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Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 20 febbraio 2008 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Composizione dei gruppi politici: vedasi processo verbale
 3. Trattato di Lisbona (discussione)
 4. Turno di votazioni
  4.1. (A6-0013/2008, Richard Corbett) Trattato di Lisbona (votazione)
  4.2. (A6-0471/2007, Ona Juknevičienė) Censimento della popolazione e delle abitazioni (votazione)
  4.3. Strategia di Lisbona (votazione)
  4.4. (A6-0029/2008, Margarita Starkevičiūtė) Orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione (votazione)
  4.5. (A6-0503/2007, Cem Özdemir) Strategia comunitaria per l’Asia centrale (votazione)
 5. Dichiarazioni di voto
 6. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 7. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 8. Controllo dell’applicazione del diritto comunitario (2005) (discussione)
 9. Kosovo (discussione)
 10. Settimo Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (discussione)
 11. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
 12. Futuro demografico dell’Europa (discussione)
 13. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 14. Cooperazione scientifica con l’Africa (discussione)
 15. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 16. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. PÖTTERING
Presidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta è aperta alle 9.05)

 

2. Composizione dei gruppi politici: vedasi processo verbale

3. Trattato di Lisbona (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione presentata dagli onorevoli Richard Corbett e Íñigo Méndez de Vigo, a nome della commissione per gli affari costituzionali, sul Trattato di Lisbona [2007/2286(INI)] (A6-0013/2008).

 
  
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  Richard Corbett, relatore. − (EN) Signor Presidente, l’onorevole Méndez de Vigo ed io abbiamo l’onore di presentare al Parlamento questa relazione a nome della commissione per gli affari costituzionali. È un testo in cui la nostra commissione non si è soffermata troppo sul percorso compiuto per arrivare a questo punto, ma sul semplice confronto tra i miglioramenti apportati da questo nuovo Trattato all’Unione europea rispetto agli attuali Trattati, sul modo in cui questi ultimi, modificati dal Trattato di Lisbona, rendano l’Unione europea più efficiente, democratica e migliore per i suoi cittadini. Questo è quanto abbiamo fatto, e la nostra conclusione è chiara.

Innanzi tutto, desidero soffermarmi sulla responsabilità democratica: questa Unione disporrà di un sistema in base al quale in futuro tutta la legislazione sarà soggetta alla verifica preliminare dei parlamenti nazionali e quindi alla duplice approvazione del Consiglio dei ministri, composto da ministri responsabili dinanzi ai propri parlamenti, e del Parlamento europeo, formato da membri direttamente eletti dai cittadini al fine di rappresentarli in ambito europeo. Si tratta di un livello di verifica che non esiste in nessun’altra struttura internazionale; basti pensare all’OMC, alla Banca mondiale, al FMI, alla NATO, in nessuno dei quali gli Stati nazione dispongono di un livello interno di controllo parlamentare che avremo noi con questo nuovo Trattato.

Il nuovo Trattato aumenta inoltre le competenze del Parlamento europeo in altri ambiti. Eleggeremo il Presidente della Commissione e avremo, assieme al Consiglio, pieni poteri sull’intero bilancio comunitario, e non assisteremo più alla spesa agricola isolata dal controllo parlamentare. Il Parlamento avrà il diritto di bloccare le misure di attuazione della Commissione, qualora in disaccordo con esse, nonché di revocare la delega delle competenze alla Commissione ove lo ritenga necessario. Vedo che la signora Commissario sembra già preoccupata, ma questa è un’importante garanzia democratica. Il Parlamento avrà inoltre il diritto di formulare proposte per le future modifiche del Trattato, e sono stati ampliati i suoi diritti alla ratifica e approvazione degli accordi internazionali. Se non altro, il Trattato in questione rafforza in misura significativa la democrazia nell’Unione europea.

In secondo luogo, tale Trattato migliora la condizione dei cittadini dell’Unione. Esiste, ovviamente, la Carta dei diritti che, in tutto il territorio dell’Unione, garantisce che le istituzioni e la normativa comunitarie non violino le norme fondamentali sui diritti umani, che le istituzioni dell’Unione europea dovranno rispettare. Esso fornisce maggiore chiarezza ai cittadini riguardo alle competenze dell’Unione europea, e garantisce inoltre di dissipare adeguatamente le paure fuori luogo di alcuni secondo i quali staremmo sviluppando una sorta di superstato centralizzato nell’Unione europea.

Infine, il Trattato renderà l’Unione europea più efficiente e più abile nell’affrontare gli ambiti della politica in cui desideriamo agire insieme a livello europeo. L’estensione del voto a maggioranza qualificata, la razionalizzazione delle dimensioni della Commissione, la fusione della rappresentanza esterna in un unico Alto rappresentante, la Presidenza a lungo termine del Consiglio europeo e altre misure, dovrebbero rendere il nostro sistema maggiormente in grado di agire in modo efficace e, quindi, la nostra Unione più abile nel sortire risultati in quei settori della politica di cui vogliamo che non deluda le aspettative.

Tutti questi sono quindi netti miglioramenti. Alcuni, di certo, rimpiangeranno la perdita della Costituzione, una Costituzione che, dopo tutto, è stata ratificata da una grande maggioranza degli Stati membri. Persino in quei paesi in cui si sono tenuti i referendum, hanno votato a favore 26,6 milioni di persone e 23 milioni hanno votato contro. Anche nel mio paese è stata approvata in seconda lettura nella House of Commons a larga maggioranza, con 215 voti. Era una Costituzione popolare per molti aspetti, ma la prova sarà vincere il grande slam dei 27 “si” e di nessun “no”. Questa è la soglia molto elevata che aveva davanti e che non è riuscita a superare. Questo è il motivo per cui è stata abbandonata dagli Stati membri e, in alternativa, abbiamo deciso di modificare i Trattati di cui già disponevamo. Tuttavia, il contenuto di tali emendamenti rende l’Unione più democratica, efficace e vicina ai cittadini. Raccomando il Trattato al Parlamento.

(Applausi)

 
  
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  Íñigo Méndez de Vigo, relatore. (ES) Signor Presidente, desidero anch’io unirmi a lei nel congratularmi con l’onorevole Richard Corbett. Ritengo che la sua collaborazione con un membro del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei dimostri ciò che l’Europa è realmente: anche se abbiamo idee e sensibilità diverse, siamo in grado di collaborare; siamo in grado di compiere progressi al fine di migliorare la vita degli europei. Pertanto desidero ringraziare l’onorevole Corbett per la sua collaborazione e cooperazione, che è sempre stata leale e ha sempre, desidero sottolinearlo, mirato a lavorare insieme, costruire, e non a essere negativi o distruttivi.

Signor Presidente, tre anni fa Richard Corbett ed io abbiamo presentato il Trattato costituzionale a quest’Assemblea, e adesso siamo i relatori del Parlamento europeo sul Trattato di Lisbona. È chiaro, signor Presidente, che alcuni di noi sono stati più ambiziosi del Trattato di Lisbona, e ritengo che quest’Aula sia stata più ambiziosa. È inoltre chiaro che si tratta di una situazione unica nel suo genere. Il processo di ratifica non è andato avanti, pertanto doveva essere trovata una soluzione politica, quale il Trattato di Lisbona è. Di nuovo, questa è l’Europa: è alla ricerca di accordi, di impegni al fine di trovare una via d’uscita dalle crisi e dalle situazioni complesse.

L’onorevole Corbett ha fornito un’ottima spiegazione, pertanto farò eco alle sue parole relative ai vantaggi del Trattato di Lisbona rispetto ai Trattati attualmente in vigore. Desidero aggiungere un’osservazione che Richard Corbett non ha fatto: il Trattato di Lisbona non è il Trattato costituzionale. Abbiamo dovuto abbandonare molte delle nostre ambizioni sul percorso, cosa che mi spiace, ma credo anche che gli elementi essenziali del Trattato costituzionale siano contenuti nel Trattato di Lisbona. Nonostante non sia lo stesso, siamo riusciti a mantenere gli elementi fondamentali.

Quali sono dunque questi elementi? Che cosa riteniamo essenziale? Gli elementi fondamentali sono quelli che consentiranno all’Unione europea di essere più democratica, quelli che le permetteranno di essere più efficiente, in breve, quelli che le consentiranno di fornire ai cittadini valore aggiunto.

Signor Presidente, questa è l’unica cosa che dovrebbe motivare il Parlamento europeo. Siamo i rappresentanti del popolo europeo, che dovrebbe essere il punto di riferimento delle nostre azioni. Viviamo un momento molto importante per l’Europa, lo abbiamo visto ieri, con la situazione in Kosovo.

L’Europa deve offrire uno sbocco alle aspettative che gli europei hanno riposto in noi; non può adottare una politica da testa nella sabbia, ma ha bisogno di avere una voce nel mondo, di essere presente, e di risolvere i problemi che si delineano ora, che si tratti dei cambiamenti climatici, della lotta all’immigrazione clandestina o alla proliferazione nucleare. Dobbiamo affrontare questi problemi.

Il Trattato di Lisbona, e questa è una questione fondamentale, onorevoli colleghi, ci offre gli strumenti e la competenza per farlo; ovviamente, è necessario che ci sia poi la volontà politica di affrontarli, ma il Trattato contiene gli strumenti per migliorare l’attuale situazione.

Consentitemi di aggiungere una riflessione riguardo al fatto di costruire insieme, di collaborare. Come ho affermato poc’anzi, questa è l’Europa. Sostenere il Trattato di Lisbona significa collaborare, seguire lo stesso percorso. È vero, come ho già detto, che abbiamo abbandonato alcuni elementi. Paul Valéry, un grande poeta, diceva che una poesia non è mai finita, è solo abbandonata. È vero che abbiamo abbandonato alcune cose, ma è altrettanto vero che in futuro, se dovessimo riprenderle, il Parlamento europeo sarebbe all’avanguardia.

(Applausi)

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio molto.

A nome della Presidenza accolgo con favore l’opportunità di discutere sul Trattato di Lisbona. Desidero innanzitutto ringraziare il Parlamento europeo per il suo lavoro e, in particolar modo, per la relazione elaborata dagli onorevoli Richard Corbett e Íñigo Méndez de Vigo.

Devo ammettere sin da subito che concordo riguardo alla valutazione positiva di molti degli elementi del nuovo Trattato. È un dato di fatto che l’Europa da qualche tempo deve affrontare sfide interne ed esterne nella comunità internazionale.

Questa è la ragione per cui abbiamo senza dubbio bisogno di riforme. Il desiderio di continuare il processo volto a migliorare l’efficienza dell’Unione europea e la sua legittimità democratica ha indotto i leader degli Stati membri a firmare il Trattato a Lisbona lo scorso dicembre.

È stato detto molto riguardo ai tanti vantaggi che il Trattato di Lisbona apporterà. Pertanto, citerò solo i principali. Prima di tutto, garantirà che tutte le istituzioni che sostengono o collegano i 27 Stati membri operino con maggiore efficacia; migliorerà l’efficienza e semplificherà i processi decisionali; rafforzerà la democrazia e la trasparenza delle operazioni e, questo è molto importante, renderà le azioni dell’Unione europea meno lontane dai suoi cittadini.

Il nostro obiettivo comune è l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona dal 1° gennaio 2009. Al fine di raggiungerlo, il nostro compito prioritario è la sua ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Colgo l’opportunità per congratularmi con i cinque Stati membri che hanno già provveduto in tal senso.

La Presidenza è consapevole che le procedure di ratifica rientrano nella competenza esclusiva e sovrana degli Stati membri. Tuttavia, ritengo che possiamo permetterci di esprimere l’auspicio che tali procedure seguano il loro iter agevolmente, senza ostacoli né complicazioni. Siamo convinti che il Trattato di Lisbona sia uno strumento valido nonché un ottimo documento che renderà più semplice affrontare le sfide contemporanee che l’Unione europea deve affrontare.

La piena applicazione e attuazione del Trattato di Lisbona necessita di determinate azioni preparatorie. La Presidenza è a conoscenza di tutti questi problemi e della relativa necessità di un quadro unificato nell’ambito del quale condurre tali attività. Abbiamo instaurato una cooperazione più intensa tra la prossima Presidenza (la Francia) e le altre istituzioni. La Presidenza garantirà che questi lavori preparatori vengano svolti sotto la supervisione del più elevato livello politico, ossia del Consiglio europeo, che seguirà i progressi da vicino.

Desidero sottolineare che molti aspetti del nuovo Trattato possono essere realizzati solo se proposti dalla Commissione europea o con la stretta cooperazione con il Parlamento europeo. La Presidenza conosce questi aspetti e in ogni caso condurrà i lavori preparatori in modo tale da coinvolgere tutte le parti interessate.

Vorrei concludere dichiarando che tutti coloro che sono stati coinvolti nell’attività di preparazione hanno agito in modo responsabile. Mi auguro che una simile condotta continui poiché è il miglior modo di contribuire al successo delle procedure di ratifica e all’attuazione del Trattato di Lisbona.

 
  
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  Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. − (EN) Signor Presidente, anch’io vorrei innanzi tutto accogliere con favore la presente relazione e congratularmi con entrambi i relatori per il loro lavoro presentato in plenaria. La Commissione, com’è ovvio, condivide appieno la posizione secondo cui il Trattato di Lisbona è un passo molto positivo per il futuro dell’Unione. Come abbiamo già sentito, ci condurrà sempre più sulla strada di un’Unione maggiormente efficiente, democratica e trasparente.

In politica è importante agire correttamente, in quanto è questo che ci conferisce legittimità democratica. Tuttavia, è altrettanto importante fare la cosa giusta. Pertanto, ciò che stiamo facendo nella scelta dell’agenda politica sui cambiamenti climatici e sull’energia, delle tariffe di roaming, della sicurezza alimentare e dei giocattoli, della politica dei trasporti, della politica agricola, o degli scambi, o altro, è di estrema importanza e non ci rilasseremo finché il nuovo Trattato non sarà in vigore. Al contempo, tuttavia, dobbiamo anche guardare l’altra faccia della medaglia, osservare il nostro modo di agire e come il Trattato possa modificarlo; dobbiamo analizzare in quale modo possiamo migliorare la nostra efficacia nel prendere decisioni e nel promuovere l’agenda politica e le priorità di questa Unione europea.

Uno degli elementi centrali di questo Trattato è il modo in cui rafforza la legittimità democratica dell’Europa attraverso la modifica del ruolo del Parlamento, una codecisione più estesa, un peso maggiore nelle questioni di bilancio e degli accordi internazionali, nonché un legame diretto tra i risultati delle elezioni europee e la scelta del Presidente della Commissione.

Inoltre, fornirà gli strumenti per un coinvolgimento più incisivo dei parlamenti nazionali. Grazie a questi, abbiamo già maturato un’esperienza molto positiva nell’impegno con i parlamenti nazionali, nel fissare le politiche dell’Unione europea, oltre ad alcuni elementi di democrazia partecipativa per la partecipazione diretta dei cittadini.

La vostra relazione, senza dubbio, esprime anche alcune preoccupazioni sull’abbandono dell’approccio costituzionale e sull’estensione delle disposizioni “opt-in” per alcuni Stati membri. Tutti noi siamo consapevoli, come ho affermato in precedenza, che era il prezzo da pagare al fine di raggiungere un accordo consensuale, e ritengo che tutti comprendiamo che nulla è perfetto, tantomeno il nuovo Trattato di riforma. È un compromesso, ma è qualcosa su cui siamo stati in grado di accordarci.

La ratifica è attualmente in corso ma, con cinque Stati membri che hanno già approvato il Trattato e altri dieci che hanno già avviato le rispettive procedure, è chiaro che c’è ancora una lunga strada da percorrere, e per quanto riguarda il processo non esiste nulla di inevitabile.

Nel frattempo, è necessario che ci prepariamo per quella che auspichiamo sia l’entrata in vigore del Trattato all’inizio del prossimo anno, e la Presidenza slovena ha presentato un elenco di ambiti in cui è necessario intervenire ai fini della sua attuazione. Si sono già svolte discussioni preliminari su alcune tematiche, che continueranno nei prossimi mesi. Alcune di esse sono soggette alle proposte della Commissione, per esempio, l’iniziativa dei cittadini, che è una disposizione importante intesa a contribuire al collegamento tra Unione e cittadini.

Sono disposta a fare quanto possibile al fine di garantire che gli europei possano impiegare questo nuovo strumento democratico quanto prima, dopo l’entrata in vigore del Trattato. È necessario che una proposta della Commissione sia pronta per tempo, e che al contempo vi siano consultazioni complete prima dell’adozione di una proposta. Vi terremo certamente informati degli ulteriori sviluppi e auspichiamo di poter collaborare su questa questione.

Come sottolineato dal Consiglio europeo di giugno, anche la comunicazione con i cittadini nel corso del processo di ratifica è fondamentale, a prescindere dal metodo di ratifica scelto. A tale scopo, e come raccomandato nella vostra relazione, stiamo collaborando a stretto contatto con le autorità nazionali e con i servizi del Parlamento europeo.

Pertanto, consentitemi di ringraziarvi per la richiesta, contenuta nella vostra relazione, di una leale cooperazione tra le istituzioni comunitarie e le autorità nazionali al fine di informare i cittadini europei in modo chiaro e obiettivo sul contenuto del Trattato. Questo rispecchia completamente il nostro approccio, e siamo lieti di condividere con il Parlamento e i suoi uffici negli Stati membri i nostri prodotti di comunicazione e il nostro materiale informativo, in quanto abbiamo comunicazioni positive: un Trattato che ci fornirà gli strumenti per proseguire nello sviluppo delle politiche che i nostri cittadini desiderano, come ogni volta ci riferiscono i sondaggi d’opinione, ossia il cambiamento climatico e l’energia, le questioni sull’immigrazione, la crescita e l’occupazione, l’ambiente e, ovviamente, il ruolo dell’Unione europea sulla scena globale. Questo è quanto ci aiuterà a fare le cose giuste e a farle nel modo giusto.

 
  
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  Andrew Duff, relatore per parere della commissione per gli affari esteri. − (EN) Signor Presidente, una delle caratteristiche principali del Trattato sarà il fatto di segnare la realizzazione della politica estera e di sicurezza comune e di difesa. Propone cambiamenti radicali alla struttura dell’Unione europea, in particolare promuovendo l’Alto Rappresentante a Vicepresidente della Commissione e facoltà di presiedere il Consiglio, cui sarà subordinato un servizio tripartito di diplomatici. È fondamentale che tali disposizioni vengano attuate con fermezza non appena il Trattato entrerà in vigore: rinvii e liti per il bottino della vittoria confonderanno i paesi terzi e provocheranno del cinismo nell’opinione pubblica europea.

Raccomando con forza il parere della commissione per gli affari esteri.

 
  
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  Thijs Berman, relatore per parere della commissione per lo sviluppo. (NL) Signor Presidente, il nuovo Trattato offre grandi opportunità per la cooperazione allo sviluppo. Questo è fondamentale poiché questo nuovo Trattato richiede che l’azione della Commissione nel campo della cooperazione allo sviluppo sia complementare alle iniziative degli Stati membri. Ciò prospetta finalmente la possibilità di un miglior coordinamento tra la Commissione e gli Stati membri, il che è essenziale, nonché sollecitato in passato dalla revisione tra pari dell'OCSE/DAC, molto critica per altro.

L’attenzione viene posta sulla riduzione della povertà, il che è positivo. È stata eliminata una frase fondamentale dal Trattato di Nizza: la frase che esclude in modo esplicito il Fondo europeo di sviluppo (FES) dal campo di applicazione del Trattato, il che significa che il FES adesso può essere incluso nel bilancio comunitario. È una scelta davvero necessaria in quanto conferisce finalmente al Parlamento europeo pieno controllo democratico anche sulla restante metà delle attività di sviluppo comunitarie, aspetto, questo, positivo oltre che fondamentale. Tuttavia, in assenza di una costante verifica da parte del Parlamento europeo, la riduzione della povertà non potrà occupare un ruolo centrale nella politica estera dell’Unione europea, e ancor meno in mancanza di una nomina separata in futuro di un Commissario europeo per lo sviluppo.

 
  
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  Carlos Carnero González, relatore per parere della commissione per il commercio internazionale. (ES) Signor Presidente, prima di tutto desidero congratularmi con i corelatori per l’eccellente lavoro svolto e ringraziarli poiché, forse quale eccezione a quanto solitamente accade in quest’Aula, sono riusciti a inserire il suggerimento principale formulato dalla commissione per il commercio internazionale riguardo alla stesura del Trattato di Lisbona.

Tale Trattato conserva a tale proposito gli elementi fondamentali della Costituzione europea, ed è molto importante dal momento che, oltre a dichiarare ancora una volta che la politica commerciale comune è di esclusiva competenza dell’Unione europea estendendone il campo di applicazione, introduce anche il metodo comunitario per il processo decisionale nel quadro di tale politica, il che significa maggiore democrazia ed efficacia che, tutto sommato, è il messaggio principale da trasmettere ai cittadini attraverso il Trattato di Lisbona.

Sono stato membro della Convenzione. Sono orgoglioso che il Trattato di Lisbona contenga gli elementi fondamentali della Costituzione che abbiamo redatto, che all’epoca fu appoggiata dalla maggioranza dei paesi, ma come affermato dall’onorevole Méndez de Vigo, uno dei relatori, vorrei anche aggiungere che questa non è la fine del percorso, la storia non finisce qui. Per questo motivo, la commissione per il commercio internazionale precisa anche che alcune tematiche sono state tralasciate.

Abbiamo quindi la realtà, ossia il Trattato, che è un risultato positivo, e abbiamo l’orizzonte, che sarà migliore in futuro grazie a ciò che realizzeremo.

 
  
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  Costas Botopoulos, relatore per parere della commissione per i bilanci. (EL) Signor Presidente, ho l’onore di essere il relatore della commissione per i bilanci in merito ai cambiamenti introdotti riguardo al settore finanziario. È uno degli argomenti meno conosciuti, ma ritengo che sia uno dei più interessanti e caratteristici nel contesto di quanto discutiamo oggi, in particolare le modifiche generali che il Trattato di Lisbona porterà nella nostra vita.

Nel settore del bilancio, il Parlamento assume un ruolo pari a quello del Consiglio. Non esiste più distinzione fra spese obbligatorie e non obbligatorie. Da questo momento in poi decidiamo su tutte le questioni in quanto Parlamento, in particolare per ciò che riguarda la politica agricola, e ciò è di estrema importanza. Ma sta accadendo qualcos’altro; è in corso un cambiamento nella distribuzione dei ruoli tra Parlamento e Consiglio nel quadro della procedura di bilancio. Non possiamo essere certi del risultato poiché si vedrà in futuro, un principio che, ritengo, valga per il Trattato di Lisbona in generale.

Quest’ultimo introduce un pacchetto di modifiche di ampia portata a livello politico che fungeranno da fondamenta per la nostra agenda politica. Penso che questa nuova agenda politica sia ciò di cui l’Unione europea abbia bisogno oggi.

Non è corretto adesso affermare che il Trattato di Lisbona sia la fine del percorso. Al contrario, è una tappa importante che ci consente di operare in un quadro migliore e di maggiore successo, con più opportunità per il Parlamento. Questo è particolarmente importante, se teniamo conto delle lezioni apprese dall’esperienza della Costituzione europea. Il principale e importante risultato della strada tortuosa che ci ha condotto a Lisbona è che l’Europa non si è chiusa in se stessa né è diventata più diffidente, bensì è diventata più sociale. Ne consegue che ora esistono più clausole sociali e più diritti. Attraverso tale processo, si sta compiendo un tentativo di aprire l’Europa all’esterno. Questa, a mio parere, è la lezione più importante, nonché il motivo per cui il Trattato di Lisbona dovrebbe essere ratificato.

 
  
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  Ján Hudacký, relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. (SK) Il nuovo Trattato europeo, benché non perfetto per alcuni aspetti, costituisce uno strumento importante per un’integrazione più profonda degli Stati membri, nonché per il funzionamento efficace e più flessibile delle strutture e delle istituzioni tra i singoli Stati membri dell’Unione europea e tra quest’ultima e il resto del mondo.

Al contempo, il Trattato apre le porte a un ulteriore allargamento dell’Unione per includere nuovi Stati membri, affinché i sogni di molte persone di una casa europea comune possano diventare realtà. La Carta dei diritti fondamentali, diventata componente giuridica del Trattato, ha di certo un suo grande significato. Tuttavia, poiché non è molto chiara, potrebbe sollevare questioni sui diritti umani naturali. La commissione per l’industria, la ricerca e l’energia ritiene che il nuovo Trattato offra spazio sufficiente alla realizzazione delle politiche comuni, da un lato, e, dall’altro, nel contesto del principio di sussidiarietà, che assicuri che gli Stati membri abbiano le competenze sufficienti al fine di proseguire con le loro politiche e strategie di concorrenza, per esempio nel settore industriale.

Lo Spazio europeo della ricerca rafforzerà la piattaforma scientifica e tecnologica. Ciò si tradurrà in un trasferimento più facile della conoscenza e della tecnologia scientifiche nonché in una cooperazione illimitata tra scienziati e ricercatori, a prescindere dalle frontiere. Per quanto riguarda i programmi relativi allo spazio della ricerca, siamo lieti che il Trattato offra una piattaforma per una politica spaziale europea e fornisca esplicitamente una cooperazione adeguata con l’Agenzia spaziale europea.

Un importante successo del Trattato è l’accordo sulla politica energetica comune, con un accento posto sul miglioramento del mercato interno dell’energia, garantendo la sicurezza degli approvvigionamenti, l’efficienza e il risparmio energetico, lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili nonché il miglioramento dell’interconnessione delle reti energetiche. Anche il fatto che il Trattato consenta ai singoli Stati membri di continuare a prendere decisioni in materia di mix energetico è un vantaggio. Inoltre, sono lieto di poter dire che il Trattato contiene il protocollo Euratom, che conserverà i suoi effetti giuridici originari: sono certo che questo creerà le condizioni necessarie allo sviluppo sicuro e razionale dell’energia nucleare.

 
  
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  Gérard Deprez, relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni esprime il proprio sostegno alla relazione dei nostri colleghi, gli onorevoli Corbett e Méndez de Vigo. Accogliamo con particolare favore il fatto che la relazione sottolinei (è ovvio ma vale la pena citarlo) che è soprattutto nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che il Trattato di Lisbona apporta i maggiori cambiamenti con, nello specifico, la scomposizione dei pilastri e la cooperazione giudiziaria in materia penale integrate nel metodo “comunitario”.

Tuttavia, nonostante questa sia una svolta importante, nel nostro settore è ancora accompagnata da una riserva che è difficile da accettare. I nostri colleghi deputati dovrebbero sapere che con il Trattato di Lisbona, tutte le misure che fossero adottate nel contesto del terzo pilastro prima dell’entrata in vigore del Trattato rimarranno al di fuori del controllo della Commissione nonché della Corte di giustizia, per un periodo di cinque anni, in quelle aree sensibili quali il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali.

Riteniamo che tale disposizione restrittiva sia difficile da accettare, signor Presidente, e oggi confermiamo la nostra determinazione nel renderla inefficace per tutti gli atti da adottare prima della fine dell’attuale mandato parlamentare. Auspichiamo che i negoziati interistituzionali tra il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio possano cominciare al più presto al fine di raggiungere un accordo sul modo in cui superare tale difficoltà.

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE. (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, come chiunque altro, desidero innanzi tutto ringraziare e congratularmi con i nostri colleghi, gli onorevoli Íñigo Méndez de Vigo e Richard Corbett, per la relazione sul Trattato di Lisbona e in particolare per l’eccellente lavoro che hanno svolto. Tuttavia, come amico, posso dire loro anche che è quello per cui vengono pagati.

La nostra discussione giunge in un momento in cui cinque Stati membri hanno già ratificato questo Trattato e la Polonia ha annunciato che si sta preparando a iniziare il processo di ratifica. A nome dei deputati del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei, e del gruppo PPE-DE, desidero ribadire l’importanza di questo Trattato per la rinascita del dinamismo europeo.

Dopo due anni di stasi e dubbi istituzionali, l’Unione europea si è dotata degli strumenti di cui necessita per funzionare in modo efficace. I membri del PPE-DE ritengono che questo Trattato renda l’Unione europea più democratica, visibile e pertanto più influente all’interno dei suoi confini e nel mondo.

Il Trattato di Lisbona segna il ritorno alla politica in Europa. I nostri relatori hanno evidenziato una maggiore democrazia, chiarezza e visibilità rafforzate, nonché il potenziamento dell’efficacia dell’Unione europea quali vantaggi principali del Trattato di Lisbona. La democrazia è rafforzata dall’estensione delle competenze del Parlamento europeo, l’unica istituzione eletta a suffragio universale diretto. La codecisione diventa la regola. Il Presidente della Commissione verrà eletto dal Parlamento europeo. Il ruolo dei parlamenti nazionali sarà maggiore per le questioni di sussidiarietà, aspetto per cui il nostro gruppo è molto soddisfatto, e l’Europa non sarà più assente dai dibattiti internazionali. Non avranno più scuse per criticarci. I cittadini disporranno ora del diritto di iniziativa; raccogliendo un milione di firme nei 27 Stati membri, potranno formulare un invito diretto alla Commissione affinché presenti una nuova proposta.

Inoltre, i diritti dei cittadini saranno tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali, il cui carattere giuridicamente vincolante è tutelato nel Trattato. Siamo molto orgogliosi di questo passo avanti. Con l’apertura al pubblico delle discussioni di carattere legislativo in sede di Consiglio, l’Europa sarà più trasparente, e con il chiarimento sulle competenze dell’Unione europea, il suo funzionamento diverrà più comprensibile.

L’estensione della maggioranza qualificata delle votazioni in Consiglio ridurrà il rischio di impasse istituzionale e permetterà l’attuazione delle politiche comuni necessarie. Inoltre, l’Europa affermerà il proprio ruolo di attore politico sulla scena internazionale. Ove competente, l’Unione europea farà sentire la propria voce e prenderà le decisioni necessarie in materia di politica energetica, politica estera, cooperazione giudiziaria e di polizia e di politica ambientale.

Per quanto riguarda l’energia, il Trattato introduce una base giuridica per una politica europea sull’approvvigionamento energetico e sulle energie rinnovabili. In politica estera, l’Unione europea sarà infine rappresentata da un Alto Rappresentate dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. A fronte di un mondo in evoluzione, con molte sfide di ogni tipo, l’Unione europea deve disporre degli strumenti volti ad affermare la sua posizione quale protagonista rispetto ai suoi partner nel mondo.

Ho già notato, poco tempo fa in Medio Oriente, che è stato chiesto di più all’Europa, e non solo che paghi, ma che apporti tutto il suo peso politico, e questo sarà valido anche per il Kosovo e i Balcani. Nel campo della cooperazione di polizia e giudiziaria, è fondamentale che l’Unione europea adotti misure decise e coordinate intese a combattere la globalizzazione della criminalità e le minacce terroristiche.

Il Trattato di Lisbona fornisce all’Unione europea gli strumenti per intraprendere riforme di ampia portata e per attuarle. Essendo più comprensibile e unita, l’Unione europea sarà in grado di affermarsi quale leader mondiale nella lotta al riscaldamento globale. Invierà inoltre chiari messaggi ai paesi emergenti, sollecitandoli ad adottare un’autentica strategia di sviluppo sostenibile.

I membri del PPE-DE credono davvero che tali settori dovrebbero essere oggetto delle politiche europee. Certamente, molti di noi, come hanno precisato i relatori, deplorano il fatto che l’approccio costituzionale abbia dovuto abbandonare ogni riferimento ai simboli dell’Europa.

Adesso, la grande sfida è la ratifica del Trattato. A nome dei deputati del PPE-DE, chiedo agli Stati membri di seguire l’esempio di Ungheria, Slovenia, Romania, Malta e Francia, e di ratificare subito il Trattato di Lisbona, affinché possa entrare in vigore entro il 2009.

Vi ringrazio per l’attenzione, e mi auguro che oggi il capogruppo dei socialisti, l’onorevole Martin Schulz, segua il mio esempio.

(Applausi)

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel formulare le mie osservazioni posso certamente evitarmi lo sforzo di addentrarmi ancora una volta nei dettagli della relazione Corbett-Méndez de Vigo. È stato già fatto sufficientemente bene dagli stessi relatori e correlatori delle commissioni competenti. Pertanto, durante il mio intervento, posso prendermi la libertà di fare una domanda un po’ basilare, legata al fatto che in un giorno come questo, mentre il Parlamento europeo fornisce il suo parere su una conquista fondamentale nella storia dell’unità europea, dovremmo fermarci per un momento e domandarci: per quale motivo lo stiamo facendo? Qual è il vero scopo di questa pratica? Perché abbiamo bisogno di questo Trattato?

Nella storia del popolo di questo continente, 100 anni sono un periodo breve. Tuttavia, se si pensa a 100 anni fa, al 1908, la Turchia era governata da un sultano, la Russia dagli zar, questa città era parte dell’Impero germanico sotto la guida di Guglielmo II, la Francia aveva un vasto impero coloniale e la Gran Bretagna il suo Impero. Cinquant’anni fa, l’ascesa al potere di Adolf Hitler, che avvenne 75 anni fa, risaliva a 25 anni prima. Mentre Joseph Stalin commetteva i suoi crimini atroci, ad Auschwitz accadeva ciò che sappiamo e 50 anni fa l’Unione Sovietica, con a capo Nikita Krusciov, e gli Stati Uniti, con alla presidenza Eisenhower, firmarono gli accordi di Yalta del dopoguerra. Venticinque anni fa il potere dell’Unione Sovietica terminò e il mondo invece intraprese la strada sbagliata per quanto riguarda l’economia: la “Reaganomics”.

Oggi non possiamo neanche immaginare cosa accadrà tra 25 anni. Una cosa è certa: l’unica possibilità che i paesi che governavano mezzo pianeta 100 anni fa, Francia e Gran Bretagna, siano ancora in grado di garantire la loro influenza nel mondo attuale e forse di svolgere un ruolo tra 25, 50 e 100 anni, non è che noi innalziamo bandiere allettanti, ma che ci poniamo una domanda: in quale modo io garantisco, in un modo più piccolo con un’influenza limitata (poiché ci sono moltissimi attori in più, quali la Cina, l’India e il continente latinoamericano, per esempio), in quale modo io, quale politico responsabile in questo villaggio globale garantisco che il mio popolo, il mio paese, siano in grado di contribuire alla democrazia, al benessere e alla stabilità sociale?

Non possiamo più procedere da soli, possiamo solo farlo insieme, come europei, a tutti i livelli. Probabilmente gli Stati Uniti possono farcela da soli in questa concorrenza di tipo globale. Forse anche la Cina e l’India possono, nonostante questi paesi abbiano già concluso tra loro accordi di cooperazione di natura tecnologica. Quando parliamo di questo Trattato, desidero davvero chiedermi nuovamente il perché non abbiamo mai realmente discusso del fatto che i ministri di Cina e India per l’Industria e lo sviluppo si siano incontrati lo scorso anno per concludere un accordo di cooperazione.

Abbiamo di fronte a noi due paesi che costituiscono un terzo della popolazione mondiale, che siglano un accordo di cooperazione! E noi europei, che cosa facciamo? Ci troviamo sulla strada giusta, benché non abbastanza coerente e completa, ma ci troviamo sulla strada giusta descritta dal motto: l’unione fa la forza! Nel lungo periodo, chiunque corra da solo perde. Chi naviga sotto scorta, chi conduce la nave in modo sicuro, non dietro una nave ammiraglia, ma in una flotta di navi a pari livello, vince; non importa se siamo un paese grande o piccolo, siamo tutti uguali in questa Unione. Tuttavia, uniamo le forze in un contesto che ci consenta di cooperare a livello economico, sociale e democratico al pari di altre regioni del mondo, al fine di tutelare i diritti umani e la pace nel mondo. Questo è lo scopo del Trattato!

Pertanto, noi socialdemocratici, noi socialisti di quest’Assemblea, intendiamo appoggiare il Trattato e il parere dei nostri relatori in merito, in base a una profonda convinzione, perché crediamo che sia il percorso giusto. A coloro che 100 anni fa predicavano che il mondo doveva riprendersi alla maniera dei tedeschi o che la Pax Britannica avrebbe dominato il pianeta, o che nella Communauté Française la superiorità francese avrebbe dominato, o che il cesaropapismo all’epoca dominante a Mosca significasse che bisognava venerare un’unica persona quale dio e imperatore; a coloro che affermavano che la bandiera dietro la quale avremmo dovuto riunirci era la cosa più importante e non lo spirito di pace che noi consideriamo il più importante; a coloro che hanno sostenuto che il nazionalismo e la supremazia nazionale avrebbero condotto all’obiettivo, a loro possiamo solo dire che 100 anni di storia alle nostre spalle dimostrano il contrario.

François Mitterrand aveva ragione nell’affermare in quest’Aula che alla fine il nazionalismo significava sempre una sola cosa: guerra. Nella storia europea, è stata fornita la prova che suggerisce che l’ultranazionalismo significa sempre guerra. Dovremmo controbattere con: il nazionalismo non è mai una soluzione per il futuro! La solidarietà tra i paesi, è questa la soluzione del futuro, che è la finalità del Trattato.

(Applausi)

 
  
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  Andrew Duff, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, il mondo attende un’Unione europea con una maggiore capacità di agire sulla scena mondiale.

All’interno dell’Unione ci sono molte persone che desiderano vedere la fine delle controversie apparentemente interminabili sul nostro sistema di governo. Nonostante io stesso abbia aderito alla Conferenza intergovernativa e in precedenza alla Convezione, ritengo di poter parlare a nome di tutti affermando che condividiamo l’opinione secondo cui dovremmo per un bel po’ di tempo mettere da parte tali problemi che scatenano solo litigi. Certamente, aspetto il momento in cui possiamo concentrarci sul rafforzamento della qualità della politica di Bruxelles e Strasburgo. Quel momento arriverà quando il Trattato di Lisbona entrerà in vigore, poiché esso collega con successo il cambiamento di politica con le riforme necessarie e auspicabili di competenze, strumenti e procedure.

Alcuni, sicuramente presenti in quest’Aula, preferirebbero respingere il Trattato e tornare indietro nel tempo fino a Nizza, e forse pensano addirittura al XIX secolo. Purtroppo, tra queste persone figurano i membri del partito conservatore britannico, che non offre una soluzione europea condivisa ai problemi comuni che tutti noi europei dobbiamo affrontare.

Sono consapevole che il Regno Unito è un luogo dalla mentalità stranamente chiusa, ed è vero che il governo ha troppo timore di affrontare i nazionalisti e gli xenofobi e che ha insistito sulla rivendicazione di clausole opt-out controproducenti dai settori fondamentali dell’Unità europea, spingendo a volte la Gran Bretagna ai margini. I liberaldemocratici deplorano tutto questo e aspettano il tempo in cui il Regno Unito troverà un luogo più confortevole all’interno di un’Unione più solida, democraticamente unita ed efficiente, come quella promessa da questo grande Trattato.

(Applausi)

 
  
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  Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. (GA) Signor Presidente, i leader dell’Unione europea hanno firmato il Trattato di riforma lo scorso dicembre. Tale Trattato garantirà che l’Unione europea operi in modo più efficace negli anni a venire.

Un’Unione più efficiente significa un’economia più solida per l’Europa e per l’Irlanda. Chiunque se ne sia occupato per cinquant’anni attua cambiamenti intesi ad affrontare le nuove sfide. Gli irlandesi hanno ottime ragioni per votare a favore di questo Trattato.

(EN) I vantaggi economici e finanziari derivanti dal coinvolgimento nell’Unione europea sono evidenti in ogni Stato membro. Il mercato unico è di fatto uno degli sviluppi più importanti cui abbiamo assistito negli ultimi 30 anni di evoluzioni all’interno dell’Unione europea. Inoltre, ovviamente, qualsiasi organizzazione che sia iniziata con sei Stati membri richiede cambiamenti a livello normativo in base ai progressi compiuti e alla propria crescita.

Questo è il motivo per cui ritengo che gli irlandesi, nell’imminente referendum su questo Trattato, voteranno a favore, poiché hanno assistito a enormi investimenti diretti esteri in Irlanda, hanno visto enormi miglioramenti relativi alle infrastrutture e allo sviluppo sociale sull’isola irlandese, nonché un eccezionale lavoro creato su basi pacifiche nell’isola, che ha riunito le comunità che in passato erano divise. E coloro che puntano il dito dicendo “l’Europa è sbagliata” o “l’Europa è negativa”, e “guarda quello che stanno per fare”, ignorano completamente le prove davanti ai loro occhi: lo sviluppo sociale, economico e culturale. Infatti, molti, quando parlano del ruolo dell’Europa sulla scena mondiale dimenticano che, solo nel 2006, l’Unione europea di 27 Stati membri ha contribuito con 46 miliardi di euro destinati ai paesi in via di sviluppo: la maggiore donazione al mondo di aiuti allo sviluppo.

Questa è la ragione per cui ho fiducia che gli irlandesi, quando nei prossimi mesi verrà loro spiegato questo in modo adeguato, garantiranno la ratifica del Trattato.

 
  
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  Johannes Voggenhuber, a nome del gruppo Verts/ALE. (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono stati necessari otto anni, due Convenzioni, tre conferenze intergovernative e due progetti di trattato per raggiungere il risultato che oggi valutiamo. Consentitemi, a questo punto e dopo questo lungo periodo, di esprimere i miei personali ringraziamenti per aver avuto l’opportunità di rappresentare quest’Assemblea in entrambe le Convenzioni, nonché di essere presente per la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e per la Costituzione, assieme all’onorevole Andrew Duff, quale relatore del Parlamento europeo. Per me è stato il più grande onore della mia vita politica. Grazie molte.

I contenuti e i risultati di questo Trattato possono essere visti nel dettaglio, e non è poco! È stata posta la base per il primo Trattato sopranazionale della storia. Il codice più aggiornato e completo in materia di diritti fondamentali è in procinto di diventare legge europea. La definizione degli obiettivi e dei diritti sociali indica la strada verso il prossimo compito: la creazione e la costruzione di un’unione sociale europea. Con una propria personalità giuridica, l’Unione si sta trasformando da forum di paesi che cooperavano in modo generico, ad attore storico e indipendente. Se desideriamo riuscire nel rafforzare questo Trattato, l’unità politica non dovrà più essere un progetto elitario e di cancellerie statali e diventare una res publica.

Tuttavia, oggi non sono molto sicuro che siamo consapevoli di effettuare tale valutazione in circostanze storiche europee molto complesse e particolari. Nell’ultima edizione di Der Spiegel, ho letto le dichiarazioni di Henry Kissinger, l’ex Segretario di Stato degli Stati Uniti, che ha affermato: “Gli europei non vogliono capire”. Nonostante io comprenda bene l’iniziale cenno del capo istintivo dell’onorevole Schulz, desidero in questo caso citare una voce fuori dal coro. Henry Kissinger descrive la scomparsa degli Stati nazione in Europa quale sfida primaria del nostro tempo, e scrive: “Il problema ora è il seguente: gli Stati nazione non hanno solo lasciato parte della loro sovranità all’Unione europea, ma anche parte della loro visione del futuro. Il loro futuro è adesso legato all’Unione europea, che non ha ancora raggiunto una prospettiva realmente paragonabile a quella di uno Stato nazione. Pertanto, esiste un vuoto tra il passato e il futuro dell’Europa.”

Questa è la migliore descrizione che al momento abbiamo del Trattato. Punta una luce penetrante su ciò che i governi intraprendono con il progetto di Costituzione, in quanto tali note marginali e i cambiamenti che noi stessi abbiamo sempre apportato al pacchetto al fine di tutelare i risultati, e quindi di cercare di appoggiare tappandoci il naso, significa una perdita dello spirito e del potere europei, che creano un’identità, producono lealtà e convincono i cittadini. Il potere di determinare nuovi inizi, creare nuovi ordini, fornire nuove soluzioni, sempre di più, ogni giorno iniziare in modo nuovo: questa è l’Europa. Tale potere è stato indebolito eccessivamente, sarò franco, a causa della vocazione reazionaria dei governi nazionali e delle cancellerie di Stato cui il linguaggio della Costituzione europea e le riforme ad essa associate conferiscono potere. Nondimeno questa consapevolezza ci abbandona in vista dei reali successi del Trattato. Non essendo riusciti a rendere sovrani i cittadini dell’Unione europea, in futuro il primo compito del Parlamento sarà quello di rispettare lo spirito di questa Costituzione, al fine di trasformare l’Unione un’unione di cittadini, anziché di Stati, nonché trovare la forza di realizzare una res publica basata sull’integrazione europea e dimostrare la forza dell’Europa attraverso la creazione di nuove identità assieme ai cittadini.

(Applausi)

 
  
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  Mary Lou McDonald, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EN) Signor Presidente, il Trattato di Lisbona sarà soggetto allo scrutinio democratico del solo popolo irlandese. È chiaro che in altri Stati esiste un timore dei referendum, e mi domando il perché. Per quale motivo, dunque, se parliamo così tanto di democrazia? Chi in quest’Aula teme la voce del popolo?

In quest’Assemblea parliamo un linguaggio di pace, e Lisbona ci impegna ancora ad aumentare ulteriormente la spesa militare dell’Unione e a proseguire nel sostegno all’industria europea degli armamenti. Per quale ragione continuiamo a imitare gli Stati Uniti? Crediamo realmente che creare il loro equivalente europeo promuova un mondo di pace? Io no.

Seguitiamo con il mito che l’Unione europea valorizza i servizi pubblici e i diritti dei lavoratori, ma tutte le verifiche sul campo dimostrano il contrario. Domandiamo agli abitanti di Vaxholm o ai lavoratori delle Irish Ferries dell’impegno comunitario nelle rivendicazioni dei diritti dei lavoratori.

Come mai ci congratuliamo con noi stessi per essere donatori importanti di aiuti ai paesi in via di sviluppo e, al contempo, programmiamo accordi di partenariato che costringono i paesi poveri a mettere a nudo i loro mercati di fronte all’ambizione economica europea?

Come può chiunque di noi oggi qui presente che crede nella democrazia, nella pace o nei servizi pubblici sostenere il Trattato di Lisbona? Tale Trattato non riguarda la riforma o l’efficienza, ma offre carta bianca all’ulteriore erosione della democrazia, e già solo le sue clausole che si modificano in modo autonomo ne sono una prova. È un documento che favorisce una maggiore privatizzazione e non offre proposte sull’ambiente, nulla di nuovo riguardo alla tutela dei diritti dei lavoratori, e conferisce alle potenti istituzioni comunitarie la libertà di militarizzare ulteriormente la nostra Unione. Il popolo europeo appoggerà un simile Trattato? Credo che non dovrebbe, e che è forse questo il motivo per cui non è stata chiesta la sua opinione.

Come donna irlandese e orgogliosa europea, desidero che il mio paese abbia la libertà di prendere le decisioni nel migliore interesse del nostro popolo. Voglio che tutti gli Stati membri, grandi e piccoli, godano allo stesso modo di questo diritto. Collettivamente e democraticamente, possiamo apportare cambiamenti positivi, a favore dei nostri cittadini e del villaggio globale. È necessario riformare l’Unione europea affinché ci consenta di raggiungere tali obiettivi, di creare l’Europa che il nostro popolo desidera e merita. Il Trattato di Lisbona è un documento negativo per l’Irlanda e per l’Europa, nonché per il resto del mondo.

 
  
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  Nigel Farage, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, ciò in cui è impegnato oggi il Parlamento europeo, la presente discussione e la conseguente votazione, non è nient’altro che un esercizio di inganno di massa. Si stanno dicendo un mucchio di menzogne in quanto non desiderate che i cittadini europei abbiano il referendum che avete promesso loro. Ciò rappresenta un’imposizione della volontà della classe politica sui cittadini.

Tutti noi conosciamo la verità, ossia che il Trattato di Lisbona non è diverso dalla Costituzione dell’Unione europea, e che contiene esattamente lo stesso numero di nuove competenze e condizioni di veto. È virtualmente identico in ogni aspetto ed è un trattato costituzionale, poiché conferisce all’Unione europea totale personalità giuridica e, ancora peggio, le fornisce la capacità di modificarsi in futuro senza dover più consultare conferenze intergovernative, nonché la possibilità di legiferare letteralmente su ogni singolo aspetto delle nostre vite.

Mi è stato detto, tuttavia, di non preoccuparmi, in quanto la bandiera e l’inno sono stati eliminati. Bene, prendete l’altra! Qui di fronte a noi c’è una bandiera molto grande. È un’assurdità. È tutto parte della menzogna. La verità è che avete tutti paura di indire un referendum. Non volete ascoltare la voce del popolo, e adesso fate ricorso a mezzi totalitari per approvare il Trattato.

Abbiamo sentito dire dall’onorevole Daniel Cohn-Bendit che coloro che si oppongono al Trattato sono mentalmente malati; dall’onorevole Schulz che chi di noi si fosse opposto alla mera disonestà di questo progetto si sarebbe comportato come i nazisti negli anni ’30. Bene, i cittadini comuni e onesti dell’Europa comprenderanno da soli chi sono gli estremisti.

Devo dire che auguro al popolo irlandese, e a coloro che credono nella democrazia, ogni successo in due mesi di tempo. Auspico che inviino un grosso “no” rimbombante, e che la voce del popolo europeo venga ascoltata, e non solo la vostra, quella della classe politica. Potete essere soddisfatti oggi, ma siete sempre più disprezzati.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signor Presidente, respingo questa relazione e respingo il Trattato che essa sostiene. Prima dei referendum francese e olandese, abbiamo ascoltato molte parole vuote in quest’Aula sulla volontà popolare. Perché? Perché, nella loro arroganza, le élite politiche dell’Unione europea hanno ritenuto che le persone si sarebbero fatte ingannare dalla loro propaganda sulla Costituzione. Improvvisamente, quando i cittadini hanno capito, correvano con la coda tra le gambe e continuano a correre da allora, pietrificati dall’idea che gli elettori possano respingerli nuovamente.

Questo è il motivo per cui negli ultimi tre anni ci si è concentrati maggiormente nel tramare una cospirazione intergovernativa al fine di imporre ai cittadini europei questa Costituzione, senza osare chiedere loro un’opinione. Quale arroganza, quale tirannia: adeguate, senza dubbio, perché questa Costituzione è dedicata interamente al trasferimento di sempre maggiori competenze ai despoti di Bruxelles, che hanno, ovvio, troppa paura di un referendum.

 
  
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  József Szájer (PPE-DE).(HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottolineo innanzitutto che è inaccettabile per chiunque in quest’Aula che qualcuno si autoproclami l’unico portavoce del popolo e che parli di tutti gli altri come se rappresentassero solo l’opinione dell’élite politica. È un comportamento inaccettabile.

Molti di noi in quest’Aula, nonché molti cittadini europei da noi rappresentati, ritengono sia necessaria un’Europa più forte. Di recente i nuovi Stati membri hanno capito anche che il problema con l’Europa non è che limita la nostra sovranità o che riduce le nostre opportunità, ma che non è sufficientemente in grado di intraprendere azioni comuni. Questo nuovo Trattato, il Trattato di Lisbona, ci fornirà gli strumenti esattamente a questo scopo.

Certamente, ci sono molti tra noi che non sono totalmente soddisfatti del contenuto del Trattato di Lisbona. Al contempo, dobbiamo dire che è giunto il momento, dopo la ratifica del Trattato di Lisbona, per un epoca in cui possiamo rendere operativa una nuova Europa, la nuova struttura creata dal Trattato di Lisbona. In altre parole, abbiamo bisogno di un’Europa più forte e di un tranquillo periodo di consolidamento nei prossimi anni.

Sono particolarmente soddisfatto che anche il documento proibisca in modo esplicito la discriminazione contro le persone appartenenti alle minoranze. Nell’Unione europea parliamo molto di valori e di diversità, ma la tutela europea delle minoranze è stata finora traballante. Questa opportunità, e il relativo passaggio, apre nuove strade all’Europa al fine di tradurre la retorica, solitamente connessa a queste questioni, in realtà. Dopo tutto, non possiamo parlare di valori e principi comuni se lasciamo fuori dal processo le basi principali d’Europa, le minoranze e le singole comunità etniche.

Accolgo con favore il Trattato e mi congratulo con i relatori.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, è stato già detto molto riguardo a quello che i cittadini europei desiderano. Mi unisco al precedente oratore nel domandare: volete un’Unione europea più forte, perché? Alcuni ritengono che la globalizzazione sia una grande opportunità e desiderano che anche l’Europa la sfrutti. Molti, forse di più, guardano alla globalizzazione come a un pericolo; la temono e desiderano che l’Europa li aiuti a superare i suoi svantaggi.

La domanda, logicamente, è questa: che cosa restituisce il Trattato di riforma, sul quale entrambi i relatori hanno realizzato un’ottima relazione? La risposta è chiara: il Trattato di riforma rafforza l’Unione europea senza eliminare la democrazia. Al contrario, vi è un eccesso di democrazia per il Parlamento europeo, i parlamenti nazionali, e ancora una capacità di agire da parte dell’Unione europea che tale Trattato crea. Questo è fondamentale, pertanto, ritengo che molti degli interessi dei cittadini siano ben rappresentati.

Che cosa dovremmo fare, quindi, con questa capacità di agire comune, che trova espressione in particolare attraverso un Alto Rappresentante, che ha più potere quale Vicepresidente della Commissione per una politica estera e di sicurezza comune? Assieme, per esempio, alle questioni energetiche e con la competenza aggiuntiva in materia di energia che il Trattato di riforma conferisce all’Unione europea, potremmo alla fine realizzare una politica energetica estera giuridicamente competente, che ci permetta di ottenere una posizione di partenza migliore rispetto alla Russia e ad altri importanti attori in campo energetico. Con le competenze commerciali estere, possiamo inoltre rappresentare meglio gli interessi dei nostri lavoratori e della nostra economia nelle relazioni di commercio internazionale. La nostra competenza ambientale, ci consentirà di garantire che le nostre quote di emissione e gli altri obiettivi ambientali che desideriamo raggiungere non compromettano la nostra economia o i nostri lavoratori, bensì che l’ambiente sia compreso meglio a livello globale.

Questo è il grande merito del Trattato di riforma (anch’io, quindi, sostengo il lavoro dei relatori), ossia garantire che l’Unione europea sia maggiormente in grado di agire, e al contempo più democratica.

 
  
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  Bronisław Geremek (ALDE).(PL) Signor Presidente, l’adozione del Trattato di Lisbona da parte dei paesi dell’Unione europea sarà un evento importante nella storia d’Europa e dell’Unione europea. La relazione oggi presentataci ha dato al Parlamento la possibilità di affermare con chiarezza quale importanza rivesta l’adozione del Trattato di Lisbona.

Il mio auspicio è che venga ratificato così come è stato firmato. Sono lieto che il mio paese, la Polonia, annunci la rapida ratifica di questo Trattato. Vorrei pensare anche che esista un filo conduttore tra il Trattato e la Carta dei diritti fondamentali. Quest’ultima delinea un mondo di valori, la prima pietra ideologica dell’Unione europea. Sarebbe pertanto un’azione incomprensibile, oserei dire di schizofrenia politica, dividere questi due documenti, che sono fortemente collegati l’uno all’altro.

Sono convinto che il Trattato di Lisbona fornisca alla nostra Unione il potenziale di diventare più unita come una squadra. Esso crea meccanismi, non un quadro giuridico definito, rigido e inequivocabile, ma meccanismi attraverso cui l’Unione europea sarà ora in grado di rafforzare la propria integrazione. Tale Trattato crea un futuro in cui l’Unione europea dispone di una dimensione politica; crea un avvenire in cui l’Unione europea sarà in grado di potenziare le sue politiche di solidarietà, dà vita a una situazione in cui molte istituzioni comunitarie possono collaborare e, forse la cosa più importante di tutte, crea un luogo per il cittadino con le sue preoccupazioni quotidiane e il suo desiderio di prendere parte al processo europeo.

Ritengo che attraverso questo Trattato venga forgiato uno spirito europeo, che consentirà di fatto di interpretare anche il Trattato. Le ambiguità in esso contenute creano una competenza in particolare per il Parlamento, ma anche per tutte le istituzioni, al fine di raggiungere quello che desideriamo costruire, poiché i ruoli di Presidente dell’Unione europea o del Parlamento, di ministro degli Esteri, Alto Rappresentante, tutti dipenderanno dai cittadini e dalla cooperazione. Signor Presidente, oserei dire che mi auguro che in futuro queste quattro importanti cariche interne all’Unione europea vengano conferite tramite elezioni. Penso che persino ora il Trattato di Lisbona consentirebbe che i ruoli di Presidente della Commissione e Presidente dell’Unione vengano combinati. Questo passo rafforzerebbe l’Unione europea.

 
  
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  Bogdan Pęk (UEN). (PL) Signor Presidente, il processo di integrazione europea non è nulla di negativo in sé, ma piuttosto il contrario. Se fosse condotto in modo onesto, sulla base del principio di solidarietà e di un’autentica estensione della democrazia, sarebbe universalmente accettato. Ma lo spirito che esce oggi da questo edificio e dall’Unione europea è di una generale ipocrisia. Non possono esserci dubbi sul fatto che istituire questo semistato europeo, basato sui principi sanciti nel Trattato, limiterà in modo significativo la reale democrazia, che diventerà in effetti una democrazia solo di nome.

Nello stesso Parlamento esiste una limitazione per quanto riguarda la democrazia nell’espressione e manifestazione della volontà politica da parte degli eurodeputati. Le istituzioni comunitarie e la burocrazia europea stanno assumendo poteri essenziali, e lo Stato maggiore non è in una posizione utile a delegittimare un partito chiaramente fascista che chiede un cambiamento dei confini europei.

Oggi parlate di una politica energetica comune. Per quale motivo in quest’Aula non vi è uno sdegno universale sulla conduttura che la Germania e la Russia faranno scorrere attraverso il Mar Baltico, passando sulle teste di Polonia, Lituania ed Estonia, affinché la Russia abbia l’opportunità di interrompere gli approvvigionamenti energetici a questi paesi? Questa è la ragione per cui non abbiamo fiducia nelle vostre buone intenzioni. Tale fiducia costituisce la base del futuro, in quanto la costruzione può basarsi unicamente sulla verità.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, condivido pienamente il fatto che, in un’Unione europea di 27 Stati membri, sia necessario aggiornare le norme vigenti e le disposizioni già in vigore nell’Unione a 15 e con anche meno Stati. Condivido inoltre che molto di quanto contenuto nel Trattato di Lisbona sia positivo e sensibile, come l’aumento delle competenze di questo Parlamento e l’apertura del processo decisionale del Consiglio. Tuttavia, guardando nel dettaglio dal mio punto di vista di rappresentante della Scozia, nutro serie preoccupazioni riguardo ad alcune imperfezioni, come riconosciuto dalla signora Commissario Wallström.

In primo luogo, è stato fatto molto per il nuovo diritto di intervento dei parlamenti nazionali, ma di certo questo non vale per il parlamento scozzese decentralizzato o per altre nazioni senza Stato.

In secondo luogo, il processo del Trattato non affronta la questione della sede unica per il Parlamento europeo, lasciandoci nell’insostenibile situazione di dover viaggiare tra Bruxelles e Strasburgo.

Terzo, non posso sostenere l’introduzione della politica comune della pesca (PCP) quale una delle sole quattro competenze esclusive dell’Unione elencate nel Trattato. Temo che questo possa impedire seriamente il progresso verso la riforma radicale e il cambiamento nella gestione della pesca, mantenendo il fallimento ultracentralizzato che la PCP è diventata. Questo è particolarmente contraddittorio in un momento in cui il Consiglio, lo scorso dicembre, ha tentato di muoversi verso il decentramento, riconoscendo le disposizioni volontarie attuate dalla Scozia e fornendole un elemento di controllo locale quest’anno.

Il mio partito era a favore di un referendum sulla Costituzione. Questo Trattato, benché diverso nel suo status giuridico, è di fatto la stessa cosa. Pertanto, il parlamento scozzese è semplicemente coerente nel suo sostegno a un referendum sul Trattato. Non temiamo una discussione pubblica sull’Europa, al contrario, è fondamentale dal nostro punto di vista creare un nuovo rapporto tra la Scozia e l’Unione europea. Vorrei che la Scozia si unisse alla famiglia dei paesi europei e che svolgesse un ruolo costruttivo nel processo decisionale in qualità di Stato membro e non quale osservatore marginale.

 
  
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  Sylvia-Yvonne Kaufmann (GUE/NGL).(DE) Signor Presidente, sono un’europeista e quindi, come deputato di sinistra, sostengo il Trattato di Lisbona. Tuttavia, non concordo riguardo al maggiore accento posto sugli aspetti militari. Oggi desidero ricordare al Parlamento che la più profonda integrazione europea raggiunta con il Trattato è stata fortemente discussa con gli “euroscettici” e in particolare con i nazionalisti. Ciò che è stato raggiunto ora deve essere difeso, e mi auguro che adesso possa entrare in vigore la riforma globale dell’Unione europea.

Il Trattato di Lisbona contiene molti miglioramenti rispetto alla precedente Costituzione. Nello specifico, rende l’Unione europea essenzialmente più democratica e vicina ai cittadini. L’Unione può inoltre essere più orientata verso la società. Dal mio punto di vista, il cemento neoliberale del Trattato di Maastricht è stato finalmente spaccato con l’introduzione delle condizioni del Trattato tra cui l’obiettivo di una totale occupazione, con il principio fondamentale di un’economia di mercato sociale sostenibile, con la clausola sociale di carattere orizzontale, secondo la quale tutte le politiche in futuro dovranno essere controllate al fine di garantire che vengano presi in considerazione gli obiettivi sociali, e con il nuovo protocollo sui servizi di interesse generale.

Il Trattato di Lisbona offre l’opportunità di ampliare l’Unione economica e monetaria con un’unione sociale. Questo è il motivo per cui il neoliberale Zeitgeist in Europa deve essere respinto. I suoi protagonisti non possono riuscire a convertire l’Unione europea in uno spazio di libero scambio in assenza di responsabilità sociale. La corsa alla riduzione delle tasse e il dumping salariale, con le sue disastrose conseguenze sociali, devono essere interrotti ed è necessario introdurre il minimo salariale in tutti gli Stati membri.

 
  
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  Jens-Peter Bonde (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, offro ancora una bottiglia di ottimo vino a chiunque mi fornisca un unico esempio di una norma che può essere adottata con la Costituzione e non con il Trattato di Lisbona. A mio parere, i vincoli giuridici sono identici. La differenza consiste solo nell’introduzione. Il mini-trattato di Sarkozy ora sarà di 3 000 pagine anziché le 560 della Costituzione respinta.

La maggioranza ha il diritto di appoggiare il Trattato, ma non quello di rifiutare il normale scrutinio parlamentare sul Trattato di Lisbona. Ho formulato più di 700 importanti domande sull’interpretazione dei diversi articoli e voi non conoscete le risposte. Non siete in grado di spiegare perché la traduzione in danese ha dimenticato la nuova “cittadinanza aggiuntiva” o l’abolizione del diritto dei governi nazionali di proporre i propri Commissari.

La maggior parte di voi non ha letto, e non può leggere, il Trattato, in quanto non è ancora pervenuto il testo completo delle deliberazioni della Conferenza intergovernativa nella versione consolidata. Approvate la segretezza anziché la trasparenza. Approvate la riduzione della democrazia parlamentare anziché insistere sul diritto di questo Parlamento di rappresentare i nostri elettori, di scrutinare a loro nome e di contestare il potere a nome del mezzo miliardo di cittadini che rappresentiamo.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, ci è stato ripetutamente dichiarato che questo Trattato di Lisbona renderà l’Europa funzionale, e che opererà in modo efficace. Come chi è molto critico su di esso, posso solo sperare, nell’interesse dei nostri figli e dei figli dei nostri figli, che sia vero, anche se non lo è, anche se il presente Trattato ci conduce in un vicolo cieco, quindi che Dio ci aiuti.

Una cosa è certa, ossia che il Trattato, che l’istituzione comunitaria intende rendere efficace a ogni costo, è sfortunato per la semplice ragione che disprezza tutto ciò che è possibile disprezzare della politica democratica. I parlamenti nazionali verranno sicuramente emarginati. I plebisciti di Francia e Paesi Bassi sono stati, senza dubbio, nuovamente ignorati, in gran parte, nel loro esito. È altamente probabile che se l’Irlanda vota contro il Trattato, saranno trovati modi e strumenti per non tener conto del voto. Sono contro questo Trattato perché sono a favore dell’Europa!

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la presente relazione, nell’approvare il Trattato di Lisbona, stabilisce con chiarezza che vi è un miglioramento significativo rispetto ai Trattati esistenti, afferma che è auspicabile che il Trattato di Lisbona venga ratificato da tutti gli Stati membri entro la fine di quest’anno, e sostiene che fornirà un quadro stabile, che consentirà in futuro ulteriori sviluppi dell’Unione.

Devo dire che, quale conservatore britannico, purtroppo non posso essere d’accordo su tutto questo, ma lo sono in modo amichevole e non da un punto di vista estremo o nichilista, come quello assunto da altri. Sin dal principio, ho sottolineato con molta chiarezza che il Trattato o la Costituzione non sono il modo migliore di condurre l’Europa in questo momento. I conservatori sostengono un’Europa di Stati indipendenti che collaborano a stretto contatto al fine di affrontare le sfide della globalizzazione, la povertà mondiale e il riscaldamento globale, come già altri hanno affermato. Queste sono le priorità, e devono essere affrontate in collaborazione. Infatti, il mio collega, William Hague, il sottosegretario ombra agli Esteri nel Regno Unito, ha dichiarato nel corso di una discussione a Londra: “I conservatori sono i più forti sostenitori di un’Unione europea in cui le nazioni collaborano in modo tale da rafforzare le nostre economie, conferire maggiore potere ai nostri consumatori e trasformare i nostri valori comuni in azioni efficaci sulle grandi questioni che oggi il mondo deve affrontare”.

Non credo che davanti a noi ci sia qualcosa che ci aiuterà in questa grande sfida. I nostri eloquenti relatori che citano Shakespeare nella difesa alla rapidità, dovrebbero, credo, leggere anche il “Re Giovanni”, atto quinto, scena seconda, in cui un supplicante dice “Secondo le consuetudini di cortesia riconosciute da tutti chiedo di essere ascoltato.” Bene, forse il Primo Ministro nel Regno Unito dovrebbe tenerne conto e quindi consentire ai suoi cittadini di esprimere la propria opinione su questa questione di vitale importanza.

