata dal Portogallo.
Ad esempio, la tutela del diritto al lavoro contenuta chiaramente ed esplicitamente nella costituzione portoghese (articolo 58) e nella Carta sociale europea (articolo 1) è “adattata” e “modernizzata” nella CDF dove è trasformata in “diritto di lavorare”.
Ci sono altri esempi come possiamo vedere nelle “spiegazioni elaborate sotto l’autorità del Presidium della Convenzione che ha redatto la Carta e aggiornate sotto la responsabilità del Presidium della Convenzione europea” che ha redatto la “Costituzione europea”. Queste “spiegazioni” sono fondamentali per l’interpretazione del contenuto della CFD ma non vengono quasi mai allegate alla stessa. Mi chiedo come mai.
Jules Maaten (ALDE), per iscritto. − (NL) “I popoli europei nel creare tra loro un’unione sempre più stretta hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni”. Ecco la prima frase del preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sottoscritta dai leader dell’UE il 7 dicembre 2000 a Nizza.
E questa frase contiene di per sé la verità essenziale. Nella nostra Unione abbiamo condiviso dei valori e degli standard racchiusi ora nella Carta in qualità di diritti: le libertà, l’uguaglianza, la dignità umana, la solidarietà, i diritti dei cittadini e la giustizia.
A mio avviso sarebbe stato meglio se l’UE avesse appena aderito alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa. Ma alla fine si tratta di una soluzione accettabile e di un chiaro riconoscimento dei diritti dell’uomo nell’UE.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Ho espresso il mio favore e la mia approvazione per la relazione Leinen sulla Carta dei diritti fondamentali. In ogni caso, non ho espresso il mio voto sull’emendamento che invitava la Polonia a fare il possibile al fine di applicare la Carta dei diritti fondamentali in toto. In qualità di membro britannico, ho pensato che questa scelta sarebbe risultata un po’ ipocrita.
José Ribeiro e Castro (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Mi sono astenuto dal voto su questa proposta in quanto la costituzione portoghese garantisce una tutela migliore dei diritti fondamentali e perché l’opinione, sostenuta da alcuni, di conferire al diritto comunitario la supremazia su quello domestico degli Stati membri potrebbe causare dei contenziosi giuridici estremamente pericolosi.
Marek Siwiec (PSE), per iscritto. − (EN) Oggi ho votato a favore della reintroduzione della Carta nella sua nuova forma, di modo tale che la stessa diventi vincolante per le Istituzioni europee. Il partito socialista in Polonia e in Europa appoggia fortemente l’adozione della Carta e lo stesso faccio io. La Carta rappresenta uno strumento chiave nella nostra Unione, in grado di garantire i diritti di tutti i cittadini dell’Unione, sia che si tratti di diritti individuali che di diritti legati alla cittadinanza. Con questa Carta stiamo sanando una carenza significativa. Una dissociazione non risulta effettivamente tale se la Carta conserva il proprio carattere vincolante sulle Istituzioni e il diritto comunitario, sebbene alcuni Paesi sperino ancora che questo non influenzi le leggi interne. La Corte di giustizia si costituirà garante della corretta applicazione della Carta. La proclamazione della nuova Carta e il riferimento alla stessa nel nuovo Trattato rafforzeranno il ruolo dell’Unione europea di spazio comune di valori e diritti condivisi. Per questo motivo spero ancora che la Carta venga applicata a tutti e 27 gli Stati membri, senza eccezioni, e a cominciare dal mio paese d’origine, ovvero la Polonia.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Io voto a favore dell’adozione della relazione dell’onorevole Leinen inerente all’approvazione, da parte del Parlamento europeo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
A mio avviso la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea dovrebbe essere adottata senza riserve anche dal mio stesso paese, la Polonia.
In concomitanza con l’adozione del nuovo Trattato di riforma, la Carta costituirà un documento giuridico vincolante alla pari dei trattati. Questo è importante per i nostri cittadini e costituisce inoltre un incentivo al controllo delle azioni delle Istituzioni dell’UE nei settori nei quali gli Stati membri hanno dato loro libertà di azione. Ogni cittadino potrà invocare la Carta direttamente e conseguire i propri diritti nei tribunali dell’Unione europea sulla base del diritto europeo.
Konrad Szymański (UEN), per iscritto. − (PL) La Carta dei diritti fondamentali rende il sistema di tutela dei diritti fondamentali in Europa ancora più complicato e di ancora più difficile lettura per i cittadini europei, molti dei quali nutrono seri dubbi a riguardo. Questo è il motivo per cui due Stati membri hanno stabilito dei protocolli che li tutelino di fronte a qualsiasi effetto inaspettato della Carta, e questo è il motivo per cui voto contro la relazione Leinen.
Jan Andersson, Ole Christensen, Göran Färm, Anna Hedh, Dan Jørgensen, Christel Schaldemose, Inger Segelström e Britta Thomsen (PSE), per iscritto. – (SV) Noi del partito socialdemocratico svedese e danese abbiamo deciso di votare a favore dell’emendamento 41 della relazione. Il mercato del lavoro presenta dei problemi legati a contratti di assunzione poco sicuri e a redditi che impediscono uno standard di vita dignitoso. Questi aspetti devono essere risolti. In alcuni paesi questo è possibile per mezzo di minimi salariali imposti dalla legge. In altri, vi sono negoziazioni tra le parti sociali. Negli stati nordici, abbiamo scelto quest’ultimo modello e noi del partito socialdemocratico svedese e danese siamo convinti che dovremmo continuare a essere liberi di servirci del nostro modello di accordo collettivo per garantire retribuzioni adeguate ai dipendenti.
