Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla situazione in Birmania.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) L’Unione europea sta seguendo da vicino la situazione in Birmania, o Myanmar. Stiamo appoggiando attivamente gli sforzi, compiuti in primo luogo dalle Nazioni Unite, volti ad accelerare la transizione verso la democrazia, la riconciliazione e lo sviluppo del paese. L’inviato speciale Piero Fassino ha riferito al Parlamento europeo in merito alla situazione in Birmania/Myanmar. Ha altresì informato il Parlamento circa gli allineamenti che si stanno verificando con i paesi vicini della Birmania e gli altri membri dell’ASEAN.
Com’è noto, l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Ibrahim Gambari, ha visitato il paese all’inizio di marzo. Desidero sottolineare la nostra delusione per il fatto che la sua visita non ha portato ad alcun risultato evidente. La maggior parte di noi ha avuto l’impressione che le autorità birmane non fossero pronte a cooperare con la comunità internazionale. L’Unione europea desidera vedere le autorità birmane accettare le proposte avanzate da Ibrahim Gambari riguardo a un ulteriore processo politico. L’intera comunità internazionale è concorde in merito a tali proposte, che non sono portata eccessivamente vasta.
L’UE e Ibrahim Gambari segnalano problemi simili. L’UE, inoltre, invia regolarmente comunicazioni politiche fondamentali alla Birmania/Myanmar, una delle quali è la recente risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione in tale paese. Il nostro messaggio centrale comune è principalmente che la riconciliazione nazionale, la stabilità e la prosperità sono possibili solo attraverso un processo inclusivo e credibile di democratizzazione. Ecco perché l’Unione europea sta seguendo con interesse la risposta dell’opposizione al prossimo referendum sulla costituzione.
Esortiamo le autorità a permettere una discussione aperta e libera sulla costituzione prima del referendum, al fine di fermare la persecuzione degli attivisti politici e di abrogare le leggi che limitano la libertà di espressione. A prescindere dall’attuale situazione, l’Unione europea non ha perso la speranza che le autorità birmane garantiranno una consultazione referendaria equa e libera e che permetteranno la presenza di osservatori internazionali. E’ pronta ad appoggiare gli osservatori provenienti dai paesi dell’ASEAN.
Oltre a permettere di condurre in modo corretto il referendum, esortiamo la Birmania a rilasciare i prigionieri politici e a cessare gli arresti. Il Consiglio si unisce al Parlamento europeo nell’appello alla Birmania di non prolungare gli arresti domiciliari di Aung San Suu Kyi. Ci auguriamo che in futuro la Cina e i paesi dell’ASEAN continueranno anche ad appoggiare la missione di Ibrahim Gambari e la posizione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Inviamo questo messaggio attraverso canali diplomatici e attraverso il nostro inviato speciale.
In occasione della sessione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” che si terrà la prossima settimana, l’Unione europea intende estendere la validità della posizione comune sulla Birmania. In tal modo saranno ancora possibili le attività umanitarie, benché limitate, mentre le sanzioni resteranno in vigore. Esortiamo i partner internazionali a garantire maggiori aiuti, di cui i cittadini birmani hanno necessità urgente. L’Unione europea continuerà a fornire tali aiuti.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, il Commissario Ferrero-Waldner non ha potuto partecipare a questo incontro. Da parte sua e da parte della Commissione, desidero fare alcune osservazioni riguardo alla Birmania.
Tra un paio di settimane, il 10 maggio, verrà chiesto al popolo birmano di approvare o rifiutare una costituzione. L’Unione europea e i suoi partner ritengono che nella preparazione del progetto di costituzione vi sia stato un coinvolgimento insufficiente delle diverse forze politiche e dei gruppi etnici presenti nel paese. In tale processo la giunta al potere ha agito completamente a suo piacimento.
La costituzione prevede pertanto che il 25 per cento dei membri del parlamento verrà nominato dall’esercito, mentre il restante 75 per cento verrà eletto. E’ possibile che Aung San Suu Kyi sarà in grado di votare alle elezioni previste per il 2010 e forse persino di candidarsi, ma il regime sembra volerle impedire di diventare un giorno Presidente dell’Unione di Myanmar. Cina, India e ASEAN esercitano una certa influenza: si preoccupano principalmente della stabilità del paese nonché delle relazioni commerciali e degli investimenti.
Coadiuvato da una diplomazia cinese discreta, Ibrahim Gambari, rappresentante speciale dell’ONU, non è stato in grado di aprire maggiormente il processo politico e ha affermato che si sarebbe concentrato sulle questioni economiche, sociali e umanitarie.