 
  
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  Magda Kósáné Kovács (PSE).(HU) La ringrazio signor Presidente. La relazione degli onorevoli Richard Corbett e Íñigo Méndez de Vigo è un’analisi eccellente e nel lungo periodo diventerà un documento di riferimento. Merita riconoscimento e gratitudine.

L’Ungheria è stato il primo paese a ratificare il Trattato di riforma. È significativo che nella scena politica ungherese, eccezionalmente frammentata e spesso contraddittoria, una vasta maggioranza abbia votato a favore della ratifica. C’è stata unanimità sulla necessità del Trattato di riforma al fine di colmare il divario creatosi tra i nuovi e i vecchi Stati membri a seguito dell’adesione, nonché sulla necessità di rafforzare l’unità all’interno dell’Unione europea e accrescere l’efficacia delle sue istituzioni e iniziative.

Tuttavia, per noi, Lisbona non significa semplicemente un Trattato che fornisce una risposta alle domande sollevate dall’allargamento. Per noi, sono particolarmente importanti le disposizioni che rafforzano la democrazia in questa complessa rete di interessi, tra cui quelle che ampliano le competenze normative e di scrutinio del Parlamento, o che modificano le procedure decisionali del Consiglio. Siamo convinti che i paesi più piccoli, con minore esperienza, più poveri e storicamente svantaggiati ne trarranno beneficio.

Con una struttura decisionale più semplice possiamo aspettarci che vengano chiaramente riconosciuti gli interessi, e che i processi negoziali politici vengano resi più trasparenti. Il nostro futuro è nella cooperazione, i cui risultati e benefici devono essere percepiti anche dai cittadini europei e da coloro che, per qualsiasi ragione, si sono ridotti in una minoranza a causa della loro storia e delle guerre. Lisbona offre loro una nuova opportunità nonché uno strumento per combattere la minaccia del nazionalismo.

Il Trattato di Lisbona forma un arco simbolico con la strategia di Lisbona, poiché la Carta dei diritti fondamentali contiene i diritti sociali oltre ai diritti umani fondamentali. Siamo certi che anche questo avvicinerà tra loro i cittadini dell’Unione europea. Grazie, signor Presidente.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE). – (FI) Signor Presidente, è importante avere maggiori livelli di cooperazione in ambito europeo. È auspicabile che disporremo di nuovi Trattati, quindi la discussione potrà occuparsi di altre questioni fondamentali.

Desidero citare tre cose. In primo luogo il potere legislativo del Parlamento europeo aumenterà drasticamente se entrerà in vigore il nuovo Trattato. Ci saranno 40 nuovi ambiti di attività politica. Ciò significa che il carico di lavoro dei deputati del nostro Parlamento aumenterà notevolmente, il che vorrà dire a sua volta che il lavoro del Parlamento dovrà essere riorganizzato affinché possiamo operare in modo efficace, democratico e aperto. In futuro quest’Assemblea non sarà più una sede di discussione, ma un organo legislativo altamente importante, che influenzerà le vite degli europei. Ciò richiederà un Parlamento responsabile, ossia che i deputati si preparino a familiarizzare con una vasta gamma di problematiche e non solo a sentirne parlare da una o due lobby, per esempio.

Desidero inoltre soffermarmi sulla politica estera. È davvero giunto il momento di pensare alle competenze e alla giurisdizione del nuovo Presidente, dell’Alto Rappresentate e del Presidente della Commissione in materia di politica estera. In caso contrario ci saranno problemi e nel resto del mondo non sapranno a chi fare riferimento. Tutti noi siamo consapevoli che dietro le quinte è in corso un’accesa discussione su questi rapporti di potere, ma potrebbe essere una discussione aperta. Inoltre, credo che tale dibattito sulle competenze dei diversi attori sia molto più importante della questione del personale. È davvero fondamentale.

Infine, desidero dire qualcos’altro riguardo alla politica estera. Resta di natura intergovernativa, ovviamente, tuttavia vogliamo che l’Unione europea sia in grado di parlare con una sola voce, e questo richiederà senza dubbio una modifica radicale dell’atteggiamento da parte degli Stati membri. La commissione sul cambiamento climatico dell’Unione europea ha appena visitato l’India e abbiamo appreso che laggiù le persone difficilmente sanno qualcosa dell’Unione europea e che ha poca importanza per gli indiani. Per loro è significativo che il Presidente Sarkozy o il Primo Ministro Brown siano andati in visita. Inoltre, quando i ministri degli Esteri dell’Unione europea si recano in paesi stranieri, la loro agenda è del tutto nazionale. Se l’Unione europea viene citata, lo è come una piccola nota a margine, ma niente più di questo. Se ciò continua, dovremo aspettare certamente molto tempo prima che l’Europa diventi un forte attore politico all’estero.

 
  
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  Roberts Zīle (UEN).(LV) La ringrazio, signor Presidente. Forse per coloro che auspicavano la ratifica del Trattato costituzionale, il Trattato di Lisbona non è un grosso risultato, ma non lo è indubbiamente neanche per gli euroscettici, che non desideravano vedere alcun nuovo Trattato dell’Unione europea. Questo significa che è un classico compromesso politico, e in quanto tale dovrebbe anche essere ratificato in tutti gli Stati membri. Certamente, il Parlamento europeo ha ampliato le aree di competenza con il Trattato di Lisbona, e ciò lo investe di nuovi obblighi. Inoltre, nel complesso le istituzioni europee devono dimostrare ai cittadini europei che nei settori economici sensibili sono in grado di esprimere un’autentica solidarietà europea, affinché non si sfoci in un nuovo accordo di solidarietà energetica, come l’introduzione del principio di libero mercato nel territorio europeo con la direttiva sui servizi. Poiché molto dipende da noi, auspico davvero che i rappresentanti di tutti gli Stati membri, in Parlamento come nelle altre istituzioni europee, comprendano la vitale importanza di questa dimostrazione per i cittadini europei. Grazie.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. GÉRARD ONESTA
Vicepresidente

 
  
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  Esko Seppänen (GUE/NGL).(FI) Signor Presidente, signora Commissario, il parlamento ungherese ha ratificato il Trattato di Lisbona prima che gli venisse ufficialmente inviato. Pertanto non era a conoscenza di quanto si accingeva ad approvare. Su tale questione, sulla quale il Parlamento europeo non ha competenza giuridica, ci stiamo rendendo ridicoli, non avendo alcuna versione consolidata del Trattato quale base di discussione. In mancanza di essa, non è possibile per noi leggere il Trattato, come non lo è per i cittadini dell’Unione europea.

Il nostro gruppo non accetta il Trattato. L’Unione europea sarà militarizzata e ci accingeremo a diventare un’alleanza militare. Tale documento non promuoverà gli interessi di un’Europa socialista, né favorirà alcuna forma ideale di democrazia. In base al Trattato, gli Stati membri saranno impegnati nell’aumento delle risorse militari per le operazioni fuori dal loro territorio e nelle rispettive ex colonie.

Le operazioni militari dell’Unione europea potranno essere svolte senza mandato dell’ONU, ossia in modo illegale dal punto di vista del diritto internazionale. Non vi era alcun articolo relativo a un mandato obbligatorio dell’ONU quando si è riunita la Convenzione europea. È stato bloccato dai paesi UE-NATO, per i quali non è un concetto assurdo impegnarsi in guerre illegali, come quella in Iraq. Anche l’Unione europea impiega le truppe da combattimento a servizio della NATO al fine di rafforzare la pace, ovvero le guerre, in altri paesi. Le stesse armi vengono utilizzate dalla Forza di reazione della NATO. Il Trattato di Lisbona è a pieno servizio della NATO e aiuterà l’Unione europea a farne le veci.

Non è chiaro cosa si intenda per tutele militari e collettive dell’Unione europea. Quando gli Stati membri impiegano tutte le risorse a loro disposizione al fine di aiutare altri Stati membri, tali risorse possono essere anche militari. Se ciò accade, e le forze vengono utilizzate, l’Unione è destinata a diventare allora un’alleanza militare.

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, mi oppongo a una relazione sul Trattato di Lisbona presentata a quest’Assemblea prima che ai deputati venisse fornito il Trattato in forma leggibile e contestuale.

Ci hanno inviato emendamenti che, in questa formulazione, non hanno senso. Voteremmo in quest’Aula su altre relazioni basate su emendamenti, senza aver letto il documento? Dovremmo approvare la presente relazione sulla fiducia? Non è ciò per cui i nostri elettori ci hanno mandato a Strasburgo, quali legislatori.

Io sono irlandese e noi avremo un referendum. Diffondendosi notizie come questa, ricevo ogni giorno domande sul Trattato. Quando devo spiegare alle persone che non esiste una versione leggibile, sono incredule. Ma quando dico loro che ciò avviene per decreto della Conferenza intergovernativa, si infuriano.

Non ho alcun dubbio che tali reazioni siano persino più intense per altre popolazioni frustrate d’Europa, cui viene negato un referendum. Pertanto, posso solo immaginare il modo in cui reagirà la gente quando apprenderà che i suoi eurodeputati hanno approvato la presente relazione su un Trattato che non hanno neanche letto.

Vi confido un segreto. I nostri cittadini sono intelligenti, seri e realmente in grado di svolgere il proprio ruolo democratico nella loro governance. E quello che stiamo per fare qui oggi, e nel corso di questo processo di Lisbona, è tradire i nostri cittadini, proprio quei cittadini la cui cooperazione e il duro lavoro saranno necessari per sviluppare il progetto europeo.

Vi avverto: non sorprendetevi se, un giorno, questi stessi cittadini che subiscono da lungo tempo, dovessero rifiutare tale cooperazione.

 
  
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  Ashley Mote (NI).(EN) Signor Presidente, desidero chiedere il motivo per cui se il Trattato di Lisbona è una cosa talmente positiva, è così inaccessibile. È perché gli Stati membri si sono trasformati da teorici maestri dell’Unione europea nei suoi servitori? È perché legifera anziché creare un quadro per legiferare? Perché non offre valutazioni e regolamenti per vigilare sui futuri legislatori? O perché consolida il potere in una burocrazia che si tramanda da sola?

Al pari dell’ultimo Trattato, il presente testo fornisce all’Unione europea un diritto permanente di impadronirsi di maggiori poteri senza accordi futuri, un indegno gioco di potere. Tali competenze antidemocratiche sono illegali nel Regno Unito, in quanto nessun parlamento britannico può vincolare i suoi successori. La signora Commissario Wallström ha dichiarato che la parola “costituzione” è stata abbandonata al fine di evitare problemi con gli inglesi; giustissimo! Dobbiamo abbandonare, portando i nostri 2 milioni di euro all’ora con noi, e staremmo tutti meglio fuori.

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Vicepresidente, signor Presidente in carica del Consiglio, non riesco più comprendere gli interventi dei rappresentanti del partito indipendentista britannico e di altri partiti. Mi è stato insegnato che il sistema di democrazia parlamentare di Westminster conferisce piena legittimità democratica. Questo è quanto accade qui oggi. Siamo stati eletti dai votanti e prenderemo una decisione, esattamente come fanno i nostri colleghi dei parlamenti nazionali, e abbiamo la totale autorità democratica per poterlo fare. Quello che sta accadendo qui, in un modo populista, è la distruzione dell’autorità della democrazia parlamentare, e dovrete assumervi la responsabilità di questo.

(Applausi)

Il secondo punto che desidero citare in quest’Aula, e per questo ringrazio gli onorevoli Corbett e Méndez de Vigo, è che è chiaro che il Trattato colma un vuoto democratico dell’Unione europea. I pieni diritti di codecisione per il Parlamento europeo, cui spetta anche l’elezione del Presidente della Commissione, l’obbligo che i trattati internazionali vengano ratificati dal Parlamento europeo, il rafforzamento dei parlamenti nazionali, e non intendo entrare nel dettaglio. Ciò che stiamo facendo qui nell’Unione europea è unico, in quanto non risolveremo più i diversi interessi dei nostri cittadini e tra i nostri cittadini, che ci saranno sempre, con carri armati e fucili, come accadeva di solito, ma con le discussioni e la votazione democratica.

Questa è la splendida e reale differenza rispetto a ciò che sinora ha fatto la storia europea, e tutto questo sulla base della parità tra Stati e gruppi di cittadini. Da questo dovremmo adottare i nostri orientamenti. È stata la grande fortuna dell’Europa occidentale per 60 anni, e dalla riunificazione del 1990, vaste regioni dell’Europa hanno condiviso tale grande fortuna. Adesso abbiamo intenzione di potenziarla, affinché questo processo di pace interno ci renda più capaci di prendere decisioni attraverso il Trattato, affinché possiamo affrontare le sfide del futuro in questo mondo nonché risolvere i problemi della sicurezza energetica, la politica estera di sicurezza, il terrorismo e molti altri. Questa è la risposta alle sfide che si paravano di fronte a noi. L’onorevole Méndez de Vigo ha citato Paul Valéry, e io desidero citarlo di nuovo: “O l’Europa sarà unita o sarà l’appendice dell’Asia.” Questo è il punto. L’Europa ha una possibilità di sopravvivenza, collaborando, unendo le forze e fornendo loro l’autorità democratica e la guida, o noi europei scompariremo dall’ordine mondiale?

(Applausi)

 
  
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  Enrique Barón Crespo (PSE).(ES) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, accolgo con favore la presente relazione dei colleghi onorevoli Corbett e Méndez de Vigo, poiché è un testo coerente con quanto il Parlamento ha fatto dall’inizio.

Sono sicuro che Presidenti come Robert Schuman e Paul-Henri Spaak, o Konrad Adenauer avrebbero firmato il Trattato di Lisbona, soprattutto perché la linea definita sulla base del Trattato Spinelli, che nella metà degli anni ’80 ha ispirato l’orientamento che ha dato forma alla Costituzione, è adesso contenuta nel Trattato di Lisbona, in un processo costituzionale aperto per l’Unione europea. Su questo aspetto, ritengo che la relazione difenda ed evidenzi i progressi compiuti. Tuttavia, al contempo, si tratta di una relazione che fa parte del desiderio di consolidare l’Unione europea quale unione politica e democratica.

Vorrei fare una riflessione riguardo alle lezioni che dobbiamo apprendere e, in particolar modo, alla ratifica del Trattato costituzionale. Sento parlare molto di referendum da parte di coloro che sono contrari a proseguire. Io stesso ho ovviamente partecipato al referendum indetto nel mio paese in cui abbiamo vinto. C’è una lezione che dobbiamo apprendere: quello che decidiamo insieme non può essere subordinato, né tenuto in ostaggio, da quello che decide una piccola minoranza.

Dobbiamo pensare come democratici al modo in cui ratificare tutti insieme ciò che desideriamo. Non è ammissibile per nessuno di noi dipendere da cosa può fare una piccola minoranza, e ritengo che questa sia una lezione importante per il futuro.

Signor Presidente, vorrei concludere con un’osservazione: il Parlamento europeo è sempre stato all’avanguardia, in prima linea riguardo all’Europa. Ciò significa che adesso è necessario che iniziamo a lavorare su un gran numero di decisioni politiche da adottare anche prima delle prossime elezioni, poiché la realtà è che il Trattato dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2009. Da un punto di vista della democrazia, della codecisione, delle nomine e dell’adattamento del Parlamento europeo c’è ancora molto da fare.

(Applausi)

 
  
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  Marian Harkin (ALDE).(EN) Signor Presidente, in qualità di uno dei soli 13 deputati di questo Parlamento che avrà l’opportunità di votare in un referendum sul Trattato di Lisbona, sono soddisfatta di offrire il mio sostegno. Come qualsiasi documento, non è perfetto, come ha detto la signora Commissario Wallström. È un compromesso, ma sta procedendo nella giusta direzione.

A causa di limiti di tempo, riserverò i miei commenti a un solo argomento. Il Trattato conserva il principio di sussidiarietà, principio secondo cui noi prendiamo decisioni al livello più appropriato.

In Irlanda uno degli argomenti usati dai fautori del “no” è suggerire che quello di Lisbona sia un Trattato che si modifica in modo autonomo, nonostante l’articolo 48, paragrafo 4, dichiari in modo molto chiaro che qualsiasi modifica del Trattato entra in vigore solo dopo essere stata ratificata da tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Questa è la vera essenza della sussidiarietà.

Ciò che a volte mi sorprende riguardo alla discussione in quest’Aula, anche se suppongo che non dovrei sorprendermi, è che coloro che rivendicavano a gran voce e più a lungo la sovranità degli Stati membri sono gli stessi che tentano di minacciare tale sovranità predicando e ingannando gli Stati membri sulla necessità di indire un referendum, quando la normativa nazionale, e quindi la sovranità e la sussidiarietà, sanciscono il contrario. Lisbona rispetta il diritto sovrano degli Stati membri di prendere tali decisioni, e questa è solo una delle tantissime ragioni per cui appoggio il Trattato.

 
  
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  Konrad Szymański (UEN).(PL) Signor Presidente, il Trattato di Lisbona è stato un compromesso molto difficile per tutte le parti coinvolte, pertanto mi sorprende leggere parole in questa relazione che non sono nient’altro che la preparazione del terreno per campagne intese alla costituzionalizzazione dell’Unione europea.

Proporrei piuttosto di accettare l’assenza di attribuzioni simboliche, i compromessi sul sistema di votazione del Consiglio, o gli accordi di opt-in/opt-out. Desidero inoltre proporre di rassegnarci al fatto che il metodo convenzionale ha portato ai problemi dell’Unione europea, che abbiamo superato attraverso negoziati tradizionali tra i governi.

L’Unione europea non ha bisogno di una discussione continua delle istituzioni, ma della volontà politica e dell’attuazione degli utili obiettivi comuni.

 
  
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  Irena Belohorská (NI).(SK) Onorevoli colleghi, è positivo vedere che il Parlamento europeo controlla attivamente e prende iniziative nel processo di ratifica del Trattato di Lisbona. Sono lieta di aver avuto l’opportunità di far parte della Convenzione europea e di lavorare per 18 mesi alla stesura del Trattato costituzionale, nonostante quest’ultimo non sia andato a buon fine. Il successivo Trattato di Lisbona costituisce un compromesso politico, oltre a essere un documento valido ed equilibrato.

Oltre ad altre importanti riforme, il Trattato estende il campo di applicazione della codecisione: per noi eurodeputati questo significa che quest’Aula avrà più potere di quello di cui ha goduto finora, sin dalla sua istituzione. Accolgo positivamente questo aspetto quale prova di modernizzazione e democratizzazione della politica nell’Europa del XXI secolo. Al contempo, il documento offre maggiore flessibilità all’Unione europea, che attualmente è composta da 27 Stati membri. Analogamente, possiamo assistere a un aumento della partecipazione dei parlamenti nazionali nella preparazione dei documenti comunitari. In tale contesto, devo esprimere il mio rammarico per la situazione in Slovacchia: non ci sono stati problemi con la ratifica del Trattato costituzionale ma l’attuale ratifica è diventata alquanto problematica, in quanto risultato di un gioco politico. Detto questo, credo che anche i politici slovacchi comprenderanno la necessità di questo documento e che la ratifica avvenga senza ostacoli.

Consentitemi di aggiungere un’ultima frase. Signor Presidente, la discussione in quest’Aula sottolinea la differenza rispetto a come vengono percepiti il Consiglio europeo e il Parlamento europeo. Dimostrano che la comunicazione in questo settore probabilmente non è ottima: infatti, sono state messe in discussione le firme dei primi ministri apposte al Trattato di Lisbona. Questo è un problema piuttosto serio.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, prima dei miei tre punti consueti, desidero affrontare la questione di cui ha parlato l’onorevole Nigel Farage del partito indipendentista britannico (UKIP). Ha detto che abbiamo “paura”. Ci dovremmo forse aspettare che accada qualcosa nel corso delle votazioni e vorrei dire che si è quello che si indossa quando si vota. Vedremo che cosa sembrerà l’UKIP.

Ho tre osservazioni. La prima è che, nell’Unione europea, ci troviamo in un costante processo di cambiamento. Due anni fa eravamo in quest’Aula e ci siamo occupati di una relazione simile, e desidero davvero congratularmi con i relatori, gli onorevoli Richard Corbett e Íñigo Méndez de Vigo, per l’ottimo lavoro svolto. Quanto accaduto nel 2005 è stato spiacevole e ciò che abbiamo fatto da allora è stato gestire una crisi. Questo è tutto ciò per cui l’Europa è fatta. Dobbiamo risolvere i problemi; abbiamo risolto un problema di Trattato e si spera che adesso possiamo procedere.

La mia seconda osservazione è che ritengo che il Trattato che ci troviamo di fronte sia un gran miglioramento rispetto al Trattato di Nizza. È un miglioramento in termini di efficienza: avremo più votazioni a maggioranza qualificata, una personalità giuridica, maggiori relazioni esterne e molto da fare in materia di giustizia e affari interni. È inoltre un miglioramento della democrazia. Il Parlamento europeo aumenta le proprie competenze, la Carta dei diritti fondamentali si inserisce nel Trattato e i parlamenti nazionali acquisiscono maggiori poteri, quindi, per molti aspetti, è un gran miglioramento del Trattato di Nizza.

La mia terza e ultima osservazione è tuttavia che è giunto il momento di cambiare. Mi congratulo con i cinque paesi che hanno già ratificato il Trattato. Prima riusciamo a farlo entrare in vigore, meglio sarà per tutti noi, perché è il momento di cambiare, di concentrarsi sui reali problemi, sulla normativa, sul prendere sagge decisioni a livello europeo. Tuttavia, quando lo faremo, non dobbiamo dimenticare che abbiamo una visione, ossia un’Europa unificata, in quanto l’Unione europea è l’unica organizzazione che ci ha fornito i seguenti quattro elementi: pace, prosperità, stabilità e sicurezza.

 
  
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  Bernard Poignant (PSE). (FR) Signor Presidente, i trattati sono come i parti: alcuni necessitano dell’epidurale, altri del taglio cesareo. Il presente Trattato rientra nella seconda categoria e crescerà come un bel bambino, vedrete.

Abbiamo dovuto fare due tentativi, ma questo era il passato. È imperfetto, è incompleto, ma è meglio di niente. Soprattutto, porta a termine la riunificazione del continente, iniziata il 9 novembre 1989. In questo senso, conclude anche la seconda guerra mondiale. Ovviamente, viene accusato di istituire in modo autoritario un’Europa liberale; avrebbe potuto essere addirittura totalitaria! Auspico che questo Trattato non segni la fine di un periodo, ma l’inizio di un altro.

Sto già aspettando con impazienza di scoprire chi sarà il Presidente dell’Europa, poiché l’intero pianeta assisterà alla scelta e la persona creerà l’istituzione. Desidero dire sin d’ora a questa persona: “Non rimanga nel suo ufficio. Viaggi in tutta Europa e non solo verso le capitali, ma in ogni regione del continente”. Desidero dire a questa persona: “Viaggi in tutto il mondo. Vada dove le libertà vengono ignorate, i diritti umani limitati e dove c’è ancora guerra e conflitto. Dimostri che l’Europa ha un nome, un volto, un indirizzo e un numero di telefono.” Credo che questa persona, uomo o donna che sia, svolgerà un ruolo decisivo. Vedremo cosa faremo con questa carica.

A giugno 2014 si terrà già un incontro, tra cinque anni. Se il Trattato sarà stato un’esperienza positiva, ci saremo dimostrati efficienti, e i cittadini se ne saranno appropriati, altrimenti il senso stesso dell’Europa sarà stato danneggiato. Questo è il motivo per cui il prossimo mandato parlamentare probabilmente sarà quello decisivo per quanto riguarda l’impegno dei cittadini per l’Europa.

 
  
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  Cristian Silviu Buşoi (ALDE).(RO) Onorevoli colleghi, innanzi tutto desidero congratularmi con i relatori per la loro ottima relazione.

Nonostante abbandoni i simboli dell’Unione, nonostante tutti i compromessi raggiunti in sede di Consiglio europeo di giugno e di Conferenza intergovernativa, il Trattato di riforma di Lisbona tutela molte delle importanti innovazioni del precedente Trattato costituzionale ed è realmente un grande passo in direzione della riforma dell’Unione europea. Sono enormemente soddisfatto dell’ampliamento del ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali nella presa decisionale dell’Unione europea.

Il mio paese, la Romania, è stato uno dei primi a ratificare il Trattato con una larghissima maggioranza dei voti dei deputati del parlamento. Dal mio punto di vista, la conclusione n. 10 è la più importante della relazione. Sebbene la ratifica del Trattato si svolgerà all’interno dei parlamenti nazionali in quasi tutti gli Stati membri, salvo un’eccezione, ritengo sia essenziale informare i cittadini dei paesi dell’Unione europea al fine di giungere a riforme istituzionali di successo.

È dovere delle istituzioni europee informare i cittadini in merito al Trattato; è nostro dovere, ossia di ciascun deputato del Parlamento europeo, andare nei rispettivi paesi e spiegare ai cittadini che rappresentiamo in quest’Aula i vantaggi del Trattato di Lisbona per il futuro della costruzione dell’Europa.

 
  
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  Mirosław Mariusz Piotrowski (UEN).(PL) Signor Presidente, dopo due anni di discussione sul controverso Trattato che non è stato approvato in Francia e nei Paesi Bassi, siamo riusciti a raggiungere un compromesso e ad accettare un testo che si suppone salverà i cittadini d’Europa. C’è solo un problema: tutti hanno concordato, e in realtà qualcuno ha già accettato, un testo che ancora non esiste in una versione consolidata. In realtà i relatori lo ammettono nel paragrafo 9 del documento presentato al Parlamento.

Il Trattato di Lisbona è stato reso disponibile solo quale elenco di emendamenti ai Trattati. Persino i deputati di quest’Aula non hanno preso visione del testo consolidato, oltre ai cittadini degli Stati membri. È questo ciò che deve sembrare, il proclamato ravvicinamento tra l’Unione europea e i suoi cittadini, ai quali non solo è stato negato il diritto a un referendum, ma anche di familiarizzare anch’essi con il testo, senza fare riferimento a discussioni al riguardo? La scelta è stata determinata solo da considerazioni tecniche, o gli autori di questo capolavoro stanno di nuovo cercando di nascondere qualcosa?

La storia della ratifica dei Trattati costituzionale e di Lisbona dimostra che i leader dell’Unione europea sono sprezzanti nei confronti dei cittadini d’Europa e delle procedure democratiche. Questo è il motivo per cui la relazione deve essere respinta.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, l’Eurobarometro mostra sempre che circa il 30% dei cittadini europei è euroscettico e insoddisfatto. Questo 30% è molto interessante. Si riferisce in particolare ai gruppi di protesta e ad altri che non dispongono di politiche proprie ma vogliono una quota di questo 30%. Si riferisce a coloro che non possono essere identificati con nessuna politica; l’euroscetticismo è uno schermo dietro il quale nascondersi. Inoltre, tale 30% comprende coloro le cui politiche non saranno mai accettate dagli altri.

L’euroscetticismo è una maschera molto utile per gli xenofobi. È ritenuto accettabile essere considerati scettici, almeno agli occhi di questo 30%. Pertanto, è a fronte di questo contesto che dovremmo prendere in considerazione la richiesta dei referendum. Le parti coinvolte non sono realmente preoccupate dei referendum; non stanno tentando di raggiungere una maggiore democrazia; piuttosto, sono impegnate a sfruttare questo 30% di potenziale di protesta e a impiegarlo per i propri obiettivi.

Tuttavia, lo stesso 30% di euroscettici attira l’interesse di un’altra parte. Rappresenta un possibile mercato per alcuni media. La protesta contro l’Unione europea vende bene, possiamo vederlo ogni giorno sui giornali. Nel mio paese, l’Austria, basta solo guardare i titoli per comprendere di cosa si tratta. E non si tratta del supposto alto tradimento o del “teatro” dell’Unione europea, bensì di accertarsi che questo 30% continuerà a comprare il giornale ogni giorno.

Chi potrebbe essere contro un referendum nazionale? Nessuno potrebbe opporsi alle consultazioni referendarie nazionali, ma poi dovrebbero essere richiesti più frequentemente e per un numero sempre maggiore di questioni, cosa che ancora non accade. In pratica, la protesta è utile solo alla potenziale quota di mercato dei quotidiani, alla loro possibilità di dominare e non alla democrazia. Questo è qualcosa che doveva essere detto in un giorno come questo.

(Applausi)

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE).(PL) Signor Presidente, desidero congratularmi con i miei colleghi per un’eccellente relazione, nonché comunicarvi tre notizie: due ottime, una cattiva. La prima è la seguente: la Polonia sta ratificando il Trattato di Lisbona. Ieri il governo polacco ha approvato un progetto di legge sulla sua ratifica, e il 27 febbraio il parlamento e il senato polacchi lo discuteranno. Vorrei sottolineare che in parlamento il Trattato gode del sostegno della vasta maggioranza.

La seconda buona notizia è che i polacchi sostengono con estrema forza il progetto europeo. Secondo studi recenti, circa l’83% dei polacchi è soddisfatto dell’adesione all’Unione europea. Considerato un sostegno così esteso, un referendum nel mio paese sarebbe irrilevante. Vi prego di ricordare che i miei colleghi onorevoli che in quest’Aula chiedono un referendum parlano solo a titolo personale.

La terza notizia, negativa, è che purtroppo la Polonia ha ancora una serie di riserve riguardo alla Carta dei diritti fondamentali quindi, oltre ai cittadini britannici, i polacchi saranno gli unici europei a non godere dei suoi benefici. Chiedo pertanto al Consiglio e alla Presidenza slovena di preparare un meccanismo per un opt-in semplificato che consentirebbe alla Polonia, e forse in futuro anche alla Gran Bretagna, di aderire alla Carta dei diritti fondamentali.

 
  
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  Roger Helmer (NI). – (EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto rispondere al nostro ottimo collega onorevole Barón Crespo, che ha detto che non potremmo consentire che la volontà di una piccola minoranza ostacoli il percorso del progetto europeo.

Nel mio paese, i sondaggi di opinione dimostrano che circa il 75% dei britannici desidera che ci sia un referendum, due terzi dei quali voterebbero “no”. Se questa è quella che l’onorevole Barón Crespo pensa essere una piccola minoranza, tutto ciò che posso dire è che per me non lo è.

Come alcuni colleghi hanno precisato, in realtà stiamo votando su un documento che non possiamo leggere. Non disponiamo di un testo consolidato. È un totale scandalo!

Molti dall’altra ala dell’Aula ci dicono che è una cosa positiva. Ho sentito ripetutamente parlare di quanto sia positiva, ma se così fosse, perché allora non uscite nelle strade e lo dimostrate davanti alla gente in un referendum? Perché correte impauriti?

Oggi, il progetto europeo sta abbandonando ogni richiesta di legittimità democratica. Oggi approveremo la Costituzione rinominata in un documento che dimostra un terribile disprezzo nei confronti dei cittadini europei e dei valori democratici. Nel 2005, gli elettori francesi e olandesi hanno rifiutato la Costituzione in modo risoluto.

Sono sorpreso dalla palese sfrontatezza dei leader europei, che hanno cambiato la confezione ma che ora riportano il contenuto senza tener conto dell’opinione pubblica. La maggior parte degli eurodeputati francesi e olandesi sosterranno questa relazione. Non so come faranno ad affrontare i loro elettori, o come dormiranno la notte.

Nel Regno Unito, il governo laburista ha rotto la sua promessa solenne di un referendum, giacché secondo i sondaggi postali condotti da gruppi promotori, più dell’80% degli elettori avrebbe votato “si” a un referendum.

Forzando l’entrata in vigore di questa misura a dispetto della pubblica opposizione, attaccate le basi dell’Europa che state cercando di realizzare. Dobbiamo ascoltare i cittadini: chiedono un referendum.

 
  
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  Jens-Peter Bonde (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, l’onorevole Corbett ci ha ora mostrato dieci volte una cosiddetta versione “consolidata” del Trattato. Tale versione non è stata consolidata al fine di consentire una decisione, poiché mostra il testo come apparirebbe se avessimo già approvato il Trattato di Lisbona. Una versione consolidata è un’edizione in cui il testo da introdurre è mostrato in grassetto e quello da eliminare in corsivo, per permettere di valutarlo in modo adeguato.

La signora Commissario Wallström ci ha promesso una versione simile...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Rihards Pīks (PPE-DE).(LV) Signor Presidente, signora Vicepresidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, oggi, mentre ascoltavo alcuni colleghi deputati, ho compreso l’antica verità contenuta nelle scritture: criticare, sminuire, è semplice, ma costruire una casa, realizzare un tempio, è un compito lungo e complesso. Devo ricordare ai critici del Trattato che la sua base, il Trattato di Lisbona, il Trattato costituzionale, è stata creata in un forum con la più ampia rappresentanza democratica della storia d’Europa, con la partecipazione di organizzazioni non governative, e in presenza dei mezzi di informazione. Pertanto, oggi vorrei congratularmi con i colleghi onorevoli Méndez de Vigo e Corbett, che hanno elaborato la relazione sulla quale ci apprestiamo a votare. Tale relazione è infatti una sintesi ottima, e l’onorevole Bonde ha ragione nell’affermare che la versione consolidata è attualmente disponibile solo in inglese. Suggerirei pertanto che il documento venga pubblicato come una brochure, un’ottima sintesi, poiché non tutti leggeranno l’intero Trattato. Passo ora alle reali posizioni assunte dal Trattato, sulle quali si è parlato molto positivamente, ma sono state anche espresse critiche. Mi sembra che sia ottimo che sia stata elaborata una politica estera e di sicurezza comune. Al contempo, è una vergogna che non vi siano nuovi strumenti per realizzare tale politica; né la Commissione né il Parlamento hanno fornito tali strumenti. Cosa significa? Vuol dire che abbiamo già lavoro da svolgere: introdurre tali politiche e attuarle. Metà del lavoro è stato quindi già fatto: le basi sono state gettate, ma il resto, la seconda metà, in particolare la messa in pratica, deve ancora essere svolto. Auguro a tutti noi buona fortuna. Grazie.

 
  
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  Adrian Severin (PSE).(EN) Signor Presidente, sono stati citati i meriti del Trattato di Lisbona ed è stato descritto il progresso da esso apportato di condurre verso una reale Unione di cittadini. È stata inoltre sottolineata la necessità di una sua rapida ratifica. Consentitemi di aggiungere due note di preoccupazione.

In primo luogo, il mercato è globalizzato, la criminalità organizzata è globalizzata, la povertà è globalizzata e le ondate di immigrati ci ricordano ogni giorno questa realtà. Mentre le aziende automobilistiche, informatiche, aeree e siderurgiche vengono assorbite, emergono nuove o rinnovate potenze globali. Nonostante ciò, l’Europa resta divisa. La separazione del Kosovo attualmente in corso, descritta da alcuni come una battaglia tra legalità e realismo, è l’esempio più recente e terribile a dimostrazione che la pace e il diritto in Europa non sono ancora sicuri.

Date queste premesse, l’ossessione per le disposizioni di opt-out o di opt-in non è il modo per proteggere la sovranità nazionale dal cosiddetto imperialismo europeo, bensì un modo di condannare ciascuno dei nostri Stati membri all’irrilevanza parrocchiale e, infine, all’insicurezza.

La mia seconda preoccupazione: dal Trattato sono stati cancellati i riferimenti ai simboli, temendo che i simboli europei potessero oscurare quelli nazionali. Dall’altra parte, la mancanza di partecipazione democratica dei cittadini nella vita nazionale dimostra ogni giorno che i nostri miti nazionali si trovano in difficoltà. La Comunità europea del carbone e dell’acciaio è stata in grado di mobilitare i cittadini non solo rivolgendosi alle loro menti, ma anche ispirando i loro cuori. Era un progetto associato a un mito.

Il Trattato di Lisbona è un altro progetto eccellente ma non ha un’anima. Questo non solo indebolirà la capacità dell’Unione europea di ispirare i cittadini, ma anche la capacità di ciascuno Stato membro di riabilitare i propri miti nazionali.

Per il resto, condivido pienamente le idee contenute nella relazione e mi congratulo con i relatori per il loro eccellente lavoro. Condivido tutte le loro opinioni e ritengo che abbiano fatto un grande lavoro. Tuttavia, auspico che un giorno tutti noi potremo gridare “Habemus tractatum rei publicae Europae.”

 
  
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  Jean-Luc Dehaene (PPE-DE). (NL) Signor Presidente, come affermano sempre i padri dell’integrazione europea, l’integrazione si realizza passo dopo passo. A volte i passi sono piccoli e a volte grandi. I relatori hanno sottolineato molto chiaramente che il Trattato di Lisbona è un importante progresso qualitativo, si potrebbe persino dire un cambiamento radicale, per l’Europa. Può essere paragonato al Trattato di Roma, quando abbiamo creato il mercato comune, o all’Atto unico europeo con il mercato unico, o al Trattato sull’Unione europea (TUE) con l’unione monetaria, che ha rappresentato anche un modesto passo iniziale verso l’unione politica.

Conferendo all’Unione personalità giuridica e abolendo i pilastri, il Trattato di Lisbona dota l’Europa di una dimensione politica definita. L’Europa necessita del Trattato al fine di diventare un attore globale nell’attuale mondo globalizzato e pertanto definire le norme di cui questo mondo ha bisogno. Inoltre, l’applicazione generale della codecisione rende il processo decisionale in questa unione politica più democratico. Ora si deve ratificare il Trattato e, a questo proposito, un testo coordinato contribuirebbe di fatto a comprendere meglio i progressi compiuti.

Avere un testo è una cosa, ma la sua ratifica e l’attuazione sono questioni ben diverse: possono essere i compiti più importanti da affrontare. Mi ha fatto piacere sentire che anche la Presidenza e la Commissione stanno iniziando a riflettere e a lavorare su tale attuazione, in quanto sono possibili diverse direzioni, e potremmo persino prendere quella sbagliata se non agiamo con attenzione. Questo è il motivo per cui è altresì molto importante che il Parlamento si impegni sul versante dell’attuazione al fine di definire un percorso chiaro per il modo in cui il Trattato potrebbe rappresentare un vero progresso. È possibile che l’attuazione conduca il Trattato in un’altra direzione e di sicuro noi non lo vogliamo. Noi desideriamo il progresso contenuto nel Trattato.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Mi congratulo con i relatori, gli onorevoli Corbett e Méndez de Vigo, per il loro eccellente lavoro e l’ottimo esempio di cooperazione. La Presidenza portoghese aveva la storica missione di trasformare un mandato in un Trattato, il Trattato di Lisbona, che il parlamento portoghese ratificherà il prossimo aprile. Il nuovo Trattato non è la cura a tutte le malattie dell’Unione europea, ma costituisce un valore aggiunto per la democrazia. Le competenze del Parlamento europeo sono aumentate, come lo sono anche quelle dei parlamenti nazionali, e anche la democrazia partecipativa è rafforzata, in particolare attraverso l’iniziativa dei cittadini che consente a un milione di europei di chiedere alla Commissione di lanciare un’iniziativa di legge in un settore specifico; inoltre la Carta dei diritti fondamentali adesso è giuridicamente vincolante.

L’Unione europea non è perfetta, ma è insostituibile nel ruolo che svolge a livello mondiale. Abbiamo bisogno di un’Europa che sia più coinvolta e influente nella soluzione dei problemi globali, quali il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la politica in materia di energia, il terrorismo internazionale, la criminalità organizzata, l’immigrazione, e così via. Adesso ciascuno dei 27 Stati membri ha l’urgente necessità di ratificare il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007. Questa è una fase decisiva nella costruzione di un’Europa più efficiente nel processo decisionale, più vicina ai cittadini, maggiormente in grado di rispondere alle sfide della globalizzazione e più efficiente nelle relazioni esterne. Che ognuno di noi si assuma le proprie responsabilità perché il mondo non si ferma.

Mentre l’Europa prolungava la sua pausa di riflessione e sprecava energia alla ricerca di una soluzione per i suoi problemi istituzionali, le economie emergenti continuavano a crescere, i conflitti armati si diffondevano, il cambiamento climatico diventava una realtà, i problemi energetici si acuivano e molte persone morivano per mancanza di cibo e assistenza sanitaria. Malgrado le opinioni degli ultranazionalisti e degli euroscettici, l’Europa non può fermarsi e non si fermerà.

 
  
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  Georgios Papastamkos (PPE-DE).(EL) In qualità di relatore ombra per parere della commissione per il commercio internazionale nonché membro della commissione per gli affari costituzionali, desidero innanzi tutto dichiarare che il Trattato di Lisbona segna la transizione da un “elitarismo” costituzionale alla riforma del progetto di unificazione europea. Il progresso comune europeo è garantito attraverso il dualismo costituzionale, nello specifico dai due Trattati revisionati di pari valore giuridico.

Al contempo, emerge tuttavia un’Europa a più velocità. In altre parole, l’Unione aumenta la propria flessibilità, ma perde uno slancio di unificazione comune. Ancora una volta, gli Stati membri hanno l’ultima parola nel rapporto dialettico tra elementi sopranazionali e nazionali. Anche il sistema parlamentare sta emergendo dal recente compromesso europeo rafforzato, grazie al potenziamento dei ruoli del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali.

Onorevoli colleghi, il processo di unificazione europea ha senza dubbio bisogno di un incoraggiamento. I cittadini cercano risposte alle sfide dinamiche a livello politico. Sono interessati alla qualità e alla produttività del lavoro politico. Legittimano democraticamente, in modo diretto o indiretto, gli organi decisionali dell’Unione europea e si aspettano iniziative di successo. L’esito positivo del tentativo di ratifica e, soprattutto, la permanente legittimità democratica dei progetti condotti nel pieno interesse dei cittadini europei, dipendono dall’avvio di un dibattito politico approfondito con l’Unione europea sugli approcci fondamentali politici, economici e sociali, sul rapporto dei cittadini europei con l’Unione, e sulla posizione di quest’ultima nel mondo.

In questo contesto, l’introduzione di un dialogo duraturo, trasparente e democratico con la società civile non può essere solo un pretesto. Deve riflettere una politicizzazione profonda dell’impresa di unificazione. Il Parlamento europeo svolge un ruolo fondamentale in questo processo di politicizzazione. Mi congratulo con i miei colleghi onorevoli Corbett e Méndez de Vigo per il loro contributo proficuo e creativo.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE).(EN) Signor Presidente, questo Trattato non è un documento ben strutturato. Ci sono molti “se”, “ma” e “forse”, poiché non esiste altro modo di condividere il potere per una famiglia variegata di nazioni. Tuttavia, nonostante le contraddizioni, risponde alle richieste dei nostri cittadini di maggiore democrazia e capacità nei settori in cui effettivamente gli Stati nazione non possono agire da soli: il mantenimento della pace, il cambiamento climatico, la migrazione, la regolamentazione in materia finanziaria, del mercato e, ovviamente, del lavoro.

In questo momento di instabilità globale, l’Unione europea è più importante che mai per i piccoli Stati membri come l’Irlanda. La votazione odierna rivelerà nuovamente la strana alleanza di mercato dei fondamentalisti, della destra e della sinistra radicale, che si oppongono al Trattato. Hanno una cosa in comune: la fretta di relegare il potere democratico dei cittadini oltre i confini nazionali. I multimilionari, i Murdoch in Gran Bretagna e i Ganley in Irlanda, manipolano cinicamente lo sciovinismo nazionale nel tentativo di negare agli europei di riuscire, oltre i confini nazionali, a regolare le economie nel più ampio interesse della società.

Gli altri, il Sinn Féin e i suoi alleati, non hanno fiducia nei cittadini e nella loro capacità di creare una democrazia transnazionale responsabile. La loro caratteristica principale è la paura, la paura dei nostri vicini, dei parlamenti democratici, dei governi e della globalizzazione. Non spiegano come un maggiore potere dei parlamenti significhi meno democrazia; si mascherano da internazionalisti ma sono contrari che i vicini si aiutino l’un l’altro in tempi di crisi o attacco; si rifiutano di sostenere le norme europee vincolanti che tutelano noi e i nostri vicini dal cambiamento climatico, dalle violazioni dei diritti dei lavoratori e dall’abuso del mercato.

L’arma di coloro che usano la paura è la grande menzogna, come ampiamente dimostrato oggi in quest’Aula dagli onorevoli McDonald e Sinnott. Stravolgono terribilmente la verità in modo arbitrario al fine di dichiarare che i rappresentanti eletti da più dell’80% dei cittadini europei intendono distruggere la democrazia, nonché negare alle persone di esprimere nuovamente il loro parere nella costruzione dell’Europa. Prima delle elezioni in Irlanda, tutte queste grandi menzogne si mostreranno per quello che sono: incubi dei partiti che non hanno appreso nulla dalla loro storia e sono decisi a condannare il popolo europeo a ripeterla. Ho fiducia che la decisione dell’Irlanda sarà quella di rimanere al centro dell’Europa.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, l’Irlanda ha deciso di ratificare il Trattato di Lisbona attraverso un referendum poiché, tutto sommato, era uno strumento necessario in base alla nostra Costituzione scritta, ma rispetto totalmente la decisione di tutti gli altri Stati membri di optare per il processo di ratifica.

Alcuni punti sono una ripetizione costante. Il Trattato di Lisbona è diverso dal suo predecessore, lo sfortunato Trattato costituzionale, poiché non è più un unico testo consolidato. Si limita a modificare i Trattati esistenti, quello sull’Unione europea e quello che istituisce le Comunità europee, che sono stati completamente ratificati come era giusto che fosse. Inoltre, sono stati eliminati il titolo costituzionale e il simbolismo, nonché il riferimento alla bandiera e all’inno dell’Unione europea.

Più Europa significa più di quello che l’Europa apporta quale valore aggiunto poiché, delimitando chiaramente le competenze dell’Unione, il Trattato di riforma o Trattato di Lisbona, fornisce all’Unione europea e ai parlamenti nazionali una precisa definizione della sfera cui appartengono le loro competenze e conferisce, tra l’altro, più sussidiarietà agli Stati membri, un punto spesso dimenticato.

Il Trattato di riforma consente una maggiore continuità nel processo decisionale dell’Unione europea, in particolare in materia di politica estera, attraverso la creazione della nuova carica di Presidente del Consiglio europeo, nominato per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile solo una volta. Sarà nominato un Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e non avrà una collocazione solo nell’ambito del Consiglio, ma sarà anche un Vicepresidente della Commissione. Tali sviluppi, tuttavia, non condurranno alla sostituzione delle politiche estere nazionali. Inoltre, l’attuale Presidenza a rotazione semestrale continuerà invariata, questione spesso trascurata o non compresa.

A differenza di certi altri Trattati dell’Unione europea, il Trattato di Lisbona non introduce nuovi importanti capitoli di competenza dell’Unione europea. Tuttavia, ci sarebbero nuove basi giuridiche per i brevetti, il turismo, gli sport, la cooperazione in campo amministrativo e dello spazio, una base giuridica rafforzata in materia di politica energetica e, l’aspetto più importante, un nuovo ed esplicito riferimento alla lotta al cambiamento climatico con le esistenti basi giuridiche sulla politica ambientale.

Per tutti questi motivi, i miei colleghi del Fine Gael ed io sosterremo il nostro governo. Tutti i partiti irlandesi, tranne il Sinn Féin, sosterranno il governo e lavoreranno duramente al fine di ratificare questo Trattato e di trasmettere questo messaggio. Il Sinn Féin non lo farà in quanto teme una “maggiore militarizzazione dell’Europa”, buffo, data la particolare storia di questo partito!

Onorevoli colleghi, mentre la vostra buona volontà e il vostro sostegno sono accolti molto positivamente, una piccola parola di avvertimento: non fatevi tentare, nella vostra impazienza per un risultato positivo del nostro referendum, a indicare all’elettorato irlandese come votare. Inoltre, la Commissione è pregata di non litigare più con l’Irlanda su questioni amministrative o altre questioni come il REPS (Rural Environmental Protection Scheme), che può essere malinterpretato, volontariamente o meno, dagli oppositori del Trattato.

 
  
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  Mauro Zani (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Trattato di Lisbona pone fine ad uno stallo prolungato e pericoloso. Usciamo quindi dalla crisi con una struttura istituzionale stabile, più efficace e aperta ad ulteriori sviluppi. Viviamo una nuova fase nella quale potrà riaprirsi – io lo spero – anche il cammino di una Costituzione per l’Europa.

A tal fine, però, è necessario un impegno straordinario per promuovere la cittadinanza europea a partire dalla Carta dei diritti. Ben al di là del computo demografico, che risponde ad una logica nazionale e intergovernativa, è proprio la cittadinanza europea la pietra angolare attorno a cui costruire in futuro l’edificio politico dell’Europa. Questa è anche la sola via per recuperare un’anima a questo Trattato, quell’anima di cui parlava poco fa il collega Severin.

Il futuro, quindi, è anzitutto affidato a una grande alleanza tra il Parlamento e i cittadini europei nella loro pienezza di diritti e di doveri. E la prima prova, forse, di quest’alleanza è proprio la scelta della nuova figura del Presidente dell’Unione.

 
  
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  Jacek Protasiewicz (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, mi consenta, se possibile, di iniziare congratulandomi con gli autori di questa relazione, poiché attraverso il loro lavoro è stato realizzato un testo che non è soltanto un documento politico, ma una guida intelligente alle nuove realtà del Trattato. Si potrebbe persino dire che è un aiuto didattico per gli studenti dell’Unione europea e al di fuori dei suoi confini.

Nella stesura della loro relazione, gli onorevoli Méndez de Vigo e Corbett hanno sottolineato i cambiamenti positivi introdotti dal Trattato di Lisbona, ma hanno anche riconosciuto i timori derivanti dai difficili negoziati intergovernativi. All’epoca, la Polonia era considerata uno dei paesi che frenava i progressi dell’integrazione europea. Tuttavia, è cambiato molto dalle ultime elezioni. Il nuovo governo è più aperto alla cooperazione europea e comprende che un’Unione più forte è nell’interesse del nostro paese, la Polonia.

Tuttavia, non si dovrebbe dimenticare che una parte della popolazione polacca condivide alcune delle paure connesse alla posizione di superiorità occupata dalla normativa comunitaria nella gerarchia dei regolamenti del civil law, in particolare del diritto di famiglia e in materia di proprietà. Abbiamo bisogno di tempo e di maggiore esperienza di collaborazione nella Comunità europea affinché tali paure si attenuino e, eventualmente, vengano eliminate. Pertanto, il governo del mio paese non ha sottoscritto la Carta dei diritti fondamentali, in particolare perché vi era il serio rischio che il processo di ratifica in Polonia venisse di fatto bloccato, qualora fosse stata presa una decisione diversa.

Mi fa molto piacere che gli autori della relazione abbiano compreso tali circostanze e deciso di eliminare dal testo originario i nomi di quei paesi la cui posizione sarebbe stata giudicata in modo critico dal Parlamento europeo. Il Trattato di Lisbona è il risultato di un compromesso tra i sogni di una federazione europea e i timori attualmente dominanti non solo tra i cittadini dei nuovi Stati, ma anche nei paesi fondatori della nostra Comunità. È opportuno tenere sempre presente l’esito negativo del processo di ratifica del Trattato costituzionale; ritengo sia meglio fare passi più piccoli ma stabili anziché tentare salti che sono sempre associati al rischio di una caduta.

La realtà della nostra volontà di cambiare emergerà rapidamente. È pertanto sicuro che tra pochi anni dovremo discutere un nuovo testo, un nuovo Trattato, più adeguato alle realtà che si delineeranno. È importante per noi essere in grado di riconoscerle in tempo, e per l’Unione europea di conservare la capacità di adattarsi alle nuove sfide.

 
  
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  Maria da Assunção Esteves (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, Lisbona e Roma sono punti di partenza per un’umanità senza frontiere. Il sogno di una giustizia globale e di un diritto cosmopolita è al centro della storia dell’Unione europea. È la storia del modo in cui la volontà morale si è radicata nelle istituzioni e si è trasformata in antichi paradigmi politici. Il metodo seguito è stato la condivisione, il criterio applicato la ragione, l’obiettivo era che la dignità umana e la sovranità dei diritti avessero la precedenza sulla sovranità delle frontiere. Tutti questi fattori hanno contribuito a rendere l’Europa la casa dell’illuminismo.

In questo viaggio verso una democrazia su vasta scala, il Trattato di Lisbona ha restituito al Parlamento europeo la sua natura parlamentare, ha rotto l’egemonia legislativa dell’Europa dei governi e ha portato in primo piano nuove figure guida al fine di accrescere i fattori politici e di concorrenza e di ridurre la burocrazia. È vero che la Costituzione europea, con il suo potenziale di unità e coesione, è stata eliminata ma sta affiorando un’Europa post-nazionale. Babele costruirà senza dubbio la sua torre.

 
  
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  Hartmut Nassauer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, se avete seguito la discussione di stamattina, avrete notato che il presente Trattato è accompagnato da grandi aspettative. In primo luogo quella che venga ratificato e che entri in vigore. Inoltre, ci si aspetta che collochi l’Unione europea in una posizione migliore all’altezza dei suoi compiti a livello mondiale, una posizione da cui sarà in grado di occuparsi delle conseguenze della globalizzazione e così via.

Desidero aggiungere un’altra aspettativa: credo e auspico che il Trattato offra un’altra opportunità di compiere ulteriori progressi verso la riconciliazione dell’Unione europea con i suoi cittadini, in quanto tra i due esiste una frattura, evidenziata dai referendum in Francia e nei Paesi Bassi, che deve essere chiusa.

L’Unione ha bisogno dell’appoggio dei suoi cittadini, e il nuovo Trattato offre ottime possibilità a questo scopo. Fornisce ai parlamenti nazionali la possibilità di partecipare all’elaborazione della normativa; inserisce, non a torto, i parlamenti nazionali nel quadro della sussidiarietà. Pertanto, l’approvazione dei cittadini dipende, tra l’altro, da una più chiara assegnazione dei compiti tra l’Unione europea e gli Stati membri rispetto a quanto avvenuto sinora, nonché da una gestione più equilibrata. Su questo aspetto i parlamenti nazionali devono apportare il proprio contributo.

Non credo che siamo in concorrenza con questi ultimi, ma ritengo che dobbiamo cooperare. Sono dell’opinione che i parlamenti nazionali dovrebbero approfittare di tali opportunità e vorrei incoraggiarli a farlo completamente. Sarà interessante verificare se questo strumento di controllo della sussidiarietà è efficace.

Un’altra riflessione: se si osserva l’Unione europea dall’esterno, si assiste a un esempio di cooperazione regionale, un lavoro di squadra a livello regionale di successo, del quale esiste solo un altro esempio al mondo, e non ugualmente di successo e avanzato: i paesi ASEAN. Questi ultimi, osservano da vicino l’Unione europea nel tentativo di cooperare e contribuire alla pace e alla sicurezza nel mondo.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).(SK) Onorevoli colleghi, poiché l’Unione europea necessita di un Trattato di riforma che la renda più efficiente e moderna, voterò a favore della relazione degli onorevoli Richard Corbett e Íñigo Méndez de Vigo sul Trattato di Lisbona.

Consentitemi di congratularmi con i cinque Stati membri che hanno già ratificato tale Trattato. Sono convinta che l’atto di ratifica del Trattato di Lisbona non incontrerà ostacoli neppure in Slovacchia. Solo un partito in parlamento è contrario; a parte questo, il Trattato gode del sostegno complessivo e della maggioranza schiacciante dei deputati del parlamento nazionale che voteranno a favore.

L’attuale opposizione slovacca che merita la massima fiducia per l’adesione del paese alla famiglia europea, sosterrà il Trattato di Lisbona non appena verrà riscritta la legge nazionale sulla stampa, in conformità delle raccomandazioni delle istituzioni europee che l’hanno criticata, quali la Freedom House, l’OSCE e la Federazione europea dei giornalisti.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE).(HU) In qualità di eurodeputato per l’Ungheria, il primo paese a ratificare il Trattato di riforma, sono ben consapevole che la sola ratifica non è sufficiente. È stato già affermato in quest’Aula che è necessario spiegare alle persone, ai cittadini europei, i modi in cui questo documento offre di più rispetto alle costituzioni nazionali, spiegare il valore aggiunto del Trattato di riforma.

I politici europei devono essere informati del fatto che spesso i primi ministri commettono l’errore di chiamarla riforma istituzionale. È molto più di questo. Ora stiamo diventando un’unione politica e un’autentica comunità di interessi, nel cui ambito dobbiamo spiegare chiaramente ai cittadini d’Europa il modo in cui la Carta europea dei diritti fondamentali apporta valore aggiunto nella sfera dei diritti sociali.

Deve essere dato particolare rilievo al fatto che i diritti dei soggetti appartenenti alle minoranze sono finalmente stati inclusi nell’ordinamento comunitario di 8 000 pagine, dato che ogni 70 cittadini in Europa, nell’Unione europea, uno appartiene a una minoranza tradizionale. Questo è un grande progresso per il Trattato.

 
  
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  Andrew Duff (ALDE). – (EN) Signor Presidente, desidero domandare ai colleghi che si oppongono al Trattato di spiegare con precisione cosa intendono quando parlano di Trattato che “si modifica in modo autonomo”. Potrebbero comunicarmi la clausola che stabilisce questo tipo di sviluppo versatile?

Da solo non riesco a individuarlo nel Trattato. La realtà è che un singolo cambiamento richiede l’accordo unanime di tutti i primi ministri e dei parlamenti nazionali di tutti gli Stati membri, e i cambiamenti importanti che conferiscono all’Unione europea nuove competenze richiedono la procedura di una convenzione, una conferenza intergovernativa e una ratifica formale in tutti gli Stati membri.

 
  
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  Mogens Camre (UEN).(DA) Signor Presidente, il Trattato di Lisbona è, come sanno tutti, il Trattato costituzionale senza inno né bandiere. È in realtà piuttosto bizzarro che sia stato detto così schiettamente in quest’Aula, cosa che non è stata fatta in Danimarca. Infatti, il governo danese afferma che il Trattato non contiene nulla di importante, in quanto ritiene che una simile dichiarazione possa far credere ai cittadini che non è necessario che esprimano il loro voto al riguardo. Tuttavia, con questo Trattato, stiamo assistendo agli sviluppi di più ampia portata che si siano mai sinora verificati nell’Unione europea: più competenze, più ambiti politici di quanti non ce ne siano mai stati, e una maggiore perdita del controllo per i paesi europei rispetto a quanto accadeva precedentemente. È davvero imprudente che i vecchi Stati simbolo dell’Unione europea obblighino noi altri a non chiedere ai nostri cittadini, i quali percepiscono di perdere il controllo e reagiranno contro tutto questo. Un’unione non viene creata al tavolo dei negoziati dell’Unione europea. Può funzionare solo se cresce in base ai desideri dei cittadini, che non è quanto l’Unione sta facendo. Pertanto, voterò contro.

 
  
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  Miloslav Ransdorf (GUE/NGL).(CS) Se l’integrazione europea deve durare, è necessario che ci siano norme internazionali approfondite e rafforzate. Attualmente sta accadendo esattamente il contrario.

Il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo è stato un colpo terribile per il diritto internazionale la cui violazione avrà come prime vittime l’integrazione europea e le relazioni transatlantiche. Credo che questo sia evidente. Il principio etnico è stato rifiutato quale base di delimitazione dei confini nel caso della Bosnia, mentre per quanto riguarda il Kosovo è stato considerato l’unico criterio e il solo principio. Ritengo che il diritto internazionale non debba essere violato con l’impunità: questo si riflette in documenti come l’atto finale di Helsinki che manca di credibilità.

 
  
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  Roberta Alma Anastase (PPE-DE).(RO) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero unirmi ai colleghi che hanno accolto positivamente la stesura della presente relazione nonché sottolineare il suo valore fondamentale per il futuro dell’Europa.

È importante che il Trattato di Lisbona si concentri sul ruolo dei cittadini e sulla responsabilità delle istituzioni. Questo è il motivo per cui ritengo che, attraverso questa relazione, il Parlamento europeo dimostra di assumere il suo nuovo ruolo nel funzionamento dell’Unione europea. A questo proposito, ribadisco il sostegno a tutte le disposizioni del Trattato che stabiliscono un ruolo consolidato dei parlamenti, a livello nazionale ed europeo.

In secondo luogo, desidero evidenziare i cambiamenti che il Trattato di Lisbona propone in materia di politica estera dell’Unione europea. Passare dalle parole ai fatti è fondamentale per il consolidamento dell’azione europea in tale direzione. Di conseguenza, l’elemento essenziale della relazione è la richiesta di una ratifica da parte di tutti i 27 Stati membri. Esprimo la mia soddisfazione per il fatto che la Romania l’abbia ratificato nel febbraio di quest’anno 2008, diventando così il quarto paese ad aver dimostrato la propria vocazione europea e il fermo desiderio di contribuire a un futuro più prospero dell’Unione europea.

 
  
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  Miloš Koterec (PSE).(SK) Desidero ringraziare i relatori per il loro eccellente lavoro, che definisce in modo chiaro tutti gli aspetti positivi del nuovo Trattato oltre ai suoi punti più deboli. Come dice il proverbio, nessuno è perfetto. Tuttavia, siamo grati per l’alta qualità del Trattato e per il fatto che rispecchia la realtà attuale nell’Unione europea e quindi le opportunità offerte al livello del Trattato.

I relatori sottolineano giustamente che questo Trattato rafforza la responsabilità democratica e le competenze riguardo al potere decisionale, fornendo in questo modo ai cittadini un maggiore controllo sulle attività dell’Unione. Tuttavia, in questo contesto desidero chiedere ai governi degli Stati membri di fornire ai loro cittadini una sintesi appropriata del Trattato di Lisbona, affinché venga compreso da tutti e che ognuno possa decidere con cognizione di causa se essere a favore o contro la normativa: questa dovrebbe essere la regola per tutti gli ordinamenti europei (e non solo europei). Sono certo che i cittadini dell’Unione europea, se ben informati, daranno al Trattato il loro sostegno incondizionato.

Desidero inoltre sottolineare che un documento così importante non dovrebbe diventare oggetto di giochi politici come accade in Slovacchia, dove l’opposizione sta bloccando l’adozione di un testo così progressista e democratico.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, intervengo anch’io in quanto, spero, mi annovero tra i cittadini comuni e onesti dell’Irlanda cui ha fatto riferimento il collega onorevole Farage, anche se credo abbia lasciato l’Aula.

Non mi sorprende che i cittadini irlandesi comuni e onesti siano confusi, poiché sul fronte del “no” hanno una coppia insolita, gli onorevoli McDonald e Farage. È da non credere! Potrei rivolgermi in particolare al Sinn Féin: non possono riconoscere il ruolo dell’Unione europea in pace con l’Irlanda del Nord? Questo è quello che rafforzerà il presente Trattato, non la “militarizzazione” come la chiamano loro.

Per quanto riguarda il ruolo dei parlamenti nazionali, posso affermare quanto segue: consentite loro di assumere il potere che questo Trattato gli conferisce e fate in modo che i comuni cittadini onesti dei paesi li costringano a fare un uso efficace di tale competenza.

Mi rivolgo ora all’onorevole Duff: in Irlanda si sta diffondendo la falsità del Trattato che si modifica “in modo autonomo”; questa è l’invenzione di una mente negativa. Non è vero, non lo è.

Infine, lasciatemi dire al contrario degli oppositori, quali gli onorevoli McDonald e Farage, che questo Trattato è un evento positivo per l’Irlanda e per l’Unione europea, e chiedo ai cittadini in Irlanda di votare “si”.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE).(EN) Signor Presidente, non mi aspettavo di essere chiamata così presto. Ho già formulato il mio intervento, ma desidero solo precisare un punto. Abbiamo ascoltato tutti gli oppositori, coloro che ci dicono che Lisbona militarizzerà ulteriormente l’Unione, che provocherà il dumping sociale e che ci condurrà tutti verso una direzione sbagliata. Dunque, ho perso qualche parte della discussione, ma non ho sentito nessuno commentare l’articolo 49, che sancisce che ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione.

Questo significa che tutti coloro che ritengono di non dover far parte dell’Europa possono consigliare ai loro cittadini di ritirarsi dall’Unione dopo che abbiamo ratificato il Trattato di Lisbona. Pertanto, non hanno scuse per non voler vedere approvato questo Trattato.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, un “si” per il Trattato di Lisbona è un “si” per la Carta dei diritti fondamentali. Quest’ultima è stata inizialmente redatta con lo scopo di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali all’interno dell’Unione europea, alla luce dei cambiamenti nella società, dei progressi sociali e degli sviluppi scientifici e tecnologici, rendendo tali diritti più visibili se contenuti in un documento.

La Carta copre diversi ambiti quali l’assistenza agli anziani e alle persone con disabilità, il rispetto della vita privata e familiare, il divieto della tortura e il diritto a una tutela giuridica effettiva e a un processo giusto. Tali diritti si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione europea nonché agli Stati membri solo quando attuano il diritto comunitario. La Carta non definisce nuove competenze per l’Unione europea, ma semplifica ai cittadini l’individuazione dei loro diritti e delle loro responsabilità nel quadro del diritto europeo.

La Carta è stata solo una dichiarazione politica quando è stata inizialmente decisa, nel 2000. Se gli irlandesi voteranno a favore del Trattato di Lisbona, conferiranno anche lo status di trattato giuridicamente vincolante alla Carta dei diritti fondamentali, di cui beneficeranno tutti i cittadini irlandesi e dell’Unione europea.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI). (FR) Signor Presidente, constato l’imparzialità con cui lei conduce queste discussioni.

Onorevoli colleghi, desidero soltanto sollevare un problema morale facendo riferimento esclusivamente a precedenti dichiarazioni di persone favorevoli alla ratifica del Trattato, che ci hanno detto essere esattamente identico alla Costituzione.

È il caso di Giscard d’Estaing, che è l’esperto e che ha dichiarato precisamente che si tratta della Costituzione, ma presentata sotto diverse spoglie. O di Angela Merkel, che ha pronunciato le seguenti parole, parlando in inglese: “conserviamo il contenuto e cambiamo le parole”. È il caso di Giuliano Amato, l’ex Primo Ministro italiano, che ha affermato che il testo è stato reso illeggibile in quanto, se fosse stato semplice, chiunque avrebbe capito che era una Costituzione e avrebbe chiesto un referendum. Infine è il caso del nostro ex collega de Gucht e del Primo Ministro del Lussemburgo Jean-Claude Juncker.

Pertanto, ritengo che questo inganno praticato a spese del popolo europeo ponga un problema morale.

