Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni dell’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune e della Commissione sulla situazione a Gaza.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. − (ES) La ringrazio, signor Presidente, per avermi concesso la parola in questo importante dibattito che stiamo per affrontare.
Signor Presidente, la discussione che ci accingiamo a svolgere riguarda i drammatici avvenimenti delle ultime settimane e dei giorni scorsi: la questione di Gaza, la questione delle frontiere tra Gaza e l’Egitto e i valichi di frontiera tra Gaza e Israele.
La realtà emersa in questi ultimi giorni è terribile, la situazione umanitaria si sta gravemente deteriorando e anche la sicurezza registra un sensibile peggioramento.
Ritengo che il dibattito di oggi dovrebbe essere incentrato su come possiamo contribuire a risolvere i problemi.
In quest’Aula si sono svolti numerosi dibattiti sui problemi del passato e credo che oggi dobbiamo capire se siamo in grado di contribuire in quanto Unione europea a risolvere questa questione così importante, che influenzerà senza dubbio lo sviluppo della Conferenza di Annapolis e il processo di pace.
Desidero far presente ancora una volta che noi, l’Unione europea, siamo stati coerenti quando abbiamo esortato ad aprire i punti di frontiera al fine di permettere la libera circolazione, garantendone la sicurezza, di persone e merci, non solo merci destinate ad aiuti umanitari, ma anche di beni che possono contribuire allo sviluppo economico della regione e, più in particolare, della Cisgiordania e di Gaza.
In mancanza dei tre elementi fondamentali, vale a dire sviluppo politico, sviluppo economico e cambiamento della realtà sul terreno, sarà estremamente difficile per noi registrare pregressi. Occorre compiere passi avanti in questi tre campi, e occorre compierli tutti contemporaneamente.
Cosa possiamo fare noi europei?
Da quando ha iniziato a delinearsi la nuova situazione siamo stati in contatto permanente con tutti i soggetti chiave.
Come ben sapete, domenica si è svolta un’importante riunione della Lega araba in occasione della quale sono stati esposti tutti i problemi cui si è tentato di trovare una sorta di soluzione, una formula non molto distante da quella illustrataci alcune settimane fa al Consiglio europeo dal Primo Ministro Fayad e che ci ha ribadito domenica al vertice della Lega araba o alla riunione ministeriale della Lega araba: occorrerebbe cercare il modo di riprendere il controllo delle frontiere, affinché l’Autorità palestinese possa assumersene la responsabilità.
Se dovesse verificarsi questa situazione, a mio avviso l’Unione europea dovrebbe sollevare di nuovo la questione di Rafh negli stessi termini con cui l’abbiamo affrontata nel 2005.
Come ben sapete, ora non siamo presenti fisicamente in loco, siamo pronti a intervenire non appena richiesto, ma al momento non siamo sul posto. Non siamo presenti sulla frontiera da quando Gaza è sotto il controllo di Hamas, perché non siamo stati autorizzati a restare.
Ritengo che quello che dovremmo fare sia agire secondo quanto emerso nel dibattito svoltosi in sede di Consiglio europeo lunedì e in linea con le risoluzioni del Consiglio, in quanto penso che queste ultime siano molto valide e che abbiano indicato un orientamento ben accetto da tutti, dall’Egitto, dai palestinesi e da Israele.
Sono quindi dell’avviso che abbiamo imboccato la strada giusta. Quello che dobbiamo fare è capire come far sì che il cammino intrapreso in linea con le risoluzioni del Consiglio possa presto diventare realtà.
La sofferenza della gente è terribile, lo è anche la sofferenza della popolazione del sud di Israele, vittima anche del fuoco dei missili lanciati dalla parte settentrionale di Gaza, lanciati sui propri cittadini, un fattore che rende vano qualsiasi vagheggiamento di stabilità.
Se elaborassimo un pacchetto con tutti questi temi, compresa la liberazione di Al-Haram ash-Sharif, che non può esserne esclusa se vogliamo stabilizzare la situazione, forse potremmo cooperare, e mi farebbe davvero molto piacere che ciò avvenisse, nel tentativo di pervenire a una soluzione.
Come ho detto, sono in costante contatto con gli attori più importanti. Mi recherò in Egitto non appena terminano le sessioni di lavoro in corso tra palestinesi ed egiziani e che sono iniziate oggi. Domani o dopodomani sarò sul posto per poter partecipare e illustrare, a nome dell’Unione europea, il contributo che possiamo apportare.
Credo in tutta onestà che la soluzione migliore sarebbe poter ripristinare una situazione completa, in cui l’Autorità palestinese detenesse il controllo delle frontiere e ci fosse la libera circolazione di merci e persone, non solo per gli aiuti umanitari, ma anche per lo sviluppo economico e il commercio, essenziali per compiere reali progressi.
Onorevoli deputati, siamo di fronte a una realtà molto difficile, perché, come ho accennato all’inizio, in Medio Oriente tutto è collegato.
Se non riusciamo a compiere passi avanti verso una soluzione della questione di Gaza anche il processo di pace sarà pieno di difficoltà. Pertanto grava una grande responsabilità sulle nostre spalle; siate consapevoli di quello che si staglia dinanzi a noi e del fatto che noi, il Commissario ed io, non ci risparmieremo e dedicheremo il tempo rimastoci in queste poche settimane a esaminare come poter contribuire a trovare una soluzione a nome dell’Unione europea.
