Presidente. − Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta il 23 gennaio 2008.
2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
3. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
4. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale
5. Seguito dato alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
6. Dichiarazioni scritte decadute: vedasi processo verbale
7. Una strategia europea per i Rom (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
8. Dichiarazione della Presidenza
Presidente. − Onorevoli colleghi, dopo l’Ungheria, ieri la Slovenia e Malta hanno ratificato il Trattato di Lisbona.
(Applausi)
Il parlamento sloveno ha votato a stragrande maggioranza la ratifica. Il parlamento maltese ha, da parte sua, adottato all’unanimità il Trattato. È un importante segnale politico con cui gli Stati membri hanno dimostrato chiaramente che desiderano che il processo di ratifica proceda spedito affinché il Trattato possa entrare in vigore il 1° gennaio 2009, come da programma.
Mi congratulo con la Slovenia e Malta per questa decisione di estrema importanza.
(Applausi)
Per motivi interni, come sapete, il parlamento slovacco ha deciso ieri di posticipare il voto a una data successiva. Mi rivolgo a tutti i leader politici della Slovacchia affinché non disattendano la grande responsabilità politica che incombe loro.
9. Approvazione del processo verbale
(Il Parlamento approva il processo verbale della seduta precedente)
***
Nigel Farage (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, il processo verbale della seduta precedente riporta il suo intervento nel corso del quale ha citato gli incidenti avvenuti in dicembre a Strasburgo. Dall’epoca di quei fatti, ai sensi dell’articolo 147 del nostro riverito regolamento, lei ha convocato 13 deputati di quest’Assemblea a fini disciplinari.
Mi sembra che quest’azione sia stata intrapresa in modo piuttosto arbitrario. Dubito che chiunque dei parlamentari da lei richiamati, ad esempio l’onorevole Sinnott del nostro gruppo, abbia mai inveito in vita sua contro qualcuno. Un altro deputato, un rappresentante austriaco, da lei convocato nell’ufficio del direttore, quel giorno era in realtà a Francoforte, e quindi deve avere una voce terribilmente tonante, non è vero?
Perché solo 13? Erano un’ottantina di noi quelli coinvolti nelle cosiddette perturbazioni. Di fatti, alla riunione della Conferenza dei presidenti, lei stesso mi ha nominato tra gli autori dell’accaduto, e allora perché non vengo punito? Io sono Spartaco!
(Grida di “Io sono Spartaco” da deputati del gruppo IND/DEM)
Presidente. − Avevo chiesto se c’erano osservazioni riguardo al processo verbale. Mi aspettavo che il presidente del gruppo IND/DEM comprendesse l’intervento del Presidente e incentrasse i propri commenti sul processo verbale, cosa che ha palesemente mancato di fare, e quindi ora possiamo procedere.
10. Contestazione relativa alla validità del mandato di un deputato: vedasi processo
11. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
12. Interpretazione del regolamento: vedasi processo verbale
13. Ordine dei lavori
Presidente. − Il progetto definitivo di ordine del giorno, fissato dalla Conferenza dei presidenti ai sensi degli articoli 130 e 131 del regolamento, nella riunione di giovedì 17 gennaio 2008, è stato distribuito. Sono state presentate le seguenti proposte di modifica:
Per quanto riguarda la tornata di Bruxelles
Su richiesta del gruppo GUE/NGL e con il consenso di tutti i gruppi, propongo di aggiungere le dichiarazioni sulla situazione di Gaza da parte di Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, già presente qui in Aula e al quale rivolgo un calorosissimo benvenuto, e da parte della Commissione al punto 2 dell’ordine del giorno di oggi, dopo le dichiarazioni sulla situazione in Iran.
(Il Parlamento accoglie la richiesta)
È stata anche avanzata la richiesta di concludere la discussione con la presentazione di proposte di risoluzioni e di votare al riguardo durante la seduta di febbraio.
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, le ragioni che hanno indotto il mio gruppo a proporre un dibattito su tale questione sono le stesse che ci hanno portato a chiedere di giungere a una risoluzione a febbraio: è la possibilità di ascoltare il signor Solana e, poi, l’opportunità per quest’Aula di esprimere la propria posizione, e questo per tre motivi.
Il primo è, ovviamente, la questione del blocco di Gaza, che ci sembra una punizione collettiva assolutamente inaccettabile sul piano umanitario, controproducente dal punto di vista politico e inefficace da quello della sicurezza di Israele. Il secondo motivo è la nuova situazione emersa da quando la popolazione di Gaza ha aperto la frontiera. Terzo, e soprattutto, la risposta europea alla domanda relativa a che cosa possiamo fare per garantire che questa apertura perduri in modo controllato e stabile e per inserire questa tappa nel quadro globale del processo di pace.
Ritengo che oggi sia utile ascoltare quanto ha da dirci Javier Solana, confrontarci in merito e, a febbraio, concludere il dibattito pervenendo a una risoluzione.
Daniel Hannan (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, desidero presentare una mozione di procedura, ai sensi degli articoli 173, 19, paragrafi 1, 161 e 171, riguardo alla decisione della commissione per gli affari costituzionali che ha citato poc’anzi e che rappresenta, mi spiace dirlo, il momento in cui quest’Aula abbandona qualsiasi pretesa di legalità o di Stato di diritto.
La scorsa settimana lei ha chiesto, e la commissione per gli affari costituzionali glieli ha accordati, poteri discrezionali per disapplicare arbitrariamente il regolamento di quest’Assemblea secondo il suo personale punto di vista. Il regolamento non consente tale libertà d’azione. Lei ha citato l’articolo 19, paragrafo 1. Mi permetta di leggere cosa sancisce: “Il Presidente dirige, nelle condizioni previste dal presente regolamento, l’insieme dei lavori del Parlamento e dei suoi organi.” Non attribuisce il potere discrezionale di non tenerne conto solo perché lei condivide le idee di coloro che presentano emendamenti o richieste che, sono parole sue, lei ha accolto in quanto “erano basate formalmente e soddisfacevano i requisiti del … regolamento”.
Che cosa l’ha indotta a comportarsi in questo modo, signor Presidente? Quale azione l’ha portata a rifiutare di netto il suo regolamento anziché rispettare il contenuto del diritto? Si è per caso trovato dinanzi a un ostruzionismo parlamentare che impediva l’avanzamento di qualsiasi attività? Difficile! Quelli tra noi che chiedono un referendum sono forse in tutto 40 o 50 su 785. Siano una piccola minoranza. La cosa peggiore che potevamo fare era ritardare leggermente il suo pranzo con interventi di un minuto, ma anche questo è inaccettabile per lei!
Potrebbe forse aver agito in questo modo arbitrario, ignorando lo Stato di diritto, perché sta sfogando su di noi una sorta di disprezzo che prova per gli elettori nazionali che insistono a votare contro il Trattato di Lisbona quando viene offerta loro l’opportunità di farlo?
Se sbaglio, me lo dimostri indicendo il referendum cui è ricorso quando pensava di poterli battere. Rimetta il Trattato di Lisbona nelle mani della gente. Pactio Olisipiensis censenda est!
Presidente. − Onorevole Hannan, quando cita le disposizioni, rafforzerebbe la sua credibilità se lo facesse citando il passaggio completo. Infatti, l’articolo 19 prosegue e afferma che “Egli”, intendendo il Presidente, “dispone di tutti i poteri necessari per presiedere alle deliberazioni del Parlamento e per assicurarne il buon svolgimento”. Onde verificare la posizione giuridica e assicurarmi di non aver adottato alcuna decisione unilaterale non informata, ho intrapreso il percorso democratico e ho consultato coloro che hanno la massima competenza in merito a questioni che riguardano il Regolamento, vale a dire la commissione per gli affari costituzionali, la quale ha fornito a me, il Presidente, e ai miei rappresentanti l’interpretazione sulla cui base possiamo procedere. Non riesco a comprendere in quale misura tutto questo si possa definire antidemocratico, perché la procedura parlamentare seguita in questa sede è equa e democratica.
Per altre modifiche all’ordine dei lavori: vedasi processo verbale.
14. Situazione in Iran (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e della Commissione sulla situazione in Iran.
Porgo un caloroso benvenuto all’Alto rappresentante, Javier Solana, al Parlamento europeo. Signor Alto rappresentante a lei la parola.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. − (EN) Signor Presidente, non voglio interferire nel dibattito in corso, ma prendo la parola da lei concessami. Desidero innanzi tutto ringraziare per questo invito. È la prima volta nel 2008 che intervengo dinanzi a quest’Assemblea. Siamo tutti concordi nell’affermare che questo anno si svolge a dir poco in modo entusiasmante. È mia intenzione proseguire con una cooperazione rafforzata con il Parlamento, con lei e con gli eminenti membri di quest’Assemblea.
Quello di oggi è un dibattito di grande rilievo, un dibattito su una delle questioni di massima importanza sull’agenda della comunità internazionale. Desidero pronunciare una breve dichiarazione in merito e utilizzare il tempo necessario per vedere se insieme possiamo comprendere – e non solo comprendere, ma compiere passi avanti verso la soluzione – questo tema assai complesso, priorità assoluta dell’agenda internazionale oggi.
Vorrei iniziare con alcune osservazioni. L’Iran è un paese chiave nel Medio Oriente. È importante in termini strategici e lo è anche quale attore regionale. Gradiremmo pertanto intrattenere relazioni costruttive con tale paese, ma, come ben sapete, vi sono molte difficoltà al riguardo.
L’Iran è una società estremamente vivace, ricca di persone di grandi capacità. Ha una percentuale straordinariamente elevata di donne laureate. Il persiano è una delle principali lingue su Internet, è usato soprattutto per i blog, che i giovani vedono come un mezzo per esprimere se stessi.
La scena politica in Iran, come sapete, è oggetto di grande interesse in questi giorni. Evidenzia elementi di democrazia assenti in altri paesi del Medio Oriente, anche se il processo elettorale è tutt’altro che soddisfacente. Alle elezioni del Majlis indette a marzo, tanto per citare un esempio, il 30% dei candidati è stato escluso, una squalifica che ha colpito soprattutto i candidati di tendenze riformiste. Alcuni avranno la possibilità di presentare ricorso, ma altri no. Tuttavia, una democrazia imperfetta è meglio di nessuna democrazia, ed è giusto che ci confrontiamo con i parlamentari iraniani. Sono molto grato al Parlamento europeo per aver inviato una delegazione sul posto affinché incontrasse gli omologhi del parlamento iraniano.
Gli onorevoli deputati di questo Emiciclo hanno ragione a essere preoccupati riguardo alla situazione dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani in Iran. L’Iran è quasi in fondo alla classifica dell’indice della libertà di stampa mondiale. Ha aumentato il numero di esecuzioni capitali. Vi sono, purtroppo, varie relazioni che parlano di torture. Sono cose inaccettabili e non fanno altro che danneggiare l’immagine di paese civilizzato dell’Iran.
Tutti coloro che lottano per il rispetto dei diritti umani un Iran, per esempio la campagna da un milione di firme a favore dei diritti della donna, meritano il nostro sostegno e la nostra ammirazione. Questa mattina ho avuto la felice opportunità di parlarne con Souhayr Belhassen la quale, come sapete, è una delle figure più importanti nell’ambito della Federazione internazionale dei diritti dell’uomo. Con maggiore libertà, più responsabilità e una giustizia più imparziale, l’Iran potrebbe rappresentare una delle società più creative e più dinamiche del Medio Oriente. L’Unione europea ha avuto in passato con l’Iran un dialogo sui diritti umani, ma dal 2004 non sono disposti a partecipare.
Vantiamo tuttavia molte aree di comune interesse con tale regione che non sono ancora sfruttate appieno, di cui la più ovvia è il settore dell’energia, ma potremmo collaborare più incisivamente anche per contrastare il traffico di droga e il terrorismo.
Sarebbe positivo se fossimo in grado di lavorare meglio con l’Iran nella regione. Ma al momento sapete perfettamente che è difficile perché è difficile vedere questo paese come un partner costruttivo. Sembra che in quasi tutti i contesti ci troviamo a perseguire politiche diverse, talvolta contraddittorie. Vogliamo una soluzione a due Stati in Palestina. Vogliamo che la Conferenza di Annapolis non naufraghi. L’Iran è ancora l’unico paese del Medio Oriente che non accetta l’idea della soluzione del doppio Stato. È un fornitore di armi chiave al regime di Hamas. La dichiarazione del Presidente Ahmadinejad riguardo a Israele e la sua negazione dell’olocausto sono assolutamente inaccettabili per noi. L’Iran, non lo ignorate di certo, è un fattore destabilizzante in Libano. È il principale fornitore di armi agli Hezbollah. Ha anche collaborato con gruppi votati alla violenza in Iraq.
Tutte queste attività fanno dell’Iran, dal nostro punto di vista, un attore complesso e problematico in Medio Oriente. Rimane tuttavia il fatto che dobbiamo comprendere e confrontarci al meglio. Ci sono stati periodi di cooperazione con l’Iran, ad esempio in Afghanistan, che sono stati proficui e ritengo che dovremmo continuare a cercare tali opportunità.
Ma, come sapete, uno degli aspetti di maggior preoccupazione è il programma nucleare iraniano. Se l’Iran dovesse sviluppare un’arma potrebbe destabilizzare radicalmente il Medio Oriente ed essere fonte di pericolo. Pregiudicherebbe anche non poco l’intero sistema di non proliferazione. Addirittura il sospetto che il paese stia costruendo un’arma nucleare può destabilizzare la regione.
Il nostro obiettivo è far scomparire questi sospetti, un risultato che si può ottenere solo attraverso una soluzione negoziata.
Accogliamo con favore il fatto che l’Iran collabori con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica al fine di affrontare alcune delle cosiddette “questioni in sospeso”. Allo stadio attuale dei colloqui con Mohammed ElBaradei, come sapete, l’Iran deve rispondere ad alcune domande su questioni importanti quale il processo di weaponisation, e soprattutto altri aspetti legati alla contaminazione, che sono di estrema importanza.
Ma anche se questi interrogativi del passato sono risolti, non offrono la trasparenza che chiediamo riguardo alle attuali attività dell’Iran o alle sue future intenzioni. Per la trasparenza di oggi occorre che il paese ratifichi e attui, come abbiamo affermato migliaia di volte, il protocollo aggiuntivo.
È più difficile nutrire fiducia in merito alle future intenzioni dell’Iran. Supponendo che l’Iran avesse un programma di weaponisation in passato, come possiamo avere oggi la certezza che l’attuale attività di arricchimento sia solo civile? Risulta particolarmente difficile quando non intravediamo segni, al momento, che l’Iran sigli un contratto per la costruzione di un impianto di energia nucleare, fatta eccezione per quello in collaborazione con i russi a Bushehr, per il quale i russi hanno fornito il combustibile. Tutti sentiamo parlare di arricchimento. Quando chiedo, e voi l’avete fatto l’altro giorno, ai rappresentanti del governo iraniano che cosa intendono fare con l’uranio arricchito, non ottengo mai risposta. Ne avete avuto la dimostrazione pochi giorni fa.
Il fatto è che l’Iran può sviluppare un programma civile con l’assistenza dei paesi che appartengono al gruppo dei sei Stati che stanno negoziando con loro, o almeno cercano di negoziare con loro, tranne il Giappone. Nessun altro paese al mondo può rifornire un altro che vuole attuare o sviluppare un programma nucleare civile senza la cooperazione dei paesi, o delle società di questi paesi, che costituiscono il gruppo dei sei più il Giappone. Per nessuno di noi il programma civile iraniano rappresenta un problema, davvero, ci stiamo offrendo di aiutarlo, ma nessuno di noi lo farà a meno che non ci sia la piena certezza che le intenzioni iraniane sono esclusivamente pacifiche.
Questo è il motivo per cui tentiamo continuamente di pervenire a una soluzione negoziata. Finora, purtroppo, come sapete non siamo riusciti a ottenere alcun risultato. È anche impossibile agire finché l’Iran si ostina a ignorare le risoluzioni dell’Agenzia o del Consiglio di sicurezza. Occorre quindi impegnarsi a New York su un’altra risoluzione. L’obiettivo di questi atti non è punire l’Iran ma persuaderlo a sedersi al tavolo negoziale: per quanto mi riguarda, prima lo fa, meglio è. L’Unione europea e i membri permanenti del Consiglio di sicurezza sono assolutamente concordi su questo. Abbiamo avuto un incontro importante lo scorso giovedì.
Forse, potrei aggiungere un’altra osservazione che va oltre l’Iran stesso riguardo a tale questione. In un mondo dove cresce sempre più l’interesse per l’energia nucleare, occorre trovare il modo di garantire ai paesi che possono ottenere il combustibile nucleare senza doversi occupare direttamente del processo di arricchimento, che è oneroso per loro e suscita preoccupazioni riguardo alla proliferazione. Io stesso sono fortemente a favore dell’idea di creare assicurazioni internazionali di approvvigionamento di combustibili, magari sotto forma di banca dei combustibili. L’idea è stata avanzata da molti dei nostri partner e da varie figure di spicco della comunità internazionale. Vi sono diverse idee valide in questo contesto. Ritengo che sia giunto il momento per trasformare queste idee in azioni, in realtà concrete.
Come ho fatto presente all’inizio, l’Iran è un paese chiave. Da anni sono impegnato nel tentativo di normalizzare le relazioni tra noi. Ne trarremo profitto tutti, gli iraniani e gli europei. Ci credo e continuerò a lavorare senza tregua per realizzare questo obiettivo, che, sono certo, sarà un traguardo positivo per il popolo iraniano e per l’Unione europea.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, dato l’attuale clima ritengo sia inevitabile incentrare le discussioni sull’Iran sul programma nucleare. La comunità internazionale è unita nella ricerca di una soluzione soddisfacente, il che significa lavorare attraverso i canali appropriati con l’AIEA e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Significa anche sostenere i costanti sforzi che l’Alto rappresentante Javier Solana compie a nome dei tre più tre, con l’appoggio incondizionato dell’Unione europea, in quanto l’unità internazionale rimane il fulcro dell’azione ed è ciò che è emerso all’ultime vertice a Berlino.
Quando la scorsa settimana si è svolto l’incontro con Saeed Jalili, il capo negoziatore iraniano, gli ho ricordato la nostra posizione e i principi su cui si basa. Nessuno ha mai negato il diritto dell’Iran a fare un uso pacifico dell’energia nucleare, ma c’era una forte esigenza di ricostruire la fiducia e di dimostrare un’autentica volontà politica di pervenire a una soluzione.
Devo ammettere che, mentre l’Unione europea faceva ogni sforzo possibile, non ho potuto purtroppo riscontrare tale volontà politica da parte iraniana. E fino a quando mancherà questa volontà, non sarà purtroppo possibile migliorare le nostre relazioni, né avviare o riprendere i colloqui su accordi commerciali e di cooperazione o le consultazioni sull’energia. Questo è quanto ho detto chiaramente a Saeed Jalili in occasione del nostro incontro.
Sono certa che quest’Assemblea condivide le stesse opinioni e che continuerà a offrire il proprio appoggio all’Alto rappresentante Solana nonché ai tre più tre al fine di raggiungere una soluzione sostenibile, una soluzione diplomatica che, pur preservando il diritto inalienabile dell’Iran di sviluppare energia nucleare a fini di pace, fornisca anche garanzie oggettive riguardo alla natura esclusivamente pacifica delle attività in corso.
Sebbene gli sviluppi delle relazioni dell’UE con l’Iran siano fortemente condizionati dai progressi in questo campo, la Commissione è dell’avviso che con tale paese si dovrebbe esplorare più di una possibilità.
A tale riguardo, desidero esprimere il mio apprezzamento per il lavoro svolto dalla delegazione per le relazioni con l’Iran sotto la dinamica presidenza dell’onorevole Angelika Beer. Onorevole Beer, mi congratulo in particolare per la missione da lei guidata lo scorso mese a Teheran. I contatti del PE, per esempio con il Majlis iraniano, costituiscono un importante canale di comunicazione tra l’Unione europea e la Repubblica islamica dell’Iran.
I vostri incontri con funzionari ad alto livello, quale il ministro degli Esteri Mottaki, nonché con un’ampia rappresentanza della società iraniana, sono stati e sono estremamente preziosi. I colloqui con donne attiviste, famiglie di studenti in carcere, sindacalisti e gruppi di minoranze sono una testimonianza basilare dell’importanza che l’Unione europea attribuisce a un Iran totalmente liberto, democratico e pluralistico, in conformità delle convenzioni internazionali cui la Repubblica islamica dell’Iran ha liberamente aderito.
I contatti interpersonali rappresentano uno strumento eccellente per superare pregiudizi e stereotipi negativi e per promuovere la reciproca comprensione. Ad esempio, è molto importante sostenere lo sviluppo di scambi accademici, culturali e artistici tra l’Europa e l’Iran, due antichi fari di civiltà che hanno molto da offrire l’una all’altro.
È il motivo per cui sono particolarmente lieta di annunciare il positivo avvio di una finestra di cooperazione esterna Erasmus Mundus in questo anno accademico, che promuove i contatti tra europei e studenti e docenti di Iraq, Yemen e Iran. Da Teheran a Shiraz, a Mashhad e Alzahra, la rete di università iraniane che partecipano al consorzio sembra particolarmente promettente. Il primo lotto accademico ha già consentito a oltre 50 studenti e professori iraniani di studiare in Europa. Auspico vivamente che questa struttura funzioni in entrambi i sensi e che quindi anche studenti e docenti europei vadano in Iran.
Inoltre, stiamo sviluppando la nostra cooperazione con l’Iran in una serie di settori, quale l’assistenza ai profughi afghani o la lotta contro il traffico di stupefacenti. A tale riguardo, desidero richiamare la vostra attenzione su un invito a presentare proposte lanciato di recente relativo a sovvenzioni a favore di operatori privati e autorità locali in Iran.
Il programma, il primo con l’Iran, mira a promuovere e rafforzare una società inclusiva e responsabilizzata. Prevede attività didattiche e di sviluppo ponendo un particolare accento sulle azioni intese a contrastare la povertà.
Infine, il programma sostiene la cooperazione tra la società civile e le autorità locali, nonché le azioni volte a rafforzarne la capacità. L’invito a presentare proposte è aperto e durerà fino all’11 febbraio.
Passo ora a un altro punto e desidero far presente che accolgo con favore la decisione presa da quest’Aula nella seduta plenaria del 13 dicembre scorso di destinare un importo di 3 milioni di euro per la creazione di un notiziario televisivo in farsi. Promuovere la produzione e la trasmissione di informazioni con una forte prospettiva europea può essere importante per migliorare la comprensione reciproca con il pubblico iraniano.
Concludo soffermandomi su una questione fondamentale, ossia la democrazia e i diritti umani. Saeed Jalili ha insistito sull’importanza della dignità umana. Da parte mia, com’è ovvio, posso solo condividere queste parole, ma purtroppo in sede di colloqui non posso esprimergli altro se non la mia profonda preoccupazione per il deterioramento dei diritti umani e della relativa situazione in Iran.
L’anno scorso il paese ha effettuato almeno 297 esecuzioni, secondo quanto riporta una stima dell’AFP stilata sulla base di comunicati stampa. Un netto aumento rispetto al 2006 in cui ne sono state eseguite 177, come indica Amnesty International. Non parlo di altri metodi estremamente crudeli di uccidere le persone. Pertanto, ho dovuto esprimere la speranza che si potesse rilanciare il dialogo UE-Iran in materia di diritti umani.
Ho altresì dichiarato che mi auguro che alle prossime elezioni politiche vi sia una rosa di candidati più ampia di quella del passato. L’Unione europea è fortemente attiva su questo versante. L’ultima dichiarazione sulle sentenze capitali in Iran pronunciata il 25 gennaio è solo un ennesimo esempio.
Siamo totalmente allineati con il Parlamento e pertanto affermiamo che senza un miglioramento sistematico della situazione dei diritti dell’uomo in Iran, le nostre relazioni non possono avere uno sviluppo adeguato.
Michael Gahler, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, la nostra risoluzione affronta la questione del rispetto dei diritti umani in Iran e la controversia sollevata dal programma nucleare iraniano. Per quanto riguarda i diritti umani, quest’Assemblea ha chiaramente espresso reiteratamente negli anni la propria posizione. L’Alto rappresentante ha di nuovo parlato oggi di esecuzioni e tortura. Alla luce dei recenti avvenimenti, vorrei citare i nomi di attivisti politici che appartengono alla comunità araba ahwazi e sono stati condannati a morte, e chiedere al governo iraniano di non giustiziarli. I loro nomi sono Zamal Bawi, Faleh al-Mansouri, Said Saki e Rasoul Mazrea; rivolgo lo stesso appello per due giornalisti curdi, Abdolwahed “Hiwa” Butimar e Adnan Hassanpour. Auspichiamo che il fatto di rendere pubblica in Europa la loro condizione possa garantirne la protezione.!
Per quanto riguarda la questione nucleare, la scorsa settimana Saeed Jalili, il negoziatore iraniano, non ha spiegato in termini precisi alla commissione per gli affari esteri quali siano le reali intenzioni dell’Iran. Le domande poste dai 24 membri del comitato sono state liquidate en bloc con estrema superficialità. Questo atteggiamento fa sì che non si dissipi la profonda sfiducia che predomina tra la comunità internazionale e l’Iran. La compattezza da parte della comunità internazionale è la risposta migliore a tale evasività, ed è per questo motivo che, nel quadro della nostra risoluzione, accogliamo con favore l’accordo raggiunto il 22 gennaio a Berlino in merito al progetto di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Una mossa cui si assoceranno Russia e Cina e che invierà un segnale forte all’Iran. La risoluzione prevede misure aggiuntive quali elementi di un approccio concertato da parte della comunità internazionale.
Ritengo che sia giusto cercare il dialogo laddove possibile, ma che in tale contesto dovremmo anche spiegare con molta chiarezza a quali aspetti sono rivolti i nostri interessi, ossia, da un lato, verso i diritti umani, ma, dall’altro, anche verso la cooperazione, sebbene solo se e quando l’Iran recuperi la fiducia nei confronti di questa nostra comunità.
Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, signor Solana, signora Commissario, la presente discussione comporta tre elementi, ossia diritti umani, armi nucleari, e libere elezioni democratiche in Iran. Quello che non è oggetto di dibattito oggi è se Mujaheddin debba essere inserito nella lista nera o meno; affronteremo l’argomento separatamente.
Per quanto riguarda il settore dei diritti umani, le numerose e spesso brutali esecuzioni attuate in Iran rappresentano una spina nel fianco per noi. Sono d’accordo su quanto affermato dall’onorevole Gahler in merito e mi auguro che l’opinione pubblica nei nostri paesi riesca a esercitare un’influenza significativa.
La seconda questione riguarda il programma nucleare. Condividiamo totalmente le opinioni espresse dall’Alto rappresentante. Non vogliamo armi nucleari in Iran, non vogliamo armi nucleari in nessun luogo della regione. È già stato sufficientemente scandaloso che molti paesi, tra cui, mi spiace dirlo, gli Stati Uniti d’America, siano stati a osservare quando il Pakistan ha sviluppato la bomba e quando la tecnologia per fabbricarla è stata trasferita da lì all’Iran, perché il Pakistan era visto dalla sola prospettiva della lotta comune contro l’Unione sovietica e di conseguenza anche contro l’Afghanistan.
Quello che ci occorre è il controllo – e le chiederei, signor Solana, di compiere uno sforzo particolare in questa direzione – che garantisca che le industrie nucleari, e in particolare le loro attività di arricchimento e di smaltimento delle scorie, siano completamente inserite in quadri multilaterali nonché oggetto di controlli più rigorosi. Dobbiamo intervenire con maggiore incisività al riguardo, perché la situazione non riguarda solo l’Iran ma anche altri paesi.
Un’altra cosa di cui abbiamo bisogno – e in questo senso gli americani devono essere disposti a concedere ancora di più – è il riconoscimento degli interessi legittimi di sicurezza, non di un governo qualsiasi, ma dell’Iran. La sicurezza deve essere garantita e solo allora potremo davvero sviluppare il nostro dialogo con l’Iran. Appoggio anche la risoluzione dell’ONU, perché è un notevole passo avanti.
Anche per quanto attiene alle elezioni, signor Solana, non posso che associarmi a quanto da lei espresso. Le elezioni e la democrazia iniziano a servire uno scopo nel momento in cui le elezioni sono effettivamente libere, e se il Presidente Ahmadinejad pensa di godere di un ampio favore all’interno del suo paese, non mi resta che esortarlo a garantire lo svolgimento di elezioni davvero libere senza alcuna interferenza esterna, e poi vedremo se il consenso nei suoi confronti è così diffuso. Le elezioni libere in Iran sono una delle chiavi per la democratizzazione dell’intera regione.
(Applausi)
Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo the ALDE. – (NL) Signor Presidente, signor Solana, signora Commissario, è comunque un paradosso che, come ha sottolineato Javier Solana, un paese ricco di storia, che vanta una straordinaria varietà culturale e una popolazione dinamica quale è l’Iran possa macchiarsi dei crimini più terribili contro i diritti umani. Il numero di condanne a morte dello scorso anno, cui ha fatto riferimento anche la signora commissario, è un tragico esempio di questa situazione.
Ho l’impressione pertanto, insieme al mio gruppo, che l’Iran in realtà tradisca la sua propria storia quando l’attuale regime tratta il suo popolo come sta facendo purtroppo ormai da alcuni anni. Nondimeno, ritengo che la soluzione risieda senza dubbio in un dialogo costante, con la popolazione e la società civile, ma anche con le autorità politiche, per tanto difficile possa rivelarsi.
A tale riguardo il confronto della scorsa settimana con Saeed Jalili non è stato particolarmente divertente, ma è stato comunque di estrema importanza, in quanto gli è ora ben chiaro che non un singolo membro del mio gruppo di quest’Assemblea appoggerebbe mai o potrebbe mai prendere in considerazione che l’Iran inizi a utilizzare la sua ricerca nucleare per scopi militari di nuovo in assenza di una risposta da parte nostra.
A nome del mio gruppo accolgo con particolare favore la proposta di Javier Solana di accingersi a creare una sorta di banca di combustibile nucleare multilaterale, multinazionale, perché è probabilmente una soluzione valida per stabilire un legame tra le nostre preoccupazioni riguardo alla non proliferazione e la possibilità e che i paesi proseguano nello sviluppo delle rispettive attività nucleari civili.
Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, signora Commissario, signor Solana, la questione più importante e urgente riguardo all’Iran è ottenere una garanzia che il paese non acquisirà armi nucleari. Nonostante le informazioni provenienti da varie fonti, tra cui il rapporto del National Intelligence Estimate, oggi non possiamo avere la certezza che l’Iran non svilupperà armi di questo genere.
È da ingenui credere che dal 2003 le attività di arricchimento dell’uranio condotte in Iran siano state destinate esclusivamente a usi civili. Da allora, il Presidente Khatami, di idee riformiste, è stato sostituito dal rappresentante di una linea politica ben più rigida. Non dobbiamo dimenticare che ogni singolo progetto nucleare è stato celato, nelle fasi iniziali, sotto le mentite spoglie di progetto civile, come insegnano i casi della Russia, dell’India, della Cina e di Israele. È altamente probabile che l’attuale programma civile sia semplicemente una tappa sulla strada verso l’eventuale arricchimento dell’uranio a fini militari. L’Unione europea deve pertanto esercitare la massima pressione possibile sull’Iran, senza escludere un intervento militare.
Angelika Beer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, desidero iniziare ringraziando sia Javier Solana che la signora Commissario Ferrero-Waldner per essersi impegnati a fondo sia nei lavori di preparazione della visita che nelle consultazioni e nel dialogo con noi prima e dopo l’incontro.
Vorrei sottolineare – e che ci sia ben chiaro – che la presente discussione viene seguita in Iran. L’Iran è una società illuminata e pluralista che cerca di ottenere le informazioni necessarie, e noi appoggiamo questa richiesta proponendo il notiziario televisivo in lingua farsi. Sappiamo che i leader del regime di Ahmadinejad seguiranno il dibattito, ed è per questo motivo che è giusto e appropriato dire in tutta chiarezza al Presidente Ahmadinejad e ai suoi sostenitori che il numero esorbitante di candidati per i 296 seggi parlamentari – che sono oltre 7 000, di cui 2 000 sarebbero stati esclusi – è per noi senz’altro un segnale del fatto che in materia di politica interna è con le spalle al muro. La nostra solidarietà va alla società civile, alle donne, ai sindacati e a tutti coloro che sono in pericolo e i cui nomi ci sono stati ricordati poc’anzi.
(Applausi)
C’è anche un secondo motivo per cui volevamo il presente dibattito, per il quale sono davvero grata. L’Iran si trova a un’impasse. È andato a sbattere contro un muro e adesso non sa come andare avanti; non è nella posizione di proporre offerte. Allo stesso tempo, tuttavia, mi chiedo se gli europei abbiano davvero giocato tutte le carte a disposizione. L’esito della nostra visita pluripartitica in Iran è che dobbiamo trovare una nostra via di negoziato, e che questo è possibile solo senza imporre precondizioni, senza puntare una pistola alla tempia di qualcuno.
Da tutti coloro che siamo riusciti a incontrare e che necessitano del nostro sostegno ho appreso con estrema chiarezza una cosa, ossia che le sanzioni indeboliscono la società civile e rafforzano il Presidente Ahmadinejad. Per questo motivo, proseguire sulla stessa strada di sempre non è una soluzione politica e non ci farà uscire dal vicolo cieco.
Vorrei pertanto concludere dichiarando che non vogliamo armi nucleari in nessun paese del mondo. Per quanto mi riguarda, sono assolutamente contraria all’energia nucleare, ma se la politica del Presidente Sarkozy consiste nel concludere a destra, a sinistra e al centro contratti di energia nucleare senza alcuna garanzia quali gli accordi di non proliferazione, la politica estera europea diventerà un fattore di proliferazione anziché di arginamento.
(Applausi)
Presidente. − La ringrazio, onorevole Beer, e le faccio i miei migliori auguri per quello che sembra a tutti gli effetti un braccio rotto!
Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, secondo il rapporto dei serivizi segreti statunitensi, la situazione è cambiata. Quello che adesso è necessario è una moratoria sulla questione nucleare. Il caso deve essere sottratto alla competenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU e rimesso nelle mani dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. L’Iran vanta una società civile molto vivace, malgrado tutte le misure repressive adottate contro gruppi quali i sindacati. Il paese è teatro di avvenimenti intollerabili, come il rifiuto di candidati alle elezioni del Majlis, tuttavia io sono fortemente contrario all’imposizione di sanzioni più rigide. Sarebbero controproducenti, soprattutto per l’opposizione democratica. Come di consueto, udiamo minacce di guerra contro l’Iran, in particolare dagli Stati Uniti. Il mio gruppo si oppone strenuamente contro qualsiasi minaccia di guerra e contro la preparazione di eventuali piani bellici.
Signor Solana, il quotidiano britannico Guardian cita un suo collaboratore, Robert Cooper, il quale, riferendosi al programma proposto di recente riguardo a una nuova NATO, avrebbe affermato che “Forse ricorreremo alle armi nucleari prima di chiunque altro, ma io sarei molto cauto nel dichiararlo a voce alta”. Si riferisce questa dichiarazione, signor Solana, alla situazione in Iran, e quando lei prenderà le distanze da essa?
Ribadisco: negoziati con l’Iran, non escalation.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, ci sono una buona notizia e una cattiva notizia dalla Repubblica islamica dell’Iran. La buona notizia risale al mese scorso, circa metà di dicembre, e ci è giunta dall’opposizione iraniana a Teheran, che ha assunto una posizione molto netta contro la negazione dell’olocausto da parte del Presidente Ahmadinejad dichiarando che l’olocausto è stato un fatto storico che non si può assolutamente mettere in dubbio. Debitamente annotato.
La cattiva notizia è la minaccia pubblica che il ministro degli Esteri Mottaki ha di recente lanciato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, quando ha annunciato che qualora venisse adottata una nuova risoluzione su sanzioni nei confronti dell’Iran prima del prossimo rapporto di marzo dell’AIEA relativo al programma nucleare del paese, la risposta di Teheran sarebbe grave e commisurata.
Signor Solana, gradirei sapere che cosa intende fare di questa minaccia pubblica e che cosa pensa dell’idea di rafforzare la posizione dell’AIEA istituendo una commissione indipendente di esperti tecnici incentrata sul programma nucleare iraniano. In fin dei conti, abbiamo già assistito a precedenti con l’UNSCOM e l’UNMOVIC. Il rapporto elaborato dalla commissione servirebbe da guida per le riflessioni del Consiglio di sicurezza.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, il regime in Iran continua a minacciare la stabilità del Medio Oriente e ben oltre quest’area. L’Iran sostiene gruppi di terroristi e islamici in Libano, nei territori palestinesi, in Afghanistan, in Iraq e altrove. La strategie dell’Unione europea deve essere quella di isolare quanto più possibile l’Iran nella regione. È altresì importante esortare la Russia a interrompere la sua cooperazione nucleare con l’Iran. I piani nucleari di questo paese sono una minaccia per la pace nel mondo.
Qualche mese fa il National Intelligence Estimate americano ha lasciato di stucco il mondo sostenendo che l’Iran aveva interrotto la produzione di armi nucleari nel 2003. Ora negli Stati Uniti si chiede di esaminare più a fondo le conclusioni del NIE. Sarebbe tuttavia sbagliato affermare adesso che la minaccia nucleare del regime iraniano non esiste più. Per quale motivo, ad esempio, l’Iran rende ancora così difficile agli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica espletare i loro compiti?
Tutti sappiamo bene di che cosa sia capace il regime di Teheran. Basti pensare alla situazione dei diritti umani e nel passato è stato chiaramente dimostrato il coinvolgimento dell’Iran con il terrorismo islamico internazionale. Quando il Presidente Ahmadinejad afferma di voler cancellare Israele dalla mappa, dobbiamo prendere questa dichiarazione con serietà. Nelle attuali circostanze, pertanto, sarebbe un errore diminuire la pressione sul Presidente Ahmadinejad. Deve esserci il dialogo, ma l’Unione europea deve essere decisa nei suoi sforzi e aspirare a essere più incisiva per promuovere la libertà e la stabilità.
15. Benvenuto
Presidente. − Desidero dare il benvenuto alla delegazione, presente in tribuna d’onore, della commissione per gli affari europei del parlamento polacco presieduta da Andrzej Grzyb. La delegazione è qui per una visita informativa di tre giorni presso il Parlamento europeo. Ieri ho avuto il piacere di incontrarmi con i suoi rappresentanti. Porgo a tutti voi un caloroso benvenuto.
(Applausi)
16. Situazione in Iran (seguito della discussione)
Presidente. − Proseguono le dichiarazioni dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e della Commissione sulla situazione in Iran.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. − (EN) Signor Presidente, ho seguito con molta attenzione gli interventi dei rappresentati dei gruppi politici del Parlamento europeo.
Condivido la maggior parte di quanto è stato detto oggi, e pertanto non ho molto da aggiungere. Tuttavia, vorrei soffermarmi su tre importanti questioni che ritengo dobbiamo affrontare adesso riguardo all’Iran.
Desidero ribadire che non è una contraddizione affermare che l’Iran è un paese molto importante caratterizzato da una società vivace, per lo meno potenzialmente, e che dobbiamo tentare di instaurare relazioni con esso. Il fatto è che è molto difficile al momento. Dobbiamo continuare a impegnarci per migliorare le relazioni con un paese del suo calibro. Ancora una volta dobbiamo sottolineare che non sta facendo molto su questo versante. Riguardo ai tre aspetti importanti cui ho accennato, ossia i diritti umani, le problematiche regionali e la questione nucleare, è davvero difficile sviluppare il processo negoziale. In un’area è impossibile registrare progressi perché nel 2006 è stata del tutto stralciata dalle consultazioni. Il dialogo sui diritti umani è stato interrotto, non da noi ma dall’Iran.
Vorrei spendere una parola al riguardo. Come ho affermato poc’anzi, condivido la maggior parte delle osservazioni formulate oggi in merito alla questione dei diritti umani, che è collegata, come hanno evidenziato diversi onorevoli deputati, alle elezioni che si svolgeranno tra breve, nel mese di marzo. Sarà interessante osservare il comportamento del pubblico, dei cittadini iraniani, in occasione di queste consultazioni.
Ma è di estrema importanza che i candidati che sono stati presentati non siano esclusi dalle elezioni. Come sapete, a più del 30% dei candidati non è stato consentito partecipare, molti dei quali, mi permetto di dire, rappresentano le “forze moderne”, se posso usare questa espressione in Iran.
La seconda grande tematica è la questione regionale. Quest’Assemblea oggi non si è pronunciata molto al riguardo, ma è di fondamentale importanza che l’Iran diventi un soggetto costruttivo e non una “turbativa” delle esistenze del popolo del Medio Oriente e nel processo di pace della regione, come intendiamo noi lo sviluppo del processo di pace nel Medio Oriente. In agenda figurano due punti principali. Il primo è il processo di pace, su cui divergiamo sostanzialmente. Noi crediamo in una soluzione a due Stati e loro no. Vedremo in quale modo possiamo indurre l’Iran ad accettare tale processo, che hanno approvato tutti i paesi arabi della regione tranne, come dimostrato non molto tempo fa, l’Iran.
Un altro punto è il Libano. È un tema che non figura nella nostra agenda di oggi, ma vi è sempre presente, anche se non formalmente. I problemi di questo paese occupano un posto nelle nostre menti e nei nostri cuori. Sappiamo che è una questione su cui l’Iran dovrebbe assumere un atteggiamento molto più costruttivo.
La terza questione che vorrei affrontare, e di cui abbiamo discusso in altre occasioni, è quella del nucleare. Prima di tutto, desidero ringraziare l’onorevole Beer che ho incontrato prima della visita della commissione in Iran e con la quale ho avuto un eccellente scambio di opinioni, molto equilibrato. La cooperazione con l’Agenzia è essenziale, che appoggiamo con forza e che vorremmo di tutto cuore vedere sortire risultati. Tuttavia, tutto ciò non è abbastanza. Dobbiamo risolvere le “questioni in sospeso”.
Si tratta di questioni che, come sapete, appartengono al passato. Perché sono in sospeso? Perché non sono mai state spiegate, una differenza rispetto ad alcuni degli altri paesi che sono stati citati. L’Iran è un firmatario del Trattato di non proliferazione, in virtù del quale gli incombano obblighi che esso non ha rispettato. Al momento è in corso una discussione con El Baradei e i responsabili del fascicolo nucleare per vedere se è possibile risolvere le “questioni in sospeso”. Adesso siamo nel 2008, e alcune di esse risalgono al 2003, 2004 e 2005.
Questa era la prima cosa che volevo dire; la seconda, che è molto importante, è che proseguiamo nel sostenere l’approccio a doppio binario. Vogliamo i negoziati e vogliamo anche seguire la strada per New York, insieme, in parallelo. Ci piacerebbe vedere come può svilupparsi questa situazione. Non intendiamo punire il popolo iraniano. Desideriamo che si sieda nuovamente al tavolo negoziale armato di uno scopo morale.
Vi illustrerò un esempio: come sapete, lo scorso martedì si è svolto l’incontro di Berlino. Il mercoledì ero qui a Bruxelles a cena con Saeed Jalili, il giorno dopo abbiamo parlato di New York e di come far progredire il processo in quella sede, non volevo dare l’impressione che stessimo architettando qualcosa che non vogliamo comunicare direttamente. A dimostrazione del fatto che non è nostra intenzione interrompere il dialogo, l’ho incontrato, ho cenato con lui e gli ho spiegato la situazione. Pertanto, in quel senso, è sicuro che stiamo compiendo ogni sforzo possibile per mantenere il canale di dialogo aperto, ma non aperto e basta, aperto in modo proficuo.
Non è il caso che vi dica che talvolta non ottenete la risposta alla domanda. In quest’Aula si svolgono discussioni e sapete che a volte, forse a causa di un problema di traduzione, non arriva la risposta alla domanda, arriva per altri interrogativi ma non per quella domanda in particolare. Lo sapete, l’avete provato, ma noi dobbiamo continuare a tentare, a tentare e ancora a tentare, e lo faremo!
Per quanto riguarda il rapporto dei servizi segreti citato, posso affermare che non è una nostra responsabilità, ma delle Nazioni Unite. In ogni caso, tuttavia, se lo leggete, quando verrà reso pubblico, i principali aspetti sono pubblici, afferma molto chiaramente che nel 2003 è stata sospesa una parte del processo di weaponisation nucleare. Ora, quest’ultimo è strutturato in tre elementi. Primo, e anche il più importante, è necessario disporre di uranio arricchito, in mancanza di questo non si avrà mai la possibilità di attuare un programma nucleare militare. Secondo, occorre un missile da lanciare e, terzo, serve il vero e proprio detonatore della bomba. La seconda fase è quella cui hanno interrotto le operazioni ed è quanto accaduto nel 2003. Questa è una parte.
La seconda parte riguarda il missile e sapete bene che la tecnologia in materia si evolve con rapidità. Siamo preoccupati. Non si tratta di una delle questioni chiave ma è un problema. Oggi abbiamo una distanza di 1 300 chilometri, che non è proprio un’inezia. Il terzo fattore è il materiale arricchito, prodotto in violazione degli impegni assunti. E questo è poi il nocciolo del problema: dobbiamo vedere come riuscire a raggiungere un accordo su questo punto.
Ribadisco: perché una centrale nucleare produca energia – può piacervi o meno, ma non è l’oggetto della discussione di oggi – sono necessari, come sapete, almeno sette-otto anni dalla firma del contratto al momento in cui l’impianto è operativo. Al momento non esiste alcun contratto tra l’Iran e un qualsiasi soggetto che possa costruire una centrale nucleare per generare energia, chilowatt; nessun contratto tranne quello russo. Come sapete, il contratto con i russi contiene una clausola che dispone, innanzi tutto, che la fornitura dell’uranio arricchito sarà a opera della Russia e, secondo, che il materiale combusto, ossia il plutonio arricchito o quello che rimane al termine del processo, sarà ritirato dalla Russia, quindi l’Iran non ha bisogno di disporre di uranio arricchito, in quanto gli viene fornito.
Secondo, se il processo di arricchimento prosegue, la domanda è “perché?”, visto che non hanno un luogo dove impiegarlo, nessun’altra centrale. Si tratta quindi di una domanda che è corretto porre ma che difficilmente ottiene risposta. È l’unica risposta che posso dare a una simile domanda, in quanto è un problema che ricade sotto il vostro controllo e di quello dei leader e dei cittadini dell’Unione europea.
Ho cercato di fornire un resoconto onesto riguardo a come vediamo la situazione, i problemi e le tre principali questioni di cui ci dobbiamo preoccupare, in quanto europei. Ribadisco che nutriamo un grande rispetto per il paese, un profondo rispetto per l’Iran, e vorremmo davvero intrattenere relazioni con esso e vederlo agire in quella direzione.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, domani quest’Aula adotterà una risoluzione sull’Iran cui andrà l’appoggio del nostro gruppo politico.
Non è un caso che la prima parte della risoluzione in parola verta sulla situazione dei diritti umani.
La settimana scorsa la nostra commissione per gli affari esteri ha avuto un incontro tutt’altro che soddisfacente con Saeed Jalili, il quale non ha risposto a nessuna delle domande postegli riguardo ai diritti umani, alle torture e alle esecuzioni pubbliche, all’acquisto di missili nordcoreani e siluri sovietici che possono essere dotati di testata nucleare.
Signor Solana, abbiamo sentito molto bene che sta attendendo la risposta alle domande formulate a Saeed Jalili, e la signora Commissario Ferrero ha affermato la stessa cosa e anche noi stiamo ancora aspettando le risposte agli interrogativi sollevati.
Non è pertanto sufficiente che ci lamentiamo del fatto che non abbiano sospeso il programma nucleare, disattendendo l’appello della comunità internazionale e tre risoluzioni delle Nazioni Unite. Javier Solana ha appena finito di informarci che la comunità internazionale è convinta che il paese abbia in corso un processo di arricchimento dell’uranio per fini non pacifici.
È altrettanto inutile, signor Presidente, che nel progetto di risoluzione dichiariamo di non aver intenzione di proseguire sulla via di un accordo di cooperazione o di associazione con l’Iran fino a quando il paese non abbia compiuto progressi sostanziali nel campo dei diritti umani e non offra garanzie oggettive che ci consentano di pensare che non si stia proseguendo il processo di arricchimento di uranio per scopi pacifici.
Signor Alto rappresentante, le chiedo pertanto se ritiene che la quarta risoluzione che elaborerà il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla base del vertice di Vienna, che ha riunito i membri permanenti del Consiglio di sicurezza e la Germania, sarà sufficiente affinché l’Iran non disattenda l’appello della comunità internazionale. Signor Solana, quale dovrebbe essere il contenuto della risoluzione dell’ONU per poter affrontare questa sfida e annientare la minaccia che questo programma di arricchimento dell’uranio dell’Iran rappresenta per la pace e la sicurezza internazionale?
Lilli Gruber (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Presidente iraniano Ahmadinejad ha detto oggi a Busher, nel sud del paese, che Israele è una sporca entità sionista che prima o poi cadrà. Un’affermazione naturalmente inaccettabile e chiaramente propagandistica.
Il 14 marzo ci saranno le elezioni politiche in Iran, in cui conteranno più le sue promesse mancate che non i proclami. Del resto anche l’America è in piena campagna elettorale e dunque è necessario stare ai fatti. Oggi l’Iran è la potenza emergente nel Golfo e con essa Washington sta cercando di negoziare un accordo. A dicembre i servizi segreti americani hanno stabilito che l’Iran non rappresenta una minaccia immediata. Il 12 gennaio scorso il direttore dell’AIEA, El Baradei, ha avuto assicurazione dagli iraniani sulla risposta a tutti gli interrogativi ancora aperti.
La pressione sull’Iran va mantenuta, ma serve a raggiungere un accordo utile a tutti e alla stabilità della regione, evitando misure radicali e spesso inefficaci. Basta ricordare l’Iraq e l’inefficacia delle sanzioni contro di esso. Va riconosciuto il ruolo dell’Iran nei nuovi equilibri dello scacchiere e gli vanno offerte delle garanzie di sicurezza credibili in un contesto regionale così turbolento. Un coinvolgimento americano diretto è essenziale per il successo di trattative che devono a questo punto essere onnicomprensive, come sta facendo del resto l’Unione europea.
Dall’altro lato è assolutamente chiaro che l’Iran deve assumersi responsabilità adeguate: abbandono delle ambizioni nucleari e militari con stringenti verifiche, ruolo costruttivo per la soluzione dei conflitti ancora aperti, rispetto dei diritti umani e delle donne e, più in generale, delle regole democratiche.
Poco fa il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi mi ha mandato una mail in cui denuncia le gravi e sempre più frequenti violazioni dei diritti umani. “È questo, più di quello nucleare, il fronte più drammatico oggi in Iran” mi scrive. Cerchiamo di ascoltarla.
Baroness Nicholson of Winterbourne (ALDE). – (EN) Signor Presidente, ringrazio Javier Solana e la signora Commissario Ferrero-Waldner per il lavoro immensamente arduo sulla questione della Repubblica islamica dell’Iran, fonte di così numerose emicranie e preoccupazioni a livello internazionale, e sul Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Ho avuto l’onore di rappresentare il mio gruppo in seno alla delegazione recatasi di recente, poco prima di Natale, nella Repubblica islamica dell’Iran, dove abbiamo partecipato a un ciclo di incontri straordinariamente positivo, di cui hanno già riferito Javier Solana e la signora Commissario Ferrero-Waldner.
Ovviamente, la nostra richiesta di dialogo trova nella Repubblica islamica dell’Iran orecchie molto ben disposte, in quanto, come sapete, nel 2000 l’ex Presidente dell’Iran aveva sottoposto alle Nazioni Unite l’idea dell’anno del dialogo interculturale, un’idea ripresa proprio quest’anno qui, nell’ambito dell’Unione europea.
Ritengo che le possibilità per sviluppare un dialogo siano enormi, e non solo sul fronte dei diritti umani o della questione cruciale del nucleare. Credo che dovremmo instaurare un dialogo su tematiche culturali, quali musica, arte, archeologia, pittura e calligrafia, in cui condividiamo tante radici storiche e che offrono grandi potenziali per il futuro.
Sono altresì dell’avviso che dovremmo affrontare un altro tema critico, la cosiddetta barriera tra Islam e democrazia. Forse è passato inosservato che la Repubblica islamica dell’Iran pensa di aver ovviato a quella particolare difficoltà, e che la sua forma di democrazia sia del tutto allineata con la versione dell’Islam, la fondamentale legge della shariah e la tradizione islamica sciita proposte dal paese. Penso che questo sia un aspetto che dovremmo accogliere in modo positivo e discutere quest’anno, forse con l’ex Presidente Khatami o con altri rappresentanti dell’influenza e della tradizione religiose dell’Iran.
Romano Maria La Russa (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, io ritengo, anche alla luce di quanto ho ascoltato durante questo dibattito, che tuttora l’unica via da perseguire sia certamente quella del dialogo, anche se risulta tuttavia difficile capire su che basi questo dialogo si possa poi sviluppare.
Come dialogare infatti con un paese che non rispetta i diritti dell’infanzia ed estende la pena di morte ai minori? Con il paese, o meglio è più giusto dire con il regime, delle impiccagioni in piazza, un regime che minaccia di voler cancellare lo Stato di Israele? E sulla questione nucleare dovremmo forse soprassedere o non quantomeno dubitare dell’utilizzo pacifico del nucleare? Fino a che punto dovremmo credere ai piani militari di difesa nazionale? E ancora, possiamo ritenere affidabile un regime che finanzia la guerriglia nei paesi limitrofi?
Con riferimento poi al rapporto della CIA, inviterei a non farsi troppe illusioni sull’attendibilità dello stesso. Non è la prima volta, peraltro, che questi rapporti vengono poi clamorosamente smentiti. A nessuno certamente possiamo negare la possibilità di sperimentare il nucleare a fini civili e non militari, ma il Presidente Ahmadinejad non solo non dà garanzie, non solo non dà alcuna garanzia, ma di fatto fa temere il peggio.
Escludendo l’opzione di un intervento militare, lontano credo da tutti i rappresentanti e dai parlamentari dell’Unione europea, e quindi evitando l’intervento militare – questo è fondamentale e basilare –, ritengo che sarebbe una sconfitta per tutti e penalizzerebbe l’economia, penalizzerebbe un popolo inerme, ignaro e innocente, l’opzione delle sanzioni. Inviterei ancora ad usare la diplomazia, perché ripeto le sanzioni non hanno mai sortito nulla di buono, servono soltanto ad alimentare ulteriore odio verso l’Occidente e gli Stati Uniti in particolare.
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, il sotterfugio è un’arma consentita dal Corano sotto la dottrina della taqiyya. L’Iran sostiene di non avere alcun piano di sviluppo di armi nucleari. Le prove a dimostrazione del contrario sono schiaccianti. Detenevano già 3 000 centrifughe di uranio. Non una può essere impiegata per produrre energia nucleare a scopi pacifici. Insieme genereranno all’anno uranio utilizzabile per fini militari sufficiente per una bomba.
Adesso l’Iran ha intenzione di costruire altre 5 000 centrifughe. Nel frattempo, importa illegalmente uranio grezzo dal Congo, un paese che l’UE sostiene con aiuti umanitari. La Gran Bretagna consente ancora agli studenti iraniani di studiare fisica nucleare presso le nostre università. Inoltre, Iran, Siria e Corea del Nord stanno collaborando alla fabbricazione di missili e testate chimiche. L’anno scorso sono stati uccisi tecnici di tutti e tre i paesi, quando qualcosa in Siria non ha funzionato. Successivamente sono state rilevate nell’atmosfera tracce di gas sarin.
Che tali paesi riescano o meno a sviluppare con successo le testate nucleari, queste ultime verrebbero di certo utilizzate nel prossimo futuro.
Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel ribadire il diritto all’autodeterminazione energetica dei popoli, apprezzo il tentativo negoziale dell’Unione e sostengo la sinergesi del piano di lavoro AIEA-Iran. È lodevole e utile per fugare preoccupazioni, anche al fine di depotenziare speculazioni politiche e strategiche basate sull’ipotetica minaccia alla pace.
Del resto, anche al punto 5 della risoluzione, si ammette la necessità di rinunce a retoriche speculazioni politiche sull’Iran. Tutta la prima parte della risoluzione e l’esortazione alla creazione di un nuovo quadro multilaterale per l’utilizzazione dell’energia nucleare sono condivisibili.
Appare invece demagogica la seconda parte. Le violazioni dei diritti umani in tantissima parte del mondo non registrano altrettante e solerti condanne. Ne sono esempio le recenti risoluzioni su Pakistan e Cina che non hanno avuto altrettanta energia, né palese sostegno all’opposizione interna. Questo mi obbliga a dichiarare la mia contrarietà alla risoluzione, perché diritti umani e libertà sono valori assoluti che non conoscono diversità di applicazione, né si prestano alla sperequazione tra il chiede e il condanna.
Jacek Saryusz-Wolski (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, il programma nucleare iraniano rimane la fonte di maggior preoccupazione per noi. Auspichiamo che il processo volto a negoziare una soluzione non si interrompa.