 
  
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  Jan Zahradil (PPE-DE).(CS) L’Unione europea non è uno Stato, pertanto non necessita di una Costituzione. Deve essere riconosciuto, benché a malincuore, anche dai sostenitori della vecchia Costituzione europea. Purtroppo, non tutti loro si sono rassegnati alla delusione, ragion per cui troviamo il paragrafo 6 di questa relazione che esprime disappunto riguardo ai cambiamenti operati nel nuovo Trattato, opposti al progetto di Costituzione europea.

Credo che questo sia un grave errore. Dopo un percorso difficile, è stato raggiunto un accordo tra i 27 Stati membri. Alcuni governi hanno voluto cambiare il progetto di Costituzione europea e adesso la relazione degli onorevoli de Vigo e Corbett li critica indirettamente per il loro approccio. Secondo me, se il Parlamento voterà a favore del paragrafo 6 della relazione, mancherà di rispetto al difficile consenso ottenuto dai 27 Stati membri, il che potrebbe solo danneggiare l’intera questione. Ovviamente, non posso sostenere tale paragrafo.

 
  
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  Lambert van Nistelrooij (PPE-DE). (NL) Signor Presidente, oltre alla coesione sociale ed economica, il presente Trattato indica esplicitamente il terzo obiettivo per l’intera Unione: la coesione territoriale. Possono esserci raggruppamenti nelle regioni principali dell’Europa, ma al contempo chiediamo opportunità di lavoro e di sviluppo economico in tutta l’Unione. Questa è una base fondamentale per la politica sociale e regionale. È importante che tutto ciò venga elaborato in questo modo e che si renda possibile il trasferimento di conoscenza relativa all’imprenditorialità e all’impiego di risorse e strumenti, si pensi ai Fondi strutturali. Desideravo farlo presente a quest’Assemblea, perché non era stato ancora fatto nel corso della discussione di stamattina. Così agendo, dimostriamo ai nostri cittadini dell’Unione che siamo anche in grado di offrire nuove soluzioni alle nostre nuove situazioni.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE).(PT) Ritengo sia fondamentale in questo momento sottolineare l’importanza e il significato dei segnali nella politica; è nostro dovere inviare i giusti segnali ai cittadini. Anziché proseguire con la discussione in quest’Aula sulle differenze tra Trattato costituzionale e Trattato di Lisbona, o sul modo in cui dovrebbero procedere gli Stati membri nella ratifica del Trattato, non dovremmo discutere su che cosa fare dopo l’entrata in vigore del Trattato, cosa che auspichiamo accada? È questo che abbiamo detto ai nostri cittadini, che la riforma istituzionale era necessaria al fine di raggiungere maggiori e migliori risultati, e tale riforma è adesso realmente davanti a noi.

In un anno di tempo, l’Europa sarà più preparata ad affrontare la globalizzazione, la dipendenza energetica, la crisi demografica, il terrorismo, l’instabilità finanziaria e il cambiamento del mercato del lavoro? Dovrà esserlo. Il Parlamento europeo sarà più deciso al fine di assumere un ruolo attivo nell’approvazione di queste riforme? Di nuovo, dovrà esserlo.

Questo è il giusto segnale da inviare da quest’Aula oggi; non agiamo come nel proverbio cinese che dice che quando il saggio indica il cielo, lo stolto guarda il dito. Guardiamo al nostro futuro, signor Presidente, e accettiamo il nostro dovere di costruirlo.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, sarei interessato a capire, signora Commissario, il grado di accettazione dei diversi protocolli e dei testi del Trattato di riforma. Esistono analisi in cui alcuni punti sono particolarmente vicini al pubblico e altri più problematici? Disponete di risultati di ricerche di mercato intese a mostrare quelli che secondo il pubblico sono i tre principali obiettivi di questo Trattato di riforma, affinché possiamo verificare a che cosa sono interessati i 500 milioni di cittadini dell’Unione europea, il che comproverebbe che tale Trattato di riforma è assolutamente necessario? Sono disponibili analisi o ricerche di mercato su quanto le persone siano informate correttamente, a livello quantitativo e qualitativo, sul Trattato di riforma? Questa sarebbe la base per svelare l’importanza di tale passo di riforma per l’Unione europea.

Quali iniziative lei, in qualità di Commissario, ha in programma di intraprendere nell’immediato futuro al fine di rendere tali informazioni più rapidamente disponibili al pubblico?

 
  
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  Piia-Noora Kauppi (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, se l’Unione europea fosse un’automobile, il Trattato sarebbe la messa a punto del veicolo. È molto importante disporre di nuove strutture, in particolare nel settore della politica estera e della sicurezza, e concordo con coloro che hanno sottolineato l’importanza di una valida politica estera e di sicurezza comune, ma non è sufficiente disporre di buone strutture.

Se non possiamo coordinare la nostra azione, e se non possiamo collaborare realmente ed elaborare messaggi comuni da inviare a un Kissinger o a una Rice, tali messaggi allora non avranno alcun valore. È necessario apportare più contenuti alla discussione, e dobbiamo realmente lavorare in direzione di prospettive comuni.

Adesso abbiamo il veicolo perfetto. Dobbiamo iniziare a guidarlo in una determinata direzione ed è necessario che assumiamo il nostro ruolo nel mondo. Il Trattato ci fornisce gli strumenti per fare tutto questo.

 
  
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  Pál Schmitt (PPE-DE).(HU) La ringrazio signor Presidente. In qualità di eurodeputato in rappresentanza di uno dei nuovi Stati membri, desidero esprimere anche la nostra gratitudine per la solidarietà dimostrataci a livello comunitario, in mancanza della quale i paesi dell’Europa orientale non sarebbero stati in grado di riprendersi dopo 40 anni di occupazione sovietica.

Consentitemi innanzi tutto, quale presidente della delegazione alla commissione parlamentare mista UE-Croazia, di affermare che il Trattato contribuirà a una cooperazione più stretta e più efficace tra gli Stati membri, e al contempo consentirà un’ulteriore allargamento dell’Unione europea inteso a includere quei paesi che accettano e rispettano il sistema di valori comunitario.

A mio parere, il Trattato invia un messaggio positivo ai paesi dei Balcani occidentali che hanno già avviato i negoziati di adesione; li incoraggerà ad accelerare le riforme, poiché pone l’adesione all’Unione europea alla loro portata.

Per concludere, uno dei passaggi più importanti e innovativi del Trattato, secondo me, è senza dubbio il punto in cui vengono garantiti i diritti delle minoranze, facendo della tutela delle minoranze nazionali ed etniche un principio fondamentale dell’Unione europea. Grazie.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, per quanto ne so, sono l’unico deputato a essere responsabile nazionale di referendum, e non mi sento obbligato in alcun modo a dichiarare al popolo tedesco che la sua decisione è molto meno legittima di quella irlandese, semplicemente perché noi avremo una consultazione referendaria e loro hanno motivi costituzionali per non averla.

Che tipo di referendum desiderano coloro che dichiarano la volontà di ottenerlo? Una consultazione referendaria in cui almeno il 50% dei cittadini dell’Unione europea prenda questa decisione per loro, nel qual caso sarebbero i grandi Stati, o una combinazione di grandi e piccoli Stati a decidere per tutti? O intendono che deve esserci oltre il 50% in ogni Stato membro, nel qual caso ogni paese si assume il diritto di prendere la decisione per tutti gli altri! Dov’è la razionalità in tutto questo?

Winston Churchill usava l’espressione “inesattezze terminologiche”. Non dirò altro riguardo ai codardi che si trovano alla mia destra, ma di certo sono i più falsi.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) È stato un grande piacere per me essere presente a questa discussione estremamente interessante e dinamica. Desidero suddividere le mie considerazioni in tre categorie.

La prima categoria riguarda le attività preparatorie da portare a termine al fine di una completa attuazione del Trattato di Lisbona, se e quando entrerà in vigore. Tali attività sono numerose. È necessario prepararsi all’elezione del Presidente del Consiglio europeo e dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, onde istituire un servizio esterno comune e organizzare l’attività nel settore della giustizia e degli affari interni.

Tali attività devono essere condotte con pazienza e responsabilità. Sono convinto che nessuno desidera dare l’impressione che le istituzioni dell’Unione europea o gli Stati membri stanno tentando di accaparrarsi la fetta di torta più grande prima che sia perfettamente cotta.

Pertanto, dobbiamo essere consapevoli che, nonostante la necessità di portare a termine le attività preparatorie, resta il fatto che l’ultima parola nell’attuazione del Trattato di Lisbona spetta agli Stati membri, in altre parole ai parlamenti nazionali e, in un caso, agli elettori. Questo riporta alla mente un dilemma cui più volte si è fatto riferimento oggi e che è stato ampiamente discusso negli ultimi anni: consultazione referendaria o ratifica parlamentare?

Desidero ringraziare gli onorevoli Doyle, Mitchell e gli altri che hanno precisato che è necessario rispettare la decisione degli Stati membri. Ho sottolineato nel mio intervento iniziale che la decisione sul metodo di ratifica del Trattato di Lisbona rientra esclusivamente nella competenza sovrana e nella responsabilità di ciascuno Stato membro.

Tuttavia, devo aggiungere quanto segue: non esiste nulla di sbagliato nella ratifica parlamentare, assolutamente nulla. Ogni Stato membro dell’Unione europea è una democrazia parlamentare rappresentativa e, dopo tutto, questa rispettabile Assemblea, il Parlamento europeo, è un potente simbolo della democrazia rappresentativa.

Ora, qualche parola sul significato della ratifica. A mio parere, la ratifica del Trattato di Lisbona dovrebbe essere considerata non solo nell’attuale contesto, ma anche in un contesto storico e con uno sguardo al futuro. Desidero sottolineare quanto affermato dall’onorevole Schulz e da altri, ossia che dobbiamo ricordare quanto accadeva nel nostro continente cento anni fa, settant’anni fa o forse, come nel caso del mio paese, 20 o meno anni or sono. In breve, è il nostro passato che deve ricordarci costantemente che l’Unione europea ha contribuito in modo rilevante alla pace, alla stabilità e alla prosperità del nostro continente.

Al contempo, dobbiamo prendere in considerazione il futuro. Dobbiamo prepararci per le sfide già riconoscibili che attendono l’Unione europea. È nostra ferma opinione che il Trattato di Lisbona rappresenti un passo nella giusta direzione e ci offra una risposta alle sfide che si possono delineare all’orizzonte.

 
  
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  Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. − (EN) Signor Presidente, questa è stata davvero una discussione animata e interessante, in merito alla quale desidero formulare tre osservazioni.

Prima di tutto, mi soffermerò sull’attuazione, in quanto molti di voi hanno sollevato questioni particolari e specifiche riguardo all’attuazione e al suo seguito. Desidero inoltre dire qualcosa relativamente al dibattito sulla democrazia svoltosi in quest’Aula, e collegarlo alla comunicazione e alla discussione.

Inizierò dalle domande degli onorevoli Deprez, Dehaene, Barón Crespo e Duff; molti di voi hanno chiesto che cosa accade adesso in termini di preparazione all’attuazione del nuovo Trattato di riforma.

Mi aspetto che i lavori preparatori siano in corso in tutte le istituzioni, poiché stiamo valutando ciò che sarà richiesto alle nostre rispettive istituzioni (nel caso della Commissione, la presentazione di proposte legislative specifiche), e ciò che sarà necessario in termini di cooperazione interistituzionale e di preparazioni pratiche. Tutto questo dovrà essere svolto nel pieno rispetto del processo di ratifica attualmente in corso.

Il nostro approccio in sede di Commissione è stato agire in modo assolutamente corretto da un punto di vista formale, rispettando il processo di ratifica: non anticipare ma essere preparati. Credo che sia stato il medesimo approccio adottato in seno al Consiglio, in cui è stato elaborato anche un inventario e, certamente, abbiamo lo stesso parere riguardo agli obblighi che incomberanno alla Commissione.

Ovviamente, coopereremo con il Parlamento, sedendoci intorno a un tavolo per cercare di capire che cosa fare in termini pratici. È positivo che sia in corso anche una discussione nelle rispettive istituzioni al fine di garantire che tutto sia pronto e possa essere gestito in modo assolutamente corretto in termini formali. Ci stiamo inoltre preparando, come ovvio, a iniziare il lavoro pratico.

Si è parlato molto di democrazia ricordando ciò che Churchill, che è stato già citato, diceva in proposito: “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per quelle forme che si sono sperimentate finora”.

Quale che sia il metodo di ratifica scelto, decisione che spetta a ciascun governo di ogni Stato membro, la Commissione lo rispetterà, e riterrà inoltre democraticamente legittima la ratifica da parte dei parlamenti nazionali. Qualsiasi metodo verrà scelto, ci dovrà essere comunicazione con i cittadini.

Informo tutti coloro che hanno chiesto un testo consolidato che il Consiglio ha comunicato che tale testo verrà prodotto, si spera il prima possibile, e che in primavera avremo finalmente il testo consolidato dal Consiglio. So che, ad oggi, è disponibile una buona dozzina di testi definitivi nelle versioni delle diverse lingue. So, inoltre, che la House of Lords e il Senato francese hanno prodotto una versione consolidata, che esiste anche in Germania, ed è disponibile su Internet.

Ciò significa che non possiamo usare quale scusa la mancanza di informazioni disponibili. Tutti i testi sono accessibili, e le informazioni possono essere reperite anche sul sito web della Commissione, che fornisce domande e risposte nonché informazioni specifiche riguardo al Trattato, relative a questioni di particolare contenuto.

Tutti noi siamo tenuti ad aiutare i cittadini ad accedere a tutte le informazioni pertinenti di cui necessitano, nonché a rispondere alle loro specifiche domande.

In risposta a quanto affermato dall’onorevole Rübig, siamo a conoscenza, dai precedenti sondaggi d’opinione dell’Eurobarometro, che le persone si interessano, in primo luogo e soprattutto, delle questioni pratiche, e non molto di quelle riguardanti le istituzioni. Tuttavia, mi aspetto che vari Stati membri conducano sondaggi d’opinione specifici nei rispettivi territori. Ne vedremo molti nei prossimi mesi e la Commissione controllerà tali questioni in generale, attraverso l’Eurobarometro.

Vi prego di informare i cittadini e chiunque incontriate in merito al nostro nuovo sito web, dal nome “Debate Europe”. Abbiamo rilanciato il sito affinché contenesse il Trattato di riforma. Seguite la discussione, e incoraggiate le persone a intervenire e partecipare al dibattito on line.

Consentitemi di dire inoltre che auspico possiamo coinvolgere i giovani e le donne in tale discussione, poiché nel confronto su democrazia e democrazia rappresentativa desideriamo vedere un maggior numero di donne, si spera anche in qualità di leader delle nostre istituzioni e dell’Unione europea in futuro.

Se le donne non si vedono rappresentate, esiteranno nel dare sostegno ai nostri diversi progetti e alle varie decisioni. Pertanto, si tratta anche di un compito e di una missione democratici per tutti noi.

Infine, l’onorevole Nassauer ha precisato un aspetto di estrema importanza sui parlamenti nazionali e sul modo in cui possiamo proseguire in tale ambito e garantirne la complementarietà. Il ruolo maggiore e rafforzato del Parlamento europeo ben si adatta a inserire questa problematica nelle procedure dei parlamenti nazionali di ciascuno Stato membro. Anche questo è qualcosa che dovremo elaborare in modo adeguato e approfondito, con i parlamenti nazionali, che assumono un ruolo fondamentale al quale devono essere completamente preparati.

Vi ringrazio per questa discussione. La Commissione collaborerà a stretto contatto con Parlamento e Consiglio al fine di predisporre l’attuazione e compirà ogni sforzo inteso a comunicare e ad assicurarsi che i cittadini abbiano accesso a tutte le informazioni e ai forum di discussione per parlare del futuro dell’Europa.

 
  
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  Richard Corbett, relatore. − (EN) Signor Presidente, questa discussione ha dimostrato che, in Parlamento, i rappresentanti eletti dai cittadini dei nostri 27 paesi approvano il presente Trattato a maggioranza molto ampia, che lo sostengono inoltre ogni singolo partito al governo nei nostri Stati membri e quasi tutti i principali partiti di opposizione, ad eccezione dei conservatori britannici, naturalmente.

È inoltre appoggiato da tutti i principali partiti cristiano-democratici, socialisti e liberaldemocratici in tutti i paesi, dalla maggior parte dei partiti dei Verdi e persino dai partiti conservatori, eccezion fatta, ovviamente, per i conservatori britannici. L’opposizione al Trattato viene soprattutto dall’estrema destra e da qualcuno dell’estrema sinistra di quest’Aula. È, dunque, bizzarro assistere a questa nuova alleanza politica stretta tra il Sinn Féin e il partito conservatore britannico, in opposizione al Trattato.

Alcuni di loro hanno dichiarato oggi in quest’Aula che il presente Trattato è stato adottato senza che noi avessimo accesso ai documenti, che non è stato pubblicato alcun testo consolidato. Tuttavia, come ho precisato ieri, numerosi Stati membri ne hanno diffuso una versione definitiva.

Inoltre, lamentano, come l’onorevole Bonde, che questo non riporta gli emendamenti al Trattato, ma tali emendamenti sono ovviamente disponibili in ogni lingua sulla Gazzetta Ufficiale da dicembre. Detto in tutta onestà, qualsiasi eurodeputato che afferma di non essere stato in grado di leggere il testo non sta svolgendo il lavoro per cui è pagato. È pura pigrizia.

In secondo luogo, alcuni di loro si sono presentati qui affermando che il Parlamento europeo dovrebbe chiedere un referendum. Trovo piuttosto divertente che coloro che si oppongono a che il Parlamento europea sia investito di poteri, che sono contrari al fatto che l’Unione europea sia in grado di dire agli Stati membri cosa fare, vengano qui per affermare che dovremmo dire agli Stati membri sovrani quali dovrebbero essere le rispettive procedure interne per la ratifica di un trattato internazionale. Questa è ipocrisia all’ennesima potenza.

Infine, noto che molti di loro si sono assentati per lunghi periodi dalla discussione, poiché erano fuori dall’Aula vestiti da polli. Ritengo sia molto simbolico. Loro sono polli, in quanto si sono astenuti dalla discussione in questa sede, perché temono il verdetto del dibattito democratico, un verdetto che è di gran lunga positivo riguardo al Trattato: è un buon Trattato che migliorerà e democratizzerà la nostra Unione.

(Applausi)

 
  
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  Íñigo Méndez de Vigo, relatore. (ES) Signor Presidente, oggi si è fatto riferimento all’integrazione europea da un punto di vista storico.

L’Unione europea che abbiamo costruito negli ultimi 50 anni è l’Europa della discussione e del dialogo, l’Europa del rispetto per gli altri, l’Europa del mettersi nei panni degli altri al fine di comprenderli. Questo concetto è stato sottolineato dalla grande maggioranza di quest’Assemblea nel dibattito svoltosi oggi.

Tuttavia, nel dibattito era presente anche un’altra Europa, signor Presidente, che io chiamo l’Europa delle tre “c”: l’Europa del conflitto, della condanna e della non considerazione. In qualità di democratici non apprezziamo questa Europa, in quanto riteniamo che possano e debbano esserci discussione e dialogo e nessuna condanna.

Signor Presidente, penso che oggi siano state dette molte cose qui, alcune delle quali completamente false.

Ne citerò una in particolare: è stato detto che il Trattato di Lisbona contiene nuovi livelli di maggioranza qualificata, il che è vero, ma è stato omesso che tale Trattato significa una maggiore partecipazione del Parlamento europeo. Come si può essere membri di quest’Assemblea e non desiderare che partecipi maggiormente alle decisioni politiche che interessano il popolo europeo?

(Applausi)

Concluderò, signor Presidente, citando Miguel de Cervantes il quale, ormai vecchio e alla fine della vita, disse che ci sono occasioni in cui dobbiamo decidere se essere una strada o una locanda. Essere una locanda vuol dire fermarsi in un posto; essere una strada vuol dire andare avanti.

Mi auguro, signor Presidente, che, come farà il mio gruppo politico e la maggior parte dei gruppi politici in quest’Aula, voteremo a favore del Trattato di Lisbona con il cuore e la mente. Usiamo il voto democratico al fine dare legittimità democratica a chi tra noi desidera più Europa per tutti gli europei.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Procederemo ora alla votazione. Questo è il primo punto del turno delle votazioni, che inizierà immediatamente.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Bairbre de Brún (GUE/NGL), per iscritto. (GA) È doveroso dire che, tutto sommato, l’Unione europea è stata positiva per l’Irlanda.

Tuttavia questo referendum è sul Trattato di Lisbona, e non è importante se l’Unione europea ha costituito o meno un vantaggio per l’Irlanda.

Il Trattato di Lisbona conferisce la competenza esclusiva in materia di politica commerciale alle istituzioni europee, compresi i negoziati degli accordi commerciali internazionali. Dota inoltre la Commissione di maggiore potere nell’avviare e condurre negoziati, tra cui i negoziati degli accordi commerciali internazionali, prima di riferire al Consiglio dei ministri. Nell’articolo 10 A si legge “attraverso la progressiva abolizione delle restrizioni agli scambi internazionali” ed è un principio guida per la Commissione nella sua interazione con i paesi terzi. Da ottobre 2006, l’Unione europea ha compiuto uno sforzo al fine di eliminare gli “ostacoli transfrontalieri” nei suoi rapporti con i paesi in via di sviluppo. Tali ostacoli sono la normativa ambientale, in materia di tutela dei consumatori e di salute, e non si tiene conto delle conseguenze associate alla loro eliminazione. Una volta considerati i due aspetti, si rivela molto del significativo passo indietro dell’Unione europea per quanto riguarda il suo approccio nell’affrontare la povertà e la disuguaglianza nel mondo.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Nel momento in cui è in corso il processo di ratifica del Trattato di Lisbona, il Parlamento europeo va ancora una volta oltre le proprie competenze, nel tentativo di influenzare l’opinione pubblica con una relazione che esprime la sua approvazione al Trattato e sollecita tutti gli Stati membri dell’Unione europea a ratificarlo in tempo affinché entri in vigore il 1° gennaio 2009. Questa è una vera manovra politica, dato che la competenza del Parlamento non contempla l’adozione dei Trattati europei. Gli Stati membri hanno la competenza in questo settore: in origine attraverso la Conferenza intergovernativa e successivamente con la ratifica da parte di ciascuno Stato membro, in conformità della costituzione di ogni paese.

Poiché l’Unione europea adesso auspica di eludere le consultazioni referendarie al fine di evitare un altro rifiuto del Trattato, come accaduto in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005, in linea di principio solo in Irlanda si terrà un referendum.

Evitare i referendum attraverso una gran varietà di pretesti, rivela un timore delle conseguenze di concedere il voto ai cittadini in Portogallo e in altri Stati membri. Tali paesi sono consapevoli che il contenuto del Trattato è identico a quello della “Costituzione europea”. È stato cambiato il nome semplicemente allo scopo di ingannare i cittadini in una vera e propria frode politica. Pertanto ci opponiamo alla relazione.

 
  
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  Katrin Saks (PSE), per iscritto. – (ET) Il Trattato di Lisbona è la questione più importante per l’Unione europea, in quanto è in gioco il futuro dell’Europa, poiché è il modo in cui farà fronte a un mondo che cambia di anno in anno più rapidamente di noi. Ho le seguenti tre osservazioni.

1) Primo, accolgo positivamente il fatto che la Francia, dove è cominciata la crisi che accompagna il trauma del referendum, sia stato il primo dei “vecchi paesi europei” a ratificare il Trattato, agendo pertanto quale esempio per gli altri per una sicura prosecuzione dell’integrazione europea.

2) Secondo, spero che nel corso della ratifica gli Stati membri non inizino a impiegare il Trattato quale strumento politico, come accaduto in Slovacchia, dove l’opposizione, nonostante fosse a favore del Trattato, ha subordinato la ratifica alla rinuncia di un progetto di legge da parte del partito di governo, con il quale l’opposizione non concordava. Le questioni più importanti dell’Unione europea non devono essere compromesse dai problemi nazionali!

3) Infine, desidero esprimere l’auspicio che il Trattato di riforma ponga fine all’assurdità avanzata da alcuni politici europei secondo cui possiamo continuare con i vecchi Trattati. È esattamente il contrario, la globalizzazione non richiede solo maggiore dedizione nel rendere le aspirazioni una realtà, ma anche un più ampio consenso riguardo alla forma delle politiche comunitarie e a un nuovo documento di base con cui attuarle.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. PÖTTERING
Presidente

 

4. Turno di votazioni
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati e altri dettagli sulla votazione: vedasi processo verbale)

 

4.1. (A6-0013/2008, Richard Corbett) Trattato di Lisbona (votazione)
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 29

 
  
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  Richard Corbett, relatore. − (EN) Signor Presidente, desidero solo chiarire che questo emendamento deve essere inserito, come nel nostro elenco di votazione, al paragrafo 2, lettera c), la sua posizione più adatta nel testo, anziché al paragrafo 5, lettera e).

 
  
  

– Dopo la votazione sulla proposta di risoluzione

(L’Assemblea, in piedi, applaude lungamente)

(Proteste dai banchi del gruppo IND/DEM)

 
  
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  Presidente. − Onorevoli colleghi, avete votato a favore del Trattato di riforma con una maggioranza schiacciante. Questa è l’espressione della libera volontà dei cittadini che rappresentate. Mi congratulo con voi di cuore per questo risultato convincente. Il Parlamento europeo rappresenta il popolo d’Europa. Questo Trattato conferisce all’Unione europea maggiore capacità giuridica di agire e garantisce più democrazia.

(Applausi)

Difendiamo i valori comuni europei e non permetteremo mai a coloro che alzano di più la voce di dominare la discussione aperta, che siano contro o a favore. Questa è un’Europa libera e democratica. Molti complimenti per il risultato convincente!

(Applausi)

(Proteste dai banchi del gruppo IND/DEM)

Mi rivolgo a coloro che hanno chiesto le votazioni nominali sugli emendamenti che non contengono nulla se non il problema di dover spiegare ai loro elettori quanto costa. Vi dico, sicuro come lo sono del fatto che siete seduti adesso in quest’Aula, che quello che avete fatto danneggerà la vostra reputazione. Credo che i vostri genitori si vergognerebbero di vedervi così.

(Applausi)

 

4.2. (A6-0471/2007, Ona Juknevičienė) Censimento della popolazione e delle abitazioni (votazione)

4.3. Strategia di Lisbona (votazione)
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 12

 
  
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  Udo Bullmann (PSE).(DE) Signor Presidente, vorrei suggerire una modifica all’emendamento 12 che, ovviamente, non lo sostituisce ma aggiunge una formulazione alla seconda frase. Tale espressione recita:

(EN) “o accordi collettivi nel rispetto delle tradizioni nazionali”. Da inserire dopo “accordi legalmente e generalmente vincolanti”, e prima di “che consentano ai lavoratori a tempo pieno di guadagnare in modo da vivere in condizioni decorose”.

(DE) Un emendamento che suggerisce di aggiungere questa espressione è volto a tener conto delle condizioni della Scandinavia ed è stato concordato con i correlatori e i gruppi che l’hanno richiesto.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto.)

 

4.4. (A6-0029/2008, Margarita Starkevičiūtė) Orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione (votazione)
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 39

 
  
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  Margarita Starkevičiūtė, relatrice. − (EN) Signor Presidente, ora disponiamo di un testo in cui è scritto che “incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione”, a cui desidero aggiungere le parole “nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto.)

 
  
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 6

 
  
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  Margarita Starkevičiūtė, relatrice. − (EN) Signor Presidente, vorrei solo chiarire la questione. Se questi emendamenti non vengono accolti, allora dovremmo eliminare i punti 2 e 3 dell’indirizzo di massima n. 7, che ho ripetuto nel n. 15. Questo vale anche per l’emendamento del gruppo PSE, e vorrei chiedere ai gruppi di votare come ho detto, al fine di evitare doppioni del testo.

 
  
  

– Dopo la votazione sulla proposta di risoluzione

 
  
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  Pervenche Berès (PSE). (FR) Signor Presidente, abbiamo appena modificato gli indirizzi di massima per le politiche economiche con una maggioranza molto ampia.

Il Commissario Almunia non è presente in Aula, ma chiedo alla signora Commissario di sostenere in modo molto deciso le nuove proposte che il Parlamento europeo sta formulando al fine di migliorare la situazione economica di tutti i nostri cittadini.

(Applausi)

 

4.5. (A6-0503/2007, Cem Özdemir) Strategia comunitaria per l’Asia centrale (votazione)
  

– Prima della votazione sul paragrafo 63

 
  
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  Alojz Peterle (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, desidero informare i miei colleghi del gruppo PPE-DE che c’è un errore nella seconda parte del voto a maggioranza. Il risultato corretto è “no”, non “sì”.

 
  
  

– Prima della votazione sul paragrafo 69

 
  
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  Cem Özdemir, relatore. − (DE) Signor Presidente, il presente emendamento orale intende rendere più preciso il testo nonché aggiornarlo. Proponendolo, ho anche soddisfatto la volontà del relatore ombra. Lo leggo in inglese:

(EN) “Accoglie con favore, quale passo positivo per la riforma del sistema penale dell’Uzbekistan, l’approvazione, da parte del parlamento uzbeko, delle leggi sull’abolizione della pena di morte e l’autorizzazione dei tribunali per rilasciare mandati d’arresto. Chiede una revisione globale del sistema penale che promuova effettivamente l’attuazione delle riforme suddette”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto.)

– Prima della votazione sull’emendamento n. 17

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, prima di procedere con la votazione finale, volevo dire che sono sconcertato, in quanto i miei paurosi vicini sono scomparsi. Ne resta solo uno.

 
  
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  Presidente. − Lo annoteremo nel processo verbale, ma preferirei non commentare il fatto.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. EDWARD McMILLAN-SCOTT
Vicepresidente

 

5. Dichiarazioni di voto
  

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

– Relazione Richard Corbett, Iñigo Méndez de Vigo (A6-0013/2008)

 
  
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  Frank Vanhecke (NI). (NL) Signor Presidente, la votazione sulla relazione Corbett-Méndez de Vigo appena svolta è l’ulteriore conferma da parte di questo Parlamento della condotta che abbiamo assunto da molto tempo: quella del totale disprezzo della volontà espressa democraticamente dalla maggioranza in Francia, nei Paesi Bassi e altrove. Nonostante quest’Assemblea sostenga di rappresentare tutti i cittadini europei, questi ultimi in realtà non hanno alcuna voce in capitolo. Quando il Presidente del Parlamento, l’onorevole Pöttering, ha detto poco fa che, con questa votazione, il Parlamento esprimeva l’opinione della maggioranza dei cittadini europei, non ha fatto altro che dire una patetica bugia. Il Parlamento non ha fatto alcuna richiesta affinché venisse rispettata la volontà popolare, né affinché venisse indetto un referendum in tutti gli Stati membri. Al contrario, l’unica cosa che quest’Assemblea ha richiesto è stata che la copia dell’ultima Costituzione entrasse in vigore quanto prima. Purtroppo, quest’Aula non rappresenta i cittadini, ma solo il consenso dell’élite dell’Europa ufficiale.

 
  
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  Syed Kamall (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ho votato contro la relazione poiché, ancora una volta, l’élite politica dell’Unione europea sta cercando di introdurre forzatamente il Trattato costituzionale senza consultare i cittadini europei. Il governo britannico ha promesso un referendum su questo Trattato, che adesso pretende sia qualcosa di diverso. È sufficiente che ascoltiate le parole di ciascun leader, come Valéry Giscard d’Estaing, per comprendere che davvero non c’è alcuna differenza.

Mi rivolgo a voi, élite politica europea, per dirvi che se pensate di costruire un progetto europeo, lo state facendo senza la volontà dei cittadini, e di fatto costruite un castello di sabbia. Alla fine, disse una volta il grande Jimi Hendrix, i castelli di sabbia cadono nel mare. La ratifica della Costituzione europea, nonostante sia stata respinta in due consultazioni referendarie, è antidemocratica, vigliacca e illegittima.

 
  
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  Daniel Hannan (NI).(EN) Signor Presidente, nei miei otto anni in questo Parlamento, ho sentito alcune richieste piuttosto assurde avanzate in Aula, ma un premio speciale per l’ipocrisia va all’affermazione che abbiamo appena fatto nell’approvare questo Trattato con un voto ampio che ha rappresentato un libero esercizio della volontà dei cittadini d’Europa.

Sapete molto bene che è falso, voi che avete applaudito così calorosamente quando sono state pronunciate queste parole. Ne siete consapevoli, e posso dimostrarlo, in quanto di solito eravate a favore dei referendum finché non è stato chiaro che li avreste persi. Infatti, questa votazione non ha fatto altro che sottolineare la lontananza degli eurodeputati dai loro elettori. La cancellazione dei referendum è un atto di vigliaccheria e una rinuncia alla leadership, e voi lo sapete.

Se mi sbaglio, dimostratemelo. Sottoponete il Trattato ai referendum che avete sostenuto quando pensavate di vincerli. Sottoponete al voto il Trattato di Lisbona. Pactio Olisipiensis censenda est!

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, desidero spiegare brevemente il motivo della mia astensione. Ritengo non dobbiamo dimenticare che il nostro Parlamento non ha competenza su questa materia: rientra infatti tra quelle degli Stati membri, e dobbiamo rispettarlo. Sono loro a decidere se adottare o meno il Trattato di Lisbona.

Adesso credo dovremmo soffermarci e ricordare che cosa sono i rapporti di forza. Personalmente, sono dell’opinione che bisognerebbe lasciare che la decisione venga presa dagli Stati nazione. Non sarebbe una cattiva idea se si chiedesse al pubblico, in quanto il processo decisionale acquisterebbe maggiore legittimità se venisse consentito ai cittadini di influenzarlo.

Il Trattato presenta molte parti valide, ma ve ne sono anche che non possono essere accettate, e penso a questo dal punto di vista di uno Stato membro, la Finlandia, il mio paese, poiché ci sono molti aspetti che non possiamo accettare. In ogni caso, il potere decisionale in questi ambiti resta tuttavia nelle mani dei parlamenti nazionali.

(Applausi)

 
  
  

– Proposta di risoluzione sulla strategia di Lisbona (B6-0073/2008)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).(SK) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sulla strategia di Lisbona, che sarà presente nell’agenda del Consiglio europeo di primavera. Concordo con i relatori sul fatto che la strategia di Lisbona avrà successo solo se attinge alle risorse umane in un contesto favorevole e propenso all’apprendimento, alla conoscenza, alla scienza, alla ricerca, alla cultura, all’informazione e all’innovazione.

Al fine di raggiungere gli obiettivi della strategia di Lisbona sono necessari tre protagonisti: le accademie quali architetti della conoscenza, le imprese che sanno come impiegare tale conoscenza nella pratica, un settore pubblico e gli enti dei governi locali che possano creare infrastrutture stabilmente sostenibili per la scienza, la ricerca e lo sviluppo a livello nazionale e regionale. L’innovazione necessita di investimenti finanziari: i finanziamenti porteranno conoscenza e la conoscenza investita nell’innovazione accrescerà il contributo finanziario. Solo le piccole e medie imprese che hanno inventiva e sono creative possono sopravvivere alla concorrenza aggressiva. Ritengo che l’Europa sarà in grado di trovare il suo posto al fianco del treno della conoscenza americana e giapponese del XXI secolo.

 
  
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  Ivo Strejček (PPE-DE).(CS) Non ho votato a favore della relazione e, con il vostro permesso, vorrei spiegare i motivi di una simile decisione.

In primo luogo, l’intero testo presenta l’Unione europea come una potenza economica e sociale globale. In secondo luogo, nel documento si parla di un cosiddetto ruolo di guida per l’Unione europea nel mondo e si crede ciecamente che il resto del mondo si svilupperà secondo i desideri della stessa Unione. Inoltre, si dichiara che l’Unione europea svolgerà un ruolo preminente nella creazione di una sorta di norme globali. La strategia di Lisbona, poi, rende la cooperazione economica con i paesi terzi subordinata all’applicabilità delle principali norme in materia di lavoro e deriva esplicitamente dal cosiddetto Trattato di Lisbona, nonostante non sia stato ancora ratificato dalla maggior parte degli Stati membri. La dichiarazione chiede l’introduzione di un salario minimo in paesi che non lo prevedono.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE).(DE) Il partito popolare austriaco Europaklub al Parlamento europeo ha votato con entusiasmo a favore della relazione Corbett-Méndez de Vigo perché il Trattato di Lisbona dà forza ai cittadini d’Europa, agli Stati membri e all’Unione europea. I cittadini, assieme ai parlamenti che li rappresentano, sono i vincitori. Alla luce della discussione sul Kosovo, ci rendiamo conto dell’importanza di questo Trattato, poiché è grazie a esso che realizzeremo con molta più probabilità una politica estera e di sicurezza comune. Rendere la Carta dei diritti fondamentali giuridicamente vincolante ci mostra il modo di rendere possibili i diritti fondamentali per tutti i cittadini dell’Unione europea. Chiunque non sia a favore di questo Trattato nella sua interezza è contro i propri cittadini. Dobbiamo continuare a sostenere le persone e avvicinare a loro il Trattato.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione in cui credo con tutto il cuore, poiché crea un equilibrio tra le disposizioni economiche e sociali che deve essere trovato perché, per la prima volta, viene introdotta in quest’Aula un’Europa sociale e gli Stati membri sono stati coinvolti dall’ampia maggioranza di questo Parlamento a elaborare misure per introdurre un salario minimo. Sono soddisfatto che la maggioranza sia stata in grado di evitare disposizioni intese ad abolire risultati a livello sociale, quali per esempio la direttiva sull’orario di lavoro, e l’esportazione oltre frontiera dei vantaggi sociali. Pertanto, nel complesso ho votato con entusiasmo affinché questo equilibrato pacchetto di misure venga approvato.

 
  
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  Nirj Deva (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, desidero far presente che ho votato contro la relazione sul Trattato di Lisbona. Il gioco è stato scoperto e abbiamo eliminato anche ciò che era positivo. Nel tentativo di creare un mercato comune, abbiamo in realtà, furtivamente, creato un paese comune.

Ci siamo rifiutati di coinvolgere i nostri cittadini nel processo e abbiamo negato loro il naturale diritto di potersi esprimere sul modo in cui dovrebbero essere governati, ignorando, il più possibile, il fatto che avrebbero dovuto avere un referendum.

Come possiamo dire alla nostra gente, ai nostri elettori, che questo Parlamento rappresenta i loro punti di vista, se non permettiamo loro di essere ascoltati? Il governo britannico, in particolare Gordon Brown, ha promesso un referendum. Brown e Blair, nello specifico, hanno dichiarato che avrebbero concesso un referendum al popolo britannico. Sono molto, molto spiacente per questo giorno e per le promesse infrante dal governo laburista.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN).(PL) Signor Presidente, nella votazione sul Trattato di Lisbona sono stata obbligata ad astenermi. Nella mia lingua, e in Polonia, il Trattato non è disponibile. Il mio elettorato non ha avuto l’opportunità di prendere familiarità con esso e, dopo tutto, mi trovo qui per rappresentare i suoi punti di vista e interessi, e non solo le mie convinzioni. Lunedì, qui nel Parlamento europeo, è stata presa la decisione di votare oggi su un documento che alcuni tra noi non hanno la possibilità di leggere nella versione consolidata nelle rispettive lingue. Solo uno stupido o un disonesto può prendere una decisione su un documento dal contenuto inaccessibile. Questo è il motivo per cui mi sono astenuta.

 
  
  

– Relazione Margarita Starkevičiūtė (A6-0029/2008)

 
  
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  Ivo Strejček (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, ho votato contro la relazione per le seguenti ragioni.

Nella relazione si parla di una più equa distribuzione dei profitti e introduce il concetto di piena occupazione attraverso gli investimenti pubblici. Il tentativo è quello di compensare il cosiddetto fallimento del mercato attraverso i contributi fiscali: introducendo le ecotasse e sostenendo la scienza e la ricerca per mezzo di sgravi fiscali, che renderanno i regimi fiscali meno trasparenti e richiederanno una nuova normativa europea.

 
  
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  Philip Claeys (NI). (NL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Starkevičiūtė, poiché il passaggio riguardante l’immigrazione dimostra la tipica ristrettezza di vedute che ci è già costata tanto. È evidente che ci sono coloro che vedono una ripetizione degli errori degli anni ’60 e ’70, quando si pensava solo a breve termine e gli esseri umani erano considerati beni materiali. I risultati di tale politica sono adesso visibili nelle nostre città: disoccupazione diffusa, criminalità, lo sviluppo di società parallele. Anziché imparare dagli errori del passato, continuiamo ostinatamente sul medesimo percorso. Adesso sta diventando persino peggiore, essendoci una proposta di realizzare una politica in materia di immigrazione che “integri” le politiche degli Stati membri. È certo che questo porterà ancora più lassismo di quello cui già assistiamo, e che è probabilmente l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI). (NL) Signor Presidente, non ho votato a favore di questa relazione come il mio collega, l’onorevole Claeys. Certamente, molti aspetti del documento sono reali e pertinenti quali, per esempio, la modernizzazione dei mercati del lavoro, gli investimenti nell’imprenditorialità e la semplificazione dei regimi fiscali, che in esso sono sostenuti. Tuttavia, quest’Assemblea sta mancando completamente il bersaglio se considera una politica europea in materia di migrazione che attiri i migranti economici quale punto di riferimento della strategia di Lisbona. Inoltre, l’apertura economica non è una cura miracolosa all’immigrazione clandestina, come è stato affermato, ma piuttosto il controllo rafforzato delle frontiere esterne dell’Unione, un rifiuto di ogni politica nazionale e di legalizzazione di massa e una politica risoluta di espulsione degli immigrati clandestini.

 
  
  

– Relazione Cem Özdemir (A6-0503/2007)

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, abbiamo approvato un documento importante sulle relazioni tra l’Unione europea e l’Asia centrale. È un esempio della nostra volontà di condividere esperienza e valori che in Europa sono universali, e di convincere le nuove democrazie di questa regione del mondo di tali valori. Questi paesi hanno compiuti enormi passi avanti in direzione dello sviluppo economico. Tuttavia, devono intraprendere iniziative risolute mirate a evitare la violazione di diritti umani e libertà fondamentali ed essenziali. Devono affrontare una serie di problemi, in particolare l’aumento del traffico di droga, la criminalità organizzata, la corruzione e la tratta di esseri umani. Un’altra questione di base dovrebbe essere il miglioramento dei contatti tra i nostri cittadini, promuovendo lo scambio culturale e istituendo un programma speciale di sovvenzioni destinate ai giovani per studiare nelle scuole europee, avvicinandosi così ai valori e alle norme europee.

Auspichiamo che i nostri partner di Kazakistan, Repubblica del Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan abbiano successo nella strada verso la prosperità, la libertà e la democrazia, e possano così sostenere altri in futuro e condividere i loro risultati.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

− Relazione Richard Corbett, Iñigo Méndez de Vigo (A6-0013/2008)

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. − (SV) Oggi, noi socialdemocratici svedesi abbiamo votato a favore della relazione sul Trattato di Lisbona. Sosteniamo il nuovo Trattato, tuttavia comprendiamo che il fatto che due Stati membri abbiano rifiutato la Costituzione proposta, ha significato che eravamo obbligati ad apportare cambiamenti. Pertanto, non condividiamo il punto di vista secondo cui è deplorevole che la bandiera e l’inno siano stati eliminati dal Trattato. A differenza della maggior parte del Parlamento, riteniamo sia positiva l’introduzione di un “acceleratore d’emergenza” nel processo decisionale in settori sensibili in termini di sovranità nazionale.

Sosteniamo il principio di solidarietà e respingiamo quindi la richiesta del Parlamento europeo di indire referendum negli Stati membri. È una questione che ciascuno Stato membro deve decidere da solo.

Infine, desideriamo commentare la votazione sull’emendamento n. 36 relativo alla causa Laval. Abbiamo deciso di non votare in modo favorevole sulla prima parte in quanto riteniamo ci siano differenze tra il vecchio Trattato e il Trattato di Lisbona, per esempio nella Carta dei diritti, che sancisce tra l’altro il diritto ad azioni di sciopero in conformità delle procedure nazionali. Sosteniamo le disposizioni della Carta dei diritti nonché la seconda parte dell’emendamento che tutela il diritto alle vertenze sindacali. Desideriamo precisare che tale posizione è condivisa dal nostro gruppo politico in Parlamento che ha scelto di votare contro la proposta poiché la relazione riguarda il Trattato e non la causa Laval.

 
  
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  Batten, Bloom, Booth, Clark, Farage, Nattrass, Titford e Whittaker (IND/DEM), per iscritto. − (EN) Benché l’UKIP non approvi il Trattato di Lisbona, ci siamo astenuti sull’emendamento n. 31 in quanto non siamo d’accordo sulla motivazione dell’emendamento.

 
  
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  Pervenche Berès (PSE), per iscritto. – (FR) Poiché il Presidente Sarkozy non era in procinto di indire una consultazione referendaria, credo ancora fermamente che l’astensione fosse la posizione che i socialisti dovevano assumere nel parlamento francese. Tuttavia, il solo fatto che il Presidente francese abbia svolto un pessimo lavoro negoziale riguardo a questo Trattato e che abbia ignorato il voto dei francesi, non vuol dire che non dovremmo rispondere alla domanda postaci quest’oggi.

Il Trattato è ben lungi dall’essere perfetto, ma ci consente di avvicinare il dibattito istituzionale e dotare l’Europa di norme che gli consentono di funzionare. Oggi, i socialisti dovrebbero far sentire la propria opinione riguardo ai cambiamenti di politica, la questione principale nella revisione delle prospettive finanziarie, la Presidenza francese dell’Unione europea, e l’impegno del PSE nel redigere il suo programma per le prossime elezioni.

Un “no” avrebbe reso possibile eliminare le politiche dal testo che avrebbe dovuto essere una Costituzione, in quanto obbliga l’Europa a concentrarsi sul problema degli obiettivi del progetto europeo, il che è molto importante.

Tuttavia, poiché desidero che questo testo venga approvato al fine di poter essere coinvolta nei prossimi negoziati sulle politiche, e poiché il mio “no” di due anni fa era a favore dell’Europa, mi assumo le mie responsabilità e sostengo il Trattato di Lisbona.

 
  
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  Adam Bielan, Marcin Libicki e Konrad Szymański (UEN), per iscritto. (PL) Ci siamo astenuti nella votazione finale della relazione sul Trattato di Lisbona, poiché tale documento è andato ben oltre gli accordi raggiunti ai vertici dell’Unione europea a Bruxelles e Lisbona.

Il Trattato di Lisbona è stato un compromesso molto difficile per tutte le parti coinvolte. Andare oltre tale compromesso (come sottolineato dalle dichiarazioni di un’assenza di simboli comunitari, di accordi sul sistema di votazione del Consiglio relativo alle clausole di opt-in e opt-out e alla Carta dei diritti fondamentali), è dannoso in termini politici per il processo di ratifica.

Inoltre, non possiamo sostenere i punti che costituiscono una preparazione alle campagne intese alla costituzionalizzazione dell’Unione.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. (PT) Il Trattato di Lisbona è il miglior compromesso per superare la crisi istituzionale e per portare una maggiore flessibilità ai meccanismi del processo decisionale essenziali affinché un’Unione europea allargata a 27 Stati membri funzioni nell’attuale mondo globalizzato e in costante cambiamento.

Plaudo al fatto che l’Unione europea venga dotata di personalità giuridica, e che la struttura a tre pilastri venga eliminata a favore di un quadro istituzionale unico e dell’applicazione transfrontaliera del metodo comunitario.

Sono soddisfatto delle misure intese ad aumentare trasparenza e affidabilità, nonché a rafforzare la partecipazione e i diritti dei cittadini europei a livello delle informazioni e attraverso l’iniziativa dei cittadini di carattere legislativo.

Accolgo con favore i cambiamenti relativi allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in cui l’azione comporterà obiettivi più ambiziosi e procedure più efficaci, senza più l’utilizzo di strumenti e procedure intergovernative.

Valuto positivamente il maggiore coinvolgimento dei parlamenti nazionali, in particolare nel controllare il rispetto del principio di sussidiarietà.

Mi spiace che siano state decise varie concessioni, per esempio rimandare l’applicazione di importanti elementi, come l’entrata in vigore di un nuovo sistema di votazione in seno al Consiglio, e le clausole opt-in e opt-out di Gran Bretagna e Irlanda riguardo a questioni che in precedenza rientravano nel terzo pilastro; temo che l’introduzione di un Presidente del Consiglio europeo eletto significherà perdere i vantaggi della rotazione delle Presidenze senza apportare alcun valore aggiunto al funzionamento dell’Unione europea, creando problemi nelle relazioni tra le istituzioni.

 
  
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  Paul Marie Coûteaux, Patrick Louis e Philippe de Villiers (IND/DEM), per iscritto. (FR) Il Parlamento europeo ha appena approvato il Trattato di Lisbona, nonostante nessuno ne abbia fatto richiesta.

La delegazione del Mouvement pour la France al Parlamento europeo ha ovviamente votato contro questa relazione, consapevole della natura puramente simbolica di tale azione.

È significativo che i rappresentati eletti francesi e olandesi che siedono a Strasburgo votino a favore del Trattato ammettendo chiaramente che è un clone della defunta Costituzione europea, nonostante i loro cittadini abbiano ufficialmente respinto il testo. È inoltre significativo che il Parlamento europeo voti su un Trattato anche se nessuno dei suoi deputati ha potuto leggerne una versione consolidata. Dopo che il parlamento ungherese l’ha ratificato al buio, il Parlamento europeo approva un testo che non ha letto.

La delegazione del MPF al Parlamento europeo augura ora tutta la fortuna agli irlandesi amanti della libertà: il loro referendum non sarà solo loro; voteranno a nome di chiunque non abbia avuto l’opportunità di farlo, in particolare dei francesi, il cui voto è stato ignorato.

 
  
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  Manuel António dos Santos (PSE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa relazione e sostenuto la rispettiva risoluzione.

Tuttavia, all’ultimo momento, si è verificato un problema con la macchina per il voto, e non sono stato quindi materialmente in grado di esprimere il mio totale appoggio.

Affinché venga registrato adeguatamente, presento questa dichiarazione di voto.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questa è una deprecabile risoluzione del Parlamento europeo con il solo scopo di confondere i cittadini ed esercitare pressioni sugli Stati membri affinché ratifichino il Trattato di Lisbona, visto che il Parlamento europeo non ha la competenza per tale approvazione. Solo gli Stati membri possono ratificarlo.

Nonostante ciò, nel corso della discussione e della votazione, abbiamo sostenuto le iniziative democratiche finalizzate a introdurre un elemento di pluralismo nel dibattito e abbiamo sottolineato la necessità di una maggiore democrazia, chiedendo i referendum. Questo è il motivo per cui il nostro gruppo ha presentato alcune proposte di risoluzione, purtroppo respinte, che esprimevano la nostra opposizione al Trattato di Lisbona, sottolineando alcuni degli aspetti più preoccupanti in esso contenuti, quali la tendenza alla militarizzazione dell’Unione europea strettamente legata alla NATO, che impone un aumento della spesa militare e stabilisce lo svolgimento di operazioni militari al fine di preservare i valori dell’Unione e di servirne gli interessi.

Condanniamo inoltre il fatto che le disposizioni degli attuali Trattati, sulle quali la Corte di giustizia europea ha di recente basato le sue sentenze (nelle cause Laval-Vaxholm e Viking Line) per giustificare il dumping sociale e subordinare i diritti dei lavoratori ad agire collettivamente per rispettare la libertà di fornire servizi, siano state incluse nella loro interezza nel Trattato di Lisbona, che richiede che il diritto di intraprendere azioni collettive debba rimanere di esclusiva competenza degli Stati membri.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore la presente relazione degli onorevoli Méndez de Vigo e Corbett che, evidenziando il fatto che il Trattato di riforma non è la Costituzione, consente all’Europa di assumere il nuovo ruolo globale che dovrà svolgere nei prossimi decenni.

Rafforza il potere istituzionale dell’Unione; accresce la democrazia conferendo maggiori competenze al Parlamento europeo; consente alla politica estera e della sicurezza comune dell’Unione di svilupparsi al fine di garantire che la forza economica e industriale europea si esprima nella politica globale, e in particolare consentirà all’Unione europea di svolgere un ruolo chiave nell’affrontare il riscaldamento globale.

 
  
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  Robert Goebbels (PSE), per iscritto. (FR) Ho votato “sì” al Trattato di Lisbona perché, purtroppo, non esistono alternative. Tuttavia, dobbiamo essere chiari. Non è con un mini-trattato di 300 pagine che è incomprensibile quanto poco chiaro che l’Unione europea conquisterà la fiducia dei suoi cittadini, in particolare in quanto i molteplici opt-out condurranno a un’Europa costantemente bloccata, o persino a un’Europa a “geometria variabile”.

Questo nuovo Trattato è solo un’ultima risorsa. È necessario che redigiamo molto rapidamente un Trattato di riforma radicale, da ratificare con un unico referendum del popolo europeo. Tutti i paesi in cui gli elettori dicono “no” saranno liberi di lasciare l’Unione europea o di sottostare alle norme comuni. Questo è il prezzo che si deve pagare per un’Unione europea realmente integrata con politiche di maggiore coesione.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Raramente in quest’Aula ci siamo imbattuti in una relazione stalinista come questa: è pura propaganda bugiarda! Solo qui e a “Sarkolandia” è possibile dire che il Trattato di Lisbona è sostanzialmente diverso dalla Costituzione europea, mentre la maggior parte dei capi di Stato e di governo e lo stesso padre della Costituzione, Valéry Giscard d’Estaing, dichiarano l’esatto contrario.

All’inizio della motivazione, i relatori si sono lasciati andare a un po’ di cultura, citando alcune righe del Giulio Cesare di Shakespeare. Tale citazione spiega in pratica che dovete seguire le forze nascoste che conducono ai grandi cambiamenti nella società, altrimenti cadrete in rovina e nel fallimento. Il problema, per loro, è che tali forze sono il Trattato di Lisbona e la creazione artificiale e imposta del superstato europeo centralizzato, nel cui caso le forze reali sono costituite dal crescente rifiuto di questo progetto da parte delle persone. La gente aspira a riscoprire le proprie radici e la propria identità, e a trovare protezione contro i cambiamenti che rifiuta ma che altri le impongono: le interpretazioni politiche che la privano della libertà e la globalizzazione finanziaria che la porta in rovina.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La maggioranza di questo Parlamento dimostra ancora una volta il suo distacco dalla realtà. È chiaro che i risultati dei referendum non hanno alcun valore se sono contrari alla volontà dell’istituzione politica.

Noi del partito Junilistan siamo a favore di una consultazione referendaria sul Trattato di Lisbona in Svezia. Stabilire se indire un referendum è anzitutto decisione che spetta a ogni Stato membro.

L’intero processo che ruota attorno a un nuovo Trattato dell’Unione europea è stato una vergogna. Una Convenzione, il cui metodo di lavoro è stato duramente criticato, ha presentato una proposta di una Costituzione dell’Unione europea. È stata poi evitata la discussione, le frasi sono state rimaneggiate e modificate al fine di far passare un Trattato ancora più federalista nonostante il “no” dei cittadini francesi e olandesi.

Desideriamo un nuovo Trattato che si basi sull’Unione europea quale forum in primo luogo per la cooperazione intergovernativa.

Pertanto, abbiamo votato contro la relazione del Parlamento sul Trattato di Lisbona.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La maggioranza del Parlamento europeo, tra cui i membri del partito socialista (PS), i socialdemocratici (PSD) e il partito per i diritti del popolo (CDS/PP) portoghesi, farebbe bene a proclamare la sua “adozione” del Trattato UE proposto che, come molti ben sanno, non ha alcun valore o conseguenza giuridica.

Hanno un obiettivo diverso: fanno pressione e propaganda, in particolare al fine di garantire che il Trattato proposto venga ratificato e possa quindi entrare in vigore il 1° gennaio 2009.

Questo è il motivo per cui la relazione contiene parti oscure e omissioni, nel tentativo di celare il reale contenuto e le conseguenze del Trattato UE proposto. Ecco qua, tanto per dare qualche esempio.

Da un lato descrive come “una maggiore efficacia” il dominio rafforzato del processo decisionale delle grandi potenze dell’Unione europea e come “ruolo rafforzato dei parlamenti nazionali” il trasferimento delle competenze dei parlamenti nazionali alle istituzioni sopranazionali dell’Unione europea. Dall’altro lato, omette la militarizzazione dell’Unione europea nel quadro della NATO; il mercato unico liberalizzato con la sua libera circolazione di beni, capitali e servizi in cui la concorrenza è dominante; l’Unione economica e monetaria con l’euro, la Banca centrale europea e il Patto di stabilità, la liberalizzazione del commercio internazionale quali politiche e obiettivi dell’Unione europea.

Questo è il motivo per cui abbiamo votato contro.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE), per iscritto. − (EN) Voto a favore di questo emendamento, nonostante il Trattato di Lisbona possa entrare in vigore solo dopo essere stato ratificato da tutti gli Stati membri; rispetta quindi automaticamente il risultato del referendum irlandese. Pertanto, voto per l’emendamento, benché non aggiunga nulla alla relazione.

 
  
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  Anna Hedh (PSE), per iscritto. − (SV) Come in precedenza, riguardo a questioni relative al nuovo Trattato dell’Unione europea, ho deciso di prendere le distanze dal mio gruppo e di votare contro la relazione sul Trattato di Lisbona. Ci sono di sicuro molti miglioramenti nella proposta, ma mi oppongo all’attuale orientamento dell’Unione verso un maggiore sopranazionalismo. Vorrei una cooperazione europea a livello intergovernativo. Sostengo fermamente l’idea che la cooperazione internazionale possa risolvere i problemi comuni. Ci sono compiti importanti che dobbiamo svolgere insieme, non ultimi quelli relativi all’ambiente, al traffico di esseri umani e al dumping sociale. Tuttavia, ritengo che la proposta rafforzi la supremazia del diritto comunitario sull’ordinamento nazionale, che venga sottratto potere agli Stati membri e che i paesi più grandi detengano più potere dei piccoli. Sono contraria a tutto questo.

Ho scelto di votare contro l’emendamento che propone che l’Unione europea decida in merito ai referendum in tutto il suo territorio, poiché ritengo che ogni Stato membro debba decidere autonomamente.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski (UEN), per iscritto. (PL) Mi sono astenuto nella votazione finale sulla relazione sul Trattato di Lisbona (A6-0013/2008) degli onorevoli Corbett e Méndez de Vigo. La ragione per cui l’ho fatto è che le conclusioni che emergono dalla presente relazione superano di gran lunga il quadro adottato nel corso delle discussioni ai vertici di Lisbona e Bruxelles, il 13 e 14 dicembre 2007.

Il compromesso raggiunto all’epoca è stato il risultato di alcune concessioni da parte di tutti gli attori coinvolti. Pertanto, ritengo che le critiche espresse a tali accordi, che si trovano in alcuni punti della relazione in oggetto, non siano utili al processo inteso a trovare soluzioni che possano essere accettate da tutte le parti interessate al compromesso stesso. Questo riguarda, per esempio, le clausole di opt-in e di opt-out, la Carta dei diritti fondamentali, il sistema di voto del Consiglio e i simboli dell’Unione europea, nonché le frasi che conducono a un ritorno dell’idea, dopo tutto respinta, di una Costituzione europea.

 
  
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  Timothy Kirkhope (PPE-DE), per iscritto. − (EN) I conservatori britannici hanno votato contro la presente relazione. Sin dall’inizio, abbiamo reso chiaro che questo Trattato (la Costituzione) non è la soluzione per l’Europa. I conservatori sostengono un’Europa di Stati indipendenti che cooperano al fine di affrontare le sfide della globalizzazione, la povertà nel mondo e il riscaldamento globale, in quanto nostre priorità, in un modo collaborativo, e siamo stati chiari e coerenti nel nostro approccio, nella piena consapevolezza dei probabili effetti del Trattato sui nostri obiettivi e le nostre ambizioni per l’Europa. Tutte cose non ottenute con il testo presente o con le aspirazioni di coloro che desiderano uno Stato europeo integrato.

 
  
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  Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della presente relazione, non perché ritenga che gli emendamenti del Trattato di Lisbona aprano la strada a un’Unione europea che è saldamente ancorata a un impegno per lo sviluppo sostenibile, a favore della pace e dei diritti umani, anziché del mercato e della concorrenza, ma poiché credo che contenga fattori più positivi delle disposizioni dei nostri attuali Trattati. La Carta dei diritti fondamentali è un’importante parte aggiuntiva. Tutta la normativa comunitaria e la sua attuazione a livello degli Stati membri dovrà essere ora esaminata in base alla Carta e può essere modificata se ritenuta insufficiente.

Una maggiore codecisione significherà più scrutinio e trasparenza nel processo decisionale. L’iniziativa dei cittadini è un importante passo avanti. Nutro serie preoccupazioni riguardo all’aumento dell’attuale cooperazione militare, e desidero che i nostri parlamenti nazionali e quello europeo valutino da vicino questi sviluppi. È fondamentale che l’Unione europea accresca le proprie forze quale potenza diplomatica e impegnata nel mantenimento della pace.

Credo sia importante che i cittadini dell’Unione europea vengano coinvolti nel processo di ratifica attraverso consultazioni referendarie i cui risultati dovrebbero essere rispettati. Questa è la missione dei governi e del Consiglio, e non di questo Parlamento, al fine di rispondere in modo concreto a tale principio generale.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. (DE) Voterò a favore della relazione su una risoluzione del Parlamento europeo sul Trattato di Lisbona in quanto quest’ultimo è essenziale per l’ulteriore sviluppo dell’Europa, che a sua volta è assolutamente necessario per una continua evoluzione del modello austriaco di benessere nonché per la sicurezza dei nostri cittadini. Condivido il punto di vista secondo cui, nel complesso, il Trattato rappresenta un miglioramento importante rispetto ai precedenti Trattati e garantirà l’aumento dello scrutinio democratico nell’Unione. Constato la crescita nel valore democratico dell’UE in primo luogo nell’estensione della procedura di codecisione, in secondo luogo nel meccanismo di votazione a doppia maggioranza e, terzo, nell’elezione del Presidente della Commissione attraverso una decisione maggioritaria del Parlamento europeo e, non ultimo, nella più forte rappresentatività dei parlamenti nazionali grazie alla possibilità di opporsi alle violazioni relative alla distribuzione delle competenze, nonché di esprimersi su tutte le iniziative legislative dell’Unione.

 
  
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  Caroline Lucas (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Non ho votato a favore della presente relazione affinché fosse notata la mia opposizione all’arroganza e al disprezzo dimostrati dai leader politici di tutta l’Unione europea nei confronti dei desideri dei cittadini comunitari, nonché al fine di dichiarare con molta chiarezza che ritengo che ai cittadini dell’Unione europea debba essere concesso un referendum su questa questione.

Il Trattato di Lisbona è essenzialmente una riformulazione della vecchia Costituzione, che è stata rifiutata dalla Francia e dai Paesi Bassi, due paesi in cui sono stati consentiti i referendum. Quale uno dei principali autori del testo originale, lo stesso Valéry Giscard d’Estaing ha dichiarato che “Le proposte dell’originale Trattato costituzionale rimangono sostanzialmente invariate. Sono semplicemente state disseminate nei vecchi Trattati sotto forma di emendamenti”.

Non mi oppongo al principio di una Costituzione, ma a questa in particolare (e al Trattato che la riproduce) in quanto i cittadini comunitari meritano di meglio. Il Trattato contiene alcune disposizioni positive, ma vengono superate da quelle negative, per esempio, l’ulteriore militarizzazione dell’Unione europea, nonché le misure intese a promuovere una maggiore liberalizzazione e privatizzazione. Per di più, spreca un’ottima opportunità di collocare la sostenibilità e la sicurezza climatica realmente al centro dell’Unione, e non avvicina le istituzioni comunitarie ai cittadini europei.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto.(FR) Se ci fosse una gara per la migliore tesi di dottorato sul Trattato di Lisbona, il testo della relazione della commissione per gli affari costituzionali avrebbe meritato il primo premio summa cum laude.

La risoluzione è un’analisi e una critica eccellente al contenuto di questo Trattato incomprensibile. Chiunque temesse l’emergenza di un “superstato” centralizzato e onnipotente, dovrebbe essere più che rassicurato. Non sono stati fatti cambiamenti sostanziali rispetto al contenuto del Trattato costituzionale, ma molto è stato tralasciato o eliminato.

I correlatori constatano la mancanza di lungimiranza e di ambizione dimostrata dai leader nazionali in ambito europeo, se non addirittura di sfiducia nei confronti dell’Unione e delle sue istituzioni.

Gli euroscettici dovrebbero essere soddisfatti delle concessioni: il ritardo della sua entrata in vigore, il mantenimento dell’unanimità in 72 casi, tra cui la fiscalità e l’adozione del quadro finanziario pluriennale, le deroghe, le clausole di opt-in e opt-out, in particolare per il Regno Unito, nonché la possibilità di “recedere volontariamente” dall’Unione europea.

Coloro che lamentano le “concessioni difficili da accettare da parte del Parlamento” dovrebbero, da un lato, sentirsi confortati dal ruolo rafforzato del Parlamento europeo quale colegislatore e dalla condivisione delle sue competenze relative al bilancio per stabilire la parità con il Consiglio, e, dall’altro, dal fatto che il principio di una doppia maggioranza semplificherà il processo decisionale del Consiglio.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Nella relazione in oggetto sul Trattato di Lisbona osserviamo chiaramente che il Trattato potenzierà le credenziali democratiche dell’Unione europea. Con il maggiore coinvolgimento dai parlamenti nazionali e del Parlamento europeo nel processo decisionale, offriamo ai cittadini comunitari ciò che hanno sempre chiesto per l’Unione europea: una voce più forte. Il Trattato si concentra maggiormente sulle decisioni politiche efficaci e coerenti, sottolineate nella relazione, dotandoci della capacità di affrontare anche la più impegnativa delle sfide globali. Ho votato a favore della relazione e desidero congratularmi con i relatori per l’eccellente testo su una questione molto sensibile nonché cruciale per il futuro dell’Unione.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. − (NL) La caratteristica della proposta di Costituzione respinta da due Stati membri nel 2005 è stata che rispondeva ai desideri delle grandi imprese, dei governi nazionali e della maggioranza dei parlamenti nazionali, ma è stata poco sostenuta tra gli elettori. I referendum, nei pochi paesi che ne hanno indetto uno, hanno rivelato un intenso dibattito pubblico e un’elevata affluenza che hanno portato voti di dissenso. I cittadini non vogliono che l’Europa imponga loro le decisioni che non avrebbero mai voluto prendere.