Dato che l’emendamento presentato richiede che la questione venga regolata con i sistemi nazionali degli Stati membri, noi riteniamo che questo possa conciliarsi con il modello di accordo collettivo che abbiamo scelto di applicare.
Philip Bushill-Matthews (PPE-DE), per iscritto. − (EN) Il gruppo PPE-DE si dichiara pienamente favorevole al principio di flessicurezza e al sostegno dei lavoratori dipendenti e dei datori di lavoro nell’adattarsi alle sfide imposte dalla globalizzazione. Abbiamo lavorato a stretto contatto con altri gruppi politici e con il relatore del PSE in modo da stendere una relazione il più possibile positiva ed equilibrata, e abbiamo raggiunto un accordo sostanziale su tutti i punti principali.
In ogni caso, abbiamo anche dovuto chiarire l’impossibilità da parte nostra di sostenere la relazione finale se i due ultimi emendamenti venissero accolti. Non potevamo accettare l’emendamento dell’ultimo minuto (n. 41) da parte del gruppo GUE/NGL relativo a una riduzione forzata delle ore di lavoro. Questo avrebbe comportato una limitazione della scelta individuale oltre a una riduzione della retribuzione. Allo stesso modo non potevamo accogliere l’emendamento 45 dello stesso gruppo inerente a un reddito minimo su scala europea in quanto, come confermato dal Trattato, si tratta di una questione degli Stati membri dell’UE che non ha nulla a che vedere con le competenze dell’UE e che quindi non trova spazio in questa relazione.
Continueremo a collaborare strettamente con tutti i gruppi politici che desiderano creare idee costruttive in grado di aiutare i lavoratori a far fronte alla sfida del cambiamento e non ci lasciamo a ogni modo impressionare dai gruppi che preferiscono mettersi in mostra per scopi elettorali piuttosto che curare in primis i veri bisogni delle persone.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Abbiamo votato contro in quanto è inammissibile che il Parlamento europeo sostenga gli obiettivi fondamentali della Commissione europea in materia di flessicurezza. Accettando il fatto che i lavoratori dipendenti e i datori di lavoro si interessino alla flessibilità, il testo approva – seppur criticandola per alcuni aspetti – la sostanza della comunicazione della Commissione europea, che cerca di deregolamentare il mercato del lavoro, liberalizza il diritto di licenziamento senza giusta causa, svaluta gli accordi collettivi e indebolisce i sindacati e gli sforzi dei lavoratori.
Nel testo incontriamo numerosi riferimenti alla necessità di “mercati del lavoro flessibili”, “disposizioni contrattuali adattabili” e “una forza lavoro adattabile”. Questo non lascia spazio a dubbi sull’intenzione reale di questa relazione, il risultato di un accordo tra i due gruppi politici principali nel Parlamento europeo, il PPE e il PSE, che comprende i membri del Parlamento europeo portoghesi del PS, PSD e CDS/PP.
Deploriamo che le nostre proposte siano state respinte compresa la nostra opposizione all’inclusione dei principi di flessicurezza nel quadro della strategia di Lisbona, la revisione degli orientamenti in materia di occupazione per il periodo 2008-2010 e del piano nazionale di riforma e l’utilizzo dei fondi della Comunità per finanziare degli attacchi ai diritti dei lavoratori.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Le politiche occupazionali degli Stati membri dovrebbero essere determinate a livello nazionale tramite un dibattito democratico ad ampio raggio fondato sulla ricerca e l’esperienza nazionale. Le politiche occupazionali dei vari paesi dell’UE dovrebbero svilupparsi a partire da un processo di competizione istituzionale.
Oggi, abbiamo la fortuna di discutere il modello di flessicurezza della Danimarca in quanto l’UE non ha introdotto, circa 25 anni fa, una politica comune del mercato del lavoro. Se l’avesse fatto, alcuni stati continentali, guidati dalla Germania, avrebbero messo in atto la legislazione dell’UE che sarebbe risultata pressoché immodificabile con conseguenze devastanti per l’occupazione e la crescita in Europa. I nuovi Stati membri sarebbero stati costretti ad adottare questa politica come parte dell’acquis comunitario e, di conseguenza, avrebbero dovuto iniziare il loro compito di nuovi Stati membri a condizioni irragionevoli.
E’ proprio grazie alla mancanza di una politica comune che possiamo ora mettere a confronto la flessicurezza, il modello nordico, quello anglo-sassone e quello continentale. E’ grazie a questa competizione istituzionale finalizzata all’ottenimento di una buona soluzione, che queste soluzioni esistono nel mondo reale che possiamo confrontare.
Sulla base delle argomentazioni di cui sopra, abbiamo votato contro la mozione nella votazione finale e contro tutti gli emendamenti presentati contenenti opinioni sulla forma di politica occupazionale che gli Stati membri dovrebbero conseguire.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) La proliferazione di termini nuovi è uno dei sintomi di un male incurabile: la mancanza di talento o competenza nonostante la ricchezza del vocabolario esistente. Si tratta inoltre di una caduta verso la lingua comune utilizzata da un’élite senza patria, né fede, né leggi, e dai suoi strumenti di propaganda.
La “flessicurezza”, che dovrebbe essere un metodo per ottenere prosperità in tutta Europa tramite una combinazione equilibrata di “flessibilità” nel settore economico e “sicurezza” in quello sociale, è ora un nuovo espediente pro-globalizzazione degli europeisti.