Data l’assenza di progetti tangibili, il 29 aprile il Consiglio “Affari generali” discuterà tutte le possibili operazioni che l’Unione europea potrebbe condurre per influenzare la situazione in Birmania. Desidero sottolineare che l’obiettivo dell’UE è la promozione di un approccio equilibrato alla questione birmana; desideriamo soprattutto risultati oggettivi. Il 19 novembre 2007 il Consiglio ha adottato una versione della posizione comune che ha introdotto nuove sanzioni. Il regolamento CE è entrato in vigore il 10 marzo e la sua revisione annuale è prevista per la fine di questo mese.
Le sanzioni dell’Unione europea riflettono la nostra insoddisfazione in merito alla lentezza del processo verso la democrazia, la detenzione persistente di numerosi prigionieri politici e la violazione delle libertà fondamentali. Ciononostante, l’impatto delle sanzioni deve essere esaminato regolarmente al fine di garantire che esse abbiano un impatto diretto sui membri del regime e sulle loro risorse. La Commissione ha istituito programmi di assistenza nel quadro della politica generale di cooperazione, che copre i settori della sanità e dell’istruzione. Sono lieto di constatare che il Parlamento europeo ha espresso il suo sostegno a tali misure nel quadro dell’esercizio del suo diritto di controllo.
Ciò si aggiunge agli aiuti umanitari di ECHO a favore dei paesi vicini e dei rifugiati birmani nella regione. Continuiamo ad appoggiare la missione di Ibrahim Gambari. L’Unione europea fa parte del “gruppo di amici”, che riunisce a New York i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, la presidenza dell’ASEAN, l’India, il Giappone e la Norvegia, che sono tutti coinvolti nel monitoraggio della situazione in Birmania. L’inviato speciale dell’UE per la Birmania, Piero Fassino, svolge un ruolo fondamentale nel sostenere la missione di Ibrahim Gambari. Queste sono le informazioni che ho voluto darvi per conto del Commissario Ferrero-Waldner.
Geoffrey Van Orden, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, oggi discutiamo della Birmania, perché le sanzioni mirate dell’Unione europea devono essere rinnovate in cinque giorni di tempo e le autorità birmane procederanno con un referendum sulla loro costituzione fittizia tra solo poco più di due settimane.
Desideriamo fare un appello sincero al regime birmano affinché compia un passo, che è decisamente nei suoi stessi interessi così come negli interessi della popolazione birmana: intraprendere le azioni necessarie per ricongiungersi alla comunità internazionale delle nazioni. La politica di sospetto isolamento è stata tentata nel corso di quasi tutta la vita della Birmania come Stato indipendente ed è fallita. Ha danneggiato la Birmania e ha danneggiato la popolazione birmana.
Nel 1948 la Birmania era il più grande esportatore mondiale di riso, il produttore del 75 per cento di tek a livello globale e il paese più ricco del sudest asiatico. Si riteneva che stesse percorrendo rapidamente la strada verso lo sviluppo. Oggi ha un PIL pro capite inferiore a quello del Rwanda o del Bangladesh.
L’economia birmana necessita con urgenza di assistenza da parte delle organizzazioni finanziarie internazionali, eppure, da quando la Birmania si è ripiegata su se stessa e si è allontanata dalla democrazia, la Banca asiatica di sviluppo, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno tutti, giustamente, rifiutato di elargire ulteriori aiuti finanziari. Il rifiuto del regime birmano di impegnarsi con realtà esterne ha portato paesi di tutto il mondo a imporre sanzioni economiche.
La Birmania ha bisogno di amici che l’aiutino a proteggere i suoi interessi nazionali sulla scena mondiale, ma persino l’ASEAN ha ora dichiarato, anche questa volta giustamente, che non difenderà più le autorità birmane in nessun forum internazionale.
Diciamo al governo birmano: il mondo non sarà più contro di voi, se solo smetterete di voltare le spalle al mondo. Non dovete temere la comunità internazionale più di quanto dovete temere il vostro stesso popolo. Non avete bisogno del nono esercito più grande a livello mondiale e del quindicesimo bilancio militare più elevato a livello globale. Non dovete vivere in un bunker. Riconoscete le aspirazioni democratiche del vostro popolo, arrestate la repressione politica e permettete alle forze di opposizione di impegnarsi appieno e liberamente in un nuovo processo costituzionale.
Józef Pinior, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto desideriamo esortare il regime birmano a: rilasciare gli oppositori politici e i più di 1 800 prigionieri politici, tra cui Aung San Suu Kyi, i leader degli Studenti della generazione ‘88 e i leader della Lega delle nazionalità shan per la democrazia arrestati nel 2005; rendere conto di tutte le vittime e le persone scomparse dalle ultime azioni repressive di settembre contro le proteste dei monaci buddisti e gli attivisti democratici, rendendo altresì noto il luogo in cui si trovano le monache e i monaci scomparsi; garantire l’accesso alla Birmania al Relatore speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani in Birmania che è in arrivo e permettere ai partiti politici dell’opposizione di incontrare l’inviato speciale.