I cittadini considerano l’Europa utile nella risoluzione pacifica delle questioni transfrontaliere e nell’affrontare i problemi su vasta scala che i singoli Stati membri non possono risolvere da soli, ma non comprendono l’impiego di un’Europa che prenda sempre più il posto dei paesi in cui vivono. La Costituzione è stato un caso di congiunzione di aspetti positivi e negativi, senza l’opportunità di eliminare i punti negativi negli ambiti economico e degli armamenti. Il nuovo Trattato somiglia ancora molto alla Costituzione. Il rifiuto dei referendum rispecchia la paura dell’elettorato. Oggi, l’adozione della Costituzione modificata da parte di un’ampia maggioranza trasmette un messaggio chiaro: “Tutti fuori; quest’Europa è solo per i politici professionisti.”

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) L’Unione europea e il suo Trattato profondamente impopolare non possono nascondersi dietro le rivendicazioni demagogiche di essere più democratici e vicini alla società. Le lotte imperialiste sono state temporaneamente celate al fine di lanciare un attacco persino maggiore ai diritti e alle libertà dei lavoratori, e di realizzare un aumento dei profitti dei monopoli.

La relazione sul Trattato d Lisbona e la Costituzione europea ribattezzata è una richiesta affinché l’ordinamento comunitario combatta contro l’opposizione dei lavoratori negli Stati membri. L’alleanza dei sostenitori politici dell’Unione europea, tra cui i partiti New Democracy e PASOK, sono contrari ai referendum in quanto sanno che è l’opposizione dei lavoratori a subire il capitalismo barbaro e l’aggressione imperialista.

Il Trattato di Lisbona e la Costituzione europea rafforzano l’Unione europea affinché possa operare in modo più efficace e favorire i monopoli europei. Ne consegue che la Convenzione di Lisbona e la Costituzione europea:

- potenziano l’impopolare corsa agli armamenti dell’Unione europea,

- favoriscono la riorganizzazione capitalista,

- sviluppano nuove politiche di sfruttamento dei lavoratori violandone i diritti sociali,

- intensificano la militarizzazione dell’Unione europea,

- adottano il dogma della guerra preventiva,

- ratificano interventi imperialisti, persino negli Stati membri,

- limitano i diritti di sovranità degli Stati membri,

- aboliscono il diritto di veto a beneficio dei paesi più forti,

- promuovono e creano nuovi meccanismi di repressione,

- riducono ulteriormente i diritti individuali e le libertà della persona.

I lavoratori dell’Unione europea hanno il potere di condannare il Trattato europeo e la stessa Unione.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il Trattato di Lisbona è un passo indietro rispetto alla Costituzione europea. Non si è liberato di alcuno dei sui carichi neoliberali: non vi è assolutamente il concetto di responsabilità democratica riferito alla Banca centrale europea, il patto di stabilità e di crescita non è imparziale e viene sostenuto il libero mercato.

Alla richiesta di Gordon Brown e dei gemelli Kaczyński, il Trattato di Lisbona ha eliminato alcuni simboli positivi liberamente accessibili a ogni Stato, quali le bandiere e gli inni. La natura vincolante della Carta dei diritti fondamentali è stata distorta da una clausola di opt-out.

Abbiamo chiesto i referendum per rafforzare il dialogo pubblico e la partecipazione dei cittadini. Il rifiuto di svolgere consultazioni referendarie dimostra quanto sia grande la distanza tra l’élite europea e le speranze e le necessità dei cittadini europei, e lo scetticismo e l’indifferenza nei confronti dell’Europa sono rafforzati.

Noi, il SYN (coalizione di sinistra) e il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, diciamo “no” a questo Trattato: nelle nostre lotte quotidiane stiamo delineando un percorso diverso per l’Unione europea. Vogliamo essere più parte dell’Europa. L’Europa che desideriamo è più unita a livello politico, con un significativo aumento del bilancio comunitario, senza rinunciare al controllo sulla BCE. Un’Europa simile è attiva e indipendente nell’occuparsi dei problemi della pace nel mondo; non è agli ordini del Presidente Bush.

 
  
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  Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. (DE) Il Trattato di Lisbona renderà possibile un’Europa militaristica.

I precedenti Trattati CE e UE non consentono un bilancio militare comunitario permanente, ma il “fondo iniziale” (articolo 28, paragrafo 3) adesso finanzia le spese delle operazioni militari dell’Unione europea. Oltre ai bilanci militari dei singoli Stati, prevede che l’Unione europea disponga di un proprio bilancio militare. L’articolo 28 C, paragrafo 3, contiene il tanto criticato aiuto reciproco e obbligo di assistenza da attuare attraverso un’Agenzia europea per la difesa (articolo 28). Nel Trattato viene stipulata la collaborazione istituzionale tra UE e NATO (articolo 28 A, paragrafo 7).

Il diritto del Bundestag di decidere se l’esercito federale tedesco verrà inviato in altri paesi è compromesso in modo significativo. Il Trattato di riforma consente la formazione di un centro militare europeo attraverso una “cooperazione strutturata permanente”. Questo crea un quadro normativo primario per un maggiore impiego dei gruppi tattici (articolo 28, protocollo 4). La Corte di giustizia europea non è esplicitamente competente (articolo 11, 240 A), come non lo è il Parlamento europeo; è semplicemente tenuto aggiornato (articolo 21). Questo svincola i futuri interventi militari dal controllo democratico.

Questa realizzazione di un’Europa militaristica è accompagnata da una divisione repressiva delle frontiere esterne. Il nuovo articolo 62 del Trattato di riforma è elaborato al fine di “instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne”.

Grazie all’entrata in vigore antidemocratica del Trattato di Lisbona evitando i referendum, la codifica delle politiche economiche neoliberali e delle parti militaristiche del documento, l’Europa si sta sviluppando nella direzione totalmente sbagliata.

 
  
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  Bogusław Rogalski (UEN), per iscritto. (PL) Ho votato con profonda convinzione contro il Trattato di Lisbona, in quanto viola i principi i democrazia. È un Trattato pieno di menzogne e disprezzo per la voce dei popoli d’Europa; è un Trattato di eufemismi. Nonostante la Costituzione sia stata respinta dai francesi e dagli olandesi, se ne sta introducendo una versione estesa in una forma camuffata, giocando con le parole e ignorando l’esito dei voti.

La parola “Costituzione” è stata sostituita dalla parola “Trattato”. Il Presidente dell’Unione europea (Prezydent) viene chiamato “Przewodniczący”, il ministro degli Esteri è l’Alto Rappresentante per la politica estera. Questa è pura ipocrisia finalizzata a introdurre un nuovo “superstato” che governi le persone. All’inizio, l’Unione europea era nata ai fini di una profonda cooperazione economica. Ho votato anche contro la relazione in quanto questo Parlamento ha respinto la possibilità di ricorrere alla forma massima di democrazia: il referendum.

Un atto giuridico così importante, di grado costituzionale, dovrebbe essere adottato in questo modo specifico. Lo scandalo è che il Parlamento non ha approvato l’emendamento n. 32, che obbliga al rispetto del risultato di un referendum in Irlanda. Inoltre, abbiamo appoggiato un documento con cui ancora non abbiamo familiarizzato, non essendo ancora disponibile il testo consolidato del Trattato nelle lingue degli Stati membri.

Questa è democrazia controllata, che ignora i cittadini e si rifiuta di accordare loro il diritto di voto. Non voglio avere niente a che fare con una simile democrazia, e i commenti derisori del Presidente Pöttering dopo la votazione dimostrano che la democrazia in quest’Aula, come in Europa, sta morendo.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono fermamente contrario a questa relazione.

Sin dal principio ho espresso il mio parere negativo al modo in cui il Trattato di Lisbona è stato concepito e ratificato. Ritengo infatti che un Trattato non possa essere semplicemente ratificato dai Parlamenti nazionali, ma necessiti di un referendum.

Entrando poi nel merito del testo non ne condivido assolutamente alcuni passaggi. In particolare al paragrafo 6, terzo interlinea, deploro fermamente il riferimento, seppure implicito, all’Italia. Infatti nel testo si legge “si esprime rammarico che il seggio parlamentare supplementare attribuito a uno Stato membro, in deroga al principio della proporzionalità degressiva”. Nella realtà dei fatti è tutto assolutamente falso. Anzi, con l’attribuzione, seppure nella forma di seggio supplementare, è stata in parte ripristinata una discriminazione orchestrata ai danni dell’Italia.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. − (SV) Il Trattato di Lisbona è un passo fondamentale nel garantire un’Unione europea più efficiente e che funzioni meglio. Valuto pertanto positivamente il fatto che, insieme nel Parlamento europeo, abbiamo adottato la relazione sul Trattato di Lisbona. Ciò significa una struttura relativa al processo decisionale più chiara e maggiore potere per l’unica Assemblea dell’Unione europea eletta dal popolo, il Parlamento europeo, una politica estera comune rafforzata e nuove cariche, quali l’Alto Rappresentante per la politica estera e il Presidente del Consiglio europeo. Il Trattato vuol dire cambiamenti profondi, motivo per cui sostengo la proposta di un referendum paneuropeo, alternativa interessante al referendum svedese, che ritengo necessario al fine di offrire ai cittadini l’opportunità di esprimere la loro opinione su questioni che sono di cruciale importanza per loro.

 
  
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  Brian Simpson (PSE), per iscritto. − (EN) È un momento davvero storico, il momento in cui l’Unione europea cerca di traghettarsi nel XXI secolo. Molti dell’estrema destra di questo Parlamento temono un’Unione europea efficiente in quanto diminuirà la loro capacità di alimentare il fuoco della paura a livello nazionale. Pertanto, le loro richieste sono quasi isteriche, per un verso, e un comportamento totalmente inaccettabile, per l’altro.

Mi congratulo con i nostri corelatori per il loro lavoro. Tutti dobbiamo ricordare che ci troviamo dinanzi a un Trattato di riforma e a un Trattato di modifica che garantiranno che un’Unione europea a 27 possa operare in modo efficiente e, aspetto ancora più importante, collaborare a stretto contatto con i suoi cittadini.

Sosterrò la presente relazione nella speranza che invii il messaggio, non solo ai nostri cittadini ma anche ai governi dei nostri Stati membri, che questo Parlamento è serio riguardo al suo auspicio di assistere a un’Unione europea più affidabile ed efficiente.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − (EN) Desidero sostenere quanto precisato dalla signora Commissario Wallström riguardo a una rappresentanza garantita delle donne nelle quattro cariche principali dell’Unione europea. Da troppo tempo tali cariche al vertice sono considerate appannaggio esclusivamente maschile. Dobbiamo allontanarci dall’idea di “club di soli uomini” a favore di un gruppo più rappresentativo che faccia funzionare l’Unione europea. Le donne meritano di essere rappresentate.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. (PL) Voterò a favore della relazione degli onorevoli Corbett e Méndez de Vigo sul Trattato di Lisbona.

La relazione precisa in modo corretto che i cambiamenti introdotti dal nuovo Trattato realizzeranno i principi in base ai quali l’Unione europea agisce in modo più democratico e adeguato allo sviluppo futuro della Comunità. Un elemento importante è il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, nonché l’introduzione della Carta dei diritti fondamentali. Dovrebbe inoltre essere sottolineato che per le istituzioni comunitarie è stato introdotto un processo decisionale più efficace.

 
  
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  Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. (SV) La Costituzione dovrebbe essere respinta. Abbiamo bisogno di una Costituzione nuova, non solo di un nome nuovo. È necessaria una revisione sostanziale che, come una costituzione nel comune senso della parola, limiti e chiarisca le competenze della Corte di giustizia europea e il ruolo dell’Unione europea. È fondamentale definire le questioni che sono di natura sopranazionale, ossia il libero mercato, il cambiamento climatico, la lotta alla criminalità internazionale, il terrorismo e l’integrazione. È notevole che in tutti questi settori la Gran Bretagna sia stata una forza trainante nello sviluppo dell’Unione europea.

Ritengo che la Svezia dovrebbe chiedere le stesse eccezioni accordate alla Gran Bretagna, sia le clausole di opt-in che le clausole di opt-out. Non vi è alcuna ragione di trattare la Svezia in modo differente. I cittadini svedesi hanno votato “no” all’euro e sarebbe almeno opportuno che il prossimo Trattato chiarisca che non è necessario che la Svezia partecipi alla cooperazione monetaria.

Niente di tutto questo è ravvisabile nella proposta attuale, motivo per cui ho scelto di votare contro la relazione.

 
  
  

– Relazione Ona Juknevičiené (A6-0471/2007)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) In prima istanza, pensiamo che dovrebbe spettare a ciascun paese, conformemente alle sue pratiche, tradizioni e necessità specifiche, la decisione sul modo in cui organizzare, raccogliere e compilare i dati pertinenti, nonostante dovremmo riconoscere che a volte occorre stringere accordi al fine di ottenere dati confrontabili sui quali condurre studi per i diversi paesi. Tuttavia, è nostra opinione che la proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea non sembra offrirci la necessaria tutela della riservatezza o rispettare i diversi aspetti insiti nel complicato processo di raccolta di tali dati.

Nel corso della discussione in sede di commissione per l’occupazione e gli affari sociali è stato sostenuto con forza che la proposta avrebbe dovuto essere adottata in prima lettura, il che dimostra un’eccessiva impazienza di vedere approvate tutte le condizioni ai fini di un’eventuale entrata in vigore del nuovo Trattato.

Nonostante abbiamo sostenuto alcune delle proposte introdotte nel corso della fase preparatoria parlamentare, nutriamo alcuni dubbi riguardo ai risultati raggiunti sulla base di un accordo tra i principali gruppi politici del Parlamento. Questo è il motivo della nostra astensione.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La presente relazione raccomanda l’armonizzazione dei censimenti di popolazione e abitazioni degli Stati membri a un livello decisamente assurdo. Dal nostro punto di vista, spetta agli Stati membri decidere in modo autonomo se desiderano registrare tutto, dalla composizione generazionale delle famiglie, alla distanza tra la dimora abituale e gli spazi verdi e di ricreazione. Riteniamo che il regolamento del Consiglio e la relazione del Parlamento formulino proposte oltremodo dettagliate e invadenti. Pertanto, abbiamo votato contro la proposta modificata del Parlamento e nella votazione finale.

 
  
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  Jens Holm e Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. − (SV) Oggi abbiamo votato sulla relazione Ona Juknevičienė relativa ai censimenti di popolazione e abitazioni, scegliendo di non votare in modo favorevole. Gli Stati membri sono in grado di affrontare da soli le questioni riguardanti i censimenti della popolazione e delle abitazioni e questo è un ambito in cui non è necessaria l’ingerenza dell’Unione europea.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) La precisione e l’affidabilità delle informazioni sulla popolazione e le abitazioni sono essenziali ai fini dell’attuazione di politiche efficaci a livello nazionale e comunitario. In passato, le incongruenze che sono emerse tra i diversi Stati membri hanno reso complessi i confronti internazionali, pertanto accolgo con favore le iniziative volte a chiarire le questioni in oggetto. Tuttavia, sono consapevole anche che tali questioni sollevano problematiche relative alla protezione dei dati e riconosco che il duro lavoro svolto in sede di commissione affronta tali preoccupazioni. Ho potuto pertanto appoggiare l’emendamento n. 71 e l’intera relazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore la presente proposta di regolamento sui censimenti della popolazione e delle abitazioni. Nel formulare una serie di linee guida comuni europee che consentono un confronto statistico paneuropeo, migliorando la capacità dell’Unione di elaborare una normativa coerente con i cambiamenti che i cittadini d’Europa necessitano. Ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Comprendo la necessità di raccogliere statistiche adeguate e affidabili ai fini della pianificazione. Riconosco inoltre che la presente relazione è un miglioramento significativo della proposta della Commissione.

Tuttavia, l’idea di un’Unione europea che conduce statistiche a un livello così dettagliato mi pone qualche problema. Francamente, alcune domande non riguardano l’Unione europea. Quale possibile rilevanza ha per l’Unione europa la situazione coniugale dei cittadini?

Inoltre, mentre vi sono alcune garanzie riguardanti l’anonimato e la protezione dei dati, sono preoccupata che queste non possano essere sufficientemente forti, in particolare alla luce dei recenti fallimenti nella protezione dei dati su vasta scala.

Per questi motivi ho votato contro la risoluzione legislativa.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Come abbiamo verificato, le differenze culturali possono a volte aumentare. Riguardo a ciò, noi in Europa, in particolare nei grandi agglomerati urbani, sediamo su una polveriera da non sottovalutare. Per quanto attiene ai conflitti su base etnica che divampano di tanto in tanto, è quindi positivo che l’Unione europea desideri chiedere apertamente del contesto etnico e infine di quello religioso, in un censimento paneuropeo che si svolgerà nel 2011. I dati statistici sulla composizione etnica e culturale della popolazione residente potrebbero contribuire alla prevenzione della violenza.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) È fondamentale disporre di dati affidabili sulla popolazione e le abitazioni nell’Unione europea, poiché tali dati sono di primaria importanza per la pianificazione, l’amministrazione e il monitoraggio di diverse politiche, che spesso contengono una componente europea. Sono necessarie stime annue della popolazione e di alta qualità poiché hanno implicazioni per due pilastri fondamentali dell’Unione europea: il suo processo democratico, in cui le stime della popolazione annuali vengono impiegate per il calcolo preciso del voto a maggioranza qualificata in sede di Consiglio, nonché ai fini della convergenza dei Fondi strutturali, la principale priorità della politica di coesione comunitaria, in particolare nel determinare quali regioni sono ammissibili.

Ritengo pertanto che questa proposta sia di rilevanza politica significativa nella misura in cui ci aiuta a soddisfare con maggiore precisione i criteri per la democrazia, lo sviluppo e la coesione nell’Unione europea.

 
  
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  Elisabeth Schroedter (Verts/ALE), per iscritto. (DE) È un successo per il gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea che la proposta della Commissione per questo regolamento non sia passata al Parlamento come semplice questione di routine.

Con la nostra tenacia, noi Verdi siamo riusciti a garantire che il regolamento preveda la protezione nella raccolta di dati sensibili relativi alla popolazione e alle condizioni di vita. L’allegato volontario, che prevede la raccolta di microdati e domande su argomenti estremamente sensibili quali il comportamento sessuale e il grado di istruzione, è stato del tutto eliminato.

Inoltre, grazie alla pressione esercitata dai Verdi, in due occasioni è stato chiamato il garante europeo della protezione dei dati. Da questo punto di vista, la protezione dei dati è stata presa in considerazione in misura sufficiente nella proposta emendata, che adesso si trova all’attenzione del Parlamento. Per esempio, il regolamento contiene il nostro emendamento relativo all’osservazione delle disposizioni in materia di protezione dei dati sia negli Stati membri che a livello comunitario. Inoltre, vi sono adesso chiari riferimenti alle disposizioni sulla tutela dei dati per quanto riguarda la loro trasmissione ed elaborazione.

Con questo ulteriore sostegno a suo favore, adesso il regolamento fornisce ciò per cui era stato pensato, ossia non la raccolta di nuovi dati, ma semplicemente la standardizzazione della raccolta dei dati statistici sulle principali caratteristiche sociali ed economiche delle regioni, già messa in pratica a livello nazionale, al fine di essere in grado di effettuare confronti in tutta Europa. La standardizzazione dei dati europei garantirà che i finanziamenti regionali vengano assegnati proprio a quelle aree che più ne hanno bisogno.

 
  
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  Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. − (SV) Dichiarazione di voto relativa alla proposta sui censimenti della popolazione e delle abitazioni.

Oggi il Parlamento europeo ha deciso in prima lettura sulla proposta della Commissione per un nuovo regolamento sui censimenti della popolazione e delle abitazioni.

La proposta è dettata da alcune buone intenzioni, con la prospettiva di semplificare il confronto tra le statistiche sui censimenti della popolazione e delle abitazioni. Tuttavia, il risultato finale è di portata estremamente vasta per quanto riguarda le informazioni richieste. Nella sua proposta la Commissione ha dichiarato che ciascuno Stato membro dovrebbe raccogliere informazioni sui propri cittadini, come l’orientamento sessuale, la data del primo matrimonio per le donne e del matrimonio attuale, l’origine etnica, la religione e il numero di figli nati vivi.

È davvero sorprendente che la nostra Commissione presenti una proposta che contiene tali domande invadenti che in pratica equivalgono alla registrazione dei cittadini.

Oggi il Parlamento ha eliminato alcune delle domande di portata più ampia. Tuttavia, io ho deciso di votare contro l’intera proposta in quanto si spinge troppo oltre.

 
  
  

− Risoluzione sulla strategia di Lisbona (B6-0073/2008)

 
  
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  Giles Chichester (PPE-DE), per iscritto. − (EN) I conservatori britannici hanno sostenuto in modo coerente gli obiettivi e il fulcro delle politiche della strategia di Lisbona. In particolare, abbiamo sottolineato l’importanza di un mercato unico di beni e servizi completamente funzionante, che crei un contesto imprenditoriale migliore (in particolare per le PMI), incoraggi l’innovazione e introduca riforme del mercato del lavoro che si concentrino sulle competenze e sulla flessibilità e incoraggino la creazione di nuovi posti di lavoro.

Ancora una volta, abbiamo votato a favore di questa proposta di risoluzione annuale sulla strategia di Lisbona al fine di dimostrare il nostro sostegno continuo all’agenda di riforme che è alla base. Tuttavia, ciò non implica che tutti sosteniamo le raccomandazioni dettagliate che sono state inserite. In particolare, siamo assolutamente contrari alle misure sociali aggiuntive (tranne la trasferibilità delle pensioni) definite nella versione originale dell’articolo 41.

Rifiutiamo inoltre l’integrazione dei trasporti nel Trattato di Lisbona, come sancito nell’articolo 27, e cogliamo l’opportunità di ribadire la nostra decisa opinione secondo cui, nel Regno Unito, tale Trattato deve essere sottoposto a ratifica dell’elettorato attraverso un referendum.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della risoluzione sulla strategia di Lisbona e all’introduzione di un riferimento al Consiglio europeo di primavera del 2008, poiché ritengo che la rinnovata strategia di Lisbona accresca gli ambiziosi obiettivi relativi all’intera società europea, che sembrano essenziali per affrontare le opportunità e le sfide della globalizzazione, il cambiamento demografico, le disparità sociali, il cambiamento climatico, la sicurezza energetica, la sicurezza alimentare, la crescita economica e l’integrazione degli immigrati.

La rigida attuazione della strategia di Lisbona, sarà pertanto decisiva al fine di rafforzare la posizione competitiva dell’Europa nel mercato globale attraverso la creazione di posti di lavoro, la riduzione della povertà e l’inclusione sociale.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Innanzi tutto, siamo spiacenti che la proposta di risoluzione da noi presentata sulla strategia di Lisbona sia stata respinta, che è la cosa più grave dato che stiamo per avviarne iniziando il ciclo finale.

Una volta di più la maggioranza del Parlamento europeo sta rifiutando un cambiamento di politica ed esprimendo il suo pieno sostengo e coinvolgimento nelle seguenti politiche: la deregolamentazione dei mercati e dei rapporti di lavoro, la liberalizzazione di beni e servizi essenziali (servizio postale, trasporti, telecomunicazioni, energia, eccetera) e il loro passaggio nelle mani degli operatori privati, a danno dei contribuenti, dei lavoratori e dei cittadini.

Com’è possibile constatare in Portogallo, tale politica palesemente neoliberale si sta sempre più diffondendo in altri settori. Stiamo assistendo alla crescente commercializzazione della salute, dell’istruzione e della formazione, che aggrava le disuguaglianze sociali e aumenta la povertà e l’emarginazione sociale nell’Unione europea.

Ora, si insiste anche per il rafforzamento dell’elemento esterno della strategia di Lisbona, ossia di imporre a paesi terzi, molti dei quali sono meno sviluppati, condizioni economiche e politiche che richiedono l’apertura di quei mercati di interesse per le grandi multinazionali europee.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE-DE), per iscritto. (PL) La risoluzione sulla strategia di Lisbona contiene molte disposizioni importanti per gli imprenditori e i consumatori. Un’iniziativa particolarmente degna di nota e sostegno è lo Small Business Act, che rappresenta la filosofia del principio del “pensare prima in piccolo”. Auspico che tale iniziativa venga messa realmente in pratica in tempi rapidi, con l’attivo coinvolgimento delle parti interessate. Non ritengo necessario ricordarvi qui il significato del ruolo delle piccole e medie imprese nella vita economica, o l’importanza per il futuro dell’Europa che venga accordato loro uno status privilegiato.

Desidero inoltre richiamare la vostra attenzione sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale. Siamo tutti consapevoli che, rispetto agli Stati Uniti, il sistema europeo dei brevetti, con la sua eccezionale mancanza di coesione, è un grosso problema per alcuni Stati membri che chiaramente, su un versante più ampio, frena l’innovazione e la ricerca e danneggia l’intero continente. Pertanto, è importante redigere proposte e soluzioni per la situazione attuale affinché tutti i consumatori dell’Unione europea possano trarre beneficio dai prodotti nuovi e moderni a un prezzo che corrisponda ai poteri d’acquisto dei consumatori medi.

 
  
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  Stanisław Jałowiecki (PPE-DE), per iscritto. (PL) Mi sono astenuto dal voto sulla risoluzione relativa all’agenda di Lisbona. Sono stato alquanto sorpreso nel leggere in particolare il paragrafo 3, dal quale apprendiamo che al fine di garantire il successo di questa agenda, occorre anche potenziare la crescita economica in Europa. Si tratta di una sola piccola parola: anche.

Finora ho vissuto nella convinzione che la crescita fosse l’obiettivo principale, e che il punto fosse raggiungere alcuni paesi e non lasciare che gli altri ci raggiungessero. Una lettura attenta della proposta di risoluzione indica che purtroppo non è solo una delle solite sviste, ma la conferma di una regola. In questo testo troviamo dichiarazioni che potrebbero essere inserite con successo in dozzine di altre risoluzioni. Spesso sono problemi che senza dubbio fungono da freno per la crescita. Ciò che effettivamente abbiamo è un elenco di auspici che potremmo stilare da soli in molte altre occasioni, e non solo al momento di discutere dell’agenda di Lisbona.

Tuttavia, esiste un’eccezione: i progressi nell’introduzione dell’agenda di Lisbona. Tale frammento della risoluzione è molto importante, ma purtroppo le conclusioni non sono ottimiste. Non sappiamo in quale modo misurare i progressi, se realmente ce ne sono stati, poiché non c’è un monitoraggio adeguato, il che significa che il nostro lavoro non ha punti di riferimento. La valutazione è un aspetto problematico per noi e non sappiamo se stiamo andando avanti o se siamo fermi. Ritengo che noi, in quanto Parlamento, dovremmo impegnarci soprattutto su questo.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE), per iscritto. (DE) Lunedì, la commissione del Parlamento europeo per l’industria, la ricerca e l’energia ha dato il via libera all’approvazione finale delle basi giuridiche per l’Istituto europeo di tecnologia e innovazione (IET). Ciò significa che tutte le questioni relative ai finanziamenti e all’organizzazione interna dell’IET sono state affrontate, e che è pronto al lancio.

L’IET è una componente essenziale per ottenere di più per la nostra economia, per la scienza e per i posti di lavoro sostenibili in Europa. Pertanto, è fondamentale che venga presa rapidamente una decisione sull’ubicazione dell’IET.

Chiedo ai capi di Stato e di governo dell’UE di accordarsi sui tempi per tale decisione in sede di Consiglio europeo di primavera. La decisione deve essere presa entro e non oltre il vertice dell’Unione europea di giugno. Anche il Cancelliere della Repubblica federale d’Austria, Alfred Gusenbauer, deve essere coinvolto nello stabilire il calendario, in quanto l’Austria ha presentato una richiesta molto appropriata.

Tali scadenze per la decisione devono essere definite al vertice di primavera e far parte del documento conclusivo di tale riunione. Considerata l’eccellente richiesta di Vienna per ospitare l’IET, il Cancelliere Gusenbauer ha l’enorme responsabilità di garantire che la decisione venga presa rapidamente e che venga definito un preciso calendario.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Con il rinnovo della strategia di Lisbona sottolineo la necessità di un vero aggiornamento degli orientamenti politici integrati, assieme a un ruolo rafforzato del Parlamento europeo nel controllare il modo in cui procede la strategia. Ci si dovrebbe concentrare maggiormente sulla realizzazione di un’Europa socialmente sensibile, che si occupi degli attuali problemi economici che abbiamo di fronte, senza isolare i più deboli. La necessità di introdurre il salario minimo in tutti gli Stati membri è uno dei modi principali che possono garantire che tutti i cittadini europei godano di un tenore di vita di base dignitoso. Sono soddisfatto della risoluzione e ho votato a favore.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) I raggruppamenti politici di centro-destra e centro-sinistra competono tra loro su chi può apportare maggiore sostegno agli interessi e alle scelte delle grandi imprese. Superano persino la Commissione nella promozione della strategia di Lisbona, che è impopolare e contro i lavoratori.

Questa vergognosa risoluzione non versa neanche lacrime di coccodrillo sulla povertà o sull’emarginazione sociale. Al contrario, chiede di portare avanti le riforme dei mercati del lavoro e dei sistemi di previdenza sociale; pone in rilievo gli orientamenti della Commissione attraverso la richiesta di adozione delle direttive sull’orario di lavoro e sulle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei; chiede agli Stati membri di porre la competitività dell’Unione europea al centro delle loro politiche e di fare del completamento del mercato unico la loro principale priorità politica ed economica.

Secondo la risoluzione, lo strumento più adatto inteso a promuovere queste e altre misure e politiche contro i lavoratori è la cooperazione di classe, che avrà successo grazie all’ampliamento del dialogo sociale e la creazione di un clima di fiducia tra imprese e dipendenti.

I lavoratori hanno sopportato sette anni di attuazione di tale strategia, che ha prodotto il peggioramento del loro tenore di vita, dell’impiego, della pensione e dei diritti sociali. Questo è il motivo per cui rifiutano la strategia di Lisbona e si oppongono agli interessi del capitale. Noi la pensiamo allo stesso modo riguardo all’Unione europea, che è a servizio di tali interessi.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) Anche se ho votato a favore della proposta di risoluzione della maggioranza dei gruppi parlamentari, poiché concordo sull’approccio costruttivo e sull’essenza delle raccomandazioni, in modo particolare per quanto riguarda la necessità di incoraggiare gli investimenti in ricerca, innovazione e sviluppo, e di politiche intese a promuovere la conoscenza, nell’apertura dei mercati e in una maggiore flessibilità, assieme alla sicurezza, nei mercati del lavoro, non riesco ancora a pensare che alcuni dei dati presenti nella risoluzione alternativa destino preoccupazione. È esattamente questo il motivo per cui non potrei sostenere la risoluzione del gruppo comunista.

A due anni dalla scadenza dell’agenda di Lisbona, dobbiamo riconoscere che gli obiettivi delineati, obiettivi ambiziosi, sono lontani dall’essere raggiunti, e la nostra relativa accelerazione rispetto al rallentamento dell’economia americana non è motivo di festeggiamenti. Ritengo pertanto che sarebbe meglio ammettere la necessità di seguire il percorso tracciato ma non seguito, anziché tentare di compiere uno sforzo finale inteso a raggiungere in due anni ciò che non siamo riusciti a raggiungere in otto. Le cause e le circostanze che hanno motivato le misure contenute nell’agenda di Lisbona sono ancora davanti a noi, se non persino più marcate; pertanto la strada corretta è segnata, e dobbiamo seguirla davvero.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. − (SV) Una risoluzione sulla strategia di Lisbona sarà inevitabilmente di proporzioni gigantesche se vengono coinvolti tutti i problemi centrali, il che può essere verificato anche nel risultato finale. Tuttavia, la relazione contiene molti punti importanti e necessari, che sono lieto di poter sostenere. Ciò è particolarmente vero per le parti più avventurose, quali le questioni ambientali e il collegamento alla crescita, che dimostrano che il Parlamento è al passo coi tempi. La discussione sulla flessicurezza che adesso sta acquistando impulso, individua inoltre la questione fondamentale (forse la più importante di tutte) relativa al modo in cui competitività e sicurezza possano essere combinate. Come dichiarato nella relazione, non stiamo costruendo il futuro sul protezionismo e sulla burocrazia, ma sull’apertura, l’accesso e le buone condizioni per lavoratori e imprese.

Tuttavia, desidero chiarire che il mio voto a favore dell’emendamento n. 12 non dovrebbe essere interpretato in alcun modo quale sostegno per l’istituzione delle retribuzioni minime nell’Unione europea. Al contrario, comprova chiaramente che i contratti collettivi hanno una collocazione nel modello europeo. Oggi ho spiegato questo anche nell’emendamento n. 32 della relazione sugli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione, che si occupano nello specifico della questione.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − (EN) La strategia di Lisbona è essenziale per il futuro successo dell’Unione europea. È fondamentale che tutti gli Stati membri rispettino il loro impegno nel rendere l’Unione europea l’economia basata sulla conoscenza più dinamica del mondo.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. − (RO) La risoluzione relativa alla strategia di Lisbona esprime l’auspicio del Parlamento europeo di garantire una vita dignitosa a tutti i cittadini europei attraverso la creazione di posti di lavoro nuovi e meglio retribuiti nonché grazie all’aumento degli investimenti in ricerca, innovazione e una società dell’informazione.

Il punto 37 della risoluzione sottolinea l’importanza della politica dei trasporti nella lotta ai cambiamenti climatici e chiede che le reti transeuropee di trasporto vengano sottoposte a una valutazione adeguata del loro impatto ambientale.

Ho votato a favore dell’emendamento n. 12, nella versione modificata oralmente dal gruppo dei socialisti europei, poiché in questo modo “invita gli Stati membri a tutelare le condizioni preliminari di un partenariato sociale ed economico per tutti e, in particolare, a fornire regolamentazioni, ad esempio in materia di salari minimi, ovvero altri accordi legalmente e generalmente vincolanti o accordi collettivi nel rispetto delle tradizioni nazionali che consentano ai lavoratori a tempo pieno di guadagnare in modo da vivere in condizioni decorose”.

Ho votato a favore della risoluzione proposta con la convinzione che l’Unione europea non sia solo un mercato comune, basato sulla concorrenza, ma dovrebbe essere un’Europa sociale in cui ogni cittadino sia integrato nell’attività economica e sociale e viva in condizioni dignitose.

 
  
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  Lars Wohlin (PPE-DE), per iscritto. − (SV) La strategia di Lisbona è ora operativa dal 2000 e gli Stati membri non hanno ancora notato alcun risultato evidente. L’attuale proposta presenta un nuovo progetto che si estende fino al 2013.

Credo nella concorrenza istituzionale. Esistono obiettivi della strategia di Lisbona che sono validi e che meritano di essere realizzati, quali la proposta di maggiori investimenti in ricerca e sviluppo. Le parti che si riferiscono all’“Europa sociale”, dall’altra parte, non appartengono al livello europeo e dovrebbero essere i singoli Stati membri a decidere al riguardo.

Un altro problema della risoluzione è che contiene molte disposizioni vaghe che consentono alla Commissione di interpretare e spiegare le misure che non abbiamo richiesto.

Il mio punto di vista di base è che gli stessi paesi dovrebbero elaborare una strategia di crescita in quanto scelgono in un sistema democratico. Alcuni optano per una direzione socialdemocratica, altri per una estremamente liberale, un approccio basato sul mercato. Dobbiamo rispettarli entrambi. La questione principale è che la decisione deve essere presa a livello nazionale. Pertanto, ho scelto di non approvare la proposta nella sua interezza.

 
  
  

− Relazione Margarita Starkevičiūtė (A6-0029/2008)

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. − (SV) Noi socialdemocratici svedesi abbiamo deciso di votare a favore dell’intera relazione 29/2008.

Tuttavia, abbiamo votato contro l’emendamento n. 32 presentato dal gruppo dei Verdi sui salari minimi quali parti del modello europeo.

Comprendiamo che la questione delle retribuzioni minime sia importante in molti Stati membri.

Tuttavia riteniamo che ogni Stato membro debba decidere come occuparsi del problema.

In Svezia lo affrontiamo al meglio attraverso i contratti collettivi negoziati dalle parti sociali.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Dando voce agli interessi, alle aspirazioni e alle richieste delle grandi organizzazioni di imprenditori, la maggioranza del Parlamento europeo ribadisce che la strategia di Lisbona deve essere soddisfatta, in conformità degli orientamenti economici della Commissione e con l’intensificarsi delle relative politiche neoliberali.

Pertanto, persino tra la minaccia di una crisi finanziaria e un arresto della crescita economica, insistono sulla riduzione dei salari, la limitazione della spesa pubblica e sul modernizzare la pubblica amministrazione quali principali fattori di sviluppo, congiuntamente all’eliminazione degli ostacoli alla concorrenza e all’accesso al mercato, in altre parole, la liberalizzazione dei servizi pubblici. Tutto ciò, accompagnato da una maggiore insicurezza occupazionale, un’insistenza sulla flessicurezza e sulla modernizzazione dei regimi pensionistici, ossia la svalutazione e lo smantellamento del sistema pubblico di previdenza sociale universale nell’interesse degli assicuratori privati.

Al fine di garantire che gli Stati membri raggiungano tali obiettivi, raccomandano maggiori controlli e pressione su questi paesi, come se non condividessero la responsabilità dell’adozione degli orientamenti. Mentre pretendono che non si comprenda l’effetto profondo che simili politiche avranno sulla situazione economica e sociale degli Stati membri, ne continuano a proporre di più, cosa che noi rifiutiamo completamente.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Abbiamo votato contro la presente relazione che detta agli Stati membri il contenuto delle loro politiche economiche e sociali per i prossimi tre anni.

Questo è il momento giusto di riaffermare quanto qualsiasi cosa, proprio tutto, oltre alla moneta unica e ai diktat imposti agli Stati membri, venga ora deciso a Bruxelles. Non si tratta più semplicemente del problema di fissare obiettivi per gli Stati membri (la riduzione del debito o del disavanzi della spesa pubblica, la lotta alla disoccupazione, il rilancio della crescita, e così via), ma di spiegare loro nel dettaglio che cosa dovrebbero fare, come farlo, e con quali strumenti.

Il problema è che gli orientamenti sono gli stessi da 15 anni: flessibilità nel lavoro, immigrazione per rinnovare la popolazione e fornire manodopera a basso costo, deregolamentazione dei servizi pubblici, riduzione dei salari, politiche di bilancio maltusiane, liberalizzazione del commercio estero, concorrenza, eccetera. L’elenco è ben noto, come lo sono i suoi risultati: disoccupazione, riduzione del potere d’acquisto e maggiore povertà, deindustrializzazione, disgregazione sociale, e così via. È giunto per noi il momento di domandare: le cose vanno male perché gli Stati membri non sono abbastanza diligenti nell’obbedire agli ordini, o perché lo sono troppo e sono gli ordini invece ad essere sbagliati? Riteniamo, senza ombra di dubbio, che la risposta corretta sia la seconda.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La presente relazione di iniziativa si occupa di molte sfide che l’Europa del futuro dovrà affrontare, quali la crescente globalizzazione, l’invecchiamento della popolazione e il cambiamento climatico. Molte delle misure proposte sembrano ragionevoli e potrebbero costituire un percorso possibile da intraprendere per gli Stati membri.

Il partito Junilistan si oppone ai complessi regimi fiscali, all’emarginazione sociale e al degrado ambientale. Tuttavia, spetta a ciascuno Stato membro stabilire il modo in cui elaborare la propria politica al fine di rispondere alle sfide future. Le soluzioni più riuscite emergono attraverso la concorrenza istituzionale, esempi che possono ispirare e incoraggiare misure volontarie in altri Stati membri.

Abbiamo scelto di non votare a favore di questa relazione in quanto si occupa di ambiti per i quali gli Stati membri hanno la responsabilità politica.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Il mio gruppo ha proposto una serie di emendamenti su questioni importanti quali il cambiamento climatico, la distribuzione più equa della ricchezza e la retribuzione equa, per i quali ho votato a favore.

 
  
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  Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. (PL) Nel settimo anno di attuazione della strategia di Lisbona, la valutazione del Parlamento europeo sulla situazione attuale dell’Unione europea tiene conto delle nuove condizioni che caratterizzano il 2007 e il 2008. Alla luce dell’esperienza di quest’anno e dello scorso anno, nello specifico dell’incertezza e dell’aumento del rischio nei mercati finanziari, sarebbe logico prestare particolare attenzione alla stabilità macroeconomica della Comunità.

È fondamentale che la zona euro sia dotata di una regolamentazione e soprattutto che quest’ultima venga mantenuta. Tuttavia, nelle condizioni dei sistemi finanziari globali deregolamentati, la maggiore responsabilità è degli Stati nazione, che devono occuparsi di mantenere in equilibrio le finanze pubbliche. Questo ambito lascia molto a desiderare, persino nei paesi che pensano di essere “motori” di integrazione, in particolare quando possono contare su una tariffa clemente da parte della Commissione europea.

Una richiesta che per alcuni anni non è stata soddisfatta è l’autentica liberalizzazione del mercato comunitario, in particolare il mercato dei servizi, che creerebbe una pressione concorrenziale più autentica ed eliminerebbe finalmente le barriere di protezione, che non sono più costituite dai regolamenti di grado normativo, in quanto sono stati trovati modi più nascosti di complicare la vita ai concorrenti esteri.

La questione incompiuta della costruzione di un mercato interno dell’Unione europea significa che il potenziale per l’impresa e la creatività nella Comunità a 27 paesi non è impiegato completamente. I costi di questo calo sono calcolati per 150 miliardi di euro. Questi sono motivi sufficienti affinché la questione della liberalizzazione del mercato comune occupino una posizione importante nelle relazioni che valutano la condizione e le prospettive di crescita dell’economia europea.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo positivamente la relazione sugli indirizzi di massima per le politiche economiche per il 2008-2010. Nell’attuale contesto economico, dobbiamo fornire all’Unione europea gli strumenti necessari che ci aiutino a resistere alla tempesta. Nel far questo, l’Europa deve rimanere un’Europa sociale che disponga di meccanismi ben coordinati per l’elevata qualità della spesa pubblica, la ricerca, l’innovazione e l’istruzione. Inoltre, il cambiamento climatico deve essere tenuto in alta considerazione nell’elaborazione delle priorità economiche europee se intendiamo raggiungere gli ambiziosi obiettivi che noi stessi abbiamo fissato.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) Poiché l’argomento in oggetto nella presente relazione è, nello specifico, l’attuazione a livello nazionale della strategia di Lisbona, non posso esentarmi dal tracciare in questa sede un bilancio più preciso delle mie preoccupazioni, quale eurodeputato portoghese, riguardo al fallimento del mio paese nella realizzazione della strategia di Lisbona, in termini di risultati e di misure.

Comprendo che, per molti aspetti, le critiche che potrebbero essere mosse al Portogallo sono le stesse che si potrebbero sollevare nei confronti dell’intera Europa. Tuttavia, noi siamo ben lontani dal raggiungimento degli obiettivi di Lisbona e, per quanto riguarda alcuni criteri quali l’occupazione, ci allontaniamo persino di più da tale esito; non siamo neanche vicini dall’adottare le politiche appropriate intese a ottenere i risultati voluti. Equilibrare l’economia pubblica nazionale è una priorità ma l’equilibrio deve essere conseguito attraverso la riduzione dello spreco e il rifiuto delle spese improduttive, nonché grazie all’equa distribuzione delle entrate.

Non è corretto se si raggiunge sovraccaricando i bilanci delle famiglie e riducendo gli obblighi effettivi dello Stato. Come nel settore privato, la competitività e il successo si ottengono fornendo migliori servizi a prezzi inferiori, senza però eliminare nessuno dei fattori dell’equazione.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto favorevole alla relazione Starkevičiūtė. L’attuale formulazione degli orientamenti costituisce una cornice sufficientemente ampia e ancora valida per accogliere i recenti sviluppi economici e politici. Pertanto, si concorda con la proposta di mantenere invariato il testo degli indirizzi di massima per le politiche economiche nel prossimo ciclo triennale, in coerenza con le conclusioni del Consiglio.

La stabilità, infatti, è un elemento importante ai fini dell’efficacia della strategia di Lisbona e degli orientamenti integrati. Questo nuovo ciclo dovrebbe pertanto imperniarsi sull’attuazione della riforma e sul raggiungimento di risultati concreti. Si condividono inoltre le proposte di modifica al testo esplicativo che accompagna gli indirizzi di massima per le politiche economiche, in quanto consentono di focalizzare meglio il contenuto degli orientamenti per rispondere alle sfide che attendono l’Europa (globalizzazione, rafforzamento delle basi della crescita economica nel medio e lungo periodo, rapidi cambiamenti demografici e sociali).

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. (SV) Oggi ho votato a favore della relazione che definisce gli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione per il 2008-2010. Da un lato, mi ha fatto piacere trovare che siano stati inseriti emendamenti del gruppo socialista che rilevano la necessità di creare un’Europa favorevole alle imprese, non ultime le piccole imprese.

Dall’altro lato, lo stesso gruppo ha proposto norme molto più rigide in campo finanziario, regole che si suppone tutelino i consumatori, ma che significano per loro profitti sempre più ridotti. Questa condotta è più propensa a ostacolare anziché ad aiutare e per questo motivo ho votato contro la proposta. Se l’ambizione europea di essere una forza competitiva leader a livello globale deve diventare una realtà, occorre investire in modo più aggressivo anche nella modernizzazione del mercato del lavoro, nell’incoraggiare ricerca e istruzione, e nel trarre vantaggio dalle opportunità offerte da un’economia “più verde”. Pertanto, ho votato come i Verdi, a favore delle ecotasse a livello comunitario, anche se, come di consueto, ho difeso l’indipendenza della Banca centrale europea dai loro frequenti attacchi.

Se qualcosa ci è stato dimostrato dalle recenti turbolenze finanziarie, è che il vantaggio di una banca centrale forte è che può resistere alle soluzioni nel breve periodo, senza parlare dell’effetto stabilizzante della partecipazione in un’ampia zona monetaria.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. − (EN) La delegazione dei laburisti britannici sostiene il principale significato della presente relazione, in quanto si occupa di promuovere politiche generalmente accettabili per l’economia dell’Unione europea. Tuttavia, l’EPLP ha pesanti riserve sul paragrafo 26, che chiede l’armonizzazione o coordinamento fiscale, che è solo di competenza nazionale. Pertanto, su questo paragrafo in particolare, l’EPLP ha deciso di astenersi.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − (EN) Riguardo al paragrafo 26, l’emendamento si riferisce a una base comune dei regimi di imposizione societaria consolidati. Non concordo su questo aspetto in quanto ritengo dovrebbe essere stabilito dagli Stati membri. Mi sono astenuta su questo punto.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. (RO) La relazione del Parlamento europeo sugli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione esamina gli indirizzi di massima proposti dalla Commissione europea per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità per il periodo 2008-2010.

Ho votato a favore del paragrafo 26, come proposto dalla Commissione, poiché sottolinea la necessità di un “quadro fiscale coordinato, che dovrebbe essere favorevole alle società e in particolare alle PMI ed essere impostati in funzione di una ripresa della crescita e della creazione di posti di lavoro”.

Ho votato inoltre a favore dell’emendamento n. 23, in quanto “chiede che i redditi e la distribuzione della ricchezza garantiscano ripartiscano equamente i benefici della crescita economica”. L’emendamento dichiara che il salario minimo in ogni paese, proporzionato al PIL pro capite, dovrebbe essere un modo per garantire che i lavoratori a tempo pieno possano vivere del proprio lavoro, un elemento che dovrebbe essere considerato parte del modello europeo di società.

Di conseguenza, ho votato a favore della presente relazione con la convinzione che la sicurezza economica di tutti i cittadini europei, l’inclusione sociale, la parità di genere e la creazione di un’economia di mercato renderanno l’Unione un modello economico e sociale in un contesto globale.

 
  
  

− Relazione Cem Özdemir (A6-0503/2007)

 
  
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  Adam Bielan (UEN), per iscritto. (PL) Ho appoggiato la relazione dell’onorevole Özdemir in quanto uno dei problemi politici più urgenti che l’Europa deve affrontare è garantire la sicurezza energetica dell’Unione europea. La diversificazione degli approvvigionamenti dell’Unione europea delle materie prime energetiche è un modo per renderci indipendenti dalla Russia, e il passo fondamentale in questa direzione è una politica comune europea riguardante l’Asia centrale. La Russia ha fortemente approfittato della mancanza di una politica comune dell’UE in questo ambito, e la maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea ha adottato un atteggiamento passivo. Progetti quali l’estensione dell’oleodotto da Odessa-Brody a Gdańsk, o del gasdotto Nabucco, non sono più molto realistici quale risultato delle iniziative delle società russe dominate da servizi speciali.

 
  
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  Bernadette Bourzai (PSE), per iscritto. (FR) Desidero congratularmi con l’onorevole Özdemir per la sua relazione di iniziativa su una strategia comunitaria per l’Asia centrale. Secondo me, ha chiarito perfettamente gli obiettivi e le priorità delle relazioni dell’Unione europea con ciascuno dei cinque paesi dell’Asia centrale. Ha inoltre evidenziato a dovere la necessità di un approccio regionale più coerente a questa regione strategica, sottolineando le differenze tra i paesi.

Approvo il parere della commissione per lo sviluppo, soprattutto riguardo alla necessità di eradicare la povertà, migliorare la sanità pubblica e l’istruzione primaria, nonché eliminare qualsiasi forma di discriminazione contro le donne e le minoranze.

È inoltre importante che la presente relazione sottolinei l’urgenza di compiere progressi per quanto riguarda la democrazia, il rispetto dei diritti umani, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto nella regione, aspetto, questo, che personalmente ritengo essenziale.

La relazione ritiene che la cooperazione in materia di energia sia di primaria importanza nella strategia europea. Nonostante ciò, le istituzioni europee devono essere vigili e garantire che nella regione non vengano sacrificati i diritti umani o l’ambiente per favorire i bisogni energetici e gli accordi commerciali.

 
  
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  Patrick Gaubert (PPE-DE), per iscritto. (FR) Accolgo con favore l’adozione di oggi a larga maggioranza della relazione su una strategia comunitaria per l’Asia centrale. È fondamentale che l’Unione europea si interessi più da vicino di questi cinque paesi: Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Kazakistan.

La relazione chiede giustamente una differenziazione della politica comunitaria nei confronti di ciascun paese e non posso far altro che approvare il fatto che vengano sottolineati criteri quali la situazione dei diritti umani nei paesi in questione e il rispetto da parte loro degli impegni OSCE.

Il testo evidenzia inoltre in modo risoluto l’importanza di questi paesi per l’Unione europea, attualmente e in futuro, in particolare per quanto riguarda il commercio e l’energia. La situazione geopolitica dell’Asia centrale è tale da rendere necessaria una maggiore cooperazione con i paesi in questione, a livello bilaterale e comunitario. La relazione chiede riforme nel settore sociale, nonché in quelli della salute, della sicurezza alimentare, e della lotta alla corruzione per garantire a lungo termine la stabilità, la sicurezza e la prosperità nei paesi della regione.

È pertanto un testo globale, che definisce le sfere di intervento in cui l’Unione europea può offrire la propria assistenza, per avere quanta più visibilità e credibilità nella regione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Conformemente a quanto è stato approvato dalla maggioranza del Parlamento europeo sulle relazioni esterne dell’Unione europea, abbiamo ancora un’altra relazione composta essenzialmente da una raccolta di disposizioni intese a interferire nei paesi terzi, senza nascondere, al contrario, il chiaro obiettivo di ottenere, nel contesto economico di tali paesi, condizioni favorevoli agli interessi dei grandi gruppi finanziari ed economici.

Osservate come la relazione sostiene il rispetto delle “norme internazionali per gli investimenti stranieri” e la disposizione per “assicurare una migliore tutela degli investimenti diretti esteri” in tali paesi. È chiaro che dichiarazioni di questo tipo non significano nient’altro che “la privatizzazione delle banche statali (!) e la creazione di mercati finanziari nazionali che siano realmente competitivi e aperti alle banche straniere (!)”; in altre parole, tali paesi sono stati semplicemente messi in svendita…

Inoltre, in accordo con i suddetti obiettivi, emergono gli interessi primordiali dell’Unione europea per quanto riguarda le “notevoli risorse energetiche” dei paesi della regione, e si fa riferimento alla necessità di garantire gli approvvigionamenti energetici, senza disturbare le vie di trasporto e con la massima regolarità possibile.

In pratica, rispecchia il vero significato del tanto esaltato “ruolo dell’Unione europea nel mondo”, in particolare nell’attuale Trattato proposto: la sua ambizione di raggiungere il predominio politico ed economico.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Desidero congratularmi con il collega, l’onorevole Özdemir, per la sua relazione sull’Asia centrale, alla quale do il mio totale sostegno. La democrazia e i diritti umani sono principi fondamentali dell’Unione europea, che dovrebbero essere al centro della politica comunitaria nei rapporti con altre regioni. I paesi dell’Asia centrale hanno attirato l’attenzione delle potenze economiche mondiali in primo luogo grazie alle loro risorse naturali. L’Unione europea deve dimostrarsi superiore e cercare di investire anche nelle loro risorse umane, sostenendo la democrazia e i diritti umani.

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL), per iscritto. − (CS) Qual è stata l’eredità dell’Unione Sovietica nei paesi dell’Asia centrale? La parità per le donne, l’abolizione del lavoro minorile e dell’analfabetismo, la monocoltura. In nessuno di questi paesi le componenti religiose sono riuscite a stabilire una supremazia.

La priorità fondamentale dell’Unione europea è l’impiego delle risorse naturali di tali paesi, in particolare il petrolio, il gas naturale e l’uranio. Un’altra priorità è bloccare uno dei principali canali di traffico di oppio dall’Afghanistan. Questo ci porta alla diretta responsabilità dell’Unione europea e degli Stati Uniti per il sostegno all’instaurazione di regimi totalitari nei paesi della regione. I singoli paesi tentano di limitare la proliferazione dei gruppi terroristici e la diffusione delle ideologie islamiche militanti, ma una situazione del genere si ripercuote negativamente sullo sviluppo della società civile e della democrazia partecipativa e tende a sostenere i regimi totalitari.

Nonostante tutte le critiche dei paesi della regione in questa relazione, dobbiamo sempre ricordare le difficili condizioni storiche che tali paesi hanno dovuto affrontare nel corso del loro sviluppo. L’Unione europea deve aiutarli a superare le conseguenze di molti anni di negatività creata dalla presenza dei grandi Stati dell’UE e degli USA nel vicino Afghanistan.

Non vi è alcuna ragione di favorire la Turchia quale principale mediatore potenziale ai fini di un’influenza positiva nella regione. L’attuale situazione per quanto riguarda il rispetto dei diritti delle minoranze in Turchia non giustifica di certo un simile approccio. Al contrario, si dovrebbe prestare molta più attenzione ai tradizionali legami con la Russia. Quando si tratta della nostra lotta contro la diffusione del terrorismo e delle droghe nei paesi della regione, la Russia è il nostro alleato più vicino.

Nonostante le riserve sin qui menzionate, sono a favore dell’adozione della relazione.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. (DE) Voterò a favore della proposta su una strategia comunitaria per l’Asia centrale, in quanto le cinque repubbliche della regione ricevono aiuti pubblici allo sviluppo e l’Unione europea ha una responsabilità particolare nell’assistere tali paesi. Desidero sottolineare il ruolo dell’Unione europea quale mediatore tra i paesi dell’Asia centrale, compensando le differenze significative tra le cinque repubbliche in termini politici, economici e di condizioni sociali. In particolare, desidero sottolineare la terribile situazione in ambito sanitario, attribuibile all’insignificante sistema di assistenza sanitaria.

Fornire accesso all’acqua potabile e collegare i residenti alla rete nazionale presenta un problema di vasta portata in Tagikistan, Uzbekistan e Repubblica kirghiza. Ritengo importante che il mio voto su una strategia comunitaria per l’Asia centrale sia anche un voto per migliorare le condizioni di vita delle persone della regione negli aspetti sociale, sanitario e giuridico.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) La relazione dell’onorevole Özdemir su una strategia comunitaria per l’Asia centrale si occupa di una questione fondamentale dell’agenda di politica estera dell’Unione europea. Accolgo con favore l’accento posto sul rispetto dei diritti umani nella regione dell’Asia centrale, un accento che l’Unione europea dovrebbe porre nelle sue relazioni esterni più in generale. Nella regione non è molto evidente il progresso democratico, in particolare in Uzbekistan e Turkmenistan, e qualsiasi strategia comunitaria per la cooperazione dovrebbe cercare di condurre questi Stati su un percorso verso il concetto di democrazia. Come la relazione sottolinea chiaramente, l’Asia centrale necessita di una cooperazione attiva comunitaria in materia di energia allo scopo di trovare soluzioni reciprocamente vantaggiose all’attuale situazione del mercato energetico. Concordo riguardo alle raccomandazioni dell’onorevole Özdemir e ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Véronique Mathieu (PPE-DE), per iscritto. (FR) Eccezion fatta per la Repubblica kirghiza, nella regione dell’Asia centrale gli sviluppi sono allarmanti per più di un motivo.

In primo luogo, nel settore dei diritti umani e della democrazia, gli abusi su molte donne (matrimoni forzati, sfruttamento sessuale, stupro, e così via) e il lavoro minorile nella regione sono totalmente inaccettabili.

Inoltre, per quanto riguarda l’aspetto sanitario, l’aumento di malattie infettive (in particolare l’HIV) è un fattore preoccupante.

Infine, l’Asia centrale non beneficerà di un’effettiva integrazione nel sistema economico mondiale finché tutti i cinque paesi della regione non faranno parte dell’OMC (la Repubblica kirghiza vi ha aderito nel 1998).

La strategia comunitaria per l’Asia centrale può apportare un efficace contributo allo sviluppo economico e umano di questa regione del mondo. L’Unione europea non deve ignorare l’Asia centrale, che costituisce un crocevia strategico tra Europa e Asia nonché un partner tradizionale nelle relazioni commerciali e nella cooperazione energetica.

Sostengo con forza il presente documento nel suo auspicio di veder chiarite le priorità dell’Unione europea nell’Asia centrale, potenziati i progetti europei lanciati nella regione e accelerata la loro attuazione. Questo è il motivo per cui ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) La pianificazione strategica per l’Asia centrale è senza dubbio una buona idea, di certo necessaria, in particolare per la cooperazione economica e l’apertura dei mercati. Sarebbe inoltre ragionevole accelerare tutto questo al fine di stare al passo con gli sviluppi.

Tuttavia, non può proseguire la situazione in cui alcune norme che possono essere applicate a livello europeo diventano inutili in Asia centrale. D’altro canto, applicare gli stessi parametri dell’Europa nella regione significherebbe mostrare una significativa arroganza nei confronti dei gruppi di persone citati nella relazione e dei loro diritti all’autodeterminazione. Per quanto riguarda il ruolo delle donne, vi è sufficiente bisogno di iniziative in altre regioni del mondo, non ultimo l’intero mondo arabo, in cui tale necessità è molto più urgente.

Il lavoro minorile, diffuso particolarmente in Cina, rientra tuttavia nelle norme che ho già citato, che i partner commerciali sono tenuti a osservare.

La lotta al terrorismo e al traffico di droga, che in qualche modo sono connessi, devono occupare il primo posto in assoluto dell’agenda. Questi sono gli aspetti da combattere in modo implacabile.

 
  
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  Cristiana Muscardini (UEN), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo un parere positivo sul documento presentato dalla Commissione europea per un nuovo partenariato con i paesi dell’Asia centrale, ma desidero sottolineare i seguenti aspetti.

In primo luogo, l’importanza crescente nel commercio internazionale dell’area dell’Asia centrale, che costituisce oggi un serbatoio alternativo importante per le materie energetiche.

In secondo luogo, il fatto che l’Europa deve quindi guardare con molta attenzione a questa parte del mondo, favorirne l’inserimento nel commercio mondiale e nel sistema economico internazionale, sostenendo le candidature di quei paesi dell’area che sono ancora fuori dall’OMC. Il rafforzamento delle relazioni commerciali con tutta l’area deve quindi essere visto come parte di una strategia volta a determinare maggiore cooperazione e integrazione fra gli stessi paesi e a incrementare l’influenza, anche politica, da parte europea in un’area dove sono stati compiuti progressi per la democrazia.

In terzo luogo, nell’approccio globale verso l’Asia centrale si deve tenere conto delle forti differenze politiche ed economiche esistenti fra i paesi della regione. Si è dato particolare risalto al ruolo esercitato da un paese come il Kazakistan, che ha un’economia avanzata, e quindi alla potenzialità dei benefici dovuti al rafforzamento dei legami con questo paese anche nell’ottica di uno sviluppo generale dell’intera regione.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) L’Unione europea ha tentato di instaurare strette relazioni e un dialogo attraverso la sua politica di vicinato. Nel caso dell’Asia centrale, l’elaborazione di una nuova strategia e il partenariato con cinque nuovi Stati sta contribuendo a promuovere una maggiore stabilità, lo sviluppo socioeconomico e democratico nonché la sicurezza in tutta quella zona dell’Asia.

Constatiamo che esiste un interesse globale nella stabilità dell’Asia centrale, dato che le gravi crisi prolungate nella regione potrebbero avere conseguenze disastrose e ripercuotersi sull’Unione europea e i suoi Stati membri. Inoltre, la situazione geopolitica dell’Asia centrale attrae l’interesse sempre maggiore delle potenze economiche quali la Russia, gli Stati Uniti, la Cina e la Turchia.

Ritengo che il futuro di quelle relazioni intese alla maggiore stabilità e sicurezza nonché cooperazione politica, economica e sociale, debbano tener conto anche della situazione dei diritti umani in ciascun paese e del rafforzamento delle relazioni commerciali e della cooperazione in materia di energia, nonché prestare attenzione alle necessità di sviluppo e agli impegni assunti per quanto riguarda il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini della regione.

 

6. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 13.10, è ripresa alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MIGUEL ANGEL MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 

7. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

8. Controllo dell’applicazione del diritto comunitario (2005) (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione presentata dall’onorevole Frassoni, a nome della commissione giuridica, sulla 23esima relazione annuale della Commissione sul controllo dell’applicazione del diritto comunitario (2005) [2006/2271(INI)] (A6-0462/2007).

 
  
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  Monica Frassoni, relatrice. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’applicazione del diritto comunitario è una parte essenziale dell’agenda “Legiferare meglio” lanciata dalla Commissione Barroso. Per un po’ di tempo è rimasta una specie di Cenerentola, persa fra la moda dell’impact assessment e quella della riduzione dei costi.

Oggi la Commissione ha un po’ raddrizzato il tiro, anche grazie alla pressione esercitata dal nostro Parlamento. È questa una procedura che da anni segue una strada che, in molti casi, è una specie di tran tran burocratico, dove a un’infrazione ne succede un’altra senza grande effetto, ma che rimane una procedura assolutamente indispensabile.

I numeri parlano molto chiaro. Ad oggi ci sono circa 2 518 procedure d’infrazione aperte nei settori più diversi e in particolare in materia di ambiente e di mercato interno. A questo si aggiungono le centinaia, anzi le migliaia, di petizioni che il Parlamento europeo riceve ogni anno e che spesso fanno riferimento a casi specifici di violazione del diritto comunitario, di fronte ai quali il cittadino si sente impotente e quindi si rivolge al Parlamento.

La questione è: con quale chance di essere accontentato? La procedura d’infrazione è descritta dal Trattato negli articoli 226 e 228 e perciò c’è poco da essere creativi. Le regole vigenti ci condannano a procedure lente e farraginose dove la misura più efficace – la sanzione pecuniaria – arriva rarissimamente e soltanto alla fine di un tempo molto lungo, addirittura di decenni.

Ma molto, moltissimo, può essere fatto e io ringrazio la Commissione di avere proposto negli ultimi due anni, e poi nel settembre scorso con una comunicazione specifica, una serie di misure che sono analizzate e valutate nel mio rapporto e su cui vorrei fare poi qualche commento.

Ma prima permettetemi di fare una considerazione che io considero cruciale in questo dibattito, perché fare rispettare le leggi può essere un tema molto politico e può essere uno strumento formidabile per accrescere la credibilità e la visibilità delle istituzioni comunitarie.

Voglio citare due esempi concreti di comportamento in parte diverso da parte della Commissione: la crisi dei rifiuti a Napoli e l’autostrada della Via Baltica nella Valle Rospuda in Polonia.

La crisi dei rifiuti a Napoli è figlia diretta delle violazioni che si sono succedute, anni dopo anni, di praticamente tutte le regole comunitarie in materia di rifiuti. E infatti contro l’Italia sono state aperte negli anni numerosissime infrazioni e la Corte ha condannato l’Italia in molteplici occasioni. Ma solo ora, dopo anni e quando la situazione è diventata intollerabile per tutti e impossibile da nascondere, la Commissione ha deciso di battere i pugni sui tavoli. Le visite della Commissione sono seguite con grandissima attenzione e i cittadini urlanti di fronte a discariche illegali annunciano in TV l’invio di petizioni al Parlamento europeo. Ma mi chiedo: non si poteva fare prima? Davvero non avremmo potuto avere un atteggiamento diverso per impedire di arrivare a questa situazione? Si poteva!

E infatti è quello che il Commissario Dimas ha fatto nel caso della Valle Rospuda in Polonia, che rischiava di essere sfigurata da un’infrastruttura prevista dalla Via Baltica, in cui per la prima volta il Commissario ha chiesto un intervento sospensivo della Corte che è stato concesso. Questo è un precedente importantissimo che ci dice qualcosa di estremamente chiaro: la Commissione può e deve essere dura e rigorosa con gli Stati membri che fanno finta di nulla e deve usare tutti i sistemi che il sistema democratico le permette: i media e l’opinione pubblica.

Una delle innovazioni più importanti che la Commissione fa nella comunicazione riguarda un cosiddetto nuovo metodo di lavoro. Noi abbiamo manifestato molte perplessità rispetto a questo nuovo metodo di lavoro, che si basa sul fatto sostanzialmente di rinviare allo Stato membro verso il quale viene fatto un ricorso il ricorso stesso per cercare di risolvere il problema. Abbiamo espresso queste perplessità, la Commissione ci ha dato qualche assicurazione, che spero riusciremo a sentire ancora oggi, ma noi manterremo un’alta attenzione su questo tema e speriamo davvero che, sulla questione delle procedure d’infrazione, il tema della trasparenza, della possibilità di utilizzare il “name and shame” per gli Stati membri e il lavoro comune con questa Istituzione possano portare a dei passi avanti.