L’Unione europea deve assumere una posizione unitaria riguardo a questo difficilissimo tema, e noi dobbiamo sostenere gli sforzi dell’Alto rappresentante e della Commissione, degli Stati membri e della comunità internazionale, tra cui la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU proposta di recente.
Gli sforzi dovrebbero essere intesi a indurre l’Iran a riavviare le consultazioni relative agli accordi a lungo termine relativamente alla soluzione della questione nucleare.
Noi della commissione per gli affari esteri di questo Emiciclo abbiamo deciso di invitare Saeed Jalili a confrontarsi e ad avere un dialogo. La nostra commissione è stata soddisfatta dalle risposte fornite, e sappiamo bene quanto sia difficile il dialogo. Dall’incontro con la commissione per gli affari esteri è tuttavia emersa la nostra posizione unanime riguardo alla questione iraniana, il che ha anche inviato un forte segnale politico al governo del paese.
Se vogliamo proseguire un dialogo significativo, dobbiamo ridare credibilità alle nostre relazioni. I nostri partner iraniani devono incentrare il loro programma nucleare sull’assoluta trasparenza cooperando appieno con l’AIEA. Devono attuare le disposizioni dell’accordo di salvaguardia globale e noi dovremmo mantenere la pressione sul governo iraniano affinché rispetti gli impegni assunti e per far comprendere che è l’unico modo per ottenere il riconoscimento internazionale, nonché per perseguire con successo lo sviluppo economico a vantaggio dei suoi cittadini.
La situazione dei diritti umani in Iran è gravemente peggiorata di recente e non dobbiamo cessare di condannare la sistematica violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, in particolare quelle perpetrate nei confronti di minorenni autori di reati e donne.
In quanto comunità basata su valori, con al centro dei nostri valori i diritti umani e la democrazia, e che reputa la stabilità e la sicurezza le nostre preoccupazioni prioritarie, non dovremmo e non possiamo chiudere gli occhi riguardo all’aggravarsi della situazione dei diritti umani, e dovremmo fare tutto quanto in nostro potere al fine di convincere i nostri partner che è vantaggioso rispettare lo Stato di diritto, i diritti umani e le libertà fondamentali.
Libor Rouček (PSE). – (CS) Onorevoli colleghi, nel mio contributo al dibattito odierno desidero concentrarmi su due aspetti riguardanti le relazioni con l’Iran.
Il primo attiene a una società civile. Come ho potuto constatare di persona in occasione della mia recente visita a Teheran, in Iran esiste una società civile molto forte e attiva. Donne, giornalisti, minoranze nazionali e religiose, tutti lottano per i propri diritti. Anche l’ambiente studentesco è abbastanza vivace. Conducenti di mezzi pubblici, panettieri e molte altre professioni si organizzano in sindacati indipendenti. Gli economisti e gli imprenditori esercitano pressione a favore della privatizzazione e della liberalizzazione dell’economia iraniana.
Tutti questi gruppi ed elementi che formano la società iraniana hanno lo sguardo rivolto verso l’Europa, verso l’Unione europea, in cerca di dialogo e aiuto. Per questo motivo desidero invitare la signora commissario e l’Alto rappresentante Javier Solana a impiegare con efficienza, quale parte di questo dialogo, il nuovo strumento a nostra disposizione per la democrazia e i diritti umani
Sono altresì dell’avviso che l’Unione europea dovrebbe avere una rappresentanza diplomatica nel paese. Questo non solo migliorerebbe il confronto e il dialogo con la società civile, ma rafforzerebbe anche la cooperazione con istituzioni e autorità locali in settori di comune interesse. Infatti, condividiamo molti interessi con l’Iran, nonostante le nostre divergenze di opinione sul programma nucleare o sui diritti umani.
Citerò solo un paese confinante con l’Iran, ossia l’Afghanistan. Sono convinto che non giovi né a noi né all’Iran se, per esempio, tonnellate di droga illegale afghana invadono l’Europa. Abbiamo interessi comuni analoghi quando si tratta della questione dei profughi afghani e di una soluzione pacifica globale alla situazione in Afghanistan.
Questa è solo una delle tante ragioni per cui è necessario che l’Unione europea abbia una rappresentanza diplomatica a Teheran.
Struan Stevenson (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, sia Javier Solana che la signora commissario Ferrero-Waldner hanno sottolineato reiteratamente nei rispettivi interventi di oggi che occorrono dialogo, negoziati e persuasione. La signora Commissario Ferrero-Waldner ha posto l’accento sulla necessità di contatti interpersonali. Ci ha parlato degli ottimi risultati del nostro programma Erasmus Mundus e di quello inteso a eliminare la povertà.
Dunque, stiamo istruendo i loro fisici nucleari nelle nostre università? Stiamo pagando, a spese dei nostri contribuenti, misure di intervento per situazioni di povertà in uno dei paesi più ricchi al mondo produttore di petrolio perché il governo in loco ha deciso di spendere miliardi in un programma di armi nucleari? Quali risultati ha conseguito la nostra politica di riconciliazione?
Secondo Javier Solana, finora non abbiamo realizzato niente di positivo. Ha dichiarato che il regime iraniano continua a ignorarci. La signora Commissario Ferrero-Waldner ha affermato che il numero di esecuzioni è il più elevato di tutti i tempi. Allora, signor Presidente, la informo che nelle prime due settimane di quest’anno sono state giustiziate 23 persone, tra cui diverse donne. Cinque delle vittime avevano mani o piedi amputati. Uomini e donne continuano a venire lapidati a morte da questo regime seguace della jihad, misogino, omofobico, votato al genocidio e brutale, da questo sostenitore mondiale del terrore.
Se desideriamo davvero offrire un aiuto agli studenti iraniani, dovremmo sostenere i giovani coraggiosi dell’Università di Teheran, che da cinque giorni manifestano chiedendo che il regime cambi. Anziché appoggiare la riconciliazione, dovremmo schierarci a favore dell’opposizione iraniana legittima. Anziché inserire la PMOI nel nostro elenco dei terroristi, dovremmo aggiungere le guardie rivoluzionare dell’Iran sull’elenco dei terroristi dell’UE.
Helmut Kuhne (PSE). – (DE) Signor Presidente, come abbiamo avuto modo di sentire, anche qui in seno al nostro Parlamento europeo, vi sono rappresentanti la cui priorità non è modificare il comportamento del regime iraniano, ma distruggere tale regime. Ritengo che vi sia un aspetto da spiegare con estrema chiarezza, ossia l’imperativo logico secondo cui coloro che mirano all’annientamento del regime e concentrano le loro politiche su tale obiettivo non faranno nulla per cambiare l’atteggiamento del governo. Eppure dobbiamo puntare a questo cambiamento di registro ogniqualvolta affrontiamo la questione nucleare.
Il versante diplomatico risulterebbe ampiamente rafforzato se gli Stati Uniti fossero direttamente coinvolti nei colloqui, in quanto gli USA possono offrire qualcosa che l’Unione europea non può offrire in ugual misura, vale a dire le garanzie in materia di sicurezza. Come sottolineato da Javier Solana, i risultati dei servizi segreti statunitensi non corroborano la tesi che il programma iraniano non rappresenta una potenziale minaccia. È in realtà un problema, e non può essere risolto allentando la pressione. La materia non può essere sottratta alla competenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU, perché prima o poi si corre il rischio che il regime iraniano dica alla fine “Grazie, ecco, ora abbiamo uranio arricchito a sufficienza; è giunto il momento per noi di staccarci dal Trattato di non proliferazione e di iniziare a produrre le nostre armi nucleari”. Qualora dovesse presentarsi questo scenario, non ci rimarrebbe altra alternativa se non tornare alla strategia della deterrenza nucleare che conosciamo dagli anni ‘60 e ‘70.
Un elemento che dovremmo a tutti i costi escludere dal presente dibattito, che sia ben chiaro, è la cosiddetta opzione militare. Qualsiasi concetto si intenda esprimere con il termine “l’Occidente”, che sia l’America del Nord da sola o includa l’Europa, esercitare la cosiddetta opzione militare si tradurrebbe in un disastro politico che si ripercuoterebbe sull’Occidente per decenni non solo per quanto riguarda le sue relazioni con il mondo musulmano, ma anche con paesi quali l’India che hanno contribuito a inserire questo tema nell’agenda del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) Vorrei esprimere la mia profonda preoccupazione per l’aggravarsi della situazione dei diritti umani in Iran: ricorso alla pena capitale, tortura, trattamento inumano di detenuti e repressione degli oppositori politici. Dobbiamo condannare con fermezza tali evidenti violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali che costituiscono la base delle nostre società democratiche.
Personalmente, in quanto membro dell’Assemblea parlamentare euromediterranea, sono piuttosto preoccupato per la questione legata alla sicurezza e riguardo al fatto che l’Iran prosegua nello sviluppo del suo programma nucleare, nonostante le proteste sollevate dall’Unione europea e dalla comunità internazionale. Malgrado le assicurazioni che le attività sono totalmente dedicate a scopi pacifici, è molto difficile non allarmarsi per la china che sta prendendo la situazione.
Per concludere, vorrei menzionare la recente fornitura di materiale nucleare all’Iran da parte della Russia. Altri indizi ci suggeriscono che l’Iran è un partner inaffidabile e noi dovremmo comportarci di conseguenza.
Ana Maria Gomes (PSE). – (EN) Signor Presidente, gli Stati membri dell’UE sono stati coerenti nel messaggio politico inviato all’Iran chiedendo di sostenere le azioni dei tre dell’UE e di Javier Solana riguardo al fascicolo nucleare e di rispettare l’imposizione delle sanzioni economiche?
E gli Stati membri dell’UE e lei, signor Solana, avete esercitato pressioni sull’Amministrazione Bush affinché parli direttamente all’Iran non solo della questione irachena ma del fascicolo sul nucleare in particolare? O fa parte di quella schiera che ritenga non ce ne sia bisogno e che attenderà la prossima Amministrazione americana?
Janusz Onyszkiewicz (ALDE). – (PL) Signor Presidente, desidero riprendere un punto sollevato da Javier Solana, ossia la corretta interpretazione del rapporto della CIA sul programma nucleare dell’Iran.
Permettetemi di ripetere quanto affermato dal signor Solana: solo un elemento è stato interrotto e non si ha assolutamente la certezza che sia stato sospeso definitivamente. L’opposizione iraniana sostiene che il programma è stato semplicemente suddiviso su altri siti, ma che è tuttora in funzione. Ritengo che dovremmo credere a questa affermazione, dal momento che è stata l’opposizione iraniana a richiamare per prima l’attenzione sugli aspetti militari del programma nucleare avviato nel paese, e che le sue asserzioni sono risultate del tutto fondate.
E con questo passo quindi al punto successivo, vale a dire che è ormai tempo di cancellare i Mujaheddin del popolo dalla lista delle organizzazioni terroristiche. I giudici, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e il parlamento italiano si sono già pronunciati al riguardo e sarebbe ora che lo facessimo anche noi.
Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, per me, il signor Solana e la signora Commissario Ferrero-Waldner non esiste alcuna differenza tra il nucleare civile e il nucleare militare. Javier Solana ha spiegato che per costruire una bomba è sufficiente disporre di uranio. Ritengo che si debba essere un po’ ingenui per credere che un paese con ricchezze naturali straordinarie quale è l’Iran abbia bisogno di energia nucleare per svilupparsi. Per contro, si sa perfettamente che gli occorre l’energia nucleare per realizzare la bomba.
Il signor Solana ha anche affermato che il nucleare è un fattore di instabilità e che noi non esercitiamo alcuna influenza sull’Iran. Ha proprio ragione. La proposta da lui avanzata di vietare l’arricchimento ci trova assolutamente d’accordo. Mi spingerò ancora oltre: ritengo che il nucleare debba essere vietato e basta. Al momento solo il 4% dell’energia a livello mondiale è di origine nucleare.
Al signor Solana e alla signora Commissario Ferrero Waldner desidero chiedere se non pensano che la Francia e il nostro Presidente Nicolas Sarkozy giochino con il fuoco e con l’instabilità mondiale siglando accordi nucleari con paesi come la Libia, la Cina e la Georgia. Non si potrebbe approfittare dell’infelice esperienza con l’Iran quale opportunità per fermare la proliferazione dell’energia nucleare a livello globale?
Erik Meijer (GUE/NGL). – (NL) Signor Presidente, la discussione sull’Iran non si limita a un dibattito relativo a energia nucleare, minacce di guerra e violazioni dei diritti umani. Nella sua presentazione, Javier Solana ha già spiegato il motivo per cui l’Iran, malgrado sia caratterizzato da elementi di democrazia e da un elevato livello di istruzione, per molte persone non sia un luogo gradevole in cui vivere.
Molti tra coloro che sono oggetto di persecuzione da parte del governo iraniano o non possono vivere liberamente sotto l’attuale regime sono fuggiti in Europa. L’Unione europea e i suoi Stati membri non devono sbarrare la strada a queste persone, e devono concedere all’opposizione pacifica in esilio di godere della massima libertà possibile.
Per questo è importante che la Corte di giustizia europea abbia statuito che era un errore inserire questa organizzazione sulla lista delle organizzazioni terroristiche. È essenziale che il Parlamento faccia presente al Consiglio che è una decisione ingiusta e inaccettabile. Questa lista rappresenta un punto su cui non si può scendere ad alcun compromesso con il regime iraniano.
Vytautas Landsbergis (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, vorrei sapere se c’è qualcuno che mi può rispondere. Nel corso della visita a Teheran, i deputati hanno assistito per caso a esecuzioni pubbliche? Mi riferisco soprattutto quelle in cui vengono utilizzate gru di produzione europea.
Miloslav Ransdorf (GUE/NGL). – (CS) Desidero far presente che, paradossalmente, il programma nucleare iraniano è stato avviato quando l’Iran era un alleato degli Stati Uniti. Gli americani consigliarono allo scià di costruire venti centrali nucleari. Sembra che i tempi siano cambiati: l’alleato è diventato un nemico e l’immagine dell’Iran è piena di contraddizioni.
Pur consapevole delle sofferenze subite dai nostri amici del partito Tudeh, devo tuttavia ammettere che nessun altro paese arabo vanta un tale livello di pluralità e una società civile sviluppata al pari dell’Iran.
La situazione dei sindacati evocata dall’onorevole Rouček merita la nostra massima attenzione, come del resto il movimento femminile. Ritengo che sarebbe opportuno valutare e sostenere le proposte avanzate dall’onorevole Rouček riguardo a una rappresentanza dell’Unione europea a Teheran.
È essenziale sviluppare queste relazioni. L’Iran è una grande nazione e una straordinaria cultura che ha più similitudini con noi di quanto possiamo immaginare.
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, l’Iran rappresenta un pericolo per la stabilità del mondo e del Medio Oriente. I seguaci iraniani della jihad combattono al fianco dei terroristi in Iraq e uccidono i soldati britannici. I giudici iraniani condannano sistematicamente alla pena capitale omosessuali e giovani.
Perché l’Iran persiste nell’arricchimento dell’uranio quando non possiede nessuna centrale nucleare operativa né ha in programma di costruirne in futuro? Per quale motivo il paese sviluppa missili Shahab III che possono trasportare testate nucleari e sganciarle sulle città europee?
Il nostro messaggio deve essere chiaro e categorico. La comunità internazionale non permetterà all’Iran di dotarsi di armi nucleari.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, quella di oggi è stata, ovviamente, una discussione di estrema importanza. Perché? Perché in Iran esiste una vastissima società civile che senza dubbio vorrebbe un altro tipo di vita, ma al potere c’è ancora un regime molto difficile.
Ritengo che nessuno di noi ignori che la questione nucleare è al momento un ostacolo di proporzioni enormi. Pregiudica qualsiasi opportunità di sviluppo e di relazioni bilaterali che presenterebbero, invece, grandi potenzialità. Questo è quanto ho detto reiteratamente a Saeed Jalili: “Perché non accettate? Perché non esiste la possibilità di avviare un dialogo con voi? Perché non mostrate qualche segno di volontà politica in questo senso?” Credo che quello che dobbiamo fare sia tentare di rivolgerci direttamente alla popolazione e verificare se esiste una minima possibilità di cambiare la situazione con le prossime elezioni, ben consci che sarà molto difficile.
Tuttavia ritengo sia interessante che l’opposizione si stia perlomeno riunendo. Si era divisa, ed era accaduto in un’atmosfera di rassegnazione. Adesso c’è almeno una rinnovata volontà di presentarsi alle elezioni e, forse, invertire la rotta, se non altro del governo. Ma ovviamente, come ho detto in precedenza, il Consiglio dei guardiani sta vagliando i candidati, fase cruciale. Come ha affermato l’onorevole Beer, se per 290 seggi possono presentarsi 7 000 candidati, ne è già stato bocciato un numero esagerato. Ne saranno stati respinti già 2 000. Pertanto mi auguro fortemente che una procedura di ricorso possa modificare la situazione. L’elettorato iraniano merita di poter scegliere i propri rappresentanti da un ampio spettro di partiti e idee. Com’è ovvio, è chiaro che non sosteniamo alcun partito in particolare, ma è essenziale che si instauri un clima di vero e proprio pluralismo.
Detto ciò, concordo appieno con coloro, e non mi sono addentrata in tutti i dettagli, che hanno affermato che abbiamo svolto un notevole lavoro sul fronte dei diritti umani, anche se non riusciamo a compiere progressi per quanto riguarda la questione nucleare. Abbiamo ovviamente sostenuto tutte le risoluzioni dell’ONU. Il Canada ne ha presentata una, che è stata adottata e che mostra con esattezza a che punto è, purtroppo, oggi l’Iran. Desidero far presente ad alcuni degli onorevoli deputati che oggi hanno dichiarato che dovremmo ricorrere allo strumento EIDHR, che lo impieghiamo già tramite l’ONU, l’UNICEF e l’UNODC, per esempio nel campo della giustizia minorile e dei giovani tossicodipendenti, e riguardo alla questione della giustizia. Ma è sempre più complicato intervenire in questa atmosfera così rigida. Sto tentando di garantire la presenza di un diplomatico in un’ambasciata onde poter coordinare più agevolmente i progetti congiunti. Si tratta senza dubbio solo di un piccolo passo, ma mi auguro molto significativo, che potrebbe spianare la strada, almeno un po’, allo sviluppo della nostra cooperazione. Tuttavia, l’Iran rimane purtroppo evasivo al riguardo. La scorsa settimana, quando ho personalmente accennato alla questione, non ho ricevuto alcuna risposta.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. − (EN) Signor Presidente, non mi dilungherò, dal momento che ho avuto l’opportunità di rispondere prima. Non sono emersi molti interrogativi nuovi e, come ho affermato in precedenza, noi condividiamo sostanzialmente i punti di vista espressi.
Per quanto attiene a quanto sollevato dall’onorevole Salafranca Sánchez-Neyra, è al momento in corso in sede di Consiglio di sicurezza un dibattito e quindi non ritengo di dover affrontare l’argomento. Mi è stato chiesto cosa vorrei accadesse. Vorrei una risoluzione che non è necessaria perché il dialogo che auspichiamo e chiediamo è diventato realtà. Sapete quali elementi occorre attuare per ottenere un dialogo costruttivo.
Per quanto riguarda altre riflessioni sul rafforzamento della cooperazione, ribatto che esistono molti altri settori in cui possiamo e dovremmo cooperare. Sono stati menzionati l’Afghanistan e la droga; si tratta di un problema importante riguardo al quale ci piacerebbe molto cooperare.
Sono state sollevate altre domande relative al gruppo dei sei in seno alle Nazioni Unite. Non posso pronunciarmi a nome di nessuno, posso solo parlare a nome dei sei con sui sto negoziando. Ho ricevuto sostegno da tutti, da ogni singolo membro del gruppo, compresa l’Unione europea, com’è ovvio, ma anche dagli altri membri del Consiglio di sicurezza che non appartengono all’Unione europea.
(FR) Per quanto attiene alla domanda sollevata dall’onorevole Béguin relativa all’energia nucleare, non è mia intenzione addentrami oggi in generale nel dibattito su tale argomento. Ne avremo il tempo quando affronteremo la questione dell’energia. Tuttavia desidero soffermarmi sulla netta differenza tra il nucleare per la produzione di energia elettrica e il nucleare per altri scopi, che lei ha ben distinto. La differenza consiste nel fatto che, per generare energia elettrica, il nucleare ha bisogno di un arricchimento di X e che, per la produzione di armi di distruzione necessita di un arricchimento che è di gran lunga maggiore.
Il secondo interrogativo riguarda le scorie. È fondamentale sapere che fine fanno. Si sa che contengono il plutonio e altri elementi che sono utilizzabili. È responsabilità delle imprese che offrono la tecnologia incaricarsi di ritirare tutte le scorie. Pertanto, la situazione è completamente diversa rispetto a quella che abbiamo in mente quando parliamo dell’Iran e del processo di arricchimento autonomo.
Nel corso del mio primo intervento ho delineato un’immagine dell’Iran che mi piacerebbe vedere: ritengo che questo Iran sia possibile, sia auspicabile e sia un paese con cui ci dobbiamo impegnare. È un paese vivace, di grande spessore intellettuale, culturale e sotto anche altri aspetti, che gradiremmo vedere coinvolto con noi per collaborare in più contesti, quali il settore dell’energia, dei diritti umani, per cooperare riguardo alla questione del Medio Oriente e al nucleare. Per questo motivo è essenziale avviare un dialogo concreto e serio su tutti i fascicoli.
Infine, desidero ringraziare per l’attenzione accordata a questo importante dibattito e sarò ben lieto di venire a discutere dell’Iran o di altri temi ogniqualvolta mi inviterete.
Presidente. − Molte grazie, signor Solana.
Ho ricevuto sei proposte di risoluzione(1), presentate in conformità dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.
Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni dell’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza comune e della Commissione sulla situazione a Gaza.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. − (ES) La ringrazio, signor Presidente, per avermi concesso la parola in questo importante dibattito che stiamo per affrontare.
Signor Presidente, la discussione che ci accingiamo a svolgere riguarda i drammatici avvenimenti delle ultime settimane e dei giorni scorsi: la questione di Gaza, la questione delle frontiere tra Gaza e l’Egitto e i valichi di frontiera tra Gaza e Israele.
La realtà emersa in questi ultimi giorni è terribile, la situazione umanitaria si sta gravemente deteriorando e anche la sicurezza registra un sensibile peggioramento.
Ritengo che il dibattito di oggi dovrebbe essere incentrato su come possiamo contribuire a risolvere i problemi.
In quest’Aula si sono svolti numerosi dibattiti sui problemi del passato e credo che oggi dobbiamo capire se siamo in grado di contribuire in quanto Unione europea a risolvere questa questione così importante, che influenzerà senza dubbio lo sviluppo della Conferenza di Annapolis e il processo di pace.
Desidero far presente ancora una volta che noi, l’Unione europea, siamo stati coerenti quando abbiamo esortato ad aprire i punti di frontiera al fine di permettere la libera circolazione, garantendone la sicurezza, di persone e merci, non solo merci destinate ad aiuti umanitari, ma anche di beni che possono contribuire allo sviluppo economico della regione e, più in particolare, della Cisgiordania e di Gaza.
In mancanza dei tre elementi fondamentali, vale a dire sviluppo politico, sviluppo economico e cambiamento della realtà sul terreno, sarà estremamente difficile per noi registrare pregressi. Occorre compiere passi avanti in questi tre campi, e occorre compierli tutti contemporaneamente.
Cosa possiamo fare noi europei?
Da quando ha iniziato a delinearsi la nuova situazione siamo stati in contatto permanente con tutti i soggetti chiave.
Come ben sapete, domenica si è svolta un’importante riunione della Lega araba in occasione della quale sono stati esposti tutti i problemi cui si è tentato di trovare una sorta di soluzione, una formula non molto distante da quella illustrataci alcune settimane fa al Consiglio europeo dal Primo Ministro Fayad e che ci ha ribadito domenica al vertice della Lega araba o alla riunione ministeriale della Lega araba: occorrerebbe cercare il modo di riprendere il controllo delle frontiere, affinché l’Autorità palestinese possa assumersene la responsabilità.
Se dovesse verificarsi questa situazione, a mio avviso l’Unione europea dovrebbe sollevare di nuovo la questione di Rafh negli stessi termini con cui l’abbiamo affrontata nel 2005.
Come ben sapete, ora non siamo presenti fisicamente in loco, siamo pronti a intervenire non appena richiesto, ma al momento non siamo sul posto. Non siamo presenti sulla frontiera da quando Gaza è sotto il controllo di Hamas, perché non siamo stati autorizzati a restare.
Ritengo che quello che dovremmo fare sia agire secondo quanto emerso nel dibattito svoltosi in sede di Consiglio europeo lunedì e in linea con le risoluzioni del Consiglio, in quanto penso che queste ultime siano molto valide e che abbiano indicato un orientamento ben accetto da tutti, dall’Egitto, dai palestinesi e da Israele.
Sono quindi dell’avviso che abbiamo imboccato la strada giusta. Quello che dobbiamo fare è capire come far sì che il cammino intrapreso in linea con le risoluzioni del Consiglio possa presto diventare realtà.
La sofferenza della gente è terribile, lo è anche la sofferenza della popolazione del sud di Israele, vittima anche del fuoco dei missili lanciati dalla parte settentrionale di Gaza, lanciati sui propri cittadini, un fattore che rende vano qualsiasi vagheggiamento di stabilità.
Se elaborassimo un pacchetto con tutti questi temi, compresa la liberazione di Al-Haram ash-Sharif, che non può esserne esclusa se vogliamo stabilizzare la situazione, forse potremmo cooperare, e mi farebbe davvero molto piacere che ciò avvenisse, nel tentativo di pervenire a una soluzione.
Come ho detto, sono in costante contatto con gli attori più importanti. Mi recherò in Egitto non appena terminano le sessioni di lavoro in corso tra palestinesi ed egiziani e che sono iniziate oggi. Domani o dopodomani sarò sul posto per poter partecipare e illustrare, a nome dell’Unione europea, il contributo che possiamo apportare.
Credo in tutta onestà che la soluzione migliore sarebbe poter ripristinare una situazione completa, in cui l’Autorità palestinese detenesse il controllo delle frontiere e ci fosse la libera circolazione di merci e persone, non solo per gli aiuti umanitari, ma anche per lo sviluppo economico e il commercio, essenziali per compiere reali progressi.
Onorevoli deputati, siamo di fronte a una realtà molto difficile, perché, come ho accennato all’inizio, in Medio Oriente tutto è collegato.
Se non riusciamo a compiere passi avanti verso una soluzione della questione di Gaza anche il processo di pace sarà pieno di difficoltà. Pertanto grava una grande responsabilità sulle nostre spalle; siate consapevoli di quello che si staglia dinanzi a noi e del fatto che noi, il Commissario ed io, non ci risparmieremo e dedicheremo il tempo rimastoci in queste poche settimane a esaminare come poter contribuire a trovare una soluzione a nome dell’Unione europea.
Signor Presidente, non ho più nulla da aggiungere, salvo esprimere la mia volontà di contribuire a realizzare questo obiettivo e la speranza di poter contare sul sostegno di quest’Assemblea.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, ritengo che ad Annapolis ci sia stato un momento di speranza. Ho sempre parlato di cauto ottimismo, ben consapevole di quale difficoltà porrebbe avviare i negoziati bilaterali tra il Primo Ministro Olmert e il Presidente Abbas, e poi si è svolta a Parigi quella che definirei una conferenza molto positiva e promettente, nel cui ambito è emerso un tale sostegno da indurci a pensare che la situazione ricevesse nuovo slancio. Ma al tempo stesso abbiamo sempre saputo che questo nuovo slancio poteva perdere vigore in qualsiasi momento. Credo che la situazione di Gaza e l’infinita spirale di violenza cui abbiamo assistito a gennaio siano una di quelle questioni di estrema difficoltà, senza dimenticare, tra le altre, gli attacchi missilistici e dei mortai che hanno colpito la popolazione civile di Israele, che potrebbero far naufragare l’intero processo. Com’è ovvio, comprendiamo che il dovere dello Stato di Israele è difendere i propri cittadini. La reazione militare israeliana ha causato molti morti e feriti tra i palestinesi presenti a Gaza. Abbiamo sempre sostenuto che non è possibile attuare le misure di protezione dei civili e ci abbiamo costantemente chiesto la libertà di accesso e di circolazione. Queste azioni hanno imposto un pesante tributo sulla popolazione civile di Gaza. Pertanto non c’è nulla di che stupirsi se le cose si sono spinte eccessivamente in là quando la gente ha sfondato i vari cancelli e muri per aprire un varco tra l’Egitto e Gaza.
La domanda ora è questa, e sono assolutamente allineata con Javier Solana riguardo a ciò: in quale modo possiamo intervenire per cambiare realmente di nuovo la situazione? La missione dell’Unione europea di assistenza alle frontiere per il valico di Rafah (EU BAM Rafah) è sul posto da tempo, ma purtroppo negli ultimi mesi non ha avuto la minima possibilità di agire; forse noi europei possiamo ora riprendere in mano la situazione e tentare di pervenire a una qualche soluzione. Ritengo che sia positivo che Javier Solana abbia in programma di andare in Egitto per chiedere che cosa possiamo fare e per riunire, forse, tutte le varie parti insieme, operazione molto complicata. Tuttavia interpreto anche in modo positivo il fatto che Salem Fayed sia da qualche tempo disposto a far intervenire l’Autorità palestinese affinché controlli le frontiere, perché anche questo è importante. Alla fine, è una responsabilità che spetta a loro. Per far sì che si consegua questo obiettivo, penso che l’Unione europea potrebbe di nuovo fungere da facilitatore. Forse lì non assumeremo mai le vesti di mediatori, ma solo di facilitatori. Di recente, a Parigi abbiamo avuto il primo incontro di verifica al quale hanno partecipato Bernard Kouchner, il Primo Ministro norvegese e Tony Blair. Io ero uno dei copresidenti della conferenza. Abbiamo tentato di capire che cosa si potrebbe fare sul terreno per far avanzare la situazione, per non collezionare solo esperienze negative. Ci siamo pronunciati a favore dei cosiddetti progetti “Quick Start” sull’infrastruttura di sicurezza, da un lato, e in particolare, dall’altro, sulle scuole, perché è un’area in cui chiunque può vedere, sentire e persino annusare nell’aria che la speranza c’è, che vogliamo instillare la speranza, e che la libertà di accesso e circolazione è una delle condizioni essenziali per realizzare questo obiettivo, perché altrimenti lo sviluppo economico non potrà decollare. Pertanto, sosteniamo incondizionatamente questa strategia cui ora cerchiamo di dare pieno seguito.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, se dovessi descrivere con una sola parola che cosa abbiamo visto in questi ultimi giorni alla frontiera meridionale della Striscia di Gaza userei il termine “disperazione”.
Due anni fa si sono tenute le elezioni in Palestina. Vari colleghi di quest’Assemblea, tra cui l’onorevole De Keyser, l’onorevole McMillan-Scott e altri, erano presenti durante il processo elettorale e oggi, a distanza di due anni, la causa palestinese è a pezzi e lo scenario che abbiamo di fronte a noi è di desolazione, scoraggiamento e disperazione, il che dimostra che il consolidamento di una democrazia non presuppone solo l’esercizio del diritto di voto, ma che bisogna poter contare su istituzioni rappresentative, una distribuzione dei poteri legittima e il rispetto dei diritti umani, a cominciare dal diritto alla vita.
La comunità internazionale ha implorato Hamas di rinunciare alla violenza, ma tale appello è rimasto lettera morta e per questo motivo non è stato eliminato dalla lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea.
È evidente che anche dall’altra parte non ci si è comportati bene: Israele ha accolto con favore la divisione della causa palestinese, ha perseguito la propria politica di insediamenti, ha esercitato una repressione indiscriminata e ha anche attuato un blocco selvaggio il cui unico risultato è stato favorire l’organizzazione Hamas.
Cosa possiamo fare? Sono dell’avviso che Javier Solana abbia descritto alla perfezione lo stato delle cose: appoggiare gli sforzi dell’Alto rappresentante, sostenere l’approccio adottato dalla conferenza di Napoli attraverso il Quartetto e i paesi arabi moderati, e, soprattutto, sostenere una politica riguardo alla quale credo dovremmo esprimere la nostra riconoscenza alla Commissione e alla signora commissario Ferrero-Waldner, vale a dire una politica che colloca gli esseri umani al centro dell’azione dell’Unione europea, individui che soffrono, tribolano, provano angoscia e che muoiono, secondo me, senza alcuna utilità e ormai da troppo tempo in Medio Oriente.
PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO Vicepresidente
Véronique De Keyser, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, tutti i muri alla fine crollano: le mura di Gerico, il muro del ghetto di Varsavia, il Muro di Berlino, il Muro atlantico, il muro dell’indifferenza. Il muro a Rafah, con un significato simbolico, fa parte di questo slancio cieco dell’uomo verso la libertà.
Ma che cosa hanno fatto gli abitanti di Gaza della loro ritrovata libertà? Sono scappati verso l’Egitto? Si sono armati e hanno imbracciato i kalashnikovs? No, perché purtroppo le armi arrivano sempre a destinazione, con o senza muro. Sono corsi a rifornirsi di beni di emergenza. Sono corsi a fare acquisti, a comprare medicine e latte per i bambini, introvabili a Gaza. Ciclomotori, capre e vacche sollevati per aria da gru hanno fatto il loro ingresso a Rafah, tra le acclamazioni della folla. Una scena surreale. E poi, ognuno è tornato a casa propria. Queste immagini sono eloquenti: quello che prima era impossibile era improvvisamente a portata di mano, e poi tutti sono tornati alle loro esistenze di sempre.
Ora abbiamo una responsabilità storica. Non si tratta più di sapere chi spalancherà le porte di una prigione a cielo aperto, ma chi le chiuderà di nuovo, chi oserà far ripiombare gli abitanti di Gaza nella loro lenta asfissia. Dall’inizio di Annapolis, l’Unione europea ha perso il suo tocco. Secondo quanto stabilito dalla tabella di marcia, aveva passato il controllo del processo di pace agli Stati Uniti. Ottenere la copresidenza della Conferenza dei donatori di Parigi è stato molto faticoso. Complimenti! Tuttavia gli europei hanno un mandato per l’accesso a Gaza sin dal 2005. Siamo in grado, in cooperazione con gli egiziani, l’Autorità palestinese, Hamas e Israele di riavviare il dialogo e di gestire l’accesso al mondo esterno per i palestinesi, o, al contrario, ci limiteremo ad assistere nelle vesti di osservatori all’inevitabile repressione che non mancherà di arrivare? Questa è l’intera questione. Oltre alla missione dell’EU BAM, la situazione riguarda il futuro dell’unità palestinese e il processo di pace, il rispetto del diritto internazionale e l’onore dell’Unione europea. A nome del mio gruppo, desidero inviare un messaggio molto chiaro al signor Solana: per l’amor del cielo, proceda!
Chris Davies, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, in quanto membro della delegazione del Parlamento per le relazioni con il Consiglio legislativo palestinese, cerco di capire il motivo per cui quando chiediamo di sospendere la costruzione di insediamenti gli israeliani ci ignorano e noi non facciamo niente. Cerco di comprendere perché se esortiamo a togliere i posti di controllo, gli israeliani ci ignorano e noi non facciamo niente. Perché, quando chiediamo di porre termine alla punizione collettiva del popolo di Gaza, gli israeliani ci ignorano e noi non facciamo niente.
Sono pertanto grato a Marc Otte, il rappresentante speciale dell’UE in Medio Oriente, che ieri ha partecipato a una riunione delle delegazioni e ha affermato che la nostra politica, la politica dell’Europa, consiste nel seguire la leadership indicata dall’America.
Ora, solo qualche settimana fa, il Primo Ministro israeliano ha detto riferendosi al Presidente Bush che “non fa una sola cosa che non mi trovi pienamente d’accordo. Non appoggia nulla cui io sia contrario. Non pronuncia una sola parola che, secondo lui, potrebbe rendere più difficile la vita per Israele”.
Quindi, la politica americana è la politica d’Israele, e noi europei tutti a imitare il capofila. Pertanto non c’è da stupirsi se le nostre condanne delle azioni di Israele suonano così vuote alle orecchie dei palestinesi. E nessuna meraviglia che l’insuccesso sia di questo calibro. Questo approccio europeo ci ha indotto ad appoggiare le elezioni in Palestina due anni fa, ma poi a rifiutare di tener conto dei risultati, indebolendo il nostro sostegno alla democrazia nel Medio Oriente.
È l’approccio che ci ha portati e chiedere la creazione di un governo di unità nazionale palestinese e una volta formato ci siamo rifiutati di confrontarci con il primo ministro e metà del consiglio dei ministri e il governo è crollato.
Questo approccio ha significato il rifiuto da parte nostra di parlare ai rappresentanti di Hamas a gaza, anche se sono loro il reale potere nell’area. Quali lezioni abbiamo tratto da questa nostra storia? Non è giunto il momento che l’Europa si tolga le bende dagli occhi e si liberi da questa politica unilaterale di America e Israele? Non sarebbe ora che parlassimo di indipendenza e intervenissimo con lungimiranza?
Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signor Solana, signor Commissario, prendere in ostaggio un’intera popolazione è stato un errore. È una lezione di un’altra epoca che non potrebbe funzionare, la parte peggiore è che la situazione si è aggravata, in termini politici e umani. Dobbiamo pertanto porci qualche domanda. La politica di isolamento di Hamas e l’isolamento di conseguenza di Gaza è miseramente fallita. Hamas è oggi più popolare che mai. C’è qualcosa di strano: Javier Solana e il Commissario hanno affermato che i palestinesi devono riprendere il controllo delle frontiere, ma come può l’Autorità palestinese riacquisire il potere a Gaza? Le frontiere non sono la Cisgiordania. E questo è un problema. L’altro problema è quello delle frontiere di Gaza. Inoltre, esiste un accordo tra Egitto e Israele in base al quale agli egiziani in Sinai non è consentito avere armi. È un accordo che risale a 20 anni fa, dal trattato di pace. Quindi, anche se gli egiziani avessero intenzione di fermare i terroristi in Sinai, non potrebbero perché non ne hanno il diritto. È pertanto una situazione di pura follia ed è altrettanto vero che in questo clima di follia dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. La prima responsabilità riguarda la possibilità di vivere della popolazione di Gaza e per conseguire tale obiettivo dobbiamo negoziare con quelli che detengono il potere amministrativo a Gaza. Non possiamo affermare “Vogliamo fornire da mangiare e da bere, vogliamo dare loro medicinali, ma non vogliamo parlare con quelli che possono far arrivare ai destinatari le medicine”.
Secondo, occorre dire che i palestinesi crederanno nella pace quando la pace porterà loro qualcosa. Al momento in Cisgiordania non si registra alcun progresso per quanto riguarda le frontiere o la libertà di circolazione. La pace è qualcosa di concreto, non è un concetto astratto. I missili non si fermeranno data la situazione attuale e se per la sicurezza di Israele dobbiamo allora dire a Israele stesso “Il blocco rende la vita impossibile ai palestinesi e mette a rischio la sicurezza di Israele”. Ecco la verità. Dobbiamo anche dire al Presidente Bush: “In ogni caso non sarà lì nell’arco di alcuni mesi. Allora, stia zitto e lasci fare la politica a coloro che conoscono meglio la situazione”. Che la politica di Israele segua la politica americana o viceversa è comunque uno sbaglio e non possiamo allinearci. Non è quindi sufficiente che l’Unione europea dica “Procedete”, ma deve dire “Procedete nella giusta direzione, discutete con coloro che sono i responsabili, e parlate con i leader israeliani”. Occorre dichiarare che la nostra solidarietà nei confronti di Israele non significa che continueremo a sostenerlo in una politica totalmente suicida.
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, signor Solana, signor Commissario, gli eroi di Gaza hanno ancora una volta dimostrato che non sono le mura fortificate che possono imprigionare lo spirito libero dell’umanità e che nessuna forma di violenza può sottomettere la vita. Sono parole del discorso pronunciato lo scorso sabato alle porte di Gaza da Nurit Peled, militante israeliana per la pace e Premio Sakharov, che era presente in loco con altri dimostranti palestinesi e israeliani.
È impossibile non condividere l’emozione provata da questa Madre Coraggio alla vista di questo popolo, oppresso e umiliato a un livello intollerabile, che forzava il blocco imposto da Israele e finalmente respirava l’aria fresca, con il tempo per trovare il latte per i bambini, un po’ di prodotti alimentari per la famiglia e un briciolo di felicità per il morale.
Che cosa succede ora? È sotto gli occhi di tutti la duplice minaccia che si profila da parte dei leader israeliani. La prima è l’intenzione di ricorrere alla forza per richiudere, o far richiudere, questo minuscolo spazio di libertà. La seconda, di carattere più generale, è sbarazzarsi della responsabilità della forza di occupazione di Gaza e scaricarla sull’Egitto.
Se le parole, peraltro giuste, della dichiarazione del Consiglio del 28 gennaio devono avere una portata reale, l’Unione europea deve impegnarsi a esercitare maggiore pressione sulle autorità israeliane, esercitare una pressione diretta e in seno al Quartetto, tralasciando le abituali e tortuose perifrasi, affinché queste accettino il principio di un’apertura permanente dei punti di transito, sotto la responsabilità dell’autorità palestinese e con il sostegno dell’Unione europea e della Lega araba. Se all’autorità palestinese continua a essere negata qualsiasi possibilità di offrire alla propria popolazione il più piccolo barlume di speranza per il futuro e di lavorare verso la necessaria riconciliazione nazionale palestinese, significa accettare il peggior scenario politico. Temo che al momento stiamo spianando con rapidità la strada a questa situazione.
Tutti sappiamo che è fondamentale un impulso da parte della comunità internazionale su Gaza e sulla Cisgiordania, compresa Gerusalemme est. Questo impulso non arriverà da un presidente americano logoro e screditato. Spetta all’Europa agire.
Charles Tannock (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, Gaza rimane una tragedia umana e nessuno di noi in quest’Aula può biasimare i pazienti cittadini palestinesi per essersi catapultati attraverso la breccia nel muro del valico di Rafah per andare a comprare in Egitto.
Tuttavia, il territorio e i cittadini di Gaza rimangono sotto il controllo brutale di Hamas, l’organizzazione terroristica che l’UE ha bandito, che non ha cessato il crimine di guerra indiscriminato, a mio avviso, di lanciare sui civili israeliani i missile Qassam, compresa la recente versione a più lungo raggio su Ashkelon. Questo significa che non si può condannare Israele per aver mantenuto il blocco economico, consentendo il passaggio solo agli aiuti umanitari essenziali.
Mi dispiace, onorevole Davies, mi dispiace, onorevole Cohn-Bendit: se Hamas ferma i suoi missili, Israele toglierà il blocco – è semplice, tutto qui.
Ioan Mircea Paşcu (PSE). – (EN) Signor Presidente, la separazione di fatto di Gaza dalla Cisgiordania da un lato complica ulteriormente un quadro già complesso di per sé. Ma, dall’altro, lo semplifica.
Vorrei spiegarmi riguardo a quest’ultimo concetto. Innanzi tutto, ha facilitato il dialogo tra Israele e l’Autorità palestinese della Cisgiordania. In secondo luogo, conteneva una militanza radicale islamica che ha consentito un chiaro approccio perché, da un canto, abbiamo i leader radicali di Hamas e il resto della popolazione e, a tale riguardo, non è un segreto per chi dobbiamo schierarci.
In terzo luogo, ne consegue che, nell’equazione, anziché due fattori (uno molto chiaro, Israele, l’altro, i palestinesi, un po’ vago) adesso ne abbiamo tre ben definiti, Gaza compresa, con un segno di moltiplicazione tra ognuno di loro, il che significa che se uno è pari a zero, il prodotto sarà zero.
David Hammerstein (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, solo alcune domande molto concrete: come possiamo tornare alla missione EU BAM al valico di Rafah, data la mancanza di sicurezza della situazione precedente? Si tratta di un corpo europeo disarmato! Se un solo colpo viene sparato, se precipita la situazione laddove c’è una minuscola crepa nella sicurezza, i funzionari di polizia torneranno all’albergo ad Ashkelon?
In quale modo possiamo negoziare un accordo con i palestinesi, con l’Egitto e con Israele per cambiare l’attuale situazione? Se non siamo in grado di conseguire questo obiettivo poco importerà tornare alla situazione precedente, come ha affermato la signora Commissario Ferrero-Waldner. Dobbiamo instaurare una situazione a prova di fattori di insicurezza.
Inoltre, come possiamo procedere verso la pace senza affrontare la situazione di Gaza? Il processo di Napoli ha ignorato tale aspetto e ritengo che non sia possibile mantenere questo atteggiamento: è impossibile che esista un’autorità palestinese che si occupi dell’insicurezza a Gaza se non c’è la pace.
Infine, vorrei porre una domanda riguardo alle soluzioni a medio termine per fornire acqua ed energia a Gaza. Non sarebbe pensabile proporre soluzioni nella zona di confine tra Gaza e l’Egitto sulla falsariga della proposta di installare impianti di desalinizzazione e generazione di energia?
Luisa Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ieri un bambino è morto a Gaza all’ospedale Shifa, 80 morti all’ospedale a Gaza perché non possono andare a curarsi anche in Israele. Oggi la Corte di giustizia israeliana ha dato ragione al governo, cioè a Barak, di bloccare e ridurre la fornitura di combustibile. Questa è la situazione!
Solana si chiedeva cosa possiamo fare noi europei. La Commissaria diceva che dobbiamo fare la differenza. La differenza è la verità. La differenza è il coraggio non solo di dire – so che voi fate una fatica immensa, che siete sempre lì a faticare, che soffrite con noi della sofferenza di palestinesi e israeliani – ma per favore c’è bisogno di agire! C’è bisogno di dire chiaramente al governo israeliano che, se vuole aiutare Salam Faiad e Mahmoud Abbas, deve smettere non solo la chiusura di Gaza, ma deve smettere di uccidere come ha ucciso ieri a Betlemme altri giovani ragazzi, deve smettere di chiudere dentro ghetti i palestinesi nella Cisgiordania.
Non è solo Gaza. Gaza è diventata l’immagine forte, ma l’occupazione continua ogni giorno. La pace è indispensabile a tutti, è indispensabile ai palestinesi e agli israeliani. Bisogna bloccare …
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, è positivo che riusciamo a tenere il presente dibattito subito dopo i terribili avvenimenti nella Striscia di Gaza. È altresì positivo che il Parlamento abbia questa opportunità di illustrare la propria posizione a Javier Solana e alla signora Commissario Ferrero-Waldner. Al tempo stesso è importante che cogliamo questa occasione per informarci meglio. L’onorevole Cohn-Bendit ha affermato che non era sufficiente fornire derrate alimentari, ma che dovevamo anche confrontarci. Adesso disponiamo di nuovi meccanismi quali il programma PEGASUS che può promuovere un dialogo e una cooperazione più proficui. Forse la signora Commissario ci può fornire qualche informazione in più al riguardo.
Frieda Brepoels (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, signor Solana, signora Commissario, concordo incondizionatamente con gli onorevoli colleghi che hanno affermato che è ormai finito il tempo di limitarsi a esprimere preoccupazione per gli avvenimenti drammatici e la situazione umanitaria di Gaza e che i semplici aiuti finanziari non sono sufficienti.
Ritengo, invece, che la situazione a Gaza e il blocco debbano essere visti nel contesto globale del conflitto israelo-palestinese. I palestinesi hanno chiaramente riposto tutte le loro speranze nel fatto che l’UE riesca alla fine a sortire alcuni risultati. In passato sono state fatte molte promesse, ma possiamo notare che nella pratica, ossia nel seguire l’attuazione dei negoziati della Conferenza di Annapolis e in seno alle Nazioni Unite, l’UE non riesce a rafforzare il suo ruolo di mediatore attivo. Penso che questo sia inaccettabile e l’UE non deve più lasciarsi mettere in disparte dagli Stati Uniti, ma deve adottare una posizione indipendente.
Bairbre de Brún, (GUE/NGL). – (GA) Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione la signora Commissario Ferrero-Waldner, ma non credo che sia sufficiente parlare di facilitazione o incoraggiamento quando il governo di Israele persegue il genere di politica che abbiamo visto sul confine tra Gaza e l’Egitto.
Le istituzioni europee devono intervenire; devono assumere una posizione contro il governo israeliano e dire forte e chiaro che si oppongono al blocco inumano che sta soffocando la vita al di fuori della Striscia di Gaza.
È una politica davvero crudele e ostile all’intera popolazione sotto l’occupazione israeliana. Nel XXI secolo non si possano giustificare azioni di questo genere. Ed è assurdo che Israele sostenga semplicemente di difendersi quando i comuni palestinesi cercano una vita senza le sofferenze che vengono loro inflitte.
Dobbiamo intervenire anziché trascorrere giorni, settimane e mesi senza alla fine fare nient’altro se non parlare.
Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, i fatti di Gaza sono tragici e tutti i miei colleghi deputati hanno espresso la propria indignazione. Questi avvenimenti sono deplorevoli anche per l’Unione europea. Non solo risentiamo di una debolezza politica, ma io non so neppure in quale modo possiamo onorare gli impegni che abbiamo assunto riguardo a un’assistenza finanziaria efficace e agli aiuti umanitari dove siamo coinvolti. Il TIM si sta trasformando nel PEGASE e noi investiamo in risorse umane, meccanismi e risorse comunitarie.
Mi chiedo come possiamo ottenere un esito positivo a questo punto.
Ha nessuna notizia, signora Commissario? Gli aiuti umanitari raggiungono Gaza? È in corso la cooperazione con Israele anche se solo riguardo a questa problematica particolare? L’Autorità palestinese può contribuire in qualche modo a favorire il processo e facilitare gli aiuti umanitari? PEGASE, logicamente, dovrebbe essere attuato domani. I suoi servizi hanno investito nei dettagli, nella programmazione e nelle risorse umane. Come possiamo mantenere fede a questa visione e a tali risorse, signora Commissario?
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, la situazione a Gaza richiede l’immediata eliminazione del blocco israeliano. Occorre fornire assistenza alla popolazione di Gaza per affrontare i loro bisogni immediati. La Lega araba, l’Unione europea e persino Israele devono facilitare il contatto tra Fath e Hamas onde prevenire all’unità tra il popolo palestinese, come all’epoca in cui il governo dell’unità nazionale era al potere. Affinché questo avvenga, tutti i rappresentanti palestinesi eletti che sono membri di Hamas devono essere rilasciati dalle carceri israeliane. Si devono creare le giuste condizioni per indire elezioni generali. Sia l’Unione europea che gli Stati Uniti devono assumere il preciso impegno a rispettare appieno il risultato elettorale, qualunque esso sia.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (DE) Vorrei ribadire sinteticamente la mia posizione su questo argomento davvero spinoso, che abbiamo dibattuto a lungo lunedì in sede di Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”. Devo far presente, sebbene sia sottinteso, che non ci limitiamo a discutere: insieme agli Stati Uniti, ai palestinesi e agli israeliani e, ovviamente, anche con le Nazioni Unite e i russi nel quadro del Quartetto, l’Unione europea ha svolto la sua parte riguardo all’adozione di una strategia comune.
In precedenza ho fatto riferimento, quantunque brevemente parlando di Annapolis, a un aspetto della strategia, ossia il processo di negoziati bilaterali tra il Presidente Abbas e il Primo Ministro Olmert. L’altro aspetto, che riguarda più direttamente la mia funzione in seno alla Commissione, è lo sforzo di produrre un nuovo sviluppo che comporterà progressi importanti per la popolazione, e sono pienamente consapevole dell’enorme portata di tale compito. Sono sempre stata ben conscia delle difficoltà, ma ovviamente volevamo intraprendere qualsiasi azione possibile al fine di contribuire, e tale rimane la nostra posizione. Per questo motivo, l’impostazione della nostra politica è sostenere il Presidente Abbas nel suo sforzo di realizzare la pace attraverso i suoi colloqui nella prospettiva di utilizzare quella pace per promuovere un processo di conciliazione con Hamas. Era questa l’idea alla base della strategia.
Intendiamo sostenere anche altri incontri. Negli ultimi giorni abbiamo avuto un colloquio con Olmert e Abbas. Sappiamo che non significa molto in termini di sostanza, ma questo è comprensibile, dal momento che tutti i confronti oggi sono dominati da una situazione di grande tensione. Ciononostante dobbiamo proseguire su questa strada. Disponiamo ancora degli strumenti per intraprendere qualche cosa fino al prossimo incontro che si terrà a Mosca, se sosteniamo entrambe le parti.
Questa è una faccia della medaglia. Il rovescio è quello della prospettiva umanitaria ed economica. Su questo punto vorrei rivolgermi a coloro che potrebbero non aver letto la mia dichiarazione: il 21 gennaio ho espresso con molta chiarezza la presa di posizione riguardo alla situazione di Gaza, perché anch’io sono dell’avviso che le cose si siano semplicemente spinte troppo in là. Questo ha contribuito, congiuntamente ad altre dichiarazioni di ministri esteri e organizzazioni internazionali, a migliorare la situazione. Il blocco, naturalmente, non è stato soppresso del tutto, ma la situazione è di gran lunga migliorata. E di conseguenza, per quanto riguarda gli aiuti umanitari – e questo è per rispondere anche alla sua domanda, onorevole Kratsa-Tsagaropoulou – molte forniture stanno ora effettivamente arrivando a destinazione a Gaza.
Nondimeno, siamo perfettamente consapevoli che tutto questo non è sufficiente. Ed io stessa non ignoro, onorevole Cohn-Bendit, che ci troviamo ad affrontare una situazione estremamente difficile; l’Alto rappresentante lo sa benissimo e forse anche lui prenderà posizione in merito. Per il momento tuttavia procederemo con la strategia comune che abbiamo definito di comune accordo e che intendiamo attuare insieme, e non abbiamo altra possibilità se non impegnarci per l’apertura delle frontiere, che lo stesso Salam Fayyad, come ben sapete, reputa un passo cruciale.
Vorrei solo aggiungere brevemente qualche parola sul meccanismo elaborato di concerto, che diventerà operativo a tutti gli effetti tra due giorni, il primo di febbraio. Si tratta di un meccanismo permanente, a differenza di quello precedente, il Meccanismo temporaneo internazionale (TIM), che abbiamo dovuto continuamente prorogare. Il nuovo meccanismo è anche stato intenzionalmente creato in collaborazione con l’Autorità palestinese. Abbiamo lavorato a strettissimo contatto con il Primo Ministro Fayyad riguardo al progetto affinché il risultato rispondesse alle sue aspettative, ossia un piano di sviluppo e progresso per l’economia palestinese e, ovviamente, per le sue infrastrutture.
Deve essere uno sforzo europeo comune, e con questo intendo dire che il meccanismo, un dispositivo finanziario, può essere impiegato non solo da noi ma anche dagli Stati membri. L’idea, in effetti, è che anche organizzazioni internazionali e paesi non europei possano avvalersi, in linea di principio, di tale meccanismo. Al pari del TIM, offre una supervisione e un controllo totali, perché intendiamo soddisfare tutti i criteri di trasparenza, ed è strutturato per fornire aiuti diretti di bilancio, convogliare aiuti attraverso l’UNWRA, l’agenzia di soccorso e lavoro delle Nazioni unite, e altre organizzazioni o per finanziare i nostri progetti. Comprendo bene tuttavia che questa problematica rimanga in secondo piano rispetto all’interrogativo politico principale, vale a dire che cosa possiamo fare per risolvere l’attuale situazione. Com’è ovvio, sono perfettamente consapevole del problema, ma considerata la congiuntura del momento è l’unica risposta che posso fornirvi.
Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune. − (EN) Signor Presidente, ho ascoltato con grande attenzione quello che è stato detto. Potrei dire lo stesso e dirlo con la stessa emozione e lo stesso sentimento, perché i nostri sentimenti sono comuni.
Ma voi dite che dobbiamo agire e non solo parlare. Ritenete che intervenire potrà cambiare la nostra politica di 180 gradi oggi? Francamente non so se è un approccio assennato, a dire la verità.
Che cosa è accaduto negli ultimi giorni, oltre alla tragedia umanitaria? Potremmo parlare per ore ed esprimere ciò che proviamo, perché i nostri sentimenti sono gli stessi dei vostri – almeno per quanto mi riguarda – e anche della signora Commissario, ne sono sicuro.
All’inizio della settimana, a distanza di poche ore dallo scoppio delle tensioni, la Lega araba si è riunita. In quella sede ha preso una decisione, una decisione sostenuta lunedì dal Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”, una decisione che cercheremo di attuare nelle prossime ore a seguito di un incontro tenutosi stamattina tra l’Autorità palestinese e l’Egitto – ancora in corso mentre siamo qui a discutere e che proseguirà nella notte e probabilmente domani o dopodomani – in cui hanno stabilito dove possiamo davvero intervenire con efficacia.
Tuttavia ritengo che a distanza di un mese dalla conferenza di Parigi, un mese e mezzo dalla conferenza di Annapolis, in un momento in cui tutti i paesi arabi partecipano e altri paesi svolgono per la prima volta un ruolo costruttivo, penso che dobbiamo allinearci a quella direzione. Ora, non sarebbe serio da parte nostra agire da soli. Dobbiamo adoperarci insieme a tutti i partner che sono sul campo. Sosteniamo – e le conclusioni del consiglio sono molto precise al riguardo – la risoluzione della Lega araba di domenica relativa alle frontiere, approvata lunedì. Seguiremo le discussioni di mercoledì e giovedì.
