Jim Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, ieri pomeriggio, con un annuncio non programmato in quest’Aula, il Presidente ha fatto una dimostrazione di forza circa l’imposizione di sanzioni finanziarie a un certo numero di deputati per la protesta di dicembre. Vorrei sapere se era giusto che il Presidente pronunciasse il discorso senza usare nei confronti di quei deputati la cortesia basilare di dire loro che avrebbe fatto quell’annuncio e quando? Il Presidente ha parlato molto di cortesia ai membri di quest’Assemblea. Perché allora, io chiedo, nei confronti di noi destinatari del suo annuncio non è stata usata la cortesia di base di dirci che avrebbe proceduto in tal senso? E’ troppo aspettarsi una risposta?
Presidente. − Onorevole Allister, non è compito della Presidenza giudicare sulla cortesia. Il nostro dovere è applicare il Regolamento, e lei può assolutamente essere certo che il Regolamento è stato pienamente rispettato.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, con riferimento, fra l’altro, all’articolo 146 del Regolamento, lei ha appena detto che è suo compito applicare il Regolamento. Non riesco a comprendere perché le sessioni continuino a iniziare con ritardo, talvolta di parecchi minuti o anche di un quarto d’ora. Si spreca così un sacco di denaro dei contribuenti. Lei è molto severo sull’osservanza del regolamento nei confronti degli avversari politici – che vogliono semplicemente un referendum o una corretta democrazia – ma non quando si tratta di lei stesso!
Se lei trattasse tutti allo stesso modo in quest’Aula, allora da tempo avrebbe dovuto avviare un procedimento contro la Presidenza per i numerosi casi di frode grave, perché proprio di questo si tratta, a mio avviso, quando le sedute continuano a iniziare in ritardo, con il conseguente spreco del denaro dei contribuenti.
In questa sede si applicano due pesi e due misure e lei deve accettare il rimprovero che questo è un Parlamento che agisce con arbitrarietà, che mette deliberatamente in disparte gli avversari politici per una serie di cavilli, mentre tollera costantemente i propri affari, anche coprendo frodi gravi!
Presidente. − La ringrazio, onorevole Martin, per le sue interessanti opinioni.
2. La sfida della politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo per i nuovi Stati membri (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione dell’onorevole Danutė Budreikaitė, a nome della commissione per lo sviluppo, sulla sfida che costituisce per i nuovi Stati membri la politica di cooperazione allo sviluppo dell’UE [2007/2140(INI)] (A6-0036/2008).
Danutė Budreikaitė, relatrice. – (LT) Sin dagli allargamenti del 2004 e del 2007, l’Unione europea ha assistito all’adesione di 12 paesi, 10 dei quali portatori di un’esperienza particolare. Sono passati infatti da un’economia pianificata a un’economia di mercato e dal controllo autoritario alla democrazia.
Prima dell’adesione, questi paesi erano beneficiari di aiuti, ma adesso si sono trasformati in donatori nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. La maggior parte di tali paesi non ha precedenti esperienze in materia di politica di cooperazione dell’UE. Con la sottoscrizione del Trattato di adesione, si sono impegnati ad attuare questa politica.
Inoltre, nel 2004, la Commissione ha pubblicato diversi documenti sulla politica europea di vicinato, collegati direttamente agli aiuti ufficiali allo sviluppo dei nuovi Stati membri. A tre anni dall’adesione, è importante esaminare i progressi compiuti dai nuovi paesi donatori nel far fronte alle sfide della cooperazione allo sviluppo.
Vorrei sottolineare che la relazione copre solo i 10 Stati membri che condividono frontiere terrestri con i vicini orientali e che beneficiano della politica di vicinato. Questi 10 Stati membri hanno sempre intrattenuto scambi a lungo termine con i loro vicini e hanno condiviso una storia comune nonché l’aspirazione di raggiungere l’obiettivo dello sviluppo e del consolidamento della democrazia e di aumentare la sicurezza nell’Europa orientale e centrale. I risultati di uno studio speciale mostrano che la maggior parte dei nuovi Stati membri di solito concede aiuti ufficiali allo sviluppo ai propri vicini – i paesi dei Balcani occidentali e la Comunità di Stati indipendenti.
Inoltre, le relazioni fra l’UE e i suoi vicini orientali continuano a essere poco sviluppate, e i nuovi Stati membri, che godono di un vantaggio relativo rispetto ai vecchi Stati membri, possono avere un’influenza positiva sulla posizione geografica e sulla natura della politica di aiuto allo sviluppo. I nuovi Stati membri possono anche condividere la loro recente esperienza della transizione a un’economia di mercato e dell’attuazione di una buona governance, dei principi democratici e dei diritti umani.
Nel frattempo, i nuovi Stati membri stanno dedicando relativamente poca attenzione ai paesi ACP. Gli aiuti a quei paesi sono per lo più di natura socioeconomica: sono predisposti nuovi progetti nel settore dell’istruzione e della salute, sono compiuti sforzi per incoraggiare lo sviluppo del settore pubblico e della società civile e i principi della parità di genere.
I documenti che definiscono la politica di cooperazione allo sviluppo non danno indicazioni su quali paesi dovrebbero ricevere gli aiuti. In considerazione della limitatezza delle risorse finanziarie e umane a disposizione dei nuovi Stati membri, sarebbe meglio per loro concentrare i loro aiuti su una serie specifica di paesi, offrendo assistenza nei settori in cui hanno la maggior parte di esperienza, sia nei paesi vicini che nei paesi ACP.
Per quanto riguarda i problemi incontrati dai nuovi Stati membri nell’attuazione della politica diaiuto allo sviluppo, vorrei sottolineare quanto segue:
1) La maggior parte degli Stati membri non ha definito le priorità principali.
2) Non esiste, praticamente, una pianificazione strategica o un meccanismo di controllo nel contesto della politica di cooperazione allo sviluppo.
3) Il livello di comunicazione fra gli organi che attuano la politica di aiuto allo sviluppo e le ONG è insufficiente.
4) Il livello di iniziativa pubblica è troppo basso, e vi è una generale mancanza di informazioni sulla cooperazione allo sviluppo a disposizione del pubblico nell’UE.
Per avere maggiore successo nell’attuazione della politica di cooperazione allo sviluppo, tutti i paesi interessati dovrebbero condividere le loro esperienze positive, tenendo conto dell’esperienza dei nuovi Stati membri nell’Est. I nuovi Stati membri dovrebbero partecipare alla preparazione di piani per le attività di attuazione della politica di vicinato, garantire un livello più elevato di partecipazione da parte dei parlamenti nazionali e rafforzare le attività delle ONG.
Tuttavia, vorrei sottolineare che i due ultimi allargamenti dell’UE hanno comportato un nuovo atteggiamento verso la politica di cooperazione allo sviluppo e il suo inscindibile legame con la politica europea di vicinato. Quest’ultima è il risultato diretto dell’allargamento. Sia la politica di cooperazione allo sviluppo, sia la politica di vicinato sono componenti integranti delle relazioni politiche ed economiche con altri paesi.
L’istituzionalizzazione della politica di cooperazione allo sviluppo nell’UE avrebbe grande importanza per l’attuazione degli obiettivi menzionati. Rafforzerebbe anche l’efficienza della politica europea di vicinato, insieme a quella degli aiuti ufficiali allo sviluppo, e influenzerebbe favorevolmente il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio.
A tal fine, dovremmo creare un’assemblea dell’UE e dei paesi vicini, che copra la dimensione orientale e gli aiuti ai fini dell’attuazione della politica di cooperazione allo sviluppo e della politica di vicinato. Vorrei chiedere all’Assemblea il sostegno a questa proposta.
Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei iniziare congratulandomi con la relatrice, l’onorevole Budreikaitė, per quest’ eccellente relazione che delinea la sfida della politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo per i nuovi Stati membri.
La sua relazione mi ha ricordato le discussioni e le preoccupazioni che hanno agitato l’opinione pubblica e il mondo politico europeo alla vigilia dell’allargamento, per i dubbi e i timori espressi da una parte e dall’altra sul fatto che l’allargamento avrebbe affievolito la solidarietà verso i paesi in via di sviluppo e avrebbe fatto precipitare l’Africa nell’ordine delle priorità dell’Unione europea. In effetti, tutti i timori erano infondati. Le previsioni e le angosce annunciate non si sono rivelate giustificate. Mai la politica europea di sviluppo è stata così ambiziosa nei suoi obiettivi, mai è stata così coesa nei suoi modi di fare e mai l’Africa ha occupato una posizione così alta nell’agenda della politica estera dell’Unione. La relazione in oggetto conferma che questo è stato possibile, non malgrado, ma grazie all’impegno e alla volontà politica dei nuovi Stati di assumersi appieno le loro responsabilità.
Guardiamo dapprima alla questione del finanziamento. Certo, i nuovi Stati membri hanno ancora della strada da percorrere prima di raggiungere gli obiettivi fissati per il 2010; certo, è essenziale che più paesi stabiliscano calendari pluriennali per l’aumento dell’aiuto, esercizio questo che solo quattro dei dodici paesi hanno già avviato, ma non possiamo proprio dimenticare che lo sforzo collettivo compiuto da questi dodici Stati membri è alquanto rilevante. Sin dalla loro adesione all’Unione europea, questi paesi hanno raddoppiato e in alcuni casi triplicato i loro aiuti. Nel 2007 gli aiuti di questi paesi hanno raggiunto quasi 800 milioni di euro. Inoltre, si sono impegnati a destinare lo 0,33% del loro PIL all’aiuto pubblico allo sviluppo entro il 2015.
Guardiamo poi all’efficacia degli aiuti. L’anno scorso, l’Unione europea ha adottato un codice di comportamento che conteneva una serie di principi per una migliore divisione del lavoro nell’Unione europea. E’ con grande soddisfazione che constato che i nuovi Stati membri vanno a testa alta nell’attuazione di questi principi. I dodici Stati membri applicano tutti il principio della concentrazione degli aiuti su un numero limitato di paesi , approccio questo riconosciuto da tempo fra le migliori pratiche a livello di efficacia.
Diversi di questi nuovi Stati membri condividono inoltre l’attuazione dei loro aiuti con altri Stati membri, attraverso cofinanziamenti, riducendo così i costi amministrativi propri e dei paesi partner. Penso al sostegno – ma ovviamente è solo a titolo di esempio – che la Slovacchia, insieme all’Austria, dà alle infrastrutture in Kenya o all’aiuto nel settore delle risorse idriche concesso dalla Repubblica ceca insieme al Lussemburgo. E questi sono solo gli esempi più indicativi.
Un altro esempio: la maggior parte dei nuovi Stati membri sostiene i paesi in via di sviluppo sulla base del valore aggiunto in settori specifici, quello che deriva dalla loro esperienza della transizione politica ed economica. Penso in particolare agli aiuti nei settori della governance, del rafforzamento delle capacità delle amministrazioni pubbliche o ancora delle riforme economiche.
A mio avviso, queste azioni concordate nel codice di comportamento sulla divisione del lavoro sono fondamentali. In aprile presenterò una prima valutazione dell’attuazione del codice, un anno dopo la sua adozione, accompagnata da analisi e proposte in termini di crescita dell’aiuto e della coerenza. Su questa base, voglio avere un dibattito serio con tutti gli Stati membri su come procedere. A pochi mesi dalla conferenza sull’Accordo sull’efficacia degli aiuti di Accra, il mondo in via di sviluppo conta sull’Europa per mostrare il modo di sopravvivere e ha ragione: L’Europa, infatti, dobbiamo ripeterlo, è di gran lunga il primo finanziatore nel mondo e ha il potenziale e il dovere di dare l’esempio.
La sua relazione mette l’accento su un altro punto fondamentale, ovvero la sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei nuovi Stati membri. E’ vero che, nella maggior parte di questi paesi, gli aiuti allo sviluppo, e in particolare gli aiuti all’Africa, non conoscono una grande tradizione. E’ quindi anche nostra responsabilità continuare a convincere le opinioni pubbliche e dimostrare loro che non si tratta solo di carità, ma di interesse reciproco; penso alla pace e alla sicurezza, al fenomeno migratorio, al cambiamento climatico, alla sicurezza alimentare.
In questa prospettiva, la Commissione europea ha lanciato, a metà febbraio, il terzo programma di rafforzamento delle capacità per i nuovi Stati membri. Attraverso questo programma, la Commissione offre l’esperienza necessaria per sviluppare strategie di comunicazione al fine di consentire alle amministrazioni di comunicare con maggiore efficacia le loro attività al grande pubblico e di sensibilizzare la loro opinione pubblica, soprattutto i media e gli studenti, alle sfide della politica di sviluppo.
Onorevoli deputati, non vi è più una vecchia Europa o una nuova Europa. Non vi è una prima classe, né una seconda classe. Non vi sono Stati vecchi, né Stati nuovi. Vi è un’unica Europa, un’Europa solidale, aperta, politicamente consapevole, latrice anche di valori universali. L’evoluzione della politica di sviluppo dall’ultimo allargamento è la prova stessa che l’Unione europea può allargarsi e acquisire ulteriore significato allo stesso tempo. E’, in fondo, una straordinaria lezione di storia sia per il futuro della politica di sviluppo sia per quello dell’integrazione europea.
Filip Kaczmarek, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signor Presidente, in un’audizione pubblica sulla questione dei nuovi donatori dell’UE, tenuta in quest’Aula nel gennaio dello scorso anno, i partecipanti hanno espresso l’auspicio che la discussione sulla politica di sviluppo dei nuovi Stati membri continuasse nei parlamenti nazionali e negli ulteriori lavori dello stesso Parlamento europeo. Sono quindi molto lieto della relazione dell’onorevole Budreikaitè, la prima relazione nella storia di quest’Assemblea che tenta di analizzare l’impegno dei nuovi Stati membri per quanto riguarda la politica di sviluppo dell’UE e la sfida che essa comporta per tali Stati.
Non è facile sintetizzare tutte le sfide che i nuovi donatori dell’UE devono affrontare in termini di formulazione delle politiche di sviluppo nazionali e di ammodernamento della politica di sviluppo a livello comunitario. Mi limiterò quindi ad alcune questioni più importanti. La prima: il ruolo dei parlamenti nazionali nella determinazione degli aiuti allo sviluppo nei nuovi Stati membri deve essere rafforzato. Senza la creazione di una solida base legale da parte dei parlamenti nazionali, sarà impossibile portare avanti una politica di sviluppo efficace e arrivare ad un adeguato coordinamento della pianificazione e della gestione degli aiuti per i paesi in via di sviluppo. In alcuni paesi, i lavori sulla necessaria legislazione vanno avanti dal 2004 e non sono stati ancora completati. Di conseguenza, fra l’altro, in quei paesi manca un’agenda di attuazione.
E’ necessario lavorare di più per sensibilizzare l’opinione pubblica – e qui concordo con il Commissario Michel sulla sensibilizzazione del pubblico nei nuovi Stati membri in relazione all’importanza della politica di sviluppo. In un periodo transitorio di questo tipo, l’educazione allo sviluppo, una vasta consultazione sociale, la comunicazione di massa e le campagne di informazione possono svolgere un ruolo importante. In mancanza di tali azioni/politiche/iniziative, sarà difficile garantire il consenso dei contribuenti ad aumentare la spesa pubblica in favore della politica di sviluppo. Maggiore sarà la consapevolezza del pubblico, più disposta sarà la società ad accettare l’onere finanziario.
Concordo con il Commissario anche sulla necessità della solidarietà europea nella politica di sviluppo. Dobbiamo coordinare la nostra cooperazione e imparare gli uni dagli altri. Da un lato, l’impegno, la conoscenza derivata dalla storia e il periodo transitorio nei nuovi Stati membri possono aiutare l’intera Unione europea a sviluppare e a rafforzare la democrazia. Dall’altro, la conoscenza derivata dall’esperienza dei vecchi Stati membri, e in particolare dai loro aiuti ai paesi più poveri del mondo, può contribuire ad aumentare e indirizzare gli aiuti allo sviluppo verso quei paesi che ne hanno più bisogno – nell’Africa subsahariana ad esempio, che non è vista come la principale destinazione degli aiuti nei nuovi Stati membri. L’educazione e l’assistenza reciproca possono rendere più efficace la politica di sviluppo dell’intera Unione.
Corina Creţu, a nome del gruppo PSE. – (RO) La relazione che stiamo discutendo oggi ha, a mio avviso, il merito di aiutare i nuovi Stati membri dell’Unione europea a definire nuove politiche e nuovi meccanismi destinati ad aiutare i paesi che ricevono l’attenzione dell’Unione europea.
Sulla base dei valori fondamentali dell’Unione e degli obblighi assunti nell’ambito dei Trattati di cui fanno parte i nostri paesi, i nuovi Stati stanno adesso ridefinendo le politiche in materia di cooperazione allo sviluppo a favore dei paesi che ne hanno bisogno, diversificando i loro strumenti di cooperazione e i settori coperti. Ciò che dice la relatrice nella prefazione è verissimo, nel senso che le priorità non sono definite abbastanza chiaramente e le buone intenzioni sono spesso limitate a causa della mancanza di risorse finanziarie. Sembra che i nuovi Stati membri abbiano ancora bisogno di un periodo di adattamento ai sistemi decisionali del Consiglio e alle sue priorità nel campo della cooperazione allo sviluppo.
La Romania ha una strategia nazionale sulla cooperazione internazionale allo sviluppo, e sostiene lo sviluppo di Stati nelle zone geografiche individuate come zone prioritarie per le relazioni esterne, in particolare l’Europa orientale, i Balcani occidentali e il Caucaso meridionale. Un altro sforzo riguarda la graduale estensione degli aiuti agli Stati africani, in particolare in materia di istruzione.
Sono lieta che quest’anno, il 1° ottobre, la giornata socialista europea per lo sviluppo sarà tenuta a Bucarest e desidero ringraziare – qui e adesso – i miei colleghi socialisti per avere votato all’unanimità a favore della mia proposta di organizzare questo evento in una Stato membro nuovo dell’Unione europea, ovvero la Romania. Elogio questa relazione che rappresenta un utile quadro di concettualizzazione settoriale per i nuovi Stati membri dell’Unione europea.
Toomas Savi, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, martedì il Presidente della Repubblica di Estonia, Toomas Hendrik Ilves, ha detto che dovremmo mettere da parte il termine “nuovi Stati membri”. Questa definizione fa parte anche del titolo della relazione dell’onorevole Budreikaitė. Sebbene concordi in linea di principio con il mio Presidente, il termine ha anche una connotazione positiva, che comporta innovazione e disponibilità alle riforme. La relazione di oggi fornisce una sintesi globale del progresso che i nuovi paesi donatori dell’Unione europea - che erano percettori di aiuti simili fino a dieci anni fa - hanno compiuto nel settore della cooperazione allo sviluppo, mettendo in evidenza sia i limiti sia il potenziale per un ulteriore aumento del contributo alla politica di cooperazione allo sviluppo dell’UE.
Nel 1970, le Nazioni Unite hanno concordato l’obiettivo dello 0,7% del PIL per l’assistenza allo sviluppo per eliminare la povertà estrema - la condizione più umiliante per gli esseri umani. Onorevoli colleghi, non dimentichiamo che questa riguarda circa un terzo della popolazione mondiale. Purtroppo, gli sforzi compiuti finora non sono stati chiaramente sufficienti. Nessuno Stato membro nuovo ha raggiunto l’obiettivo. Lo stesso vale per i vecchi Stati membri, con l’eccezione di Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia. Anche la Norvegia, sebbene non sia uno Stato membro dell’Unione europea, ha raggiunto lo stesso obiettivo.
Vorrei ringraziare l’onorevole Budreikaitė per il notevole lavoro compiuto nella redazione del progetto di relazione e per avere accolto i miei emendamenti e quelli dei colleghi in sede di commissione per lo sviluppo. La relatrice proviene da uno Stato nuovo donatore e la sua relazione sarà senz’altro studiata nei dettagli in quei paesi, compresa l’Estonia.
Infine, il consenso europeo in materia di sviluppo mira a un ulteriore aumento dei fondi stanziati e io incoraggio tutti gli Stati membri a prenderlo in considerazione seriamente. La relazione è un documento lodevole che ci rammenta ancora una volta i nostri impegni, e io invitto tutti i miei colleghi a sostenerlo.
Adam Bielan, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, anch’io desidero congratularmi con l’onorevole Budreikaitė per questa eccellente relazione. Il documento fa riferimento alla dimensione orientale delle relazioni esterne dell’UE e alla necessità di una nuova assemblea sullo stile di EUROLAT o EUROMED − un’assemblea che possa basarsi in particolare sull’esperienza storica dei nuovi Stati membri, compreso il mio, la Polonia.
Concordo appieno con la relatrice su questo punto. L’Europa ha bisogno di una nuova visione per una sfera di influenza più ampia, che si estenda ai Balcani e alla regione del Mar Nero, fino al Caucaso meridionale. La politica dell’UE in relazione a queste regioni è obsoleta. Lo stesso nome di “politica europea di vicinato” è inappropriato e insultante per paesi come l’Ucraina, che senza dubbio fa parte dell’Europa. Il nome dovrebbe essere cambiano in “politica di vicinato dell’Unione europea”, come l’ex ministro degli esteri ucraino, Borys Tarasiuk, ha giustamente sottolineato durante l’ultimo incontro del Consiglio di cooperazione UE-Ucraina.
L’Unione europea deve offrire maggiore sostegno all’Ucraina e alla Georgia e attrarle nella sua sfera di influenza. Questi paesi hanno bisogno del nostro impegno ancora di più rispetto ai paesi dell’Europa centrale prima dell’allargamento del 2004. Hanno bisogno di un approccio individuale da parte dell’Unione europea, non di una politica di vicinato generale che di fatto tratta l’Ucraina allo stesso modo di paesi che storicamente non appartengono all’Europa. L’Ucraina, la Georgia e anche la Bielorussia sono più povere, economicamente più deboli e hanno difficoltà politiche maggiori rispetto ai paesi che hanno aderito all’Unione dopo il 2004.
Negli ultimi anni si è registrato un significativo rafforzamento della posizione della Russia nella regione. La disponibilità della Russia a usare le sue riserve energetiche per un ricatto politico frena l’Unione europea dall’opporsi alle pratiche vergognose del Cremlino, che non hanno niente in comune con la democrazia. In Georgia e Ucraina, Mosca sta cercando di invertire la transizione democratica. La politica di vicinato dell’Unione europea, come dovremmo chiamarla, deve offrire un aiuto politico ed economico immediato ai nostri vicini più prossimi. La Polonia ha già progetti in fase di elaborazione e altri progetti pronti quali il progetto di televisione indipendente Bielsat per la Bielorussia.
Gabriele Zimmer, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, tornando al reale oggetto della relazione, vorrei esprimere all’onorevole Budreikaitė i miei più sinceri ringraziamenti per la sua relazione, che ritengo molto equilibrata e competente. Inoltre, è una relazione molto importante in questo momento perché adesso possiamo procedere ad un bilancio intermedio e quindi tirare le somme a favore di una maggiore cooperazione allo sviluppo da parte dei nuovi Stati membri, con particolare riferimento agli Stati ACP.
E’ evidente che l’adesione all’UE comporta anche l’obbligo derivante dal Trattato di accettare l’acquis communautaire. E’ altrettanto chiaro, tuttavia, che il Trattato è una cosa e la conoscenza pubblica di un importante settore politico nei vari paesi è un’altra. Le statistiche di cui disponiamo lo sottolineano.
La cooperazione allo sviluppo con gli Stati dell’Africa, Asia e America latina spesso non sembra una questione particolarmente urgente in paesi che a loro volta sono ancora in ritardo in termini di sviluppo economico. Ecco perché dobbiamo muoverci insieme per il riconoscimento dell’importanza di questo compito e far sì che continuiamo a perseguirlo, ispirandoci anche alla cooperazione allo sviluppo che certamente esisteva in passato con alcuni Stati, in particolare Stati africani.
Molti legami esistenti prima del 1989 sono stati dissolti rapidamente, senza nemmeno un sussulto. Si sono anche avuti episodi deplorevoli. Alcuni progetti giù avviati in quei paesi adesso sono stati abbandonati. Credo che al riguardo dobbiamo ricominciare da capo.
Sono anche piuttosto triste per il fatto che, in accordo con la Commissione, quasi tutti gli Stati membri dell’Europa centrale e orientale stanno concentrando la loro cooperazione allo sviluppo sulle ex Repubbliche sovietiche, mettendo da parte il reale obiettivo della cooperazione allo sviluppo, ovvero il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Anche se i nuovi Stati membri dovessero riuscire a portare il loro RNL allo 0,17% entro il 2010 come concordato, si deve temere che solo una frazione di quell’importo andrebbe allo sviluppo e al sostegno dei paesi più poveri del mondo.
Ancora una volta, i miei più sentiti ringraziamenti all’onorevole Budreikaitė per la sua relazione.
Frank Vanhecke (NI). – (NL) Credo che questa relazione abbia i suoi meriti. Offre una visione interessante della situazione della cooperazione allo sviluppo nei nuovi Stati membri. E’ un aspetto positivo. Sostanzialmente, però, ritengo che la relazione rappresenti soprattutto un’occasione perduta. Piuttosto che incoraggiare i nuovi Stati membri a mantenere gli obiettivi tradizionali degli aiuti europei allo sviluppo, il Parlamento avrebbe fatto meglio a discutere ampiamente su quegli stessi obiettivi e sulla domanda se ha senso ancora oggi andare avanti con la forma tradizionale di aiuti allo sviluppo.
Ancora una volta, senza un adeguato dibattito, quest’Aula eleva gli obiettivi finanziari a dogmi e ancora una volta rifiuta di riconoscere le cause fondamentali che sono alla base della maggior parte dei problemi dei paesi in via di sviluppo. Di certo per i paesi in via di sviluppo dell’Africa, la causa principale della povertà, della fame, dell’insicurezza e degli enormi problemi sociali ed economici è costituita dal malgoverno di regimi totalmente corrotti.
I nuovi Stati membri sono sollecitati a organizzare campagne d’informazione e di sensibilizzazione. Sono favorevole a questo, ma non dovremmo anche informare la gente del fatto che le nazioni africane spendono più per le armi di quanto ricevono in aiuti allo sviluppo? O che i dirigenti africani detengono miliardi nascosti in banche svizzere, per importi maggiori del valore degli aiuti allo sviluppo di molti anni? Se c’è un segnale che l’Europa dovrebbe dare è che solo le democrazie dove si applica lo Stato di diritto garantiscono alle persone una reale possibilità di migliorare il loro destino, e che in quelle circostanze gli aiuti allo sviluppo saranno efficaci e utili. Al momento, purtroppo, non è così.
Theodor Dumitru Stolojan (PPE-DE). – (RO) Lodo questa relazione che sarà di reale aiuto per i nuovi Stati membri nel compimento degli obblighi assunti in relazione alla politica di cooperazione allo sviluppo.
Sostengo le raccomandazioni formulate nella relazione e desidero puntualizzarne due: prima di tutto, la necessità di una strategia per l’ educazione dei cittadini. Ciò non significa fare capire ai cittadini di uno Stato membro, il cui reddito interno lordo per abitante equivale solo al 38% della media dell’UE, come la Romania, che devono destinare parte delle risorse di bilancio per lo sviluppo di altri paesi, ma è un valore fondamentale dell’Unione europea che ci siamo assunti; e la Romania, che è uno Stato membro che versa in questa situazione, agirà di conseguenza .
Desidero inoltre sottolineare la raccomandazione relativa al trasferimento di esperienza positiva dai vecchi Stati membri al nuovi Stati membri per evitare fallimenti nella cooperazione allo sviluppo, ad esempio fallimenti nel raggiungere i propri obiettivi, inefficienza e possibilità di corruzione negli Stati beneficiari.
Desidero sottolineare l’importanza che dovrebbe essere attribuita allo sviluppo per l’istruzione e la formazione delle risorse umane. In questo contesto, la Romania ha un’esperienza estremamente positiva poiché assegna borse di studio ad allievi e studenti della Repubblica di Moldavia e dell’Ucraina sudoccidentale. Esiste una relazione diretta fra le università rumene e gli allievi e studenti di questi paesi.
Justas Vincas Paleckis (PSE). – (LT) Congratulazioni alla relatrice, onorevole Budreikaitė, per la relazione che deve avere richiesto tempo e sforzi per la sua elaborazione. E’ edificante sapere che in un periodo tanto breve di tempo i nuovi Stati membri sono passati dall’essere beneficiari di aiuti a donatori di aiuti. Tuttavia, la maggior parte di questi paesi, se non tutti, potrebbe lottare per raggiungere l’obiettivo di assegnare lo 0,17% del PIL all’aiuto allo sviluppo dal 2010.
Quale potrebbe essere la ragione? I paesi che hanno aderito all’UE nel XXI secolo sono ancora soffocati dall’etnocentrismo. Sentono che hanno sofferto di più, stanno lottando e necessitano di maggiore assistenza. Tuttavia, fare parte dell’UE e partecipare alla cooperazione allo sviluppo aiuta ad eliminare la ristrettezza di vedute.
Oggi, in Lituania, dove i progetti di assistenza allo sviluppo erano guardati con scetticismo fino a qualche tempo fa, la maggior parte della popolazione crede che tale assistenza sia gradita e necessaria. I nuovi Stati membri si trovano in una posizione di vantaggio, ovvero possono condividere l’esperienza del periodo transitorio con altre regioni del mondo. Abbiamo dimestichezza con le difficoltà con cui stanno lottando i nostri vicini dell’Europa centrale, del Caucaso e dell’Asia, dato che noi stessi di recente abbiamo vissuto avversità simili.
Tuttavia, dobbiamo incentrare la nostra attenzione e il nostro aiuto un po’ più lontano. E’ abbastanza difficile considerare la povertà nei paesi africani e asiatici dalla prospettiva di Vilnius, Varsavia, Budapest o Bucarest, ma dobbiamo renderci conto che aiutando quelli che oggi si trovano in stato di necessità stiamo realmente aiutando noi stessi. Ogni paese su questo pianeta è collegato con gli altri, come nella “legge dei vasi comunicanti”. Il divario sempre più netto fra i paesi più ricchi e quelli più poveri, nonché l’inarrestabile flusso di migranti economici stanno erodendo le fondamenta del mondo.
Insieme agli aiuti di Stato, anche le organizzazioni della società civile svolgono un ruolo molto importane. Il valore del denaro e dei prodotti raccolti attraverso le organizzazioni non governative, le scuole e la chiesa non è molto, ma è altamente apprezzato.
Ryszard Czarnecki (UEN). – (PL) Signor Presidente, il mio paese ha ricevuto aiuti per molti anni a causa della diffusa povertà. Oggi, dopo quattro anni di appartenenza all’Unione europea, la Polonia partecipa sempre più attivamente agli aiuti in favore dei paesi in via di sviluppo. Di recente, ad esempio, abbiamo annullato il fortissimo debito dell’Angola. Diamo anche denaro per sostenere l’élite nei paesi in via di sviluppo, finanziando borse di studio per la Polonia. La nostra idea di fondo è che investire nella conoscenza e nella creazione di un’élite non sia meno importante che fare beneficenza.
Devo dire - forse in disaccordo con alcuni di voi - che gli aiuti in favore dei paesi in via di sviluppo non dovrebbero essere limitati al sostegno per i paesi africani, e vorrei ricordare che il Consenso europeo del 2005 non ci obbliga a convogliare i nostri aiuti allo sviluppo verso l’Africa. Da polacco, sono orgoglioso che il mio paese, un nuovo Stato membro, stanzi la stessa percentuale del suo PNL agli aiuti ai paesi in via di sviluppo della Grecia, che è nell’Unione europea da 27 anni, del Portogallo, Stato membro da 22 anni, e dell’Italia, paese fondatore della Comunità.
Katrin Saks (PSE). – (ET) Vorrei ringraziare la relatrice per una relazione tempestiva ed equilibrata e vorrei formulare alcune osservazioni su questioni che derivano sia dal dibattito precedente sia dal dibattito di oggi in Aula.
Il mio primo punto riguarda l’idea che nei nuovi Stati membri l’atteggiamento della gente verso la cooperazione allo sviluppo e gli aiuti umanitari sia tiepido. Credo che la sensibilizzazione abbia un ruolo molto importante al riguardo. In Estonia è stato realizzato uno studio che ha messo a confronto gli atteggiamenti di oggi con quelli di tre anni fa: le cifre di questi tre anni mostrano che la conoscenza della cooperazione allo sviluppo è migliorata a tal punto che ha reso possibile, non solo a livello di istituzioni, ma anche di popolazione, dare un considerevole sostegno di bilancio, o un aumento di quel sostegno, alla cooperazione allo sviluppo.
E’ importante per il pubblico sapere che il denaro non sta finendo in un buco nero, ma va a paesi specifici per progetti specifici. La cooperazione allo sviluppo dell’Estonia è basata sul principio che la responsabilità per lo sviluppo spetta primariamente ai paesi in via di sviluppo stessi: niente può essere raggiunto con la forza. Per tale motivo, una stretta cooperazione è particolarmente importante e un ottimo esempio è quello della cooperazione fra Estonia e Georgia.
Accolgo quindi con favore il paragrafo 17 della relazione, che dichiara che le maggiori sfide saranno l’aumento dei bilanci e le attività di sensibilizzazione, specialmente del pubblico in generale. Ad esempio, sebbene l’importo stanziato per lo sviluppo internazionale dall’Estonia nel 2006 era pari allo 0,09% del PIL, oggi riteniamo che dovrebbe esserci un aumento e miriamo a raggiungere lo 0,17% del PIL per il 2011, conformemente al programma di cooperazione allo sviluppo adottato nel 2006.
Approvo il fatto che le proposte avanzate dai miei colleghi, i miei colleghi estoni, sono state inserite nella relazione nella fase di stesura e credo che ciò costituisca un cambiamento fondamentale nell’ambito del quale i nuovi Stati membri si sono trasformati da beneficiati in donatori di aiuti; spero che questo sostegno continui a crescere.
Liam Aylward (UEN). – (EN) Signor Presidente, è incredibile che 200 milioni di bambini nel mondo possano essere decritti come lavoratori bambini. E’ una pratica del tutto inaccettabile. La comunità internazionale deve agire in modo più deciso per garantire che i codici internazionali di lotta contro il lavoro minorile siano rigorosamente attuati in tutti i paesi del mondo.
Questa deve essere una questione di primaria importanza nel contesto delle politiche di aiuto allo sviluppo dell’UE in ogni momento. L’UE deve lavorare a più stretto contatto con le Nazioni Unite, l’UNICEF, la Banca mondiale, l’Organizzazione internazionale del lavoro, i donatori e le ONG per introdurre strategie atte a garantire che siano applicate leggi uniformi per porre fine alla pratica inumana del lavoro minorile.
Se vogliamo realmente affrontare il problema del lavoro minorile in tutto il mondo, è necessario un approccio pluridimensionale. Sono necessarie misure di protezione sociale e cambiamenti nella regolamentazione del mercato del lavoro. Il lavoro minorile e le questioni dell’istruzione sono indissolubilmente collegati. I bambini cui viene negato l’accesso all’istruzione hanno più probabilità di essere impiegati nel lavoro minorile. L’Unione europea, quale maggiore donatore del mondo di aiuti allo sviluppo, deve continuare ad agire con fermezza per garantire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio entro il 2015, compresi gli obiettivi fissati dalla comunità internazionale sulla messa a disposizione dell’istruzione a tutti i bambini del mondo.
Mieczysław Edmund Janowski (UEN). – (PL) Signor Presidente, aiutare gli altri quando si è ancora in stato di bisogno è davvero una prova di solidarietà. E’ dimostrata dalle azioni dei 12 Stati che di recente hanno aderito all’Unione europea e dovrebbe essere apprezzata. Lo scorso novembre ho mostrato cosa stesse facendo la Polonia a questo proposito attraverso una mostra intitolata Polish aid to the world. Sono quindi molto grato all’onorevole Budreikaitė per la complessa presentazione della materia.
L’essenza degli obiettivi di sviluppo del Millennio, che discutiamo da anni, è aiutare le persone che vivono in povertà, compresi milioni di bambini malnutriti. Tale aiuto, tuttavia, dovrebbe consistere nel fornire una lenza e abilità di pesca piuttosto che mettere un pesce nel loro piatto.
Dobbiamo anche cercare di realizzare un sistema di scambi più equo con i paesi terzi. E’ necessaria la generosità da parte dei donatori per cancellare i debiti e per una diffusa condivisione dei progressi scientifici, specialmente nella medicina. Facciamo in modo di sostenere scuole e università in quei paesi, così che i loro laureati possano lavorare per soddisfare le esigenze dei loro stessi connazionali. Aiutiamo a risolvere la mancanza di acqua potabile. Noi abitanti dell’Unione europea costituiamo appena il 7,5% della popolazione mondiale, ma il 23% del PIL mondiale. Certo, noi in Europa abbiamo i nostri problemi, anche di natura economica. Ma dobbiamo considerarli in prospettiva. Non rimaniamo indifferenti alla sofferenza di quelli che sono affamati, malati o non istruiti, che vivono in povertà, miseria e pericolo di morte.
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, vorrei tornare su un’osservazione fatta dal Commissario nella sua dichiarazione introduttiva, ovvero che non dovremmo limitarci a dare aiuti allo sviluppo, ma potremmo e dovremmo collegarli a questioni generali – non nel senso di una politica dei poteri o di politiche liberamente condotte una volta dagli USA e dall’ex Unione sovietica e da Russia e Cina oggi, ma nel senso di una buona governance, dei diritti umani e della lotta contro la corruzione. Sono questioni che dovremmo scrivere sui nostri striscioni – e non mi riferisco solo ai nuovi Stati membri e alla loro politica di aiuti allo sviluppo, ma a tutti noi. Forse è un’opportunità pratica per dare ancora più importanza a quelle questioni.
Jan Zahradil (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, certo la relazione è molto utile. Lo sviluppo in questo settore è molto dinamico e anche più avanzato rispetto a quanto si legge nella relazione. Ad esempio, la relazione non riposta il fatto che alcuni nuovi Stati membri hanno già creato organizzazioni per lo sviluppo.
Tuttavia, vorrei parlare di qualcos’altro. Vorrei sfatare il mito ben radicato che i nuovi Stati membri non hanno esperienza in questo campo. Abbiamo quest’esperienza, sebbene acquisita quando l’Europa era divisa, dietro la cortina di ferro, in un regime diverso dove ogni cosa era ideologicamente e politicamente motivata. Rimane il fatto che eravamo abituati a costruire centrali nucleari e birrifici, e a fornire aiuti agricoli ai paesi in via di sviluppo. Ad ogni modo, siamo ancora in debito da allora e alcuni debiti sono alquanto consistenti, ma adesso non importa. Semplicemente abbiamo il know-how. Vorrei cogliere quest’opportunità anche per chiedere alla Commissione di non pensare ai nuovi Stati membri come a paesi inesperti, ma piuttosto di fare un uso efficiente della loro pregressa conoscenza.
Miloslav Ransdorf (GUE/NGL). – (CS) Signor Presidente, vorrei riprendere da dove ha finito il collega Zahradil. Ha perfettamente ragione. In passato, la Cecoslovacchia, proprio come altri paesi del blocco sovietico, era attiva nei paesi in via di sviluppo. Il nostro paese ha partecipato con successo ad aiutare le economie di questi paesi e adesso possiamo mettere a frutto questo potenziale.
Vi sono anche alcuni aspetti negativi, sebbene dovuti al fatto che le risorse per la crescita esterna non possono mai sostituire le risorse interne; le economie che si trovano in questa situazione spesso sono incapaci di svilupparsi dall’interno.
Qualche tempo fa, in realtà molto tempo fa, Gunnar Myrdal ha pubblicato il suo libro “Dramma asiatico”. In questo libro mette a confronto l’ottimismo avvertito dopo la Seconda guerra mondiale, ad esempio in Africa, con il pessimismo prevalente nei paesi asiatici. Oggi, la situazione è abbastanza diversa. Molti paesi asiatici mostrano una forte crescita, mentre l’Africa attrae solo il 2% degli investimenti mondiali e le economie in molti dei suoi paesi si trovano in serie difficoltà.
Anche il collegamento con il comportamento delle classi dirigenti in queste due regioni era fortemente divergente. Uno studio francese mette a confronto il comportamento di queste classi e mostra che mentre l’élite asiatica investiva nell’economia, quella africana accumulava le risorse che erano state create e le portava via dai propri territori.
Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, vorrei ringraziare innanzitutto tutti gli oratori per l’altissimo livello e la pertinenza dei loro interventi che hanno rispecchiato punto per punto tutte le mie preoccupazioni. Vorrei ringraziare inoltre la Presidenza slovena che ha seguito un approccio decisamente innovativo, che lavora per incoraggiare e dinamizzare la riflessione sulle politiche di sviluppo in numerosi Stati membri e che, finora, ha già organizzato due riunioni estremamente produttive su tali questioni.
Per quanto riguarda le osservazioni sui livelli dell’aiuto, ovvero la quantità di denaro necessario, comprendo perfettamente la difficoltà affrontata dai nuovi Stati membri. Ma vorrei ricordare tuttavia - e voi l’avete detto, del resto, in modo generale - che esistono diverse alternative per coinvolgere e utilizzare i trasferimenti di esperienza, che costano molto poco. Ho sentito un’oratrice parlare di progetti di cooperazione a livello d’istruzione. E’ chiaro che, ad esempio, l’invio di formatori o di insegnanti in alcuni paesi dell’Africa costa relativamente poco, ma rappresenta un contributo estremamente importante per il paese che ne beneficia.
Penso che il dibattito subliminale che viene suggerito qui, ovvero sapere se i nuovi Stati membri dovrebbero investire nei paesi del loro vicinato – non ho un’altra formula semantica per vicinato, ma posso cercarla – o piuttosto investire in Africa, sia un dibattito falsato. Comprendo perfettamente che investire nel vicinato è di certo più attraente, più facile da giustificare e raggiunge meglio l’opinione pubblica del vostro paese e i potenziali partner delle politiche di sviluppo. Ma l’uno non esclude l’altro, e il valore pedagogico per i giovani di un popolo che decide di investire anche in Africa e di aprirsi all’Africa, ad esempio, è eccezionale perché esprime evidentemente valori che sono i valori dell’Europa, valori universali. Vorrei dirvi che, se mi permetto di suggerire quanto meno che i nuovi Stati membri non rimangano assenti dall’Africa – e questo è stato detto –, è perché alcuni dei vostri paesi hanno già un’esperienza pregressa in Africa, un’esperienza che, del resto, ha lasciato in generale tracce abbastanza positive, e in particolare a livello della costruzione di alcuni Stati e di alcuni servizi di Stato in cui è rimasta presente una vera e propria competenza.
In secondo luogo, onorevoli deputati, vorrei dire che l’Africa è in ritardo rispetto agli obiettivi del Millennio. Si conseguiranno gli obiettivi del Millennio in tutti i paesi in via di sviluppo tranne, proprio, in Africa. Mi permetto quindi di dire che abbiamo una parte di responsabilità o di corresponsabilità a non ridurre gli investimenti in Africa e insisto sullo scambio di competenze, come ha già detto un’oratrice. E’ chiaro che promuovere o incoraggiare le nostre università, le nostre scuole, i nostri comuni e i nostri poteri locali a partecipare agli scambi con i paesi in via di sviluppo sono piste poco costose ed efficaci. Desidero sinceramente invitare rappresentanti dei paesi detti “nuovi” ad accompagnarmi in alcune missioni. Credo che sia di estrema importanza che possano innanzi tutto percepire l’ampiezza delle sfide, ma anche, ovviamente, il dramma tragico, il dramma orribile al quale sono confrontate alcune popolazioni.
Infine, vorrei mettere l’accento su tutto ciò che riguarda la governance – settore che ha davvero un grandissimo valore aggiunto, forse a volte più grande di quello che abbiamo nei nostri paesi, come è già stato detto. Perché, in sostanza, che cos’è la governance? La governance è la capacità di uno Stato di assicurare le sue principali funzioni sovrane e di garantire alla popolazione servizi sociali di base minimi. Credo che, a livello di governance, voi possiate fornire un grande contributo, vale a dire tutto ciò che attiene alla costruzione di uno Stato e credo che ciò sia stato detto dall’onorevole Lambsdorff – tutto ciò che riguarda in particolare il passaggio da un periodo di transizione verso la costruzione di uno Stato o di strutture più definitive. Penso all’imposizione fiscale, alla creazione di amministrazioni vicine alle persone, al principio di sussidiarietà, al decentramento. Tutti questi aspetti sono di certo fondamentali per la costruzione di Stati che possano essere realmente al servizio della popolazione e voi potete svolgere un ruolo importante.
Penso che sarebbe interessante, a seguito di questo dibattito – e in ogni caso è una proposta che farò – invitare i dodici paesi cosiddetti “nuovi” a lavorare con la Commissione a partire dalla programmazione del decimo Fondo europeo di sviluppo. Per il momento, abbiamo quasi completato la programmazione del decimo Fondo europeo di sviluppo. Sarebbe interessante associare i nuovi Stati membri per determinare insieme a loro quale tipo di associazione preferirebbero, paese per paese. Possiamo invitarli, ad esempio, a fare formazione in materia di giustizia, a livello di amministrazione, di insegnamento, settori in cui potrebbero mettere a disposizione alcuni dei loro esperti. Alcuni dei paesi nuovi hanno esperienza, ad esempio, nell’e-government; vi sono paesi in Africa che necessitano questo tipo di competenza. Per questo motivo avanzo questa proposta. Penso che sia stato importante svolgere questo dibattito e mi rendo ben conto che esistono piste realmente interessanti. Detto questo, se vogliamo davvero essere efficaci e fare avanzare le cose, vi propongo di programmare rapidamente una riunione con i rappresentanti di questi dodici paesi ai fini di una lettura attiva, in modo da produrre realmente programmazioni comuni nelle prossime settimane. E’ un’opportunità che non bisogna perdere, mi sembra.
Ultimo elemento: avete parlato di condizionalità. Posso comprendere appieno questo punto di vista. Tutto ciò che riguarda i valori, i diritti dell’uomo, il rispetto dei diritti umani, la lotta contro la corruzione, tutti questi elementi mi sembrano molto importanti, ma a volte è difficile, e anche controproducente, legare o condizionare gli aiuti allo sviluppo al rispetto rigoroso di questo tipo di valori, che evidentemente ci stanno molto a cuore. Bisogna rendersi conto, infatti, che quando si impone un legame o una condizione a un valore nei paesi in cui questa esigenza non è rispettata, a pagarne lo scotto saranno in primo luogo le popolazioni. E il nostro modo di reagire a questo problema consiste, nei paesi che non rispettano la buona governance, nel lavorare con operatori, operatori indiretti locali, ONG, o agenti delle Nazioni Unite. Noi offriamo aiuti finanziari solo ai paesi in cui è assicurata una governance minima. Dunque, penso che siamo sicuramente d’accordo su questo approccio. Suddetti valori sono quei valori che veicoliamo e abbiamo sempre veicolato. Cerchiamo tutto il tempo di promuovere e portare avanti questi valori attraverso il dialogo politico. Ma una stretta condizionalità è difficile da praticare se vogliamo veramente aiutare le popolazioni, e questo è quanto meno l’obiettivo principale.
Danutė Budreikaitė, relatrice. – (LT) I miei sinceri ringraziamenti a tutti coloro che hanno partecipato alla discussione e sostenuto la mia relazione. Vorrei ringraziare anche tutti i membri della commissione per lo sviluppo per avere votato all’unanimità in suo favore.
Vorrei sottolineare diverse questioni. I “nuovi Stati membri” – in realtà il termine continua ad essere una sorta di condizione, rendendo più facile distinguere fra i “vecchi Stati membri” e quelli che hanno aderito all’UE dopo due allargamenti, a causa del loro particolare passato storico e forse perché sono più poveri di quelli vecchi.
Vorrei menzionare l’esperienza della politica di cooperazione allo sviluppo. Questa politica ha iniziato ad essere applicata nel 1958. I paesi dell’Europa centrale - la Repubblica ceca, la Slovacchia e altri - hanno avuto maggiore esperienza di partecipazione alla cooperazione allo sviluppo. La partecipazione degli Stati baltici è stata molto più limitata. Tuttavia, il mio paese partecipa attualmente all’assistenza per la ricerca oceanologica a Mauritius, paese africano. I progressi sono evidenti.
Perché metto l’accento sulla dimensione “orientale”, sui “paesi orientali”? Sono nostri vicini molto importanti. Non ha senso cercare di tracciare i confini fra la politica di vicinato e quella di cooperazione allo sviluppo o avere politici che discutono dei dettagli. Queste nozioni sono collegate. In Bielorussia, nostro vicino, alcune persone sopravvivono con meno di due dollari al giorno. A quale gruppo di paesi appartiene questo paese, allora? Anche questi paesi sono arretrati e chiedono di essere aiutati, insistendo che dovrebbero ricevere assistenza. Noi tutti vogliamo che i nostri vicini abbiano una qualità di vita decente. Sembriamo quindi perseguire gli stessi obiettivi globali.
Partecipiamo all’assistenza ai paesi africani nella lotta contro la povertà, riducendo il livello di migrazione, aumentando la qualità di vita, promuovendo la loro economia, consentendo loro di combattere malattie e diventare autosufficienti. Mentre assistiamo i paesi vicini nella lotta contro la povertà, dando un aiuto ogniqualvolta possiamo e laddove possediamo un’esperienza rilevante, contribuiamo anche alla stabilizzazione di tutta l’Europa e della regione dei Balcani. Grazie a voi tutti per avere partecipato alla discussione e per il vostro sostegno.
Presidente. − - La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà alle 12.00.
Dichiarazione scritte (articolo 142)
Sebastian Valentin Bodu (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Sebbene il progetto di risoluzione in discussione abbia obiettivi ambiziosi, credo che sarà difficile raggiungere una politica comune nel prossimo futuro, anche per una questione di principio. Pur formando tutti una grande famiglia, ogni Stato membro dell’UE ha le sue priorità rispetto ai paesi o alle regioni geografiche cui attualmente è offerta la cooperazione allo sviluppo regionale, priorità motivate da interessi economici, geopolitici, etnici, storici, ecc., ed è improbabile che questo modello possa cambiare in misura significativa. Il recente incidente collegato alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo ha mostrato una mancanza di unità fra gli Stati membri in termini di opinione e, per gli stessi motivi, è probabile che la stessa diversità di opinione sarà mostrata quando si discute della situazione dei nostri vicini extracomunitari. E’ vero che è stato compiuto un passo importante con la nomina dell’Alto rappresentante dell’UE per gli Affari esteri, in virtù del Trattato di Lisbona. Tuttavia, grazie alla mancanza di regole chiare sulla determinazione di priorità comunitarie, ogni Stato membro cercherà di promuovere e di incentrarsi sulle politiche di sviluppo, compreso il finanziamento (stanziamenti a titolo dei bilancio dell’UE) sulle regioni extracomunitarie che coincidono con le loro priorità.