Per la Commissione europea questo fondamentalmente significa semplicemente attenuare il diritto del lavoro al fine di combattere la disoccupazione. In realtà, tuttavia, l’effetto principale di questo concetto liberale sarà quello di permettere alle aziende di licenziare i lavoratori con più facilità al fine di reclutare una forza lavoro più economica. Questo comporterà un sempre maggior afflusso di immigrati extraeuropei e avrà come conseguenza anche una minaccia sociale provocando un effetto domino in base al quale sia le occupazioni poco pagate che di seguito quelle più remunerative diverranno sempre meno sicure.
La commissione parlamentare per gli affari sociali e l’occupazione ha tentato di modificare questo testo per mitigarne l’impatto sull’occupazione, ma questo non basterà a placare la sete ultraliberale degli europeisti.
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Christensen in quanto questa adotta un approccio idoneo e ampiamente condiviso per combinare correttamente gli elementi di flessibilità e sicurezza, ed evidenzia chiaramente che la flessibilità nel mercato del lavoro non va a scapito della sicurezza dell’occupazione.
Il termine “flessicurezza” viene spesso demonizzato, ma in questa relazione siamo riusciti a superare le connotazioni negative di quello che dovrebbe essere un principio per la politica occupazionale in Europa. La creazione di nuovi posti di lavoro è di importanza vitale per la lotta contro la disoccupazione in Europa che rimane troppo elevata nonostante il progresso ottenuto degli ultimi anni. La flessicurezza ci offre una prospettiva realistica del raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona.
Se vogliamo intervenire in quest’ottica, dobbiamo trovare dei modi per facilitare l’accesso al lavoro e formare una forza lavoro qualificata, flessibile, mobile e motivata.
Il lavoro costituisce la miglior tutela contro tutte le forme di esclusione sociale, e l’Europa ha il compito di incoraggiare gli Stati membri affinché facilitino l’accesso al lavoro a coloro che cercano di integrarsi o di reintegrarsi nel mercato del lavoro.
Tutta la legislazione inerente all’occupazione e le condizioni di lavoro è subordinata agli Stati membri e io accolgo gli emendamenti che rinforzano il principio di sussidiarietà.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo pienamente l’essenza del documento della Commissione sulla flessicurezza. Con questa relazione, il Parlamento spiega che la flessicurezza dovrebbe migliorare la sicurezza dell’occupazione e promuovere la sicurezza del posto di lavoro. Nessun lavoratore dovrebbe vedersi negati i diritti di trattamento paritario, apprendimento permanente o dei vantaggi della sicurezza sociale.
Jean-Claude Martinez (NI), per iscritto. – (FR) La “flessicurezza” è una copertura per la commercializzazione del lavoro e dei lavoratori.
Questa copertura sembra provenire dalla Danimarca. Dopo il modello svedese degli anni 60, quello jugoslavo di autogestione degli anni 70, l’eterno modello di Mao, quello dell’ex Unione sovietica, il modello Blair e addirittura quello zapatista, eccoci infine di fronte al modello danese. Si tratta della “Andersen-mania”, la Margaret Thatcher travestita da sirenetta per farci credere che se garantiamo ai “lavoratori disponibili” qualche sussidio, un po’ di apprendimento e una rapida reintegrazione, questi avranno anche una maggior sicurezza.
In Danimarca si contano più giorni di sciopero che in Francia, ma cosa importa. La flessicurezza l’ha resa il paradiso del mercato del lavoro flessibile e dei lavoratori felici (sebbene ci si chieda ancora perché scioperino… ).
Qual è la verità in tutto questo? La verità è che stiamo cercando di creare in Europa delle “Mindong”, come i “mezzo contadini”, “mezzo manovali” cinesi che lavorano alle peggiori condizioni possibili.
L’idea complessiva è di ridurre il livello di tutela del codice di sicurezza sociale e dello statuto dei lavoratori.
La “flessicurezza” rappresenta il fariseismo applicato al diritto di lavoro e il risultato economico – come avvenuto con la riduzione dei contributi di sicurezza sociale con la quale non si è riusciti a colmare il divario nei costi di produzione tra Asia ed Europa – sarà illusorio.
Bairbre de Brún e Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Accogliamo il fatto che la relazione cerchi in un certo qual modo di riequilibrare la comunicazione della Commissione a favore della tutela dei diritti dei lavoratori. Se da un lato accogliamo il riconoscimento della necessità di creare lavori di qualità, di finanziare un apprendimento lungo tutto l’arco della vita, di qualificare e formare i lavoratori su una base progressiva e di avere strategie specifiche mirate all’inserimento dei giovani e delle donne, dall’altro deploriamo che gli impegni siano vaghi e manchino di obiettivi concreti in questi settori.
Un’economia dinamica e flessibile deve essere al servizio dei diritti e delle necessità dei lavoratori e al contempo degli interessi delle imprese. Noi siamo contrari alla visione univoca di flessibilità qui presentata.
Siamo contrari alla relazione in quanto, nonostante il casualismo e lo sfruttamento di lavoratori atipici, l’UE e gli Stati membri non sono stati in grado di intervenire in particolare per quanto riguarda i lavoratori temporanei tramite agenzia.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ho votato contro la relazione Christensen sulla flessicurezza in quanto questa, in nome della flessibilità delle relazioni di lavoro, indebolisce la tutela della normale occupazione e la sicurezza del lavoratore. Nonostante gli sforzi e le proposte del gruppo della Sinistra europea, il Parlamento europeo, tramite il compromesso approvato della Destra/Socialista europea, ha adottato la filosofia basilare – facendo eccezione per alcuni cambiamenti individuali – delle proposte neoliberali della Commissione. In nome della competitività e del profitto del gruppo, i risultati dei sindacati sono ora considerati “inflessibili” e quasi “un peso”. I licenziamenti saranno più facili e non comporteranno costi alle aziende, e le spese di tutela dei giovani disoccupati dovranno essere interamente sostenute dalla comunità. La responsabilità delle aziende nei confronti dei lavoratori dipendenti viene rimpiazzata dalla responsabilità della società nei confronti dei disoccupati. Alla luce di questo nuovo modello, le trattative collettive e il ruolo dei sindacati risultano estremamente indeboliti. Con le proprie proposte alla commissione per gli affari sociali e l’occupazione e alla sessione plenaria, la Sinistra europea, assieme ai sindacati sta facendo pressione per le tutela di tutti i lavoratori dipendenti al di là del tipo di contratto con il quale sono assunti, affermando che il diritto all’azione collettiva è un aspetto importante del diritto del lavoro. Facciamo appello agli Stati membri affinché promuovano l’occupazione regolare e garantiscano e migliorino i diritti dei lavoratori dipendenti con un alto standard di tutela sociale.