Penso che questa sia azione, ma non so cosa posso fare. È una storia diversa se mi dite
(FR) “procedete nella giusta direzione”. Questo significa che al momento seguiamo la direzione sbagliata.
(Interruzione da parte dell’onorevole Cohn-Bendit: “... direzione ignota ...”)
Signor Presidente, ritengo che se l’onorevole Cohn-Bendit,
(EN) un illustre membro di questo Parlamento, afferma che oggi la strategia dell’Unione europea è “inconnue’, je ne comprends rien”, possa dire qualsiasi cosa desideri. Lei può dire che oggi la strategia dell’Unione europea dopo Annapolis, dopo aver presieduto la conferenza di Parigi, dopo aver sostenuto la Lega araba è “inconnue”, può scegliere altre formule, ma non credo che si possa scegliere l’aggettivo “inconnue”. Può non gradirla –
(Mormorii)
Può non trovarsi d’accordo, ma è molto difficile sostenere che non è conosciuta. Condivido molti dei sentimenti che sono stati espressi con molta eloquenza. E potrei affermare che vi aspettano, ci aspettano, responsabilità nelle prossime ore e nei giorni a venire che dovremo affrontare. Siamo in grado di risolvere la situazione? Non lo so. Non lo sapete neppure voi. Ma potete stare certi che tenteremo, e cercheremo di appoggiare il Primo Ministro Fayyad perché è stato il nostro interlocutore durante tutto questo periodo. È un uomo di buona volontà, motivo per cui non possiamo abbandonarlo. Io non lo abbandonerò.
Pertanto dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione. L’impresa non sarà scevra di frustrazioni, sarà frustrante. Risolveremo tutti i problemi? Non lo so. Ma tenteremo con tutte le nostre energie e con tutta la nostra forza di volontà.
Condivido tutti i sentimenti che sono stati espressi. Non oserei dire con maggiore intensità, ma almeno con la stessa che provate voi, che provano tutti i nostri amici qui, perché siamo dalla stessa parte della barricata, siamo impegnati insieme in questa battaglia da tanto tempo. Pertanto non c’è differenza nel sentimento, e dobbiamo proseguire quello che stiamo facendo.
Penso che dobbiamo muoverci in quella direzione. Vi prometto che io la seguirò. Cercherò di incontrarmi con gli egiziani, i sauditi e tutti gli altri interlocutori – gli americani, i russi, tutti – per vedere se possiamo venirne fuori con una soluzione che non possa essere la stessa. Deve essere qualcosa di collettivamente diverso. Altrimenti, credo che non riusciremo a produrre alcun risultato.
Potreste affermare che in tanti anni non avete visto il benché minimo risultato. Dal 1967 non abbiamo sortito alcun esito collettivamente, in quanto comunità internazionale. È vero. È nostra responsabilità. Ma non penso che possiamo risolvere il problema domani prendendo una decisione adesso che è diversa da quella che abbiamo adottato lunedì in sede di Consiglio.
Il Consiglio europeo di lunedì ci ha offerto una struttura e dobbiamo cercare di attuarla. Sarei ben lieto di tornare, e parlarvi e illustrarvi con molta onestà, come stiamo facendo qui, le conseguenze dei nostri atti.
Vi prego però di non pensare che non proviamo gli stessi sentimenti. Li proviamo, eccome. Conosciamo la situazione laggiù e non possiamo dire di più. Per quanto riguarda il fatto di intervenire, state tranquilli che stiamo facendo tutto ciò che possiamo.
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà durante la tornata di febbraio.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. – Grazie Presidente, troppe volte quest’Aula ha discusso, in lunghi dibattiti, della questione israelo-palestinese. Tuttavia dobbiamo rilevare, oggettivamente, che il ruolo che l’Unione Europea è riuscita a giocare finora nella vicenda è del tutto marginale: tanti proclami, dichiarazioni di intenti, mozioni e documenti ma poi concretamente davvero poca consistenza nelle azioni. Ho visitato la Palestina di recente ed ho registrato un clima di sconforto, delusione e rassegnazione tra la gente, stanca di anni di promesse disattese: la situazione sta precipitando e si rischia seriamente di consegnare i territori palestinesi agli estremisti di Hamas. L’aria che si respira è pesante e sembra quasi ineluttabile il ricorso alla forza. Il tempo sta stavolta davvero scadendo: o l’Europa avrà la forza e la capacità di invertire questa impostazione di fondo o avremo, tutti, la responsabilità di non aver saputo fare abbastanza per evitare il peggio.
Tunne Kelam (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Come ha sottolineato il mio collega, l’onorevole Michael Gahler, l’attuale risoluzione segue la linea delle sei potenze, ossia mantenere la pressione sull’Iran.
A mio avviso, il problema pratico è come il regime iraniano percepirà il documento. In una situazione in cui i grandi della politica internazionale non sono disponibili e in grado di decidere di imporre sanzioni pesanti all’Iran, è altamente improbabile che la risoluzione in oggetto possa cambiare lo stato di cose.
Tuttavia, c’è ancora una possibilità – ancora inesplorata – di esercitare un impatto.
Si tratta di offrire un’opportunità al movimento di opposizione iraniano ponendo termine alla sua eliminazione politica da parte dei governi dell’UE. Il Tribunale di primo grado delle Comunità europee nel dicembre 2006, e i giudici britannici lo scorso novembre, hanno statuito che non sussiste il benché minimo motivo per isolare tale opposizione iraniana. Liberare le mani dell’opposizione iraniana per attività pacifiche conferirà all’UE non solo la forza necessaria per influenzare il regime dei mullah, ma aprirà una terza e più realistica via tra la diplomazia che nutre aspirazioni positive, da un lato, e l’intervento militare di stampo statunitense, dall’altro.
Se intendiamo sinceramente offrire un’opportunità concreta all’Iran, diamogli questa terza opzione.
18. Sistema di difesa antimissile degli Stati Uniti (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca la dichiarazione del Consiglio e della Commissione sul sistema di difesa antimissile negli Stati Uniti.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Il Consiglio non ha affrontato il tema dell’installazione del sistema di difesa antimissile statunitense sul territorio dell’Unione europea. Mi dispiace pertanto non essere in grado di fornire il parere del Consiglio al riguardo, ma vorrei ricordarvi che la decisione in merito a qualsiasi installazione di dispositivi militari o delle forze armate rientra nella sfera di competenze dei singoli Stati membri, ed è per questo motivo che questi ultimi adottano decisioni in materia in modo del tutto indipendente gli uni dagli altri.
Vorrei solo chiarire un punto: finora non si è svolto alcun confronto tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America sull’installazione del sistema antimissile, né nessuna delle parti ha pensato a un’eventuale cooperazione in quest’area. Il Consiglio dell’Unione europea non ha quindi programmato incontri al fine di affrontare l’argomento, né con gli Stati Uniti d’America né con l’Alleanza della NATO. Per quanto ne sappiamo, la difesa antimissile è oggetto della cooperazione all’interno della NATO nonché nel quadro del Consiglio NATO-Federazione russa.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, oggi non mi dilungherò, perché la Commissione ha pochissima competenza in materia.
Tuttavia vorrei far presente che l’interazione tra gli Stati Uniti, la Russia e gli Stati membri dell’UE nelle aree della sicurezza e della difesa ha vaste implicazioni per questi importanti partenariati. Questo è chiaro. Pertanto, sebbene, come ho detto, non abbiamo una reale competenza o responsabilità in questo ambito, auspichiamo che si possa pervenire a una soluzione equilibrata che alla fine risulti soddisfacente per tutti.
Abbiamo accolto con favore, sin dall’inizio, i colloqui di alto livello avviati a Mosca lo scorso ottobre, cui sono seguiti alcuni incontri di esperti. Nel dialogo diretto instauratosi di recente tra Mosca e Varsavia ravvisiamo inoltre l’opportunità di chiarire le rispettive posizioni riguardo alla sovranità nazionale.
In conclusione, a prescindere dalla sede di discussione di questi temi, sia essa la NATO o l’OSCE, ritengo che sarebbe importante che le decisioni che attengono al futuro dell’architettura della sicurezza europea coinvolgessero anche l’Unione europea.
Karl von Wogau, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando in Europa parliamo di difesa antimissile, la discussione di norma è incentrata sulle previste installazioni degli Stati Uniti in Polonia e nella Repubblica ceca. Molte persone non sono consapevoli del fatto che queste siano semplicemente estensioni di un sistema in atto studiato per proteggere gli Stati Uniti d’America. Qui nel Parlamento europeo dobbiamo tuttavia concentrare l’attenzione soprattutto sulle implicazioni che comporta per la sicurezza del continente europeo. Come sappiamo gli Stati Uniti hanno già speso oltre 100 miliardi di dollari per il sistema di difesa antimissile e investono ogni anno altri dieci miliardi di dollari per rafforzarne lo sviluppo. Eppure gli Stati Uniti sono ben più distanti da potenziali fonti di pericolo di quanto lo siamo noi in Europa. L’attuale situazione si potrebbe paragonare a quella del Lussemburgo che investe per costruire dighe mentre i Paesi Bassi non ritengono necessario seguirne l’esempio.
Dobbiamo chiederci se una minaccia esiste davvero e, in caso di risposta affermativa, se dobbiamo prepararci a reagire. Il dibattito che si è appena svolto con Javier Solana dimostra che la situazione in Iran è ancora motivo di preoccupazione. Siamo altresì consapevoli della minaccia che potrebbe scatenarsi dall’instabile situazione del Pakistan.
In seno alla sottocommissione sulla sicurezza e la difesa abbiamo avviato un profondo dialogo con rappresentanti degli Stati Uniti, tra cui il generale Henry Obering, direttore dell’agenzia di difesa missilistica. Da questi colloqui è emerso con chiarezza che il sistema statunitense sarebbe in grado, in teoria, di proteggere parte dell’Europa, ma non l’intero continente. In particolare, non riuscirebbe a proteggere Cipro, Malta, zone della Grecia, Romania, Bulgaria o Italia meridionale. Da una prospettiva europea, tuttavia, non possiamo tollerare una divisione del nostro continente in aree con livelli diversi di sicurezza. Ne consegue che dobbiamo definire congiuntamente i nostri interessi comuni relativi alla sicurezza europea nell’ambito di questo contesto.
Questa valutazione ci ricorda che al momento non esiste un forum in cui si possa affrontare questo tema e si possano definire questi interessi comuni di sicurezza europea. È senza dubbio un altro settore in cui è essenziale uno stretto coordinamento con la Russia.
Attendiamo che il vertice della NATO che si terrà ad aprile a Bucarest presenti una serie di proposte per un sistema comune, e auspichiamo che tali proposte tengano in debito conto i nostri specifici interessi sul versante della sicurezza europea.
Jan Marinus Wiersma, a nome del gruppo PSE. – (NL) Signor Presidente, non è la prima volta che affrontiamo questo argomento, e non è neppure la prima volta che riceviamo le medesime risposte dal Consiglio, che dice di non avere competenza in questo ambito, come del resto la Commissione, sebbene la signora Commissario – con la quale devo congratularmi per questo – abbia affermato alla fine che occorre organizzare le cose in modo diverso nell’Unione europea.
Se accade qualcosa che riguarda la sicurezza di tutti gli europei, e che ricade nel quadro della strategia di sicurezza descrittaci da Javier Solana, dobbiamo poterci confrontare in merito. Il Parlamento, per fortuna, è in grado di discuterne. È una questione che preoccupa sia i cittadini che gli Stati membri dell’Unione europea, pertanto riteniamo che sarebbe del tutto appropriato che figurasse all’ordine del giorno.
Non intendo tornare su tutte le obiezioni che il nostro gruppo ha già sollevato nei confronti di questo piano che hanno tirato fuori gli americani. Ciò che pensiamo sia sbagliato è che i negoziati bilaterali si stanno svolgendo con due Stati membri della NATO che, incidentalmente o meno, sono anche Stati membri dell’Unione europea, il che incide sulle relazioni con la Russia, tra cui le relazioni dell’Unione europea con tale paese. È altr’sì sbagliato che il sistema venga sviluppato unilateralmente, benché nell’ambito della NATO, e che non si spieghi in modo chiaro e preciso il motivo per cui il sistema sia necessario, se funzionerà e se si sta rivelando troppo oneroso.
Al momento è in corso un interessante dibattito in Polonia, dove il nuovo governo ha detto di poter essere disposto a cooperare riguardo al sistema, ma questo perché è ciò che vogliono gli americani e perché è in gioco la sicurezza degli Stati Uniti anziché quella della Polonia. In fin dei conti, per la sicurezza del paese il sistema rappresenta in realtà più una minaccia che un miglioramento. È quindi il motivo per cui i polacchi chiedono anche un maggiore contributo per sviluppare le difese aree del loro esercito, per esempio, instaurando una specie di corsa agli armamenti.
È quindi interessante che in Polonia sia stato riavviato il dibattito sull’utilità o la necessità del sistema, e che il nuovo primo ministro polacco o almeno il ministro degli Esteri polacco abbia avuto il coraggio di parlare con la Russia al riguardo. Sosteniamo incondizionatamente questa scelta.
La situazione si presenta alquanto in termini diversi nella Repubblica ceca, dove abbiamo l’impressione che il sistema e il relativo contributo ceco siano stati approvati contro il volere del popolo, dal momento che ritengo che il 70% dei cechi non sia a favore dello sviluppo del sistema. Temo pertanto che quest’anno siano previste alcune mosse intese a far adottare decisioni, e a concludere accordi con la Polonia, prima che negli Stati Uniti si insedi, speriamo, una nuova amministrazione. Sappiamo che i democratici sono piuttosto scettici riguardo al sistema aereo missilistico.
In ogni caso, ci auguriamo che il Consiglio affronti questo tema ed esortiamo a discuterne con molta serietà. Se viene adottato, è destinato a ripercuotersi sulle nostre già difficili relazioni con la Russia. Il pubblico è preoccupato. Quello cui ci troviamo di fronte è una nuova corsa agli armamenti, e ci sono comunque molti altri aspetti su cui, secondo noi, il Parlamento europeo deve esprimersi. Abbiamo agito così in passato e dovremmo continuare a farlo.
Penso che il nostro ruolo principale sia verificare se è necessario, se è l’inizio di una nuova corsa agli armamenti, se davvero rafforzerà la sicurezza e se contribuirà effettivamente a contrastare gli “Stati canaglia”. Non sono del tutto persuaso che gli iraniani avranno la capacità di lanciare i loro missili con la rapidità di cui li reputano in grado gli americani. È un altro elemento sul quale ci sono state fornite informazioni contrastanti. Mi auguro che potremo proseguire la discussione in merito in questa sede nonché controllare che cosa avviene nella Repubblica ceca e in Polonia. Il mio gruppo rimane contrario al sistema.
Anneli Jäätteenmäki, a nome del gruppo ALDE. – (FI) Signor Presidente, la peggiore minaccia che incombe sull’umanità non è la diffusione di armi nucleari in altri paesi. Il problema reale è l’esistenza delle armi nucleari in generale. L’unica soluzione definitiva ed etica che possiamo adottare nel nostro approccio ai sistemi di difesa antimissile e ad altri sistemi di armi nucleari è non usarli del tutto. Anche l’Unione europea deve impegnarsi con nuovi accordi intesi al controllo degli armamenti ed essere proattiva nell’attuazione del processo di disarmo.
Il sistema di difesa antimissile dell’America aumenterebbe il rischio di una guerra nucleare. Lo scudo nucleare previsto per la Polonia e la Repubblica ceca si basa sull’assunto che un conflitto nucleare si possa vincere. Il tipo di difesa antimissile attuato dagli Stati Uniti è totalmente diverso dalla sua precedente politica deterrente, il cui obiettivo consisteva nell’evitare che un paese scatenasse la sua vendetta su un altro. Lo storico effetto deterrente degli armamenti nucleari è quindi fuori discussione. Scompare quindi l’equilibrio della paura. È il motivo per cui un sistema americano antimissile in Polonia o nella Repubblica ceca è un elemento cruciale di preoccupazione per l’intera Europa e per tutti i suoi Stati membri.
Date queste premesse, è importante che l’UE si confronti sull’argomento e si faccia portavoce delle preoccupazioni dei suoi cittadini. In questa sede dovremmo davvero considerare se il sistema rafforzerà la sicurezza in Europa e la difesa del nostro continente o se il risultato sarà opposto, con il nuovo sistema che in realtà indebolisce la sicurezza europea.
Ģirts Valdis Kristovskis, a nome del gruppo UEN. – (LV) Onorevoli colleghi, talvolta la retorica del Presidente Putin ci ricorda che la Russia ha la possibilità di puntare i suoi missili sull’Europa. Questo dimostra che esiste un certo equilibrio strategico tra gli Stati Uniti e la Russia. Un equilibrio che tuttavia manca tra Europa e Russia e che non può neppure essere garantito dagli “ombrelli nucleari” di Francia e Gran Bretagna. Ritengo pertanto che sia corretto chiedere in quale modo si possa garantire la difesa missilistica congiunta europea anziché quella statunitense. Stiamo discutendo di questi argomenti solo perché gli Stati Uniti si preoccupano della loro difesa? La signora Commissario Ferrero-Waldner, i membri della Commissione e l’Unione europea non sono preoccupati da questo genere di difesa. Non ritenete che sia solo logico per gli Stati Uniti, la NATO e anche per determinati Stati membri decidere di comune accordo al riguardo? Credo che l’Unione europea debba formulare una posizione inequivocabile da attuare poi di concerto con la NATO e gli Stati Uniti. Altrimenti, non perdiamo tempo qui, perché tutto verrà deciso dalla NATO.
Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signor Ministro, signora Commissario, ammetto che questa sia indubbiamente la nuova politica europea. Mi ricorda mio figlio quando aveva quattro anni; quando gli si chiedeva “Dove sei’”, metteva le mani sugli occhi e diceva “Non sono qui”. È quello che la Commissione sta dicendo a noi, ossia “Non siamo qui. Questo non c’entra nulla con noi o con l’Europa”.
(DE) Mi spiace, ma è una totale assurdità. Dobbiamo decidere ora se vogliamo una politica estera e di sicurezza europea. Abbiamo persino un nuovo trattato grazie al quale siamo dotati del nostro ministro degli Esteri con responsabilità di una politica estera e di sicurezza comune, e una volta che disporremo del ministro degli Esteri comuni dovremo senz’altro affrontare le questioni a livello europeo, non come singoli governi che discutono della sicurezza dei rispettivi paesi con altri singoli governi, o come l’onorevole von Wogau, che sostiene che l’Europa è minacciata dall’Iran o dio sa da quali altri Stati. Non sono di questa opinione, e dobbiamo comunque dibattere le questioni a livello europeo. Non possiamo semplicemente affermare che gli americani hanno escogitato qualche strampalato sistema, che George Bush non sarà più in carica tra sei mesi, così forse lasceranno perdere la loro idea astrusa, ma noi europei non abbiamo nulla a che sparire con tutto ciò.
Siamo non poco scettici riguardo a questa strategia di difesa antimissile, ma siamo profondamente convinti che si tratti di qualcosa che noi europei siamo tenuti a discutere. Non è una decisione dei membri polacchi o cechi o dei deputati di una particolare nazionalità – romeni e bulgari domani, siciliani il giorno dopo o altri ancora. No, abbiamo un interesse comune nel prendere decisioni riguardo alla nostra sicurezza. È quello che essenzialmente riporta il Trattato che avete ratificato e che intendiamo ratificare, nelle disposizioni relative a una politica estera e di sicurezza comune. Di conseguenza, questo argomento deve essere un argomento dell’Unione europea. La decisione non deve essere presa a livello bilaterale tra la Polonia e gli Stati Uniti e tra la Repubblica ceca e gli Stati Uniti. È una decisione europea. È un problema europeo, ed è nostro dovere trovare una soluzione europea.
Vladimír Remek, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli colleghi, sono lieto che la questione dell’installazione degli strumenti americani di difesa antimissile nella Repubblica ceca e in Polonia, ossia su territorio dell’Unione europea, venga affrontata dal Parlamento europeo, che è l’istituzione più democratica dal momento che è eletta direttamente dai cittadini dell’Unione, che il presente argomento tocca direttamente.
Date queste premesse, desidero sottolineare che sono sostenuto dai miei colleghi del gruppo GUE/NGL e ho anche maturato un’esperienza personale quale esperto militare, ma l’aspetto più importante è che sono appoggiato dalla maggioranza dei cittadini del mio paese, dove il 70% della popolazione non è favore dell’installazione del sistema radar americano.
La difesa antimissile statunitense ci viene presentata come uno scudo di difesa, e allora perché alla Repubblica ceca, per esempio, non è stato permesso vendere alla Cina il sistema di rilevamento radar passivo Tamara senza i componenti militari attivi? La giustificazione addotta è che la Cina avrebbe acquisito un vantaggio sproporzionato nelle sue relazioni con altri paesi. Non è una manipolazione delle parole? Il reale motivo dell’installazione del radar nella Repubblica ceca non è anche quello di avvantaggiarsi? Persino un profano può comprendere che cosa avevano capito i guerrieri ben prima dell’avvento di Annibale: uno scudo nella mano di un soldato è un mezzo che gli permette di usare meglio e più efficacemente la spada.
La discussione riguarda il rafforzamento della sicurezza ma il vero nocciolo della questione non è sui maggiori rischi di sicurezza? È logico che diventeremo immantinente l’obiettivo numero uno dei potenziali avversari. Ci viene detto che dovremmo obbligare gli USA al fine di dimostrare che siamo fedeli alleati. Il Canada non lo ha fatto: questo ne fa un cattivo alleato degli Stati Uniti? Non è forse che il Canada ha imparato la lezione dalla motivazione strutturata ad hoc per giustificare l’intervento militare in Iraq?
Ci sorprende la reazione della Russia. Tuttavia, considerato che gli USA si sono ritirati unilateralmente dal Trattato ABM e agiscono nel loro interesse, questa reazione non è illogica. Anni fa erano contenti gli Stati Uniti di essere così vicini ai missili sovietici installati a Cuba?
È fuori discussione che gli USA siano una superpotenza, le cui opinioni, proposte e richieste non possono essere spazzate via dal tavolo come se niente fosse. Tuttavia, se siamo davvero preoccupati per una maggiore sicurezza, soprattutto in Europa, il cammino per realizzare questo obiettivo segue un percorso più complicato attraverso negoziati e accordi, e non azioni unilaterali. È una responsabilità non solo dei protagonisti principali, gli Stati Uniti e la Russia, ma anche dell’Unione europea.
Jana Hybášková (PPE-DE). – (CS) All’inizio del XXI secolo si assiste a un’enorme proliferazione di missili a medio e medio-lungo raggio. Purtroppo, in assenza di un regime di sicurezza internazionale l’unica via per fermare tale processo è una difesa efficace.
La difesa efficace è il principale diritto degli Stati membri dell’UE. I negoziati SOFA, in corso al momento a Praga, sono un diritto legittimo della Repubblica ceca. Poiché il radar posizionato su territorio della Repubblica ceca garantirà la sicurezza di molti paesi europei e poiché sarà la prima opportunità per la Repubblica ceca, un paese che è stato occupato per molti anni, di contribuire attivamente alla sicurezza europea, il governo ceco deve agire con estrema responsabilità nei suoi interventi.
Il sistema di difesa antimissile deve essere affidabile e difensivo e deve rispettare l’indivisibilità della sicurezza. Accogliamo pertanto con favore i dettagli relativi al Vertice di Bucarest, nel cui ambito dovrebbe essere adottata la decisione di costruire un sistema LTBMD complementare. Orientare i negoziati verso la NATO garantisce l’applicazione dell’indivisibilità. Obiettivo dei negoziati tra americani, polacchi, cechi e russi è spiegare con chiarezza che si tratta di un sistema puramente difensivo.
La mia riflessione conclusiva riguarda l’efficacia. Tenendo presente le informazioni di cui disponiamo sui test condotti in novembre dall’Iran, dobbiamo comprendere che abbiamo una responsabilità comune. Non dobbiamo minare l’efficacia della nostra difesa comune con litigi riguardo alla necessità o meno di difenderci.
Libor Rouček (PSE). – (CS) Desidero utilizzare questo intervento di un minuto per esortare il Consiglio dell’Unione europea e l’Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza comune ad affrontare a livello europeo la questione del sistema di difesa antimissile statunitense.
L’installazione del sistema americano di difesa antimissile è una argomento di portata paneuropea. Non è un tema che riguarda solo i cechi, i polacchi o gli americani. Sono in gioco tutte le relazioni, ossia all’interno dell’Unione europea, tra UE e NATO, tra UE e USA nonché tra UE e Russia. Vorrei quindi chiedere al Consiglio di inserire questa questione nella sua agenda.
Per quanto riguarda la Repubblica ceca, vorrei far presente un fatto: il 70% dei cittadini della Repubblica ceca si è espresso contro il sistema in oggetto. Tre quarti dei cittadini della Repubblica ceca volevano che si indicesse un referendum al riguardo. Il governo ceco non comunica con il pubblico; il governo ceco non informa i deputati del parlamento nazionale, il governo ceco fa tutto dietro le spalle del popolo ceco. È importante che si sappia e che si evidenzi con forza in seno al Consiglio dell’Unione europea.
Janusz Onyszkiewicz (ALDE). – (PL) Signor Presidente, devo innanzi tutto rammentare a tutti che lo scudo di difesa missilistica non è una questione che riguarda solo la Polonia e la Repubblica ceca, ma anche il Regno Unito e la Danimarca, dal momento che nel sistema si devono anche integrare strutture presenti sui territori di entrambi i paesi. Pertanto, non parliamo solo di Polonia o della Repubblica ceca.
Il secondo punto è che lo scudo di difesa missilistica, e le installazioni che ne fanno parte, non fungeranno da magnete per i terroristi. I terroristi attaccano obiettivi soft e non basi militari adeguatamente difese.
Infine, una terza considerazione. L’Unione europea non è un alleato militare. Forse è un peccato che non lo sia, ma questa è la realtà dei fatti, e il nuovo Trattato, il Trattato di Lisbona, non cambia assolutamente nulla in merito a questo aspetto. Date queste premesse, la difesa è un tema di responsabilità della NATO o di responsabilità dei paesi che hanno deciso di non aderire a un’alleanza e intendono operare scelte diverse concernenti la difesa. Ovviamente, in sede NATO si deve discutere in merito a come questo sistema dovrebbe inserirsi in altri sistemi che la NATO vuole sviluppare. È assolutamente essenziale. Non dimentichiamo che 21 paesi dell’Unione europea sono anche membri della NATO.
Milan Horáček (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, uno dei magistrali romanzi antimilitaristi è l’opera di Jaroslav Hašek sul buon soldato Schweik. La posizione adottata dalla Commissione e dal Consiglio offusca tuttavia il nostro personaggio; surclassa persino Franz Kafka, e batte di gran lunga qualsiasi ostrica. Non possiamo perseguire una politica da testa nella sabbia. Dobbiamo discutere tale questione tra noi, in sede di parlamento europeo, ma dobbiamo anche affrontarla, ovviamente, con i membri della NATO. Dobbiamo confrontarci con i cechi, i polacchi e i russi. È un processo fondamentale che dobbiamo condurre su scala paneuropea.
Tobias Pflüger (GUE/NGL). – (DE) Signor Presidente, la funzione tecnica del previsto sistema antimissile è eliminare una potenziale capacità di risposta del nemico, cosa di cui non sussiste il benché minimo dubbio. In altre parole, si tratta anche di un sistema di attacco. È un aspetto di cui si deve tener conto nella discussione. A prescindere che il sistema missilistico sia introdotto dagli Stati Uniti, dalla NATO di concerto con gli Stati Uniti o da qualsiasi altra combinazione, rimane un programma di armamento. Il punto saliente per me è che l’Unione europea non è in grado di adottare una posizione comune in materia. In questo ambito la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea è esposta al ridicolo. L’onorevole Cohn-Bendit può citare il Trattato di riforma fino alle calende greche, ma fintanto che l’attuale situazione persiste e non si prende alcuna posizione comune, l’Unione europea non farà altro che rendersi ridicola.
Quello che dobbiamo fare è affermare con chiarezza che non vogliamo alcun sistema antimissile. Il fatto è che una netta maggioranza di questo Emiciclo dice “no” al sistema. Nei paesi d’Europa, tra cui la Repubblica ceca, l’opinione pubblica è fermamente contraria al sistema antimissile, e naturalmente il governo polacco ha senza dubbio ridefinito la propria posizione rispetto a quella assunta in precedenza. Per questi motivi mi farebbe piacere che quest’Assemblea adottasse una risoluzione in cui rifiuta recisamente questo sistema missilistico.
Jan Zahradil (PPE-DE). – (CS) Desidero ringraziare il Consiglio, rappresentato dalla Presidenza slovena, e la Commissione, rappresentata dalla signora Commissario Ferrero-Waldner, per essersi allineati, in modo abbastanza rigoroso, al tono dei Trattati europei, secondo i quali, le questioni in parola ricadono del tutto sotto la responsabilità degli Stati nazione. Faccio presente che persino il nuovo Trattato di Lisbona dichiara esplicitamente che i temi di sicurezza nazionale restano di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro.
Sono persuaso che la sicurezza europea sia indissolubilmente legata alla sicurezza dell’intera regione euro-atlantica e che in una situazione in cui l’Unione europea non sia in grado di proteggere i suoi membri da nuovi rischi, siano essi di natura finanziaria o tecnologica, questo legame assuma un’importanza vitale.
Per quanto attiene all’opinione pubblica, che in quest’Aula è stata menzionata più volte, posso solo aggiungere che coloro che si riferiscono a sondaggi d’opinione e chiedono un referendum sono spesso gli stessi soggetti che si sono opposti a una consultazione referendaria su un altro importante argomento, ovvero il nuovo Trattato europeo.
Oldřich Vlasák (PPE-DE). – (CS) Onorevoli colleghi, vorrei riassumere tutti gli argomenti trattati.
Essenzialmente, il tema in oggetto non attiene solo al potenziamento della sicurezza della Repubblica ceca e della Polonia, ma di fatto riguarda il rafforzamento della sicurezza dell’intera Europa. I negoziati incentrati sull’installazione di tale sistema rientrano tra le responsabilità degli Stati nazione in quanto tali. Esistono già sistemi analoghi in altri paesi, in Stati membri dell’Unione europea.
Gli oratori di oggi hanno sottolineato con forza che su di noi incombe un reale pericolo. Dobbiamo tenere presente che quando si tratta della sicurezza, le decisioni devono essere adottate con molta rapidità; possono anche contenere un elemento di prevenzione. Solo se siamo preparati e forti possiamo obbligare gli aggressori a negoziare e ad aderire a requisiti di sicurezza.
Infine, respingo nettamente l’affermazione secondo cui il governo ceco non ha comunicato con i suoi cittadini riguardo al sistema, perché è in corso da vari mesi una campagna informativa.
Miloslav Ransdorf (GUE/NGL). – (CS) Vorrei formulare quattro riflessioni in merito al tema in parola.
La prima riguarda l’Atto fondatore concluso tra la NATO e la Federazione russa nel maggio 1997. In questo documento entrambe le parti si impegnano congiuntamente a eliminare l’uso della forza, e anche la minaccia dell’uso della forza, nel continente europeo. Se l’Atto è valido, allora di fatto esclude l’eventualità di una situazione come quella che si delinea nel nostro continente e che stiamo discutendo in quest’Aula.
La seconda riflessione riguarda il processo di Helsinki. I firmatari degli accordi, della dichiarazione, si sono impegnati in quell’occasione a ridurre in Europa la presenza di sistemi militari. Questa azione dovrebbe comportare un’inversione di tendenza. Secondo me, la riduzione dei sistemi militari presenti sul territorio europeo dovrebbe proseguire.
La terza riflessione concerne il numero di basi. Le basi americane sono presenti in 18 paesi europei. Se comprendiamo i nuovi, il totale sale a 20. questa situazione confermerebbe pertanto le parole di Zbigniew Brzeziński secondo cui l’Unione europea è de facto un protettorato americano.
La quarta riflessione attiene allo scopo dell’intero sistema. Ritengo sia sufficientemente chiaro: per garantire la copertura e il controllo dei servizi d’informazione su tutto il continente europeo.
Urszula Gacek (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, il primo Ministro Tusk è sensibile agli argomenti che riguardano i suoi vicini europei. L’eventuale partecipazione della Polonia a questo progetto americano non deve diventare motivo di fraintendimenti all’interno dell’Unione stessa. Il nuovo governo polacco vanta buone relazioni con gli Stati Uniti ma sa che la Polonia è soprattutto un membro della famiglia europea.
La Polonia sta anche tenendo conto delle riserve da parte della Russia e reagisce con serenità nonostante i toni aspri adottati da alcuni rappresentanti delle forze armate russe. Oggi, in un momento in cui l’Unione europea non dispone di una politica estera e di sicurezza comune, la decisione finale della Polonia riguardo all’installazione sul proprio territorio di elementi dello scudo di difesa missilistica sarà una decisione sovrana. La Polonia apprezza i punti di vista divergenti e non sopporta le critiche.
Onorevoli colleghi, vi chiediamo di rispettare la nostra posizione, che deve prima di ogni altra cosa garantire la sicurezza dei nostri cittadini.
(Applausi)
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Desidero ringraziare l’onorevole Cohn-Bendit per averci ricordato che ieri la Slovenia è stato il secondo Stato membro a ratificare il nuovo Trattato di Lisbona, che, tuttavia, non è ancora in vigore. Come sappiamo, occorre la ratifica di altri 24 paesi e la Presidenza slovena auspica che tale processo avvenga a tempo debito che il nuovo Trattato possa entrare in vigore entro la scadenza fissata.
Vorrei sottolineare che non comporterà grandi mutamenti o elementi nuovi in termini di strutture di base su cui poggiano le politiche europee in materia di sicureaa e di difesa. In particolare, non cambierà il fatto che questa politica è fondata sulla competenza nazionale che gli Stati membri mantengono nel settore della sicurezza e della difesa nazionali.
L’Unione europea dispone già di una politica di difesa e sicurezza, che fornisce anche un quadro per lo sviluppo di discussioni in sede di Consiglio. In alternativa, tali confronti avverranno nell’ambito del Consiglio, ma questo non dipenderà dalla Presidenza quanto dalla volontà e dall’interesse degli Stati membri. Vi garantisco che il Consiglio sarà informato nel dettaglio in merito alla discussione di oggi e ai pareri espressi.
Presidente. − La discussione è chiusa.
19. Completamento del mercato interno dei servizi postali della Comunità (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura della commissione per i trasporti e il turismo sul completamento del mercato dei servizi postali nella Comunità [13593/6/2007 – C6-0410/2007 – 2006/0196(COD)] (Relatore: Markus Ferber) (A6-0505/2007).
Markus Ferber, relatore. − (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo giunti al termine di un lungo dibattito che si è prolungato per oltre quattro legislature del Parlamento europeo, iniziato nel 1992 con la pubblicazione da parte della Commissione europea del suo Libro bianco sullo sviluppo dei servizi postali, cui è seguita l’adozione della prima direttiva postale del 1997 e dalla sua revisione nel 2002; ora, all’inizio del 2008, dopo oltre 15 anni, mi auguro che siamo in procinto di adottare congiuntamente un insieme razionale di norme che ci consentiranno di conciliare gli interessi dei consumatori, gli interessi delle imprese che fino a oggi hanno goduto di un monopolio nel prestare i servizi postali, gli interessi dei concorrenti che auspicano entrare in questo mercato vantaggioso e gli interessi di coloro che sono impiegati nel settore postale. Qui, in quanto Parlamento europeo, ci siamo impegnati a fondo per conseguire questi risultati negli scorsi mesi.
Mi permetto di far presente, signor Presidente, che l’orologio corre, perché non ho ancora parlato per tre minuti e mezzo!
Ritengo che qui, nel Parlamento europeo, siamo riusciti a raggiungere un compromesso accettabile tra tutti questi interessi. Desidero ringraziare tutti coloro che vi hanno contribuito, i miei colleghi del Parlamento europeo e in particolare l’onorevole Brian Simpson, cui mi lega un’amicizia di 14 anni formatasi nell’ambito dell’esperienza condivisa nel settore dei servizi postali. Ci siamo occupati di questo importante argomento dal 1994. Desidero ringraziare la Commissione, che ha svolto un ruolo estremamente costruttivo, sia riguardo alle proposte presentate che in sede di tavolo negoziale.
A questo punto, temo di dover rivolgere un particolare ringraziamento non all’attuale Presidenza slovena, bensì alla Presidenza portoghese del Consiglio, che è riuscita a formulare una posizione comune il 1° ottobre dello scorso anno.
Sono particolarmente orgoglioso, e nel Parlamento europeo possiamo esserlo tutti, del fatto che il Consiglio, nella sua posizione comune, abbia accolto il risultato delle delibere definite tra i gruppi e ne abbia incorporato oltre il 95% quale base della sua posizione comune. Si tratta di un grande successo per quest’Assemblea e dimostra che essa può risolvere temi complessi quali la deregolamentazione del mercato dei servizi postali, ulteriore elemento a giustificazione delle competenze aggiuntive conferite a questo Emiciclo dal Trattato di riforma.
Di conseguenza, nelle discussioni in sede di commissione che hanno preceduto la seconda lettura, abbiamo tentato di individuare aree della posizione comune che potremmo migliorare. Non ci siamo resi la vita facile, perché ogni compromesso inevitabilmente ha da una parte o dall’altra un punto che potrebbe essere riveduto e corretto in meglio. A dicembre, tuttavia, in seno alla commissione per i trasporti e il turismo, con un enorme consenso, abbiamo stabilito che tutti i punti cui il Parlamento aveva attribuito importanza erano stati effettivamente presi in considerazione dal Consiglio e che non potevamo migliorare nulla. Qualsiasi emendamento non sarebbe stato altro che un passo all’indietro.
Questo è il motivo per cui il vostro relatore può affermare che la raccomandazione da parte di una grande maggioranza della commissione competente è di adottare la posizione comune senza emendamenti, e io sarei ben lieto se ciò avvenisse domani. Avremmo anche costituito un esempio, portando a termine questo complesso tema della liberalizzazione dei servizi postali, oggetto di discussione in quest’Aula da 15 anni, senza essere ricorsi una sola volta alla procedura di conciliazione. Desidero solo ricordare all’Aula che siamo sempre riusciti a pervenire a un accordo in fase di seconda lettura. Ripetere questa situazione sarebbe la ciliegina sulla torta al termine di un lungo processo legislativo. Vi chiedo pertanto di dare il vostro sostegno e ringrazio di nuovo tutti coloro che hanno cooperato in modo molto costruttivo a questa attività.
Andrej Vizjak, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Sono molto onorato di essere oggi qui presente alla vostra sessione plenaria.
La proposta di direttiva della Commissione relativa al pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari è stata una delle proposte legislative più impegnative per i colegislatori degli ultimi 15 mesi. Quando la Commissione l’ha presentata nell’ottobre 2006, tutti si attendevano divergenze infinite e vivaci discussioni all’interno delle nostre istituzioni sul futuro di uno dei più vecchi e più tradizionali servizi pubblici in Europa.
Affrontare questo argomento è stato un compito estremamente arduo nel 2007 per la Presidenza tedesca e, soprattutto, per quella portoghese. Sin dall’inizio, nei dibattiti, le nostre istituzioni hanno convenuto di comune accordo di evitare qualsiasi populismo e demagogia e di concentrarsi sui parametri essenziali per la questione trattata, tra cui gli aspetti sociali degli impiegati postali e il finanziamento permanente di un servizio universale.
Come ben sappiamo, sul settore postale incombe la minaccia di un cambiamento strutturale ed esso deve adeguarsi alle nuove circostanze economiche e sociali. La fase finale della riforma totale del mercato interno dei servizi postali offre un’opportunità unica di crescita a tutti i contraenti coinvolti. In fin dei conti, il pubblico si aspetta che preserviamo e miglioriamo la qualità e l’efficienza dei servizi postali a vantaggio degli utenti, indipendentemente da dove questi vivono.
Fino a oggi l’apertura del mercato dei servizi postali si è rivelata una storia di successo. Sul mercato sono comparsi nuovi operatori e si sono delineate altre opportunità sfruttate non solo da questi ultimi, ma anche dagli agenti consolidati. Sono stati sviluppati nuovi servizi per gli utenti. È lampante che la totale liberalizzazione dei servizi postali è una condizione necessaria ai fini della rivitalizzazione del comparto e per garantirne la coesistenza con nuove forme di concorrenza e servizi alternativi.
L’approccio delle nostre due istituzioni è un’ulteriore prova dei principi fondamentali quali la protezione di servizi di qualità elevata, affidabili e abbordabili per tutti gli utenti e il rifiuto degli ostacoli discriminatori che si frappongono all’ingresso sul mercato di nuovi agenti. Al contempo, il Parlamento europeo e il Consiglio accettano che alcuni mercati dei servizi postali all’interno dell’Unione europea operino a condizioni fondamentalmente diverse. Pertanto, quando ha formulato la sua posizione comune, il Consiglio ha deciso di fissare la fine del 2010 quale ultima scadenza comune per la liberalizzazione. Tuttavia, ad alcuni Stati membri è stato concesso un periodo di transizione fino a tutto il 2012 per attuare le nuove norme. In linea con il principio basilare di tutte le precedenti direttive sui servizi postali, il principio di sussidiarietà permette agli Stati membri di adeguare le regole comuni alle particolari circostanze nazionali e assicura un’autorità di regolamentazione indipendente preposta a vigilare sul mercato dei servizi postali.
Onorevoli deputati, in conclusione di questo breve intervento, desidero congratularmi con l’onorevole Ferber e i relatori di tutti i gruppi politici coinvolti, ossia i relatori ombra, per i contributi apportati alle nostre proficue e costruttive discussioni. Anche se non concordiamo sempre in toto su determinate loro osservazioni, mi permetto di ricordare che nel novembre 2007 il Consiglio ha inserito una serie di modifiche appropriate nella sua posizione comune, a dimostrazione della sua risolutezza, apertura e flessibilità costruttiva.
Desidero evidenziare in particolare l’ottimo lavoro della Commissione nell’intero processo decisionale comune e l’impegno dimostrato nell’offrire un’assistenza e una guida efficaci agli Stati membri in tutte le questioni afferenti l’attuazione della nuova direttiva. Onorevoli colleghi, domani vi perverrà la decisione finale nonché il nostro accordo principale sulle diposizioni della posizione comune del Consiglio e la raccomandazione della commissione per i trasporti e il turismo del 9 dicembre dello scorso anno. Siamo sicuri di aver trovato il giusto equilibrio tra i vari obiettivi e di aver affrontato in modo aperto e sensibile le sfide politiche senza compromettere la sicurezza giuridica dei contraenti e dei consumatori dei servizi postali.
Onorevoli deputati, vi ringrazio ancora una volta per la cooperazione e per il testo, che sono convinto verrà adottato, e grazie per la vostra attenzione.
Leonard Orban, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, domani il Parlamento europeo dovrebbe prendere una decisione storica che segnerà la fine di un processo avviato oltre 15 anni fa. La terza direttiva postale porta a degno compimento il graduale e ben elaborato processo di totale apertura del mercato.
Quella che oggi sembra una soluzione chiara e ovvia era ben lungi dall’essere scevra di controversie quando il dibattito è iniziato. Il 18 ottobre 2006 la Commissione ha presentato le sue proposte, cui sono seguiti intensi e costruttivi negoziati in seno alle istituzioni. È stato infine il Parlamento europeo che, grazie alla sua relazione in prima lettura dell’11 luglio 2007, ha spianato la strada al risultato di compromesso dinanzi a noi oggi.
Molti di quest’Assemblea hanno contribuito attivamente a questo importante risultato e – a nome del mio collega, il Commissario McCreevy – desidero ringraziare in modo particolare il relatore, l’onorevole Ferber, e i suoi relatori ombra di altri gruppi politici che hanno elaborato il compromesso in parola. Ringrazio altresì le Presidenze finlandese, tedesca, portoghese e, ultima ma non meno importante, slovena.
Alcune osservazioni sulla sostanza: il testo che ora viene presentato è equilibrato. Tiene conto degli interessi dei vari gruppi politici e degli Stati membri. La proposta della Commissione aveva previsto una scadenza precedente per l’apertura del mercato, confermando la data obiettivo fissata dalla direttiva postale esistente. Due anni di proroga sono un periodo considerevole. Offrirà a tutti gli operatori il tempo necessario per completare i loro preparativi. Non dovrebbe tuttavia far sì che si allenti la guardia.
Quello che è importante per il settore postale, per i suoi clienti, i suoi operatori e i suoi dipendenti è che ci sia una data finale e incondizionata per la totale apertura del mercato. La posizione comune offre condizioni eque e chiede di abbattere le barriere all’accesso al mercato.
Gli emendamenti presentati per la votazione di domani sono in numero contenuto. La maggior parte di essi era già stata respinta in dicembre dalla commissione per i trasporti e il turismo. Come ha osservato all’epoca il mio collega, il Commissario McCreevy, questi emendamenti non apportano alcun valore aggiunto per il mercato interno, gli utenti postali o i postini. C’è uno slancio per portare a termine il processo della riforma postale.
In sintesi, il testo dinanzi a voi è, tutto considerato, valido nella sostanza, e se vi soffermate sulle sue principali disposizioni converrete con me che è in linea con il nostro obiettivo: reale apertura del mercato non in quanto fine a se stessa, ma quale strumento attraverso il quale perseguire l’obiettivo di ampio respiro di un settore postale di elevata qualità, altamente qualificato e sostenibile adatto alle esigenze del XXI secolo.
Reinhard Rack, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, negli ultimi anni tutti noi, me compreso, abbiamo reiteratamente lamentato il fatto che, anche nel caso di importanti progetti legislativi, la maggior parte dei seggi del banco del Consiglio è rimasta deserta. È d’uopo pertanto esprimere il nostro profondo ringraziamento alla rappresentanza di alto livello della Presidenza slovena per essere qui a partecipare a questo importante dibattito legislativo e per il fatto che la Slovenia stia già entrando anche nello spirito del Trattato di Lisbona, che, ovviamente, ha appena ratificato.
Il mercato interno dei servizi postali ha una lunga storia alle spalle. Siamo lieti che, se tutto procede bene, questo progetto da noi presentato contribuisca a portare a termine con risultati positivi il processo. La proposta iniziale avanzata dalla Commissione era, in linea di principio, coerente e accettabile, ma per noi del Parlamento europeo il principio di base veniva, in molti casi, applicato troppo ampiamente e secondo noi i principali punti di dettaglio sono rimasti irrisolti.
A tale riguardo è stato positivo che, sotto la guida del nostro relatore, l’onorevole Markus Ferber, che ringrazio di cuore a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, la nostra commissione, sostenuta da una stragrande maggioranza, abbia potuto aggiungere importanti elementi alla proposta della Commissione in fase di prima lettura e ne abbia interpretato e arricchito le disposizioni.
Abbiamo aggiunto un’altra opzione per quanto riguarda in particolare il lato finanziario; si tratta di un’opzione importante grazie alla quale non rimane trascurato un aspetto fondamentale. Abbiamo potenziato le disposizioni sociali, soprattutto relative a questioni quali le condizioni di lavoro, l’orario di lavoro e diritti a congedi. Abbiamo introdotto una clausola provvisoria di reciprocità affinché la direttiva non produca guadagni inattesi permettendo ai pochi monopolisti rimasti di espandere le proprie attività in mercati deregolamentati.
In cambio, abbiamo deciso di posticipare di due anni l’entrata in vigore della direttiva. Riteniamo che la proposta fosse in generale ben equilibrata e le azioni del Consiglio, che ha appoggiato ampiamente la posizione del Parlamento europeo, hanno dimostrato la fondatezza del nostro operato. Dovremmo accogliere questa posizione domani e condividere la soddisfazione del risultato con il Consiglio, la Commissione e il relatore.
Brian Simpson, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare a nome del gruppo PSE l’onorevole Markus Ferber per la relazione e l’intenso lavoro di molti anni.
Il gruppo PSE prende atto che gran parte della posizione in prima lettura del Parlamento è stata accolta dal Consiglio e questo garantirà il servizio universale, nonché il finanziamento del servizio stesso. Il documento in questione riconosce che si deve dare attuazione alla protezione sociale e posticipa l’applicazione di due anni, fissando quale scadenza la fine del 2010 per tutti i vecchi Stati membri e il 2012 per i nuovi.
A mio avviso è un buon accordo. Ci sono coloro che ancora combattono la battaglia contro la liberalizzazione. Ma la battaglia è stata persa oltre 15 anni fa quando il Parlamento ha deciso – contro il parere da me espresso – di liberalizzare il settore dei servizi postali.
Alcuni di noi in quest’Aula hanno rinviato la piena attuazione per tutti questi lunghi 15 anni, ma arriva un momento, alla fine, in cui dobbiamo affrontare la realtà.
Anche se, per quanto mi riguarda, preferirei che si svolgesse una seconda lettura senza emendamenti, il mio gruppo ritiene sia corretto definire con chiarezza il finanziamento del servizio universale e proteggere quei servizi attualmente forniti per le persone ipovedenti e non vedenti. Pertanto, daremo il nostro sostegno agli emendamenti nn. 1, 2, 6, 18 e 19.
Dobbiamo garantire servizi postali in grado di competere, non necessariamente gli uni contro gli altri, ma contro altre tecnologie. Tuttavia ci occorrono condizioni paritarie, e mi auguro che, con le riserve che ho tracciato, saremo in grado di concludere il nostro lavoro su questo fascicolo basato sulla nostra posizione in prima lettura nonché di tornare all’aspetto più importante, ossia di fornire ai nostri cittadini un servizio postale affidabile, regolare e accessibile, riconoscendo al contempo il prezioso lavoro svolto su tutto il territorio dell’Unione europea da postini e postine.
Infine, quando Markus Ferber ed io abbiamo iniziato a lavorare a questo fascicolo, nessuno dei due aveva i capelli grigi e adesso guardate come siamo!
Luigi Cocilovo, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io, come hanno fatto gli altri colleghi, voglio innanzitutto congratularmi con il relatore, l’onorevole Ferber, per il suo lavoro. È un lavoro iniziato tanto tempo fa e nel corso del quale abbiamo avuto momenti importanti di convergenza e qualche momento di discussione dialettica. Per quanto riguarda non solo la mia posizione personale ma anche quella del mio gruppo, non vi è mai stata una battaglia di principio, né ideologica, contro l’ipotesi della liberalizzazione, a cui guardiamo con favore e con consenso, ovviamente cercando però di confermare le garanzie indispensabili per la fornitura del servizio universale.
Nell’attuale proposta di direttiva, così come votata dal Parlamento in prima lettura e poi rivisitata dal Consiglio, sostanzialmente riteniamo che questa garanzia esista, anche se alcune condizioni andranno meglio precisate, specificate e dettagliate. Non vogliamo fare la parte degli sciocchi che quando viene indicata la foresta si soffermano ad osservare soltanto l’albero, ma dall’altra parte non vogliamo neanche ignorare che alle volte il diavolo si annida proprio nei dettagli. Proprio per questo avremmo preferito che su alcune questioni in materia di autorizzazioni, in materia di possibilità di autentica competizione anche sul versante tariffario fra l’operatore incaricato del servizio universale e gli altri servizi singoli, in materia di diritto e dovere di accesso alle reti, alcune questioni fossero meglio precisate. Avremmo preferito, ma la maggioranza delle posizioni presenti nel Parlamento e che si sono manifestate anche in commissione, hanno ritenuto probabilmente superflua questa precisazione di maggiori garanzie, preferendo invece non correre il rischio di una complicata conciliazione.
Tutto sommato, a questo punto siamo per sostenere questa posizione e per quanto riguarda gli emendamenti riferiti alla condizione dei non vedenti o ipovedenti molto chiaramente diciamo che, se questi e solo questi emendamenti dovessero imporre di andare alla conciliazione, non saremmo d’accordo. Quindi nell’ipotesi in cui altri emendamenti fossero approvati voteremmo anche a sostegno di questo. Diversamente, saremmo per un voto contrario a tutti gli emendamenti presentati.
Roberts Zīle, a nome del gruppo UEN. – (LV) Grazie, signora Presidente, signor Commissario, signori membri del Consiglio. Innanzi tutto desidero ringraziare l’onorevole Ferber per il lavoro svolto nel tentativo di pervenire a un compromesso tra il Parlamento e il Consiglio in merito a un’area politicamente sensibile come i servizi postali. Vorrei sottolineare che le obiettive difficoltà che si incontrano nel processo di liberalizzazione dei servizi universali, soprattutto per quanto riguarda i nuovi Stati membri, hanno trovato espressione nella direttiva sotto forma di un’adeguata proroga di due anni da concedere a questi servizi. Al contempo è stato definito un valido quadro giuridico volto a garantire i servizi universali. Ritengo pertanto che ora il testimone sia passato alle autorità degli Stati membri. Nonostante le difficoltà incontrate dagli operatori postali in alcuni paesi membri, tra cui il mio, la Lettonia, credo che la liberalizzazione del mercato risolverà la situazione apparentemente disperata dei prestatori di servizi postali obsoleti. Per quanto riguarda il voto di domani, vi invito a non sostenere la suddetta proposta, perché gli Stati membri devono ricorrere alla loro competenza anche nel caso delle persone ipovedenti. Grazie.
Eva Lichtenberger, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, temo che i fatti non mi consentano di unirmi alle celebrazioni. Fatto numero uno: chi ne beneficerà? Quei consumatori che vivono in città e a cui piace trovare materiale pubblicitario nelle cassette delle lettere. Questi ne beneficeranno. Come ne beneficeranno le imprese specializzate in invii postali in massa e campagne pubblicitarie per posta.
Coloro che sono ciechi o ipovedenti, per contro, non ne beneficeranno affatto. Vi esorto quindi ad appoggiare il nostro emendamento in materia. Non ci sarà neppure alcun vantaggio per i dipendenti dei servizi postali, che lavoreranno per una retribuzione modesta e sotto enorme pressione, il che può solo acuirsi nelle condizioni previste. Un altro gruppo che non trarrà alcun vantaggio è quello di coloro che vivono in campagna o in aree remote e che dovranno affidarsi a servizi postali privati, perché assisteremo a una strisciante erosione dei livelli di servizio fino al raggiungimento del minimo possibile e accettabile. In particolare, non vi sarà alcun vantaggio per i contribuenti, che per l’ennesima volta devono finanziare il servizio universale che in precedenza si finanziava, per così dire, internamente grazie agli invii di massa e ai servizi postali privati.
Per questi motivi non sono a favore della direttiva. La ritengo fasulla. La concorrenza è un aspetto positivo, ma occorre prestare attenzione e assicurare che avvenga in condizioni di parità. Non si può dire che sia questo il caso.
Erik Meijer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signora Presidente, i servizi postali sono un servizio pubblico a elevata intensità di manodopera. Nella seconda metà del diciannovesimo secolo gli Stati d’Europa decisero che avevano bisogno di detenere il monopolio sui servizi postali perché il settore privato non era adatto ad espletare tale attività.
Ci sono sempre state imprese private che hanno tentato di ribaltare la situazione; hanno offerto servizi più economici, ma in modo selettivo, scegliendo i segmenti più trafficati del servizio postale di consegna e offrendo condizioni di lavoro e di impiego peggiori. Dagli anni novanta una maggioranza politica ha cercato di creare maggiori possibilità di sbocco per tali aziende, e la decisione proposta dà loro quasi interamente carta bianca. Il mio gruppo ritiene che questa scelta si tradurrà in servizi di consegna di qualità inferiore per gli utenti, condizioni meno favorevoli per i lavoratori e costi aggiuntivi per gli Stati membri che dovranno mantenere e ripristinare i loro servizi postali universali.
Anche adesso che i tre maggiori gruppi sono pervenuti a un compromesso sulle scadenze e sulle misure di accompagnamento, il mio gruppo continua a interpretare questa scelta come un passo indietro. Oltre alle disposizioni volte a migliorare certi dettagli, quali garanzie più rigorose per clienti ciechi e per il personale, proponiamo pertanto di respingere questa liberalizzazione. Sarebbe inoltre un’azione in linea con la bocciatura decretata dagli elettori della città tedesca di Lipsia alla vendita delle imprese pubbliche.
Michael Henry Nattrass, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signora Presidente, mi soffermo sulla frase “una data fissa e irrevocabile”. Un aspetto che il fondatore dell’UE Jean Monnet detestava della democrazia era che nulla è irrevocabile. Nessun governo democratico può vincolare il proprio successore con qualcosa di irrevocabile.
L’UE registra un deficit democratico perché l’UE sempre più chiusa è stata progettata come una compagine irrevocabile. Nessuna apertura alla democrazia. Il popolo può solo votare per sostenere quello che l’élite dell’UE vuole. È una strada a senso unico. I francesi e gli olandesi hanno votato contro questa unione irrevocabile; il fatto di averli ignorati e di introdurre la stessa mancata costituzione avvalora quanto affermo.
Non riuscite a imparare dalla storia. L’Unione Sovietica è sepolta. Il Tausendjähriges Reich di hitleriana memoria è durato 12 anni. La violenta reazione che state provocando negando al popolo di andare alle urne per un referendum determinerà senza dubbio il crollo di questo intollerante impero dell’UE com’è certo che al giorno segue la notte.