Signor Presidente, alla fine del dibattito prenderò ancora la parola per due minuti per finire il mio tempo di parola.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio.

Onorevole Frassoni, a nome del Consiglio desidero salutare con favore la sua relazione sulla relazione annuale della Commissione sul controllo dell’applicazione del diritto comunitario, nonché la valutazione aggiuntiva affrontata nella comunicazione della Commissione “Un’Europa dei risultati – Applicazione del diritto comunitario”. La nostra opinione è che il testo del Parlamento europeo sia un contributo molto utile per il nostro obiettivo comune di garantire l’applicazione tempestiva e corretta del diritto comunitario.

A nome del Consiglio desidero valutare positivamente i risultati della relazione dell’onorevole Frassoni, che riteniamo essenziali, in particolare nel garantire che gli effetti positivi del diritto comunitario nella vita quotidiana dei cittadini dell’Unione europea dipendano in primo luogo dall’efficienza delle politiche della stessa Unione e dalla supervisione e controllo dei metodi attraverso cui gli Stati membri si conformano al diritto comunitario.

Giudichiamo in modo positivo l’impegno del Parlamento europeo nel sostenere lo scambio della migliore prassi tra gli Stati membri. Dal nostro punto di vista tali scambi contribuirebbero in modo significativo a un’applicazione più efficace e unificata del diritto comunitario.

Devo a questo punto spiegare che il Presidente del Consiglio non può esprimersi su molte delle questioni e delle proposte presentate in questa eccellente relazione. Come sappiamo, la responsabilità dell’applicazione amministrativa del diritto comunitario incombe principalmente agli Stati membri, in conformità delle rispettive disposizioni costituzionali, nonché alla Commissione che, quale custode dei Trattati, deve occuparsi di controllare l’applicazione uniforme del diritto comunitario.

 
  
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  Günter Verheugen, Membro della Commissione. (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli deputati, la Commissione è grata dell’opportunità di discutere oggi tali importanti questioni con il Parlamento europeo, e sono davvero molto grato per la relazione e per il contributo dell’onorevole Frassoni, che contiene punti validi. Le posso garantire, onorevole Frassoni, che la Commissione tiene seriamente in alta considerazione le sue osservazioni.

L’Unione europea è una comunità basata sullo Stato di diritto e in quanto tale è unica al mondo. Solo la legge può garantire le libertà cui i cittadini hanno diritto nonché forgiare l’economia di mercato in modo tale che funzioni a beneficio di tutti.

La Commissione europea è il custode dei Trattati. Il suo ruolo è quello di garantire che il diritto comunitario venga attuato ovunque e che venga applicato in modo corretto su tutto il territorio. Anche la legge migliore non ha alcun valore finché rimane solo un pezzo di carta. Pertanto, ogni commissione scoprirà che uno dei suoi compiti più importanti è garantire che il nostro diritto non sia costituito solo da parole vuote.

Con le procedure di infrazione del Trattato e la Corte di giustizia europea, disponiamo di un’arma potente. Un’arma che deve essere impiegata quando non vi è altro modo di rimediare a una violazione della normativa. Tuttavia, non è fine a se stessa, e potrebbe risultare inefficace qualora se ne faccia un utilizzo eccessivo.

La Commissione non crede che il numero di procedure di infrazione sia un metro di valutazione della serietà e della determinazione con cui controlla il livello di rispetto del diritto comunitario. Al contrario, la Commissione ritiene che sia un modo per trovare soluzioni ai problemi. Il vero metro di valutazione è il totale di problemi relativi all’applicazione del diritto comunitario che abbiamo risolto, e in quanto tempo.

Infatti, abbiamo riesaminato con occhio critico il modo in cui lavoriamo e siamo giunti alle seguenti conclusioni: una volta individuati, i problemi devono essere affrontati con rapidità ed efficacia. I cittadini e gli imprenditori hanno il diritto ad avere risposte rapide. Pertanto, onorevole Frassoni, riporterò alla Commissione quanto da lei affermato sui rifiuti in Campania, argomento che quindi dovrà essere discusso. Concordo appieno che sia assolutamente essenziale un approccio rigoroso, rapido e deciso nei casi in cui il diritto comunitario viene palesemente ignorato.

È preferibile, in principio, un approccio basato sul partenariato a uno provocatorio. La Commissione auspica pertanto di assistere a un maggiore dialogo e a una maggiore trasparenza su tali questioni. Desideriamo inoltre definire priorità chiare: in primo luogo affrontare rapidamente i problemi importanti, senza impiegare strumenti drastici e sproporzionati all’entità della questione. Occorre inoltre che siano disponibili le risorse necessarie.

A questo punto, consentitemi un’osservazione. Se sorgono problemi relativi all’applicazione del diritto comunitario per determinate questioni, è possibile che la causa sia la normativa stessa, che è poco chiara o contraddittoria. Non dovremmo partire dal presupposto che gli Stati membri adottano un comportamento errato.

Quale risultato di tali considerazioni, abbiamo intrapreso una serie di iniziative e vorrei dire dal principio che continueremo a ricorrere alle procedure di infrazione del Trattato, avviandole immediatamente quando devono essere fornite le informazioni necessarie. Tuttavia, suggeriamo un nuovo modo di lavorare, con il quale ci auguriamo di ottenere più rapidamente le informazioni che occorrono.

Il metodo è basato sul rafforzamento della cooperazione con gli Stati membri prima che si arrivi alla fase di avvio di procedure istituzionali, tranne, ovviamente (e questo è molto importante, onorevole Frassoni) per i casi in cui sia evidente sin dall’inizio che, con tutta probabilità, è stato violato un Trattato. In tal caso, il nostro primo passo non è dialogare con gli Stati membri, ma intervenire.

Non è un processo completamente nuovo, ma un iter preliminare in cui necessitiamo di ulteriori procedure, o intendiamo raggiungere una soluzione più rapidamente senza avviare una procedura di infrazione del Trattato.

Si risponderà in modo diretto e rapido a tutte le richieste e le denunce e, a seconda dei casi, si potranno avviare procedure di infrazione del Trattato. Ciò significa che ogni richiesta è registrata ed elaborata. Se formulata quale denuncia, o può essere considerata come tale, verrà adeguatamente trattata e la Commissione adotterà le iniziative appropriate.

Attualmente stiamo sperimentando questo nuovo metodo di lavoro in una fase pilota. Al progetto pilota, programmato al fine di garantire che compiamo reali progressi, partecipano quindici Stati membri. Ovviamente, informeremo il Parlamento dei risultati di tale fase, e con tale istituzione discuteremo anche qualsiasi ulteriore iniziativa.

Ad ogni modo, ci troviamo già in una posizione da essere in grado di trovare una soluzione al 90% di tutti i problemi sottoposti alla nostra attenzione, dover portare la questione dinanzi a un giudice. Tuttavia, condividiamo la vostra opinione secondo cui dovrebbe essere un processo molto più rapido. A questo potrebbe contribuire optare per un ciclo mensile del processo decisionale, iniziato a gennaio, il che garantirebbe un’esecuzione più rapida ed efficiente delle procedure di infrazione del Trattato.

Senza dubbio, stiamo tentando di rendere l’intero processo quanto più trasparente possibile, garantendo al contempo il grado appropriato di riservatezza, come ci viene richiesto dalla Corte di giustizia europea. Il pubblico avrà accesso sul web a sintesi aggiornate di tutte le procedure di infrazione del Trattato al momento in fase di dibattimento.

Nell’interesse della trasparenza e della certezza giuridica, dobbiamo anche sapere in quale modo gli Stati membri applicano il diritto comunitario nei rispettivi contesti nazionali. Pertanto, ci occorrono tabelle che illustrino la concordanza, come richiesto nella relazione, che mostrino chiaramente lo status di attuazione in ogni Stato membro.

Onorevoli deputati, ritengo che condividiamo i medesimi obiettivi. Desideriamo una normativa comunitaria in cui i cittadini dell’Unione europea possano riporre completa fiducia.

 
  
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  Diana Wallis, relatrice per parere della commissione per le petizioni. − (EN) Signor Presidente, nel minuto a mia disposizione a nome della commissione per le petizioni, desidero fare tre cose. Innanzi tutto, vorrei ringraziare l’onorevole Frassoni per la sua cooperazione in questa relazione annuale ma, soprattutto, desidero chiarire l’importanza della commissione per le petizioni nella procedura di controllo e attuazione.

Ritengo che, finalmente, la Commissione abbia riconosciuto tale importanza, per cui ringrazio il signor Commissario, in quanto dovremmo istituire un reale partenariato tra le due istituzioni su questo aspetto, coinvolgendo in modo particolare la commissione per le petizioni, che rappresenta davvero i nostri occhi e le nostre orecchie, in quanto legislatori, attraverso i nostri cittadini che si rivolgono a noi per i problemi che riscontrano.

Tuttavia, affinché i nostri cittadini possano fare questo, passerò al mio secondo punto. Signor Commissario, lei ha parlato del nostro diritto come di una legge di vita. Bene, perché lo sia deve essere comprensibile, intelligibile, per i nostri cittadini. Ho discusso a lungo con la sua collega, la signora Commissario Wallström, riguardo alle sintesi dei cittadini, affinché questi ultimi comprendano la nostra normativa. In più occasioni, la signora Commissario ci ha promesso che saranno disponibili con ogni strumento legislativo. Attendiamo ancora una dimostrazione di questo.

Infine, la commissione per le petizioni, e ciò riguarda i miei stessi colleghi, necessita di una rilevanza ancora maggiore e di risorse nella nostra Assemblea. Non si tratta solo di una commissione invadente e ficcanaso, ma svolge un vero lavoro nel collegare in nostri cittadini in questo settore.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signor Commissario, lei ha assolutamente ragione: lo Stato di diritto è alla base dell’Unione europea. Ha giustamente precisato che la normativa comunitaria è il modo di raggiungere gli obiettivi dei Trattati dell’Unione europea, il cui simbolo è l’interesse per i cittadini europei, che hanno il diritto di chiedere l’attuazione di tale normativa.

La mole, l’ampiezza e la complessità della normativa sono in costante crescita. Noi eurodeputati del partito popolare desideriamo esprimere la nostra soddisfazione: grazie alla presente 23sima relazione annuale sul controllo dell’applicazione del diritto comunitario nonché la pubblicazione dei risultati in Europa, la Commissione sta dimostrando il suo desiderio di amministrare i Trattati e di garantire che la normativa venga attuata.

Lei ha assolutamente ragione nell’affermare che desideriamo le tabelle sulla concordanza, sulle quali il Consiglio prenderà oggi una decisione. La relazione dell’onorevole Frassoni, su cui abbiamo tenuto un’interessante audizione in Parlamento, è anche risultato di un’ampia cooperazione con voi. Consentiteci di dirvi che anche quest’Assemblea vorrebbe partecipare alla procedura di controllo e desidera tenersi informata sulle vostre attività. Vorremmo vi rivolgeste alle nostre commissioni così come fate con la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, al fine di poter ascoltare la vostra relazione sui progressi compiuti.

È indubbio che auspichiamo che teniate in considerazione le petizioni che riceviamo, come avete sottolineato nella relazione, nonché evidenziare che, per quanto riguarda le nostre decisioni sulle immunità, desideriamo interveniate al fine di garantire che i giudici nazionali le adottino.

L’attuazione del diritto comunitario consente ai cittadini europei di sperare che la democrazia, la legge e l’ordine saranno rafforzati, e che le autorità dell’Unione europea si avvicinino di più a loro. Oggi, dopo la risoluzione sul nuovo Trattato di Lisbona riformato, noi tutti ci auguriamo un futuro migliore per l’Unione europea.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg, a nome del gruppo PSE. (PL) Signor Presidente, un obiettivo della normativa comunitaria è l’attuazione delle varie strategie politiche dell’Unione europea. L’applicazione di tale normativa dovrebbe essere una priorità per tutti gli Stati membri che, soggetti contemporaneamente al controllo e al monitoraggio della Commissione, ne garantiranno gli esiti positivi desiderati per i cittadini d’Europa.

Negli anni passati, il numero totale dei procedimenti di infrazione di regolamenti giuridici avviati dalla Commissione è stato in costante crescita, per raggiungere un totale di circa 2 700 nel 2005. L’adesione di 10 nuovi Stati all’Unione europea non ha avuto un impatto sulla crescita complessiva del numero delle violazioni. Tuttavia, esiste il pericolo che tale situazione possa essere imputabile alla mancata registrazione delle denunce, o a problemi amministrativi nelle istituzioni responsabili del controllo delle violazioni.

La relazione dovrebbe essere elogiata in primo luogo e soprattutto per quanto riguarda l’introduzione di studi dettagliati degli episodi di violazione connesse alle petizioni, nonché le informazioni fornite sulla disponibilità di un’ampia cooperazione delle singole direzioni generali su tali questioni. Dovremmo inoltre accogliere positivamente la comunicazione completa della Commissione “Un’Europa dei risultati – Applicazione del diritto comunitario”. Tuttavia, i problemi dei finanziamenti disponibili per la valutazione dei casi di violazione, la lentezza dei procedimenti di infrazione, l’applicazione limitata dell’articolo 228 del Trattato e la valutazione dell’applicazione dei criteri prioritari necessita ancora di sviluppi in più dettagli da parte della Commissione.

Il nuovo metodo di lavoro proposto da introdurre nel 2008, quale progetto pilota in molti Stati membri, inteso a condurre in modo più efficiente i procedimenti in corso, merita riconoscimento. Tuttavia, una fase della procedura, in particolare l’invio di una notifica a uno Stato membro interessato che è, innanzi tutto, la parte responsabile dell’applicazione inadeguata della normativa comunitaria, è motivo di preoccupazione: ciò può condurre a un indebolimento del ruolo della Commissione quale custode dei Trattati.

Il diritto comunitario dovrebbe essere creato nell’ottica di affrontare i problemi dei cittadini e di essere in grado di fornire risposte rapide alle loro domande e denunce, il che semplificherà per loro la comprensione e l’impiego dei rispettivi diritti, e al contempo ridurrà concretamente il numero di procedimenti di infrazione della normativa. Infine, mi congratulo di cuore con l’onorevole Frassoni per un documento preparato a dovere.

 
  
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  Diana Wallis, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, desidero rivolgere la mia attenzione alle nostre tre istituzioni e sottolineare l’importanza del ruolo che ciascuna di loro riveste nell’attuazione e nel controllo.

In questo caso, chiaramente, ci soffermiamo sulla relazione della Commissione. La Commissione ha senza dubbio quale prima responsabilità l’attuazione e l’applicazione della normativa, e non desideriamo pestarle i piedi in questo senso. Tuttavia, ritengo che l’Esecutivo possa comprendere che, in futuro, osserveremo con molta più attenzione.

Siamo grati che siano state prese in considerazione molte delle lezioni della nostra relazione sulla crisi della Equitable Life, ma siccome stiamo entrando in un nuovo periodo, e forse proviamo nuove idee, dobbiamo agire con molta cautela.

Prima di tutto, per quanto riguarda il Consiglio, dobbiamo ancora ricevere l’approvazione, e mi ha fatto piacere che il Commissario l’abbia citata, dell’idea delle tabelle di concordanza relative a ciascuna normativa, affinché tutti possano verificare che cosa accade esattamente negli Stati membri e in quale ambito viene inserita ogni legge.

Il progetto pilota è un’idea eccellente; tutto è ottimo e positivo, quindi consentiteci di osservarne il funzionamento. Ma, e qui c’è un ma, sono alquanto scettica del fatto che così tanti Stati membri l’abbiano sottoscritto. Mi auguro che non lo intendano come una specie di semplificazione del problema, e spero che la Commissione li dissuada dall’idea che possa trattarsi di questo.

Infine, passo al nostro Parlamento. È chiaro che, dopo il Trattato di Lisbona, dobbiamo assumere un ruolo molto più importante in termini di controllo. Non possiamo pensare che, una volta che abbiamo terminato con una certa normativa, sia finito il nostro compito. Le nostre commissioni dovranno svolgere un ruolo ancora più importante nel controllo. Una o due relazioni sull’attuazione sono già in corso, e aumenteranno, e dovremo assumerci le nostre responsabilità, assieme alle altre istituzioni.

Desidero solo aggiungere come piccola annotazione, ma fondamentale, che dobbiamo prestare attenzione alla formazione della magistratura nelle nostre giurisdizioni nazionali al fine di assicurarci che anche loro sappiano come applicare il diritto comunitario.

 
  
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  Alyn Smith, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, mi congratulo con la collega e copresidente del mio gruppo, l’onorevole Frassoni, per una relazione opportuna e ben ponderata. Mi unisco anch’io alle osservazioni dell’onorevole Wallis, riguardo alle quali concordo totalmente.

L’adozione delle leggi è un compito impegnativo per noi, ma la loro attuazione va a beneficio dei nostri cittadini, e una mancata applicazione delle leggi, francamente, ci farebbe sembrare pazzi. Mi congratulo con la Commissione per alcuni passi che sono stati molto positivi. Tuttavia dobbiamo attribuire a tali interventi maggiore priorità in agenda, poiché in Scozia senza dubbio è diffusa la forte sensazione che esista una legge per un certo paese e un’altra per un altro. Sono ben consapevole che non è responsabilità della sola Commissione, ma tutti dobbiamo contribuire nel risolvere il problema come se fossimo una sola Europa.

Pertanto, nel congratularmi con la collega del mio gruppo, sono lieto di sentire che molti di tali punti verranno presi in considerazione dal signor Commissario. Desidero fare un’altra osservazione, in particolare riguardo alla normativa in materia di ambiente, oggetto di molte controversie: tanti dei validissimi obiettivi di singole legislazioni suscitano controversie, e dobbiamo affrontare tale problema in fase di elaborazione. Non vi è sufficiente controllo in termini di applicazione per le autorità locali sul modo in cui dovrebbero affrontare i loro obiettivi spesso complessi quando sono motivo di conflitto. Ci era stata promessa una verifica di questo nel pacchetto in materia di energia, pertanto chiedo al signor Commissario di chiarirci in qualche modo il processo in corso, gliene sarei grato.

 
  
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  Bert Doorn (PPE-DE). (NL) Signor Presidente, anche io desidero congratularmi con l’onorevole Frassoni per la sua relazione. Sono state presentate alcune relazioni sull’attuazione, in cui si può individuare un filo distintivo comune. Ciò significa una maggiore attenzione all’applicazione, anche da parte del Parlamento europeo. Ora possiamo ricorrere alle relazioni sull’attuazione. Io stesso a luglio ne presenterò una in merito alle otto direttive sul controllo dei contabili. È positivo che anche il Parlamento europeo controlli con attenzione il recepimento della normativa negli Stati membri.

Desidero soffermarmi sulla questione dei supervisori a tale proposito. Parliamo del recepimento da parte delle autorità degli Stati membri e dei giudici che applicano la legge. Tuttavia, molti Stati membri dispongono anche di supervisori indipendenti incaricati di applicare ed elaborare la normativa. In pratica, sono emerse ampie disparità tra i vari Stati membri e tra i supervisori. Sempre più spesso, le imprese che sono attive al livello internazionale in molti Stati membri si trovano di fronte a requisiti diversi dettati da supervisori diversi di tali paesi. Questo è estremamente inopportuno, e frena le operazioni nel mercato interno.

Desidero sottolineare ancora un altro aspetto. Non possiamo, inoltre, evitare un’ulteriore valutazione degli strumenti legislativi impiegati in Europa. Sinora, abbiamo lavorato principalmente con le direttive riguardanti l’armonizzazione. Il Commissario Verheugen ha già dichiarato in alcune occasioni che in futuro sarebbe ragionevole utilizzare maggiormente gli strumenti di regolamentazione per la normativa del mercato interno, al fine di evitare qualsiasi genere di problema, quali la scelta selettiva e la semplificazione nel corso della trasposizione delle direttive. So che anche nei parlamenti nazionali, in particolare il parlamento danese, la realizzazione è lenta ma senza dubbio affondare in quell’applicazione che implica la semplificazione e la scelta selettiva può essere dannoso al funzionamento del mercato interno e dell’economia nazionale. In tal caso, muoversi in direzione di una regolamentazione, ove possibile, non è più così tanto eccezionale.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE).(ES) Signor Presidente, siamo consapevoli dell’importanza della vostra missione di controllo dell’applicazione del diritto comunitario. Si tratta di relazioni tra istituzioni sopranazionali e governi nazionali, i quali hanno forte personalità giuridica, con un grande potere, essendo anche autorità pubbliche. Tradizionalmente la Commissione è custode del diritto comunitario per i cittadini e, in molti casi, è l’unica garanzia di cui dispongono per una corretta applicazione del diritto comunitario (perché il diritto comunitario è diritto).

La relazione dell’onorevole Frassoni è intesa a rafforzare quella che chiamerei la spina dorsale della Commissione, affinché quest’ultima sia consapevole dell’importanza di tale compito e che, anche se desideriamo una fase precedente di negoziato con i governi sulle difficoltà che possono sorgere, al momento della verità la Commissione agisca come i cittadini si aspettano, con forza e tenacia, e applichi il diritto comunitario.

È preoccupante che, a seguito dell’allargamento, ci possa essere l’impressione che la Commissione applichi criteri meno rigidi per i nuovi Stati membri rispetto a quanto abbia fatto per i vecchi paesi. Questo si ripercuoterebbe negativamente sul consolidamento dell’Unione europea e sulla reputazione della stessa Unione in quegli Stati membri. Avendo seguito molti dei procedimenti di infrazione della Commissione europea, posso garantire alla Commissione che, quando interviene, i cittadini e persino le autorità pubbliche, si sentono rafforzati dalla sua azione in questo settore.

In altre parole, ritengo che la relazione del Parlamento europeo, la proposta avanzata dall’onorevole Frassoni, nonché l’opinione dell’onorevole Wallis, abbiano lo scopo di rafforzare la Commissione in modo da non considerarsi sola e indifesa di fronte ai governi, ma che con il Parlamento europeo possa potenziare tale ruolo di controllo e monitoraggio che lei stessa detiene in merito all’applicazione del diritto comunitario.

 
  
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  Margrete Auken (Verts/ALE).(DA) Signor Presidente, i cittadini d’Europa sono di importanza decisiva per la normativa comunitaria. Non sono semplici vittime sacrificali delle violazioni, come nel caso di Napoli. In molte questioni ambientali sono stati spesso protagonisti. Come cani da guardia, sorvegliano per garantire un’attuazione corretta delle leggi in tutti gli angoli d’Europa, e in molti casi sono gli unici a farlo. Per questo motivo, l’Unione europea dovrebbe sostenere i cittadini assicurando loro una posizione salda. Occorrerebbe considerare con serietà e con rispetto le loro denunce, quando richiamano l’attenzione su violazioni della normativa comunitaria. Auspico sinceramente che questo non sia un tentativo della Commissione di fermare molte delle denunce in corso, perché sarebbe una cattiva pratica. Pertanto, desidero ringraziare l’onorevole Frassoni per aver attirato l’attenzione su tali minacce; la sua eccellente relazione costituirà adesso un importante passo generale nella giusta direzione. I cittadini dell’Unione europea otterranno una posizione più forte grazie al Trattato di Lisbona, ma se desideriamo che non sia solo un’inutile decorazione, il loro contributo all’Unione europea deve essere considerato seriamente.

 
  
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  Tadeusz Zwiefka (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, anch’io desidero congratularmi con l’onorevole Frassoni per l’eccellente relazione elaborata. Desidero inoltre esprimere la mia soddisfazione per il fatto che, secondo le statistiche presentate dalla Commissione europea relative al numero dei procedimenti riguardanti casi di violazione del diritto comunitario, l’adesione dei 10 nuovi Stati membri non ha avuto un impatto sul numero di infrazioni registrate. Tuttavia, le statistiche non raccontano l’intera storia. Uno dei meccanismi più importanti, che ci consente di controllare il reale andamento dell’applicazione del diritto europeo, è il sistema di ricorsi pregiudiziali, il cui scopo è concedere ai giudici nazionali la possibilità di fornire un’interpretazione uniforme dell’applicazione del diritto comunitario in tutti gli Stati membri. Il problema fondamentale di tale procedura è il tempo che occorre per ricevere una risposta dalla Corte, che è ancora molto lungo (circa 20 mesi). La ragione principale è riconducibile al tempo richiesto dalla traduzione, incide per circa nove mesi. È motivo di preoccupazione che in molti parlamenti nazionali ascoltiamo voci che chiedono un taglio nel bilancio in particolare per le traduzioni scritte.

Le raccomandazioni della Commissione europea agli Stati membri e ai paesi candidati si basano sul presupposto che il diritto comunitario sarà introdotto effettivamente quando verrà impiegato personale qualificato e verranno stanziati i finanziamenti adeguati. Non concordo appieno su questo punto di vista. Il personale e i fondi a disposizione non sono il giusto criterio di valutazione. Sono necessari anche la determinazione e il coinvolgimento nel problema dell’introduzione del diritto europeo. La corretta esecuzione dei compiti che spettano agli Stati membri e ai paesi candidati richiede tre fattori: conoscenza, competenza e preparazione. Il primo, disporre della conoscenza, non è un problema oggi. Il secondo fattore, la capacità di introdurre gli obiettivi della comunità, è legato all’erogazione di fondi adeguati nonché all’impiego di personale aggiuntivo. La Commissione sta attualmente ponendo maggiore enfasi in particolare su questo aspetto. Il terzo, la preparazione di coloro cui spetta il compito di recepire e applicare il diritto europeo, è il più sottovalutato.

La preparazione nell’applicare il diritto comunitario dipende di fatto dalle istituzioni e dal sistema di procedure, incentivi e restrizioni. Il successo o il fallimento dell’introduzione del diritto comunitario sarà eventualmente deciso dallo specifico modello nazionale, poiché la conoscenza e i finanziamenti non sono tutto, ma è necessaria anche una buona volontà di agire.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Vicepresidente, nella sua introduzione ha precisato che la Commissione non desidera lanciarsi alla cieca, ma valutare che cosa sarebbe opportuno fare, discutendone con gli Stati membri. Adesso, all’interno della stessa Commissione, che è tutto sommato un organo collegiale, non sempre vi è una posizione chiara e uniforme in merito ad alcune questioni.

Nel settore dei trasporti intravedo attualmente un aspetto che sarà per noi sempre più problematico negli anni a venire, e probabilmente lo sarà anche per la Commissione, ossia il concetto di riorientare le risorse verso modalità di trasporto rispettose dell’ambiente attraverso sovvenzioni incrociate attinte da somme generate in settori meno ecologici (i pedaggi stradali, il pagamento dei parcheggi, eccetera). Questo è, in effetti, un contributo. Ci sono state discussioni al riguardo e in merito a come si presenta la situazione?

 
  
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  Katalin Lévai (PSE).(HU) La ringrazio, signor Presidente. Come già affermato da vari oratori prima di me, il successo nella realizzazione degli obiettivi definiti nei Trattati e negli atti legislativi dipende da quanto sono efficienti gli Stati membri nell’applicazione del diritto comunitario, e dal modo in cui lo recepiscono negli ordinamenti nazionali.

Se non applicano la normativa, non la recepiscono correttamente, o non sono in grado di rispettare appieno gli obiettivi in essa contenuti, avremo allora un problema. Negli ultimi anni è migliorata la tendenza in termini di rispetto della normativa, e ritengo sia positivo che i dieci nuovi Stati membri si siano conformati. Mi auguro che non sia soltanto perché la Commissione è più indulgente nei nostri confronti, nei confronti dei nuovi Stati membri, ma perché ci stiamo davvero impegnando per soddisfare i requisiti e rispondere alle aspettative.

Purtroppo, a tutt’oggi esplorare la giungla della burocrazia non è affatto semplice; siamo consapevoli del numero esagerato di misure legislative esistenti, e il loro recepimento nella normativa nazionale e regionale è spesso un compito che richiede un tempo eccessivo. Consentire la semplificazione del linguaggio burocratico e un utilizzo più diffuso delle valutazioni dell’impatto sarebbe molto importante, in quanto garantirebbe che venga impiegato il minor tempo possibile nell’affrontare l’avvio di procedure di reclamo. Grazie.

 
  
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  Wiesław Stefan Kuc (UEN).(PL) Signor Presidente, l’attuazione del diritto comunitario da parte dei singoli Stati membri è uno dei principi basilari dell’Unione europea. Questo è il motivo per cui il controllo e l’eliminazione delle differenze è l’obiettivo di numerose iniziative. Controllare i singoli paesi e la pubblicazione dei risultati di tali controlli, consentirebbe ai cittadini di svolgere un ruolo nell’introduzione della normativa comunitaria negli Stati.

Al contempo, la Polonia continua, per esempio, ad applicare l’imposta sul valore aggiunto nazionale (IVA), nonostante la sesta direttiva e le sentenze del tribunale. La stessa cosa vale per la doppia tassazione sui redditi dell’attività lavorativa. Esistono casi noti di imposte che sono state applicate a veicoli acquistati da cittadini polacchi in paesi dell’Unione europea, nonostante le sentenze della Corte di giustizia, e i ritardi nel risarcimento degli oneri da pagare, calcolati in modo errato.

Una stranezza particolare è che i nostri cittadini sono in custodia cautelare per molti anni consecutivi senza che venga pronunciata una sentenza. I cittadini polacchi attendono con impazienza la reazione della Commissione europea agli esempi forniti e che si ponga un freno alle azioni illecite a opera del nostro governo.

Infine, desidero esprimere le mie sincere congratulazioni all’onorevole Frassoni; è solo un peccato che la presenta relazione si riferisca a un passato piuttosto lontano, e sarebbe stato positivo se avesse riguardato il 2007.

 
  
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  Jens-Peter Bonde (IND/DEM).(DA) Signor Presidente, la comitatologia è uno studio su come limitare la democrazia senza che l’elettorato se ne renda conto. In primo luogo, il potere è trasferito dagli elettori e i rappresentanti eletti dal popolo ai governi ufficiali e ai lobbisti dietro le porte chiuse di Bruxelles. La votazione viene quindi resa oggetto di norme complesse che nessuno può ricordare, di cui nessun giornalista può scrivere e che nessun autore di manuali può spiegare. Il motivo di ciò è semplicemente che decideranno coloro che non sono stati eletti nella Commissione, a meno che non possa essere istituita contro la Commissione una maggioranza qualificata. È il potere legislativo che viene trasformato in potere esecutivo; è la normativa trasparente trasformata in decreti segreti; è una democrazia maggioritaria che viene convertita in governo di minoranza. Non è un’autocrazia assoluta, ma conduce in tale direzione con la spinta delle idee corporative di Mussolini.

Con il nuovo accordo interistituzionale, il Parlamento può inserire un punto all’ordine del giorno, ma solo se gli schieramenti di destra e di sinistra nell’Aula sono d’accordo e possono produrre una maggioranza assoluta di membri a favore. Ma eliminiamo la combinazione di autocrazia e di governo di astuzia e corporativismo! Introduciamo la democrazia in tutta la normativa! Quale principio fondamentale, fateci vedere che dietro ogni legge c’è la maggioranza dei rappresentanti eletti dal popolo, sia dei parlamenti nazionali che del Parlamento europeo! La normativa degli ufficiali di governo e dei lobbisti dovrebbe appartenere al passato, ma è purtroppo ancora ben salda nel Trattato di Lisbona. Pertanto, questa è un’altra buona ragione per sottoporre il Trattato a un referendum.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) A nome della Presidenza, desidero sottolineare in un’osservazione conclusiva che la Presidenza è consapevole del fatto che il controllo efficace dell’applicazione del diritto comunitario sia fondamentale al fine di far rispettare universalmente la legge e di salvaguardare i principi giuridici generali su cui si basa il funzionamento della Comunità.

Tuttavia, è importante innanzi tutto garantire la certezza del diritto tra i cittadini europei. Non si dovrebbe dimenticare che svolgono un ruolo fondamentale nell’attuazione del diritto comunitario, che si riflette anche nel numero di denunce formulate dai cittadini in merito a violazioni del diritto comunitario.

Nel corso della discussione, che ho seguito con molta attenzione, diverse persone erano stupite che il numero di infrazioni, o per lo meno di quelle percepite, non fosse aumentato dall’allargamento dell’Unione europea. Molti oratori hanno sospettato che la Commissione non sia poi così severa con i cosiddetti nuovi Stati membri.

Devo sottolineare che la Presidenza non ha alcuna ragione o prova a sostegno di tali dubbi. Tuttavia, esiste almeno una possibile spiegazione che posso fornire. Quando si tratta dei cosiddetti nuovi Stati membri, occorre tenere in considerazione che sono diventati membri dopo molti anni di intensiva trasposizione del diritto comunitario nei rispettivi ordinamenti giuridici interni, e pertanto quali hanno trovato più semplice continuare il processo su una scala più piccola. È solo per un commento su un sospetto che la Commissione non è ugualmente severa con tutti gli Stati membri, ma ritengo sarebbe appropriato che il signor Commissario si pronunciasse in merito alla questione.

Per concludere, desidero sottolineare che la Presidenza conferisce enorme importanza alle responsabilità e agli obiettivi comuni sanciti negli accordi interistituzionali per legiferare meglio. Infine, desidero sollecitare tutte le istituzioni e gli Stati membri a rispettare i loro obblighi nella trasposizione e applicazione del diritto comunitario.

 
  
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  Günter Verheugen, Membro della Commissione. − (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, ho già dichiarato che la discussione odierna non dovrebbe essere priva di conseguenze, e desidero sottolinearlo nuovamente. Riferirò al collega Jung il contenuto di questa discussione e le osservazioni del Parlamento, formulando suggerimenti, in quanto dalla discussione ne sono emersi vari e molto importanti, che la Commissione dovrebbe tenere considerare seriamente.

Consentitemi di fare un’altra osservazione sulla base della filosofia del diritto: una comunità di nazioni fondata sullo Stato di diritto è basata sulla fiducia. Può funzionare solo se i partecipanti si fidano l’uno dell’altro. Questo è il motivo per cui, in uno Stato costituzionale, i procedimenti giuridici devono essere tenuti in pubblico, nonché la ragione per cui concordo appieno con le affermazioni dell’onorevole Wallis. In questo contesto le informazioni sono essenziali, e la trasparenza obbligatoria.

Non possono esistere politiche segrete nell’applicazione e nell’interpretazione della normativa. Tutto deve essere aperto e pubblico. È questo che desumo dalla discussione, che è comunque ciò di cui sono sempre stato convinto. Concordo su quanto affermato dall’onorevole Wallis riguardo al ruolo della commissione per le petizioni. Come suo cliente, per modo di dire, riconosco liberamente che a volte ciò necessita di un’enorme quantità di lavoro e di sforzo, ma i cittadini hanno il diritto di aspettarsi da noi tale impegno. Inoltre, le petizioni che riceviamo ci insegnano molto sul modo in cui i nostri cittadini percepiscono le nostre leggi e le nostre politiche.

Onorevole Frassoni, la signora Commissario Wallström ha già promesso che in futuro creeremo una sintesi per i cittadini. Da allora, la Commissione ha approvato anche una risoluzione formale sull’argomento, pertanto accadrà, e sono sicuro che troverete mezzi e modi di garantire che lo faremo. È deciso e accadrà.

Molti deputati hanno riflettuto sulla questione dei nuovi Stati membri e su come mai, nonostante l’aumento degli Stati membri, non sia stata registrata alcun aumento nei procedimenti di infrazione dei Trattati.

La Commissione ha un’opinione molto chiara in merito, ed è che le ragioni sono due: primo, e su questo aspetto mi sento piuttosto imbarazzato, poiché devo dire che in realtà è anche dovuto all’ottimo lavoro svolto dal precedente Commissario per l’allargamento, ma è conseguenza anche del fatto che i nuovi Stati membri si sono preparati in modo talmente scrupoloso al loro acquis che, al momento dell’adesione, hanno soddisfatto i requisiti in modo molto più preciso dei vecchi Stati membri. Posso solo confermarlo, è l’assoluta verità. Non avremmo mai potuto terminare i Trattati di adesione se l’acquis non fosse stato rispettato.

L’altra ragione è forse qualcosa di più concreto, comunque: i cittadini dei nuovi Stati membri devono gradualmente imparare che possono presentare denunce e il modo in cui farlo. Pertanto, suppongo che il numero di procedimenti aumenterà.

L’onorevole Smith ha affermato che il diritto deve essere anche chiaro e applicabile, in particolare in materia ambientale. Come sappiamo, la Commissione è impegnata nel riesame di tutto il diritto comunitario entro la fine del prossimo anno, allo scopo di valutare in quali punti e in quale modo si possa semplificare. Solo pochi giorni fa, nel quadro della nostra presentazione dei progressi compiuti nel progetto “Legiferare meglio”, abbiamo promesso che l’intero processo verrà effettivamente completato entro la fine del prossimo anno.

Onorevole Medina, non deve preoccuparsi che la Commissione nasconda le denunce sotto il tappeto. In base alla mia esperienza di più di otto anni in qualità di membro della Commissione, posso garantirle che ho dovuto frenare l’eccesso di zelo dei dipartimenti della Commissione molto più spesso di quanto non abbia dovuto sollecitarli a ricorrere all’artiglieria pesante del ricorso per inadempimento del Trattato. Molto più di frequente, devo dir loro: “Aspettate, rallentate, parlate con loro prima e verificate che non si possa risolvere in modo pacifico”. Il rischio che i dipartimenti della Commissione tendano a nascondere le cose sotto il tappeto è pressoché inesistente. Sono sicuro che non accade.

Per quanto riguarda la domanda dell’onorevole Rack, le decisioni relative ai ricorsi per inadempimento, a prescindere che si tratti dell’avvio o della conclusione o di qualsiasi singola fase del processo, richiedono una decisione formale del Collegio dei Commissari; questo è il tipo di organizzazione. Non sono adesso in grado di rispondere in quest’Aula alla sua domanda relativa al problema specifico delle sovvenzioni incrociate, ma mi assicurerò che riceva una risposta entro la fine di questa settimana.

Per quanto riguarda le osservazioni dell’onorevole Kuc sulla lunga carcerazione preventiva in attesa di un processo, riconosco che sarebbe uno scandalo se avvenisse, tuttavia non è di competenza dell’Unione europea, ma della Corte europea per i diritti umani.

Onorevoli deputati, vi ringrazio per tutti i vostri suggerimenti e per lo spirito costruttivo di questa discussione. Sono realmente sicuro che avremo compiuto ulteriori progressi quando ne discuteremo il prossimo anno.

 
  
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  Monica Frassoni, relatrice. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei ringraziare i colleghi, il Commissario e la Presidenza per avere partecipato a questa discussione che, come ha detto il Commissario Verheugen, non finisce qui.

Rapidamente alcuni punti. Vorrei fare un commento sulla questione della definizione delle priorità, di cui ha parlato il Commissario Verheugen. Io credo che questo può effettivamente essere un esercizio rischioso, peraltro non è ancora stato veramente fatto fino ad ora. Io sono sempre stata abbastanza scettica sulla possibilità di definire davvero delle priorità. In ogni caso, se pensate davvero di proseguire su questa strada, prendete il rischio di essere trasparenti e magari discutere di queste priorità. Perché altrimenti il sospetto potrebbe installarsi che si scelgono delle priorità perché si vogliono togliere di mezzo delle infrazioni scomode. Credo che questo non sarebbe positivo.

La seconda considerazione è che nonostante la Commissione in quanto tale neghi di avere bisogno di maggiori risorse, in particolare di maggiori risorse umane, per occuparsi di infrazioni, la realtà è che in quasi tutti gli incontri che io ho avuto con i suoi colleghi Commissari, tutti mi hanno detto che non hanno abbastanza risorse, abbastanza persone, che si occupano concretamente di questo tema.

Nel dibattito è emersa la questione del numero di infrazioni nei nuovi paesi e probabilmente è vero quello che ha detto sia il Commissario che la Presidenza. Però dobbiamo anche sapere che per esempio in materia ambientale ci sono solamente due o forse tre funzionari che si occupano di tutti e dieci i paesi membri nuovi e quindi evidentemente c’è sicuramente un problema di risorse umane.

Da ultimo la questione del ruolo del Parlamento. Noi stiamo discutendo internamente di vari modi per rendere più efficace il nostro ruolo di colegislatori dando seguito all’applicazione delle direttive che approviamo. Ma io penso che ci siano due cose che noi dobbiamo assolutamente fare: la prima è rafforzare in modo deciso per una decisione politica il ruolo della commissione per le petizioni che, come ha detto la signora Wallis, è la nostra finestra sul mondo; in secondo luogo, dobbiamo organizzare in modo sistematico delle sessioni di applicazione, che però abbisognano di un’aperta cooperazione da parte della Commissione. Perché se noi organizziamo delle sessioni dove si discute dell’applicazione delle direttive e poi il funzionario della Commissione che viene rimane zitto o ci dice delle cose poco interessanti – o perché non le può dire le cose che veramente ci interessa sentire – allora tutto l’esercizio diventa superfluo.

In ogni caso, grazie e sicuramente ci risentiremo su questa questione.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 12.00.

 

9. Kosovo (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca una questione senza dubbio di enorme importanza, oltre che di attualità: le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul Kosovo.

 
  
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  Dimitrij Rupel, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Signor Presidente, onorevoli deputati, se rifletto in generale e non mi soffermo su alcuni dettagli, devo dire che la mia generazione e i nostri colleghi più giovani sono stati piuttosto fortunati. Abbiamo vissuto gran parte delle nostre vite, probabilmente i periodi migliori, in un momento in cui le porte e le finestre delle opportunità sono state spalancate. Tale periodo iniziò nel 1975 con l’Atto finale di Helsinki, le cui conseguenze furono più evidenti in Europa centrale e orientale, dove nel 1989 crollò il muro di Berlino e cadde il regime comunista. Una nuova prospettiva irruppe sulla scena attraverso il muro crollato e le porte e le finestre aperte della facciata occidentale della comunità euroatlantica. Osservammo il grande e soleggiato paesaggio dinamico di un’Europa libera e unita, rappresentata meravigliosamente da questo immenso edificio del Parlamento europeo. Non avrei mai immaginato quand’ero giovane che un giorno avrei parlato in quel luogo.

In Slovenia chiamiamo gli anni ’80 e ’90 la primavera slovena. Purtroppo, appena all’inizio del risveglio democratico, fummo colpiti dalla crisi jugoslava, che tentò di interrompere lo sviluppo democratico e fece sì che il popolo dei Balcani occidentali restasse indietro.

La maggior parte dei paesi dell’Europa centrale e occidentale, e in questo caso mi riferisco ai dieci nuovi Stati membri dell’Unione europea, ha raccolto la sfida storica, ma nei Balcani il tempo si è fermato. Il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” (GAERC), del quale sono Presidente, ha, tra gli altri difficili compiti, quello di realizzare la prospettiva europea dei Balcani occidentali. Questo implica il coinvolgimento di paesi, quali la Croazia, l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, la Serbia, il Montenegro, la Bosnia-Erzegovina, il Kosovo e l’Albania, nel sistema di adesioni, candidature e accordi europei.

La crisi jugoslava finirà. Le porte e le finestre sono aperte. Il muro non esiste più. L’Unione europea ha annunciato nell’Agenda di Salonicco che i paesi dei Balcani occidentali diverranno o prima o dopo membri dell’Unione europea. È giunto il momento per noi di ricordare i nostri impegni. Dobbiamo cercare di avviare i negoziati con la Macedonia, ossia l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, per l’adesione all’Unione europea. La Serbia deve liberarsi dal fardello del suo passato, in particolare gli orrori e gli spettri del regime di Milošević. Milošević è stato uno dei responsabili dell’impasse dei Balcani occidentali. E non dobbiamo dimenticare l’Albania, la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro e il Kosovo.

Il forum UE-Balcani occidentali, che si svolgerà in Slovenia alla fine di marzo, sarà molto importante in tale contesto. In collaborazione con la Presidenza slovena, la Commissione sta preparando una comunicazione speciale sui Balcani occidentali. Il forum terrà inoltre conto del rafforzamento della cooperazione regionale in diversi settori, quali i trasporti, la protezione civile, la ricerca e sviluppo e così via.

Conformemente alle decisioni del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” di gennaio, la Commissione sta discutendo la liberalizzazione dei visti con tutti i paesi della regione. Non dobbiamo sottovalutare l’eccezionale importanza che la graduale eliminazione dei visti avrebbe per la regione. Al contempo, signor Presidente, desideriamo evidenziare un particolare paradosso. Prima del 1990, i cittadini dell’ex Jugoslavia viaggiavano in molti paesi europei senza un visto. Adesso, però, un’intera generazione di giovani, cresciuta dopo quell’anno di svolta per l’Europa, per viaggiare ha bisogno di un visto.

Onorevoli deputati, nel corso del nostro vertice di gennaio del Consiglio dei ministri degli Esteri, abbiamo invitato unanimemente la Serbia a firmare l’accordo politico che costituisce un nuovo passo verso l’adesione all’Unione europea. Dopo la vittoria alle elezioni di Boris Tadić, che è a favore dell’Europa, abbiamo auspicato che, dopo molti anni di lento sviluppo e isolamento, la Serbia potesse unirsi a noi quanto prima.

L’Unione europea ha già inviato in Kosovo una missione nell’ambito della politica europea in materia di sicurezza e di difesa. Tuttavia, è un problema per tutti gli Stati membri instaurare relazioni con il Kosovo. Probabilmente non ci discosteremo dalle valutazioni di base cui si è fatto riferimento alla sessione di dicembre del Consiglio europeo. L’aspetto più importante è considerare e avere rispetto della Serbia; l’Unione europea ha bisogno della Serbia come quest’ultima ha bisogno dell’Unione. A mio avviso, il dialogo interculturale non è solo retorica; anche se i negoziati si sono interrotti, le possibilità per un dialogo non sono esaurite. Adesso è il momento del reale dialogo tra serbi e albanesi in Kosovo, tra Serbia e Kosovo, e tra Serbia e Unione europea.

Il destino del Kosovo è gravato su di noi per molti anni. In passato, il Kosovo faceva parte del sistema federale jugoslavo e nel 1974 gli fu conferito praticamente lo stesso status delle repubbliche jugoslave. Verso la fine degli anni ’80, Slobodan Milošević privò il paese della sua autonomia e nel 1999 lo occupò con l’esercito, provocando pertanto una tragedia di proporzioni globali.

Il caso del Kosovo è veramente unico in quanto, per motivi umanitari, la comunità internazionale lo ha dovuto assumere sotto la sua protezione e governarlo per circa nove anni. Tuttavia, la decisione di lunedì del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” non è stata semplice. La decisione e la dichiarazione di indipendenza a Priština non è giunta inaspettata. Ci siamo arrivati attraverso i seguenti fatti. In primo luogo, è stato compreso che ritornare alla situazione precedente non era accettabile, come non lo era lasciare l’attuale status quo. Nessuna delle parti interessate ha trovato una nuova formula per risolvere lo status del Kosovo, ed era ovvio che altri negoziati non avrebbero prodotto risultati. Dal 1999 il Kosovo è stato amministrato dalle Nazioni Unite e, nel corso di quel periodo, in conformità della risoluzione 1244, la Serbia non ha potuto esercitare alcuna effettiva autorità. Per alcuni anni antecedenti il 1999, la maggioranza della popolazione kosovara ha subito una repressione sistematica, compresa la pulizia etnica e la tragedia umanitaria.

Onorevoli deputati, tutti questi avvenimenti, che in principio sono stati riconosciuti da tutti i membri del gruppo di contatto, tra cui la Federazione russa, sono prove del fatto che il Kosovo presenta una situazione sui generis, realmente speciale, motivo per cui non è in dubbio la validità del principio di sovranità e di integrità territoriale.

Per un certo periodo il Consiglio è stato convinto che l’Unione europea dovesse assumersi la sua responsabilità nei confronti del Kosovo. Tale convinzione è stata confermata alla sessione di febbraio del GAERC nella decisione che già conosciamo. Nonostante tutti avessero previsto la disunione, abbiamo ugualmente agito uniti. Dopo lunghi processi di negoziato e armonizzazione, la decisione è stata raggiunta all’unanimità.

L’Unione europea è una comunità interessante e unica nel suo genere. Siamo certamente legati da interessi e valori comuni, tra i quali figurano il rispetto e la tolleranza delle diversità; potremmo dire che siamo legati dalle nostre differenze. Alla fine della sessione di febbraio del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” abbiamo adottato una posizione comune. L’importante conclusione del vertice è stata che, riguardo al riconoscimento del Kosovo, ci saremmo aspettati che ciascuno Stato membro agisse in conformità delle proprie pratiche nazionali. Alcuni si sarebbero aspettati che l’intera Unione europea riconoscesse il Kosovo, ma non è possibile perché l’UE non è uno Stato.

L’Unione europea ha adottato la posizione comune sugli avvenimenti in Kosovo e nei Balcani occidentali. Primo, ha constatato che il Kosovo ha adottato una risoluzione di indipendenza. Secondo, l’Unione europea ha appreso che la risoluzione impegnava il paese al rispetto dei principi democratici, tra cui la tutela della minoranza serba e del patrimonio culturale. Terzo, l’UE ha ribadito il suo impegno nella missione internazionale nel paese e la sua disponibilità a svolgere un ruolo di guida nella regione. Quarto, ha affermato nuovamente la promessa di una prospettiva europea per i Balcani occidentali. Quinto, l’Unione elaborerebbe misure economiche specifiche per l’intera regione. Sesto, l’UE è ben consapevole dei principi della comunità internazionale, ma ritiene che, a causa della sua situazione sui generis, il caso del Kosovo non chiama in causa tali principi.

Ovviamente, il paese comprende anche i serbi e il loro patrimonio e la loro cultura, e desidero sottolineare che è una componente particolarmente preziosa per la cultura europea.

Molti popoli europei, tra cui gli sloveni che rappresento, hanno importanti monumenti della propria cultura e patrimonio etnico che ora si trovano fuori degli attuali confini dello Stato. Questo fatto non crea ostacoli all’Europa contemporanea ma ci unisce, e lo stesso vale per i gruppi di minoranza etnica.

A nostro avviso, è fondamentale che, quale reazione alla dichiarazione e riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, la Serbia non chiuda le porte all’Unione europea. Ripeto che la questione del Kosovo è separata da quella dell’integrazione Serba in Europa, e la Serbia non deve legare queste due tematiche. In tal senso troviamo particolarmente difficile comprendere l’opposizione della Serbia all’Unione europea, ossia alla sua missione in Kosovo, in quanto tale missione è nel primario interesse della popolazione serba nel paese.

Per concludere, l’Unione europea è una delle più riuscite organizzazioni di pace nel mondo. I popoli e i paesi d’Europa sono uniti e praticano la solidarietà a beneficio della pace e di una vita migliore. Tale condotta comprende anche tolleranza e solidarietà e, soprattutto, la comprensione e la compassione quando gli altri sono in difficoltà.

Onorevoli deputati, con la decisione che ho citato, l’Unione europea ha aperto le sue porte e le sue finestre non solo alla Serbia, ma anche al Kosovo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO
Vicepresidente

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, ricordando la nostra eccellente cooperazione sui Balcani occidentali, desidero ringraziarla dell’opportunità di informare il Parlamento in merito alla posizione della Commissione riguardo al processo sullo status del Kosovo.

Domenica scorsa, il parlamento del Kosovo ha dichiarato l’indipendenza in un clima dignitoso. Nella sua dichiarazione, il Kosovo si è impegnato a rispettare in toto i molti diritti dei serbi del paese, in particolare per quanto riguarda i governi autonomi locali nei settori dell’istruzione, la cultura e la salute, in conformità della proposta completa presentata dall’inviato speciale dell’ONU Martti Ahtisaari.

Le celebrazioni nel paese hanno avuto luogo in modo gioioso ma responsabile. Si sono tuttavia verificati episodi di violenza a Belgrado e nel Kosovo settentrionale. Condanniamo il ricorso alla violenza e chiediamo a tutti i leader e ai popoli della regione di restare calmi e mantenere pace e stabilità.

Come ha spiegato il ministro degli Esteri Rupel, lunedì i ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno risposto in modo unanime agli sviluppi. L’unità europea è pertanto fondamentale al fine di consentire all’Unione europea di gestire con successo la stabilizzazione in corso nei Balcani occidentali e di contribuire a portare a termine il processo sullo status del Kosovo.

A seguito del fallimento delle consultazioni prolungatesi in sede di Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’Unione europea è stata costretta a condurre il processo a una conclusione. L’Unione ha già preso le decisioni importanti al fine di inviare in Kosovo una missione PESD sullo Stato di diritto.

Lunedì, il Consiglio ha inoltre fornito una piattaforma che si occupi della questione del riconoscimento. Spetterà a ogni singolo Stato membro dell’Unione europea instaurare relazioni con il Kosovo conformemente con le sue procedure nazionali. Molti Stati membri hanno già riconosciuto il Kosovo, mi aspetto che molti altri seguano l’esempio in base ai propri ritmi.

Il Consiglio ha giustamente ribadito il rispetto da parte dell’UE dei principi della Carta dell’ONU, dell’Atto finale di Helsinki della CSCE nonché di tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Sottolinea che “considerato il conflitto degli anni ’90 e il lungo periodo di amministrazione internazionale, il Kosovo è un caso sui generis che non rimette in discussione tali principi”. La Commissione condivide appieno questa posizione.

Il linea con le conclusioni del Consiglio di lunedì, la Commissione è disposta ad appoggiare totalmente gli sforzi comunitari in Kosovo. Questo deve essere il momento dell’unità europea anche tra le istituzioni.

Impiegando gli strumenti comunitari, la Commissione contribuirà alla costruzione delle istituzioni nel paese e a favorire lo sviluppo politico ed economico. Il 5 marzo, proporremo misure concrete per la più vasta regione al fine di far progredire le sue aspirazioni europee.

In Kosovo, molte zone necessitano di sviluppo, e dobbiamo prodigarci insieme al fine di aiutare il Kosovo a riuscire a stare in piedi da solo quanto prima. In questo contesto, la Commissione è impegnata nell’organizzazione di una conferenza dei donatori che potrebbe contribuire ad alleviare le sfide finanziarie più urgenti relative al Kosovo. Tale conferenza dovrebbe avere luogo prima dell’estate.

Sono consapevole che questo è un momento difficile per la Serbia, nonché dell’importanza storica che il Kosovo ha per il popolo serbo. Tuttavia, ritengo sia giunto il momento di voltare la pagina del passato e guardare al futuro. Il futuro della Serbia è nell’Europa e questo paese, con l’intera regione dei Balcani occidentali, hanno una prospettiva europea, il cui obiettivo finale è l’adesione all’Unione europea. Tale prospettiva comunitaria funge da collante che mantiene uniti i paesi della regione in un percorso pacifico e di riforme, estremamente importante in questi tempi sensibili e difficili.

Infine, desidero ribadire la mia opinione positiva riguardo al sostegno deciso del Parlamento europeo per la prospettiva comunitaria dei Balcani occidentali. Contiamo sul vostro costante appoggio, affinché i cittadini della regione possano soddisfare la loro aspirazione di diventare un giorno parte dell’Unione europea.

(Applausi)

 
  
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  Doris Pack, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, il Kosovo ha dichiarato la sua indipendenza, il Kosovo è uno Stato. Chiunque abbia vissuto la situazione nel paese tra il 1989 e il 1999 avrebbe dovuto sapere che l’indipendenza era inevitabile. Colui che è stato per lungo tempo il presidente pacifista nonché vincitore del nostro Premio Sakharov, il defunto Ibrahim Rugosa, sarebbe stato molto lieto di sentire quanto è accaduto. Purtroppo, non è stato possibile negoziare una soluzione. Sono certa che ciascuno di noi avrebbe tanto voluto prendere parte a un negoziato. La soluzione attuale richiama una versione modificata dell’aforisma di Churchill: è la scelta peggiore, eccezion fatta per tutte le altre.

Domenica ho assistito allo svolgersi degli eventi a Priština, per metà felici e per metà tristi. Felici in quanto questa era l’unica via d’uscita dall’impasse; tristi poiché sono sicura che ci siamo creati alcuni problemi che non sarà facile risolvere.

Tuttavia, l’Unione europea è stata risoluta, nonostante la stampa abbia spesso dipinto un quadro di mancata coesione. La missione EULEX è stata lanciata all’unanimità, ma non si tratta di un attacco alla Serbia; anzi, è necessaria anche per i serbi del Kosovo, in quanto controllerà con attenzione l’attuazione del piano Ahtisaari, che quest’Assemblea ha approvato a maggioranza dei due terzi nella primavera del 2007. Il piano garantisce ai serbi diritti delle minoranze molto ampi, il rispetto delle frontiere e dello Stato di diritto, e quindi anche la protezione di altre minoranze.

I politici in Kosovo devono creare adesso il loro Stato con grande discernimento e determinazione. La lotta alla disoccupazione può essere vinta solo da uno Stato costituzionale funzionante. Anche le misure radicali intese ad affrontare la criminalità costituiscono una priorità elevata. La missione dell’Unione europea li sosterrà in questo, ove possibile. Il Kosovo dispone di moltissimi giovani con un’ottima istruzione che saranno lieti di contribuire alla realizzazione del nuovo Stato.

Il Kosovo non è una cavia, è un caso unico. Il suo sviluppo in Stato è la fase finale del crollo della Jugoslavia, iniziato da Milošević nel Kosovo nel 1989. Mi dispiace pertanto che Milošević non sia vivo per poter assistere, ma i suoi successori democratici devono assumersi la sua pesante eredità. Confidiamo nella calma dei politici serbi, e auspichiamo che adesso dedichino tutte le loro energie a portare la Serbia sul percorso che conduce all’adesione all’Unione europea.

(Applausi a destra)

 
  
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  Jan Marinus Wiersma, a nome del gruppo PSE. (NL) Signor Presidente, l’Assemblea comprenderà che anche il nostro gruppo ha condotto una discussione dettagliata sulla situazione cha sta attualmente emergendo rispetto al Kosovo. A dire il vero, la conclusione più importante è stata che dobbiamo accettare la realtà, ma che non vi è alcun motivo di festeggiare, in quanto adesso ci troviamo di fronte a una situazione estremamente complessa, anche considerando le reazioni da parte serba. A seguito di quanto accaduto con Milošević, tuttavia, nonché dopo anni di negoziati intesi a trovare una soluzione, ciò che sta avvenendo adesso era inevitabile.

Desideriamo concentrarci in modo particolare sul ruolo dell’Unione europea. Il riconoscimento del Kosovo è un problema per gli Stati membri, come hanno sottolineato anche il ministro Rupel e il Commissario Rehn. Dobbiamo tuttavia intervenire. Abbiamo la comune responsabilità della stabilità nella regione e nel Kosovo, e quindi il nostro gruppo offre il suo appoggio politico alla missione PESD, per la quale l’Unione ha dato adesso il via libera. Senza dubbio, chiediamo anche alle autorità del Kosovo di attuare le proposte di Ahtisaari, di investire seriamente in uno Stato multietnico e di introdurre garanzie sufficienti per i serbi che vivono in Kosovo.

Infine, per quanto riguarda la stessa Serbia, tutti sono ovviamente a disagio per la situazione nel paese. Abbiamo appena avuto l’opportunità di ascoltare il ministro serbo degli Esteri in sede di commissione per gli affari esteri. Ha avuto una reazione durissima rispetto a quanto accaduto, attaccando l’Europa, in particolare quei paesi che adesso hanno riconosciuto il Kosovo. Ho un’altra domanda: che cosa possiamo fare per evitare che la Serbia venga isolata dagli altri e da se stessa in questa situazione? Sono stato scoraggiato dalla sua risposta, in quanto tutta la sua riflessione era concentrata sul problema del Kosovo. Tuttavia, ritengo che dobbiamo proseguire nel compiere duri sforzi intesi a offrire alla Serbia una prospettiva europea, anche negli interessi del suo popolo, assieme a una proposta specifica riguardo, per esempio, alla semplificazione dei visti e a una maggiore liberalizzazione di questi ultimi. Dobbiamo inoltre prestare particolare attenzione alle generazioni più giovani, che di recente si sono dimostrate a favore di un cambiamento in direzione dell’Unione europea, del futuro europeo. Lodo il governo serbo per il suo ripetuto impegno ad astenersi dall’uso della violenza, e presumo inoltre che si asterrà anche dall’imporre sanzioni economiche al Kosovo. Ciò che possiamo fare, e ciò che il Parlamento europeo ha la responsabilità di fare, è continuare a investire nella prospettiva europea per l’intera regione, anche per la Serbia.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. (NL) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, ogni Stato creato attraverso la dichiarazione di indipendenza di un paese esistente compromette l’integrità territoriale del paese di origine e modifica unilateralmente l’ordine giuridico internazionale. Il mio paese ne è un esempio: è stato creato nel 1830 dall’indipendenza degli Stati istituiti nel 1815 con il Congresso di Vienna. L’esistenza del Belgio è stata riconosciuta molto rapidamente dalla Conferenza di Londra, cui partecipavano il Regno Unito, la Prussia, la Russia, l’Austria e la Francia, ma i Paesi Bassi, dai quali discendiamo, hanno aspettato nove anni prima di riconoscere il Belgio.

Avrei davvero voluto riferire questo al ministro degli Esteri serbo, se avesse voluto ascoltare. Ma non è stato così, in quanto ha ripetuto ad nauseam la nota posizione serba senza valutare minimamente che esistono punti di vista divergenti. L’unico spiraglio di luce è stata la sua chiara dichiarazione che la Serbia non avrebbe usato alcuna forma di violenza, ricatto o intimidazione che sia.

Dobbiamo tutti preoccuparci per il futuro; il futuro della Serbia, del Kosovo e dell’intera regione. Finora, l’Unione europea ha speso 3 miliardi di euro per il Kosovo e altri 200 milioni di euro si aggiungeranno a questi nei prossimi 16 mesi, ma non saranno sufficienti.

Per quanto riguarda la Serbia e tutti gli altri paesi dei Balcani occidentali, dobbiamo affrontare quale priorità la semplificazione dei visti, affinché le relazioni tra i cittadini di questi paesi e dei nostri paesi possano normalizzarsi.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, nel riconoscere l’indipendenza del Kosovo, ci siamo assunti un’enorme responsabilità, quella per il mantenimento della pace e la costruzione di istituzioni pubbliche solide in Kosovo. Non esiste alcuno scenario che consentirebbe alle forze internazionali di ritirarsi rapidamente. Qualsiasi soluzione, lasciare il Kosovo in Serbia o mostrarsi favorevoli alla sua indipendenza, comporta un rischio di conflitto e di tensioni etniche.

Tuttavia, i serbi devono comprendere che non c’è modo di tornare alla situazione antecedente al 1999. I tentativi di destabilizzazione hanno semplicemente portato loro una serie di perdite. Esiste solo un modo per la Serbia di ottenere sostegno alle sue richieste relative ai diritti culturali e sociali, ed è attraverso la cooperazione costruttiva nella regione. Il fallimento dell’indipendenza del Kosovo significherà un ritorno del concetto di Grande Albania e l’inevitabile conflitto armato. Tale guerra condurrà alle sconfitte politiche che riguarderanno innanzi tutto la Serbia. Questo è il motivo per cui quel paese ha la responsabilità di evitare che ciò accada nonché di stabilizzare la regione.

 
  
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  Joost Lagendijk, a nome del gruppo Verts/ALE. (NL) Signor Presidente, sono lieto di essere stato presente a Priština la scorsa domenica quando, in un modo realmente dignitoso, è stata proclamata l’indipendenza. Quanto accaduto quel giorno è stata l’inevitabile conseguenza degli avvenimenti del 1998-99, quando vennero assassinati 10 000 kosovari e centinaia di migliaia furono costretti a fuggire. Avrebbe potuto Priština tornare sotto l’amministrazione di Belgrado? No. Era un’opzione continuare ad adattarsi dopo nove anni di amministrazione ONU sempre più illegittima e inefficiente? No. Un compromesso di negoziato tra Priština e Belgrado sarebbe stato meglio? Sì. Sarebbe stato meglio se ci fosse stata l’approvazione del Consiglio di Sicurezza? Sì. È stato fatto un tentativo? Sì. Vi erano possibilità di successo? No, in particolare quale risultato dell’ostruzionismo russo.

Auspico realmente che, a seguito dell’euforia degli ultimi giorni, i kosovari si assumano rapidamente le proprie responsabilità, in quanto adesso al timone ci sono loro. L’ONU se n’è andata, è arrivata la missione dell’Unione europea, e sono i kosovari a dover dimostrare che le buone relazioni con le minoranze non esistono solo sulla carta, e che sono in grado di salvare l’economia. È vero che adesso l’Unione europea è divisa sulla questione del riconoscimento. Questo durerà per qualche mese e poi sarà superato e concluso. Quello su cui gli Stati membri sono unanimemente concordi è che il futuro del Kosovo è nelle mani dell’Unione europea. Tuttavia, il ritmo dell’avvicinamento del Kosovo all’UE dipenderà anche dalla posizione della Serbia.

Abbiamo appena assistito in sede di commissione per gli affari esteri alla rabbia della Serbia, e a quanto sia adirato il ministro degli Esteri, e quanto era aggressivo il suo comportamento. Questo cambierà in breve tempo. Ad essere sincero, posso apprezzarlo, a patto che una simile opposizione rimanga non violenta. Quando la rabbia si placherà, auspico davvero che prevalga il buon senso. È vero che la secessione del Kosovo era inevitabile. È vero che il futuro della Serbia è in modo altrettanto inevitabile nell’Unione europea. Affinché ciò si realizzi, a volte è necessario superare se stessi. Auguro ai kosovari e ai serbi grande coraggio in questo.

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. (FR) Signor Presidente, è difficile non sentirsi a disagio di fronte alle responsabilità assunte dall’Unione europea e dai suoi Stati membri nella questione del Kosovo.

Prima di tutto, in linea di principio l’Unione europea mira a contribuire a una migliore governance mondiale. Sotto la sua spinta, molti Stati membri hanno indebolito, o stanno per indebolire pericolosamente la futura credibilità del diritto internazionale attraverso il loro sostegno alla dichiarazione unilaterale di indipendenza di una provincia di uno Stato sovrano, un membro dell’ONU. Qualsiasi cosa venga detta sul “sui generis”, poiché non decretato, le principali potenze dell’Unione europea instaureranno pertanto relazioni di potere al di sopra del diritto legge, e così facendo apriranno un vaso di Pandora. Questo è grave.