PRESIDENZA DELL’ON. MIGUEL ANGEL MARTÍNEZ Vicepresidente
3. Parità di genere ed emancipazione femminile nella cooperazione allo sviluppo (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione, presentata dall’onorevole Feleknas Uca a nome della commissione per lo sviluppo, sulla parità di genere e l’emancipazione femminile nella cooperazione allo sviluppo [2007/2182(INI)] (A6-0035/2008).
Feleknas Uca, relatrice. − (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, cinque giorni fa abbiamo celebrato il 100° anniversario della Giornata internazionale della donna. Molto è stato raggiunto, eppure non vi è ancora traccia di parità di opportunità nei paesi più poveri di questo mondo. I diritti umani delle donne e delle bambine sono ancora lungi dall’essere parte inalienabile, integrante e indivisibile dei diritti umani universali, invocati nella dichiarazione di Vienna delle Nazioni Unite del 1993.
Nella mia relazione ho trattato nei dettagli la situazione delle donne e delle bambine nei paesi in via di sviluppo e ho anche guardato ai modi in cui la cooperazione allo sviluppo europea può migliorare le vite di queste donne. Citerò in breve alcuni fatti e alcune cifre.
Due terzi degli analfabeti nel mondo sono donne. Più del 40% delle donne in Africa non ha frequentato la scuola primaria. In Africa, le donne costituiscono il 52% della popolazione totale, ma contribuiscono per il 75% al lavoro agricolo e producono e commercializzano il 60-80% dei prodotti alimentari.
La strategia aggiornata della Commissione per la parità delle donne e la partecipazione alla cooperazione allo sviluppo si rivolge a settori importanti e propone azioni concrete per promuovere la parità. L’approccio duale della strategia, che rende l’integrazione di genere più efficiente e propone misure separate per promuovere la parità, è ben accetta. Anch’io plaudo alle 41 misure pratiche nei settori relativi a governance responsabile, occupazione, economia, istruzione, sanità e violenza contro le donne. Tuttavia, nella mia relazione ho criticato diversi punti. Vorrei discutere in breve i più importanti.
Credo che la lotta contro le forme tradizionali di violenza dovrebbe essere alla base delle misure per combattere la violenza contro le donne. In secondo luogo, sono abbastanza sorpresa dal fatto che la strategia non menzioni gli accordi di partenariato europeo. In nessun punto si fa riferimento al legame fra il rafforzamento del ruolo delle donne e gli accordi economici fra l’UE e gli Stati ACP. Per quanto riguarda la situazione specifica delle donne nei conflitti, deploro il fatto che la strategia non commenti il ruolo specifico che le donne svolgono in quelli che sono definiti Stati deboli e nei paesi meno sviluppati. Un’attenzione speciale dovrebbe andare anche alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti delle donne nei paesi in via di sviluppo.
Deploro in modo particolare che la maggior parte degli emendamenti proposti siano finalizzati ancora una volta alla cancellazione di passaggi dalla relazione che chiedono il diritto per le donne di decidere liberamente e autonomamente del loro corpo e della loro vita. Non voglio sembrare presuntuosa, ma la mia relazione non dovrebbe essere ridotta a questo. Al riguardo, accolgo positivamente gli emendamenti proposti dall’onorevole Buitenweg a nome dei Verdi e la ringrazio per i suoi importanti contributi.
Per quanto riguarda la salute riproduttiva, voglio solo dire quanto segue: ogni donna ha il diritto di decidere liberamente e autonomamente del proprio corpo e della propria vita. Il pieno accesso delle donne alla salute sessuale e riproduttiva è una condizione essenziale per raggiungere la parità di genere. Finché alle donne sarà rifiutato quell’accesso, saranno altri a decidere dei corpi e delle vite delle donne. Di sicuro, nessuno che sia seriamente preoccupato della tradizione umanista dell’Europa, con i nostri valori condivisi e con il rispetto per i diritti umani, potrebbe volerlo!
(Applausi)
Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, consentitemi innanzitutto di congratularmi con la relatrice per questa relazione estremamente completa su una questione trasversale di grande importanza. Infatti, una maggiore partecipazione delle donne all’economia e un’equa divisione del potere fra uomini e donne sono condizioni essenziali per lo sviluppo. Senza garantire la parità uomo-donna per lo sviluppo, non raggiungeremo mai né gli obiettivi del Millennio, né una crescita economica sostenibile.
Perché nell’Africa subsahariana la percentuale di donne impiegate è solo il 34 % della forza lavoro occupata regolarmente? Perché queste donne guadagnano solo il 10 % del reddito totale e perché possiedono sono l’1 % dei beni? Si tratta di domande molto importanti. E perché, come chiede la relazione, il 70% dell’1,3 miliardi di persone che vivono in assoluta povertà sono donne? E’ la prova evidente di un particolare tipo di dramma intrinsecamente legato all’essere donna. E’ triste, ma vi sono troppe questioni di questo tipo. Nemmeno in Europa, nemmeno nei parlamenti nazionali dei nostri Stati membri, dove la partecipazione delle donne è abbastanza elevata, esiste la garanzia che le priorità delle donne siano sempre all’ordine del giorno.
Per quanto riguarda la nostra politica con i nostri paesi partner, siamo consapevoli che dobbiamo impegnarci in un dialogo politico estremamente scrupoloso. Posso dirvi che il dialogo sulla parità dei sessi non è sempre semplice, ad esempio quando si tratta di sostenere l’elaborazione di statistiche disaggregate o di chiedere una maggiore attenzione ai settori sociali nella predisposizione del bilancio, perché spesso l’istruzione o la salute non sono vere priorità, pur sapendo che la salute e l’istruzione delle donne sono elementi chiave dello sviluppo.
Tutte questi argomenti sono alla base della comunicazione sulla parità dei sessi nella cooperazione allo sviluppo che la Commissione europea ha adottato l’8 marzo 2007. Questa politica costituisce una risposta agli impegni assunti nel Consenso europeo sullo sviluppo per quanto riguarda la parità fra uomini e donne in tutte le nostre politiche e pratiche di cooperazione. L’ambizione di questa comunicazione è elaborare una visione europea e offrire un sostegno armonizzato per la promozione della parità dei sessi in tutte le regioni e in tutti i paesi in via di sviluppo.
La comunicazione serve anche da guida per le nuove modalità di aiuto, in particolare il sostegno al bilancio. Contrariamente alle critiche formulate nella relazione, io sono del parere che il sostegno al bilancio offre nuove opportunità per promuovere efficacemente la parità uomo-donna. Perché? Ho già avuto spesso l’occasione di accennare ai motivi per i quali, nella misura del possibile, ero a favore del sostegno al bilancio. Il fatto di impegnarci nel sostegno al bilancio ci dà un’influenza incomparabilmente più potente nel dialogo politico con le autorità del paese partner. Ci consente, ad esempio, di discutere su opzioni politiche e, fra l’altro, sulla necessità di sviluppare meglio le potenzialità delle donne nello sviluppo economico e sociale di un paese. Inoltre, in questo caso, basiamo il nostro sostegno sulla verifica di risultati tangibili presentati o rivelati da indicatori sempre disaggregati per genere e che quindi mostrano chiaramente i divari donne e uomini laddove esistono. Gli obiettivi che noi usiamo per misurare i risultati di un paese sono conformi agli obiettivi del Millennio e, in gran parte, molto pertinenti ai fini del miglioramento delle condizioni di vita delle donne. Comprendono, per illustrarne solo alcuni, l’aumento dei tassi di scolarizzazione delle ragazze o il numero dei controlli prenatali, ad esempio. Ed è sulla base dei progressi compiuti da un paese verso questo tipo di obiettivi che la Commissione europea stanzia quote variabili del sostegno al bilancio.
Nel corso della discussione, qualcuno è intervenuto a proposito di una forma di condizionalità. Quando ci si impegna nel sostegno al bilancio, si ha ovviamente la possibilità, in certa misura, di obbligare il partner a rispettare dei criteri e a osservare certe condizioni. In termini di influenza positiva, si ha un effetto più forte di quanto sarebbe senza il meccanismo del sostegno al bilancio. In ogni caso, io sono disposto a portare avanti quel dibattito in altri contesti. Ma sono intimamente convinto, sulla base della mia esperienza fino ad oggi, che il sostegno al bilancio, quando è possibile, è ovviamente molto più efficace.
Per anni abbiamo seguito un approccio duale. In primo luogo, integriamo la parità di genere in tutte le nostre politiche e azioni, anche nell’ambito degli accordi per il sostegno al bilancio e nel dialogo politico con i nostri partner. Una delle conseguenze di questo approccio è l’esigenza di formare i nostri colleghi che fanno parte di delegazioni sulle questioni di genere. Sin dal 2004, più di mille di loro hanno ricevuto una formazione specifica “di genere” e adesso abbiamo istituito un helpdesk “di genere” per continuare questa formazione nel futuro. In secondo luogo, finanziamo azioni specifiche per progredire verso la parità uomo-donna.
Azioni di questo tipo sono incluse in alcuni programmi indicativi nazionali, ma, aspetto più importante, si tratta anche di programmi tematici che integrano la cooperazione su base geografica. Ad esempio, i programmi “Investire nelle risorse umane” e “Diritti umani e democrazia” incorporano elementi specifici per promuovere ulteriormente la parità di genere. Il programma “Investire nelle risorse umane” ha una dotazione di 57 milioni di euro per attività mirate “di genere” fra 2007 e il 2013: è una media annuale all’incirca di tre volte superiore alla nostra spesa fino al 2006. Certo, la parità di genere è incorporata anche in altri programmi tematici, che si tratti di istruzione, sanità o agricoltura, o anche ambiente e cultura.
E’ vero che abbiamo ancora molta strada da percorrere, ma sono convinto che, con un impegno condiviso a promuovere la parità di genere e, aspetto più importante, a cooperare con le donne nei paesi in via di sviluppo, noi saremo in grado di lottare contro la povertà e creare società più giuste.
Gabriela Creţu, relatrice per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. − (RO) Onorevoli colleghi, noto che la relazione ha già provocato reazioni. Speriamo sia una prova della sua rilevanza politica.
La comunicazione della Commissione è stata un buon punto di partenza e il Parlamento ha aggiunto precisazioni utili. Vorrei solo spiegare il principio alla base di questa posizione. L’obiettivo era chiaro, sosteniamo il ruolo delle donne nella cooperazione allo sviluppo. Al di là degli argomenti relativi alla parità, vi sono prove sufficienti che le donne sono un buon investimento perché hanno un’eccellente capacità di moltiplicare i risultati.
Ma come possiamo ottenere la massima efficienza nel raggiungimento di questo obiettivo? Potremmo chiedere criteri severi agli Stati beneficiari sul rafforzamento della posizione delle donne. In realtà, tali criteri già esistono. Tuttavia, possiamo anche aspettarci reazioni mediocri, mancanza di competenza e di capacità amministrativa, inserimento di impegni formali nei piani di sviluppo strategico e mancanza di attuazione di tali impegni. Il mancato rispetto degli obblighi può provocare una diminuzione o una sospensione degli aiuti. Inciderebbe negativamente sui beneficiari finali, e le donne finirebbero col pagare lo scotto per l’incompetenza dei governi, e noi non lo vogliamo.
A queste condizioni, abbiamo scelto di insistere sul rispetto di quei requisiti che controlliamo e per i quali abbiamo i mezzi di azione. Per questo motivo, chiediamo alla Commissione e agli Stati membri di garantire la coerenza fra altre politiche comunitarie e la politica di sviluppo. Altrimenti, alcuni aspetti della politica commerciale nazionale o della politica agricola comune possono interferire negativamente con i nostri obiettivi.
Date le significative differenze sulla dimensione di genere nelle politiche degli Stati membri, crediamo che la stesura della tabella di marcia della Commissione europea sulla parità di genere nell’Unione sia una condizione necessaria per una valorizzazione reale ed efficace delle donne nell’elaborazione della cooperazione allo sviluppo, che è una politica gestita in primo luogo dagli Stati membri. Le nuove modalità di concessione degli aiuti sembrano avere attenuato l’attenzione riservata alle donne.
Chiediamo una valutazione del loro impatto sulla dimensione di genere e l’adozione di adeguate misure di correzione, nel rispetto delle responsabilità e della trasparenza dell’uso dei fondi nei confronti dei cittadini europei.
Anna Záborská, a nome del gruppo PPE-DE. – (SK) Preparare la relazione sull’uguaglianza di genere e sull’emancipazione delle donne non era un compito facile, e la sua dimensione lo dimostra.
Sebbene non condivida ogni cosa della relazione della nostra collega, l’onorevole Uca, vorrei congratularmi con lei per la coerenza e l’accuratezza del suo approccio alla materia. Quando discutiamo su questo argomento, dovremmo accentuare il nostro sostegno per la dignità delle donne e il loro ruolo nell’agire per il bene comune della società.
Nei paesi in via di sviluppo (ma non solo lì), molte donne subiscono discriminazione e violenza, spesso lavorano in condizioni scadenti e per basse retribuzioni, non hanno/non beneficiano di cure mediche di base, lavorano per troppe ore e sono soggette a umiliazioni e abusi fisici. Questo è il motivo alla base di uno sviluppo inadeguato. Tutti questi fattori hanno un impatto anche sulla qualità della loro vita familiare. Rafforzare lo sviluppo e favorire la parità par promuovere la pace nel XXI secolo: sono questi i passi concreti che, se compiuti, possono contribuire a migliorare la situazione. Dobbiamo condannare costantemente, senza compromessi e in ogni occasione, la violenza sessuale subita dalle donne e dalle giovani ragazze. Dobbiamo incoraggiare i paesi a adottare leggi che offrano alle donne una protezione effettiva.
Nel nome del rispetto per ogni individuo, dobbiamo anche condannare una quasi cultura molto diffusa, che porta allo sfruttamento sessuale sistematico e alla distruzione della dignità di tutte le giovani ragazze, forzandole a offrire i loro corpi e contribuire così a miliardi di profitti dell’industria del sesso. Purtroppo, i loro clienti provengono per lo più dalle parti civilizzate del mondo, compresa l’Unione europea. Le donne in zone di conflitti militari sono vittime di stupri sistematici per scopi politici.
Apprezzo che vi siano movimenti femminili impegnati a migliorare la dignità delle donne. Quando guardiamo alla questione dell’aiuto alle donne nei paesi in via di sviluppo, non dobbiamo dimenticare che, al di là degli aiuti finanziari a titolo dei fondi per lo sviluppo/derivanti dai fondi per lo sviluppo, esiste un’efficace rete di organizzazioni religiose e di beneficenza. Quest’iniziativa ha goduto per anni del sostegno delle chiese locali, attraverso regimi paralleli e microprestiti informali per i poveri. E’ molto edificante vedere remunerato in questo modo il lavoro paziente, onesto e duro di donne povere. Anche questo deve essere sostenuto dalla riforma delle strutture che contribuiscono a espandere il successo di nuove iniziative.
Alle donne vanno garantite pari opportunità, una giusta paga, uguaglianza nella carriera professionale, pari accesso all’istruzione a tutti i livelli, alle cure sanitarie e uguaglianza nelle questioni familiari. Alle donne occorre coraggio per partecipare alla politica, ma il progresso compiuto dalle donne nei paesi in via di sviluppo è progresso per noi tutti.
Anne Van Lancker, a nome del gruppo PSE. – (NL) A nome del mio gruppo, posso dire che sosteniamo con entusiasmo la relazione dell’onorevole Uca e ci congratuliamo con il Commissario per questa strategia di genere. Quasi tutti i paesi hanno sottoscritto otto anni fa gli obiettivi di sviluppo del Millennio. E’ già passata metà del tempo e sembra che la maggior parte degli obiettivi non sarà raggiunta in Africa.
Le donne svolgono un ruolo essenziale nella lotta contro la povertà, ma ancora non hanno parità di accesso all’istruzione, alla sanità, all’occupazione o alla proprietà. Il loro status sociale è basso e la violenza contro le donne è diffusa. Nello stesso tempo, la maggior parte dei programmi strategici dei nostri paesi partner semplicemente ignora le donne. Per questo motivo, la dimensione di genere deve essere realmente collocata al centro del dialogo politico con i nostri paesi partner e le organizzazioni femminili devono essere coinvolte nella formulazione della politica.
Trovo mostruoso che colleghi dei gruppi PPE e UEN vogliano cancellare dalla relazione il chiaro linguaggio sulla salute sessuale e riproduttiva, perché se le donne possono decidere dei loro corpi e del loro desiderio di maternità, allora potranno essere salvati non solo milioni di vite di donne, ma anche i bambini avranno maggiori possibilità e le comunità diventeranno più forti. Chiunque neghi ciò, pregiudica il consenso sulla popolazione e lo sviluppo che la comunità internazionale ha approvato nel 1994, e noi non lo permetteremo.
Un’ultima parola: sono favorevole al cento per cento alla richiesta del gruppo dei Verdi di nominare un inviato europeo per i diritti delle donne. Tale inviato darà alle donne del mondo un viso e una voce in Europa e ricorderà ai governi e talvolta anche ai Commissari gli impegni che si sono assunti.
Renate Weber, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne sono valori e principi che noi tutti lodiamo nell’Unione europea. In quanto tali, devono essere decisamente condivisi con i paesi in via di sviluppo nell’ambito della cooperazione esistente. Abbiamo un’enorme responsabilità quando ce ne occupiamo perché la promozione di due tipi di standard ci metterebbe moralmente al bando, facendoci perdere di credibilità. Adesso mi riferisco, in modo specifico, agli emendamenti presentati per la votazione di oggi, gli stessi emendamenti che erano stati respinti dalla commissione per lo sviluppo.
Temo che rischiamo di usare parametri differenti quando, da un lato, esprimiamo questi valori per i nostri partner dello sviluppo e, dall’altro, li usiamo nell’Unione europea. Non possiamo permetterci di escludere da questa relazione riferimenti ai diritti in materia di riproduzione perché si tratta di un argomento importantissimo quando puntiamo alla promozione dei diritti delle donne e alla loro emancipazione.
Come la relazione correttamente sottolinea, il pieno godimento da parte delle donne della loro salute sessuale e riproduttiva è una condizione essenziale per raggiungere l’uguaglianza di genere. La protezione dei diritti in materia di riproduzione, come la pianificazione familiare in termini di tempi e frequenza delle nascite e la presa di decisioni sulla riproduzione senza discriminazioni, coercizioni e violenza, dà alle donne la libertà di partecipare in modo più pieno e paritario alla società.
Non possiamo fermarci a metà strada di fronte ai nostri partner e pretendere allo stesso tempo che il nostro obiettivo è avere donne più sane e più forti che siano in grado di partecipare in modo attivo e paritario alla società. Vi prego di scusare il mio linguaggio schietto, ma per me questa è mera ipocrisia. Non riusciremo a raggiungere questi obiettivi se iniziamo ad escludere questioni fondamentali o a dare un’impressione diversa dei nostri principi, diversa da quella che abbiamo poi nei nostri paesi.
Nel mondo di oggi, la promozione dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione delle donne nei paesi in via di sviluppo non è un compito facile. Il raggiungimento di questi obiettivi implica un impegno genuino e un’azione reale e, soprattutto, la nostra buona fede nelle nostre relazioni con i paesi in via di sviluppo.
Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signor Presidente, 750 milioni di donne vivono in povertà, e queste donne lottano per la propria sopravvivenza e per quella delle loro famiglie. Da europei dobbiamo lottare insieme a loro per il loro diritto a una vita migliore. Il ruolo delle donne è inestimabile; eppure, le loro abilità e il loro potenziale non sono apprezzati. Il loro accesso all’istruzione, al lavoro e alla proprietà è severamente ristretto. Uno dei principali compiti dell’UE dovrebbe essere garantire che le donne siano messe al centro delle attività di sviluppo dell’UE. Allo stadio attuale, troppo spesso le nostre politiche finiscono col degradare ulteriormente lo status già basso delle donne e per questo motivo sono molto lieta della relazione dell’onorevole Uca.
E’ importante non sminuire questa relazione, come molti nel gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei nonché nell’Unione per l’Europa delle Nazioni stanno tentando di fare attraverso i loro emendamenti, che eliminerebbero ogni riferimento ai diritti sessuali e riproduttivi delle donne. Come è già stato detto molte volte, questi diritti sono essenziali per consentire alle donne di assumersi la responsabilità per la loro vita e quella delle loro famiglie. Spesso, è una questione di vita o di morte per loro. Le donne devono avere il diritto e l’opportunità di dire “no” per evitare violenza e ottenere un’istruzione e la possibilità di avere una propria attività. Questo è fondamentale se ci aspettiamo sviluppo dai nostri aiuti allo sviluppo, ed è sia immorale sia sciocco non mettere le donne al centro di questo lavoro.
Purtroppo, manca la volontà politica, ovviamente – ed è stato anche detto – e quindi molti di noi sostengono una proposta per la nomina di un Alto rappresentante UE per le donne. Lui o lei dovrebbe assicurare la partecipazione delle donne nel lavoro politico e sociale in tutto il mondo, favorendo l’influenza che dovrebbero esercitare in quanto metà della popolazione mondiale. Le donne non devono diventare vittime o povere sventurate. Per tutti noi è importante che siano messe in una condizione di parità con tutti noi.
Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, che dire? Merito della Commissione per una comunicazione articolata, che per la prima volta definisce una strategia europea per la parità di genere nella cooperazione sviluppo, in sintonia del resto con richieste portate avanti da vasti movimenti di donne che rifiutano di essere vittime. Anzi, rifiutiamo di essere vittime e siamo protagoniste della nostra vita, della nostra sessualità e decidiamo in quale tipo di società vogliamo vivere: una società capace di affrontare e risolvere discriminazioni, ingiustizie, violenze e anche la militarizzazione degli Stati e delle menti.
E tanto merito al rapporto dell’on. Uca per avere approfondito e colto le menti non tenute in considerazione della Commissione, che penso la Commissione vorrà accettare. Inutile ripetere qui cifre sulle donne in estrema povertà, analfabetismo, malate di AIDS o di malaria, su quante donne subiscano violenza fisica e sessuale soprattutto fra le pareti domestiche, anche in Europa.
Sono le azioni concrete che contano: governance, istruzione, sanità, violenza contro le donne, accesso alla proprietà e al lavoro e, come dice l’on. Uca, politiche economiche e commerciali dell’UE che non siano in contraddizione con le politiche di sviluppo.
E’ la politica di mainstreaming che deve farsi ancora più forte ed implica un impegno severo anche di risorse economiche e risorse umane nelle delegazioni della stessa Commissione e nei progetti di grande effetto, come per esempio il microcredito. Sono azioni concrete per un rapporto permanente con movimenti delle donne nelle situazioni locali e nazionali, nelle reti di donne tra i diversi paesi formatesi nella campagna contro la desertificazione, per la soluzione urgente dei conflitti, per il diritto alla salute, alla casa, all’acqua.
Qualcosa vorrei dire sugli emendamenti che vogliono sopprimere i riferimenti alle varie strategie internazionali – dal Cairo a Maputo – sulla salute riproduttiva e sulla libera scelta delle donne alla procreazione. Difendere la vita è sacrosanto. Il diritto alla vita, però, è anche far sì che non vi siano esitazioni nel mettere in pratica politiche di sviluppo capaci …
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, la relazione sull’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne nella cooperazione allo sviluppo affronta problemi che colpiscono le donne nei paesi africani e asiatici, ad esempio. Delinea una strategia che prevede misure in vari settori: uguaglianza di genere, sistema politico, occupazione, istruzione, sanità e violenza contro le donne.
Come sappiamo, la parità dei diritti fra donne e uomini è un aspetto fondamentale dello sviluppo sociale proclamato nella nostra civiltà europea in regolamenti di base sul rispetto dei diritti umani e per tutte le persone. Ma la parità di diritti e la non discriminazione contro le donne non sono l’unica condizione per lo sviluppo sociale. Esiste un’intera serie di fattori che sono importanti per il progresso sociale, a partire dal rispetto dei principi etici e morali che garantiscono una riduzione significativa dello sfruttamento, della violenza, delle truffe e di altre forme di manipolazione, compresa la discriminazione e l’oppressione delle donne.
Le drammatiche condizioni di vita delle donne nei paesi africani sono il risultato di una politica di razzia delle risorse naturali e della speculazione da parte di multinazionali che si arricchiscono a scapito della vita e della salute della popolazione locale. Il sostegno al bilancio e altri programmi dell’UE non compenseranno le perdite inflitte da un’economia di rapina. Anche il relativismo etico favorisce lo sfruttamento sessuale e la diffusione delle malattie sessualmente trasmesse. La libertà sessuale, così come propagata, priva le donne della loro dignità, riducendole a oggetti sessuali, e incoraggia la violenza. La situazione delle donne non verrà migliorata da maggiori finanziamenti a favore della contraccezione e dell’aborto, ma dal sostegno finanziario alle famiglie, in particolare a quelle che hanno molti figli, in modo da consentire l’istruzione e lo sviluppo e migliorare la sanità e la protezione sociale, specialmente per le donne incinte. Le donne istruite con predisposizione alla leadership o con un desiderio di impegnarsi in politica dovrebbero ovviamente potere partecipare alle elezioni e usare la loro diversità psico-fisica per ampliare la gamma di opinioni su questioni importanti non solo per le donne e i bambini.
Tuttavia, l’integrazione di genere come idea centrale – che fra le altre cose ci ha portato il congedo per paternità – ha già prodotto i risultati che ci si poteva aspettare, dato che i padri svedesi non sono i soli a preferire la caccia all’alce o la lettura del giornale, piuttosto che badare ai figli. La tirannia dell’aggressione sessuale diffusa dai mezzi d’informazione di massa ...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Filip Kaczmarek (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Uca tratta l’importante questione dell’uguaglianza di genere nella cooperazione allo sviluppo. Purtroppo, le intenzioni della relatrice, indubbiamente positive, sono pregiudicate da una presentazione eccessiva e discutibile della questione della salute sessuale e riproduttiva e dei relativi diritti. Questo argomento non dovrebbe essere trattato in modo polemico, ma la relazione adopera il linguaggio paradossale impiegato così frequentemente nell’Unione europea. E’ proprio questo strano uso del linguaggio che separa l’UE dai suoi cittadini e la trasforma in una macchina burocratica non intelligibile e alienata. Ed è proprio così che stiamo creando e alimentando l’opposizione all’UE.
Spero quindi che gli emendamenti presentati dal gruppo PPE-DE saranno accettati da quest’Aula. Perché? Perché, per “salute e diritti in ambito riproduttivo” l’autrice e i promotori di questa relazione vogliono dire l’opposto di quello che queste parole effettivamente significano. “Diritti in ambito riproduttivo” non significa restrizione della riproduzione. Stiamo dando una connotazione positiva a qualcosa che ha conseguenze negative, ovvero la restrizione della riproduzione. E’ un vero e proprio inganno.
Quanti sono favorevoli al contenimento della popolazione nei paesi poveri e alla promozione della contraccezione o all’aborto non dovrebbero nascondersi dietro termini come salute e diritti in ambito riproduttivo. Dovremmo chiamare le cose con il loro nome. Ho l’impressione che non vogliano farlo perché ritengono che l’Unione europea, in realtà, non dovrebbe preoccuparsi di tali materie. Non vi è qualcosa di ambiguo negli europei che promuovono e finanziano la contraccezione e l’aborto al di fuori dell’Europa? In Africa e in Asia, proprio come nell’UE, sono gli Stati individuali che dovrebbero decidere quale politica seguire in questo settore. La relazione dice che le donne dovrebbero decidere. Ma siamo noi che stiamo dicendo alle donne in Africa cosa fare. Credo che ci sia un po’ di confusione.
Un altro punto: non vi è relazione di causa ed effetto fra avere un gran numero di figli e uguaglianza. Le due cose non sono collegate, e non riseco a comprendere perché questa relazione proponga un legame fra loro.
Alain Hutchinson (PSE) . – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, in via eccezionale non interverrò sulla relazione in sé – per la quale mi congratulo con la relatrice –, ma piuttosto sugli emendamenti che presto saranno sottoposti a votazione, e desidero dire che trovo gli emendamenti proposti dai nostri colleghi del gruppo UEN letteralmente scandalosi.
(Applausi)
Rifiutando qualsiasi considerazione o riferimento a problemi di contraccezione nel contenuto di questa relazione, l’UEN sta in realtà rifiutando di riconoscere che le donne nell’emisfero meridionale hanno il diritto a una vita decente. E’ più che scandaloso, è irresponsabile e ipocrita, dal momento che sappiamo che la mancanza di un’adeguata pianificazione familiare condanna milioni di persone in tutto il mondo a sofferenze inutili, alle malattie e alla morte – a cominciare dalle donne e dai bambini che esse mettono al mondo, troppo spesso contro la loro stessa volontà.
Gli emendamenti proposti dal gruppo PPE-DE non sono meno deplorevoli. Formulano le idee solo in modo diverso, in particolare rifiutando di prendere in considerazione il riconoscimento del diritto di ogni donna di controllare la propria fertilità. Nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, le donne e le ragazze – persino bambine – continuano a subire forme significative di discriminazione e di violenza intollerabili. Chiunque rigetti la posizione che ciascuna donna in quei paesi non dovrebbe avere il diritto al pieno controllo del proprio destino, sta rifiutando ovviamente di considerare queste donne uguali agli uomini. Eppure la salute riproduttiva non dovrebbe essere una questione talmente allarmante; significa semplicemente consentire alle persone di vivere una sessualità responsabile, soddisfacente e sicura, e dare alle donne la libertà di avere figli se e quando vogliono. Questo concetto di salute dipende dalla possibilità per gli uomini e le donne di scegliere, in condizione di parità, metodi di controllo della fertilità che siano sicuri, efficaci, abbordabili e accettabili.
Olle Schmidt (ALDE). – (SV) Signor Presidente, è importante fare chiarezza nella nostra volontà. Per troppo tempo, una discussione che dovrebbe riguardare i diritti umani è stata turbata da diverse considerazioni politiche. E’ ovvio che ciascuna donna ha un diritto sul proprio corpo. Ecco perché, nel dibattito sulla mutilazione genitale, non ho evitato la questione se l’applicazione della legge sharia equivale al non riconoscimento della parità fra gli esseri umani. Nessuno penserebbe di negare a un uomo il diritto di decidere sulla sua riproduzione o di dire che è una questione di valori culturali negare a un uomo la possibilità di guadagnarsi da vivere e mantenere la propria indipendenza.
Quando l’UE, che è il più grande donatore di aiuti al mondo, opera nel terzo mondo, i nostri valori devono sempre essere chiari. I diritti umani – e intendo parità non sono in teoria, ma anche in pratica - devono essere la parola d’ordine. Dobbiamo fare capire chiaramente che l’economia di mercato è un bene per le donne e gli uomini poveri, non un male. Lo dimostra in particolare la campagna di successo per i micro-crediti, che ha offerto prosperità ed emancipazione a milioni di donne vulnerabili.
Certo, non spetta a noi che viviamo nel mondo ricco imporre uno specifico modo di vita ad altre popolazioni, ma, e penso sia importante sottolinearlo, abbiamo la responsabilità di rendere possibili scelte laddove oggi non ve ne sono. Come molti de miei colleghi, pertanto, sono profondamente deluso di vedere alcuni degli emendamenti presentati su una relazione altrimenti valida ed importante. Vanno assolutamente nella direzione sbagliata.
Al mio collega dietro di me vorrei dire che, quando ero deputato al parlamento svedese, stavo a casa con mio figlio di sei mesi grazie al congedo per paternità. Sono convinto di essere diventato un genitore migliore di quanto non lo fossi stato prima. Certo, leggevo le relazioni, ma la mia principale responsabilità era badare ai miei figli e farlo insieme a mia moglie. Posso solo dire che è una cosa positiva. Penso che più persone dovrebbero farlo e vedere quanto sia importante tenere unita la famiglia: uomo, donna, figli.
(Applausi)
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Signor Presidente, vorrei iniziare accogliendo con entusiasmo questa relazione perché è importante sotto diversi aspetti.
Primo, per una questione di giustizia: mentre le donne e le bambine svolgono all’incirca due terzi del lavoro nel mondo, ricevono solo il 5 % del reddito e, inoltre, la povertà è manifestamente femminile.
Secondo, per una questione di dignità: credo sia urgente sostituire l’immagine che spesso si dà delle donne, come vittime vulnerabili, con un’immagine delle donne come gruppo altamente differenziato di attori sociali che possiedono risorse e capacità valide e che hanno priorità specifiche. Questo significa, fra l’altro, riconoscere e sostenere pienamente il diritto delle donne di decidere della propria sessualità e del proprio corpo.
E terzo, per una questione di impegno reale e di coerenza: è deplorevole che spesso la trasversalità della prospettiva di genere sia percepita come una scusa per non avanzare proposte e obiettivi concreti, ad esempio nei documenti di strategia nazionale.
Per questi motivi, credo che la relazione meriti di essere accolta e di ricevere il sostegno della maggioranza assoluta.
Gay Mitchell (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, questa è una relazione sull’uguaglianza di genere e sull’emancipazione delle donne nella cooperazione allo sviluppo. Perché, allora, sono i socialisti, i liberali e altri gruppi che si preparano questa mattina a votare contro un emendamento che cerca informazioni sulla discriminazione contro le donne e che ha inizio nell’utero?
Un emendamento a nome mio e degli onorevoli Deva e Belohorská invita la Commissione a chiedere ai partner dell’Unione europea nel mondo, sia governi che ONG, di avviare un’analisi di genere permanente di tutti gli aborti e di comunicare regolarmente i risultati al Parlamento. Forse l’onorevole Hutchinson potrebbe dirci che cosa ci sia così terribile nell’ottenere quelle informazioni. Questa mattina il Parlamento sta pianificando di guardare le cose in modo diverso, bocciando questo emendamento, eppure in alcuni paesi una forte preferenza per i figli maschi ha portato all’eliminazione di milioni di bambine attraverso una selezione in base al sesso da parte dei genitori. Le neonate muoiono anche per negligenza deliberata e di fame. Secondo l’UNFPA, solo in Asia almeno 60 milioni di bambine risultano “mancanti”. In alcuni paesi, si riporta che la selezione in base al sesso è più comune nelle città, dove tecnologie quali l’amniocentesi e gli ultrasuoni sono immediatamente disponibili e pronti agli abusi. In altri paesi, accade più comunemente nelle zone rurali dove, secondo l’UNFPA, la preferenza per i figli maschi è forte. Le figlie, in alcuni paesi, sono viste come una responsabilità economica e, secondo l’UNFPA, il rapporto maschi/femmine alla nascita, sebbene sia leggermente più elevato, diventa più accentuato per questo motivo. La mancanza di donne e di ragazze in alcuni paesi asiatici ha ripercussioni sociali potenzialmente allarmanti, fra cui un’accresciuta domanda per il traffico di donne, a fini di matrimonio o di sesso, e il peggioramento del loro status sociale ovunque. Queste sono parole dell’UNFPA, non mie.
Qual è la posizione del Parlamento? Girare la testa dall’altra parte. In tutta la storia, le maggioranze hanno avuto torto, ad esempio in Austria e Germania negli anni ‘30. Come potrebbe un organo, che si suppone riflessivo, come il Parlamento europeo perpetrare una tale ingiustizia e bocciare questo emendamento? Chiediamo solo informazioni...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Ana Maria Gomes (PSE). – (EN) Signor Presidente, mi congratulo con la collega, l’onorevole Uca, per questa eccellente relazione e approvo l’approccio duplice, approvato dalla Commissione nella sua comunicazione, che si incentra sull’integrazione di genere e su azioni specifiche per l’emancipazione delle donne. Deploro, tuttavia, che numerosi documenti di strategia nazionale (DSN) considerino il genere come mera questione trasversale, omettendo di specificare attività concrete, obiettivi o stanziamenti finanziari. Ciò significa che negli anni a venire, nonostante il quadro strategico, gli sforzi di genere nella cooperazione allo sviluppo potrebbero essere ridotti a pura retorica.
Gli indicatori di risultato disaggregati dovrebbero essere valutati nell’ambito di revisioni intermedie e finali. Il Parlamento controllerà l’attuazione della strategia e noi ci auguriamo che la Commissione sia in grado di indicare i progressi in termini di risultati specifici collegati al genere.
Infine, sono scioccata dai numerosi concetti medioevali contenuti in alcuni emendamenti alla relazione presentati da alcuni colleghi sulla salute sessuale e riproduttiva. Ovviamente, voterò contro questi emendamenti.
Alexander Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, anch’io desidero ringraziare la relatrice per quest’eccellente relazione e congratularmi anche con la Commissione per la sua comunicazione. La sfida adesso è essere coerenti. Dieci giorni fa, su invito dello European Parliamentary Forum, mi sono recato a New York, con alcuni colleghi di parlamenti nazionali, per visitare la Commissione sulla condizione della donna. E’ interessante notare come paesi che sono nostri partner ACP dicono una cosa quando sono in contatto con Bruxelles e con le varie capitali e dicano cose completamente diverse a New York, quando si tratta di discutere della questione a livello globale.
Ecco perché chiedo al Commissario di essere coerente, di comunicare alle sue delegazioni che di parla anche nelle rispettive capitali dell’atteggiamento assunto a New York, perché i nostri obiettivi nella politica sulle donne e nella politica di sviluppo sono spesso contraddetti a New York.
Al riguardo, sono molto lieto che l’UNIFEM adesso stia aprendo un ufficio a Bruxelles, che certamente garantirà la qualità del dibattito fra le Nazioni Unite e l’Unione europea in questo settore.
Sono particolarmente lieto che i microcrediti saranno indicati come uno strumento di emancipazione, di liberazione delle donne. Vi sono alcuni accordi relativamente oscuri...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Satu Hassi (Verts/ALE). – (FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio particolarmente l’onorevole Uca per l’eccellente relazione e, nel contempo, condivido la delusione espressa da molti dei deputati sugli emendamenti presentati dalla destra.
Ai fini di una piena attuazione dei diritti delle donne nella cooperazione allo sviluppo, l’Unione europea ha bisogno di un inviato per i diritti delle donne, il cui ruolo sarebbe garantire la presa in considerazione dei diritti delle donne. Sarebbe così possibile usare il denaro per la cooperazione allo sviluppo in modo più efficiente.
Sappiamo che il modo più economico per promuovere lo sviluppo è migliorare i diritti delle donne, fra cui i diritti sessuali, l’istruzione, le opportunità di lavoro, eccetera. Sebbene le persone lo sappiano per esperienza e grazie alla lettura di numerose relazioni, lo dimenticano volta dopo volta, anche quando decidono come spendere il denaro dell’UE per la cooperazione allo sviluppo. Ecco perché abbiamo bisogno di un inviato per i diritti delle donne e spero che tutti qui mostreranno il loro sostegno all’emendamento n. 20 in merito.
Nirj Deva (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, pur riconoscendo gli aspetti positivi della relazione, vi è qualcosa su cui dissento totalmente, al pari dei colleghi Kaczmarek e Mitchell.
Inizio chiedendo a lei, signor Presidente, chi ha pronunciato queste parole: “Attraverso la pratica della selezione sessuale prenatale, a numerose donne viene negato il diritto persino di esistere”. L’autrice della relazione potrebbe rimanere sorpresa nel sapere che è stato Ban Ki-moon nel suo discorso di apertura alla Commissione sulla condizione della donna delle Nazioni Unite, a New York.
Inoltre, secondo l’UNFPA, nella sua relazione dell’anno scorso sulla condizione della popolazione mondiale, vi è un deficit globale di 60 milioni di donne nel mondo – cioè l’intera popolazione del Regno Unito! Queste donne che non esistono sono quelle che sono state selezionate in base al sesso prima della nascita, abortite o “uccise alla nascita”, e questo sta accadendo nel continente nel quale io sono nato; so di cosa sto parlando. Com’è possibile che una relazione del Parlamento europeo sull’uguaglianza di genere taccia sull’eliminazione deliberata sulla base del sesso? Dov’è l’uguaglianza in questo?
Ho presentato un emendamento alla relazione, chiedendo un’analisi di genere di tutti gli aborti eseguiti nel mondo, e indovinate cosa è accaduto? I socialisti hanno votato contro! Perché? Non abbiamo forse il diritto di sapere come le donne sono abortite prima di nascere? Guarderemo più tardi, oggi, come voteranno sull’emendamento n. 11.
Non so perché la relatrice abbia continuato a sprecare questa preziosa opportunità di eliminare la causa principale di ingiustizia contro le donne nel mondo oggi - il loro diritto fondamentale alla vita - e invece insista sul mantenimento, attraverso la difesa dei cosiddetti diritti sessuali ...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). – (PL) Signor Presidente, le statistiche dimostrano che la politica in materia di parità dei diritti accelera il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio di eliminazione della povertà e di correzione degli indicatori demografici, sociali ed economici. Le questioni di genere, tuttavia, sono ancora considerate di secondaria importanza.
In molti paesi, le donne continuano a non avere accesso ai servizi sanitari di base, all’istruzione e alla partecipazione ai processi decisionali. Due terzi di tutti gli analfabeti del mondo sono donne. Nei paesi in via di sviluppo, le ragazze hanno l’11% in meno di probabilità di frequentare la scuola secondaria rispetto ai ragazzi. Le statistiche mostrano anche una tragica situazione sanitaria. Nell’Africa subsahariana, ad esempio, il 60% delle persone infettate dal virus HIV sono donne, e le ragazze rappresentano il 75% dei nuovi casi di AIDS fra i giovani.
La comunicazione della Commissione è un importante passo avanti verso l’introduzione da parte dell’UE delle questioni di genere nel programma di cooperazione con i paesi partner quale importante strumento di eliminazione della povertà e di sostegno dei diritti umani, che comprende la lotta alla violenza contro le donne. Mi congratulo con la relatrice per una relazione molto ben preparata, e in conclusione ...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Roberta Alma Anastase (PPE-DE). – (RO) Oggi stiamo discutendo di un’altra relazione che analizza la situazione delle donne, la seconda questa settimana, ma questa volta dalla prospettiva delle pari opportunità per lo sviluppo della Comunità.
E’ una relazione che ha suscitato discussioni e polemiche, diversi approcci e analisi contestualizzate. E’ importante, tuttavia, discutere di questo tipo di argomenti, ed è ancora più importante avere proposte contestualizzate e risultati tangibili.
Parliamo molto dell’istruzione e del suo ruolo importantissimo per il cambiamento degli atteggiamenti, per la definizione dei comportamenti, per l’integrazione di gruppi ad alto rischio di marginalizzazione e per lo sviluppo di comunità. Tuttavia, credo che sia tempo di avere una politica coerente a livello europeo nel settore dell’istruzione, con chiare misure la cui attuazione dovrebbe essere controllata. E’ ovvio che le questioni di genere debbano fare parte dei programmi educativi.
E’ essenziale che l’Unione europea includa questo aspetto nei dialoghi con i paesi terzi in materia di protezione dei diritti umani. Il 2008, l’Anno del dialogo interculturale, deve essere usato per incoraggiare gli scambi fra università e gli scambi di esperienze fra donne europee e donne dei paesi in via di sviluppo, al fine di determinare il ruolo delle donne in tutto il mondo. Da questa prospettiva, la promozione di giovani generazioni, comprese giovani ragazze, deve essere una priorità della cooperazione allo sviluppo.
Vi ringrazio e mi auguro che la versione definitiva di questa importantissima relazione rifletta tutti i pareri esistenti nel Parlamento europeo e che avremo un approccio equilibrato alla questione.
Thijs Berman (PSE). – (NL) La libertà delle donne di operare le loro scelte è un semplice diritto umano. Aiuta l’economia a crescere e rafforza il benessere. La mortalità fra le donne nei paesi in via di sviluppo è tuttora tragicamente e inaccettabilmente elevata. Ne consegue la distruzione delle famiglie. Esiste un collegamento diretto con il lavoro minorile. Investire nelle pari opportunità e nella libertà significa investire nel futuro, in Europa e nel mondo in via di sviluppo.
Insieme al mio gruppo, ritengo che assurdo che in quest’Aula sia stata presentata un’intera serie di emendamenti ultraconservatori, tesi a limitare i diritti delle donne, all’eccellente e completa relazione dell’onorevole Uca. Per loro, in realtà, non si tratta della selezione in gravidanza, è pura ipocrisia. Prevedono di cancellare ogni riferimento anche al più moderato dei testi dell’ONU sui diritti delle donne. Ma la libertà sessuale e i diritti in ambito riproduttivo garantiscono la libertà di ogni donna. Anche il Vaticano riconoscerà quella libertà un giorno. Ma la donne non possono permettersi di attendere; il mondo non può permettersi di attendere.
Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, credo sinceramente che l’accesso a informazioni e a servizi correlati alla salute sessuale e riproduttiva protegga le donne quanto meno dall’AIDS. Sono quindi totalmente contrario al nostro rifiuto di consentire tale accesso per il motivo che l’intento celato sia l’aborto. Sono contrario anche al fatto che per lo stesso motivo siamo cancellando il protocollo di Kyoto dal famosissimo testo del protocollo di Maputo sui diritti delle donne in Africa.
Certo, la questione dell’aborto è una questione di principio e ognuno di noi adotterà una posizione secondo la propria coscienza. Rispetto il credo degli altri, ma chiedo loro di fare altrettanto nei confronti del mio . Dovremmo allora rispettare sia i diritti delle donne sia il diritto di ogni donna di scegliere se avere o meno un aborto, per motivi economici, sociali, di famiglia o anche di salute. Io, personalmente, voterò a favore della relazione.
Rovana Plumb (PSE). – (RO) Questa relazione presenta molti aspetti positivi e io la sosterrò, ma voterò contro gli assurdi emendamenti della destra sui diritti in ambito riproduttivo.
Voglio dire che è abbastanza ovvio che lo sviluppo sostenibile non può essere raggiunto senza riconsiderare il ruolo delle donne nell’economia, nella società, nella politica, nella protezione dell’ambiente e nella famiglia. Abbiamo stabilito e discusso oggi che l’istruzione è una chiave dello sviluppo. Dato che l’uguaglianza è prima di tutto una questione di stereotipi e di educazione, propongo che la Commissione sostenga gli Stati membri nell’inserimento delle questioni della parità di genere nei piani di studio scolastici.
Adesso abbiamo bisogno di azioni concrete e decise, quali un aumento delle risorse di bilancio per migliorare la condizione economica e sociale della famiglia e sono sicura che abbiamo la volontà politica di conseguire questi obiettivi.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Poiché il 70% dell’1,3 miliardi di persone che vivono in assoluta povertà è composto da donne, gli aiuti allo sviluppo devono essere mirati principalmente alle donne.
Concordo con tutti i punti della relazione dell’onorevole Ucam che dichiara che l’istruzione è la chiave per l’emancipazione delle donne. Concordo che il sostegno finanziario e tecnico dovrebbe essere fornito alle organizzazioni femminili che sono attive nell’ambito dell’istruzione e che insegnano alle donne ad avere successo. Sostengo il microcredito come strumento per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Tuttavia, non concordo con la posizione della relatrice sulla questione della salute riproduttiva. Se vogliamo dare alle donne il diritto di decidere dei loro corpi, perché non dobbiamo dare ai nascituri la stessa opportunità di decidere fra la vita e la morte? Sostengo gli emendamenti presentati dai miei colleghi dei gruppi politici PPE-DE e UEN al riguardo e ringrazio i miei colleghi per il coraggio di includerli. Non voterò a favore della relazione se non saranno adottati questi emendamenti.
Karin Scheele (PSE). – (DE) Signor Presidente, mi congratulo con la Commissione e la relatrice. Mi dispiace che questo dibattito si sia incentrato così fortemente sui diritti sessuali e riproduttivi perché vi sono molte altre questioni importanti in questo contesto.
Ho l’impressione che l’ONU e un gruppo di conservatori stiano agendo come se i diritti sessuali e riproduttivi riguardassero solo l’aborto. In quel caso, consiglierei loro di controllare i fatti e di guardarli attentamente: essere contrari alla contraccezione, alle informazioni, all’accesso delle donne a questi servizi farà solo aumentare ulteriormente il numero di aborti. Trovo più che cinico che quelle stesse persone si alzino e pretendano di avere un monopolio sull’etica e sulla morale.
Considerando le statistiche che riceviamo dalle Nazioni Unite e dalla relazione di monitoraggio della popolazione mondiale ogni anno, è contrario all’etica e immorale parlare contro i diritti sessuali e riproduttivi in questa sede.
(Applausi)
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, stiamo discutendo dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione delle donne e della cooperazione allo sviluppo. Sono sempre più intristita dal fatto che ogni volta che abbiamo un dibattito su questi argomenti, tale dibattito si trasforma in un dibattito intollerante sulla salute sessuale e riproduttiva delle donne e dei relativi diritti. E’ una tragedia. E’ una delle tragedie di quest’Aula il fatto che non riusciamo ad avere un’immagine più ampia dell’importanza dell’istruzione e del microcredito.
Non sosterrò la maggior parte degli emendamenti presentati da alcuni dei miei colleghi. Non è che io non sia preoccupata del tasso di selezione in base al sesso contro feti femminili in Cina e ovunque nel mondo. Certo, tutti ci preoccupiamo di cosa accadrà. Ma, sinceramente, non sono convinta che le motivazioni alla base degli emendamenti siano quelle chiaramente espresse negli emendamenti.
Se i nostri colleghi fossero contrari all’aborto, io rispetterei la presentazione da parte loro di una proposta contro l’aborto perché credo che siano preoccupati della selezione contro feti maschili al pari di quelli femminili ...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Marusya Ivanova Lyubcheva (PSE). – (BG) Vorrei lodare la relatrice per la relazione completa sulla questione di genere e la Commissione per la sua comunicazione. Tuttavia, un documento è potente nella misura in cui viene attuato. Dovemmo quindi adoperarci affinché questo accada.
Gli obiettivi di sviluppo del Millennio possono essere raggiunti attraverso un equilibrio di tutte le politiche - famiglia, scuola, università, sanità, economia -dove le donne costituirebbero i perni. Nei nostri programmi di cooperazione, dobbiamo mettere l’accento sul diritto alla salute delle donne, compresa la salute riproduttiva.
Dovremmo anche pensare all’indipendenza economica delle donne che è una condizione essenziale per lo sviluppo dell’imprenditoria e dell’uso appropriato del loro piano potenziale. E’ particolarmente importante parlare di responsabilità condivise a tutti i livelli, nazionale e internazionale, responsabilità condivise fra uomini e donne. Questo riguarda tutti i percorsi di vita e tutti i settori dell’economia.
Piia-Noora Kauppi (PPE-DE). – (FI) Signor Presidente, questa relazione è stata precduta da un accesissimo dibattito in commissione all’inizio dell’anno e sembra che il dibattito continui oggi, qui in plenaria.
Ritengo che i servizi sanitari per le donne in generale siano una componente importante dei diritti umani. Questi si estendono decisamente ai servizi relativi alla salute sessuale e riproduttiva.
Non è solo un problema dei paesi in via di sviluppo: in base a quanto ho sentito ieri sugli Stati Uniti d’America, il 40% delle ragazze adolescenti ha malattie sessualmente trasmesse. La semplice istruzione e le responsabilità non sono sufficienti nemmeno nel mondo occidentale.