Signor Presidente, non ho più nulla da aggiungere, salvo esprimere la mia volontà di contribuire a realizzare questo obiettivo e la speranza di poter contare sul sostegno di quest’Assemblea.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, ritengo che ad Annapolis ci sia stato un momento di speranza. Ho sempre parlato di cauto ottimismo, ben consapevole di quale difficoltà porrebbe avviare i negoziati bilaterali tra il Primo Ministro Olmert e il Presidente Abbas, e poi si è svolta a Parigi quella che definirei una conferenza molto positiva e promettente, nel cui ambito è emerso un tale sostegno da indurci a pensare che la situazione ricevesse nuovo slancio. Ma al tempo stesso abbiamo sempre saputo che questo nuovo slancio poteva perdere vigore in qualsiasi momento. Credo che la situazione di Gaza e l’infinita spirale di violenza cui abbiamo assistito a gennaio siano una di quelle questioni di estrema difficoltà, senza dimenticare, tra le altre, gli attacchi missilistici e dei mortai che hanno colpito la popolazione civile di Israele, che potrebbero far naufragare l’intero processo. Com’è ovvio, comprendiamo che il dovere dello Stato di Israele è difendere i propri cittadini. La reazione militare israeliana ha causato molti morti e feriti tra i palestinesi presenti a Gaza. Abbiamo sempre sostenuto che non è possibile attuare le misure di protezione dei civili e ci abbiamo costantemente chiesto la libertà di accesso e di circolazione. Queste azioni hanno imposto un pesante tributo sulla popolazione civile di Gaza. Pertanto non c’è nulla di che stupirsi se le cose si sono spinte eccessivamente in là quando la gente ha sfondato i vari cancelli e muri per aprire un varco tra l’Egitto e Gaza.
La domanda ora è questa, e sono assolutamente allineata con Javier Solana riguardo a ciò: in quale modo possiamo intervenire per cambiare realmente di nuovo la situazione? La missione dell’Unione europea di assistenza alle frontiere per il valico di Rafah (EU BAM Rafah) è sul posto da tempo, ma purtroppo negli ultimi mesi non ha avuto la minima possibilità di agire; forse noi europei possiamo ora riprendere in mano la situazione e tentare di pervenire a una qualche soluzione. Ritengo che sia positivo che Javier Solana abbia in programma di andare in Egitto per chiedere che cosa possiamo fare e per riunire, forse, tutte le varie parti insieme, operazione molto complicata. Tuttavia interpreto anche in modo positivo il fatto che Salem Fayed sia da qualche tempo disposto a far intervenire l’Autorità palestinese affinché controlli le frontiere, perché anche questo è importante. Alla fine, è una responsabilità che spetta a loro. Per far sì che si consegua questo obiettivo, penso che l’Unione europea potrebbe di nuovo fungere da facilitatore. Forse lì non assumeremo mai le vesti di mediatori, ma solo di facilitatori. Di recente, a Parigi abbiamo avuto il primo incontro di verifica al quale hanno partecipato Bernard Kouchner, il Primo Ministro norvegese e Tony Blair. Io ero uno dei copresidenti della conferenza. Abbiamo tentato di capire che cosa si potrebbe fare sul terreno per far avanzare la situazione, per non collezionare solo esperienze negative. Ci siamo pronunciati a favore dei cosiddetti progetti “Quick Start” sull’infrastruttura di sicurezza, da un lato, e in particolare, dall’altro, sulle scuole, perché è un’area in cui chiunque può vedere, sentire e persino annusare nell’aria che la speranza c’è, che vogliamo instillare la speranza, e che la libertà di accesso e circolazione è una delle condizioni essenziali per realizzare questo obiettivo, perché altrimenti lo sviluppo economico non potrà decollare. Pertanto, sosteniamo incondizionatamente questa strategia cui ora cerchiamo di dare pieno seguito.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, se dovessi descrivere con una sola parola che cosa abbiamo visto in questi ultimi giorni alla frontiera meridionale della Striscia di Gaza userei il termine “disperazione”.
Due anni fa si sono tenute le elezioni in Palestina. Vari colleghi di quest’Assemblea, tra cui l’onorevole De Keyser, l’onorevole McMillan-Scott e altri, erano presenti durante il processo elettorale e oggi, a distanza di due anni, la causa palestinese è a pezzi e lo scenario che abbiamo di fronte a noi è di desolazione, scoraggiamento e disperazione, il che dimostra che il consolidamento di una democrazia non presuppone solo l’esercizio del diritto di voto, ma che bisogna poter contare su istituzioni rappresentative, una distribuzione dei poteri legittima e il rispetto dei diritti umani, a cominciare dal diritto alla vita.
La comunità internazionale ha implorato Hamas di rinunciare alla violenza, ma tale appello è rimasto lettera morta e per questo motivo non è stato eliminato dalla lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea.
È evidente che anche dall’altra parte non ci si è comportati bene: Israele ha accolto con favore la divisione della causa palestinese, ha perseguito la propria politica di insediamenti, ha esercitato una repressione indiscriminata e ha anche attuato un blocco selvaggio il cui unico risultato è stato favorire l’organizzazione Hamas.