Vi sono preoccupazioni effettive riguardo al cosiddetto referendum: vi è il pericolo che nel quadro delle attuali condizioni repressive la consultazione referendaria consolidi un controllo militare continuo. Dall’annuncio del referendum, il governo ha emanato la legge n. 1/2008, che nega il diritto di voto ai membri degli ordini religiosi, tra cui i monaci e le monache. Impone anche una condanna a una pena detentiva di tre anni a chiunque sia sorpreso a “tenere discorsi, distribuire documenti, utilizzare cartelloni o disturbare il voto in qualsiasi altro modo nelle cabine elettorali o in un luogo pubblico o privato per compromettere il referendum”.
Cerchiamo garanzie da parte del governo affinché si convochino commissioni elettorali indipendenti, si compili adeguatamente l’iscrizione alle liste degli elettori, si eliminino le restrizioni di lunga data sui mezzi d’informazione, si permetta la libertà di associazione, espressione e assemblea in Birmania e si revochino le nuove normative che criminalizzano il legittimo dibattito sul referendum.
Marco Cappato, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signor Commissario Barrot, lei ha parlato di un approccio equilibrato. Devo dire, temo che questo approccio sia eccessivamente timido, perché innanzitutto ci sono delle informazioni che questo Parlamento avrebbe bisogno di sapere e cioè esistono degli strumenti dell’Unione europea per la promozione della democrazia e dei diritti umani.
Sono dei nuovi strumenti e adesso non c’è nemmeno l’obbligo di avere il permesso dei paesi di dittature per poter spendere questi soldi. Allora o parliamo da spettatori di quello che succede, ma se parliamo, invece, da persone che si pongono il problema di che cosa si può fare, sarebbe importante per noi sapere – oggi – come stiamo spendendo questi soldi, chi riusciamo ad aiutare, come riusciamo a fare entrare informazione e fare uscire informazione dal paese. Per esempio, sarebbe importante riflettere su come vengono spesi i soldi sulla cosiddetta lotta contro la droga, che in Birmania vanno direttamente nelle casse del regime birmano per poter meglio reprimere il loro popolo attraverso l’Ufficio delle Nazioni Unite. Come Unione europea dovremmo porci anche questo problema. Il referendum, il referendum non è che non ha sufficientemente coinvolto le diverse parti come lei ha detto, il referendum è una copertura per meglio continuare a perpetrare il massacro dei diritti umani e civili in Birmania.
Al rappresentante del Consiglio, signor Lenarčič, volevo dire che essendoci stato un coinvolgimento determinante dei monaci nella lotta non violenta e avendo i monaci pagato di persona con la loro vita per questa lotta, credo che sia stato simbolicamente l’annuncio che avete fatto di non invitare il Dalai Lama a Bruxelles per il dialogo politico necessario con i paesi dell’Unione, avrà ed ha già un effetto negativo per la lotta non violenta del popolo birmano, in particolare dei monaci.
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. –(GA) Signor Presidente, nell’ottobre dello scorso anno il mondo è stato testimone delle migliaia di monaci buddisti e dei membri della marcia pubblica che hanno attraversato le strade di Rangoon per chiedere libertà e riforme da parte del regime militare ingiusto e violento della Birmania. Questa è stata la più grande dimostrazione contro il governo dalla sanguinosa repressione del primo movimento democratico del 1988.
(EN) Qualora qualcuno ritenga che la situazione avrebbe potuto essere peggiore rispetto a quella dello scorso anno, tutto quello che dobbiamo fare è guardare all’evidenza: povertà, scarsità di cibo, continuazione dell’oppressione, eliminazione degli oppositori politici, perdurare dell’incarcerazione di un vincitore del Premio Sacharov e di un Premio Nobel per la pace, continuazione dell’oppressione e della soppressione di qualsiasi punto di vista alternativo avanzato.
E’ nostro dovere, nel quadro dell’Unione europea, ribadire i forti messaggi di sostegno inviati nel settembre 2007 a coloro che stanno lottando in Birmania. Ora ci troviamo di fronte a una situazione in cui una nuova costituzione è oggetto di referendum, una costituzione definita da qualcuno come il prossimo passo verso la restaurazione della democrazia, eppure essa assegna un quarto dei seggi in parlamento all’esercito, proibisce a Aung San Suu Kyi di candidarsi alle elezioni perché è sposata con uno straniero e obbliga a sottostare completamente al diktat della giunta.