Etelka Barsi-Pataky (PPE-DE). – (HU) Signora Presidente, entro la fine del 2012 i servizi postali saranno del tutto liberalizzati e anche in questo settore avremo completato il mercato comune. Poiché l’apertura del mercato comporterà impatti diversi sui mercati dei singoli Stati membri, grazie alla normativa abbiamo ottenuto che tale processo avverrà gradualmente. Siamo anche riusciti a pervenire a una situazione in cui gli uffici postali competenti possono tenere le entrate di cui dispongono fino al termine del periodo di proroga, e per quanto mi riguarda, lo considero un risultato positivo. Dopo un tempo infinito è nata una regolamentazione europea che mette tutti in una situazione competitiva. Ringrazio in particolare il relatore per questo. In altre parole, questa normativa non significherà svantaggi per le società in concorrenza dopo l’apertura del mercato, bensì nuove prospettive.
Signora Presidente, tutto questo è solo una vittoria a metà se non si compiranno i passi successivi. Quali sono? In primo luogo, gli uffici postali che aderiscono alla deroga devono impegnarsi, negli anni a venire, in modo da essere in grado di soddisfare i requisiti sostenuti dalla concorrenza europea, vale a dire, devono dimostrare che fanno un uso concreto dei vantaggi in termini di tempi che vengono concessi loro adesso.
In secondo luogo, la regolamentazione e le politiche dello Stato devono garantire che se l’ufficio postale viene ridimensionato per amore della competitività, il servizio universale deve essere assicurato a un livello corrispondente. Non dovremmo dimenticare che la responsabilità del servizio ricadrà sempre tra gli obblighi dello Stato. Infatti, la normativa è sorta affinché i cittadini europei, in qualsiasi luogo vivano, anche nei posti più minuscoli, devono poter accedere ai servizi postali, dal prezzo adeguato e della giusta qualità. Vi ringrazio per l’attenzione.
Gilles Savary (PSE). – (FR) Signora Presidente, ritengo che il tema su cui ci apprestiamo a votare domani sia un argomento storico, perché la posta è un servizio pubblico da sempre, sin dalla notte dei tempi, in particolare dalle monarchie. È tale perché la distribuzione della corrispondenza è strategica, e anche perché assicura un servizio rapido e universale.
Stiamo per porre termine al controllo pubblico dei servizi postali, o ci accingeremo a farlo domani, per sostituirlo con un mercato postale ampiamente deregolamentato. L’oggetto della proposta della presente direttiva sarà innanzi tutto un magnifico mercato per avvocati e giuristi, perché non è armonizzato. Ogni Stato membro può decidere riguardo al metodo di finanziamento ed esistono quattro diverse possibilità. La direttiva propone inoltre qualcosa di assolutamente paradossale, ossia compensare il finanziamento del servizio universale tramite sovvenzioni dello Stato laddove, in alcuni paesi, la perequazione faceva sì che l’attività che era redditizia finanziasse quella che non lo era.
Ritengo che stiamo commettendo un errore. Il tempo ce lo dirà, ma già oggi abbiamo qualche indicazione. Il Regno Unito ha investito nel servizio postale oltre 880 milioni di euro. In Spagna è stato annunciato di recente che, a causa della pressione della concorrenza, le aree rurali non riceveranno più un servizio postale diretto. I tedeschi incontrano difficoltà ad allineare la retribuzione minima con il mercato postale. Credo che oggi avvantaggiamo le imprese, stiamo offrendo loro la possibilità di scremare la parte migliore del mercato, ma non stiamo servendo l’interesse generale dei servizi postali o la competitività esterna dell’Unione europea.
Dirk Sterckx (ALDE). – (NL) Signora Presidente, do il mio appoggio al compromesso raggiunto dall’onorevole Ferber e approvato dal Consiglio perché sono a favore di un mercato aperto dei servizi postali. Ritengo che questa direttiva dia agli Stati membri abbastanza margine da garantire un’apertura adeguata dei rispettivi mercati e che esistono vari prestatori di servizi che si contendono i clienti sulla base di una qualità assicurata.
L’intenzione non è certo quella che gli Stati membri impieghino questo margine di manovra per evitare la liberalizzazione dei loro mercati, sebbene vi sia anche quel rischio. Sarebbe semplice applicare la direttiva in questione in modo che nuove imprese si confrontino con requisiti talmente rigidi che nessun nuovo operatore si preoccuperebbe della tariffa della lettera. Se gli Stati membri attueranno la direttiva in questo senso, avremo adottato un raffinato atto legislativo, tuttavia nella pratica non sarà cambiato nulla per i clienti postali.
Penso che dobbiamo senza dubbio approvare il testo, ma vorrei chiedere alla Commissione di assicurarsi che l’obiettivo della creazione di un mercato aperto dei servizi postali non venga eluso da misure adottate dagli Stati membri. Vedo che il paese del relatore, ad esempio, ha di recente adottato una serie di provvedimenti che hanno in realtà chiuso un’altra volta il mercato postale in Germania.
Seán Ó Neachtain (UEN). – (GA) Signora Presidente, il servizio postale in Irlanda svolge una funzione centrale nelle vite delle comunità rurali, soprattutto per gli abitanti rurali e coloro che vivono in regioni remote e non hanno vicini nei dintorni. Pertanto accolgo con favore la fornitura del servizio universale, qualcosa che è di vitale importanza per la popolazione in Irlanda e, non ho dubbi, in ogni altro Stato membro.
Desidero innanzi tutto congratularmi con il relatore, l’onorevole Ferber, per essere rimasto saldamente fedele a questo principio che dovrebbe essere inserito nei nostri progetti di documenti, e a tale proposito reputo altresì positivo che l’Irish Post Office in Irlanda introduca il nuovo servizio finanziario, a dimostrazione del fatto che gli operatori dei servizi postali possono adeguarsi ai nuovi requisiti del mercato pur continuando a fornire il loro servizio postale universale.
Inoltre accolgo con favore la recente sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia in base alla quale un prestatore di servizi postali ha la facoltà di aderire a un accordo relativo alla distribuzione di pagamenti della previdenza sociale.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL). – (PT) È stato nel corso della Presidenza portoghese che il Consiglio ha deciso la totale apertura del mercato dei servizi postali a livello dell’Unione europea a partire dal 31 dicembre 2010, applicando le regole di concorrenza a un settore, qualcuno sostiene, che dovrebbe essere un servizio pubblico, nell’ottica di creare un mercato interno dei servizi postali. “Splendido”, affermerà il Primo Ministro portoghese. La decisione, tuttavia, rappresenta un duro colpo per i servizi postali pubblici, soprattutto con l’abolizione delle aree riservate, mettendo in moto un processo finalizzato al loro smantellamento e cedendole a imprese transnazionali guidate dal profitto, e a spese dell’erario pubblico, compromettendo i diritti della nazione e dei lavoratori del settore.
Se esistevano dubbi riguardo al vero significato dell’inclusione del “protocollo sui servizi di interesse generale” nel progetto di Trattato, questa direttiva li dissipa tutti: continuazione dello smantellamento e della distruzione dei servizi pubblici, minaccia della proprietà e della fornitura da parte di società pubbliche gestite e controllate democraticamente. Pertanto la nostra proposta è di respingere la direttiva.
Hélène Goudin (IND/DEM). – (SV) Signora Presidente, la posta è uno dei servizi pubblici che i cittadini dei nostri paesi, vecchi e giovani, tengono in massimo conto. Pertanto la formulazione della decisione è di importanza vitale. Nei precedenti dibattiti sulla direttiva ho espresso il timore che le esigenze delle aree scarsamente popolate potessero rimanere neglette. Non era chiaro che lo stesso servizio sarebbe stato garantito a tutti. In occasione di un Tempo delle interrogazioni, il Commissario McCreevy mi promise che la fornitura di un servizio universale non avrebbe subito alcun cambiamento. Ora abbiamo un compromesso che garantisce che coloro di noi che vivono in aree scarsamente popolate avranno la raccolta e la consegna della posta cinque giorni alla settimana esattamente come tutti gli altri. Domani sosterrò il compromesso alla direttiva postale. Speriamo che questo comporti un servizio migliore, prezzi inferiori e un sistema postale più efficace per ognuno, quando deregolamentiamo il mercato unico in un ulteriore settore.
Corien Wortmann-Kool (PPE-DE). – (NL) Signora Presidente, desidero ringraziare di cuore il nostro relatore, l’onorevole Ferber, per il lavoro che ha svolto. È riuscito a far sì che il Parlamento pervenisse a un accordo in fase di prima lettura su questo difficile tema, anche se entrambi, lui ed io, siamo dell’opinione che si dovrebbe compiere un ulteriore passo. Alla fine, comunque, la nostra posizione unita è stata quella suggerita dal Consiglio e pertanto anch’io condivido incondizionatamente la posizione comune.
I membri del gruppo socialista e i rappresentanti dei Verdi hanno purtroppo una paura terribile e non riescono a vedere le enormi opportunità che questa direttiva offrirà in termini di nuove imprese e posti di lavoro. Sono assolutamente convinto di questo e vari esempi in alcuni Stati membri avallano quanto affermo. Ma tutto ora dipenderà dal trattamento che la Commissione europea riserverà alla direttiva, affinché non rimanga lettera morta.
Se la direttiva verrà introdotta, di certo comporterà l’apertura dei mercati. I consumatori disporranno di servizi migliori, e non si delineerà la situazione che osserviamo in Germania, dove i nuovi operatori vengono spremuti, e non solo loro, ma anche le nuove imprese, i nuovi servizi, i nuovi posti di lavoro, fuori dal mercato con il pretesto della protezione sociale.
Sono quindi soddisfatta della risposta che ho ricevuto ieri dalla Commissione europea. Mi risulta che la Commissione si accinga ad avviare un’inchiesta riguardo alla situazione in Germania. Vorrei esortarvi a procedere e a farlo in tempi rapidi, perché i nuovi operatori sul mercato tedesco sono in una pessima situazione e sarebbe davvero terribile se le cose non funzionassero, esattamente come creare un precedente sbagliato.
Secondo me la Francia e altri paesi si allineeranno e così alla fine non avremo ottenuto proprio nulla. Pertanto la Commissione ha qui un’enorme responsabilità. Mi auguro che userete ogni possibile canale giuridico e che eserciterete anche la dovuta pressione politica per garantire che la direttiva sia applicata in modo adeguato nel mercato postale europeo.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – (RO) Signora Presidente, signor Commissario, i servizi postali rivestono enorme importanza per la vita economica e sociale delle collettività. Dobbiamo pertanto garantire l’accessibilità a tali servizi e soprattutto dobbiamo assicurarne la qualità.
La totale liberalizzazione del mercato dei servizi postali, tra cui le consegne di peso inferiore ai 50 grammi, consentirà di rafforzare la concorrenza, e comporterà l’ingresso di nuovi operatori e la creazione di posti di lavoro.
Desidero tuttavia soffermarmi su vari aspetti importanti. In primo luogo, è essenziale garantire la prestazione del servizio universale e che ogni cittadino potrà ricevere la posta, a prescindere da dove viva, se in cima a una montagna o su un’isola. In secondo luogo, dobbiamo assicurare condizioni di lavoro dignitose in questo comparto; in particolare, dobbiamo garantire che l’esistenza di salvaguardie sociali riguardo a posti di lavoro e redditi. In terzo luogo, affinché gli Stati membri garantiscano il servizio universale, è essenziale che definiscano quanto prima i rispettivi canali di finanziamento. Riguardo a questo fattore, la direttiva concede flessibilità agli Stati membri. Infine, siccome viviamo in un mondo sempre più digitalizzato, è fondamentale che gli operatori postali diversifichino l’attività svolta in modo da fornire anche servizi elettronici.
Alcuni Stati membri possono godere di due anni un più per attuare appieno la liberalizzazione dei servizi postali. A prescindere dal momento in cui avviene tale processo, gli operatori postali devono offrire una gestione efficace che garantisca l’elevata qualità dei servizi prestati.
Dariusz Maciej Grabowski (UEN). – (PL) Signora Presidente, consentire a operatori privati di fornire sevizi postali è una decisione controversa. Il tempo ci dirà se è a vantaggio dei consumatori.
Non dobbiamo dimenticare che in alcuni dei nuovi Stati membri con un livello inferiore di sviluppo, le istituzioni difendono gli interessi della concorrenza e i consumatori non sono un elemento particolarmente presente nella coscienza pubblica. Sussiste il pericolo di rompere l’equilibrio tra gli interessi del capitale e quelli dei consumatori. Fissare la scadenza al 2012 è quindi una decisione accolta con favore.
Nel contempo, suggerirei di esaminare prima del 2012 il funzionamento del mercato dei servizi postali in quei paesi che hanno già adottato le nuove norme, nell’ottica di individuare ed evitare qualsiasi irregolarità negli altri Stati. Ritegno anche che un operatore che fornisce servizi pubblici dovrebbe essere premiato dalle autorità e non, come suggeriscono gli autori della relazione, semplicemente ricompensato.
Anni di lavoro col capo chino su questo atto legislativo hanno ingrigito i capelli dell’onorevole Ferber. Confido che l’introduzione delle nuove norme non sarà fonte per lui di ulteriore sofferenza e non gli faccia quindi perdere i capelli.
Gabriele Zimmer (GUE/NGL). – (DE) Signora Presidente, è del tutto ovvio che la posizione dell’onorevole Ferber e quelle dell’onorevole Wortmann-Kool e di altri membri siano diametralmente opposte. Credo che sia sbagliato trattare la privatizzazione e la liberalizzazione dei servizi pubblici come la risposta tipo alla globalizzazione. Ho altresì motivo di pensare che un numero sempre maggiore di persone non sia a favore di questo approccio. In un referendum svoltosi a Lipsia la settimana scorsa, l’80% dell’elettorato, o piuttosto di coloro che sono andati alle urne, ha respinto la liberalizzazione, impedendo così al consiglio comunale di procedere a qualsiasi privatizzazione per i prossimi tre anni.
Permettetemi anche di aggiungere che non è semplicemente il caso che la direttiva che stiamo discutendo oggi incorpori reali garanzie per proteggere le persone, i dipendenti, dal dumping sociale. Abbiamo visto come in Germania l’introduzione di salari minimi nei servizi postali si sia scontrata con la resistenza proprio da parte di quelle imprese che hanno costruito le basi della loro attività su retribuzioni estremamente basse. Mi preoccupano anche non poco le implicazioni delle pubbliche istituzioni che attribuiscono contratti a tali imprese.
Małgorzata Handzlik (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, sono oltre 15 anni che si protrae il lavoro riguardo alla liberalizzazione del settore postale, che per l’Unione rappresenta nel complesso un valore annuo pari a 90 miliardi di euro. Oggi siamo alla vigilia della votazione in materia e ci accingiamo a inscrivere questa normativa nella storia dell’Unione. Desidero congratularmi con il relatore per l’eccellente documento prodotto.
L’attuale versione del progetto è un ampio compromesso che sembra aver conseguito i principali obiettivi: pieno completamento del mercato interno dei servizi postali, soprattutto grazie alla fine del monopolio della posta, e garanzia della prestazione di un servizio pubblico sempre di alta qualità e a basso costo.
Il presente testo della direttiva non è tuttavia ambizioso come la proposta originale della Commissione. Nel corso delle delibere, l’idea di partenza di una liberalizzazione a favore di una graduale e piuttosto prudente apertura del mercato postale per le lettere di peso inferiore ai 50 grammi si è delineata con sempre maggiore chiarezza. Tale impostazione è riflessa nella data di compromesso per l’entrata in vigore della direttiva, nel caso specifico dei nuovi Stati membri e dei paesi con piccole popolazioni, aree geografiche contenute e clausole di servizio pubblico.
La scadenza del 31 dicembre 2012 per gli Stati membri che hanno aderito all’Unione nel 2004 sembra inutilmente distante. Capisco che sia un elemento del compromesso negoziato, che abbiamo accettato, ma può frenare i cambiamenti proposti. Temo che un periodo così lungo, di oltre quattro anni, per l’entrata in vigore della direttiva non faccia altro che rallentare i cambiamenti che, nel caso di un arco di tempo di due anni, ad esempio, produrrebbero i loro effetti quasi immediatamente.
Infine, desidero associarmi alla richiesta dell’onorevole Pleštinská affinché vengano reintrodotte nella direttiva proposta le disposizioni relative ai non vedenti e agli ipovedenti, che nell’attuale versione non compaiono.
Saïd El Khadraoui (PSE). – (NL) Signora Presidente, desidero ringraziare il relatore e i miei colleghi che hanno contribuito a conseguire un risultato che è un notevole miglioramento rispetto alla proposta originale della Commissione. Capisco che molti di noi vogliano lasciarla così com’è, ma dietro agli elementi positivi che sono stati aggiunti alla direttiva si insinuano anche alcuni pericoli. Non è stato in effetti ancora raggiunto nulla, perché agli Stati membri viene attribuita un’enorme responsabilità riguardo a due punti cruciali.
Innanzi tutto, permangono ancora molti interrogativi sul finanziamento del servizio universale. Gli Stati membri possono scegliere tra una rosa di possibilità, ma non è sempre chiaro se effettivamente funzionano. In molti casi questo comporterà ogni genere di controversia, tra cui quelle legali. Ritengo pertanto che sarebbe utile precisare un paio di aspetti: uno, che agli Stati membri incombe l’obbligo di garantire il servizio universale e di finanziarlo a prescindere dalle circostanze e, due, che agli Stati membri si deve chiedere di predisporre le cose al meglio e prepararsi a questa nuova situazione con cura e a tempo debito.
Il secondo aspetto importante riguarda il campo sociale. Qui è d’uopo sottolineare che la direttiva consente agli Stati membri di imporre a tutti gli operatori postali, attraverso un sistema di licenze, di rispettare gli stessi contratti collettivi, per esempio, o altre norme minime. È una buona idea, ma è ancora solo facoltativa, e sarà applicata in modo diverso da uno Stato all’altro.
In breve, ritengo che la direttiva potrebbe essere inasprita e questo non ha niente a che vedere con la paura, ma rispecchia il fatto che un libero mercato deve essere regolamentato e che il processo di liberalizzazione deve essere preparato con attenzione.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL). – (EL) Signora Presidente, esprimiamo la nostra disapprovazione nei confronti della Commissione europea, del Consiglio e del nostro relatore, in quanto non hanno fatto alcun riferimento alle oscillazioni del numero dei lavoratori del settore, alle condizioni di lavoro, agli orari o alla retribuzione.
Analogamente, non è stata prevista alcuna disposizione relativa a un controllo efficace delle politiche dei prezzi per le imprese, né riguardo alle situazioni di monopolio privato nell’ambito del trasporto pacchi e della posta espressa.
Inoltre, la relazione sottolinea l’occupazione stabile negli Stati membri, nonostante le fluttuazioni locali, ma non è stato prodotto il benché minimo dato a dimostrazione di quanto sostenuto.
Date queste premesse, quindi, non è possibile procedere a una valutazione adeguata negli interessi dei lavoratori.
Infine, occorrerebbe sottolineare che il Consiglio ha, in un certo qual senso, ratificato gli emendamenti del Parlamento, consentendo però di discutere all’infinito sulle conseguenze sociali per i dipendenti dei servizi e per i consumatori.
Astrid Lulling (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, il completamento del mercato interno dei servizi postali illustra ampiamente la fondatezza del proverbio “Perseverando arrivi”. Persino io posso sostenere il progetto che abbiamo sul tavolo, risultato di quindici anni di dura contrattazione. Appartengo a quella schiera che avrebbe preferito preservare il monopolio delle amministrazioni postali nazionali per le lettere di peso inferiore ai 50 grammi. Ora questa ultima fase della deregolamentazione controllata del mercato postale deve entrare in vigore il 1° gennaio 2011.
Per quanto attiene alla struttura dei servizi postali in Lussemburgo, ossia l’obbligo normativo che prevede di ricorrere a volontari delle forze armate nel servizio pubblico e i relativi costi, non avrei potuto condividere la rapida e non sufficientemente controllata liberalizzazione del mercato dei servizi postali, perché questo avrebbe avuto conseguenze insopportabili per il personale e i clienti della posta.
Per la prima lettura, ho quindi chiesto al relatore, l’onorevole Ferber, di prevedere una proroga di due anni della scadenza di recepimento a favore dei paesi piccoli con un numero di abitanti relativamente contenuto affinché possano continuare a limitare la fornitura di certi servizi all’operatore del servizio universale, e ringrazio il collega per la comprensione dimostrata. Avevo circoscritto con discrezione questa intesa affinché il Lussemburgo beneficiasse dell’esenzione, ma i ministri hanno preferito evitare qualsiasi malinteso e precisato i nomi dei paesi interessati. E con questo siamo sicuri.
La cosa importante è che il servizio universale garantisca la raccolta della posta e la sua consegna rapida agli indirizzi di privati o di imprese indicati in ogni giorno lavorativo, anche nelle aree remote o scarsamente popolate. Anche la questione del finanziamento esterno che potrebbe essere necessario per coprire i costi netti del servizio universale, e quindi l’aspetto delle tariffe accessibili, è stata regolamentata in modo soddisfacente. Infine, sono state adottate le misure più adeguate volte a salvaguardare i posti di lavoro qualificati a tempo indeterminato presso gli operatori del servizio universale nonché a garantire il rispetto delle condizioni di lavoro e dei regimi di sicurezza sociale basati sulle disposizioni giuridiche in vigore o su contratti collettivi, contrariamente a quanto avrebbe voluto farci credere la sinistra. Dovrebbero leggere il testo del progetto. Il documento afferma espressamente che nella preparazione della deregolamentazione del mercato postale si deve tener conto delle considerazioni sociali.
Per quanto riguarda l’emendamento presentato dai nostri missionari filantropici in merito ai servizi postali gratuiti per i soggetti ipovedenti, personalmente non comprendo il motivo per cui le persone agiate con disturbi della vista dovrebbero spedire la loro posta senza pagare ma a spese dei contribuenti. In ogni caso, coloro che propongono questo emendamento sono sulla strada sbagliata, perché spetta agli Stati membri garantire tali dettagli. Subsidiarité oblige!
Zita Gurmai (PSE). – (HU) Grazie, signora Presidente. Onorevoli colleghi, la graduale apertura del mercato dei servizi postali è un’importante pietra miliare per il conseguimento del mercato interno. Contribuirà a porre termine ai diritti speciali che imperano nei settori postali, e fisserà una data precisa e irrevocabile per la liberalizzazione del mercato, garantendo un servizio universale dal livello elevato e sostenibile. L’apertura del mercato rafforzerà la concorrenza e quindi il livello del servizio può migliorare in termini di qualità, prezzo e opportunità di scelta. Questa misura promuoverà l’armonizzazione dei principi fondamentali relativi alla disciplina dei servizi postali e probabilmente si tradurrà in tariffe inferiori, servizi potenziati e più innovativi, e creerà migliori condizioni di crescita e occupazione.
L’emendamento alla direttiva è il risultato di un compromesso esemplare, un compromesso che ha tenuto conto delle differenze riconducibili alle caratteristiche storiche ed economiche degli Stati membri. Non trascura il fatto che prepararsi alla liberalizzazione richiede più tempo in alcuni Stati membri, principalmente quelli dell’Europa centrale e orientale. Allo stesso tempo, considerando gli interessi di altri e al fine di evitare distorsioni della concorrenza nel mercato in paesi in cui il settore postale è già totalmente aperto, i servizi postali dei paesi che non stanno ancora procedendo alla liberalizzazione del rispettivo mercato possono non fornire servizi fino alla scadenza della proroga prevista alla fine di dicembre 2012. Desidero ringraziare l’onorevole Ferber per il lavoro svolto, ma i ringraziamenti sono doverosi naturalmente anche nei confronti dell’onorevole Simpson, il relatore ombra.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE). – (PT) Mi congratulo con gli onorevoli Ferber e Simpson per la qualità della relazione presentata e con tutti i membri e le parti coinvolti per la disponibilità dimostrata durante la procedura negoziale. La liberalizzazione del mercato dei servizi postali è ancora ben lungi dal conseguire un mercato competitivo in cui i consumatori e le società sono quelli che traggono i maggiori benefici. Per questo motivo ho sostenuto che l’approccio della Commissione potrebbe non garantire a sufficienza il servizio universale. Ho quindi sostenuto la posizione assunta del relatore ombra, l’onorevole Simpson, sulla necessità di assicurare il servizio universale e di introdurre un fondo di compensazione, nonché riguardo all’impegno di aprire i servizi di fornitura postale inferiore ai 50 grammi nel 2010, o in casi specifici, ad esempio i nuovi Stati membri con regioni ultraperiferiche, entro il 31 dicembre 2012. Sono soddisfatto per quanto attiene alle disposizioni speciali relative a certi Stati, benché debba sottolineare che potrebbero non essere adeguate e richiedere misure supplementari.
Sul versante dell’occupazione, mi fa piacere che sia stata aggiunta in precedenza una clausola che rende obbligatoria la presentazione di una relazione sullo sviluppo complessivo dell’occupazione nel settore, sulle condizioni di lavoro applicate da tutti gli operatori in uno Stato membro e su qualsiasi futura misura. Sono molto soddisfatto della posizione comune raggiunta, ma appoggio gli emendamenti presentati dai miei colleghi, tra cui gli onorevoli Savary, El Khadraoui e l’onorevole Ayala Sender, e dal mio gruppo parlamentare, in quanto rafforzano l’idea della necessità di un processo ponderato di liberalizzazione volto a potenziare la parità dell’accesso universale, lo sviluppo e l’occupazione. Per tutti questi motivi, esorto la plenaria a sostenere la presente relazione e il Consiglio e a pronunciarsi a favore della posizione del Parlamento.
Richard Howitt (PSE). – (EN) Signora Presidente, il Parlamento dovrebbe accogliere gli emendamenti da noi presentati a questa direttiva onde reintrodurre i servizi postali gratuiti obbligatori per le persone non vedenti
Onorevole Vizjak, asserite di essere aperto e flessibile e ora avete respinto di netto gli emendamenti del Parlamento sui servizi gratuiti obbligatori per i ciechi. Abbiamo sentito l’onorevole Orban affermare stasera, a nome del Commissario McCreevy, che i nostri emendamenti non apportano alcun valore aggiunto agli utenti postali.
Onorevole Orban, i non vedenti non sono forse utenti delle poste? E il reale valore aggiunto di cui parla non è forse dato dai costi effettivamente aggiunti che le persone non vedenti saranno costrette a pagare?
Onorevole Ferber, mi spiace dire che credo che lei abbia commesso un errore nel convenire di far cadere questo requisito che il Parlamento ha accolto in prima lettura. Ieri ha anche sbagliato a rispondere alla mia domanda: c’è una minaccia che incombe sui servizi prestati alle persone cieche? Mi auguro lo faccia oggi. Perché se non c’è, per quale motivo si oppone a inserire la misura nella direttiva? Se invece c’è, ciò comprova che dobbiamo inserirla? In Italia, Germania, Finlandia, Paesi Bassi, Grecia e Portogallo, l’ufficio postale, non il governo, offre questo servizio gratuitamente. In un mercato liberalizzato, gli operatori nuovi e quelli già presenti cercheranno inevitabilmente di tagliare i costi; le persone cieche non devono essere le vittime di questa scelta. In Nuova Zelanda, a seguito dell’apertura del mercato i servizi riservati a questa categoria sono cessati. Non dobbiamo permettere che qui avvenga lo stesso.
Infine, mi rivolgo a coloro che affermano di essere vicini alle persone disabili ma che questa non è la sede adatta né è il modo giusto di farlo; ci avete detto ciò in occasione della direttiva sugli ascensori e della direttiva sugli autobus di linea e granturismo, altra normativa su un mercato unico. Tuttavia il Parlamento ha detto no e noi abbiamo insistito sull’accesso vincolante per le persone con disabilità. Oggi, di nuovo, dobbiamo insistere sui diritti obbligatori per i non vedenti e gli ipovedenti d’Europa.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Signora Presidente, la ringrazio per avermi concesso la parola.
La posizione comune adottata dal Consiglio non include gli emendamenti relativi ai servizi postali gratuiti per i non vedenti, anche se in prima lettura il Parlamento europeo ha votato a favore del mantenimento dei servizi postali gratuiti per i non vedenti a seguito della liberalizzazione del mercato postale europeo.
Era mia intenzione appoggiare l’emendamento n. 3 presentato dall’onorevole Eva Lichtenberger, in cui si ribadiva la posizione del Parlamento della fase di prima lettura. A seguito della discussione di oggi con il relatore, l’onorevole Markus Ferber, sono stata informata che l’approvazione di uno qualsiasi degli emendamenti pregiudicherebbe un compromesso concordato in precedenza in merito all’adozione in seconda lettura della direttiva relativa al completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari, il che potrebbe significare avviare la procedura di conciliazione.
Comprendo quale importanza rivesta l’adozione della direttiva in parola. Una volta recepita nel diritto nazionale, gli Stati membri potranno risolvere questa questione in conformità del principio di sussidiarietà. Desidero pertanto esortare tutti gli Stati membri a fornire gratuitamente ai non vedenti e agli ipovedenti i serzi postali nel rispetto del principio di sussidiarietà e degli obblighi dei servizi universali.
Ewa Tomaszewska (UEN). – (PL) Signora Presidente, anch’io desidero sostenere gli emendamenti relativi alle persone ipovedenti. Se l’Unione europea dichiara urbi et orbi che non tollera alcuna discriminazione, allora anche l’accesso ai servizi postali deve essere pari per tutti, e nel caso delle persone ipovedenti significa accesso assistito.
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signora Presidente, la presente direttiva è purtroppo l’ennesimo esempio di come una normativa comunitaria incompetente e applicata in modo indiscriminato a tutti si ripercuota negativamente sulla vita del popolo britannico. Questa direttiva è la causa della chiusura degli uffici postali e della perdita del posto di lavoro degli addetti del settore postale. Gli uffici postali svolgono una funzione vitale nella comunità, soprattutto per gli anziani, i poveri, le persone immobilizzate e con disabilità. Questa è solo una di una moltitudine di norme dell’UE che ha danneggiato, e continuerà a danneggiare, il mio paese. I cittadini del Regno Unito lo sanno, ed è uno dei motivi per cui abbiamo rifiutato di indire un referendum sulla Costituzione dell’UE. Se venisse ratificata, possono aspettarsi molte altre situazioni analoghe.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signora Presidente, ritengo che il relatore sia riuscito in generale, pur se non del tutto, a conseguire un risultato di buon equilibrio. La fornitura del servizio universale garantirà ai consumatori pieno accesso ai servizi postali e gli Stati membri disporranno della flessibilità necessaria per definire il meccanismo più efficace ed efficiente atto ad assicurare l’obbligo di servizio universale.
Quest’ultimo assicurerà la creazione di un numero sufficiente di punti di accesso affinché si tenga pienamente conto delle esigenze degli utenti delle aree rurali e scarsamente popolate, e so che questo aspetto sarà accolto con favore, soprattutto nel mio paese, l’Irlanda.
Devo ammettere che in un primo tempo ho nutrito qualche riserva riguardo all’impatto sui lavoratori postali, ma gli Stati membri già dispongono dell’autorità per regolamentare le condizioni di occupazione e la contrattazione collettiva del settore, laddove questo non porta a una concorrenza sleale.
Infine, desidero far presente che appoggio l’emendamento che introdurrebbe l’obbligo di fornire servizi gratuiti a persone non vedenti e ipovedenti. Non sono d’accordo con il Commissario Orban – o è il Commissario McCreevy? –; credo che apporterà valore aggiunto, perché in un mercato totalmente liberalizzato, i servizi gratuiti per i non vedenti e gli ipovedenti cesseranno, e si aggiungerà valore se potremo garantire la continuazione di tali servizi.
Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) Signora Presidente, grazie per avermi concesso la parola. Innanzi tutto desidero ringraziare l’onorevole Ferber per l’eccellente relazione, grazie alla quale la direttiva a lungo attesa entrerà subito in vigore, il che significa che a partire dal 1° gennaio 2009 segnerà il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari.
Sono particolarmente soddisfatto che sia stato mantenuto il principio di sussidiarietà e che l’attuazione concreta sia stata lasciata agli Stati membri, che elaboreranno la legislazione adeguata alla loro specifica situazione. Desidero tuttavia sottolineare anche l’aspetto sociale di questa normativa per quanto attiene ai diritti delle persone con disabilità, in particolare i non vedenti e gli ipovedenti, e il loro diritto ad avvalersi di servizi postali gratuiti.
Invito i miei colleghi a sostenere gli emendamenti in materia presentati in plenaria questa settimana e che il Parlamento ha adottato in prima lettura. Si tratta di servizi appropriati e di vitale importanza per questa fascia della popolazione: soggetti con redditi eccezionalmente bassi, aree con tassi di disoccupazione molto elevati e persone in situazioni sociali difficili, per non parlare di coloro che sono vittime dell’esclusione sociale.
Mairead McGuinness (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, grazie per l’opportunità che mi viene offerta di contribuire al presente dibattito. Mi congratulo con il relatore per il lavoro svolto. ritengo che il pubblico pensi che stia già accadendo qualcosa, perché in molti Stati membri non esiste un servizio postale di pari valore tra le varie regioni. Mi fa piacere vedere che a questo ambito si applicherà il principio della sussidiarietà e che gli Stati membri decideranno riguardo al modo migliore di mettere in atto un mercato deregolamentato.
Sostengo quanto affermato dal mio presidente di intergruppo, l’onorevole Richard Howitt, riguardo al problema della disabilità. Purtroppo, l’obiezione sollevata è stata che ne beneficeranno le persone non vedenti ricche. Mi spiace dirlo, ma in Europa e nel mondo sono molto pochi i non vedenti agiati. Vorrei potessimo alzarci e dichiarare che sono tutti ricchi e, certo, famosi, ma non è questo il caso.
Ritengo che dobbiamo assumere una posizione forte al riguardo, giusto per dimostrare che l’Europa è per la libera circolazione di capitali e servizi, ma al contempo si preoccupa per coloro che non hanno voce e sono privi della vista.
PRESIDENZA DELL’ON. DIANA WALLIS Vicepresidente
Andrej Vizjak, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Il vivace dibattito di oggi ha dimostrato che ci sono molte divergenze di opinioni, peraltro giustificabili, riguardo alla regolamentazione di questo servizio pubblico tradizionale e di antichissima data. È stato anche giusto che siano stati espressi vari punti di vista nonché preoccupazioni.
Dobbiamo tuttavia sottolineare che il testo proposto è un compromesso equilibrato tra, da un lato, l’apertura del mercato interno dei servizi postali, garantendo competitività e il valore aggiunto che ne discende, e, dall’altro lato, la protezione dei consumatori e la tutela dei diritti dei consumatori, dei diritti dei gruppi vulnerabili di consumatori e di coloro che vivono in aree remote. In breve, secondo il Consiglio, il testo di compromesso è valido e desidero esprimere il mio sostegno per questa affermazione.
Apprezzo altresì l’intenzione sottesa a certi emendamenti, ma grazie ai confronti nelle precedenti discussioni si è pervenuti a una soluzione finale di compromesso. Siamo pertanto dell’avviso che sia un buon testo e mi auguro che domani diate prova di saggezza politica quando avrete la possibilità definitiva di appoggiare il documento in questione.
Leonard Orban, Membro della Commissione. − (RO) Prima di tutto desidero esprimere i miei ringraziamenti a tutti coloro che hanno partecipato alla discussione e sottolineare che questo dibattito ha dimostrato che i rappresentanti di quest’Assemblea nutrono grande interesse nei confronti di questo fascicolo. Un interesse strettamente legato al ruolo vitale che i servizi postali svolgono nell’economia europea e nella vita quotidiana dei cittadini europei.
Mi permetto di sottolineare che il completamento di questo processo garantirà a tutti i cittadini europei e alla comunità imprenditoriale un servizio universale di altissima qualità.
Il principale obiettivo della riforma postale è avvantaggiare tutti i consumatori e gli utenti dei servizi postali, tra cui gruppi con esigenze specifiche. A questo proposito, ho prestato particolare attenzione ai contributi di vari deputati che hanno chiesto di continuare a offrire gratuitamente il servizio alle persone non vedenti e ipovedenti.
La Commissione europea è particolarmente sensibile a queste preoccupazioni. Riteniamo che la liberalizzazione del mercato non cambierà la situazione e che gli obblighi internazionali continueranno a essere rispettati in toto. Desidero sottolineare che la posizione comune specifica che la liberalizzazione del mercato non impedirà di prestare gratuitamente i servizi ai non vedenti e agli ipovedenti.
In conformità dell’articolo 23 della direttiva, la Commissione europea deve presentare una relazione sull’applicazione della direttiva stessa, comprese informazioni sui gruppi menzionati. La Commissione ritiene che la direttiva, nell’attuale formulazione cui il Parlamento europeo ha contribuito in misura significativa, sia il quadro giuridico più adeguato, che porterà qualità elevata e sostenibilità nel settore dei servizi postali europei, nel rispetto degli obblighi internazionali.
In conclusione, onorevoli deputati, siamo dell’avviso che la relazione, nella versione elaborata dall’onorevole Markus Ferber e adottata in sede di commissione per i trasporti a grande maggioranza, debba essere sostenuta.
Markus Ferber, relatore. − (DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, permettetemi solo qualche osservazione.
Primo, mi farebbe più piacere se i membri di quest’Assemblea che pronunciano discorsi appassionati affinché senta tutto il mondo rimanessero in Aula almeno per il resto della discussione. Mi ha un po’ deluso questo atteggiamento, devo ammettere. Mi riferisco in particolare a deputati come l’onorevole Lichtenberger.
Secondo, devo far presente che qui stiamo discutendo di liberalizzazione e non di privatizzazione. Le questioni di diritto della proprietà degli attuali servizi postali non interessano l’Unione europea e non sono neppure citate nella direttiva.
Terzo, mi permetto di ricordare che 500 anni fa, quando furono introdotti i primi servizi postali, se ne incaricavano imprese private. Solo successivamente i governi decisero che potevano fornirli meglio. Pertanto non facciamo del revisionismo storico, per favore.
Quarto, vorrei rammentare all’Assemblea che anche dei monopoli statali si fa un cattivo uso. Sono lieto che l’onorevole Zimmer abbia richiamato l’attenzione su questo problema. La collega è originaria infatti di una regione in cui lo Stato ha di certo abusato del proprio monopolio postale fino al 1990, a scapito di persone innocenti. È un altro punto che è doveroso chiarire nel presente dibattito.
Vorrei chiarire per bene un punto: nella normativa non abbiamo dimenticato le persone non vedenti. Sono incluse, ma in un modo che si accorda con lo spirito della direttiva in oggetto. Attraverso le sue disposizioni, l’Unione europea sta dicendo agli Stati membri che sono responsabili del servizio universale e del finanziamento degli obblighi del servizio universale, che devono garantire, tramite procedure di concessione licenze e autorizzazioni, il proseguimento nel lungo periodo di determinati servizi, ad esempio dei servizi postali per i non vedenti. Sono molto grato al signor Commissario per aver annunciato che la Commissione intende prendere in considerazione questo problema nella sua relazione ai sensi dell’articolo 23 della direttiva. Non abbiamo dimenticato alcun dettaglio, non abbiamo dimenticato i non vedenti. Nondimeno, mi chiedo perché questi ultimi debbano godere di accesso gratuito garantito dalla normativa europea e invece coloro che usano la sedia a rotelle no. Dovremmo riflettere anche su questo particolare.
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, 31 gennaio 2008.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Accolgo con favore l’adozione, in seconda lettura, della posizione comune del Consiglio che modifica la direttiva del 1997 sui servizi postali relativa al pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari e mi congratulo con il mio prezioso collega tedesco, l’onorevole Markus Ferber, per l’enorme lavoro svolto.
Mi fa piacere che il Consiglio abbia accolto tutti gli aspetti chiave della posizione del Parlamento europeo, in particolare lo spostamento della data generale per l’apertura del mercato al 31 dicembre 2010, con una proroga di due anni per quegli Stati membri che hanno aderito all’Unione nel 2004; il principio di un servizio universale che comprenda almeno una consegna e una raccolta cinque giorni la settimana per ogni cittadino dell’UE, con il mantenimento di un numero sufficiente di punti di accesso nelle regioni rurali, remote o scarsamente popolate; il rispetto della sussidiarietà riguardo a considerazioni sociali, un aspetto su cui mi auguro le parti sociali lavoreranno a livello europeo. Mi spiace che non sia stata inserita la disposizione relativa alla creazione di un meccanismo europeo di regolamentazione. Infine, esprimo l’auspicio che gli operatori raggiungano presto un accordo sull’introduzione di un francobollo europeo per le lettere da 50 grammi, questione in merito alla quale intendo avviare a breve un’iniziativa politica.
Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE), per iscritto. – (RO) La posizione comune soddisfa le richieste avanzate dal Parlamento nelle votazioni in prima lettura, nonché gli emendamenti proposti dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali. La Commissione ha tuttavia fornito una precisa ricerca sull’impatto che la liberalizzazione dei servizi postali potrebbe avere sull’occupazione.
Nel suo parere, la commissione competente ha chiesto una valutazione d’impatto degli effetti di questa misura sugli oltre cinque milioni di posti di lavoro collegati o dipendenti dai servizi postali. Lo studio è facilitato dal fatto che i servizi postali sono già stati liberalizzati in molti Stati membri dell’UE, ad esempio nel Regno Unito, in Svezia e nei Paesi Bassi. Dall’esperienza maturata finora da questi paesi non emerge che l’apertura del mercato abbia comportato un aumento del numero di posti di lavoro nel settore o una qualità migliore.
Ritengo che dovrebbero essere previsti determinati meccanismi di protezione da applicare in situazioni in cui la comparsa sul mercato di nuovi operatori si traduca in licenziamenti massicci. Uno dei dispositivi a disposizione delle società e degli Stati membri interessati potrebbe essere il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione.
Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. – (PL) Signora Presiddente, la strada verso la liberalizzazione dei servizi postali si sta allungando e di ciò è in parte responsabile il Parlamento europeo che ha prorogato la scadenza della Commissione europea di due anni. La posizione assunta dalle delegazioni nazionali riflette la situazione variegata sui mercati dei 27 paesi. Svezia, Regno Unito e Finlandia, quali capifila del mercato aperto, nonché Germania e Paesi Bassi che hanno compiuto un lungo percorso in quella direzione, tutti interpretano il termine finale come una vittoria del protezionismo. Prendendo le mosse dal loro modello di economia controllata dallo Stato, i nuovi Stati membri considerano non solo la proposta originale del 2009 ma anche la data di compromesso del 2011 alla stregua di una minaccia ai posti di lavoro nel settore postale. La Polonia, per esempio, ha circa 100 000 addetti impiegati presso la Poczta Polska, che non è in grado di far fronte alla concorrenza aperta nel medio periodo. Avendo trovato alleati nei servizi pubblici nell’Europa occidentale, in testa a tutti La Poste francese, sono riusciti a negoziare condizioni speciali che in pratica posticipano il mercato libero alla fine del 2012.
In questo caso, gli interessi di categoria dei lavoratori postali hanno prevalso su quelli dei clienti, che sono stati messi a dura prova nel periodo natalizio a dicembre 2007, momento di picco durante il quale il monopolio postale ha pesantemente dimostrato tutta la sua incapacità. Il lento sviluppo che ha caratterizzato la liberalizzazione di questo settore del mercato europeo, processo il cui inizio risale al 1989 con il primo progetto di direttiva, dimostra la forza degli interessi di categoria difendendo lo status quo contro l’ampliamento del pubblico interesse.
Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Abbiamo nuovamente dinanzi a noi una proposta dettata dall’ideologia, e questa volta riguarda i servizi postali. Non si è proceduto ad alcuna valutazione dell’eventuale impatto sociale, né a una seria consultazione con la dirigenza degli uffici postali, con il personale o con i consumatori.
La liberalizzazione dei servizi postali non segue una precisa richiesta, e non ha né logica né giustificazione. La gente non vuole trovarsi di fronte una schiera di uffici postali che si fanno concorrenza e commercializzano i rispettivi prodotti. Gli utenti non vogliono vedere la chiusura dei loro uffici postali locali perché le offerte del mercato non procurano un profitto sufficiente agli operatori postali privati che inonderanno il mercato, mettendo con le spalle al muro imprese pubbliche del calibro di An Post.
Le persone vogliono un servizio postale affidabile che consegni la loro posta senza tanti problemi e che mantenga gli uffici postali locali al centro delle comunità che servono.
Come possono i consumatori considerare con serietà l’idea che l’UE stia promuovendo un’Europa sociale quando la proposta in questione non fa altro che dare loro un altro brutto colpo?
È ora di fermare questa marcia forzata e trascinata dall’ideologia verso la liberalizzazione e la privatizzazione.
Il popolo in Irlanda ha l’opportunità di bloccare tutto questo votando “no” al Trattato di Lisbona.
Katrin Saks (PSE), per iscritto. – (ET) Sono a favore che il mercato venga liberalizzato quanto prima e accolgo con favore la direttiva che completa la creazione del mercato interno dei servizi postali.
In Estonia la chiusura degli uffici postali piccoli ha generato malcontento tra la popolazione, ma è chiaro che con l’introduzione di nuove tecnologie come Internet la domanda di un servizio postale tradizionale subisca una contrazione.
Dove c’è Internet può nascere una nuova impresa che offre servizi che si avvalgono della rete ed è una situazione da accogliere con favore. Comprendo anche la necessità di una scadenza precisa negli Stati membri.
È pertanto importante applicare il principio della reciprocità consentendo agli Stati membri di non aprire il rispettivo mercato agli operatori di servizi postali di Stati vicini tutelati dalla normativa nazionale.
L’aspetto importante è che il servizio postale universale sia anche garantito a tutti, compresi coloro che vivono in aree periferiche o nelle isole. Il servizio postale deve essere abbordabile, di qualità elevata e accessibile a tutti.
Occorre elaborare programmi intesi a un servizio postale universale orientato ai costi, dal momento che il concetto è soggetto a interpretazioni diverse a seconda dello Stato membro. Ritengo che sussistano i motivi per chiedere di escludere le considerazioni relative ai costi di tutti i servizi dall’indicatore del servizio postale universale.
Richard Seeber (PPE-DE), per iscritto. – (DE) La liberalizzazione dei servizi postali nell’UE avverrà, non nel 2009, come previsto in origine, ma nel 2011. In termini economici il settore postale riveste un’enorme importanza e influenza anche altri comparti dell’economia. Come in tutte le altre aree dell’attività economica, una concorrenza più marcata nel campo delle consegne postali è ragionevole. Non saranno solo le imprese a beneficiarne, perché anche i consumatori ne trarranno non poco profitto. Tale situazione sarà tuttavia possibile a patto che le condizioni siano eque. In altre parole, si deve garantire che le lettere saranno consegnate con la stessa efficienza di sempre e a prezzi accessibili. Occorre prestare attenzione affinché l’offerta globale dei servizi postali sia assicurata nel lungo periodo e ovunque, anche nelle aree remote.
Rivestono particolare importanza aspetti quali condizioni di lavoro dignitose e, soprattutto, la sicurezza del posto di lavoro per tutti gli addetti dei servizi postali. È altresì essenziale che le attività degli operatori del settore si svolgano alle stesse condizioni. È stato stabilito con fermezza fin dall’inizio che questa non doveva essere una liberalizzazione spietata.
Dobbiamo creare un contesto valido e sostenibile per ognuno: per gli operatori postali, il loro personale e, ovviamente, i loro clienti.
Esko Seppänen (GUE/NGL), per iscritto. – (FI) L’apertura dei servizi postali alla libera concorrenza comporterà inevitabilmente un peggioramento dei servizi, soprattutto per quanto riguarda paesi scarsamente popolati come la Finlandia. L’ufficio postale dovrebbe essere un servizio pubblico il cui finanziamento adeguato deve essere garantito utilizzando la liquidità incassata attraverso servizi “facili” da gestire per assistere aree che sono più “difficili”. Una nazione che desideri preservare la propria unità e il proprio senso di comunità non privatizzerà i servizi postali pubblici. Ci appoggiamo a un servizio pubblico anche al fine di salvaguardare la protezione della vita privata e garantire il genere di sicurezza richiesto all’ufficio postale. La privatizzazione potrebbe tradursi in un’insana politica di reclutamento, che comprometterà la fiducia nei confronti dell’ufficio postale. Questo è il motivo per cui il mio gruppo non vota a favore della posizione sulla privatizzazione adottata dal Consiglio.
Alexander Stubb (PPE-DE), per iscritto. – (EN) La liberalizzazione dei servizi postali è un’area importante del mercato interno europeo.
Tutte le discussioni al riguardo sono state permeate dalle molte preoccupazioni che nutrivamo riguardo ai servizi postali universali. Ritengo che possiamo basarci sull’esperienza maturata con alcuni mercati postali europei che sono già liberalizzati. Nei paesi dov’è avvenuto questo processo i servizi postali sono stati garantiti al pari della qualità e il comparto è migliorato grazie a una maggiore efficienza delle attività. Al contempo, viaggiando in Europa ho trovato servizi scadenti e lenti in molti paesi che tentano di derogare quanto più possibile dai programmi di liberalizzazione.
Inoltre, la presente relazione lascia molto margine di manovra agli Stati membri per quanto riguarda l’attuazione della liberalizzazione. Molte preoccupazioni che sono state sollevate dovranno essere affrontate dalle autorità nazionali.
Desidero ringraziare l’onorevole Ferber per la perseveranza dimostrata nel trattare questo tema estremamente spinoso.
Iuliu Winkler (PPE-DE), per iscritto. – (RO) La totale liberalizzazione dei servizi postali negli Stati membri avrà un impatto positivo non solo sugli utenti e i consumatori di tali servizi, che beneficeranno di servizi nuovi e innovativi e di tariffe postali inferiori, ma anche sull’economia globale dei vari paesi membri.
La proposta di direttiva che affrontiamo in dibattito è completa nella sua attuale formulazione, che prevede per certi Stati membri una proroga del termine per il completamento del processo di liberalizzazione del mercato dei servizi postali.
La Romania è uno dei paesi che beneficia delle nuove disposizioni adottate dal Parlamento europeo. L’operatore rumeno del servizio universale è in fase di ristrutturazione in base a un calendario fissato dal governo rumeno per il 2007-2010 e i preparativi per la liberalizzazione inizieranno solo successivamente.
Di questa scadenza beneficeranno i consumatori rumeni, in quanto la liberalizzazione del mercato prevista dopo il 1° gennaio 2013 significherà servizi di qualità migliore a un prezzo accessibile.
20. Risultati della Conferenza sul cambiamento climatico (Bali) (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sui risultati della Conferenza di Bali sul cambiamento climatico.
Janez Podobnik, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Sono onorato di essere nuovamente qui oggi e, in qualità di Presidente del Consiglio, di illustrarvi la valutazione dei risultati della Conferenza di Bali sul cambiamento climatico. Mi fa estremo piacere che il Parlamento europeo abbia svolto un ruolo attivo e abbia partecipato al dibattito in materia. Alla Conferenza di Bali era presente una forte delegazione di questo Emiciclo guidata dal Vicepresidente del Parlamento europeo Vidal-Quadras e formata da vari rappresentanti di spicco di quest’Aula.
Desidero anche esprimere il mio sostegno alla vostra commissione sul cambiamento climatico per la prima relazione interlocutoria sul cambiamento climatico. Onorevoli deputati, come sapete, gli ultimi giorni della Conferenza sono trascorsi, per così dire, in un clima elettrizzato e pervaso dall’incertezza. Quando sembrava che i negoziati sarebbero naufragati e che non sarebbe stato possibile raggiungere un accordo, è intervenuto il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon il cui contributo è stato molto prezioso.
Il fatto che le consultazioni siano state prolungate di un giorno e che siano state svolte nel corso delle due ultime notti testimonia la difficoltà della situazione. L’intesa finale è una decisione su una cooperazione a lungo termine nel quadro della convenzione dal titolo “piano di azione di Bali”. Secondo quanto indicato in tale documento, i negoziati verranno avviati già a marzo o aprile ed entro la fine del prossimo anno dovrebbero sfociare in un accordo completo globale su come affrontare il cambiamento climatico successivamente al 2012.
Consentitemi di citare alcuni elementi essenziali di tale accordo: innanzi tutto, la parte relativa alle misure internazionali volte a migliorare, ossia a ridurre le emissioni. Il testo sottolinea che gli sforzi di tutti i paesi sviluppati intesi a questo obiettivo devono essere confrontabili tra loro. Questo significa che la riduzione delle emissioni comprenderà anche gli Stati Uniti d’America. È d’uopo rilevare qui che il piano, a differenza del protocollo di Kyoto per il 2008-2012, non prevede alcun obbligo quantificato.
Il secondo elemento è che i paesi in via di sviluppo contribuiranno alla riduzione delle emissioni nel quadro dello sviluppo sostenibile. È in tale ambito che assume particolare rilevanza l’intervento dei paesi sviluppati, con il trasferimento di tecnologia e aiuti finanziari adeguati. L’azione volta ad attenuare gli effetti del cambiamento climatico comprenderà anche misure e un sostegno fattivo finalizzati a prevenire l’abbattimento e la distruzione delle foreste nei paesi in via di sviluppo, operazioni che contribuiscono in larga misura alle emissioni globali dei gas a effetto serra.
Il terzo elemento consiste in misure di adeguamento più appropriate tese a includere la cooperazione internazionale. Il quarto comprende azioni più mirate per lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie che consentono di procedere all’adattamento nonché di attenuare gli effetti del cambiamento climatico senza sacrificare lo sviluppo economico. Al fine di conseguire questi due ultimi obiettivi occorre garantire ai paesi in via di sviluppo un accesso più facile alle tecnologie rispettose dell’ambiente. Il quinto elemento dell’accordo riguarda la razionalizzazione dei finanziamenti e degli investimenti sul versante della lotta al cambiamento climatico; questo prevede l’assistenza ai paesi in via di sviluppo per attuare le misure nazionali finalizzate all’attenuazione e all’adattamento al cambiamento climatico.
Si svolgeranno altri negoziati sotto gli auspici di un gruppo di lavoro ad hoc istituito di recente per la cooperazione a lungo termine nel quadro della convenzione; quest’anno sono già in programma quattro incontri. Il processo negoziale sarà intenso e richiederà non pochi sforzi da parte dei negoziatori. Le attuali consultazioni sugli obblighi successivi al 2012 incombenti ai paesi industrializzati che hanno firmato il protocollo di Kyoto proseguiranno e dovrebbero concludersi entro la fine del prossimo anno. Si svolgeranno in parallelo con i negoziati nel quadro del piano di azione di Bali.
Riteniamo che le decisioni adottate alla Conferenza di Bali siano appropriate; contengono gli elementi essenziali per i quali nell’Unione europea ci stiamo battendo. Tra i risultati di maggiore rilievo spicca senz’altro l’impegno di tutti i paesi, industrializzati e in via di sviluppo, nella lotta comune volta alla riduzione delle emissioni. Riconosciamo la parità dell’adattamento inclusivo. Auspichiamo che il piano di azione di Bali elimini l’impasse che grava sul trasferimento a paesi in via di sviluppo di tecnologie rispettose del clima.
Onorevoli deputati, la Conferenza ci ha offerto un ampio quadro per proseguire con i negoziati. Il compromesso in questione è, in qualche modo, il massimo cui si poteva pervenire considerata l’attuale situazione dell’intesa globale. Le future consultazioni saranno molto impegnative da un punto di vista tecnico e politico. Riteniamo che sortiranno un risultato positivo se riusciamo a mantenere la tendenza emersa nell’ultimo anno, in cui il cambiamento climatico è un tema che ha acquisito sempre più priorità nell’agenda politica.
Per raggiungere un accordo internazionale efficace ci occorreranno perseveranza e pazienza nonché una buona dose di volontà politica. Talvolta, le misure più necessarie sono le ultime a essere accettate.
Stavros Dimas, Membro della Commissione. − (EL) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero innanzi tutto ringraziarvi per l’opportunità di discutere dei risultati della conferenza sul cambiamento climatico svoltasi a Bali alla fine dello scorso anno e dei piani sugli interventi da intraprendere una volta raggiunto l’accordo sull’avvio dei negoziati.
Prima di tutto, voglio esprimere la mia ammirazione per il ruolo attivo svolto dal Parlamento europeo e per il sostegno offerto, prima e durante la conferenza. I contatti e gli incontri avuti con la vostra delegazione per tutta la durata della conferenza si sono rivelati estremamente preziosi. Desidero sottolineare in particolare la funzione estremamente importante del Parlamento europeo nel fornire informazioni a funzionari di altri paesi. Il sostegno reciproco è senza dubbio per noi fondamentale per comunicare e divulgare più diffusamente la posizione dell’UE, un elemento determinante per mantenere la nostra leadership. Questo è stato particolarmente utile a Bali e acquisirà sempre più rilevanza nei prossimi due anni.
Per quanto riguarda i risultati in sé raggiunti a Bali, comincerò dicendo che la conferenza è stata un successo senza pari, dal momento che sin dall’inizio dei negoziati tutti i paesi importanti sono giunti a un accordo sul cambiamento climatico per il periodo successivo al 2012. L’accordo sarà finalizzato nel 2009 e coprirà tutti gli elementi fondamentali cui l’UE ha teso con determinazione.