Inoltre, tale riconoscimento unilaterale corre il serio pericolo di andare contro i dichiarati obiettivi dell’Unione europea nei Balcani. Alimenterà il nazionalismo anziché contenerne le fonti. Per di più, l’UE ha appena escluso profondamente il popolo serbo, senza il quale ogni politica regionale in quell’area dell’Europa è impossibile. Non sto esattamente parlando di coloro che vorrebbero che Milošević tornasse, ma di coloro che si sono opposti a lui e che adesso sono la maggioranza. Per quanto riguarda gli albanesi del Kosovo, l’Unione europea sarà in grado di soddisfare le loro aspettative dopo averle alimentate? È una domanda da porre, nonché la terza ragione del disagio accusato a seguito di questo giorno di esultanza in Kosovo.

La nuova sfida che l’Unione europea si è data da sola è straordinaria. Eccoci in prima linea, diretti verso un nuovo protettorato, nonostante non sia stata condotta alcuna valutazione soddisfacente delle ragioni del fallimento del precedente protettorato: il prodotto interno lordo del Kosovo è pari a quello del Ruanda, metà della sua popolazione è disoccupata, ci sono più di 200 000 rifugiati e sfollati, e la violenza contro le minoranze è in aumento, malgrado i 2 miliardi di euro di aiuti internazionali e la presenza di 17 000 uomini NATO. Non ci sarà EULEX che risolva tutti questi problemi.

Quale prospettiva globale e duratura l’Unione europea è in grado di offrire ai kosovari e agli altri popoli dei Balcani, una prospettiva che possa stabilizzare la situazione in loco senza il rischio di destabilizzarla altrove? L’adesione? Entro quali scadenze? A quali condizioni? Con quale grado di probabilità verrà garantito il necessario accordo unanime dei 27 Stati membri? Nessuno lo sa.

Ovviamente, il mio gruppo non può associarsi all’autocompiacimento a breve termine dei principali leader europei.

(Applausi)

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. (NL) Signor Presidente, il Rappresentante speciale dell’Unione europea in Kosovo e il Rappresentante civile internazionale designato, il mio connazionale Pieter Feith, hanno rilasciato un’intervista illuminata alla stampa olandese sul difficile compito che si trova dinanzi a loro nel Kosovo Polje.

Tuttavia, ho trovato sconcertante un passaggio di questa intervista. Alla domanda diretta su quale degli attori esterni erano responsabili in Kosovo, se l’ex generale francese Yves de Kermabon, che è in procinto di guidare la missione europea per lo Stato di diritto in Kosovo o lui stesso, Pieter Feith ha risposto, “Nelle questioni politiche, informo il comandante francese”. Poiché il Consiglio, a propria volta, è il diretto superiore di Pieter Feith, desidero domandare al ministro Rupel, che appartiene a tale istituzione, in quale modo si sta svolgendo esattamente il processo decisionale in Kosovo. Qual è la situazione riguardo ai rapporti di forza internazionale? È tutto molto importante per il futuro.

Per concludere, desidero riportare un’allarmante citazione di un ufficiale di polizia kosovaro: “I serbi e gli albanesi sono riusciti a risolvere le questioni tra loro a livello criminale. Le organizzazioni mafiose serbe e albanesi cooperano in modo eccellente, e lo fanno da anni.” Auspico sinceramente che, grazie alla missione europea in Kosovo, questa immorale cooperazione serbo-albanese dovrà far spazio a una dignitosa coesistenza interetnica, in quanto l’unica possibilità di apertura di un futuro europeo che siamo felici di augurare al Kosovo.

 
  
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  Slavi Binev (NI).(BG) Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi eurodeputati del partito Ataka, Dimitar Stoyanov, Desislav Chukolov e io, Slavi Binev, dichiariamo il nostro fermo disaccordo rispetto all’indipendenza del Kosovo annunciata il 17 febbraio 2008. Tale atto secessionista unilaterale è un precedente inammissibile nelle relazioni internazionali. Nella nostra qualità di europarlamentari, riteniamo l’Assemblea regionale del Kosovo non abbia poteri per adottare un atto di indipendenza e crediamo inoltre che il governo separatista, composto da notori narcotrafficanti e criminali di guerra, sia illegittimo.

Il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte dei singoli Stati membri dell’intera Unione europea equivarrebbe a un’amnistia per i leader dei terroristi albanesi che negli ultimi anni hanno compiuto una pulizia etnica contro le comunità non albanesi della regione. Esprimiamo il nostro grande disprezzo e la nostra indignazione per il fatto che la pulizia etnica e la distruzione di centinaia di chiese ortodosse medievali in Metochia, Kosovo, abbiano avuto luogo sotto gli occhi delle forze di sicurezza internazionali della NATO e delle Nazioni Unite. Ricordando i crimini commessi, ripudiamo in modo risoluto l’istituzione fittizia di un nuovo Stato musulmano il cui unico obiettivo è di fungere da ponte per il traffico di armi, stupefacenti ed esseri umani verso l’Europa occidentale.

In quanto rappresentanti del popolo bulgaro nell’Unione europea, chiediamo alle sue istituzioni di non riconoscere il Kosovo quale Stato indipendente e di rispettare, invece, le risoluzioni esistenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Inoltre, chiediamo al Consiglio di sicurezza di intraprendere azioni decisive al fine di salvaguardare la situazione attuale e di superare le tendenze secessioniste in nome della stabilità politica della penisola balcanica.

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, il vertice del Consiglio dei ministri del 18 febbraio non rimarrà alla storia dell’Unione europea come un giorno particolarmente felice. Anziché trovare una soluzione tra i 27 Stati membri, la patata bollente della decisione sul riconoscimento del Kosovo è stata passata agli Stati membri.

È sempre frustrante che, ogni volta che dobbiamo prendere una decisione su un problema sensibile nel cuore del nostro continente, che riguarda importanti principi quali l’inviolabilità delle frontiere, non siamo in grado di parlare con una voce sola. Per complicare le questioni, le conclusioni del Consiglio si riferiscono alla legalità internazionale.

È vero che il Parlamento, al pari di altre istituzioni comunitarie, ha adottato il piano Ahtisaari, ma non come un assegno in bianco, ma in base all’accordo che il piano avrebbe ottenuto l’approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ovviamente, non è stato così, e da questo bisogna trarre le diverse conclusioni. La prima è che è stato detto che questa situazione non creerà un precedente, che è un caso sui generis, come affermato dall’onorevole Wurtz nel suo intervento.

Occorre domandarci se siamo una comunità basata sul diritto o meno. Non possiamo continuare a cambiare in base agli eventi. È chiaro che questa situazione creerà un precedente; quando si beffa il diritto internazionale è un atto che comporta il pagamento di un prezzo e purtroppo ci saranno conseguenze.

In secondo luogo, signor Presidente, per quanto tempo vivremo con un Consiglio di sicurezza dell’ONU in cui esiste un diritto di veto anacronistico per i vincitori della seconda guerra mondiale, contenuto nella Carta di San Francisco del 1945? Non è questo il modo di costruire un ordine internazionale o di attuare un reale multilateralismo equo.

Inoltre, signor Presidente, o l’Unione europea apprende una volta per tutte che l’unità è la nostra forza e la frammentazione la nostra debolezza, o dovremo rinunciare alla nostra vocazione di una leadership internazionale in questo mondo globalizzato e relegarci a essere come ci ha descritto The Economist: la regione del terzo mondo più prospera del XXI secolo.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, comprendo la gioia e la soddisfazione degli albanesi del Kosovo per la libertà e l’indipendenza che hanno ottenuto. Tuttavia, al contempo, capisco la costernazione e l’angoscia di molti serbi in Kosovo, nonché nella stessa Serbia. Purtroppo, non è stata trovata nessun’altra soluzione concordata da entrambe le parti. Il regime di Milošević non ha fatto altro che raggiungere l’integrazione della popolazione e la promozione del rispetto dei cittadini albanesi del Kosovo.

Pertanto, accolgo con favore la decisione dell’Unione europea di istituire EULEX. Desidero cogliere questa opportunità per porgere i miei sentiti ringraziamenti al ministro degli Esteri Rupel per il modo in cui ha tentato di raggiungere un accordo in sede di Consiglio in questa difficile situazione. Questo è molto positivo e deve essere chiaramente sottolineato. Tuttavia, tutta l’assistenza che adesso proverrà dall’Europa non è di alcuna utilità a meno che lo stesso Kosovo non ottenga l’impegno della maggioranza di creare una società multietnica in senso europeo.

Gran parte di quello a cui ho assistito negli ultimi giorni, tra cui il comportamento del Primo Ministro Hashim Thaçi, mi incoraggia e sprona a sperare che questa società multietnica sia già una realtà nelle intenzioni di coloro che sono responsabili del paese.

Nei prossimi giorni ne vedremo alcune dimostrazioni, in particolare in Serbia. Dovremo pazientare e tendere la mano alla Serbia. È necessario comprendere che esiste una sorta di senso collettivo di sconfitta e, soprattutto, dovremmo sottolineare quello che oggi ha dichiarato Vuk Jeremić in sede di commissione parlamentare per quanto riguarda la rinuncia alla violenza e ai boicottaggi. Questo è un elemento fondamentale nonché la base di un ulteriore dialogo con la Serbia. Desideriamo accompagnare questo paese sulla strada dell’adesione all’Unione europea, ma è una decisione che deve essere presa a Belgrado, non spetta a noi decidere per la Serbia.

Sono ben consapevole della situazione in Kosovo. Nel paese coesistono molte persone che forse adesso sono l’una contro l’altra, ma ritengo che sia possibile per loro convivere e collaborare. Tale reciprocità deve essere l’obiettivo delle nostre politiche, anche qui nell’Unione europea e nel Parlamento europeo.

(Applausi)

 
  
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  Jelko Kacin (ALDE). – (SL) Signor Presidente, signor Commissario, signor Ministro, la situazione in Kosovo è abbastanza pacifica, in un certo senso persino esemplare e promettente, tranne per il nord dove vivono i serbi, e dove singoli appiccano incendi; questo non è giusto. La dichiarazione di indipendenza nell’Assemblea del Kosovo ha conferito dignità e rispetto a tutte le persone che vivono nella regione, e nello spirito che dovrebbe prevalere in futuro. I cittadini kosovari meritano la nostra fiducia; dobbiamo credere in loro poiché stanno prendendo decisioni sul loro futuro e auspicano di cuore che diventi rapidamente un avvenire in Europa.

Quale relatore per la Serbia accolgo positivamente la saggia condotta di quest’ultima, che non ha introdotto sanzioni economiche contro il Kosovo. In questa circostanza problematica per il paese, comprendo in qualche modo la severità e la retorica minacciosa di alcuni politici. Tuttavia, le loro azioni dovrebbero essere razionali e rispecchiare i valori europei. Lo status indipendente consentirebbe al Kosovo di ottenere accesso alle risorse del Fondo monetario internazionale e agli investimenti esteri per un ulteriore sviluppo.

È importante rafforzare i legami commerciali tra Kosovo e Serbia al fine di stimolare la crescita economica e contribuire all’integrazione europea. Solo gli Stati possono essere membri dell’Unione europea e il Kosovo è diventato uno Stato.

Ora anche i serbi in Kosovo hanno una prospettiva europea. Anche la Serbia dovrebbe procedere quanto prima e compiere nuovi e più intensi sforzi per quanto riguarda la sua prospettiva europea. I gruppi di lavoro del governo adesso devono lavorare persino più duramente. Devono preparare le prossime iniziative per la Serbia, la sua economia e i suoi cittadini affinché si avvicinino all’Unione europea, che è ciò che i cittadini desiderano con forza. Attaccare le ambasciate degli Stati membri dell’Unione europea a Belgrado non può essere il modo in cui entrare nell’Unione europea, tantomeno quello che la maggioranza dei serbi desiderava.

Adesso che gli ambasciatori serbi dei paesi che hanno riconosciuto il Kosovo sono temporaneamente tornati nel loro paese, il loro rappresentanti dovrebbero tentare in modo più incisivo di spiegare i progressi compiuti dalla Serbia verso l’Unione europea. Non c’è possibilità di fare marcia indietro; l’unica strada per il futuro è quella che conduce verso l’Unione europea.

Le mie parole conclusive sono rivolte al ministro Samardžić. Provocare incendi è un reato ovunque. Troppi villaggi sono stati incendiati nei Balcani nei decenni passati. I serbi in Kosovo dovrebbero essere coinvolti e ammessi a partecipare al processo decisionale del nuovo paese indipendente. Auspico che Belgrado faccia esplicita richiesta di partecipazione. Questo è quanto i serbi è gli albanesi meritano. Questo è ciò di cui i Balcani occidentali e l’Unione europea necessitano e che hanno meritato.

 
  
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  Hanna Foltyn-Kubicka (UEN).(PL) Signor Presidente, la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo ha posto la comunità internazionale, in particolare l’Unione europea, di fronte a un compito difficile e di responsabilità. Tale avvenimento ha complicato in modo significativo la situazione negli Stati membri e in quei paesi con cui l’Unione coopera e sta rafforzando i propri legami, quali l’Ucraina e la Georgia. L’ostentato vertice tenutosi di recente tra il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, e i leader di Abkhazia e Ossezia meridionale, due repubbliche ribelli in territorio georgiano, è un avvertimento sul possibile comportamento del governo russo. Anche prima della dichiarazione di indipendenza del Kosovo, il Cremlino aveva reso noto che avrebbe considerato il suo riconoscimento come un precedente che avrebbe di conseguenza applicato riguardo ai regimi separatisti fedeli alla Russia. Ci sono ottimi motivi per ritenere i Balcani uno dei luoghi più esplosivi del pianeta.

La proclamazione di indipendenza può, quindi, destabilizzare la Bosnia-Erzegovina, per esempio, dalla quale le province insediate dalla Serbia potrebbero volersi rendere indipendenti. La situazione emersa di conseguenza richiede che la comunità internazionale prenda una decisione particolarmente ben ponderata e responsabile, il cui risultato sarà pertanto di libertà e di pace.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE). (NL) Signor Presidente, la proclamazione di indipendenza di domenica scorsa da parte del parlamento del Kosovo era inevitabile, nonché una delle ultime fasi del crollo della ex Jugoslavia. Chiunque conosca la situazione della regione sa che dopo nove anni di supervisione dell’ONU e, prima di questa, 20 anni di discriminazione, il Kosovo non potrebbe tornare a far parte della Serbia. Considerato ciò, la proclamazione di indipendenza è un processo assolutamente normale. Inoltre è stata compiuta in modo tranquillo, sereno e privo di emozioni, nel pieno rispetto del piano Ahtisaari nel parlamento del paese. Il Primo Ministro del Kosovo ha garantito alla comunità internazionale in modo molto specifico che avrebbe tutelato e rispettato pienamente i gruppi minoritari. A tale proposito, posso ricordare ai colleghi che tutti i gruppi di minoranza in Kosovo sostengono attivamente l’indipendenza? Solo i serbi, con la loro intransigenza e l’orgoglio ferito, non sono d’accordo. In questo senso, il discorso del ministro degli Esteri serbo è stato piuttosto inopportuno.

Tuttavia, nessuno di questi elementi sminuisce il fatto che il futuro di Serbia e Kosovo continua a essere nell’Unione europea. Aspetterò che questo accada con grande entusiasmo.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, gli appelli del Consiglio e della Commissione alla normativa internazionale, ai principi dell’ONU e all’Atto finale di Helsinki sono davvero ironici e provocatori. Oggi, con il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, il Consiglio e la Commissione li hanno violati tutti, e hanno anche violato la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 1999, in base alla quale il Kosovo fa parte del territorio serbo.

Si stanno evidentemente ridisegnando del tutto i confini, con il sostegno e la guida degli Stati Uniti e la cooperazione della stessa Unione europea. Smettiamola con questa ipocrisia! Da due anni a questa parte discutete sul modo in cui il Kosovo diventerà indipendente e l’Unione europea potrà inviare contingenti per tutelare i propri interessi nella regione.

Riteniamo che la situazione sia estremamente grave. Nel breve termine darà luogo a nuovi punti di tensione e destabilizzazione per i Balcani, e nel lungo periodo in tutto il mondo, in quanto costituirà un nuovo precedente. Il vostro dogma imperialista del dividi et impera è ben noto. Esistono piani intesi a dividere un gran numero di paesi in tutto il mondo affinché voi possiate controllarli.

Riteniamo che i popoli dei Balcani e gli abitanti del Kosovo di origine albanese si troveranno di fronte a una nuova bufera derivante dallo scontro tra Stati Uniti, Unione europea e Russia.

Questo spiega la nostra opposizione. Pensiamo che i governi non debbano riconoscere questo “Stato”, che in futuro sarà un protettorato, e che i cittadini dei Balcani e d’Europa non dovrebbero consentirlo.

 
  
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  Georgios Georgiou (IND/DEM).(EL) Signor Presidente, ogni volta che la forza della legge produce la legge dei forti, il risultato è la sofferenza.

Solo in Kosovo abbiamo visto accadere le cose alla velocità della luce. In 40 anni di attività diplomatica, non ho mai assistito a una simile fretta non solo nel processo di proclamazione di indipendenza, ma anche in quello di riconoscimento da parte di alcuni paesi europei.

Ciò che hanno riconosciuto non è il Kosovo, ma un vaso di Pandora. Per quanto mi riguarda, non mi sono mai imbattuto in una situazione così tipica di se stessa. Lo stesso Kosovo non è sui generis, ma lo è la realizzazione di una base militare nel paese.

In ogni caso, ritengo che abbiamo deviato. In quest’Aula, di fronte agli europarlamentari che oggi rappresentano i governi democratici d’Europa, i partiti democratici e i sentimenti democratici, ho ascoltato alcuni affermare: “Sai, siamo intervenuti per risolvere il problema in cui Ahtisaari aveva fallito.” Che cosa siamo, un organo di ricorso? Questo Parlamento è una corte d’appello?

Anziché preoccuparci di quello che accadrà domani in Kosovo, sarebbe meglio per noi, signor Presidente, che pensassimo a quello che accadrà quando verrà violato lo status dell’ONU in questo modo oltraggioso e presuntuoso.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).(CS) Sono convinta che la domanda da porci oggi non sia più se riconoscere o meno il Kosovo, ma come mantenere la stabilità politica e la sicurezza in una regione dominata dall’odio etnico e dalla paura, nonché dal 40% di disoccupati.

Paradossalmente, l’indipendenza del Kosovo giunge in un momento in cui i paesi dell’Unione europea si dirigono verso la federalizzazione politica. La situazione nei Balcani, tuttavia, dimostra chiaramente che la politica comunitaria non offre alcuna soluzione che eviti la divisione dello Stato mentre prevede una coesistenza pacifica di tutte le entità etniche e religiose al suo interno.

A questo proposito, intitolare quest’anno l’Anno del dialogo interculturale sembra quasi una presa in giro.

Onorevoli colleghi, alcuni anni fa gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno entrambi dichiarato che non avrebbero riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Adesso, non solo gli Stati Uniti ma anche molti paesi dell’Unione europea l’hanno fatto. È piuttosto chiaro, quindi, che esiste la procedura di ridefinizione delle entità nazionali e continuerà a esistere, che non c’è una soluzione globale a questa situazione e che danneggia o distrugge le relazioni con i paesi preesistenti. In tale situazione possiamo avere un solo obiettivo: evitare lo spargimento di sangue.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, i miei pensieri tornano inevitabilmente a 17 anni fa, quando la Slovenia ha dichiarato la sua indipendenza; il ministro degli Esteri era Dimitrij Rupel. All’epoca, la maggior parte dei grandi paesi dell’ONU e dell’UE, nonché la maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea, si rifiutarono di riconoscere la Slovenia. Il ministro degli Esteri di un grande paese dell’UE dichiarò che se la Slovenia fosse diventata indipendente, altri paesi l’avrebbero isolata per 50 anni. Oggi, la Slovenia è uno Stato riconosciuto, rispettato e di successo, nonché un buon Presidente del Consiglio dell’Unione europea. Qualcosa di quanto dichiarato oggi in quest’Aula dovrebbe essere posto in prospettiva guardandolo alla luce della storia.

Sono lieto che il Kosovo adesso sia indipendente in quanto, dopo decenni di oppressione, i kosovari avranno finalmente il loro Stato libero e democratico, essendo stati per decenni oppressi e più di recente vittime di un genocidio fermatosi solo grazie all’assistenza internazionale. Chiedo alla Serbia di comprendere che questa è anche un’opportunità per il suo popolo di muoversi verso il proprio avvenire europeo, lasciandosi alle spalle il fardello del passato. Ma deve allora rinunciare alla violenza! Il ministro serbo per il Kosovo non può quindi accogliere con favore il fatto che vengano attaccati i caschi blu al confine con il Kosovo. Non è corretto dunque accusare i leader del Kosovo, democraticamente eletti, di alto tradimento anziché iniziare un dialogo amichevole con queste vittime del genocidio.

Non potrei dichiararlo più chiaramente: è inammissibile che il vescovo Artemije della chiesa ortodossa serba chieda la guerra. Non è accettabile! Deve essere molto chiaro, noi come Unione europea dobbiamo aiutare la Serbia nel suo percorso verso l’Europa, ma anche la Serbia deve svolgere il proprio ruolo nel creare un’atmosfera pacifica, positiva e cordiale. Tre quarti dei deputati di questo Parlamento erano e sono a favore della sovranità del Kosovo, pertanto non è possibile affermare che l’Unione europea è divisa, e sono lieto che stiamo entrando adesso in un futuro europeo positivo per l’intera regione.

(Applausi)

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE).(HU) Signor Presidente, era sempre più chiaro che la dichiarazione di un’indipendenza controllata per il Kosovo sarebbe diventata inevitabile. Adesso, il nostro primo compito è quello di garantire una risoluzione di successo della situazione in Kosovo, al fine di assicurare la stabilità nella regione, di istituire un ruolo appropriato per l’Unione europea, creare un protettorato comunitario, ma senza assumere il ruolo di reggente.

Da un lato, posso comprendere la sofferenza della Serbia: il mio paese ha perso il 60% del suo territorio dopo la prima guerra mondiale. La Serbia sta perdendo circa un quinto del suo territorio, ed è una grande tragedia per qualsiasi nazione lasciare la culla della propria storia, appartenenza e religione. Dall’altro lato, è pur vero che molto tempo fa la Serbia ha perso qualsiasi diritto morale che aveva nei confronti del Kosovo in quanto il governo serbo non ha fornito una patria adeguata alla comunità albanese stabilita lì.

Siamo sicuri che la risposta diplomatica serba non comprometterà l’integrazione del paese nell’Unione europea. Dobbiamo aiutare la Serbia ad affrontare la sua sconfitta aumentando la convergenza con l’Unione europea. È importante tendere la mano, inviare messaggi positivi ed è quindi essenziale per l’Unione europea adottare un chiaro piano d’azione volto a eliminare l’obbligo dei visti per la Serbia e gli altri paesi dei Balcani occidentali. Acceleriamo l’integrazione serba ma senza ridurre i criteri in alcun modo.

È comprensibile che gli Stati membri dell’Unione europea abbiano le loro riserve. So che le preoccupazioni di Cipro e Spagna sono legittime, ma sono sconcertato dalle preoccupazioni sollevate dalle élite politiche rumene e slovacche. Nessuno sta minacciando l’integrazione di questi paesi. La divisione e la dichiarazione unilaterale di indipendenza non devono costituire un precedente per l’Unione europea in futuro. L’attuazione del piano Ahtisaari, al contrario, che prevede un sistema sicuro per le minoranze, può creare un precedente positivo per l’Europa da seguire in futuro per quanto riguarda la tutela delle minoranze. Grazie per la vostra attenzione.

 
  
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  István Szent-Iványi (ALDE).(HU) Signor Presidente, signor Commissario, signor ministro degli Esteri, la dichiarazione di indipendenza del Kosovo e il nostro relativo riconoscimento non equivale a scegliere il male minore; è l’unico passo adeguato che possiamo compiere nell’attuale situazione.

Purtroppo, i negoziati non hanno prodotto risultati; il continuo fallimento nel giungere a un accordo sullo status del Kosovo ha destabilizzato costantemente la regione. Non vi era altro modo di risolvere la questione che quello della scorsa settimana, l’accordo definitivo sullo status del Kosovo e l’accettazione della sua indipendenza.

Accogliamo positivamente il fatto che nel parlamento kosovaro una larga maggioranza abbia votato a favore del piano Ahtisaari. Attendiamo che il Kosovo traduca le disposizioni in esso contenute in azioni, prestando particolare attenzione a quelle relative alla tutela delle minoranze. Il piano Ahtisaari rappresenta il più chiaro sistema di tutela delle minoranze d’Europa, e può costituire un modello e un esempio di buona prassi per l’intera regione, è molto importante, quindi, che facciamo sì che il Kosovo tenga conto di tale questione.

Il futuro del Kosovo e della Serbia è nell’integrazione europea, che adesso è diventata più semplice per entrambi i paesi. Si sono liberati da un problema serio e disastroso che finora ha consumato tutta la loro energia creativa. Dipende da loro sfruttare questa opportunità; se lo fanno, è necessario che l’Unione europea sostenga quanto più possibile sia il Kosovo che la Serbia, in particolare per quanto riguarda l’immediata eliminazione dai requisiti per i visti e le misure di sostegno al bilancio.

È meraviglioso che l’Unione europea abbia approvato all’unanimità il mandato della missione civile in Kosovo. Tuttavia, l’aspetto più preoccupante è che gli Stati membri non siano riusciti a raggiungere l’unanimità per quanto riguarda il riconoscimento del paese. Se l’Unione europea intende essere presa sul serio sulla scena politica internazionale, non può consentire che non si giunga a un consenso sugli avvenimenti importanti che avvengono in un paese vicino. È pertanto fondamentale che l’Unione europea parli e agisca all’unisono.

Per concludere, auguro al Kosovo e a tutti i suoi cittadini tutto il successo e il meglio per il futuro.

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Presidente Pöttering, dicendo che la dichiarazione d’indipendenza traduce la volontà dei cittadini del Kosovo di prendere nelle proprie mani il loro destino, fa un’affermazione di importanza storica.

L’indipendenza del Kosovo, infatti, è una concreta applicazione in Europa del principio di autodeterminazione dei popoli sancito dalla Carta dell'ONU. Certo destano in molti di noi molta preoccupazione sia la creazione del primo Stato islamico in Europa, salutato già da tutta la stampa jiadista, per esempio dall’editoriale entusiasta della TV satellitare islamica Al-Arabia, e la sorte della minoranza cristiana ortodossa serba, alla quale ci richiama la parola saggia della Santa Sede.

Tuttavia – lo sottolineo – resta innegabilmente un importante precedente giuridico e politico. Inutile negarlo: è importante per i popoli che in Europa, dalla Corsica alle Fiandre, dalla Sardegna all’Euscadia, dalla Bretagna all’Occitania, alla nostra Padania, ora ancora purtroppo nazioni senza Stato, aspirano al sogno dell’autodeterminazione e della libertà. Viva l’Europa dei popoli! Viva la Padania libera!

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come sempre quando si agisce fuori dalle regole internazionali l’Europa si divide ed è sconfitta.

Con gli atti unilaterali si crea un precedente gravissimo ed abbiamo ascoltato adesso le parole dell’on. Borghezio. Si acuisce la tensione nell’aria tutt’altro che pacificata e piena di contrasti geopolitici. L’Europa ha mancato di unità, di autorevolezza e di trasparenza. Addirittura si è letto di incontri tra il governo che esprime l’attuale Presidenza dell’Europa e l’amministrazione statunitense che avrebbe suggerito le linee da seguire. Non a caso oggi questo Parlamento è politicamente impotente, nonostante le celebrazioni del nuovo Trattato. L’unico modo per cambiare pagina è ripartire dal diritto internazionale e da una visione autonoma che costruisca la presenza di tutti i Balcani in Europa, riconoscendo il diritto di tutta l’area. Speriamo che non sia purtroppo troppo tardi.

 
  
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  Vladimír Železný (IND/DEM). – (CS) Il tentativo dell’Unione europea di presentare il Kosovo come un caso unico non è altro che un esempio imbarazzante di una pia illusione. Non solo il Kosovo crea un pericoloso precedente, ha anche uno storico predecessore: è l’immagine riflessa della situazione in Cecoslovacchia degli anni ’30 e della sua minoranza tedesca.

Che bizzarro che la storia si ripeta! I primi quattro paesi dell’Unione europea che hanno annunciato all’unisono che avrebbero riconosciuto la repubblica separatista erano anche i quattro firmatari dell’accordo di Monaco. Allora, 80 anni fa, Chamberlain, Daladier, Mussolini e Hitler divisero la Cecoslovacchia; oggi, sono di nuovo la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e la Germania a dividere la Serbia. Stanno strappando alla Serbia lo storico territorio della piana di Kosovo Polje, in cui nel 1389 la nobiltà serba combatté un’eroica battaglia per fermare l’avanzata dei turchi ottomani in Europa. È il luogo in cui ha avuto origine l’identità serba e adesso noi, l’Unione europea, stiamo trapiantando altrove questo cuore storico del paese. Vergogniamoci, noi monachisti!

 
  
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  Sylwester Chruszcz (NI).(PL) Signor Presidente, nel dibattito odierno sulla provincia serba del Kosovo, desidero innanzi tutto protestare contro le azioni illegali delle autorità albanesi, ispirate dagli Stati Uniti. Di fronte allo smantellamento dello Stato serbo, la reazione dell’Unione europea e di alcuni Stati membri è oltraggiosa. L’Unione europea sostiene i separatisti albanesi, decidendo al contempo di inviare una missione in Kosovo ambigua dal punto di vista del diritto internazionale, nonché in conflitto con la posizione dell’ONU. Mi sento offeso dal fatto che le autorità comunitarie desiderino far parte di questo conflitto balcanico senza averne il diritto o un mandato per farlo. In base a quale diritto Bruxelles interferisce ancora una volta nelle questioni di uno Stato sovrano, violando per di più gli accordi internazionali?

Quanto accaduto lunedì a Bruxelles mi ricorda la Conferenza di Monaco del 1938. Di nuovo, in questo caso, la comunità internazionale rimane in silenzio e consente a Berlino e Washington di vedere realizzati i loro interessi. Per la prima volta dal 1945, in violazione del diritto internazionale, i confini in Europa vengono modificati per ragioni etniche. Sono inevitabili un effetto domino e i conseguenti conflitti legati alle azioni dei separatisti albanesi. Non è necessaria molta immaginazione per vedere in quale modo l’indipendenza di questa provincia serba potrebbe incidere sui conflitti etnici altrove in Europa e nel mondo.

 
  
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  Sorin Frunzăverde (PPE-DE).(RO) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo 20 anni di confronti politici e militari, dopo 20 anni di grandi errori nei Balcani, ci chiediamo se la soluzione del Kosovo, in particolare la dichiarazione unilaterale di indipendenza della provincia kosovara, sia lecita e opportuna.

La soluzione del Kosovo non è né lecita né opportuna. È illegale in quanto nessun principio di diritto internazionale giustifica la dichiarazione unilaterale di indipendenza della provincia kosovara. Inoltre, di recente, il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite non ha trovato risposta alla domanda sulla legittimità della soluzione, rilasciando una conferenza stampa indetta presso la sede dell’ONU. Non è opportuna, inoltre, in quanto crea un precedente pericoloso. Non per gli Stati membri dell’Unione europea, non per la Slovacchia o la Romania, paesi che dispongono di una normativa emancipata e moderna per quanto riguarda le minoranze, bensì crea un precedente pericoloso per l’Abkhazia, l’Ossezia meridionale e, in particolar modo, per la Transnistria, in cui i conflitti sono congelati sin dai tempi del conflitto del Kosovo. Nondimeno, crea un precedente altrettanto pericoloso per i Balcani, la Repubblica serba per esempio, nonché per altre regioni dei Balcani dove sono insediate minoranze, oltre che per l’Unione europea.

Spesso si afferma che i Balcani producono più storia di quanta non ne possano consumare. Sembra che, questa volta, abbiano prodotto più storia di quanta la stessa Unione europea non ne possa consumare. Ne è la prova il fatto che ci troviamo qui divisi per quanto riguarda il riconoscimento dell’indipendenza della provincia del Kosovo.

Posso dirvi che la Romania non riconoscerà l’indipendenza della provincia del Kosovo e l’iniziativa nazionale è sostenuta dalla delegazione rumena nel Partito popolare europeo. Sappiamo molto bene, onorevoli colleghi, l’abbiamo visto in quest’Aula, che cosa dovremmo fare per quanto riguarda la Serbia; il suo futuro è ovviamente europeo, ma ancora non sappiamo che cosa fare per il Kosovo. Devo confessarvi, e vi prego di comprendermi, che il solo sistema dei visti, la liberalizzazione del sistema dei visti, non sarà sufficiente alla crescita di questa regione della nostra Europa.

 
  
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  Kristian Vigenin (PSE).(BG) Signor Presidente, signor ministro Rupel, signor Commissario Rehn, probabilmente è giunto il momento di esprimere ancora una volta il nostro sconcerto riguardo al fatto che non sia stato raggiunto alcun accordo tra Serbia e Kosovo sullo status di quest’ultimo, ma non c’era modo di proseguire con i negoziati finché entrambe le parti rimanevano sulle loro rispettive e incompatibili posizioni.

Potremmo inoltre esprimere il nostro disappunto per il fatto che, oggi, la Serbia e il suo popolo devono pagare il conto del grande nazionalismo serbo, al quale il paese sta dicendo addio, seppure con qualche difficoltà. Tuttavia, dobbiamo essere realistici e sottolineare che l’indipendenza del Kosovo, benché non un’indipendenza nel vero senso della parola, è un fatto, una realtà che, di certo, attribuisce un nuovo valore al processo in corso. Dobbiamo tenere in considerazione tutto questo, e le discussioni sul riconoscerlo o meno adesso cambiano la sua esistenza.

Non possiamo che pensare alle possibili conseguenze che questo evento produrrà sulla stabilità dell’Europa meridionale e orientale, si spera solo di natura a breve termine. Occorre che l’Unione europea intraprenda ancora molte iniziative importanti: primo, assistere l’istituzione di un’adeguata struttura amministrativa e di governo in Kosovo; quindi, accelerare l’integrazione della Serbia firmando in tempi rapidi un accordo di associazione e stabilizzazione, nonché riservare particolare attenzione alla Macedonia, alla Bosnia-Erzegovina e al Montenegro in quanto esiste il rischio di perdere l’intera foresta dell’Europa meridionale e orientale per un solo albero.

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signor Presidente, concordo con coloro che affermano che non vi era davvero altra scelta se non quella dell’indipendenza del Kosovo. L’Unione europea sta avviando la sua più grande missione civile di sempre, il cui successo sarà molto importante. È una situazione molto singolare. È alquanto difficile spiegare a chi è al di fuori che, nonostante non tutti gli Stati membri concordino sul riconoscimento del Kosovo, tutti sostengono la missione EULEX. Difatti, un paese come la Spagna fornisce personale alla missione, questo è molto da Unione europea, da Bruxelles, ma deve accadere.

Concordo con il signor Commissario Rehn sul fatto che il messaggio da inviare alla Serbia debba essere che è giunto il momento di voltare pagina e, come altri hanno osservato, in tale contesto è stato alquanto spiacevole ascoltare oggi pomeriggio il ministro degli Esteri serbo, Vuk Jeremić. Comprendo il senso di afflizione e di aver subito un’ingiustizia, ma le cose devono cambiare rapidamente.

Auspico che il Primo Ministro Thaci chiarirà perfettamente ai suoi compatrioti che la tutela della minoranza serba e di altre minoranze in Kosovo è una priorità assoluta, poiché la violenza non sarà tollerata. In questo quadro, sono rimasta perplessa per il fatto che il ministro degli Esteri serbo non abbia condannato la violenza perpetrata dai serbi negli ultimi anni. Ha dichiarato che il suo paese non l’ha incoraggiata o fomentata, ma in realtà non ha utilizzato la parola “condanna”, il che è spiacevole.

Infine, l’aspetto importante, come altri hanno affermato, sarà lo sviluppo economico. In Kosovo la disoccupazione è al 40%, e anche in Serbia è di grandi proporzioni. Muoviamoci verso la rapida integrazione nell’Unione europea, attraverso la liberalizzazione dei visti, che spero si raggiunga molto presto.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ADAM BIELAN
Vicepresidente

 
  
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  Seán Ó Neachtain (UEN). (GA) Signor Presidente, accolgo calorosamente la proclamazione di indipendenza del Kosovo di domenica scorsa.

Sono trascorsi nove anni dal terribile bombardamento del Kosovo per ordine del regime di Milošević. Il popolo kosovaro ha il diritto all’indipendenza e in qualche modo gli avvenimenti degli ultimi nove anni hanno contribuito al suo verificarsi. È estremamente importante che i diritti civili e politici della minoranza serba che vive tuttora in Kosovo vengano rispettati appieno.

L’Unione europea dovrà sostenere il governo kosovaro al fine di promuovere l’economia del paese, in quanto il tasso di disoccupazione in Kosovo è al 40% e deve essere corretto.

Mi auguro che questo sia un nuovo inizio per il Kosovo e che l’Unione europea sarà lieta di sostenere la ricostruzione di questo nuovo Stato nei prossimi anni. Auspico inoltre che diventi un esempio dei desideri dell’Unione europea che i popoli e le comunità possano vivere in armonia.

 
  
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  Georgios Papastamkos (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, l’Unione europea non crea Stati, li incorpora. Le opinioni europee divergenti sul problema del Kosovo costituiscono un’ammissione di sconfitta della PESC. L’Unione europea ha sacrificato la sua consultazione interna alla forza politica dei suoi Stati membri.

L’articolo 11 del Trattato sull’Unione europea sancisce quale prerequisito che l’Unione europea deve agire in conformità dei principi della Carta delle Nazioni Unite, dell’Atto finale di Helsinki e degli obiettivi della Carta di Parigi, compresi quelli relativi alle frontiere esterne.

Essendo l’Unione europea un’unione di diritto, come affermato dall’onorevole Salafranca, qual è la base della responsabilità giuridica europea? Più precisamente, su quali basi giuridiche alcuni Stati membri hanno esercitato pressioni per il riconoscimento in conformità del diritto internazionale?

La risoluzione 1244 del 1999 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU non fornisce alcuna motivazione o legittimazione sufficiente per questo. Il punto delle conclusioni del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” sulla natura sui generis della situazione in Kosovo è che il caso in questione non ha precedenti. Mi auguro che non costituisca un precedente. È una situazione unica; vi è uno specifico riferimento di adesione ai principi fondamentali della sovranità e integrità territoriale degli Stati, che non sono in dubbio, come dichiarato esplicitamente.

Infine, desidero ricordarvi che tali principi costituiscono il fulcro del diritto internazionale sull’interesse acquisito.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE).(ES) Signor Presidente, la discussione è già in fase avanzata; non credo di potervi contribuire molto, nemmeno in termini di passione; tuttavia, credo fermamente che dobbiamo concentrarci sull’importanza del diritto internazionale e degli impegni internazionali.

Il 16 dicembre 1991, i ministri dell’Unione europea hanno adottato le linee direttrici sul riconoscimento di nuovi Stati in Europa orientale e in Unione Sovietica, nonché affermato il rispetto dell’inviolabilità delle frontiere e che queste ultime potrebbero essere modificate solo con mezzi pacifici e di comune accordo.

In secondo luogo, la risoluzione in base alla quale l’Europa è attualmente presente in Kosovo (la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU) sancisce in modo specifico che devono essere rispettati i principi di sovranità e integrità territoriale della Repubblica federale jugoslava e degli altri paesi della regione.

È stata commessa una violazione del diritto internazionale, degli impegni dei paesi europei e delle risoluzioni dell’ONU. Le conseguenze saranno pesanti per tutti noi.

 
  
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  Bogusław Rogalski (UEN).(PL) Signor Presidente, il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo equivale all’apertura del vaso di Pandora in Europa. È un pericoloso precedente, in violazione del diritto internazionale, in particolare delle risoluzioni dell’ONU, che ha dichiarato senza alcuna ambiguità che il Kosovo è parte integrante della Serbia.

Oggi, con l’approvazione internazionale, sono stati compiuti passi intesi a smantellare gli Stati europei. Affermo questo in qualità di eurodeputato di un paese che ha già subito un simile smantellamento nella sua storia. Non può esserci accordo su questo. È un pericoloso precedente, poiché le orme del Kosovo sono state seguite, tra gli altri, da Ossezia meridionale e Abkhazia, che hanno già annunciato il loro desiderio di separazione e di dichiarare l’indipendenza. Che cosa dovremmo dire di Cipro, che si sta battendo per l’unità a tutti i costi? Con un simile esempio, e fornendo tale esempio ai ciprioti, li mettiamo in una situazione ambigua e poco chiara in cui non saranno in grado di lottare per l’unità della loro isola.

Onorevoli colleghi, il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo è soprattutto un regalo per la progressiva islamizzazione dell’Europa, è non credo che qualcuno di noi desideri che ciò accada.

 
  
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  Francisco José Millán Mon (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, ritengo deplorevole la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo; non è una buona notizia per l’Europa. È l’ultimo anello di una catena di fallimenti: il fallimento alla coesistenza, sfociato nella crisi del 1999, il fallimento delle parti interessate e della stessa comunità internazionale nel raggiungimento di una soluzione concordata, e il fallimento da parte del Consiglio di sicurezza.

È diffuso il timore che l’entità che qualcuno si è precipitato a riconoscere sia un’altra sconfitta. Dovrebbe fornire un quadro per la coesistenza democratica e sicura, in cui i cittadini prosperino e i diritti vengano rispettati; dovrebbe inoltre evitare di essere un problema per la stabilità nella regione. Onorevoli colleghi, anche l’Unione europea ha fallito, in quanto non ha trovato una soluzione nel suo vicinato che fosse in linea con il diritto internazionale.

Europa dovrebbe significare unione, non separazione; accordo, non multilateralismo; de jure, non de facto; integrazione, non divisione etnica. In quanto europei abbiamo una responsabilità significativa in questa regione: eravamo la maggioranza nel gruppo di contatto, l’inviato speciale ONU e il suo personale erano europei, ed è stato il Consiglio europeo che, a dicembre, ha frettolosamente deciso di inviare una missione in Kosovo in assenza di una base giuridica.

Desidero precisare che il paragrafo 15 della risoluzione del Parlamento di marzo afferma quanto segue: “ritiene che l’adozione di una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sia cruciale anche per il futuro impegno dell’Unione europea in Kosovo e che non debba essere previsto un maggiore coinvolgimento dell’Unione in assenza di una siffatta risoluzione.”

Le circostanze nel caso del Kosovo sono eccezionali. Tuttavia, ci sono persone irresponsabili che desiderano modificare i confini dei paesi europei e impiegare tale cambiamento quale precedente. Questo è il motivo per cui deve essere ribadita l’inviolabilità dei confini degli Stati membri dell’Unione europea.

 
  
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  Richard Howitt (PSE).(EN) Signor Presidente, sono persuaso del fatto che il Kosovo fosse già un protettorato dell’ONU, che la soluzione sia sostenuta dal Segretario generale delle Nazioni Unite, e che i negoziati abbiano fallito; tutto ciò significa che il Kosovo è un caso unico nel nostro mondo. Sono contrario a coloro che asseriscono che è un atto illegale. Il paragrafo 11, lettera a), della risoluzione 1244 dell’ONU specifica che è “in attesa di una soluzione definitiva”. Il paragrafo 7 in particolare autorizza la sicurezza attraverso “le competenti organizzazioni internazionali…con tutti i mezzi necessari”.

Accetto che questo sia una prova di credibilità per l’Unione europea, che qualora non si riuscisse a rispettare i diritti della popolazione serba nel nuovo Kosovo, sarebbe una vittoria della pulizia etnica al contrario, e che si dovrebbe sottolineare che la Serbia, nonché il Kosovo, saranno partner a livello paritario quali futuri membri dell’Unione europea.

Non lasciamo che il fantasma di Slobodan Milošević perseguiti questa decisione o aleggi su quest’Assemblea. Lasciamo che l’indipendenza del Kosovo sia per l’ex Jugoslavia come fu la caduta del muro di Berlino per l’Europa orientale, ossia la trincea della pace, il precursore della riconciliazione, la piattaforma per un’intera regione.

 
  
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  Alojz Peterle (PPE-DE).(SL) A seguito dei cambiamenti che hanno avuto luogo, il nostro compito non è quello di spiegare la storia o diffondere allarmismi parlando di effetto domino, bensì di sostenere lo sviluppo che alla fine stabilizzerà la regione e la avvicinerà alle norme e alla prospettiva dell’Europa.

È un fatto importante che in questa storia estremamente complicata l’Unione europea si sia assunta una grande responsabilità. È stata unita nella sua decisione relativa alla missione EULEX intesa a contribuire nella costruzione delle istituzioni e nello sviluppo politico ed economico. La Commissione europea ha inoltre definito misure volte a sostenere lo sviluppo dell’intera regione. Tutto questo allo scopo di attenuare la pericolosa situazione che non offre prospettive, nonché di cancellare l’insolito paradosso che una parte dell’Europa, circondata dagli Stati membri, è un protettorato delle Nazioni Unite.

Non è solo il mio auspicio, ma anche di altri, che la riconciliazione, la pace e la cooperazione che adesso caratterizzano l’Unione europea possano diventare il principio fondamentale o la base della coesistenza in Kosovo, nonché nelle relazioni tra quest’ultimo e la Serbia.

In questi giorni complicati per Serbia e Kosovo, e nello spirito di ciò che ho affermato in precedenza, desidero accogliere positivamente le parole e le azioni di tutti coloro che hanno espresso il loro impegno a favore della pace, della moderazione, dell’apertura e del futuro.

 
  
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  Maria Eleni Koppa (PSE).(EL) Signor Presidente, ci troviamo dinanzi a uno stato di cose che può avere conseguenze di ampia portata, non solo per la regione dei Balcani, ma anche a livello internazionale. La dichiarazione che si tratta di un caso sui generis non ci dà garanzie.

Il raggiro del diritto internazionale e delle sue regole è altamente pericoloso. Per la prima volta, sono state modificate le frontiere persino in assenza dell’accordo delle parti interessate o dell’approvazione del Consiglio di sicurezza.

Ancora una volta, l’Europa appare divisa su una questione così essenziale e ha ripetuto gli errori del passato. È inoltre in dubbio il modo in cui i 2 000 soldati possano garantire la sicurezza e la stabilità nella regione.

La dichiarazione di indipendenza del Kosovo è adesso una realtà. Siamo a favore di un Kosovo pacifico e multietnico, integrato nel cuore dell’Europa. La soluzione alla crisi può solo garantire il percorso verso un’adesione rapida dei Balcani occidentali all’Unione europea.

È necessaria la firma immediata del patto di crescita e stabilità, in particolare per la Serbia, in quanto è l’unica via per fornire reale sostegno per le sue forze democratiche. Infine, il modo in cui la situazione verrà gestita sarà una prova cruciale per la politica estera europea.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, non vedo la fretta di risolvere la questione del Kosovo, aggirando l’ONU e ignorando l’attuale diritto internazionale. Ritengo che la nuova condizione di nazione del Kosovo sarà complessa, senza alcuna strategia di uscita ovvia per l’Unione europea, la cui presenza sarà a lungo termine, data una vicina Serbia ostile e la diffusione della criminalità organizzata. È molto improbabile che la Russia e la Cina, che sono al Consiglio di sicurezza dell’ONU, riconoscano l’indipendenza del Kosovo nel prossimo futuro.

Adesso siamo riusciti con successo a compromettere una Serbia che sta cercando di dimenticare Milošević e costruire un futuro democratico. La sua sconfitta può ravvivare i sentimenti nazionalisti e guidare la Serbia verso la Russia che, in cambio, può impiegare il precedente della situazione del Kosovo per i conflitti congelati dalla Transnistria all’Abkhazia. È interessante notare che adesso la Russia rivendicherà l’elevata posizione morale del diritto internazionale, forse per la prima volta nella storia recente.

Sono molto solidale con Cipro, che ha rifiutato di unirsi alla maggioranza degli Stati membri nel riconoscimento del Kosovo. Mehmet Ali Talat, leader della cosiddetta “repubblica separatista di Cipro Nord” ha già fatto riferimento al Kosovo come a un precedente per il suo territorio. Una nota per l’onorevole Howitt: i negoziati ONU hanno fallito anche nell’unificazione di Cipro, quindi la questione non è unica nel suo genere.

Non c’è da sorprendersi che la Spagna sia preoccupata per i Paesi Baschi e la Catalogna, e la Slovacchia per la sua minoranza ungherese. Stranamente, nonostante l’Organizzazione per la conferenza islamica (OIC) abbia accolto con favore un Kosovo indipendente quale potenziale nuovo membro, l’Azerbaigian, malgrado l’OIC, è prudente sul Nagorno-Karabakh, che chiede l’indipendenza, e rifiuta di riconoscere il Kosovo.

Pertanto, qualsiasi dichiarazione l’UE e gli USA rilascino sul fatto che tale questione sarebbe sui generis, è chiaro che non tutti i paesi del mondo concordano.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, desidero fare due osservazioni. In primo luogo, l’aspetto più importante è che l’indipendenza del Kosovo è stata proclamata dopo un controllo di anni della situazione in loco da parte della comunità internazionale, la quale, a seguito di lunghe deliberazioni, non ha potuto trovare una soluzione migliore al problema che l’indipendenza del Kosovo.

Pertanto, a seguito dei tentativi della Russia di mettere in relazione la situazione in Kosovo a quella di altre regioni d’Europa, quali la Transnistria, l’Ossezia meridionale o l’Abkhazia, non è difficile rendere tale controargomentazione pericolosa o non adeguata per la stessa Mosca.

La Russia accetterebbe di ritirarsi da quei territori e lasciare il controllo delle aree dei “conflitti congelati” d’Europa alla comunità internazionale? In caso affermativo, allora noi, l’Unione europea, otterremmo una vera possibilità per una soluzione attesa a lungo, e saremmo interessati a tale prospettiva.

In secondo luogo, è ben noto che alcuni paesi tentano di approfittare di ogni segnale di instabilità internazionale. Questa volta, la Russia, con la pretesa di tutelare gli interessi della Serbia, ha deciso di fare il suo gioco geopolitico, con la presunzione che, in mancanza del suo consenso, nessun problema al mondo si risolverebbe; posizione, questa, né nuova né inaspettata.

Tuttavia la Russia questa volta non è l’attore principale, in quanto non ha il vero potere di modificare gli eventi in modo tale da renderli inaccettabili per l’Occidente. In futuro, per esempio, i tentativi del Kosovo di far parte delle Nazioni Unite potrebbero non essere semplici, ma la Russia non può comunque isolare lo Stato su scala internazionale poiché, nel momento in cui il Kosovo viene riconosciuto dalla maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea, gli Stati Uniti e altri paesi, tale isolamento non avrà più senso.

Saluto l’indipendenza del Kosovo e auguro al suo popolo la migliore fortuna nella realizzazione del suo Stato.

 
  
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  Ioan Mircea Paşcu (PSE).(EN) Signor Presidente, la differenza tra le azioni esterne dell’Unione europea e di altri attori internazionali è il rispetto per la legalità internazionale e le decisioni dell’ONU. Temo che, incoraggiando e riconoscendo l’indipendenza del Kosovo, al di fuori dall’attuale organo di diritto internazionale e dell’ONU, la caratteristica di definire le azioni esterne dell’Unione europea diventi discutibile, se non addirittura indifendibile. Auspico solo che non vivremo rammaricandoci della decisione che abbiamo preso riguardo al Kosovo.

 
  
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  Árpád Duka-Zólyomi (PPE-DE).(SK) Il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza. Non è una sorpresa, c’era da aspettarselo e la comunità internazionale deve prenderne atto. Se questa regione deve essere pacifica e stabile, allora gli Stati membri dell’Unione europea devono agire uniti e fornire pieno sostegno allo sviluppo di questo paese, conformemente al piano di Martti Ahtisaari.

Gli Stati membri e i politici, anche slovacchi, che diffondono affermazioni prive di fondamento sulla pericolosità senza precedenti che questo atto costituirà per gli altri paesi, si sbagliano. Il Kosovo è un caso unico. Dovremmo pensare al passato e alle radici degli eventi macchiati di sangue di nove anni fa, quando le forze militari serbe hanno perpetrato il genocidio della comunità albanese. È piuttosto comprensibile che i membri di tale comunità si rifiutino di vivere nella Repubblica serba. Se fosse imposto loro, si sfocerebbe in una guerra.

L’Unione europea ha un ruolo molto importante da svolgere nella creazione di una società in cui tutti i cittadini sono uguali e le comunità minoritarie godono di pieni diritti al fine di mantenere e sviluppare le loro identità, nonché di un diritto di gestire le loro amministrazioni pubbliche: ciò significa un’ampia autonomia per la comunità serba.

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, desidero formulare tre osservazioni. Innanzi tutto, il fatto di trovarci in questa situazione dimostra che noi, in quanto Unione europea, siamo stati nuovamente in una posizione che non ci ha consentito di apportare il nostro contributo tra i due poli di Russia e Stati Uniti.

La mia seconda osservazione è la seguente: adesso dobbiamo fare tutto il possibile al fine di istituire i diritti delle minoranze e culturali in Kosovo. Il governo kosovaro sa bene di avere molto da fare nella pratica e su ampia scala. Desidero ringraziarla, signor Presidente in carica del Consiglio, per contribuire in modo significativo attraverso EULEX.

Terzo, per motivi storici e culturali, ho molto rispetto per gli attuali sentimenti della Serbia e ritengo che, per questa ragione, dobbiamo essere pazienti al fine di consentire a questo paese di trovare la sua strada verso l’Unione europea, e sostenere questo processo. Tuttavia, occorre anche precisare che la violenza non sarà tollerata. Dobbiamo continuare a erogare i nostri finanziamenti (187 milioni di euro nel 2007), ma a patto che gli eventi procedano in modo pacifico, al fine di spianare la strada a una regione stabile.

 
  
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  Vytautas Landsbergis (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la Serbia di Milošević, e persino quella dopo di lui, hanno seguito il consiglio del loro grande fratello, perdendo ogni occasione, anziché assumere una posizione realistica e cercare di trovare modi per una separazione amichevole, con la prospettiva di reincontrarsi in Europa. Forse adesso accadrà.

Una riflessione in particolare rivolta a coloro che sono preoccupati delle interpretazioni unilaterali del diritto internazionale, l’integrità degli Stati o della sovranità dei territori e dei popoli: dovremmo comprendere e tenere in considerazione che uno Stato che cerca di sterminare o cacciare tutti i cittadini appartenenti a popolazioni di etnia diversa, non uccide solo loro, ma soprattutto il suo stesso diritto di sovranità, sovranità sulle fosse comuni. L’integrità dei cimiteri non è un’eventualità da accettare, né si dovrebbero accettare parallelismi con i Paesi Baschi, il Québec o l’Abkhazia. Madrid, Ottawa o Tbilisi non bombarderanno o uccideranno questi popoli.

La Russia è diversa. Anche la Russia è stata accusata per i suoi atti di genocidio reiterato e non ha più diritto di sovranità sui sopravvissuti in Cecenia, ma semplicemente la legge medievale del pugno di ferro.

 
  
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  Adrian Severin (PSE).(EN) Signor Presidente, alcuni ritengono che dovremmo mettere da parte la questione del riconoscimento dello Stato, quando discutiamo del Kosovo, e preoccuparci invece di riconoscere la realtà.

La realtà è che, a seguito della sua dichiarazione di autodeterminazione, il Kosovo non è indipendente, tantomeno in grado di essere a lungo uno Stato indipendente e sostenibile. Era un protettorato e resterà un protettorato. La realtà è che l’Unione europea è divisa tra i cosiddetti realisti e i cosiddetti giuristi. La realtà è che, chiamando il Kosovo un caso sui generis, ammettiamo che il diritto internazionale è insufficiente o inadeguato e che pertanto troviamo una soluzione al di fuori della legge. Questo ci indurrà a sostituire la forza del diritto con la forza del potere, che non credo sia né l’obiettivo né il valore di base di questa Unione.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE).(PT) A seguito della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, l’evento peggiore che possa adesso accadere è l’impasse politica che ci ponga nella situazione indesiderata di stare a guardare mentre le tensioni si acuiscono. Dobbiamo pertanto definire il minimo denominatore comune nel prendere le nostre future decisioni e azioni; da questo punto di vista, quanto dichiarato dal Presidente in carica del Consiglio non mi ha lasciati del tutto soddisfatti, ma speranzosi. Occorre ricordare al Kosovo che il percorso che sta ora intraprendendo influenzerà giocoforza le sue relazioni future con l’Unione europea e che, pertanto, siano disposti ad aiutarlo nonché obbligati, anche nel nostro interesse, a porgere non solo una ma entrambe le mani alla Serbia, dichiarando inoltre che restiamo della ferma convinzione che il futuro della Serbia è in Europa.

Vent’anni dopo il crollo dell’impero sovietico, non provochiamo ciò che i comunisti dell’epoca non sono riusciti a fare: includere la Serbia nella competenza esclusiva di Mosca. Non dobbiamo commettere questo errore.

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL). (CS) Onorevoli colleghi, è finalmente giunto il momento: sì, mi rivolgo a coloro che desiderano che gli Stati Uniti riconoscano l’indipendenza del Texas, coloro che desiderano che la parte occidentale della Romania si separi da essa come semplice territorio ungherese, coloro che desiderano che siano indipendenti la Scozia, la Catalogna, i Paesi Baschi, e tutti gli altri Stati che senza dubbio nasceranno in America latina e in Africa.

È stato affermato che il Kosovo non crea un precedente. È un errore: si tratta di un territorio che ha subito la pulizia etnica di otto nazionalità con il contributo e l’accondiscendenza delle forze di occupazione; un territorio che pullula di droga, traffico di esseri umani, schiacciato da una disoccupazione al 50% e da costanti pressioni sui serbi rimasti. Adesso si sta dichiarando l’indipendenza di un secondo Stato albanese, il che costituisce un cattivo esempio. Continuerà a perseguitare tutti voi che in quest’Aula avete letteralmente massacrato il diritto internazionale. Vergognatevi: è una seconda Monaco e nessun vero democratico dovrebbe sostenerla.

 
  
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  Dimitrij Rupel, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Prima di tutto, desidero ringraziare di cuore il Parlamento e i suoi deputati che hanno sostenuto la posizione del Consiglio. Riconosco che ci sono opinioni diverse, il che è normale nei parlamenti. Tuttavia, mi sembra che nella sessione odierna l’Unione europea sia stata sostenuta.

Vorrei rispondere ad alcune domande. La prima riguarda il sistema che prevediamo per il governo, ossia per le responsabilità future, e mi riferisco naturalmente alle istituzioni in Kosovo. L’Unione europea ha inviato, ovviamente, un rappresentante speciale nel paese, il cui parlamento, nella sua dichiarazione di indipendenza, ha approvato dal principio le disposizioni del piano Ahtisaari. Il contenuto dell’intero piano verrà integrato nella costituzione del Kosovo e nel suo ordinamento.

Di conseguenza, il compito dell’inviato speciale dell’Unione europea sarà quello di controllare le autorità locali e garantire gli obblighi che il nuovo status richiede. Dopo l’istituzione dell’Ufficio civile internazionale, il rappresentante speciale dell’Unione europea diventerà l’Alto Rappresentante per gli affari civili per la comunità internazionale, che offrirà inoltre una guida politica a EULEX.

Desidero aggiungere che l’Unione europea ha fatto molto negli ultimi giorni, in primo luogo per calmare la situazione e garantire sostegno adeguato al Kosovo. Oltre alla missione riguardo cui il Consiglio ha deciso qualche giorno fa, vorrei ricordare la visita di ieri a Priština del Segretario generale e Alto rappresentante Javier Solana.

Vorrei solo citare una frase che ha pronunciato. Javier Solana ha dichiarato:

(EN) “Vorrei trasmettere quel sentimento, la gioia, che voi avete diffuso in modo così rispettoso per le strade nel corso degli ultimi giorni, che adesso deve essere trasformata in energia positiva e costruttiva al fine di far progredire la società.”

(SL) Questo significa, secondo me, che tutti noi desideriamo che i nostri amici in Kosovo siano pronti a trasformare l’energia che hanno dimostrato negli ultimi giorni in azione razionale che garantirà un rispettabile futuro europeo non solo per il Kosovo, ma certamente anche per la Serbia.

Ritengo sia stato detto molto nel corso degli interventi e dei contributi dei deputati sul fatto che la Serbia meriti di proseguire nel suo cammino verso l’integrazione con l’Unione europea, e avendo ascoltato gli interventi di diversi rappresentati di questo Parlamento, non sarei riuscito a immaginare che in quest’Aula si sarebbe parlato anche del futuro della Serbia, e auspico anche del popolo albanese. Ho fiducia che ascolteremo le lingue dei paesi che così ardentemente desiderano far parte di questo Parlamento e dell’Unione europea.

Tuttavia, considerate le osservazioni espresse da alcuni dei nostri amici spagnoli, non direi che l’armonizzazione del testo delle decisioni non sia stata complessa per il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”; ma alla fine siamo riusciti ad accordarci con i nostri colleghi spagnoli e ciprioti su un testo che rispecchia l’unanimità, il processo decisionale comune e il pensiero collettivo.

Infine, vorrei dire, signor Presidente, che naturalmente devo convenire riguardo alla dichiarazione del mio collega sloveno, l’onorevole Kacin, quando ha parlato della necessità dei serbi in Kosovo di accettare il Kosovo anche quale propria patria e prendere parte al suo governo. Di certo, il Kosovo è anche il loro paese e ogni rinvio da parte dei serbi kosovari nella cooperazione nel governo del paese può essere dannoso.

Posso dire che questa discussione mi ha incoraggiato e desidero ringraziarvi, signor Presidente, onorevoli deputati del Parlamento europeo, per tutti questi commenti costruttivi.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare l’Assemblea per una discussione altamente responsabile. È stato ampiamente riconosciuto oggi che l’Unione europea non ha lasciato nulla di intentato nella ricerca di una soluzione negoziata, ma purtroppo è stato inutile. Di conseguenza, adesso siamo costretti a condurre il processo alla sua conclusione.

Molti di voi hanno anche sottolineato l’importanza di non isolare la Serbia, e in particolar modo di raggiungere le generazioni più giovani del paese. Concordo pienamente, e sono lieto di informarvi che già disponiamo di un accordo per facilitare i visti concluso con i paesi dei Balcani occidentali, tra cui la Serbia. Ciò significa procedure più semplici nell’assegnazione dei visti ed esenzione per alcuni gruppi quali gli studenti e gli imprenditori. Sono inoltre lieto di informarvi che abbiamo già avviato un dialogo specifico sull’esenzione dai visti per motivi di viaggio, che è molto importante per i cittadini comuni serbi e per altre popolazioni della regione.

Ciò risale a gennaio per quanto riguarda la Serbia, e infatti il mio collega Vicepresidente della Commissione Frattini oggi si trova a Skopje, e domani sarà a Podgorica, al fine di avviare i dialoghi con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e con il Montenegro.

Ma affinché questo accada, occorrono determinazione e unità tra le istituzioni, compreso il Consiglio, dal punto di vista dei ministri degli Interni che hanno forti competenze in questo ambito. Conto sul vostro appoggio al riguardo, affinché possiamo compiere veri progressi, uniti su questo problema.

(FR) Per quanto riguarda l’unità europea, il fatto che l’Unione europea sia stata in grado di mantenere la propria unità su un argomento così complesso e controverso, assume un significato realmente importante. Direi persino che la politica estera comune ha superato con responsabilità una delle sue prove più difficili dalla sua creazione. Desidero congratularmi con la Presidenza slovena per questo risultato, che riflette il vostro profondo impegno sul futuro europeo dei Balcani occidentali.

Rilevo inoltre, con molta soddisfazione, il desiderio della futura Presidenza francese di sostenere completamente la prospettiva europea dei Balcani occidentali. Pertanto, il 2008 sarà un anno particolarmente importante nel viaggio dei Balcani occidentali verso l’Europa.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Kinga Gál (PPE-DE), per iscritto.(HU) Nell’Europa centrale, orientale e sudorientale, chi tra noi è nato in questa regione meno fortunata del continente ha imparato dall’esperienza che le parole pronunciate e le promesse scritte hanno scarso credito. L’importante è il modo in cui queste vengono rispettate nella realtà. In Kosovo, il piano Ahtisaari è riuscito a diventare un’idea che può essere realizzata oltre le promesse, portando la quiete nella regione.

Alcuni affermano che non può costituire un precedente; ma perché no, verrebbe da chiedersi, se ha creato un sistema funzionante per la protezione delle minoranze? Se è adeguato alla realtà, dovrebbe allora di certo costituire un precedente. Chi tra noi è cresciuto quale parte di una minoranza e non è stato artefice del proprio destino, può solo accogliere positivamente qualsiasi innovazione che prometta una soluzione a lungo termine per le comunità etniche che vivono l’una accanto all’altra. Se il piano Ahtisaari è approvato e attuato, la storia del Kosovo che comincia adesso può appunto essere una soluzione a lungo termine.

Siamo preoccupati per le minoranze che vivono in altre aree della Serbia e seguono con apprensione questi avvenimenti. Ci sarà una soluzione che rassicuri tali minoranze, o per l’etnia ungherese in Vojvodina?

Chiedo al Consiglio e alla Commissione di garantire che l’inquietudine generale non conduca ad azioni irreversibili, al fine di ristabilire le misure in Vojvodina. Non consentiamo che le tensioni etniche vengano sfogate sulle minoranze che vivono ancora nel paese. Non si deve consentire che gli eventi in corso si traducano in più casi di privazione dei diritti delle persone, ma in un rafforzamento di tali diritti. Garantiamo che i precedenti positivi vengano realizzati finalmente nei Balcani, dando finalmente alle comunità etniche che vivono nella regione la speranza e le prospettive per il futuro.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La dichiarazione unilaterale di indipendenza della provincia serba del Kosovo non è inevitabile.

È sicuramente uno sviluppo di estrema gravità nonché un precedente pericoloso nel diritto internazionale, con conseguenze imprevedibili per la stabilità dei confini, in particolare nel continente europeo.