E’ ora necessario coinvolgere la Cina al fine di esercitare pressione sulla giunta birmana per garantire che la popolazione sia adeguatamente rappresentata, ma anche il Bangladesh e la Thailandia devono dare il loro appoggio per consentire loro di incoraggiare le autorità birmane a guardare in modo nuovo. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi nelle sanzioni e nell’intraprendere azioni politiche forti, non solo a livello europeo, ma in tutto il mondo e in particolare nelle Nazioni Unite. In seno all’ONU tutti gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero parlare con una sola voce al fine di esercitare pressione sulle autorità perché siano intraprese azioni a quel livello.
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, come è stato appena sottolineato, la situazione umanitaria e dei diritti umani in Birmania si sta deteriorando e tocca al prossimo Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” prenderne atto in modo chiaro e forte e ridefinire i mezzi d’azione della politica europea.
Ciò che inizialmente sembrava un segnale positivo, la famosa riforma costituzionale, è diventata rapidamente un progetto assolutamente machiavellico. La presenza militare al governo sta pertanto per essere inserita ufficialmente nella costituzione, in violazione di tutte le norme internazionali e in assenza di osservatori, mentre tutti coloro che si oppongono all’attuale regime sono esclusi dalla rappresentanza elettorale. Si tratta di una farsa vera e propria, che farà sprofondare ancora di più la Birmania sotto il pugno di ferro della giunta.
Va detto che questo rappresenta un fallimento della strategia inclusiva, nella Birmania stessa e a livello regionale, attuata dall’Unione europea e dalle Nazioni Unite. Il nostro inviato non è neppure riuscito a mettere piede in Birmania. Oggi la nostra duplice strategia – sanzioni/incentivi – deve pertanto diventare più efficace e più mirata. In altre parole, abbiamo bisogno di una migliore messa in atto, più perspicace, più regolare, dei criteri già definiti conformemente agli obiettivi perseguiti.
Le nostre misure finanziarie devono portare all’isolamento completo delle imprese che hanno legami con la giunta o che, in un modo o nell’altro, contribuiscono al suo finanziamento, così come delle persone al potere, che possono ancora recarsi in altri paesi per fare compere e mandare i loro figli a studiare all’estero. Lo stesso vale per le sanzioni bancarie imposte loro, che al momento non vietano trasferimenti tramite banche europee.
Per quanto concerne l’ASEAN, i negoziati sull’accordo di libero scambio devono essere visti come un’opportunità per garantire che gli stati vicini si astengano dall’attuare qualsiasi strategia che possa controbilanciare le sanzioni contro la Birmania.
Il secondo aspetto riguarda gli incentivi. Dobbiamo appoggiare al contempo le forze vive del paese: sul piano umanitario, che va da sé ben inteso, ma anche sul piano politico, il che significa condannare pubblicamente le autorità birmane, denunciando i contenuti del referendum e le procedure applicate e promuovendo con convinzione lo Stato di diritto e le libertà fondamentali mediante i progetti EIDHR, Significa altresì appoggiare e proteggere i difensori dei diritti umani, combattere l’arruolamento dei bambini nei gruppi armati e proteggerli dalla violenza.
Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, non si pensi che la mia sia sinofobia perché anche in altri interventi spesso critico la posizione della Cina, ma cari colleghi, sulla situazione in Birmania e sulle note responsabilità del governo cinese che sostiene il Consiglio di Stato birmano, credo che non ci siano dubbi. Del resto sono le stesse responsabilità che la Cina ha nel Darfur, che ha nel Tibet e in tanti altri luoghi della terra dove si perpetrano violazioni dei diritti umani, e non ultimo la Cina stessa.
Esprimere, quindi, sdegno, esecrazione e condanna, come al solito facciamo nelle nostre risoluzioni, mi vede ovviamente partecipe, mi vede ovviamente solidale, ma rimango scettico su quelli che sono poi gli effetti. Sostengo la netta condanna e deploro il fatto che il regime birmano in 45 anni non abbia fatto dei passi avanti nel rispetto dei diritti umani e della libertà di coscienza.
Potrei forse non condannare la repressione politica ed etnica del popolo birmano? Anzi ne approfitto in proposito per ricordare in particolare il caso del popolo Karen, che fieramente resiste da decenni per difendere la sua identità, e altrettanto certamente deploro i meccanismi di consultazione referendari della Costituzione che si vorrebbe imporre alla Birmania. Certo, colleghi, concordo su tutto quanto sentimentalmente, si dice nella risoluzione, ma proprio perché tutto, come al solito per quanto promana dagli atti dell’Unione, rimane sul piano dei sentimenti, credo non serva assolutamente a nulla e visto come si afferma nella risoluzione le sanzioni mirate, seppur rinnovate non hanno avuto l’impatto auspicato.