Nei paesi in via di sviluppo, la situazione è molto peggiore. L’HIV è in aumento fra le donne, così come la violenza sessuale contro le donne. La fornitura di servizi in ambito sessuale e riproduttivo nei paesi in via di sviluppo non ha niente a che vedere con l’aborto. Si vuole che le donne sappiano quali scelte hanno a disposizione e sappiano che hanno il diritto di fare le proprie scelte.
Mairead McGuinness (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, grazie per avermi dato la parola perché, nella concitazione del dibattito, vorrei riportare la questione a un livello più pratico. La realtà è chiaramente illustrata nella motivazione, dove si legge che in l’Africa le donne costituiscono il 52% della popolazione, ma svolgono il 75% del lavoro agricolo e producono e commercializzano l’80% dei prodotti alimentari. Penso che il ruolo delle donne nello sviluppo in termini di alimentazione sia spesso ignorato.
Ma prendo le distanze dal paragrafo della motivazione, che trovo datato e non aggiornato, relativo alla politica agricola, da cui dissento totalmente. L’Europa è il più grande importatore di prodotti provenienti dai paesi in via di sviluppo. Noi abbiamo l’accordo “Tutto fuorché le armi” e presto, forse, avremo un accordo mondiale sul commercio. Ma io credo, come dice la Banca mondiale, che dobbiamo investire di nuovo nell’agricoltura e nella produzione alimentare, e dobbiamo farlo attraverso le donne.
Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, sarò davvero brevissimo perché presumo di non avere il tempo di parlare a lungo.
Vorrei solo ritornare sulla domanda dell’onorevole Gomes. Perché le strategie nazionali contengono così poche azioni specifiche sulla questione del genere? E’ molto semplice: le strategie sono definite e determinate dai paesi partner stessi, siccome sono questi a dover scegliere due settori di attenzione, e non siamo noi a imporre loro i settori che devono scegliere. Vi faccio osservare, tuttavia, che noi insistiamo affinché la problematica del genere sia presente in tutti i progetti.
Onorevole Lambsdorff, comprendo che lei abbia qualche difficoltà ad accettare la mancanza di coesione nella posizione dell’Unione europea a New York, ma credo che debba rivolgersi non alla Commissione -non è la Commissione infatti che può porvi rimedio -, ma al Consiglio. Per il resto, desidero anch’io, come lei, che vi sia maggiore unicità.
Molto brevemente – alcuni mi troveranno forse un po’ provocatore –, ma desidero comunicarvi la mia convinzione personale. Sono totalmente d’accordo con coloro che pensano che la salute riproduttiva sia una condizione preliminare per la parità delle donne. Per me, è impensabile trattare questo argomento e questa questione senza essere d’accordo su tale condizione preliminare, al pari dell’accesso alla scuola, all’occupazione, al microcredito. Questi sono tutti elementi importanti, ma sostanzialmente la questione si riconduce a creare quelle condizioni che garantiscano alle donne la libertà di scegliere. Si tratta di un principio fondamentale di parità di genere che non può essere negato!
(Applausi)
Inoltre, invito quanti dubitassero del dramma umano rappresentato dalle condizioni esistenziali delle donne in alcuni paesi in via di sviluppo, ad andare sul campo a vedere di persona e a sentire le testimonianze di totale angoscia che alcune donne potrebbero raccontare. E’ tutto ciò che volevo dire: credo di non avere altro da aggiungere. Vi ringrazio, in ogni caso, per la qualità del dibattito.
Feleknas Uca, relatrice. − (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono particolarmente grata a tutti gli oratori per i loro interessanti contributi. Il mio speciale ringraziamento va all’onorevole Creţu che ha redatto il parere a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. La sua chiara analisi e le proposte per una maggiore coerenza hanno arricchito la relazione in molti punti importanti. Per motivi di tempo, non posso purtroppo discutere tutti i suoi contributi e mi auguro che non lo prenderà come un segno di mancanza di rispetto.
Ringrazio in modo particolare gli onorevoli van Lancker, Berman, Lambsdorff, Hutchinson, Scheele, Doyle, Weber, Varvitsiotis, Hassi e Gomes. Hanno ragione a dire che la salute riproduttiva nei paesi in via di sviluppo ha la priorità assoluta ed è importante lottare per essa in modo coraggioso e coerente. Dissento fortemente dall’opinione dell’onorevole Krupa secondo cui la libertà sessuale delle donne provoca violenza. E’ un tipo di logica spaventosa e discriminatoria!
(Applausi)
Dico all’onorevole Deva che non mi aspettavo niente di diverso da lui. Perdonatemi per quest’osservazione. La cara collega Luisa Morgantini e l’onorevole Romeva i Rueda hanno trovato, come sempre, parole forti per rendere chiaro che le donne non vogliono l’elemosina, ma semplicemente quanto è dovuto loro come metà dell’umanità.
Molte grazie a tutti quelli che sostengono la mia relazione. Sono anche lieta del fatto che le ONG attive nel settore dello sviluppo e dei diritti delle donne abbiano dato una valutazione molto positiva della relazione. Sono molto grata per tutta la cooperazione e il sostegno che ho ricevuto.
(Applausi)
Presidente. − La discussione è chiusa.
Si procede adesso alla votazione.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Genowefa Grabowska (PSE), per iscritto. – (PL) La parità di opportunità, l’accesso paritario per le donne e gli uomini alle risorse e la partecipazione alla vita pubblica sono di importanza fondamentale, non solo al di fuori dell’UE, nel quadro dello sviluppo sostenibile, ma anche per molte donne nell’Unione europea stessa. Vi darò un esempio: in Polonia, nella mia regione, la Slesia, le donne che lottano ogni giorno in favore della parità fra donne e uomini sono preoccupate che l’integrazione di genere, ovvero la politica di genere, non sia adeguatamente incorporata nell’azione economica, politica e culturale regionale.
La donne che si sono incontrate a Katowice l’8 marzo 2007 hanno proclamato che “la politica di genere non è promossa dalle autorità locali o dai media – vuoi pubblicamente o privatamente – nonostante il fatto che la Polonia abbia aderito all’Unione europea circa 4 anni fa”. Hanno aggiunto che le autorità della Slesia erano apparentemente non convinte dallo slogan “La democrazia senza donne è democrazia solo a metà”.
A seguito delle recenti elezioni, vi è un terzo di donne in meno nella politica della Slesia, Quindi, come si può parlare di uguaglianza delle donne? Ecco perché le donne in Slesia chiedono che le autorità locali garantiscano loro una partecipazione paritaria al governo locale e al processo decisionale, l’accesso alla promozione e al proseguimento di attività commerciali, con riguardo all’occupazione, alle condizioni lavorative e alla retribuzione, nonché alla libertà dalla violenza.
PRESIDENZA DELL’ON. MARTINE ROURE Vicepresidente
4. Tempo delle votazioni
Presidente . – L’ordine del giorno reca il Tempo delle votazioni.
(Per i risultati e altri dettagli della votazione: vedasi processo verbale)
4.1. Fondo globale per la promozione dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili (A6-0006/2008, Claude Turmes) (votazione)
4.2. La sfida della politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo per i nuovi Stati membri (A6-0036/2008, Danutė Budreikaitė) (votazione)
4.3. Miglioramento della qualità di vita degli anziani (A6-0027/2008, Neena Gill) (votazione)
4.4. Regime fiscale della benzina senza piombo e del gasolio (A6-0030/2008, Olle Schmidt) (votazione
4.5. Ruolo dell’Unione europea in Iraq (A6-0052/2008, Ana Maria Gomes) (votazione)
– Dopo la votazione sull’emendamento n. 10
Anna Záborská (PPE-DE) . – (FR) Signora Presidente, vorrei proporre semplicemente un emendamento orale che recita quanto segue: “vista la quarta convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, e i protocolli ad essa allegati I e II e particolarmente preoccupato per le violenze di cui è vittima il personale umanitario, sanitario e religioso nell’esercizio delle proprie funzioni”. E’ il testo dell’emendamento. Ho ampiamente consultato i nostri colleghi dei diversi gruppi che mi hanno assicurato di non opporsi alla mia proposta.
(L’emendamento orale è approvato )
4.6. Codice di condotta europeo per le esportazioni di armi (votazione)
4.7. Situazione particolare delle donne in carcere e impatto della detenzione dei genitori sulla vita sociale e familiare (A6-0033/2008, Marie Panayotopoulos-Cassiotou) (votazione)
– Prima della votazione
Teresa Riera Madurell (PSE). – (ES) Signora Presidente, prima di passare alla votazione su questa relazione, vorrei dire che ho un emendamento orale da proporre insieme alla relatrice, l’onorevole Panayotopoulos, e agli altri relatori, per il primo emendamento al paragrafo 6.
Vorrei eliminare le ultime due parole dell’emendamento, e le dirò in inglese: “contraception and abortion”; in questo modo non sarebbe necessario votare sulla seconda parte dell’emendamento in questione.
(L’emendamento orale è approvato)
– Prima della votazione sull’emendamento n. 7
Marie Panayotopoulos-Cassiotou, relatrice. − (EL) Signora Presidente, si tratta di una variazione nella frase “detenzione femminile e maschile”; e cambia anche l’età, 18 anziché 17.
(L’emendamento orale è approvato)
4.8. Parità di genere ed emancipazione femminile nella cooperazione allo sviluppo (A6-0035/2008, Feleknas Uca) (votazione)
Syed Kamall (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, qualsiasi cosa si pensi sull’attuale dibattito in materia di cambiamento climatico – avverto che fa molto caldo qui intorno –, penso che possiamo tutti concordare sulla necessità di una maggiore efficienza energetica.
Ma se dobbiamo parlare di efficienza energetica, facciamo in modo da avere un pensiero comune al riguardo. Vi darò un esempio: la nostra intera politica sulle lampadine a risparmio energetico. Sì, vogliamo eliminare gradualmente le lampadine esistenti, eppure imponiamo tariffe sull’importazione di quelle a risparmio energetico. Sì, parliamo di vietare il mercurio nei barometri (anche se in realtà costituisce un rischio molto piccolo), eppure nello stesso tempo stiamo incoraggiando le lampadine a risparmio energetico che contengono, sì, avete indovinato, più mercurio. E non soltanto, parliamo di efficienza energetica; eppure continuiamo a venire a Strasburgo, che emette tonnellate e tonnellate di ulteriore CO2 inutile.
Pertanto, se vogliamo davvero l’efficienza energetica, dovremmo chiudere l’emiciclo di Strasburgo.
Bernard Wojciechowski (IND/DEM). – (PL) Signor Presidente, ho votato a favore della partecipazione della Comunità a un programma di ricerca e sviluppo teso a migliorare la qualità della vita degli anziani attraverso l’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il progetto offre opportunità di sviluppo non solo per le persone anziane, ma anche per i disabili, per le donne che allevano figli e per le persone che vivono in zone rurali. A mio avviso, questa iniziativa servirà a impedire la stratificazione sociale in Europa in materia di accesso ai servizi digitali, nonché la marginalizzazione di gruppi sociali minacciati di non avere un accesso adeguato alla tecnologia moderna. Tuttavia, è molto importante tenere presente che il costo di queste tecnologie deve essere contenuto al massimo.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Ho votato a favore della relazione sul “miglioramento della qualità della vita degli anziani” che tratta di questioni di grande importanza per molti cittadini europei, specialmente la vecchia generazione. Le persone anziane dipendono dalle pensioni, che hanno per lo più un livello molto basso. Il problema cresce con l’aumento del numero di anziani beneficiari di questi fondi che sono limitati, dato che il numero di contribuenti sta diminuendo. Ci stiamo quindi dirigendo verso una situazione in cui un gran numero di anziani chiederà di beneficiare di diversi vantaggi sociali. Molti di loro, tuttavia, sono ancora capaci di svolgere vari tipi di lavoro e possono rimanere attivi sul mercato del lavoro. Il crescente numero di anziani e la necessità di una più ampia gamma di servizi e prodotti fanno aumentare la domanda del settore.
Bernard Wojciechowski (IND/DEM). – (PL) Signor Presidente, ho votato contro perché la relazione dà adito ad una serie di dubbi. Non sostengo le disposizioni della direttiva sull’armonizzazione delle aliquote di accisa sul gasolio e sulla benzina. La diversità delle aliquote di accisa crea concorrenza fra le imprese di trasporto di diversi paesi dell’UE, cosa che indubbiamente va a vantaggio del consumatore. Mi oppongo anche alle disposizioni relative all’aumento delle aliquote di accisa sul carburante in tutta l’Unione europea. Gli elevati prezzi del petrolio sui mercati nazionali e l’armonizzazione delle aliquote di accisa in tutti i 27 paesi dell’UE metteranno un freno alla crescita economica in paesi in cui si registra un basso PNL. Un aumento dei prezzi dei carburanti comporta un aumento del prezzo di beni e servizi. Ho quindi votato per gli emendamenti tesi a consentire ai nuovi Stati membri, compresa la Polonia, di mantenere aliquote di accisa differenti.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, ho votato contro perché l’aumento significativo delle accise sul gasolio provocherà un rialzo dei dazi doganali su beni e servizi in paesi che dovrebbero applicare un’aliquota di accisa inferiore al minimo proposto dalla Comunità, ma che è in ogni caso elevato tenuto conto delle condizioni di questi paesi.
Poiché il reddito medio degli Stati membri che hanno aderito all’Unione europea nel 2004 e nel 2007 è relativamente basso, l’aumento proposto delle accise è eccessivo. I suoi effetti si ripercuoteranno soprattutto sulle famiglie più povere, dato che l’attuale aumento dei prezzi del carburante già grava pesantemente sui loro bilanci domestici. I paesi meno sviluppati, con bassi livelli di reddito, dovrebbero quindi ricevere periodi di transizione molto più lunghi di quelli proposti dalla Commissione europea, per dare loro il tempo di adeguarsi. Ritengo che l’aumento proposto sia ingiustificato ed eccessivo.
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, è piacevole rivederla nel suo scranno ad ascoltare queste spiegazioni di voto, che so che lei apprezza molto. Vorrei aggiungere che gradisco la gentilezza e la comprensione del suo personale, dei servizi e degli interpreti questa settimana, durante le spiegazioni di voto.
Ho votato contro questa particolare relazione per tutta una serie di motivi. In primo luogo, credo nella concorrenza fiscale. Non credo che l’armonizzazione fiscale o le tasse dovrebbero rientrare nella competenza di queste istituzioni.
In secondo luogo, questa settimana, nel mio paese, il ministro delle Finanze ha innalzato le tasse sul carburante gravanti sulle automobili e sui camion in Gran Bretagna senza comprendere le conseguenze delle sue azioni. Vorrei sollevare un altro problema. Sto portando avanti una campagna con la Northampton Chronicle and Echo per le persone che vivono in quella zona nella mia regione, dove siamo tassati per il nostro carburante più che in tutte le altre grandi città. Desidero sottolineare che vi sono altri problemi nel mercato dei carburanti, non solo problemi fiscali.
Syed Kamall (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, vorrei fare eco ai commenti del mio collega ringraziando lei, il suo personale e gli interpreti per la cortese pazienza dimostrata durante le spiegazioni di voto, che possono certamente essere a volte divertenti e a volte noiose per lei. Lo comprendo. Ma questo è il grande paradosso di quest’Aula.
Passiamo adesso alla concorrenza fiscale. Parliamo di creare il mercato unico più grande del mondo e di fare dell’UE l’economia più competitiva del mondo, ma cosa facciamo quando si tratta della concorrenza fiscale? Come si legge invero nella motivazione, il modo migliore per affrontare il problema della concorrenza è quello della piena armonizzazione.
Ed eccoci qui: vediamo la concorrenza come un problema, ma allo stesso tempo parliamo della necessità di un’economia più competitiva. Non dovrebbe essere una competenza dell’UE. E’ competenza degli Stati membri e noi dovremmo lasciarla tale, perché il modo migliore per garantire un’economia competitiva è assicurare la concorrenza fiscale, non l’armonizzazione fiscale.
Bernard Wojciechowski (IND/DEM). – (PL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione. L’Unione europea non ha interesse a finanziare l’Iraq. Altri paesi della stessa Europa beneficerebbero molto di più di tali aiuti. La relazione della Caritas Europa mostra che in 14 paesi europei – fra cui Polonia, Austria, Germania e Gran Bretagna – i genitori soli, soprattutto le donne, sono particolarmente colpiti dalla povertà.
Secondo una relazione dell’UE, la Polonia, con il 26%, ha la più alta percentuale di bambini che vivono in povertà di tutti i paesi dell’UE. Un polacco su cinque (19%) vive sotto la soglia di povertà. E il 22% dei bambini polacchi con almeno un genitore che lavora è minacciato da povertà. Si tratta della cifra più alta in Europa. Il 13% dei polacchi occupati è minacciato dalla povertà. In Austria, il 47% dei genitori soli disoccupati vive in povertà cronica. Concentriamo i nostri sforzi sull’Europa.
− Relazione Marie Panayotopoulos-Cassiotou (A6-0033/2008)
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ieri, durante la sua Presidenza, ho sottolineato quanto mi piaccia sempre leggere le relazioni della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere in questa sede e mi chieda poi perché esiste. Infatti, oggi ci troviamo di fronte ad una relazione i cui risultati sono più coerenti con qualcuno che da bambino guardava troppo Prisoner: Cell Block H piuttosto che con la realtà della situazione delle donne detenute – e mi chiedo in ogni caso se questa dovrebbe essere una competenza di quest’Assemblea.
Ad esempio, nel considerando Q si legge: “considerando che l’aumento del numero di donne detenute può essere attribuito in parte al degrado delle condizioni economiche delle donne”. Penso, e ho controllato con le statistiche di una serie di paesi nell’Unione europea, che il numero stia aumentando solo perché la popolazione sta aumentando. Invero, la proporzione di donne detenute in Europa sta calando.
La relazione dice che nelle carceri dovrebbe essere garantito un accesso alle cure sanitarie di qualsiasi tipo di elevata qualità. Sì, è giustissimo. Ma vi sono molte donne anziane nella mia circoscrizione che vorrebbero avere gli stessi vantaggi delle cure mediche prestate alle donne detenute nel Regno Unito. Ecco perché mi sono astenuto dal votare sulla relazione.
Philip Claeys (NI). – (NL) Ho già segnalato ieri l’inattaccabile posizione della Turchia quale aspirante Stato membro e questa relazione conferma semplicemente quello status speciale. Da settimane la Turchia sta bombardando il nord dell’Iraq e diecimila truppe turche hanno invaso il paese. E invece di condannare con fermezza questa aggressione, cosa fa il Parlamento? Chiede educatamente alla Turchia di rispettare l’integrità territoriale dell’Iraq.
Tutte le regole, tutti i principi, tutti gli orientamenti e i criteri devono essere messi da parte per l’adesione turca, dai criteri di Copenaghen al diritto internazionale e al divieto di ricorrere all’aggressione. La Turchia si considera al di sopra della legge, di qualsiasi legge, ed è rafforzata costantemente in quella convinzione dall’Europa. Un giorno l’Unione europea avrà motivo di rammaricarsi di/rimpiangere questo atteggiamento.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, sono stato un critico e un oppositore forte e chiaro della guerra in Iraq e lo sono tuttora. Ma credo che dobbiamo anche correggere gli errori che abbiamo commesso in relazione alla questione. Noi, nel mondo occidentale – sia Europa che USA – abbiamo il dovere di fare del nostro meglio per garantire pace e stabilità, e sarà abbastanza difficile. Ecco perché la relazione Gomes è eccezionale.
Dovremmo avvalerci di quest’occasione per sostenere l’iniziativa dell’onorevole Záborská per il rilascio dell’arcivescovo rapito. Mi rincresce che, in conseguenza di un errore di gestione da parte di quest’Aula, quella risoluzione non sia all’ordine del giorno questo pomeriggio. Dobbiamo fare del nostro meglio per aiutare questo rappresentante di una minoranza la cui esistenza è minacciata, che ha vissuto in pace insieme ai vicini musulmani per secoli, e che è minacciata di genocidio proprio in un momento in cui noi siamo responsabili in Iraq. Non è accettabile ed è il motivo per cui dobbiamo agire con forza.
− Relazione Marie Panayotopoulos-Cassiotou (A6-0033/2008)
Bernard Wojciechowski (IND/DEM). – (PL) Signor Presidente, concordo su diversi punti della relazione dell’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou sulla situazione delle donne detenute. L’amministrazione carceraria deve garantire condizioni decenti per le persone che scontano pene detentive o altre forme di arresto temporaneo.
Vorrei attirare l’attenzione sulla situazione delle donne impiegate nei servizi carcerari. In Polonia, 5 000 dei 30 000 agenti penitenziari sono donne. La retribuzione degli agenti penitenziari non supera 500 euro al mese. Dato il ruolo svolto dal personale carcerario affinché le condanne siano effettivamente scontate, è importante che la maggior parte degli agenti che hanno a che fare con donne detenute siano dello stesso sesso. Ciò riduce il disagio delle donne detenute e garantisce una migliore protezione dei loro diritti. Senza un considerevole aumento della retribuzione e il miglioramento delle condizioni di lavoro negli istituti carcerari, non raggiungeremo gli obiettivi della relazione.
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ho votato secondo l’ordine del mio partito su questa particolare relazione e contro molti emendamenti. Tuttavia, ho un problema con i considerando. Dice: “considerando la necessità di istituire una forza nazionale di mantenimento dell’ordine che raggruppi tutte le comunità e possa ottenere della loro fiducia”. E’ la popolazione dell’Iraq la forza nazionale creata, credo, dalla popolazione dello stesso Iraq.
Ci si chiede in realtà quanto determinati siano stati i singoli Stati membri che compongono quest’Assemblea negli sforzi compiuti fino ad ora. Tutto ciò che si deve fare è guardare a quante persone hanno sostenuto gli sforzi in Iraq, credere in loro oppure no. Così come stiamo facendo, dovremmo cercare di risolvere i problemi che abbiamo provocato.
Penso davvero che questa risoluzione indichi che cercare di avere una politica estera e di sicurezza comunitaria armonizzata nel futuro ci causerà molti problemi, sia in quest’Aula sia nelle capitali dei nostri Stati membri.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, come la maggioranza del mio gruppo, ho votato contro questa relazione, non a causa dell’argomento, ma perché questo tema importante continua ad essere sfruttato per lotte ideologiche su questioni inerenti alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti.
Voglio fare appello a tutti i gruppi in quest’Aula per mettere fine a questa disputa ideologica, che va a detrimento dell’argomento in questione. Dobbiamo chiarire che la salute riproduttiva è importante, ma che non ha niente a che vedere con l’aborto, perché non rientra nella competenza dell’Unione europea e ciascuno Stato ha il diritto di decidere la propria normativa nel settore. Ciò è in linea con il principio di sussidiarietà, che è il motivo per cui il denaro dei cittadini europei non può essere usato per scopi che alcuni Stati membri non trovano accettabili per motivi etici, morali e legali.
Dovremmo quindi lasciare questo argomento fuori dalle nostre decisioni e concentrarci su concetti neutri che riguardino realmente la questione della salute e non la questione dell’aborto, in merito al quale le opinioni in quest’Aula differiscono e dove io sono fortemente a favore della protezione del nascituro.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) La relazione dell’onorevole Turmes sul Fondo globale per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili (GEEREF) trova la mia approvazione. Il GEEREF userà fondi pubblici limitati per incoraggiare investimenti privati per progetti in materia di efficienza energetica ed energie rinnovabili nei paesi in via di sviluppo e nelle economie in transizione. Un fondo che aiuta tutti a raggiungere un certo livello di efficienza energetica e che abbraccia le energie rinnovabili ha il mio sostegno e per questo ho votato a favore.
Rovana Plumb (PSE), per iscritto. − (RO) La risoluzione riguarda la creazione di uno strumento finanziario innovativo per sostenere l’attuazione di alcuni progetti finanziati da questo fondo in vista del passaggio a un’economia caratterizzata da ridotte emissioni di biossido di carbonio e dell’adeguamento agli effetti del cambiamento climatico.
Lo sviluppo di questo tipo di economia attraverso progetti finanziati dal fondo comporta la creazione di nuovi posti di lavoro, condizioni eque per lo sviluppo sociale e l’eliminazione delle divergenze. In questo senso, è utile il sostegno speciale concesso alle PMI nell’accesso ai finanziamenti dei loro progetti GEEREF.
Ho votato a favore della risoluzione perché credo che queste due forme di azione, ovvero l’abbattimento delle emissioni dei gas a effetto serra e l’adeguamento agli effetti del cambiamento climatico, debbano essere sviluppate in parallelo, attraverso politiche coerenti e convergenti con un impatto positivo sullo sviluppo del mercato del lavoro/creazione di nuovi posti di lavoro e sull’aumento del PIL.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) In generale, si può dire che lo scopo di questa relazione sia incoraggiare l’integrazione dei “nuovi” Stati membri nella politica estera dell’UE, in particolare la “politica di cooperazione allo sviluppo” e la “politica europea di vicinato”.
La relazione, inoltre, considera che i “nuovi” Stati membri rappresentino un’opportunità per l’UE “per rafforzare la sua presenza strategica nell’Europa orientale, in Asia centrale e nel Caucaso”, regioni con cui i “nuovi” Stati membri hanno relazioni prioritarie e che finora hanno ricevuto meno “aiuti” dall’UE.
Ciò significa cercare usare la relazione privilegiata dei paesi dell’Europa orientale che hanno aderito all’UE nel 2004 come strumento di intervento comunitario (tenendo conto degli interessi delle maggiori potenze e dei loro grandi gruppi economici e finanziari, in particolare nel settore energetico) nei paesi della Comunità di Stati indipendenti, nei Balcani occidentali e nel Caucaso.
Ciò significa cercare di fare uso dell’“esperienza” di transizione di questi paesi verso il capitalismo e l’inserimento nella NATO e nell’UE come modello da seguire in queste regioni. In definitiva, si tratta di questo: una politica che mascheri gli interessi del capitalismo con lo “sviluppo”.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Sostengo la relazione dell’onorevole Danutė Budreikaitė sulla sfida che costituisce per i nuovi Stati membri la politica di cooperazione allo sviluppo dell’UE. Mentre i nuovi Stati membri dell’UE, esclusi Malta e Cipro, offrono una competenza esclusiva ai fini dell’applicazione e della definizione della politica di sviluppo nei nostri paesi vicini dell’Est, dobbiamo incoraggiare attivamente la loro partecipazione nell’Africa sub-sahariana e in altri paesi meno sviluppati. I nostri nuovi Stati membri rafforzano il ruolo dell’UE quale partner mondiale e dovrebbero essere pienamente incoraggiati in quel ruolo. La relazione e le sue raccomandazioni hanno il mio sostegno.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Il solo fatto che stiamo discutendo del ruolo dei nuovi Stati membri nelle politiche dell’Unione europea in materia di cooperazione e di sviluppo, in particolare con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, è la prova lampante del successo del processo di allargamento e dell’integrazione dei paesi che hanno aderito all’UE negli ultimi anni.
I cosiddetti “ex paesi dell’Est” di certo hanno avuto una lunga tradizione di “cooperazione” con l’Africa, ed è possibile che questi legami rimangano, sebbene in termini completamente differenti. La questione più rilevante, tuttavia, è che questi paesi, che stanno ancora lottando con forza con i costi delle loro riforme, adesso sono in grado di contribuire alla cooperazione e allo sviluppo con il consenso attivo delle loro popolazioni. Questo percorso è esemplare e potrebbe essere seguito – e ci auguriamo che lo sia – da altri paesi in circostanze sostanzialmente uguali in altre parti del mondo.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Voto a favore della relazione dell’onorevole Budreikaitė sulla sfida che costituisce per i nuovi Stati membri la politica di cooperazione allo sviluppo dell’UE.
La relazione è di altissima qualità, propone un’analisi dettagliata dell’attuale situazione della cooperazione allo sviluppo nei nuovi Stati membri, delle istituzioni e dei programmi interessati, dei paesi beneficiari e dei contributi finanziari rilevanti.
Le questioni trattate nella relazione mettono l’accento sui rapporti fra gli Stati membri dell’UE e i loro nuovi vicini orientali. I nuovi Stati membri sono collegamenti importanti fra l’UE e i suoi nuovi vicini.
Io, personalmente, chiedo la messa a punto di forme efficaci di cooperazione fra i vecchi e i nuovi donatori a favore dei paesi meno sviluppati, approfittando dell’influenza predominante dei nuovi Stati membri in regioni o paesi specifici.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Gill sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità a un programma di ricerca e sviluppo. Questo programma mira al miglioramento della qualità della vita degli anziani attraverso l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). La partecipazione dell’Unione europea a questo programma ne rafforzerà la capacità di raccogliere le sfide demografiche.
L’uso delle TIC può aiutare gli anziani a diventare più indipendenti e a rimanere in salute e può migliorare la loro qualità di vita.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Abbiamo votato a favore della relazione che tratta della proposta della Commissione europea sulla partecipazione dell’UE a un programma di ricerca e sviluppo avviato da vari Stati membri dell’UE nel settore delle nuove tecnologie dell’informazione (TIC) per invecchiare bene e portare avanti un’azione efficace. Il programma è intitolato “Domotica per categorie deboli” (Ambient Assisted Living, ALL), e cerca di creare sinergie in termini amministrativi e finanziari. Anche il Portogallo vi partecipa.
La relazione, approvata adesso da quest’Assemblea, attira l’attenzione e avanza proposte concrete sulla promozione del ruolo delle donne nella scienza e ricerca e mette l’accento sulla partecipazione delle PMI e sull’accesso equo per tutti gli Stati membri a soluzioni efficaci sotto il profilo dei costi, onde evitare di ampliare il divario digitale e di creare così un’Europa a due velocità.
Si propone anche che la Commissione realizzi una valutazione intermedia entro il 2010 per analizzare la qualità e l’efficienza dell’attuazione del programma.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Solo due osservazioni sulla relazione dell’onorevole Gill, che riguarda in sostanza l’organizzazione di un programma di ricerca teso al miglioramento dell’autonomia delle persone anziane grazie alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
La prima osservazione è sul merito: è difficile vedere il valore aggiunto dell’Unione europea in un progetto avviato, avendone il diritto, da alcuni Stati membri, se non la burocratizzazione del processo e la creazione di un nuovo organismo comunitario. La generosità finanziaria dell’Unione, con 150 milioni di euro suddivisi in diversi anni, al lordo delle spese di funzionamento dell’organismo summenzionato, non sembra un argomento decisivo.
La seconda osservazione è sulla forma: sempre più di frequente quest’Assemblea presenta relazioni legislative sotto forma di compromesso fra Parlamento e Consiglio, che dovrebbe consentire l’adozione rapida già in prima lettura. Ma improvvisamente, il legislatore rimane ostaggio di una manciata di esperti negoziatori. L’estensione di questa pratica mi sembra pericolosa per la democrazia.
Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione che propone la partecipazione dell’Unione europea al programma di ricerca e sviluppo sulla domotica per categorie deboli, avviato in comune da diversi Stati membri e paesi terzi.
L’invecchiamento della popolazione costituisce una sfida per la società e l’economia europea. Oggi, l’aspettativa di vita media è di 80 anni e il numero di persone anziane tra i 65 e gli 80 anni aumenterà del 40% circa fra il 2010 e il 2030.
Emergono soluzioni innovative, che aiutano a mitigare problemi quali perdita di memoria, di vista, di udito, di mobilità o di autonomia che intervengono frequentemente con l’età.
La partecipazione dell’Unione europea a questo programma è prevista nell’ambito del Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo della Commissione europea. I progetti saranno cofinanziati dall’Unione europea con 150 milioni di euro e avranno un effetto leva raggiungendo almeno 600 milioni di euro fra il 2008 e il 2013.
Anche i paesi partecipanti al programma dovrebbero contribuire al finanziamento, stanziando fondi equivalenti o superiori, per ciascun paese dovrebbe destinare almeno il 20% dei fondi assegnati alla ricerca nazionale nel settore.
Mieczysław Edmund Janowski (UEN), per iscritto. − (PL) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Gill (A6-0027/2008) “Miglioramento della qualità di vita degli anziani” che mira a promuovere l’uso della moderna tecnologia dell’informazione e della comunicazione come forma di sostegno per la terza età.
Come sappiamo, le nostre società sono caratterizzate da un’aspettativa di vita sempre più lunga. E’ una tendenza molto positiva. La media dell’UE è adesso di 80 anni, e la quota di persone nella fascia degli ultrasessantacinquenni raggiungerà a breve il 40%. Le tecnologie in questione possono aiutare significativamente queste persone in diverse situazioni, fra cui il prolungamento dell’attività professionale e sociale e il miglioramento della qualità della vita. E’ ovvio che le esigenze specifiche dei disabili devono essere prese in considerazione e l’accesso a questi servizi e alle tecnologie deve essere garantito principalmente attraverso la fornitura della connessione a Internet a banda larga sia nelle aree urbane che rurali in modo da evitare discriminazioni geografiche.
Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. − (DE) Sono favorevole al cofinanziamento da parte dell’Unione europea del programma “Domotica per categorie deboli” dato che avvantaggerebbe non solo gli anziani, ma anche altri gruppi di popolazione, quali i disabili. E’ proprio a motivo dell’importante cambiamento demografico nella popolazione europea e dell’aumento dell’aspettativa degli ultimi decenni che dobbiamo sostenere le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione che faciliterebbero considerevolmente la possibilità degli anziani di affrontare le difficoltà quotidiane. Riguardo alla generale riduzione dei costi nel settore sanitario come risultato dell’uso di queste nuove tecnologie, attirerei la vostra attenzione anche sulla ricerca nei sistemi di “monitoraggio sanitario mobile”, il cui uso ridurrebbe i costi sanitari annuali di 1 500 milioni di euro solo in Germania.
Vorrei sottolineare che uno dei benefici del cofinanziamento è l’impatto positivo anche sul settore privato, perché aiuterebbe indirettamente le piccole e medie imprese.
Sostengo fortemente il programma comune AAL perché l’uso delle nuove tecnologie comporta il rispetto costante della vita privata degli anziani e consente loro di invecchiare con dignità.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Sostengo la relazione dell’onorevole Nina Gill “Miglioramento della qualità di vita degli anziani”. Raccogliendo risorse e coordinando la ricerca e lo sviluppo a livello europeo, saremo in grado di valutare in modo più adeguato come migliorare le vite dei nostri cittadini più anziani. Stabilendo un contributo minimo, garantiremo la partecipazione di tutti gli Stati membri a questa causa. Vorrei lodare la relatrice per la sua relazione e sostengo le raccomandazioni che contiene.
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. − (SV) Abbiamo deciso di sostenere la relazione nella sua interezza perché, a nostro avviso, l’UE deve rendere prioritaria l’azione sulla pericolosa concorrenza fiscale nel settore dei carburanti, in particolare per consentire di raggiungere i suoi obiettivi climatici.
La proposta di armonizzazione fiscale inoltre non impedirebbe ai singoli Stati membri di imporre proprie tasse sulle emissioni di CO2 sulla benzina e sul gasolio.
Questo è un ulteriore motivo importante per sostenere la relazione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La proposta di direttiva mira a ridurre le differenze di prezzo sul carburante fra i vari Stati membri che portano a distorsioni in termini di concorrenza e di ambiente nell’attività del trasporto stradale. Le differenze nei prezzi del gasolio usato come carburante per motori e della benzina senza piombo sono infatti significative.
Di qui l’importanza per il Portogallo, uno dei paesi in cui questa situazione cominci a farsi sentire, di tenere a mente le differenze di prezzo fra Portogallo e Spagna. Le imprese portoghesi subiscono la concorrenza delle imprese spagnole perché queste ultime beneficiano di prezzi più bassi per il carburante – il carburante rappresenta circa il 30% dei costi – a causa di una tassazione dei carburanti (e anche dell’IVA) più bassa.
Le imprese portoghesi hanno giustificato la stagnazione dei salari fissi dei lavoratori con questa pressione sui costi, con gravi conseguenze per la forza lavoro.
La proposta del Parlamento europeo è più positiva perché elimina i periodi transitori di cui all’articolo 18, aspetto molto importante dell’attuale situazione, nella speranza che sia possibile ridurre la differenza fra Portogallo e Spagna nel 2010, dato che quest’ultima dovrà aumentare la propria tassazione sul carburante da 302 euro a 330 euro nel caso del gasolio. L’avvicinamento continuerà nel 2012 e nel 2015. Nel caso della benzina senza piombo, non vi saranno purtroppo modifiche in tal senso.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la relazione Schmidt perché il Parlamento europeo, invece di sostenere l’iniziativa della Commissione, ha fatto un gioco di prestigio fra vecchi e nuovi paesi. Ad ogni modo, saranno i ministri a decidere da soli, e all’unanimità.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Più imposte e più controlli: ecco l’Europa di Bruxelles! L’armonizzazione delle accise, proprio come è accaduto con l’IVA mediante l’imposizione di tassi minimi obbligatori, che esiste ormai da quindici anni, si è dimostrata inefficace, del tutto inutile e a volte pericolosa.
Occorre ricordare che misure di questo tipo impediscono agli Stati membri di ridurre, ad esempio, l’IVA sulla ristorazione, sebbene in questo settore la possibilità di un’eventuale distorsione di concorrenza transfrontaliera è poco credibile e una riduzione dell’IVA consentirebbe di creare migliaia di posti di lavoro! O ancora, che i nuovi Stati membri sono costretti ad aumentare le tasse a livello vergognosi per i loro cittadini per rispettare la normativa comunitaria, mentre un’altra normativa europea chiede loro di controllare l’inflazione!
Ci viene proposto oggi di aumentare la tassa sul gasolio al livello della benzina senza piombo, con il pretesto della protezione dell’ambiente e della lotta contro il “turismo fiscale”, vale a dire l’utilizzazione a proprio profitto della concorrenza da parte dei cittadini! Ed è ancora più scandaloso dal momento che, in Francia in particolare, si sono incitati gli automobilisti ad acquistare vetture diesel per maltrattarli più duramente adesso!
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Questa spiegazione di voto vuole far capire che ancora una volta stiamo sprecando un’opportunità a livello europeo – dato che il meccanismo esiste – di agire per proteggere la piccola pesca costiera, omettendo di applicare alla benzina almeno le stesse condizioni fiscale godute dagli utenti di gasolio per l’agricoltura e la pesca. Andrebbe ricordato che la benzina è il carburante usato dalle navi d quest’importante e grande segmento di flotta dei vari Stati membri, in particolare del Portogallo.
Nella sua risoluzione del 28 settembre 2006 sul miglioramento della situazione economica del settore della pesca, il Parlamento, considerando che un aumento dei prezzi del carburante ha un effetto particolarmente negativo sull’industria della pesca - che aggrava in misura significativa l’esistente crisi socioeconomica e riduce drasticamente i redditi dei pescatori - e sottolineando che esiste un grave rischio di scomparsa di migliaia di imprese di pesca e di perdita di migliaia di posti di lavoro, ha adottato una serie di proposte per sostenere il settore di modo che possa affrontare l’aumento dei prezzi del carburante. Un anno e mezzo dopo, oltre all’aumento degli aiuti de minimis, in pratica non è stato fatto nulla a livello di UE.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) L’obiettivo della relazione dell’onorevole Olle Schmidt “Tassazione della benzina senza piombo e del gasolio” è occuparsi della differenza delle accise sui carburanti nell’Unione. L’attuale squilibrio ha incoraggiato il turismo del pieno, che ha ramificazioni economiche e ambientali. E’ opportuno prendere misure per scoraggiare questa pratica. Tuttavia, riconosco le esigenze dei nuovi Stati membri, ancora impegnati nel processo di sviluppo economico, i quali avranno bisogno di tempo per adeguarsi alle misure proposte. Ho votato a favore della relazione.
Pierre Pribetich (PSE), per iscritto. – (FR) L’obiettivo della proposta della Commissione era introdurre misure di riduzione delle emissioni di CO2 in conformità delle ambizioni illustrate nel pacchetto “energia-clima”. Tuttavia, né la proposta della Commissione né la relazione adottata oggi rispondono all’urgenza di sviluppare un carburante efficace per lottare contro le emissioni di CO2. Infatti, le disparità degli adeguamenti proposti nonché la loro diluizione nel tempo e nello spazio geografico dell’Unione europea rendono inefficaci le misure proposte.
Per cambiare aria cambiando era, dovremmo mostrare più immaginazione sul piano ecologico e votare a favore di misure che consentano di combattere efficacemente le derive climatiche. Ora, la modifica della fiscalità proposta dalla Commissione e la relazione dell’onorevole Olle Schmidt non valorizzano né la ricerca né la sostituzione con un nuovo carburante che riduca le emissioni di CO2.
Oggi, tengo a precisare la mia chiara opposizione alla logica di questa relazione, rifiutando di votare questo compromesso che snatura l’obiettivo dichiarato.
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. − La relazione Gomes prende atto della drammatica e difficile situazione che l’Iraq sta vivendo. Le organizzazioni non governative e i vari enti preposti alla ricostruzione della regione non riescono, di fatto, ad arginare i problemi derivati da decenni di guerre, dittatura e sanzioni.
In questo contesto, le Istituzioni europee hanno l’obbligo di sostenere una strategia complessa per l’Iraq, che accresca il sostegno UE direttamente all’assistenza tecnica a favore dello Stato di diritto, della giustizia e della buona gestione finanziaria, al fine di salvaguardare i diritti umani fondamentali creando stabilità e sicurezza regionale.
Il Parlamento dunque esorta il Consiglio a incoraggiare gli investimenti delle imprese europee sul territorio iracheno, conducendo i negoziati sull’accordo commerciale fra UE e l’Iraq così da avvicinare il mercato iracheno alle regolamentazioni europee.
In sostanza la proposta del Parlamento europeo, che condivido pienamente, suggerisce una nuova strategia per l’Iraq che preveda un adeguato utilizzo dello Strumento finanziario per la promozione della democrazia e dei diritti umani (EIDHR) e il sostegno a un sistema d’informazione pluralistico e indipendente.
Come rapporteur per la commissione per lo sviluppo sulla relazione Erasmus Mundus 2009-2013 mi impegnerò fin d’ora ad aumentare la dotazione finanziaria allocata per l’Iraq: la diffusione della cultura è un passo fondamentale nella creazione di un reale Stato di diritto.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La risoluzione adottata raggiunge il fatto “straordinario” di non contenere il benché minimo riferimento all’aggressione brutale e illegale e all’occupazione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti d’America e dei loro alleati.
La risoluzione illustra il tributo di morte di centinaia di migliaia di iracheni, la distruzione di un intero paese e il dispregio premeditato e massiccio dei diritti umani derivante dall’aggressione e dall’occupazione.
La risoluzione tace del tutto sulla prima e più importante causa dei gravissimi problemi che il popolo iracheno e il paese stanno affrontando adesso, e quindi sul modo di risolverli, ovvero il ritiro immediato di tutte le forze di occupazione.
In sostanza, la risoluzione avalla lo status quo, presentandolo come un dato di fatto e cercando di promuovere una maggiore partecipazione dell’UE nell’intervento in Iraq, vedendo questo paese come un altro “Stato” supervisionato da USA/NATO/UE, come l’Afghanistan e il Kosovo. E’ strabiliante, in quanto allo stesso tempo ritiene che i paesi vicini debbano evitare qualsiasi interferenza in Iraq e rispettarne l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale nonché il desiderio degli iracheni di creare il sistema costituzionale e politico del paese con i loro sforzi.
Ecco il perché del nostro voto contrario.
Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato per questa relazione, nonostante il parere espresso in uno dei considerando secondo cui tutti i problemi in Iraq deriverebbero dal precedente regime. Non vi è dubbio che Saddam Hussein sia stato un dittatore crudele e che abbia causato la morte di molti dei suoi cittadini, quanto meno nel tentativo sistematico di spazzare via i curdi. Tuttavia, anche la totale mancanza di qualsiasi strategia da parte delle forze di occupazione per affrontare la ricostruzione del paese ha provocato a sua volta un’indicibile miseria.
Sono lieto, tuttavia, che l’Assemblea abbia ritenuto che nessun paese dovrebbe forzare le persone a tornare in Iraq. Il paese non è sicuro, nemmeno il Kurdistan iracheno, dove di recente i carri armati turchi hanno attraversato le frontiere. Ci era stato detto dai membri di numerosi partiti del parlamento iracheno che il ritorno è pericoloso e potenzialmente destabilizzante per il paese stesso. Abbiamo anche sentito parlare, nella sottocommissione per i diritti umani, della difficoltà affrontate dai milioni di iracheni che vivono come rifugiati nei paesi vicini con poco sostegno da parte della comunità internazionale. Dovremmo sostenere i servizi pubblici in quegli Stati e almeno istruire i bambini.
Patrick Louis (IND/DEM), per iscritto. – (FR) La delegazione del movimento per la Francia presso il Parlamento europeo si è pronunciata sin dall’inizio dell’intervento americano in Iraq. L’esperienza del nostro paese, la sua vicinanza al popolo iracheno, ci facevano presagire il disastro umano, militare e morale che questo intervento avrebbe comportato.
Oggi, il male è stato fatto e conviene che gli Stati membri, da soli o collettivamente, agiscano per salvare e ristabilire ciò che può ancora essere salvato. Prima dell’intervento americano, l’Iraq era il solo paese musulmano ad avere sul proprio territorio un’importante e prospera comunità cristiana, presente in Iraq ancor prima della stessa apparizione dell’Islam.
Una delle conseguenze più drammatiche dell’intervento americano è stato l’esodo al quale parti della comunità sono state costrette a causa del terrore e delle intimidazioni. E’ un disastro per l’Iraq e per il suo futuro. In una prospettiva più ampia, la rapida erosione della mescolanza religiosa del Medio Oriente costituisce un impoverimento umano ed economico che mette in pericolo la stabilità e la prosperità dell’intera regione.
Per Fernand Braudel la storia cominciava a Sumer, ma oggi la lunga storia delle minoranze cristiane dell’Iraq sembra finita. Noi, nazioni dell’Europa, non possiamo perdonare questa grande ingiustizia con la nostra inazione.
Queste popolazioni hanno accolto l’Islam e sono stati ospitali e, insieme, hanno costruito questo paese che è stato prospero prima di essere devastato dal fanatismo e dalle guerre.
(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163 del Regolamento)
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Sono lieto che la relazione di Ana Gomes sul ruolo dell’UE in Iraq guardi avanti e formuli una strategia per costruire un forte Stato iracheno democratico che rispetti i diritti umani e la ricca composizione etnica e confessionale del paese. L’Iraq ha bisogno dell’Europa per sfruttare i recenti miglioramenti in termini di sicurezza che contribuiranno a incoraggiare gli investimenti e una maggiore partecipazione delle ONG nella ricostruzione del paese. Tutta l’Europa ha interesse ad avere un Iraq stabile e sicuro e io ritengo che le raccomandazioni della relazione riconoscano questo aspetto.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione vuole garantire che l’UE si appropri di una quota rilevante del bottino imperialista della guerra contro l’Iraq e degli interventi nella regione più selvaggia del Medio Oriente. In questo contesto:
cerca modi e mezzi per stabilire una presenza a lungo termine dell’UE nel paese al fine di “aiutare le imprese europee a presentare offerte per gli appalti relativi alla ricostruzione in Iraq”, ovvero per aumentare la quota del bottino ricevuto dai monopoli dell’UE;
chiede un aiuto incondizionato per il “governo” collaborazionista dell’Iraq;
avanza strategie per una partecipazione attiva all’occupazione imperialista. Per consentire alle forze militari e di polizia di fare parte degli eserciti di occupazione, basta indossare berretti diversi e cambiare il nome in “forze ONU”.
Pertanto, pur riconoscendo cinicamente le conseguenze catastrofiche della guerra e del massacro della popolazione irachena, la relazione dichiara frettolosamente che gli eventi sono stati superati.
La relazione legittima non solo gli eserciti di occupazione, che definisce “forza multinazionale”, ma anche le società private di assassini attive in Iraq, purché siano fissate regole per le loro attività criminali!
Il partito comunista greco condanna la relazione. Esprime solidarietà per la resistenza degli iracheni e la lotta della popolazione della regione per la liberazione dal giogo imperialista dell’occupazione e per il loro diritto inalienabile di decidere del loro destino.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Trovo positivo il fatto che il Parlamento abbia deciso di discutere sul futuro del ruolo dell’Unione europea in Iraq, piuttosto che insistere su un dibattito senza senso sulle questioni passate. I cinque anni che ci interessano adesso sono i prossimi cinque anni, non quelli trascorsi.
Il punto di partenza per qualsiasi dibattito al riguardo deve essere riconoscere che la situazione sul campo è migliorata significativamente, sebbene sia ancora molto grave. Il miglioramento rivela in particolare che vi è un modo per avanzare verso l’obiettivo di costruire uno Stato democratico e sicuro. Il nostro obiettivo può essere raggiunto. L’esperienza degli ultimi anni, tuttavia, dimostra che sarà raggiunto solo grazie a un maggiore impegno, aumentando la sicurezza, investendo nella formazione delle autorità irachene e, cosa molto importante, contribuendo attivamente alla creazione di infrastrutture che renderanno redditizia l’economia del paese, al di là del petrolio. Nel caso specifico dell’Unione europea, ciò comporta di investire massicciamente nella ricostruzione economica dell’Iraq e costruire la democrazia nel paese. Un Iraq democratico e sicuro che rispetti i diritti umani è fondamentale per la regione e per il mondo.
Karin Scheele (PSE), per iscritto. − (DE) So, ovviamente, che in plenaria abbiamo votato sul progetto di relazione della collega Ana Gomes sul ruolo dell’Unione europea e non sulla sua motivazione. Eppure penso che sia importante che nella motivazione la relatrice ancora una volta sottolinei il fatto che l’invasione dell’Iraq sia stato un disastro strategico e umanitario e che la società irachena sia stata traumatizzata dalla guerra e dal caos e violenza che ne sono seguiti.
Approvo il fatto che oltre a tanti altri punti importanti, la relatrice fa esplicito riferimento alla necessità di assicurare alle donne un ruolo più importante e di promuovere il rispetto dei diritti delle donne, delle minoranze e dei bambini se si vuole svolgere un buon lavoro in Iraq.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. − (NL) Trovo deplorevole che il Parlamento europeo finora non abbia elaborato alcuna analisi della guerra in Iraq. Negli ultimi anni quest’Assemblea ha mantenuto infatti un silenzio assordante e non ha nemmeno contestato le menzogne dell’amministrazione Bush. Per un organo democratico come il Parlamento è tutto dire! Sarebbe difficile per noi mantenere credibilità se non agiamo contro i membri dell’ONU che violano la carta delle Nazioni Unite.
L’onorevole Gomes ci propone una valutazione della situazione in Iraq. La sua relazione sul ruolo dell’Unione europea in Iraq include una serie di buone raccomandazioni per la ricostruzione del paese. Tratta una serie di argomenti e tutte le misure proposte mi sembrano fattibili. Apprezzo in particolare le proposte di compiere sforzi multilaterali, sotto la supervisione dell’ONU, e condurre intensi colloqui diplomatici fra gli USA e i vicini dell’Iraq. L’obiettivo deve essere stabilire la democrazia in Iraq, sulla base dei principi dello Stato di diritto, della buona governance e dei diritti umani. Per questo sostengo la relazione.
Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Nel contesto della quarta Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, si afferma che il personale umanitario, religioso e sanitari deve essere rispettato e protetto.
E’ indispensabile difendere il caso di Monsignor Rahho, arcivescovo caldeo cattolico nato e vissuto a Mossoul, rapito venerdì 29 febbraio 2008.
Nel corso del violento sequestro, i suoi tre accompagnatori sono stati uccisi.
In un emendamento orale alla relazione Gomes, non è stato possibile menzionare personalmente Monsignor Rahho.
Ecco perché io chiedo espressamente al Presidente di inviare due lettere di sostegno e di incoraggiamento, a nome di quest’Assemblea:
– una al Primo Ministro iracheno sciita Nouri al-Maliki che ha condannato questi attacchi e ha offerto a nome del governo iracheno “protezione e giustizia” ai cristiani, e che ha garantito che gli autori di questi crimini sarebbero stati perseguiti e puniti;
– l’altra al vicepresidente iracheno Tareq al-Hashemi, sunnita; anch’egli ha denunciato severamente gli attacchi terroristici contro le comunità cristiane, esprimendo in quest’occasione la sua “vicinanza con i fratelli cristiani”.
E’indispensabile infatti incoraggiare le autorità nazionali a fare tutto ciò che è in loro potere per garantire il rilascio immediato e incondizionato di Monsignor Paulos Faraj Rahho.
− Proposta di risoluzione: Codice di condotta dell’Unione europea per le esportazioni di armi (RC-B6-0063/2008)
Glyn Ford (PSE), per iscritto. − (EN) Sosterrò questa risoluzione. Come ho detto nella mia relazione di più di dieci anni fa, è essenziale avere un fondamento giuridico vincolante per il nostro codice di condotta per le esportazioni di armi.
Eppure, l’imperativo di esportare è dettato da un’industria europea divisa, ansiosa di produrre nel lungo periodo in modo da concorrere contro gli armamenti prodotti in massa negli Stati Uniti solo con una domanda interna di produzione in lotti.
Abbiamo quindi bisogno di un mercato unico dei materiali militari che consentirà all’Europa in primo luogo di competere, in secondo luogo di cessare di alimentare le guerre regionali nel mondo e in terzo luogo spostare alcuni dei suoi scienziati e ingegneri più altamente qualificati verso le nuove industrie tecnologiche di punta di domani.
Hélène Goudin and Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Alcuni Stati membri hanno un forte interesse a promuovere l’esportazione di armi. Quindi, se viene redatto un codice comune di condotta per l’esportazione di armi, è probabile che alcuni Stati membri che seguono una politica meno restrittiva siano costretti al compromesso.
Noi riteniamo che si possa realizzare una migliore sorveglianza sulle esportazioni di armi nell’ambito della normativa nazionale di ciascuno Stato membro. La Svezia deve continuare ad avere il diritto di seguire una politica restrittiva in materia di esportazione di armi se lo desidera. E’ auspicabile la cooperazione per garantire ulteriori progressi nei lavori concernenti il disarmo globale, ma è meglio operare a livello internazionale, nel contesto delle Nazioni Unite, in considerazione dell’esperienza, della competenza e della copertura globale di quest’Organizzazione.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Senza dubbio, un efficace codice di condotta per le esportazioni di armi a livello di UE diventa sempre più importante nel contesto della sua rapida militarizzazione, che si riflette nel progetto di Trattato attualmente in via di ratifica in ciascuno Stato membro.
Non senza una certa ironia, la risoluzione fa riferimento specifico all’“evoluzione della politica europea di sicurezza e difesa (PESD), nel cui ambito si procede sempre più a missioni militari e civili esterne dell’UE il cui personale potrebbe essere minacciato da armi in precedenza fornite da Stati membri dell’UE”.
Il “mercato dei materiali militari” si sta espandendo nell’UE, sono incoraggiate “diverse iniziative in atto per armonizzare le politiche nazionali di approvvigionamento di armi e il trasferimento e il commercio intracomunitario di armi”, e vi è una “disponibilità ad aumentare le esportazioni di armi quale strumento per promuovere i propri interessi economici”.
La parola d’ordine è stata data: corsa alle armi e militarizzazione delle relazioni internazionali.
Sono quindi positive e necessarie le iniziative e le misure tese quanto meno a mitigare un tale aumento. Come abbiamo dichiarato in precedenza, tuttavia, la normativa sul commercio di armi sarà molto più pertinente se accompagnata da un processo di disarmo multilaterale e reciproco, iniziando in particolare dallo smantellamento dei grandi arsenali nucleari.
Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto. − (EN) La delegazione conservatrice britannica ha votato contro la risoluzione per il fatto che non accetta i riferimenti al Trattato di Lisbona o all’evoluzione della PESD, contro cui si oppone. Inoltre, mentre è fortemente a favore di una politica responsabile in materia di trasferimento di armi, non è convinta dei meriti di un codice di condotta legalmente vincolante, imposto dall’UE, in anticipo rispetto al trattato sul commercio di armi vincolante a livello internazionale.
− Relazione Marie Panayotopoulos-Cassiotou (A6-0033/2008)
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. − (SV) Noi socialdemocratici svedesi abbiamo votato a favore della relazione perché è importante che le condizioni detentive siano migliorate in alcuni centri di detenzione in Europa e che i diritti umani e fondamentali delle detenute siano rispettati. Inoltre, deve essere integrata una dimensione di parità nel trattamento dei detenuti e nelle situazioni carcerarie. Tuttavia, abbiamo alcune obiezioni su una parte del contenuto della relazione. Non vogliamo l’armonizzazione delle condizioni detentive in Europa e abbiamo forti dubbi sui riferimenti contenuti nella relazione a speciali sanzioni penali o pene alternative per le donne, le donne incinte e le donne che accudiscono a figli in tenera età. Per quanto riguarda i contatti dei bambini con i propri genitori nei periodi di detenzione e dopo, si dovrebbe tenere conto di entrambi i genitori e non solo della madre o di un solo genitore, con l’attenzione rivolta sempre al miglior interesse per il bambino.
Den Dover (PPE-DE), per iscritto. − (EN) I miei colleghi conservatori britannici ed io riteniamo che si debba sempre cercare di migliorare la condizione delle donne detenute. La relazione suggerisce una serie di possibilità che potrebbero essere ulteriormente esplorate, compresa la prestazione di servizi sanitari.
Tuttavia, la relazione avanza richieste eccessivamente rigorose agli Stati membri in questo campo. Spetta allo Stato membro decidere sui dettagli della politica di detenzione. In particolare, non possiamo accettare la premessa dei considerando C e Q che, riteniamo, distorcono altri aspetti della relazione che potrebbero avere valore. Per questi motivi abbiamo deciso di astenerci.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou sulla particolare situazione delle donne detenute e l’impatto dell’incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare, dato che vi è la prova che le carceri europee sono in larga misura orientate alle esigenze dei detenuti uomini, trascurando quelle specifiche delle donne.
Ritengo quindi che dovrebbero essere adottate misure per promuovere il miglioramento della situazione delle donne detenute, in particolare in termini della loro reintegrazione sociale e professionale, salute e igiene, sostegno psicologico e mantenimento dei legami familiari.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Sebbene le donne rappresentino dal 4,5 al 5% circa dei detenuti nell’Unione europea, le carceri continuano ad essere orientate sostanzialmente alle esigenze dei detenuti uomini e tendono a trascurare il problema specifico della piccola, ma crescente percentuale di detenute. I settori principali di preoccupazione sono la salute, la situazione delle donne detenute con figli e la reintegrazione professionale e sociale.
Un’attenzione specifica dovrebbe andare alla salute delle donne e all’igiene. Le detenute incinte in particolare necessitano di risorse specialistiche e di attenzione per quanto riguarda la dieta, l’esercizio, l’abbigliamento, le medicine e le cure mediche da parte di personale specializzato.
I bambini che rimangono con le loro madri detenute necessitano di una protezione adeguata e di cure e non dovrebbero subire alcuna forma di discriminazione. La detenzione di donne può avere implicazioni particolarmente gravi quando queste donne erano le uniche custodi dei loro figli prima della carcerazione.
L’inclusione sociale delle detenute deve essere preparata durante e dopo la detenzione con la cooperazione dei servizi sociali e delle organizzazioni competenti al fine di garantire una flessibile transizione dalla prigione alla libertà.
Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE),per iscritto. – (SV) Sosteniamo il lavoro di ammodernamento e adattamento della politica penale intrapreso dagli Stati membri, inteso a rispondere in maniera più adeguata alle esigenze dei detenuti nonché a prendere in considerazione gli specifici bisogni delle donne.
Poiché le condizioni detentive non rientrano nella sfera di competenze dell’UE, abbiamo deciso di non votare a favore della relazione. I provvedimenti che riguardano le condizioni di visita, la gestione delle strutture, la formazione del personale all’interno del sistema penale, le attività ricreative per i detenuti o l’assistenza sociale sono e dovrebbero rimanere responsabilità degli Stati membri, così da poter essere adattati e sviluppati in maniera conforme alle esigenze locali e nazionali.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La Junilistan simpatizza per molte delle opinioni espresse nella relazione: rispetto per i diritti umani, migliori condizioni nelle carceri, rispetto per la parità fra donne e uomini e importanza della reintegrazione dei detenuti nella società. E’ anche estremamente importante che sia data la massima attenzione alle esigenze dei bambini in queste situazioni. Tuttavia, noi pensiamo che spetti agli Stati membri decidere come trattare queste materie. In particolare, sottolineiamo il diritto di ogni Stato membro a formulare il proprio diritto penale e quindi anche a pronunciare le opportune sentenze. Inoltre, l’Unione europea non dovrebbe impegnarsi in una regolamentazione dettagliata, ad esempio se un detenuto debba fare ginnastica o meno, sui regolamenti di visita o sul lavoro durante la detenzione. Questi aspetti dovrebbero essere di competenza degli Stati membri e dei loro elettori e essere determinate dal dibattito pubblico nella società.
Vorrei ricordare che tutti gli Stati membri dell’UE sono Stati democratici rispettosi dei criteri di Copenaghen.
Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. − (SV) Sosteniamo il lavoro compiuto negli Stati membri per ammodernare e adeguare la politica in materia penale al fine di migliorare la presa in considerazione delle necessità dei detenuti e, in questo contesto, delle esigenze specifiche delle donne.
Dato che il trattamento dei detenuti non rientra nelle competenze dell’UE, abbiamo deciso di votare contro la relazione. Misure concernenti le visite, l’attività degli istituti di detenzione, la formazione del personale nel sistema penale, le attività ricreative dei detenuti o l’assistenza sociale sono e dovrebbero rimanere appannaggio degli Stati membri, in modo da potere essere adattate e sviluppate conformemente alle esigenze nazionali e locali.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Concordo con i risultati illustrati nella relazione dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou sulla situazione delle donne nelle carceri e sull’impatto dell’incarcerazione sulla vita sociale e familiare. Il carcere rimane orientato alle esigenze dei detenuti uomini e io apprezzo l’obiettivo della relazione di sottolineare le differenze vissute dalle donne. Appoggio la relazione.
Martine Roure (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione perché è urgente adeguare le condizioni detentive per tenere conto delle esigenze specifiche delle donne. Ad oggi, le condizioni carcerarie in numerosi Stati membri restano pessime e non consentono in alcun caso di garantire il sostegno specifico necessario per le donne.
Infatti, le donne detenute hanno specificità che necessitano di un’attenzione particolare, soprattutto per quanto riguarda l’accesso alle cure sanitarie.
Ecco perché ho sostenuto un emendamento del gruppo socialista che chiede che le donne detenute possano avere accesso alle stesse campagne di prevenzione in materia di diagnosi del cancro al seno e al collo dell’utero. Infatti, questo tipo di diagnosi precoce offre maggiori possibilità di guarigione. Non permettere l’accesso a questo tipo di cure alle donne detenute può costituire una forma di doppia pena.
Inoltre, le donne rimangono un attore centrale nella loro unità familiare. Conviene quindi facilitare quando possibile pene alternative all’incarcerazione per le madri se non costituiscono una minaccia per l’ordine pubblico.
Carl Schlyter (Verts/ALE), per iscritto. − (SV) Stiamo parlando di un settore per il quale non esistono poteri a livello di UE. Nonostante alcune proposte positive, la relazione si preoccupa troppo dei dettagli. Per questo motivo mi astengo.
Nirj Deva e Gay Mitchell (PPE-DE), per iscritto. − (EN) Quando si vota per qualsiasi politica che contiene il termine “salute sessuale e riproduttiva”, comprendiamo che non di tratta della protezione e del miglioramento della vita e della salute della madre e del nascituro. Non accettiamo altre definizioni che facciano rientrare l’aborto in quei termini, e inoltre comprendiamo che qualsiasi cura, informazione, politica o altri servizi pertinenti alla salute sessuale e riproduttiva debbano escludere l’aborto. Lavoreremo perché questa definizione sia accettata in ogni forum e organismo in cui possiamo esercitare la nostra influenza.
Notiamo la risposta della Presidenza del Consiglio del 4 dicembre 2003 secondo cui il termine salute riproduttiva non comprende la promozione dell’aborto e, fra l’altro, che l’aborto non dovrebbe mai essere presentato come metodo di pianificazione familiare, contrariamente a quanto dichiara l’OMS sulla regolazione della fertilità. E’ chiaro, pertanto, che la definizione dell’OMS non è vincolante per le istituzioni governative e parlamentari, né accettata.
Continueremo a sostenere le politiche che promuovono pratiche sessuali responsabili, che proteggono e migliorano la vita e la salute della madre e del nascituro, fra cui lo stanziamento di risorse per il conseguimento di questi obiettivi.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Questa relazione di propria iniziativa mira a integrare la prospettiva dell’uguaglianza nella cooperazione allo sviluppo dell’UE. La Junilistan si oppone agli aiuti a livello di UE e quindi vota contro la relazione.
Tuttavia, diversi emendamenti presentati da alcuni membri sono meno graditi. Il diritto delle donne alla salute sessuale e riproduttiva è un elemento importante nella promozione dello sviluppo. In questo caso, abbiamo scelto di sostenere le proposte iniziali come contrappeso alle tendenze spiacevoli che caratterizzano quest’Aula. Tuttavia, in via di principio, i lavori su questi temi e sulla cooperazione allo sviluppo dovrebbero essere perseguiti a livello globale nell’ambito dell’ONU, non dell’UE.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Riteniamo che la relazione abbia diversi meriti, uno dei quali è attirare l’attenzione su un problema importante, sia nell’UE che nei paesi in via di sviluppo: la necessità di garantire l’accesso alle informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva per garantire libertà di decisione, e di promuovere servizi pubblici per proteggere e applicare i diritti di ogni persona, in particolare delle donne.
Riteniamo che si debba sottolineare, tuttavia, che il maggiore contributo per “l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne nella cooperazione allo sviluppo” non verrà da politiche che promuovono rapporti di dipendenza e dominazione, la liberalizzazione del mercato (cfr. gli accordi di partenariato economico dell’UE), lo sfruttamento dei lavoratori, disuguaglianze e ingiustizia sociale e il dispregio per i diritti umani, che affliggono milioni e milioni di bambini e di donne in particolare, ma da una politica di effettiva cooperazione basata sulla parità di diritti fra Stati, rispetto per la sovranità nazionale e diritto di ciascun paese di definire e attuare un modello di sviluppo che soddisfi le esigenze e le preoccupazioni della popolazione, ovvero una politica che interpreti genuinamente la parola “solidarietà”.
Tunne Kelam (PPE-DE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore degli emendamenti perché ritengo che la lotta contro la violenza, in questo caso violenza sessuale contro donne in zone di crisi e conflitti, debba essere la massima priorità. L’UE non può tollerare alcuna forma di violenza e quindi ritengo che si debba mettere l’accento sulla lotta contro la violenza sessuale mirata contro le donne. Inoltre, penso che le tradizioni non debbano essere viste in senso negativo. La salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti sono questioni delicate, comprese le dimensioni tradizionali sociali e religiose, e quindi non si dovrebbe generalizzare e fare pressioni sulle società, specialmente le società fragili, dove drastici cambiamenti nei modi tradizionali di vita possono danneggiare la società fragile piuttosto che apportare benefici.
Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. − (DE) Voto per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne nella cooperazione allo sviluppo.
La discriminazione che le donne subiscono nei paesi in via di sviluppo a causa delle regole religiose, di pratiche culturali e della povertà è ulteriormente peggiorata, di solito, dalla mancanza di istruzione. Al riguardo, vorrei attirare l’attenzione, in particolare, sull’enorme potenziale della pressione sociale che può essere esercitata dalla sensibilizzazione in materia dei diritti di base delle donne che, in ultima analisi, potrebbe migliorare la situazione delle donne nelle regioni interessate.
Sostengo poi l’idea di guardare alla “violenza contro le donne” non solo in termini di vittime femminili, ma di prendere in considerazione anche l’aspetto degli “abusi maschili” attraverso programmi pratici di sviluppo, come proposto nella relazione dell’onorevole Uca.
Sono anche molto critico contro il mancato inserimento, da parte della Commissione, nell’elenco delle misure di una strategia contro la violenza basata sulla cultura o sulla religione misogine.
Un accesso inadeguato all’istruzione porta a svantaggi in altre settori della vita semplicemente a causa della mancanza di informazioni. Essere scarsamente informati al riguardo può avere conseguenze fatali nei paesi in via di sviluppo dove il livello della sanità e gli standard di igiene sono spesso sconcertanti. Basti guardare alla percentuale elevata in maniera allarmante di donne infettate dall’HIV – a sud del Sahara la cifra è del 57%.
Un aspetto estremamente positivo è la richiesta di elaborare “indicatori di risultato che riflettano la problematica di genere”, che renderebbero meno aspro il controverso argomento delle quote.
Maria Martens (PPE-DE), per iscritto. − (EN) Quando si vota per qualsiasi politica che contiene il termine “salute sessuale e riproduttiva”, comprendo che non di tratta della protezione e del miglioramento della vita e della salute della madre e del nascituro. Non accetto altra definizione che faccia rientrare l’aborto in questo termine: e inoltre comprendo che qualsiasi cura, informazione, politica o altro servizio pertinenti alla salute sessuale e riproduttiva debbano escludere l’aborto. Lavoreremo perché questa definizione sia accettata in ogni forum e organismo in cui possiamo esercitare la nostra influenza.
Noto la risposta della Presidenza del Consiglio al Parlamento del 4 dicembre 2003 secondo cui il termine salute riproduttiva non comprende la promozione dell’aborto e, fra l’altro, l’aborto non dovrebbe mai essere presentato come metodo di pianificazione familiare, contrariamente a quanto dichiara l’OMS sulla regolazione della fertilità. E’ chiaro, quindi, che la definizione dell’OMS non è vincolante per le istituzioni governative e parlamentari, né accettata.
Continuerò a sostenere le politiche che promuovono pratiche sessuali responsabili, che proteggono e migliorano la vita e la salute della madre e del nascituro, fra cui lo stanziamento di risorse per il conseguimento di questi obiettivi.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) La relazione dell’onorevole Feleknas Uca “Parità di genere e emancipazione femminile nella cooperazione allo sviluppo” accoglie la strategia proposta dalla Commissione nel settore. Faccio mia l’approvazione di una strategia che mura a integrare la parità di genere nella cooperazione allo sviluppo. Ho votato in favore della relazione.
Véronique Mathieu (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Anche se l’Unione europea integra ormai da numerosi anni la parità di genere nei suoi programmi di cooperazione allo sviluppo, i progressi effettivi sono ancora troppo lenti. Pertanto, la Commissione europea deve darsi degli obiettivi in termini di cifre e di scadenze per fare dello sviluppo il principale fattore di miglioramento delle condizioni di vita delle donne.
A questo fine, nei suoi partenariati l’Unione europea dovrebbe incentrarsi su tre priorità: le libertà fondamentali, il posto delle donne nella vita pubblica e il loro accesso alle cure.
Da un lato, la Commissione deve vigilare più che mai sugli attacchi all’integrità fisica e alla dignità della donna (tortura, mutilazioni tradizionali, matrimoni forzati). Dall’altro, la cooperazione deve comportare il riconoscimento del posto delle donne nella società, dell’accesso alla conoscenza fino all’autonomia finanziaria. Infine, sarebbe opportuno assumere impegni per l’orizzonte 2010 ai fini di una reale prevenzione e di un efficace trattamento del virus dell’AIDS nei paesi in via di sviluppo. La politica europea di sviluppo rappresenterà una cocente sconfitta se non genera cambiamenti reali per la situazione delle donne.
Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione, nonostante gli accurati risultati sulla tragica condizione delle donne nei paesi invia di sviluppo, non menziona le vere colpe: metodi di produzione capitalisti e brutali interventi imperialisti da parte dell’UE, degli Stati Uniti e di altri Stati imperialisti e organizzazioni. Sfruttano questi paesi e depredano le loro fonti di produzione di ricchezza, provocando fame e impoverimento di milioni di persone.
Le soluzioni proposte operano entro i confini dello sviluppo capitalista e degli aiuti allo sviluppo dell’UE. Un altro aspetto tipico di questo approccio è la proposta di rafforzare l’imprenditorialità femminile per aumentare l’occupazione. In questo contesto, le proposte per creare società più eque e democratiche, per favorire l’accesso delle bambine e delle donne all’istruzione e a servizi sanitari, per eliminare la povertà, le malattie, ecc, sono aria fritta. Sono meri desideri che spostano l’attenzione dalla verità, perché soddisfare le esigenze delle persone è incompatibile con il principio supremo dello sviluppo capitalista e il perseguimento di profitto. Per ogni euro che l’UE dà a questi paesi, ne ruba migliaia.
La posizione delle donne e le condizioni di vita delle popolazioni di questi paesi potranno migliorare non attraverso furti legalizzati dagli “aiuti allo sviluppo dell’UE”, ma attraverso la resistenza all’intervento imperialista, la richiesta di relazioni internazionali paritarie e la lotta per un diverso approccio allo sviluppo, basato sulle esigenze delle persone.
Karin Scheele (PSE), per iscritto. − (DE) La relazione sulla parità e la partecipazione, sul ruolo delle donne nella cooperazione allo sviluppo, copre diversi aspetti e include importanti questioni pratiche.
Nel suo insieme, quindi, va decisamente sostenuta. Un tema presente in tutta la relazione è la salute sessuale e riproduttiva e la violenza contro le donne, insieme alla promozione del diritto delle donne all’autodeterminazione.
E’ importante estendere le reti di micro-finanziamento, perché i microcrediti possono contribuire a migliorare la situazione economica delle donne. Non riesco a capire perché le persone stiano cercando di presentare vari emendamenti che indeboliscono la relazione e che semplicemente rigettano i documenti dell’ONU che sono citati.
Kathy Sinnott (IND/DEM), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, sono pienamente favorevole alla parità di genere e all’emancipazione delle donne e avrei voluto sostenere questa positiva relazione.
Purtroppo, la relazione, al pari di tante altre relazioni sulle donne e sui bambini, è stata usata per promuovere l’aborto nell’ambito dei diritti sessuali e di riproduzione. Dato che la maggior parte dei miei colleghi ha votato per includere una serie di emendamenti sui diritti sessuali e di riproduzione, non posso votare a favore della relazione.
Konrad Szymański (UEN), per iscritto. − (PL) La relazione dell’onorevole Uca sulla parità di genere nella politica di sviluppo è un’espressione di imperialismo morale europeo nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Esporta il modello sociale malato dei paesi europei ricchi verso i paesi dell’Africa e dell’Asia. I ripetuti riferimenti ai diritti in materia di riproduzione denotano il sostegno generalizzato per l’aborto. Non ho quindi potuto votare a favore della relazione.
Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (FR) La parità di genere è una priorità per i paesi in via di sviluppo. Apprezzo enormemente il lavoro estremamente preciso e approfondito realizzato dall’onorevole Uca su questo tema importante.
Tuttavia, ho votato contro la relazione perché, nella versione finale, il contenuto di alcuni paragrafi che fanno riferimento in modo indefinito alla salute sessuale e riproduttiva rimane ambiguo. Persistono interpretazioni contraddittorie, alcune delle quali comportano una minaccia per la vita dei nascituri.
In una prossima relazione, la salute delle donne non dovrebbe essere limitata alla salute riproduttiva perché tutte le donne hanno diritto ad un ambiente che permetta loro di restare in buona salute. Al riguardo occorre una vigilanza del tutto speciale sull’approvvigionamento salubre di acqua potabile, di proteine, di medicinali di base, accanto ai medicinali tradizionali.
A seguito della visita della signora Mongella, il 6 marzo 2008, per la giornata della donna, direi anche che avremmo molto da apprendere dalla saggezza africana per quanto riguarda la parità uomo-donna. Questa è vissuta e trasmessa nella tradizione orale fra donne e uomini con una buona salute psicologica e mentale. Tutti potremmo trarne ispirazione.
6. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
7. Comunicazione di posizioni comuni del Consiglio: vedasi processo verbale
(La seduta, sospesa alle 12.50, è ripresa alle 15.05)
PRESIDENZA DELL’ON. PAN ADAM BIELAN Vicepresidente
8. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
9. Discussione su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (discussione)
9.1. Armenia
Presidente. − L’ordine del giorno reca la discussione su cinque proposte di risoluzione sull’Armenia(1).
Marie Anne Isler Béguin, autrice. − (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, i tragici eventi che si sono verificati in Armenia a seguito delle elezioni presidenziali del 19 febbraio 2008 sarebbero forse la prova dell’impotenza dell’Europa ad accompagnare le piccole e fragili democrazie del Caucaso meridionale nel loro cammino verso la democrazia?
Dopo la crisi in Georgia, è l’Armenia a subire adesso un’importante crisi politica. Nonostante l’attenzione sia stata mantenuta viva durante la campagna elettorale, la comunità internazionale non è riuscita a promuovere il dialogo necessario per evitare gli scontri del 1° marzo. Dopo undici giorni di contestazione dei risultati dello scrutinio da parte di un’opposizione guidata dall’ex capo di Stato Ter Petrossian, la polizia ha cercato di disperdere i manifestanti, lasciandosi alle spalle otto morti, numerosi feriti, la proclamazione dello stato d’emergenza e l’applicazione di restrizioni alla libertà d’informazione, alla libertà di riunione nonché restrizioni sui partiti politici. Da allora, sono state arrestate 400 persone. E’ evidente l’inquietudine di una popolazione che teme l’imposizione di una politica di repressione. Oggi abbiano l’obbligo di trasmettere quel timore a tute le parti del conflitto politico armeno.
Ma qual è il metodo da suggerire per riportare ciascuno alla ragione e al tavolo delle discussioni, quando le tensioni sono esacerbate fino a questo punto? Ecco la sfida da affrontare. Occorre innanzitutto che le armene e gli armeni riacquistino fiducia nella loro giovane democrazia. A tal fine, sono indispensabili un’indagine sullo svolgimento degli eventi e la liberazione dei prigionieri. Poi, con la comunità internazionale, il nostro rappresentante speciale per il Caucaso meridionale, i nostri partner del Consiglio d’Europa e dell’OSCE, dobbiamo imporre un calendario ai nostri amici armeni affinché si ritrovino attorno al tavolo dei negoziati, Noi dobbiamo fare in modo che vi partecipino tutte le parti in conflitto, le autorità e l’opposizione. Le regole democratiche fanno leva sul dialogo e sulla non violenza, e noi dobbiamo facilitare questo approccio.
Se mi permette, signor Presidente, vorrei proporre un emendamento orale. Non so come procedere: nel quadro della risoluzione, abbiamo commesso un errore. Nel considerando H, abbiamo parlato del territorio del Nagorno-Karabakh mentre volevamo menzionare lo status del Nagorno-Karabakh. A quanto pare i colleghi sono d’accordo su questo emendamento.
Alexandra Dobolyi, autrice. − (EN) Signor Presidente, ero una dei quattro membri della missione del Parlamento europeo di osservazione delle elezioni in Armenia. Concordo pienamente e approvo i risultati delle elezioni presidenziali, ovvero condivido l’idea che le elezioni si siano svolte in buona sostanza in linea con gli impegni e gli standard dell’OSCE e del Consiglio d’Europa. Le autorità statali hanno compiuto sforzi reali per affrontare i problemi osservati nelle elezioni precedenti. Consentitemi di cogliere quest’occasione per ringraziare la delegazione della Commissione a Erevan per l’assistenza fornitaci.
Le elezioni si sono svolte in buona sostanza in linea con i nostri standard, come ho detto, ma sono necessari ulteriori miglioramenti e la volontà politica per affrontare le restanti sfide. Esprimo il mio più profondo disappunto e il timore per i recenti sviluppi che si sono vetrificati in Armenia, con violenti scontri fra la polizia e i dimostranti dell’opposizione che hanno provocato la morte di otto cittadini e il ferimento di oltre 100 persone. Va da sé che aspettiamo un’indagine trasparente e indipendente degli eventi che si sono verificati e la revoca parziale dello stato d’emergenza imposto dopo gli eventi.
Pur essendo un passo nella giusta direzione, non è sufficiente. Chiedo alle autorità armene di procedere alla revoca totale dello stato d’emergenza. A nome del mio gruppo, chiedo a tutte le parti interessate di mostrare apertura e calma per smorzare i toni e impegnarsi immediatamente in un dialogo costruttivo.
E infine, ma non è un aspetto meno importante, deploriamo e siamo preoccupati della recente violazione senza precedenti del cessate il fuoco sulla linea di contatto con il Nagorno-Karabakh e sollecitiamo con forza le parti ad astenersi da qualsiasi azione che possa pregiudicare il processo di negoziato. Li invitiamo ad astenersi dal rumoroso e catastrofico potere delle armi e ad esercitare il potere silenzioso e pacifico del dialogo.
Urszula Gacek, autrice. − (EN) Signor Presidente, i recenti eventi verificatisi in Armenia dimostrano quanto sia difficile per le democrazie alle prime armi dell’ex Unione sovietica avere fiducia nel processo elettorale. Quelli che detengono il potere sono tentati di muovere le pedine a loro favore, specialmente durante il periodo pre-elettorale, mentre per quelli che perdono è difficile accettare i risultati.
I problemi che abbiamo visto nell’Armenia post-elettorale sono stati aggravati da violenti scontri, che hanno portato a otto morti e all’imposizione di una misura straordinaria, ovvero la proclamazione dello stato d’emergenza. Il 1° marzo 2008, per un periodo di venti giorni, sono stati imposti divieti su tutte le attività politiche e una severa censura dei media. Il divieto relativo alle attività politiche è stato poi revocato. La libertà dei media, compreso l’accesso senza restrizioni a Internet, dovrà seguire. Infatti, tutte le normali libertà costituzionali dovrebbero essere ripristinate la prossima settimana.
Purtroppo, non si può escludere che lo stato d’emergenza sarà prolungato. Per adesso, è stato messo un coperchio sulla pentola a pressione, Sono preoccupata di cosa si farà per allentare la fonte della pressione.
La costruzione della democrazia è un processo complesso. Deve essere tutelato dalle istituzioni in cui tutte le parti pongono la loro fiducia. E’ quindi deplorevole che il presidente uscente abbia attaccato il mediatore per i diritti umani del suo paese che ha criticato le azioni del governo. E’ solo rafforzando il ruolo del mediatore e garantendo imparzialità della corte costituzionale, che indaga sui presunti brogli elettorali, che la democrazia può essere protetta.
Fino a quando vi sarà fiducia nei custodi della democrazia della stessa Armenia, io raccomando a tutte le parti in causa di avvalersi della mediazione offerta dagli inviati dell’UE e dell’OSCE e di farlo immediatamente.
Erik Meijer, autore. − (NL) Signor Presidente, nelle elezioni presidenziali rimane sempre più incertezza se il candidato che gode del favore del governo in carica non solo abbia ottenuto un gran numero di voti, ma anche un’effettiva maggioranza. Anche quando quel candidato ha una reale maggioranza, rimangono dubbi sulla portata di quella maggioranza, di certo dove sono stati compiuti evidenti tentativi per gonfiarla artificialmente.
Inoltre, quando alcuni candidati sono esclusi e solo il candidati appoggiato dal governo ha il diritto di accedere alla stampa, alla radio e alla televisione, quando l’opposizione o gli osservatori stranieri non sono in grado di controllare i conteggi adeguatamente, quando le proteste pacifiche contro i risultati dichiarati ufficialmente sono interrotte dall’esercito e dalla polizia e i capi dell’opposizione sono arrestati, vi sono tutti i motivi per dubitare seriamente del rispetto della volontà dell’elettorato.
Abbiamo visto questo tipo di elezioni presidenziali controverse al di fuori dell’Europa in Messico e in Kenya, e in Europa in Bielorussia, Russia, Georgia e Armenia. Anche senza queste elezioni, l’Armenia si trovava in una posizione estremamente difficile. Tradizionalmente ha un legame forte con la Russia, ma è separata dalla vicina Georgia, che ha gravi conflitti con la Russia, e dal vicino Azerbaigian, che per molti anni ha avuto una disputa di confine con l’Armenia.
Quando la provincia russa della Transcaucasia è stata divisa secondo le linee etniche negli anni ‘20, l’enclave del Nagorno-Karabakh, popolata da armeni, è stata assegnata all’Azerbaigian attraverso un compromesso, con garanzia di autonomia regionale armena. Quella soluzione non è più funzionante nell’era post-sovietica dato che adesso i due Stati Azerbaigian e Armenia sono nemici. Infatti, il territorio è occupato attualmente dall’Armenia e questo ha causato un conflitto prolungato con il suo vicino orientale, sebbene sia in vigore il cessate il fuoco. Questo tipo di situazione, con una minaccia permanente di guerra e di assedio, produce terreno fertile per la formazione di un governo autoritario e il funzionamento della democrazia interna è seriamente minacciato.
Gli eventi accaduti dopo le elezioni del 19 febbraio non sono stati una sorpresa. In ogni caso, dobbiamo compiere ogni sforzo per ripristinare le condizioni democratiche e i diritti dell’opposizione. I desideri dell’Unione europea o dei suoi Stati membri di intrattenere buone relazioni con i governatori di fatto di paesi come Russia, Bielorussia, Georgia o Armenia devono occupare la seconda posizione dietro questo imperativo primario.
Marios Matsakis, autore. − (EN) Signor Presidente, l’Armenia, in sostanza, è un paese rinato relativamente di recente, che lotta per rafforzare le sue istituzioni democratiche e salvaguardare il benessere dei suoi cittadini, mentre viene schiacciato fra due vicini non proprio democratici, ma piuttosto ostili, ovvero Russia e Turchia, ed è ingiustamente coinvolto in un allarmante conflitto territoriale con il regime totalitario dell’Azerbaigian.
In questo contesto, le recenti elezioni presidenziali non sono state perfette ma, per usare le parole della missione di osservazione internazionale, sono state “gestite in buona sostanza in linea con gli [...] standard dell’OSCE e del Consiglio d’Europa”.
Purtroppo, sembrerebbe la polizia, nelle proteste post-elettorali, abbia la forza più del necessario, il che ha provocato la morte di otto persone, fra cui un poliziotto.
E’ stata chiesta un’indagine completa ed equa degli eventi che hanno portato a quelle morti. E’ prevista un’indagine anche sulle voci che le forze esterne stiano istigando la violenza in Armenia per destabilizzare il paese.
Chiedo il pieno sostegno per questa risoluzione.
Marcin Libicki, autore. − (PL) Signor Presidente, va da sé che vorremmo che l’Armenia fosse in pace, avesse confini sicuri e gestisse le relazioni esterne con successo. Posso ricordarvi che le elezioni in Armenia hanno dato adito a gravi proteste. Gli attuali accadimenti di quel devono essere considerati nel contesto specifico del Caucaso, una regione altamente infiammabile.
Adesso che ho il diritto di parola, signor Presidente, con il suo permesso, vorrei cogliere l’occasione per manifestare la mia indignazione per le notizie che ho appena ricevuto circa l’assassinio di Faraj Rahho, l’arcivescovo caldeano di Mosul. Era stato rapito il 29 febbraio e tre delle sue guardie del corpo erano state uccise.
E’ un ulteriore attacco, un ulteriore reato da parte di uomini cui manca il coraggio di mostrare i loro visi al mondo, che rapiscono vittime innocenti, persone normali che svolgono attività religiose - per lo più cristiani, soprattutto cristiani cattolici. Oggi siamo di nuovo testimoni di questo tipo di crimine, e mi sembra che la questione dovrebbe essere posta nell’ordine del giorno della nostra prossima riunione a Bruxelles come tema speciale. Possa Dio concedere la pace eterna all’eroico martire che oggi è morto a Mosul.
Marian-Jean Marinescu, a nome del gruppo PPE-DE. – (RO) Quanto è accaduto in Armenia deve essere condannato con forza, ma purtroppo non è una sorpresa. Si verificano altri eventi simili in quell’area e rappresentano una continuazione della situazione in atto dopo il 1990.
Stiamo affrontando le conseguenze di diversi fattori che persistono da allora: un insufficiente sviluppo economico, conflitti latenti, e l’influenza della Federazione russa. In aggiunta abbiamo la situazione del Kosovo che, nonostante tutti i considerevoli ma inutili sforzi degli autori, costituirà un precedente per tutti gli interessati. Per la popolazione che vive nella regione può solo derivare insicurezza, mancanza di fiducia nelle autorità e vulnerabilità alla manipolazione.
Esiste un’unica soluzione per ripristinare uno stato di normalità: sviluppo economico che genererà uno standard di vita più elevato. Vi sono risorse energetiche. Lo sviluppo di tali risorse e il loro transito risolverà il problema dello sviluppo economico, nonché quello dell’indipendenza dalla Federazione russa e risolverà anche il problema dell’Europa in generale.
L’Unione europea non ha assunto una vera e propria posizione e se vuole trovare una soluzione ai problemi del Caucaso meridionale, deve agire attivamente per lo sviluppo di piste energetiche nella regione del Mar Nero.
Justas Vincas Paleckis, a nome del gruppo PSE. – (LT) Quando in un paese che partecipa alla politica europea di vicinato e che è favorevolmente disposto verso l’UE si svolgono elezioni democratiche con successo, è una vittoria anche per noi. Se sbaglia, è un caso di sconfitta reciproca.
Secondo la missione di osservazione internazionale, le elezioni presidenziali in Armenia sono state condotte in linea con gli standard internazionali. Purtroppo, i successivi sviluppi hanno cancellato questo vacillante passo avanti. Lo spargimento di sangue e l’imposizione dello stato d’emergenza hanno strappato l’Armenia via dal cammino verso la democrazia, impedendo le sue relazioni con l’Unione europea. I diritti umani sono soppressi in Armenia e non vi è libertà di parola.
Erevan dovrebbe revocare totalmente lo stato d’emergenza e il rappresentante dell’OSCE dovrebbe contribuire a far trovare una soluzione alla crisi. Si spera che entrambe le parti mostreranno moderazione e baseranno i loro lavori sui valori europei.
Janusz Onyszkiewicz, a nome del gruppo ALDE. – (PL) Signor Presidente, l’attuale crisi politica in Armenia non è la prima nella storia del paese.
Durante la presidenza di Levon Ter-Petrosian, l’Armenia ha iniziato ad allontanarsi fortemente dagli standard liberali e democratici. I principali partiti dell’opposizione sono stati messi al bando, la libertà di stampa è stata limitata, e in generale lo svolgimento delle elezioni parlamentari è stato contrario ai criteri democratici. Ter-Petrosian si è dimesso dalla carica di presidente sotto la pressione delle dimostrazioni. Ciò ha portato una certa stabilità al paese, che è finita però con la drammatica uccisione nel parlamento di nove politici armeni, fra cui il primo ministro, da parte di assassini sconosciuti.
Stiamo assistendo adesso ad una ripetizione di quanto è già accaduto circa 10 anni fa. L’attuale crisi, tuttavia, può dipendere forse dalla stanchezza della società armena nei confronti dei governi del cosiddetto Karabakh Clan, al quale appartenevano sia l’ex sia l’attuale presidente. Il governo è accusato di avere ripristinato l’autoritarismo sotto le parvenze della democrazia, con un controllo di stampo mafioso delle attività commerciali e un’economia in declino.
Vi è anche il timore sempre più diffuso del crescente isolamento dell’Armenia e del graduale indebolimento della sua posizione nell’irrisolto conflitto sul Nagorno-Karabakh. Quando Ter-Petrosian ha deciso di tornare alla politica e di presentarsi alle elezioni, la sua promessa di maggiore flessibilità nella politica estera gli ha fatto guadagnare un considerevole sostegno.
L’attuale crisi è molto profonda, tuttavia. Speriamo che sarà risolta con strumenti politici, sebbene non sia del tutto certo. In caso contrario, il conflitto nel Nagorno-Karabakh può intensificarsi nel tentativo di unire la società attorno al governo. Un recente incidente avvenuto nel Karabakh, nel quale hanno perso la vita 11 persone, conferma questo timore. Un altro risultato può essere invece un ulteriore rafforzamento della dipendenza dell’Armenia dalla Russia. La recente inaugurazione dell’oleodotto Armenia-Iran non indebolirà quella dipendenza, dato che il gas, e lo stesso oleodotto, saranno controllati ovviamente da Gazprom.
Il nostro atteggiamento verso la grave situazione in Armenia dovrebbe essere amichevole, ma non dobbiamo evitare le critiche o evitare di esprimere la nostra preoccupazione se necessario. Credo che la posizione proposta in questa risoluzione soddisfi quei criteri.
Ewa Tomaszewska, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, il risultato delle elezioni presidenziali del 19 febbraio 2008 è stato un fattore di destabilizzazione politica in Armenia, ma va sottolineato che l’OSCE ha riconosciuto che le elezioni si sono svolte nel rispetto degli standard democratici.
Le dimostrazioni che sono seguite agli arresti domiciliari di Levon Ter-Petrosian e la loro brutale repressione il 1° marzo si sono concluse con otto morti, numerosi feriti, e la dichiarazione dello stato d’emergenza. Restrizioni dei media e l’arresto di diversi membri dell’opposizione stanno causando serie preoccupazioni.
Chiediamo alle autorità armene di ripristinare i diritti civili senza indugi, di porre fine allo stato d’emergenza, di rispettare i diritti umani e di accertare la responsabilità dei tragici eventi del 1° marzo 2008. L’indagine di questa vicenda non deve essere un pretesto per un’ulteriore persecuzione dell’opposizione. La situazione in Armenia, infatti, è molto difficile e il nostro rappresentante deve prestare molta attenzione in proposito.
Evgeni Kirilov (PSE). – (EN) Signor Presidente, vorrei aggiungere che gli standard democratici in Armenia non corrispondono al nostro ideale. Ciò che aggrava la situazione è l’ambiente socioeconomico e questo, ovviamente, fa finire ulteriori persone sulle strade.
Vorrei chiedere alle autorità armene e, ovviamente, a quelle dell’Azerbaigian di sforzarsi di risolvere questo conflitto di vecchia data. Vi sono zone occupate dall’Armenia che dovrebbero essere liberate perché non sono abitate da armeni. Ciò che preoccupa davvero è che entrambi i paesi sono in fase di riarmo, il che, ovviamente, riflette la situazione dei reali problemi sociali che questi paesi affrontano, in particolare l’Armenia.
Pertanto, io sostengo questa proposta comune di risoluzione, ma penso che dovremmo continuare a seguire la situazione molto da vicino perché è preoccupante.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, l’Armenia fa parte di un gruppo di paesi che ricevono sostegno dall’Unione europea per favorire riforme politiche ed economiche, creare le istituzioni di uno Stato retto dallo Stato di diritto e combattere la corruzione e la criminalità organizzata. Abbiamo quindi ragione a tenere sotto controllo, in quel paese, il processo politico e il rispetto per i principi democratici. Questo è particolarmente importante in vista dei cambiamenti che si stanno verificando in Armenia sin dal crollo dell’Unione sovietica.
I governi cercano spesso di influenzare i media, ma quando ricorrono alla violenza e all’uso della forza devono essere contrastati con eccezionale determinazione. E quando vi sono vittime, la situazione è eccezionalmente difficile. Chiediamo con fermezza il ripristino della libertà, il rispetto per i pareri altrui, e il mantenimento della democrazia e dei diritti civili. Condanniamo l’uso della forza e la dispersione violenta di riunioni, proteste e dimostrazioni democratiche.
Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione accorda un’attenzione particolare alla situazione della democrazia e dei diritti dell’uomo in Armenia che è, come sapete, uno dei nostri partner nel quadro della politica europea di vicinato.
Seguiamo molto da vicino il corso degli eventi attraverso la nostra delegazione a Erevan, con gli Stati membri, e in stretta collaborazione con il rappresentante speciale dell’Unione europea, Semneby. A tal fine, manteniamo anche contatti regolari con le ONG locali e internazionali attive nel settore dei diritti dell’uomo e della democrazia.
A proposito degli eventi tragici di cui Erevan è stata teatro all’indomani delle elezioni, il 1° marzo, anche la Commissione è preoccupata degli scontri violenti fra la polizia e i manifestanti dell’opposizione, che hanno provocato diverse morti nella capitale. In questo contesto, la Commissione ha chiesto immediatamente che questi eventi fossero oggetto di un’inchiesta approfondita e che i responsabili di atti illegali fossero portati alla giustizia. Abbiamo anche invitato il governo armeno a revocare immediatamente lo stato d’emergenza. Per la Commissione, è importante che tutte le parti si astengano dal ricorso alla forza. Ci aspettiamo che tutte le parti presenti in Armenia si impegnino in un dialogo politico per superare le loro divergenze.
In questo contesto, la Commissione deplora fortemente l’ombra gettata dai recenti episodi sui progressi, del resto sempre più positivi, compiuti dall’Armenia nell’attuazione del suo piano d’azione PEV, in particolare nel settore dei diritti dell’uomo e della democrazia. La richiesta di continuare con le riforme politiche e di rispettare i diritti dell’uomo fa parte integrante del partenariato fra l’Unione europea e l’Armenia, motivo per cui la Commissione utilizza tutti i mezzi a sua disposizione per incoraggiare le autorità armene a mantenere i progressi in questi settori.
Con l’adozione nel 2006 del piano d’azione comune Unione europea-Armenia nel quadro della PEV, ci siamo dotati di uno strumento politico in grado di promuovere in questi settori il rispetto dei principi fondati su valori che noi condividiamo. Abbiamo la ferma convinzione che un dialogo permanente con l’Armenia, condotto conformemente alle disposizioni politiche dell’accordo di partenariato e di cooperazione e del piano d’azione PEV, costituisca realmente il mezzo più efficace per trasmettere i messaggi dell’Unione europea in materia di rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale. Le riunioni annuali del comitato e del consiglio di cooperazione, e della commissione parlamentare di cooperazione, rivestono, al riguardo, un’importanza particolare.
La Commissione, inoltre, rimane determinata a contribuire al processo di riforma apportando un aiuto finanziario e tecnico all’Armenia. Il sostegno alle riforme politiche nel settore dei diritti dell’uomo e della democrazia resta una delle priorità del programma indicativo nazionale 2007-2010. Un terzo circa dei nostri aiuti bilaterali che, nel periodo 2007-2010, ammonterà a 98,4 milioni di euro, sarà utilizzato per sostenere progetti in questo settore. Per essere più specifico, il programma di assistenza bilaterale con l’Armenia del 2007 concentra il suo sostegno finanziario sulla riforma giudiziaria, con un aiuto di bilancio di 18 milioni di euro. Sono sicuro che il Parlamento europeo ci sosterrà in questo sforzo e sarà il nostro alleato più fedele.
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà alla fine della discussione.
Presidente. − L’ordine del giorno reca la discussione su cinque proposte di risoluzione sull’arresto di manifestanti a seguito delle elezioni presidenziali in Russia(1).
Bernd Posselt, autore. − (DE) Signor Presidente, durante la preparazione della presente risoluzione, alcuni di noi sono stati accusati di essere nemici o oppositori della Russia. Proprio il contrario. Noi siamo amici della Russia, ci preoccupiamo della democrazia e dello Stato di diritto in questo importante paese europeo. Protestiamo con forza contro la detenzione di attivisti dell’opposizione che non hanno fatto altro se non attirare l’attenzione su un evento che è stato notato da tutte le istituzioni internazionali, vale a dire l’estrema iniquità delle elezioni presidenziali in Russia.
Chiediamo l’immediata liberazione degli attivisti dell’opposizione e di altre persone che sono state detenute in prigione e in campi di lavoro per lungo tempo, come i cosiddetti prigionieri Yukos, Khodorkovsky e Lebedev, e sostengo la richiesta del cancelliere Merkel affinché i due uomini siano finalmente rilasciati.
Dobbiamo, tuttavia, essere abbastanza chiari su una cosa. Il nuovo presidente eletto della Russia ha l’opportunità esclusiva di iniziare tutto da capo e di muoversi nella direzione della democrazia e dello Stato di diritto e verso una politica estera meno nazionalistica e meno aggressiva. Ciò significa tuttavia che dovrebbe liberarsi dalle spire di Gazprom e dal sistema di Putin; purtroppo non vi è la minima indicazione in questo senso.
Ecco perché è nostro dovere esternare un’onesta critica. Non sono quelli che, come l’ex cancelliere tedesco Schröder, tessevano le lodi del sistema Putin e si permettevano di rimanere coinvolti nella propaganda e negli interessi economici e nazionalistici di quel sistema, ad essere amici della Russia; no, gli amici della Russia sostengono i diritti umani e civili della popolazione russa, che ha una possibilità di sviluppo democratico.
Se rimaniamo in silenzio, i piccoli semi della democrazia e dello Stato di diritto che il Presidente Eltsin aveva seminato e che il Presidente Putin ha messo da parte saranno alla fine soffocati e questo non può essere nell’interesse dell’Europa o nell’interesse della popolazione russa!
(Applausi)
Marios Matsakis, autore. − (EN) Signor Presidente, parlo per conoscenza personale della questione.
Negli ultimi anni si sono prodotti notevoli cambiamenti in Russia, si è passati dal comunismo stalinista all’inizio del capitalismo, dalla minaccia nucleare della guerra fredda all’inizio di un disarmo amichevole e dei colloqui sulla cooperazione con l’Ovest. Allo stesso tempo, sono state attuate nel paese più riforme democratiche e lo standard di vita della popolazione russa è cresciuto in maniera costante.
Accogliamo con favore questi cambiamenti e dobbiamo sostenerli. Non dobbiamo essere sempre critici riguardo agli aspetti negativi; talvolta dobbiamo perdonare e sostenere gli aspetti positivi. In questo modo non solo saremo obiettivi, ma incoraggeremo i cambiamenti per un futuro migliore, secondo un ritmo più veloce e con contenuti di più ampio respiro.
Con questi pensieri in mente, guardando alle recenti elezioni presidenziali in Russia, dobbiamo dire che si sono svolte in modo più democratico che in precedenza, sebbene si sia mantenuto il problema di un accesso non paritario dei candidati ai mezzi di comunicazione. Ma cerchiamo di essere onesti, non è questo forse un problema che abbiamo noi stessi negli Stati membri dell’UE? Purtroppo sì.