È sicuramente un’evidente violazione della Carta delle Nazioni Unite e dell’Atto finale di Helsinki.

È sicuramente una decisione illegale alla luce dei principi fondamentali del diritto internazionale.

È sicuramente una creazione artificiosa di uno “pseudo-Stato” sotto una “sovranità controllata” – e qualsiasi cosa possa essere, avrà di sicuro meno sovranità –, o anche un protettorato creato e imposto dall’aggressione e dall’occupazione militare di USA, NATO e UE.

È sicuramente un tentativo di perpetuare, attraverso una politica del fatto compiuto, un dominio politico, economico e militare di questa regione molto importante d’Europa da parte degli Stati Uniti e delle grandi potenze dell’Unione europea.

Questa condizione di illegalità non deve essere riconosciuta, a livello formale o pratico, in particolare inviando e prendendo parte alla “missione comunitaria in Kosovo”. Tale missione non ha in effetti un mandato dell’ONU; è una missione dell’Unione europea che, oltre ad essere illegale di per sé, stringe un accordo con un entità illegale, rendendo pertanto l’intero processo doppiamente illegale.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE) , per iscritto. – (FI) Signor Presidente, il consigliere di Stato finlandese, Harri Holkeri, che ha agito quale negoziatore nella crisi del Kosovo qualche tempo fa, ha ritenuto che la richiesta di indipendenza del popolo albanese non avrebbe potuto essere ignorata per sempre, poiché sarebbe stato un ritorno non al punto di partenza, ma a molto più indietro.

Come molti colleghi hanno affermato, l’indipendenza del Kosovo era inevitabile. Analogamente, è stato precisato che il Kosovo è un caso sui generis, e che pertanto l’indipendenza non costituisce una minaccia ai principi internazionali della legge per la risoluzione del conflitto. L’Europa ha quindi un nuovo paese basato su criteri sostenibili.

È sicuramente spiacevole che non sia stata raggiunta alcuna riconciliazione tra le parti, neanche i minimi livelli di tolleranza. La comunità internazionale può essere duramente accusata di non aver tentato, in quanto i negoziati sono stati condotti dall’ottimo mediatore Martti Ahtisaari. Adesso dobbiamo rimanere irremovibili e il piano Ahtisaari deve continuare a essere il faro che guida il cammino della costruzione del nuovo paese. I suoi requisiti offrono un’opportunità per il modello occidentale dello Stato di diritto e la stabilità interna ed esterna nella regione.

La sicurezza del Kosovo e dei Balcani occidentali è soprattutto una questione europea. Pertanto, mentre è di nuovo palese che il Consiglio di sicurezza dell’ONU non è in grado di assumersi la responsabilità della situazione, l’Unione europea deve prepararsi a compiere uno sforzo. L’integrazione dei Balcani occidentali con il quadro generale europeo di stabilità è probabilmente la nostra più grande sfida dalla nascita dell’Unione. Le tensioni a livello regionale adesso rischiano di aumentare, la nazione è frustrata dalla disoccupazione, e la corruzione e la criminalità hanno preso piede.

La dichiarazione di indipendenza in Kosovo è stata attesa con impazienza, e ha condotto a una vera gioia tra la popolazione con la quale, come europea, posso relazionarmi facilmente. Ora l’euforia dovrebbe essere smorzata al fine di costruire la cosa più importante: la pace e la stabilità durature. Altrove in Europa ci sono riusciti 50 anni fa, perché non finalmente nei Balcani?

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. (NL) Il mio gruppo e la delegazione nazionale del mio partito al Parlamento europeo hanno deciso di recente di non approvare l’attuale percorso verso l’indipendenza del Kosovo. Posso comprenderlo, in quanto l’Unione europea agisce al momento come una superpotenza, imponendo unilateralmente la sua volontà alla Serbia, che è già stata umiliata in molte occasioni, e tratta il Kosovo come un suo protettorato.

Questo non significa che torni indietro su quanto ho dichiarato in passato sull’argomento. Secondo la costituzione jugoslava del 1974, che ha conferito al Kosovo quasi la stessa autonomia delle sei repubbliche federali dell’epoca, sarebbe stata possibile la coesistenza pacifica di serbi e albanesi in un singolo Stato federale. L’eliminazione unilaterale di tale autonomia nel 1980 ha fatto dello Stato serbo un’entità inutile e persino dannosa agli occhi di molti abitanti del Kosovo. Quest’ultimo si comporta da Stato indipendente sin dal settembre del 1991, con il suo presidente, il parlamento e il sistema di istruzione.

Se, da allora, il mondo esterno avesse agito in modo opportuno e avesse riconosciuto quello Stato, oltre agli altri paesi della Jugoslavia, non sarebbe sorto alcun violento UÇK, gli abitanti del Kosovo non sarebbero stati condannati a ricorrere alla criminalità quale fonte di reddito, e non vi sarebbe stato motivo di una guerra nel 1999.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Otto anni dopo la guerra della NATO in Jugoslavia, la questione del Kosovo non solo resta irrisolta, ma è diventata anche meno trattabile. Il criterio degli “standard prima dello status” (per esempio la democrazia, il ritorno dei profughi, le condizioni di coesistenza multiculturale, e così via, prima che venga definitivamente deciso il governo), stabilito dalla risoluzione 1244 dell’ONU, non è stato fondamentalmente soddisfatto. Nondimeno, l’amministrazione Bush ha spinto la leadership dei kosovari albanesi verso una dichiarazione unilaterale di indipendenza, con tutto ciò che questo implica per la pace e la stabilità nei Balcani, nonché per altre questioni internazionali. Approvando una nuova missione nella regione, l’Unione europea sostiene tale politica e contribuisce alla violazione della risoluzione 1244 del 1999 dell’ONU. La dichiarazione unilaterale dell’indipendenza del Kosovo provocherà una reazione a catena di destabilizzazione nei Balcani occidentali nonché un precedente negativo per molte questioni internazionali. Occorre basare una soluzione sul diritto internazionale, che non favorisca né la politica del divide et impera, né i nazionalisti locali e le idee espansionistiche, tanto meno che modifichi i confini. Riteniamo che sia ancora possibile trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti nel quadro dell’ONU, sulla base del diritto internazionale. Siamo pertanto favorevoli alla continuazione dei negoziati.

 
  
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  Toomas Savi (ALDE), per iscritto. – (EN) È spiacevole che l’Unione europea sia divisa sulla questione del Kosovo. L’Unione europea ha assunto un impegno da tempo inteso a garantire la stabilità nei Balcani occidentali e, quale organizzazione sopranazionale più influente del continente, dobbiamo inviare un messaggio chiaro e parlare con una voce sola.

La pace e la sicurezza in Kosovo devono essere una priorità per l’Unione, poiché confina con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, un paese candidato all’adesione all’UE, e dovremmo svolgere un ruolo di guida quali mediatori tra Serbia e Kosovo. Non sarà un compito semplice, dal momento che non vi è accordo nell’Unione, riconoscere o meno l’indipendenza del Kosovo in corpore.

L’attuale comportamento indeciso dell’Unione crea solo maggiore confusione nel paese. Gli Stati membri devono trovare un modo, attraverso le loro differenze, per iniziare a mantenere il nostro impegno nei confronti della regione.

 
  
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  Csaba Sógor (PPE-DE), per iscritto. – (HU) Mi trovavo a Priština domenica. È per noi insolito essere presenti quando un paese dichiara la propria indipendenza. Desideravo che la mia presenza fosse un messaggio: nonostante questa decisione sia dolorosa per molti, è stata comunicata in circostanze in cui non eravamo impauriti.

L’indipendenza è stata annunciata nell’albergo in cui, anni fa, i clienti venivano accolti dal seguente cartello sulla porta: “Vietato l’ingresso ai cani e agli albanesi”.

Il processo che ha condotto all’indipendenza del Kosovo non è stato incoraggiato dall’Unione europea. Lo ha cominciato la Serbia non garantendo i diritti umani fondamentali, i diritti dei singoli e della comunità ai propri cittadini che vivono in quel territorio.

L’alleanza democratica degli ungheresi in Romania (RMDSZ) ritiene che la Romania dovrebbe riconoscere quanto prima l’indipendenza del Kosovo. Coloro che sono restii a riconoscere la situazione forse hanno questioni in sospeso con le minoranze nel proprio paese.

Dalla sua istituzione, la RMDSZ ha voluto e intende ancora lottare per i diritti degli ungheresi in Transilvania impiegando unicamente mezzi politici e parlamentari, e rifiutando i mezzi violenti.

Adesso può diventare chiaro a tutti che la questione dei diritti individuali e collettivi delle minoranze azionali tradizionali non può essere solo una questione interna di un dato paese. È il momento di elaborare un accordo standardizzato nell’Unione europea che si applichi obbligatoriamente a tutti e rassicuri le minoranze.

Il principale dovere dell’Unione europea è offrire aiuto per la stabilizzazione della regione nei settori dell’economia e dello sviluppo sociale, non solo al Kosovo e alla Serbia, ma all’intera regione dei Balcani occidentali.

 
  
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  Alexander Stubb (PPE-DE), per iscritto.(FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero porgere un caloroso benvenuto al Kosovo come uno dei paesi d’Europa. La dichiarazione di indipendenza è stata un atto coraggioso da parte del Kosovo, e adesso il paese e la sua popolazione devono dimostrare lo stesso coraggio e la medesima sicurezza al momento di iniziare a costruire la loro società multiculturale.

Per molto tempo è stato ovvio che la lotta per l’indipendenza del Kosovo era una strada obbligata e che era solo questione di tempo. Il termine ultimo per tale indipendenza sarebbe stata l’adesione della Serbia all’Unione europea. Fortunatamente, non hanno dovuto attendere così a lungo. Il Kosovo è stato amministrato per 10 anni dall’ONU e la situazione è completamente diversa da quella di altre regioni separatiste.

I prossimi anni richiederanno lungimiranza e saggezza ai leader del Kosovo, qualità che ritengo dimostreranno di avere. La guerra, l’odio etnico, e un’amministrazione gestita dalla comunità internazionale sono esperienze da cui dover apprendere alcune lezioni. Adesso l’importante è concentrarsi sulla costruzione di una società civile stabile. L’indipendenza cancella anche l’incertezza che ha caratterizzato gli investimenti nazionali ed esteri.

Il piano Ahtisaari dispone un quadro eccellente per le fasi iniziali dell’indipendenza del paese. Il successo sarà possibile solo se i leader e la popolazione concepiscono la costruzione del loro paese come un progetto proprio, e non come una serie di norme e disposizioni imposte dall’esterno. La comunità internazionale deve inoltre essere in grado di mantenere un distacco e consentire alle popolazioni kosovara e serba del paese di realizzare un loro modello di convivenza. Esistono tanti esempi di paesi multiculturali quanti sono gli Stati europei e il Kosovo non fa eccezione.

Ancora una volta porgo le mie congratulazioni ai kosovari e do loro il benvenuto quale nuovo Stato indipendente.

 
  
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  László Tőkés (NI), per iscritto.(HU) La dichiarazione di indipendenza del Kosovo sta provocando grandi agitazioni nella nostra regione. I partiti rumeni, che si stanno al momento preparando alle elezioni, usano l’occasione al fine di creare un isteria anti-ungherese. Si stanno schierando tutti contro gli ungheresi in Transilvania, che è di dimensioni simili al Kosovo e ha una popolazione analoga a quella della provincia albanese.

La “profonda preoccupazione” del parlamento rumeno è del tutto infondata e ingiustificata. La Romania non deve temere gli ungheresi, poiché la nostra comunità nazionale in Transilvania rispetta la costituzione rumena e l’integrità territoriale.

Al contempo, tuttavia, abbiamo ragione di aspettarci che, sulla base del principio dei “diritti territoriali”, la Romania affronti la situazione della nostra comunità nazionale in un modo europeo, e garantisca l’individuale autonomia degli ungheresi (1) e l’autonomia regionale della Transilvania e di altre regioni (2) sulla base del principio di entità indipendente che si applica nell’Unione europea.

Conformemente alla raccomandazione 1609/2003 del Consiglio d’Europa, basata sulla Relazione generale, riconosciamo che le regioni autonome favoriscono ampiamente la risoluzione dei conflitti e rafforzano la stabilità dell’Europa.

Al contempo, desideriamo richiamare la vostra attenzione sul fatto che la Romania stessa possa beneficiare della nuova situazione, poiché il modello di autonomia dei serbi del Kosovo può offrire una soluzione anche per le comunità rumene che vivono tra il confine di Serbia e Ucraina.

Considerato tutto ciò, sarebbe opportuno che la Romania non subordini la sua soluzione amichevole al pregiudizio di ordine etno-politico, ma riconosca il Kosovo indipendente quanto prima, come molti altri Stati membri dell’Unione europea.

 
  
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  Iuliu Winkler (PPE-DE), per iscritto. – (HU) Valuto positivamente la partecipazione attiva e l’assunzione di responsabilità da parte dell’Unione europea nel cercare una soluzione per il Kosovo. Ammetto la mia soddisfazione per il fatto che il parlamento kosovaro si sia assunto l’onere per il Kosovo di rispettare i principi di democrazia, parità dei cittadini e tutela delle minoranze. Auspico che si diffonda la solidarietà tra gli Stati membri dell’Unione, nell’interesse di svolgere un ruolo efficace in Kosovo. Tale solidarietà per il Kosovo deve manifestarsi negli Stati membri attraverso il riconoscimento dell’indipendenza del paese al più presto possibile.

L’Unione europea deve sostenere il Kosovo nei suoi sforzi di diventare uno Stato europeo democratico. Accolgo con favore il fatto che l’Unione continuerà a garantire la sua presenza incisiva, poiché in tal modo può contribuire direttamente alla stabilità della regione dei Balcani occidentali.

Sono certo che alla minoranza serba in Kosovo verranno pienamente garantiti i diritti individuali e collettivi necessari affinché possa vivere nella propria terra di origine.

L’assunzione di responsabilità dell’Unione europea in Kosovo è esemplare. Sappiamo che la situazione di ogni minoranza europea è unica, pertanto non esistono soluzioni generali, ma l’Unione deve contribuire a garantire i diritti individuali e collettivi delle comunità minoritarie, impiegando la sua influenza al fine di rafforzare l’efficacia del dialogo democratico e dell’accordo politico tra la maggioranza e la minoranza.

È fondamentale per le comunità minoritarie che vivono negli Stati membri che venga introdotta la disciplina giuridica della tutela delle minoranze nell’Unione europea.

 

10. Settimo Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul Settimo Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Sono lieto dell’opportunità offertami di intervenire in merito al Consiglio dei diritti umani.

Inserendo all’ordine del giorno della plenaria questo argomento, il Parlamento europeo ha confermato l’importanza che l’Europa nel complesso conferisce al Consiglio dei diritti umani. È un organo centrale e globale per la tutela di tali diritti e l’Unione europea è ferma sostenitrice di un efficace Consiglio dei diritti umani. Abbiamo lavorato molto duramente al fine di garantire che, nella sua versione definitiva, offrisse una base solida per una risposta rapida ed efficace alle più gravi violazioni dei diritti umani.

Come sappiamo, a dicembre dello scorso anno è stato adottato il pacchetto istituzionale finale per il Consiglio dei diritti umani e adesso è il momento che quest’ultimo sia pienamente operativo. La sua sesta sessione, tenutasi a settembre e dicembre dello scorso anno, ha prodotto molti risultati importanti, che non elencherò in questa sede. La nostra ambizione è proseguire il lavoro nella settima e nell’ottava sessione.

La settima sessione si svolgerà il mese prossimo e sarà ricca di impegni e, assieme all’ottava sessione, che si terrà nelle prime due settimane di giugno, è intesa alla discussione dell’estensione dei mandati dei 25 relatori speciali, delle loro relazioni regolari e delle varie situazioni di violazione dei diritti umani in alcuni paesi riguardo a determinati ambiti.

Dal punto di vista dell’Unione europea, l’estensione dei mandati dei relatori speciali per la Birmania/Myanmar, la Repubblica democratica del Congo, la Repubblica democratica popolare di Corea e la Somalia è di cruciale importanza per la settima sessione del Consiglio dei diritti umani.

Inoltre, l’Unione europea sfrutterà ogni opportunità offerta dal Consiglio al fine di richiamare l’attenzione sulla preoccupante situazione dei diritti umani altrove nel mondo. A tale scopo, parteciperà ai dialoghi interattivi con i singoli relatori speciali e con l’Alto Commissario per i diritti umani.

I dialoghi interattivi sono un nuovo strumento importante del Consiglio, e l’Unione europea proseguirà nel tentativo di consolidarlo quale uno dei mezzi chiave offerti dalle sessioni regolari del Consiglio per affrontare le singole questioni.

Onorevoli deputati, come sapete, tra le priorità da affrontare durante il suo mandato, la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, la Slovenia ha inserito il dialogo interculturale. Pertanto, siamo lieti che su questo punto verrà riservata la dovuta attenzione in sede di settima sessione del Consiglio dei diritti umani.

L’invito rivolto all’Alto Rappresentante dell’Alleanza delle civiltà, Jorge Sampaio, a partecipare alla sessione indica una maggiore consapevolezza che le attività dell’Alleanza delle civiltà contribuiscono a rafforzare la tolleranza religiosa, che è anche una delle priorità dell’Unione europea nel settore dei diritti umani.

Consentitemi di soffermarmi su un altro elemento molto importante nel quadro del Consiglio per i diritti umani, nello specifico l’introduzione di una revisione periodica universale, cui l’Unione europea conferisce grande rilevanza. Tale strumento offrirebbe un modo di controllare la situazione dei diritti umani in tutti gli Stati membri alle medesime condizioni. I membri dell’Unione europea che saranno oggetto di questo meccanismo già entro la primavera (aprile-maggio) si stanno attualmente preparando a fondo per procedere a tale riesame. Ci impegneremo per la massima trasparenza ed efficienza in questo processo. Il metodo con cui questa revisione periodica verrà condotta avrà un effetto significativo sulla credibilità del Consiglio per i diritti umani nel suo complesso.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, accolgo con favore l’opportunità di rivolgermi al Parlamento sul tema della settima sessione del Consiglio per i diritti umani (CDU). Vorrei iniziare inserendo quest’ultimo in quello che ritengo essere il contesto appropriato.

L’ho già affermato in precedenza, ma è importante ricordarlo: il CDU è un lavoro in divenire. Questo si comprende se si pensa agli anni passati e alla metà delle sue attività. Nonostante un inizio difficile, con profonde spaccature riguardo alla crisi del Libano e un contesto di negoziato che continua a essere complesso per l’Unione europea, sono stati raggiunti importanti risultati. Mi riferisco in particolar modo all’innovazione degli impegni sul fronte dei diritti umani assunti dai candidati alle elezioni; la capacità di indire sessioni speciali su situazioni urgenti relative ai diritti umani, ben diversa dal rituale annuale del suo predecessore, la Commissione per i diritti umani; lo sviluppo di “dialoghi interattivi” con procedure speciali dell’ONU, un verso strumento pubblico per concentrare l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani; infine, l’adozione dell’importantissimo pacchetto di costruzione delle istituzioni per accordo.

La settimana scorsa, il presidente del Consiglio per i diritti umani, Doru Costea, è stato a Bruxelles per informare il Consiglio e il Parlamento sui preparativi per la settima sessione. Ha descritto il CDU “migliore di quanto si aspettasse e peggiore di quanto sperasse”. Potrebbe sembrare cinico, rispecchiando probabilmente la realtà del lavoro quotidiano dell’ONU, ma ritengo che rifletta con precisione la situazione. Ci sono aspetti positivi e altri negativi nel CDU, ma sta compiendo progressi ed è quindi sulla buona strada.

Tra le priorità per la settima sessione figurano l’affrontare le situazioni relative ai diritti umani urgenti in modo efficace (in aumento e i cui criteri dovrebbero essere giudicati dal Consiglio) e il proseguire con l’attuazione delle riforme di costruzione delle istituzioni. Per quanto riguarda la situazione dei diritti umani, prevale un’efficace prosecuzione della sessione speciale dedicata alla Birmania/Myanmar. Tra le altre priorità, in questa sessione devono essere affrontate anche le violazioni dei diritti umani nello Sri Lanka e in Kenya. L’attuazione delle riforme istituzionali è senza dubbio altrettanto importante, considerato il loro impatto sul futuro successo del Consiglio. Su questo punto, sono tematiche cruciali per la settima sessione i criteri per l’elezione dei membri del comitato consultivo e la nomina trasparente dei candidati adeguatamente qualificati per i mandati di procedura speciale da rinnovare.

Infine, consentitemi un paio di osservazioni sul riesame periodico universale, o noto come UPR. Questa settimana il Presidente ha riferito che gli Stati che sono oggetto di riesame nelle sessioni di aprile e maggio si stanno seriamente assumendo le loro responsabilità. Lo spero. Le prime sessioni dell’UPR fisseranno i criteri per le altre. Pertanto, è fondamentale che gli Stati membri dell’Unione europea riesaminati facciano da esempio con critiche sincere rispetto a quanto da loro registrato nel settore dei diritti umani. Non si dovrebbe trattare di un concorso di bellezza.

Inoltre, rilevo un ruolo importante per l’Unione europea nelle “sessioni dei risultati” dell’UPR. Quest’ultima, più di qualsiasi altro strumento, è intesa alla cooperazione della comunità internazionale con gli Stati sottoposti a riesame al fine di raggiungere un concreto miglioramento dei diritti umani dopo un’autentica autocritica delle mancanze e delle necessità. La Commissione europea e gli Stati membri non devono essere lenti nell’offrire assistenza tecnica dove necessaria in queste sessioni relative ai risultati. Affinché questo accada, dobbiamo mostrare il nostro reale impegno nella promozione dei diritti umani in un’importante seduta pubblica.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, il Parlamento invierà una delegazione alla settima sessione del Consiglio dei diritti umani, che avrà il compito di comunicare le preoccupazioni del Parlamento sul lavoro del Consiglio dei diritti umani e, nel corso della sua visita, riferirà anche alla sottocommissione per i diritti dell’uomo.

Riteniamo che la settima sessione del Consiglio per i diritti umani sia fondamentale, in quanto sarà la prima ad analizzare una lunga serie di questioni significative sulla base dei nuovi metodi di lavoro scaturiti dal pacchetto sulle riforme della costruzione delle istituzioni, adottato nel 2006 e nel 2007.

La credibilità del CDU è subordinata all’attuazione di queste riforme e meccanismi e il nostro obiettivo è quello di rafforzare la capacità del CDU stesso di affrontare le violazioni dei diritti umani nel mondo, in particolar modo nei casi più urgenti.

Ci congratuliamo per i risultati positivi del CDU, nello specifico gli sviluppi nell’attuazione del riesame periodico universale, nonché la revisione delle procedure speciali e i successi positivi della Presidenza del Consiglio per i diritti umani.

Accogliamo positivamente la partecipazione della società civile e dei difensori dei diritti umani, al pari delle procedure speciali, che sono il motore della macchina dell’ONU per i diritti umani, e svolgono un ruolo cruciale, particolarmente in seno al Consiglio per i diritti umani.

Al contempo, condanniamo alcune decisioni del CDU, come quella di non rinnovare i mandati dei relatori speciali su Bielorussia e Cuba.

Considerando le lezioni del passato, sottolineiamo l’importanza di condurre in tutte le regioni elezioni competitive, al fine di offrire una reale scelta tra i membri dell’ONU poiché, con nostro rammarico, sinora sono stati eletti alcuni paesi con una situazione problematica per quanto riguarda i diritti umani.

Di nuovo, chiedo al Consiglio, alla Commissione e agli Stati membri di continuare a sollecitare l’istituzione di criteri di appartenenza per essere eletti al CDU per i diritti umani delle Nazioni Unite, tra cui l’emissione di inviti permanenti alle procedure speciali.

Per quanto riguarda il coinvolgimento dell’Unione europea, riconosciamo il suo ruolo attivo, nonché degli Stati membri, nel primo anno di lavoro del CDU. È molto importante che l’Unione europea parli con una voce sola quando si occupa di questioni relative ai diritti umani, e chiediamo alla Commissione e al Consiglio di adottare una posizione comune intesa a garantire che gli Stati membri dell’UE firmino e ratifichino automaticamente tutti gli strumenti riguardanti i diritti umani a livello internazionale.

Infine, ma non meno importante, l’Unione europea dovrebbe impiegare con più efficacia l’aiuto e il sostegno politico nei confronti dei paesi in questione al fine di offrire loro incentivi alla cooperazione con il Consiglio per i diritti umani.

 
  
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  Józef Pinior, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è uno degli argomenti in questo settore più interessanti per il Parlamento europeo. Controlliamo da vicino le attività del CDU, e il Parlamento europeo invia le sue missioni a Ginevra due volte all’anno.

Desidero formulare tre osservazioni. In primo luogo, vorrei congratularmi per i risultati positivi della Presidenza del Consiglio e, al contempo, sottolineare l’importanza del sostegno da parte dell’Unione europea nonché, analogamente, dei candidati con alti livelli di integrità per le elezioni del nuovo Presidente del Consiglio, che si svolgeranno il 23 giugno 2008.

In secondo luogo, desidero sottolineare che le procedure speciali sono il fulcro del meccanismo dei diritti umani delle Nazioni Unite, svolgendo un ruolo cruciale, in particolare nell’ambito del Consiglio per i diritti umani, della società civile e degli Stati democratici. Nello specifico, gli Stati dell’Unione europea devono controllare e esercitare pressione sui membri del Consiglio affinché assumano le loro responsabilità e promuovano i diritti umani.

Il Parlamento europeo deve condannare le decisioni del Consiglio di non rinnovare il mandato dei relatori speciali su Bielorussia e Cuba. Dovremmo accogliere positivamente il rinnovo dei mandati dei relatori speciali sul Sudan e degli esperti indipendenti su Liberia, Haiti e Burundi.

In terzo luogo, molte delle critiche legittime nei confronti del Consiglio si focalizzano sul suo trattamento deludente di situazioni di specifici paesi. In particolare, la solidarietà unilaterale internazionale della causa palestinese e gli sforzi tormentati degli Stati islamici che hanno portato il Consiglio a occuparsi del conflitto in Medio Oriente; ma solo un paese è stato ripetutamente criticato, Israele, ignorando le violazioni da parte degli Hezbollah e di alcune fazioni palestinesi. La sfida consiste nel creare la volontà politica tra i membri del Consiglio affinché si occupino con efficacia e in modo appropriato di tale situazione.

 
  
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  Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, alla vigilia del Settimo Consiglio per i diritti umani, il Parlamento desidera inviare un messaggio di sostegno, controllo e mobilitazione.

Il CDU è l’unico organo internazionale che attualmente lotta contro le violazioni dei diritti umani, e risponde in particolar modo alle emergenze, alle crisi dei diritti umani, ma lavora anche a lungo termine con i relatori speciali e in un dialogo interattivo con le ONG. Il CDU è unico e si trova a un complesso punto di svolta nella sua storia. Un anno non sarà sufficiente per raggiungere la sua efficacia. Dall’altro lato, può essere sufficiente per il suo discredito, e ci sono stati molti tentativi di indebolirlo e deviarlo, come sappiamo.

Desidero in primo luogo citare la situazione di Sigma Huda, relatrice speciale sul traffico di esseri umani, in carcere in condizioni deplorevoli in Bangladesh. Inoltre, riguardo proprio a questi relatori speciali, le proposte del comitato consultivo verranno decise infine dal Presidente come ultima possibilità. Ciò vi rende l’idea dell’importanza del suo ruolo, e vorrei rendere omaggio all’eccellente lavoro svolto dal Presidente Costea, e al contempo sottolineare che verrà sostituito a giugno.

Questo è il motivo per cui l’Unione europea deve rimanere attenta e attiva; la sua azione è decisiva. Lo abbiamo visto a Gaza. L’astensione dell’Unione europea attenua il messaggio in modo sostanziale e indebolisce lo stesso Consiglio.

Tuttavia, quando l’UE prende l’iniziativa di una sessione speciale e ne sostiene tutto il peso, il Consiglio cresce e ottiene risultati. Affinché questo accada, i nostri Stati membri devono rafforzare le loro alleanze transregionali al fine di convincere altri paesi a evitare qualsiasi reazione di blocco che riporterebbe indietro il Consiglio nel pieno delle contingenze politiche.

Pertanto, chiediamo ai nostri governi di accrescere il loro sforzi e creare un esempio, attraverso la nomina di un esperto indipendente quando partecipano alla valutazione di un altro governo quale parte dell’UPR, essendo aperti alle critiche e all’autocritica, e fungendo da esempio per l’elezione dei nuovi membri. Un invito permanente alle procedure speciali dovrebbe essere un criterio di primaria importanza per gli Stati membri dell’Unione europea.

 
  
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  Richard Howitt (PSE).(EN) Signor Presidente, le raccomando questa risoluzione. Mi congratulo per il lavoro della delegazione del Parlamento a Ginevra dove, oltre ad aver tenuto conto dei nostri stessi rappresentanti dell’UE, collaboriamo con loro per impegnarci nel dialogo con i paesi di altre regioni del mondo, dimostrando la forza e la solidarietà dell’Europa nel sostenere i diritti umani e il diritto umanitario internazionale.

Sono grato per l’inserimento nel testo dei miei emendamenti a sostegno della richiesta di organizzare discussioni speciali sulla violenza contro le donne e della firma e ratifica di tutti i paesi di tutti gli strumenti internazionali in materia di diritti umani. Chiedo il sostegno dell’Europa, in particolare, per il rinnovo del mandato del rappresentante speciale per le imprese e i diritti umani. Tuttavia, essendo appena tornato da Gaza, desidero raccomandarvi nello specifico il paragrafo 34. Il territorio è in stato di assedio, e alla popolazione di Gaza vengono imposte condizioni medievali. Oggi la identificheremo quale palese violazione dei diritti umani. Se persino Tony Blair non riesce a ottenere che Israele autorizzi l’importazione dell’attrezzatura per a fermare i 40 000 litri di deiezioni umane non trattate che avvelenano i rifornimenti di acqua, è giunto il momento per l’Europa di agire. Le truppe europee con un nuovo mandato potrebbero contribuire alla supervisione della riapertura delle frontiere e, chiedendo adesso il vostro sostegno, i paesi europei possono raggiungere un accordo multilaterale in sede di Consiglio per i diritti umani dell’ONU per cercare di applicare il diritto umanitario internazionale. Noi, in quanto Europa, possiamo prendere l’iniziativa, come suggerito solo la scorsa settimana a Bruxelles dalla Presidenza slovena alla nostra sottocommissione per i diritti umani. Possiamo proporre un testo equilibrato che riconosca che sia gli attacchi missilistici dei terroristi che la punizione collettiva del blocco violano la quarta Convenzione di Ginevra. Così facendo, possiamo ottenere il consenso a Ginevra in grado di modificare davvero la crisi umanitaria di cui è vittima la popolazione di Gaza.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signor Presidente, una valutazione critica dei vecchi meccanismi e metodi di lavoro nonché l’istituzione di nuove pratiche hanno infuso molta speranza nella capacità del Consiglio per i diritti umani di agire quale organo efficace che si concentra sul modo in cui le violazioni dei diritti umani vengono affrontate e consente alle situazioni politiche di rientrare palesemente nella competenza degli organismi dell’ONU.

La credibilità del Consiglio per i diritti umani dipende anche dai nuovi detentori del mandato delle procedure speciali che verranno nominati a marzo. È di enorme importanza che l’esperienza, l’imparzialità, l’indipendenza e l’obiettività siano i fattori determinanti.

Al pari di molti altri in quest’Aula, anch’io, nella situazione attuale, vorrei che venisse riconsiderata la decisione del Consiglio per i diritti umani di non estendere i mandati dei relatori speciali su Bielorussia e Cuba. Gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero inoltre provare a garantire che venga esteso il mandato dell’esperto indipendente nella Repubblica democratica del Congo.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Desidero ringraziare i deputati che hanno partecipato a questa discussione ed espresso le loro opinioni, che senza dubbio saranno utili al Presidente del Consiglio nella preparazione della settima sessione del Consiglio per i diritti umani.

Desidero in particolare sottolineare che concordo fortemente riguardo alla dichiarazione dell’onorevole Andrikienė sulla necessità che l’Unione europea si presenti unita, che parli con una voce sola, in sede di Consiglio per i diritti umani.

Vorrei inoltre richiamare l’attenzione sul fatto che anche la Presidenza auspica un’ottima cooperazione con la delegazione del Parlamento europeo. L’importanza del ruolo dell’Unione europea nella promozione e nella tutela dei diritti umani è incontestabile, motivo per cui desideriamo instaurare la migliore cooperazione possibile con questa rispettabile Assemblea.

Vorrei concludere dichiarando che la settima sessione del Consiglio per i diritti umani inizierà con la riunione dei ministri, di cui si occuperà, a nome della Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, il Presidente del Consiglio per gli Affari generali e le relazioni esterne, il ministro Dimitrij Rupel. Vi parteciperanno numerosi altri alti rappresentanti, forse persino il Segretario generale delle Nazioni Unite.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, l’Unione europea è un organo molto importante che deve muoversi nella giusta direzione, verso la quale condurre il Consiglio per i diritti umani.

Il Consiglio deve ancora dimostrasi uno strumento efficace dedicato ai diritti umani nel quadro delle Nazioni Unite; questo è molto chiaro. Tuttavia, come ho detto in precedenza, è troppo presto per pronunciare un giudizio definitivo. In effetti, farlo nella fase attuale potrebbe persino ostacolare i suoi progressi futuri. Questo è il motivo per cui è importante che la comunità dei diritti umani continui a sostenere il Consiglio per i diritti umani, anche se con occhio critico. A tale proposito, sono lieta che una delegazione del Parlamento europeo parteciperà a una parte della settima sessione per valutarne direttamente il lavoro.

Al pari dell’onorevole Andrikienė, ritengo che l’Unione europea dovrà cercare di parlare con una voce sola su tale questione. Le intenzioni di voto dei membri dell’UE sul Consiglio sono molto armonizzate e più lo sono, più importante sarà la nostra voce.

Per quanto riguarda i criteri di partecipazione, sinora si è dimostrato impossibile redigerli. Tuttavia, le promesse di impegno sui diritti umani saranno passi importanti in direzione di una maggiore responsabilità per i paesi candidati e questo, come ho già affermato, è un passo fondamentale.

Riguardo alle procedure speciali, l’Unione europea sta lottando attivamente al fine di estendere i mandati esistenti e di istituire i nuovi che riteniamo necessari.

Infine, consentitemi un accenno alla Bielorussia e a Cuba. Il Consiglio può essere criticato per non aver proseguito i mandati per tali paesi, ma è stato un compromesso reso necessario per salvare molti degli altri paesi e dei mandati tematici che sono attualmente oggetto di riesame. Lo stesso vale, per esempio, per il Sudan. È spiacevole perdere il mandato del gruppo di esperti sul Darfur, ma è stato inevitabile, purtroppo, al fine di mantenere quello del rappresentante speciale per il Sudan.

Pertanto, al fine di ottenere consenso, l’Unione europea deve talvolta prepararsi a difficili compromessi ma, ribadisco, nel complesso siamo un motore e un organo molto potente in questo ambito, e dobbiamo continuare a lavorare per garantire che il Consiglio per i diritti umani si impegni e vada nella giusta direzione. Il Parlamento europeo è uno strumento molto, molto forte per aiutarci in questo percorso.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì, 21 febbraio 2008.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DIANA WALLIS
Vicepresidente

 

11. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0010/2008).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte al Consiglio.

Annuncio l’

interrogazione n. 1 dell’on. Manuel Medina Ortega (H-1042/07)

Oggetto: Immigrazione dopo il vertice UE-Africa

Può il Consiglio informare sulle misure che intende adottare per applicare gli accordi conclusi nel recente vertice di Lisbona tra l’Unione europea e i paesi africani in materia di immigrazione?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Nel corso del vertice UE-Africa tenutosi il 9 dicembre dello scorso anno a Lisbona è stato concordato di istituire un partenariato strategico che comprenda tutti gli ambiti e le questioni di interesse reciproco.

Desidero richiamar in particolare l’attenzione su tre importanti documenti adottati al vertice in questione: la dichiarazione di Lisbona, la strategia comune UE-Africa e il suo primo piano d’azione. Quest’ultimo istituisce un partenariato tra l’Africa e l’Unione europea in ulteriori ambiti quali la migrazione, la mobilità e l’occupazione.

Il partenariato tra Africa e Unione europea in tali settori dovrebbe garantire risposte globali a queste problematiche con l’obiettivo specifico di creare più posti di lavoro e migliori per gli africani nonché un controllo più adeguato della migrazione.

Al momento, gli organi competenti del Consiglio stanno valutando ulteriori misure che sarà necessario adottare sulla base delle decisioni del vertice di Lisbona nonché della strategia comune UE-Africa e del suo primo piano d’azione, compreso il partenariato in materia di migrazione.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE).(ES) Signora Presidente, la domanda è la seguente: quale tipo di misure può essere effettivamente adottato, in quanto la pressione migratoria sull’Europa continua a essere molto alta, in conseguenza dell’angosciante situazione sociale ed economica di molti paesi africani.

La domanda specifica che desideravo porre era, in effetti, se il Consiglio disponesse attualmente di un piano concreto, poiché il tempo trascorre e la situazione in Africa non migliora e, in particolare, molti paesi europei si lamentano dell’immigrazione incontrollata e dell’incapacità delle istituzioni europee di controllarla.

Che cosa stiamo facendo realmente? Che cosa possiamo aspettarci nel breve periodo?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Onorevole Medina Ortega, i problemi da lei citati non verranno risolti in un breve periodo di tempo. La situazione in Africa nei settori dello sviluppo economico, della sicurezza e del benessere della popolazione, sono di dimensioni tali che il tempo necessario alla loro risoluzione non può che essere a lungo termine.

Si possono alleggerire a lungo termine le pressioni migratorie solo se si migliorano le condizioni di vita nel continente africano. Il vertice non potrebbe fornire risposte a tutte le questioni, tantomeno soluzioni rapide. Come ho detto, il vertice si è svolto a dicembre e le discussioni sulle misure da adottare per l’applicazione degli accordi conclusi in quella sede stanno iniziando solo ora.

Posso affermare che il vertice UE-Africa ha istituito un quadro per tutte le consultazioni sulla gestione delle migrazioni condotte in molte conferenze tra Africa e Unione europea. Tale vertice integra adesso i processi di Tripoli, Rabat e tutti gli altri. Questo è il primo risultato, il consolidamento dei nostri sforzi.

Desidero citare la caratteristica essenziale della politica dell’Unione europea in materia di migrazione relativamente all’Africa. Stiamo innanzi tutto mirando a un approccio globale, che comprende la lotta alla migrazione clandestina, gli sforzi intesi a migliorare la gestione della migrazione legale, la prevenzione della tratta di esseri umani, migliori controlli alle frontiere e, soprattutto, lo sviluppo di quei paesi da cui partono i flussi migratori. Solo questa evoluzione fornirà una soluzione a lungo termine alle pressioni migratorie che l’Unione europea deve affrontare. Le altre misure che ho già elencato sono le migliori soluzioni a breve termine che non eradicheranno il problema fondamentale cui lei stesso ha fatto riferimento, il problema delle condizioni prevalenti nei paesi di origine, che è poi la principale forza trainante alla base della migrazione.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE).(DE) Accolgo con favore il modo in cui osservate il quadro generale in quest’Aula e distinguete tra strategie a medio e lungo termine. Avete fatto riferimento a un vertice che si terrà a breve. Lei, in qualità di Presidente in carica del Consiglio, è disposto a chiedere un accordo da parte degli Stati interessati in Africa sulla riammissione degli immigrati clandestini quale condizione per la cooperazione positiva, per una maggiore assistenza economica nonché assistenza di altro genere?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) La politica del Consiglio sul rimpatrio degli immigrati clandestini è ben nota. È una delle parti costitutive della politica dell’Unione europea in materia di migrazione in fase di attuazione con i nostri partner africani.

L’aiuto allo sviluppo è un altro aspetto della politica relativa alla migrazione di cui occorre tenere conto, e tale politica dovrebbe essere vista anche da questa prospettiva, in quanto affronta il problema a lungo termine di creare condizioni migliori nei paesi in cui si origina la migrazione.

Francamente, non desidero parlare della diretta applicazione delle condizioni sull’aiuto allo sviluppo relativamente a tali aspetti. Tuttavia, è un dato di fatto che sono elementi dell’intera politica in materia di migrazione, che devono ancora essere collegati tra loro e rafforzati in futuro.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE).(DE) Signor Presidente in carica del Consiglio, se esiste un settore in cui i cittadini europei desiderano che l’Unione europea si assuma la responsabilità, è quello dell’immigrazione clandestina e della politica in materia di immigrazione nel suo complesso. Benché, a mio avviso, il Parlamento e la Commissione siano molto attivi in questo ambito, non sono così sicuro per quanto riguarda il Consiglio. Lei ha affermato che tutti sanno ciò che il Consiglio sta facendo in merito. Io lo so, ovvero che fa quanto gli è possibile per evitare la creazione di competenze europee di vitale importanza, che è quello che fa da anni. Sarei interessato a sapere che cosa vi rende così ottimisti che qualcosa cambierà e quali misure concrete state formulando per apportare tale cambiamento.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) La ringrazio per la domanda. Non sono d’accordo sul fatto che il Consiglio sia passivo per quanto riguarda la migrazione. Al contrario, di recente, in particolare lo scorso anno, il Consiglio ha prestato molta attenzione alla migrazione. Vorrei inoltre ricordare che il Consiglio europeo ha in programma di discutere della migrazione nella sua sessione di dicembre di quest’anno. Ciò significa che se ne discuterà al più elevato livello politico.

Il problema della migrazione è un problema reale per l’Unione europea. Ho già fatto riferimento alle soluzioni e indicato la direzione in cui dovremmo cercarle. Più precisamente, potrei citare l’ulteriore rafforzamento di FRONTEX, che è anche uno dei settori in cui il Consiglio è impegnato.

È importante affrontare la questione della migrazione. Dobbiamo gestire in modo migliore i flussi migratori e ridurre la fuga di cervelli dall’Africa in quanto favorisce il perpetrarsi delle situazioni negative in ampie zone del continente.

Il Consiglio è impegnato nello sviluppo dei concetti di partenariato mobile e migrazione circolare e, a tale scopo, prosegue le sue missioni nei paesi africani. Vi ricordo che nel corso della nostra Presidenza ci sarà una missione in Nigeria e nella Repubblica sudafricana. Il Consiglio è proattivo e desidera contribuire.

Tuttavia, è anche vero che questo è un ambito che rientra nel terzo pilastro, uno spazio di giustizia e affari interni, in cui di frequente ci sono state lunghe procedure alla ricerca di un consenso. Se il Trattato di Lisbona viene ratificato e attuato, questa sarà un area in cui il futuro processo decisionale sarà più semplice e più rapido.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 2 dell’on. Claude Moraes (H-1046/07)

Oggetto: Finanziamenti regionali successivamente all’ampliamento

Quali soluzioni ha trovato il Consiglio per la questione della ridistribuzione dei finanziamenti regionali resa necessaria dall’ampliamento UE?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Rispondo alla domanda dell’onorevole Moraes facendo presente che l’accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione sulla disciplina di bilancio e la sana gestione finanziaria ha definito il quadro finanziario per l’Unione europea e i 27 Stati membri per il periodo tra il 2007 e il 2013. L’accordo istituzionale è stato adottato a maggio. A luglio 2007 sulla base di tale accordo è stato adottato il pacchetto normativo sulla politica di coesione. In breve, a seguito dell’allargamento di gennaio 2007, non vi è stato bisogno di una ridistribuzione delle risorse.

 
  
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  Claude Moraes (PSE). – (EN) Lei ha parlato dell’ampia valutazione dei finanziamenti strutturali, ma dovrebbe sapere che, la scorsa settimana, Eurostat ha pubblicato dati che mostravano quali erano le zone e le città più ricche dell’Unione europea. Tra queste figurava la mia circoscrizione di Londra, benché io viva in una parte di Londra che si colloca tra le aree più povere dell’Europa occidentale in termini di povertà infantile e così via.

In realtà, la mia domanda era: continuerete a tenere in considerazione il fatto che persino nelle aree più ricche, come Londra e Francoforte, vi sono ancora sacche di povertà che sono state lasciate indietro, cosa che non dovrebbe accadere, poiché stiamo giustamente aiutando le regioni povere d’Europa?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) La ringrazio per questa domanda complementare. Penso di aver adesso capito meglio la sua domanda originale sull’effetto dell’allargamento sui finanziamenti regionali, alla quale ho risposto che non vi sono stati effetti in quanto le risorse sono state stanziate in modo adeguato prima dell’allargamento.

Tuttavia, anche la domanda complementare è ragionevole. La questione è se tale fenomeno debba essere affrontato nel quadro delle politiche regionali. Si dovrebbe probabilmente consentire o obbligare le regioni ricche a impegnarsi di più per eliminare tali sacche di povertà. Forse ciò è più facile che avvenga nelle regioni ricche che non in quelle meno agiate.

In breve, dobbiamo tener presente il concetto di politica regionale e risorse regionali nel contesto dell’Unione europea, la qual cosa non modifica la realtà del problema da lei sollevato.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). (LT) Signora Presidente, signor Ministro, desidero domandare se è in possesso di informazioni o dati che dimostrino come la crescita del PIL sia stata influenzata dai finanziamenti strutturali erogati ai paesi di recente adesione e forse anche ai vecchi Stati membri. Dalla ricerca condotta nel mio paese, la Lituania, è emerso che non sono stati gli aiuti strutturali, ma lo sviluppo del mercato unico e del mercato interno che ha avuto un impatto importante sulla crescita economica. Lei è in grado di fornire questi dati? Grazie.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) No, onorevole deputato, non ho con me tali dati. Tuttavia posso dire un paio di cose.

In primo luogo, tutti gli Stati membri beneficiano del mercato comune, i vecchi e i nuovi, nonché tutti gli altri collegati ad esso. Non vi è alcun dubbio su questo e può essere verificato nella relazione della Commissione europea del 2006 dal titolo “L’allargamento, due anni dopo”, che cita e valuta gli effetti positivi del mercato comune allargato e di altri aspetti.

Per quanto riguarda i Fondi strutturali, la situazione è la seguente: l’importante non è solo il livello delle risorse destinate a uno scopo particolare a titolo dei Fondi Strutturali, ma anche la qualità dell’impiego di tali risorse. In questo modo posso affermare che, quando ben utilizzate, queste risorse contribuiscono a un reddito pro capite più elevato nel paese in questione.

 
  
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  Jim Higgins (PPE-DE). – (EN) Il Ministro ha avuto una giornata molto lunga, pertanto suggerirò solo che, per quanto concerne i Fondi strutturali e il Fondo di coesione, guardi l’esempio dell’Irlanda, dove tali fondi hanno svolto un ruolo importante nel trasformare un’economia da terzo mondo in quella che è la Tigre celtica. Ciò dimostra che questo è possibile. Tre delle quattro zampe della tigre sono state fornite grazie ai Fondi strutturali, al Fondo di coesione e ad altri finanziamenti dell’Unione europea.

Auguriamo il meglio ai nuovi Stati membri e a voi nella vostra Presidenza.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Desidero solo aggiungere un breve commento. È stato fatto l’esempio dell’Irlanda. Onorevole Higgins, probabilmente lei ha ragione. L’Irlanda è un esempio modello di come l’impiego positivo ed efficace dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione contribuisca a un più rapido sviluppo.

Quando affermo che l’Irlanda è un esempio modello, sono molto serio. In altre parole, diversi paesi, in particolare quelli che hanno aderito all’Unione europea nel 2004 e nel 2007, stanno facendo il massimo per adottare l’esperienza e il know-how irlandesi nell’impiegare tali finanziamenti, al fine di imitare il successo dell’Irlanda.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 3 dell’on. Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-1048/07)

Oggetto: Flessibilità con sicurezza nel lavoro

Quali provvedimenti intende prendere il Consiglio nell’immediato futuro per risolvere questioni pendenti in materia di relazioni di lavoro e sostenere l’idea della flessibilità con sicurezza nel lavoro?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) A dicembre 2007, sulla base di studi globali condotti dalle istituzioni europee e dalle parti sociali, il Consiglio ha adottato una decisione sugli otto principi comuni relativi alla “flessicurezza”. Tali principi sono stati inoltre confermati dal Consiglio europeo.

Il Consiglio ha precisato in tali decisioni che i principi comuni devono contribuire all’attuazione del nuovo ciclo della strategia di Lisbona. Di recente, la Commissione ha presentato una proposta sugli orientamenti integrati per il periodo 2008-2010. È quindi in programma che il Consiglio presti particolare attenzione alla flessicurezza nelle discussioni su questa proposta, che sono già iniziate.

La responsabilità per l’attuazione degli orientamenti integrati incomberà agli Stati membri, i quali, nel riferire al Consiglio e alla Commissione sull’attuazione di tali orientamenti, dovrebbero illustrare i loro regolamenti in materia di flessicurezza.

Il Consiglio ritiene che sia necessario sensibilizzare i cittadini sulle politiche in materia di flessicurezza e sull’importanza di tali politiche per la riforma dei modelli economici e sociali europei. Pertanto, nella sua decisione, il Consiglio ha chiesto alla Commissione di incoraggiare un’iniziativa pubblica al fine di consentire ai gruppi di interesse competenti nel mercato del lavoro di adottare i principi comuni in modo più semplice. Il Consiglio ha inoltre chiesto alla Commissione di mantenerlo regolarmente informato sulle misure in questione.

Per quanto riguarda le due importanti proposte legislative sulle condizioni di lavoro, mi riferisco alle direttive sull’orario di lavoro e sul lavoro a tempo parziale, la Presidenza slovena è disposta a proseguire l’attività in materia. Considerate le difficoltà nel raggiungere l’unanimità tra gli Stati membri, stiamo ancora valutando altre possibili procedure relative alla normativa. Occorre sottolineare, su questo aspetto, che l’Europa ha molte tradizioni diverse riguardo alla disciplina delle condizioni di lavoro. Gli Stati membri sono comunque riusciti ad accordarsi in tempi relativamente rapidi sui principi comuni della flessicurezza, anche se hanno fatto presente che tali principi devono essere adattati alle condizioni specifiche di ogni Stato membro.

Tutto questo indica che l’accordo sarà più difficile da raggiungere se si cerca una soluzione sotto forma di normativa vincolante applicabile a tutti i mercati del lavoro dell’Unione.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE).(EL) Signora Presidente, i cittadini di ogni Stato membro, dipendenti e datori di lavoro, sono soggetti a pressioni per quanto riguarda i rapporti di lavoro. In molti casi ciò è certamente dovuto alla globalizzazione, ma anche dal metodo aperto di coordinamento che l’Unione europea attua da anni.

Pertanto, obiettiamo alle proposte per la riforma dei sistemi assicurativi e ad altre misure basate su tale metodo aperto di coordinamento.

Il Consiglio intende proporre misure strutturali intese a migliorare i rapporti di lavoro a livello europeo al fine di eliminare la forte opposizione e le proteste che osserviamo in televisione in tutti gli Stati membri?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Certamente il Consiglio intende proseguire e sviluppare i propri sforzi al fine di migliorare le condizioni nel mercato del lavoro. Spesso si afferma che aumentare la flessicurezza nel mercato del lavoro vuol dire ridurre la sicurezza sociale, ma non è così. Il significato del concetto di flessicurezza o flessibilità sicura è esattamente questo. Il Consiglio è convinto che questa sia l’unica direzione corretta nel contesto della globalizzazione, che comprende molte questioni.

L’importante non è semplicemente potenziare la flessibilità nel mercato del lavoro, che non deve mai compromettere la sicurezza sociale; vi è tutta una serie di altre misure quali l’apprendimento lungo tutto il corso della vita, uno sviluppo migliore delle risorse umane, ed altri aspetti della flessicurezza.

In breve, il Consiglio intende proseguire le sue attività in questo settore, e questa sarà una delle importanti questioni da discutere nella sessione di marzo del Consiglio europeo quale base per lo slancio della nuova fase della strategia di Lisbona.

 
  
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  Hubert Pirker (PPE-DE).(DE) Come la parola flessicurezza suggerisce, l’ideale è una combinazione di flessibilità e sicurezza. Questa mattina, si è tenuta una discussione sull’argomento e dal Parlamento è arrivato il suggerimento di introdurre un salario minimo negli Stati membri, in conformità dei rispettivi standard minimi. Che cosa farà la Presidenza al fine di garantire che venga effettivamente introdotta una retribuzione minima negli Stati membri nel prossimo futuro?

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE). – (EN) Potrei chiederle di approfondire un po’ il punto da lei sollevato quando ha dichiarato che vorrebbe azioni di sensibilizzazione e un’iniziativa pubblica sull’intera questione della flessicurezza. Credo che i lavoratori probabilmente conoscano molto bene la parte “flessi”, ma hanno meno chiaro che cosa sia la sicurezza in questo nuovo mondo del lavoro.

E, sulla questione del salario minimo: essendo di un paese in cui questo è previsto, ritengo che la questione sia assicurarsi che ognuno percepisca una retribuzione minima.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Innanzi tutto, rispondo all’onorevole Pirker. Attualmente non vi è intesa all’interno del Consiglio, ossia il Consiglio non ha una posizione comune per quanto riguarda le retribuzioni minime, pertanto in questa fase la Presidenza non sta programmando alcuna iniziativa specifica su tale aspetto.

In secondo luogo, la risposta all’onorevole McGuinness. Ho citato la proposta del Consiglio, ossia un invito alla Commissione di incoraggiare l’iniziativa pubblica al fine di spiegare gli otto principi comuni a tutti i gruppi interessati nel mercato del lavoro e rendere per loro più semplice accettare tali principi, che sono stati adottati a dicembre dello scorso anno.

Al contempo, il Consiglio ha chiesto alla Commissione di tenerlo informato sulle misure pertinenti e di agire in un modo particolare; adesso siamo in attesa di una reazione da parte dell’Esecutivo.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 4 dell’on. Gay Mitchell (H-1050/07)

Oggetto: Missione UE in Ciad

Il Consiglio rilascerà una dichiarazione sulla missione UE in Ciad e in particolare sull’attuale situazione della sicurezza sul terreno, il Consiglio assicurerà che tutte le dotazioni necessarie per questa difficile missione sono disponibili? Come si sta coordinando il Consiglio con l’ONU riguardo alla situazione a lungo termine nella regione?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Il processo di strutturazione delle forze per la missione Europea in Ciad, che non è stato semplice, è stato completato l’11 gennaio di quest’anno in modo tale da consentire al comandante di iniziare l’operazione. Il 28 gennaio, il Consiglio ha confermato il piano operativo, il cosiddetto “o-plan”, e ha adottato una decisione sul suo avvio.

Come sappiamo, il generale irlandese Patrick Nash è alla guida dell’operazione. Le forze sono composte da 3 700 soldati di 14 Stati membri, e strutturate, equipaggiate e addestrate al fine di compiere in modo soddisfacente la loro missione in un contesto complicato. Le loro regole sull’impiego della forza sono severe e conformi al mandato previsto dal capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.

Come sappiamo, tale mandato è stato conferito in base alla risoluzione 1778 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’operazione dell’Unione europea, nota come operazione EUFOR Ciad/Repubblica centrafricana, verrà condotta per un anno dalla data della dichiarazione della capacità operativa iniziale e sarà neutrale e imparziale.

La pianificazione è stata effettuata dall’inizio in stretta cooperazione con le Nazioni Unite. Al fine di garantire la trasparenza, l’efficienza e la possibilità di modificare le misure, sono stati istituiti appropriati meccanismi di coordinamento a tutti i livelli, a New York e a Bruxelles, nella sede operativa di Parigi nonché sul territorio.

A seguito dei recenti scontri tra l’esercito del governo e i gruppi di ribelli del Ciad, la situazione della sicurezza è adesso più stabile. L’impiego della missione dell’Unione europea prosegue e prevediamo che EUFOR raggiunga la sua capacità operativa iniziale entro la metà di marzo.

Consentitemi di citare alcune decisioni adottate dal Consiglio nell’ultima sessione di lunedì, l’altro ieri. Il Consiglio ha espresso la sua profonda preoccupazione per quanto riguarda le ramificazioni regionali del conflitto in Darfur e i tentativi di rovesciare il governo del Ciad. Ha appoggiato la richiesta dell’Unione africana e delle Nazioni Unite di rispetto della sovranità, l’unità nazionale e l’integrità territoriale del Ciad.

Il Consiglio ha dichiarato che i recenti avvenimenti hanno sottolineato la necessità dell’impiego della missione nel Ciad orientale, in cui il compito dovrebbe essere rafforzare la sicurezza. Il Consiglio ha inoltre evidenziato che, in linea con il suo mandato, la missione sarà imparziale, neutrale e indipendente.

Concluderò aggiungendo che il Consiglio seguirà da vicino la situazione della sicurezza in Ciad e nel Darfur occidentale a tutti i livelli, e valuterà inoltre le conseguenze di tale situazione per la missione EUFOR.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).(EN) Signor Presidente in carica del Consiglio, non ha risposto alla mia domanda, che chiedeva, nello specifico, se potete garantire la disponibilità delle dotazioni necessarie per questa difficile missione. Le dispiacerebbe rispondere a questa domanda e fornire una garanzia?

Come ha detto, è sotto la guida di un ufficiale dell’esercito irlandese, il generale Nash, e questa sera 50 membri dell’Irish Army Rangers, le truppe speciali dell’esercito irlandese, lasceranno Dublino, seguite nel prossimo futuro da molti altri soldati irlandesi.

Ci sarà il sostegno logistico sufficiente? Dispongono dei servizi medici necessari, e darete una garanzia, come chiesto nella mia domanda, che tutte le dotazioni necessarie per questa difficile missione siano disponibili?

Auguro ai Rangers irlandesi e a tutti i soldati presenti nel territorio che Dio mandi fortuna e li protegga, nella loro difficile missione.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Desidero sottolineare che all’inizio le dotazioni delle unità sono di responsabilità di ogni singolo Stato membro che invia tali unità in missione.

Onorevole deputato, lei chiede garanzie che il Consiglio non può dare, in quanto si tratta di responsabilità di ogni singolo Stato membro. Posso solo ripetere ciò che ho detto nell’introduzione, in particolare che il processo di formazione dei contingenti è stato completato con successo. È stato difficile ma alla fine ha avuto esito positivo affinché il comandante segnalasse che la missione poteva avere inizio.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE).(DE) Ritengo che questa missione sia una buona idea in linea di principio, finché viene condotta in modo professionale, poiché realizza esattamente ciò di cui si è parlato nella discussione sulla migrazione cui abbiamo assistito in precedenza, in particolare creare sicurezza nelle aree da cui provengono gli immigrati. Pertanto, non riesco semplicemente a capire come possano essere contrari alla missione alcuni populisti e ipocriti austriaci di destra. Tuttavia, ciò che mi preoccupa è che sia un argomento di discussione costante capire, in particolare, se l’esercito francese parteciperà alla missione con neutralità nei confronti delle parti avverse. Mi interesserebbe sapere di quali informazioni disponete a riguardo e in quale modo garantirete che la missione resti complessivamente neutrale nei confronti di tutte le parti in conflitto. Desidero inoltre cogliere l’opportunità di porgere i migliori auguri ai soldati presenti sul territorio.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE).(EN) Ho una domanda relativa al contatto con i gruppi di opposizione al governo. Non mi riferisco ai gruppi dei ribelli, ma ad altri gruppi di opposizione. È stato compiuto qualche sforzo per coinvolgerli al fine di avere un approccio maggiormente unificato alla missione ONU in corso in Ciad, o alla missione dell’Unione europea che sta per avere inizio in Ciad?

Sinora, tutti i contatti sembrano essere stati presi con lo stesso governo. Mi domando se il modo giusto non sia coinvolgere le persone che possono essere contro il governo, ma che non fanno parte dei gruppi ribelli.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Per rispondere alla domanda relativa alla neutralità, posso solo dire che il Consiglio ha ancora una volta deciso lunedì, l’altro ieri, che le unità dell’Unione europea in Ciad saranno imparziali, neutrali e indipendenti. A mio avviso, questo contiene la risposta alla domanda sulla neutralità delle singole unità coinvolte nell’operazione. L’intera operazione è neutrale, imparziale e indipendente.

Questo vale anche per parte della domanda complementare posta successivamente. Non si tratta di un’operazione intesa al reclutamento di sostenitori, ma di un’operazione che dovrebbe, in modo imparziale e neutrale, garantire la sicurezza nella regione in cui verrà inviata. Non dovrebbe essere considerata come la ricerca di un qualche alleato. Ripeto, è un’operazione neutrale e imparziale il cui compito è garantire la sicurezza nella regione sotto il suo mandato.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 5 dell’on. Colm Burke (H-1052/07)

Oggetto: Birmania

Con riferimento alla nomina di Piero Fassino quale inviato speciale dell’UE per la Birmania a sostegno della missione di buoni uffici delle Nazioni Unite, e in considerazione dell’importante ruolo che in relazione alla Birmania svolgono l’ASEAN, l’India e la Cina, quanto sono stati produttivi i recenti incontri del signor Fassino con dirigenti cinesi e di altre nazioni asiatiche?

In linea con le conclusioni del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” del 15 ottobre, il Consiglio ha riaffermato il 14 dicembre che l’UE è pronta a riesaminare, modificare o rafforzare ulteriormente, alla luce degli sviluppi sul terreno, le misure restrittive adottate contro il governo birmano. Quali ulteriori misure restrittive prenderebbe in considerazione il Consiglio (visto che quelle già in vigore stanno avendo un’incidenza tutto sommato minima)? Può fissare un termine per la loro attuazione?

Secondo i risultati di una recente visita a scopo informativo svolta dalla ONG CSW (Comitato ONG sulla condizione della donna) al confine fra Tailandia e Birmania, il numero delle persone uccise dall’esercito birmano durante la repressione delle pacifiche proteste di settembre è stato molto più alto delle cifre ufficiali. Monaci e civili fuggiti dalla Birmania a partire dal mese di settembre hanno fornito al CSW resoconti di prima mano della brutalità del regime contro il movimento per la democrazia. La CSW ha constatato che durante le proteste in Birmania potrebbero essere state uccise centinaia di persone, mentre il lavoro forzato e gli stupri continuano in zone abitate da minoranze etniche. Qual è la risposta del Consiglio a tali notizie? Secondo il Consiglio, l’UE è determinata ad aiutare il popolo della Birmania/Myanmar a proseguire sul suo cammino verso la democrazia, la sicurezza e la prosperità. In che modo, più specificamente, il Consiglio si propone di farlo?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Vorrei subito far presente che il 6 novembre dello scorso anno l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera e di sicurezza comune, Javier Solana, ha nominato un inviato speciale per la Birmania/Myanmar per evidenziare l’importanza che l’Unione europea conferisce al cambiamento democratico, alla riconciliazione, al rafforzamento dei diritti umani e allo sviluppo del paese.

In base a questo mandato, l’inviato speciale, Piero Fassino, ha chiesto un incontro con il Consigliere speciale dell’ONU, Ibrahim Gambari, e ha inoltre consultato i principali partner dell’Unione europea.

A novembre dell’anno scorso, a margine del vertice di Singapore UE-ASEAN, l’inviato speciale ha incontrato il rappresentante dei paesi ASEAN e a dicembre ha anche partecipato alla sua prima missione in Cina; ha incontrato i rappresentanti della Birmania e dei suoi vicini a Roma e nel corso delle visite alle Nazioni Unite a Ginevra e New York, e ne incontrerà i rappresentanti anche a Bruxelles.

Tali consultazioni e contatti politici e diplomatici instaurati dal nostro rappresentante speciale proseguiranno nei prossimi mesi. Verrà prestata particolare attenzione alla mediazione da parte delle Nazioni Unite e del “gruppo di amici” dell’ONU.

Alla sessione di lunedì, il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” ha valutato positivamente il lavoro dell’inviato speciale, Piero Fassino, nel coordinamento degli sforzi diplomatici dell’Unione europea e dei suoi partner asiatici, e ha ribadito il suo ruolo nel sostenere e promuovere la missione delle Nazioni Unite.

Vorrei precisare che, tempo fa, l’Unione europea ha adottato una posizione comune complessiva, che prevede l’imposizione sulla Birmania di un embargo sulle armi e limitazioni di viaggio nonché congelamento dei beni per molti cittadini birmani legati all’esercito e al governo.

A novembre 2007, il Consiglio ha adottato sanzioni più severe intese a rafforzare le misure esistenti e a formularne di nuove, rivolte in particolare alle attività estrattive. Come anticipato, il Consiglio valuterà gli effetti, l’efficacia, la sostenibilità politica e la fattibilità pratica di altre possibili restrizioni.

Il Consiglio riceve e esamina le informazioni provenienti dai suoi partner e da molti rappresentanti delle organizzazioni governative relative alla loro esperienza con sanzioni più severe.

Il Consiglio ha constatato che di recente alcuni Stati membri dell’Unione europea e la Commissione hanno aumentato gli aiuti alla Birmania e ai profughi birmani nei paesi vicini. L’Unione europea dovrebbe essere pronta a garantire aiuti aggiuntivi alla Birmania/Myanmar. Per questo motivo chiede alle autorità birmane di adottare ulteriori misure intese alla democratizzazione del paese nonché al raggiungimento della riconciliazione nazionale.

L’annuncio ufficiale di un referendum sulla costituzione, che dovrebbe svolgersi a maggio di quest’anno, e in particolare delle elezioni multipartitiche nel 2010 è, secondo il Consiglio, un passo nella giusta direzione.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE).(EN) Questo è solo un seguito alla sua risposta riguardo a questo problema molto complesso, che apprezzo molto.

Desidero solo sollevare due questioni correlate. In primo luogo, il 14 febbraio è stato assassinato il Segretario generale del KNU nella sua casa in Thailandia. Mi sembra che due giorni prima gli aveva fatto visita la Christian Solidarity Worldwide. Quali pressioni abbiamo esercitato sulla Thailandia affinché si svolgessero indagini sull’omicidio? Presumo che l’assassinio sia stato ordinato dal regime della Birmania.