Cosa possiamo fare? Sono dell’avviso che Javier Solana abbia descritto alla perfezione lo stato delle cose: appoggiare gli sforzi dell’Alto rappresentante, sostenere l’approccio adottato dalla conferenza di Napoli attraverso il Quartetto e i paesi arabi moderati, e, soprattutto, sostenere una politica riguardo alla quale credo dovremmo esprimere la nostra riconoscenza alla Commissione e alla signora commissario Ferrero-Waldner, vale a dire una politica che colloca gli esseri umani al centro dell’azione dell’Unione europea, individui che soffrono, tribolano, provano angoscia e che muoiono, secondo me, senza alcuna utilità e ormai da troppo tempo in Medio Oriente.
PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO Vicepresidente
Véronique De Keyser, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, tutti i muri alla fine crollano: le mura di Gerico, il muro del ghetto di Varsavia, il Muro di Berlino, il Muro atlantico, il muro dell’indifferenza. Il muro a Rafah, con un significato simbolico, fa parte di questo slancio cieco dell’uomo verso la libertà.
Ma che cosa hanno fatto gli abitanti di Gaza della loro ritrovata libertà? Sono scappati verso l’Egitto? Si sono armati e hanno imbracciato i kalashnikovs? No, perché purtroppo le armi arrivano sempre a destinazione, con o senza muro. Sono corsi a rifornirsi di beni di emergenza. Sono corsi a fare acquisti, a comprare medicine e latte per i bambini, introvabili a Gaza. Ciclomotori, capre e vacche sollevati per aria da gru hanno fatto il loro ingresso a Rafah, tra le acclamazioni della folla. Una scena surreale. E poi, ognuno è tornato a casa propria. Queste immagini sono eloquenti: quello che prima era impossibile era improvvisamente a portata di mano, e poi tutti sono tornati alle loro esistenze di sempre.
Ora abbiamo una responsabilità storica. Non si tratta più di sapere chi spalancherà le porte di una prigione a cielo aperto, ma chi le chiuderà di nuovo, chi oserà far ripiombare gli abitanti di Gaza nella loro lenta asfissia. Dall’inizio di Annapolis, l’Unione europea ha perso il suo tocco. Secondo quanto stabilito dalla tabella di marcia, aveva passato il controllo del processo di pace agli Stati Uniti. Ottenere la copresidenza della Conferenza dei donatori di Parigi è stato molto faticoso. Complimenti! Tuttavia gli europei hanno un mandato per l’accesso a Gaza sin dal 2005. Siamo in grado, in cooperazione con gli egiziani, l’Autorità palestinese, Hamas e Israele di riavviare il dialogo e di gestire l’accesso al mondo esterno per i palestinesi, o, al contrario, ci limiteremo ad assistere nelle vesti di osservatori all’inevitabile repressione che non mancherà di arrivare? Questa è l’intera questione. Oltre alla missione dell’EU BAM, la situazione riguarda il futuro dell’unità palestinese e il processo di pace, il rispetto del diritto internazionale e l’onore dell’Unione europea. A nome del mio gruppo, desidero inviare un messaggio molto chiaro al signor Solana: per l’amor del cielo, proceda!
Chris Davies, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, in quanto membro della delegazione del Parlamento per le relazioni con il Consiglio legislativo palestinese, cerco di capire il motivo per cui quando chiediamo di sospendere la costruzione di insediamenti gli israeliani ci ignorano e noi non facciamo niente. Cerco di comprendere perché se esortiamo a togliere i posti di controllo, gli israeliani ci ignorano e noi non facciamo niente. Perché, quando chiediamo di porre termine alla punizione collettiva del popolo di Gaza, gli israeliani ci ignorano e noi non facciamo niente.
Sono pertanto grato a Marc Otte, il rappresentante speciale dell’UE in Medio Oriente, che ieri ha partecipato a una riunione delle delegazioni e ha affermato che la nostra politica, la politica dell’Europa, consiste nel seguire la leadership indicata dall’America.
Ora, solo qualche settimana fa, il Primo Ministro israeliano ha detto riferendosi al Presidente Bush che “non fa una sola cosa che non mi trovi pienamente d’accordo. Non appoggia nulla cui io sia contrario. Non pronuncia una sola parola che, secondo lui, potrebbe rendere più difficile la vita per Israele”.
Quindi, la politica americana è la politica d’Israele, e noi europei tutti a imitare il capofila. Pertanto non c’è da stupirsi se le nostre condanne delle azioni di Israele suonano così vuote alle orecchie dei palestinesi. E nessuna meraviglia che l’insuccesso sia di questo calibro. Questo approccio europeo ci ha indotto ad appoggiare le elezioni in Palestina due anni fa, ma poi a rifiutare di tener conto dei risultati, indebolendo il nostro sostegno alla democrazia nel Medio Oriente.
È l’approccio che ci ha portati e chiedere la creazione di un governo di unità nazionale palestinese e una volta formato ci siamo rifiutati di confrontarci con il primo ministro e metà del consiglio dei ministri e il governo è crollato.
Questo approccio ha significato il rifiuto da parte nostra di parlare ai rappresentanti di Hamas a gaza, anche se sono loro il reale potere nell’area. Quali lezioni abbiamo tratto da questa nostra storia? Non è giunto il momento che l’Europa si tolga le bende dagli occhi e si liberi da questa politica unilaterale di America e Israele? Non sarebbe ora che parlassimo di indipendenza e intervenissimo con lungimiranza?
Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signor Solana, signor Commissario, prendere in ostaggio un’intera popolazione è stato un errore. È una lezione di un’altra epoca che non potrebbe funzionare, la parte peggiore è che la situazione si è aggravata, in termini politici e umani. Dobbiamo pertanto porci qualche domanda. La politica di isolamento di Hamas e l’isolamento di conseguenza di Gaza è miseramente fallita. Hamas è oggi più popolare che mai. C’è qualcosa di strano: Javier Solana e il Commissario hanno affermato che i palestinesi devono riprendere il controllo delle frontiere, ma come può l’Autorità palestinese riacquisire il potere a Gaza? Le frontiere non sono la Cisgiordania. E questo è un problema. L’altro problema è quello delle frontiere di Gaza. Inoltre, esiste un accordo tra Egitto e Israele in base al quale agli egiziani in Sinai non è consentito avere armi. È un accordo che risale a 20 anni fa, dal trattato di pace. Quindi, anche se gli egiziani avessero intenzione di fermare i terroristi in Sinai, non potrebbero perché non ne hanno il diritto. È pertanto una situazione di pura follia ed è altrettanto vero che in questo clima di follia dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. La prima responsabilità riguarda la possibilità di vivere della popolazione di Gaza e per conseguire tale obiettivo dobbiamo negoziare con quelli che detengono il potere amministrativo a Gaza. Non possiamo affermare “Vogliamo fornire da mangiare e da bere, vogliamo dare loro medicinali, ma non vogliamo parlare con quelli che possono far arrivare ai destinatari le medicine”.
Secondo, occorre dire che i palestinesi crederanno nella pace quando la pace porterà loro qualcosa. Al momento in Cisgiordania non si registra alcun progresso per quanto riguarda le frontiere o la libertà di circolazione. La pace è qualcosa di concreto, non è un concetto astratto. I missili non si fermeranno data la situazione attuale e se per la sicurezza di Israele dobbiamo allora dire a Israele stesso “Il blocco rende la vita impossibile ai palestinesi e mette a rischio la sicurezza di Israele”. Ecco la verità. Dobbiamo anche dire al Presidente Bush: “In ogni caso non sarà lì nell’arco di alcuni mesi. Allora, stia zitto e lasci fare la politica a coloro che conoscono meglio la situazione”. Che la politica di Israele segua la politica americana o viceversa è comunque uno sbaglio e non possiamo allinearci. Non è quindi sufficiente che l’Unione europea dica “Procedete”, ma deve dire “Procedete nella giusta direzione, discutete con coloro che sono i responsabili, e parlate con i leader israeliani”. Occorre dichiarare che la nostra solidarietà nei confronti di Israele non significa che continueremo a sostenerlo in una politica totalmente suicida.
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, signor Solana, signor Commissario, gli eroi di Gaza hanno ancora una volta dimostrato che non sono le mura fortificate che possono imprigionare lo spirito libero dell’umanità e che nessuna forma di violenza può sottomettere la vita. Sono parole del discorso pronunciato lo scorso sabato alle porte di Gaza da Nurit Peled, militante israeliana per la pace e Premio Sakharov, che era presente in loco con altri dimostranti palestinesi e israeliani.
È impossibile non condividere l’emozione provata da questa Madre Coraggio alla vista di questo popolo, oppresso e umiliato a un livello intollerabile, che forzava il blocco imposto da Israele e finalmente respirava l’aria fresca, con il tempo per trovare il latte per i bambini, un po’ di prodotti alimentari per la famiglia e un briciolo di felicità per il morale.
Che cosa succede ora? È sotto gli occhi di tutti la duplice minaccia che si profila da parte dei leader israeliani. La prima è l’intenzione di ricorrere alla forza per richiudere, o far richiudere, questo minuscolo spazio di libertà. La seconda, di carattere più generale, è sbarazzarsi della responsabilità della forza di occupazione di Gaza e scaricarla sull’Egitto.
Se le parole, peraltro giuste, della dichiarazione del Consiglio del 28 gennaio devono avere una portata reale, l’Unione europea deve impegnarsi a esercitare maggiore pressione sulle autorità israeliane, esercitare una pressione diretta e in seno al Quartetto, tralasciando le abituali e tortuose perifrasi, affinché queste accettino il principio di un’apertura permanente dei punti di transito, sotto la responsabilità dell’autorità palestinese e con il sostegno dell’Unione europea e della Lega araba. Se all’autorità palestinese continua a essere negata qualsiasi possibilità di offrire alla propria popolazione il più piccolo barlume di speranza per il futuro e di lavorare verso la necessaria riconciliazione nazionale palestinese, significa accettare il peggior scenario politico. Temo che al momento stiamo spianando con rapidità la strada a questa situazione.
Tutti sappiamo che è fondamentale un impulso da parte della comunità internazionale su Gaza e sulla Cisgiordania, compresa Gerusalemme est. Questo impulso non arriverà da un presidente americano logoro e screditato. Spetta all’Europa agire.
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, Gaza rimane una tragedia umana e nessuno di noi in quest’Aula può biasimare i pazienti cittadini palestinesi per essersi catapultati attraverso la breccia nel muro del valico di Rafah per andare a comprare in Egitto.
Tuttavia, il territorio e i cittadini di Gaza rimangono sotto il controllo brutale di Hamas, l’organizzazione terroristica che l’UE ha bandito, che non ha cessato il crimine di guerra indiscriminato, a mio avviso, di lanciare sui civili israeliani i missile Qassam, compresa la recente versione a più lungo raggio su Ashkelon. Questo significa che non si può condannare Israele per aver mantenuto il blocco economico, consentendo il passaggio solo agli aiuti umanitari essenziali.