Pierre Pribetich (PSE), per iscritto. – (FR) La maggioranza del Parlamento europeo ha purtroppo rifiutato un emendamento di fondamentale importanza alla relazione del collega Ole Christensen inerente i principi comuni di flessicurezza. Per questo motivo ho votato contro la suddetta relazione.
L’emendamento 41 per la promozione di una politica salariale europea suggeriva una retribuzione minima pari ad almeno il 50 per cento del reddito medio nazionale e questo mi sembrava un punto essenziale per combattere la bassa remunerazione spesso causa di povertà.
L’armonizzazione della retribuzione minima a livello europeo potrebbe portare un progresso determinante alle condizioni di occupazione dei lavoratori dell’Europa. Deploro profondamente il fatto che questa votazione abbia purtroppo impedito ancora una volta all’Europa sociale di fare un passo avanti verso la giustizia e la coesione.
Peter Skinner (PSE), per iscritto. − (EN) Per il movimento operaio europeo, la presenza di un numero riconosciuto di diritti fondamentali che, se necessario, può essere invocato da mezzi giuridici rappresenta un punto fondamentale.
Se consideriamo le pressioni esercitate sull’occupazione di milioni di persone in un’economia moderna liberalizzata e gli effetti della ricerca del mercato interno, la creazione di un equilibrio corretto ed effettivo risulta essenziale. Per questo, ho sostenuto gli aspetti di questa relazione incentrati su queste argomentazioni.
Renate Sommer e Gabriele Stauner (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Abbiamo votato contro questa relazione in quanto non si tratta d’altro che di un guazzabuglio di affermazioni contraddittorie, incapaci di delineare una linea definita sulle principali questioni sociali. Da questa relazione ognuno può ricavarne quello che più gli piace e, in particolare, viene data carta bianca alla Commissione per agire senza un fondamento giuridico regolare. Inoltre, rifiutiamo il termine “flessicurezza” in quanto si tratta di un gioco di parole privo di significato.
Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − (EN) La flessicurezza può funzionare solamente nella misura in cui vi è un sostegno ragionevole – sia da un punto di vista economico che di aiuto a trovare un nuovo impiego – per coloro che perdono il proprio lavoro.
Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. − (SV) Il concetto di flessicurezza ha purtroppo preso tanto piede nella discussione che non è possibile evitarlo. Il conflitto ruota intorno alla definizione che dovrebbe prevalere. In parole più semplici, i Conservatori pongono l’accento sulla flessibilità e i Socialisti sulla sicurezza. Nella relazione in materia di flessicurezza che abbiamo votato oggi nel Parlamento europeo, fortunatamente prevale la prima definizione ed è per questo motivo che ho potuto appoggiare la relazione nonostante un certo numero di considerazioni meno fortunate. Lo sbarazzarsi della rigidità che, in particolare, impedisce a giovani e anziani di mettersi in relazione con il mercato del lavoro deve essere una priorità se vogliamo combattere l’esclusione.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE), per iscritto. − (PT) La proposta della Commissione europea per una nuova politica europea per il turismo, presentata nella comunicazione “Una nuova politica comunitaria per il turismo: una partnership più forte per il turismo europeo”, che dà il titolo alla relazione, merita il nostro pieno appoggio.
La relazione rafforza e completa i provvedimenti della proposta della Commissione portando un miglioramento dato da:
– la difesa dell’armonizzazione delle norme di qualità per le strutture ricettive in Europa e il sostegno per la creazione di un “ombrello” europeo per i sistemi di gestione della qualità;
– la tutela dei consumatori specialmente nel settore dei servizi del turismo elettronico (prenotazioni e pagamenti);
– a livello di turismo accessibile, la considerazione non soltanto dei turisti a mobilità ridotta, ma anche del deficit di accessibilità delle regioni con caratteristiche naturali o geografiche specifiche, quali le regioni ultraperiferiche;
– la promozione del turismo sostenibile (economico, sociale, territoriale, ambientale e culturale);
– il rafforzamento dei diritti dei passeggeri nel settore del trasporto aereo;
– la promozione della destinazione “Europa” e delle destinazioni turistiche europee.
Per questi motivi ho votato a favore.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Se da un lato accogliamo alcuni aspetti di questa relazione quali la promozione di norme di qualità per le strutture ricettive, la tutela dei consumatori, il miglioramento dell’accessibilità delle destinazioni turistiche e del turismo per tutti, dall’altro deploriamo il rifiuto delle nostre proposte atte a rilevare le seguenti necessità:
– la tutela dei diritti dei lavoratori e dei lavori di qualità tramite l’investimento nella formazione e lo sviluppo delle risorse umane e garantendo contratti di occupazione sicuri e retribuzioni eque e dignitose;
– un approccio trasversale al settore nelle politiche e finanziamenti comunitari tramite la creazione di uno specifico programma comunitario che vada a completare le iniziative degli Stati membri.