A seguito delle elezioni, vi sono state proteste nelle strade. Sappiamo che alcune di queste proteste sono state domante dalla polizia russa con una forza sproporzionata. Possiamo dire in tutta onestà che le nostre forze di polizia negli Stati membri dell’UE sono angeli e che talvolta – più spesso di quanto vorremmo – non ricorrono ad una forza sproporzionata?
Sì, condanniamo il trattamento iniquo dei candidati da parte dei mezzi di comunicazione russi a gestione statale; sì, condanniamo l’indebito uso della forza da parte della polizia russa contro i manifestanti, ma lo facciamo allo stesso modo e con lo stesso spirito come se si trattasse di eventi simili in ogni altro paese o unione di paesi, compresa la nostra.
Alexandra Dobolyi. − (EN) Signor Presidente, devo deluderla. Non sono l’autrice di questa risoluzione e il mio gruppo non ha confermato la risoluzione, Il motivo è evitare di avere una discussione oggi. Non perché pensiamo che non abbiamo bisogno di discutere tali questioni o perché pensiamo che non vi siano problemi in Russia, né perché siamo convinti che non si debbano affrontare le implicazioni delle elezioni presidenziali russe, ma piuttosto perché riteniamo che, quando di tratta della Russia − un attore mondiale, un membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU e uno dei principali partner dell’UE – è necessario svolgere in plenaria una discussione amplia e ben preparata.
La Russia non è solo un nostro vicino, è anche un partner strategico. Vogliamo svolgere un ampio dibattito sulla nostra relazione nell’ambito del quale affrontare tutte le questioni rilevanti, dal commercio agli investimenti – che sono in forte espansione –, all’energia, alla democrazia e anche ai diritti umani.
Le opinioni sulla Russia sono le più disparate, ma credo che ognuno concordi che la Russia è un partner importantissimo per noi per affrontare conflitti regionali e sfide globali, e che rimane ancora molto da fare per sviluppare il pieno potenziale della nostra relazione. Dobbiamo essere in grado di avere un ampio scambio di vedute in quest’Aula, ma anche con la Commissione e il Consiglio, su come formulare un approccio pragmatico collaborando nelle questioni in cui è possibile e dissentendo su questioni per le quali non possiamo cooperare.
E’ più che ovvio che non è possibile né opportuno trattare questa questione significativa e importante in un periodo di tempo di 20 minuti un giovedì pomeriggio, e questo è il motivo per cui il mio gruppo non può sostenere il progetto di risoluzione e si asterrà dal voto più tardi.
Marcin Libicki, autore. − (PL) Signor Presidente, si è tenuta un’altra elezione in Russia, e ancora una volta molti candidati sono stati esclusi prima della votazione. Ancora una volta gli attivisti dell’opposizione che protestavano contro il risultato delle elezioni sono stati dispersi con la forza. E ancora una volta l’Occidente è sorpreso, per tre motivi. Si sorprende, in primo luogo, del fatto che in Russia i diritti civili non siano rispettati. In secondo luogo, perché perseguitare l’opposizione dato che è debole in ogni caso? E infine, perché perseguitare l’opposizione se il pubblico, in linea di principio, sostiene ogni decisione del governo?
Dobbiamo renderci conto che nessuno che considera la Russia e i russi come una società normale e un normale Stato occidentale civilizzato può comprendere questo paese. La mentalità russa è completamente diversa, come possono testimoniare quelli che sono sempre stati i vicini della Russia, fra cui molte nazioni dell’Europa centrale e orientale. Noi sappiamo molto bene che la società russa sostiene sempre il governo e le autorità − elezioni o non elezioni. E’ come sempre è stato in Russia, e come sempre sarà.
Certo, concordo pienamente con l’onorevole Posselt che i veri amici della Russia devono fare tutto il possibile per cambiare tale situazione. Ma a mio avviso non vi è nulla di cui essere sorpresi.
Jana Hybášková, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, la Federazione russa è un paese con cui vogliamo disperatamente concludere un partenariato strategico. Se non la democrazia, allora lo Stato di diritto è il punto fondamentale in questo contesto.
Il 27 febbraio un attivista della coalizione l’Altra Russia è stato rilasciato da un ospedale psichiatrico nella città russa di Tver. Roman Nikolaychik è stato vittima di psichiatria punitiva. La pressione politica è aumentata su di lui dopo che era stato scelto come candidato locale della lista del partito della coalizione l’Altra Russia. Larisa Arap è stata detenuta per 46 giorni dopo avere pubblicato un articolo critico su Murmansk Oblast. Artem Basyrov è stato ospedalizzato per oltre un mese nella Repubblica Mari-El per avere sostenuto l’Altra Russia.
Il 1° marzo è stata inviata una lettera aperta al servizio di sicurezza federale della Russia. “Noi giornalisti e colleghi di Natalya Morar, corrispondente del New Times, chiediamo che la leadership dell’FSB faccia cessare la sua detenzione anticostituzionale nella zona doganale dell’aeroporto Domodedovo e le apra i confini russi.”
Il 4 marzo migliaia di persone hanno marciato a Mosca e nelle strade di San Pietroburgo, dove le autorità hanno rifiutato di concedere un permesso di riunione, e molti sono stati arrestati quando la polizia ha assalito la folla con bastoni. Nikita Belykh, leader dell’Unione del partito delle forze di destra, è stato portato via da forze speciali mascherate OMON. Sono stati arrestati anche Lev Ponomarev, presidente del movimento per i diritti umani, e Denis Bulinov, direttore esecutivo del Fronte civile unito.
Il 7 marzo alcuni giornalisti sono stati messi a tacere durante le elezioni russe. Nel Sud Sakhalin, un tenente dell’esercito ha attaccato un reporter del Yuzhno Sakhalinsk Tvoya Gazeta. A Novosibirsk, il fotografo Yevgeny Ivanov è stato accusato di “resistenza alle autorità” e di “omessa registrazione”. A San Pietroburgo, una reporter di Grazhdansky Golos è stata messa in detenzione dalla militsiya per “essere presente in una postazione di voto senza autorizzazione”. Il suo giornale è gestito da Golos, un gruppo di monitoraggio elettorale indipendente. Un reporter di Vpered (Avanti), un quotidiano locale del Khimki nell’Oblast di Mosca, è stato attaccato da ufficiali della militsiya quanto ha cercato di inserire il suo voto.
Questo è lo Stato di diritto?
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg, a nome del gruppo PSE. – (PL) Signor Presidente, l’accordo dell’UE con la Russia riguarda non solo una maggiore cooperazione nei settori dell’economia, della sicurezza e dell’energia, ma anche il rispetto dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti umani fondamentali.
Ciononostante, nella corsa alle elezioni, i gruppi dell’opposizione e le organizzazioni non governative sono state soggette a regole più severe sul diritto di riunione e di dimostrazione pacifica. Inoltre, i principali quotidiani e le stazioni radiofoniche e televisive sono state messe sotto stretto controllo governativo. La marcia organizzata dai partiti dell’opposizione il 3 maggio dapprima non ha ricevuto l’approvazione delle autorità di Mosca e dopo è finita con l’arresto dei partecipanti, compresi i leader dell’opposizione. Purtroppo, le recenti elezioni hanno dimostrato che la democrazia e il rispetto per lo Stato di diritto non trovano spazio in Russia. Mi riferisco non solo all’uso sproporzionato della forza da parte della polizia durante la dimostrazione, ma anche all’atteggiamento ostile verso la missione di osservazione dell’OSCE.
La comunità internazionale ha il diritto di aspettarsi dal nuovo presidente russo ben più di un’assicurazione che la democrazia continuerà a essere sviluppata nel paese più grande del mondo, ovvero l’adozione di concrete misure quali un riesame della situazione degli attivisti politici detenuti da anni.
Ewa Tomaszewska, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, né la campagna per le elezioni presidenziali russe né le elezioni stesse hanno rispettato le regole della democrazia. Durante l’annuncio delle candidature non vi è stato nemmeno un tentativo di mantenere le apparenze. I media sono stati invitati costantemente a non pubblicare informazioni critiche sul candidato sostenuto dal presidente in carica. L’accesso dell’opposizione ai media è stato bloccato e l’osservazione dello svolgimento delle elezioni è stata ostacolata.
E’ difficile da accettare, specialmente in considerazione dell’appartenenza della Russia al Consiglio d’Europa e delle precedenti dichiarazioni delle autorità russe sul rispetto dei diritti umani. Devo ammettere che tali dichiarazioni sono credibili solo per le persone che non conoscono la Russia. La violazione dei principi democratici durante le elezioni è stata seguita da proteste, dalla repressione brutale di una dimostrazione e dall’arresto dei manifestanti. La Russia si è decisamente allontanata dagli standard democratici. Chiediamo il rapido rilascio di tutti i prigionieri di coscienza.
Jiří Maštálka, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono lieto di vedere che la questione degli sviluppi in Russia sia oggetto di dibattito in plenaria.
Non vi è dubbio che buone relazioni reciproche con la Federazione russa siano una condizione preliminare per una forte Unione europea nel futuro. Deploro che le elezioni in Russia non si siano svolte senza interferenze da parte delle autorità. Da un lato, come è accaduto tante alte volte, manca da parte nostra una semplice dimostrazione di rispetto fondamentale per il lavoro realizzato e per la cultura della nazione e del paese di cui stiamo discutendo oggi.
Senza ombra di dubbio, la Russia è ancora lontana dal raggiungimento del livello di giustizia sociale e di qualità di vita che vorremmo vedere in tutto il mondo. Ha difficoltà ad affrontare la crisi demografica. D’altro lato, per la prima volta nella storia russa, il più alto rappresentante del paese sta lasciando il Cremlino volontariamente e il suo successore è stato scelto dal popolo. Non vi è dubbio che le tecnologie politiche, gli strumenti e i metodi di gestione, comprese le procedure di voto, siano state affinate alla perfezione in Russia. Queste tecnologie, tuttavia, sono state importate dall’occidente.
Vorrei chiedere a quelli che oggi si lamentano della situazione della democrazia in Russia se sono sconvolti anche del rifiuto in qualche modo codardo del Parlamento europeo di chiedere come Solana applichi il diritto internazionale.
Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, l’argomento del dibattito di oggi è la violazione dei diritti umani in Russia nei confronti delle persone che protestano contro la mancanza di democrazia, specialmente durante le recenti elezioni presidenziali. Non solo è stata usata la forza contro i dimostranti, seguita da arresti, ma l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa ha dovuto sospendere la sua missione di osservazione a causa delle restrizioni eccessive imposte dal governo russo. Le autorità russe hanno esercitato pressione sui gruppi di opposizione, hanno tollerato brogli elettorali e soggiogato i media. Alle organizzazioni non governative è stato impedito di agire e sono state applicate restrizioni alle possibilità di’organizzazione di riunioni.
Ovviamente non possiamo accettare la mancanza di rispetto per i diritti umani e per la democrazia, la mancanza di libertà di parola, la discriminazione contro le minoranze nazionali e le restrizioni sulle organizzazioni indipendenti. Dobbiamo, tuttavia, tenere a mente che la Russia non ha tradizioni democratiche. Il breve periodo di democratizzazione che inizia nel 1864 è finito nel 1917 con la creazione della Russia sovietica, un tipico Stato totalitarista, guidato prima da Lenin e Stalin e poi dai loro discepoli, che era la vera negazione della democrazia.
La situazione in Russia dovrebbe servire da monito per altri imperi e Stati totalitari che temono il processo democratico anche quando l’opposizione è una minoranza e minaccia solo di rivelare la verità, che essi vogliono nascondere a tutti i costi.
Koenraad Dillen (NI). – (NL) Solo due osservazioni. Non ho alcun problema a sostenere questa risoluzione. Ma di certo sappiamo tutti che la Russia è un fornitore di energia troppo importante e quindi i capi di Stato e di governo europei metteranno questo documento da parte.
Sappiamo per esperienza che una volta che sono in gioco interessi economici, vuoi in Cina, Russia o Arabia saudita, la passione per i diritti umani di tutti questi autori di carte dei diritti fondamentali devono cedere alla Realpolitik. Per cui non facciamoci illusioni.
In secondo luogo, onorevoli colleghi, sostituite “Russia” in questa risoluzione con “Belgio” e il testo rimane rilevante in ogni sua parte. Infatti, non molto tempo fa, anche in Belgio la polizia ha ricevuto l’ordine dal sindaco di Bruxelles di aggredire manifestanti pacifici. Anche in Belgio, all’opposizione viene negato in sostanza l’accesso ai media. Anche in Belgio, giudici nominati politicamente hanno messo al bando un partito dell’opposizione su richiesta del governo, su richiesta anche del partito di cui è un membro il Commissario che è qui con noi oggi. E i giudici in questione sono stati poi promossi. Che l’Europa faccia prima pulizia al suo interno di questi finti democratici.
Józef Pinior (PSE). – (EN) Signor Presidente, la Russia è un grande paese, un attore globale, membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU e un partner strategico dell’Unione europea.
In primo luogo, vorrei sollecitare un dibattito serio, calmo e obiettivo in quest’Aula sulla difficoltà della democrazia russa e dei diritti umani in quel paese.
La realtà è che la Russia ha reso difficile per gli attori internazionali il monitoraggio delle ultime elezioni parlamentari. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha giudicato finora contro la Russia in 15 casi relativi alla Cecenia. La tortura e la detenzione illegale da parte delle forze di governo sotto la leadership del Presidente ceceno Ramzan Kadyrov rimangono diffuse e sistematiche. Nel periodo precedente le elezioni, le autorità russe hanno dato un giro di vite sulla libertà di riunione e hanno usato una forza sproporzionata per fermare dimostrazioni pacifiche. Le leggi russe relative alle organizzazioni non governative sono particolarmente restrittive.
Non è possibile svolgere un dibattito adeguato su tutte queste questioni questo pomeriggio. Ancora una volta, vorrei sollecitare un serio dibattito in plenaria sulla difficile situazione della democrazia e dei diritti umani in Russia.
Zbigniew Zaleski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, come è evidente, i cambiamenti democratici in Russia non sono accompagnati da un miglioramento dei diritti civili fondamentali, in particolare i diritti dell’opposizione. Le persone in Russia hanno imparato a pensare con orgoglio, ma vivono in miserevole servitù. Le autorità non presteranno molta attenzione a noi, qualsiasi cosa diremo, ma i russi dovrebbero essere messi a conoscenza della posizione dell’Europa. Forse il processo verso la progressiva presa di coscienza che anche in Russia le cose possono essere diverse, più normali, e le persone più felici, dato che il paese ha quel potenziale, sarà lungo e lento. Dobbiamo sostenere tale processo di sensibilizzazione.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Concordo con gli oratori precedenti sul fatto che buone relazioni di vicinato fra l’Unione europea e la Russia sono fondamentali per la stabilità, la sicurezza e la prosperità dell’Europa nel suo insieme.
Da un lato, l’Unione europea deve sforzarsi di incrementare la cooperazione con la Russia, in particolare su questioni di politica, sicurezza, economia e, soprattutto, energia. Dall’altro, non dobbiamo rimanere in silenzio sulle violazioni della democrazia e della libertà politica in Russia. Dobbiamo esprimere la nostra insoddisfazione nei casi in cui abbiamo notizie di una violazione della democrazia, come è accaduto per l’esclusione del candidato presidenziale Mikhail Kasyanov.
Confido che il neoeletto presidente russo, Dmitry Medvedev, rispetterà lo Stato di diritto e la democrazia e creerà le condizioni per un prossimo avvio dei negoziati sul nuovo accordo di partenariato e di cooperazione fra Unione europea e Russia.
Janusz Onyszkiewicz (ALDE). – (PL) Signor Presidente, vorrei aggiungere ancora una cosa all’elenco di abusi perpetrati durante queste elezioni, che hanno impedito che ci fosse una reale elezione in mancanza di candidati fra cui scegliere. Mi riferisco al fatto che alcuni candidati non hanno potuto permettersi di essere inseriti nelle liste a causa delle difficoltà finanziarie dei loro partiti.
Perché difficoltà finanziarie? Perché nella precedente elezione alla Duma, i programmi di politica trasmessi gratuitamente per una determinata durata di tempo avrebbero dovuto essere pagati se il partito non avesse superato una certa soglia di voti. Di conseguenza, alcuni partiti si sono indebitati e non possono permettersi alcuna attività politica. Peggio ancora, rischiano di essere dichiarati illegali per bancarotta. Si deve tenere a mente anche questa bizzarra situazione.
Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, vorrei iniziare con un breve commento personale. Ho sentito l’intervento dell’onorevole Dillen, rappresentante di un partito di estrema destra belga che si è permesso un paragone totalmente indecente fra la situazione in Belgio e quella in Russia. Ovviamente devo contraddirlo. Riconosco i metodi classici cui lui e il suo partito sono abituati e che, in fondo, equivalgono agli insulti. Vorrei dire molto chiaramente che questi metodi disonorano coloro che li praticano.
Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione segue molto da vicino gli sviluppi delle manifestazioni del 3 marzo a Mosca e a San Pietroburgo attraverso la nostra delegazione a Mosca, ma anche attraverso contatti diretti con gli Stati membri. Inoltre, abbiamo contatti regolari anche con le ONG russe e internazionali attive nel settore dei diritti dell’uomo. La Commissione condivide la vostra inquietudine sull’apparente deterioramento della situazione dei diritti dell’uomo in Russia e sul numero segnalato di violazioni dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda la libertà di riunione e la libertà d’espressione. Siamo rimasti delusi quando l’ufficio delle istituzioni democratiche e dei diritti dell’uomo dell’OSCE ha dovuto constatare che l’invio di una missione di osservazione delle elezioni non era realizzabile. Nei contatti bilaterali con la Russia, anche al più alto livello l’Unione europea sottolinea regolarmente l’importanza del rispetto del diritti dell’uomo.
Fra un mese si svolgerà una delle due consultazioni annuali sui diritti dell’uomo con la Russia. Queste consultazioni sono per noi un’occasione per affrontare in modo più approfondito le tendenze generali nel settore dei diritti dell’uomo e per acquisire il punto di vista della Russia su casi specifici. Comunicheremo le nostre preoccupazioni, in particolare per quanto riguarda il diritto alla libertà d’espressione, la libertà di riunione, i problemi collegati all’aumento del razzismo e della xenofobia, e la cooperazione con la Russia in seno a organizzazioni internazionali come l’OSCE e il Consiglio d’Europa. Queste consultazioni offrono, fra l’altro, la possibilità di discutere di casi specifici. Prima e dopo queste consultazioni, incontriamo un gruppo rappresentativo di organizzazioni non governative russe e internazionali attive nel settore dei diritti dell’uomo. Queste riunioni permettono alla delegazione dell’Unione europea di ascoltare più da vicino le preoccupazioni degli attivisti per i diritti umani e a noi di scambiare i rispettivi punti di vista in modo diretto.
In una prospettiva un po’ più a lungo termine, dovremmo presto essere in grado di intraprendere negoziati per un nuovo accordo fra l’Unione europea e la Federazione russa. Si tratterà di un accordo globale che coprirà il crescente numero di settori politici nei quali si sta cooperando . Come precisa la dichiarazione dell’Unione europea a seguito delle elezioni presidenziali russe, esiste un interesse reciproco a fare avanzare queste relazioni e noi speriamo che questo partenariato sarà rafforzato e sviluppato in modo costruttivo nel corso della Presidenza di Dmitri Medvedev. Durante i negoziati, vigileremo affinché i valori ai quali entrambe le parti hanno aderito siano inseriti nel nuovo accordo: una società civile fiorente e mezzi di comunicazione indipendenti sono gli alleati naturali e indispensabili della crescita e della stabilità in Russia. E’ questa l’esperienza che abbiamo acquisita nell’Unione europea ed è un messaggio che trasmetteremo incessantemente, quali vicini e partner, ai nostri amici russi nel loro lavoro quotidiano, nonché nelle discussioni sulle caratteristiche della nostra futura relazione. So fin d’ora che il Parlamento europeo ci sosterrà in questi sforzi.
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà alla fine della discussione.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Filip Kaczmarek (PPE-DE), per iscritto. – (PL) Signor Presidente, sono sempre sorpreso dalle persone che chiedono molto alla democrazia americana, ma spesso si aspettano poco dalla Russia. Ciò è umiliante per la Russia e per i russi. Dai grandi e potenti ci si dovrebbe aspettare di più, non di meno. Quelli che condannano i metodi applicati a Guantanamo e la lotta contro il terrorismo, che cercano tracce della CIA e di cospirazioni della CIA in Europa, dovrebbero forse guardare la Russia con maggiore attenzione. Ma queste persone, e i politici che condividono la loro filosofia, non vogliono sentire parlare dei diritti umani e civili in Russia. Al contrario, trovano ogni pretesto e ogni scusa per non discutere dei problemi della democrazia russa.
Non possiamo essere soddisfatti dei risultati immaginati della Russia, fra cui il fatto che il Presidente Putin non abbia violato la costituzione russa e abbia lasciato l’incarico di propria iniziativa. Non è un successo, è una regola minima di condotta. Mi ricordo una barzelletta sulla benevolenza di Stalin. Un bambino esce dall’ufficio di Stalin, sanguinante ma sorridente. “Perché sorridi?”, chiede qualcuno. “Sorrido perché Stalin è stato buono con me”. “Cosa significa buono?” replica l’intervistatore. “Ti ha picchiato, vero?” “Sì”, dice il bambino, “ma avrebbe potuto uccidermi”.
Katrin Saks (PSE), per iscritto. – (ET) Signor Presidente, vorrei solo dire che non sostengo, purtroppo, la posizione del mio gruppo di astenersi nella votazione sulla risoluzione sulla Russia.
Abbiamo infatti bisogno di una risoluzione quando il Presidente eletto, Medvedev, sarà in carica; rimane da vedere quali saranno i suoi primi passi e il ruolo che Vladimir Putin darà a se stesso sotto il nuovo Presidente.
Sono anche dell’avviso che, data l’attuale situazione, in cui i candidati di ispirazione democratica non sono stati autorizzati a partecipare alle elezioni o a esprimere i loro pareri sulla situazione parlando alle persone in strada dopo le elezioni, è importante esprimere la mia personale opinione. Altrimenti, finiremo con la stessa situazione del Consiglio d’Europa, che ha ulteriormente posticipato la sua relazione sulla Russia a un momento più opportuno.
Voterò e lo farò a favore della risoluzione, ma il testo non è esattamente come avrei voluto che fosse. Credo che come istituzione democratica sia nostro dovere prendere una posizione di principio e avere il coraggio di esprimere le nostre opinioni su una questione importante come quella relativa alle libere elezioni.
9.3. Il caso del giornalista afghano Perwez Kambakhsh – Il caso del cittadino iraniano Seyed Mehdi Kazemi
Presidente. − L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sul caso del giornalista Perwiz Kambakhsh e la discussione di quattro proposte di risoluzione sul caso del cittadino iraniano Seyed Mehdi Kazemi(1).
Nickolay Mladenov, autore. − (EN) Signor Presidente, vorrei collegare questa discussione al dibattito precedente sulla Russia perché ritengo che, se crediamo in una serie fondamentale di valori, non possiamo difenderli solo in paesi che sono deboli, e dare esenzioni ai paesi che sono forti.
Sono orgoglioso che quest’Assemblea abbia discusso la relazione sulla Russia, e dovremmo tutti esserne orgogliosi. Dobbiamo temere il giorno in cui il Parlamento europeo cesserà di discutere queste risoluzioni e di sostenere fermamente i valori in cui crediamo.
Perché, oggi, la democrazia non è il diritto di tutti a essere uguali, ma è il diritto uguale per tutti di essere diversi. Questo è un messaggio fondamentale che dobbiamo trasmettere ai nostri partner in Russia e ai nostri partner in Afghanistan.
Il presidente Karzai e il governo afgano si sono impegnati a costruire uno Stato democratico, moderno. In uno Stato democratico e moderno, la pena di morte è inaccettabile. Questo non è discutibile. Non è accettabile nessuna forma di condanna a morte in uno Stato democratico e moderno. Questa è la base del nostro valore europeo.
Il caso del giornalista afgano Kambakhsh è ancora più imbarazzante perché è stato condannato a morte per avere esercitato il suo diritto di libero accesso all’informazione.
Dovremmo incoraggiare fortemente le autorità afghane, governo e presidente, a intervenire a suo favore e usare i loro poteri per difendere la sua vita e garantire che sia perdonato alla fine del processo al quale deve essere sottoposto adesso, ovvero il processo di appello.
Dovremmo, tuttavia, continuare ad aiutare le autorità a costruire le istituzioni che devono funzionare come in uno Stato moderno e democratico, sostenere la società civile e, cosa più importante di tutte, mantenere il nostro impegno per la sicurezza dell’Afghanistan.
Infine, non dovremmo dimenticare che l’istruzione è il valore di base che dobbiamo dare ad un paese come l’Afghanistan. Le ragazze hanno avuto la possibilità di andare a scuola solo negli ultimi cinque anni. Ci aspetta molto lavoro da fare. Non dovremmo evitare il lavoro e dovremmo inculcare con decisione alla Commissione, al Consiglio e a tutti gli Stati membri, l’idea di investire nell’istruzione in Afghanistan.
Marcin Libicki, autore. − (PL) Signor Presidente, il giornalista afgano Perwiz Kambakhsh è stato condannato a morte. Come sempre, i governi autoritari attaccano coloro che parlano dei diritti umani, e quindi giornalisti e attivisti religiosi.
Concordo con gli oratori precedenti che non dovremmo essere indulgenti verso paesi potenti come Russia e Cina. Come ha giustamente detto l’onorevole Mladenov, lo standard dovrebbe essere lo stesso per tutti. Vorrei anche sottolineare che quelli che dicono che dovremmo essere più indulgenti verso Cina e Russia perché sono paesi potenti hanno torto su due punti. Il primo, perché lo standard deve essere lo stesso. Il secondo, perché il fatto che i governi debbano fare certi compromessi è una questione diversa. Nella storia dell’Europa, i parlamenti sono sempre stati la coscienza della nazione. E i parlamenti non possono fare questi compromessi che, purtroppo, a volte, dobbiamo accertare da parte dei governi.
Chiedo quindi all’Assemblea di non applicare standard diversi per i potenti e i deboli.
Thijs Berman, autore. − (NL) La pena capitale è una barbarie e la libertà di espressione è scolpita nella costituzione dell’Afghanistan. Eppure, il giornalista Perwiz Kambakhsh è stato condannato a morte per blasfemia, lontano dalla capitale Kabul, a causa di un articolo sui diritti delle donne nell’Islam che non ha nemmeno scritto di suo pugno. Il fratello scrive in modo critico sui leader locali, così chiaramente non è stato di aiuto per la causa di Perwiz.
Questa condanna a morte è arrivata come un fulmine a ciel sereno, anche in paesi con una larga maggioranza di musulmani. Giornalisti in Pakistan, Iran, Qatar, tutti sono dolorosamente consapevoli dell’importanza di salvaguardare la libertà di espressione ovunque nel mondo, contro la massiccia opposizione, nonostante i club ultraconservatori che non sono a favore delle libertà, dei diritti delle donne o di un dibattito aperto. Eppure, anche questi conservatori hanno bisogno della libertà di espressione.
Cosa dovrebbe fare l’Europa?
1. Offrire più aiuto di quanto era stato promesso nel 2007 per la riforma del sistema giudiziario in Afghanistan.
2. Chiedere con forza al Presidente Karzai di agire e sostenerlo al riguardo.
3. L’Unione europea deve fare del rispetto per i diritti umani e per la costituzione afgana un pilastro centrale della politica della Commissione europea.
Non ha assolutamente senso forzare questa questione più di quanto gli ultraconservatori non intendano tollerare. Ciò significherebbe abbandonarsi alle loro mani. Ma Perwiz Kambakhsh deve essere liberato immediatamente.
Marios Matsakis, autore. − (EN) Signor Presidente, alcuni credono che l’Afghanistan sia un paese in cui negli ultimi anni ci sia stata una condizione di sommossa continua e di tensione caotica. Povertà, analfabetismo, rivalità tribali violente, baroni della droga, signori della guerra, occupazione russa, terrorismo talebano, seguiti dal formidabile intervento USA-Regno Unito, e in aggiunta a tutto questo, la severa legge islamica, la sharia. Se mai ci fosse l’inferno sulla terra, l’Afghanistan sarebbe un candidato perfetto. Eppure, di fonte a questa estrema avversità, si fanno strada deboli atti di resistenza e di speranza di libertà di parola e democrazia.
Questo è il caso relativo ad un giovane giornalista, Perwez Kambakhsh, che ha osato diffondere un articolo sui diritti delle donne nell’islam, scaricato da Internet. Questo atto di coraggio è stato ritenuto blasfemo secondo quella legge paleolitica che è la sharia, ed è stato condannato a morte da cosiddetti giudici semiencefalitici, accecati dal fanatismo, in un tribunale cosiddetto religioso nell’Afghanistan del nord. Come sappiamo tutti, le donne nell’Islam fanatico sono viste come poco più che pezzi di mobilio e qualsiasi tentativo di mettere in discussione questo assioma è affrontato con azioni estreme, come quella che stiamo esaminando in questa risoluzione.
Ma le cose devono cambiare per il meglio e noi nell’Ovest abbiamo il dovere di provvedere affinché i cambiamenti avvengano prima piuttosto che dopo. Poiché l’Ovest, compresa l’UE, ha una formidabile presenza militare in Afghanistan e poiché l’Ovest, compresa l’UE, versa miliardi di euro in aiuti finanziari in quel paese, io penso che abbiamo perfettamente ragione a chiedere che non solo il giovane uomo in questione sia rilasciato immediatamente e senza condizioni, ma che simili situazioni in relazione alla retrograda legge islamica sharia non si verifichino più – mai più! Altrimenti dovremmo seriamente considerare l’opzione di portare sia le nostre truppe sia il nostro denaro via dall’Afghanistan e lasciare che il paese segua il corso infernale che gli sarà assegnato dal suo fanatico destino religioso.
Jean Lambert, autore. − (EN) Signor Presidente, il mio gruppo sostiene con fermezza la proposta di risoluzione relativa a Kambakhsh, sebbene non credo di essere d’accordo su tutto quello che è stato detto dal precedente oratore.
Tuttavia, voglio spostare l’attenzione su un altro giovane uomo la cui vita è anche in pericolo attualmente, ovvero Mehdi Kazemi, iraniano. In questo caso il governo britannico potrebbe fare la differenza, Molti di noi sperano che il ministro dell’Interno, Jacqui Smith, interverrà adesso sulla base di nuove prove.
Quest’Assemblea ha approvato proposte di risoluzione che hanno condannato la violazione dei diritti umani in Iran. Riteniamo che sia un paese pericoloso per gli omosessuali. Infatti, abbiamo visto corpi pendere da crani, così sappiamo, e molti di noi sono convinti che il paese sia pericoloso per questo giovane uomo in particolare.
Alcuni hanno sostenuto che è sicuro per lui ritornare se il suo comportamento è discreto. Suggerirei che ciò che costituisce un comportamento “discreto” in Iran è piuttosto diverso da quello che potrebbe essere nei nostri Stati membri. Ma la questione è che per molti, in alcuni paesi come Iran, Giamaica o altrove, essere omosessuale è un reato e quindi queste persone sono a rischio.
Il mio gruppo è stato molto critico sul regolamento di Dublino applicabile in questo caso, perché sappiamo che gli Stati membri continuano a trattare in modo diverso le richieste di asilo politico e anche che l’accesso alla procedura può essere estremamente difficile. E’ una situazione in cui i numeri sono stati considerati più importanti della vita.
L’essenza di una procedura di protezione è la seguente: si tratta di salvare la vita di qualcuno quando è a rischio. Non si tratta delle amenità delle procedure corrette, si tratta dell’effetto.
Vogliamo una politica in materia di asilo politico funzionante che sia in grado di correggere errori e di tenere conto di nuove informazioni, e che offra lo stesso standard elevato in tutti gli Stati membri. Ci auguriamo che in questo caso il governo britannico dimostrerà che ciò è possibile.
Eva-Britt Svensson, relatrice. − (SV) Signor Presidente, vorrei dapprima formulare due brevi osservazioni. Per iniziare, non possiamo mai stare in silenzio quando viene applicata la pena di morte, indipendentemente da dove accada nel mondo. In secondo luogo, è profondamente deplorevole che, ogni volta che ci riuniamo qui a Strasburgo, dobbiamo discutere una serie di reati contro i diritti umani. Talvolta sembra che non debba mai finire.
Per quanto riguarda questa risoluzione, osserviamo che l’articolo 34 della costituzione afgana enuncia molto chiaramente il diritto alla libertà d’espressione, stabilendo che la libertà di espressione non deve essere limitata e che ogni afgano deve avere il diritto di esprimere le sue idee, in parole, immagini e con scritti e attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione. Ciononostante, il giornalista ventitreenne Perwiz Kambakhsh è stato condannato a morte in un processo illegale e i suoi diritti giuridici gli sono stati negati. Il processo è chiuso per i giornalisti e le organizzazioni che lavorano per i diritti umani. Il cosiddetto reato riguardava il fatto che avesse diffuso un articolo sulla situazione delle donne nell’islam.
Quindi l’antefatto è ben conosciuto. Dobbiamo chiedere con forza che Perwiz Kambakhsh sia rilasciato immediatamente. Non ha commesso alcun crimine, ha agito in piena conformità della legge e della costituzione. L’UE e il mondo intero devono adesso unirsi dietro questa richiesta: liberate Perwiz Kambakhsh.
Marco Cappato, autore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, sul caso di Mehdi Kazemi siamo costretti a discutere di qualcosa che forse non avrebbe bisogno di un solo secondo di dibattito.
A chiunque fosse chiesto se ritiene possibile che un paese europeo finisca per consegnare una persona nelle mani del boia e di una dittatura come l’Iran, la risposta sarebbe certamente che non è nemmeno immaginabile. E invece l’immaginabile rischia di accadere, sta per accadere, nonostante le rassicurazioni che arrivano. Allora vuol dire che c’è qualcosa di davvero grave, una sorta di impazzimento che prende questa Europa.
Qualcuno dice che ci sono alcuni cavilli giuridici che possono portare Mehdi Kazemi alla deportazione e alla morte. Questo semplicemente non deve essere possibile. I principi fondanti dell’Unione europea, di rispetto dei diritti umani e della vita, non sono ancora stati aboliti. Se Kazemi finirà assassinato, nessuno potrà dare la colpa a procedure burocratiche, a meno di rassegnarsi a ritenere che l’Europa debba essere fatta solo di questo: di procedure burocratiche, di Stati nazione che sono così potenti da non riuscire nemmeno a salvare una vita.
Io ringrazio i 140 deputati europei che si sono mobilitati su questo e spero che ci sarà un voto unanime di questo Parlamento alla risoluzione presentata.
Ewa Tomaszewska, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, il 22 gennaio 2008 il tribunale di primo grado della provincia di Balkh nell’Afghanistan settentrionale ha condannato a morte Perwiz Kambakhsh, uno studente di giornalismo ventitreenne, per avere scritto nel giornale locale, per avere scaricato da Internet un articolo sui diritti delle donne e averlo diffuso per via elettronica. Il processo si è svolto senza alcun diritto di difesa. L’accusato è stato pestato e gli è stata estorta una confessione attraverso trattamenti brutali.
Chiediamo che le autorità afghane rilascino Perwiz Kambakhsh e che il governo afgano ripristini il rispetto per i diritti umani, specialmente il diritto alla vita. Voglio essere così temeraria da sperare che l’Afghanistan introdurrà rapidamente una moratoria della pena di morte.
Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signor Presidente, qualche mese fa il Presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, ha dichiarato solennemente alle Nazioni Unite che non vi era un problema di omosessualità in Iran perché, molto semplicemente, lì non vi erano omosessuali. Ha omesso però di dire che nel paese giustiziano tutti gli omosessuali.
Il caso di Mehdi Kazemi sottolinea ancora una volta le enormi falle del sistema di asilo politico dell’Unione europea: che qualcuno in questi giorni debba chiedere asilo politico per essere perseguitato e minacciato di morte a causa dell’omosessualità è una questione di estrema preoccupazione e mostra che la promozione dei diritti LGBT deve essere presente nell’agenda internazionale.
Ancora più grave è il fatto che l’Unione europea, il difensore dei diritti e delle libertà, non considera la persecuzione per motivi di orientamento sessuale un fattore sufficientemente importante per concedere automaticamente l’asilo politico in casi come quello di Mehdi Kazemi. Purtroppo, non è il primo caso di questo tipo, e di sicuro non sarà l’ultimo. Il fatto è che vi sono ancora molti paesi in cui la popolazione LGBT continua a subire persecuzioni di ogni tipo ed è anche condannata a morte, come in Iran.
Mi auguro quindi che quest’Aula e tutti i gruppi politici si rendano conto delle circostanze e si uniscano alle giuste richieste avanzate nella risoluzione che presentiamo oggi, specialmente in relazione alla piena attuazione della direttiva sulla qualificazione, che riconosce nella persecuzione per motivi di orientamento sessuale un fattore determinante per la concessione dell’asilo politico. Similmente, prevede che gli Stati membri analizzino i casi su base individuale, tenendo conto delle circostanze del paese di origine, comprese le sue leggi e regolamenti e le modalità di applicazione.
E’ inoltre necessario che gli Stati membri trovino una soluzione comune che garantisca a Mehdi Kazemi di ottenere lo status di rifugiato e la protezione di cui ha bisogno nell’Unione europea e che non sarà restituito all’Iran dove molto probabilmente sarà giustiziato come è accaduto al suo partner.
A tal fine, tutto quello che bisogna fare è rispettare l’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo in base al quale sono vietate l’espulsione e l’estradizione di persone verso paesi in cui esiste un elevato rischio di essere soggette a persecuzione, tortura o anche alla pena di morte.
Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, sostengo certamente la risoluzione perché l’attuale situazione in Afghanistan è inaccettabile e insoddisfacente. Il diritto talebano ha fatto indietreggiare il paese di molti anni.
Cerchiamo però di essere onesti. Chi ha dato forza ai talebani? Non sono stati forse gli americani, con le loro armi e le loro risorse economiche, a rafforzare i talebani nella lotta contro i sovietici? Non è anche un dato di fatto che oggi la produzione di oppio in quel paese sia aumentata di cinque volte? Perché? Ognuno di noi tragga le sue conclusioni.
Sophia in ‘t Veld (ALDE). – (NL) Sono alquanto sconcertata per il caso di Mehdi Kazemi e per il fatto che non siamo tutti d’accordo nell’affermare senza esitazione che egli ha diritto all’asilo. Sollecito i rappresentanti dei governi olandese e britannico e i membri di quest’Aula che prevedono di votare contro questa risoluzione, di fermarsi e pensare: qual è esattamente lo scopo dello Stato di diritto? E’ applicare regole e procedure in modo corretto e alla lettera, o è vedere fatta giustizia? Per cui, riflettete seriamente prima di votare.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, il mio gruppo è decisamente favorevole a proteggere Kazemi e ovviamente contrario alla sua deportazione in Iran. Eppure siamo contrari a questa risoluzione perché non riguarda, come si vuole fare intendere, un caso urgente, ma il diritto d’asilo nell’Unione europea in generale e il rapporto fra gli Stati membri dell’UE, i Paesi Bassi e il Regno Unito, in relazione a quella difficile questione.
Non è questa l’essenza delle relazioni urgenti. Qui sono usate come strumento per sollevare questioni di politica interna. Vogliamo che Kazemi sia protetto e sosterremo ogni iniziativa a questo fine, ma non questa risoluzione, il cui titolo porta il nome di Kazemi, ma il cui contenuto riguarda qualcosa di totalmente differente.
John Bowis (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, sostengo entrambe le risoluzioni. Ma è il mio paese che sta proponendo di rinviare un giovane adolescente verso la morte, in Iran. Una morte già subita dal suo amico. Non per un reato, ma per la sua sessualità. E’ il mio paese che nel passato ha avuto il fiero vanto di proclamare lo standard assoluto che noi non rimandiamo mai le persone verso una pena peggiore di quella cui andrebbero incontro in Gran Bretagna.
Qui non esiste un reato, ma una pena che in Gran Bretagna abbiamo abolito molti anni fa. E’ il mio paese che, se non cede in questo caso, dovrebbe abbassare gli occhi per la vergogna. Mi auguro che quest’Aula non debba abbassare gli occhi a sua volta per la vergogna. Mi auguro che sosterranno la risoluzione.
Per amor del cielo, è di un diciannovenne che stiamo parlando!
(Vivi applausi)
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, uno dei valori dell’Unione europea è coordinare l’azione e adottare posizioni in difesa dei diritti umani. Questo si applica al caso del giornalista afgano condannato a morte da un tribunale nella provincia settentrionale afgana per avere diffuso un articolo sui diritti delle donne nell’Islam. Durante il processo, ha rifiutato il diritto al consiglio di difesa ed è stato sottoposto a varie forme di violenza fisica. Eppure la costituzione afgana contiene una clausola sulla libertà di parola.
E’ evidente che la legge e la realtà non coincidono. Molti governi garantiscono il rispetto per la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, ma chiudono gli occhi sul modo in cui è applicata nei loro stessi paesi. Questo dovrebbe renderci ancora più determinati a difendere i diritti umani, la libertà e la democrazia.
Mario Mauro (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, solo per sottolineare che, nonostante le preoccupazioni per alcuni versi fondate del mio gruppo sul rischio di una generalizzazione di alcuni contenuti della risoluzione, rimane oggettivo il fatto che le informazioni che ci vengono dalle fonti e autorità iraniane sono inequivocabili. Il destino di Mehdi Kazemi se farà ritorno in Iran sarà la morte ed è per questa ragione che, contrariamente al solito, voterò in modo difforme dal mio gruppo.
Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per questa occasione di parlare con voi del caso di Kambakhsh nell’Afghanistan e del caso di Kazemi, cittadino iraniano.
Per quanto riguarda Kambakhsh, condividiamo, beninteso, tutte le vostre preoccupazioni e seguiamo questo affare da vicino attraverso la nostra delegazione, in collaborazione con il capo missione e il rappresentante speciale dell’Unione europea, Abbiamo parlato di questo caso regolarmente con le autorità afgane, da ultimo con il ministro degli Affari esteri, Spanta, in occasione della troika a Lubiana il 21 febbraio.
So che la delegazione afghana presso il Parlamento europeo ha anche affrontato la questione direttamente con il parlamento afgano. In quest’occasione, i parlamentari afgani hanno tenuto a darvi l’assicurazione che sarebbe stata trovata una soluzione soddisfacente.
Secondo me, è auspicabile mantenere la linea d’azione seguita ricorrendo, almeno nell’immediato, ad azioni diplomatiche discrete. A giudicare dal clima politico che regna attualmente in Afghanistan, sarà più difficile ottenere la liberazione in tutta sicurezza di Kambakhsh se si dà l’impressione che le autorità afgane cedono alle pressioni internazionali.
Desidero tuttavia assicurarvi che continueremo a seguire questo affare molto da vicino e che siamo pronti a adottare nuove misure nell’ipotesi in cui la pena di morte fosse confermata in appello. Il sistema giudiziario è completamente distrutto da quasi trent’anni di confitti armati. Abbiamo quindi fatto della riforma delle istituzioni giudiziarie afgane una priorità nel quadro del nostro programma di aiuto all’Afghanistan. I nostri esperti sono già sul campo e lavorano con la Corte suprema, l’ufficio del procuratore generale e il ministro della Giustizia, al fine di professionalizzare queste istituzioni a livello centrale e provinciale. Il programma della CE aiuterà anche le autorità a mettere in atto un nuovo sistema di assistenza giudiziaria, particolarmente necessario in Afghanistan, come lo testimonia la questione presente. Attualmente, non esiste un’avvocatura solida e indipendente, né accesso a un’assistenza giudiziaria pubblica. Ho la speranza che il programma di riforma giudiziaria della CE, attuato in stretta sinergia con la missione di polizia Eupol spiegata in Afghanistan nell’ambito della PESD, contribuirà a migliorare la situazione dei diritti dell’uomo a medio e lungo termine.
Inoltre, la Commissione condivide ovviamente la vostra viva preoccupazione su Kazemi e altri casi simili. Il caso di Kazemi è in fase di scupoloso esame da parte delle autorità olandesi e inglesi. Per quanto riguarda la protezione dei rifugiati, ricordiamo che, secondo il diritto internazionale, in particolare la convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato, nessuno Stato contraente espellerà o respingerà in qualsiasi modo un rifugiato alle frontiere di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un certo gruppo sociale o per le sue opinioni politiche.
In virtù del codice penale iraniano, l’atto denominato Lavat è passibile di pena capitale. Il termine Lavat non fa tuttavia distinzione fra rapporti sessuali consensuali o forzati. In quest’ultimo caso, sembra che quando la pena è pronunciata per fatti di Lavat in collegamento con altri capi d’accusa, il termine fa generalmente riferimento allo stupro. Va da sé che la Commissione si oppone categoricamente alla pena di morte in tutte le fattispecie, a maggior ragione, quindi, se non vi è reato. La situazione degli omosessuali in Iran è preoccupante. Le violazioni del diritto alla vita privata e le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale sono del tutto contrarie agli obblighi che incombono all’Iran in virtù del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici che ha ratificato.
L’Unione europea trasmette questi messaggi sui diritti dell’uomo all’Iran in modo globale e agendo su diversi fronti. Purtroppo, l’Iran non ha ancora accettato la nostra offerta di riprendere il dialogo bilaterale sui diritti dell’uomo. In ogni caso, insistiamo presso i nostri interlocutori iraniani sul fatto che speriamo di compiere progressi su ciascuno degli argomenti che interessano l’Unione europea nei settori politico, nucleare, commerciale e dei diritti dell’uomo. In mancanza di un miglioramento generale della situazione dei diritti dell’uomo in Iran, le nostre relazioni con questo paese non potranno evolversi in modo soddisfacente.
Per quanto mi riguarda, a titolo personale, vorrei ringraziare vivamente e congratularmi con l’onorevole Bowis, del quale condivido appieno il sentimento che ha espresso.
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà alla fine della discussione.
10. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
11. Tempo delle votazioni
Presidente. − L’ordine del giorno reca il Tempo delle votazioni.
(Per i risultati e alti dettagli delle votazioni: vedasi processo verbale)
11.1. Armenia (votazione)
– Prima della votazione
Marios Matsakis, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, si tratta di un semplice emendamento concordato con i principali gruppi politici. Si intende sostituire nell’emendamento del gruppo PPE-DE la parola “by” Turchia con la parola “with” (con la) Turchia. Credo sia accettabile per tutti i principali gruppi.
Poiché ho la parola, vi è un secondo emendamento al considerando H, che un collega ha menzionato prima, che intende sostituire la parola “territorio” con la parola “status”. Anche questo è accettabile per i gruppi principali. Sono molto grato nei confronti del Segretariato perché si è trattato di un emendamento orale molto tardivo.
(L’emendamento orale è approvato)
11.2. Russia (votazione)
– Prima della votazione
Marcin Libicki, autore, a nome del gruppo UEN. − (PL) Vorrei proporre un emendamento di stile. Le parole “Corte europea” dovrebbero essere sostituite dalle parole “Corte europea dei diritti dell’uomo”, altrimenti il testo sarà incomprensibile.
(L’emendamento orale è approvato)
11.3. Il caso del giornalista afghano Perwez Kambakhsh - Il caso del cittadino iraniano Seyed Mehdi Kazemi (votazione)
– Prima della votazione
Marco Cappato, autore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, semplicemente per chiedere, a norma dell’articolo 115 del regolamento, che il voto che stiamo per apprendere adesso non venga inficiato da questioni – diciamo così – di procedura.
E’ stato ammesso il punto di Mehdi Kazemi tra i punti di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. Non è una risoluzione sulla politica d’asilo, ma comunque la decisione della Presidenza è stata di ammettere questo punto tra le risoluzioni di urgenza. Mi sembrerebbe un segnale davvero negativo e poco comprensibile se una ragione di procedura togliesse una – credo – unanimità di fondo che c’è in tutto l’emiciclo.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, le informazioni sono contraddittorie in questo caso. Ciò che ha detto il Commissario differisce anche da quanto è indicato nella proposta di risoluzione. Ha detto che il Regno Unito non lo estraderebbe. Ecco perché ho proposto al mio gruppo di non votare contro, come intendevano originariamente, ma di astenerci e in futuro di analizzare casi di questo tipo più in profondità in quest’Aula. Non sono assolutamente una questione di dibattito urgente .
Presidente. − La votazione è chiusa.
12. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
13. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale
14. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
15. Dichiarazioni scritte che figurano nel registro (articolo 116 del regolamento): vedasi processo verbale
16. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale
17. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale
18. Chiusura della seduta
(La seduta è tolta alle 16. 35)
ALLEGATO (Risposte scritte)
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è la sola responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 13 dell’on. Bernd Posselt (H-0099/08)
Oggetto: Negoziati di adesione con la Croazia
Come giudica il Consiglio lo stato attuale dei negoziati di adesione con la Croazia e qual è il calendario per il loro proseguimento?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Il 10 dicembre 2007 il Consiglio ha elogiato la Croazia per i progressi globali compiuti nell’anno precedente e che hanno consentito al paese di entrare nella fase successiva molto più importante e impegnativa. I negoziati di adesione stanno procedendo secondo quanto previsto.
Finora sono stati aperti e provvisoriamente chiusi due capitoli, vale a dire il capitolo 25 relativo a scienza e ricerca e il capitolo 26 relativo a istruzione e cultura, mentre ne sono stati aperti per la prima volta altri 14: capitolo 3 – diritto di stabilimento e libera prestazione dei servizi; capitolo 6 – diritto societario; capitolo 7 – legislazione in materia di proprietà intellettuale; capitolo 9 – servizi finanziari; capitolo 10 – società dell’informazione e media; capitolo 17 – politica economica e monetaria; capitolo 18 – statistiche; capitolo 20 – politica industriale e delle imprese; capitolo 21 – reti transeuropee; capitolo 28 – salute e tutela dei consumatori; capitolo 29 – unione doganale; capitolo 30 – relazioni esterne; capitolo 32 – controllo finanziario, e capitolo 33 – disposizioni finanziarie e di bilancio.
E’ previsto lo svolgimento di negoziati di adesione con la Croazia a livello ministeriale e di rappresentante permanente anche per la prima metà del 2008 allo scopo di aprire ulteriori capitoli.
Resta ancora molto lavoro da fare. Deve essere prestata maggiore attenzione all’ulteriore recepimento e all’attuazione in modo effettivo dell’acquis comunitario per poter assolvere in tempo utile gli obblighi derivanti dall’adesione. Alla luce della relazione periodica del 2007 della Commissione sulla Croazia, il paese deve intensificare gli sforzi per quanto riguarda il recepimento e in modo specifico compiere ulteriori progressi in settori quali la riforma giudiziaria e amministrativa, la lotta alla corruzione, la riforma economica, i diritti delle minoranze e il ritorno dei rifugiati. Si deve proseguire la piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia (TPII) e sono necessari ulteriori miglioramenti per assicurare che i criminali di guerra in Croazia possano essere processati e condannati senza pregiudizi nazionali.