Mi dispiace, onorevole Davies, mi dispiace, onorevole Cohn-Bendit: se Hamas ferma i suoi missili, Israele toglierà il blocco – è semplice, tutto qui.
Ioan Mircea Paşcu (PSE). – (EN) Signor Presidente, la separazione di fatto di Gaza dalla Cisgiordania da un lato complica ulteriormente un quadro già complesso di per sé. Ma, dall’altro, lo semplifica.
Vorrei spiegarmi riguardo a quest’ultimo concetto. Innanzi tutto, ha facilitato il dialogo tra Israele e l’Autorità palestinese della Cisgiordania. In secondo luogo, conteneva una militanza radicale islamica che ha consentito un chiaro approccio perché, da un canto, abbiamo i leader radicali di Hamas e il resto della popolazione e, a tale riguardo, non è un segreto per chi dobbiamo schierarci.
In terzo luogo, ne consegue che, nell’equazione, anziché due fattori (uno molto chiaro, Israele, l’altro, i palestinesi, un po’ vago) adesso ne abbiamo tre ben definiti, Gaza compresa, con un segno di moltiplicazione tra ognuno di loro, il che significa che se uno è pari a zero, il prodotto sarà zero.
David Hammerstein (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, solo alcune domande molto concrete: come possiamo tornare alla missione EU BAM al valico di Rafah, data la mancanza di sicurezza della situazione precedente? Si tratta di un corpo europeo disarmato! Se un solo colpo viene sparato, se precipita la situazione laddove c’è una minuscola crepa nella sicurezza, i funzionari di polizia torneranno all’albergo ad Ashkelon?
In quale modo possiamo negoziare un accordo con i palestinesi, con l’Egitto e con Israele per cambiare l’attuale situazione? Se non siamo in grado di conseguire questo obiettivo poco importerà tornare alla situazione precedente, come ha affermato la signora Commissario Ferrero-Waldner. Dobbiamo instaurare una situazione a prova di fattori di insicurezza.
Inoltre, come possiamo procedere verso la pace senza affrontare la situazione di Gaza? Il processo di Napoli ha ignorato tale aspetto e ritengo che non sia possibile mantenere questo atteggiamento: è impossibile che esista un’autorità palestinese che si occupi dell’insicurezza a Gaza se non c’è la pace.
Infine, vorrei porre una domanda riguardo alle soluzioni a medio termine per fornire acqua ed energia a Gaza. Non sarebbe pensabile proporre soluzioni nella zona di confine tra Gaza e l’Egitto sulla falsariga della proposta di installare impianti di desalinizzazione e generazione di energia?
Luisa Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ieri un bambino è morto a Gaza all’ospedale Shifa, 80 morti all’ospedale a Gaza perché non possono andare a curarsi anche in Israele. Oggi la Corte di giustizia israeliana ha dato ragione al governo, cioè a Barak, di bloccare e ridurre la fornitura di combustibile. Questa è la situazione!
Solana si chiedeva cosa possiamo fare noi europei. La Commissaria diceva che dobbiamo fare la differenza. La differenza è la verità. La differenza è il coraggio non solo di dire – so che voi fate una fatica immensa, che siete sempre lì a faticare, che soffrite con noi della sofferenza di palestinesi e israeliani – ma per favore c’è bisogno di agire! C’è bisogno di dire chiaramente al governo israeliano che, se vuole aiutare Salam Faiad e Mahmoud Abbas, deve smettere non solo la chiusura di Gaza, ma deve smettere di uccidere come ha ucciso ieri a Betlemme altri giovani ragazzi, deve smettere di chiudere dentro ghetti i palestinesi nella Cisgiordania.
Non è solo Gaza. Gaza è diventata l’immagine forte, ma l’occupazione continua ogni giorno. La pace è indispensabile a tutti, è indispensabile ai palestinesi e agli israeliani. Bisogna bloccare …
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, è positivo che riusciamo a tenere il presente dibattito subito dopo i terribili avvenimenti nella Striscia di Gaza. È altresì positivo che il Parlamento abbia questa opportunità di illustrare la propria posizione a Javier Solana e alla signora Commissario Ferrero-Waldner. Al tempo stesso è importante che cogliamo questa occasione per informarci meglio. L’onorevole Cohn-Bendit ha affermato che non era sufficiente fornire derrate alimentari, ma che dovevamo anche confrontarci. Adesso disponiamo di nuovi meccanismi quali il programma PEGASUS che può promuovere un dialogo e una cooperazione più proficui. Forse la signora Commissario ci può fornire qualche informazione in più al riguardo.
Frieda Brepoels (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, signor Solana, signora Commissario, concordo incondizionatamente con gli onorevoli colleghi che hanno affermato che è ormai finito il tempo di limitarsi a esprimere preoccupazione per gli avvenimenti drammatici e la situazione umanitaria di Gaza e che i semplici aiuti finanziari non sono sufficienti.
Ritengo, invece, che la situazione a Gaza e il blocco debbano essere visti nel contesto globale del conflitto israelo-palestinese. I palestinesi hanno chiaramente riposto tutte le loro speranze nel fatto che l’UE riesca alla fine a sortire alcuni risultati. In passato sono state fatte molte promesse, ma possiamo notare che nella pratica, ossia nel seguire l’attuazione dei negoziati della Conferenza di Annapolis e in seno alle Nazioni Unite, l’UE non riesce a rafforzare il suo ruolo di mediatore attivo. Penso che questo sia inaccettabile e l’UE non deve più lasciarsi mettere in disparte dagli Stati Uniti, ma deve adottare una posizione indipendente.
Bairbre de Brún, (GUE/NGL). – (GA) Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione la signora Commissario Ferrero-Waldner, ma non credo che sia sufficiente parlare di facilitazione o incoraggiamento quando il governo di Israele persegue il genere di politica che abbiamo visto sul confine tra Gaza e l’Egitto.
Le istituzioni europee devono intervenire; devono assumere una posizione contro il governo israeliano e dire forte e chiaro che si oppongono al blocco inumano che sta soffocando la vita al di fuori della Striscia di Gaza.
È una politica davvero crudele e ostile all’intera popolazione sotto l’occupazione israeliana. Nel XXI secolo non si possano giustificare azioni di questo genere. Ed è assurdo che Israele sostenga semplicemente di difendersi quando i comuni palestinesi cercano una vita senza le sofferenze che vengono loro inflitte.
Dobbiamo intervenire anziché trascorrere giorni, settimane e mesi senza alla fine fare nient’altro se non parlare.
Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, i fatti di Gaza sono tragici e tutti i miei colleghi deputati hanno espresso la propria indignazione. Questi avvenimenti sono deplorevoli anche per l’Unione europea. Non solo risentiamo di una debolezza politica, ma io non so neppure in quale modo possiamo onorare gli impegni che abbiamo assunto riguardo a un’assistenza finanziaria efficace e agli aiuti umanitari dove siamo coinvolti. Il TIM si sta trasformando nel PEGASE e noi investiamo in risorse umane, meccanismi e risorse comunitarie.
Mi chiedo come possiamo ottenere un esito positivo a questo punto.
Ha nessuna notizia, signora Commissario? Gli aiuti umanitari raggiungono Gaza? È in corso la cooperazione con Israele anche se solo riguardo a questa problematica particolare? L’Autorità palestinese può contribuire in qualche modo a favorire il processo e facilitare gli aiuti umanitari? PEGASE, logicamente, dovrebbe essere attuato domani. I suoi servizi hanno investito nei dettagli, nella programmazione e nelle risorse umane. Come possiamo mantenere fede a questa visione e a tali risorse, signora Commissario?
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, la situazione a Gaza richiede l’immediata eliminazione del blocco israeliano. Occorre fornire assistenza alla popolazione di Gaza per affrontare i loro bisogni immediati. La Lega araba, l’Unione europea e persino Israele devono facilitare il contatto tra Fath e Hamas onde prevenire all’unità tra il popolo palestinese, come all’epoca in cui il governo dell’unità nazionale era al potere. Affinché questo avvenga, tutti i rappresentanti palestinesi eletti che sono membri di Hamas devono essere rilasciati dalle carceri israeliane. Si devono creare le giuste condizioni per indire elezioni generali. Sia l’Unione europea che gli Stati Uniti devono assumere il preciso impegno a rispettare appieno il risultato elettorale, qualunque esso sia.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (DE) Vorrei ribadire sinteticamente la mia posizione su questo argomento davvero spinoso, che abbiamo dibattuto a lungo lunedì in sede di Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”. Devo far presente, sebbene sia sottinteso, che non ci limitiamo a discutere: insieme agli Stati Uniti, ai palestinesi e agli israeliani e, ovviamente, anche con le Nazioni Unite e i russi nel quadro del Quartetto, l’Unione europea ha svolto la sua parte riguardo all’adozione di una strategia comune.
In precedenza ho fatto riferimento, quantunque brevemente parlando di Annapolis, a un aspetto della strategia, ossia il processo di negoziati bilaterali tra il Presidente Abbas e il Primo Ministro Olmert. L’altro aspetto, che riguarda più direttamente la mia funzione in seno alla Commissione, è lo sforzo di produrre un nuovo sviluppo che comporterà progressi importanti per la popolazione, e sono pienamente consapevole dell’enorme portata di tale compito. Sono sempre stata ben conscia delle difficoltà, ma ovviamente volevamo intraprendere qualsiasi azione possibile al fine di contribuire, e tale rimane la nostra posizione. Per questo motivo, l’impostazione della nostra politica è sostenere il Presidente Abbas nel suo sforzo di realizzare la pace attraverso i suoi colloqui nella prospettiva di utilizzare quella pace per promuovere un processo di conciliazione con Hamas. Era questa l’idea alla base della strategia.
Intendiamo sostenere anche altri incontri. Negli ultimi giorni abbiamo avuto un colloquio con Olmert e Abbas. Sappiamo che non significa molto in termini di sostanza, ma questo è comprensibile, dal momento che tutti i confronti oggi sono dominati da una situazione di grande tensione. Ciononostante dobbiamo proseguire su questa strada. Disponiamo ancora degli strumenti per intraprendere qualche cosa fino al prossimo incontro che si terrà a Mosca, se sosteniamo entrambe le parti.