– la riduzione della natura stagionale della domanda e la minimizzazione dell’impatto dell’uso e spreco delle risorse, e lo sviluppo di un turismo per tutti senza nessuna discriminazione.
Accogliamo le proposte atte a:
– garantire un turismo sostenibile che sostenga altre attività economiche a monte e a valle, che valorizzi il territorio e il nostro patrimonio culturale, storico e ambientale e che promuova la coesione territoriale;
– far fronte all’emergenza delle strutture turistiche fondate sul turismo di massa che avrebbero un impatto fortemente negativo sulle comunità locali, l’ambiente e sul patrimonio storico e culturale.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione Costa sulla politica per il turismo. L’industria turistica svolge un ruolo fondamentale nelle economie di tutte le nazioni europee ed è di importanza vitale in molti spazi rurali quali le Highlands e le isole scozzesi. E’ importante che nell’UE venga dato pieno sostegno allo sviluppo di un’industria turistica che tenga in debita considerazione le economie locali, la diversità linguistica e culturale e il benessere ambientale.
Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. − (SK) Alla luce delle possibilità che le nuove tecnologie offrono all’industria turistica, i turisti stanno facendo sempre meno ricorso a intermediari e agenti di viaggio e stanno facendo prenotazioni turistiche, principalmente per viaggi e sistemazioni, servendosi di strumenti elettronici.
Le difficoltà spesso insorgono nel momento in cui i consumatori restano delusi per non aver ottenuto i servizi per i quali hanno pagato anticipatamente. Recentemente, mi hanno informato delle prassi al Victoria Garden Suites Hotel a Strasburgo quando alcuni turisti slovacchi sono stati declassati da un hotel a tre stelle a uno a due stelle e sono stati trattati come se fossero stati cittadini di seconda classe. L’hotel non ha nemmeno rimborsato loro la differenza tra i servizi per i quali avevano pagato e quelli effettivamente forniti sebbene, di fronte all’accaduto, questo risarcimento fosse davvero esiguo.
Questo sviluppo dell’uso della tecnologia dell’informazione per i servizi turistici necessita di un quadro di tutela del consumatore e dei dati personali per le prenotazioni elettroniche. E’ importante che i consumatori ricevano informazioni corrette e non ingannevoli, aggiornate e prive di ogni ambiguità. Nell’interesse della tutela del consumatore, sarebbe utile che i siti che forniscono informazioni e offerte di servizi turistici (prenotazioni e pagamenti) di natura elettronica fossero certificati.
Non c’è niente di peggio per il turismo che l’insoddisfazione dei consumatori europei. Per questo motivo ho sostenuto pienamente la relazione “Una nuova politica comunitaria per il turismo: una partnership più forte per il turismo europeo” come suggerita dal relatore, onorevole Costa, e mi identifico in particolare con la sua attenzione alla tutela del consumatore.
Brian Simpson (PSE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa relazione in quanto esprime diverse buone idee su come migliorare la nostra politica per il turismo. In ogni caso, desidero rilevare l’importanza del patrimonio industriale e del suo contributo nel rivitalizzare vecchie zone industriali e nel trasmetterci ancora storia e cultura.
La salvaguardia del nostro patrimonio industriale è tanto importante quanto la conservazione di manufatti antichi o di fenomeni geografici. Vengo dal paese che ha dato origine alla Rivoluzione Industriale, una rivoluzione fondamentale per le vite di così tante persone che merita di essere riconosciuta come parte della nostra cultura unica europea.
Le risorse ora impegnate per il patrimonio industriale sia a livello europeo che nazionale sono ridotte rispetto a quelle destinate ad altri settori turistici.
Ad esempio, la federazione europea ferrovie turistiche e museali “FEDECRAIL” ha un ruolo dominante nel settore della conservazione delle ferrovie e non è oggi sufficientemente coadiuvata dall’Unione europea.
L’Unione europea dovrebbe riconoscere l’importanza del patrimonio industriale e dare priorità a questo particolare settore turistico di modo tale che le giovani generazioni possano comprendere il significato del nostro passato industriale.
Di certo è giunto il tempo di riconoscere il potenziale del patrimonio industriale al fine di svolgere un ruolo dominante nella futura politica europea per il turismo.
Renate Sommer (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Sono a favore della relazione su una nuova politica europea per il turismo in quanto questa rileva le possibilità di azione dell’UE nel settore turistico.
Sebbene l’UE non abbia competenze generali in questo settore, essa può ancora intraprendere delle misure in grado di promuovere il turismo. In questo modo, l’Unione può contribuire all’aumento della competitività dell’industria turistica che rappresenta un fattore economico importante e un’ancora più significativa fonte di occupazione.
Ciò che reputo di particolare importanza è la promozione di un turismo sostenibile e cioè di una forma di turismo nel quale gli elementi ambientali, economici e sociali vengono trattati parimenti. Il turismo sostenibile è un concetto basilare per lo sviluppo e la perpetuazione delle attività turistiche e rappresenta un fattore determinante nella conservazione e il rafforzamento del nostro patrimonio naturale e culturale. La salvaguardia del patrimonio naturale svolge un ruolo chiave nel progresso continuo di questa industria così importante a livello economico, e permette alle destinazioni turistiche europee di far fronte alla concorrenza internazionale. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che l’UE svolge sempre un ruolo guida, e il nostro esempio viene imitato sempre più frequentemente in molte parti del mondo e in vari settori di attività. Questo fatto ci pone di fronte a una grande responsabilità e, per questo motivo, vorrei invitare gli onorevoli colleghi membri e, in particolare, coloro che provengono dalle regioni più coinvolte nel turismo, a sostenere la ricerca della sostenibilità.
Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. – (FR) La nuova politica europea per il turismo deve prendere maggiormente in considerazione la tutela del consumatore, motivo per cui sto richiedendo la certificazione dei siti Internet che offrono servizi turistici. E’ necessario offrire ai consumatori un servizio chiaro e trasparente che risponda agli importanti standard di sicurezza a livello di prenotazioni e pagamenti.
Nonostante il progresso genuino della promozione “destinazione Europa”, ottenuto con la creazione di un portale di destinazioni turistiche, vorrei far pressione sulla Commissione e sugli Stati membri affinché continuino la loro opera di sviluppo delle regioni isolate a grande potenziale turistico (in particolare le regioni ultraperiferiche) nelle quali il turismo rappresenta un settore di attività indispensabile e vitale per lo sviluppo economico e sociale.
Al contempo, vorrei invitare gli organi professionali del settore ad accordare un sistema armonizzato di assegnazione delle sistemazioni e a istituire una partnership pubblico-privato a questo scopo.
Per concludere, vorrei spingere la Commissione a condurre uno studio di impatto sulle conseguenze del turismo stagionale a livello regionale e nel passato. Una migliore comprensione di questo fenomeno ci permetterà di fronteggiarlo in modo più efficace.
Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. − (SV) Proprio in principio, nel considerando A, la relazione nota la mancanza di una base giuridica per la politica europea per il turismo. Essa prosegue poi parlando del ruolo fondamentale che il turismo può svolgere nella promozione dell’integrazione sociale, e dell’importanza della crescente cooperazione nel fornire strutture ai turisti. Vi è un progetto ambizioso concernente la raccolta di statistiche e misure comuni per la garanzia di qualità e la tutela del consumatore e vengono inoltre presentate delle considerazioni sulla necessità di tutelare, conservare e restaurare il patrimonio culturale europeo.
Il Parlamento invita la Commissione a fornire agli Stati membri una guida al fine di migliorare il coordinamento politico nello sviluppo del turismo a livello nazionale, regionale e locale. Il Parlamento europeo vuole inoltre introdurre un marchio del patrimonio europeo al fine di valorizzare maggiormente quegli elementi considerati patrimonio da tutelare (come esempio vengono citati gli itinerari culturali europei e i monumenti).
Dal mio punto di vista, e nella legislazione attuale, la politica per il turismo è una questione nazionale. L’industria turistica deve svilupparsi in competizione con le attività turistiche degli altri paesi, e ogni Stato deve essere libero di dar vita alla propria politica autoctona. Per questo motivo, ho votato contro questa relazione.
Daniel Caspary (PPE-DE), per iscritto. − (EN) Ho deciso di votare a favore della relazione dell’onorevole Alain Lipietz sul “commercio e cambiamento climatico” alla minisessione plenaria svoltasi a novembre a Bruxelles. La relazione risulta valida e si concentra su molte delle preoccupazioni che tutti condividiamo. In ogni caso, ho deciso di esprimere parere contrario su alcuni emendamenti ai paragrafi in quanto sono convinto che il surriscaldamento globale debba essere affrontato con misure sostenibili che non vadano a influire negativamente sulla crescita economica o sulle prospettive a lungo termine del modello sociale europeo.
Sono molto sensibile alla questione del cambiamento climatico. L’Unione europea ha dato l’esempio nel proporre soluzioni ad ampio raggio su come far fronte al cambiamento climatico. Sono convinto che le proposte dell’Unione siano diventate il punto di riferimento di ogni discussione futura e credo che le stesse siano compatibili con il nostro modello economico.
Ritengo che il commercio mondiale sia stato d’aiuto all’economia mondiale, ma al contempo riconosco la necessità di fare qualcosa in più, in particolare nel settore dei trasporti, in modo da ridurre le emissioni nocive. Ciononostante, il commercio mondiale in quanto tale non deve essere intaccato.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione Lipietz sul commercio e cambiamento climatico in quanto ritengo che l’Europa dovrebbe ergersi a leader mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico e, per questo motivo, credo che la politica commerciale dell’Unione europea debba essere sostanzialmente modificata per orientarsi verso un’economia a bassa emissione di carbonio.
La relazione rileva la necessità di sviluppare modelli di produzione, consumo e commercio in grado di mitigare il cambiamento climatico e il suo impatto economico. A tal scopo, sono dunque necessarie delle misure per incoraggiare la produzione locale quale mezzo per ridurre il ricorso ai trasporti, e introdurre norme e sistemi di etichettature comuni nell’Unione europea con la finalità di rendere il consumatore consapevole delle implicazioni ambientali date dai diversi prodotti.
Christofer Fjellner (PPE-DE), per iscritto. − (SV) Noi moderati siamo oggi riusciti a convincere il Parlamento europeo a votare contro la proposta di introdurre le tariffe doganali sulle merci provenienti da paesi che non hanno aderito al protocollo di Kyoto. Allo stesso modo l’abbiamo persuaso a non avvallare l’opinione secondo la quale l’economia di mercato è responsabile dei problemi ambientali del mondo. Per questo motivo, abbiamo votato a favore della relazione sul commercio e il cambiamento climatico.
Il commercio in sé non rappresenta una minaccia all’ambiente, anzi. Il commercio crea la prosperità di cui abbiamo bisogno per affrontare le sfide future in materia di ambiente; esso ci permette di sfruttare meglio le risorse limitate e risolleva le persone dalla povertà che è alla base della maggior parte dei problemi ambientali globali. L’apertura e il commercio inoltre costituiscono la premessa al trasferimento di tecnologia che permetterà agli stati oggi in via di sviluppo di avere un ambiente migliore più rapidamente di quanto non possiamo noi.