Di conseguenza, chiedere il loro deciso inasprimento senz’altro sì, ma soprattutto si dovrebbero usare analoghi strumenti di pressione nei confronti di quegli Stati, Cina, Russia, India, affinché in virtù della loro influenza economica e politica sul regime birmano, esercitino un’azione sinergica con l’Unione europea in materia e arrestino le loro forniture di armi e di risorse strategiche. Concordo in sostanza anche con quanto ha sostenuto bene la collega Flautre.
Hartmut Nassauer (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, tra pochi giorni il Consiglio deciderà se mantenere la sua posizione comune sulla Birmania e se mantenere le sanzioni. In Birmania non vi sono stati cambiamenti tangibili riguardo a democrazia, Stato di diritto o rispetto dei diritti umani. In Birmania sono detenuti quasi 2 000 prigionieri politici. Il leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi si trova da anni agli arresti domiciliari. In breve, non vi è la minima ragione di diminuire le sanzioni.
Bisogna riconoscerlo, è stato annunciato un referendum costituzionale ed è stato pubblicato un progetto di costituzione, che però manca di legittimità democratica. Non sono stati consultati né l’opinione pubblica né l’opposizione democratica. Il progetto di costituzione è pieno di difetti democratici. E’ assurdo che un quarto dei seggi in parlamento vadano all’esercito. E’ assurdo escludere i candidati che hanno sposato un partner straniero o che hanno figli di un’altra nazionalità. Tutto ciò attesta una mancanza di progresso democratico.
Che cosa va fatto? Appoggio gli appelli cui hanno dato voce i precedenti oratori, in particolare le misurate osservazioni del mio onorevole collega Geoffrey Van Orden. Non possiamo tuttavia affrontare la questione della Birmania da soli. Senza il supporto cinese, la giunta non sopravviverebbe. Ecco perché i cinesi hanno anche la responsabilità di ciò che sta succedendo laggiù. La Cina si è fatta avanti per riempire il vuoto economico creato dalle sanzioni dell’Occidente e sta ottenendo vantaggi. Ecco perché è necessario un avvicinamento alla Cina, se vogliamo assistere a un cambiamento nella situazione in Birmania.
Desidero altresì fare un appello ai miei amici dell’ASEAN. So che i miei amici dell’ASEAN considerano qualsiasi osservazione sul Myanmar come un’interferenza nei loro affari interni, ma sono anche consapevole che la situazione nel Myanmar li inquieta. Il messaggio che rivolgo loro è che il Myanmar sta rovinando l’immagine dell’ASEAN nel mondo e pertanto anche l’ASEAN deve esercitare pressione.
Richard Howitt (PSE). – (EN) Signor Presidente, accolgo con favore le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione di questo pomeriggio, ma con 700 prigionieri politici detenuti in seguito alle dimostrazioni dello scorso anno e con il rifiuto da parte del generale Than Shwe di incontrare l’inviato speciale dell’ONU, Ibrahim Gambari, è necessario il rinnovo, sei mesi dopo, della nostra posizione comune – ma non è abbastanza. Perché non estendere le sanzioni a petrolio e gas, da cui il regime ricava i principali finanziamenti? Se gli Stati Uniti impongono sanzioni finanziarie e bancarie, negando valuta estera al regime, perché l’Unione europea non fa lo stesso? Quali passi possono essere compiuti per permettere agli aiuti umanitari l’accesso alla Birmania orientale, dove, si riferisce, 3 000 villaggi sono stati rasi al suolo e dove le agenzie europee di aiuti sono pronte ad agire? I monaci buddisti hanno scritto “no” sui muri dei monasteri per inviare il loro messaggio alla popolazione civile birmana sul referendum costituzionale di maggio. Anche il messaggio dell’Europa alla Birmania deve essere un “no” forte alla dittatura e un “sì” alla democrazia.
Pierre Schapira (PSE). – (FR) Signor Presidente, sono ormai passati sei mesi da quando le dimostrazioni a Rangoon hanno rivelato al mondo le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate regolarmente in Birmania.
Sembra, purtroppo, che l’opinione pubblica internazionale si sia già dimenticata di questo paese in crisi. La realtà è che dobbiamo fornire un sostegno instancabile alla popolazione birmana e adottare una strategia coerente sul lungo periodo al fine di garantire, finalmente, il rispetto della democrazia, della libertà di stampa e della libertà di religione, espressione e associazione.