Questa è una faccia della medaglia. Il rovescio è quello della prospettiva umanitaria ed economica. Su questo punto vorrei rivolgermi a coloro che potrebbero non aver letto la mia dichiarazione: il 21 gennaio ho espresso con molta chiarezza la presa di posizione riguardo alla situazione di Gaza, perché anch’io sono dell’avviso che le cose si siano semplicemente spinte troppo in là. Questo ha contribuito, congiuntamente ad altre dichiarazioni di ministri esteri e organizzazioni internazionali, a migliorare la situazione. Il blocco, naturalmente, non è stato soppresso del tutto, ma la situazione è di gran lunga migliorata. E di conseguenza, per quanto riguarda gli aiuti umanitari – e questo è per rispondere anche alla sua domanda, onorevole Kratsa-Tsagaropoulou – molte forniture stanno ora effettivamente arrivando a destinazione a Gaza.
Nondimeno, siamo perfettamente consapevoli che tutto questo non è sufficiente. Ed io stessa non ignoro, onorevole Cohn-Bendit, che ci troviamo ad affrontare una situazione estremamente difficile; l’Alto rappresentante lo sa benissimo e forse anche lui prenderà posizione in merito. Per il momento tuttavia procederemo con la strategia comune che abbiamo definito di comune accordo e che intendiamo attuare insieme, e non abbiamo altra possibilità se non impegnarci per l’apertura delle frontiere, che lo stesso Salam Fayyad, come ben sapete, reputa un passo cruciale.
Vorrei solo aggiungere brevemente qualche parola sul meccanismo elaborato di concerto, che diventerà operativo a tutti gli effetti tra due giorni, il primo di febbraio. Si tratta di un meccanismo permanente, a differenza di quello precedente, il Meccanismo temporaneo internazionale (TIM), che abbiamo dovuto continuamente prorogare. Il nuovo meccanismo è anche stato intenzionalmente creato in collaborazione con l’Autorità palestinese. Abbiamo lavorato a strettissimo contatto con il Primo Ministro Fayyad riguardo al progetto affinché il risultato rispondesse alle sue aspettative, ossia un piano di sviluppo e progresso per l’economia palestinese e, ovviamente, per le sue infrastrutture.
Deve essere uno sforzo europeo comune, e con questo intendo dire che il meccanismo, un dispositivo finanziario, può essere impiegato non solo da noi ma anche dagli Stati membri. L’idea, in effetti, è che anche organizzazioni internazionali e paesi non europei possano avvalersi, in linea di principio, di tale meccanismo. Al pari del TIM, offre una supervisione e un controllo totali, perché intendiamo soddisfare tutti i criteri di trasparenza, ed è strutturato per fornire aiuti diretti di bilancio, convogliare aiuti attraverso l’UNWRA, l’agenzia di soccorso e lavoro delle Nazioni unite, e altre organizzazioni o per finanziare i nostri progetti. Comprendo bene tuttavia che questa problematica rimanga in secondo piano rispetto all’interrogativo politico principale, vale a dire che cosa possiamo fare per risolvere l’attuale situazione. Com’è ovvio, sono perfettamente consapevole del problema, ma considerata la congiuntura del momento è l’unica risposta che posso fornirvi.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. − (EN) Signor Presidente, ho ascoltato con grande attenzione quello che è stato detto. Potrei dire lo stesso e dirlo con la stessa emozione e lo stesso sentimento, perché i nostri sentimenti sono comuni.
Ma voi dite che dobbiamo agire e non solo parlare. Ritenete che intervenire potrà cambiare la nostra politica di 180 gradi oggi? Francamente non so se è un approccio assennato, a dire la verità.
Che cosa è accaduto negli ultimi giorni, oltre alla tragedia umanitaria? Potremmo parlare per ore ed esprimere ciò che proviamo, perché i nostri sentimenti sono gli stessi dei vostri – almeno per quanto mi riguarda – e anche della signora Commissario, ne sono sicuro.
All’inizio della settimana, a distanza di poche ore dallo scoppio delle tensioni, la Lega araba si è riunita. In quella sede ha preso una decisione, una decisione sostenuta lunedì dal Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”, una decisione che cercheremo di attuare nelle prossime ore a seguito di un incontro tenutosi stamattina tra l’Autorità palestinese e l’Egitto – ancora in corso mentre siamo qui a discutere e che proseguirà nella notte e probabilmente domani o dopodomani – in cui hanno stabilito dove possiamo davvero intervenire con efficacia.
Tuttavia ritengo che a distanza di un mese dalla conferenza di Parigi, un mese e mezzo dalla conferenza di Annapolis, in un momento in cui tutti i paesi arabi partecipano e altri paesi svolgono per la prima volta un ruolo costruttivo, penso che dobbiamo allinearci a quella direzione. Ora, non sarebbe serio da parte nostra agire da soli. Dobbiamo adoperarci insieme a tutti i partner che sono sul campo. Sosteniamo – e le conclusioni del consiglio sono molto precise al riguardo – la risoluzione della Lega araba di domenica relativa alle frontiere, approvata lunedì. Seguiremo le discussioni di mercoledì e giovedì.
Penso che questa sia azione, ma non so cosa posso fare. È una storia diversa se mi dite
(FR) “procedete nella giusta direzione”. Questo significa che al momento seguiamo la direzione sbagliata.
(Interruzione da parte dell’onorevole Cohn-Bendit: “... direzione ignota ...”)