In secondo luogo, mi risulta che i profughi che entrano in Malesia vengano trattati piuttosto male. Infatti, alcune rifugiate hanno partorito mentre si trovavano sotto custodia o in carcere. Quali pressioni abbiamo esercitato su Thailandia e Malesia affinché si occupino di tali questioni?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Il Consiglio non ha discusso tale questione in relazione con la Thailandia, né con la Malesia. Riferirò la sua domanda al Consiglio.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 6 dell’on. Jim Higgins (H-1056/07)

Oggetto: Movimento per la democrazia in Birmania

In seguito alla recente brutale repressione delle manifestazioni pacifiche di protesta in Birmania, può il Consiglio comunicare cosa sta facendo per assicurare che gli attivisti democratici siano protetti e che la giunta militare operi per una transizione rapida e pacifica verso un vero regime democratico? Il Consiglio ha chiesto al regime birmano la liberazione delle persone scomparse e dei monaci che non si sa più dove si trovino dopo le ultime manifestazioni di protesta?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Come ho affermato nella risposta precedente, il Consiglio segue da vicino la situazione in Birmania/Myanmar e riceve relazioni da varie fonti.

L’Unione europea, assieme ad altri paesi, ha risposto alle dimostrazioni di agosto e settembre scorsi e alla repressione violenta dei manifestanti pacifici con il chiaro obiettivo di esprimere la propria solidarietà con la popolazione birmana. Inoltre, ha adottato misure fortemente restrittive volte ai responsabili della violenza e alla generale stasi politica nonché alle condizioni del paese. Come precedentemente affermato, a causa delle difficili condizioni di vita della popolazione e al numero di rifugiati, alcuni Stati membri e la Commissione hanno aumentato l’assistenza alla Birmania nonché ai profughi birmani che si trovano nei paesi vicini.

Inoltre, l’Unione europea figurava tra coloro che hanno incoraggiato il vertice del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, tenutosi a Ginevra nell’ottobre 2007, che ha autorizzato il relatore speciale delle Nazioni Unite, Sérgio Pinheiro, a visitare la Birmania/Myanmar e a indagare sulla violenta repressione delle manifestazioni di settembre e i presunti omicidi e scomparse seguiti a tali eventi.

L’Unione europea sostiene appieno le raccomandazioni del professor Pinheiro contenute nella sua relazione di dicembre, e chiede regolarmente alle autorità birmane di metterle in pratica. L’UE ha più volte avuto contatti con le autorità birmane. Sta inoltre tentando di impiegare gli incontri con la Birmania/Myanmar ai forum multilaterali al fine di chiedere alle autorità di avviare un processo complessivo e inclusivo di riconciliazione e riforme politiche, nonché di eliminare le limitazioni imposte a Aung San Suu Kyi, di rilasciare i prigionieri politici e di migliorare l’accesso per le organizzazioni internazionali, in particolare la commissione internazionale della Croce rossa.

L’Unione europea ha presentato queste osservazioni ai vicini della Birmania e sottolineato l’urgente necessità di migliorare la situazione nel paese. Come ho dichiarato, l’annuncio di un referendum sulla costituzione e di elezioni multipartitiche nel 2010 ha dato una certa speranza.

 
  
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  Jim Higgins (PPE-DE). (GA) Signora Presidente, valuto positivamente la risposta del Presidente in carica del Consiglio, che ha risposto al mio collega, l’onorevole Colm Burke, che desidera che la Birmania sia più democratica.

A questo proposito, vorrei porre una domanda sulla nuova costituzione: non è forse vero che tale documento è stato elaborato senza coinvolgere il leader del principale partito di opposizione democratica, Aung San Suu Kyi? Questo non è assolutamente positivo.

E non è palese che l’esercito e le forze armate manterranno stretta la presa o il controllo del potere?

Un’altra domanda importante: si procederà a un controllo indipendente da parte dell’Unione europea e delle Nazioni Unite per quanto riguarda il referendum e la costituzione?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Devo ancora ricevere una risposta riguardo alla garanzia di controllo indipendente del referendum programmato per maggio. Al momento, abbiamo solo un annuncio secondo cui il referendum si svolgerà. Come ho già detto, il Consiglio ritiene che sia un passo nella giusta direzione. La sua domanda è senza dubbio pertinente e verrà sottoposta al Consiglio.

Per rispondere alla prima parte del suo quesito, posso dire che l’Unione europea ribadisce che i processi di democratizzazione nel paese devono prevedere la cooperazione dell’opposizione e dei gruppi etnici, poiché solo in questo modo possiamo sperare in una riconciliazione nazionale e in una stabilità a lungo termine del paese.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 7 dell’on. Mairead McGuinness (H-1054/07)

Oggetto: Direttiva sui servizi dei media audiovisivi

Ritiene il Consiglio che la direttiva sui servizi dei media audiovisivi 97/36/CE(1) sarà in grado di tenere il passo con gli sviluppi della tecnologia e della pubblicità audiovisiva?

Ritiene il Consiglio che la richiesta ai fornitori di servizi dei media di sviluppare codici di condotta nei confronti dei bambini sia una misura sufficientemente forte a tutelare gli interessi particolari dell'infanzia, ad esempio impedendo la pubblicità del cosiddetto “cibo spazzatura” rivolta ai minori?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) L’onorevole probabilmente è già a conoscenza che l’11 dicembre dello scorso anno il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato una direttiva che modifica la direttiva “Televisione senza frontiere” e la ribattezza direttiva sui servizi di media audiovisivi.

Il primo considerando della nuova direttiva modificata spiega che è necessario adattare il quadro normativo a causa dello sviluppo delle nuove tecnologie e del loro impatto sui modelli di attività, in particolare sul finanziamento della radiodiffusione commerciale. L’obiettivo della nuova direttiva è trovare le risposte a questi cambiamenti tecnologici attraverso l’introduzione di nuove definizioni tecnicamente neutrali e basate sulla terminologia, che sarà possibile impiegare non solo per gli attuali servizi, ma anche per i tipi di servizi che devono ancora essere sviluppati, quali i servizi di media audiovisivi e i servizi on demand. Al fine di soddisfare questa capacità futura, riteniamo che la direttiva che disciplina il settore audiovisivo dovrebbe essere valida per alcuni anni a venire.

In conformità di tale direttiva, e non oltre il 19 dicembre 2011 e successivamente ogni tre anni, la Commissione deve elaborare una relazione sull’applicazione della direttiva e, se necessario, formulare altre proposte per il suo adattamento, in particolare per quanto riguarda gli sviluppi delle nuove tecnologie.

Per quanto riguarda la pubblicità del cibo spazzatura per i bambini, il Parlamento europeo e il Consiglio concordano che la questione potrebbe essere affrontata in modo più efficace se i fornitori dei servizi audiovisivi sviluppassero codici di condotta. A tale scopo, il secondo paragrafo dell’articolo 3 sexies della direttiva modificata comprende la prescrizione che tutti gli Stati membri e la Commissione incoraggino i fornitori di servizi di media a elaborare tali codici.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE).(EN) Lei ha risposto alla prima parte della mia domanda in modo molto esaustivo, e la ringrazio per questo.

Per quanto riguarda la seconda parte, forse ciò di cui abbiamo bisogno è un codice di condotta che sia efficace, in quanto ne abbiamo molti su carta, e non sono efficaci. Le chiederei quindi di rilasciare una dichiarazione e dire se, quando revisioniamo i codici di condotta e verifichiamo che non hanno avuto alcun effetto, adotteremo azioni decise. Ritengo che sia necessario.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Il senso di un codice di condotta è esattamente quello di essere sviluppato dagli stessi fornitori. Tuttavia, è chiaro che se i codici non sono adeguati e non soddisfano le necessità, non saranno soddisfatti neanche il Consiglio e la Commissione. Questo è il motivo per cui la mia risposta alla sua domanda è sostanzialmente che il Consiglio e la Commissione devono insistere almeno finché i fornitori non abbiano sviluppato codici di condotta efficaci.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signor Presidente in carica del Consiglio, potrei sottoporle un altro problema riguardante la tutela dei minori nel contesto dei media, in particolare a fronte di una situazione di tassi di suicidi in allarmante crescita in Europa, e non ultima nella mia circoscrizione? È questo ciò che il Consiglio fa riguardo al cattivo utilizzo di massa, in particolare nei servizi on line, della pubblicità facilmente reperibile sul modo in cui suicidarsi? Oggi ho personalmente scaricato informazioni di uno di questi siti, in cui vi erano diversi suggerimenti su come suicidarsi.

È piuttosto raccapricciante. Anche se si visita il sito di Wikipedia si possono reperire informazioni sul modo in cui suicidarsi. Il Consiglio affronterà la questione nel contesto della tutela dei minori, nello specifico nell’ambito dei media?

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) La mia domanda si riferisce al pacchetto sulle telecomunicazioni presentato dalla Commissione, in cui emergono nuove opportunità per la televisione quale risultato dei dividendi digitali, cioè attraverso l’impiego dell’assegnazione dello spettro di frequenza digitale. Lei vede la necessità di modificare la direttiva sulla televisione sulla base di nuovi regolamenti tecnici?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) In considerazione del problema sottolineato dall’onorevole Allister e dei casi da condannare e che richiederebbero un intervento, faccio presente che, anche prima della modifica, la direttiva conteneva il divieto di pubblicizzare qualsiasi prodotto dannoso alla salute. Vietava inoltre le comunicazioni commerciali che arrecassero pregiudizio fisico o morale ai minori. Ritengo che tali definizioni riguardino anche i casi citati. Aggiungo inoltre che l’emendamento alla direttiva è stato pubblicato lo scorso dicembre e gli Stati membri hanno due anni per recepirlo nei rispettivi diritti nazionali.

Per quanto riguarda il pacchetto telecomunicazioni, trovo difficile rispondere alla domanda, che richiede una valutazione più dettagliata riguardo alla necessità di apportare cambiamenti. Tuttavia, la questione è stata discussa. Il pacchetto normativo relativo alle telecomunicazioni è attualmente in fase di discussione. La sua domanda verrà trasmessa al Consiglio. Non ho alcun dubbio che se è necessario introdurre una modifica, sarà fatto.

 
  
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  Presidente. Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.

 
  
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  Sajjad Karim (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, desidero solo ringraziare i servizi per aver agito prontamente riguardo alle informazioni che ho inviato loro per registrare adeguatamente la mia intenzione di voto. Adesso è stato fatto, pertanto desidero, attraverso di lei, porgere loro i miei ringraziamenti per aver lavorato in modo così efficiente. La registrazione pubblica adesso mostra la mia reale intenzione di voto. Vi sono riconoscente.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 19.05, è ripresa alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAREK SIWIEC
Vicepresidente

 
  

(1) GU L 202 del 30.7.1997, pag. 60.


12. Futuro demografico dell’Europa (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione presentata dall’onorevole Castex, a nome della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, sul futuro demografico dell’Europa [2007/2156(INI)].

 
  
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  Françoise Castex, relatrice. − (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la discussione che proseguiamo questa sera è cominciata dentro queste stesse mura molti anni fa. Non terminerà con l’adozione della presente relazione, che lascia ancora qualche domanda senza risposta, e sulla quale senza dubbio dovremo ritornare nel prossimo futuro. In ogni caso, desidero ringraziare la Commissione per la qualità della sua comunicazione, che è stata integrata nella discussione, e alla quale siamo ricorsi in sede di commissione per l’occupazione e gli affari sociali.

Nella mia relazione, ho sviluppato le conseguenze del cambiamento demografico, tra cui la contrazione della popolazione attiva, il crescente numero di persone anziane, e gli squilibri demografici tra le diverse regioni d’Europa. Ciò vuol dire che è impossibile intervenire sulle cause? Desidero innanzi tutto ricordarvi che il XX secolo è stato testimone di due enormi cambiamenti.

In primo luogo, le donne hanno ottenuto accesso all’istruzione e alla formazione a un livello paritario rispetto agli uomini. In secondo luogo, le donne hanno ottenuto il controllo sulle rispettive vite riproduttive attraverso la contraccezione. Questi sono due fattori di emancipazione femminile, che segnano grandi, e io auspico irreversibili, progressi per l’umanità.

Tuttavia, al fine di disporre di tutte le informazioni utili per la valutazione, è necessario aggiungere altri due elementi. Tutti gli studi dimostrano che i cittadini europei vorrebbero più figli di quanti non ne abbiano realmente e, in secondo luogo, negli Stati membri in cui il livello di occupazione femminile è elevato, la percentuale delle nascite è altrettanto elevata. Pertanto, una vita lavorativa attiva non impedisce alle persone di avere figli, a patto che ci sia conciliazione tra vita familiare e vita professionale per tutti, uomini e donne. Ci sono ancora molti progressi da compiere in quest’ambito, in tutti gli Stati membri.

Nel corso delle nostre discussioni è emerso un altro punto, che nessuno essenzialmente contesta. L’insicurezza economica e il timore del futuro sono fattori importanti sottesi al calo delle nascite. Quando è difficile fare programmi per il futuro, le persone esitano ad avere figli. Questo è un concetto fondamentale e ritengo che il crollo nel livello delle nascite registrato nell’Unione europea sia un grave avvertimento da questo punto di vista. Al fine di riconquistare la fiducia nel futuro, i nostri cittadini hanno bisogno della sicurezza del posto di lavoro e del ripristino di dignitose condizioni di vita. Queste sono le cause, che dire allora delle conseguenze?

La conseguenza principale è una riduzione della popolazione attiva, che scenderà dai 331 milioni del 2010 ai circa 268 milioni entro il 2050. In quale modo possiamo preservare la crescita e la competitività europee con una scarsa popolazione attiva? Questo è il punto in cui il titolo della comunicazione acquista vero significato, signor Commissario, e vera forza: trasformare una sfida in un’opportunità. Oggi, l’Europa ha ancora percentuali di disoccupazione molto elevate, e il margine di progresso nell’occupazione di donne, giovani e anziani, per i quali il livello di occupazione crolla drammaticamente a partire dai 52-55 anni di età, resta enorme.

Non è la vera opportunità di questa sfida demografica, l’obiettivo di una piena occupazione finalmente realistico, raggiungibile e necessario? Al fine di realizzarlo dobbiamo attuare un’autentica politica di gestione delle risorse umane nonché di apprendimento lungo tutto l’arco della vita. C’è un motivo per cui specifico “lungo tutto l’arco della vita”, poiché vuol dire anche per i lavoratori ultracinquantenni che, oltre ad altri generi di discriminazione, devono affrontare anche quella relativa alla formazione e alla promozione sul posto di lavoro.

Nella mia relazione, ho presentato il concetto di ciclo della vita attiva per ribadire la necessità di considerare un periodo di vita attiva di circa quarant’anni (benché tale decisione spetti agli Stati membri) di impiego continuativo, formazione, riqualificazione, potenziale promozione, dall’inizio alla fine della vita attiva di una persona. Prima di pensare ad aumentare l’età del pensionamento, occorre assicurarsi che tutti al di sotto di quell’età siano in grado di lavorare, per utilizzare le loro competenze e l’esperienza professionale.

È perché esiste un’età giuridica per il pensionamento che le persone possono pensare di oltrepassarla, a seconda delle disposizioni definite in ciascuno Stato membro in conformità delle sue tradizioni di dialogo e consultazione. Su questo punto la discussione resta aperta.

L’ultimo aspetto che vorrei citare brevemente è, com’è ovvio, il ricorso all’immigrazione. Si discute molto sulla sua possibilità di compensare il calo della popolazione attiva, ma l’immigrazione provoca anche molta tensione, come sapete. Per questo motivo, raccomando un approccio chiaro e ragionato alla questione. L’immigrazione non è un fenomeno nuovo nell’Unione europea e, con un equilibrio positivo di due milioni di immigrati all’anno, dato stabile da diversi anni, l’immigrazione legale contribuisce alla composizione della popolazione attiva dell’Unione europea, così come contribuisce alla composizione della società europea.

Occorre mantenere questo flusso migratorio e garantire uno status giuridico nei nostri Stati membri per coloro che accogliamo, in particolare attraverso la lotta all’immigrazione clandestina e allo sfruttamento dei lavoratori illegali. La dimensione umana dell’immigrazione deve prevalere nelle nostre politiche in materia e l’integrazione familiare non dovrebbe sparire dalle nostre linee guida.

In una prima conclusione di questa presentazione, desidero ricordare che, dietro la media delle percentuali delle nascite, le piramidi delle età e gli indici determinano le questioni delle nascite, la maternità, il ruolo delle donne nella società, l’assistenza che offriamo ai nostri anziani e il modo in cui noi stessi desideriamo concludere la nostra vita. Questo è il motivo per cui la presente discussione è interessante al pari di quanto appassiona, e desidero ringraziare tutti i relatori ombra per aver avuto il mio stesso interesse nell’argomento.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, desidero ringraziare tutti gli europarlamentari e soprattutto la relatrice, l’onorevole Castex, per la sua relazione informativa sulla comunicazione della Commissione sul futuro demografico dell’Europa. Sono particolarmente lieto del fatto che, oltre alla commissione per l’occupazione, altre quattro commissioni parlamentari si sono occupate della relazione: la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, la commissione per i problemi economici e monetari, e la commissione per lo sviluppo regionale. Questo invia agli Stati membri un segnale politico più forte e indica l’importanza delle questioni demografiche nell’Europa di oggi.

L’analisi del Parlamento europeo delle principali questioni demografiche coincide in linea di massima con le conclusioni della relazione della Commissione del 2007. Entrambe le istituzioni ritengono che l’invecchiamento e il calo delle nascite siano dovuti allo sviluppo sociale ed economico. Inoltre, il Parlamento e la Commissione condividono il punto di vista secondo cui è possibile rispondere a questi fenomeni in modo costruttivo e con successo. I cambiamenti demografici non solo presentano sfide importanti, ma anche nuove opportunità. La relazione precisa, tuttavia, che è fondamentale rispondere a tali sfide e opportunità adesso.

È incoraggiante vedere che la risposta politica e le misure sottolineate nella relazione corrispondono abbastanza alle proposte della Commissione. La politica sulla famiglia è l’unica responsabilità dei singoli Stati membri. Tuttavia, come sottolinea giustamente la relazione, anche l’Unione europea deve apportare il proprio contributo. La strategia di Lisbona rinnovata fornisce un quadro per la modernizzazione della politica in materia di famiglia attraverso il sostegno delle pari opportunità e soprattutto delle iniziative intese a raggiungere un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita professionale. Su questo aspetto, siamo lieti di vedere la nuova Alleanza europea per le famiglie, istituita nel corso del vertice del Consiglio europeo di primavera del 2007. Tale Alleanza costituisce un’altra piattaforma a livello comunitario per lo scambio di esperienza tra gli Stati membri.

La relazione sottolinea inoltre giustamente il cambiamento di relazioni tra i settori lavorativo e non lavorativo, evidenziando che gli Stati membri dovranno adottare tutte le misure possibili al fine di affrontare la futura scarsità di lavoratori nel mercato del lavoro. Devono in primo luogo e soprattutto rafforzare la partecipazione nel mercato lavorativo dei giovani, delle donne e degli anziani. Esistono numerosi passi specifici che possono e devono essere compiuti.

Onorevoli deputati, consentitemi ancora una volta di parlare brevemente della migrazione in quanto rappresenta un ambito importante e sensibile. È piuttosto chiaro che internamente ed esternamente alla migrazione vi sono parti integranti della storia europea e dello stile di vita europeo. È essenziale sostenere l’integrazione sin dall’inizio, anziché considerarla unicamente quale questione relativa alla politica di sicurezza. La migrazione fa parte del nostro stile di vita europeo e per la gran parte ha effetti positivi e necessari per tutti noi.

Per concludere, desidero parlare della questione dell’infertilità. La relazione del Parlamento europeo rivolge l’attenzione al crescente verificarsi di casi di infertilità nelle coppie: sappiamo che ci sono fenomeni o cause del problema di natura prettamente medica, ma è anche chiaramente connesso alle condizioni sociali, in particolare alle coppie che rinviano il momento della formazione di una famiglia. Vorrei solo ribadire che dobbiamo affrontare il tema in un modo coerente e completo, non solo da una prospettiva medica.

Onorevoli deputati, c’è un lungo elenco di persone che desiderano partecipare a questa discussione, pertanto concludo e attendo con impazienza di ascoltare la discussione che seguirà.

 
  
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  Bilyana Ilieva Raeva, relatrice per parere della commissione per i problemi economici e monetari. (BG) Signor Commissario, signor Presidente, il quadro demografico generale in Europa è molto allarmante. Secondo i dati Eurostat, la fascia di età di popolazione tra i 15 e i 64 anni si ridurrà di un milione di persone all’anno dopo il 2010. Tale tendenza è dovuta a due fattori.

L’aspettativa di vita continua ad aumentare in tutti gli Stati membri dell’Unione europea, sviluppo molto positivo determinato dalla buona qualità della vita all’interno della Comunità. Tuttavia, è un dato allarmante che, al contempo, i tassi di natalità siano molto bassi, il che conduce alla crescita della quota di popolazione che invecchia.

Questa situazione provoca la riduzione del numero di persone in fascia di età attiva e il crollo della produttività della forza lavoro. Il problema demografico minaccia la stabilità dell’economia europea, il modello sociale europeo, nonché la solidarietà tra le generazioni.

In questo contesto, sono soddisfatta dell’iniziativa della Commissione europea di sviluppare una strategia demografica europea comune quale unico modo appropriato di affrontare questa sfida globale.

La commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo pone l’accento sugli strumenti economici che offrono le opportunità di migliorare la situazione demografica nell’Unione europea.

I testi proposti indicano varie linee d’intervento importanti, tra cui: lo sviluppo di una finanza pubblica equilibrata e sostenibile; la promozione di strumenti finanziari diversi con la garanzia di trasparenza e sicurezza; l’impiego di agevolazioni fiscali per le imprese che assumono dipendenti di età avanzata; l’accelerazione del processo di liberalizzazione del mercato del lavoro, o della migrazione interna, per citare il signor Commissario Špidla, nell’Unione europea allargata anche prima del 2014; l’incoraggiamento dell’occupazione tra i giovani e coloro con responsabilità familiari attraverso modelli di lavoro innovativi quali il lavoro a turni o a tempo parziale, e l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.

L’accento viene posto sulla necessità che gli Stati membri mantengano gli impegni assunti a titolo del patto di crescita e stabilità quale modo di superare le sfide demografiche. Il testo contiene inoltre alcuni meccanismi maggiormente flessibili intesi a trattenere le persone sul lavoro oltre l’età minima di pensionamento in base alla formula “salario e pensione”.

Il concetto principale è che se desideriamo essere all’altezza delle sfide demografiche, dobbiamo sostenere l’introduzione di meccanismi che consentano forme di impiego flessibile e incoraggino la prosecuzione volontaria della vita attiva anche dopo il raggiungimento dell’età minima di pensionamento.

 
  
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  Elisabeth Schroedter, relatrice per parere della commissione per lo sviluppo regionale. (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, gli effetti del cambiamento demografico sono molto diversi. Mentre le banlieue parigine vengono ripetutamente scosse dal disagio sociale dovuto all’alto tasso di immigrazione, in Brandenburgo, da dove vengo, le regioni si riducono, le persone emigrano e la popolazione invecchia molto più rapidamente.

L’invecchiamento della società impone un onere ai bilanci pubblici, con prestazioni sociali da pagare, e la strategia di Lisbona è stata adottata al fine di ridurli. Tuttavia, considerate le vere cause del cambiamento demografico, mi chiedo se tale riduzione non possa essere controproducente per la strategia di Lisbona. La Commissione rende più semplice accusare le donne dell’invecchiamento della società, perché non fanno figli a sufficienza, ma le vere ragioni sono gli errori politici presenti e passati.

Desidero occuparmi solo di tre degli aspetti determinati da questo squilibrio in atto nella società. Il primo è che le valutazioni dimostrano che le persone desiderano in realtà avere figli, ma i genitori, e non solo le donne, non hanno figli poiché le condizioni contestuali non sono adeguate, non hanno sicurezza sociale e perché, come è già stato affermato, è molto più difficile per i genitori trovare un impiego e la vita professionale e familiare non si possono combinare.

La soluzione a questo sarebbe un modello completamente nuovo per quanto riguarda l’equilibrio vita-lavoro. La svolta sarebbe dividere il tempo per la famiglia e per la carriera in modo equo tra i sessi; la Dublin Foundation ha condotto alcuni studi eccellenti sul tema. È inoltre essenziale che i bambini non vengano considerati quali piccoli biglietti per la povertà, come accade in molti Stati membri.

Per quanto attiene alle politiche degli Stati membri, questo vuol dire sostenibilità nel sistema di sicurezza sociale e, nonostante sia un fattore di costo impopolare, riporterebbe il cambiamento demografico su un piano di equilibrio.

Uno studio interessante condotto nella regione da cui provengo illustra il secondo aspetto. In tale studio è stato concluso che le giovani donne non vanno via dalla zona perché hanno problemi ad associare lavoro e famiglia, ma a causa della massiccia discriminazione che inizia non appena terminano la scuola. Sono le persone migliori, le prime della classe, le laureate migliori, ma ancora vengono offerti loro posti nei corsi di formazione della più bassa qualità e scarse opportunità di avanzamento di carriera. Ciò significa, dunque, che la Commissione europea può realmente essere efficace nel settore di sua competenza, ossia, nelle questioni di integrazione della dimensione di genere – le pari opportunità tra uomini e donne – al fine di combattere la discriminazione introducendo miglioramenti alla normativa e in particolare sollecitando gli Stati membri ad attuarla affinché le cose cambino finalmente.

Inoltre, quale relatrice per parere della Commissione per lo sviluppo regionale, desidero ritornare al punto delle regioni che si riducono. Nel nostro parere, siamo critici riguardo al modo in cui le amministrazioni statali erigano ancora enormi barriere all’effettivo coinvolgimento dei cittadini e allo sviluppo dell’innovazione e della creatività. Così facendo, ostacolano i programmi finalizzati a uno sviluppo regionale di successo.

Al contempo, vi è una tendenza dei leader politici a dimenticare semplicemente le regioni, ad allontanarsi da esse con la scusa che lo Stato ha la responsabilità di occuparsi delle necessità primarie, a rinunciare semplicemente a loro. Non è questa la soluzione per l’Europa in quanto nel lungo periodo, nelle generazioni, come dimostra la storia, diventerà estremamente costoso. In realtà, è compito delle amministrazioni statali cogliere lo slancio offerto dalla società civile e cooperare con essa per liberare le regioni da questo dramma.

A questo proposito, chiedo alla Commissione europea di sfruttare l’energia della società civile in particolare per la sua promozione attraverso il coordinamento dello scambio di esperienza tra regioni in cui l’andamento è positivo nonché sottolineando i buoni esempi di pratica sperimentata e provata. Queste sono soluzioni concrete in cui la Commissione europea può essere attiva senza accusare sempre le donne di essere le responsabili del cambiamento demografico.

 
  
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  Magda Kósáné Kovács, relatrice per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. − (HU) La ringrazio, signor Presidente. Per decenni abbiamo appreso che il cambiamento climatico e l’inquinamento dell’ambiente minacciavano il nostro futuro. Il vertice di Hampton Court ha condotto la nostra attenzione a un altro processo che sta diventando rischioso: l’Europa invecchia.

Sulla base della responsabilità che sente di avere in questo settore, la commissione LIBE ha formulato tre raccomandazioni alla relatrice della commissione EMPL sulle questioni correlate ai diritti civili. Desidero ringraziarla per aver esaminato le nostre raccomandazioni e averle tenute in considerazione.

Il primo ambito è il sostegno alle famiglie e ai minori. Legiferare sui sistemi di sostegno alle famiglie rientra nella competenza nazionale, e l’assunzione di obblighi relativi alle famiglie con bambini è anche una questione morale, nonché una parte importante dei valori europei. Le pari opportunità per le famiglie con e senza figli sono un interesse estremamente importante per la Comunità. Tuttavia, la base per garantire i diritti dei minori è che anche le generazioni future possano sentirsi responsabili per il mondo al di fuori del nucleo familiare.

Dopo aver esaminato i tipi di migrazione legale e clandestina, la commissione LIBE ha rivolto l’attenzione al fatto che i parametri di una società che invecchia e del mercato del lavoro richiedono una politica di migrazione coerente e complessa. Siamo soddisfatti che la relazione entri nel dettaglio su questo punto.

Nell’Anno della diversità culturale, potrei aggiungere che, secondo gli esperti e gli scienziati, può esserci una relazione diretta tra la migrazione e il tasso di crescita della popolazione, dato che il gran numero di bambini nelle famiglie immigrate di seconda generazione sta diminuendo, mentre la presenza di immigrati può cambiare il desiderio della popolazione ospite di avere figli.

Infine, la discriminazione nei confronti degli anziani e dei lavoratori anziani può impedire alle persone non giovani di rimanere nel mercato del lavoro. Desidero sottolineare che non possono essere obbligati a lavorare più a lungo, ma devono disporre della concreta opportunità di scelta, e a questo scopo l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita è necessario. La familiarizzazione con le tecnologie di comunicazione moderne aumenta le loro possibilità di trovare lavoro e apre le porte al mondo globale degli anziani.

Nel suo parere, la LIBE ha chiesto ripetutamente alla Commissione di formulare raccomandazioni su una direttiva antidiscriminatoria generale, e auspichiamo che la presente relazione acceleri tale processo. La ringrazio, signor Presidente.

 
  
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  Karin Resetarits, relatrice per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. − (DE) Signor Presidente, per quale motivo, dunque, noi donne abbiamo meno figli? La molteplicità di ragioni e soluzioni politiche proposte è contenuta nel parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. La mia collega, onorevole Castex, ha già inserito con successo quasi tutto nella sua relazione. La ringrazio, onorevole Castex.

In quale modo, quindi possiamo aiutare le donne a soddisfare il loro desiderio di avere figli? In primo luogo, con la parità di retribuzione a parità di lavoro! Questo è l’unico modo in cui entrambi i genitori avranno la medesima importanza nel momento di decidere chi prenderà il congedo di maternità/paternità dopo la nascita di un figlio.

In secondo luogo, entrambi i genitori sono ugualmente responsabili della crescita dei loro figli, che hanno bisogno dell’aiuto paterno. Se il padre dei miei quattro figli non mi aiutasse, sarebbe impossibile per me lavorare in quest’Aula.

Inoltre, i datori di lavoro devono agevolare il congedo parentale per i loro impiegati, con il sostegno dello Stato qualora necessario. Un paese che vuole bambini deve porre questi ultimi al centro nell’elaborazione delle sue politiche.

Infine, occorrono strutture per l’infanzia di alta qualità e un ambiente favorevole ai bambini, a prescindere dal reddito dei genitori. Chiunque non sia d’accordo, non merita di sentire la risata di un bambino.

 
  
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  Presidente. − Grazie molte. Posso ringraziarla anche a nome di tutti i padri per questo discorso.

Dobbiamo proseguire la discussione, che in questa parte che verrà aperta a nome dei gruppi politici dall’onorevole Fatuzzo, a nome del Gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei. Tre minuti, se non le dispiace.

 
  
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  Carlo Fatuzzo, a nome del gruppo PPE-DE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono molto lieto di prendere la parola in questa occasione, innanzitutto per complimentarmi con il presidente della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, Jan Andersson, per aver presentato questa documentazione di iniziativa della commissione, così splendidamente e appassionatamente scritta dalla on. Castex in una serie di consultazioni, di partecipazione di tutti i parlamentari della commissione – alcuni in modo particolare – e che mi permette di dire, dopo nove anni che sono parlamentare europeo: finalmente vedo una relazione in Parlamento in cui si parla di pensionati e di anziani! E quanto se ne parla! Domani mattina dirò, nella mia dichiarazione di voto, quante volte la parola pensionato e anziano è contenuta in questa relazione.

Si parla anche di altro, naturalmente, anche di nascite, di bambini, di educazione professionale, ma io voglio sottolineare questo fatto, Presidente: perché si parla finalmente di anziani? Io sono convinto, che questo è dovuto alla grande preoccupazione che tutti i governi hanno, perché essendoci così tanti anziani rispetto a così pochi lavoratori comporta un pagamento di pensioni, un pagamento di assistenza sanitaria molto più elevato di quello che è stato in passato.

Ma guarda un po’, venti anni fa, dieci anni fa, trenta anni fa, cinquanta anni fa, nessuno si è mai degnato di pensare che gli anziani debbono essere assistiti, che gli anziani debbono essere aiutati, che coloro che hanno dei genitori anziani debbono avere dei congedi dal lavoro in modo più deciso di quanto non sia mai stato fatto in passato. E si comincia a discutere dei sistemi di pensionamento, e si comincia a discutere che i bambini debbono essere di più, che le madri debbono essere aiutate di più. Ecco, c’era proprio bisogno che succedesse questo cataclisma, che è stato paragonato al cambiamento del clima da qualcuno che mi ha preceduto?

Da un male però, signor Presidente, mi pare di capire che ne viene un bene, perché quello che vedo in questa relazione è qualcosa che io approvo in tutte le sue parti. Finalmente l’Europa, nella persona del Parlamento europeo, dà l’indicazione di come veramente deve essere uno Stato. Che gli Stati seguano questa indicazione!

 
  
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  Jan Andersson, a nome del gruppo PSE. (SV) Signor Presidente, signor Commissario, desidero iniziare ringraziando la relatrice che ha svolto un lavoro sul campo eccezionalmente buono, ma ha anche gestito in modo esemplare i negoziati tra i differenti gruppi politici.

Come qualcuno ha dichiarato in precedenza, questa è una grande sfida. Non una minaccia, ma una sfida per l’Unione europea. Cercherò di limitarmi ai tre ambiti principali che costituiscono la struttura della relazione dell’onorevole Castex.

Innanzi tutto, la natalità. In Europa ci sono tassi di natalità troppo bassi e condivido il punto di vista secondo cui la causa è, in larga misura, l’inadeguato processo decisionale politico. Si afferma che uomini e donne oggi desiderano, e necessitano, essere sul mercato del lavoro ma, al contempo, desiderano diventare genitori e avere dei figli. Dobbiamo incoraggiare questa combinazione negli Stati membri affinché i genitori, uomini e donne, ed è importante sottolinearlo, possano combinare la loro vita professionale con la paternità o maternità. Si fa inoltre riferimento a una retribuzione per i genitori sulla base del principio di una perdita nel reddito, legato alla vita professionale, a un livello elevato, per far sì che le persone possano rimanere a casa senza soffrire a livello finanziario.

In secondo luogo, dobbiamo aumentare l’assistenza all’infanzia di alta qualità. Abbiamo una lunga strada da percorrere. Abbiamo obiettivi, ma pochi Stati membri raggiungono attualmente tali obiettivi per aumentare le strutture per l’infanzia.

In seguito, si esprime preoccupazione per le persone anziane sul mercato del lavoro. È un paradosso che si inizi la vita lavorativa più tardi e la si termini prima. Dobbiamo creare le condizioni con diverse misure relative alla salute e alla sicurezza sul lavoro, la possibilità di ulteriore formazione, e soluzioni flessibili nella zona grigia tra la vita professionale e il pensionamento, al fine di consentire ai genitori di continuare a lavorare.

Infine, la migrazione. Nella nostra società, abbiamo bisogno di persone che provengano da altre parti del mondo, al fine di sviluppare e mantenere la nostra società del benessere. Pertanto, occorre creare una politica di integrazione in cui si preveda il loro inserimento nella nostra società e non l’emarginazione. Dobbiamo sostenere tale politica, in quanto non vi è alcun conflitto con la nostra società del benessere. Al contrario, è un prerequisito per il suo sviluppo.

 
  
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  Elizabeth Lynne, a nome del gruppo ALDE. (EN) Signor Presidente, non è stata una relazione semplice. Purtroppo, il tempo a disposizione era molto poco per raggiungere compromessi o per una vera discussione su alcune di queste questioni, da cui il gran numero di emendamenti.

Tuttavia, sono soddisfatta di molti degli elementi che abbiamo, come la necessità di affrontare la questione della violenza sugli anziani. È necessario fare ancora molto per fermare gli abusi fisici, economici, psicologici e di altra natura, che subiscono gli anziani. L’ultimo studio calcola il numero degli anziani vittime di abuso per oltre il 10%, dato sconcertante. Questo è il motivo per cui accolgo positivamente l’intenzione della Commissione di presentare una comunicazione su questo problema. Ma dobbiamo fare di più. Gli Stati membri devono lavorare anche al fine di garantire l’indipendenza, l’assistenza personale gratuita, l’apprendimento lungo tutto il corso della vita e la libertà dalla discriminazione sul posto di lavoro per tutti gli anziani. Ciò significa, com’è ovvio, attuare completamente la direttiva sull’occupazione del 2000 e in seguito costruire sulla sua base.

Abbiamo il dovere di impegnarci per non consentire più che i dipendenti vengano gettati nel dimenticatoio dell’impiego, che abbiano 50, 55 o 65 anni. Deve essere eliminata un’arbitraria età pensionabile legale, garantendo invece un’età legale per la pensione, fissata a livello di tutti gli Stati membri. Esiste una differenza molto chiara tra le due. I soggetti, quindi, hanno una scelta di smettere di lavorare e prendere la pensione, o di continuare a lavorare percependo ugualmente la pensione o rinviandola finché non decidono di smettere di lavorare. Purtroppo, non sono stata in grado di ottenere consenso su questo punto; pertanto non si trova nella relazione, ma ritengo che gli Stati membri debbano essere incoraggiati a guardare in tale direzione per il futuro.

Ho presentato una serie di emendamenti a nome del mio gruppo, che auspico altri deputati ritengano degni di sostegno, ma molte delle questioni di cui si occupa la relazione dovrebbero rimanere nella competenza degli Stati membri. Esiste, certamente, ancora molto da fare in termini di scambio della migliore prassi.

 
  
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  Jan Tadeusz Masiel, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, come osserva correttamente la relatrice, la situazione demografica dipende dalla crescita naturale della popolazione, la durata media della vita e i flussi migratori. Aggiungerei un quarto elemento consolidante tale dinamica, sotto forma di relazioni interpersonali e di volontà politica che le influenzi.

L’uomo è un animale particolarmente esigente e complesso, che non si riproduce solo quando è giunto il momento, ma deve disporre anche delle condizioni adeguate e appropriate per farlo. Il XX secolo, e in particolar modo gli anni successivi alla seconda guerra mondiale, non ha destato nell’umanità un particolare ottimismo o desiderio di procreare. È stato come se il mondo non sembrasse sufficientemente interessante da indurre gli uomini a dare alla luce dei figli.

Oggi è giunto il momento di iniziare a cambiare la situazione, adesso che abbiamo compreso le cause del quadro demografico pessimistico dell’Europa del futuro. L’immigrazione, da quanto si rileva dalla relazione, non è una soluzione adeguata al problema. Abbiamo bisogno soprattutto di creare condizioni allettanti per gli europei, che offrano un incentivo per accelerare la crescita naturale. Sostengo tutte le soluzioni proposte nella relazione, e desidero porne in rilievo due.

Si dovrebbe offrire assistenza alla famiglia come non abbiamo mai fatto prima, in particolare alle donne, che non solo dedicano il loro tempo a essere madri, ma si occupano anche dei membri della famiglia anziani e malati. Questo lavoro richiede di essere coperto da uno speciale status occupazionale legato alla remunerazione. Inoltre, ogni bambino deve avere garantito il posto in un asilo nido e nella scuola materna dopo il ritorno al lavoro della madre.

Infine, la demografia è un problema, tra l’altro, politico, e noi siamo politici; ci troviamo nella posizione di correggere questo scadente stato di cose.

 
  
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  Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. (PT) È vero che si stanno verificando cambiamenti demografici nella popolazione degli Stati membri dell’Unione europea, dato importante da prendere in considerazione ma, nella valutazione svolta, non è sufficiente affermare che c’è un calo nelle nascite e che la popolazione invecchia. L’analisi deve essere proseguita, alla ricerca delle cause e indicando misure che non ostacolino il progresso dell’umanità e tutto ciò che la civilizzazione ha raggiunto sinora.

Pertanto, non dobbiamo compromettere i risultati raggiunti attraverso il progresso scientifico inteso a migliorare le condizioni di vita della popolazione in termini di medicina di prevenzione, migliore assistenza sanitaria, nutrizione e abitazioni, orario lavorativo ridotto e sostegno alle madri, ai padri e ai bambini, che si traduce in aumenti costanti e regolari dell’aspettativa di vita.

L’esistenza di politiche pubbliche in settori sociali fondamentali, in particolare i servizi pubblici universalmente accessibili, ha apportato un contributo decisivo. È anche molto importante il fatto che nella normativa siano stati inseriti i risultati ottenuti dai lavoratori per quanto riguarda l’organizzazione e l’orario di lavoro, migliori condizioni di salute e sicurezza sul posto di lavoro e i progressi sulle pause e le ferie, le retribuzioni adeguate e i posti di lavoro sicuri.

Tuttavia, le politiche neoliberali in aumento, i cui strumenti essenziali sono la strategia di Lisbona, il patto di stabilità e le linee guida della Banca centrale europea, hanno determinato la liberalizzazione e la privatizzazione dei servizi pubblici, nonché un aumento del lavoro precario, che riguarda in particolar modo le donne. L’aumento dell’età del pensionamento rende ancora più difficile per i giovani trovare un posto di lavoro che preveda diritti, e l’accesso universale ai servizi pubblici nonché ad alloggi adeguati diventa sempre più complesso.

Tutti questi fattori tendono a ridurre il tasso di natalità. Questo è il motivo per cui è necessario cambiare la nostra politica quale azione più urgente. È inoltre la ragione per cui sostituire la strategia di Lisbona con una strategia europea per la solidarietà e lo sviluppo sostenibile che apra all’Europa nuovi orizzonti, di posti di lavoro dignitosi che prevedano diritti, in particolare per donne e giovani, un orario di lavoro ridotto senza ridurre anche la retribuzione, migliori stipendi, fermare la discriminazione, soprattutto quella in termini di stipendi nei confronti delle donne, maggiore coesione economica e sociale, tutela adeguata, e sicurezza sociale pubblica e universale, che garantisca una migliore qualità della vita e maggiore giustizia sociale.

Ne consegue l’urgenza di realizzare strutture migliori, più numerose e accessibili dedicate all’infanzia e alle persone non autosufficienti nonché di far sì che l’educazione prescolare pubblica sia generalmente disponibile ed esente da costi, al fine di promuovere buone condizioni di lavoro che rendano possibile conciliare la vita professionale e familiare. Questo in cambio necessita di un impiego e orari di lavoro stabili, oltre al rispetto del ruolo sociale delle madri e dei padri.

Questo è anche il motivo per cui occorre stanziare maggiori risorse di bilancio ai paesi meno sviluppati, nonché la ragione per la quale gli Stati membri devono ratificare e applicare urgentemente la Convenzione delle Nazioni Unite sul ricongiungimento familiare dei lavoratori migranti.

 
  
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  Kathy Sinnott, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, questa è una relazione di preparazione al cambiamento demografico. Questo significa che ci stiamo arrendendo e accettando le previsioni del Libro verde del 2005?

Quando è stato pubblicato il documento, lo abbiamo considerato una sfida al cambiamento. Oltretutto, abbiamo voluto trovare un modo per consentire alle donne di avere quanti figli desiderassero. Stiamo gettando la spugna?

Il nostro auspicio di aumentare il tasso di natalità è compromesso dalle nostre politiche. La nostra strategia di concorrenza è basata sull’aumento del consumismo, malgrado quest’ultimo funga da freno ad avere figli. Nel consumismo siamo ritenuti egoisti. Pensate alla pubblicità. Vìziati; compra tutto; compra.

Per molte persone, che hanno figli e una famiglia è il contrario, poiché richiede altruismo, condivisione, nonché collocare gli altri al primo posto. Più diventiamo consumisti, più ci domandiamo, possiamo mantenere un figlio? E confrontiamo il costo di un bambino con il prezzo di una carriera o una vita sociale, un’automobile, una casa o una vacanza. Spesso è il bambino a perdere con i potenziali genitori che dicono “no, grazie”, o “non ancora”.

Ovviamente, dobbiamo affrontare anche la sterilità. Ma con oltre quattro milioni di aborti all’anno in Europa, non possiamo dire veramente che il nostro calo delle nascite è innanzi tutto dovuto alla sterilità.

Ho chiesto a una mia stagista di leggere la relazione e ha fatto un’osservazione interessante. Dove sono gli uomini? Se intendiamo parlare di parità di genere e demografia, dobbiamo parlare di entrambi i generi che sono pienamente e a pari livello responsabili dell’educazione dei figli. Per molte ragioni valide, abbiamo dovuto evidenziare la causa femminile. Ma abbiamo ottenuto risultati quando abbiamo escluso gli uomini? Crescere un figlio è un compito enorme; nonostante possiamo offrire tutto l’aiuto possibile alle madri single e ai loro figli, lo Stato è al massimo uno scarso sostituto di un padre premuroso, di sostegno e, oserei dire, protettivo.

Molte donne non vogliono affrontare la maternità senza il coinvolgimento di un padre. La sicurezza è importante per la maternità ma la sicurezza finanziaria non significa tutto. Dobbiamo incoraggiare un ambiente sensibile che induca ad avere figli. La nostra cultura deve incoraggiare gli uomini ad assumersi maggiori responsabilità.

Più di ogni altra cosa, avere figli riguarda le nostre relazioni più strette, motivo per cui sempre più strutture di assistenza all’infanzia, per quanto utili per il rientro delle donne sul posto di lavoro, non aiuteranno ad aumentare la natalità. Al fine di rimediare alla nostra crisi demografica dobbiamo ripristinare l’integrità basilare delle relazioni umane. È necessario promuovere la fiducia, la pazienza, la fedeltà e l’amore. Solo in questo contesto uomini e donne si sentono felici e sufficientemente sicuri per creare una famiglia; con il vero sostegno per questa famiglia e per la vita familiare assisteremo all’aumento delle nascite, oltre alla rinascita dell’Europa.

 
  
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  Thomas Mann (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, l’Unione europea si trova dinanzi a un cambiamento demografico senza precedenti. Entro il 2030 ci saranno 20 milioni di persone in meno in età lavorativa. Due impiegati dovranno pagare per un pensionato. La buona notizia è che le persone vivranno più a lungo, e gli anziani di oggi sono più in salute rispetto alle generazioni precedenti. La cattiva notizia è che la generazione più giovane è troppo poco numerosa e questo si ripercuoterà drammaticamente sulla pianificazione urbana, la costruzione di abitazioni, il sistema d’istruzione e il modo di organizzare il lavoro.

È necessario un ambiente maggiormente favorevole alla famiglia nei nostri Stati membri, più possibilità di assistenza all’infanzia, più asili nido sui posti di lavoro, migliori opportunità di conciliare la famiglia e l’impiego, maggiore partecipazione delle donne nel mondo del lavoro, più lavoro a tempo parziale per i genitori e la sicurezza di tornare a lavorare dopo che i figli sono cresciuti. Soprattutto, sono necessari percorsi stabili di avanzamento delle carriere e retribuzioni sufficienti, in quanto queste favoriscono il desiderio delle persone di avere figli.

Abbiamo inoltre bisogno di investimenti significativamente maggiori nelle persone, di migliorare l’istruzione di base e i livelli di formazione specialistica. Non solo i giovani dovrebbero beneficiare dei programmi di apprendimento lungo tutto l’arco della vita, ma anche gli anziani che vorranno lavorare più a lungo e che possono gestire un consistente carico di lavoro, che hanno competenze elevate e sono altamente motivati.

Non dovremmo aspettarci troppo dalla relazione di iniziativa dell’onorevole Castex. Lo status giuridico dei servizi sociali di interesse generale resta controverso. Siamo contrari a una direttiva quadro paneuropea o a regolamenti vincolanti. Inoltre, le società pensionistiche istituite su base volontaria non dovrebbero essere gravate da ulteriori obblighi quali, per esempio, i criteri relativi alla politica familiare. È una questione di sicurezza sociale, una questione di tasse, e pertanto un classico problema degli Stati membri.

Con queste considerazioni e gli emendamenti proposti dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, la relazione ha assunto maggiore significato. Con il presente documento, possiamo svolgere una discussione di portata adeguata sulle conseguenze dei radicali cambiamenti demografici.

 
  
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  Alejandro Cercas (PSE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, vi ringrazio molto per aver partecipato a questo dibattito molto interessante. Desidero inoltre ringraziare l’onorevole Castex per aver elaborato la presente relazione consentendoci di approfondire una discussione che ci sta aiutando molto.

In un paese come il mio, la Spagna, che sta attraversando una crisi demografica più grave, se possibile, della media dell’Unione europea, questo tipo di comunicazione della Commissione e di dibattito sono molto utili, in quanto si tratta di un problema strutturale e profondamente radicato e non di una situazione a breve termine, e tutto questo porta la questione al di fuori della discussione politica nazionale e la rende di portata più ampia, con maggiore capacità di analisi e di risposta.

Infatti, come ha affermato il signor Commissario, stiamo affrontando un problema, ma abbiamo anche un’opportunità, che potrebbe concretizzarsi non solo affrontando le conseguenze del problema (ossia che ci sono più anziani in Europa e che la popolazione sta invecchiando), ma anche le sue cause.

È necessario evitare che l’Europa invecchi, poiché non potremo evitare di avere più anziani: la scienza e la medicina ci hanno condotto a questo punto e si continuerà a progredire. Il problema, come affermato da altri deputati, è che abbiamo bisogno di politiche delle nascite, di politiche demografiche e di bambini in Europa, è questo ciò di cui necessitiamo. Occorre lavorare in tutti i settori, ma con la consapevolezza che si tratta di un problema grave e complesso che trasmetteremo alle generazioni future se non gettiamo le basi per risolverlo adesso.

Sono tra coloro che credono che il modello sociale europeo non sia il problema, ma che al contrario potrebbe essere la soluzione.

L’invecchiamento dell’Europa e il basso tasso di natalità nel continente sarebbero ancora più gravi in assenza del nostro sistema sociale. Altre società quali, per esempio, la Cina, in cui avranno esperienza di qualcosa di molto simile, pagheranno ancora più caro di noi la mancanza di modelli sociali efficienti, intelligenti e razionali.

Poiché il problema, in breve, sarà che il cambiamento è inevitabile e che noi saremo obbligati a cambiare. Il nostro sistema sociale può modificare le sue tecniche lasciando invariati i suoi valori. Ritengo che le questioni fondamentali siano la solidarietà, il ricongiungimento familiare e la vita professionale (per offrire nuove opportunità alle famiglie per produrre nuove generazioni), l’accoglienza degli immigrati, non come un peso, non come qualcosa di negativo per le nostre società, ma come un fenomeno che, se siamo in grado di integrare, contribuirà ancora una volta ad affrontare il problema. Infine, è necessario vi sia una discussione importante sul ruolo delle donne nella nostra società, una discussione che deve essere condotta, come sempre, alla luce della solidarietà.

(Applausi)

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE).(ET) Signor Commissario, signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi la media del tasso di natalità in Europa è 1,5, ma questo significa che la popolazione è a crescita zero. Gli Stati membri hanno studiato la situazione e le loro indagini mostrano che in media le persone desiderano due o tre figli. È evidente che non c’è corrispondenza tra i desideri delle persone e la realtà.

Siamo nel XXI secolo e le donne molto tempo fa hanno smesso di accontentarsi del ruolo di casalinga e madre. Sono state istruite, desiderano lavorare e fare carriera; la retribuzione che percepiscono per il lavoro offre uno standard di vita migliore per le loro famiglie. Tuttavia, dobbiamo essere in grado di influire sulla natalità, e di fissare una situazione in cui il numero di bambini che una famiglia desidera diventi una realtà. Le nostre famiglie hanno bisogno di percepire la sicurezza che la nascita di un figlio non distruggerà una carriera, in altre parole occorre vi sia un migliore equilibrio tra vita professionale e vita familiare, sia per le madri che per i padri.

I genitori desiderano godere della certezza di poter offrire ai propri figli una buona istruzione e le competenze per perseguire i loro interessi, con il sostegno concreto dello Stato, qualora necessario. In mancanza di tale senso di sicurezza le persone non faranno figli. L’immigrazione quale strumento di crescita della popolazione è una strada semplice da imboccare. È solo un approccio parziale e a breve termine. Dovremmo prestare maggiore attenzione all’innovazione e non all’immigrazione.

Il tempo non mi consente di parlare di tutti i fattori ma vorrei sottolineare che la situazione demografica dipende in gran parte da una serie di decisioni e norme giuridiche in ambiti che variano dal diritto del lavoro e di famiglia alla normativa ambientale e di sicurezza nazionale. Per concludere, desidero ringraziare l’onorevole Castex per la sua importante relazione che contiene molta empatia femminile.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN).(PL) Signor Presidente, la proposta di risoluzione presta ancora una volta attenzione alla minaccia demografica che si trova dinanzi all’Europa. La responsabilità per il futuro del nostro continente e per il suo sviluppo sociale ed economico, richiede che venga posta speciale attenzione a questa questione. Un tasso di natalità di circa l’1,5 di media è troppo basso. Al fine di garantire un semplice ricambio generazionale, questo dato deve superare il 2,15.

La promozione delle famiglie modello con un numero ridotto di figli o nessuno, condizioni di vita familiare che non garantiscono una situazione economica dignitosa e stabile (quale risultato dell’impatto della disoccupazione e degli standard lavorativi inferiori, in particolare per quanto riguarda la durata dell’impiego) e la punizione delle donne per la maternità attraverso i regimi pensionistici, hanno sicuramente contribuito alle minacce che sono emerse. L’invecchiamento della società, che deriva in larga misura dal fenomeno, altrimenti positivo, della vita umana più lunga, ma anche dal peggioramento del rapporto tra il numero di persone con un impiego remunerativo e il numero dei pensionati, sta provocando importanti problemi finanziari per i regimi pensionistici. In tale situazione, è necessario intraprendere azioni al fine di determinare un cambiamento.

Tuttavia, non concordo con l’opinione contenuta nella relazione che questo problema per noi verrà risolto dai movimenti migratori. Gli studi condotti in Polonia dall’Istituto per l’economia di mercato indicano che l’aumento del numero della popolazione raggiunto con questo metodo sarà di appena il 2-3%, in altre parole sin troppo basso. Questo metodo solleva inoltre problemi sociali, come si può al momento osservare in Danimarca, Francia e Germania. I processi di integrazione richiedono molto tempo.

A questo punto, desidero richiamare la vostra attenzione sui suggerimenti della relazione riguardanti i diritti delle famiglie dei migranti economici. Gli emendamenti da me proposti derivano da una mancanza di precisione sul significato di famiglia nel senso previsto dalla legge del paese di origine dell’emigrante, o del paese che accoglie l’immigrato. Sono particolarmente preoccupata di una potenziale poligamia e delle conseguenze giuridiche ed economiche da essa derivanti nel caso dei servizi sociali resi disponibili a queste famiglie. Desidero inoltre…

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Bernard Wojciechowski (IND/DEM). – (EN) Signor Presidente, nella presente relazione la parola “integrazione” è stata usata 24 volte. L’integrazione degli immigrati proposta senza fare i conti con le tasche dei contribuenti nazionali, non ha tenuto in considerazione un aspetto importante, in particolare la religione e la civilizzazione. I laici militanti di origine socialista evitano l’argomento, nonostante la popolazione musulmana stia aumentando in fretta.

Entro il 2025, una su tre persone residenti in Europa occidentale può essere, o sarà, musulmana. L’arcivescovo di Canterbury ha suggerito di recente che l’Europa dovrebbe adottare la Shari’a, che il Presidente e i membri di questo Parlamento chiamerebbero probabilmente “multiculturalismo”. Questo conduce in primo luogo a una discussione confusa che si sta sviluppando sui modi e le possibilità di integrazione e assimilazione dei nuovi immigrati che affluiscono nel continente.

Assimilazione vuol dire che gli immigrati assorbirebbero e verrebbero assorbiti dalla civilizzazione europea, o che si unirebbero ai discendenti delle antiche nazioni europee per creare una sorta di nuovo uomo europeo? O la creazione di una civilizzazione comune non è auspicabile o impossibile?

Nonostante l’Europa abbia sempre avuto la sua piena condivisione di diverse culture, ha anche avuto una cultura o civilizzazione cristiana tradizionale che, per così dire, molti dei suoi cittadini, a prescindere dalla loro identità, hanno condiviso. Per circa 20 secoli, tale civilizzazione è stata la componente centrale e permanente dell’eredità europea. È necessario domandarsi: l’Europa sarebbe quello che è oggi se, nel VII e VIII secolo, le ceneri dell’antica Roma fossero state conquistate e colonizzate non da società cristiane ma musulmane o di altra identità? La risposta è semplice, no. Non ci sarebbe Europa. Ci sarebbe l’Egitto o la Libia.

Per fortunata, esistono persone che non accetteranno i diritti culturali quali copertura della Shari’a. La religione sarebbe protetta dallo Stato, lo Stato europeo, in particolare. È solo la cristianità che può integrare altre religioni in un progetto europeo condiviso, non può farlo attraverso il riconoscimento di ideologie laiche. Ritengo che l’Europa possa farlo e che gli europei dovrebbero riaffidarsi alla cultura e alle tradizioni e valori cristiani di libertà, uguaglianza, diritti di legge e individuale che, per oltre 20 secoli, sono stati abbracciati dagli europei di tutte le nazioni e sono stati fonte di prosperità e leadership morale nel mondo.

La presente relazione non può integrare niente e nessuno. È un simbolo del condannato a morte. Può creare un continente di zombi, inconsapevoli delle loro identità nazionali.

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE). (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la crescente aspettativa di vita e il costante calo delle nascite determineranno la crescita dell’indice demografico europeo dall’attuale 49% al 59% entro il 2025 e al 77% entro il 2050.

Pertanto l’Unione europea sta affrontando un problema senza precedenti, poiché in futuro le città avranno una proporzione molto elevata di anziani e la società sarà molto diversa, quindi, da quella di oggi.

Tale tendenza provocherà profondi cambiamenti negli aspetti importanti delle politiche pubbliche. Oltre alla sicurezza sociale, sarà necessario apportare modifiche nei servizi sanitari e di assistenza, in politica fiscale, nella progettazione spaziale, nell’immigrazione, sicurezza, cultura, turismo, tempo libero, e così via.

Anche il finanziamento dei regimi pensionistici dovrà essere modificato, perché non sia più prevalentemente su base statale, e anche se lo fosse, che i contributi non provengano quasi esclusivamente dagli stipendi.

Date le conseguenze su vasta scala del cambiamento demografico, è necessario che venga considerato dal punto di vista della pubblica amministrazione e della struttura sociale, che richiedono la mobilitazione di tutti gli operatori economici, culturali e sociali in una valutazione strutturata e una discussione sulle diverse opzioni relative alle misure da adottare. Da qui il valore della presente relazione.

Ancora una volta affrontiamo un ambito in cui è essenziale e urgente rafforzare il dialogo sociale; non esiste in effetti altro modo di affrontare la questione.

Concordo con la dichiarazione della Commissione che aumentare il tasso di natalità, in vista dell’urgenza e della portata del problema, implicherà l’elaborazione di una strategia a lungo termine. Questo è l’unico modo in cui saremo in grado di adottare misure preventive e, al contempo, aiutare l’Unione europea ad approfittare delle opportunità che rientrano in una politica di promozione delle nascite.

 
  
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  Harald Ettl (PSE).(DE) Signor Presidente, oggi, a quest’ora tarda, discutiamo una relazione che si occupa del futuro demografico dell’Europa, con il pubblico che è stato virtualmente escluso. La relatrice merita un encomio per questa relazione in quanto in essa ha affrontato le nostre domande esistenziali, sociali e politiche. Il risultato dovrebbe rendere la lettura obbligatoria per tutti gli europarlamentari che si nascondono dietro il pragmatismo quotidiano della politica e l’ignoranza della realtà.

La relazione rivela in quale modo e dove la depressione economica e la concorrenza possano essere combattute con la capacità della società. Esistono anche previsioni relative al modo in cui si evolverà la situazione, affinché apriamo gli occhi e sviluppiamo una filosofia politica di una società globale. Ciò rimanda alla domanda eterna di che cosa costituisce una famiglia, che cosa deve essere modificato, e il fatto che nell’attuale società del benessere, avere figli sia connesso alla paura della povertà.

Nelle società industriali, e questo è la norma, il congedo parentale è negato da macho manager che non hanno mai avuto una vita sociale. Inoltre, è impossibile calcolare il numero di rapporti di lavoro e di posti di lavoro che fanno sì che le persone si domandino se i figli siano “possibili”.

Le misure aggiuntive elencate nella relazione sono necessarie al fine di convertire uno sviluppo demografico in una situazione favorevole per tutte le parti coinvolte. Una cosa è certa: la società del futuro sarà diversa. Ciò che facciamo qui e oggi determinerà se il conflitto generazionale diventerà un’apocalisse socio-politica e accrescerà la possibilità di scontro tra ricchi e poveri, e che i politici siano preparati a pensare a livello politico e lavorare a livello sociopolitico.

La presente relazione è più che una previsione di cattivo tempo che oggi possiamo ignorare, perché la situazione potrebbe migliorare domani. Il documento è un chiaro appello al cambiamento e allo sviluppo della nostra società e, soprattutto, è un’opportunità di accrescere la nostra comprensione personale della società. Di nuovo molte grazie alla relatrice.

 
  
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  Jean Marie Beaupuy (ALDE). (FR) Signor Presidente, signor Commissario, come affermato dall’onorevole Ettl, ci troviamo dinanzi a una grande sfida. Tutti i nostri concittadini hanno capito adesso che il clima è una sfida, ma pochi hanno compreso che la democrazia è una sfida.

Detto questo, tuttavia, dove si colloca il problema demografico in Europa? Certamente nelle città, poiché l’80% della popolazione è concentrata nelle città. Qual è il problema per i cittadini attualmente residenti in città, e per i sindaci, poiché so che altri onorevoli eurodeputati, come me, sono anche sindaci o vicesindaci delle loro città?

Consentitemi due tipi di esempio. Da un lato, quello di genere economico. Casi in cui le città devono accogliere una vasta popolazione o, come in alcune città della Germania orientale, dove assistono alla partenza dei loro abitanti; nel secondo tipo, questo si traduce in abitazioni vuote, strade inutilizzate, quartieri riscaldati senza motivo, scuole vuote, mentre nel primo comporta la costruzione di una scuola per 5 milioni di euro, come ho appena fatto nella mia città, o un nuovo quartiere residenziale per 7 milioni di euro. Ciò costituisce una spesa economica cui le città e i suoi contribuenti devono far fronte.

Tuttavia, non si tratta solo di una sfida economica, ma anche umana, poiché in questi quartieri, quando si vedono le persone isolate, quando l’intero quartiere invecchia, e non è più possibile sentire le grida felici di bambini che giocano per le strade, esiste un problema di relazioni umane. Ci sono posti di lavoro che nessuno vuole, come sapete. Non si trova un idraulico in alcuni piccoli paesi. Non ci sono più infermiere a sufficienza nella mia città. Non abbiamo abbastanza assistenza a domicilio, bisogna aspettare. Invece di ricevere due ore di assistenza al giorno, se ne riceve una. Questo è un grave problema umano.

Signor Commissario, guardando al di là della relazione della collega onorevole Castex, a favore della quale sarò lieto di votare domani, desidero chiederle, in qualità di presidente dell’intergruppo URBAN, di presentare una proposta sulle città per noi, affinché possa essere elaborato nel prossimo futuro un documento per ogni città che ci consenta di comprendere meglio, nonché di controllare, la situazione demografica delle nostre città nel medio e nel lungo termine, al fine di prendere decisioni relative alle abitazioni, ai trasporti, alle scuole, e così via.

 
  
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  Wojciech Roszkowski (UEN).(PL) Signor Presidente, la relazione oggetto di discussione è la dimostrazione dell’inefficacia dell’Unione europea persino nel valutare la situazione. Ci troviamo a bordo di un Titanic demografico, e nessuno ha chiesto all’orchestra neanche di iniziare a suonare, ed eccoci qui, conducendo discussioni di importanza cruciale di sera, quando la partecipazione è minima.

Nell’Unione europea c’è una crisi demografica. La relazione parla di cambiamenti, ma l’argomento del considerando F contraddice chiaramente quello del paragrafo 1. Si parla di sterilità delle donne, e quella degli uomini? Si parla di sterilità delle coppie, come se le coppie omosessuali potessero essere fertili. Si parla di sterilità, ma non vi è alcun riferimento all’aborto, che è la prima causa del calo del numero della popolazione in Europa. Negli ultimi 50 anni, nei 27 Stati membri sono stati praticati circa 75 milioni di aborti. Se non fosse stato per loro, la popolazione dell’Unione europea sarebbe maggiore del 15%, e non ci sarebbe una crisi.

Nell’Unione europea, abbiamo sempre parlato di diritti, e mai di doveri, o di doveri rispetto al futuro. Questo si può descrivere solamente come se gli adulti entrassero in una seconda infanzia. Questo è il motivo per cui viviamo una crisi: i bambini non possono avere figli, e neanche gli anziani, ma senza figli non c’è futuro.

 
  
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  Csaba Őry (PPE-DE).(HU) La ringrazio, signor Presidente. La relazione sul futuro demografico dell’Europa è un documento importante, poiché si occupa della risoluzione di problemi fondamentali quali fermare l’invecchiamento della popolazione, aumentare il desiderio di avere dei figli, accrescere l’equilibrio tra vita professionale e vita familiare, opportunità di lavoro per le donne, l’assistenza agli anziani, risorse per gli indigenti insieme al lavoro, e non ultimo il problema della sostenibilità a lungo termine e la fattibilità finanziaria dei grandi sistemi di welfare sociale.

Al centro di tali questioni c’è la famiglia, la questione della separazione del lavoro nella famiglia, marito e moglie che lavorano entrambi, servizi per la sempre maggiore istruzione dei bambini, e continuare a offrire assistenza agli anziani non autosufficienti. In quale modo gli adulti di una famiglia possono essere incoraggiati a lavorare e ad avere figli contemporaneamente? E occorre anche considerare che, al contempo, desideriamo promuovere un’anzianità attiva a livello di politiche comunitarie, va detto, rendendo attraenti l’impiego assieme a una pensione, alzando il limite di età leggermente di più, nel limite del possibile, e riducendo le pensioni del prepensionamento attraverso incentivi indiretti.

Possiamo raggiungere tali obiettivi, che dipendono l’uno dall’altro, solo se prestiamo particolare attenzione a due aspetti: il sostegno alle famiglie e il miglioramento dello stato di salute della popolazione. È chiaro che possiamo fare affidamento sull’aumento del desiderio di lavorare degli anziani solo se sono in buona salute e in grado di svolgere occupazioni a lungo senza alcun problema.

È spiacevole che molti Stati me