Deve essere affrontata anche la questione della zona ecologica e di pesca protetta. Il 18 febbraio 2008 il Consiglio ha esortato ancora la Croazia a tener fede ai suoi impegni al riguardo, facendo riferimento alle decisioni del dicembre 2007 in cui si invita la Croazia a rispettare pienamente l’accordo del 4 giugno 2004 e a non applicare alcun aspetto della zona ecologica e di pesca protetta, nel cui ambito è previsto anche un divieto di pesca per gli Stati membri dell’UE, fino a quando non si sarà trovato un accordo comune nello spirito dell’UE. Il Consiglio ritornerà sulla questione nella prossima sessione e pertanto ha invitato la Commissione a continuare il dialogo con le autorità croate e a riferire in merito al Consiglio.
Interrogazione n. 14 dell’on. Zita Pleštinská (H-0146/08)
Oggetto: Negoziati di adesione con la Croazia
Finché i paesi dell’Europa sud-orientale non aderiranno all’UE, non sarà possibile definire l’integrazione europea un successo. La Slovenia è un membro dell’UE a pieno titolo dal 1° maggio 2004, mentre la Croazia può soltanto aspirare a tale status. Da diversi anni si parla delle relazioni frontaliere tra i due paesi e la dichiarazione resa all’inizio dell’anno relativa ad un’area di pesca ecologica ha ulteriormente complicato i negoziati di adesione della Croazia all’UE.
Qual è la posizione del Consiglio riguardo alla risoluzione della controversia sul confine tra la Slovenia (attuale titolare della Presidenza dell’UE) e la Croazia (che aspira fortemente ad aderire all’Unione)? Ritiene appropriato che questioni di carattere bilaterale siano coinvolte nel processo negoziale di adesione? Quali tempi ritiene necessari per giungere ad una soluzione accettabile da entrambe le parti? Quando sarà possibile la ripresa dei negoziati di adesione tra la Croazia e l’UE?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
I negoziati di adesione con la Croazia non hanno mai subito alcuna sospensione e pertanto non devono essere ripresi. Più specificamente, i negoziati stanno procedendo secondo quanto previsto. Nel corso della prima metà del 2008 è previsto lo svolgimento di due conferenze dedicate al processo di adesione, di cui una a livello di rappresentante permanente e l’altra a livello ministeriale, allo scopo di aprire nuovi capitoli. E’ opportuno inoltre sottolineare che il 10 dicembre 2007 il Consiglio ha elogiato la Croazia per i progressi globali che ha continuato a compiere nell’anno precedente e che hanno consentito al paese di entrare nella fase successiva molto più importante e impegnativa.
Ciononostante, deve essere comunque affrontata la questione della zona ecologica e di pesca protetta. Il 18 febbraio 2008 il Consiglio ha esortato ancora la Croazia a tener fede ai propri impegni al riguardo, facendo riferimento alle decisioni del dicembre 2007. Il Consiglio ritornerà sulla questione nella prossima sessione e ha invitato la Commissione a continuare il dialogo con le autorità croate e a riferire in merito al Consiglio.
Il 12 febbraio il Consiglio ha anche concluso un nuovo partenariato di adesione con la Croazia. Gli scopi principali del partenariato di adesione riveduto sono intensificare gli sforzi per trovare una soluzione definitiva alle questioni bilaterali ancora in sospeso, in particolare quella dei confini della Croazia con Slovenia, Serbia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina, e risolvere il problema della zona ecologica e di pesca protetta. L’attuazione del partenariato di adesione riveste fondamentale importanza per la prosecuzione del processo di adesione.
Interrogazione n. 15 dell’on. Robert Evans (H-0101/08)
Oggetto: Prigioni nell’UE
Le condizioni e i servizi nelle prigioni dell’UE variano considerevolmente da uno Stato membro all’altro. Che cosa si può fare per garantire il raggiungimento dell’uniformità in tutta l’UE, e quale supporto si potrebbe offrire a quei paesi che hanno bisogno di migliorare le loro attrezzature?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
La questione delle condizioni nelle prigioni rientra nell’ambito di competenza degli Stati membri, non dell’Unione europea. Il Trattato UE e l’attuale Trattato o Trattato di riforma non conferiscono alcun potere al riguardo e pertanto non può essere emanato alcun atto legislativo diretto. Il Trattato attribuisce tuttavia competenze in materia di cooperazione giudiziaria tra Stati membri. Il Consiglio dell’Unione europea ha già adottato alcune misure su tale base, e in questo caso due documenti sono particolarmente pertinenti: l’iniziativa della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese in vista dell’adozione di una decisione quadro del Consiglio relativa al riconoscimento e alla sorveglianza della sospensione condizionale della pena, delle sanzioni sostitutive e delle condanne condizionali e la decisione quadro sull’ordinanza cautelare europea. Il Consiglio ha già raggiunto un accordo sulla prima decisione e la Presidenza slovacca del Consiglio si adopererà per assicurare l’approvazione della seconda.
A prescindere da quanto sopra indicato, l’onorevole parlamentare può essere interessato a sapere che il Consiglio d’Europa ha adottato un testo relativo alle condizioni di detenzione applicate in Europa, in cui si stabiliscono norme e regole riguardanti le condizioni nelle prigioni.
Interrogazione n. 16 dell’on. Chris Davies (H-0103/08)
Oggetto: Controllo dell’attuazione della legislazione UE durante la Presidenza slovena
Intende la Presidenza in carica precisare se ha disposto che l’inadeguata attuazione della legislazione dell’UE da parte degli Stati membri sia posta all’ordine del giorno di una delle sessioni del Consiglio dei ministri che si terranno durante l’attuale Presidenza?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
L’onorevole parlamentare senza dubbio saprà che il Consiglio attribuisce grande importanza al recepimento e all’attuazione corretti e tempestivi della legislazione comunitaria negli Stati membri. Questo aspetto costituisce anche un elemento dell’ampio programma di miglioramento della legislazione che è una delle priorità del Consiglio.
Nella riunione del 25 febbraio 2008, la Commissione ha riferito al Consiglio in merito all’ultima edizione del quadro di valutazione del mercato interno, in cui si segnalano evidenti progressi riguardo al recepimento delle direttive sul mercato interno nel diritto nazionale, dimostrando che in 22 Stati membri il ritardo nel recepimento è attualmente inferiore all’obiettivo intermedio dell’1,5 per cento fissato dal Consiglio europeo nel 2001. Nel contempo, desta preoccupazione l’alto numero di procedure di infrazione del Trattato avviate contro gli Stati membri per l’applicazione inadeguata o non corretta delle regole del mercato interno. Tenuto conto di questa situazione, nel documento relativo alle questioni chiave da discutere nella riunione di primavera del Consiglio europeo, il Consiglio sottolinea l’importanza del recepimento e dell’attuazione della direttiva relativa ai servizi in maniera completa, coerente e tempestiva. Ciò è stato anche evidenziato nel pertinente documento relativo alle questioni chiave adottato dal Consiglio il 12 febbraio 2008.
La Presidenza slovena del Consiglio continuerà nei prossimi mesi ad attribuire la priorità al programma di miglioramento del processo legislativo e dei suoi vari aspetti. I miglioramenti del processo legislativo saranno discussi nella riunione del Consiglio prevista per il 29 e 30 maggio 2008, quando il Consiglio e la Commissione avranno un’altra opportunità di affrontare l’importante questione sollevata dall’onorevole parlamentare.
Interrogazione n. 17 dell’on. Justas Vincas Paleckis (H-0108/08)
Oggetto: Efficace raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea
L’Unione europea contribuisce attivamente al raggiungimento degli “obiettivi di sviluppo del millennio”, uno dei quali consiste nell’eliminazione della fame e della povertà. Per ridurre il numero di coloro che soffrono la fame nei paesi in via di sviluppo, le coltivazioni di cereali e altre colture sono molto importanti, in quanto costituiscono la fonte di alimentazione della maggioranza della popolazione povera. Secondo l’obiettivo adottato dall’Unione europea, entro il 2010 un decimo del carburante totale utilizzato nei trasporti deve essere costituito da biocarburante. Alla luce delle prospettive e dei notevoli profitti attesi, gli agricoltori europei hanno iniziato a fare massicci investimenti nella coltivazione della colza. Alcuni di essi hanno variato il tipo di coltivazione, sostituendo i cereali con la colza. Se i raccolti di cereali diminuiscono significativamente, l’UE rischia di non essere più in grado di continuare a soddisfare le crescenti esigenze delle popolazioni che soffrono la fame nei paesi terzi.
Quali misure preventive intende quindi adottare il Consiglio affinché gli interessi economici degli agricoltori dell’UE che coltivano tali varietà di cereali non siano lesi e che non si verifichi una diminuzione del volume di aiuti alimentari concessi ai paesi terzi? Come garantire che il perseguimento di un obiettivo non ne pregiudichi un altro?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
L’interrogazione dell’onorevole parlamentare fa riferimento all’impegno assunto dall’Unione europea di contribuire attivamente al conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. In questo contesto, il Consiglio è del parere che l’impegno dell’Unione europea in materia di sviluppo e aiuti umanitari, fra cui gli aiuti alimentari, debba essere il più efficace possibile e coerente con la dichiarazione di Parigi sull’efficacia degli aiuti.
L’onorevole parlamentare senza dubbio saprà che ormai da qualche tempo l’Unione europea fornisce aiuti alimentari senza alcuna condizione, anche per garantirne l’efficacia. In linea con le raccomandazioni del Comitato di aiuto allo sviluppo dell’OCSE, l’Unione europea ritiene che tutte le forme di aiuto alimentare debbano essere fornite esclusivamente in base ai termini applicabili anche alle sovvenzioni, ossia che debbano essere del tutto incondizionate, basate su una valutazione sistematica delle esigenze ed erogate in contanti. I partner dell’UE incaricati dell’attuazione ottengono aiuti alimentari principalmente dai mercati locali e regionali. Il programma alimentare mondiale (PAM), ad esempio, che rappresenta uno dei principali partner dell’UE incaricati dell’attuazione, ottiene circa l’80 per cento degli aiuti da esso erogati nei paesi in via di sviluppo. Il Consiglio non ritiene che estendere la coltivazione della colza nell’UE diminuisca la capacità dell’Unione di soddisfare le esigenze di coloro che hanno bisogno di aiuti alimentari.
Le recenti riforme della politica agricola comune hanno cercato di rendere l’agricoltura europea più sostenibile e più orientata al mercato. Il Consiglio è consapevole che i prezzi dei prodotti alimentari sono in aumento in tutto il mondo. Sono molti i motivi di tale aumento, che non può essere attribuito unicamente ai cambiamenti delle coltivazioni agricole internazionali. Va sottolineato che il livello eccessivamente alto dei prezzi dei carburanti ha gravi ripercussioni sui costi di produzione e di trasporto di alimenti. Un altro fattore della crescente domanda di prodotti alimentari è anche costituito dall’aumento del benessere in varie regioni del mondo, come ad esempio l’Asia.
Ne consegue che il Consiglio compirà ogni possibile sforzo per garantire che l’agricoltura europea vinca questa sfida, vale a dire che trovi il giusto equilibrio tra le colture destinate all’alimentazione e le colture destinate alla produzione di biocarburanti.
Interrogazione n. 18 dell’on. Brian Crowley (H-0110/08)
Oggetto: Lotta contro la droga nell’UE
Può il Consiglio fare un rendiconto completo per descrivere le nuove iniziative che sta adottando per far cessare le importazioni illegali di droga nell’UE, principalmente in linea con l’iniziativa M.A.O.C. che riunisce i servizi della politica, della marina, delle dogane e di intelligence degli otto Stati membri della costa occidentale dell’Europa che stanno coordinando le loro attività per lottare contro le importazioni di cocaina in Europa provenienti dall’Africa e dall’America del Sud?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Ridurre l’importazione di sostanze stupefacenti illecite nell’Unione europea è una delle priorità fondamentali della strategia europea in materia di lotta contro la droga per il periodo 2005-2012, approvata dal Consiglio europeo e portata avanti nell’ambito del piano d’azione dell’UE in materia di lotta contro la droga per il periodo 2005-2008 adottato dal Consiglio. L’UE ha pertanto concluso piani di azione e di cooperazione con i principali paesi produttori.
Nel 1999 gli Stati membri dell’Unione europea e i paesi dell’America latina e dei Caraibi hanno concordato, nell’ambito del piano d’azione di Panama, di collaborare per porre fine alla produzione e al traffico di sostanze stupefacenti. In seguito è stato istituito un meccanismo di coordinamento e cooperazione che opera a vari livelli – dai gruppi di esperti ai vertici politici. In questo contesto, durante la Presidenza slovena del Consiglio europeo si è svolta a Vienna una riunione ad alto livello (la decima di questo tipo), nel corso della quale è stato adottato un testo congiunto, ossia la “dichiarazione di Hofburg”. In tale documento i paesi interessati hanno ribadito il loro impegno a proseguire la cooperazione riguardo al problema della droga. Tra gli altri, hanno espresso soddisfazione per l’importante lavoro analitico svolto contro il traffico di sostanze stupefacenti nell’Atlantico dal MAOC (Maritime Analysis and Operational Centre – Centro di analisi e operazioni marittime), che ha sede a Lisbona, menzionato dall’onorevole parlamentare nella sua interrogazione e il cui scopo è in particolare interrompere le rotte marittime della cocaina verso l’Europa attraverso l’Africa occidentale.
Attualmente sono anche in corso numerosi progetti congiunti, fra cui quelli di seguito specificati.
1. Partenariato tra città europee, latinoamericane e caraibiche.
2. Cooperazione da parte di forze di polizia e servizi segreti per lottare contro il traffico di cocaina dall’America latina e dai Caraibi attraverso l’Africa occidentale.
3. Scambio di informazioni da parte delle forze di polizia dei paesi latinoamericani e di funzionari di collegamento europei che si occupano del problema della droga nella regione.
4. Azioni intese a porre fine alla produzione dei precursori e al traffico di queste sostanze chimiche nell’America latina e nei Caraibi.
Da una verifica delle risorse stanziate per i paesi dell’America latina e dei Caraibi emerge che fino al 2005 i paesi dell’UE avevano cofinanziato 76 progetti per un valore totale superiore a 230 milioni di euro. I dati relativi ai finanziamenti dal 2005 sono ancora in fase di raccolta. I programmi sono concepiti in modo da incoraggiare lo sviluppo sostenibile delle regioni, la riduzione della povertà e la crescita delle istituzioni democratiche. Nel contempo, vengono anche sovvenzionate misure per ridurre la produzione di sostanze stupefacenti, che possono consistere ad esempio nella produzione di colture alternative per fornire un mezzo di sussistenza agli agricoltori che in precedenza coltivavano cocaina.
La Commissione europea e il Parlamento europeo hanno anche discusso questi programmi e i modi per coordinarli. La Commissione ha pubblicato un documento separato sotto forma di comunicazione e il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulla cooperazione tra l’Unione europea e l’America latina.
Attualmente è in corso di svolgimento a Vienna una riunione della Commissione delle Nazioni Unite sulle droghe e i narcotici, nella quale gli Stati membri dell’UE proporranno l’adozione di una risoluzione che potrebbe avere importanti implicazioni riguardo all’introduzione di sostanze stupefacenti illecite nell’Unione europea attraverso l’Africa occidentale. La risoluzione auspica che le organizzazioni internazionali e i paesi membri delle Nazioni Unite intraprendano azioni congiunte e coordinate in maniera più adeguata per contrastare il traffico di sostanze stupefacenti illecite e il trasporto di cocaina attraverso i paesi in questione, e si impegna a fornire aiuto e sostegno ai governi dei paesi dell’Africa occidentale, all’Unione africana e alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) nell’introduzione e nell’attuazione di misure intese a sradicare il commercio illecito di cocaina.
Interrogazione n. 19 dell’on. Eoin Ryan (H-0112/08)
Oggetto: Aggiornamento politico sulla situazione politica nel Darfur
Il Consiglio può rilasciare una dichiarazione esauriente sulla situazione politica in Darfur?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Il processo politico nel Darfur dipende attualmente dall’iniziativa congiunta dell’Unione africana e delle Nazioni Unite (mediazione dei rispettivi inviati speciali), che è intesa a riunire tutte le parti interessate per impegnarsi in un processo politico credibile. Tali sforzi sono tuttavia ostacolati da molti problemi di vario tipo. I movimenti dei ribelli sono sempre più frammentati ed è da escludere qualsiasi possibilità di un effettivo cessate il fuoco. Sembra pertanto improbabile che i negoziati tra le parti possano continuare nel prossimo futuro.
Anche l’Unione europea partecipa all’iniziativa internazionale attraverso il Rappresentante speciale dell’UE per il Sudan, al quale è affidato il compito di garantire che il coinvolgimento dell’Unione europea nella gestione della crisi nel Darfur sia coerente con le relazioni politiche complessive dell’UE con il Sudan. Il Rappresentante visita regolarmente il paese, incontrando le autorità sudanesi e cooperando con i rappresentanti della comunità internazionale sul posto.
Il Consiglio nutre profonda preoccupazione riguardo al peggioramento della situazione umanitaria e della sicurezza nel Darfur e considera della massima importanza che le organizzazioni di soccorso abbiano un accesso costante, libero e sicuro alla popolazione. Nonostante la recente estensione della moratoria sulle restrizioni e gli ostacoli all’opera umanitaria nel Darfur, ha chiesto al governo sudanese di rispettare gli impegni assunti nell’ambito della moratoria e di consentire agli operatori umanitari di avere accesso alla regione.
Gli ultimi attacchi delle forze sudanesi contro villaggi della parte occidentale del Darfur hanno richiamato l’attenzione sulla tragedia umanitaria degli oltre diecimila profughi e sfollati. Le crescenti tensioni tra i governi di Ciad e Sudan hanno reso ancora più difficile accelerare il processo politico nel Darfur.
Il Consiglio ha ancora una volta esortato i governi di Ciad e Sudan ad astenersi da qualsiasi azione che possa provocare un’ulteriore destabilizzazione della regione e in particolare a porre fine al sostegno fornito ai gruppi armati che operano nella parte orientale del Ciad e nel Darfur. Entrambi i governi devono rispettare gli obblighi assunti per prevenire le incursioni da parte di gruppi armati attraverso la loro frontiera comune.
Nel frattempo, tutte le aspettative sono concentrate sull’invio di una missione dell’UNAMID nel Darfur quale efficace risposta a questi problemi, tuttavia il governo sudanese continua a contrapporre ostacoli amministrativi e tecnici al suo effettivo dispiegamento. Il ritardo che ne deriva può compromettere le possibilità di rilanciare un processo politico credibile. Prima che i negoziati possano iniziare, devono essere soddisfatti fondamentali requisiti di sicurezza. In definitiva, la missione dell’UNAMID può riuscire nel suo intento solo se tutte le parti in conflitto nel Darfur raggiungeranno un consenso politico globale.
Interrogazione n. 20 dell’on. Seán Ó Neachtain (H-0114/08)
Oggetto: Promozione dell’acqua sicura nel Terzo mondo
Il Consiglio può effettuare una dichiarazione esauriente descrivendo specificatamente in dettaglio quali misure di supporto ha posto in essere l’Unione europea per rendere l’acqua potabile sicura nel Terzo mondo, conformemente agli obiettivi di sviluppo del Millennio?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
La gestione equa e sostenibile delle risorse idriche è fondamentale per lo sviluppo sostenibile e l’eliminazione della povertà. Nessuna strategia per la riduzione della povertà può ignorare l’esigenza vitale di acqua delle popolazioni. In questo contesto, il Consiglio dell’Unione europea ribadisce il pieno impegno a conseguire gli obiettivi di sviluppo del Millennio, fra cui l’obiettivo 7 (garantire la sostenibilità ambientale) e il relativo traguardo 10 (ridurre della metà la percentuale di popolazione senza un accesso sostenibile all’acqua potabile entro il 2015).
Nel consenso europeo in materia di sviluppo(1), firmato il 20 dicembre 2005 da Parlamento europeo, Consiglio e Commissione, la protezione delle risorse naturali come l’acqua è definita una dimensione fondamentale dell’eliminazione della povertà. Il documento afferma inoltre che lo scopo del quadro comunitario della politica di gestione integrata delle risorse idriche è assicurare un approvvigionamento sufficiente in acqua potabile di buona qualità e adeguate condizioni sanitarie e di igiene per tutti, in linea con gli obiettivi di sviluppo del Millennio e gli obiettivi stabiliti in occasione del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile svoltosi a Johannesburg nel 2002. Questo strumento politico ha l’ulteriore scopo di istituire un quadro per la protezione a lungo termine di tutte le risorse idriche, evitando un ulteriore degrado della qualità dell’acqua e promuovendo un uso sostenibile dell’acqua.
L’iniziativa dell’UE in materia di acqua, avviata in occasione del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, è un’espressione dell’auspicio comune dell’UE di adottare soluzioni innovative riguardo alle risorse idriche e alle strutture igienico-sanitarie. L’iniziativa contribuisce agli obiettivi politici descritti in precedenza attraverso quanto segue: rafforzamento degli impegni politici ad agire, concentrazione dell’attenzione sulle questioni legate all’acqua e alle strutture igienico-sanitarie nel contesto delle attività svolte per ridurre la povertà e favorire uno sviluppo sostenibile, incoraggiamento di una gestione delle risorse idriche più adeguata, incoraggiamento della cooperazione regionale e subregionale in materia di gestione idrica, reperimento di fondi aggiuntivi. Nel contempo, l’iniziativa offre un quadro per stabilire relativamente alle risorse idriche e alle strutture igienico-sanitarie partenariati strategici con i paesi africani, latinoamericani e mediterranei e i paesi dell’Europa orientale, del Caucaso e dell’Asia centrale (EECCA). L’iniziativa è sostenuta con un importo di 500 milioni di euro stanziato a favore del Fondo per l’acqua ACP-UE a titolo del nono Fondo europeo di sviluppo.
Lo strumento di cooperazione allo sviluppo (DCI)(2), adottato il 18 dicembre 2006 dal Parlamento europeo e dal Consiglio, prevede aiuti per la gestione integrata e sostenibile delle risorse idriche, con particolare attenzione all’accesso universale all’acqua potabile sicura e ai servizi sanitari, in linea con gli obiettivi di sviluppo del Millennio, e a un impiego sostenibile ed efficiente delle risorse idriche, ivi compreso in ambito agricolo e industriale.
L’accesso all’acqua sicura, la carenza idrica e la siccità sono e resteranno le principali priorità interne ed esterne dell’Unione europea. Nelle conclusioni del 14 dicembre 2007(3) il Consiglio europeo ha accolto favorevolmente le conclusioni del Consiglio del 30 ottobre 2007 e ha invitato la Commissione a presentare una relazione nel 2008 e, su tale base, a esaminare e sviluppare ulteriormente la strategia dell’UE entro il 2012, tenendo conto della dimensione internazionale.
Infine, il Consiglio è consapevole delle esigenze specifiche dell’Africa in termini di accesso all’acqua sicura. Il partenariato strategico Africa-UE(4), approvato in occasione del Vertice di Lisbona del 9 dicembre 2007, afferma che la gestione delle risorse idriche e l’accesso all’acqua sicura e a strutture igienico-sanitarie di base sono fondamentali per la crescita economica e la riduzione della povertà e il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. L’Africa e l’UE pertanto lavoreranno insieme per sviluppare ulteriormente l’attuale partenariato UE-Africa per le questioni relative all’acqua e le strutture igienico-sanitarie con l’obiettivo generale di soddisfare le esigenze fondamentali di acqua e strutture igienico-sanitarie e di contribuire al miglioramento della gestione delle risorse idriche a livello locale, di bacino fluviale e idrografico, nazionale e transfrontaliero.
Interrogazione n. 21 dell’on. David Martin (H-0121/08)
Oggetto: Verso un consenso sugli strumenti di difesa commerciale
Può il Consiglio illustrare come intende raggiungere un consenso tra gli Stati membri sulla questione degli strumenti di difesa commerciale?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Nell’ambito dell’attuazione della comunicazione “Europa globale – Competere nel mondo”, nel 2006 la Commissione ha deciso di avviare una consultazione pubblica sull’uso degli strumenti di difesa commerciale (SDC) in un’economia globale in mutamento per stabilire se sia possibile introdurre una maggiore flessibilità nel sistema degli strumenti di difesa commerciale.
Una delle conclusioni della consultazione pubblica è che il corretto funzionamento del sistema degli strumenti di difesa commerciale non è necessario per difendere le industrie nella Comunità dalle importazioni effettuate in base a condizioni sleali o sovvenzionate e garantire la fiducia del pubblico nelle pratiche commerciali leali. Nel contempo, è stato stabilito che sarebbe necessario rimodellare alcuni elementi del sistema.
A seguito di precedenti discussioni, svoltesi nel 2007 in seno agli organi preparatori del Consiglio, l’11 gennaio 2008 il Commissario Mandelson ha affermato che la Commissione non è disposta a presentare proposte di riforma delle regole degli strumenti di difesa commerciale finché tra gli Stati membri non esisterà un maggiore consenso riguardo al tipo di riforma che sono disposti ad avviare. Poiché non esiste alcuna proposta formale della Commissione, per il momento non sono previste ulteriori discussioni.
Le modifiche della formulazione esistente degli accordi sulle misure antidumping, le sovvenzioni e le misure compensative, nonché le sovvenzioni nel settore della pesca, sono state anche discusse in occasione dei negoziati sul commercio mondiale tenuti a Ginevra nell’ambito dell’agenda di Doha per lo sviluppo. Uno degli obiettivi dell’Unione europea è rafforzare il sistema commerciale internazionale disciplinato da regole e favorire una più ampia applicazione delle regole concordate da parte di tutti i partner commerciali.
Scopo del riesame delle misure è raggiungere un consenso, tuttavia ciò richiederà più tempo, tenendo anche conto del possibile esito delle discussioni di Ginevra, e pertanto non è ancora possibile stabilire un termine di tempo per la presentazione di proposte della Commissione al Consiglio.
Interrogazione n. 22 dell’on. Sarah Ludford (H-0123/08)
Oggetto: Profiling
Alla luce delle proposte della Commissione di introdurre un sistema PNR UE (COM(2007)0654), un sistema di ingresso/uscita e un sistema di autorizzazione elettronica di viaggio, può il Consiglio indicare come intende il concetto di “profiling” e in particolare se i sistemi in questione se ne avvarrebbero?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Innanzi tutto, il Consiglio desidera precisare all’onorevole parlamentare che l’UE, il Consiglio o il Consiglio d’Europa non hanno stabilito una definizione del concetto di profilazione. Nel parere espresso sulla proposta di istituzione di un sistema relativo ai dati del codice di prenotazione dei passeggeri (Passenger Name Record, PNR) presentata dalla Commissione, il Garante europeo della protezione dei dati ha fatto riferimento alla definizione di profilazione tratta da uno studio del Consiglio d’Europa, affermando nel contempo di essere consapevole che la definizione di profilazione è tuttora oggetto di discussioni. Il GEPD ha inoltre riconosciuto che ciò che importa veramente non è la definizione, bensì l’impatto sulle persone.
La proposta di istituzione di un sistema PNR(1) europeo presentata dalla Commissione non crea una profilazione come quella definita dallo studio del Consiglio d’Europa. In base a tale studio, la profilazione è essenzialmente un metodo informatizzato che utilizza analisi di dati per consentire di adottare singole misure in relazione a una persona identificata in questo modo.
In base alla proposta, l’uso dei dati del codice di prenotazione è consentito soltanto nel quadro della lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo, principalmente nella raccolta di informazioni e nelle operazioni di intelligence riguardanti persone che possono essere coinvolte in reati penali. E’ inoltre prevista un’analisi dei dati del codice di prenotazione. I dati vengono esaminati in relazione a quelli che sono noti come “indicatori di rischio”, per valutare il rischio che un passeggero può costituire. Gli indicatori di rischio sono basati su prove ottenute da relazioni, ad esempio da quelle dei servizi segreti, e da esempi precedenti. Gli indicatori di rischio saranno determinati a livello di Stati membri in quanto un reato può essere diverso da uno Stato membro all’altro. La proposta della Commissione esclude espressamente la possibilità di basare gli indicatori di rischio su dati sensibili quali l’origine etnica o le convinzioni religiose, qualora i dati del codice di prenotazione contengano tali informazioni. Il Consiglio desidera tuttavia sottolineare che l’articolo 3, paragrafo 5 della proposta della Commissione stabilisce espressamente che le Unità d’informazione sui passeggeri e le autorità competenti non prendono misure di contrasto esclusivamente sulla base del trattamento informatico dei dati PNR. In altre parole, le misure di contrasto basate sui dati PNR, nonché sulle decisioni relative a singole persone, non possono essere prese senza un fattore umano, vale a dire dalle autorità di contrasto.
Il 13 febbraio 2008 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla preparazione delle prossime fasi della gestione delle frontiere nell’Unione europea.(2) La comunicazione presenta per sottoporli a discussione nuovi possibili strumenti di gestione delle frontiere, tra cui l’eventuale istituzione di un sistema di registrazione di ingressi/uscite per i cittadini di paesi terzi e di un sistema elettronico di autorizzazione di viaggio. Finora non è stata tuttavia presentata alcuna proposta legislativa specifica in materia. La comunicazione, insieme alle comunicazioni della Commissione pubblicate il 13 febbraio 2008, vale a dire “Esame della creazione di un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (EUROSUR)”(3) e “Relazione sulla valutazione e sullo sviluppo futuro dell’Agenzia FRONTEX”,(4) sarà discussa nel corso della Conferenza ministeriale sulle sfide della gestione delle frontiere esterne dell’Unione europea che si svolgerà a Brdo, in Slovenia, l’11 e 12 marzo 2008.
Interrogazione n. 23 dell’on. Cristiana Muscardini (H-0127/08)
Oggetto: Intimidazioni della polizia slovena
Domenica 10 febbraio, per rendere omaggio ai 97 finanzieri deportati dai partigiani jugoslavi principalmente dalla caserma di Campo Marzio (Trieste) ed infoibati nell’abisso in prossimità dell’omonimo villaggio di Roditti, un gruppo di esuli istriani ha inteso deporre una corona di alloro in loro memoria.
Considerato il comportamento intimidatorio della polizia slovena che, in violazione degli accordi di Schengen, ha bloccato al valico di Pese il pullman degli esuli diretti a Roditti e poi a Capodistria, e ricordando i doveri che l’adesione all’Unione comporta anche per la Slovenia, che in questo momento ne è Presidente di turno, non ritiene il Consiglio, di dover far luce su questi vergognosi sistemi polizieschi? Non ritiene di dover stigmatizzare l’intimidazione messa in atto dalla polizia?
Non pensa il Consiglio che sia necessario intervenire per garantire il rispetto degli accordi Schengen, sottoscritti anche dalla Slovenia, in considerazione del trattamento antidemocratico ed ingiustificabile riservato ad un gruppo di cittadini europei, italiani nella fattispecie, impegnati in un pellegrinaggio pacifico nel territorio dell’Unione europea?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Il caso cui l’onorevole Muscardini fa riferimento rientra nell’ambito di competenza delle autorità dello Stato membro interessato, vale a dire le autorità slovene. In base all’articolo 33 del Trattato sull’Unione europea, il mantenimento dell’ordine pubblico è un compito che spetta ai singoli Stati membri.
Per questo motivo il Consiglio non ha discusso l’interrogazione dell’onorevole Muscardini.
Interrogazione n. 24 dell’on. Pedro Guerreiro (H-0132/08)
Oggetto: Situazione di cinque cittadini cubani detenuti negli USA - I cinque di Miami
Poiché le autorità degli Stati Uniti d’America non hanno applicato la giustizia più elementare, il 12 settembre 2008 ricorrerà il decimo anniversario dell’ingiusta detenzione, nelle carceri statunitensi, di António Guerrero, Fernando Gonzalez, Gerardo Hernández, Ramon Sabañino e René González, patrioti cubani che hanno agito in difesa del proprio paese, adoperandosi per evitare che questi continuasse ad esser vittima di azioni terroristiche promosse e attuate da organizzazioni aventi sede a Miami, negli USA. A tale riguardo, va sottolineato che, il 27 maggio 2005, il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sui cinque cittadini cubani detenuti negli USA affermava che il procedimento nei loro confronti “non si era svolto in un clima di obiettività e imparzialità” e che il 9 agosto 2005 la Corte d’appello dell’11° distretto di Atlanta decideva all’unanimità di annullare la sentenza emessa a Miami. Nel corso degli ultimi nove anni i cinque patrioti cubani sono stati vittima di innumerevoli azioni illegali, di punizioni inammissibili e disumane, di pressioni e ricatti, del mancato rispetto dei più elementari diritti umani, come l’imposizione di restrizioni e ostacoli intollerabili e crudeli da parte dell’Amministrazione statunitense per le visite dei familiari dei detenuti, mogli e figli compresi.
Può il Consiglio far sapere quali misure intende adottare affinché siano rispettati i diritti umani più elementari di questi cinque patrioti e cittadini cubani detenuti nelle carceri degli Stati Uniti, in particolare il diritto a ricevere la visita dei familiari, all’annullamento delle sentenze, a un processo equo e a essere rimessi in libertà?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Il Consiglio è consapevole che in alcuni casi le autorità statunitensi non hanno consentito a familiari e altre persone, fra cui deputati al Parlamento europeo, di avere contatti con i cinque cittadini cubani detenuti nelle carceri statunitensi perché ritenuti spie. Tuttavia, secondo il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie, la maggior parte dei familiari ha ottenuto visti per far visita ai propri parenti.
Una sentenza pronunciata da un tribunale degli Stati Uniti costituisce una questione interna che rientra nell’ambito di competenza di tale paese. In questo caso, i procedimenti giuridici sono in corso e la sentenza non è ancora definitiva e pertanto il Consiglio non può esprimersi al riguardo. Anche la decisione relativa alla concessione di un visto di ingresso nel territorio di un paese rientra nell’ambito di competenza interna del paese interessato. Poiché la maggior parte delle richieste di visto è stata approvata e non si può stabilire con certezza che ai parenti vengano regolarmente negate le visite, il Consiglio non può sostenere che sia stata commessa una violazione dei diritti umani dei prigionieri o dei loro familiari. La Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari prevede inoltre che spetta ai singoli Stati il compito di difendere i diritti e gli interessi dei propri cittadini all’estero.
Il Consiglio ribadisce il pieno impegno a rispettare i diritti umani di tutti i cittadini.
Interrogazione n. 25 dell’on. Bill Newton Dunn (H-0134/08)
Oggetto: Reati informatici
Il Consiglio dà il proprio sentito appoggio alla Convenzione del Consiglio d’Europa sui reati informatici?
In caso negativo perché no?
In caso affermativo, che cosa sta facendo il Consiglio per incoraggiare i non meno di 14 Stati membri: Austria, Belgio, Repubblica ceca, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia e quello che conosco meglio, il Regno Unito, a ratificarla?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Il Consiglio sostiene in modo incondizionato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica e ha adottato una decisione quadro relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione la cui formulazione è simile a quella della Convenzione.(1) La decisione quadro, il cui termine di attuazione è scaduto il 16 marzo 2007, potrebbe anche servire quale incentivo per gli Stati membri a ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa. La ratifica della Convenzione spetta tuttavia agli Stati membri.
Interrogazione n. 26 dell’on. Anna Hedh (H-0138/08)
Oggetto: Politica in materia di alcolici
Nell’autunno 2006 la Commissione ha comunicato la sua strategia in materia di alcolici, la quale indica che il consumo di alcol rappresenta un problema di salute pubblica. Ciononostante la Commissione ha presentato una proposta relativa alla viticoltura, COM(2007)0732, che è in netto contrasto con lo spirito della strategia. All’interrogante risulta che il Consiglio riteneva che la strategia in materia di alcolici dovesse essere molto più severa e di conseguenza ne ha inasprito il tono nelle sue conclusioni. Potrebbe il Consiglio riferire qual è la sua posizione riguardo alla comunicazione della Commissione sulla strategia in materia di alcolici e sulle sue modalità di applicazione?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
In una riunione svoltasi il 30 novembre 2006, il Consiglio ha accolto favorevolmente la comunicazione della Commissione su una strategia UE volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol, che rappresenta un importante passo avanti verso un sistema globale e coerente della Comunità per affrontare gli effetti nocivi del consumo eccessivo di alcol sulla salute e il benessere in Europa. Nel 2007 è stato istituito quale base per l’attuazione della strategia un Forum “Alcol e salute”, il cui obiettivo generale è stabilire un punto di partenza comune per tutte le parti interessate a livello di Unione europea che si impegnano a promuovere misure per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol.
Il Consiglio ha invitato gli Stati membri a fornire pieno sostegno alla strategia elaborata dalla Commissione e a promuoverne l’attuazione a livello nazionale e comunitario.
Il Consiglio ha inoltre sottolineato che è necessario fornire mezzi globali, coerenti e coordinati per la prevenzione dei danni derivanti dal consumo di alcol per la salute pubblica e la sicurezza in tutti i settori d’intervento pertinenti, quali la ricerca, la protezione dei consumatori, i trasporti, la pubblicità, la commercializzazione, la sponsorizzazione, le accise e altri aspetti del mercato interno.
Il Consiglio ha invitato la Commissione a continuare a sostenere gli Stati membri negli sforzi compiuti per mantenere, rafforzare o elaborare politiche nazionali in materia di alcol allo scopo di ridurre i danni connessi all’alcol e a riferire regolarmente, a decorrere dal 2008, sui progressi compiuti nell’attuazione della strategia dell’UE e sulle attività riferite dagli Stati membri per consentire al Consiglio di valutare i risultati ottenuti. Il Consiglio ha anche chiesto alla Commissione di definire indicatori fondamentali misurabili affinché possano essere monitorati i progressi nella riduzione dei danni connessi con l’alcol a livello comunitario.
Non appena la relazione sarà disponibile, la Presidenza informerà il Consiglio e adotterà una decisione su ulteriori misure adeguate.
Interrogazione n. 27 dell’on. Katrin Saks (H-0141/08)
Oggetto: Ingresso in Russia: eventuali restrizioni da applicare ai cittadini degli Stati Schengen
Il 21 dicembre 2007 lo spazio legale di Schengen è stato ampliato ai paesi dell’Europa centrale e orientale. I nuovi membri hanno completamente rispettato i requisiti di Schengen e hanno dimostrato di essere partner al pari degli altri paesi europei.
Il Presidente della commissione affari esteri della Duma di Stato russa, Konstantin Kossatšov, ha pubblicamente dichiarato che, poiché a parecchi cittadini russi è stato impedito l’accesso in Estonia, la Russia potrebbe reagire restringendo l’accesso al proprio territorio, essendo le limitazioni rivolte ai cittadini di quegli Stati Schengen che pongono sulla “blacklist” i cittadini russi per il loro credo. A titolo esemplificativo ha citato il caso di Mariana Skvortsova, una studentessa il cui visto è stato cancellato a causa di una violazione della regolamentazione sui visti in Estonia. Come valuta il Consiglio la minaccia russa di limitare l’accesso in Russia ai cittadini dello spazio di Schengen? Come risponderà ad eventuali contromosse avanzate dalla Russia se i diritti di cui gode un cittadino di uno Stato Schengen sono limitati per tener conto della politica in termini di confini e sicurezza in vigore in un altro Stato Schengen?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Le condizioni per il rilascio di visti da parte degli Stati membri che partecipano alla cooperazione di Schengen sono stabilite nell’istruzione consolare comune diretta alle rappresentanze diplomatiche e consolari di prima categoria (ICC)(1); le condizioni per l’ingresso di cittadini di paesi terzi nell’area Schengen sono stabilite nel Codice frontiere Schengen.(2)
Il Consiglio è stato informato che rappresentanti della Commissione hanno comunicato alle autorità russe le disposizioni applicabili al rilascio di visti nelle riunioni del Comitato misto(3) per la facilitazione del rilascio dei visti tra Federazione russa e Comunità europea.
Il Consiglio non è a conoscenza di limitazioni all’ingresso nel territorio della Federazione russa che le autorità russe dovrebbero introdurre per i cittadini di alcuni Stati membri.
Inoltre, il Consiglio non conosce le circostanze del caso cui l’interrogazione fa riferimento.
Il Comitato misto per la facilitazione del rilascio dei visti istituito dall’accordo tra la Comunità europea e la Federazione russa di facilitazione del rilascio dei visti (GU L 129 del 17.5.2007, pag. 27).
Interrogazione n. 28 dell’on. Georgios Georgiou (H-0142/08)
Oggetto: Caso della Striscia di Gaza
Intende il Consiglio dei ministri ricorrere agli stessi metodi e agli stessi meccanismi utilizzati per l’indipendenza del Kosovo anche nel caso della Striscia di Gaza?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
In risposta all’interrogazione dell’onorevole parlamentare che ha sollevato la questione di Gaza in relazione alle circostanze esistenti in Kosovo, il Consiglio è del parere che la questione di Gaza non possa in alcun modo essere paragonata alla situazione in Kosovo.
Interrogazione n. 30 dell’on. Danutė Budreikaitė (H-0148/08)
Oggetto: Gruppo di riflessione
Nella sessione del 14 dicembre 2007 il Consiglio europeo ha istituito un Gruppo di riflessione indipendente.
Può il paese che detiene la presidenza del Consiglio far sapere: il Gruppo di riflessione è stato già istituito, chi sono i suoi membri, come vengono scelti, come vengono finanziate le sue attività, qual è il suo campo di attività, quali risultati si attendono? Inoltre, che cosa può fare il Gruppo di riflessione che non ha potuto fare la Convenzione e non può fare il Parlamento europeo eletto da tutti cittadini dell’UE?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Il Gruppo di riflessione cui l’onorevole Budreikaitė fa riferimento è stato istituito dal Consiglio europeo nella riunione del 14 dicembre 2007. Nella stessa occasione, il Consiglio ha nominato un presidente e due vicepresidenti e li ha invitati a sottoporre un elenco di nominativi di possibili membri all’esame del Consiglio europeo sotto la Presidenza francese.
L’ambito, l’organizzazione e il calendario del gruppo, anch’essi decisi dal Consiglio europeo nella riunione del 14 dicembre 2007, sono indicati nelle conclusioni di tale riunione.
La Presidenza suggerisce pertanto all’onorevole parlamentare di cercare ulteriori informazioni sul Gruppo di riflessione in tali conclusioni.
Interrogazione n. 31 dell’on. Hélène Goudin (H-0152/08)
Oggetto: Accordi di pesca dell’UE con paesi terzi
L’UE conclude con regolarità accordi di pesca con paesi poveri in via di sviluppo al di fuori dell’Unione. Tali accordi sono oggetto di critica da parte sia dei movimenti ambientalisti che delle organizzazioni umanitarie. Gli accordi di pesca sono conclusi principalmente con paesi africani e per le flotte europee comportano il diritto di pesca nelle acque di questi paesi. I critici sostengono che gli accordi di pesca contribuiscono all’esaurimento degli stock ittici dei mari del pianeta e privano della loro fonte di reddito i pescatori locali dei paesi in via di sviluppo.
Conviene la Presidenza sulla fondatezza delle critiche che vengono regolarmente pronunciate nei confronti degli accordi di pesca conclusi con i paesi terzi? Intende la Presidenza prendere delle iniziative miranti a modernizzare e, col tempo, ad abolire tali accordi di pesca?
Questa risposta della Presidenza del Consiglio, di per sé non vincolante per il Consiglio né per i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata tenuta dal Parlamento europeo a Strasburgo nel marzo 2008.
Il Consiglio è consapevole delle critiche di cui sono oggetto gli accordi di pesca conclusi dalla Comunità con paesi terzi e desidera sottolineare che le conclusioni del Consiglio sugli accordi di partenariato nel settore della pesca(1) hanno fornito il quadro politico per la conclusione di tali accordi a partire dal 19 luglio 2004.
L’adozione degli accordi in questione ha trasformato tutti gli accordi di pesca in accordi di partenariato nel settore della pesca. I principali punti del quadro politico prevedono che le navi comunitarie abbiano accesso alle eccedenze degli stock ittici che si sviluppano nelle acque del paese terzo interessato e che parte del contributo finanziario comunitario sia assegnato a favore di misure di sviluppo del settore della pesca locale.
Nell’ambito di tutti gli accordi di partenariato nel settore della pesca, viene istituito un Comitato misto con il compito di controllare e valutare l’efficienza dell’accordo e di attuare la politica della pesca nel paese cui la Comunità ha concesso un sostegno finanziario. Il Comitato misto può anche decidere possibili modifiche dell’accordo che devono poi essere ratificate dalle parti contraenti. I Comitati misti devono riunirsi almeno una volta all’anno.
Il Consiglio non sa se la Commissione intenda o meno presentare una nuova comunicazione che proponga di modificare il carattere degli accordi di partenariato nel settore della pesca.
Interrogazione n. 38 dell’on. Silvia-Adriana Ţicău (H-0107/08)
Oggetto: Studi del terzo ciclo e creazione di posti di lavoro altamente qualificati
Secondo recenti statistiche nel 2004 nell’Unione europea la percentuale di studenti impegnati nel terzo ciclo di studi costituiva soltanto il 3,3% del totale. La Repubblica ceca, l’Austria e la Finlandia, in cui il loro numero raggiungeva il 7%, occupavano il primo posto della classifica, mentre più del 50% degli studenti del terzo ciclo dell’Unione erano francesi, britannici e spagnoli.
È nota l’importanza degli studi del terzo ciclo nella creazione di un’economia della conoscenza in Europa. La promozione dell’insegnamento superiore e del terzo ciclo permetterà alle imprese di creare posti di lavoro altamente qualificati e produttivi.
Quale strategia intende adottare la Commissione per incentivare e assistere gli Stati membri nell’accrescere l’attrattiva degli studi del terzo ciclo e quindi migliorare le capacità di innovazione e ricerca di tali paesi? Quale strategia intende perseguire per stimolare l’aumento del numero di dottorandi nelle facoltà di ingegneria?
Il dato del 3,3 per cento cui l’onorevole parlamentare fa riferimento, riguarda soltanto i dottorandi e altri studenti di ricerca avanzata e non include gli studenti postlaurea a livello di master. Una volta inclusi questi ultimi, il quadro è molto più positivo in quanto il numero di studenti postlaurea risulta in rapida crescita.
In termini generali, i tassi di partecipazione a livello di dottorato nell’UE sono in costante aumento e sono superiori a quelli di Stati Uniti o Giappone. Le percentuali e i numeri assoluti di dottorandi variano tuttavia in misura considerevole tra gli Stati membri dell’UE. Alcuni dei paesi con un’alta percentuale di dottorandi hanno un numero di studenti a livello di istruzione superiore nel complesso relativamente basso, e pertanto il numero totale di dottorandi non è molto elevato in rapporto alla popolazione.
Per innalzare il numero di postlaureati in ingegneria è importante innanzi tutto aumentare il numero di laureati in matematica, scienze e tecnologie. La Commissione ha pertanto proposto un parametro di riferimento, adottato dal Consiglio “Istruzione” nel maggio 2003, il cui scopo è “aumentare del 15% il totale dei laureati in matematica, scienze e tecnologie” e “diminuire lo squilibrio tra i sessi” entro il 2010. Mentre il primo obiettivo è già stato raggiunto, i progressi compiuti riguardo all’aspetto dell’equilibrio tra i sessi sono stati scarsi, in quanto la quota di donne è aumentata in misura molto limitata, dal 30,7 per cento nel 2000 al 31,2 per cento nel 2005.
La Commissione coordina lo scambio di buone prassi e le attività di apprendimento tra pari tra i paesi nel campo dell’istruzione matematica, scientifica e tecnologica nel quadro del programma di lavoro Istruzione e formazione 2010. Nel 2006 la Commissione ha istituito un raggruppamento, composto da 13 paesi, per seguire l’attuazione del parametro di riferimento europeo relativo a matematica, scienze e tecnologie e accrescere la partecipazione agli studi e alle carriere in campo matematico, scientifico e tecnologico, in particolare per quanto riguarda le donne. Contribuirà inoltre a preparare esperti scientifici per l’obiettivo di Barcellona di destinare il 3 per cento del prodotto interno lordo (PIL) agli investimenti nella ricerca.
Matematica, scienze e tecnologie costituiscono anche una delle otto competenze fondamentali per l’apprendimento permanente, secondo la raccomandazione del Parlamento e del Consiglio del dicembre 2006, e rappresentano un argomento prioritario degli inviti a presentare proposte del 2008 nell’ambito del programma per l’apprendimento permanente. Nel marzo 2008, nel quadro del settimo programma quadro di ricerca (7PQ), sarà inoltre pubblicato un invito a presentare proposte riguardante metodi innovativi nel campo dell’istruzione scientifica a livello scolastico su larga scala in Europa per dare seguito alla relazione Rocard sull’istruzione scientifica.
Interrogazione n. 39 dell’on. Justas Vincas Paleckis (H-0109/08)
Oggetto: Promozione dell’apprendimento permanente degli adulti
L’importanza dell’apprendimento permanente degli adulti è riconosciuta in tutti i paesi dell’UE. L’istruzione degli adulti permette di assicurare flessibilità e impiego sul mercato del lavoro e provoca anche cambiamenti sociali e politici positivi nei paesi dell’UE. Grazie all’attuazione della riforma dell’istruzione e dell’apprendimento, sono stati realizzati grandi progetti. Tuttavia, alcuni paesi dell’UE non sviluppano sempre programmi di insegnamento innovativi e non assicurano né un’attuazione né un finanziamento più rapidi, di qualità e efficaci di questi programmi. L’attuazione informale e spontanea dei programmi di insegnamento è indubbiamente troppo lenta.
Quali iniziative la Commissione europea ha preso o intende prendere per ridurre il divario tra i paesi che realizzano attivamente questi programmi e quelli che lo fanno in maniera più passiva?
Per influire sulla situazione relativa all’apprendimento degli adulti la Commissione stabilisce parametri di riferimento, applica il metodo di coordinamento aperto e elabora strumenti e comunicazioni di riferimento. Il programma per l’apprendimento permanente fornisce inoltre sostegno finanziario.
Nel 2003 l’UE ha già istituito un parametro di riferimento per migliorare la partecipazione degli adulti all’istruzione e alla formazione e seguire i progressi compiuti al riguardo. Scopo del parametro di riferimento è aumentare al 12,5 per cento entro il 2010 la partecipazione degli adulti (persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni) all’apprendimento permanente. Dal 2003 lo stesso obiettivo di aumentare la partecipazione degli adulti all’apprendimento permanente fa anche parte della strategia europea per l’occupazione.
A livello comunitario, la partecipazione all’istruzione e alla formazione è aumentata dal 7,1 per cento nel 2000 al 9,6 per cento nel 2006. Nel 2006 ha partecipato ad attività di istruzione e formazione una media del 9,6 per cento di europei di età compresa tra i 25 e i 64 anni. In futuro i progressi devono essere più rapidi e per conseguire l’obiettivo del parametro di riferimento di un tasso di partecipazione del 12,5 per cento entro il 2010 sono necessari ulteriori sforzi da parte di molti paesi dell’UE.