Nonostante la pressione diplomatica, nonostante l’azione esemplare di Aung San Suu Kyi, alla quale, lo ricordo, è stato conferito il Premio Sacharov nel 1990, e nonostante gli sforzi della società civile internazionale, la situazione non è migliorata: dato che non hanno diritto di voto, 400 000 monaci buddisti non potranno partecipare al referendum.
Questa situazione inaccettabile costituisce la prova del fatto che la pressione esercitata fino ad oggi è stata inadeguata. Le sanzioni contro il regime birmano devono essere estese e devono mirare all’élite politica piuttosto che alla popolazione.
Mi auguro soprattutto, che venga potenziata l’azione dell’UE. Al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica, chiedo, chiediamo, che a Aung San Suu Kyi – che incarna questa lotta – sia concessa la cittadinanza d’onore di tutte le capitali europee, in modo tale da dimostrare la nostra determinazione nel promuovere effettivamente i diritti umani e la libertà in Birmania.
Katrin Saks (PSE). – (ET) Quando la mattina entro nell’edificio del Parlamento di Bruxelles, Aung San Suu Kyi mi guarda da un grande cartellone con i suoi occhi tristi e devo confessare che ogni mattina mi sento impotente in modo imbarazzante.
Le risoluzioni che abbiamo adottato quasi all’unanimità non hanno avuto alcun tipo di effetto. Oggi, quando ho ascoltato le parole dei rappresentanti della Commissione e del Consiglio, ho notato la retorica: “Ci auguriamo, desideriamo, consideriamo, siamo preoccupati”. Non si tratta di un atteggiamento troppo timido nei confronti di un regime come questo? Dobbiamo parlare chiaramente con una sola voce e farlo con molta più forza.
Come facciamo ad andare avanti? Torniamo sempre indietro alle sanzioni economiche. A mio avviso, tuttavia, si tratta chiaramente dell’unico modo per influenzare questo regime; dobbiamo, certo, monitorare con attenzione dove finiscono i nostri aiuti allo sviluppo. Il nostro denaro deve dipendere da riforme molto specifiche in questa società.
Ana Maria Gomes (PSE). – (EN) Signor Presidente, sono stata in Birmania e ho visto la miseria e l’oppressione in cui vive la popolazione birmana. C’è da vergognarsi perché l’Europa non ha fatto abbastanza per aiutare i birmani – i loro valorosi monaci, i loro prigionieri politici, il loro coraggioso leader Aung San Suu Kyi – a ottenere la libertà e a liberarsi degli oppressori della giunta.
L’Europa non ha fatto abbastanza per mobilitare vicini influenti come la Thailandia, la Malesia, Singapore e in particolare l’Indonesia a dare sostegno a coloro che lottano per i diritti umani e la democrazia in Birmania.
L’Europa non ha fatto abbastanza per spingere la Cina e l’India a smettere, in un modo o nell’altro, di appoggiare gli oppressori birmani. L’Europa non ha fatto abbastanza per evitare che le imprese europee, quali la francese Total, continuassero a fare affari con la Birmania, aiutando pertanto a pagare la mafia della droga e gli oppressori che compongono la giunta birmana, e non ha fatto abbastanza quanto meno per punire tali imprese. L’Europa deve agire ora e rifiutarsi di accettare la farsa di un referendum.
Il Presidente Barroso e i suoi Commissari diretti oggi a Pechino devono parlare chiaramente e con fermezza della Birmania, delle responsabilità di Pechino e della sua triste condizione. L’attuale Presidenza del Consiglio e quella successiva devono agire in modo decisivo per fare la differenza per il popolo birmano, nella fattispecie attuando severamente le sanzioni decise e spingendo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad agire contro gli oppressori birmani.
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signor Presidente, per quest’Assemblea sta diventando un’abitudine adottare risoluzioni, che in buona parte sono decisamente inefficaci. Siamo altresì abituati ad applicare sanzioni, anch’esse totalmente inefficaci, perché non sono rivolte ai responsabili in grado di cambiare le cose, ma sono, come in questo caso, rivolte alla gente comune della Birmania, alla quale stiamo rendendo la vita ancor più miserabile.
E’ già stato detto che in questo caso il vero colpevole è la Cina. Stiamo applicando alcuna sanzione contro la Cina? No! Il mercato europeo è invaso da prodotti difettosi che acquistiamo dalla Cina. Perché non stiamo applicando alcuna sanzione a questo paese per vedere come influisce sulla situazione in Birmania?
Colm Burke (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, concordo con i miei colleghi in merito a tale questione. Non si tratta solo del fatto che non vi sono stati cambiamenti nel corso degli ultimi mesi, bensì anche del fatto che non vi sono stati cambiamenti nel corso degli ultimi 50 anni.