Disponiamo quindi di una base e di uno slancio oltremodo necessario per avviare i negoziati in modo da raggiungere un’intesa sul cambiamento climatico. Il nostro obiettivo è un accordo che comporti una drastica riduzione delle emissioni globali, in una prima fase entro il 2020, con successivi tagli di entità ancora maggiore. Siamo pertanto soddisfatti del risultato complessivo ottenuto, che è totalmente in linea con i nostri obiettivi comuni per Bali.
La partecipazione degli Stati Uniti alle discussioni di Bali indica chiaramente la loro intenzione di svolgere un ruolo attivo nelle consultazioni.
Non è importante solo la decisione di Bali, tuttavia, ma anche l’accento posto per la prima volta sulla necessità che i paesi in via di sviluppo intraprendano misure attive.
Il ruolo di guida, per non dire di mediazione, assunto dall’UE unito al contributo costruttivo e puntuale di certi paesi in via di sviluppo quali il Basile e il Sudafrica, sono stati di cruciale importanza nel cammino verso questo risultato. D’ora in poi, il nostro obiettivo è raggiungere un accordo per il futuro quadro sul cambiamento climatico in occasione della Conferenza delle parti che si terrà nel 2009 a Copenaghen. Ovviamente, miriamo anche a basare i nostri traguardi ambiziosi su dati scientifici.
Non lasciamoci ingannare: la strada per Copenaghen sarà lunga e irta di difficoltà. Soprattutto, l’UE deve continuare a svolgere un ruolo di guida, come ha fatto egregiamente nel caso dei preparativi per la Conferenza di Bali; nella fase di preparazione della conferenza ha messo le carte sul tavolo, ci ha mostrato la rotta da seguire e ha convinto gli altri riguardo alle sue posizioni prima che iniziasse la conferenza principale. L’UE ha inciso in misura significativa sul risultato positivo dell’incontro. Dobbiamo tenere ben chiaro in mente questo quando pensiamo all’appuntamento di Copenaghen.
Le proposte della Commissione accolte la scorsa settimana relative al pacchetto di misure sul clima e sulle fonti di energia rinnovabili fanno esattamente questo; comprovano che l’UE è determinata a compiere progressi. Faccio affidamento sul vostro sostegno e sulla vostra risolutezza nell’ambito della procedura legislativa appena avviata affinché il pacchetto di misure sia approvato prima della fine dell’attuale mandato parlamentare e ben prima di Copenaghen. Nel prossimi due anni dobbiamo fare in modo di non allentare la notevole pressione politica esercitata in questo caso, in quanto si è dimostrata straordinariamente preziosa nel 2007. Si devono sfruttare al meglio tutte le opportunità al fine di garantire sempre lo stesso grado di attenzione riguardo a questo tema, sia a livello europeo che, aspetto ancora più importante, a livello internazionale.
Se è nostra intenzione raggiungere un accordo prima della fine del 2009, dovremo chiaramente lavorare più a stretto contatto e con un impronta ancor più strategica con i nostri principali partner. Questo vale soprattutto per i nostri partner dei paesi sviluppati, perché dobbiamo far sì che manifestino una volontà più forte nel compiere progressi più decisi verso una drastica riduzione delle emissioni. In assenza di tali sforzi sappiamo che sarà ovviamente difficile persuadere i paesi sviluppati a impegnarsi per altri interventi. Dobbiamo quindi ricorrere a tutte le sedi internazionali disponibili, tra cui i vertici del G8, gli incontri tra le principali economie e i dialoghi bilaterali, al fine di garantire e consolidare il loro accordo nonché di guidarli con fermezza in questa direzione.
Tutti noi sappiamo che sarà compito arduo convincere alcuni partner. Gli Stati Uniti sono ancora molto restii. D’altronde, siamo anche consapevoli che i progressi si compiono a livello di Stato, negli ambienti imprenditoriali e, più in generale, nel modo in cui l’opinione pubblica percepisce il problema. Il cambiamento climatico è già al centro del dibattito politico, come possiamo osservare nelle attuali primarie presidenziali americane:
Il clima e l’energia figureranno tra gli argomenti prioritari nell’agenda del vertice del G8 di quest’anno presieduto dal Giappone. Ci si attende che questo paese non solo contribuisca annunciando un piano programmatico importante e significativo, ma che offra anche valide opportunità da utilizzare per lo scambio di punti di vista con i nostri partner delle nazioni industrializzate. Al momento il Giappone è teatro di un vivace dibattito sul cambiamento climatico. Cogliamo questa opportunità per avvicinare i nostri partner e per dimostrare che gli obiettivi ambiziosi che ci poniamo non sono in contrasto con lo sviluppo economico o la competitività.
Vorrei soffermarmi sullo svolgimento parallelo delle azioni. L’ONU rimarrà chiaramente la principale sede negoziale per un accordo sul cambiamento climatico per il periodo successivo al 2012, momento in cui sarà necessario raggiungere un’intesa finale. Più nello specifico, tenendo presente le modeste risorse e i limitati strumenti di cui disponiamo, nonché del periodo di tempo estremamente breve che ci rimane, dobbiamo garantire un uso strategico di tutti questi forum internazionali e dei piani d’azione al fine di sostenere e integrare il piano d’azione dell’ONU senza pregiudicare il benché minimo aspetto. Semplicemente non possiamo permetterci di raddoppiare gli sforzi o di perdere tempo quando il piano d’azione dell’ONU si è già in qualche modo sviluppato.
Dobbiamo altresì lavorare più a stretto contatto con i nostri partner dei paesi in via di sviluppo onde pianificare con cura la loro partecipazione e il loro contributo a un futuro accordo. Come è emerso con chiarezza anche a Bali, la questione dello sviluppo sarà al centro dei negoziati, questo perché la nostra principale sfida consisterà nell’instaurare una fiducia reciproca. I paesi in via di sviluppo, sia quelli più progrediti che quelli meno, sono disposti ad agire. Interverranno a condizione che i paesi sviluppati rispettino i loro impegni, vecchi e nuovi, di ridurre le emissioni. I paesi industrializzati devono anche permettere ai paesi in via di sviluppo di accedere alla tecnologia o, più in generale, ai finanziamenti.
In quest’ottica, dobbiamo collaborare a stretto contatto con le economie emergenti onde trovare la migliore combinazione di metodi e incentivi per assicurare che tali economie contribuiscano in misura abbastanza ambiziosa, cosa che porterà a sforzi anche più incisivi da parte loro dopo il 2020. La cooperazione e il dialogo bilaterali con paesi del calibro di Cina e India saranno di cruciale importanza.
Infine, vorrei sottolineare che il pacchetto di misure sul clima e sull’energia testimonia la nostra determinazione nel passare dalle parole ai fatti; dimostra anche che si può fare con in modo leale ed economicamente efficace, consentendo a tutti di uscirne vincitori. Questo, ritengo, è la scelta migliore per influenzare positivamente i nostri partner.
Karl-Heinz Florenz, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, il suo gruppo ha dato ottima prova di sé a Bali. Ha lavorato fino all’esaurimento e pertanto le chiedo di esprimere questi ringraziamenti ai suoi collaboratori. In quanto patriota europeo, credo che il reale successo di Bali risieda nelle decisioni determinanti adottate dall’Unione europea lo scorso marzo a favore delle triplici riduzioni del 20% che costituiscono la base sui cui condurremo le nostre vite negli anni a venire.
Non è mia intenzione dilungarmi sui vari risultati positivi conseguiti a Bali, perché senza dubbio se ne occuperanno i miei colleghi. Sono lieto che, oltre a registrare sviluppi con gli Stati Uniti, siamo anche stati in grado di garantire, in aggiunta ai 38 paesi che avevano già firmato il protocollo di Kyoto, i paesi del G77 più prossimi a siglarlo si sono impegnati ad agire in qualche modo anziché lamentare costantemente il fatto che ogni governo attende di vedere quando intervengono gli altri. Questo gioco del gatto con il topo è finito. Questa apertura, detto per inciso, non sarebbe stata possibile senza il contributo degli Stati Uniti.
Permettetemi, signor Commissario e signor Presidente in carica del Consiglio, solo di aggiungere qualche parola su aspetti che affronteremo nel presente dibattito. Abbiamo appreso a Bali che il nostro approccio è miope se limitiamo le nostre discussioni al CO2. Sono dell’avviso che dobbiamo sviluppare una maggiore sensibilità nei confronti del dibattito sulla sostenibilità ed è ormai evidente che ci troviamo di fronte a qualcosa di più di una crisi legata al clima, dobbiamo infatti confrontarci con una crisi delle materie prime, ma anche questo aspetto può essere trasformato in un vantaggio.
Ritengo che dobbiamo instaurare un legame ben più stretto tra il concetto di sostenibilità e i nostri obiettivi in questo ambito al fine di rafforzare la nostra presa di coscienza in merito. Questo mi porta, ovviamente, a rivolgermi al Consiglio, signor Presidente in carica. Osserviamo che i nostri Stati membri stanno già iniziando a tentennare riguardo agli obiettivi 20/20/20 e a cercare di muovere mari e monti per evitare di doverli rispettare. Credo che lei si trovi dinanzi alla sfida straordinariamente impegnativa di conseguire, insieme a noi, questi obiettivi, perché quando tutta la faccenda si sposta a Poznań e successivamente in un altro paese del nord, non dovremo cedere. Mi auguro che la Commissione e il Parlamento fungano da garanti riguardo ai prossimi progressi in questo contesto.
Guido Sacconi, a nome del gruppo PSE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi dico subito che sono molto d’accordo con quanto hanno detto poco fa il Ministro Podobnik e il Commissario Dimas, con i quali ci vediamo sempre più frequentemente e fra poco potremo parlare perfino a cenni, senza parlare e senza interpreti, perché mi pare ci comprendiamo molto bene.
Sono d’accordo anche per quanto dicevano circa il fatto che la responsabilità accresciuta dell’Unione europea in corso della Conferenza di Bali ci impone di fare la nostra parte con coerenza ancora maggiore di quanto abbiamo fatto finora. Però oggi discutiamo di Bali e su questo bisogna soffermarsi, anche perché domani noi adotteremo una risoluzione che mi pare ben calibrata.
Il giudizio più azzeccato che ho sentito dopo Bali è quello che ho letto aver espresso il signor de Boer, che come sapete è il direttore esecutivo della Convenzione quadro, il quale ha parlato della caduta del “muro di Berlino del clima”. A me pare molto appropriato perché a Bali, come è stato ricordato, prima di tutto si è decisa la road map verso Copenaghen, con tappe e cornici sufficientemente precise. Si è – e questo lo voglio sottolineare – toccato concretamente, e anche prima del 2012, il tema dell’adattamento anche con un aumento dei finanziamenti. Si è parlato concretamente di trasferimento tecnologico, si è inserito il tema della deforestazione ma, soprattutto – e questa per me è la cosa più importante e promettente – si è di fatto superata la barriera – ecco il “muro di Berlino” – dell’allegato I, fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo in un mondo che è cambiato, in cui una buona parte di quelli che erano i paesi in via di sviluppo ora conoscono una crescita impetuosa.
Insomma, il gioco del cerino tra USA, India e Cina, per non fare niente, diciamo così è stato svelato, e per questo si è aperto uno scenario nel quale un negoziato difficile, certamente difficile, ha però di fronte una prospettiva di successo davvero importante.
Chris Davies, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, ritengo che il signor Ministro abbia ragione quando afferma che possiamo essere soddisfatti dell’accordo e possiamo congratularci con coloro che ne sono i fautori.
Non sottovaluto le difficoltà che costelleranno il cammino da qui all’incontro di Copenaghen nel 2009; oltre a vari problemi, tra cui la questione delle foreste pluviali e il trasferimento di tecnologia, il percorso è irto di ogni tipo di ostacolo.
Dobbiamo anche essere consci del fatto che il cambiamento climatico avverrà in ogni caso, a prescindere dai risultati di questi negoziati. Domenica mi trovavo a Liverpool per la celebrazione del Giorno della memoria e mi chiedevo come l’Europa, di come il nostro popolo, di come i nostri politici reagiranno mentre miliardi di persone nel mondo si trovano in situazioni di grave scarsità idrica, con sempre più spostamenti, flussi migratori sempre più massicci nel pianeta? Quale genere di reazione ci sarà? Quanto fanatismo verrà scatenato da questa inevitabile conseguenza?
Dobbiamo fare cosa possiamo. Nutro grandi speranze nel sistema di scambio delle quote di emissione. Ritengo stia funzionando sempre meglio e penso che il sistema dei permessi di emissione negoziabili ci permetta di affrontare davvero il problema di un’enorme proporzione dei gas. Anche la tecnologia migliora e viene stimolata. Questo pomeriggio ho avuto un incontro fantastico sulla riduzione di CO2 prodotto dalle vetture, dove lo slancio impresso dall’introduzione della normativa sembra già apportare un cambiamento negli atteggiamenti e schiudere nuove opportunità. Forse possiamo effettivamente conseguire quegli obiettivi senza ricorrere ai biocombustibili. Possiamo utilizzare quelli nelle centrali elettriche.
La questione della cattura e dello stoccaggio del carbonio (CCS): sono davvero dell’opinione che potremmo porci obiettivi più ambiziosi. Penso che potremmo anticipare di, forse, tre o quattro anni e cercare di elaborare e avviare programmi realistici ben prima del 2020.
Dal Vertice europeo di questa primavera dobbiamo ottenere alcuni precisi impegni da parte dei governi. Tuttavia, anche al Vertice europeo direi: energia rinnovabile e risparmio energetico. Penso esistano immense probabilità per i governi di sfuggire, di non mantener fede agli impegni presi, di trovare difficile da un punto di vista politico attuare i necessari cambiamenti istituzionali, e credo che la Commissione debba esercitare quanta più pressione possibile e adottare una politica di esplicita denuncia, escogitare nuovi meccanismi nonché garantire che gli Stati membri mantengano gli obiettivi ora concordati.
Mirosław Mariusz Piotrowski, a nome del gruppo UEN. – (PL) I cambiamenti climatici hanno accompagnato la razza umana lungo tutta la sua storia. Secondo vari eminenti scienziati, tuttavia, l’influenza dell’uomo su questi fenomeni non è rilevante. Questa tesi è espressa, per esempio, nella lettera aperta pervenuta al Segretario generale delle Nazioni Unite da parte di un centinaio di studiosi di tutto il mondo. La Commissione europea sembra ignorare del tutto questo aspetto del problema, e anziché intervenire al fine di attenuare i fattori che contribuiscono al riscaldamento globale, lotta contro elementi che nulla hanno a che vedere con l’attività dell’uomo.
La Commissione tenta ora di caricare costi enormi sulle spalle dei cittadini europei per un’azione che ha tirato fuori dal regno della fantascienza, in realtà più finzione che scienza. Secondo stime preliminari, ogni famiglia pagherà in media più di 50 euro al mese per questo progetto, i cui risultati saranno forse percepibili tra un secolo. Il risultato tangibile, tuttavia, sarà un peggioramento delle economie dei nuovi Stati membri nell’arco dei prossimi due o tre anni. Una riduzione drastica delle emissioni di CO2 innescherà, per esempio, una pesante flessione in Polonia, che deriva la sua energia principalmente dal carbone.
Se le istituzioni dell’Unione europea vogliono adottare un approccio pratico alla riduzione del CO2, devono cominciare da loro stessi. Mi permetto di far presente che nell’atmosfera vengono emesse ogni anno 20 000 tonnellate di biossido di carbonio unicamente quale risultato degli inutili spostamenti per presenziare alle sessioni di Strasburgo.
Satu Hassi, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FI) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la Conferenza di Bali sul clima si è rivelata un successo e possiamo essere orgogliosi del ruolo svolto dall’UE in quella sede. I colloqui sul futuro di Kyoto sono ufficialmente iniziati e tutti i temi essenziali sono sul tavolo. Non uno solo è stato tralasciato. Gli Stati Uniti non sono pertanto riusciti e limitare le future consultazioni, che sono destinate a essere irte di difficoltà, come hanno detto gli oratori di quest’Aula.
Il principale messaggio che ora tuttavia l’Europa può inviare al mondo è legato alla nostra politica in materia di clima. Il miglior modo per accelerare il complicato processo internazionale è per noi adottare normative ambiziose in materia di scambio di quote di emissione, energia rinnovabile ed efficienza energetica.
Sono lieto che la scorsa settimana la Commissione abbia interpretato la protezione del clima come un’alternativa economica positiva – la nuova rivoluzione industriale. Per il nostro futuro economico è di cruciale importanza capire come possiamo rimanere all’avanguardia riguardo allo sviluppo di una nuova tecnologia energetica pulita.
Dobbiamo anche comprendere che il vero nodo gordiano per quanto attiene ai negoziati internazionali sul clima è l’imparzialità. Il pianeta può essere salvato solo a patto che i grandi paesi in via di sviluppo, quali Cina e India, limitino a loro volta le emissioni che generano. Per persuaderli ad accettare questo concetto devono avere la sensazione che qualsiasi soluzione negoziata è equa. Dobbiamo prepararci a indennizzare, in un modo o nell’altro i paesi in via di sviluppo a causa del fatto che le nostre emissioni pro capite sono molto maggiori di quelle generate nei paesi in via di sviluppo.
Dimitrios Papadimoulis, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signora Presidente, signor Commissario, il compromesso dell’ultimo minuto raggiunto a Bali ci ha consentito di guardare a Copenaghen e al 2009; ha anche rivelato le forze dell’opposizione che pregiudicheranno l’intesa necessaria. Fino ad allora l’UE deve rimanere alla guida, impegnandosi per un più ampio accordo in base a precisi impegni ambiziosi e a una tabella di marcia. I vantaggi che discenderanno da un simile accordo supereranno di gran lunga il costo economico.
Il gruppo, nonché la risoluzione del novembre 2007 del Parlamento europeo, definisce obiettivi più ambiziosi e vincolanti di quelli presentati dalla Commissione qualche giorno fa, concernenti sia l’UE che gli Stati membri; il mio gruppo aspira a un’assistenza più generosa nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Solo un avvertimento, signor Commissario: la tradizionale lobby industriale ha già iniziato a influenzare la proposta della Commissione e, al tempo stesso, la lobby del settore nucleare, come un lupo vestito da agnello ecologico, tenta di sostituire le fonti rinnovabili di energia con quelle nucleari. Stia in guardia da questi tentativi.
Johannes Blokland, a nome del gruppo IND/DEM Group. – (NL) Signora Presidente, l’Unione europea è andata a Bali piena di buone intenzioni e decisa a ottenere il miglior risultato possibile. Non ha realizzato nulla di quanto si era prefissata, ma sono ancora ottimista.
Innanzi tutto sono, ovviamente, lieto che tutti i paesi che hanno partecipato siano stati in grado di sottoscrivere il piano d’azione di Bali e che i negoziati possano avviarsi. È un peccato che il testo finale del piano d’azione non abbia previsto alcuna norma specifica sulle emissioni, tuttavia sono stati compiuti progressi in altri ambiti, come la creazione di un programma volto ad affrontare il grave problema della deforestazione. Proprio la scorsa settimana sono state pubblicate relazioni più allarmanti sulla deforestazione in Brasile. È anche un fattore positivo che i paesi occidentali debbano fornire maggiore assistenza ai paesi in via di sviluppo riguardo all’impiego delle tecnologie sostenibili.
Infine, un problema che non è stato risolto è quello delle emissioni di gas a effetto serra generate dal trasporto marittimo. La complessa natura di questo settore altamente inquinante impone l’adozione di un approccio globale. Si deve esercitare pressione sull’OMI affinché formuli quanto prima una politica efficace. Signor Commissario, le posso garantire che sosterremo il vostro approccio.
Roger Helmer (NI). – (EN) Signora Presidente, se non sbaglio, nella giornata che ha segnato l’avvio della Conferenza di Bali sul clima il numero di aerei privati era così elevato che l’aeroporto locale aveva esaurito lo spazio a disposizione. Pertanto i nostri risultati erano ben distanti dalle nostre aspirazioni.
L’incontro di Bali avrebbe dovuto spianare la strada per un’intesa post-Kyoto, ma Kyoto stesso si è rivelato un fallimento. Non solo non siamo riusciti a ottenere che alcuni dei maggiori responsabili delle emissioni a livello mondiale si assumessero un impegno, ma qui in Europa solo un gruppo ristretto di Stati membri rispetterà effettivamente gli obblighi di Kyoto. In realtà, gli Stati Uniti, che denigriamo per non aver ratificato il protocollo, si stanno comportando meglio dell’UE in termini di tendenze riguardo alle emissioni. A Bali abbiamo concordato un po’ più che continuare a parlare nei nostri tentativi di sostituire un trattato sul clima non riuscito con un altro.
Vorrei che fossimo meno preoccupati dei cambiamenti climatici e più della sicurezza energetica. Sprechiamo meno parole su centrali eoliche ed emissioni delle vetture e soffermiamoci di più su investimenti nel nucleare che genera capacità e negli inceneritori dove si trasformano i rifiuti in energia.
Romana Jordan Cizelj (PPE-DE). – (SL) Sono dell’avviso che la risoluzione elaborata dalla commissione sul cambiamento climatico rifletta le decisioni essenziali dei negoziati di Bali nonché il parere del Parlamento europeo. La mia valutazione riguardo alla tabella di marcia di Bali, ossia la scadenza per la conclusione dell’accordo per il periodo successivo al 2012, è molto positiva. Solo un preciso piano di lavoro può garantire la continuità una volta scaduto il protocollo di Kyoto, per il quale quest’Assemblea si è costantemente battuta.
Mi fa piacere che anche i paesi in via di sviluppo si siano fatti carico di parte della responsabilità di ridurre le emissioni di CO2 e si siano impegnati riguardo a uno sviluppo sostenibile. Questo significa, ovviamente, una cooperazione internazionale rafforzata nel campo delle risorse finanziarie e umane. Mi auguro vivamente che i meccanismi esistenti e attualmente applicati in Europa, quale il mercato del carbonio, vengano tradotti con successo a livello internazionale. Dobbiamo tuttavia semplificarli ed evitare che diventino un fardello burocratico sproporzionato rispetto ai loro potenziali vantaggi. Solo in questo modo possiamo pensare di riuscire a realizzare gli obiettivi fissati.
Interpreto l’attuale situazione soprattutto come un’opportunità. A mio avviso lo sviluppo sostenibile ed efficace dipende principalmente da un potenziamento delle capacità di ricerca. Ad esempio, gli investimenti globali nella ricerca nel campo dell’approvvigionamento energetico sono stati ridotti del 40% dagli anni ottanta. La situazione nell’Unione europea non è molto più rosea. Ci occorrono più fondi e più risorse umane preparate e creative. Mi congratulo con i negoziatori dell’Unione europea e spero che, in futuro, saremo sempre rappresentati da figure così tenaci, acute e di successo. Infine, vorrei aggiungere che, di norma, quando si tratta di cambiamento climatico tutti gli occhi sono puntati verso i politici, ma l’azione in questo ambito non coinvolge solo i politici. È tempo di una reazione concreta da parte dell’industria, degli imprenditori e dei ricercatori.
Elisa Ferreira (PSE). – (PT) Nella risoluzione da votare domani, il Parlamento riconosce l’importanza politica della Conferenza di Bali. Le conoscenze scientifiche hanno indotto il mondo politico a voler intervenire ed entro il 2009 tutti i paesi, industrializzati emergenti o in via di sviluppo che siano, si impegneranno a contrastare i cambiamenti climatici con obiettivi diversi ma specifici.
A differenza di alcuni colleghi, mi sarebbe piaciuto vedere un maggior coinvolgimento da parte di certi partner, in particolare gli Stati Uniti, sia a Bali che a Kyoto. L’aspetto positivo, tuttavia, è che Bali ha rimediato a una serie di lacune di Kyoto quali la gestione delle foreste, la necessità di sostenere l’adeguamento soprattutto dei paesi più poveri, il ruolo della tecnologia e l’estensione delle responsabilità in fatto di clima alle economie di solito non annoverate tra quelle sviluppate.
Il ruolo di guida assunto dall’Europa era inequivocabile e la presente risoluzione dimostra che il Parlamento intende creare le condizioni che consentiranno all’Europa di assumere impegni anche più ambiziosi. Il programma di lavoro è arduo e quest’Assembla è disposta ad affrontarlo.
A tale proposito e a titolo personale, mi congratulo con la Commissione per la serie di decisioni adottate in data 23 gennaio. Tradurre la volontà politica in strumenti programmatici conferisce credibilità all’Unione europea. Saranno necessarie non poche analisi dettagliate, ma la quantificazione degli obiettivi in materia di energia rinnovabile, il chiarimento dei criteri di sostenibilità per i biocarburanti e il riesame degli strumenti finanziari legati al clima sono, ad esempio, compiti ben accetti. Personalmente, sono a favore del passaggio da un approccio nazionale a uno settoriale per quanto attiene il sistema di scambio di quote di emissione, anche se ritengo che si debba rafforzare prima del 2009 la sua compatibilità con la competitività europea affrontando quindi il problema con urgenza. Lo sviluppo del sistema di scambio di quote di emissione al livello internazionale, basato su accordi per i principali settori tra i più importanti produttori del mondo, potrebbe essere una soluzione da esplorare.
Holger Krahmer (ALDE). – (DE) Signora Presidente, se volgiamo lo sguardo alla Conferenza di Bali, non possiamo giungere ad altra conclusione se non che si è trattato della più grande, della più costosa e della più complessa conferenza sul clima mai svoltasi e che in realtà ha ottenuto solo un risultato, ossia un accordo sul proseguimento dei negoziati. Se dobbiamo dire la verità, non ne è scaturito nulla di più.
Una valutazione onesta degli strascichi di Bali ci impone di analizzare l’incontro nel modo seguente: innanzi tutto, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) è riuscito a persuadere gran parte dell’opinione pubblica a livello mondiale con gli scenari che ha tracciato riguardo alle tendenze del clima, ma non è stato affatto convincente sulle conclusioni da trarre dall’attuale situazione; in secondo luogo, mentre l’Europa avanza a spron battuto per conto suo, la comunità non dà segni incoraggianti di voler aderire ad accordi vincolanti sulle riduzioni di CO2. Questo atteggiamento riguarda non solo gli Stati Uniti, ma anche il Giappone, il Canada, l’Australia e molti altri paesi. Da un’occhiata ai quattro candidati rimasti che ancora hanno una possibilità realistica di andare alla Casa Bianca emerge piuttosto chiaramente che non esiste in pratica alcuna speranza per un impegno a un processo ONU nel campo della politica in materia di clima.
Noi – e con questo intendo l’UE – dovremmo riconsiderare la nostra strategia. Che cosa accadrà se la conferenza di Copenaghen del 2009 sarà un fiasco? Esistono alternative redditizie a un accordo internazionale, quali il trasferimento di tecnologia, un sistema decente di incentivi volti a proteggere le foreste pluviali tropicali, la cattura e lo stoccaggio del carbonio nonché lo sviluppo dell’energia nucleare. Alla fine la legge di mercato della scarsità di risorse indurrà persino gli Stati Uniti e la Cina a risparmiare energia e a evitare le emissioni di CO2. La nuova rivoluzione industriale arriverà quando aumenterà il prezzo del petrolio. Non abbiamo bisogno di forzarla attuando una serie di leggi.
Madeleine Jouye de Grandmaison (GUE/NGL). – (FR) Signora Presidente, la Conferenza di Bali ci ha ricordato che il riscaldamento globale è una sfida allo sviluppo. Il pericolo è che il riscaldamento globale acuirà la disparità tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, con questi ultimi che saranno senza dubbio i più colpiti dall’impatto del cambiamento climatico. È un discorso che vale soprattutto per le isole, che sono vulnerabili sotto vari aspetti, in particolare ai cicloni e all’innalzamento del livello del mare. Sono pertanto dell’avviso che occorra attribuire priorità agli aiuti a questi paesi per l’adeguamento e il trasferimento di tecnologie appropriate.
L’azione contro il cambiamento climatico è imprescindibile dalla riduzione della povertà e dal conseguimenti degli obiettivi del Millennio. Ritengo che sia il modo migliore per ottenere il sostegno del gruppo dei G77. Se vogliamo che il cammino verso l’appuntamento del 2009 a Copenaghen sia costellato di successi e che si aggiungano tappe alla modesta tabella di marcia tracciata a Bali, è assolutamente essenziale compiere progressi con i paesi in via di sviluppo. Vedo che l’Unione ha prestato attenzione a questo aspetto, il che è da accogliere con favore, ma vorrei che si ponesse particolarmente in rilievo il problema delle isole.
Irena Belohorská (NI). – (SK) Molte grazie, signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la tabella di marcia di Bali stabilita alla conferenza internazionale e il Fondo di adeguamento di recente istituzione obbligano l’Unione europea ad assumere un ruolo di guida.
L’Unione europea deve tuttavia esaminare realisticamente e valutare il livello di riduzione tollerabile. La proposta di tagliare le emissioni entro il 2020 tra il 25% e il 40% rispetto ai livelli del 1990, o addirittura del 50% entro il 2050, mi sembra infarcita di numeri casuali senza sapere effettivamente di quale entità possano essere tali riduzioni. È una lotteria di percentuali: un gioco irrealistico e non premeditato di pescare i numeri da un cappello. Inoltre, a meno che non partecipino gli USA, la Cina e l’India, non uno degli sfrozi dell’UE sortirà l’effetto desiderato dal momento che non possiamo risolvere un problema globale da soli.
Se la posta in gioco è troppo alta, un paese non riuscirà a realizzare l’obiettivo, poi un altro non sarà in grado di rispettarlo e alla fine ci renderemo conto che nessuno di noi ce l’ha fatta. Date queste premesse, mi permetto di dire che se siamo meno ambiziosi ma realistici sulla riduzione delle emissioni, giungeremo a una soluzione razionale. Basterebbe osservare in quale modo l’Unione europea possa rispettare gli obiettivi posti dal Trattato di Lisbona.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, i critici dei mezzi di informazione hanno etichettato la COP di Bali come “colloqui all’insegna dell’abbronzatura”. Tuttavia, avendo presenziato alle ultime cinque sessioni della COP, secondo me Bali è stata efficace. È stata elaborata una tabella di marcia di due anni che fornisce percorsi negoziali affinché tutti i paesi rispondano alla sfida del clima.
Naturalmente è un peccato dover ammettere che non esiste ancora un obiettivo globale vincolante e che siamo ancora in corsa da soli. Ma almeno esiste la possibilità teorica che entro due anni disporremo di un fronte più ampio rispetto a solo un quarto dei responsabili delle emissioni.
Non molto dopo i risultati di Bali, qualche fiducioso ha già sollevato la domanda per sapere se questo ora significa che automaticamente il fronte è abbastanza esteso per raggiungere il 30% di riduzioni, come convenuto al Vertice di marzo, a patto che l’UE non agisca da sola.
La risposta, tuttavia, è “non ancora”, dettata non solo da ragioni economiche, ma anche di carattere ambientale. Per l’UE è politicamente importante assumere la leadership, nella speranza che gli altri si accodino, ma il nostro sforzo unilaterale, quale è ancora oggi, indebolisce la nostra competitività sui mercati globali avvantaggiando chi inquina.
Si chiama rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, come ho avuto modo di sottolineare più volte. Il capitale globale si sposterà semplicemente dove le emissioni di CO2 non comportano alcun costo. Un trasferimento dell’inquinamento non è sinonimo di riduzione.
Una politica unilaterale in materia di clima colpisce pesantemente le industrie a elevata intensità di occupazione ed energia e così il principio “chi inquina paga” si trasforma in una politica del tipo “chi inquina vince” o “chi inquina si sposta”. Per fortuna la Commissione ha compreso questo rischio, come lei, Commissario Dimas, ha fatto presente poc’anzi, cosa per la quale ringrazio. Come ha affermato di recente il Commissario Verheugen, descrivendo i pericoli insiti nelle riduzioni unilaterali: “Esportiamo inquinamento e importiamo disoccupazione. Non è una cosa stupida?”
Ha ragione. Perciò dobbiamo ideare un meccanismo basato davvero sul mercato globale e ritengo che trovare l’equilibrio di questo problema triangolare formato da approvvigionamento di energia, sensibilità ambientale e mantenimento della competitività globale delle industrie per occupare la nostra forza lavoro, sia la priorità chiave per un pacchetto sul clima di recente pubblicazione.
Riitta Myller (PSE). – (FI) Signora Presidente, il risultato migliore dei colloqui di Bali è stato l’avvio dei negoziati internazionali su un accordo post-Kyoto. Altro aspetto importante è stata la fissazione di una scadenza, ossia Copenaghen 2009.
Alcuni in questa sede hanno manifestato sorpresa vedendo le percentuali che l’Unione europea ha proposto nell’accordo di Bali. Sono gli stessi dati che il gruppo IPCC ha riportato nelle sue valutazioni e che indicano di quanto dobbiamo ridurre le emissioni qui in Europa, e a livello mondiale, per riuscire a gestire il cambiamento climatico senza sacrifici troppo pesanti. In meno di due anni dobbiamo pervenire a un accordo con cui ci impegniamo a non aumentare la temperatura del pianeta di più di due gradi. Per questo motivo abbiamo bisogno di tutti: abbiamo bisogno dell’Unione europea affinché mostri la via, dei paesi industrializzati nonché di un’azione comune volta a coinvolgere i paesi in via di sviluppo.
Al momento abbiamo il nostro lavoro da fare. Dobbiamo garantire il massimo sostegno possibile in questa sede delle norme proposte la scorsa settimana dalla Commissione nonché la loro attuazione da parte degli Stati membri.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signora Presidente, si può sostituire “Bali” con “Kyoto” o “Rio 1992” e la maggior parte degli interventi pronunciati qui calzerebbe alla perfezione. Da che cosa dipende, signor Presidente in carica del Consiglio? Poiché il suo è un piccolo paese, dovrebbe essere in grado di spiegare il motivo per cui non arriviamo mai a una soluzione. È il potere delle grandi imprese e degli interessi economici, è il sistema internazionale che non funziona, o e una mancanza di sensibilità da parte dell’opinione pubblica? Ritengo che la mancanza di sensibilizzazione riguardo alla questione non sia più il problema in sé, di certo non tra i decisori.
Tutto si riduce all’economia e alla politica e penso a una nutrita schiera di errori che vengono commessi in questi ambiti. Non possiamo dare credibilità al processo e trovare soluzione davvero costruttive se non cominciamo da noi stessi. In termini pratici, questo significherebbe semplicemente ridurre le emissioni di CO2 generate dall’attività politica.
Un esempio molto concreto che gli sloveni potrebbero analizzare: se sospendessimo le riunioni di Strasburgo e tenessimo tutte le discussioni qui a Bruxelles, invieremmo un piccolo segnale, sia riguardo alla questione del CO2 che riguardo ad altri aspetti. Sarebbe di certo un obiettivo realizzabile per la vostra Presidenza, a differenza di grandi progetti il cui testimone passerà in ogni caso a qualcun altro al termine del vostro mandato semestrale.
PRESIDENZA DELL’ON. MARTINE ROURE Vicepresidente
Janez Podobnik, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Consentitemi di replicare brevemente ad alcune opinioni espresse nel corso di questa discussione estremamente interessante. In fondo, ci è stato detto che non conseguiamo alcun risultato. I punti di vista della Presidenza e del Presidente del Consiglio divergono. Le cose si stanno muovendo e noi otteniamo risultati. Tutto sommato, la Conferenza di Bali e l’accordo concluso dai paesi industrializzati e dai meno sviluppati sono stati in realtà un grande successo, un successo però che sarà completo solo a Copenaghen. Ed è questo il motivo per cui i prossimi due anni saranno molto importanti.
Desidero altresì esprimere il mio sostegno per la risoluzione che il Parlamento europeo adotterà domani. Lo consideriamo un testo ambizioso e scrupoloso nonché un ulteriore contributo al raggiungimento di un accordo dopo il 2012. Anche la Presidenza si associa alla valutazione già illustrata in questa sede, secondo cui la delegazione dell’Unione europea è stata straordinaria. Si è rivelata competente, compatta e molto dinamica. E da ultimo, ma tutt’altro che di secondaria rilevanza, è stata credibile, il che è molto, molto importante per l’Unione europea. In realtà possiamo essere orgogliosi dell’Unione europea e del ruolo svolto a Bali, soprattutto per la sua coerenza.
È stato detto che l’Unione europea è un pioniere nello sviluppo di nuove tecnologie. Questo può anche essere una risposta ad alcuni giustificati timori o dubbi emersi tra gli Stati membri dell’Unione europea riguardo al nuovo pacchetto sull’energia e sul clima presentato la scorsa settimana così efficacemente dalla Commissione europea. Pensiamo che sia anche un’opportunità per nuovi posti di lavoro e innovazioni ecologiche e che non dovrebbe quindi suscitare paure sul versante dello sviluppo economico.
Condividiamo l’opinione che non si tratta solo di una questione politica, ma anche economica. In effetti, potremmo essere più ambiziosi. La lotta al cambiamento climatico è de facto una storia di successo della politica europea. È una sfida impegnativa non solo per la politica e l’economia europee, ma anche per i cittadini. Sono fortemente a favore della posizione della Commissione secondo cui anche l’atteggiamento dei mezzi di informazione è molto importante. I media possono svolgere un ruolo di grande rilievo in questo ambito. Il pacchetto adottato dalla Commissione europea la scorsa settimana è il risultato di un approccio di esperti. Incorpora i principi di parità e solidarietà. Poiché ha una funzione fondamentale da svolgere riguardo all’adozione del pacchetto, ci attendiamo che il Parlamento europeo assolva tale ruolo con molto dinamismo.
Qualcuno ha chiesto per quale motivo fosse necessario recarsi a Bali e usare mezzi di trasporto non sostenibili. Non si può andare a Bali in un altro modo, se non ricorrendo a vari mezzi di trasporto. Tuttavia, la nostra risposta è che è stata una meta scelta con cognizione. Perché? Perché era … l’Indonesia è un paese in via di sviluppo. Uno dei momenti clou dell’accordo di Bali è stato quando i paesi in via di sviluppo hanno aderito all’accordo globale. Era più facile raggiungere simile intesa a Bali, in Indonesia, che non in qualsiasi altro luogo del nostro pianeta.
Vorrei terminare con una domanda sugli obiettivi 20/20/20. Verranno rispettati? La credibilità dell’Unione europea si consoliderà o cadrà sul conseguimento di questi risultati, non ultimo perché al Vertice del Consiglio della scorsa primavera i capi di Stato e di governo dei paesi dell’Unione europea hanno assunto un impegno nei confronti della visione 20/20/20. La Presidenza ha assunto un impegno e farà tutto quanto in suo potere per conseguire questi obiettivi.
Pilar del Castillo Vera (PPE-DE). – (ES) Signora Presidente, signor Commissario, logicamente mi congratulo con i rappresentanti della Commissione e del Parlamento per il lavoro svolto a Bali.
Affronterò questo argomento e altri ad esso collegati adottando una prospettiva più eurocentrica, più eurocentrista, che ora illustrerò.
Vorrei iniziare dicendo, come è stato affermato in vari modi, che la necessità schiude le opportunità. Più grande è la necessità maggiore sarà anche l’opportunità. Che cosa dobbiamo affrontare? Ci troviamo di fronte a due necessità: una consiste nel contrastare gli effetti prodotti dal cambiamento climatico, imputabile soprattutto allo sviluppo e alla crescita della popolazione; la seconda riguarda la soluzione di problematiche relative all’approvvigionamento di fonti di energia tradizionali che sono sempre più scarse o che si trovano in aree dallo scenario geopolitico complesso.
Qual è l’opportunità che si prospetta? C’è la possibilità di sviluppare forme efficienti di energia che ci consentano di continuare a essere competitivi, e che sono pulite e non inquinano nonché di garantire l’approvvigionamento perché si tratta di nuove forme di energia.
Dove sta il problema? Secondo me le istituzioni europee difettano dal punto di vista della leadership, quando si tratta di affrontare queste questioni, un deficit che riguarda la Commissione e il Parlamento. C’è solo una semplice ragione per questo, ossia che non siamo in grado di spiegare che l’energia pulita è formata sia dall’energia nucleare che da fonti rinnovabili.
Non viene fatto, non viene spiegato, ed è compito dei leader proporre soluzioni anche se discuterne può non essere facile in un particolare momento.
Finiremo per trovarci nella situazione paradossale in cui Cina, India e altre economie emergenti hanno un’energia più pulita perché hanno sviluppato fonti nucleari e, inoltre, possono competere grazie a retribuzioni inferiori? È un aspetto che va semplicemente affrontato, signor Commissario.
Mi auguro pertanto che in sede di Parlamento e di Commissione la questione dell’energia nucleare venga discussa con toni pacati ma anche con determinazione, visto che continuiamo a non pronunciarci e a voltare le spalle.
Dorette Corbey (PSE). – (NL) Signora Presidente, Bali è stato solo l’inizio, un primo passo gradito sulla via verso un accordo internazionale sul clima nel 2009. Il successo raggiunto all’ultima ora è stato possibile grazie alla leadership europea, e mi congratulo con il Commissario Dimas e il suo gruppo.
A dicembre si svolgerà una conferenza mondiale a Poznań. Sarà la prossima occasione per mettere alla prova la leadership europea. L’Europa deve parlare chiaro con una sola voce nonché forte a favore di misure precise. Dobbiamo assumere una posizione inequivocabile agli occhi del resto del mondo. L’Europa vuole ridurre del 30% i gas a effetto serra entro il 2020. È ancora il nostro punto di partenza nei negoziati. La feroce pressione politica esercitata da alcuni governi e capitani d’industria contro il pacchetto sul clima e sull’energia ha lanciato il segnale sbagliato.
La leadership europea significa anche che attueremo nei nostri 27 Stati membri il processo di riduzione che chiediamo ad altri paesi. Questo è importante. A Poznań dobbiamo dimostrare che l’Europa è disposta ed è in grado di conseguire una riduzione superiore al 20%. Se prendiamo con serietà l’intesa definita a Bali, dobbiamo iniziare con almeno il 25%. Dobbiamo dar prova che possiamo realizzare questo obiettivo senza sacrificare posti di lavoro, e ho piena fiducia nel fatto che nel 2009 firmeremo un accordo storico sul clima. Tuttavia, a tal fine è essenziale una solida politica europea in materia di clima.
Bogusław Sonik (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, la conferenza sul cambiamento climatico svoltasi a Bali è stata un banco di prova per verificare se in linea di massima esiste una possibilità di instaurare una cooperazione a livello mondiale per contrastare tale fenomeno. Si tratta chiaramente di una questione di straordinaria importanza per l’intero pianeta, ma l’arena politica in cui ci muoviamo è molto eterogenea, e siamo obbligati ad adeguare le nostre argomentazioni alle diverse realtà geopolitiche. Sebbene non si siano registrati risultati spettacolari, abbiamo comunque ottenuto più di quanto realizzato finora. Abbiamo acquisito partner importanti.
Nell’Unione europea il cambiamento climatico è un’area prioritaria. Detto in parole semplici, nessuno vuole che nella casa dei propri figli manchi la luce. Tuttavia, non tutti i paesi europei sono allo stesso livello di progresso tecnologico e questa è un’ulteriore sfida per l’Unione europea. La Polonia è un paese in cui il 96% della corrente elettrica è generato dalla combustione del carbone e per questo motivo adattare il nostro settore dell’energia entro il 2020 può rappresentare un fardello insostenibile. Noi qui a Bruxelles, che siamo responsabili del benessere della popolazione d’Europa nel complesso, dobbiamo considerare con maggiore attenzione le possibilità dei singoli Stati e non posizionare l’asta così in alto che solo pochi siano in grado di saltarla.
Per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas, la diversificazione delle risorse non è la sola via percorribile. Anche la combustione del carbone senza emissioni è una possibilità che merita di essere studiata. Un’altra soluzione è l’energia nucleare. A patto che, in fase di progettazione di una centrale nucleare, si adottino specifiche strategie intese ad affrontare tutte le situazioni discendenti dallo sfruttamento, l’energia nucleare è una delle fonti più pulite.
In breve, credo che sia cruciale per il nostro futuro esercitare una precisa pressione sulla comunità della ricerca affinché sviluppi nuove tecnologie che sono notevolmente più vantaggiose e più efficienti per il nostro pianeta di quelle attualmente disponibili.
Adam Gierek (PSE). – (PL) Signora Presidente, il pacchetto sull’energia e sul cambiamento climatico proposto per l’Unione europea è un elaborato mix organizzativo e legislativo inteso a conseguire una significativa riduzione delle emissioni di CO2. Ambiziosi piani della Commissione si basato sull’assunto che i cambiamenti climatici cui stiamo assistendo nel mondo, un fatto indubbio per altro, sono il risultato delle emissioni di CO2, eppure detta tesi non è stata corroborata né sostenuta a Bali. Tutte le proiezioni in materia poggiano solo su simulazioni al computer e non costituiscono alcuna prova.
Innanzi tutto, signor Commissario, sono necessari dati più affidabili riguardo all’influenza delle emissioni di CO2 sul clima. Il biossido di carbonio è il necessario substrato della fotosintesi. È quindi un agente distruttivo? Desidero ricordarle la lettera, già citata in precedenza, sottoscritta da un centinaio di prestigiosi scienziati e inviata lo scorso dicembre al Segretario generale dell’ONU.
In secondo luogo, l’imposizione della Commissione di ridurre le emissioni di CO2 nell’Unione europea senza affrontare la questione a livello internazionale si tradurrà in una flessione dello sviluppo economico, con gravi conseguenze sociali.
Da ultimo, e aspetto della massima importanza, nel suo pacchetto sull’energia e sul clima la Commissione ha ignorato la principale conclusione della Conferenza di Bali in merito all’adattamento delle società agli inevitabili cambiamenti climatici, ossia la steppificazione, la desertificazione, la mancanza di acqua potabile, inondazioni e così via. Questi sono i principali obiettivi ai quali l’Unione dovrebbe destinare le risorse che intende invece impiegare nella lotta ai cambiamenti climatici in Europa.
Ivo Strejček (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, nella discussione sul cosiddetto cambiamento climatico diamo per scontati taluni presupposti discutibili. Primo, i cambiamenti climatici sono reali e provocati per lo più dall’uomo. Secondo, le conclusioni del gruppo IPCC sono gli unici risultati validi. Non esistono altri gruppi di scienziati con opinioni diverse sul cambiamento climatico globale. Terzo, le persone in generale sono disposte a preoccuparsi del loro futuro e a sacrificare gli attuali standard di vita. Quarto, le società e le imprese europee saranno in grado di sopravvivere nell’ambito della concorrenza globale, anche con prezzi più elevati. Quinto, riusciremo a persuadere il resto del mondo a seguire i nostri obblighi. Ascoltando la discussione, mi rendo conto di essere in minoranza in quest’Aula, ma consentitemi di illustrare la mia posizione.
Primo, il risultato del gruppo IPCC è ingigantito. Vi sono altri gruppi di scienziati che offrono posizioni diverse sul cambiamento climatico e sulle sue cause. Secondo, non vi sono le prove che l’uomo sia il principale responsabile dei cambiamenti climatici. Terzo, il cambiamento climatico è diventato uno strumento politico alla moda per manipolare le persone. Quarto, la conferenza di Bali ha dimostrato che esiste un sostegno diffuso a favore di misure eccessive ed estremamente costose per affrontare il cambiamento climatico. Quinto, i produttori europei dovranno inserire le decisioni politiche nei prezzi, il che provocherà un conseguente rincaro dei prezzi e l’ulteriore perdita di competitività europea a livello globale. Sesto, piani ambiziosi per la riduzione dei gas a effetto serra danneggeranno i paesi in via di sviluppo, contribuendo così ad ampliare le differenze fra ricchi e poveri.
Allora cosa occorrerebbe fare? Dovremmo ridurre la leggendaria burocrazia europea, limitare la produzione di norme a livello sopranazionale e consentire alle persone di lavorare e inventare.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – (RO) Iniziamo ad avvertire il cambiamento climatico a prescindere dal continente o dal paese in cui viviamo. Fronteggiamo alluvioni, desertificazione, scarsità d’acqua, incendi forestali, scioglimento dei ghiacciai e cambiamenti nella flora. L’ONU ha proclamato il 2008 Anno internazionale del pianeta Terra. La Conferenza di Bali è estremamente importante per pervenire a un accordo per il dopo Kyoto in materia di lotta contro il cambiamento climatico.
L’Unione europea dovrebbe rimanere all’avanguardia nell’azione volta a ridurre il cambiamento climatico e adeguarsi agli effetti che ne derivano. L’attuale normativa europea e il nuovo pacchetto presentato di recente dalla Commissione per la promozione delle fonti di energia rinnovabile sono alcuni esempi concreti.
Sono lieta che stiamo avendo questa discussione durante la settimana europea per l’energia sostenibile. I trasporti rappresentano il 30% del consumo globale di energia, mentre i trasporti urbani costituiscono il 70% delle emissioni. L’inserimento del trasporto aereo nel sistema di scambio delle quote di emissione è un passo importante. Fra gli altri obiettivi comunitari dovrebbero figurare efficaci trasporti urbani e la promozione del trasporto per ferrovia e per via d’acqua, dato che generano minore inquinamento.
Chiediamo alla Commissione e al Consiglio di includere il cambiamento climatico fra le loro priorità, sia a livello dell’UE che nelle relazioni internazionali..
Agnes Schierhuber (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la Conferenza di Bali è stata un passo nella giusta direzione, e io vorrei esprimere il mio caloroso ringraziamento ai colleghi e alla Commissione per ciò che considero un buon risultato.
L’aumento della temperatura media globale sta già avendo ripercussioni in diverse parti del mondo. È quindi essenziale aderire all’obiettivo di contenere il riscaldamento globale ad un massimo di due gradi Celsius al di sopra dei livelli pre-industriali. Gli sforzi tesi a raggiungere quell’obiettivo devono essere rafforzati e sostenuti attraverso nuove innovazioni, investimenti nella ricerca e sviluppo e, soprattutto, investimenti nell’educazione e formazione. Il cambiamento climatico interagisce con l’agricoltura in tre modi differenti. Da un lato, l’agricoltura è la terza fonte di inquinamento dopo i trasporti e l’industria. Secondo, ha il maggiore impatto sul cambiamento climatico perché la nostra produzione agricola ha luogo all’aria aperta, il che significa che è esposta in modo più diretto agli effetti del cambiamento climatico rispetto ad altre attività economiche.
Terzo, gli agricoltori possono considerare il cambiamento climatico anche come un’opportunità e volgerla a loro vantaggio. Nuove prospettive si fanno strada per noi nella comunità agricola quali produttori di risorse rinnovabili e soprattutto – nella seconda e terza generazione – quali produttori di sostituiti per prodotti petrolchimici, per non parlare delle possibilità per nuovi metodi di coltivazione. Devo sottolineare ancora una volta l’importanza della ricerca e dello sviluppo e dell’educazione, in modo particolare nel settore agricolo. La produzione di risorse rinnovabili, tuttavia, dipende fortemente dallo sviluppo e dall’applicazione di criteri di sostenibilità.
Il cambiamento climatico, signor Commissario, è un problema globale che colpisce intere società; non si limita a specifici settori di attività. Di conseguenza, questo approccio globale di livello comunitario e anche mondiale è il solo modo per affrontarlo. L’Unione europea dovrebbe svolgere un ruolo di guida e di mediazione in questi sforzi.
Margaritis Schinas (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, signor Commissario, la strada da Bali a Copenaghen è ormai spianata e io credo che non dovrebbe preoccuparci in modo così impellente. Adesso dobbiamo incentrarci con urgenza sul nuovo pacchetto di obiettivi che lei ha presentato: i tre 20 per il 2020, come lo chiamo io, oppure “pacchetto Dimas” come lo definiscono altri. Allo stadio attuale, tuttavia, ritengo che per i prossimi 18 mesi, fino al termine dell’attuale legislatura, questo pacchetto di iniziative dovrebbe diventare normativa comunitaria. È la nostra priorità assoluta. Molti l’hanno criticata per avere reso questo pacchetto troppo ambizioso, e altri per la completa mancanza di ambizione. Questa, oso dire, è la migliore prova che lei è sulla buona strada.
Consentitemi di parlare brevemente di un altro aspetto. Non solo i governi e il Parlamento europeo, ma anche i singoli cittadini devono partecipare. Tutti possiamo fare di meglio. Ogni cosa, dagli ingorghi stradali alla progettazione degli edifici e al nostro stile di vita in essi, riguarda i cittadini, non soltanto i governi. Sono fiducioso che il suo lavoro a Bruxelles contribuirà a suscitare una consapevolezza generale del problema.
Genowefa Grabowska (PSE). – (PL) Signora Presidente, signor Commissario, ascoltando la discussione di oggi ho notato con sorpresa che l’espressione “sviluppo sostenibile” non è stata usata nemmeno una volta. Era un concetto alla moda, anche se abusato per certi versi, sia in tempi recenti che agli inizi degli anni ‘90, come dimostra l’accordo degli Stati presenti alla conferenza di Rio de Janeiro nel 1992 per proteggere l’ambiente in modo ragionevole nel corso della sua attuazione.
Onorevoli colleghi, lo sviluppo sostenibile non è un concetto superato, una voga passeggera dei politici e degli ambientalisti. È un concetto che cerca di riconciliare gli interessi dell’ampia lobby ecologista con quelli della lobby industriale. Consideriamo quindi i risultati della conferenza di Bali alla luce del vecchio principio di sviluppo sostenibile, principio valorizzato non solo in Europa, ma anche a livello internazionale. Dobbiamo proteggere il nostro pianeta dal cambiamento climatico, ma non a costo di distruggere la nostra industria. Cerchiamo un compromesso intelligente.
Jerzy Buzek (PPE-DE). – (PL) Signor Commissario, ho partecipato alla Conferenza di Bali come membro della delegazione polacca. Ha avuto un successo moderato. I paesi europei adesso sono responsabili del COP14 e COP15. Qual è il maggiore ostacolo al completamento del successo?
Secondo me, è la mancanza di una tecnologia economica efficace ed accessibile. Noi, come Unione europea, dovremmo concentrarci su questo aspetto. Facendo così, aiuteremo noi stessi e la nostra economia, e anche gli altri, attraverso il trasferimento e lo scambio delle migliori tecnologie. Sarà molto più economico che imporre all’industria riduzioni di emissioni sempre più drastiche. Richiede la revisione del bilancio dell’UE e un trasferimento di risorse. Decidiamo di farlo.
Quest’anno a Poznań, nel quadro del COP14, il governo polacco proporrà una rassegna mondiale delle migliori tecnologie. Le imprese leader e i paesi più avanzati presenteranno le migliori soluzioni tecnologiche. Se vogliamo che Copenaghen abbia successo nel 2009, dobbiamo innanzi tutto fare un successo di Poznań 2008.
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, avendo partecipato al quinto COP-MOP dell’ONU sul cambiamento climatico, sono tornata da Bali con un senso di affermazione per la prima volta per la più importante delle questioni globali.
Uno dei messaggi più chiari di Bali è stata l’urgente necessità di trovare un meccanismo per garantire che la prevenzione della deforestazione e del degrado delle nostre foreste sia inserita in qualsiasi accordo internazionale successivo al 2012.
Vorrei che fossimo nella posizione di aggiungere un altro 20% alla formula “20/20/20 entro il 2020”. Se avessimo un sistema concordato di crediti per remunerare o compensare le comunità locali, attenuando così il presente tasso di deforestazione, in particolare delle foreste tropicali – nonostante l’immensa difficoltà di indicare una cifra di riferimento per la vegetazione esistente – potremmo ridurre le emissioni globali di carbonio di un ulteriore 20%, così che “20/20/20/20 entro il 2020” diventi il nostro obiettivo.
Bali ha elaborato la tabella di marcia per l’accordo globale del COP15 nel 2009 a Copenaghen, condotto abilmente da lei per conto dell’UE, e vorrei congratularmi con lei, signor Commissario, per il suo personale contributo.
Anni Podimata (PSE). – (EL) Signora Presidente, signor Commissario, l’UE è all’avanguardia nella lotta contro il cambiamento climatico e in questa lotta lei sta svolgendo chiaramente un ruolo speciale. Se l’UE vuole rimanere all’avanguardia in questa lotta, tuttavia, non è sufficiente limitarsi a produrre iniziative legislative o redigere obiettivi vincolanti. L’UE deve anche svolgere un ruolo guida nell’attuazione degli obiettivi vincolanti che ha stabilito, con un fronte il più compatto possibile. Esistono moltissime gravi divergenze fra gli Stati membri dell’UE in relazione all’attuazione degli obiettivi in materia di lotta contro il cambiamento climatico. Per questo motivo, attendiamo adesso misure, incentivi e iniziative al fine di ridurre il divario e dare risposta a questo obiettivo degli Stati membri dell’UE come un insieme più compatto.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Quale membro supplente della commissione temporanea sul cambiamento climatico, vorrei sottolineare l’enorme successo raggiunto dal Parlamento europeo alla conferenza globale di Bali.
Il Parlamento europeo deve diventare un idealista a favore dello sviluppo sostenibile permanente. Cosa dobbiamo fare adesso? In primo luogo, non possiamo rallentare i nostri sforzi. L’Unione europea deve incoraggiare gli investimenti nella ricerca e sviluppo al fine di sviluppare tecnologie efficienti che richiedono meno energia.