I paesi che hanno ottenuto i migliori risultati sono Svezia, Danimarca, Regno Unito e Finlandia, seguiti da Paesi Bassi, Slovenia e Austria. Tutti i restanti Stati membri dell’UE presentano ancora tassi inferiori alla media europea del 12,5 per cento.
Le differenze tra i vari paesi sono considerevoli, con tassi di partecipazione superiori a quasi il 30 per cento in alcuni paesi e di poco superiori all’1 per cento in altri.
In media la partecipazione delle donne è stata più elevata di quella degli uomini (nel 2006: 10,4 per cento di donne contro 8,8 per cento di uomini) e gli adulti con un livello di istruzione superiore hanno partecipato in maggior misura all’apprendimento permanente rispetto agli adulti scarsamente qualificati. La partecipazione diminuisce inoltre in misura direttamente proporzionale all’età.
La Commissione, per promuovere ancor più l’apprendimento permanente degli adulti e ridurre il divario tra i paesi che attuano attivamente e passivamente questa iniziativa, ha adottato due comunicazioni sull’apprendimento degli adulti. Nella prima del 2006 intitolata “Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere”, la Commissione illustra una strategia generale riguardo agli sviluppi e alle esigenze nel settore dell’apprendimento degli adulti. La seconda comunicazione del settembre 2007 intitolata “E’ sempre il momento di imparare” presenta il piano d’azione europeo in materia di educazione degli adulti.
Nell’attuazione del piano d’azione con la collaborazione degli Stati membri, la Commissione analizzerà gli effetti prodotti sull’educazione degli adulti dalle riforme realizzate a livello nazionale. L’educazione degli adulti ha a che fare con tutti gli altri settori dell’istruzione e di conseguenza è importante analizzare gli effetti dell’evoluzione di tali settori e la loro interazione con quello dell’educazione degli adulti. La maggior parte degli Stati membri sta elaborando un quadro nazionale delle qualifiche collegato al quadro europeo delle qualifiche. Questi sviluppi riguardano in particolare le modalità per facilitare l’accesso, l’avanzamento e il trasferimento e di conseguenza sono potenzialmente importanti per aprire agli adulti i sistemi delle qualifiche. La Commissione definirà inoltre norme applicabili ai professionisti dell’educazione degli adulti e meccanismi di assicurazione della qualità, basati su buone prassi esistenti. Gli Stati membri saranno incoraggiati a fissare obiettivi per innalzare le competenze degli adulti e accelerare il processo di valutazione e di riconoscimento dei risultati dell’apprendimento non formale e informale in relazione ai gruppi a rischio. Ultimo ma non meno importante, la Commissione proporrà una serie di dati fondamentali per migliorare la comparabilità nel settore dell’educazione degli adulti.
Oltre a questa politica, il piano per l’apprendimento permanente e, in particolare, il relativo programma settoriale “Grundtvig”, fornisce sostegno finanziario a progetti transnazionali nel settore dell’educazione degli adulti.
Di recente la Commissione ha pubblicato un opuscolo intitolato “Grundtvig Success Stories”su 20 progetti Grundtvig in corso, nel quale vengono presentati esempi di migliori prassi e si incoraggiano altre parti interessate a seguire questi buoni esempi. L’opuscolo può essere scaricato da:
Anche altri programmi settoriali nell’ambito del piano per l’apprendimento permanente possono includere l’educazione degli adulti nel proprio ambito: il programma Leonardo da Vinci, ad esempio, ha fissato tra le proprie priorità per i progetti multilaterali per il periodo 2008-2010 lo “sviluppo delle competenze degli adulti nel mercato del lavoro”.
Interrogazione n. 40 dell’on. Michl Ebner (H-0150/08)
Oggetto: Impiego di sovvenzioni dell’UE nel settore della cultura
A norma dell’articolo 151, paragrafo 1 del trattato CEE la Comunità “contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali”. Attualmente però i fondi dei programmi di aiuto dell’UE per le attività culturali vengono destinati quasi esclusivamente a progetti di alta cultura. Teatri, musei e concerti usufruiscono di contributi mentre le associazioni che si dedicano a tener viva la cultura popolare ne restano escluse. Ciò si verifica nonostante il fatto che tali associazioni non solo tutelano da tempo aspetti estremamente importanti della cultura europea ma sono anche organizzate soprattutto a livello transnazionale e che le loro manifestazioni annuali sono molto popolari.
È la Commissione consapevole che tale politica di aiuti risulta di fatto abbastanza unilaterale? Come intende ovviarvi in futuro?
Il programma Cultura 2007-2013 è stato definito dopo aver consultato il settore della cultura. Le esigenze degli operatori culturali costituiscono la base di tale programma. Su loro consiglio, il programma Cultura si distingue da quelli precedenti per il fatto che è più flessibile e aperto alla grande diversità culturale europea e a tutte le organizzazioni della società civile che operano in questo ambito.
Il programma è in corso di attuazione da poco più di un anno ed è troppo presto per poter fornire un quadro completo della serie di attività che saranno finanziate a titolo del programma stesso. Esiste tuttavia un sistema di informazione per fornire in futuro un quadro sintetico dei progetti selezionati, nonché dei relativi generi, quantità, scopi e numeri.
Nel corso del programma precedente, alcuni progetti hanno tuttavia già posto in evidenza diverse tradizioni popolari nel campo della musica e della danza in particolare. Tali eventi riuniscono varie culture europee e in questo senso sono, come l’onorevole parlamentare menziona a giusto titolo, transnazionali.
La Commissione presta ascolto alle parti interessate del settore della cultura e le loro opinioni sono state prese in considerazione nelle modifiche apportate agli inviti a presentare proposte nell’ambito del nuovo programma. La Commissione si augura che in futuro una serie più ampia di progetti riesca ad avere successo nelle richieste di finanziamento.
Per quanto riguarda il sostegno fornito nell’ambito della politica di coesione agli investimenti culturali e simili, in questo caso l’iniziativa spetta agli Stati membri e non alla Commissione.
Interrogazione n. 48 dell’on. Mairead McGuinness (H-0096/08)
Oggetto: L’impatto del cambiamento climatico sui negoziati commerciali
È indubbio che, al momento, tra le priorità all’ordine del giorno dell’Europa rientra la questione di come affrontare efficacemente il cambiamento climatico. Potrebbe tuttavia la Commissione precisare in che modo e fino a che punto la particolare preoccupazione dell’Unione europea per questo problema faccia parte dei negoziati commerciali internazionali?
Inoltre, in che modo può la Commissione garantire che il consenso globale su un quadro equo e generale in materia di lotta al cambiamento climatico dopo il 2012, emerso in occasione della Conferenza di Bali del dicembre 2007, inizierà a far parte dell’agenda sul commercio globale?
I cambiamenti climatici costituiscono una priorità globale che richiede un urgente intervento globale. Il modo migliore per garantire un’azione collettiva efficace è concludere un accordo globale sui cambiamenti climatici. Per questo motivo, il principale obiettivo dell’UE è assicurare l’esito positivo dei negoziati che, avviati a Bali nel dicembre 2007 nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) per concludere un accordo globale e ambizioso sul clima per il periodo successivo al 2012, dovrebbero essere portati a termine entro la fine del 2009.
Ciò è necessario non solo da un punto di vista ambientale, ma anche sotto il profilo commerciale e concorrenziale in quanto è chiaro che il modo migliore per evitare frizioni commerciali e problemi di concorrenza è definire un quadro sui cambiamenti climatici concordato a livello internazionale.
La politica commerciale deve rispondere alle esigenze e alle indicazioni dei negoziati sui cambiamenti climatici globali e fornire risposte qualora risultino importanti per massimizzare le sinergie e garantire il necessario sostegno reciproco tra commercio e ambiente. In particolare, dovrebbe cercare di ottenere un rafforzamento del contributo positivo del commercio alla soluzione del problema dei cambiamenti climatici, per quanto riguarda le esigenze di mitigazione e di adattamento. La liberalizzazione tariffaria e non tariffaria di beni e servizi ambientali deve essere fortemente sostenuta in quanto contribuirà a favorire il necessario utilizzo delle tecnologie ambientali e l’accesso alle medesime.
Questo è l’oggetto della recente proposta UE-Stati Uniti sulla liberalizzazione di beni e servizi ambientali presentata nell’attuale ciclo di negoziati commerciali multilaterali nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Altri paesi sono invitati a presentare specifici suggerimenti riguardo a beni e servizi di cui è necessario occuparsi.
Inoltre, come risulta anche dalla dichiarazione ministeriale di Doha dell’attuale ciclo di negoziati dell’OMC, le valutazioni ambientali delle politiche commerciali (come le valutazioni dell’impatto sulla sostenibilità dell’UE) possono e devono svolgere un ruolo nella prevenzione o almeno nella mitigazione di qualsiasi effetto negativo di un aumento degli scambi commerciali.
E’ anche opportuno sottolineare che l’UE sta portando avanti un capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile nella nuova generazione di negoziati sugli accordi di libero scambio. Stiamo cercando di favorire il commercio di beni, servizi e tecnologie ambientali e di promuovere l’attuazione di norme ambientali concordate a livello internazionale. Stiamo anche cercando di istituire un forum per discutere le questioni dello sviluppo sostenibile, anche con la società civile.
Più in generale, a Bali, in Indonesia, è stato avviato un dialogo informale sul commercio e i cambiamenti climatici a livello ministeriale a margine della conferenza sull’UNFCCC. Ciò dovrebbe ulteriormente contribuire al raggiungimento di un’intesa comune sul legame tra politica commerciale e azioni in materia di cambiamenti climatici, tenendo debito conto della loro dimensione di sviluppo.
Interrogazione n. 49 dell’on. Gay Mitchell (H-0098/08)
Oggetto: “Fondi sovrani” e politica commerciale
Recentemente i cosiddetti fondi sovrani (Sovereign Wealth Funds) hanno registrato una crescita straordinaria assumendo una posizione rilevante come strumenti di investimento su scala mondiale, con un portafoglio stimato a 2 900 miliardi di dollari. Le operazioni di tali fondi sono per lo più poco trasparenti e le decisioni relative agli investimenti acquisiscono spesso sfumature politiche o nazionalistiche.
Alla luce di quanto sopra, la Commissione ha formulato una politica chiara sugli aspetti commerciali legati ai fondi sovrani di investimento?
La Commissione segue le attività dei fondi sovrani e presta particolare attenzione ai recenti sviluppi in questo settore.
Il 27 febbraio 2008 la Commissione ha adottato una comunicazione in materia(1).
La comunicazione individua e chiarisce le questioni sollevate dai fondi sovrani. In questo modo la Commissione cerca di rispondere alle preoccupazioni nutrite riguardo a questo tipo di fondi. La comunicazione illustra gli elementi necessari per concretizzare le aspettative comunitarie di trasparenza e governance dei fondi sovrani. Questi elementi dovrebbero contribuire a raggiungere un approccio comune dell’UE in materia e alle discussioni che si svolgono a livello internazionale, come ad esempio nell’ambito del Fondo monetario internazionale (FMI) e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). La comunicazione non propone alcuna iniziativa legislativa.
A livello generale, la Commissione rammenta che garantire un ambiente favorevole agli investimenti e la libera circolazione di capitali è un obiettivo che l’UE ha fatto proprio da molti anni ed è un elemento fondamentale per il successo dell’UE in un sistema internazionale sempre più globalizzato. Gli Stati membri dispongono di strumenti legislativi e di regolamentazione per controllare e intervenire sulla base di considerazioni di sicurezza nazionale. Qualsiasi risposta europea alle preoccupazioni suscitate dai fondi sovrani dovrebbe pertanto mantenere questo equilibrio ed evitare di inviare il segnale che l’Europa non è più aperta ai legittimi investitori.
Interrogazione n. 50 dell’on. Seán Ó Neachtain (H-0115/08)
Oggetto: Negoziati commerciali mondiali
Può la Commissione illustrare in modo esauriente lo stato di avanzamento dei negoziati commerciali mondiali?
Come l’onorevole parlamentare sa, in occasione della Conferenza ministeriale di Hong Kong del 2005 è stato deciso di concentrarsi sulla conclusione di un accordo sulle cosiddette modalità di negoziato per il commercio e i prodotti industriali (o “NAMA” nel gergo dell’OMC), che avrebbe preceduto un accordo finale riguardante tutte le questioni oggetto di negoziato. L’obiettivo di un accordo sulle modalità è trovare un’intesa sulle cifre principali per quanto riguarda le riduzioni delle tariffe e, nel caso dell’agricoltura anche le riduzioni delle sovvenzioni. Il termine per tale accordo è stato rinviato varie volte. Attualmente è stata raggiunta la fase in cui si cercheranno di definire gli elementi dell’accordo sulle modalità nelle prossime settimane, ma esistono ancora incertezze riguardo alla possibilità di conseguire questo obiettivo.
A metà febbraio 2008 i presidenti dei rispettivi gruppi di negoziato dell’OMC su agricoltura e NAMA hanno pubblicato versioni rivedute dei testi di negoziato. I testi in questione devono in definitiva formare la base dei negoziati ministeriali che dovrebbero consentire di giungere a un accordo sulle modalità. Una delle principali preoccupazioni suscitate dai due testi è tuttavia che non forniscono sufficiente certezza riguardo alla possibilità di raggiungere un equilibrio sufficiente tra agricoltura e NAMA.
Nel settore dell’agricoltura ci siamo impegnati con i paesi terzi in una maniera che soddisfa le loro ambizioni, ma che resta nel quadro della riforma del 2003 della politica agricola comune. Gli obiettivi possono essere raggiunti sulla base delle attuali proposte della presidenza del gruppo di negoziato sull’agricoltura, anche se restano altre questioni da chiarire e sulle quali trovare un accordo.
Questo approccio è stato tuttavia adottato unicamente sulla base del presupposto che il negoziato è un singolo impegno e che le concessioni in un settore devono essere equilibrate da contropartite in altri settori. Per quanto riguarda i prodotti industriali, la presidenza ha purtroppo scelto di pubblicare un testo riveduto che potrebbe ridurre il livello di ambizione raggiungibile. L’UE non potrebbe accettare un accordo che non rispetti il mandato dell’agenda di Doha per lo sviluppo, vale a dire creare opportunità commerciali effettivamente nuove nel settore dei prodotti industriali. Questa posizione è stata espressa con chiarezza ad altri membri dell’OMC. Anche se possiamo accettare il fatto che la grande maggioranza dei paesi in via di sviluppo assumano soltanto impegni molto limitati in questo ciclo di negoziati, riteniamo che le economie emergenti come Cina, Brasile o India debbano fornire un contributo significativo, sotto forma di accesso a nuovi mercati, in linea con il loro livello di sviluppo.
L’UE è del parere che un accordo sulle modalità dovrebbe essere raggiunto nel corso di questa primavera. Si tenga presente che un accordo sulle modalità non sarebbe ancora un accordo definitivo. Risolverebbe problemi fondamentali relativi all’agricoltura e al commercio, ma riguardo alle altre questioni oggetto di negoziato sarebbe comunque necessaria una fase finale di negoziati per far sì che sia possibile raggiungere un accordo definitivo. Cercheremo tuttavia di garantire che l’accordo sulle modalità offra anche un margine sufficiente di sicurezza riguardo alla parte finale dei negoziati su altre questioni quali i servizi, le regole (antidumping e sovvenzioni), le indicazioni geografiche, la facilitazione degli scambi commerciali, i beni ambientali e lo sviluppo. Se non si giungerà a un accordo quest’anno, la situazione politica negli Stati Uniti renderebbe molto improbabile qualsiasi conclusione prima del 2010.
Interrogazione n. 51 dell’on. Pedro Guerreiro (H-0133/08)
Oggetto: Punto della situazione degli attuali negoziati nell’ambito dell’OMC
Dato che diverse relazioni delle Nazioni Unite hanno evidenziato come tra i paesi e all’interno di molti paesi negli ultimi anni si siano aggravate le disparità a livello di reddito, in termini sociali ed economici, in un contesto in cui gli indici di povertà e di disoccupazione restano elevati o stanno aumentando, mentre nel contempo si registra un incremento degli utili delle grandi multinazionali e della concentrazione della ricchezza – ossia una realtà dalla quale non è estranea la liberalizzazione del commercio e dei capitali su scala mondiale.
Viste le recenti proposte rettificate riguardanti l’agricoltura e l’accesso al mercato dei prodotti non agricoli, quali sono le proposte rettificate avanzate per i negoziati nell’ambito dell’OMC, segnatamente quelli concernenti l’agricoltura, i prodotti non agricoli (compreso il tessile e l’abbigliamento) e i servizi? Come giudica la Commissione la necessità di riesaminare l’attuale mandato negoziale dato che la liberalizzazione del commercio, dell’agricoltura, dell’industria e dei servizi aggraverà le disparità economiche e sociali, metterà a rischio la sovranità alimentare e i servizi pubblici e promuoverà le delocalizzazioni e il dumping sociale e ambientale?
Pochi studi economici contestano la tesi secondo cui l’apertura degli scambi commerciali è un fattore importante per la crescita e lo sviluppo. Gli argomenti si concentrano invece sul carattere e le fasi di attuazione di tale apertura. E’ altrettanto chiaro che l’apertura degli scambi non può avvenire in una situazione di vuoto: a tale scopo sono necessari tutta una serie di altre politiche, un buon governo e un contesto di stabilità economica. L’apertura degli scambi commerciali non è una panacea per lo sviluppo.
Molti paesi in via di sviluppo hanno usato gli scambi commerciali come componente fondamentale della propria combinazione di politiche di sviluppo e pertanto hanno ottenuto considerevoli riduzioni della povertà e aumenti del benessere. Gli esempi più eclatanti di crescita trainata dagli scambi commerciali si trovano probabilmente in Asia. Com’è ovvio, la Cina è un pioniere in questo senso, tuttavia si possono constatare tendenze simili in paesi asiatici più piccoli, ad esempio il Vietnam, o anche tra paesi meno sviluppati come il Bangladesh. Nel contempo, la Cina, e altre economie emergenti, prestano crescente attenzione alle sfide socioeconomiche che ne derivano come un aumento delle disparità di reddito e di ricchezza e la coesione sociale e l’efficace attuazione del diritto del lavoro.
Di recente l’UNCTAD(1) ha posto in evidenza gli effetti positivi che la crescita in Asia ha su altre regioni povere – in particolare quelle che dipendono dalle esportazioni di prodotti di base. Il commercio sud-sud costituisce un elemento sempre più importante del commercio mondiale e offre nuove opportunità di sviluppo, anche se le barriere commerciali restano elevate nel sud: più del 60 per cento dei dazi pagati da paesi in via di sviluppo è dovuto ad altri paesi in via di sviluppo, mentre soltanto il 40 per cento delle loro esportazioni è diretto a questo gruppo di paesi.
I negoziati commerciali multilaterali in corso nell’ambito dell’OMC(2) offrono l’opportunità di un ulteriore uso degli scambi commerciali per promuovere lo sviluppo, aumentando le opportunità di accesso ai mercati per i paesi in via di sviluppo.
Gli attuali testi di negoziato tengono pieno conto del fatto che non tutti i paesi in via di sviluppo hanno le stesse capacità di assorbire la liberalizzazione degli scambi. Parti sostanziali dei negoziati sull’agenda di Doha per lo sviluppo riguardano il trattamento speciale e differenziato per i paesi in via di sviluppo in modo che gli impegni in materia di apertura dei mercati, a prescindere che si tratti di prodotti o servizi industriali o agricoli, siano commisurati all’effettivo livello di sviluppo di particolari gruppi di paesi. La grande maggioranza dei paesi in via di sviluppo nell’ambito dell’OMC assumerà soltanto impegni molto limitati, e questo vale in molti casi in particolare per i paesi meno sviluppati, che non richiedono alcuna apertura di nuovi mercati.
D’altro canto, è del tutto normale aspettarsi che le economie emergenti, quali Brasile, India o Cina, si assumano responsabilità in linea con il loro livello di sviluppo, creando nuovo accesso ai loro mercati, soprattutto per quanto riguarda i prodotti industriali. Anche se il mercato europeo dei prodotti industriali è aperto e le tariffe sono tra le più basse al mondo, le economie emergenti hanno ancora tariffe medie elevate e spesso picchi tariffari molto alti. In ogni caso, anche questi paesi dovranno aprire i loro mercati in misura minore rispetto ai paesi sviluppati e manterranno il diritto, entro certi limiti, di proteggere alcuni settori sensibili.
Sarà di fondamentale importanza garantire che qualsiasi accordo finale sull’agenda di Doha per lo sviluppo sia equilibrato in termini di contributi forniti dai paesi con livelli diversi di sviluppo nei vari pilastri del negoziato; si tratterà anche di un elemento essenziale per la promozione del commercio sud-sud.
I membri dell’OMC hanno continuamente sottolineato l’importanza fondamentale della dimensione dello sviluppo in ogni aspetto del programma di lavoro di Doha. La Commissione desidera inoltre rammentare all’onorevole parlamentare che è già stato raggiunto un accordo su varie misure intese ad aiutare i paesi in via di sviluppo membri dell’OMC più poveri a trarre pieno vantaggio dalle opportunità offerte da un esito positivo dei negoziati sull’agenda di Doha per lo sviluppo, quali un aumento degli aiuti al commercio e delle importazioni in esenzione da dazi e contingenti per i paesi meno sviluppati. L’UE garantirà inoltre che la questione dell’erosione delle preferenze sia affrontata in maniera equa.
L’UE sostiene anche la cooperazione tra OMC e OIL(3) sul rapporto tra occupazione/politica sociale e commercio, e la Commissione sostiene attivamente la definizione di indicatori di lavoro dignitoso e la valutazione del legame tra commercio, occupazione e lavoro dignitoso nel contesto del programma tematico 2007-2013 per lo sviluppo umano e sociale (“investire nelle persone”).
Interrogazione n. 52 dell’on. Vural Öger (H-0136/08)
Oggetto: Accordo di libero scambio UE-Ucraina
Con l’adesione dell’Ucraina all’OMC, il 5.2.2008, sono venuti meno gli ostacoli alla conclusione di un accordo di libero scambio (FTA) tra l’UE e l’Ucraina e il primo giro di negoziati è iniziato il 17.2.2008. Quale calendario prevede la Commissione per tali negoziati?
Nel 2006 il 25% delle esportazioni ucraine erano destinate all’UE, mentre nello stesso periodo le importazioni ucraine dall’UE ammontavano al 42%. Intende la Commissione vigilare nel corso dei negoziati a che il nuovo FTA consenta all’Ucraina di incrementare nel lungo termine le sue esportazioni verso l’UE? Quali vantaggi porterà in linea generale l’FTA all’Ucraina nel settore commerciale? In che modo garantirà essa che i negoziati con l’Ucraina si svolgeranno a livello paritetico e non insorgeranno disparità di carattere commerciale?
Ha la Commissione previsto una strategia di comunicazione che illustri ai cittadini i vantaggi della liberalizzazione nel loro proprio interesse?
Il Consiglio generale dell’Organizzazione mondiale del Commercio (OMC) ha approvato l’adesione dell’Ucraina il 5 febbraio 2008, a seguito della quale sono stati avviati i negoziati su un accordo di libero scambio (FTA) con tale paese, quale parte fondamentale del nuovo accordo rafforzato. Dopo l’apertura ufficiale del 18 febbraio 2008 a Kiev da parte del Commissario Mandelson e del Presidente ucraino Yushchenko, si è svolto un primo breve ciclo di negoziati tra i principali negoziatori, che si sono concentrati su questioni organizzative. E’ stato concordato con l’Ucraina di tenere cicli di negoziati, se possibile, ogni 8 settimane. Il primo ciclo completo di negoziati è previsto per la settimana del 21 aprile 2008 a Bruxelles.
L’Unione europea intende negoziare un approfondito accordo globale di libero scambio con l’Ucraina, che consenta a tale paese di avvicinarsi il più possibile al mercato interno. L’accordo dovrebbe andare al di là delle tradizionali disposizioni degli accordi di libero scambio relative all’accesso al mercato di beni e servizi, e affronterà anche gli ostacoli al commercio eretti “oltre le frontiere”, ad esempio le questioni sanitarie e fitosanitarie e le norme e regole tecniche.
La valutazione d’impatto sulla sostenibilità effettuata da un consulente indipendente ha confermato che l’accordo di libero scambio dovrebbe comportare considerevoli vantaggi per l’Ucraina. Lo studio ha anche concluso che l’accordo di libero scambio rafforzerebbe le tendenze esistenti in Ucraina: i settori in Ucraina con un vantaggio competitivo ne potranno trarre il massimo profitto e quelli con uno svantaggio competitivo rischiano di perdere tale occasione, a meno che non accrescano la loro competitività. Si prevede tuttavia che il risultato sarà nel complesso positivo.
Per quanto riguarda l’informazione del pubblico riguardo ai negoziati in corso, durante il 2008 è previsto lo svolgimento di una riunione di dialogo con la società civile riguardo ai negoziati tra UE e Ucraina sull’accordo di libero scambio.
Il Parlamento europeo sarà regolarmente informato sullo stato dei negoziati.
Interrogazione n. 53 dell’on. Johan Van Hecke (H-0137/08)
Oggetto: Adesione della Russia all’OMC
Benché la Russia sia un membro importante del G8, continua a registrare ritardi nel dotarsi di un adeguato regime di tutela della proprietà intellettuale per le imprese. Dovrà realizzare numerose riforme giuridiche per ammodernare il suo sistema di tutela del diritto d’autore e migliorarne l’applicazione, prima che possa essere istituito un mercato ufficiale per i titolari di diritti sia russi, che europei. La Federazione russa non ha ancora ratificato i trattati dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (OMPI) relativi ad Internet sottoscritti nel 1996 e ha adottato misure poco incisive per la lotta alla pirateria in rete. Su pressione dell’UE il noto sito Allofmp3.com è stato recentemente chiuso, ma siti simili sono ancora attivi in Russia e devono essere chiusi parallelamente all’avvio di indagini penali a carico dei loro gestori.
È fondamentale che l’UE continui a porre l’effettiva tutela e applicazione dei diritti di proprietà intellettuale come condizione per l’adesione della Russia all’OMC. Intende la Commissione europea opporsi a tale adesione della Russia finché questa non dimostrerà di essersi dotata di un efficace regime di tutela dei diritti di proprietà intellettuale attraverso l’adeguato rispetto dei suoi obblighi in materia di aspetti commerciali legati a tali diritti, la ratifica dei trattati della OMPI relativi ad Internet e la lotta alla pirateria in rete?
Interrogazione n. 54 dell’on. Esko Seppänen (H-0140/08)
Oggetto: Dazi sulle esportazioni di legname dalla Russia
La Russia ha unilateralmente aumentato i dazi sulle proprie esportazioni di legname grezzo ad un livello che farà gradualmente cessare le importazioni di legname russo nei paesi dell’UE. Quali sono, a giudizio della Commissione, le dimensioni di tale problema relativamente all’adesione della Russia all’OMC? Intende continuare i colloqui con le autorità doganali russe al fine di ridurre i dazi?
L’adesione della Russia all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è in primo luogo nello stesso interesse della Russia. Se questo paese vuole proseguire il proprio processo di modernizzazione economica, diversificare ancor più la propria economia e attrarre gli investimenti internazionali di cui ha estrema necessità, potrà farlo nel modo migliore quale membro dell’OMC.
L’adesione della Russia è tuttavia anche nell’interesse dei partner commerciali del paese. In definitiva l’adesione all’OMC significa che la Russia dovrà conformarsi alle norme commerciali internazionali e che si ridurrà l’ambito della discrezionalità arbitraria dello Stato nel settore commerciale. L’ex Presidente Putin ha ripetutamente ribadito il suo impegno ad aderire all’OMC e sono convinto che il suo successore, Dmitry Medvedev, sia dello stesso parere.
Cosa resta ancora da fare riguardo all’adesione della Russia? In effetti le questioni ancora da affrontare sono poche. La realtà è che sulla grande maggioranza delle questioni abbiamo già trovato un accordo o siamo sicuri che la legislazione russa sia conforme alle regole dell’OMC.
In merito ai diritti di proprietà intellettuale, la Russia deve ancora far fronte a molte sfide in questo settore, la maggior parte delle quali è legata all’efficace attuazione di tali diritti. Per quanto riguarda il quadro legislativo, la Commissione è tuttavia sicura che le recenti modifiche legislative e gli impegni della Russia garantiscano il rispetto dei requisiti dell’OMC da parte del paese. Si informa l’onorevole parlamentare che il 1o gennaio 2008 è entrato in vigore il nuovo capitolo IV relativo ai diritti di proprietà intellettuale del Codice civile. Stiamo lavorando in stretto rapporto con la Russia per migliorare ulteriormente la situazione. Lo si potrebbe fare nel contesto del dialogo sui diritti di proprietà intellettuale.
L’altra questione che la Commissione desidera sottolineare riguarda il problema dei dazi sulle esportazioni di legname dalla Russia. Come l’onorevole parlamentare saprà, si tratta attualmente della questione in sospeso più importante per l’UE nel processo di adesione della Russia. La Commissione è del parere che la decisione di aumentare in misura considerevole i dazi sulle esportazioni di legname non fosse giustificata. Di recente il Commissario per il commercio ha incontrato il vice Primo ministro Kudrin per discutere del problema ed è probabile che si incontri di nuovo con lui nei prossimi giorni. La Commissione è convinta che sia possibile trovare una soluzione, a condizione che entrambe le parti abbiano la volontà politica di giungere a un accordo.
Interrogazione n. 55 dell’on. Marian Harkin (H-0078/08)
Oggetto: Negoziati OMC
Alla luce dei recenti negoziati OMC e della pubblicazione di otto nuovi documenti di lavoro sull’accesso al mercato, può la Commissione far sapere quali concessioni sono state proposte in relazione all’agricoltura europea e inoltre se intende fare altre concessioni nell’ambito del ruolo cruciale che essa svolge nel garantire la sicurezza alimentare, la tracciabilità e un ambiente sostenibile.
L’ultimo sviluppo delle attuali discussioni sull’agricoltura nel contesto dei negoziati del ciclo di Doha nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è costituito dal progetto di modalità rivedute diffuso l’8 febbraio 2008 dall’Ambasciatore Crawford Falconer, presidente dei negoziati sull’agricoltura.
Nel corso dello svolgimento dei negoziati sull’agenda di Doha per lo sviluppo, la Commissione verifica continuamente la posizione dell’UE in relazione al proprio mandato, anche attraverso una valutazione delle modalità proposte soprattutto per quanto riguarda le concessioni di accesso ai mercati, in particolare le riduzioni e il trattamento dei prodotti sensibili. In effetti, rispetto a quanto previsto nell’offerta dell’UE dell’ottobre 2005, ciò che viene discusso attualmente resta identico e avrebbe effetti macroeconomici simili.
La sicurezza alimentare, la tracciabilità e la sostenibilità ambientale sono elementi essenziali della riforma del 2003 della politica agricola comune (PAC). Ne consegue che per i negoziati sull’agricoltura è del tutto chiaro che tale riforma è un importante contributo dell’Europa all’agenda di Doha per lo sviluppo e costituisce i limiti del mandato negoziale nel ciclo dell’OMC. Il margine di manovra offerto da questa riforma può essere usato soltanto a condizione che i partner dell’OMC offrano concessioni equivalenti nel settore dell’agricoltura e in altri ambiti. Un risultato complessivo non equilibrato sarebbe inaccettabile.
Interrogazione n. 56 dell’on. Giovanna Corda (H-0081/08)
Oggetto: Relazioni commerciali e regolamentazioni sociali in Cina
Oltre ai recenti problemi relativi al controllo di qualità e alla tracciabilità che hanno provocato il ritiro di centinaia di migliaia di giocattoli pericolosi importati dalla Cina e che sono oggetto di una serie di misure decise dalla Commissione, quest’ultima può far sapere quali sono i termini degli accordi conclusi tra la Commissione europea e la Cina allo scopo di accertare e, se necessario, verificare che la fabbricazione dei prodotti importati sia conforme alle norme relative alla durata massima del lavoro, all’età minima dei lavoratori, alla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori e al salario minimo garantito per fare in modo che lo sviluppo sfrenato delle attività commerciali non avvenga a scapito della salute, della sicurezza e del rispetto della dignità umana?
La Commissione condanna con fermezza qualsiasi tentativo di promuovere lo sviluppo economico a scapito dei diritti dei lavoratori e della dignità umana, e sostiene la necessità di rispettare le norme fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) in materia di lavoro in quanto favoriscono lo sviluppo sostenibile.
Questa politica è chiaramente espressa nelle varie iniziative intraprese dalla Commissione riguardo alla promozione della dimensione sociale della globalizzazione(1), all’agenda sociale(2) e alla promozione del lavoro dignitoso(3). Inoltre, tutte le Istituzioni comunitarie hanno fortemente sostenuto questa politica e adottato varie decisioni e risoluzioni che forniscono un quadro generale per lo sviluppo della cooperazione bilaterale con la Cina in materia di occupazione e affari sociali.
La cooperazione dell’UE con la Cina su questo particolare aspetto si è evoluta in un senso molto positivo dal 2005, quando è stato concluso il primo memorandum d’intesa in merito a questioni sociali e occupazionali con il ministro cinese del Lavoro e della previdenza sociale. La Commissione sostiene pienamente qualsiasi sforzo compiuto per migliorare le condizioni di lavoro, incoraggiare l’attuazione delle norme in materia di lavoro vigenti e rafforzare la responsabilità sociale delle imprese in Cina.
Il suo dialogo con la Cina si è concentrato su aspetti quali la disponibilità di competenze adeguate, la riforma del sistema di sicurezza sociale, l’adeguata applicazione e la riforma della legislazione in materia di lavoro e di salute e sicurezza dei lavoratori. Anche se sono necessari importanti miglioramenti, la Commissione ha condotto un dialogo molto costruttivo con le autorità cinesi.
La Commissione ha seguito i recenti sviluppi e presterà estrema attenzione alla nuova “legge sui contratti di lavoro” cinese entrata in vigore il 1o gennaio 2008. La nuova legge rappresenta un considerevole miglioramento del sistema dei contratti di lavoro cinese definendo i diritti e i doveri delle parti. La Commissione accoglie con favore il fatto che la nuova legge sul lavoro, se correttamente applicata, potrebbe e dovrebbe comportare un considerevole miglioramento delle condizioni di lavoro in Cina.
A dimostrazione dell’importanza che la Commissione attribuisce alle norme occupazionali e sociali nelle sue relazioni con la Cina, nel gennaio 2008 il Commissario per l’occupazione, gli affari sociali e le pari opportunità ha effettuato la sua seconda visita nel paese in questione.
A seguito di questa missione, sono state concordate nuove iniziative importanti con il ministro cinese del Lavoro e della previdenza sociale, l’Accademia cinese di scienze sociali e l’Amministrazione statale della sicurezza sul lavoro. Nel 2008 è prevista la conclusione con quest’ultima di un memorandum d’intesa sulla salute e la sicurezza sul lavoro, ad integrazione della cooperazione tecnica con le autorità cinesi in questo importante settore ancora assente dal dialogo bilaterale. Attualmente stiamo anche discutendo con le autorità cinesi l’istituzione di un ambizioso progetto di formazione per migliorare le norme relative a salute e sicurezza nel settore minerario in Cina.
Oltre alla cooperazione bilaterale con la Cina in materia di occupazione e affari sociali, siamo anche molto impegnati a rafforzare le iniziative multilaterali nel contesto dell’OIL, nonché a sostenere tutte le misure che possono promuovere in Cina l’agenda per il lavoro dignitoso.
Interrogazione n. 57 dell’on. Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0083/08)
Oggetto: Recupero di insediamenti tradizionali
Nella sua risoluzione P6_TA(2006)0355 sulla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo nelle zone rurali e nelle regioni insulari, il Parlamento europeo aveva invitato la Commissione ad elaborare programmi relativi ad interventi di restauro negli insediamenti tradizionali e ad appoggiare le collaborazioni tra gli enti per programmi specifici di recupero delle forme architettoniche originali in modo da non alterarne le caratteristiche e da correggere qualunque intervento successivo incompatibile.
In tale quadro, può la Commissione dire quali misure ha adottato a tutt’oggi per realizzare tale obiettivo?
La Commissione attribuisce grande importanza alla tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo. Per l’ulteriore tutela e promozione di tale patrimonio si possono utilizzare leve quali la politica regionale, lo sviluppo rurale e il sostegno alle azioni culturali.
Nel contesto della politica di coesione gli investimenti nella tutela del patrimonio architettonico e culturale sono esplicitamente incoraggiati negli orientamenti strategici comunitari (cfr. l’articolo 2, paragrafo 1, che chiede “misure che cerchino di … conservare e promuovere il patrimonio storico e culturale con potenziali ricadute positive sul turismo”) in quanto contribuiscono allo sviluppo sostenibile degli Stati membri. Il patrimonio storico costituisce inoltre un bene nel contesto delle politiche degli Stati membri intese a stimolare il turismo. Il regolamento relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per il periodo 2007-2013 prevede, tra gli altri, un sostegno per “la protezione e lo sviluppo del patrimonio naturale” e “la protezione e la conservazione del patrimonio culturale” nonché per “lo sviluppo delle infrastrutture culturali”.
Inoltre, nel quadro del sostegno per la rigenerazione urbana e rurale, sono ammissibili anche misure a sostegno del patrimonio storico. Tuttavia, nel contesto del modello di gestione condivisa della politica regionale, spetta a ciascuno Stato membro l’iniziativa di includere o meno le misure di tutela del patrimonio nei programmi effettivi sostenuti a titolo del FESR.
E’ possibile utilizzare i programmi di sviluppo rurale anche per sostenere la tutela del patrimonio naturale, architettonico e culturale europeo nelle zone rurali. Gli Stati membri possono infatti attuare misure specifiche per la tutela e la riqualificazione del patrimonio rurale in determinate circostanze(1). In base ai dati disponibili, gli Stati membri intendono attuare questa misura in almeno 70 programmi di sviluppo rurale (su un massimo di 86 programmi), realizzando investimenti per un importo totale di 1 280 000 euro a titolo del FEASR per tutto il periodo di programmazione 2007-2013. Inoltre, altre misure di sviluppo rurale forniscono un contributo positivo alla tutela del patrimonio naturale, attraverso misure ben note come il sostegno di Natura 2000, le misure agroambientali e simili.
Nel quadro del nuovo programma Cultura 2007-2013, come nel caso di quello precedente, il programma Cultura 2000, la Commissione ha sostenuto iniziative relative alla conservazione del patrimonio culturale nel contesto del Premio europeo del patrimonio culturale, per il quale è stato selezionato come ente organizzatore Europa Nostra. Nella selezione per l’edizione 2007 del premio era inclusa la Fondazione Mihai Eminescu per il suo approccio integrato alla conservazione del patrimonio. La Fondazione ha sede a Londra (Regno Unito), sotto il patronato di Sua Altezza Reale, il Principe del Galles, e si dedica alla conservazione e alla riqualificazione di villaggi e comuni in Transilvania e nel Maramures (Romania). Uno dei massimi premi è stato anche assegnato al progetto di conservazione del piccolo centro fortificato di Santo Stefano di Sessanio, situato nel cuore delle zone montuose abruzzesi vicino all’Aquila, in Italia, per la sua opera di conservazione di un tipico paesaggio urbano medievale. Il programma Cultura 2007-2013 può anche finanziare reti di patrimoni culturali (ne sono state selezionate due nell’ambito degli inviti a presentare proposte del 2007).
Infine, la Commissione collabora anche attivamente con il Consiglio d’Europa per quanto riguarda l’organizzazione delle giornate europee del patrimonio. In questo contesto, viene anche fornito sostegno finanziario per organizzare manifestazioni e per garantire la visibilità dell’iniziativa.
Articolo 57 del regolamento (CE) n. 1698/2005, GU L 277 del 21.10.2005.
Interrogazione n. 58 dell’on. Manuel Medina Ortega (H-0088/08)
Oggetto: Minori migranti
Dinanzi al numero considerevole di minori migranti che giungono nel territorio dell’Unione europea in situazione irregolare e tenendo presente lo statuto speciale di protezione loro concesso dalle convenzioni internazionali, quali misure intende la Commissione proporre per aiutare i governi dei paesi di accoglienza ad attendere alle loro necessità e per facilitare il loro rientro nei paesi di origine e la reintegrazione nella loro vita familiare?
I minori non accompagnati sono in una situazione molto vulnerabile e hanno bisogno di costante sostegno per soddisfare le proprie esigenze specifiche.
In tutti i casi possibili, la legislazione comunitaria in materia di immigrazione e asilo ha sempre tenuto conto di questa realtà, ribadendo il fatto che la considerazione primaria degli Stati membri, quando intraprendono azioni che riguardano i minori, siano essi accompagnati o non accompagnati, dev’essere “l’interesse superiore del minore”.
Altri diritti fondamentali che devono essere garantiti sono quelli all’istruzione e all’unità familiare, che sono stati inclusi nell’acquis relativo a immigrazione e asilo e nelle proposte della Commissione.
Per quanto riguarda i minori, gli Stati membri ricevono sostegno dagli strumenti finanziari, in particolare attraverso il programma generale di nuova istituzione “Solidarietà e gestione dei flussi migratori 2007-2013”.
Il programma è costituito da quattro fondi gestiti in maniera molto simile ai Fondi strutturali: il Fondo per le frontiere esterne, il Fondo europeo per i rifugiati, il Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di paesi terzi e il Fondo europeo per i rimpatri. L’importo totale assegnato al programma è di 4 020,37 milioni di euro per il periodo 2007-2013, e sono incluse azioni rivolte ai minori.
Gli orientamenti strategici del Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di paesi terzi prevede cinque priorità specifiche, di cui una consiste in azioni rivolte a specifici gruppi destinatari (donne, bambini e così via). Il cofinanziamento di tali azioni da parte dell’UE è aumentato dal 50 per cento al 75 per cento.
Il nuovo Fondo europeo per i rifugiati (ERF III) tiene esplicitamente conto della situazione specifica di persone vulnerabili quali i minori non accompagnati. La sua dotazione di bilancio è pari a 699,37 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Oltre all’assegnazione annuale di risorse per le azioni ammissibili negli Stati membri, il Fondo concederà un importo forfetario di 4 000 euro per ogni minore non accompagnato reinsediato (tra le altre categorie destinatarie).
Il Fondo per i rimpatri, con una dotazione di bilancio totale di 676 milioni di euro per il periodo 2008-2013, sosterrà, tra gli altri, azioni che offrono assistenza specifica per persone vulnerabili, quali i minori non accompagnati, in casi di rimpatrio volontario o forzato.
Infine, il programma DAPHNE ha l’obiettivo di prevenire e contrastare la violenza contro i bambini, i giovani e le donne e di proteggere le vittime e i gruppi a rischio. Dal 1997 DAPHNE ha finanziato circa 420 progetti per garantire protezione contro varie forme di violenza nei confronti di bambini, giovani e donne e per prevenirle. Alcuni di tali progetti erano destinati in modo specifico ai minori non accompagnati.
Interrogazione n. 60 dell’on. Chris Davies (H-0104/08)
Oggetto: Controllo dell’attuazione della legislazione UE durante la Presidenza slovena
Può la Commissione precisare se ha richiesto che l’inadeguata attuazione della legislazione dell’UE da parte degli Stati membri sia posta all’ordine del giorno di una delle sessioni del Consiglio dei ministri che si terranno durante l’attuale Presidenza?
La Commissione non ha richiesto che l’attuazione della legislazione dell’UE da parte degli Stati membri sia posta all’ordine del giorno di una delle sessioni del Consiglio dei ministri che si terranno durante la Presidenza slovena.
Come indicato nella risposta all’interrogazione orale H-0816/07 dell’onorevole parlamentare(1), va rammentato che la Commissione ha adottato una comunicazione sull’applicazione del diritto comunitario(2), che è stata trasmessa alle Istituzioni. La Commissione si sta attivamente adoperando per l’attuazione delle azioni annunciate nella comunicazione. Durante la Presidenza portoghese, la Commissione ha convocato un gruppo di esperti nazionali per discutere la comunicazione. Questa è la sede scelta dalla Commissione per portare avanti tale discussione con gli Stati membri senza escludere la possibilità che alcune questioni individuate dalla Commissione siano poste all’ordine del giorno di una delle riunioni di una delle formazioni del Consiglio nel 2008. Nel dicembre 2007 è stata organizzata una riunione del gruppo di esperti e la prossima è prevista per giugno 2008 durante la Presidenza slovena.
Potrebbe inoltre svolgersi un dibattito generale in seno a una delle formazioni del Consiglio in altre occasioni, come ad esempio la presentazione di una relazione annuale sull’attuazione di un programma o di un piano d’azione.
La Commissione ha presentato i risultati del quadro di valutazione del mercato interno del dicembre 2007 nella riunione del Consiglio “Competitività” del 25 febbraio 2008.
Dal giugno 2005 la Commissione presenta un quadro di valutazione annuale anche nel settore della giustizia, della libertà e della sicurezza.
Interrogazione n. 61 dell’on. Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (H-0105/08)
Oggetto: Normative concernenti i grandi supermercati nell’UE
Al 31 gennaio 2008, la dichiarazione scritta 0088/2007 sui casi di abuso di potere da parte dei grandi supermercati nell’UE è stata firmata da 439 deputati, divenendo così posizione ufficiale del Parlamento europeo. La dichiarazione chiede alla DG Concorrenza di avviare uno studio sugli effetti che la concentrazione del commercio sta avendo sulle piccole aziende, sui fornitori, i lavoratori e i consumatori e, in particolare, di valutare i casi di abuso del potere di acquisto esercitato dai grandi supermercati. Chiede inoltre alla Commissione di proporre azioni adeguate, anche a livello regolamentare, per tutelare i consumatori, i lavoratori e i produttori da qualsiasi abuso di posizione dominante sul mercato o dagli effetti negativi rilevati nel corso del suo studio.
A maggio 2007, il parlamento polacco ha approvato una legge relativa alla creazione e alle attività dei grandi supermercati che soddisfa esattamente tali aspettative e, in particolare, richiede alle autorità di mantenere un equilibrio tra le diverse modalità di commercio e di rispettare i principi della concorrenza equa nell’ambito delle attività commerciali. Il 31 gennaio 2008, la Commissione europea ha messo in discussione tali misure e si è rivolta alle autorità polacche sollecitando una loro modifica con la minaccia di deferire la questione alla Corte di giustizia. Come intende risolvere la Commissione la palese contraddizione venutasi a creare tra le sue azioni e le aspettative del Parlamento europeo in merito alla concentrazione del commercio?
L’onorevole parlamentare fa riferimento alla dichiarazione scritta n. 88/2007 del Parlamento adottata il 19 febbraio 2008 su uno studio e soluzioni all’abuso di potere dei grandi supermercati operanti nell’Unione europea. Nella dichiarazione scritta si chiede alla Commissione di avviare uno studio sugli effetti che la concentrazione del settore dei supermercati può avere sui vari operatori del mercato e, in particolare, di valutare le eventuali violazioni di potere d’acquisto da parte dei supermercati. Chiede inoltre alla Commissione di proporre azioni adeguate per tutelare i consumatori, i lavoratori e i produttori da qualsiasi abuso di posizione dominante del mercato o dagli effetti negativi eventualmente rilevati nel corso dello studio richiesto.
La Commissione informerà il Parlamento della sua risposta alla dichiarazione scritta, conformemente alle disposizioni vigenti che disciplinano il seguito che la Commissione deve dare alle risoluzioni non legislative del Parlamento e in modo più specifico a quelle adottate durante la tornata di febbraio 2008.
Per quanto riguarda le lettera inviata dalla Commissione(1) in merito alla legislazione polacca relativa allo stabilimento e alla gestione di imprese commerciali al dettaglio cui l’onorevole parlamentare fa riferimento, il suo scopo è richiamare l’attenzione delle autorità polacche sui problemi di compatibilità della nuova legislazione con la libertà di stabilimento, una libertà fondamentale sancita dall’articolo 43 del Trattato CE, e con la direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno(2). La Commissione nutre preoccupazione riguardo al possibile carattere discriminatorio e agli effetti restrittivi della legislazione polacca che prevede una procedura di autorizzazione per lo stabilimento di nuovi punti vendita al dettaglio e la gestione di quelli esistenti di dimensioni superiori a 400 metri quadrati. La Commissione in particolare esaminerà se la nuova procedura è potenzialmente troppo lunga e costosa, basata su criteri alcuni dei quali non sono abbastanza precisi, lasciano spazio al potere discrezionale delle autorità e/o consistono in una prova economica vietata dalla direttiva menzionata in precedenza.
Questa procedura tuttavia non riguarda né impedisce l’applicazione di altri articoli del Trattato o di altra legislazione comunitaria. La Commissione è pertanto del parere che non esista alcuna contraddizione con le aspettative del Parlamento.
Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno.
Interrogazione n. 62 dell’on. Brian Crowley (H-0111/08)
Oggetto: Situazione a Gaza
La Commissione europea può far conoscere quali misure di sostegno finanziario ha posto in essere a tutt’oggi per aiutare la popolazione palestinese?
Per aiutare il popolo palestinese a Gaza la Commissione applica attualmente le misure di seguito riportate.
Finanziamento di approvvigionamenti di combustibile alla centrale elettrica di Gaza (attraverso il meccanismo PEGASE).
Erogazione di indennità sociali ai dipendenti del settore pubblico e alle famiglie più povere, rispettivamente su base mensile e trimestrale (attraverso PEGASE).
Sostegno ai profughi palestinesi tramite l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA). Dal 2007 la Commissione ha aumentato il proprio sostegno al fondo generale dell’UNRWA. Nel 2007 l’assistenza totale fornita all’UNRWA è stata pari a più di 100 milioni di euro, a copertura di tutti i cinque campi di operazione dell’Agenzia nella regione.
Aiuti umanitari forniti attraverso la Commissione nei settori sanitario, alimentare, idrico e igienico-sanitario, sostegno psicologico, protezione e creazione di posti di lavoro attraverso le agenzie delle Nazioni Unite, organizzazioni non governative (ONG) europee e la famiglia della Croce Rossa.
Sostegno della Commissione al progetto di emergenza per il trattamento delle acque reflue nella parte settentrionale di Gaza, per proteggere le comunità che vivono a Beit Lahia dal possibile straripamento di acque non trattate.
Il piano di riforma e di sviluppo della Palestina, che la Commissione sostiene tramite PEGASE, prevede vari progetti a Gaza. La Commissione è disposta ad aumentare il proprio sostegno allo sviluppo nella Striscia di Gaza non appena la situazione lo consentirà.
Interrogazione n. 63 dell’on. Eoin Ryan (H-0113/08)
Oggetto: Lotta allo scaricamento illegale di eventi sportivi a pagamento da Internet
Intende la Commissione europea avviare il processo per introdurre una legislazione su scala europea, simile all’iniziativa Sarkozy-Olivienne in Francia, che preveda sanzioni per lo scaricamento illegale di eventi sportivi a pagamento da Internet, garantendo che i fornitori di servizi Internet, se informati dalla autorità di polizia dell’esistenza di siti illegali, provvedano alla chiusura di questi ultimi?