Vi sono violazioni dei diritti umani ogni giorno. Le comunità religiose non manifestano in strada a meno che non ritengano che vi sia qualcosa di profondamente sbagliato in un paese. Diversi mesi fa abbiamo assistito alle manifestazioni in strada dei monaci, che sentivano di poter far capire il loro messaggio. La reazione della giunta è stata diversa: si è assicurata che le loro proteste per le strade venissero immediatamente fermate e represse e gli omicidi che si sono verificati subito dopo sono scandalosi. E questo governo ha continuato a restare al potere.
I principali colpevoli qui sono le imprese e i paesi che trattano con la Birmania: coloro che le forniscono armi e che comprano i suoi prodotti. Concordo con i miei colleghi sul fatto che dovremmo essere più proattivi nell’obbligare la Cina ad adottare una linea d’azione diversa nel trattare con la Birmania. Questo è l’unico modo con cui possiamo ottenere un cambiamento. Anche noi dobbiamo agire e parlare con quelle imprese europee che stanno aiutando l’attuale giunta. A meno che non agiamo in prima persona, risulterà molto difficile imporre un cambiamento in altri paesi. Appoggio questa proposta di risoluzione.
Jim Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, la Birmania costituisce una di quelle questioni che giustamente causano l’arrivo di un numero considerevole di messaggi nelle caselle di posta dei membri del Parlamento europeo.
Noto dei parallelismi tra la Birmania e lo Zimbabwe. Una volta avevano entrambi un’economia fiorente. Entrambi sono passati poi dalla democrazia all’oppressione con tutto ciò che comporta: negazione delle libertà fondamentali, estrema povertà e militarismo oppressivo.
Ma noto una somiglianza anche nelle risposte dell’UE alla Birmania e allo Zimbabwe. Francamente, sono entrambe troppo timide. Oggi abbiamo ascoltato la Commissione e il Consiglio, ma che cosa avevano effettivamente da dirci? Molto, molto poco.
Dico che dobbiamo essere molto più forti. Dobbiamo aumentare le sanzioni economiche così come le altre e dobbiamo attuare un adeguato embargo totale sulle armi. Dobbiamo esercitare pressione dove forse avrà maggiore efficacia: su quei regimi, su quei simpatizzanti, come la Cina, che sostengono l’attuale giunta. Solo allora, in particolare quando trattiamo con coloro che hanno un atteggiamento ambivalente nei confronti della giunta militare, vi sarà un cambiamento.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Ho già affermato che in occasione della sua prossima sessione il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” discuterà la questione della Birmania ed è probabile che adotterà alcune conclusioni. Affronterò questa questione dopo, ma prima desidero rispondere ad alcune osservazioni.
Innanzi tutto, l’onorevole Cappato. Desidero sottolineare che fino ad oggi il Consiglio non ha mai discusso la possibilità di invitare il Dalai Lama a un incontro con il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” e non credo che un tale incontro potrà mai avere luogo. Se accadesse, ruoterebbe attorno al Tibet e non alla Birmania, che è al momento oggetto di discussione. Desidero tuttavia affermare quanto segue: ciò che serve per migliorare la situazione in Tibet non è tanto il dialogo tra l’Unione europea e il Dalai Lama, ma più che altro il dialogo tra le autorità cinesi e il Dalai Lama. La Presidenza slovena lo ha già richiesto più volte.
Passiamo ora alla prossima sessione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”. Ci aspettiamo che il Consiglio giunga a una serie di conclusioni e decida di ribadire la sua profonda preoccupazione in merito alla situazione in Birmania ed esorti le autorità birmane a intervenire con urgenza affinché abbia luogo la transizione verso un governo civile legittimo e la riconciliazione nazionale. Ci aspettiamo inoltre che il Consiglio richieda una discussione aperta sul referendum, che dovrebbe essere condotto in modo libero ed equo. Oltre a ciò, come affermato dall’onorevole Flautre, ci aspettiamo che le autorità birmane invitino osservatori internazionali per controllare il referendum.
Non ho dubbi che il Consiglio richiederà il rilascio di tutti i prigionieri politici, come sottolineato dall’onorevole Howitt. Non dubito neppure che richiederà al contempo il rilascio di Aung San Suu Kyi. Ci aspettiamo inoltre, come osservato giustamente dall’onorevole Van Orden, che le sanzioni, giunte al loro termine, siano estese per altri 12 mesi con la possibilità di modificarle, cioè di intensificarle o alleggerirle in qualsiasi momento a seconda della situazione.