Al contrario, il trasporto che non è in grado di sostenere i propri costi ambientali è uno dei problemi principali. Noi moderati riteniamo che il Parlamento stia adottando, nelle votazioni odierne, l’approccio sbagliato, promuovendo delle proposte che bloccano e limitano il commercio. Il Parlamento dovrebbe invece concentrarsi nell’imporre al trasporto di far fronte ai propri costi ambientali. La preoccupazione che tutti condividiamo riguardo all’ambiente non deve diventare un pretesto per il protezionismo, in quanto il protezionismo costituisce una minaccia per lo sviluppo e, di conseguenza, una minaccia per un ambiente sano.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. − (EN) La relazione dell’onorevole Lipietz tratta un argomento importante. Se vogliamo seriamente cercare di controllare la produzione dei gas ad “effetto serra”, dobbiamo assicurarci che questi costi siano calcolati in ogni singola occasione. Il commercio, o meglio il libero commercio, è un motore fondamentale, per l’economia mondiale, che dobbiamo sostenere. Ciononostante, non possiamo continuare a lungo a spedire merce per migliaia di chilometri intorno al globo, con merci virtualmente identiche che viaggiano in direzione opposta, e senza assicurarci che gli interi costi siano coperti. Ora questa transizione dovrà essere amministrata con attenzione se non vogliamo che qualcuna delle popolazioni più povere al mondo paghi per lo sperpero del mondo industrializzato che sfrutta con indifferenza le risorse ambientali del pianeta. L’Europa ha la responsabilità di proteggere quelle popolazioni i cui mezzi di sussistenza sono stati costruiti, senza colpa da parte loro, senza valutare la viabilità a lungo termine del pianeta ma considerando solo il profitto immediato.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Il partito Junilistan ritiene che l’Europa svolga un ruolo importante nella lotta per ridurre l’effetto dell’uomo sul clima della terra. In qualità di protagonista nel commercio mondiale, l’UE ha la possibilità di esercitare la propria influenza sugli effetti ambientali dati dalla produzione e dal trasporto internazionale.
Vi sono comunque dei seri rischi legati a questa relazione. Possiamo leggere nel succo del testo che una politica fondata su queste considerazioni aprirebbe la strada a tendenze protezioniste che molti gruppi di interesse e paesi dell’UE appoggiano. L’interesse del singolo cerca sempre di presentarsi come un esempio di interesse della comunità e, per questo motivo, l’appoggiare questa relazione potrebbe rivelarsi molto rischioso. Alla fine, potremmo avere come risultato un aumentato protezionismo e, di conseguenza, costi elevati per i poveri del mondo e per i consumatori dell’UE.
Al contrario, l’UE dovrebbe continuare sulla propria strada presentandosi come modello e alleato di tutti i paesi del mondo che vogliono agire in maniera responsabile sul cambiamento climatico. Il partito Junilistan ha quindi deciso di votare contro questa relazione.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Concordiamo in pieno con la relazione quando afferma che “l’attuale modello economico, che comporta una massimizzazione costante dei consumi, della produzione e degli scambi, non sia sostenibile dal momento che si basa sul crescente utilizzo delle risorse e dei trasporti e comporta una sempre maggiore produzione di rifiuti e di emissioni”, e siamo d’accordo con la stessa quando sostiene che l’attuale sistema di scambi conduce a “una divisione globale del lavoro che comporta un’incidenza elevata dei trasporti di prodotti” che potrebbero anche essere prodotti localmente.
In ogni caso, vorremmo rilevare alcuni aspetti negativi quali l’invito a giungere ad un accordo sullo smantellamento delle barriere tariffarie e non tariffarie di “beni e servizi verdi”, nel quadro degli attuali negoziati del ciclo di Doha dell’OMC, e l’accettazione implicita della negoziazione degli accordi di libero scambio che contraddice quanto affermato in precedenza dalla relazione sull’attuale sistema di commercio.
Siamo inoltre fortemente contrari al “principio chi inquina paga, possibilmente estendendo a livello globale il sistema di scambio delle quote di emissione”, principio che rifiutiamo a causa delle conseguenze che potrebbe avere.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Mi sono espresso a favore della relazione Lipietz sul commercio e il cambiamento climatico in quanto la questione del cambiamento climatico è attualmente una delle più urgenti e necessita una vera azione a livello nazionale, europeo e mondiale.
Pur sostenendo la relazione di oggi incentrata su molte importanti questioni internazionali, vorrei anche rilevare le proposte del governo scozzese per un disegno di legge sul cambiamento climatico. Il governo ha imposto un obiettivo mandatario a lungo termine al fine di ridurre dell’80 per cento le emissioni in Scozia entro il 2050. Credo si tratti di uno sforzo lodevole e spero che altri paesi dell’UE decidano di porsi degli obiettivi altrettanto ambiziosi nella rispettiva lotta contro il surriscaldamento mondiale.
Syed Kamall (PPE-DE), per iscritto. − (EN) Se da un lato vi è un ampio consenso alla necessità di ridurre le emissioni nocive, dall’altro l’autore di questa relazione richiede delle misure che limiterebbero il commercio con i paesi più poveri, condannando questi cittadini alla povertà, interrompendo le catene di fornitura mondiale e introducendo sanzioni insostenibili.
I conservatori ritengono che il modo migliore di ridurre le emissioni nocive sia quello di dare maggior enfasi alla tecnologia, stabilendo degli obiettivi realizzabili e incentivando il commercio con i paesi più poveri che potrebbero così permettersi di investire in processi e tecnologie più verdi e più pulite.
Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La mozione per una risoluzione si presenta con colori ambientalisti di scarsa qualità ed espressioni generalizzate di buoni propositi allo scopo di occultare il proprio contenuto reazionario che porta lo stampo dei raggruppamenti e delle organizzazioni imperialisti.
Essa critica i trasporti aerei e su strada perché producono maggiori quantità di CO2 rispetto a quelli marittimi o ferroviari e ora sostiene che la libertà di scelta (per le multinazionali) sia fondamentale per il commercio mondiale.
In merito al settore dei trasporti, la risoluzione chiede lo scambio di gas a effetto serra che non è stato in grado di ridurre le emissioni di CO2 ma si è dimostrato un vantaggioso meccanismo di borsa per il capitale. Essa sostiene gli obiettivi dei monopoli internazionali per un finanziamento generoso attraverso il “meccanismo di sviluppo pulito” (CDM).
Essa assegna alla banca europea per gli investimenti il ruolo di supervisore “ambientalista” che agirà “come suggerito dall’OCSE e dal G8” e richiede che le proposte future siano quelle promosse dall’OMC.
Il punto fondamentale è che le risorse naturali vengono ancora sfruttate dalle multinazionali, le foreste vengono dissipate, le riserve di acqua pulita ridotte e degradate, la desertificazione avanza, i raccolti geneticamente modificati si diffondono sempre più, i prodotti nocivi causano inquinamento, i conflitti armati e gli interventi imperialisti continuano, i gas ad effetto serra si accumulano, miliardi di persone sopportano la razzia e l’appropriazione indebita del capitale e a tutto questo, questa risoluzione darà appoggio e assistenza.
Per questi motivi, noi membri del Parlamento europeo del partito comunista greco, voteremo contro questa mozione.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo questa relazione che presenta un certo numero di soluzioni realizzabili che evidenziano come il commercio potrebbe essere usato come arma contro il cambiamento climatico. Soluzioni quali la garanzia di tassi doganali zero sui prodotti a bassa emissione/consumo di gas ad effetto serra, il divieto di importazione dei legnami esotici, una politica di etichettatura dei prodotti con efficienza energetica e l’integrazione dell’aviazione nel sistema di scambio di quote di emissioni dovrebbero essere volte a un continuo miglioramento.
Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. − (SV) La relazione dell’onorevole Lipietz sul commercio e il cambiamento climatico tocca due spazi nei quali l’UE ha un grande potere di esercitare un’influenza a livello internazionale. E’ quindi estremamente importante che nel Parlamento europeo noi ci informiamo sulla questione. Tutti gli stati del mondo hanno bisogno di una quota nell’economia internazionale data dal commercio. Soltanto un sistema di commercio avanzato e lo sviluppo economico forniscono una base reale con la quale risollevare le persone dalla povertà e influenzare l’ambiente. L’impegno dell’Europa verso l’ambiente e lo sviluppo devono continuare a fungere da catalizzatore per l’economia sostenibile fondata sul commercio, e non devono costituire un ostacolo alla stessa. Per questo motivo, deploro che la relazione votata oggi segua una linea che non favorisce totalmente il commercio e lo sviluppo. Con grossi dubbi, ho deciso comunque di votare a favore della relazione in quanto le formulazioni più problematiche sono state eliminate.
Jim Allister (NI), per iscritto. − (EN) La votazione dell’emendamento n. 6 della relazione Morgantini sul dare slancio all’agricoltura africana ci ha dato un valido giudizio sulle affinità e sintonie del gruppo GUE/NGL e della grande famiglia della sinistra. Presentandosi come un amico del despota Mugabe e opponendosi a chi era contro la sua presenza al Vertice di Lisbona dell’UE – Africa, il gruppo di sinistra si è rivelato per quello che effettivamente è. Dato che credo che Mugabe sia un ignobile tiranno che ha messo in ginocchio il proprio paese, ero lieto di votare contro l’emendamento n. 6 al fine di segnalare indignazione nei confronti del suo atteggiamento e della sua intenzione di partecipare all’incontro al vertice. Il fatto che il Parlamento, seppur con un margine ridotto, abbia adottato l’emendamento rappresenta uno spaventoso incoraggiamento per quel tiranno.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Denunciamo la manovra politica inaccettabile condotta dai settori più reazionari del Parlamento europeo per tentare di servirsi della relazione sull’“agricoltura africana” per criticare la legittima partecipazione del Presidente della Repubblica dello Zimbabwe, Stato membro a pieno diritto dell’Unione africana, al prossimo incontro al Vertice UE-Africa. Questa manovra è stata bocciata in tutti gli scopi e intenti.
Per quanto riguarda la relazione in sé, crediamo che essa presenti diversi aspetti positivi quali la critica al sostegno del “dare slancio all’agricoltura africana” per l’“agevolazione degli scambi” imperniato unicamente sugli accordi di partenariato economico, qui visto come una forma di ricatto al fine di promuovere la liberalizzazione del commercio dei prodotti agricoli.
Il fatto di incoraggiare molti di questi stati a rendere le proprie economie agricole dipendenti dall’UE è un tentativo di vincolare questi paesi a un accordo che impone loro un modello agricolo basato sulla monocoltura per l’esportazione, con il risultato di ovvi e seri problemi economici, sociali e ambientali sia per le popolazioni di molti stati africani che per quelle degli Stati membri dell’UE.
Per questo motivo, crediamo che aiutare l’agricoltura africana significhi sostenere lo sviluppo socialmente responsabile di un modello agricolo basato sulle proprie necessità specifiche e sulla sovranità e sicurezza alimentare di ogni paese.