Non possiamo parlare solo di CO2. La fissazione di condizioni ecologiche sempre più severe non è la soluzione corretta: così facendo, rischiamo di mettere in una posizione di svantaggio le nostre piccole e medie imprese in Europa. Non dobbiamo opporci a nuove idee quali la strategia di contribuire al miglioramento del clima attraverso il ricorso all’acqua.
Un’équipe di scienziati slovacchi e cechi guidata da Michal Kravčík, eminente esperto sull’uso dell’acqua per recuperare spazi urbani aridi, ha preparato un nuovo paradigma idrico. La concentrazione di acqua piovana in contenitori d’acqua è una soluzione semplice, rapida e molto efficace. Ritengo che immagazzinare l’acqua piovana per usi futuri, anziché lasciarla scorrere nei tombini, sia una buona soluzione strategica non solo negli USA, ma anche in Europa. Ho fiducia che la Commissione e il Consiglio sosterranno le idee degli innovatori e che l’uso di nuovi paradigmi idrici otterrà il sostegno che merita anche in Europa.
Mairead McGuinness (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, è un piacere ascoltare un dibattito e poi poter rispondere e ascoltare quelli che erano presenti a Bali perché non sappiamo ancora abbastanza su cosa sta accadendo in quella sede.
Posso sollevare solo una questione particolare? È alla moda parlare del cambiamento climatico e proprio nel momento in cui le persone sono state coinvolte ho l’impressione che corriamo il rischio di non prestare loro attenzione. Dobbiamo stare molto attenti che ciò che noi suggeriamo e proponiamo sia fattibile e che disponiamo dei risultati pratici per dimostrarlo.
In relazione all’agricoltura, menzionata in particolare dall’onorevole Schierhuber: in Irlanda, ad esempio, il 28% delle nostre emissioni proviene dall’agricoltura. Ritengo che l’agricoltura abbia già contribuito in misura significativa. Dobbiamo ancora una volta essere attenti a non chiedere troppo all’agricoltura e a non rischiare la nostra sicurezza alimentare. Non è quindi un problema di facile risoluzione. Si è parlato delle foreste. Penso che dobbiamo pensare di incoraggiare quei continenti con grandi foreste a non depredarle, proprio come stiamo cercando di incoraggiare i nostri agricoltori a non coltivare pascoli permanenti a causa di tali importanti bacini di carbonio.
Facciamo quindi ciò che possiamo fare sulla scena internazionale e speriamo che le persone partecipino alla leadership europea in questo settore, perché senza di essa non abbiamo alcuna reale possibilità di raggiungere i nostri obiettivi.
Stavros Dimas, Membro della Commissione. − (EL) Signora Presidente, vorrei ringraziare innanzi tutto i deputati del Parlamento europeo per i loro contributi molto positivi.
Una cosa è chiara: questa sera abbiamo sentito pareri che illustrano le posizioni di quanti, come gli Stati Uniti e l’Australia, non intendevano procedere alla ratifica del Protocollo di Kyoto. Queste opinioni sono state abbandonate, dato che l’Australia ha ratificato il protocollo di Kyoto e negli Stati Uniti, a livello sia federale sia nazionale, quelle opinioni non sono più accettate.
Ho anche sentito una dichiarazione errata, che sono sicuro l’onorevole deputato abbia espresso in buona fede, ossia che gli Stati Uniti registrano risultati migliori dell’UE. Come mostrano i dati per il 2005, tuttavia, gli Stati Uniti hanno aumentato le proprie emissioni di gas a effetto serra del 16,4%, mentre l’UE sta raggiungendo l’obiettivo di Kyoto e nel 2005 ha emesso in totale il 7,9% in meno rispetto ai livelli del 1990. Vi è pertanto un enorme divario fra i risultati ottenuti dall’UE e quanto gli Stati Uniti non riescono ad ottenere, e va osservato che gli Stati Uniti avrebbero dovuto ridurre le loro emissioni del 7% nell’ambito del protocollo di Kyoto, che hanno sottoscritto ma non ratificato. Anziché raggiungere l’obiettivo di -7%, le emissioni erano aumentate del 16,4% nel 2005, mente l’UE è sulla buona strada verso il conseguimento dell’obiettivo di -8%, già inferiore ai livelli del 1990.
Vorrei anche sottolineare che il problema più importante dell’Irlanda è il sostanziale aumento delle emissioni di biossido di carbonio provenienti dai trasporti. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento del 160% delle emissioni dei gas a effetto serra. Senza dubbio, la produzione agricola svolge un ruolo primario ed esistono diverse soluzioni in quel settore. Ad esempio, la Nuova Zelanda ha sviluppato speciali alimenti per animali, che stanno contribuendo fortemente a limitare le emissioni di biossido di carbonio.
Onorevoli deputati, il piano d’azione di Bali, concordato lo scorso dicembre, è un elemento importante nelle discussioni sul futuro regime internazionale per il cambiamento climatico. Il nostro risultato fondamentale è stato l’avvio di negoziati formali; vi sono adesso chiare indicazioni che l’obiettivo obbligatorio della lotta contro il cambiamento climatico sta per essere raggiunto, con riguardo all’accordo sul clima relativo al periodo successivo all’anno 2012. Nell’ambito della convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, la creazione di un nuovo gruppo ad hoc è stata approvata per negoziare la cooperazione nel lungo periodo, insieme ad un gruppo di lavoro ad hoc già operativo nell’ambito del Protocollo di Kyoto. Tutte le parti che hanno aderito alla convenzione quadro delle Nazioni Unite, compresi gli Stati Uniti, parteciperanno a questi negoziati. Un’importante questione sarà il finanziamento della lotta contro il cambiamento climatico. Dobbiamo trovare il modo per velocizzare i finanziamenti, convogliare gli investimenti e rendere questi metodi ancora più rispettosi dell’ambiente: ciò incoraggerà la tecnologia pulita e gli sforzi tesi ad adeguarsi all’inevitabile impatto del cambiamento climatico, attraendo così investimenti sia dal settore pubblico sia, in larga misura, dal settore privato. Questo è un elemento centrale dei negoziati. Consentitemi, tuttavia, di sottolineare quanto sia importante che noi, nell’UE, agiamo senza indugi. Come mette in evidenza correttamente la sua risoluzione, fra le altre cose dobbiamo aumentare i nostri sforzi per integrare i parametri climatici nella nostra politica di sviluppo.
Sono convinto che possiamo avere ancora più successo in settori quali il commercio e gli investimenti a livello bilaterale e regionale. Anche l’ulteriore mobilitazione del settore privato è di vitale importanza e deve essere sfruttata maggiormente.
Prevenire la deforestazione è senz’altro molto importante. Come lei ha correttamente sottolineato, investimenti relativamente piccoli possono aiutarci a ottenere guadagni a livello sia di lotta contro il cambiamento climatico sia di prevenzione della perdita di biodiversità. Andremo in questa direzione perché la prevenzione della deforestazione può essere realizzata anche prima che sia concluso un accordo o che il nuovo accordo entri in vigore. Questo è pertanto un settore vitale in cui dobbiamo intervenire.
La Commissione è determinata ad aiutare l’UE a mantenere il suo ruolo di leader in queste nuove discussioni sui futuri accordi in materia di cambiamento climatico; mi affido fortemente al vostro sostegno in questo settore. Siamo all’inizio dei negoziati sulle politiche in materia di cambiamento climatico per il periodo 2012. Il ruolo di leader dell’UE nella questione del cambiamento climatico sarà cruciale per garantire che questo dialogo prosegua e dia risultati positivi. Dobbiamo, tuttavia, tenere sempre a mente che il nostro ruolo di guida dipende ed è influenzato dalle politiche e dalle misure che adottiamo nell’UE. L’attuazione nell’UE delle politiche climatiche e la rapida approvazione delle numerose misure sul clima e l’energia continueranno ad essere di cruciale importanza se vogliamo mantenere il nostro ruolo di guida e portare al successo gli sforzi internazionali nella lotta contro il cambiamento climatico.
Sottolineo ancora una volta che desideriamo proseguire e consolidare la cooperazione con il Parlamento in questo processo.
Presidente. – Comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione(1) in merito alla presente discussione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, 31 gennaio 2008.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Valentin Bodu (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Abbiamo ricevuto da poco un documento relativo al cambiamento climatico che tutti possiamo percepire. Il testo, dal titolo Don’t fight, adapt - We should give up futile attempts to combat climate change (Non lottare, ma adattare – dobbiamo rinunciare ai tentativi futili nella lotta al cambiamento climatico), è stato inviato come lettera aperta al Segretario Generale dell’ONU.
Come indica il stesso titolo, 100 esperti ci stanno chiedendo di accettare il cambiamento climatico non con rassegnazione, bensì con entusiasmo, affermando che il CO2 è essenziale alla fotosintesi.
Non sono un chimico e tantomeno un biologo, ma non ho potuto non riconoscere i drammatici cambiamenti climatici che hanno avuto luogo negli ultimi anni. Non posso fare a meno di notare che non esistono più quattro stagioni, ma due. Non mi rassegnerò all’idea che tra 10 anni scierò al coperto, su una pista di un centinaio di metri. Non accetterò di poter prendere il sole unicamente tra le 5 e le 7 del mattino, per paura di un melanoma. Pertanto, mi sono detto: “la loro fotosintesi non potrebbe interessarmi meno, ciò che desidero è andare a sciare, prendere il sole e condurre una vita normale”.
Gyula Hegyi (PSE), per iscritto. – (HU) Il vertice sul clima organizzato a Bali dall’ONU non ha avuto risultati particolari, ma ha spianato la strada a un nuovo accordo globale sul clima per il periodo successivo al 2012. Purtroppo, i maggiori responsabili delle emissioni di CO2, quali gli Stati Uniti e la Cina, si rifiutano ancora di far parte di questo importante processo che ha come obiettivo il futuro del nostro globo. Tuttavia, se consideriamo i lavori preparatori che sinora hanno avuto luogo per le presidenziali americane, possiamo sperare che vinca un candidato che si senta responsabile del futuro del nostro pianeta, al contrario di quanto accade con l’attuale amministrazione. Se gli Stati Uniti sottoscrivessero l’accordo sul clima, sarebbe, si spera, più semplice convincere la Cina. Ovviamente, non dobbiamo dimenticare che l’Europa è il maggiore consumatore di prodotti cinesi e, di conseguenza, quali compratori, anche noi contribuiamo alle emissioni di gas a effetto serra della Cina.
A Bali, i rappresentanti dell’Unione europea nelle loro dichiarazioni hanno parlato di una riduzione di emissioni di gas serra compresa tra il 25 e il 40% e lo scorso anno il Parlamento europeo ha votato a favore di una riduzione del 30%. Tuttavia, l’ultima relazione della Commissione raccomanda ancora una riduzione delle emissioni del solo 20% entro il 2020. Sarebbe opportuno rivedere tali obiettivi, al fine di garantire che siano gli stessi all’esterno e al di fuori dell’Unione europea e, per quanto mi riguarda, sono naturalmente a favore della riduzione più ambiziosa del 30%.
Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto. – (RO) Il momento cruciale della Conferenza di Bali è stata l’adozione di una tabella di marcia per un futuro climatico sicuro, che costituisce un nuovo processo negoziale il cui completamento è previsto per il 2009, e che condurrà dopo il 2012 al riavvio dei negoziati relativi al riscaldamento globale, punto in cui termina la prima fase del protocollo di Kyoto.
Il risultato della Conferenza di Bali è stata l’importante decisione di definire la tabella di marcia: il Fondo di adeguamento, il trasferimento della tecnologia verde dai paesi ricchi a quelli poveri, misure per la riduzione delle emissioni provenienti dalla deforestazione e dal degrado delle foreste nei paesi in via di sviluppo. La lotta alla deforestazione è una priorità fondamentale nella politica ambientale europea, e uno sforzo congiunto da parte degli Stati membri contribuirà a contrastare il riscaldamento globale.
È un segnale incoraggiante che il piano di azione di Bali contenga strategie intese ad arginare i disastri ambientali e strumenti volti ad affrontare le perdite e i danni associati al cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo. L’Unione europea ha contribuito in modo significativo al buon esito di tale conferenza, garantendo che venissero tenute in debita considerazione le ultime raccomandazioni scientifiche del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE), per iscritto. – (HU) Accolgo con favore il compromesso raggiunto al vertice di Bali sulla protezione del clima, nonché la decisione che la commissione parlamentare sul cambiamento climatico ha preso al riguardo.
Dal mio punto di vista, il compromesso di Bali costituisce una svolta, in quanto le parti hanno concordato un mandato per la negoziazione di un nuovo accordo sul cambiamento climatico che sostituisca il protocollo di Kyoto, che scadrà nel 2012. Al contempo, i paesi in via di sviluppo e gli Stati Uniti si sono per la prima volta impegnati al fine di ridurre l’impatto del cambiamento climatico.
La posizione dell’Ungheria è la stessa degli altri Stati membri dell’Unione europea. A marzo 2007 il Consiglio europeo ha deciso di ridurre le emissioni di gas serra del 20% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990. Al fine di raggiungere tale obiettivo ambizioso, la Commissione europea ha elaborato il proprio programma di un pacchetto sulla protezione del clima e le energie rinnovabili, fornendo pertanto un esempio agli altri paesi industrializzati.
Auspico che anche la sua relazione sull’agricoltura sostenibile e il biogas, adottata ieri dalla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo, contribuisca alla lotta al cambiamento climatico.
Desidero richiamare l’attenzione sul fatto che il cambiamento climatico è già un problema concreto in Ungheria, in quanto la desertificazione minaccia la regione tra il Danubio e il Tibisco. L’erosione ambientale e sociale dell’area di Homokhátság deve essere fermata, poiché costituirebbe un pericolo persino maggiore per la sussistenza di circa 800 000 persone.
Dobbiamo fermare la desertificazione di Homokhátság!
(La seduta, sospesa alle 20.40, è ripresa alle 21.00)
21. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.
Iuliu Winkler (PPE-DE). – (HU) La ringrazio molto, signor Presidente. I Fondi europei di sviluppo regionale e di coesione sono molto importanti per i nuovi Stati membri, poiché per questi ultimi le differenze tra le regioni sono davvero significative. Entro il 2013, il mio paese, la Romania, può presentare richiesta per oltre 20 miliardi di euro per lo sviluppo regionale. A solo un anno dalla nostra adesione, l’esperienza indica un aumento nella progettazione di finanziamenti dedicati allo sviluppo regionale, ma siamo ancora lontani dall’ottenere ciò che desideriamo. È fondamentale per le regioni della Romania che migliorino le loro capacità nel ricorrere ai Fondi, impiegandoli in modo efficace, e riferendo in modo sistematico riguardo al loro impiego.
La Romania necessita di strumenti a questo scopo, quali, per esempio, un sistema più efficace e maggiormente decentralizzato delle istituzioni dell’amministrazione pubblica, nonché una nuova ripartizione in aree di sviluppo economico, in quanto le regioni attuali non sono adeguate né efficienti a tal fine; pertanto è necessario creare nuove regioni dal basso in conformità degli accordi sociali appropriati, e che sarebbero gestite da governi regionali eletti. La nuova divisione della Romania in aree di sviluppo economico non deve essere rinviata. Grazie molte.
Marusya Ivanova Lyubcheva (PSE). – (BG) Desidero richiamare la vostra attenzione su alcuni problemi correlati ai disastri e agli incidenti che avvengono in mare. Quando si verificano, essi vengono abitualmente discussi, e poi il tempo li spazza via rapidamente dalla memoria. Tuttavia, gli incidenti in mare fanno parte della politica marittima comune. Dobbiamo essere preparati agli eventuali incidenti, al pari di quanto lo siamo nell’attuare un trasferimento.
Di recente, è naufragata nel Mar d’Azov la nave bulgara Vanessa. Spesso negli ultimi mesi, in cattive condizioni climatiche, si sono verificati incidenti nello Stretto di Kerch. Sono morti alcuni marinai, altri sono dispersi, oltre ai danni per milioni di euro. Il Mar d’Azov e il Mar Nero sono stati inquinati con il petrolio, e la politica marittima comune deve contenere disposizioni al fine di ridurre i rischi al minimo, nonché istituire regimi di navigazione che riducano gli incidenti. Abbiamo bisogno di un modello completo che fornisca una risposta rapida e gestisca le operazioni di salvataggio di emergenza. Ci occorrono dotazioni che possano funzionare in cattive condizioni climatiche, collocate in modo tale da consentire un rapido intervento nei luoghi degli incidenti.
Magor Imre Csibi (ALDE). – (RO) Signor Presidente, onorevoli colleghi: più della metà della popolazione della maggior parte degli Stati membri soffre di obesità. Ciò che preoccupa persino maggiormente è che ogni anno oltre 400 000 bambini europei in più sono in sovrappeso. Una delle questioni da affrontare nella lotta all’obesità è l’etichettatura efficace dei prodotti alimentari. Purtroppo, le etichette degli alimenti europee non forniscono ancora ai consumatori le informazioni necessarie al fine di prendere decisioni sicure e sane.
Pertanto, accolgo con favore la proposta della Commissione europea di sottoporre a revisione la direttiva relativa all’etichettatura dei prodotti alimentari e, implicitamente, di istituire un sistema di etichettatura semplificato, stampato sul lato anteriore della confezione di tali prodotti. Tuttavia, sono spiacente che la proposta della Commissione non preveda un sistema di etichettatura con il codice di colore, che indichi con chiarezza il valore nutrizionale del prodotto (basso, medio, alto). L’etichettatura sarebbe un beneficio per i produttori e per i consumatori, e un consumatore informato correttamente compirà scelte dietetiche sagge.
Brian Crowley (UEN). – (EN) Signor Presidente, per quanto riguarda l’imminente referendum che si terrà in Irlanda sul Trattato di riforma, desidero illustrarne l’importanza da un punto di vista economico, poiché il Trattato di riforma, se non altro, intende rendere l’Unione europea più efficiente nella sua capacità decisionale, aspetto che di per sé condurrà a un maggiore successo economico nonché a una maggiore crescita. Da una prospettiva irlandese, lo scorso anno si sono registrati 2,6 miliardi di euro di investimenti nell’industria e nelle imprese irlandesi; sono stati creati 9 000 nuovi posti di lavoro; il valore delle esportazioni è stato di oltre 80 miliardi di euro; è stato esportato oltre l’80% dei prodotti fabbricati in Irlanda, principalmente verso i mercati dell’Unione europea. La media salariale irlandese è di 44 000 euro all’anno, e il governo percepisce oltre 3 miliardi di euro in imposte sulle imprese. Tali questioni sono fondamentali al fine di garantire una continua crescita in termini economici, occupazionali, di crescita economica e di gestione del benessere. Questo è il motivo per cui noi tutti chiediamo di votare “si” al referendum in Irlanda.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL). – (PT) In un momento in cui la disoccupazione in Portogallo è cresciuta fino a toccare uno dei livelli più elevati degli ultimi 20 anni, dato che riguarda soprattutto donne e giovani, un’altra multinazionale sta già facendo pressioni sui dipendenti per rescindere i loro contratti di lavoro. La società interessata è la Yazaki Saltano, che intende fermare la produzione di cavi a Serzedo (Gaia), e continuare a trasferire tale produzione in altri paesi, in particolare in Asia e Africa, dopo aver già effettuato tagli drastici della sua forza lavoro. Questa multinazionale ha 6 000 dipendenti nelle sue fabbriche di Ovar e Serzedo, per i quali percepisce milioni di euro in aiuti comunitari. Tuttavia, adesso questi posti di lavoro sono stati ridotti per più di due terzi.
Pertanto, dobbiamo nuovamente sottolineare la necessità di misure efficaci intese a evitare questi trasferimenti di produzione, e non di palliativi come l’attuale Fondo europeo di adattamento alla globalizzazione volto ad assistere i lavoratori che hanno subito le delocalizzazioni delle multinazionali, in particolare nel settore automobilistico e di componenti per autoveicoli, quali la Opel Portugal, la Johnson Controls e la Alcoa Fujikura, che adesso hanno chiuso.
Urszula Krupa (IND/DEM). – (PL) Signor Presidente, nel corso dell’ultima seduta non mi è stato consentito di parlare; per questo motivo protesto oggi, nel Parlamento europeo, per una violazione dei diritti umani nonché un attentato alla dignità della persona.
Durante un volo diretto a Buenos Aires, invitati all’incontro della comunità polacca in America, in cui abbiamo trasmesso e difeso i valori universali europei assieme al direttore di una stazione radio cattolica stimata da milioni di ascoltatori, siamo stati attaccati da giornalisti della rete televisiva privata commerciale TVN, che hanno cercato di costringerci a rilasciare interviste, e hanno personalmente insultato l’ecclesiastico e me, un europarlamentare. Tale violenza psicologica, che ha messo in pericolo il nostro benessere psicofisico nelle 14 ore di volo, è stata alleviata dai numerosi interventi del personale di volo Lufthansa, ma è proseguita dopo l’atterraggio.
Desidero inoltre sottolineare il pericolo, contrario alla normativa vigente, di fornire a parti terze le informazioni sui voli, i numeri del posto a sedere e le prenotazioni alberghiere, in quanto possono essere utilizzate da qualsiasi terrorista.
Peter Baco (NI). – (SK) Onorevoli colleghi, nei loro interventi in questa sede i nostri colleghi ungheresi attaccano sistematicamente la Slovacchia senza alcuna giustificazione. L’ultimo attacco riguardava menzogne circa l’abolizione della rete per la trasmissione radio nazionale in Slovacchia e descriveva con tono canzonatorio il modo in cui la Slovacchia dovrebbe cooperare con l’Ungheria nella normalizzazione e protezione delle acque dell’Isola di Szentendre sul Danubio.
Oltretutto, abbiamo già raggiunto un accordo sul regime idrografico nell’intera regione del Danubio. L’ultimo accordo consisteva in una convenzione conclusa dalle delegazioni dei governi ungherese e slovacco nel 1998 (io stesso dirigevo la delegazione slovacca), e ricordo bene che tale documento accoglieva le richieste ungheresi anche in questo campo. Il governo slovacco ha ratificato e rispettato la convenzione e ora, finalmente, è necessario che venga ratificata e rispettata anche dal governo ungherese.
Roberta Alma Anastase (PPE-DE). – (RO) Signor Presidente, quale relatrice sulla cooperazione regionale nella regione del Mar Nero, desidero esprimere la mia preoccupazione riguardo all’accordo, sottoscritto dalla Bulgaria, del 18 gennaio del 2008 inteso a prendere parte e sostenere il progetto energetico russo “South Stream”.
Tale progetto pone la sicurezza energetica dell’Unione europea di fronte a una duplice sfida. Prima di tutto, il sostegno di uno Stato membro a questo progetto si contrappone all’obiettivo primario di diversificare le risorse energetiche nell’Unione, poiché il progetto “South Stream” accrescerebbe unicamente la dipendenza dell’Unione europea da una singola fonte. In secondo luogo, sin da quanto è nato, tale progetto minaccia il progetto NABUCCO, che si ritiene essere di importanza strategica per il successo della politica di sicurezza energetica comunitaria.
Consentitemi di ricordarvi che questo accordo tra Bulgaria e Russia è giunto nel momento in cui il Parlamento europeo adottava con la maggioranza dei voti la relazione sulla cooperazione nel Mar Nero.
Cătălin-Ioan Nechifor (PSE). – (RO) Avrei preferito che il mio primo intervento di un minuto non riguardasse una questione negativa, ma quanto accaduto la scorsa settimana ai confini orientali dell’Unione europea dovrebbe essere un avvertimento per tutti noi.
Il 21 e il 22 gennaio, gruppi di cittadini ucraini hanno bloccato l’accesso delle automobili al valico di frontiera di Siret-Porubnoe, tra la Romania e l’Ucraina, a causa della loro insoddisfazione per la richiesta di pagare un visto per entrare in territorio rumeno, mentre dal 1° gennaio 2008 i cittadini della Romania non necessitano più di un visto per andare in Ucraina.
Quale Stato membro, la Romania deve attenersi ai regolamenti comunitari riguardanti i visti per i cittadini che non fanno parte dell’Unione europea e non può eventualmente accordare un trattamento di preferenza all’Ucraina. Questa è la ragione per cui il Parlamento e la Commissione dovrebbero chiedere all’Ucraina più iniziative concrete, quali mezzi per affermare la sua vocazione europea…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signor Presidente, desidero richiamare l’attenzione su una recente relazione dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente sulla qualità dell’acqua in Irlanda. Abbiamo investito in modo significativo nel migliorare i sistemi di trattamento delle acque reflue nell’ambito della direttiva quadro sulle acque, ma dobbiamo ancora raggiungere alcuni obiettivi in termini di qualità dell’acqua.
Riguardo a ciò, desidero citare una questione che in Irlanda abbiamo ignorato e continuiamo a ignorare: il problema di stanziare risorse sufficienti nel miglioramento e rinnovamento delle fosse settiche, in particolare nella campagna irlandese. È una tendenza sin troppo diffusa incolpare le fosse settiche della minaccia di inquinamento dell’acqua potabile irlandese. Tuttavia, considerato che esiste un problema, è urgente che il governo irlandese avvii un programma sostenuto da finanziamenti al fine di esaminare e, ove necessario, apportare miglioramenti alle fosse settiche esistenti.
Tuttavia, è probabile che vi sia un’agenda che non prevede investimenti nel miglioramento delle fosse settiche, e che poi le impiega come “bastone” per colpire la popolazione rurale. Se così fosse, sarebbe di scarsa prospettiva nonché totalmente contraria alla normativa europea.
Francesco Enrico Speroni (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, i politici napoletani hanno l’abitudine di mandare i loro rifiuti in tutta l’Europa. Oggi la spazzatura è arrivata sino al Quirinale, dove lo squallido bolscevico Napolitano ha dato l’ordine della moina per prolungare l’agonia dei suoi compagni di merende, fregandosene della democrazia e della volontà del popolo di votare un nuovo parlamento. Ma da chi ha approvato l’invasione sovietica dell’Ungheria non ci si poteva aspettare altro.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL). – (PT) Desidero cogliere questa opportunità di parlare in plenaria per denunciare la situazione inaccettabile di Kader Şahin, una giovane attivista del partito comunista turco, che da gennaio del 2007 è in carcere per decisione delle autorità del paese, senza alcuna prova delle accuse a suo carico, o possibilità di custodia cautelare in attesa del processo.
Kader Şahin è stata arrestata nel corso di una conferenza stampa brutalmente interrotta dalla polizia turca in cui veniva denunciata la repressione nei confronti dei prigionieri politici turchi del dicembre 2000. Nel ricordare che un’altra udienza sul suo caso è prevista per il 5 febbraio, esprimiamo il nostro sgomento di fronte a tale situazione e chiediamo alle autorità turche di rilasciarla immediatamente e di far cadere le accuse infondate a suo carico.
Gerard Batten (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, Alexander Litvinenko testimoniò alla commissione Mitrokhin in Italia e formulò dinanzi a me personalmente l’accusa che Romano Prodi fosse una sorta di agente del KGB. In seguito, Mario Scaramella della commissione Mitrokhin venne a Londra a mettere in guardia Litvinenko sul pericolo di essere assassinato, cosa che successe immediatamente dopo.
Scaramella fece ritorno in Italia, dove fu subito arrestato. Negli ultimi 13 mesi è stato in carcere sulla base di accuse infondate, senza processo e con il divieto di accesso al mondo esterno. Mario Scaramella ha perso il suo stipendio, la sua casa, è stato separato dai suoi figli e la sua salute è a rischio. Mario Scaramella è un prigioniero politico. La sua protratta detenzione è uno scandalo verificatosi nel cuore dell’Unione europea. Il suo unico reato, se così si può chiamare, è stato quello di gettare luce negli angoli corrotti della politica europea. Tutti i democratici dovrebbero chiedere il suo rilascio immediato e incondizionato.
László Tőkés (NI). – (HU) Nell’Anno europeo del dialogo interculturale attualmente in corso, desidero richiamare la vostra attenzione su un progetto di legge estremamente discriminatorio del partito conservatore rumeno che, se fosse adottato, penalizzerebbe con la perdita della nazionalità le persone appartenenti alle minoranze etniche e che non parlano la lingua di Stato della Romania. Tale legge sulla lingua ha quale obiettivo primario la comunità ungherese che vive nell’antica regione di origine, la Transilvania. Sinora, non si è opposto nessun parlamentare rumeno, e persino il consiglio nazionale per la lotta alla discriminazione ha dato il suo consenso. Al contempo, il parlamento rumeno si sta preparando all’adozione di un’altra legge discriminatoria, la legge in materia di istruzione. Contatteremo al riguardo Leonard Orban, Commissario rumeno responsabile del multilinguismo nella Commissione europea, in quanto siamo convinti che la Romania debba seguire la pratica democratica del Parlamento europeo nelle sue leggi sulla lingua.
Colm Burke (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, desidero sollevare una questione relativa alla convenzione in materia di adozione di bambini, adottata nel 1967 dal Consiglio d’Europa. Quarant’anni dopo, è obsoleta e deve essere sostituita.
Nel 2002 il Consiglio d’Europa ha deciso che avrebbe dovuto essere modificata; nel 2004 sono state concordate alcune proposte; nel 2007 il testo della nuova convenzione è stato approvato da giuristi esperti. Tuttavia, sembra che attualmente un paese abbia posto un ostacolo e impedisca che la convenzione giunga dinanzi al Consiglio dei ministri.
Ritengo che debba essere inviato un chiaro messaggio dal Parlamento europeo al Consiglio d’Europa, poiché è necessario che questo problema venga modificato al più presto possibile e che una nuova convenzione venga posta in essere al fine di fermare ciò che finora è accaduto nei singoli paesi, e che tenga anche conto delle decisioni della Corte dei diritti dell’uomo. Desidero chiedere di lanciare un messaggio preciso e inequivocabile al Consiglio d’Europa.
Genowefa Grabowska (PSE). – (PL) Signor Presidente, il costo dei visti per i cittadini che non fanno parte dell’Unione europea è aumentato a seguito dell’ampliamento dello spazio Schengen. I bielorussi, per esempio, ora devono pagare 12 volte di più per un visto: 60 euro anziché 5, cifra pari al guadagno di un giovane medico in Bielorussia, e un terzo della media del reddito mensile. Per molti bielorussi costituisce un ostacolo che non consente loro di ottenere i visti e di visitare i loro vicini dell’Unione europea.
L’Unione impedisce il contatto diretto tra i cittadini proprio nel momento in cui introduce una politica di buon vicinato nel Trattato di Lisbona. L’aumento nel prezzo dei visti è quindi un pietoso paradosso, nonché un regalo perfetto per il Presidente Lukashenko, che afferma che i bielorussi non possono aspettarsi nulla dall’Europa.
Onorevoli colleghi, questa situazione deve cambiare. Chiedo di compiere ogni passo al fine di ridurre il prezzo dei visti per i cittadini bielorussi.
Toomas Savi (ALDE). – (EN) Signor Presidente, ieri l’organizzazione giovanile russa Nashi, finanziata dallo Stato, ha pubblicato l’elenco dei cittadini estoni che propone di dichiarare personae non gratae in Russia. Tra loro, oltre al Presidente della Repubblica di Estonia, e a Toomas-Hendrik Ilves, un ex eurodeputato, figura anche un mio amico e collega, Tunne Kelam, membro della delegazione alla commissione di cooperazione parlamentare UE-Russia.
La Nashi, che sostiene il regime antidemocratico del Presidente Putin, descrive l’onorevole Kelam quale autentico russofobo, noto per il suo irrequieto e malsano nazionalismo popolare.
Tutti noi che conosciamo bene l’onorevole Kelam sappiamo perfettamente che queste parole insensibili sono totali menzogne. Dal mio punto di vista, il Parlamento europeo dovrebbe reagire a questo insulto. Tuttavia, d’altro canto, essere un nemico dei nemici della democrazia in Russia è un gran complimento per l’onorevole Kelam e per i suoi sforzi.
Ewa Tomaszewska (UEN). – (PL) Signor Presidente, uno dei principi fondamentali e di grande considerazione in tutta l’Unione europea è quello di non discriminazione. Molti documenti contengono riferimenti alla necessità di una tutela speciale per i diritti dei disabili. È inoltre apprezzato il ruolo sociale dello sport, compreso quello di favorire l’integrazione sociale. Alcuni paesi dell’Unione europea stanno adottando una normativa sull’assistenza sociale per gli sportivi e gli ex sportivi, in particolare coloro che in passato hanno partecipato alle Olimpiadi, in condizioni di difficoltà materiali, il che è molto positivo. Tuttavia è difficile accettare che, su questo aspetto, gli sportivi disabili debbano essere controllati.
Desislav Chukolov (NI). – (BG) Negli ultimi 20 anni, la Bulgaria avrebbe dovuto essere un paese basato sullo Stato di diritto, ma così non è stato. Nel nostro paese i neo-comunisti non si fermeranno davanti a niente. Georgi Pirinski, il presidente del parlamento bulgaro, limita la libertà di parola attraverso l’imposizione di divieti ai giornalisti, non consentendo loro, quindi, di svolgere il proprio lavoro. Al contempo, è stato reso noto che Pirinski è un cittadino statunitense e, secondo l’ordinamento bulgaro, egli non è che un cittadino della Bulgaria. Inoltre, uno dei più noti trafficanti di droga in Europa, Budimir Kujovic, ha la cittadinanza bulgara in quanto gli è stato concesso un passaporto dai vertici del ministero degli Interni, affinché potesse viaggiare per l’Europa facendo i propri affari. L’Ufficio del Procuratore ha condotto un’indagine, nessuno è colpevole, ma il passaporto è un dato di fatto.
Al contempo, il partito di maggiore opposizione nel mio paese, Ataka, è soggetto ad attacchi quotidiani da parte di coloro che sono al potere. La moglie del nostro leader, Kapka Siderova, è stata oggetto di un errore giudiziario in quanto i maltrattamenti da lei subiti si sono spinti così oltre che le accuse a suo carico sono state avanzate in un processo politico fasullo. Infine, suggerisco all’onorevole Pöttering che dovrebbe fare qualcosa di più del rimanere seduto apaticamente e sostenere i neo-comunisti in Bulgaria.
Jaroslav Zvěřina (PPE-DE). – (CS) Sin dal 2000, il Consiglio d’Europa ha espresso il proprio auspicio di trasformare, entro 10 anni, l’Unione europea nella parte del mondo più dinamica e competitiva. Da allora, è stato ripetutamente affermato che per qualche ragione non ci saremmo riusciti.
Non è stato realizzato nulla di concreto riguardo alla normativa sui brevetti e il nostro intero contesto innovativo manca di dinamismo.
La strategia di Lisbona modificata non apporta alcuna vera novità. Probabilmente gli obiettivi fissati sono leggermente troppo modesti. Questa è una ragione ulteriore per cercare di fissare obiettivi più semplici da raggiungere. A mio parere, tra questi figurano la semplificazione della normativa e l’abrogazione dei regolamenti inutili in tutti i settori ove ciò sia possibile.
Limitare il grado elevato della normativa europea è un metodo promettente. L’introduzione del principio di “discontinuità” nei lavori del Parlamento europeo sarebbe indubbiamente vantaggiosa da questo punto di vista. Sarebbe inoltre un passo positivo se le proposte di legge non presentate venissero eliminate alla fine del mandato del Parlamento.
Pierre Pribetich (PSE). – (FR) Signor Presidente, la scorsa settimana è stato presentato il pacchetto normativo sul cambiamento climatico e l’energia. Dobbiamo accogliere positivamente lo spirito delle proposte della Commissione. Tali questioni riguardano numerosi settori, in particolare l’edilizia e soprattutto l’edilizia popolare. Comprendiamo che un gran numero di costruzioni edilizie nell’Unione verranno condizionate da tali cambiamenti necessari. I costi relativi al riscaldamento, per esempio, sono un’enorme spesa per i proprietari che deve essere regolata e persino ridotta. Le modifiche all’edilizia popolare fanno parte delle nostre politiche di sviluppo sostenibile e necessitano di finanziamenti adeguati al fine di soddisfare questi nuovi requisiti. Finora, la Commissione ha concentrato i finanziamenti nei nuovi Stati membri, che pertanto hanno ricevuto un sostegno significativo, cosa che non è accaduta per gli Stati membri più vecchi. Le politiche nazionali in materia di edilizia hanno bisogno di sostegno finanziario regolare al fine di accelerare i cambiamenti nell’edilizia popolare. Se le politiche descritte devono essere credibili, dobbiamo far corrispondere le azioni alle parole. La Commissione dovrà intraprendere le ulteriori iniziative necessarie e finanziare le modifiche all’edilizia popolare ovunque nell’Unione europea.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, desidero annunciare che in quest’Aula questo pomeriggio si è verificato un incidente. Quando alla Presidenza sedeva l’onorevole Pöttering, Martin Schulz, il capogruppo dei socialisti, mi ha apostrofato con un tono di voce talmente alto e chiaro che dalla parte opposta si poteva sentire fin qui. “Chiudi il becco, idiota!”, erano queste le sue parole. È un comportamento realmente inaccettabile, oltraggioso e calunnioso. Mi aspetto che vengano presi gli adeguati provvedimenti, in particolare perché il signore in questione aspira alla posizione attualmente occupata dall’onorevole Pöttering. Non è questo il modo di condurre le questioni di un parlamento. I problemi sono stati peggiorati dal fatto che, contemporaneamente, alcuni deputati venivano scelti casualmente per aver avuto il coraggio di chiedere un referendum e sono stati minacciati con assurde sanzioni.
Petya Stavreva (PPE-DE). – (BG) Il secondo anno dall’adesione della Bulgaria all’Unione europea si rivelerà fatale per molti produttori lattiero-caseari bulgari. I prezzi elevati del foraggio, i bassi prezzi d’acquisto alla produzione del latte e la scarsità di risorse finanziarie per l’alimentazione del bestiame nel corso dei mesi invernali, nonché la mancanza di una politica di governo mirata sull’allevamento, sono fattori che potrebbero causare la liquidazione del bestiame e il fallimento di molti allevatori bulgari. Oggi, mentre la riforma della politica agricola comune è un argomento particolarmente importante per l’Unione europea, dovremmo tenere in considerazione anche la situazione attuale del settore agricolo nei nuovi Stati membri. Non possiamo ignorare le difficoltà che gli agricoltori devono affrontare nei paesi di recente adesione, che sono causate dall’adattamento inteso a soddisfare le norme europee. Gli agricoltori bulgari, al pari dei loro colleghi europei, si aspettano decisioni sagge per il futuro delle imprese agricole comunitarie.
Marianne Mikko (PSE). – (ET) Onorevoli colleghi, la persecuzione nei confronti del direttore dell’ufficio di San Pietroburgo del Consiglio britannico, l’onorevole Kinnock, e dei suoi colleghi sino alle inchieste da parte delle autorità russe richiedono la nostra totale attenzione. Le accuse contro il Consiglio britannico sono un anello della catena cui fanno parte anche i ciberattacchi all’Estonia, il blocco ai prodotti alimentari polacchi e l’attacco radioattivo a Londra. In ognuno di questi casi il Cremlino ha dichiarato innocentemente che si trattava di episodi isolati.
Onorevoli colleghi, un numero simile di incidenti isolati mira a un sistema. Lo scorso giovedì, il ministro degli Affari esteri russo, Sergey Lavrov, ha dichiarato esplicitamente che la riforma della struttura della sicurezza europea è una priorità della politica estera russa per il 2008. La Russia intende modificare l’Unione europea paralizzando la nostra politica estera e spingendoci nella morsa energetica tra il “North Stream” e il “South Stream”.
Poiché non desideriamo diventare l’obiettivo indifeso della forte politica estera russa, dobbiamo resistere insieme in modo solidale. Noi nel Parlamento europeo dobbiamo condannare la persecuzione del Consiglio britannico.
Marian Zlotea (PPE-DE). – (RO) La libera circolazione delle persone è una delle pietre miliari dell’Unione europea. Desidero richiamare l’attenzione del Parlamento sulla situazione di questo principio fondamentale in Romania. Per quanto riguarda l’adesione, il governo rumeno ha deciso di adottare la tassa di prima registrazione per i motoveicoli e ha poi annunciato la sua intenzione di eliminare tale tassa che la Commissione considera in contrasto con l’acquis communautaire, al fine di evitare che si continui con le procedure di inadempienza aperte nei confronti della Romania. Tuttavia, le autorità rumene si rifiutano di rimborsare i cittadini le tasse già pagate, nonostante tale obbligo sia contenuto nella giurisprudenza della Corte di giustizia europea.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il concetto di cittadinanza europea e di parità di diritti per tutti gli europei sarà realizzato completamente solo quando tutti gli Stati membri recepiranno e rispetteranno i diritti definiti nel Trattato. Desidero informarvi che ho iniziato una dichiarazione scritta e vi chiedo cortesemente di firmarla, al fine di evitare che in futuro si verifichino simili situazioni.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – (RO) La strategia di Lisbona afferma l’impegno dell’Unione europea nel diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva. Tra gli obiettivi di tale strategia figurano l’investimento nella ricerca, lo sviluppo della società dell’informazione e la creazione di posti di lavoro altamente qualificati.
Purtroppo, è spiacevole che solo pochi Stati membri abbiano investito nella ricerca il 3% del PIL. Due terzi di tali finanziamenti dovrebbero provenire dal settore privato. Oggi, mentre parliamo di riduzione del cambiamento climatico, di risorse energetiche sostenibili, di veicoli più verdi, di accrescere l’efficienza energetica di diverse industrie, di cambiare a favore della tecnologia digitale, e così via, l’investimento nella ricerca dovrebbe essere una delle nostre priorità. Purtroppo, nonostante lo stanziamento di fondi nazionali o europei per la ricerca, il collegamento tra ricerca di base e l’applicazione industriale dei suoi risultati è tuttora molto debole.
Chiedo alla Commissione europea di elaborare una strategia e un piano d’azione che consentano a tutti i cittadini europei di trarre vantaggio dai risultati della ricerca. Sono convinta che lo sviluppo della ricerca applicata condurrà alla creazione di posti di lavoro altamente specializzati nonché alla realizzazione di un’economia basata sulla conoscenza.
Oldřich Vlasák (PPE-DE). – (CS) Onorevoli colleghi, consentitemi di parlare di un argomento molto importante per quanto riguarda la conservazione di una varietà di prodotti regionali e la tutela dei prodotti tradizionali, nello specifico la “České pivo”, la birra ceca.
“České pivo” è stato il nome, pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea a metà gennaio di quest’anno assieme alla proposta di registrarlo quale indicazione geografica protetta.
La “České pivo” non è unica solo secondo i suoi consumatori, ma anche secondo gli esperti dell’industria birraria e i funzionari della Commissione. Il modo in cui l’industria birraria ceca si è sviluppata in passato, i tipi di malto e luppolo impiegati nonché il processo produttivo adottato, hanno insieme caratterizzato la “České pivo” con un gusto diverso dalle birre europee, quali la Heineken o la Stella Artois.
La Repubblica ceca insisteva da più di tre anni per questa registrazione. I negoziati lunghi e faticosi si sono conclusi con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
Desidero ringraziare i funzionari della Commissione europea e gli esperti cechi per il loro approccio responsabile alla questione. Ritengo che, da oggi in poi, nulla potrà impedire alla “České pivo” di diventare parte del patrimonio culturale europeo.
Catherine Stihler (PSE). – (EN) Signor Presidente, desidero sollevare la questione della Broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), una patologia che entro il 2020 sarà la terza principale causa dei decessi nel mondo. Nel 2000, la BPCO ha ucciso 2,7 milioni di persone. Fino a tre quarti delle persone affette da BPCO hanno difficoltà nello svolgimento delle azioni più comuni, come fare le scale. La BPCO è associata a molti altri problemi, e il fumo non è l’unico fattore di rischio: anche il fumo passivo e l’inquinamento dell’ambiente sono correlati alla BPCO. Dato che la popolazione invecchia, questa malattia diventerà un problema sempre maggiore. Chiedo ai colleghi di firmare la dichiarazione scritta 0102/2007.
Csaba Sógor (PPE-DE). – (HU) Signor Presidente, sto parlando nella mia madrelingua, l’ungherese, cosa che non posso fare nel mio paese. Sono lieto che qui sia possibile. Per quanto riguarda la questione dei Rom, è dovere di tutti noi distendere le tensioni sorte di recente tra le etnie, nonché fermare il diffuso sentimento ostile ai Rom. Dobbiamo urgentemente trovare una soluzione alla migrazione economica.
Tuttavia, la strategia dell’Unione europea per i Rom pone una base per l’elaborazione di una politica per le minoranze nazionali nuove e tradizionali nell’Unione europea. Il Kosovo ci ha ricordato ancora una volta che la questione dei diritti umani e delle minoranze è diventata di portata internazionale, oltre che europea. Siamo responsabili di quanto accade all’interno e al di fuori dell’Unione europea. Oggi, in uno dei nostri Stati membri, al centro dell’attenzione non sono i diritti comunitari, ma i reati comunitari. In Romania, la legge sulla lingua priverà molte centinaia di migliaia di persone della loro nazionalità. Citiamo questo caso poiché siamo tutti responsabili dei nostri paesi, dei nostri vicini, e dell’intera Europa. Tale responsabilità non è presente solo al momento delle elezioni, ma premane nel nostro lavoro quotidiano, nonché nel trovare una soluzione rassicurante alla questione Rom. Grazie.
Árpád Duka-Zólyomi (PPE-DE). – (SK) La situazione nel parlamento slovacco è tesa e inusuale. Deve essere presa una decisione sul Trattato di Lisbona, ma i deputati dell’opposizione vogliono astenersi dal voto per protestare contro una legge sulla stampa antidemocratica. È una notizia sorprendente, ma quali sono i veri motivi?
Il governo di Robert Fico continua ad adottare misure contrarie ai principi fondamentali della democrazia e di uno Stato basato sul diritto. Il Primo Ministro ignora l’opposizione e, come egli stesso ha dichiarato in più di un’occasione, dal suo punto di vista la principale opposizione è costituita dai mezzi di informazione. La legge sulla stampa è restrittiva e il modo in cui limita la libertà di parola e di stampa è inammissibile. Questo non è stato sottolineato solo dal sindacato dei giornalisti slovacco, ma anche dall’OSCE; quest’ultima, ha chiesto in modo persino più vigoroso al parlamento di rifiutare tale proposta controversa.
A nome della larga maggioranza dei parlamentari di opposizione, posso affermare che sosteniamo il Trattato di Lisbona e troviamo increscioso che vengano limitati i mezzi di protesta dell’opposizione slovacca contro una legge sulla stampa vergognosa.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Il Parlamento europeo ha riconosciuto la lotta per i diritti umani a Cuba conferendo, nel 2002, il premio Sakharov al dissidente cubano Oswald Payá Sardiñas e, nel 2005, alle Damas de Blanco; tuttavia, onorevoli colleghi, esiste molto più della solidarietà.
Il popolo cubano, che può solo sognare la libertà mentre viene minacciato attraverso la repressione e il carcere, ha bisogno di più della solidarietà. Oggi, le Damas de Blanco necessitano di aiuto concreto da parte del Parlamento europeo affinché vengano liberati i loro mariti, oppositori del regime dittatoriale, la cui salute è compromessa a causa delle condizioni disumane delle carceri in cui rischiano di morire.
Signor Presidente, le chiedo di contribuire al rilascio del quarantacinquenne Antonio Ramón Díaz Sánchez, che nel 2003 è stato condannato a 27 anni di detenzione. Antonio, la cui famiglia ha ricevuto il nostro sostegno, e che ho adottato simbolicamente assieme ai colleghi, gli Peter Šťastný e Milan Gaľa, è gravemente malato e ha urgente bisogno di aiuto, senza il quale morirà in prigione a causa della sua malattia.
Péter Olajos (PPE-DE). – (HU) La ringrazio molto signor Presidente. La scorsa settimana, in quest’Aula, il Presidente Barroso ha presentato il piano d’azione della Commissione per la realizzazione dell’ambiziosa riduzione europea di biossido di carbonio. Il giorno successivo, il consiglio di Trebišov, in Slovacchia, ha respinto all’unanimità un programma inteso alla costruzione di una centrale energetica che sarebbe stata responsabile delle emissioni di 4 milioni di tonnellate di biossido di carbonio all’anno, e contro la quale ci sono state per un anno e mezzo proteste diffuse, con petizioni e sanzioni da entrambe le parti del confine. Potremmo dire “Evviva! La democrazia, la sussidiarietà e il coraggio civile funzionano.” Tuttavia, esiste un altro aspetto della questione. Come può mai accadere che il ministero dell’Ambiente slovacco sostenga e raccomandi una simile centrale elettrica? Questo mi suggerisce che alcuni paesi hanno ancora molte quote di biossido di carbonio gratuite dalla Commissione. Pertanto, chiedo alla Commissione di rivedere i motivi dell’assegnazione di quote di biossido di carbonio alla Slovacchia, in quanto se nel 2008 il governo di questo paese progetta una gigantesca centrale alimentata a carbone che impiega una tecnologia obsoleta, vuol dire che il sistema di incentivi dell’Unione non sta funzionando. Grazie.
Milan Gaľa (PPE-DE). – (SK) Nella sua relazione pubblicata il 17 gennaio 2008, il gruppo dei regolatori europei ha dichiarato che, da quando il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la direttiva sul roaming sulle reti pubbliche di telefonia mobile all’interno della Comunità, i costi delle chiamate in roaming è diminuito drasticamente e gli operatori non hanno cercato di compensare le loro perdite attraverso l’aumento del costo di altri tipi di chiamate.
È stato inoltre rilevato che, per quanto riguarda le chiamate in roaming, la sovrafatturazione delle reti di telefonia mobile può essere pari al 20% a causa delle tariffe di chiamata: le chiamate in roaming vengono addebitate sulla base di un calcolo al minuto. Sono soddisfatto degli sforzi della signora Commissario Reding, che ha annunciato che la Commissione avrebbe cercato di risolvere tale situazione.
Dal mio punto di vista, è fondamentale che gli operatori di telefonia mobile offrano ai consumatori chiamate in roaming con un costo calcolato al secondo, come avviene a livello nazionale. Raccomando inoltre che il documento in fase di preparazione affronti anche il costo degli SMS e i servizi di dati in roaming.
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, una saggia decisione presa a dicembre dalla Commissione al fine di consentire l’importazione di carni bovine brasiliane unicamente da aziende autorizzate, ha previsto entro il 1° febbraio un elenco positivo di circa 300 aziende agricole, sulla base di precedenti ispezioni effettuate dall’Ufficio alimentare e veterinario (FVO).
Oggi la confusione è diffusa, a seguito di una dichiarazione del commissario Kyprianou che avrebbe dovuto esserci un divieto a partire da questo venerdì, in quanto le autorità brasiliane hanno presentato un elenco di 2 600 aziende agricole, sollevando dubbi importanti, pertanto sarà necessario più tempo al fine di completare le verifiche. Tuttavia, il Commissario ha continuato, cito, “Al momento non è disponibile alcuna lista positiva…ma, certamente, questa situazione può cambiare nei prossimi giorni”.
Ci sarà quindi un divieto o no? Le circa 300 aziende ispezionate dal FVO formeranno di fatto una lista positiva, fino ad altre ispezioni o altro? Per quale motivo oggi non ci sono stati comunicati stampa da parte del Commissario Kyprianou? I nostri consumatori e allevatori meritano chiarimenti.
Mairead McGuinness (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, potrei portare all’attenzione di quest’Assemblea una relazione molto importante pubblicata ieri dalla Commissione sulle vite di oltre un milione di europei negli istituti? Si tratta di persone con disabilità, e le conclusioni non costituiscono una lettura molto facile. La qualità della vita in questi istituti varia in larga misura, e la dignità dei disabili che vivono in tali strutture non sempre viene garantita.
L’assistenza degli istituti è spesso di qualità inaccettabilmente scarsa. Posso domandare ai presenti in Aula di leggere la relazione del loro paese, poiché può risvegliarci tutti? So che la situazione in Bulgaria ha di recente ricevuto l’attenzione dei media, e molti di noi sono preoccupati per questo, ma persino nel mio paese possono essere fatti miglioramenti in questo campo.
Non è solo una questione di denaro. I servizi nella comunità non sono più costosi dell’assistenza negli istituti se si tiene conto delle necessità dei residenti e della qualità delle loro esistenze.
Infine, citerò il Delta Centre che ho visitato a Carlow, in Irlanda, appena la scorsa settimana. È un modello di migliore pratica per gli adulti con disabilità che possono vivere nella comunità e visitare tale centro.
Mihaela Popa (PPE-DE). – (RO) Signor Presidente, la questione Rom riguarda l’intera Unione europea, non solo la Romania. L’Unione ha reso disponibili finanziamenti significativi al fine di garantire la promozione delle pari opportunità. Sono stati stanziati fondi per l’eliminazione della segregazione razziale dei Rom; tuttavia, i problemi ci sono ancora. Ritengo che l’attuazione di tali finanziamenti dovrebbe essere monitorata, e dovrebbe essere controllata in particolare la sostenibilità dei progetti finanziati dall’Unione europea.
È difficile cambiare le mentalità. Tuttavia, l’istruzione svolge un ruolo importante in tale cambiamento, pertanto credo che siano necessari finanziamenti aggiuntivi per l’istruzione interculturale, attività culturali e artistiche, eventi sportivi, una “seconda chance” di istruzione, l’istruzione in campo sanitario, eccetera, che conducano all’integrazione dei Rom in tutte le società europee. Desidero ribadire la necessità di monitorare questi programmi, in particolare la loro sostenibilità.
Presidente. – Dichiaro terminati gli interventi di un minuto, che si sono dilungati un po’ più del solito. Credo siano stati gli interventi di un minuto più lunghi della storia di questo Parlamento. Che accada solo una volta.
22. Piano d’azione per l’efficienza energetica: concretizzare le potenzialità (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione presentata dall’on. Fiona Hall, a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, su un Piano d’azione per l’efficienza energetica: concretizzare le potenzialità [2007/2106(INI)] (A6-0003/2008).
Fiona Hall, relatrice. − (EN) Signor Presidente, desidero iniziare ringraziando vivamente i relatori ombra per la loro ottima collaborazione in questa relazione.
L’efficienza energetica è fondamentale per ridurre le emissioni di carbonio, accrescere la sicurezza di approvvigionamento e aumentare l’efficienza economica. Nell’ottobre 2006 la Commissione ha elaborato un piano d’azione in cui propone di migliorare l’efficienza energetica del 20% entro il 2020 e definisce 10 settori prioritari d’azione. Tali settori spaziano dagli elettrodomestici agli edifici ai trasporti sino agli incentivi fiscali, alla consapevolezza dell’efficienza energetica e molto altro. Lo scorso marzo, i capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno approvato il piano d’azione della Commissione, e l’efficienza energetica è diventata una priorità in quanto il Cancelliere Merkel ha dichiarato che le lampadine incandescenti non efficienti dal punto di vista del consumo dovrebbero essere vietate.
Adesso al Parlamento incombe la valutazione del piano d’azione. Mi auguro che la nostra relazione invii un forte segnale su quanto gli eurodeputati desiderano che accada in merito all’efficienza energetica. Il primo di questi segnali contenuti nella relazione riguarda il fatto che alcune delle proposte della Commissione non si spingono abbastanza lontano. Vorrei fornire tre esempi. Primo, la proposta di revisione della direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia: la Commissione propone prescrizioni minime in termini di prestazioni energetiche per gli edifici e per i loro componenti, il che è positivo. Gli edifici sono fondamentali allo scopo di ridurre la domanda energetica. Oltre il 40% dell’energia che impieghiamo viene consumata negli edifici, e il 75% degli edifici esistenti esisterà ancora nel 2050, pertanto dobbiamo occuparci dell’efficienza energetica nelle vecchie costruzioni come nelle nuove. Ma non dovremmo soltanto ridurre la soglia dei 1 000 m² prevista nella direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia, dovremmo anzi eliminarla del tutto e applicare la direttiva a tutti gli edifici che necessitano di sistemi di riscaldamento e raffreddamento, a prescindere dalla loro dimensione. È inoltre necessario anticipare la scadenza per il raggiungimento degli standard della casa passiva per edifici residenziali e non in Europa. Non è sufficientemente utile avere solo questo quale obiettivo a medio termine.
Secondo, per quanto riguarda gli elettrodomestici, il Parlamento accoglie favorevolmente la proposta di definire prescrizioni minime di efficienza energetica assieme a un sistema dinamico di etichettatura energetica per stare al passo con i progressi in campo tecnologico. Tuttavia, la nostra relazione chiede alla Commissione di prevedere un requisito di prestazione in stand-by pari a un watt e di fare effettuare un’analisi delle economie di energia possibili al fine di sopprimere completamente lo stand-by, e sollecita l’Esecutivo a stabilire il calendario per il ritiro definitivo dal mercato di tutti gli apparecchi aventi un’efficienza energetica molto bassa, per esempio gli apparecchi per riscaldare ambienti esterni.