In merito alle armi e in risposta all’onorevole Romagnoli, l’Unione europea ha proibito l’esportazione in Birmania di qualsiasi tipo di armi o materiali ad esse associati. Ciò fa parte delle sanzioni dell’Unione europea e ci aspettiamo che venga esteso insieme al sistema, o meccanismo, di sanzioni. Stiamo cercando di fare in modo che altri Stati membri si uniscano a noi in questo.
Desidero aggiungere, infine, che si potrebbe dire, come ha fatto l’onorevole Flautre, che la strategia delle Nazioni Unite nei confronti della Birmania abbia fallito. Si potrebbe tuttavia dire che non ha ancora dato i suoi frutti. Io propendo per quest’ultima possibilità.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione tutte le osservazioni, che riflettono il fatto che la Birmania ha ancora molta strada da percorrere prima che trovi la via per la democrazia e ne siamo tutti troppo consapevoli. Dobbiamo continuare a potenziare la nostra politica e a tale proposito desidero sottolineare che abbiamo di recente aumentato le sanzioni rivolte al regime e in particolare ai leader. Il Consiglio sta attualmente esaminando la possibilità di sanzioni finanziarie più ampie.
Desidero aggiungere che, per quanto concerne i prigionieri politici, il 29 aprile il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” offrirà l’opportunità di inviare un messaggio al regime per chiedere ancora una volta di porre fine alle intimidazioni e alle carcerazioni. Ci siamo seriamente impegnati a continuare a essere solidali con Aung San Suu Kyi. Desidero porre l’accento sul fatto che non possiamo contattarla direttamente, ma che siamo in contatto con i membri del suo partito.
Oltre alle sanzioni, alcuni di voi hanno ovviamente menzionato la cooperazione con i paesi vicini, che hanno il dovere di aiutarci a esercitare influenza sul regime birmano e questa settimana l’onorevole Ferrero-Waldner solleverà la questione birmana in Cina. La Commissione ha inoltre preso contatto con il governo thailandese, mentre l’Indonesia sembra stia preparando una nuova iniziativa. Avete pienamente ragione, tuttavia, a sottolineare l’importanza dell’azione da parte degli altri paesi della regione.
Vengo ora al problema dell’assistenza alla popolazione. Il popolo birmano non deve pagare il prezzo della stagnazione politica causata dai leader del paese. Per quanto concerne l’Europa, non sono sufficienti la condanna e il semplice isolamento di Myanmar. Desidero precisare che quando forniamo assistenza, sforzandoci di cogliere tutte le opportunità per sottolineare che non è solo attraverso un governo migliore da parte del regime che tale assistenza sarà efficace come ci auguriamo che sia.
L’onorevole Cappato in particolare ha espresso preoccupazione in merito a come vengono monitorati gli aiuti internazionali. Devo precisare che gli aiuti internazionali sono forniti attraverso le agenzie dell’ONU e i partner delle ONG e posso dire che li monitoriamo molto da vicino. Ma ha fatto bene, tuttavia, a sollevare la questione.
Ritengo pertanto che ciò che vogliamo è esercitare quanta più pressione possibile al fine di garantire che la Birmania si evolva più rapidamente verso la democrazia. Al contempo, desideriamo evitare che il popolo birmano soffra ancor di più a causa di un totale isolamento, che probabilmente non costituirebbe la risposta adeguata.
Presidente. − Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì, 24 aprile 2008.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
James Nicholson (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Accolgo sinceramente con favore la presente risoluzione che dimostra la costante preoccupazione del Parlamento per la situazione in Birmania. Abbiamo la responsabilità di garantire che ciò che accade in questo paese non “esca dal radar”.
E’ cosa ben nota che, nonostante l’abbondanza di risorse e le terre fertili, la Birmania resta uno dei paesi più poveri del mondo. E’ altresì ampiamente riconosciuta la responsabilità della giunta militare di un lungo elenco di violazioni di diritti umani, tra cui il brutale trattamento dei monaci buddisti che hanno protestato contro il regime.
Alla luce dei recenti sviluppi, nella fattispecie l’intenzione della giunta militare di forzare l’approvazione di una costituzione affatto democratica e completamente illegittima, è decisamente tempo che l’UE eserciti tutta la sua influenza al fine di tentare di migliorare la situazione.
E’ finito il tempo di discutere semplicemente la situazione in Birmania nel quadro dell’arena internazionale. Le negoziazioni tra l’ONU e le autorità birmane si sono dimostrate completamente inefficaci. Ora sono necessarie con urgenza sanzioni mirate alla giunta e agli affari ad essa connessi.
Appoggio appieno la presente risoluzione che esorta il Consiglio a far entrare in vigore sanzioni più ampie e più rigide nei confronti del regime militare birmano. A tal proposito, mi auguro sinceramente che le nostre parole siano seguite dall’azione.