Signor Presidente, ritengo che se l’onorevole Cohn-Bendit,
(EN) un illustre membro di questo Parlamento, afferma che oggi la strategia dell’Unione europea è “inconnue’, je ne comprends rien”, possa dire qualsiasi cosa desideri. Lei può dire che oggi la strategia dell’Unione europea dopo Annapolis, dopo aver presieduto la conferenza di Parigi, dopo aver sostenuto la Lega araba è “inconnue”, può scegliere altre formule, ma non credo che si possa scegliere l’aggettivo “inconnue”. Può non gradirla –
(Mormorii)
Può non trovarsi d’accordo, ma è molto difficile sostenere che non è conosciuta. Condivido molti dei sentimenti che sono stati espressi con molta eloquenza. E potrei affermare che vi aspettano, ci aspettano, responsabilità nelle prossime ore e nei giorni a venire che dovremo affrontare. Siamo in grado di risolvere la situazione? Non lo so. Non lo sapete neppure voi. Ma potete stare certi che tenteremo, e cercheremo di appoggiare il Primo Ministro Fayyad perché è stato il nostro interlocutore durante tutto questo periodo. È un uomo di buona volontà, motivo per cui non possiamo abbandonarlo. Io non lo abbandonerò.
Pertanto dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione. L’impresa non sarà scevra di frustrazioni, sarà frustrante. Risolveremo tutti i problemi? Non lo so. Ma tenteremo con tutte le nostre energie e con tutta la nostra forza di volontà.
Condivido tutti i sentimenti che sono stati espressi. Non oserei dire con maggiore intensità, ma almeno con la stessa che provate voi, che provano tutti i nostri amici qui, perché siamo dalla stessa parte della barricata, siamo impegnati insieme in questa battaglia da tanto tempo. Pertanto non c’è differenza nel sentimento, e dobbiamo proseguire quello che stiamo facendo.
Penso che dobbiamo muoverci in quella direzione. Vi prometto che io la seguirò. Cercherò di incontrarmi con gli egiziani, i sauditi e tutti gli altri interlocutori – gli americani, i russi, tutti – per vedere se possiamo venirne fuori con una soluzione che non possa essere la stessa. Deve essere qualcosa di collettivamente diverso. Altrimenti, credo che non riusciremo a produrre alcun risultato.
Potreste affermare che in tanti anni non avete visto il benché minimo risultato. Dal 1967 non abbiamo sortito alcun esito collettivamente, in quanto comunità internazionale. È vero. È nostra responsabilità. Ma non penso che possiamo risolvere il problema domani prendendo una decisione adesso che è diversa da quella che abbiamo adottato lunedì in sede di Consiglio.
Il Consiglio europeo di lunedì ci ha offerto una struttura e dobbiamo cercare di attuarla. Sarei ben lieto di tornare, e parlarvi e illustrarvi con molta onestà, come stiamo facendo qui, le conseguenze dei nostri atti.
Vi prego però di non pensare che non proviamo gli stessi sentimenti. Li proviamo, eccome. Conosciamo la situazione laggiù e non possiamo dire di più. Per quanto riguarda il fatto di intervenire, state tranquilli che stiamo facendo tutto ciò che possiamo.
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà durante la tornata di febbraio.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. – Grazie Presidente, troppe volte quest’Aula ha discusso, in lunghi dibattiti, della questione israelo-palestinese. Tuttavia dobbiamo rilevare, oggettivamente, che il ruolo che l’Unione Europea è riuscita a giocare finora nella vicenda è del tutto marginale: tanti proclami, dichiarazioni di intenti, mozioni e documenti ma poi concretamente davvero poca consistenza nelle azioni. Ho visitato la Palestina di recente ed ho registrato un clima di sconforto, delusione e rassegnazione tra la gente, stanca di anni di promesse disattese: la situazione sta precipitando e si rischia seriamente di consegnare i territori palestinesi agli estremisti di Hamas. L’aria che si respira è pesante e sembra quasi ineluttabile il ricorso alla forza. Il tempo sta stavolta davvero scadendo: o l’Europa avrà la forza e la capacità di invertire questa impostazione di fondo o avremo, tutti, la responsabilità di non aver saputo fare abbastanza per evitare il peggio.
Tunne Kelam (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Come ha sottolineato il mio collega, l’onorevole Michael Gahler, l’attuale risoluzione segue la linea delle sei potenze, ossia mantenere la pressione sull’Iran.
A mio avviso, il problema pratico è come il regime iraniano percepirà il documento. In una situazione in cui i grandi della politica internazionale non sono disponibili e in grado di decidere di imporre sanzioni pesanti all’Iran, è altamente improbabile che la risoluzione in oggetto possa cambiare lo stato di cose.
Tuttavia, c’è ancora una possibilità – ancora inesplorata – di esercitare un impatto.
Si tratta di offrire un’opportunità al movimento di opposizione iraniano ponendo termine alla sua eliminazione politica da parte dei governi dell’UE. Il Tribunale di primo grado delle Comunità europee nel dicembre 2006, e i giudici britannici lo scorso novembre, hanno statuito che non sussiste il benché minimo motivo per isolare tale opposizione iraniana. Liberare le mani dell’opposizione iraniana per attività pacifiche conferirà all’UE non solo la forza necessaria per influenzare il regime dei mullah, ma aprirà una terza e più realistica via tra la diplomazia che nutre aspirazioni positive, da un lato, e l’intervento militare di stampo statunitense, dall’altro.
Se intendiamo sinceramente offrire un’opportunità concreta all’Iran, diamogli questa terza opzione.