Terzo, la relazione chiede maggiore assistenza alle piccole imprese, particolarmente danneggiate dall’aumento dei prezzi del combustibile e che necessitano di efficienza energetica. Purtroppo, spesso i modelli di finanziamento comunitari e nazionali sono complessi. Se si possiede una grande azienda è un bene, ma se si tratta di una microimpresa con pochi dipendenti, non si ha la possibilità di accedere ai programmi complessi. Le piccole imprese devono essere trattate come i nuclei familiari offrendo loro finanziamenti semplici e aiuti di avviamento.
È questo, pertanto, il primo messaggio della relazione: è necessario spingersi ancora un po’ oltre. Il secondo importante messaggio è che la Commissione e i governi nazionali non hanno attuato la normativa esistente in materia di efficienza energetica. Il piano d’azione della Commissione inteso alla riduzione del 20% entro il 2020 non è un documento autonomo. Si basa in modo molto evidente sulla normativa precedente, la cui attuazione è stata un disastro. La direttiva sugli edifici è stata recepita solo da un esiguo numero di Stati membri. Trascorsi sei mesi dalla scadenza del 30 giugno, un terzo degli Stati membri non ha ancora presentato i piani d’azione nazionali in materia di efficienza energetica. La Commissione non ha ancora impiegato il personale straordinario che aveva dichiarato essere necessario al fine di portare a termine gli impegni in materia di efficienza energetica e, per questo motivo, il calendario sul piano d’azione è slittato.
Tuttavia, desidero ringraziare la Commissione per aver risposto in modo molto positivo e costruttivo alle critiche espresse nella relazione e, in particolare, per lo scambio di corrispondenza tra il Commissario Piebalgs e l’onorevole Niebler, che ha aggiornato il Parlamento sulla situazione.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, desidero davvero ringraziare l’onorevole Hall per la relazione molto importante e opportuna che ha elaborato.
Senza dubbio stiamo concentrando i nostri sforzi non solo nell’attuazione dell’attuale normativa, ma anche nell’inserire realmente nella nostra agenda piani d’azione sull’efficienza energetica. Vorrei ricordare che abbiamo anche raggiunto risultati di sostenibilità: questa settimana abbiamo lanciato il Patto dei sindaci, al quale partecipano più di cento città; adesso, abbiamo adottato in seno al Collegio un direttiva sull’energia rinnovabile che potenzia in modo indiretto l’efficienza energetica; abbiamo adottato una proposta per la riduzione di CO2 nel settore che non riguarda il sistema di scambio delle quote di emissione, nonché una proposta per le emissioni delle automobili. Potrei citare ancora diverse misure molto forti presentate dalla Commissione, poiché non ci siamo occupati unicamente di questioni normative. La Settimana dell’energia sostenibile è un ottimo esempio di quanto la politica della Commissione nella promozione dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili stia producendo risultati.
Ritengo che dovremmo migliorare la fase di attuazione. La Commissione ha iniziato con l’avviare 59 procedimenti d’infrazione per la mancata puntualità nell’attuazione, 42 dei quali sono attualmente in corso e continuerà a impegnarsi su questo punto verificando tutta la normativa sull’ottemperanza, aspetto sul quale è molto concentrata. Credo che l’attuale proposta di legge relativa allo scambio delle quote di emissione e non, oltre che alle energie rinnovabili, farà certamente in modo che gli Stati membri pongano maggiormente in evidenza l’efficienza energetica.
Per quanto riguarda i piani d’azione in materia di efficienza energetica, abbiamo avuto un inizio piuttosto in sordina. Ho scritto personalmente ai ministri ricordando il loro dovere di elaborare relazioni e piani di qualità, cosa che adesso hanno fatto 21 Stati membri su 27. Abbiamo condotto una valutazione preliminare dei piani d’azione sull’efficienza energetica, che compongono il pacchetto e che talvolta oscurano in qualche misura gli sforzi normativi. Ritengo sia corretto procedere in questo modo.
Per quanto concerne le questioni citate dall’onorevole Hall, il piano di lavoro di quest’anno prevede anche una revisione della direttiva sugli edifici. Attualmente ci troviamo nelle fasi finali di definizione delle prestazioni energetiche negli apparecchi. Modificheremo inoltre la direttiva sull’etichettatura, rispondendo pertanto a ogni richiesta presentataci dal Parlamento europeo.
Tuttavia, ritengo che tale direttiva offra alla Commissione anche ottimi orientamenti da seguire, essendo molto concreta. Potrei dire che in alcuni casi la situazione è migliore e in altri peggiore. Credo realmente che stiamo prestando attenzione, ma che tale attenzione deve essere maggiore e lo faremo senz’altro. La presente relazione non verrà ignorata, ma la impiegheremo quale documento di lavoro. Aggiornerò il Parlamento regolarmente sul modo in cui procederemo nel settore dell’efficienza energetica.
Evangelia Tzampazi (PSE), relatrice per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi. Nel parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare abbiamo sottolineato le questioni importanti. È generalmente riconosciuto che migliorare l’efficienza energetica è il modo più rapido, sostenibile ed economico per ridurre le emissioni di gas serra, migliorando al contempo la stessa efficienza energetica. Dobbiamo promuovere la ricerca e l’eco-innovazione attraverso lo sviluppo di tecnologie efficienti sul piano energetico, senza tuttavia ignorare la necessità di un cambiamento nelle nostre abitudini di consumatori. Abbiamo evidenziato il ruolo potenziale del settore pubblico nel raggiungimento degli obiettivi europei attraverso la scelta di prodotti e servizi efficienti dal punto di vista energetico.
Dovrei precisare che, quali cittadini europei, tutti possiamo contribuire allo sforzo, delineando politiche specifiche e nell’attuazione della normativa esistente, nonché attraverso le scelte che compiamo nella nostra vita quotidiana.
Avril Doyle, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN Signor Presidente, concordo con l’onorevole Hall quando precisa nella sua relazione che l’efficienza energetica è il modo più redditizio e immediatamente disponibile nella lotta per la riduzione delle emissioni di gas serra.
Sì, la Commissione ha ragione nel dichiarare nel suo piano d’azione sull’efficienza energetica che la volontà politica e l’impegno a livello nazionale, regionale e locale sono necessari più di ogni altra cosa per il raggiungimento degli obiettivi.
L’intera relazione è stata giustamente critica nei confronti della Commissione e degli Stati membri per non aver fatto di più per attuare la normativa esistente sull’efficienza energetica. Tale urgenza ha portato il Commissario ad aumentare i propri collaboratori nel settore dell’efficienza energetica e, lo capisco, a istituire un’unità speciale intesa a seguire il piano d’azione sull’efficienza energetica, sottolineando che la priorità della Commissione è quella di realizzare l’efficienza energetica al fine di contribuire alla riduzione delle emissioni di CO2 e di affrontare la questione critica dei cambiamenti climatici.
Tuttavia, la relazione del Parlamento dimostra che i progressi degli Stati membri nel presentare i loro piani nazionali in materia di efficienza energetica, purtroppo, sono ancora lenti e desidero domandare alla Commissione di continuare a esercitare pressione su di loro.
Persino a Bali l’Europa è stata criticata per non aver dato sufficiente rilievo al settore dell’efficienza energetica e ai nostri sforzi di riduzione delle emissioni di CO2. Abbiamo bisogno di un insieme di risposte normative e basate sul mercato. Per esempio, se tutta l’illuminazione dell’Unione europea venisse cambiata in nuove tecnologie, ci sarebbe un significativo risparmio energetico. Si risparmierebbero cinque milioni di barili di petrolio e le emissioni di CO2 si ridurrebbero di 28 milioni di tonnellate all’anno.
Quest’anno attendiamo la revisione da parte della Commissione della direttiva sull’etichettatura energetica, in quanto l’attuale modello dalla A alla G per gli apparecchi domestici non offre ulteriore spazio per l’aumento dell’efficienza energetica e, nonostante sia molto chiaro e vicino ai consumatori, adesso sta creando problemi per commercializzare prodotti realmente più efficienti, poiché ha raggiunto il limite. Molti elettrodomestici sono classificati come A+ o A++, categorie che non esistono neanche. Dall’altra parte, nell’Unione europea ci sono attualmente 188 milioni di elettrodomestici che hanno più di 10 anni e sono pericolosamente poco efficienti.
Ringrazio l’onorevole Hall per la sua relazione di ampio respiro, che raccomando ai colleghi.
Adam Gierek, a nome del gruppo PSE. – (PL) Signor Presidente, signor Commissario, la relazione dell’onorevole Hall, con la quale mi congratulo per il suo complesso approccio, rivolge l’attenzione a un significativo ritardo da parte degli Stati membri e della Commissione nell’attuazione della normativa esistente in questo settore.
L’impiego efficiente dell’energia primaria dipende dal miglioramento dell’efficienza nella conversione in elettricità, dall’introduzione di norme minime relative all’energia destinate al consumatore finale, da un’estesa termo-modernizzazione degli edifici, da un’ampia introduzione della cogenerazione attraverso l’eliminazione degli ostacoli amministrativi, e dalla riduzione delle perdite che si verificano nel trasferimento energetico e le perdite dovute all’attrito.
La relazione sottolinea inoltre la scala globale del problema nonché la necessità di ridurre le emissioni di gas serra. Le abitazioni contribuiscono a circa il 40% del consumo energetico totale e la termo-modernizzazione potrebbe ridurre l’energia assorbita almeno della metà, ossia del 20% del totale dell’energia consumata. Inoltre, la cogenerazione, assieme alla riduzione delle perdite nel trasferimento energetico, può raddoppiare l’efficienza energetica. Complessivamente, il risparmio potenziale che si può raggiungere nell’energia primaria attraverso l’impiego delle tecnologie note, in particolare la termo-modernizzazione e la cogenerazione, si può calcolare approssimativamente tra il 25% e il 30%, con una pari riduzione delle emissioni di CO2.
Tuttavia, il paradosso è che l’attuazione di questi piani d’azione può essere ostacolata dagli ultimi regolamenti della Commissione europea, particolarmente restrittivi per quanto riguarda i livelli di emissione di CO2 che, nel caso delle centrali elettriche più datate e degli impianti di riscaldamento che necessitano di essere modernizzati, aumentano i costi di produzione e riducono le possibilità di ammodernare gli investimenti.
Un altro aspetto della natura globale del problema è la necessità di redigere normative comuni di adattabilità ambientale che siano applicabili all’interno dell’Unione europea e nei paesi suoi partner. Questo è un prerequisito per una proficua cooperazione e per una concorrenza leale sui mercati mondiali.
Jorgo Chatzimarkakis, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, desidero iniziare col ringraziare e congratularmi con la collega Fiona Hall, che ha trovato la giusta risposta a un’iniziativa molto importante e saggia, nonché fondamentale, della Commissione europea. Mi sento in dovere di elogiare il Commissario Piebalgs per avermi posto in prima linea tra coloro che sono impegnati nell’efficienza energetica, poiché quest’ultima è senza dubbio una delle principali fonti di autosufficienza per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico. È inoltre una fonte di innovazione per cui se realizzassimo quanto proponiamo nella relazione, ci troveremmo all’avanguardia nel campo, persino su scala globale, in termini di innovazione e obiettivi del processo di Lisbona.
In ogni caso, sono colpito dalle eccessive critiche nei confronti degli stili di vita delle persone, presenti in alcuni punti della relazione. Citerò un solo esempio: nel paragrafo 16 si dichiara apertamente che la Commissione dovrebbe ritirare dal mercato alcuni apparecchi. Viene fatto specifico riferimento agli apparecchi per riscaldare ambienti esterni o Heizpilze (“funghi”) come qualcuno li chiama in Germania. L’isteria relativa ai cambiamenti climatici a volte sfocia in autentiche caratteristiche totalitarie!
Siamo appena riusciti a cacciare i fumatori dai caffè. Credo che fosse la cosa giusta da fare, e non mi crea alcun problema. Molti proprietari di locali pubblici hanno agito astutamente e messo nei dehors questi apparecchi per riscaldare gli ambienti esterni. Si è sviluppata una nuova cultura. La gente ha cominciato a cenare con gioia all’aperto, dove si può fumare, e adesso arriviamo noi politici europei, pochi individui in quest’Aula, e diciamo a 490 milioni di persone in quale modo possono o non possono trascorrere il loro tempo libero. Stiamo cercando di cambiare nuovamente gli stili di vita e non credo che i nostri cittadini lo sopporteranno ancora per molto.
È giusto che gli obiettivi della protezione climatica siano di ampia portata, ma dobbiamo domandare a noi stessi se stiamo tentando di regolare i dettagli degli stili di vita delle persone, o se desideriamo bandire gli apparecchi per riscaldare ambienti esterni dai mercatini di Natale che noi tedeschi conosciamo e, sì Claude, che conoscono anche lussemburghesi, belgi e austriaci. Dovremmo essere ben consapevoli che non dobbiamo dimenticare i cittadini nostri pari e che dobbiamo evitare di interferire in un aspetto piacevole della società come questo, come le vite private delle persone.
Mieczysław Edmund Janowski, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, signor Commissario, sino ad oggi l’homo sapiens ha danneggiato gravemente l’ambiente, del quale egli stesso è l’elemento più importante. Ciò è dovuto in gran parte all’impiego dell’energia, e la relazione dell’onorevole Hall su un utilizzo razionale dell’energia è pertanto accolta con grande favore.
Valuto positivamente in particolare il fatto che la relazione affronti le domande da fare sugli edifici. Le norme di livello più elevato in materia di efficienza energetica e di isolamento termico non devono essere applicate soltanto ai nuovi edifici, ma anche alle ristrutturazioni degli edifici esistenti.
Il prossimo passo è l’impiego di lampade a LED, che sono a risparmio energetico e a lunga durata. Molti elettrodomestici potrebbero inoltre consumare molta meno energia, e anche lo spreco energetico dovuto al mantenimento degli apparecchi in stand-by può essere evitato.
Sono favorevole agli incentivi fiscali per il consumo razionale dell’energia. È altresì importante educare il pubblico alle questioni energetiche e si dovrebbe iniziare sin dall’infanzia. Questo è quanto abbiamo il dovere di fare affinché il nostro pianeta abbia un futuro.
Claude Turmes, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, la relazione Hall fa suonare il campanello di allarme. Siamo nel corso della Settimana dell’energia sostenibile e, per quanto l’evento sia positivo, non dovrebbe distogliere l’attenzione dal fatto che quanto i governi hanno raggiunto, in particolar modo, nel corso degli ultimi due o tre anni in materia di efficienza energetica è estremamente scoraggiante. Non hanno applicato la normativa e hanno inviato piani d’azione sull’efficienza energetica che non sono veri piani d’azione, ma documenti qualsiasi, il che è ridicolo!
Faccio appello all’orgoglio dei primi ministri. Forza! A marzo tornerete a Bruxelles, dove un anno fa, a seguito di uno storico vertice, avete rilasciato molte dichiarazioni riguardo alle priorità relative all’efficienza energetica, e un anno dopo arrivate senza aver realizzato quasi nulla in qualità di governi!
Ritengo che tutti noi dovremmo unire le forze per incitare i governi a proseguire. Inoltre, la Commissione deve approvare e intraprendere nuove iniziative sull’ampliamento della cogenerazione di calore ed elettricità e sull’etichettatura del risparmio energetico.
Infine, per quanto riguarda il mio buon amico Chatzi:
(DE) L’unico a essere stupito qui sei tu, perché i mercatini natalizi esistevano ben prima che venissero inventati gli apparecchi per riscaldare ambienti esterni, e credo sia nel pieno diritto del Parlamento almeno domandare quanto siamo incoerenti rispetto ai cambiamenti climatici. Non si tratta di interferire negli stili di vita delle persone, ma di tenere premuta una ferita, che è quanto quest’Assemblea deve fare se vogliamo che si cicatrizzi.
Nils Lundgren, a nome del gruppo IND/DEM. – (SV) Signora Presidente, nell’Unione europea è generale l’accordo sulla necessità di ridurre le emissioni di gas a effetto serra al fine di lottare contro i cambiamenti climatici, ma questo non deve condurre a una società burocratica priva di libertà e dinamismo.
Qui si applicano due principi fondamentali: dobbiamo definire gli obiettivi delle emissioni per ciascuno Stato membro e in seguito affidarci a questi paesi e al mercato al fine di raggiungere gli obiettivi di una libera concorrenza, nonché internalizzare i costi delle emissioni fissando i diritti di emissione a livelli sufficientemente elevati. Le emissioni verranno quindi automaticamente tenute in considerazione nei miliardi di decisioni economiche che le famiglie e le imprese prendono ogni giorno nel mondo. A loro volta le famiglie decideranno autonomamente di scegliere le lampadine a risparmio energetico, i costruttori di automobili produrranno veicoli a basso consumo di carburante, le imprese edili costruiranno case passive, i produttori di energia produrranno energia a basse emissioni di carbonio. Sarebbe inoltre utile condurre ricerca e sviluppo nel campo.
Tuttavia, l’Unione europea non deve introdurre divieti e regolamenti dettagliati. Pertanto, non approviamo un divieto sugli apparecchi per riscaldare ambienti esterni, né le concessioni fiscali per la demolizione degli edifici o i finanziamenti pubblici per il risparmio energetico.
Anni Podimata (PSE). – (EL) Signora Presidente, signor Commissario, desidero innanzitutto congratularmi con la relatrice, l’onorevole Hall, per il suo approccio coraggioso e olistico alla questione dell’efficienza energetica, che supera le proposte della Commissione.
Considerata la situazione energetica attuale, l’efficienza energetica è lo strumento più efficace nella lotta ai cambiamenti climatici, poiché il sistema delle quote di emissione dei gas serra non ha ancora prodotto i risultati desiderati.
Per quanto riguarda l’efficienza energetica è necessario porre l’accento sul settore della costruzione, responsabile del consumo di più del 40% della nostra energia. In Grecia, tale settore consuma circa un terzo del totale delle risorse energetiche e contribuisce al 40% delle emissioni di biossido di carbonio. Tuttavia, la Grecia deve ancora recepire nel proprio ordinamento la direttiva sull’efficienza energetica degli edifici e per questo di recente è stata condannata dalla Corte di Giustizia europea, nonché aggiunta all’elenco dei 10 paesi che non hanno ancora elaborato un piano d’azione per l’efficienza energetica. Nonostante l’armonizzazione della normativa nazionale con quella della Comunità sia fondamentale, non è sufficiente se intendiamo raggiungere gli obiettivi desiderati. Sono lieta che il Commissario abbia sottolineato che l’Unione europea deve esortare quanto più possibile gli Stati membri a un’attuazione più coerente degli obiettivi in materia di energia.
Possono essere estremamente utili a tale scopo le misure e gli incentivi suggeriti nella relazione, quali l’accesso ai finanziamenti intesi all’efficienza energetica attraverso i Fondi strutturali, un aumento della percentuale minima di stanziamento dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione, gli incentivi fiscali e, soprattutto, la riduzione dell’aliquota IVA per le abitazioni e le PMI efficienti dal punto di vista energetico.
Non è possibile raggiungere l’obiettivo dei cambiamenti climatici da soli, ma con lo sforzo congiunto di tutti gli Stati membri. Se desideriamo che l’Unione europea continui a essere all’avanguardia di tale sforzo e che conduca in modo risoluto i negoziati con gli altri paesi, dobbiamo far sì che diventi una priorità colmare la distanza tra i paesi che svolgono un ruolo di guida e i fanalini di coda.
Jerzy Buzek (PPE-DE). – (PL) Signor Commissario, mi congratulo con lei per le misure adottate. Oggi, il problema principale dell’Europa è l’impiego dell’energia e il suo impatto sul clima, più importante ancora della produzione alimentare, questo è certo. Dopo un’attenta verifica, ho rilevato che le ultime otto Presidenze ne hanno fatto una priorità, e per talune è stata la prima tra le priorità. Ma se le questioni energetiche sono così importanti, devono ricevere finanziamenti proporzionati, altrimenti continueremo a pronunciare frasi vuote, prive di un sostegno concreto.
Siamo consapevoli del valore aggiunto che può essere creato quando nell’Unione europea tutti si impegnano insieme. Se condividiamo la nostra esperienza, scegliamo le migliori soluzioni e le combiniamo, possiamo essere sicuri di un enorme progresso. Pertanto, la domanda è: siamo pronti a impiegare i fondi comuni europei per ricerca, tecnologie, innovazione e sviluppo nel settore energetico?
L’efficienza energetica di cui parliamo, adattabilità e risparmio, è persino più importante dell’energia rinnovabile o del carbone pulito. Su un bilancio complessivo di migliaia di miliardi di euro, ne vengono stanziate ancora solo poche centinaia di milioni in sette anni per i programmi congiunti europei di ricerca e sviluppo.
Chiedo al signor Commissario, alla Commissione europea e al Consiglio europeo di riconsiderare il problema e di scegliere la strada del rapido sviluppo tecnologico prima di imporre norme molto rigide sulle emissioni.
Vladimir Urutchev (PPE-DE). – (EN) Oggi in quest’Aula discutiamo nuovamente delle importanti questioni energetiche, il che dimostra che affrontare i problemi relativi all’energia nella loro interazione con i cambiamenti climatici è una delle maggiori priorità delle istituzioni europee. Ne è un’ulteriore prova l’eccellente ed esaustiva relazione dell’onorevole Fiona Hall.
L’efficienza energetica è sicuramente uno dei pilastri che per lungo tempo sarà alla base della nostra politica energetica. I cittadini europei comprendono il proprio ruolo e la funzione dell’efficienza energetica in termini di raggiungimento degli obiettivi di stabilizzazione climatica e di un futuro di maggiore sicurezza energetica. Pertanto, con il sostegno pubblico e una situazione politica favorevole, esorto la Commissione a dimostrare ancora maggiore iniziativa e a impiegare tutti i meccanismi intesi a influenzare il comportamento nonché a garantire che gli ambiziosi obiettivi del 20% vengano raggiunti e che tutti i cittadini europei beneficiare dell’efficienza energetica.
Al contempo, se il nostro obiettivo finale è quello di salvare il pianeta dai catastrofici cambiamenti climatici e di un’Europa competitiva e sicura dal punto di vista energetico sul mercato globale, bisognerà dunque prestare la dovuta attenzione anche al restante 80%. In questo 80% è compresa l’energia nucleare che attualmente viene sottovalutata e negli ultimi vent’anni continua a essere offuscata dalle ansie e dai dogmi. È necessario riunire tutta la nostra saggezza e il nostro buon senso al fine di superare il problema e iniziare a discutere apertamente e in modo chiaro dell’energia nucleare quale affare e opportunità che l’uomo e l’Europa non possono permettersi di perdere. Tutti noi di quest’Assemblea abbiamo la responsabilità politica di far sì che questo accada.
Lambert van Nistelrooij (PPE-DE). – (NL) Sono molto lieto che mi sia stato consentito di parlare grazie alla procedura “catch-the-eye”. Questa discussione sulla relazione dell’onorevole Hall ha dimostrato chiaramente che dobbiamo agire in modo più rapido. Esistono molte opportunità per l’efficienza energetica; è ciò a cui noi nei Paesi Bassi ci riferiamo come a risultati a portata di mano: se valutiamo queste opportunità, possiamo poi contribuire molto rapidamente al raggiungimento degli obiettivi comuni che noi stessi abbiamo fissato e ribadito a Bali, nonché confermato nuovamente nel pacchetto della Commissione del 23 gennaio. In questo caso il Commissario Piebalgs ha svolto un ruolo molto importante.
In sede di commissione per lo sviluppo regionale abbiamo notato, e l’onorevole Buzek ne ha parlato, che nel periodo fino al 2006 era perfettamente possibile fare dell’energia e dell’efficienza energetica delle priorità tra gli obiettivi dei Fondi strutturali, e finora è stato speso per questo solo l’1,16%. Adesso, la signora Commissario Hübner ha annunciato nel corso delle discussioni con la commissione per la politica regionale della scorsa settimana che il regolamento deve essere riesaminato e che nei programmi per il 2007-2013 verrà data maggiore priorità a tali questioni. Pertanto, concludo che abbiamo bisogno di agire più rapidamente e di impiegare in modo migliore gli strumenti esistenti a livello europeo.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare gli onorevoli deputati per una discussione piena di significato. Come ho detto, l’ambizione della Commissione è di seguire il piano d’azione sull’efficienza energetica. Sono consapevole che a volte desiderate che agiamo in modo più rapido, ma esistono anche alcuni passi che dovremmo compiere, ossia migliorare la normativa, le consultazioni pubbliche e la valutazione dell’impatto. Tutto richiede del tempo. Ritengo che abbiamo bisogno di discutere della normativa e degli incentivi che credo debbano essere equilibrati, ma utilizzati entrambi.
Oggi ho avuto un incontro con un ministro del Montenegro. Il suo paese ha sviluppato un’eccellente strategia energetica fino al 2025, ma l’ho incoraggiato a elaborare con urgenza una normativa, in quanto si tratta di un paese che assisterà a un enorme aumento delle costruzioni degli edifici. Non scoraggeranno gli investitori se fisseranno requisiti estremamente rigidi per la reintegrazione immediata delle energie rinnovabili. Tutte norme di cui beneficerà il paese, in mancanza delle quali i contribuenti pagheranno per approvvigionamenti energetici aggiuntivi.
Pertanto, credo che l’ambizione sia necessaria. Abbiamo definito nuovi orientamenti sulle questioni di bilancio. Occorre compiere uno sforzo ancora maggiore al fine di stabilire in quali casi gli aiuti di Stato devono essere destinati alle nuove tecnologie, all’efficienza energetica e alle energie rinnovabili. Stiamo inoltre lavorando su una piattaforma internazionale per l’efficienza energetica che possa creare sinergie a livello internazionale. Tuttavia, l’autorità di bilancio non è solo della Commissione, ma anche del Parlamento.
Sono molto grato all’onorevole Buzek per il lavoro che ha svolto nell’ambito del Settimo programma quadro e credo che disponiamo ancora di strumenti significativi. Anche questo è parte dell’ottimo lavoro dell’onorevole nonché del Parlamento. Un aumento nel bilancio o la ridistribuzione sono questioni troppo complesse, cui non posso rispondere. Non mi occuperei del denaro aggiuntivo nel bilancio dei miei colleghi, del Commissario Potočnik o delle relazioni esterne, ma bisognerebbe discuterne congiuntamente nel dibattito di bilancio.
Pertanto, considero questa un’eccellente relazione, non sempre gentile nei confronti della Commissione, ma qui non parliamo di gentilezza, bensì di efficienza energetica e delle ambizioni che saranno certamente alte anche da parte della Commissione.
Fiona Hall, relatrice. − (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare i colleghi per le loro osservazioni favorevoli e di sostegno, e vorrei esprimere nuovamente il mio apprezzamento per la risposta molto costruttiva della Commissione alle critiche del Parlamento.
Desidero occuparmi solo di due punti. In primo luogo, ritengo sia davvero una vergogna che non sia stata prestata maggiore attenzione alla valutazione della Commissione sui piani d’azione sull’efficienza energetica presentati la scorsa settimana con il pacchetto in materia di energia, in quanto è una valutazione pessimista in misura molto preoccupante. Infatti, essi non guardano avanti all’obiettivo del 20% e, per citare la Commissione, esiste un “un notevole scarto per alcuni Stati membri tra l’impegno politico a favore dell’efficienza energetica…e le misure adottate”. Questo credo sia preoccupante.
In secondo luogo, il fatto che adesso abbiamo la direttiva relativa alle fonti energetiche rinnovabili significa che l’efficienza energetica non è mai stata così importante. Se intendiamo raggiungere gli obiettivi vincolanti del 20% nell’Unione europea, dobbiamo mantenere sotto controllo la domanda energetica. Possiamo ottenere il 20% se il 100% del totale dell’impiego di energia viene ridotto e non, invece, consentendone l’aumento.
Pertanto, auspico che questa relazione segni un nuovo inizio e il principio della chiusura dello scarto tra la retorica politica sull’efficienza energetica e la sua reale attuazione.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì 31 gennaio 2008.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Roberta Alma Anastase (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Saluto con favore la stesura di questa relazione e l’approccio globale che in essa viene proposto per l’efficienza energetica nell’Unione europea, in termini geografici e di argomenti trattati. È importante il fatto che oggi dovremmo parlare di un piano d’azione e dei suoi dettagli, il che dimostra che stiamo compiendo progressi concreti in questa direzione.
Quale relatrice sulla cooperazione regionale nel Mar Nero, desidero sottolineare l’importanza dell’efficienza energetica in questa regione al fine di raggiungere l’obiettivo di sicurezza energetica e di ridurre la dipendenza dalle fonti di energia.
Inoltre, considero positivamente l’approccio internazionale alla questione e alla valutazione delle sfide globali. Per questo motivo, accolgo con favore la consapevolezza del Parlamento europeo in merito al fatto che in futuro la Russia non potrà incontrare la domanda interna e contrattuale di gas, e che esprima la propria preoccupazione su questo aspetto.
Questo ci induce a ribadire alle istituzioni europee l’importanza di due obiettivi fondamentali: una maggiore sostituzione dell’energia importata dall’Unione europea con altre fonti, metodi efficaci al fine di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento, e la necessità di promuovere la riforma energetica nella regione del Mar Nero e nei paesi vicini all’UE con la prospettiva di creare un settore dell’energia trasparente e sostenibile.
John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. – (EN) Il piano d’azione ha quale obiettivo la riduzione del 20% dell’efficienza entro il 2020, piano ambizioso ma necessario. D’altra parte, è inutile fissare obiettivi in mancanza della volontà di raggiungerli. Per esempio, su un totale di 21 azioni programmate per essere realizzate entro il 2007, solo tre sono state portate a compimento. Questo è un dato negativo. È vero che molte altre sono in fase di realizzazione, tuttavia una percentuale inferiore al 15% di progetti completati non è un risultato di cui andar fieri.
Mi vergogno a dire che nel mio paese, Malta, la questione non è stata presa sul serio. Su un isola in cui il sole e il vento sono abbondanti, ci si sarebbe aspettati che di queste due risorse si fosse fatto pieno utilizzo.
Per quanto riguarda l’energia solare, sono pochissimi gli edifici privati, commerciali e pubblici a farne uso.
L’energia eolica è stata più popolare in passato nelle aree rurali. Il governo è deciso a realizzare centrali per l’energia eolica in mare aperto benché la tecnologia non sia ancora disponibile per le profondità delle acque maltesi. Tra l’altro, si è saputo che un’importante società ha aspettato per installare quattro mulini a vento che generano energia e non le è stato concesso il permesso per ragioni estetiche.
András Gyürk (PPE-DE), per iscritto. – (HU) Migliorare l’efficienza energetica è la soluzione più ovvia per ridurre le emissioni di sostanze nocive. Un’azione congiunta in questo settore, inoltre, può contribuire concretamente all’eliminazione della dipendenza europea dagli approvvigionamenti energetici.
La maggiore opportunità per risparmiare energia probabilmente è l’efficienza energetica degli edifici industriali e residenziali. Questo è ancor più vero per i nuovi Stati membri dell’Unione europea. Gli impianti dell’industria pesante e i grattacieli del periodo socialista, che sono la casa di centinaia di migliaia di persone e quindi caratteristici della regione, sono diventati i simboli dello spreco energetico. È uno sviluppo favorevolmente accolto il fatto che la Commissione europea abbia riconosciuto la situazione particolare degli ex paesi socialisti nel suo piano d’azione, e che definisca la promozione dell’efficienza energetica quale obiettivo prioritario nei nuovi Stati membri.
Riteniamo non sia positivo che numerosi Stati membri non abbiano mantenuto le loro promesse al momento dell’attuazione della normativa in materia di efficienza energetica. Per esempio, il governo ungherese ha dichiarato l’intenzione di voler elaborare misure intese alla protezione climatica, ma ha rinviato per mesi l’adozione del piano nazionale d’azione per l’efficienza energetica.
Al contempo, è da accogliere con favore che, nonostante ciò, alcune comunità stiano beneficiando di tali opportunità. Ne è un buon esempio il programma avviato a Óbuda, uno dei più grandi distretti di Budapest, grazie al quale negli anni a venire saranno ristrutturati molti grattacieli con l’impiego degli aiuti comunitari.
Siamo convinti che l’Europa sia capace di svolgere un ruolo di guida nella questione dell’efficienza energetica, che è anche il suo interesse primario. L’impiego più efficiente dell’energia significa anche un’economia più efficiente, nuovi posti di lavoro, maggiore competitività e, non ultimo, un ambiente più vivibile.
Gábor Harangozó (PSE), per iscritto. – (EN) Innanzi tutto desidero accogliere con favore la relazione d’iniziativa dell’onorevole Hall. È un dato di fatto che questa relazione giunge in un momento in cui ogni iniziativa intesa a rafforzare le azioni concrete per una maggiore efficienza energetica dovrebbe essere accolta calorosamente. L’efficienza energetica è di fatto l’obiettivo più efficace, poiché sono già disponibili gli strumenti tecnologici per affrontare realmente e in modo rapido le sfide del riscaldamento globale e la riduzione delle risorse fossili. Abbiamo adesso approvato un piano finalizzato a ridurre il consumo energetico ed è fondamentale che noi raggiungiamo i nostri obiettivi in calendario. Tuttavia, di certo un simile piano richiederà costi e sacrifici economici enormi, che saranno particolarmente onerosi per quei paesi con i bilanci più bassi e le economie meno sviluppate. È essenziale che gli obiettivi di efficienza energetica non peggiorino soltanto la situazione delle economie più deboli e delle imprese negli Stati membri più poveri. Pertanto, sono necessarie misure di transizione ad hoc al fine di sostenere i settori e i paesi maggiormente vulnerabili al momento di attuare la normativa, al fine di evitare fallimenti di mercato. Certamente, nel lungo periodo, esiste davvero un enorme potenziale economicamente redditizio di risparmio energetico, e una politica più risoluta in materia di efficienza energetica apporterebbe probabilmente grandi benefici al mercato del lavoro dell’Unione.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. – (FI) Esistono probabilmente alcune decisioni lungi dall’ottenere gli effetti che dovrebbero e che si contraddicono in termini, come ha dichiarato il Consiglio di primavera del 2007 nel suo programma di politica climatica incentrato su tre aspetti: una riduzione delle emissioni del 20%, un risparmio energetico del 20% e una quota del 20% di energie rinnovabili, tutto entro il 2020. I tre obiettivi vincolanti citati, purtroppo, rischiano di accelerare i cambiamenti climatici e, compreso questo, ogni beneficio sul clima potrà essere raggiunto solo dai primi due.
In particolare, il risparmio energetico inteso a migliorare l’efficienza energetica è certamente uno degli strumenti più efficaci nella lotta ai cambiamenti climatici. Vi è un ampio consenso in Parlamento su tale aspetto e sul contenuto della relazione e desidero ringraziare l’onorevole Hall per aver reso possibile tutto questo.
La presente relazione ha di ammirevole il fatto che dimostra di comprendere la portata della questione e le possibilità a disposizione: l’insistenza sull’efficienza energetica deve avere un effetto che permei l’intera società. Deve collegarsi a tutti i programmi e le attività a ogni livello. Gli obiettivi dell’efficienza energetica e le norme che si applicano si possono estendere allo stesso modo agli apparecchi, agli edifici, alla produzione e al trasferimento di energia, ai trasporti e alle abitudini dei consumatori.
Dobbiamo agire immediatamente, e per questo è spiacevole che il Parlamento debba ricordare alla Commissione che in questo settore esiste già una normativa. Sinora il livello di attuazione tra gli Stati membri è stato tutt’altro che soddisfacente, aspetto sul quale la Commissione dovrebbe concentrare la propria attenzione.
Migliorare l’efficienza energetica richiede uno sforzo, in cui venga raggiunto il miglior risultato per quanto riguarda il clima e in relazione alle condizioni di mercato. Un esempio sono i diversi sistemi di standardizzazione. Occorre diffidare della normativa severa: se la migliore tecnologia disponibile è sotto il ricatto del bastone e la carota, sono sufficienti gli sforzi compiuti. La puntuale ingerenza del legislatore nei modi e nei mezzi è utile soltanto a indebolire le organizzazioni in questione.
Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN), per iscritto. – (PL) Signora Presidente, signor Commissario, in questa discussione sull’impiego razionale dell’energia, se, da un lato, concordo con i principali argomenti della relatrice, l’onorevole Hall, dall’altro, vorrei volgere l’attenzione ad alcune questioni di particolare rilievo per i nuovi Stati membri.
1. Al fine di colmare il divario tra loro e i paesi più sviluppati dell’Unione europea, i nuovi Stati membri devono svilupparsi con una velocità di due o tre volte superiore rispetto a questi ultimi, ossia con un tasso di crescita annua del PIL di almeno il 6%. Un simile livello di crescita significherà un aumento considerevole di emissioni di CO2, la qual cosa non è stata presa in considerazione nelle proposte presentate dalla Commissione europea nel suo recente pacchetto in materia di energia e cambiamenti climatici.
2. Le proposte della Commissione mirano chiaramente alla riduzione dell’uso di carbone, il che colpirà principalmente le economie come quella polacca, in cui la produzione energetica si basa soprattutto sulla combustione di diversi tipi di carbone.
3. La proposta che l’industria della produzione energetica dovrà acquistare all’asta i suoi diritti di emissione di CO2 a partire dal 2013, provocherà un forte aumento dei prezzi dell’energia, che sarà particolarmente oneroso per le economie delle famiglie. Allo stato attuale, quando nel 2007 l’industria di produzione energetica polacca ha acquistato appena il 10% delle sue emissioni all’asta, il prezzo dell’energia elettrica è cresciuto di circa il 15%, e nei prossimi anni è previsto un ulteriore aumento tra il 20% e il 30%.
Mairead McGuinness (PPE-DE), per iscritto. – (EN) La presente relazione sull’efficienza energetica è puntuale, considerate le nostre preoccupazioni relative ai cambiamenti climatici e alla necessità di affrontare la questione delle limitate risorse energetiche dei combustibili fossili.
Tuttavia, l’eliminazione dello spreco energetico è un fatto positivo in sé e da un punto di vista puramente egoistico; migliorare l’efficienza energetica ridurrebbe i costi delle famiglie e delle imprese.
Molte persone sono coscienti della necessità di un utilizzo più consapevole dell’energia. Molti già sanno che un televisore in stand-by impiega 45% dell’elettricità usata da una televisione accesa, che un elettrodomestico in stand-by utilizza il 10% dell’energia domestica nell’Unione europea e che anche lasciare il telefono in carica consuma energia, della quale il 95% è uno spreco.
E se noi possiamo darci da fare per spegnere tutti i vari aggeggi, non sarebbe più efficace se i fabbricanti progettassero gli apparecchi con l’intenzione di eliminare lo spreco energetico?
Una combinazione di nuovo sviluppo nella produzione e sensibilizzazione tra i consumatori produrrà risultati, ma l’industria ha bisogno di incentivi al fine di sviluppare nuovi prodotti intesi a favorire l’efficienza energetica e il pubblico necessita di messaggi positivi onde essere informato sulla quantità di energia che si può risparmiare in casa o in ufficio.
Péter Olajos (PPE-DE), per iscritto. – (HU) In qualità di relatore del PPE-DE nella commissione per l’ambiente sul Libro verde sull’efficienza energetica “Fare di più con meno”, valuto positivamente i ripetuti e maggiori sforzi comunitari in questo settore.
Al contempo, devo esprimere la mia delusione per il fatto che mentre la Commissione europea e il Parlamento si impegnano seriamente al fine di elaborare norme condivise e piani attuabili, in molti casi l’approccio degli Stati membri per la loro realizzazione è inadeguato.
Alcuni tra loro non hanno rispettato, con ritardi di mesi o più, la scadenza per la redazione dei piani d’azione; ci sono sette paesi che finora non li hanno ancora presentati, nonostante abbiano 7 mesi di ritardo.
Tuttavia, non è questo l’unico problema. Su tali piani, manca il consenso sociale, e spesso quelli che sono stati preparati sono molto deboli, non riflettendo in vari casi i programmi e sistemi realistici degli strumenti volti al raggiungimento degli obiettivi comuni.
Di conseguenza, possiamo dire con una certa sincerità che gli Stati membri dell’Unione europea hanno solo fatto promesse per quanto riguarda l’efficienza energetica, il risparmio e lo scopo ultimo di una “società a basse emissioni di carbonio”, quindi quale futuro si prospetta per un’economia, per le famiglie e per i trasporti a zero emissioni di biossido di carbonio?
Sarebbe positivo se la custode della normativa dell’Unione, la Commissione, preparasse occasionalmente analisi e valutazioni di sintesi relative alla qualità dei piani nazionali presentati e fino a che punto gli Stati membri li stiano attuando.
Bogusław Rogalski (UEN), per iscritto. – (EN) Innanzi tutto desidero accogliere con favore la relazione d’iniziativa dell’onorevole Hall. È un dato di fatto che questa relazione giunge in un momento in cui ogni iniziativa intesa a rafforzare le azioni concrete per una maggiore efficienza energetica dovrebbe essere accolta calorosamente. L’efficienza energetica è di fatto l’obiettivo più efficace, poiché sono già disponibili gli strumenti tecnologici per affrontare realmente e in modo rapido le sfide del riscaldamento globale e la riduzione delle risorse fossili. Abbiamo adesso approvato un piano finalizzato a ridurre il consumo energetico ed è fondamentale che noi raggiungiamo i nostri obiettivi in calendario. Tuttavia, di certo un simile piano richiederà costi e sacrifici economici enormi, che saranno particolarmente onerosi per quei paesi con i bilanci più bassi e le economie meno sviluppate. È essenziale che gli obiettivi di efficienza energetica non peggiorino soltanto la situazione delle economie più deboli e delle imprese negli Stati membri più poveri. Pertanto, sono necessarie misure di transizione ad hoc al fine di sostenere i settori e i paesi maggiormente vulnerabili al momento di attuare la normativa, al fine di evitare fallimenti di mercato. Certamente, nel lungo periodo, esiste davvero un enorme potenziale economicamente redditizio di risparmio energetico, e una politica più risoluta in materia di efficienza energetica apporterebbe probabilmente grandi benefici al mercato del lavoro dell’Unione.
Toomas Savi (ALDE), per iscritto. – (EN) Desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Hall per una relazione davvero completa, dedicata al miglioramento dell’efficienza energetica e che chiede agli Stati membri, lontani dall’attuazione della normativa esistente, di adottare tutte le misure necessarie.
In secondo luogo, sono lieto di riconoscere che la relazione non ha specificato solo il modo in cui possono risparmiare energia i consumatori a livello industriale, ma anche i piccoli consumatori, in particolare accrescendo la consapevolezza di questi ultimi e fornendo informazioni affidabili sulle scelte più favorevoli all’ambiente. È da rilevare che il consumo domestico costituisce il 40% del consumo energetico totale. Pertanto, è responsabilità individuale di tutti noi contribuire a migliorare al massimo l’efficienza energetica.
Inoltre, il consumo energetico cresce progressivamente e con esso la spesa per l’energia. È semplicemente una questione di buon senso rafforzare le misure intese all’efficienza energetica al fine di ottenere il migliore utilizzo dei mezzi di produzione.
Alyn Smith (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Signor Presidente, mi congratulo con l’onorevole Hall per questa relazione, che contiene alcuni suggerimenti validi, sensibili e attuabili volti a incoraggiare l’efficienza energetica. Nell’attuale confusione sulla cogenerazione e sulla sicurezza degli approvvigionamenti, rischiamo di perdere di vista il fatto che le stesse modifiche delle norme relative agli edifici e gli apparecchi, nonché al modo in cui impieghiamo l’energia, consentiranno di ottenere una grande capacità energetica. Sono lieto di sostenere questa relazione e auspico che sia l’inizio di maggiori misure prese in questa direzione.
23. Una politica per ridurre le catture accessorie ed eliminare i rigetti nella pesca europea (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione presentata dall’on. Carl Schlyter, a nome della commissione per la pesca, su una politica per ridurre le catture accessorie ed eliminare i rigetti nella pesca europea [2007/2112(ΙΝΙ)] (Α6-0495/2007).
Carl Schlyter, relatore. − (SV) Signora Presidente, sono grato al relatore ombra per averci aiutato a realizzare un’ottima relazione. Desidero inoltre ringraziare il Commissario Borg per aver finalmente (finalmente!) proposto misure vigorose che si occupano di rigetti nella pesca e di catture accessorie.
Al momento disponiamo di una politica sulla pesca che sta svuotando gli oceani del mondo, danneggiando i fondali marini, distruggendo gli ecosistemi e provocando il collasso degli stock ittici. La nostra attuale politica sulla pesca sta uccidendo persino gli uccelli marini. Se tale distruzione avesse avuto luogo sulla terraferma, se avessimo trattato le nostre foreste al pari dei nostri mari, ci saremmo riversati nelle strade, ma la distruzione degli oceani è avvenuta in modo nascosto e silenzioso. Il libro di Rachel Carson, Primavera silenziosa, ebbe un notevole impatto nel 1962 e fu come una sveglia per molti che iniziarono a impegnarsi nella tutela dell’ambiente e nella salvaguardia della natura. Ora ci troviamo nel momento del Mare silenzioso. Infatti, lo scorso anno, la giornalista Isabella Lövin ha pubblicato un libro proprio con questo titolo. Riaccendiamo la lotta per salvare le generazioni future di pesci e pescatori.
Le proposte della Commissione significheranno infatti la fine dei sistemi delle quote e di una normativa dettagliata, che hanno praticamente incoraggiato i pescatori a svuotare i mari e a gettare i pesci morti poco remunerativi, e in base ai quali lo sviluppo dell’attrezzatura di pesca è stato finalizzato principalmente a prendere dal mare sempre maggiori risorse. Di fronte al pericolo di riempire le proprie imbarcazioni di pesci non commerciabili, i pescatori sono incoraggiati a pescare in modo più selettivo nell’Unione europea.
Ma una politica di successo ha bisogno sia di bastoni che di carote. Per esempio, possiamo concedere più giorni di pesca per le imbarcazioni con attrezzi selettivi, o dare loro accesso alle zone vietate ai pescherecci che non utilizzano attrezzi selettivi.
È importante, per ogni tipo di pesca, fissare obiettivi di riduzione annuali per le catture accessorie e i rigetti nonché instaurare un dialogo con le parti interessate al fine di raggiungere i migliori risultati. Ne sono esempi positivi il Golfo di Biscaglia, e le zone costiere di Kattegat e Skagerrak. In tali aree, i pescatori francesi e svedesi hanno impiegato griglie selettive con grande successo per la pesca dello scampo norvegese (Nephrops), eliminando di fatto completamente le catture accessorie.
Con un po’ più di libertà e responsabilità per le flotte dei pescherecci, forse può aumentare la cooperazione tra la comunità di ricerca e i pescatori, la qual cosa condurrebbe a sviluppi positivi. Tutto questo va associato a migliori dati su quale pesce viene catturato. È necessario studiare sistemi che impieghino logbook elettronici e un’eventuale videosorveglianza al fine di verificare se possiamo progettare una buona soluzione per mantenere l’integrità personale.
Un altro aspetto importante è quello che intendiamo fare con il pescato sbarcato sotto forma di cattura accessoria in luoghi in cui esiste il divieto di rigetto. È fondamentale che tale pratica sia in qualche modo possibile, ma che al contempo il livello del compenso sia talmente basso da non costituire un incentivo a ricorrere attivamente alle catture accessorie.
Auspico e credo che la Commissione terminerà rapidamente una proposta che possa essere attuata e che diventerebbe poi un elemento importante nella lotta allo sfruttamento eccessivo delle acque e nel raggiungimento di una pesca sostenibile. Tuttavia, certamente questo non è sufficiente; abbiamo bisogno anche di riduzioni generali nello sforzo di pesca che attualmente minaccia le specie coinvolte, ma forse potremo parlarne un altro giorno.
Joe Borg, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare innanzi tutto il relatore e tutti i membri della commissione per la pesca per l’eccellente lavoro svolto.
Tutti noi condividiamo il punto di vista secondo cui il rigetto è, per dirla francamente, uno spreco inutile di beni naturali e risorse economiche che dovrebbe essere fermato. Tuttavia, ogni metodo di pesca è diverso dall’altro e necessita di soluzioni su misura. Pertanto, abbiamo scelto un approccio basato sui risultati che implica la fissazione degli obiettivi intesi a ridurre la quantità di rigetti in un determinato lasso di tempo e che lascia quindi che siano i pescatori interessati a scegliere il modo in cui raggiungere tali obiettivi; queste misure potrebbero contemplare un aumento delle dimensioni delle maglie, l’impiego di dispositivi selettivi, chiusure in tempo reale, modifiche delle zone di attività o qualsiasi altra misura possibile o una combinazione di esse.
Tornando adesso nello specifico della relazione, per quanto riguarda i piani d’azione comunitari sugli uccelli marini e gli squali, posso informarvi che l’ultimo è in fase di realizzazione e che, riguardo al precedente, i miei servizi stanno raccogliendo informazioni e risultati scientifici con la prospettiva di completarlo entro la fine del 2009.
Concordo in modo particolare sul fatto che la politica relativa al rigetto non debba essere considerata un elemento a sé stante, ma in quanto parte di un approccio generale per avvicinarci all’obiettivo del rendimento massimo sostenibile. Siamo inoltre favorevoli a un approccio caso per caso, nonché all’importanza della partecipazione e consultazione del settore a tutti i livelli. Su questo punto, rilevo con interesse la vostra proposta di sperimentare nuovi usi del monitoraggio delle pratiche di rigetto, come è stato fatto in alcuni paesi terzi.
Inoltre, occorre garantire che gli incentivi compensino una reale riduzione dei rigetti; devono pertanto essere valutati attentamente affinché non comportino effetti collaterali. In realtà, gli Stati membri hanno già la possibilità di promuovere metodi di pesca più puliti attraverso l’assegnazione di quote. Detto questo, sono dell’opinione che gli incentivi dovrebbero accompagnare le varie fasi di attuazione, al fine di promuovere un cambiamento nel comportamento sino alla realizzazione dell’obiettivo.
Quanto all’attuazione della politica, concordo riguardo ai vostri suggerimenti in linea generale, ma sotto un diverso aspetto. Dovremmo fissare l’obiettivo di un divieto di rigetto nella pesca ovunque possibile e sin dal principio, e non come ultima spiaggia di una misura come voi sembra suggeriate. Tuttavia, ho bisogno di chiarire su questo punto che, in alcuni casi, l’obiettivo proposto deve essere quello della riduzione dei rigetti al minimo assoluto possibile.
A che punto siamo dunque del processo? Sulla base di risultati scientifici previsti a breve, quest’anno sceglieremo i tipi di pesca per una normativa specifica e al contempo elaboreremo una tabella di marcia con relativo calendario per le proposte successive che, nel tempo, riguarderanno tutta la pesca europea.
In parallelo, come stabilito a dicembre in sede di Consiglio, gli Stati membri sperimenteranno le riduzioni dei rigetti nella pesca del coregone nel Mare del Nord al fine di ridurre del 30% i rigetti di merlano. Per quanto riguarda il merluzzo, la Norvegia si è impegnata a ridurre i rigetti a meno del 10%. Altre attività comprendono la proposta sulle misure tecniche nell’Atlantico, la proposta sulla revisione del piano di ricostituzione del merluzzo, la revisione del regolamento di controllo e numerosi studi e valutazioni d’impatto per le proposte di legge.
Inoltre, posso accogliere gli emendamenti nn. 1, 3, 5, 6, 8 e dal n. 10 al n. 12. Gli emendamenti nn. 2 e 7, ai quali sono favorevole, sono correlati a un lieve cambiamento. Per quanto riguarda l’emendamento n. 9, è necessaria un’attenta riflessione, in quanto tali tecniche richiedono ulteriore ricerca e ci sono problemi relativi ai costi elevati e all’affidabilità.
Infine, non posso accogliere l’emendamento n. 4 così come è stato formulato. Riguardo agli emendamenti nn. 13, 14 e 15, ho bisogno di pensarci ancora, dato che l’intera questione relativa agli incentivi adeguati per i pescatori, volti a incoraggiarli ad adottare una politica efficace in materia di rigetti, necessita di ulteriori studi e valutazioni prima di assumere una posizione definitiva.
Concludo affermando nuovamente l’urgente bisogno di azioni normative in questo campo, e confido nella vostra cooperazione continuativa nello sviluppo di tale politica.
Avril Doyle, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, il rigetto o lo scaricare il pescato nelle acque europee distrugge oltre un milione di tonnellate di pesce l’anno, in particolare nella pesca multispecifica. A livello globale, secondo la FAO, ogni anno vengono gettati in mare milioni di tonnellate di pesce della cattura accessoria. Ciò si ripercuote negativamente sull’economia della pesca futura e sulla salute degli ecosistemi marini. Tale pratica è amorale, priva di etica e del tutto non sostenibile ed è il risultato diretto della politica comune della pesca, che criminalizza i pescatori che sbarcano le catture accessorie, costringendoli pertanto al rigetto; pescatori che tentano disperatamente di costruirsi una vita mentre vengono posti di fronte a livelli sempre più scarsi di stock ittici.
Il nostro obiettivo finale deve essere la riduzione di queste catture accessorie e l’eliminazione virtuale dei rigetti attraverso il divieto di tale pratica, con incentivi messi in atto al fine di garantire che tutta la cattura accessoria venga sbarcata. Ma in quale modo e quando arrivare a un divieto dovrebbe essere un problema per tutte le parti interessate, tra cui la Commissione, i consigli consultivi regionali (RAC), i pescatori, gli scienziati, i governi nazionali e le ONG, e riguardante ogni tipo di pesca. La spirale negativa della microgestione deve essere evitata e la politica comune della pesca necessita di modifiche sostanziali, in quanto la questione del rigetto ne dimostra la scarsa validità. La risoluzione del problema dei rigetti è positiva per tutte le parti interessate, in particolare per i pescatori e attuare i divieti è possibile, come ci dimostrano gli esempi della Norvegia e dell’Islanda.
Sono lieta che la relazione sottolinei che i pescatori e le altre parti interessate debbano assumersi la responsabilità di qualsiasi politica volta a eliminare i rigetti e che la condividano. Potrebbero essere utilizzati nuovi metodi di sorveglianza dei pescherecci, quali i logbook elettronici e l’impiego di CCTV sulle fiancate dei pescherecci, che sono stati sperimentati in Canada e Nuova Zelanda con un discreto successo. L’unico modo utile teso al raggiungimento dell’attuazione di ogni eventuale divieto di rigetto è il coinvolgimento dei pescatori nel monitoraggio e controllo e, soprattutto, la pressione tra pari che garantisce condizioni eque. Ringrazio il relatore per la sua cooperazione e per la relazione equilibrata, che raccomando a quest’Aula.
Catherine Stihler, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signora Presidente, i rigetti sono uno spreco spaventoso. Ogni anno vengono gettate enormi quantità di pesce nella pesca europea e nel mondo: all’incirca sette-otto milioni di tonnellate. Non agire al fine di ridurre i rigetti non è tra le opzioni e adesso disponiamo della relazione Schlyter quale risposta d’iniziativa alla comunicazione della Commissione del 2007.
Tale comunicazione è valutata in modo positivo, nonostante l’azione ritardata, e la Commissione ora intende agire rapidamente, includendo alcuni aspetti in un nuovo regolamento sulle misure tecniche per il 2008.
In un mondo ideale, dovremmo dirigerci direttamente verso un divieto immediato di rigetto. Ma la realtà è molto più complessa. La relazione dell’onorevole Schlyter riconosce la complessità dell’affrontare il problema del rigetto del pescato e sono davvero favorevole al suo approccio globale.
Nella relazione si sottolineano gli aspetti pratici tra cui il costo dell’affrontare i rigetti e che cosa fare con i rigetti sbarcati, i costi dell’introduzione di attrezzature più selettive, le conseguenze per il regime del totale ammissibile di catture e di quote se il rigetto venisse vietato, nonché la necessità di offrire incentivi ai pescatori affinché peschino in uno modo più sostenibile. Nel documento si riconosce che non funzionerà all’interno della Comunità un’unica soluzione, dato che le cause dei rigetti e le misure per ridurli variano da un tipo di pesca all’altro.
Un’amnistia sui rigetti non è la soluzione, in quanto può creare un mercato di rigetti anziché incoraggiare i pescatori a una pesca sostenibile. Considerati i livelli di sovrasfruttamento delle acque e le preoccupazioni per gli stock ittici, tra cui il merluzzo e il tonno rosso, abbiamo bisogno ancora di una buona gestione degli stock esistenti.
La relazione colloca inoltre la questione dei rigetti nel più ampio contesto del problema delle catture accessorie di uccelli marini e di squali, e chiede una lunga serie di progetti pilota per il rigetto con un’estensione geografica.
Chiedo ai colleghi di sostenere questa relazione che contribuisce in modo significativo ad affrontare la vergogna dei rigetti.
Elspeth Attwooll, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, il gruppo ALDE accoglie con un caloroso benvenuto il contenuto della relazione dell’onorevole Schlyter, che deve essere lodata per l’approccio sensibile benché altamente pratico.
Il pubblico ritiene sia pressoché impossibile comprendere il motivo per cui consentiamo che il pesce venga catturato e in seguito gettato morto in mare. Anche i pescatori sono enormemente preoccupati per il fatto che questo tipo di pratica sia, in un certo qual modo, obbligatoria per loro, in quanto l’attuale combinazione di norme e di possibilità tecniche implicano semplicemente che alcuni tipi di pesce non siano desiderati a bordo. Talvolta il motivo è il loro scarso valore economico. Dobbiamo compiere uno sforzo tempestivo e di concerto al fine di prevenire i rigetti derivanti dai tentativi di rigetto di tipo selettivo. Ho il sospetto che nei tipi di pesca in cui i giorni di mare sono limitati vi sia già una tentazione minore di fare uso di tale pratica.