Secondo le informazioni di cui la Commissione dispone, di recente non è stata intrapresa alcuna azione in Francia per rendere perseguibile lo scaricamento illegale di eventi sportivi a pagamento da Internet e garantire che i fornitori di servizi Internet (ISP) chiudano i siti illegali quando vengono informati dalle autorità di polizia della loro esistenza.
Il 23 novembre 2007 è stato concluso un memorandum d’intesa(1) tra produttori musicali e cinematografici, fornitori di servizi Internet e governo francese. A seguito di tale accordo, la Francia si sta preparando a cambiare le proprie leggi e a istituire una nuova autorità responsabile per Internet con il potere, in casi estremi, di ordinare la sospensione della fornitura di accesso alla rete per gli abbonati che condividono illegalmente file contenenti materiale protetto dal diritto d’autore. Tale misura sarà tuttavia applicata alle violazioni del diritto d’autore nei settori musicale e cinematografico soltanto nei casi in cui esistano già in Francia sanzioni penali. A quanto risulta alla Commissione, non riguarderà i diritti di ritrasmissione o i diritti di utilizzo di immagini sportive. Nello specifico, qualora non riesca a mediare dopo aver inviato tramite gli ISP messaggi di posta elettronica di avvertimento al trasgressore, l’autorità responsabile per Internet può adottare sanzioni. Inoltre, a ciò può far seguito un’azione giudiziaria e il giudice può applicare sanzioni in base alle disposizioni del diritto penale. Questo meccanismo stabilisce una gradualità nella determinazione e nella severità della sanzione da applicare in base alla gravità della violazione. L’accordo ha anche lo scopo di rafforzare la cooperazione tra i titolari dei diritti, le piattaforme per lo scambio diretto di file tra computer (peer-to-peer, P2P) e gli ISP al fine di accrescere l’uso legale di contenuto protetto.
A livello europeo, nel Libro bianco sullo sport del luglio 2007(2) la Commissione ha sottolineato che la redditività economica dello sfruttamento dei diritti sportivi dipende dalla disponibilità di efficaci mezzi di protezione contro le attività dei trasgressori a livello nazionale e internazionale. Va tuttavia sottolineato che i diritti di utilizzo delle immagini sportive sono soggetti a diversi regimi giuridici nei vari Stati membri. La Commissione esaminerà la questione quest’anno quando intraprenderà uno studio per valutare il finanziamento dello sport che, com’è ovvio, includerà la vendita dei diritti di trasmissione e di utilizzo delle immagini.
Il fenomeno della trasmissione in streaming non autorizzata su Internet di eventi sportivi in diretta e della pirateria P2P è un esempio della necessità di valutare la serie esistente di misure giuridiche che consente ai titolari dei diritti di lottare contro la pirateria digitale.
La direttiva sull’accesso condizionato(3) si proponeva di creare un mercato interno per tutti i servizi di accesso condizionato (fornitori di servizi ad accesso condizionato e servizi che usano l’accesso condizionato per proteggere la propria remunerazione, ad esempio i servizi televisivi a pagamento) attraverso l’estensione della protezione contro la pirateria a tutti gli Stati membri, chiudendo pertanto ai pirati nell’UE i “porti sicuri” individuati in precedenza. La direttiva ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo dei servizi televisivi a pagamento nel mercato interno. La sua protezione si estende alle trasmissioni televisive e ai servizi multimediali audiovisivi su richiesta.
La Commissione sta preparando una relazione di valutazione su tale direttiva che ne analizzerà l’impatto tenuto conto dello sviluppo di nuovi servizi del tipo in abbonamento, come ad esempio la Internet Protocol Television (IPTV), e valuterà se è necessario estenderla, chiarirla e/o semplificarla. Ha avviato una consultazione pubblica in materia che comprende una domanda riguardo alla necessità o meno di estenderne il campo di applicazione in modo che i titolari dei diritti (fra cui i titolari dei diritti sportivi) possano ricorrervi più facilmente quando cercano di difendere la propria remunerazione.
La direttiva sul commercio elettronico(4), adottata nel 2000, stabilisce le responsabilità dei fornitori di servizi Internet a seconda della natura dei servizi offerti (semplice trasporto, memorizzazione temporanea detta caching o hosting). La direttiva garantisce inoltre che, quando vengono informati di una violazione, gli ISP abbiano l’obbligo di fornire assistenza nelle procedure di rimozione del sito interessato. Nel momento in cui la direttiva è stata adottata si auspicava che le parti interessate avrebbero accettato di definire le cosiddette procedure di notifica e rimozione delle informazioni illecite e dannose. L’articolo 16 e il considerando 40 incoraggiano espressamente l’autoregolamentazione in questo campo. Tale approccio è stato seguito anche da tutti gli Stati membri nelle leggi nazionali di recepimento della direttiva. Ad esempio, Finlandia e Ungheria hanno optato per le procedure giuridiche di notifica e rimozione, che tuttavia si sono concentrate anche in questo caso sulle violazioni del diritto d’autore. Gli Stati membri seguono gli sviluppi in questi campi attraverso il gruppo di esperti sul commercio elettronico nell’ambito del quale si scambiano le migliori prassi e valutano le varie opzioni possibili.
Occorre inoltre tenere presente che i siti coinvolti nella trasmissione in streaming non autorizzata su Internet di eventi sportivi in diretta hanno spesso sede al di fuori dell’Unione europea. In questi casi, l’unica possibilità è che i titolari dei diritti si rivolgano alle autorità nazionali competenti per bloccare l’accesso a tali siti.
La forte risposta al crescente fenomeno della trasmissione in streaming non autorizzata su Internet di eventi sportivi in diretta e della pirateria P2P deve tenere conto della necessità dei titolari dei diritti di contrastare la pirateria riguardo ai propri contenuti su Internet e della necessità di proteggere i diritti fondamentali delle persone – quali il diritto alla vita privata e ai dati personali – nel contesto digitale. In effetti, la motivazione della recente sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia europea nella causa “Promusicae” (C-275/06) può essere applicata anche a una situazione che comporta la necessità di lottare contro lo scaricamento illegale di gare sportive a pagamento da Internet.
Nella comunicazione sui contenuti creativi on line(5) adottata nel gennaio 2008, la Commissione ha avviato una consultazione pubblica sull’offerta lecita e la pirateria. Questo argomento sarà trattato anche nell’ambito della “piattaforma sui contenuti on line”, che costituisce un quadro di discussione a livello europeo. Nella seconda metà del 2008 è prevista l’adozione da parte della Commissione di una proposta di raccomandazione sui contenuti creativi on line.
“Accord pour le développement et la protection des œuvres et programmes culturels sur les nouveaux réseaux” – http://www.culture.gouv.fr/culture/actualites/index-olivennes231107.htm.
Direttiva 98/84/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 1998 sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato, GU L 320 del 28.11.1998.
Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, GU L 178 del 17.7.2000.
Interrogazione n. 64 dell’on. Liam Aylward (H-0117/08)
Oggetto: Lotta contro il lavoro infantile
Può la Commissione illustrare quali iniziative porta avanti sul piano internazionale per lottare contro il ricorso al lavoro infantile nel mondo?
La Commissione è del parere che il problema del lavoro infantile debba essere affrontato alla radice: la Commissione persegue sistematicamente l’obiettivo della protezione e della promozione di tutti i diritti dei bambini nelle sue relazioni con i paesi terzi, attraverso il dialogo politico e l’assistenza esterna. In particolare, attraverso il dialogo politico la Commissione intende incoraggiare i paesi a ratificare e attuare in maniera adeguata la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, i relativi protocolli facoltativi e le pertinenti convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro in materia di lavoro infantile. L’intento principale non è migliorare le condizioni di lavoro dei minori, ma evitare che i minori inizino a svolgere un lavoro prima dell’età lavorativa minima. Dovrebbero inoltre essere promossi la protezione sociale e in particolare i sussidi per i figli concessi ai genitori o alle persone cui i bambini sono affidati (come ad esempio i nonni), siano essi subordinati o meno alla condizione di frequentare la scuola, nonché l’occupazione giovanile in alternativa al lavoro infantile.
L’esperienza dimostra che l’eliminazione del lavoro infantile richiede un intervento riguardo al mercato del lavoro, al dialogo sociale e alla protezione sociale, ad esempio tramite sussidi per scoraggiare o eliminare la necessità del lavoro infantile e la promozione dell’istruzione. Una simile strategia multidimensionale emerge nel piano d’azione sui minori in materia di azione esterna, che integra la comunicazione “Riservare ai minori un posto speciale nella politica esterna dell’UE”(1), adottata dalla Commissione lo scorso mese. Il piano d’azione considera la questione della lotta contro il lavoro infantile una priorità per le azioni regionali e globali.
Garantire adeguate condizioni di salute e sicurezza per i minori in un mondo globalizzato è la massima preoccupazione per tutti noi. Come l’onorevole parlamentare sa, la Commissione promuove l’efficace applicazione delle norme fondamentali in materia di lavoro, fra cui la lotta contro il lavoro infantile, a livello globale; la Commissione può e deve contribuire in maniera determinante a migliorare le norme in materia di lavoro in tutto il mondo.
Interrogazione n. 65 dell’on. Costas Botopoulos (H-0118/08)
Oggetto: Posizione delle autorità israeliane in materia di sicurezza dei cittadini europei
In relazione alle defatiganti procedure di identificazione e all’insensato divieto di ingresso nel paese che le autorità israeliane hanno di recente imposto all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv a un cittadino greco di origine palestinese, il medico Karim Hilal, che era in possesso di un passaporto in cui figuravano numerose prescrizioni di sicurezza Schengen e stante che analoghi problemi hanno dovuto affrontare altri possessori di passaporto greco che vivono in Palestina, è al corrente la Commissione delle problematiche e delle pratiche abusive cui devono far fronte cittadini dell’Unione europea in arrivo o in partenza da Israele?
Ha posto essa nei suoi contatti bilaterali con Israele il tema di cui sopra e quali spiegazioni ha ricevuto dalle autorità israeliane?
Intende chiedere al governo di Israele di provvedere a che le forze statali di sicurezza abbiano rispetto della dignità umana dei cittadini europei che si recano in visita nel paese?
La Commissione è consapevole delle difficoltà incontrate da cittadini di Stati membri dell’UE nell’ottenere il visto di ingresso nei territori palestinesi occupati, in particolare da quando la politica dei visti è stata modificata nella seconda metà del 2006.
Nel corso del 2006 e agli inizi del 2007 gli Stati membri dell’UE e la Commissione hanno chiesto in varie occasioni alle autorità israeliane di trovare una soluzione a questi problemi e di chiarire le procedure da seguire per ottenere un visto per vivere o lavorare in Gisgiordania o a Gaza o per visitarle. Le autorità israeliane hanno spiegato alla Commissione e alla Presidenza che i dettagli delle nuove procedure dovevano ancora essere formulati.
Sembra che la situazione sia migliorata da quando agli inizi del 2007 sono state espresse rimostranze al riguardo. Nella pratica, la Presidenza, la Commissione e gli Stati membri continuano tuttavia a seguire da vicino la situazione. La delegazione della Commissione a Tel Aviv è in contatto con l’Ambasciata greca in Israele riguardo al caso specifico cui l’onorevole parlamentare fa riferimento.
Qualora l’Ambasciata greca non riceva una risposta soddisfacente alle sue domande, la Commissione intende portare avanti il caso, e potrebbe sollevare la questione con le autorità israeliane nella sede appropriata.
Interrogazione n. 66 dell’on. Dimitrios Papadimoulis (H-0120/08)
Oggetto: Divieto di funzionamento degli istituti di insegnamento operanti secondo il metodo di certificazione
L’articolo 149, paragrafo 1, del trattato che istituisce la Comunità europea stabilisce che “La Comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione nonché delle loro diversità culturali e linguistiche....”.
Gli Stati membri hanno il diritto di vietare il funzionamento degli istituti di insegnamento operanti secondo il metodo di certificazione da parte di istituti di insegnamento che rilasciano titoli di insegnamento superiore e hanno sede in un altro Stato membro?
L’articolo 149 del Trattato non concede agli Stati membri il diritto di vietare il funzionamento degli istituti di insegnamento operanti secondo il metodo di certificazione da parte di istituti di insegnamento che hanno sede in un altro Stato membro. L’istruzione fornita da istituti operanti secondo il metodo di certificazione da parte di istituti di insegnamento situati in altri Stati membri non fa parte del sistema di istruzione dello Stato membro in cui l’istruzione viene fornita. Questo tipo di istruzione fa parte del sistema di istruzione dello Stato membro in cui ha sede l’istituto di insegnamento che certifica l’istruzione e rilascia il diploma di istruzione superiore.
La libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi sono due delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, in particolare dai relativi articoli 43 e 49. Qualsiasi restrizione imposta a istituti di insegnamento va pertanto esaminata alla luce di tali articoli del Trattato e della giurisprudenza della Corte di giustizia. Ad esempio, nella sentenza pronunciata nella causa C-153/02, Neri, la Corte di giustizia ha stabilito che l’organizzazione, dietro corrispettivo, dei corsi di formazione superiore è un’attività economica che rientra nel capitolo del Trattato relativo al diritto di stabilimento quando è svolta da un cittadino di uno Stato membro in un altro Stato membro, in maniera stabile e continuativa, a partire da un centro di attività principale o secondario in quest’ultimo Stato membro. In base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, per giustificare una restrizione di un diritto fondamentale, una misura restrittiva deve perseguire uno scopo legittimo compatibile con il Trattato e giustificato da motivi di interesse pubblico. Tale misura inoltre non deve andare oltre quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo. Un divieto imposto a istituti di insegnamento, poiché si tratta della forma di restrizione più severa di un diritto fondamentale, deve essere esaminato in questo senso.
Interrogazione n. 67 dell’on. Koenraad Dillen (H-0125/08)
Oggetto: Vallonia e fondi strutturali europei
Dalla risposta all’interrogazione scritta P-0498/06 si evince che per il periodo 2000-2006 la Vallonia ha ottenuto dall’UE finanziamenti per un ammontare di 672.430.656 milioni di euro nel quadro dell’obiettivo 1 dei fondi strutturali europei e 164.445.783 milioni di euro nel quadro dell’obiettivo 2.
In un’intervista rilasciata al giornalista del quotidiano “Metro” del 4 febbraio 2008, l’on. Gérard Deprez, deputato liberale di lingua francese al Parlamento europeo e presidente della commissione per le libertà civili del Parlamento europeo, ha dichiarato che, rispetto ad altre regioni, i finanziamenti europei alla Vallonia non hanno dato il risultato sperato. Egli ha parlato di “cattivi progetti”, per i quali è responsabile non soltanto la Vallonia, bensì anche la Commissione, che li ha approvati.
A quanto ammontano i finanziamenti previsti per il periodo 2006-2013? Come giudica la Commissione i progetti proposti e come intende valutarne i risultati? In che modo intende essa reagire alle critiche dell’on. Deprez?
Per quanto riguarda gli importi assegnati alla Vallonia per il periodo 2000-2006, la Commissione conferma le cifre citate dall’onorevole parlamentare, tuttavia desidera anche richiamare la sua attenzione sulla seguente tabella, che indica la ripartizione per programma per la regione alla fine del 2007.
Periodo 2000-2006:
a) Obiettivo 1, sostegno transitorio (phasing out), Hainaut: 671,15 milioni di euro (di cui 427,6 milioni di euro a titolo del FESR, 200,2 milioni di euro a titolo del FSE, 41,8 milioni di euro a titolo del FEAOG e 1,55 milioni di euro a titolo dello SFOP).
b) Obiettivo 2, Mosa-Vesdre: 164,44 milioni di euro (di cui 138,7 milioni di euro a titolo del FESR e 25,73 milioni di euro a titolo del FSE).
c) Obiettivo 2, componente rurale : 60,48 milioni di euro (di cui 54,85 milioni di euro a titolo del FESR e 5,63 milioni di euro a titolo del FSE).
d) Obiettivo 3: 297,87 milioni di euro a titolo del FSE.
e) Leader+: 10,33 milioni di euro a titolo del FEAOG.
f) URBAN II, Sambreville: 7,17 milioni di euro a titolo del FESR.
g) Equal: 42,31 milioni di euro a titolo del FSE.
h) Pesca: 23,57 milioni di euro a titolo dello SFOP.
Occorre tenere presente che il finanziamento per l’obiettivo 3 include anche il programma per la regione di Bruxelles capitale.
Nell’ambito del programma per la pesca, a parte il finanziamento per l’obiettivo 1, alla Vallonia è stato assegnato l’1,5 per cento.
Periodo 2007-2013:
a) Convergenza: 638,32 milioni di euro (di cui 449,22 milioni di euro a titolo del FESR e 189,10 milioni di euro a titolo del FSE).
b) Competitività: 665,35 milioni di euro (di cui 282,51 milioni di euro a titolo del FESR e 382,83 milioni di euro(1) a titolo del FSE).
Totale: 1 303,67 milioni di euro (di cui 731,74 milioni di euro a titolo del FESR e 571,93 milioni di euro a titolo del FSE).
Le operazioni di selezione per i finanziamenti spettano alle autorità di gestione designate dagli Stati membri conformemente al principio di sussidiarietà. In Vallonia, una task force composta da accademici, amministratori e importanti esponenti del mondo imprenditoriale stabilisce un elenco dei tipi di progetti che riceveranno un cofinanziamento, facendo riferimento ai regolamenti relativi ai Fondi strutturali, al diritto europeo e ad altre politiche comunitarie. L’autorità di gestione usa quindi l’elenco per decidere quali progetti cofinanziare. Nell’ambito di competenza delle autorità designate dagli Stati membri rientra anche il compito di determinare l’ammissibilità dei progetti nel periodo 2007-2013.
Il compito di controllare i programmi viene svolto in partenariato dalla Commissione e dall’autorità di gestione per ciascun programma. I programmi possono essere modificati durante tutto il periodo di attuazione ed è prevista una valutazione (su base continua o in date specifiche). La Commissione esegue anche, con ciascuna autorità di gestione, un esame annuale dei progressi compiuti nell’attuazione del programma di cui l’autorità di gestione è responsabile. Sulla base delle ultime relazioni annuali, la Commissione ha ribadito che i programmi attuati in Vallonia tra il 2000 e il 2006 (il termine per l’attuazione è il 31 dicembre 2008) raggiungeranno nel complesso i loro obiettivi. Inoltre, un esame intermedio nel periodo 2004-2005 ha offerto l’opportunità di adeguare le attività svolte nell’ambito di ciascun programma secondo quanto necessario.
In merito all’opinione espressa dall’onorevole Deprez cui si fa riferimento, la Commissione non è a conoscenza delle informazioni su cui l’onorevole Deprez ha basato la sua valutazione.
Questo dato include il finanziamento per il programma per la regione di Bruxelles capitale.
Interrogazione n. 68 dell’on. Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (H-0126/08)
Oggetto: Pubblicazione della legislazione UE nelle lingue ufficiali UE
L’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee (OPOCE) è responsabile della traduzione della legislazione europea e della successiva pubblicazione in tutte le lingue ufficiali dell’Unione europea.
Esiste una scadenza stabilita per legge entro cui un atto legislativo deve essere pubblicato in tutte le lingue? Una norma che non è stata pubblicata in una determinata lingua nazionale ha valore vincolante nel paese in questione? In taluni casi i tribunali degli Stati membri emettono sentenze in conformità delle legislazione nazionale perché non è disponibile una traduzione della legislazione dell’Unione.
Né il Trattato CE né il Trattato sull’Unione europea stabiliscono un termine per la pubblicazione di testi che devono essere resi disponibili in relazione all’adesione di un paese all’Unione europea. L’articolo 58 dell’atto di adesione di Bulgaria e Romania stabilisce tuttavia che “i testi degli atti delle istituzioni adottati anteriormente all’adesione e redatti ... in lingua bulgara e rumena fanno fede, dalla data dell’adesione, alle stesse condizioni dei testi redatti nelle lingue ufficiali attuali. Essi sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea qualora i testi nelle lingue attuali siano stati oggetto di una tale pubblicazione”.
Interpretando la stessa disposizione nell’atto relativo all’adesione di Repubblica ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Repubblica slovacca, in una causa recente (C-161/06, Skoma-Lux sro e Celní ředitelství Olomouc) la Corte di giustizia ha stabilito che gli obblighi contenuti in un regolamento comunitario che non è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea nella lingua di un nuovo Stato membro, allorquando quest’ultima è una lingua ufficiale dell’Unione, non possono essere imposti ai singoli in tale Stato. Ciò è coerente con la giurisprudenza precedente secondo cui gli obblighi contenuti in testi di portata generale non possono essere imposti ai singoli in uno Stato membro in cui non sono stati pubblicati nella lingua di tale Stato.
E’ opportuno precisare che l’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali non è responsabile della traduzione di atti legislativi nel caso dell’allargamento. L’obbligo di tradurre testi adottati anteriormente all’adesione spetta al paese in questione, mentre i testi adottati successivamente all’adesione vengono tradotti dalle Istituzioni che hanno adottato l’atto legislativo. L’Ufficio è responsabile della pubblicazione di tali testi.
Interrogazione n. 69 dell’on. Johannes Blokland (H-0128/08)
Oggetto: Requisiti tecnici di costruzione per l’esecuzione di progetti Phare
Quali sono i requisiti che i progetti Phare in Romania devono soddisfare in materia di qualità della gestione dei progetti di costruzione e di requisiti tecnici di costruzione, e in che misura è possibile effettuare i lavori in condizioni meteorologiche avverse? La realizzazione di lavori di costruzione su un suolo gelato può comportare a breve termine la necessità di riparazioni, dato che il processo di indurimento del calcestruzzo non può avvenire in modo soddisfacente e lo strato finale di cemento si congela. In caso di gelo, è possibile utilizzare piloni in calcestruzzo e applicare il rivestimento?
I requisiti tecnici di costruzione per gli appalti di lavori finanziati nell’ambito di PHARE sono specificati nel quadro per gli appalti riconosciuto a livello internazionale (FIDIC(1)). Dal momento dell’adesione gli appalti di lavori sono attuati in base alle norme nazionali rumene in materia di appalti.
Le disposizioni dei protocolli finanziari di PHARE specificano di norma gli appalti FIDIC e un ingegnere che controlla gli appalti. Gli appalti di lavori finanziati nell’ambito di PHARE sono stati aggiudicati facendo ricorso alle condizioni per gli appalti della FIDIC. Gli appalti di lavori sono gestiti e controllati da ingegneri della FIDIC. L’ingegnere in questione deve inoltre rispettare le disposizioni applicabili della legge rumena sulla qualità della costruzione. In base a tale legge, il controllo della qualità della costruzione viene effettuato dall’Ispettorato nazionale sull’applicazione unitaria di disposizioni legislative nel settore edile(2).
I requisiti da usare in condizioni meteorologiche avverse sono definiti dallo stesso quadro giuridico nazionale descritto in sintesi in precedenza e dai requisiti di costruzione, a prescindere dalla fonte di finanziamento di un contratto di lavori, sia esso un finanziamento comunitario o nazionale.
Tutti gli offerenti sono informati in merito a questi specifici requisiti in base alle condizioni applicabili alla gara e all’appalto. Gli offerenti sono inoltre informati che, tenuto conto della stagione invernale, i lavori nei cantieri edili in Romania sono consentiti fino al 15 novembre o al 1o dicembre. Dopo tali date i lavori possono continuare solo se le condizioni meteorologiche lo consentono. Tutte queste disposizioni aiutano l’offerente a definire in maniera adeguata i tempi di esecuzione e il preventivo.
In base ai requisiti cui si fa riferimento in precedenza, il processo di indurimento del calcestruzzo cessa quando la temperatura si abbassa a un livello inferiore a +5 gradi Celsius, o potrebbe continuare a condizione che tra gli ingredienti usati nella miscelazione del calcestruzzo siano inclusi additivi speciali (questi ultimi non sono raccomandati a meno che, eccezionalmente, il processo di indurimento del calcestruzzo sia iniziato quando si è verificato un abbassamento della temperatura)(3).
Documento usato come riferimento: Guida pratica per l’esecuzione di strutture in calcestruzzo (Indicativa NE 012:1-2007) emessa dal ministero per lo Sviluppo, i lavori pubblici e l’edilizia, (http://www.mie.ro/_documente/constructii/reglementari_tehnice/ne012_1.pdf), capitolo 5.2.8, pagg. 25-26.
Interrogazione n. 70 dell’on. Francesco Enrico Speroni (H-0129/08)
Oggetto: Olimpiadi a Pechino
Il Comitato olimpico britannico ha inserito, in un contratto che gli atleti selezionati per le Olimpiadi del prossimo agosto a Pechino dovranno firmare, una clausola che prevede che alle Olimpiadi andranno soltanto gli atleti britannici che si impegneranno per iscritto a non criticare in alcun modo la Cina, in particolare sul versante del rispetto dei diritti dell’uomo o dell’annessione del Tibet.
Non ritiene la Commissione che questo atto sia un’aperta violazione della libertà di pensiero e di espressione e non rispetti lo spirito dei Trattati?
Spetta alle autorità britanniche esaminare il caso in questione, che non ha alcuna relazione con la legislazione comunitaria, per garantire il pieno rispetto della libertà di espressione in linea con gli obblighi derivanti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
Interrogazione n. 71 dell’on. Frank Vanhecke (H-0130/08)
Oggetto: Trasporto illegale via mare di droga destinata all’Europa
Può la Commissione comunicare quali concrete iniziative comunitarie sono state prese per intercettare i trasporti via mare di droga dal Nordafrica verso l’Europa?
L’intercettazione dei trasporti di droga dal Nordafrica verso l’Europa è una misura operativa di contrasto che, in quanto tale, non rientra nell’ambito delle competenze comunitarie. La Commissione è tuttavia consapevole dell’evolversi dei modelli del traffico di droga nel bacino del Mediterraneo e delle relative sfide in termini di contrasto del fenomeno.
In questo contesto, il 30 settembre 2007 sette Stati membri dell’UE hanno concluso un accordo internazionale al fine di istituire un centro con sede a Lisbona che si occupa di analisi e operazioni contro il narcotraffico marittimo conosciuto con l’acronimo inglese MAOC-N (Maritime Analysis and Operations Centre - Narcotics). Il MAOC-N coordina l’intervento dei mezzi militari e di contrasto in base a informazioni di intelligence sempre aggiornate per fornire una rapida risposta ai trafficanti di droga che cercano di approvvigionare di cocaina l’Unione europea. Costituisce un punto di coordinamento per contrastare il traffico di droga via mare e aria in un’area operativa che si estende dal Capo di Buona Speranza nel Sudafrica verso nord fino al Mare di Norvegia. Il suo obiettivo fondamentale sono gli aerei e le navi non commerciali, principalmente quelli provenienti dalle regioni del Sudamerica e dell’Africa occidentale. L’accordo prevede anche la possibilità di estendere l’area operativa al Mar Mediterraneo occidentale.
La Commissione segue da vicino gli sviluppi e sostiene finanziariamente parti delle sue misure iniziali di rafforzamento della capacità e dal 1o gennaio 2008 ha uno status di osservatore. L’Ufficio europeo di polizia, Europol, svolge un ruolo importante nella lotta contro il traffico di droga fornendo un efficace sostegno alle autorità di contrasto nazionali.
Inoltre, la sua Unità di valutazione della minaccia della criminalità organizzata (OCTA), cui il MAOC-N contribuisce, elabora una valutazione della minaccia derivante dalle nuove tendenze attuali e previste nella criminalità organizzata in tutta l’UE, anche per quanto riguarda, com’è ovvio, il traffico di droga.
Parallelamente, alcune iniziative regionali analoghe si svolgono in altre regioni, fra cui quella del bacino del Mediterraneo.
Interrogazione n. 72 dell’on. Bill Newton Dunn (H-0135/08)
Oggetto: Studio di fattibilità e ostacoli alla creazione di una forza di polizia federale per l’Unione europea
Nell’ambito della voce XX 01 02 11 04 del bilancio 2008 della Commissione, il Consiglio e il Parlamento insieme hanno chiesto alla Commissione di effettuare uno studio di fattibilità e sugli ostacoli alla creazione di un forza di polizia federale per l’Unione europea.
Quali progressi ha effettuato la Commissione relativamente a questo studio? Qual è la data prevista per il suo completamento?
Nel corso della procedura di bilancio per l’esercizio 2008, il Parlamento ha chiesto che venga effettuato uno studio sugli ostacoli alla creazione di una forza di polizia federale per l’Unione europea, da imputare alla voce di bilancio XX 01 02 11 – “Altra spesa di gestione dell’Istituzione” (emendamento 0995). La Commissione ha immediatamente annunciato che non avrebbe sostenuto tale studio in quanto la politica della Commissione è intesa a migliorare la cooperazione tra le varie forze di polizia degli Stati membri inizialmente attraverso l’attuazione dello strumento di recepimento delle disposizioni del trattato di Prüm nel diritto europeo, e non attraverso la creazione di una “forza di polizia federale dell’Unione europea”.
Interrogazione n. 73 dell’on. Anna Hedh (H-0139/08)
Oggetto: Politica in materia di alcolici
Nell’autunno 2006 la Commissione ha comunicato la sua strategia in materia di alcolici, la quale indica che il consumo di alcol rappresenta un problema di salute pubblica. Ciononostante la Commissione ha presentato una proposta relativa alla viticoltura, COM(2007)0732, che è in netto contrasto con lo spirito della strategia. Può la Commissione riferire se intende utilizzare nei suoi futuri lavori la strategia in materia di alcolici o se invece si tratta solo di un documento tra tanti altri?
La comunicazione relativa a una strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcolici, adottata nell’ottobre 2006, definisce con chiarezza l’approccio della Commissione in materia di alcolici e salute. Affronta tutti gli aspetti che destano preoccupazione in maniera equilibrata, concentrandosi sull’abuso di alcolici e sulle sue nefaste conseguenze anziché demonizzare il consumo di alcolici in generale.
I danni derivanti dal consumo di alcolici è uno dei principali problemi sanitari, economici e sociali in tutta l’Unione europea. Gli alcolici causano ogni anno nell’Unione europea la morte di quasi 200 000 persone, a seguito soprattutto di malattie legate a un eccessivo consumo di alcolici, ma anche di incidenti stradali legati al consumo di alcolici nonché ad atti di violenza e omicidi commessi sotto l’effetto degli alcolici, comportando enormi costi per i sistemi sanitari, le economie e la società in generale.
L’attuazione della strategia è ormai ben avviata, con interventi nel contesto della salute pubblica e in tutti i settori delle politiche dell’Unione europea, e lavorando in stretto partenariato con gli Stati membri per aiutare a coordinare le politiche nazionali in materia di alcolici e promuovere l’elaborazione di ulteriori politiche, con le parti interessate.
Nel quadro del Forum europeo “Alcol e salute”, la Commissione intende intraprendere azioni concrete a tutti i livelli, allo scopo di proteggere i cittadini europei dal consumo dannoso di alcolici. Le parti interessate hanno assunto un primo pacchetto di impegni ed è prevista l’attuazione di una considerevole serie di azioni diverse. Tra tali azioni è compreso l’impegno del settore vitivinicolo di avviare una campagna di sensibilizzazione sui danni derivanti dal consumo di alcolici.
Negli ultimi dieci anni il consumo di vino è diminuito nell’Unione europea mentre sono aumentate le giacenze di vino, creando un serio squilibrio sul mercato vitivinicolo. Per questo motivo, circa 500 milioni di euro della dotazione di bilancio annuale di 1,3 miliardi di euro sono stati spesi semplicemente per eliminare il vino che non ha alcun mercato. E’ stata pertanto necessaria una profonda riforma dell’organizzazione comune (OCM) del mercato vitivinicolo.
La recente riforma della OCM vitivinicola tiene debito conto della protezione della salute e dei consumatori, prevedendo principalmente la graduale eliminazione di misure di mercato che hanno comportato la produzione di vino di qualità scadente. Lo scopo è incoraggiare gli europei a “bere meno, ma bere meglio”, scoraggiando nel contempo la produzione di vini a basso costo e di scarsa qualità, che non saranno più sostenuti.
Il nuovo regolamento ridurrà inoltre la possibilità di aumentare il tasso alcolico del vino attraverso il processo di arricchimento. Il principio secondo cui un alto tasso alcolico è sinonimo di qualità del vino non viene più sostenuto. Inoltre, i consumatori stanno iniziando a chiedere e ad apprezzare vini a basso tasso alcolico. Questo nuovo atteggiamento sarà sostenuto e non giustifica un eccessivo arricchimento dei vini.
La nuova OCM vitivinicola affronta anche gli aspetti della promozione e dell’informazione. Il vino è un prodotto agricolo incluso nell’allegato I del Trattato e la promozione dei prodotti agricoli, fra cui il vino, è disciplinata dal regolamento (CE) n. 3/2008 del Consiglio del 17 dicembre 2007 relativo ad azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno e nei paesi terzi. La nuova OCM vitivinicola offre agli Stati membri la possibilità di rafforzare questo tipo di azioni di promozione nei paesi terzi e di incoraggiare campagne di informazione sul consumo moderato e responsabile cofinanziandole nella misura del 60 per cento.
Interrogazione n. 74 dell’on. Inger Segelström (H-0143/08)
Oggetto: Fondo europeo per i rifugiati
L’Unione europea si trova attualmente nella seconda fase di sviluppo del sistema di asilo comune. L’obiettivo di questa fase è quello di raggiungere un più alto standard di protezione comune e maggiore uniformità tra i sistemi di asilo degli Stati membri. Oltre a un’ulteriore armonizzazione giuridica in materia di asilo, il programma dell’Aia mira anche a una cooperazione pratica rafforzata tra gli Stati membri, il che comprende la cooperazione per quanto riguarda le informazioni sui paesi di origine dei richiedenti asilo (cosiddette informazioni sui paesi).
Le informazioni sui paesi rivestono un ruolo centrale nel processo di asilo. Per poter garantire una procedura d’asilo equa e corretta è necessario poter avere accesso a informazioni sui paesi che siano di standard qualitativi elevati e diano un’immagine esatta ed equilibrata del paese di origine. Le informazioni sui paesi costituiscono uno strumento chiave per le autorità d’immigrazione e le istanze giuridiche ma anche per i richiedenti asilo e i loro rappresentanti.
La partecipazione di attori non statali è stata importante per lo sviluppo delle informazioni sui paesi e l’accesso ad esse, dato che parte delle informazioni che le autorità degli Stati membri mettono a disposizione non è accessibile al pubblico. Contrariamente a questa pratica, nel suo più recente invito a presentare proposte relativo al fondo europeo per i rifugiati, la Commissione ha limitato unicamente alle autorità nazionali le domande relative a progetti di informazione sui paesi.
Perché sono stati esclusi gli attori non statali dalla possibilità di presentare domanda di finanziamento a titolo del Fondo europeo per i rifugiati in relazione ai progetti di informazione sui paesi? Quali piani ha la Commissione per il prossimo invito a presentare proposte nel 2008?
La raccolta, l’esame e la presentazione di dati sui paesi di origine sono aspetti essenziali del processo decisionale degli Stati membri riguardo alle richieste di asilo. Le informazioni sui paesi consentono alle autorità nazionali competenti di verificare le dichiarazioni fatte dai richiedenti asilo riguardo alla loro necessità di protezione internazionale. E’ pertanto essenziale avere un sistema obiettivo, trasparente e preciso per le informazioni sui paesi di origine, in grado di fornire rapidamente dati ufficiali affidabili. Una maggiore convergenza tra i sistemi con cui le autorità nazionali raccolgono e analizzano le informazioni sui paesi contribuirebbe a creare uniformità di condizioni in tutta Europa.
Per questo motivo, la cooperazione in materia di informazioni sui paesi costituisce una parte fondamentale delle attività della Commissione e un elemento centrale del lavoro della rete di esperti EURASIL.(1) Dal 2006, in collaborazione con le autorità nazionali competenti degli Stati membri, la Commissione si è adoperata per la creazione di un portale comune, per fornire alle autorità nazionali un unico punto di accesso a tutte le banche dati ufficiali sui paesi di origine. Il portale comune costituirebbe un’utile risorsa aggiuntiva, in particolare per gli Stati membri in cui i sistemi di informazione sui paesi sono meno sviluppati.
Nel 2007 è stato concluso uno studio di fattibilità tecnica e nel 2008 è prevista la realizzazione di un progetto pilota di collegamento di due banche dati nazionali. Al termine di questa fase di prova, la Commissione presenterà proposte per stabilire un portale di collegamento di tutte le banche dati nazionali esistenti. Le domande riguardanti l’accesso alle informazioni dovranno essere indirizzate a tale portale, e in modo specifico quelle riguardanti l’accesso di organizzazioni non governative (ONG), tenuto conto che le banche dati in questione contengono informazioni riservate.
La dotazione di bilancio per le attività transnazionali avviate dalla Commissione e finanziate a titolo del Fondo europeo per i profughi è limitata. Per questo motivo, quando ogni anno programma le attività, la Commissione adotta un metodo strategico allo scopo di ottenere la massima efficacia possibile in termini di elaborazione della politica comune di asilo. Nel 2004, 2005 e 2006 un grosso consorzio di ONG operanti in una dozzina di Stati membri e coordinate dalla Croce Rossa austriaca ha ottenuto un finanziamento a titolo del Fondo europeo per i profughi per creare una rete sostenibile di ONG e organismi rappresentativi dei richiedenti asilo, che affronti la questione delle informazioni sui paesi di origine. Il processo di attuazione ha consentito di instaurare un dialogo costruttivo tra il settore del volontariato e le autorità nazionali. La Commissione ha anche aperto le riunioni della rete EURASIL, che presiede, al consorzio in modo che quest’ultimo possa presentare i risultati dei suoi progetti agli organi nazionali responsabili della trattazione delle richiese di asilo.
L’invito a presentate proposte del 2007 si è concentrato in primo luogo sul consolidamento dei progetti – e in particolare i progetti gestiti da ONG – per affrontare i problemi dei gruppi e delle persone vulnerabili e, in secondo luogo, ha cercato in modo specifico di incoraggiare le autorità nazionali degli Stati membri a definire progetti di cooperazione transnazionali sulla gestione delle informazioni sui paesi. Questa seconda parte dell’invito è stata pertanto limitata alle autorità nazionali.
Attualmente la Commissione è impegnata nelle consultazioni necessarie per determinare le priorità per l’invito a presentare proposte di attività europee per il 2008 nell’ambito del Fondo europeo per i profughi.
Interrogazione n. 75 dell’on. Leopold Józef Rutowicz (H-0144/08)
Oggetto: Problemi energetici nei nuovi Stati membri dell’Europa orientale
La Commissione ha previsto un piano specifico per assistere i nuovi Stati membri dell’Europa orientale a far fronte alle crescenti carenze in materia di approvvigionamento elettrico?
In questi paesi sono state chiuse le centrali nucleari pericolose e sono state smantellate numerose centrali obsolete a carbone a causa dei requisiti ambientali molto più rigorosi che sono in vigore attualmente. La situazione minaccia di arrestare la crescita economica in numerose regioni orientali dell’Unione europea.
La ricca Europa che ha, in larga misura, già risolto i problemi della protezione ambientale e dell’ammodernamento della sua base energetica, desidera forse eliminare potenziali concorrenti dal mercato? Oppure sosterremo una equa concorrenza interna per assistere lo sviluppo del mercato europeo e la sua competitività nell’economia globale, cercando di risolvere questo problema che interessa ampie parti dell’Europa?
In base alla legislazione comunitaria, spetta a ciascuno Stato membro verificare l’adeguatezza della produzione energetica al proprio interno. La Commissione a sua volta verifica tale adeguatezza a livello europeo.
I nuovi Stati membri, ma anche molti di quelli vecchi, stanno ristrutturando il proprio mix energetico. Tale ristrutturazione richiede una considerevole estensione della rete di trasmissione e una maggiore armonizzazione della normativa. Questi problemi rientrano nell’ambito di competenza dei Coordinatori europei in relazione all’integrazione dei parchi eolici offshore e all’integrazione di Lituania e Polonia nella rete occidentale.
Inoltre, una delle soluzioni più efficaci sotto il profilo dei costi è limitare la domanda. Ne consegue che il piano d’azione per l’efficienza energetica proposto dalla Commissione nell’ottobre 2006, una volta attuato, dovrebbe limitare la crescita della domanda, aumentare la capacità produttiva e ridurre le perdite durante la trasmissione.
In merito allo sviluppo di un mercato competitivo, la Commissione si sta attivamente adoperando per garantire che nell’UE si creino e vengano rispettate condizioni di mercato eque e uniformi, che si ritiene siano il modo migliore per affrontare il problema dell’adeguatezza della produzione di energia elettrica. Per questo motivo, nel settembre 2007 la Commissione ha proposto il terzo pacchetto legislativo per il mercato interno dell’energia elettrica e del gas(1). Un mercato interno correttamente funzionante che trasmetta i giusti segnali per gli investimenti è la risposta migliore per favorire la sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica. Le singole decisioni riguardo agli investimenti in nuova capacità produttiva spettano agli operatori del mercato.
Interrogazione n. 76 dell’on. Niels Busk (H-0145/08)
Oggetto: Restituzioni alle esportazioni nel settore delle carni suine
In conformità del regolamento (CE) n. 303/2007(1) della Commissione, del 21 marzo 2007, recante fissazione delle restituzioni all’esportazione nel settore delle carni suine, la Commissione compensa la differenza tra i prezzi del mercato mondiale e i prezzi del mercato interno attraverso una restituzione all’esportazione al fine di aiutare questo settore ad affrontare la situazione attuale del mercato, caratterizzata da elevati costi alimentari e, di conseguenza, da elevati costi di produzione.
L’elenco dei prodotti che possono essere oggetto di restituzione all’esportazione non comprende né il lardo di pancetta, né la lombata, congelati e disossati. Tenuto conto dei recenti sviluppi, segnatamente il corso di cambio del mercato e la situazione sul mercato giapponese, potrebbe la Commissione indicare per quale motivo tali prodotti non godono delle restituzioni all’esportazione e precisare in che data verranno inseriti nell’elenco?
La possibile estensione delle restituzioni alle esportazioni nel settore delle carni suine ad alcuni tagli di carne congelata non sembra essere giustificata. La Commissione non è convinta della necessità di un intervento di questo tipo, o dei possibili effetti sul volume inviato in Giappone.
Per molti anni le esportazioni di carni suine dell’Unione europea hanno rappresentato circa il 30 per cento del commercio mondiale. La maggior parte di tali esportazioni viene effettuata senza l’aiuto delle restituzioni. Dai dati provvisori emerge che la quota dell’UE è stata mantenuta anche nel 2007 nonostante il tasso di cambio sfavorevole tra euro e dollaro statunitense. Nel 2007 gli esportatori comunitari hanno potuto espandere la propria attività in misura considerevole su alcuni mercati asiatici (Hong Kong, Cina).
Negli ultimi anni sono rimaste relativamente stabili anche le esportazioni di carni suine congelate dell’UE verso il mercato giapponese ad alto valore. La Commissione si aspetta che la situazione possa continuare a mantenersi tale senza sovvenzioni. Durante l’ultima crisi del mercato dei suini nel 2004 le esportazioni verso il Giappone sono aumentate anche se gli specifici tagli di carne destinati al mercato giapponese non erano ammissibili alle restituzioni.
E’ ovvio che la Commissione continuerà a seguire la situazione per quanto riguarda taluni mercati di particolare interesse per gli esportatori comunitari e, se opportuno, non esiterà a proporre un adeguamento delle restituzioni.
Interrogazione n. 77 dell’on. Danutė Budreikaitė (H-0149/08)
Oggetto: Diritto dei consumatori all’allacciamento alle reti elettriche
Quando un privato costruisce un’abitazione in Lituania, la società di distribuzione “Rytu Skirstomieji Tinklai”, responsabile dell’approvvigionamento di elettricità nella Lituania orientale, rifiuta di collegare l’immobile alla linea elettrica esistente, adducendo come motivo insufficienze di capacità. Il privato è costretto a sostenere il 40% dei costi della posa di un nuovo cavo dalla cabina di trasformazione all’edificio in costruzione, e spesso anche a costruire una nuova cabina. Le società di distribuzione hanno il diritto di allacciare altri consumatori alla nuova linea che viene posata.
Il consumatore, che finanzia lo sviluppo dell’infrastruttura della compagnia di elettricità (statale o privata) e ne finanzia il patrimonio, non acquisisce diritti di proprietà sul bene né ottiene riduzioni del prezzo dell’energia.
Può la Commissione prendere posizione su questa situazione? Non costituisce tale pratica una violazione dei diritti dei consumatori e dei diritti di proprietà? Non abusano le compagnie elettriche della loro posizione di monopolio? Quale soluzione è possibile trovare alla situazione, sotto l’aspetto dei diritti dei consumatori? Quali sono le esperienze degli Stati membri dell’UE al riguardo?
Quello di servizio universale è un concetto, elaborato dalla legislazione comunitaria, che stabilisce che si deve garantire a tutti i consumatori il diritto all’allacciamento alla rete elettrica e all’approvvigionamento di energia elettrica a prezzi ragionevoli, facilmente e chiaramente comparabili e trasparenti. Ciò comporta per un’impresa di servizio pubblico l’obbligo di fornire energia elettrica a qualsiasi cliente disposto a pagare il presso fissato per tale servizio.
L’adempimento dell’obbligo del servizio universale è subordinato alla sussidiarietà e pertanto rientra nell’ambito di competenza degli Stati membri. Nella legislazione comunitaria non esiste alcuna disposizione che vieti di addebitare al consumatore i costi ragionevoli e giustificati di allacciamento.
La misura in cui l’impresa di allacciamento, l’impresa di distribuzione o il consumatore condividono tali costi o decidono in merito alla proprietà dipende interamente dalla politica nazionale in materia di allacciamento alla rete elettrica, e in alcuni casi ciò può comportare l’addebito di importi considerevoli ai singoli consumatori.
Le autorità di regolamentazione nazionali nel settore dell’energia elettrica svolgono un ruolo centrale nel determinare che l’attribuzione dei costi di allacciamento e le rispettive tariffe siano trasparenti e non discriminatorie nei confronti dei singoli consumatori o delle imprese.
In casi eccezionali, si può applicare la legge della concorrenza e, nelle attuali circostanze, le autorità garanti della concorrenza nazionali possono essere nella posizione migliore per affrontare la questione.
La Commissione desidera anche richiamare l’attenzione dell’onorevole parlamentare sul fatto che la legislazione comunitaria in materia di protezione dei consumatori è limitata ad alcuni aspetti dei rapporti commerciali tra imprese e consumatori.
Le questioni relative all’acquisizione dei diritti di proprietà delle infrastrutture immobili dell’energia elettrica esulano dal campo di applicazione di tale legislazione e devono essere esaminate dalle autorità e dai tribunali nazionali sulla base della pertinente legislazione nazionale.
Interrogazione n. 78 dell’on. Anne E. Jensen (H-0151/08)
Oggetto: Tachigrafo digitale e norme relative ai tempi di lavoro e di riposo
Il regolamento (CE) n. 2135/981(1) e la direttiva 2006/22/CE(2) non sono stati sottoposti alle valutazioni di impatto che costituiscono ora parte di una sana procedura legislativa nell’UE ed oggi si registrano notevoli problemi per quanto riguarda la loro applicazione pratica, come risulta, tra gli altri, dalle interrogazioni dei deputati al Parlamento europeo e dalla discussione tenuta in seno alla commissione per i trasporti del Parlamento nel settembre 2007.
Può dire la Commissione se intende garantire una maggiore ricerca e sviluppo a livello UE in tale settore e se intende prendere l’iniziativa in vista di un dialogo tra tutte le parti in causa, al fine di sviluppare una legislazione più soddisfacente in materia di tempi di lavoro e di riposo, e relativo controllo?
Può dire, altresì, quali iniziative intende adottare sia per affrontare i problemi più impellenti che per approntare una soluzione a più lunga scadenza, che sia più soddisfacente ed efficace nell’ottica della sicurezza stradale e delle condizioni di lavoro?
L’applicazione delle nuove norme sui periodi di guida e di riposo,(3) delle norme relative al tachigrafo digitale(4) e delle norme per l’applicazione della legislazione in materia di trasporti su strada(5) ha suscitato alcune difficoltà del tipo che si verifica con tutti gli atti legislativi complessi, per quanto riguarda in particolare:
interpretazione dei testi, in particolare il regolamento relativo ai periodi di guida e di riposo;
applicazione delle nuove pratiche di contrasto rivolte alle imprese che commettono le violazioni più gravi, conformemente alla direttiva sul controllo dell’applicazione;
adattamento ai progressi tecnici, e lotta contro le frodi nell’uso del tachigrafo digitale.
Le difficoltà sono state immediatamente rese note alla Commissione, allo scopo di risolvere tutti i problemi sollevati. La Commissione ha intrapreso alcune iniziative e sono già stati compiuti considerevoli passi avanti.
In relazione alle norme sui periodi di guida e di riposo, il Comitato di rappresentanti degli Stati membri(6) che aiuta la Commissione ad attuare la legislazione, e alle cui riunioni sono invitati anche rappresentanti delle parti sociali in qualità di osservatori, ha istituito un gruppo di lavoro presieduto dalla Commissione per valutare le questioni legate all’interpretazione del regolamento pertinente.
Sulla base del lavoro del gruppo la Commissione ha definito cinque orientamenti, che sono stati pubblicati sul suo sito web.(7) Gli orientamenti sono stati oggetto di consenso generale e contribuiscono ad accrescere la coerenza nell’applicazione delle disposizioni giuridiche.
Per quanto riguarda la direttiva sul controllo dell’applicazione, un secondo gruppo di lavoro all’interno dello stesso Comitato sta aiutando la Commissione a compilare un elenco esaustivo di tutti i reati pertinenti in ordine di gravità, come previsto dalla direttiva. Questo lavoro contribuirà anche all’introduzione di un sistema comune per colpire le imprese che commettono i reati più gravi. Lo scopo è rendere più efficace il controllo sull’applicazione della normativa e ridurre l’onere amministrativo per le autorità nazionali – che potranno rivolgere la loro attenzione in modo più efficace dove il rischio è maggiore – e le imprese di trasporto, che saranno sottoposte a controlli soltanto se la loro situazione lo richiede.
In merito al tachigrafo digitale, nell’aprile 2007 la Commissione ha avviato un progetto intitolato SMART, che dovrebbe durare 24 mesi e portare alla presentazione di proposte per l’adeguamento delle specifiche tecniche relative al tachigrafo digitale alla luce dei progressi tecnici (ciò comporterà modifiche dell’allegato tecnico del regolamento (CEE) n. 3821/85), in modo da poter contrastare in maniera più efficace i rischi di frode.
Regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che modifica i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 3821/85 e (CE) n. 2135/98 e abroga il regolamento (CEE) n. 3820/85 del Consiglio.
Direttiva 2006/22/EC del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 sulle norme minime per l’applicazione dei regolamenti (CEE) n. 3820/85 e (CEE) n. 3821/85 del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che abroga la direttiva 88/599/CEE del Consiglio.