A volte, tuttavia, il rigetto è il risultato delle condizioni che noi stessi imponiamo, per esempio le taglie minime di sbarco e le restrizioni sulle quote. Di certo, se parliamo seriamente, abbiamo bisogno del totale ammissibile di cattura. Tuttavia, secondo me, è necessario che valutiamo altrettanto seriamente i metodi che impieghiamo per mantenere il pescato entro i limiti fissati dai TAC per determinare, tra le altre cose, la possibilità di un’interrelazione tra l’introduzione delle quote e il problema dei rigetti, in particolare per quanto riguarda la pesca multispecifica.
Questo, oltre all’adozione delle misure suggerite nella relazione, deve ovviamente essere affrontato con il pieno coinvolgimento delle parti interessate; in mancanza di ciò, non abbiamo alcuna speranza di successo. L’industria sta già indicando la strada e sono particolarmente orgogliosa degli scozzesi, per il loro sistema volontario di chiusure immediate. Sono necessari incentivi adeguati per le iniziative positive come questa e per la gran quantità di cose che rimane da fare. Ho fiducia nel pieno sostegno del Parlamento alla relazione e che la Commissione e il Consiglio affronteranno i problemi nel modo in cui raccomandano di fare.
Seán Ó Neachtain, a nome del gruppo UEN. – (GA) Signor Presidente, desidero esprimere la mia approvazione riguardo a questa relazione; ritengo che il relatore abbia elaborato un approccio pratico e completo al problema dei rigetti di pesca in mare. Ma la situazione non è così semplice e tutti pensano a nuovi metodi da applicare.
È giunto il momento di porre fine alla vasta quantità di parole spese sull’argomento e iniziare ad agire. La relazione contiene molti suggerimenti pratici che potrebbero essere attuati. L’unica cosa che di sicuro non possiamo fare è non agire; dobbiamo farlo finché la pesca presenta il problema.
Desidero inoltre domandare alla Commissione di garantire che i pescatori artigianali non debbano affrontare costi aggiuntivi a causa delle misure intese a risolvere il problema di tali rigetti.
Ian Hudghton, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, la politica comune della pesca (PCP) è stata un misero fallimento. Non ha preservato gli stock, non ha sostenuto le nostre comunità dipendenti dalla pesca e non ha conquistato l’approvazione o la credibilità del pubblico.
Uno dei motivi principali è lo scandalo dei rigetti. È lo stesso sistema delle quote della PCP la causa diretta dei rigetti, poiché non viene misurata la quantità di pesce catturato, bensì di quello sbarcato.
Detto ciò, accolgo con ampio favore questa relazione dell’onorevole Schlyter. Nello specifico, concordo decisamente con il principio degli incentivi positivi che prevedono una ricompensa per i pescatori che intraprendono iniziative al fine di ridurre o eliminare i rigetti.
Concordo inoltre sul fatto che le disposizioni vengano determinate in funzione delle diverse tipologie di pesca. Per molto tempo un grande difetto della PCP è stato quello di essere eccessivamente centralizzata e inflessibile. Mi concentro sul paragrafo 15, che valuta positivamente il sistema di fermi in tempo reale introdotto dalla Scozia, un eccellente esempio del tipo di iniziativa che dovrebbe essere incoraggiata e incentivata dalla PCP almeno finché siamo vincolati a essa quale misura di gestione.
Thomas Wise, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signora Presidente, i rigetti sono solo un aspetto dell’incubo che la PCP costituisce. L’Unione europea, attraverso la sua politica sconsiderata, sta distruggendo i mezzi di sussistenza dei paesi in via di sviluppo nel mondo. L’esportazione di pesce è notevolmente più importante per il commercio del mondo in via di sviluppo rispetto ad altri prodotti quali il riso, il caffé e il tè.
La Mauritania, per esempio, dipende dalla sua industria della pesca per la metà delle sue esportazioni, che rappresentano il 15% del PIL di tale paese. Tuttavia, avendo devastato le acque della Mauritania, adesso la Commissione vuole cancellare il suo accordo e non pensa che queste acque, ora sterili, valgono 86 milioni di euro l’anno. Tale delazione di un accordo di pesca avrebbe dovuto essere un segreto; bene, lo era fino ad ora. Credo che il popolo africano debba conoscere i piani meschini e disonorevoli dell’Unione europea. Questo è il più pericoloso dei colonialismi, e accuso queste istituzioni di razzismo e sfruttamento delle società deboli. L’impero non imperialista del Presidente Barroso non è così benevolo come avrebbe voluto farci credere; quindi, se volete andare avanti, rigettate Giscard e gettate il Trattato di Lisbona e la PCP.
Jim Allister (NI). – (EN) Signora Presidente, lo scandalo dei rigetti è stato causato dalla stessa Unione europea. Alla pesca multispecifica vengono imposte quote impossibili e restrizioni, e gli stock vietati, inevitabilmente catturati, di conseguenza vengono gettati, morti, in mare. E tutto questo mentre la fame si impone in tante parti del pianeta.
Per anni l’Unione europea ha dimostrato il suo sdegno per quanto accadeva ma, sinceramente, non ha fatto niente per fermarlo. Ritengo che questo pesce dovrebbe essere sbarcato e venduto a un prezzo fisso, sufficientemente basso da scoraggiare la cattura volontaria e abbastanza alto affinché valga la pena sbarcarlo.
Inoltre, è saggio e corretto ricompensare l’impiego di attrezzature di pesca più selettive. Tuttavia, rifiuto categoricamente qualsiasi divieto di rigetto generalizzato in quanto si tradurrebbe in un altro meccanismo per far fallire ancora di più i nostri pescatori.
Ci siamo scervellati su questa questione per anni. Adesso, finalmente, è il momento di fare qualcosa a riguardo.
Carmen Fraga Estévez (PPE-DE). – (ES) Signora Presidente, in termini generali sostengo la relazione del collega quale espressione della preoccupazione, di lunga datqa ormai, sulla rigidità della politica comune della pesca nell’affrontare i problemi insiti nel nostro sistema di gestione della pesca, dei quali i rigetti costituiscono solo un altro esempio.
Sostengo in particolare i paragrafi che chiedono l’introduzione caso per caso di riduzioni nelle catture accessorie e nei rigetti, nonché la loro progressiva eliminazione, e l’introduzione di divieti solo nel caso in cui si accerti che non vi sono alternative, come affermato dal Consiglio e dai comitati consultivi regionali.
Non potremmo adottare un altro approccio né agire in direzione di un divieto completamente generalizzato sui rigetti, nel quadro di un sistema di gestione che li incoraggia attraverso il rigido strumento dei TAC e delle quote, attualmente in vigore, nonché con l’assenza di misure tecniche appropriate che costituiscono un fattore fondamentale nella prevenzione delle catture accessorie, di cui aspettiamo da anni la revisione affinché vengano adattate all’Atlantico.
Signora Presidente, non posso accogliere l’emendamento n. 10 che consentirebbe la creazione di un mercato della pesca parallelo basato sul pesce di rigetto, e che sarebbe pertanto illegale. Ritengo che dobbiamo restare fermi nella difesa del principio di non commercializzazione dei rigetti come sancito nel paragrafo 32 della relazione, essendoci paesi con una più lunga tradizione in questo problema come la Norvegia.
Gli incentivi per la prevenzione dei rigetti devono essere di un’altra tipologia: per esempio, incentivi finalizzati a ridurli al minimo mediante l’utilizzo di attrezzature di pesca più selettive. Per un pesce giovane è molto meglio continuare a vivere nel mare e crescere per nutrire gli esseri umani o altri pesci, anziché essere rigettato e soggetto ai negoziati della produzione di farina di pesce.
Stavros Arnaoutakis (PSE). – (EL) Signora Presidente, desidero prima di tutto esprimere la mia soddisfazione per il progetto di relazione sui rigetti nella pesca e sottolineare che questo è uno dei problemi più importanti della pesca europea e internazionale.
Consentitemi di formulare un paio di osservazioni sulla relazione. Ritengo che debba essere realizzata una politica comune intesa all’eliminazione definitiva dei rigetti, oltre ai punti suggeriti. Tale politica dovrebbe essere il risultato di uno studio del problema in tutti i paesi dell’Unione europea che svolgono attività di pesca, e dovrebbe contenere tutti gli studi nazionali e la ricerca globale.
Al fine di affrontare il problema in modo radicale, l’Unione europea deve finanziare immediatamente uno studio su tutte le attrezzature di pesca, le tipologie di pesca e i tipi di cattura e deve inoltre commissionare tale studio a istituti di ricerca specializzati che lo conducano. Questo consentirà all’Unione europea di imporre agli Stati membri le soluzioni migliori e più efficienti in modo diretto, attraverso regolamenti. Se ciò non accade, temo che il problema verrà prima considerato e poi dimenticato, mentre tutti gli stock vengono devastati.
Philippe Morillon (ALDE). – (FR) Signora Presidente, anch’io desidero esprimere la mia approvazione dell’approccio suggerito dal nostro relatore al fine di rimediare allo spreco delle risorse, giustamente criticato, nell’attuale pratica dei rigetti.
Mentre elaborava la presente relazione, l’onorevole Schlyter era consapevole delle conseguenze che un’attuazione immediata del totale divieto sui rigetti avrebbe potuto avere, prima di tutto, sul fragile equilibrio finanziario di coloro che lavorano nel settore e, in secondo luogo, sul monitoraggio della sua attuazione da parte degli Stati membri e della Commissione, costringendoli ad adottare metodi di sorveglianza non conformi al rigore finanziario che si richiede loro.
Per questo motivo, ha ritenuto fosse più appropriato proporre la graduale introduzione di una serie di misure intese a incoraggiare gli stessi pescatori a modificare i loro metodi di pesca e le loro attrezzature, un approccio fortemente appoggiato dalla Commissione.
Struan Stevenson (PPE-DE). – (incomprensibile) … dal principio, ritengo che sia altamente ambizioso. Posso congratularmi anche con gli onorevoli Schlyter e Doyle per la gran quantità di lavoro che hanno svolto per questa relazione?
Sono lieto di sostenere la politica a favore dello sbarco totale dell’onorevole Doyle, secondo cui i pescatori saranno costretti a sbarcare tutto quello che hanno catturato, la qual cosa comporta molti vantaggi. Gli scienziati disporranno di un quadro più chiaro del pesce catturato e del luogo in cui viene pescato, il che consentirà di elaborare piani di recupero e di conservazione più precisi. Inoltre, quando vengono sbarcati i pesci piccoli e sotto taglia, gli ispettori della pesca potrebbero chiedere immediatamente una chiusura temporanea di specifiche aree di pesca al fine di evitare ulteriori pressioni sugli stock immaturi.
In virtù di tale politica, i pesci sotto taglia e altre specie che precedentemente sarebbero stati rigettati, potrebbero essere venduti al settore di lavorazione, alla disperata ricerca di materie prime per rifornire l’industria della farina e dell’olio di pesce. Sarebbero pagati attraverso un fondo di compensazione regionale, con una cifra simbolica, all’incirca di 50 euro a tonnellata, che non sarebbe abbastanza da incoraggiare a cacciare questi pesci e creare il mercato nero temuto dall’onorevole Fraga Estévez, ma sarebbe troppo per indurre a gettarli, morti, di nuovo in acqua.
L’intera operazione potrebbe essere controllata attraverso l’installazione su ogni peschereccio di telecamere CCTV resistenti alle intemperie. In un settore già limitato dalla riduzione del numero di giorni di mare, il tempo passato a catturare e selezionare il pesce che non ha valore commerciale viene considerato dai pescatori un notevole spreco di tempo. Pertanto, credo che i pescatori approveranno questa proposta.
Rosa Miguélez Ramos (PSE). – (ES) Onorevoli colleghi, desidero ringraziare l’onorevole Schlyter per il suo lavoro e sono particolarmente soddisfatta del fatto che numerosi emendamenti, da me presentati, siano stati annessi al testo della relazione che oggi discutiamo.
Mi riferisco in particolar modo agli emendamenti in cui si afferma che la pratica dei rigetti non è da mettere in rapporto unicamente con l’utilizzo di un determinato tipo di attrezzo, ma che su di essa influisce anche il carattere dell’attività di pesca in questione, come nel caso della pesca europea, che è quasi sempre multispecifica e dove il rischio di rigetti è pertanto maggiore. Quindi, è necessario che ogni misura adottata sia specifica per i vari casi concreti.
È grazie anche ai miei emendamenti che dalla relazione si può rilevare che la pratica dei rigetti è causata da una serie di fattori, tra cui uno sforzo di pesca eccessivo, e l’attuale approccio in materia di totale ammissibile di catture (TAC) e di quote, che impone la pratica dei rigetti per le catture per le quali non sono disponibili quote. Pertanto, occorrono misure intese a evitare che alcune specie di taglia legale, che vengono inevitabilmente catturate, siano obbligatoriamente rigettate a causa della mancanza di una quota su di esse.
Detto questo, vorrei avvisare l’onorevole Schlyter di procedere con cautela, poiché a seguito del suo discorso contro i pescatori e il mestiere di antiche tradizioni che è la pesca, non sono sicura di quanto stiamo facendo, né se l’onorevole Schlyter lascerà disoccupati il signor Commissario, noi della commissione per la pesca e i pescatori. (È una battuta, signora Presidente).
Neil Parish (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, ringrazio molto l’onorevole Schlyter per la sua relazione che ritengo eccellente. Ringrazio inoltre il Commissario per le sue osservazioni iniziali, in cui si avvicina al divieto di rigetto, poiché è ben consapevole che io stesso, come molti altri colleghi in quest’Aula, l’ho visto più volte proporre un divieto di rigetto, e penso sia veramente il momento di introdurlo.
Ritengo inoltre che, alla fine della giornata, se possiamo tutelare gli stock ittici, nel lungo termine sarà la cosa migliore per i pescatori, in quanto dobbiamo avere una pesca sostenibile. Certamente, i risultati scientifici che stiamo impiegando spesso possono essere imperfetti. Pertanto, lo sbarco di tutta la cattura e della cattura accessoria, affinché su di essa si possa condurre ricerca, ci offrirà un’idea più chiara delle risorse presenti nel mare. Credo anche che alcune pratiche, come le reti da traino a coppia e altre, che hanno molte catture accessorie, porranno nuovamente in evidenza quanto accade. Di certo, tra le catture indesiderate sbarcate, emergeranno molti problemi relativi alla cattura dei delfini, degli squali e delle focene, nonché molte altre questioni. Pertanto, ritengo che il modo adeguato di procedere sia utilizzare la giusta quantità di “carote” per incoraggiare allo sbarco e non troppe da incentivare la cattura accessoria. Valuto quindi positivamente il sostengo del signor commissario alla relazione nonché la relazione stessa, che noi tutti dovremmo appoggiare.
Joe Borg, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, prima di tutto desidero ringraziare gli onorevoli deputati per le loro osservazioni interessanti, che ancora una volta hanno dimostrato che condividiamo l’obiettivo comune di eliminare questa pratica spaventosa.
Come ho precedentemente dichiarato, la nostra proposta sarà graduale ma efficace. Parlando in termini realistici, non possiamo semplicemente introdurre un divieto di rigetto all’improvviso. Tuttavia, come affermato da un oratore, non agire non è tra le opzioni e, senza dubbio, nel corso di quest’anno presenteremo, si spera, tre proposte di legge sulla riduzione delle pratiche di rigetto per specifici tipi di pesca, oltre a incentivare e incoraggiare gli Stati membri a elaborare progetti pilota, in virtù dei quali potremmo ottenere l’introduzione di una riduzione nei rigetti o, forse, persino i divieti di rigetto.
L’esempio della Scozia, adottato dal Consiglio a dicembre, è stato davvero degno di nota.
Per quanto riguarda la questione sollevata sugli incentivi positivi, concordo che questi siano importanti, ma occorre trovare la giusta combinazione e i livelli adeguati, poiché altrimenti potrebbero risultare controproducenti, e potremmo finire in una situazione in cui incoraggiamo più catture quando, per motivi di sostenibilità, avremmo voluto ridurle al fine di raggiungere i livelli del rendimento massimo sostenibile.
Desidero inoltre precisare che non potrei essere più d’accordo sul fatto che le nostre proposte debbano essere determinate in funzione delle diverse tipologie di pesca, nonché essere di per sé incentivanti, come ho detto, e sostenere i diversi comportamenti che i pescatori dovranno adottare.
Infatti, nel nostro regolamento sui TAC e i contingenti, abbiamo già adottato incentivi per i pescatori affinché impieghino metodi più selettivi, evitando pertanto i rigetti.
Nel primissimo intervento e in altri successivi è stato dichiarato che i rigetti sono provocati dalla politica comune della pesca. Desidero affermare che questo non è proprio esatto, poiché le cause dei rigetti variano dall’elevata selezione effettuata dai pescatori al fine di avere il pesce migliore, la qual cosa avviene indipendentemente dalle quote, alla cattura di pesci giovani, anch’essa indipendente dalle quote. Il problema esiste solo in presenza di quote di cattura troppo elevate, ma anche in questo caso dipende, perché se il luogo di pesca è pulito e la quota è elevate, vuol dire che quest’ultima è stata fissata per motivi di sostenibilità.
In realtà, è nei luoghi in cui la cattura è multispecifica e una delle tipologie di cattura ha un contingea quota inferiore per ragioni di sostenibilità, e le altre sono catture bersaglio, che si praticano rigetti di pesce quale risultato dei regolamenti sui TAC e sulle quote.
Questi sono gli aspetti che desideriamo affrontare al fine di introdurre attrezzature più selettive, affinché le catture possano diventare persino più pulite, che è uno dei metodi attraverso cui la pratica del rigetto può realmente essere ridotta.
Vorrei inoltre precisare che, secondo le valutazioni della FAO, i rigetti nelle acque comunitarie sono circa un milione di tonnellate e nel mondo circa otto milioni di tonnellate, e sono stime molto prudenti. Se si pensa che il sistema di cui facciamo uso sta producendo meno di un decimo di tutti i rigetti, tenendo in considerazione i TAC e le quote, penso che ci siano diversi altri fattori che contribuiscono al rigetto, oltre al sistema previsto dalla politica comune della pesca.
Detto questo, stiamo cercando attivamente modi e mezzi attraverso cui migliorare la gestione affinché TAC e quote funzionino in modo tale da ridurre i rigetti a un minimo assoluto o da vietarli del tutto.
Infine, sulla questione sollevata relativa alla Mauritania, vorrei dire che con questo paese abbiamo appena firmato un protocollo di intesa, che condurrà a un nuovo protocollo che garantirà alla Mauritania la stessa quantità dell’accordo esistente, ma che rispecchierà le attuali possibilità di pesca in modo maggiormente realistico.
Quindi, pagheremo la Mauritania al fine di sostenerla nel rafforzare le sue infrastrutture di pesca e in generale la sua economia grazie ai fondi di sviluppo, affinché, in questo modo, venga garantita al paese la piena quantità. Ma finalmente ciò che paghiamo per il pesce rispecchierebbe la quantità reale di pesce che è possibile catturare nelle acque della Mauritania.
Carl Schlyter, relatore. − (SV) La ringrazio, signora Presidente. Sì, signor Commissario, sono molti i motivi per cui il pesce viene gettato in acqua, ma continuo a pensare che tale pratica venga esasperata dalla nostra politica della pesca.
Desidero farle una domanda: non capisco davvero come mai lei non sia favorevole all’emendamento n. 4, se mira ai suoi medesimi obiettivi. Attualmente nella relazione si legge che si dovrebbe adottare un divieto dei rigetti unicamente dopo aver sperimentato altri tipi di misure. L’emendamento significa che l’attuazione di un simile divieto avrebbe luogo unicamente dopo l’applicazione di altri incentivi negativi. Pertanto, partiamo dalla stessa premessa se l’emendamento n. 4 viene approvato, nello specifico abbiamo una politica sul divieto dei rigetti la cui attuazione è subordinata alle condizioni di ogni singola tipologia di pesca. Realmente non capisco perché ha dichiarato di opporsi all’emendamento n. 4, ma forse potremo parlarne nuovamente in seguito.
Ciò che mi rende ottimista è che, nonostante tutto, abbiamo un discreto consenso. Ho parlato con i ricercatori e con i pescatori e c’è un accordo positivo in questo settore su quanto è necessario fare. La Commissione e il Parlamento sono sulla stessa linea e anche i pescatori e le organizzazioni ambientaliste la approvano. Questo mi infonde un certo ottimismo. Probabilmente tutte le parti interessate coopereranno e certamente otterremo un risultato.
Per l’emendamento n. 10 è stato richiesto il voto a maggioranza. Sarà pertanto possibile tener conto di quanto detto dall’onorevole Fraga Estévez se potremo votare a favore della prima parte e contro la seconda.
La ringrazio e ringrazio tutti voi che avete preso parte alla discussione e al lavoro. È stato un piacere lavorare su questa relazione.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, giovedì 31 gennaio 2008.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Bogdan Golik (PSE), per iscritto. – (PL) Onorevoli colleghi, la quantità di pesce gettato, che il relatore stima all’incirca di un quarto del totale catturato, è un grave problema ambientale ed economico di fronte al quale non possiamo rimanere indifferenti. La portata del fenomeno mostra uno spreco enorme di risorse e gravi danni alla biodiversità provocati dall’irresponsabile intervento umano.
Modificare le norme non condurrà ai risultati sperati. La situazione necessita di un’azione molto più ad ampio raggio, un cambiamento totale dell’approccio e del pensiero relativi alla questione. Dobbiamo definire chiaramente i nostri obiettivi, adottare in modo proporzionato i coerenti strumenti della PCP, e garantire i finanziamenti necessari. Dobbiamo evitare una situazione come quella attuale, in cui gli effetti negativi di alcuni strumenti giuridici vengono semplicemente ignorati. L’imposizione di totali ammissibili di cattura o di una taglia minima dei pesci da poter sbarcare (in particolare nel caso delle catture multispecifiche), è un esempio significativo, dato che conduce ai rigetti.
Concordo pienamente riguardo al punto di vista del relatore secondo cui il nostro approccio inteso a ridurre le pratiche di rigetto dovrebbe essere costituito in gran parte da incentivi diretti ai pescatori affinché cerchino soluzioni nuove e innovative nei metodi e nelle attrezzature di pesca. Dovrebbe inoltre essere fatto un maggiore impiego della loro esperienza nonché della conoscenza della comunità scientifica.
Vorrei sottolineare che una campagna informativa efficace sarà cruciale per il successo di tale strategia. In assenza di comprensione, da parte del settore della pesca, della fondamentale importanza di eliminare i rigetti in eccesso e senza il sostegno generale dei pescatori, la strategia è destinata a fallire.
24. Gruppo europeo di cooperazione territoriale (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale dell’onorevole Gerardo Galeote, a nome della commissione per lo sviluppo regionale, alla Commissione, sul gruppo europeo di cooperazione territoriale (Ο-0076/2007/rev.1 – Β6-0008/2008).
Gerardo Galeote, autore. − (ES) Signora Presidente, un aspetto fondamentale della revisione delle norme sui Fondi strutturali, che la commissione per lo sviluppo regionale ha compiuto con successo, era quello di promuovere la cooperazione territoriale quale obiettivo prioritario della nostra politica di coesione il cui finanziamento, rilevo, è stato aumentato dal Parlamento europeo quale parte dei negoziati sulla prospettiva finanziaria. Per questo motivo, questa richiesta di discussione non può sorprendere nessuno: è stata voluta unanimemente dai gruppi politici, e io la apro a nome della commissione per lo sviluppo regionale. Ringrazio la signora Commissario per la sua partecipazione e sono spiacente che il Consiglio non abbia potuto unirsi a noi in una discussione che lo riguarda direttamente.
Considerando l’esperienza degli anni dei programmi INTERREG, possiamo desumere che l’assenza di una struttura di iniziativa con la sua personalità giuridica ha ostacolato la sua efficacia, e accogliamo con favore la proposta della Commissione di istituire gruppi europei di cooperazione territoriale quali strumenti dotati di propria personalità giuridica.
In un’Europa unita, gli Stati, i cittadini e le regioni, come sancito dal Trattato di Lisbona, trovano la loro più elevata forma di espressione in questi organi.
Riconosco che, persino quando erano ancora in fase di valutazione da parte del Consiglio, alcuni Stati membri hanno espresso delle perplessità circa l’utilità dei gruppi europei di cooperazione territoriale.
La discussione in corso ha come oggetto il fatto che la natura e il contenuto del regolamento, così come è stato adottato, sono troppo vaghi, e che la sua applicazione, soggetta agli ordinamenti nazionali, in troppi casi introduce un certo grado di incertezza del diritto.
Si potrebbe dire che il modo in cui alcuni Stati membri affrontano una situazione difficile dipende dal loro grado di decentramento, che richiede loro di individuare strategie nel settore della cooperazione territoriale.
Tuttavia, si dovrebbe osservare che il regolamento n. 1082/2006 che è stato adottato a giugno del 2006, un anno dopo l’adozione all’unanimità della proposta presentata dal collega Jan Olbrycht, è diventato vincolante in tutti gli Stati membri dal 1° agosto del 2007.
Pertanto, gli Stati membri hanno avuto a disposizione sei mesi per prendere i provvedimenti normativi necessari.
Secondo le informazioni disponibili, tuttavia, e la signora Commissario mi correggerà se sbaglio, non sono neanche dieci gli Stati membri che hanno preso le misure appropriate al fine di garantire adesso la piena efficacia del regolamento.
È risaputo che alla Commissione europea incombono il dovere e la responsabilità di garantire l’effettiva attuazione della normativa comunitaria e di intervenire al fine di eliminare gli ostacoli che possono impedire tale attuazione.
Le motivazioni, addotte per via informale, che il principio di sussidiarietà evita che vengano prese misure per l’inadempienza degli Stati membri, non saranno accettate: se lo fossero, gli Stati membri potrebbero rinviare o rifiutarsi di attuare qualsiasi norma comunitaria secondo loro inappropriata o soggetta al voto.
Pertanto, signora Commissario Hübner, con la nostra interrogazione alla Commissione europea chiediamo che il Parlamento venga informato in modo chiaro sui problemi che gli Stati membri hanno incontrato nell’attuazione del regolamento in questione.
Quali Stati membri non stanno introducendo le misure necessarie all’adeguata attuazione del regolamento, e quali provvedimenti ha preso la Commissione europea, o sta pensando di prendere, nello specifico l’avviamento di procedimenti per inadempienza dinanzi alla Corte di Giustizia europea, al fine di garantire che tutti gli Stati membri rispettino il regolamento e di evitare che i fondi stanziati vengano messi a repentaglio dall’incapacità di alcuni Stati membri di conformarsi alle norme vigenti?
PRESIDENZA DELL’ON. ADAM BIELAN Vicepresidente
Danuta Hübner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, desidero iniziare dicendo che la scadenza di un anno per l’adozione di norme nazionali è stata, in effetti, molto ambiziosa. Se prendiamo in esame altri regolamenti che istituiscono organi giuridici, vediamo che i termini previsti, di consueto, oscillano tra i tre e i quattro anni. Pertanto, questo è un fattore da tenere in considerazione.
Al fine di accelerare l’intera procedura, la Direzione generale per la politica regionale ha redatto un questionario che riguarda gli elementi dei regolamenti da prendere in considerazione nelle norme nazionali. Tale questionario è stato inviato a tutti gli Stati membri a marzo del 2007 attraverso le reti del comitato di coordinamento dei Fondi (COCOF), e per due volte nello scorso anno è stato oggetto di discussioni con gli Stati membri nel corso delle riunioni del COCOF: ad aprile e alla metà di luglio.
A che punto siamo quindi oggi con l’adozione? Ci sono sei Stati membri che hanno adottato le adeguate norme nazionali, ossia l’Ungheria, il Regno Unito, la Bulgaria, il Portogallo, la Romania e la Spagna. In altri quattro paesi, vale a dire la Francia, il Lussemburgo, la Germania e il Belgio, dovrebbe presto svolgersi il processo di completamento dell’adozione delle norme nazionali. Dei restanti 17 Stati membri, 15 hanno già avviato la procedura di adozione parlamentare o governativa. Tuttavia, abbiamo ancora due Stati, la Danimarca e l’Estonia, in cui non vi sono notizie del processo. Dovrebbero rispettare la scadenza di metà febbraio fissata nella lettera della Direzione generale, inviata a tutti gli Stati membri, in cui abbiamo chiesto informazioni sulla comunicazione relativa all’adozione delle procedure delle norme entro il termine del 14 febbraio. Nella stessa lettera, in cui abbiamo fissato tale termine di metà febbraio per gli Stati membri che devono ancora comunicarci l’avvenuta adozione o la data prevista per quest’ultima, abbiamo inoltre informato i paesi del processo preparatorio per il seminario europeo interistituzionale in materia di GETC che, assieme al Parlamento e al Comitato delle regioni, si terrà a Bruxelles il 19 giugno, nel corso della Presidenza slovena. Abbiamo inoltre incoraggiato questi paesi a partecipare al gruppo di esperti di GETC istituito dal Comitato delle regioni.
Per quanto riguarda l’eventuale procedura d’infrazione, devo dire innanzi tutto che si tratta di un regolamento molto specifico, non è una direttiva. È un regolamento direttamente applicabile in tutti i 27 Stati membri, che necessita di alcune iniziative aggiuntive da parte degli Stati membri e non solo dell’adozione delle modalità di attuazione delle norme. In seguito al 14 febbraio, quando avremo ricevuto le risposte dei singoli paesi, in particolare di quelli la cui agenda per l’adozione dei regolamenti necessari non ci è ancora nota, e da cui dipende qualsiasi decisione della Commissione in merito, riconsidereremo la nostra posizione e valuteremo se avviare il procedimento per inadempienza. Ad ogni modo, certamente vigileremo attentamente sull’applicazione dei regolamenti una volta che essi saranno in vigore. Tuttavia, consentitemi di dire, e ritengo sia una parte fondamentale dell’intero processo, che nel frattempo è stato istituito il primo GETC, lo scorso lunedì, tra Francia e Belgio, nonostante le norme nazionali non siano ancora state adottate, in quanto il regolamento in questione è direttamente applicabile e le autorità regionali e locali hanno il diritto di istituire i gruppi. È necessario che le norme nazionali individuino la procedura di controllo ex ante, compresa la nomina di un’autorità competente che riceverebbe la richiesta delle autorità regionali o locali di partecipare in un GETC. Ad oggi, abbiamo circa 30 esempi di programmi di progetti in Europa in cui l’opzione di un GETC è già stata considerata. Esistono inoltre regioni che hanno già presentato la richiesta. È in corso una gran quantità di lavori preparatori, pertanto ci aspettiamo che il processo acquisti slancio una volta terminato il completamento dell’attuazione delle norme nazionali.
Jan Olbrycht, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signora Commissario, ho avuto l’onore di essere il relatore sul regolamento che istituisce un gruppo europeo di cooperazione territoriale quale parte dell’ordinamento giuridico europeo. Ho assistito e partecipato a molte discussioni riguardanti le nuove possibilità offerte dalla cooperazione territoriale in virtù di questo nuovo strumento giuridico.
Gli argomenti che evidenziavano le nuove possibilità erano accompagnati dai timori di natura organizzativa e politica, espressi in particolare dai rappresentanti degli Stati membri. Infine, è stato redatto un regolamento che ha soddisfatto sia coloro che lo sostenevano sia gli scettici. Avendo compreso che l’introduzione nei sistemi nazionali di questo nuovo tipo di entità giuridica avrebbe dato origine a delle complicazioni, gli Stati membri si sono accordati per una scadenza entro cui avrebbe dovuto essere completato il lavoro sui rispettivi ordinamenti nazionali. Tale data non è stata rispettata, e sinora solo pochi paesi hanno portato a termine il loro compito, tra cui la Bulgaria e la Romania, costrette ad accettare il regolamento quale parte dell’acquis communautaire.
In conformità dello stesso regolamento, il Comitato delle regioni sta vigilando sull’attuazione e il funzionamento dei gruppi europei di cooperazione territoriale e dispone già di informazioni interessanti relative alle preparazioni per la creazione dei nuovi organi. In base alle informazioni disponibili, posso dire che occorre che le istituzioni europee contribuiscano attivamente, non solo la Commissione ma soprattutto il Consiglio, nel persuadere i governi a intraprendere iniziative che sono obbligati a portare avanti e sulle quali in precedenza erano concordi. Non sarebbe positivo se l’attuazione fosse il risultato di sentenze della Corte di giustizia europea in seguito a denunce.
Rosa Miguélez Ramos, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, sin dal principio l’iniziativa INTERREG è stata l’origine di un’idea realmente policentrica dello spazio europeo attraverso la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale.
L’istituzione di questo nuovo strumento giuridico, il GECT, ha avuto le difficoltà che iniziative di questo tipo incontrano quale risultato dell’esistenza di diversi sistemi e procedure.
La soluzione raggiunta dal Parlamento europeo dopo circa due anni di lavoro normativo ha consentito, e consente, alle autorità e agli enti pubblici di registrarsi quali organismi con una personalità giuridica riconosciuta in tutta l’Unione europea.
Come è stato precisato, agli Stati membri veniva richiesto di adottare alcune misure entro il 1° agosto del 2007. Considerato l’ovvio ritardo, a giugno dello scorso anno il Comitato delle regioni ha tenuto un seminario sullo studio della situazione, cui sono stata invitata in qualità di relatrice; nel corso del seminario, quale segnale della volontà del Parlamento europeo di cooperare nella ricerca di una soluzione, ho posto una domanda che l’onorevole Krehl ha firmato con me e che ha spianato la strada alla nostra discussione odierna.
Signora Commissario, oggi posso dire con orgoglio che il mio paese, la Spagna, e la mia regione, la Galizia, assieme alla regione settentrionale del Portogallo, sono stati i pionieri di tale iniziativa nonché l’esempio che altre regioni europee possono seguire.
Per questo motivo desidero domandarle in quale modo il Parlamento europeo può collaborare con la Commissione al fine di incentivare i paesi che ancora non l’hanno fatto ad adattare i propri ordinamenti giuridici nazionali e aderire e formare gruppi territoriali di questo tipo?
Mojca Drčar Murko, a nome del gruppo ALDE. – (SL) Nel corso della discussione su questo regolamento eravamo consapevoli che la questione principale era il problema della scelta della normativa da impiegare per gli atti adottati nel quadro della cooperazione territoriale. L’obiettivo del regolamento era quello di consentire alle parti cooperanti di fare uso di una normativa che avrebbe prodotto i medesimi effetti in entrambi i paesi, in quanto sino ad allora il metodo di applicazione simultanea di due sistemi giuridici non era stato efficace. A questo proposito, il regolamento è più chiaro di qualsiasi altro documento precedente di natura analoga. Ciò significa che è applicabile la normativa del luogo in cui è registrata la sede dell’autorità di cooperazione transfrontaliera, se tale autorità è stata istituita.
Eravamo inoltre consapevoli che tale regolamento non era considerato un nuovo strumento giuridico, bensì uno strumento da impiegare assieme ad altre strutture esistenti. Adesso è chiaro che il regolamento non avrà gli stessi effetti in tutta l’Unione europea e che, a causa delle diverse condizioni imposte dagli Stati, è molto probabile che vengano creati gruppi di cooperazione territoriale di diversa natura. Affinché il regolamento venga applicato in modo efficace, occorre adattare la normativa nazionale in modo appropriato, in conformità di quanto stabilito dall’articolo 16. Solo se questo accade possiamo realmente aspettarci di assistere nel lungo periodo agli effetti di una pratica uniforme.
Pertanto, si chiede agli Stati membri di adottare la normativa che lancerà lo sviluppo della cooperazione territoriale e accrescerà nel suo quadro la certezza del diritto. In breve, a causa della sua incompletezza, il regolamento diventerà probabilmente una sorta di laboratorio giuridico per il confronto di pratiche e condizioni nella modalità e nei tempi stabiliti dagli Stati. Sarebbe dunque logico controllare sistematicamente le richieste in cui si applica tale regolamento e sviluppare al contempo una banca dati pubblica dei gruppi europei di cooperazione territoriale.
Lambert van Nistelrooij (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, che cosa stiamo facendo realmente questa sera? Stiamo cercando di analizzare la situazione a seguito di una decisione molto chiara presa dal Parlamento europeo e tra le tre istituzioni in cui abbiamo annunciato che erano allora disponibili nuovi strumenti per accrescere la cooperazione territoriale transfrontaliera.
I confini nazionali presentano ancora i segni del passato che a volte sono passati attraverso intere comunità e nuove aree di sviluppo. Abbiamo bisogno di cooperazione tra le università, gli ospedali e molto altro in Europa. Sono necessari nuovi strumenti e, se analizziamo la normativa introdotta, gli Stati membri hanno concesso molta libertà in questo senso. Questo è il motivo per cui è così deludente, considerata la necessità di accelerare la cooperazione transfrontaliera, che siano così pochi gli Stati membri, che hanno insistito per avere tali libertà, a farne realmente uso.
Il Parlamento, pertanto, chiede del tutto giustamente alla Commissione e soprattutto al Consiglio, che non è presente questa sera, che si assumano le loro responsabilità e che si occupino rapidamente della questione. Sono lieto che arrivino esempi positivi da altre parti, il Comitato delle regioni è stato appena citato, relativi al modo in cui il processo di integrazione possa essere accelerato senza chiamare in causa gli ordinamenti giuridici dei governi nazionali. Sono fermamente convinto che dobbiamo continuare ad adottare questo approccio.
Le persone hanno paura: tutto sembra essere difficile. Abbiamo discusso proprio questa sera della questione dell’efficienza energetica nell’ambiente edificato. Sono stati necessari cinque anni perché gli Stati membri la attuassero. Dal mio punto di vista, occorre che vi sia un’iniziativa comunitaria intesa a garantire che i sette Stati membri che hanno già attuato il regolamento aumentino fino a 25 o 27 entro un anno, per esempio. Ciò deve essere possibile. Questo è il motivo per cui desidero una risposta dal Consiglio, che tuttavia non è presente, cosa che mi dispiace.
Gábor Harangozó (PSE). – (HU) Grazie molte, signor Presidente. Signora Commissario, onorevoli colleghi, a causa della particolare situazione dell’Ungheria, è fondamentale per noi promuovere l’applicazione pratica della cooperazione transfrontaliera. È esattamente per questo che l’Ungheria è stata tra i primi paesi a elaborare e introdurre un regolamento nazionale che corrispondesse al regolamento comunitario che istituisce il GECT. Tuttavia, l’applicazione del nuovo strumento sta incontrando nella pratica alcune difficoltà, pertanto desideriamo istituire un gruppo di lavoro inteso a redigere un manuale, in collaborazione con i nostri partner del programma.
Vorrei chiedere alla signora commissario se sosterrebbe un gruppo di lavoro sul GECT nel quadro dell’assistenza tecnica di Interact e, se si, in quale modo questo può essere realizzato. Inoltre, ai fini della cooperazione del GECT, sono importanti non solo i programmi interni transfrontalieri, ma anche i programmi esterni IPA e ENPI. I nostri programmi interni transfrontalieri sono già stati approvati dalla Commissione europea, e i programmi sostenuti dall’IPA verranno probabilmente approvati a febbraio. Tuttavia, dobbiamo attendere le indicazioni della Commissione, al fine di terminare la progettazione del programma transfrontaliero tra Ungheria, Romania, Slovacchia e Ucraina, finanziato dall’ENPI.
Desidero inoltre chiedere entro quando possiamo aspettarci la pubblicazione delle indicazioni della Commissione relative ai programmi di vicinato. Grazie molte.
Jean Marie Beaupuy (ALDE). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, consentitemi di esprimere la mia soddisfazione nel parlare di questo argomento oggi in quanto, quando abbiamo riflettuto su tali parti aggiuntive, elencate dall’onorevole Olbrycht, ho dichiarato la mia fiducia nella relazione.
Tale questione è stata infatti discussa ieri nel parlamento francese e, è degno di nota poiché non accade molto spesso, tutti i gruppi politici si sono dimostrati favorevoli alla creazione di questo GECT; inoltre sono stati portati numerosi esempi che hanno dimostrato come, nella Francia settentrionale e meridionale, sulle Alpi, nonché in Lorena, vi sia motivo di rendere il GECT operativo al più presto. Come ha detto la signora commissario, ciò è stato basato in particolare sull’esempio di Lille, che lo scorso lunedì ha firmato un accordo per un GECT che riguarderà due milioni di abitanti in Belgio e Francia.
Per quale motivo ha destato così tanta speranza? Perché per tre o quattro anni i nostri colleghi hanno cercato senza successo possibilità giuridiche e con il GECT hanno trovato una soluzione. Ci aspettiamo adesso che i 70 000 francesi che ogni giorno lavorano in Lussemburgo, i 30 000 che lavorano a Monaco e in Italia, come in Spagna e così via, grazie al GECT saranno realmente in grado di promuovere nuovi tipi di cooperazione.
Assieme ai colleghi desidero vedere la Commissione sollecitare gli Stati ancora in ritardo nel processo. Oltre a essere vincolati dalle condizioni del regolamento, possono essere informati del fatto che alcuni paesi hanno già felicemente attivato il sistema alla perfezione.
Rolf Berend (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, l’obiettivo del gruppo europeo di cooperazione territoriale è quello di attuare e amministrare le misure di cooperazione transfrontaliere, sopranazionali e interregionali. Non è esagerato dire che questa nuova rete è intesa a migliorare la qualità della vita quotidiana delle persone, rendere le nostre imprese più competitive, ampliare il raggio d’azione dei nostri centri di ricerca e di istruzione e, ultimo ma non meno importante, tutelare il nostro ambiente.
Non vi è alcuna urgente necessità che l’Unione europea fornisca sostegno finanziario per le misure del GECT. Tale strumento consentirà alle autorità regionali e locali di stringere alleanze transfrontaliere con una propria personalità giuridica, un’innovazione significativa in termini di competenze per la cooperazione territoriale. Il GECT offre l’opportunità unica di creare effetti sinergici che trascendano il quadro istituzionale e di garantire migliori investimenti coordinati e un impiego delle risorse uniforme ed efficiente.
Il 5 luglio 2006, come sappiamo, tale strumento è stato creato grazie a un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio. Entro il 1° agosto del 2007, tutti gli Stati membri avrebbero dovuto emanare provvedimenti supplementari di legge e/o amministrativi. Il fatto che solo cinque o sei Stati membri abbiano adottato norme nazionali è per noi motivo di grande preoccupazione. Coloro che hanno fallito saranno i potenziali partecipanti che vorranno promuovere la cooperazione transfrontaliera con le loro buone idee e progetti innovativi. È per questo motivo che è stato autorizzato il questionario, e su tale aspetto attendiamo urgentemente informazioni anche dal Consiglio.
Stavros Arnaoutakis (PSE). – (EL) Signor Presidente, signora Commissario, la cooperazione territoriale è il terzo obiettivo della politica di coesione per il nuovo periodo programmatico. Secondo tale obiettivo, la cooperazione è essenziale nella promozione di uno sviluppo equilibrato e armonioso nelle regioni europee.
Il gruppo europeo di cooperazione territoriale è un nuovo modo di dotare di gruppi con personalità giuridica la cooperazione tra le autorità regionali e locali di diversi Stati membri dell’Unione europea. La decisione di creare tali strumenti non è stata presa con facilità; è stata la risposta a problemi tecnici e giuridici cui si doveva far fronte nei programmi di cooperazione. Adesso, purtroppo, sei mesi dopo la scadenza, gli organi locali e regionali non sono riusciti a istituire un gruppo di cooperazione territoriale in quanto gli Stati membri hanno dimenticato o hanno ritardato in maniera ingiustificata l’adozione di misure adeguate intese all’attuazione del regolamento. Ora dobbiamo inviare agli Stati membri un messaggio molto chiaro sull’importanza che le istituzioni conferiscono alla corretta attuazione del regolamento nel nuovo periodo programmatico, nonché alla cooperazione quale modo di realizzare la coesione economica, sociale e territoriale.
Miroslav Mikolášik (PPE-DE). – (SK) Sono trascorsi cinquant’anni dalla comparsa della prima euroregione lungo il confine tra Germania e Paesi Bassi. Da allora, molte altre regioni hanno avviato una cooperazione reciproca. Si sostengono a vicenda al fine di risolvere i problemi simili o identici che si verificano spesso nelle regioni di frontiera, creano nuove opportunità di lavoro e condividono la loro cultura.
Il regolamento che istituisce un gruppo europeo di cooperazione territoriale, che è stato approvato nel luglio 2006, sembra essere uno strumento molto valido ai fini della cooperazione regionale, nonché un passo nella giusta direzione. Esso offre alle regioni la flessibilità nella cooperazione e ha un’influenza positiva sulla popolazione degli Stati membri, sull’economia e sul contesto imprenditoriale. Ancora maggiore è la delusione, dunque, per il fatto che gli Stati membri non hanno recepito nei loro ordinamenti questo utile regolamento, nonostante avrebbero dovuto farlo entro il 1° agosto 2007.
Numerose regioni sono molto interessate al gruppo europeo di cooperazione territoriale in quanto offre loro l’opportunità di cooperare con altre regioni fornendo al contempo un livello significativo di autonomia nei loro rapporti con i governi e le amministrazioni centrali. Tale strumento ha inoltre un effetto positivo sulle vite degli abitanti delle singole regioni: uno degli obiettivi della cooperazione regionale è agevolare uno sviluppo maggiormente efficace delle risorse umane e raggiungere quindi un equilibrio nello sviluppo di domanda e offerta nei mercati del lavoro regionali.
Non dobbiamo dimenticare neanche che il GECT apporterà benefici anche per il settore delle imprese, in particolare attraverso il sostegno allo sviluppo dell’economia allo scopo di accrescere la sua produttività e struttura, creando nuove opportunità lavorative e rendendo stabili quelle a rischio. I singoli gruppi di cooperazione territoriale saranno in grado di promuovere attivamente una crescita occupazionale e l’inclusione sociale.
Il regolamento semplifica e sostiene la cooperazione regionale negli Stati membri dell’Unione e facilita pertanto la coesione economica e sociale. Tutto ciò è positivo e per questo chiedo al Consiglio e alla Commissione di compiere i passi necessari al fine di garantire l’attuazione di tale regolamento nei singoli Stati membri.
Antolín Sánchez Presedo (PSE). – (ES) Signor Presidente, signora Commissario, il gruppo europeo di cooperazione territoriale è un nuovo strumento inteso a rafforzare la coesione economica e sociale nell’Unione.
È uno strumento per una cooperazione avanzata e strutturata con una propria personalità giuridica che avrà accesso ai finanziamenti comunitari e a risorse di altre fonti.
La decisione di Braga, dieci giorni fa, al 23simo vertice tra Spagna e Portogallo, ha posto una decisiva pietra miliare. I due paesi figurano tra i sei che hanno già adottato le misure necessarie all’attuazione efficace del regolamento europeo di luglio 2006.
Il consiglio galiziano e le autorità della regione settentrionale del Portogallo, che hanno terminato la stesura dell’accordo e degli statuti nel novembre 2006, formeranno presto un gruppo che comprenderà 6 400 000 abitanti con sede a Vigo.
Essi assumeranno la guida nell’istituzione di un’Euroregione con organi di governo che promuoveranno l’ambiziosa cooperazione europea portandola quale esempio di rigenerazione.
I loro sforzi meritano il riconoscimento da parte del Parlamento europeo.
Ivo Belet (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, il GECT, come è stato affermato più volte, è uno strumento estremamente utile soprattutto per le regioni di frontiera. Sono lieto, signora Commissario, che lei abbia citato il progetto EURODISTRICT al confine tra Francia e Belgio, come ha fatto anche l’onorevole Beaupuy. Le città di Courtrai, Tornai e Lille hanno firmato un accordo di cooperazione proprio questa settimana al fine di collaborare in modo pratico sui progetti che coinvolgono anche il pubblico. Altri aspetti sono il lavoro transfrontaliero, il trasporto pubblico, la cooperazione tra gli ospedali e la lotta alla criminalità, ossia ciò che la gente si aspetta che affrontiamo a livello concreto.
Inoltre, sono state intraprese diverse iniziative in un’altra regione di confine, tra Belgio e Olanda, al fine di incentivare la cooperazione concreta tra le università attraverso un GECT. Le zone in questione sono la provincia del Limburgo di parte belga e olandese, nonché la regione di Aquisgrana. L’idea è quella di creare, eventualmente, un’università combinata transfrontaliera con l’aiuto del GECT, impiegandolo al fine di superare o aggirare molti degli ostacoli amministrativi esistenti.
Signor Presidente, signora Commissario, il GECT non può certamente risolvere tutti i problemi e comprendo perché, come abbiamo sentito, molti Stati membri debbano ancora iniziare a usarlo. Tuttavia, ora dovremmo guardare in prospettiva sulla base delle esperienze iniziali di tale strumento, e pensare a quali miglioramenti possiamo apportare, considerando la prima valutazione. Esistono alcuni problemi che dovremo affrontare, quali i diversi regolamenti sociali che si pongono dinanzi ai lavoratori che dipendono da un GECT.
Signora Commissario, tutto quello che posso dire è che è assolutamente fondamentale che la Commissione continui a fare pressione sui governi che sinora non hanno messo in pratica questo strumento.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Signora Commissario, il numero di progetti nelle regioni di frontiera, sia quelli completati con successo che quelli attualmente in corso di sviluppo sotto gli auspici dei gruppi euroregionali, dimostra l’esistenza di molte attività di sviluppo con un grande potenziale che non possono essere attuate in mancanza dell’assistenza europea.
Tuttavia, sono necessarie norme chiare, altrimenti il denaro non verrà impiegato. Ritengo che questa discussione solleciterà le parti interessate di frontiera a partecipare in un GECT.
Gli Stati membri figurano tra le parti individuate per non aver rispettato i loro obblighi. La Commissione deve accrescere i propri sforzi al fine di garantire che la cooperazione transfrontaliera non venga compromessa. Le euroregioni sono strutture transfrontaliere esistenti da molto tempo e hanno terminato le attività nel quadro di INTERREG nel precedente periodo programmatico, in particolare nel caso dei piccoli progetti intesi a facilitare i contatti tra i cittadini.
Non credo che le euroregioni abbiano fallito. Sono convinta che con il sostegno attivo della Commissione, degli Stati membri, dei governi regionali e locali, delle camere di commercio e dell’industria, nonché di tutte le persone che vivono nelle regioni di frontiera, le euroregioni faranno uso della loro esperienza per impiegare questo nuovo strumento che è il GECT.
Danuta Hübner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli deputati per le loro osservazioni nonché per il loro sostegno a questo strumento e il loro impegno.
Consentitemi di ricordare a ciascuno di voi che nessuno Stato membro si è rifiutato di attuare tale strumento e credo che questo sia molto importante. È assolutamente chiaro che tutti loro devono attuarlo. Come ho cercato di dire nelle mie osservazioni introduttive, abbiamo cercato di avvicinarci al completamento e di accelerare l’intero processo attraverso strumenti ben diversi. Sicuramente, oggi possiamo ancora offrire incentivi direttamente attraverso la vostra presenza nei rispettivi Stati membri e regioni, cosa che facciamo dallo scorso anno. Nel corso delle mie visite, i miei incontri e le conferenze, non solo in materia di cooperazione territoriale ma anche sulle questioni centrali della politica, abbiamo sollecitato, discusso e dato istruzioni. Abbiamo collaborato molto con le regioni al fine di sostenerle nel prepararsi all’attuazione di questo nuovo strumento di cooperazione.
Tuttavia, ritengo che oggi ci troviamo in pieno processo. Penso che la consapevolezza tra gli Stati membri sia enormemente aumentata e auspico che, con il recente impulso delle azioni della Direzione generale, entro giugno otterremo la maggior parte delle modifiche a livello nazionale per l’attuazione dei regolamenti.
Dobbiamo comunque ricordare che qualsiasi programma può trasferire la propria gestione al GECT in ogni momento del suo corso, affinché la non attuazione delle modifiche richieste da parte degli Stati membri non provochi potenziali danni alla politica. Inoltre, ogni progetto può impiegare tale strumento per la sua attuazione e, come sappiamo, possiamo disporre di nuovi progetti fino alla fine del 2013. Quindi neanche in questo caso c’è pericolo.
Non è una consolazione, ma desidero che anche voi notiate che non aver ancora completato tutte le procedure di attuazione non ha causato danni in tal senso.
Ciò a cui assistiamo oggi è un grande interesse di altre direzioni generali nella Commissione, che sono impazienti di utilizzare questo strumento nell’ambito del Settimo programma quadro, nonché nel contesto del programma CIT e in altre politiche.
È importante che nel corso delle vostre riunioni, a livello regionale e locale, ricordiate alle regioni che, anche se non sono ancora in vigore norme di attuazione, il recente esempio di Francia e Belgio dimostra con chiarezza la possibilità di istituire un GECT e che uno Stato membro può attuare e definire un’autorità ad hoc che funga da autorità cui gli organi regionali e locali si rivolgono per ottenere informazioni sulla creazione del GECT.
Per quanto riguarda il manuale sul GECT, se ne occupa il progetto INTERACT. A marzo, a Bruxelles si terrà una conferenza e tutte le parti interessate saranno invitate a questo seminario sulla preparazione del manuale.
Sulla convenzione di Madrid, invece, non dovremmo dimenticare che sinora sono stati impiegati 20 anni per la sua ratifica e, se non erro, alcuni Stati membri non l’hanno ancora ratificata. Il regolamento in questione è stato rinegoziato meno di due anni fa e questo è il primo anno della sua attuazione.
Ritengo che questa sarebbe la reazione a quanto voi affermate. Vorrei garantirvi che siamo profondamente impegnati, poiché vediamo il valore aggiunto e collaboriamo con le regioni. Questo è il motivo per cui molti tra loro sono così ben preparati; tutti siamo consapevoli del valore aggiunto di tale strumento che avete citato.
Tuttavia, occorre di certo ricordare che non è una garanzia di guadagno. Non si tratta di un progetto, è uno strumento che intendiamo impiegare per la cooperazione ma, ovviamente, il GECT può ricevere finanziamenti comunitari in virtù della normativa ordinaria, nell’ambito della politica di coesione europea. È importante ricordare anche questo.
Di nuovo grazie per il vostro interessamento. Siamo assolutamente impegnati affinché questo processo venga completato al più presto possibile.
Presidente. − La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Bairbre de Brún (GUE/NGL), per iscritto. – (GA) Vorrei suggerire che la commissione per lo sviluppo regionale intraprenda iniziative e solleciti azioni che consentano di riunire le competenze in un gruppo europeo di cooperazione territoriale con l’obiettivo di portare alla luce le politiche.
I nuovi GECT saranno utili al rafforzamento della normativa negli Stati membri, alla creazione di nuove dinamiche nella cooperazione transfrontaliera, e consentiranno il mantenimento di un livello elevato di fiducia e cooperazione oltre i limiti delineati dalle frontiere.
Nel mio paese diviso, iniziative di questo genere potrebbero svolgere un ruolo fondamentale, oltre a modelli di sostegno comunitari intesi ad attenuare le conseguenze negative della divisione dell’Irlanda. Sostengo pienamente il pensiero valido sotteso alla cooperazione transfrontaliera, in quanto è un ideale europeo.
L’Irlanda ha un grande bisogno di esplorare ogni strada della cooperazione transfrontaliera poiché le nostre zone di confine sono in province povere in cui il livello di sviluppo è basso. Abbiamo passato molto tempo senza agire e trovando scuse. Gli Stati membri hanno il dovere di aiutare le zone di frontiera ad attuare la normativa sul GECT quanto prima.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. – (PL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il problema dell’attuazione della normativa comunitaria da parte degli Stati membri non è una novità. Oserei dire che riguarda la maggior parte delle politiche comunitarie.
Elaborare una posizione comune a 27 paesi a livello europeo è infatti solo l’inizio di un arduo processo di armonizzazione e attuazione dei principi adottati. È realmente giunto il momento che gli Stati membri si assumano la responsabilità di tale processo. L’efficacia dei nostri sforzi congiunti a livello europeo dipende in larga misura dall’impegno e dell’attuazione delle raccomandazioni delle amministrazioni nazionali degli Stati membri.
La cooperazione tra i diversi livelli della nostra pubblica amministrazione è necessaria. Posso affermare con certezza che, in qualità di eurodeputati eletti direttamente dai cittadini dei singoli Stati membri, siamo pronti e aperti a ogni forma di cooperazione con le nostre amministrazioni nazionali e regionali che possa migliorare e accelerare l’attuazione della normativa comunitaria.
Non possiamo consentire che questioni come la coesione economica e sociale, che è uno dei principi fondamentali dei Trattati, vengano marginalizzate, come accade con il problema a noi presentato oggi. Un adeguato regolamento dell’Unione europea sui gruppi di cooperazione territoriale esiste da luglio del 2006, ma sinora è stato impossibile trarne vantaggio a causa dell’assenza della corrispondente normativa a livello nazionale.
25. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale