PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING Presidente
1. Apertura della seduta
(La seduta è aperta alle 9.00 a.m.)
2. Vertice Unione europea-America latina e Caraibi (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul Vertice Unione europea-America latina e Caraibi.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Il Consiglio apprezza l’interesse manifestato dal Parlamento europeo per il rafforzamento del partenariato strategico tra Unione europea e America latina e Caraibi. Siamo altrettanto soddisfatti del ruolo attivo del Parlamento nel promuovere impegni concreti nei confronti di tale regione, che porteranno vantaggi considerevoli ai cittadini di entrambe le parti.
Desidero innanzi tutto congratularmi con voi per l’istituzione dell’Assemblea parlamentare paritetica EuroLat, che svolgerà un ruolo fondamentale nel riconciliare i cittadini di entrambe le parti. Le risoluzioni adottate da EuroLat nel corso della seduta di dicembre costituiscono un contributo prezioso e stimolante per gli obiettivi dei capi di Stato e di governo dei paesi di entrambe le parti in occasione della riunione al vertice che si terrà il mese prossimo. Siamo altrettanto lieti, signor Presidente, che abbia manifestato interesse nella partecipazione al Vertice UE-ALC di maggio. In tal modo, con la sua partecipazione, si porterà avanti la buona pratica introdotta in occasione della riunione al Vertice di Vienna del 2006.
I paesi dell’Unione europea, dell’America latina e dei Caraibi hanno concordato che la loro riunione al vertice, dal titolo “Addressing our People’s Priorities Together” (Affrontare insieme le priorità del nostro popolo), che si terrà a Lima, si concentrerà su due capitoli chiave. In primo luogo: povertà, disuguaglianza ed esclusione, tre dei temi che costituiscono le sfide principali nell’ambito della coesione sociale. E in secondo luogo: ambiente, cambiamento climatico ed energia – sotto il titolo di “Sviluppo sostenibile”. In merito al primo dei due capitoli – povertà, disuguaglianza ed esclusione – desidero sottolineare che la coesione sociale dell’Unione europea non solo è di importanza fondamentale, ma che costituisce anche un obiettivo in linea con le tradizioni europee di lunga data. Per coesione sociale si intendono tutti e tre tali temi, ossia significa: lotta alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione. Tutte e tre queste componenti sono inevitabilmente connesse tra loro. Concordiamo con i paesi dell’America Latina e dei Caraibi che la nostra cooperazione andrebbe rafforzata in tutte e tre le aree citate. Ecco perché intendiamo concentrare la nostra attenzione sui seguenti temi: sicurezza sociale, politiche contributive e loro efficacia, investimenti produttivi per maggiori e migliori posti di lavoro, una politica per la lotta a tutte le forme di discriminazione – sessuale, etica, religiosa o di qualsiasi altro tipo – miglioramento dei servizi sociali di base e delle reti di sicurezza sociale, nonché qualità dell’istruzione.
Un aspetto significativo del progresso sociale è l’offerta di posti di lavoro adeguati. Com’è noto, tutti gli accordi tra i paesi e le regioni dell’Unione europea e dell’America latina prevedono articoli in materia di cooperazione nell’ambito della politica sociale e degli impegni per il rispetto delle cosiddette norme fondamentali del lavoro, come definiti dall’Organizzazione internazionale del lavoro. Nel corso dei preparativi della riunione al Vertice di Lima, entrambe le parti hanno cercato metodi per favorire posti di lavoro di questo tipo, in modo particolare nelle piccole e medie imprese. Al contempo la Presidenza slovena ha posto l’accento sull’importanza fondamentale di maggiori investimenti nell’istruzione, in modo particolare a livello elementare e professionale, volti al miglioramento della competitività dei nostri paesi, sia nell’Unione europea che in America latina e nei Caraibi.
Venendo al secondo capitolo fondamentale dell’imminente riunione al vertice: sviluppo sostenibile e ambiente, cambiamento climatico ed energia. Sottolineiamo che la povertà è strettamente connessa a tali questioni. Il cambiamento climatico influirà sensibilmente sulle nostre economie, sulla crescita e sulla nostra politica per la riduzione della povertà. Già sappiamo che i gruppi più vulnerabili ne risentiranno maggiormente. Siamo consapevoli, sia nell’Unione europea che nei paesi dell’America latina e dei Caraibi, dei rischi per la sicurezza, che deriveranno dal cambiamento climatico. Sappiamo che non agire comporterà conseguenze molto più gravi rispetto ai costi delle misure preventive. Dai dibattiti in corso relativi alla dichiarazione che verrà adottata al vertice, è palesemente evidente che dovremo affrontare congiuntamente numerosi aspetti della sfida globale.
Dovremo entrambi modificare esempi di produzione e consumo non sostenibili. E’ necessario attuare disposizioni relative a misure concrete e urgenti per la gestione sostenibile delle foreste e l’impiego delle risorse, al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, di incentivare gli investimenti nella produzione con basse emissioni di biossido di carbonio, di preservare la biodiversità, nonché per la gestione delle risorse idriche e simili.
Certamente l’Unione europea e i paesi dell’America latina e dei Caraibi daranno la priorità anche all’ulteriore cooperazione in questo campo nel quadro delle Nazioni Unite. Per concludere questa introduzione, desidero ringraziarvi per l’attenzione.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, desidero unirmi al signor Ministro e ringraziare il Parlamento per aver incluso nell’ordine del giorno della sua seduta plenaria il Vertice UE-America latina e Caraibi, la quinta riunione al vertice tra le nostre regioni dal lancio del nostro partenariato strategico effettuato in occasione del Vertice di Rio del 1999.
Il Vertice di Lima dedicherà particolare attenzione a due temi specifici: innanzi tutto, la lotta alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione e, in secondo luogo, il cambiamento climatico e l’energia. La riunione si svolgerà in un clima estremamente stimolante.
La regione dell’America latina e dei Caraibi sta subendo rapidi cambiamenti. Per la prima volta, nel corso degli ultimi cinque anni, il prodotto interno lordo della regione è aumentato in media del 5%. I bilanci pubblici pertanto sono aumentati, il che consente alla regione di affrontare i rischi dell’uguaglianza sociale, che sono ancora significativi. Non va dimenticato che in tale regione più di 200 milioni di persone vivono ancora in povertà. La regione sta altresì diventando sempre più importante a livello internazionale, in quanto produttrice di prodotti agricoli e di biocarburanti.
Tali sviluppi fanno parte del contesto politico diviso tra democrazia, che nella regione è ancora il sistema più diffuso, e una crescente tendenza verso il populismo, e senza dubbio, in alcuni casi, il rafforzamento del potere esecutivo a spese del governo parlamentare e della supremazia del diritto.
Com’è noto, l’Europa è coinvolta a moltissimi livelli. Si è impegnata con la regione a risolvere tali problemi strutturali. L’Europa è ancora il principale donatore per la cooperazione allo sviluppo, il maggiore datore di lavoro straniero. In quanto secondo partner commerciale della regione, l’Europa è all’avanguardia negli investimenti, che sono considerevolmente maggiori rispetto a quelli cinesi. Da quando sono stati introdotti, i nostri accordi generali di associazione con il Cile e il Messico hanno avuto un impatto significativo sulla crescita dei nostri rapporti commerciali. Ci troviamo ora al terzo stadio delle negoziazioni per la firma degli accordi di associazione con la Comunità andina e l’America centrale e tutto indica che avrà luogo a breve. Stiamo lavorando sulla promozione e sul supporto dell’integrazione regionale, condividendo l’esperienza positiva dell’Europa a riguardo.
Analogamente, al momento stiamo negoziando con il Mercosur per esaminare i mezzi a nostra disposizione per sbloccare la situazione attuale. Abbiamo firmato di recente un partenariato strategico con il Brasile, che dovrebbe portare all’avvio di un primo piano d’azione congiunto entro la fine di quest’anno. La regione dei Caraibi è la prima, e finora l’unica, ad aver negoziato con successo un accordo di partenariato economico con l’Unione nel quadro dell’accordo di Cotonou.
Stiamo ovviamente continuando a sostenere la democrazia e i diritti umani in tutta la regione, mediante programmi di cooperazione, così come, ove necessario e solo qualora richiesto, mediante missioni di osservazione elettorale.
Desidero infine sottolineare le priorità del Vertice e dell’immediato futuro. La coesione sociale e l’integrazione regionale, data la loro importanza per la stabilità economica e politica, nonché il multilateralismo, visto che i pregi delle due regioni sono molto simili, devono continuare a costituire le priorità politiche del partenariato UE-ALC. L’obiettivo principale dell’Unione europea per il Vertice di Lima è consolidare il partenariato strategico esistente e portarlo avanti in due aree – coesione sociale e sviluppo sostenibile – che nell’immediato futuro saranno di importanza fondamentale per le nostre relazioni con la regione.
In merito alla coesione sociale, la Commissione europea sta attuando ampi programmi di aiuto e cooperazione volti a ridurre la povertà nella regione. Si sta utilizzando il 40 per cento dei 2,6 miliardi di euro stanziati per la cooperazione e lo sviluppo per i prossimi sei anni, al fine di risolvere i problemi relativi alla coesione sociale.
In merito all’ambiente e al cambiamento climatico, desideriamo cooperare maggiormente con la regione, al fine di far fronte a questa sfida globale. Su iniziativa della Commissione, nel marzo 2008 è stato avviato il primo dialogo ministeriale Unione europea-America latina-Caraibi sull’ambiente, in quanto preludio del Vertice di Lima. Dobbiamo cogliere l’opportunità, che ci viene offerta, di interinare con i nostri partner la relazione esistente tra sviluppo sostenibile e cambiamento climatico, anche se molti paesi dell’America latina dedicano ancora pochissima attenzione ai problemi legati al cambiamento climatico, nonostante il suo impatto negativo e a volte disastroso sulla regione.
Infine, l’Unione europea deve porre l’accento sull’importante ruolo che continua a svolgere nella promozione dell’integrazione regionale e sugli effetti positivi che tale integrazione ha sulla stabilità politica ed economica delle subregioni.
Queste sono le informazioni che ho per il Parlamento e sono naturalmente molto interessato agli interventi che seguiranno.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, andando al di là della mera retorica, ciò che il Parlamento europeo vuole dall’ambiziosa risoluzione che intende adottare domani è passare dalle parole ai fatti, sostenendo l’ordine del giorno di Lima in merito a povertà ed esclusione sociale, tutela dell’ambiente e lotta contro il cambiamento climatico, mediante una serie di misure.
Signor Presidente, desideriamo altresì approfondire gli accordi di associazione – in cui dobbiamo avere fede e in cui dobbiamo credere – con l’Unione doganale del Mercosur, con la Comunità andina e con l’America centrale, affinché possano essere conclusi il più rapidamente possibile, e in modo particolare entro questa legislatura, al fine di consentire all’Assemblea di esprimere il suo consenso obbligatorio.
Desideriamo inoltre esprimere la nostra solidarietà nei confronti di coloro che sono stati rapiti in Colombia, tra cui, naturalmente, Ingrid Betancourt, nonché richiedere nuovamente il loro rilascio immediato e incondizionato.
Signor Presidente, l’America latina ha una popolazione di 600 milioni di persone, costituisce il 10% del PIL mondiale, ospita il 40% delle specie vegetali del pianeta e dispone in abbondanza di ottime risorse umane.
Per l’UE, tuttavia, l’America latina non è solo un mercato, è un continente con una storia condivisa e valori comuni, che, non senza alcune difficoltà, si sono apparentemente consolidati, sebbene non dovunque: libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto.
Questo è il messaggio che desideriamo inviare dal Parlamento europeo e che ripeteremo la prossima settimana all’Assemblea EuroLat di Lima: desideriamo vedere l’istituzione di un’associazione strategica e regionale basata su valori, un’associazione strategica biregionale con un’anima.
Signor Presidente, ritengo che sia un’occasione eccellente per chiedere al Presidente in carica del Consiglio e alla Commissione di compiere qualsiasi sforzo. Il Parlamento europeo contribuirà senza dubbio affinché il Vertice di Lima sia un successo clamoroso e lei, signor Presidente, avrà l’opportunità, a nome di quest’Assemblea, di inviare un messaggio chiaro e ben preciso in merito al nuovo impegno assunto dall’Europa nei confronti dell’America latina.
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, egregia Assemblea vuota, onorevoli colleghi, il 16 e il 17 maggio i capi di Stato e di governo dei paesi dell’Unione europea e dell’America latina si incontreranno a Lima. Per loro sarà un’opportunità per compiere uno storico passo avanti nel dialogo biregionale tra Europa e America latina e per sviluppare una nuova dimensione nelle relazioni tra i nostri due continenti.
Un terzo degli Stati membri delle Nazioni Unite è costituito da paesi europei e latinoamericani. Tale dato da solo dovrebbe indicare agli europei che le relazioni transatlantiche non significano solo relazioni tra Europa e Stati Uniti d’America. Le relazioni transatlantiche significano Europa e America latina, soprattutto! In merito a quasi tutte le questioni importanti che discutiamo in quest’Assemblea, le opinioni dei paesi latinoamericani coincidono con quelle dell’Unione europea.
Nella nostra risoluzione, parliamo delle nostre idee in merito alla coesione sociale e tali idee sono condivise nella loro interezza da tutti i governi latinoamericani, indipendentemente dal fatto che siano guidati dalla destra o dalla sinistra. Parliamo di misure essenziali al fine di proteggere l’ambiente e il clima, il che ha grande risonanza in America latina. Lasciatemi sottolineare en passant che nessuno degli obiettivi inerenti al clima – nemmeno uno – può essere raggiunto a meno che i paesi latinoamericani non si uniscano a noi.
Quando parliamo di riforme delle istituzioni internazionali, della riforma delle Nazioni Unite, del Consiglio di sicurezza, quando noi europei paliamo delle politiche multilaterali come soluzione ai conflitti del XXI secolo, tutti i nostri partner latinoamericani ci offrono un appoggio incondizionato. Quando parliamo della necessità di riformare i sistemi finanziari e tenere sotto controllo i mercati finanziari internazionali, non incontriamo maggiore comprensione di quella offerta dall’America latina. Parlate con un qualsiasi politico argentino, a prescindere dal fatto che sia di destra o di sinistra, e vi dirà esattamente quale politica finanziaria internazionale può provocare il caos in un paese!
Quando, come ieri, parliamo di crisi alimentare e dell’aumento della scarsità di prodotti alimentari e di terreni agricoli per la produzione alimentare a causa della produzione di biomassa, e di come questo sia una conseguenza della politica ambientale, dovremmo parlare con i brasiliani e con i politici latinoamericani. Dedicheremo particolare attenzione a tali problemi. L’aumento della scarsità di prodotti alimentari sta causando un aumento dei prezzi e colpisce duramente i nostri consumatori, ma ancora più pesantemente sono colpiti i consumatori latinoamericani. Quando si tratta di risolvere problemi attuali, l’Europa non trova, fuori dall’America latina, un appoggio maggiore e una risonanza più forte.
A Vienna, in occasione dell’ultimo Vertice, il Cancelliere Schüssel ha affermato, in qualità di Presidente del Consiglio in carica all’epoca,: “E’ stato meraviglioso, eravamo tutti in grado di parlarci l’un l’altro!”. E’ fantastico, ma non possiamo permetterci che sia l’unico risultato di Lima. Dobbiamo ora raggiungere accordi tangibili con i paesi del Mercosur, della Comunità andina e dell’America centrale e portare i negoziati a una conclusione.
Non desidero stendere un velo sui molti problemi esistenti e da risolvere; anch’essi vanno affrontati. Che cosa intendiamo fare con Cuba? Vogliamo mantenere le sanzioni ancora a lungo? La grande maggioranza degli Stati membri dell’UE desidera abolire queste inutili sanzioni. Vi sono alcuni, tuttavia, che non sono a favore. La cosa interessante è che al momento alcuni dei paesi che non vogliono abolire le sanzioni stanno tuttavia espandendo le loro relazioni commerciali con Cuba, il che è difficile da spiegare sul lungo periodo per chiunque. Mettiamo fine a questa politica. Ricordiamoci che portare a un cambiamento incoraggiando relazioni più strette costituisce sempre un approccio migliore rispetto all’isolamento sostenuto da George W. Bush.
Certo, l’onorevole José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra ha ragione quando dice che la FARC deve rilasciare gli ostaggi. La Colombia come paese è un ostaggio del terrorismo più di qualsiasi altro e Ingrid Betancourt deve essere rilasciata così come tutti gli altri ostaggi.
Le relazioni tra Unione europea e America latina potrebbero costituire la chiave per la cooperazione tra due importanti regioni a livello mondiale. Rendere il mondo un luogo più pacifico, adattare le sue istituzioni alle necessità del XXI secolo, affrontare problemi ambientali e alimentari, sviluppare migliori controlli finanziari: tutte queste questioni sono inserite all’ordine del giorno di Lima. Il mio gruppo ritiene estremamente importante incoraggiare il Parlamento europeo a considerare in futuro questa politica molto più prioritaria rispetto a quanto abbiamo fatto in passato.
Josu Ortuondo Larrea, a nome del gruppo ALDE. – (ES) Signor Presidente, una comunità come quella dell’America latina e dei Caraibi, la cui intera popolazione sul continente americano somiglia alla nostra, alla quale possiamo parlare nelle sue lingue – tra le altre: portoghese, francese e spagnolo – merita una considerazione e un trattamento particolari da parte delle istituzioni europee.
Oltre ai legami storici, condividiamo radici cristiane, principi, valori e molti interessi e pertanto dobbiamo continuare ad approfondire l’associazione strategica biregionale già annunciata in occasione dei quattro vertici dei capi di Stato e di governo che hanno preceduto il Vertice di Lima di cui discutiamo oggi.
Ciò significa che possiamo continuare a propiziare un riavvicinamento sociale, culturale e politico tra le nostre società, nonché in termini di commercio, economia, sicurezza e lotta contro il cambiamento climatico e in favore dello sviluppo sostenibile.
Sono d’accordo sul fatto che dovremmo conferire a tale associazione una piena prospettiva strategica, che, subito dopo quelle istituite con il Messico e il Cile, dovrebbero portare quanto prima a negoziati con il Mercosur, la Comunità andina e l’America centrale e, sulla base di una visione multiculturale, permetterci di creare una zona EuroLat interregionale e globale come un modello compatibile con l’OMC che preveda libertà di circolazione delle persone e strutture per il commercio regionale e il libero scambio.
A tal fine, l’Europa deve apportare il suo contributo alla diversificazione e all’ammodernamento dei processi produttivi in America latina tramite piani per il trasferimento tecnologico e la costruzione di capacità, creando il miglior contesto possibile per gli investimenti all’interno di un quadro comparabile di sicurezza giuridica, verso l’integrazione dell’America latina e, quale apice di tale processo, verso l’eliminazione della povertà, della disuguaglianza e dell’esclusione.
Dobbiamo fare un utilizzo intelligente degli strumenti di finanziamento comunitari relativi alla cooperazione, allo sviluppo, alla promozione della democrazia e dei diritti umani e ad altri programmi in relazione a formazione professionale, istruzione, cooperazione tecnica e scientifica, sanità, emigrazione e così via.
Dobbiamo creare un fondo di solidarietà biregionale, un centro per la prevenzione dei conflitti, una fondazione per promuovere il dialogo, un osservatorio per l’emigrazione e aggiungere immediatamente il Mercosur all’Assemblea parlamentare EuroLat.
Il futuro non aspetta, signor Presidente, e unire entrambe le sponde dell’Atlantico costituisce la sfida dell’Occidente nel contesto della globalizzazione e del XXI secolo.
Inese Vaidere, a nome del gruppo UEN. – (LV) Onorevoli colleghi, sebbene le relazioni tra l’Unione europea e l’America latina potrebbero essere definite dinamiche, il nostro potenziale, riguardo alla cooperazione, non è affatto prossimo all’essere pienamente sfruttato. Ora, in merito ad alcune questioni pratiche: l’America latina è in generale ricca di fonti di energia, ma la richiesta aumenterà e richiederà i grandi investimenti necessari. E’ reciprocamente vantaggioso che i diversi Stati latinoamericani – ivi compresi quelli in cui sono state eliminate le restrizioni – abbiano pari opportunità relativamente ai nostri investimenti. Da parte sua, l’Unione europea deve prestare aiuto in ambito tecnologico riguardo all’utilizzo delle energie rinnovabili, dato che il cambiamento climatico costituisce una preoccupazione condivisa. La realtà dei paesi dell’America latina e della regione dei Caraibi è tale che i vantaggi della democrazia in talune occasioni non raggiungono la società nel suo complesso. E’ pertanto estremamente importante trasmettere la nostra esperienza nel rafforzare le istituzioni democratiche. Una regione stabile e sicura con uno sviluppo socioeconomico sostenibile è nel nostro interesse. Una transizione dalla politica dei donatori alla cooperazione tra due partner paritari costituisce sia l’obiettivo che il risultato auspicato del nostro lavoro congiunto. Grazie.
Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ricordare all’Assemblea che stiamo discutendo di un vertice dallo svolgimento dubbio e i cui risultati sono certamente imprevedibili. A mio avviso, nessuno dubita dell’importanza di migliorare le relazioni tra due delle regioni più popolose e più progredite a livello mondiale, quali sono l’Europa e l’America latina.
A giudicare dai risultati dei precedenti vertici, è altrettanto vero, tuttavia, almeno al momento, che ci sono molti fattori non noti all’interno di tale processo. Al di là della retorica, ad esempio, è certo che il contesto delle relazioni tra l’UE e l’America latina, almeno fino ad oggi, ha prodotto scarsi risultati in merito all’integrazione regionale o alla riduzione dei livelli di povertà in America latina.
Tutti noi sappiamo che non è affatto facile ottenere accordi concreti in un forum così vario e con visioni politiche così differenti, quale è il Vertice di Lima. Ciononostante, questo è il motivo per cui ritengo sia importante prestare particolare attenzione ai movimenti sociopolitici della regione, che spingono per un cambiamento delle maggioranze esistenti fino a oggi nel continente americano. Desidero altresì cogliere questa opportunità per congratularmi con il Presidente Lugo per i risultati ottenuti in Paraguay, come esempio di tali tendenze al cambiamento di cui dobbiamo tenere debito conto.
Ammetto di essere estremamente scettico in merito a ciò che può emergere dall’incontro dei capi di Stato di maggio, oltre a ribadire i tre impegni già presi in passato: la lotta contro la povertà e in favore della coesione sociale e dello sviluppo sostenibile.
Sono ancora convinto, tuttavia, che sia importante non farci sfuggire questa nuova opportunità, come è accaduto in passato. Ritengo che due aspetti fondamentali debbano rientrare sia nelle discussioni che nelle conclusioni da esse derivanti. Innanzi tutto, dobbiamo tener presente che gli accordi di associazione tra UE e America latina devono essere non solo completi, ambiziosi ed equilibrati, ma soprattutto contribuire al rispetto dei diritti umani, economici e sociali della popolazione, nonché a uno sviluppo reciproco e sostenibile e alla riduzione delle disuguaglianze. Ciò significa che, in secondo luogo, si deve tener conto delle attuali asimmetrie tra le due regioni, il che si concretizza in un obiettivo specifico: non avanzare verso ciò che alcuni sembrano desiderare e cioè uno spazio di libero scambio delle Americhe sul modello europeo.
Desidero inoltre esortare il vertice a prendere nota di un appello lanciato di recente in quest’Aula riguardo alla lotta contro l’uccisione delle donne, i femminicidi, dato che ritengo che al momento costituisca una delle principali sfide a livello mondiale, nonché nella regione interessata.
Desidero altresì invitare gli organizzatori del vertice, in questo caso le autorità peruviane, e più nello specifico le autorità di Lima, a garantire una partecipazione adeguata della società civile, il che significa, tra le altre misure, che la rete delle organizzazioni civili Enlazando Alternativas possa contare sugli spazi e le strutture di cui necessitano per poter organizzare i lavori e i dibattiti nel quadro del vertice e per avviare effettivamente il dialogo che si invoca ormai da tempo.
Infine, in merito alla Colombia, è evidente l’urgenza di misure importanti e, in alcuni casi, direi persino drastiche. Sono tuttavia tra coloro che ritengono – e siamo in molti a pensarla così – che qualsiasi azione in questo ambito debba essere intrapresa nel tentativo di trovare una soluzione negoziata al conflitto armato. Viceversa, temo che non vi saranno soluzioni o risultati positivi, in particolar modo per le persone che oggi vorremmo vedere libere, nonché per i gruppi che al momento si trovano chiaramente sotto minaccia o in pericolo, a causa di molti fattori, non solo per le fazioni della guerriglia, ma anche a causa di altri elementi.
Willy Meyer Pleite, a nome del gruppo GUE/NGL. – (ES) Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, il quinto vertice ha senza dubbio un ordine del giorno specifico per discutere dell’esclusione sociale e della povertà.
La realtà della situazione, onorevoli colleghi, è che al momento è emersa una risposta popolare a tutte le politiche che hanno impoverito una delle regioni più ricche del pianeta.
Il nuovo atteggiamento della popolazione del Paraguay, con l’elezione del Presidente Fernando Lugo, costituisce la prova più evidente sul campo di tale constatazione, in opposizione alle politiche neoliberali che hanno impoverito il continente.
L’UE deve pertanto tenere conto di tale realtà. Ecco perché riteniamo che vi debba essere una nuova posizione dell’UE in merito alla Repubblica di Cuba in quanto parte di questa nuova realtà.
Signor Ministro, nel mese di giugno avremo l’opportunità di eliminare la vecchia politica dello status eccezionale che l’UE ha mantenuto con la Repubblica di Cuba, l’unico paese al mondo – nel mondo intero – con cui l’UE ha mantenuto tale status eccezionale.
E’ altrettanto vero che, nella realtà bilaterale delle relazioni tra gli Stati membri e Cuba, tale posizione non esiste più. E’ stata distrutta e pertanto ci si presenta una magnifica opportunità per diventare parte della nuova realtà, che l’America latina e i Caraibi stanno attualmente introducendo.
Intendiamo pertanto appoggiare la risoluzione comune. Ritengo che tutti i gruppi parlamentari abbiano raggiunto un importante compromesso per garantire tale accordo. Manterremo senza dubbio due emendamenti, uno dei quali riguarda la Colombia, dato che, conformemente all’approccio delle Nazioni Unite, riteniamo che il conflitto in Colombia vada risolto mediante il negoziato concordato, il negoziato politico. Non esiste altra soluzione al conflitto. A tale proposito desideriamo altresì esprimere la nostra opinione secondo cui la società civile deve partecipare attivamente in quanto alternativa al Vertice dei capi di Stato e di governo di Lima.
Intendiamo parimenti rivolgerci al governo peruviano, affinché faccia tutto ciò che è in suo potere per far sì che si tengano anche gli incontri Enlazando Alternativas della società civile, con le loro critiche e le loro alternative.
Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, l’altro giorno il Commissario Barroso era in missione commerciale in Irlanda. Si rammaricava del fatto che il Presidente Bush avesse incontrato 16 diversi presidenti del Consiglio durante i suoi otto anni di mandato e ha lodato il Trattato di Lisbona per l’istituzione di un presidente comune.
Al momento seguiamo in televisione i confronti tra i candidati di ciascuna parte concorrente, Stato dopo Stato, fintanto che non sarà eletto il presidente americano. Come sceglieremo il nostro presidente? Non verrà eletto! Non c’è nessuna campagna elettorale da seguire in TV; non ci sono candidati alle primarie; non ci sono candidati per i quali votare. In Europa lasciamo a 27 primi ministri il compito di incontrarsi a porte chiuse e di selezionare un politico del passato, un politico come Tony Blair, che non può più essere eletto nel suo paese, o come l’ex cancelliere austriaco, che è stato sollevato dal suo incarico e che potrebbe essere un candidato di compromesso per il Cancelliere Merkel, il Primo Ministro Brown e il Presidente Sarkozy – i tre leader europei che eleggeranno per tutti noi il presidente.
Si incontreranno privatamente a porte chiuse e nomineranno il presidente che invieremo negli USA e in America latina. Il nostro presidente non eletto andrà in Cina e in Russia e criticherà le loro deboli democrazie. Lui – non è in programma nessuna “lei” – potrà essere accompagnato da un presidente della Commissione, a propria volta non eletto, e da un ministro degli Esteri, anche lui scelto, nell’Unione del Trattato di Lisbona, mediante una maggioranza superqualificata di 20 primi ministri su 27.
La democrazia è nata in Europa 2 500 anni fa in Grecia. Come può il Presidente della Commissione lodare un Trattato in cui tutte le funzioni dell’Esecutivo sono scelte a porte chiuse anziché essere il risultato della scelta degli elettori? Troppo spesso troppi paesi hanno inviato a Bruxelles persone di cui si volevano liberare a casa.
Al posto della mancanza di democrazia del Trattato di Lisbona, dovremmo optare per un’Europa delle democrazie e per un’Europa democratica in cui gli elettori votano tutte le persone che serviranno i cittadini europei nei negoziati con gli altri paesi.
A Cork il Commissario Barroso ha affermato che il Trattato di Lisbona avvicinerà l’UE ai cittadini. No, non lo farà! Cancellerà la democrazia parlamentare in 49 nuove aree e ci darà legislazione e rappresentanza principalmente attraverso soggetti che non possiamo eleggere o selezionare. Noi, gli eletti, possiamo essere ascoltati in politica estera, ma nessuno ha bisogno di ascoltare. Noi, gli eletti, possiamo inviare proposte, mediante emendamenti, ai non eletti in Commissione. Noi, gli eletti, possiamo votare contro o a favore del Commissario Barroso, qualora venisse nominato nuovamente da 20 dei 27 primi ministri. Questa non è la ricetta della democrazia che dobbiamo rappresentare in un mondo non democratico.
Signor Presidente, la ringrazio per avermi permesso per 29 anni di esprimere critiche e suggerimenti costruttivi in quest’Aula – l’istituzione meno negativa dell’UE. Questa potrebbe essere la mia ultima discussione con la Commissione e il Consiglio. Dopo 29 anni lascerò il posto al mio successore, Hanne Dahl, e non sarò più un parlamentare nel corso della prossima stagione degli asparagi, a maggio. Addio, asparagi, vino dell’Alsazia, formaggio Munster e mostruoso circo itinerante tra Strasburgo e Bruxelles.
Irena Belohorská (NI). – (SK) Il prossimo Vertice Unione europea-America latina e Caraibi sarà il quinto incontro dei funzionari di grado più elevato di entrambe le regioni. I partecipanti si concentreranno sulle priorità che necessitano di maggiore attenzione: lotta alla povertà, alla disuguaglianza e alla discriminazione, sviluppo sostenibile, cambiamento climatico, ambiente ed energia.
In quanto vicepresidente di EuroLat, desidero parlare dell’ambiente e in particolare delle questioni idriche. Ho preparato un documento di lavoro per l’incontro di Lima, nel quale analizzo lo stato in cui si trova attualmente nell’Unione europea quest’importante risorsa naturale. Nel documento valuto anche l’assistenza dell’Unione europea nei confronti dell’America latina relativamente alle questioni idriche, attraverso un’indagine che elenca molti progetti che rientrano nel campo di applicazione di tali aiuti in aree, quali fornitura d’acqua e strutture igienico-sanitarie, gestione integrata, ricerca, monitoraggio e prevenzione delle catastrofi naturali.
Per concludere, desidero porre l’accento sulla necessità di un approccio globale a tale questione, attraverso cambiamenti sul piano istituzionale e legislativo, nonché mediante innovazioni nel settore idrico. L’accesso ad acque pulite e soluzioni adeguate per lo smaltimento delle acque reflue e le strutture igienico-sanitarie costituiscono importanti precondizioni per la salute pubblica.
Peter Liese (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io desidero fare personalmente all’onorevole Bonde i miei migliori auguri per il futuro. Ciononostante, ritengo che sia decisamente un peccato che si sia sentito obbligato a ripetere i suoi frequenti commenti in merito alle istituzioni nel corso di quest’importante discussione sull’America latina, dato che il tema dell’America latina è importante di per sé, il che è confermato dai dati citati dall’onorevole Schulz. A Lima si incontrerà un terzo dei membri delle Nazioni Unite. Insieme all’America latina, rappresentiamo un miliardo di persone e se riusciamo a raggiungere un accordo, potremo esercitare un’influenza positiva sullo sviluppo mondiale. Data la globalizzazione e le sfide che affrontiamo, in particolar modo riguardo alla Cina o certamente ad altri paesi, è fondamentale che America latina ed Europa cooperino.
Il cambiamento climatico costituirà un tema importante. Come giustamente affermato nelle risoluzioni, saranno i poveri ad essere più duramente colpiti dal cambiamento climatico e a tale proposito parlo per esperienza: io stesso partecipo alle attività di una piccola ONG dell’America centrale e ciò che le persone hanno sofferto laggiù come risultato dell’uragano Mitch e dell’uragano Stan è solo un piccolo assaggio di quello che ci possiamo aspettare, se non riusciamo a tenere sotto controllo il cambiamento climatico. E’ positivo che al riguardo ci troviamo d’accordo su così tanti punti.
Vi sono alcuni punti, tuttavia, in merito ai quali non abbiamo ancora raggiunto un’intesa. In quest’Aula, la grande maggioranza ha votato a favore dell’inclusione dell’aviazione nello scambio di emissioni. Il Vicepresidente Barrot ne è a conoscenza e su questo tema si è espresso in termini estremamente critici. Il resto del mondo ha tentato di bloccare questa mossa attraverso l’ICAO, che purtroppo comprende l’America latina. Ritengo che ciò dovrebbe essere oggetto di discussione a Lima. Se vogliamo cooperare nella lotta al cambiamento climatico, i paesi dell’America latina devono assumersi un ruolo costruttivo.
Infine, desidero aggiungere qualche parola in merito a Cuba. L’onorevole Schulz ha affermato che non dovremmo perseguire la stessa politica del Presidente Bush, ma noi non l’abbiamo mai fatto. Non abbiamo mai applicato il tipo di sanzioni economiche – sanzioni che colpiscono la popolazione cubana – imposte dall’America. Ciò che abbiamo fatto, in passato, è stato rendere prioritario il garantire che i nostri partner, l’opposizione democratica, fossero presenti nel dialogo.
A Oswaldo Payá e alle Damas de Blanco è stato conferito il Premio Sacharov e non possiamo semplicemente tornare alle “solite faccende”, se le Damas de Blanco non sono ancora riuscite a riceverlo e, come è accaduto solo lo scorso fine settimana, alcune di loro sono state arrestate nuovamente. Non dobbiamo dimenticare i nostri partner nel dialogo con Cuba.
Luis Yañez-Barnuevo García (PSE). – (ES) Signor Presidente, innanzi tutto desidero esprimere il mio appoggio al presidente e portavoce del nostro gruppo in merito a tale questione, l’onorevole Martin Schulz. A mio avviso, le relazioni tra UE e America latina sono quelle più importanti e con il maggiore potenziale futuro, che l’UE possa intrattenere, per le dimensioni, come è già stato affermato in quest’Aula, per i valori condivisi nel sistema multilaterale dell’ONU, nonché per l’evoluzione dell’America latina, in termini di crescita economica e riduzione della povertà.
Sono tutti paesi democratici, ad eccezione di Cuba. Per gli altri 49 paesi, il Vertice di Lima rappresenta un’ottima opportunità per esortare le autorità cubane ad avviare un processo pacifico di transizione verso la democrazia attraverso il dialogo, nonché un’opportunità eccezionale per istituire una sincera alleanza strategica e sostenibile.
Infine, per evitare di cadere in tentazioni romantiche tipicamente europee relativamente a terrorismo e organizzazioni che, come la FARC, oggi non sono più romantici gruppi paramilitari degli anni Settanta, bensì narcoguerriglie, si potrebbe invitare tali gruppi ad abbandonare una volta per tutte la violenza, unilateralmente e incondizionatamente.
Renate Weber (ALDE). – (EN) Signor Presidente, ritengo che anche i diritti umani e i diritti delle donne siano da considerare altamente prioritari nelle relazioni tra Unione europea e America latina. Desidero attirare l’attenzione su una particolare situazione in Nicaragua. Il divieto di aborto terapeutico, imposto legalmente nel 2006, ha già avuto conseguenze tragiche sulla salute delle donne e su tutte le vittime di stupro, tra cui una bambina di nove anni o una bambina paraplegica di dodici, obbligate a portare a termine la gravidanza, sebbene fossero in gioco le loro stesse vite.
Gli avvocati e i difensori dei diritti umani, inoltre, si trovano essi stessi oggetto di indagini penali per istigazione a commettere reati, soltanto perché sfidano questa normativa disumana o perché difendono i medici. Tutto ciò è inaccettabile e l’Unione europea non può permettersi di restare in silenzio.
La scorsa settimana, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato una risoluzione sull’accesso a un aborto sicuro e legale in Europa, il che significa che in Europa ci prendiamo cura delle donne. Tuttavia, se vogliamo convincere i nostri cittadini che i diritti umani sono valori che custodiamo gelosamente, dobbiamo dimostrare che non applichiamo norme diverse per quanto riguarda i partner con i quali sono in corso i negoziati di accordi.
Liam Aylward (UEN). – (EN) Signor Presidente, l’importanza strategica del partenariato tra Unione europea e America latina e Caraibi è di estrema rilevanza. Sin dagli anni Sessanta, l’Unione europea e la regione dell’America latina e dei Caraibi hanno allacciato legami politici ed economici sempre più stretti.
L’UE è oggi il maggiore donatore di aiuti a tali paesi ed è il secondo partner commerciale più grande della regione dell’America latina e dei Caraibi. La maggioranza di tali fondi europei è destinata a progetti per la promozione della coesione sociale e della lotta alla povertà. Insieme, in quanto organismi politici democratici, stiamo lavorando su una serie di questioni di importanza reciproca, tra cui: l’impegno dedicato alle questioni energetiche e ambientali di crescente importanza, ivi compresi il cambiamento climatico, attraverso il Gruppo di Rio, la collaborazione in molti progetti volti a promuovere la risoluzione di conflitti, lo Stato di diritto, la democrazia, il buon governo e i diritti umani e l’instaurazione di legami più forti tra i nostri due raggruppamenti riguardo all’istruzione di terzo livello.
I nostri legami politici, economici e sociali devono continuare a crescere. Detto ciò, tuttavia, esistono ancora differenze palesi. Ritengo che l’UE abbia preso la decisione giusta in merito all’importazione delle carni brasiliane e che in futuro tutte le importazioni alimentari verso l’Unione europea debbano conformarsi sempre agli stessi identici standard, applicati al settore alimentare e agricolo europeo. Vi deve essere sempre un livello di riferimento in merito alle norme che si applicano alle importazioni alimentari dell’UE – a prescindere da dove provengano – e ai prodotti fabbricati nell’UE.
Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, già in un’altra occasione ho sostenuto quanto sia una scelta strategica per l’Europa un partenariato privilegiato con l’America Latina, per la chiara convergenza di principi, valori, cultura e interesse.
Per questo prossimo incontro, cercando di andare oltre le numerose e ridondanze contenute nella risoluzione, credo sia importante sottolineare che entrambi i partner continentali hanno interesse affinché si rafforzi l’interscambio di risorse - semilavorati - produzioni ad alta tecnologia, con criteri di mutuo interesse senza che asimmetrie finiscano per dare vantaggi ad altri possibili partner commerciali.
Ritengo che questo sia utile ad entrambi i continenti, grazie anche alla maggior sensibilità in tema di sviluppo sostenibile che indiscutibilmente si può ascrivere alle strategie europee, rispetto ad esempio a quelle degli Stati Uniti e della Cina. Anche la grande esperienza europea in tema di organizzazione e sviluppo sociale può rappresentare un importante valore aggiunto nell’interscambio bilaterale, di qui, ad esempio, la necessità, a mio parere, di rafforzare l’impegno per la creazione dell’EULAC.
Alojz Peterle (PPE-DE). – (SL) Gli eventi che si svolgeranno a Lima in aprile e maggio sulla linea parlamentare e governativa devono rafforzare la dimensione meridionale della cooperazione transatlantica. Per lo sviluppo del partenariato strategico tra America latina e Unione europea è fondamentale che si svolga in una situazione politica, economica e sociale stabile. Ecco perché, dati i numerosi obiettivi che accompagnano i nostri sforzi, ritengo che sia della massima importanza che le nostre azioni siano dirette innanzi tutto verso due obiettivi fondamentali. In primo luogo, verso il sostegno a una crescita economica sostenibile – sono lieto che ormai da molti anni l’America latina attraversi un periodo di crescita economica; in secondo luogo, verso il rafforzamento regionale e interregionale.
Ritengo che al momento l’America latina si trovi di fronte alle stesse sfide affrontate dall’UE nel corso dei primi anni di attuazione della metodologia comune. Sono pertanto convinto che in effetti l’esperienza dell’Unione europea sarebbe decisamente di esempio ai tentativi del loro continente per conseguire una cooperazione regionale e interregionale di maggiore qualità, ivi compreso il raggiungimento di un nuovo dinamismo. Reputo la parola “dinamica” estremamente appropriata – conosciamo le difficoltà che il Mercosur ha incontrato all’inizio e che, di fatto, continua a incontrare.
Onorevoli colleghi, ho avuto l’opportunità di assistere alla scomparsa dei ghiacciai in Patagonia. Si tratta di un processo molto conosciuto anche nel nord Europa e ritengo che si potrebbero verificare alcuni sviluppi e/o conseguenze imprevedibili di tali eventi sempre più rapidi, che richiederebbero molta più cooperazione nonché una solidarietà notevole e mi auguro che l’incontro al Vertice di Lima prenda in considerazione tali possibili eventi.
Manuel António dos Santos (PSE). – (PT) Signor Presidente, la cooperazione tra l’Unione europea e l’America latina è stata un successo. Con la creazione dell’Assemblea parlamentare UE-America latina, dispone ora di un suo quadro specifico, dando nuovo slancio e stimolo. Direi che si tratta della prima fase dell’integrazione dei membri del Parlamento dell’America latina e di quest’Assemblea. Mi auguro che noi, membri del Parlamento europeo, ci assumeremo tale responsabilità e adotteremo la dichiarazione comune in questione, affinché questo possa servire da tabella di marcia per il Vertice dei capi di Stato e di governo.
Poiché non dispongo di molto tempo per esporre le mie ragioni, appoggio quanto affermato dal presidente del mio gruppo politico, l’onorevole Martin Schulz. Sebbene sia pienamente d’accordo con lui, mi sento in dovere di illustrare due punti minori: il primo riguarda il fatto che l’Europa ha la specifica responsabilità di risolvere i problemi in Colombia. L’Europa deve impegnarsi appieno nella questione colombiana e contribuire a garantire la stabilità in tale paese. Deve altresì trovare rapidamente una soluzione al fine di normalizzare le relazioni tra l’Unione europea e Cuba. Il perdurare dell’attuale situazione non ha senso. Dobbiamo avanzare in uno spirito di progresso e cooperazione.
Francisco José Millán Mon (PPE-DE). – (ES) Signor Presidente, l’America latina condivide con l’Unione europea molti principi e valori grazie a stretti legami storici, umani e culturali. Siamo, per così dire, partner naturali.
Il Vertice di Lima deve rafforzare la nostra associazione biregionale con l’America latina e i Caraibi in tutti i settori e deve incoraggiare la concertazione al fine di affrontare insieme sfide globali, dal cambiamento climatico al narcotraffico o al terrorismo.
Uno dei problemi più gravi in America latina è la disuguaglianza sociale. Dobbiamo assistere i paesi a tale riguardo e mi auguro che l’ordine del giorno di Lima per l’eliminazione della povertà sia ambizioso, sebbene, ovviamente, la volontà politica dei governi interessati sia insostituibile.
Un fattore fondamentale nella lotta alla povertà è la crescita economica, che è facilitata dagli investimenti privati. Gli investimenti, tuttavia, necessitano di quadri giuridici stabili e sarei lieto qualora dal Vertice di Lima derivasse un impegno in merito alla sicurezza giuridica. L’America latina non deve far scappare gli investitori stranieri, poiché, nell’era della globalizzazione, essi non avranno difficoltà a trovare altre regioni in cui investire.
Al fine di rafforzare le relazioni biregionali, tra cui quelle economiche e commerciali, è necessario accelerare i negoziati degli accordi di associazione con i paesi dell’America centrale e della Comunità andina. Se tutto procede secondo i piani, il Vertice di Lima contribuirà anche a sbloccare i negoziati con il Mercosur. Gli accordi con Cile e Messico dovrebbero fungere da stimolo. Mentre siamo in argomento, desidero dire che è necessario prendere in considerazione di elevare a status strategico l’associazione del Messico con l’UE.
In vista della creazione di legami umani ed educativi più stretti, mi auguro inoltre, onorevoli colleghi, che Lima incoraggi il cosiddetto spazio di insegnamento superiore, lo spazio comune di insegnamento superiore, e che continui a compiere progressi in termini di cooperazione tra le università nonché di riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche.
Il vertice in questione deve altresì approvare la Fondazione euro-latinoamericana, una sorta di gruppo di esperti per lo sviluppo di relazioni biregionali, che offrirebbe al nostro partenariato la visibilità di cui necessita, dato che purtroppo in Europa non è molto noto.
Mi auguro, infine, che dal Vertice derivi un rinnovato impegno nella democrazia pluralista e nel rispetto dei diritti umani, conformemente al concetto profondo, condiviso dalle due sponde dell’Atlantico, di dignità umana. La figura del prigioniero politico, signor Presidente, deve essere eliminata completamente in America latina, e a Cuba, e si deve porre fine alla violenza contro i dissidenti.
Małgorzata Handzlik (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, i vertici Unione europea-America latina e Caraibi svolgono un ruolo significativo nella definizione e nel rafforzamento della direzione del partenariato strategico tra le nostre regioni. L’imminente Vertice di Lima fornisce un’ulteriore opportunità per approfondire il dialogo in merito a questioni di importanza fondamentale per entrambe le regioni. Sono pertanto lieta di notare che il vertice si concentrerà principalmente su questioni vitali per garantire il perdurare del benessere delle nostre società e per contribuire a una crescita economica stabile.
Da un lato, il Vertice tratterà questioni riguardanti la coesione sociale, segnatamente la povertà, la disuguaglianza, la discriminazione e l’esclusione sociale. Desidero sottolineare che, secondo le stime del 2007 della Commissione economica per l’America latina e i Caraibi dell’ONU, il 36,5 per cento della popolazione della regione vive in povertà, mentre il 13,5 per cento vive in estrema povertà. Negli ultimi anni i dati indicano un miglioramento, ma il problema richiede ancora l’impegno di molti partner, tra cui sono annoverati gli Stati membri dell’Unione europea.
D’altro canto, le questioni relative a sviluppo sostenibile, tutela dell’ambiente, cambiamento climatico ed energia rappresentano sfide aventi un impatto crescente sul funzionamento di entrambi i continenti. E’ fuori questione, pertanto, che vi sia la necessità di stabilire priorità e modalità di collaborazione comuni al fine di rispondere efficacemente ai prossimi cambiamenti. E’ particolarmente importante riconciliare la crescita economica con i principi di sviluppo sostenibile. Si tratta senza dubbio di una sfida molto ardua, in modo particolare nel caso delle economie in via di sviluppo e di quelle che stanno subendo un cambiamento.
E’ altresì necessario tener presente che la cooperazione tra l’UE e l’America latina e i Caraibi trascende le due principali aree da trattare in occasione del Vertice di Lima.
Desidero sottolineare anche che la seconda sessione ordinaria dell’Assemblea parlamentare euro-latinoamericana si terrà a Lima alla vigilia del Vertice. Il coinvolgimento del Parlamento europeo rafforzerà senza dubbio il partenariato strategico tra le nostre regioni. Attendo, pertanto, con grande interesse i risultati e la dichiarazione finale del quinto Vertice Unione europea-America latina e Caraibi.
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, sono lieto che in occasione del Vertice Unione europea-America latina e Caraibi, i governi avvieranno il dialogo in merito a questioni fondamentali. L’onorevole Małgorzata Handzlik ha appena sottolineato che è molto importante che anche i parlamenti siano sempre più coinvolti in tale dialogo intercontinentale e che contribuiscano al processo.
A mio avviso, è importante soprattutto che vi siano contatti più intensi tra gli europei e i cittadini dell’America latina e dei Caraibi. Non si tratta solo degli imprenditori e dei turisti, ma soprattutto dei giovani, che devono svolgere un ruolo importante. Abbiamo bisogno di loro se desideriamo davvero instaurare relazioni migliori.
Nell’Unione europea abbiamo acquisito una preziosa esperienza grazie ai programmi di scambio degli studenti tra gli Stati membri e tale sistema deve ora intensificarsi anche nelle nostre relazioni con l’America latina e i Caraibi.
Abbiamo bisogno dei giovani per poter trovare, in futuro, soluzioni attuabili e sostenibili a molte delle importanti questioni che ci troviamo ad affrontare.
Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signor Presidente, l’America latina è un continente in mutamento. I cambiamenti si stanno verificando in modo costante e in particolare sono avvenuti due cambiamenti importanti negli ultimi mesi o settimane o giorni.
Il primo è costituito dalla politica di Cuba relativa al trattamento dei suoi cittadini dal punto di vista economico e sociale; mentre il secondo è stato causato dalle elezioni in Paraguay, che sembrerebbero promettere un governo completamente diverso.
Di fronte a tali situazioni e cambiamenti, come hanno reagito il Consiglio e la Commissione al fine di tener conto di tali sviluppi e della possibilità di influenzare questi due paesi?
Ewa Tomaszewska (UEN). – (PL) Signor Presidente, i paesi dell’America latina hanno intrapreso riforme pensionistiche di ampia portata con un significativo coinvolgimento della Banca mondiale. La crisi demografica europea ci suggerisce di valutare se siamo soddisfatti delle disposizioni giuridiche che promettono un accordo relativamente positivo, nonostante l’incertezza in quanto all’esistenza di un supporto finanziario sufficiente a consentire di mantenere tali promesse. Tenendo conto delle diverse esperienze in proposito da parte di entrambi i continenti, potrebbe valere la pena lavorare insieme mentre valutiamo come affrontare il problema. Ci occorre trovare un modo che consenta alle persone di età avanzata di condurre una vita dignitosa, sebbene spesso non siano in buona salute e si trovino pertanto impossibilitati a continuare a lavorare, nonostante l’impatto economico della crisi demografica.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE). – (PT) I parlamenti dell’America latina e dell’Europa sono fondamentali per il successo di questo vertice. Sono essenziali anche per raggiungere i due obiettivi principali e cioè l’integrazione dell’America latina e la cooperazione tra Unione europea e America latina, sulla base dei valori difesi in quest’Assemblea e in particolare su quelli evidenziati dal presidente del mio gruppo politico.
Signor Presidente, devo tuttavia porre l’accento su un altro aspetto e cioè sul fatto che tale cooperazione e la sua efficacia sono importanti non solo per i due continenti dell’America latina e dell’Europa, ma anche, dati i valori difesi in tutto il mondo da questi due raggruppamenti, per il contesto globale. Attraverso tale cooperazione, i risultati non raggiunti tramite gli obiettivi di sviluppo del Millennio, tramite il multilateralismo e il perseguimento di quei valori guida dell’integrazione europea e del progetto europeo possono essere conseguiti in tutto il mondo. E’ questo aspetto globale che, a mio avviso, giustifica un maggiore impegno da parte di tutti noi, in particolare da parte dei parlamenti.
Gabriela Creţu (PSE). – (RO) Le condizioni storiche, sociali e politiche dell’America latina hanno messo le donne in una posizione doppiamente difficile: da un lato, esse sono di solito responsabili della produzione economica, soprattutto in ambiente rurale.
Dall’altro, sono le vittime predilette di deportazioni coatte ed espropriazioni, tratta di essere umani, violenza, sfruttamento sessuale e controllo pubblico sulla capacità riproduttiva.
In tali condizioni, adottare un approccio di genere non è solo auspicabile, ma necessario. Per tale ragione, chiediamo il vostro appoggio per un emendamento orale a sostegno del rafforzamento della posizione delle donne e del rispetto dei loro diritti.
PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO Vicepresidente
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Ho ascoltato molto attentamente la discussione sui preparativi del Vertice UE-ALC e ritengo che sarà di notevole aiuto per preparare e condurre l’incontro in questione. L’onorevole Salafranca ha affermato che la cooperazione tra i paesi dell’Unione europea e dell’America latina e dei Caraibi deve passare dalle parole ai fatti. Non potrei essere più d’accordo; tuttavia, desidero aggiungere che ciò sta effettivamente accadendo. Gli incontri al vertice UE-ALC non sono solo eventi in cui vengono formulate dichiarazioni eloquenti e annunciati grandiosi progetti che non si materializzano mai. Questi incontri sono avvenimenti in cui si prendono impegni che vengono effettivamente mantenuti.
A tale proposito, desidero menzionare diversi punti. La relazione sulla cooperazione biregionale tra i paesi dell’Unione europea, dell’America latina e dei Caraibi, presentata dalla presidenza comune in occasione del precedente quarto incontro al vertice di Vienna, costituisce la prova dei progressi sostanziali compiuti ad oggi nell’effettiva attuazione degli impegni presi. Desidero anche menzionare quasi 400 misure biregionali per l’attuazione degli impegni assunti a Guadalajara, nonché il nuovo elenco che è stato preparato in merito all’attuazione degli impegni presi al Vertice di Vienna del 2006. Ci auguriamo che il Vertice di Lima costituisca un ulteriore passo avanti verso l’accettazione e l’attuazione degli impegni presi.
Numerosi membri del Parlamento europeo, tra cui, tra gli altri, gli onorevoli Schulz, Meyer-Pleite, Liese, dos Santos e molti altri, purtroppo non posso nominarli tutti, hanno menzionato la questione cubana. Desidero far presente che il Vertice di Lima non sarà il Vertice UE-Cuba, né tanto meno un vertice su Cuba. Tuttavia, dato che è stata data voce a così tante opinioni, vorrei soffermarmi solo su un paio di punti fondamentali.
In futuro la politica dell’Unione europea, del Consiglio europeo e della Presidenza europea nei confronti di Cuba sarà regolata dai seguenti documenti: la piattaforma comune dell’Unione europea per il 2006 e le conclusioni dello scorso anno del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”. Questi due documenti rappresentano le linee guida fondamentali per tutti gli Stati membri e l’atteggiamento da tenere nei confronti di Cuba, nonché per i colloqui su Cuba con paesi terzi. Desidero aggiungere che il fulcro della politica dell’Unione europea riguardo a tale paese è costituito dai diritti umani.
La sessione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” di giugno costituirà un’altra opportunità per discutere di Cuba. Desidero aggiungere che la Presidenza slovena sta compiendo gli sforzi necessari all’adozione di una nuova piattaforma comune in occasione di tale appuntamento. Ci auguriamo che i nostri sforzi vadano a buon fine. Come affermato in precedenza, tuttavia, questo non sarà oggetto di discussione al Vertice di Lima di maggio, che sarà invece un incontro tra i paesi dell’Unione europea e dell’America latina e dei Caraibi in generale.
Per concludere, vorrei dire che è desiderio della Presidenza slovena che l’incontro al vertice imprima un ulteriore slancio o, per parafrasare l’onorevole dos Santos, che generi nuovo dinamismo nelle relazioni tra l’Unione europea e l’America latina e i Caraibi. Sono convinto che, con dibattiti come questo, il Parlamento europeo possa contribuire al raggiungimento di tale scopo.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevole Salafranca, posso affermare che la Commissione ha compiuto tutti gli sforzi possibili per far sì che il vertice in questione sia un vero successo. Come ha sottolineato l’onorevole Schulz e come ha affermato poc’anzi il signor Ministro, Lima deve costituire una vera opportunità per dare un deciso impulso alle relazioni tra America latina ed Europa.
Come hanno evidenziato molti di voi, tra cui l’onorevole Schulz, condividiamo numerosi valori. Esiste un sostegno comune al multilateralismo e vi è senza dubbio la necessità di una stretta cooperazione tra i paesi dell’Unione europea e dell’America latina, se desideriamo che si senta la nostra influenza in un’organizzazione globale potenziata. Se vogliamo la riforma delle principali istituzioni internazionali, la otterremo solo attraverso un accordo di portata piuttosto ampia tra America latina e Unione europea. Non esistono altre regioni al mondo con cui stiamo lavorando così strettamente a livello multilaterale come con l’America latina.
Signor Presidente, desidero ora rispondere brevemente a qualche domanda. La prima riguarda gli ostaggi. La Commissione ha ovviamente appoggiato sistematicamente tutti gli sforzi per raggiungere un accordo umanitario in merito al rilascio di tutti gli ostaggi. La Commissione è, com’è ovvio, estremamente sensibile agli interventi che hanno sollevato tale problema.
Desidero aggiungere una parola riguardo a Cuba. Certamente, come affermato dal signor Ministro, Cuba non costituirà la questione centrale dell’incontro di Lima, ma vorrei al contempo far presente che la politica dell’Unione europea è di impegno costruttivo. Non siamo a favore di una politica di isolamento o di sanzioni. Il nostro Commissario, Louis Michel, è stato a Cuba di recente. Siamo preparati a cooperare con questo paese in settori di interesse comune, ma naturalmente il nostro dialogo con Cuba comprende la questione dei diritti umani.
Desideriamo altresì compiere progressi relativamente agli accordi di associazione. Intendiamo compiere passi avanti con il Mercosur. Nel 2009 vogliamo anche giungere a una conclusione con la Comunità andina.
Intendo parlare di alcuni punti che sono stati sollevati nel corso di questa interessantissima discussione. Quello evocato dall’onorevole Belohorská, l’accesso alle risorse idriche, è di estrema importanza e la questione è stata inserita nel progetto di dichiarazione per il Vertice di Lima. La Commissione appoggia in molti paesi i progetti e i programmi per l’accesso alle risorse idriche.
E’ stata altresì menzionata la partecipazione della società civile, che organizzerà due eventi in preparazione al Vertice di Lima: la conferenza della società civile organizzata, ESOSOC, e la conferenza delle ONG, società non organizzate. La Commissione ha fornito a tali conferenze il supporto finanziario e al Vertice di Lima verrà presentata una relazione su di esse.
E’ stata sollevata la questione dei prezzi dei prodotti alimentari ed è vero che l’aumento di tali prezzi colpirà senza dubbio l’America latina, dove più di un terzo della popolazione già vive in povertà. In alcuni paesi, come nel Salvador, la popolazione dipende enormemente dai prodotti alimentari. L’aumento dei prezzi di tali prodotti avrà ovviamente un effetto notevole su una popolazione già oltremodo vulnerabile. Tale questione è senza dubbio legata alla strategia sui biocombustibili. Si tratta di una questione delicata, che varrà senz’altro la pena di discutere.
E’ stata menzionata la condizione delle donne in America latina. La Commissione è estremamente preoccupata per la situazione in questa regione, in modo particolare in Messico e in Guatemala. Siamo del tutto consapevoli di tale condizione e stiamo cercando di combattere il problema. Siamo grati al Parlamento europeo per il lavoro svolto al riguardo.
Le mie risposte non sono esaustive, ma la discussione è stata molto utile e contribuirà senza dubbio a chiarire questo Vertice di Lima. Tale evento ci permetterà di intensificare il dialogo con la regione e di coordinare meglio i nostri sforzi in merito a importanti scadenze internazionali, in particolare per quanto concerne l’ambiente. Per noi si tratta anche di un’opportunità per vedere come possiamo appoggiare le risposte democratiche ai problemi strutturali inerenti alla coesione sociale. Le istituzioni europee necessitano senza dubbio di coordinare i loro sforzi per differenziare l’approccio e adattarlo ai problemi di ciascuno Stato della regione.
Accolgo infine con favore il lavoro di EuroLat. EuroLat, l’Assemblea parlamentare euro-latinoamericana, è stata istituita dopo il Vertice di Vienna del 2006. Ha già apportato un contributo prezioso alla cooperazione con la regione, rafforzando al contempo la volontà democratica di entrambe le parti. A tale proposito, siamo certi che, con i legami speciali con la regione attraverso EuroLat, il Parlamento europeo agirà in modo decisivo per garantire che l’associazione tra l’Unione europea e i paesi nella regione si assumano un ruolo strategico di rilevanza sempre maggiore.
Desidero ringraziare ancora una volta tutti membri che sono intervenuti e che hanno fornito delucidazioni in preparazione al Vertice di Lima.
Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) a norma dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 24 aprile 2008.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Gyula Hegyi (PSE), per iscritto. – (HU) Non è un caso che le foreste pluviali dell’America latina siano definite il polmone del mondo. Il nostro clima, e con esso il nostro futuro, dipende da quanto riusciamo a conservare l’estensione originale di queste foreste pluviali vivificanti in Brasile, Colombia, Ecuador, Venezuela e in altri paesi sudamericani, insieme alla loro biodiversità e alla ricchezza della fauna e della flora. Nella cooperazione tra i paesi dell’Unione europea e dell’America latina, pertanto, è fondamentale porre sempre più l’accento sulla tutela ambientale e su un’adeguata politica climatica. La vorace avidità di profitti, il disboscamento delle foreste pluviali e le coltivazioni per i biocombustibili sono contrari agli interessi fondamentali dell’umanità. Dobbiamo pertanto motivare i nostri amici latinoamericani a porre fine a tali azioni distruttive. Il modo migliore per proteggere queste risorse naturali originali, se non vogliamo disturbare le comunità indigene, è di lasciare che le persone restino in possesso delle loro terre e che continuino con il loro stile di vita. Un elemento essenziale della nostra politica di sostegno e di sviluppo deve essere la difesa reciproca dei requisiti per la tutela ambientale.
3. Negoziati tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America in materia di esenzione del visto (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca in discussione le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sui negoziati tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America in materia di esenzione del visto.
Dragutin Mate, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Desidero informarvi brevemente in merito ai progressi dei colloqui sull’esenzione del visto e sull’ESTA. Per iniziare, desidero dire che, per l’Unione europea, la politica dei visti costituisce una questione di estrema importanza e che, da quando i nuovi Stati membri hanno aderito all’UE, sia la Commissione che tutte le presidenze hanno compiuto sforzi immani affinché tutti i paesi e i cittadini rispettassero le stesse condizioni per entrare negli Stati Uniti d’America e affinché ciascuno di loro venisse inserito nel programma di esenzione dal visto. L’abolizione dei visti significherebbe senza dubbio che tutti i cittadini dell’Unione europea sono uguali.
Quest’anno gli USA hanno avviato talune procedure e hanno aperto le porte al programma di esenzione dal visto. Hanno iniziato con colloqui esclusivamente bilaterali ed è qui che si sono verificati alcuni malintesi. Si sono svolte alcune intense discussioni che noi, la Presidenza, insieme alla Commissione, abbiamo chiarito all’inizio di quest’anno e in seguito a diversi incontri è stato concordato in questo settore un duplice sistema di cooperazione. Tale approccio è stato confermato anche all’incontro del Trio UE-USA, tenutosi in Slovenia il 12 marzo.
“Duplice approccio” significa che la Commissione deve ricevere un mandato per negoziare e giungere a un accordo con gli Stati Uniti d’America in merito a questioni riguardanti l’Unione europea e al contempo che tutti i paesi possono intrattenere colloqui a livello bilaterale in merito a questioni che rientrano nelle competenze degli Stati membri. Il 18 aprile, nella sua ultima sessione, il Consiglio “Giustizia e affari interni” ha anche votato a favore della concessione di un mandato alla Commissione. In questo modo anch’essa è ora in grado di avviare tali colloqui. Ci auguriamo che questa duplice cooperazione sia trasparente. Alcuni Stati membri hanno già avviato i colloqui bilaterali preliminari in merito a come dovrebbero essere tali accordi, sebbene ad oggi non sia stato messo nulla per iscritto. Ci aspettiamo che sia gli Stati membri che la Commissione siano trasparenti, in modo tale da poter poi agire a tale livello.
Accennando brevemente al tema dell’autorizzazione elettronica di viaggio, desidero dire che abbiamo avuto diverse discussioni in proposito. Insieme alla Commissione e alla parte americana, abbiamo tenuto i cosiddetti colloqui esplorativi. Dai dati resi finora disponibili, risulta chiaro che adesso gli Stati Uniti d’America non chiedono alcuna informazione aggiuntiva, che esula dai dati che i passeggeri già forniscono volontariamente per i voli verso gli USA, compilando il modulo I-94, che, per coloro che dispongono di un sistema di visti, è verde. Questo punto è estremamente importante.
Negli attuali colloqui abbiamo altresì stabilito, ed è stato concordato, che tali controlli saranno gratuiti e che l’autorizzazione, una volta concessa, sarà valida per due anni. Quando tale sistema sarà operativo, infatti, i cittadini invieranno via Internet i loro dati alle autorità statunitensi, che in futuro li elaboreranno come già fanno ora.
Vi è anche un altro argomento che merita in modo particolare di essere citato e cioè quello dei colloqui con gli Stati Uniti d’America relativamente al gruppo di esperti di alto livello in merito alla tutela dei dati personali. Ad oggi siamo riusciti a trovare un accordo su dodici principi e abbiamo stabilito che essi sono identici. Un principio è rimasto in sospeso. Mi auguro che per la fine di giugno giungeremo al punto in cui riconosceremo che è possibile proseguire le discussioni e conferire al gruppo di esperti un mandato diverso, al fine di avviare i preparativi per i colloqui sulla possibilità di raggiungere un accordo quadro con gli Stati Uniti d’America in tale ambito.
Perché necessitiamo di tale accordo quadro? Innanzi tutto, desideriamo restare in linea con le risoluzioni adottate dal Parlamento europeo a dicembre dello scorso anno, in cui si esprimeva in modo particolare che tale accordo era auspicabile. Riteniamo, certamente, che l’opportunità di negoziare e di giungere a un’intesa nell’ambito di tale accordo quadro sia possibile solo se in linea con i principi e una volta che sarà stato adottato il Trattato di Lisbona, il che significa insieme a Parlamento, Consiglio e Commissione. Solo un’intesa tra tutti e tre questi enti ci permetterà di ottenere principi comuni e principi comuni d’azione. Al contempo, senza dubbio, una volta che disporremo di tale accordo quadro, continueremo a decidere individualmente caso per caso in merito a qualsiasi scambio di informazioni. L’accordo in oggetto non potrà coprire tutto ciò che seguirà, nel senso che l’attuale situazione è tale che, per ciascun accordo, questi principi vengono sollevati ripetutamente e ripetutamente negoziati in ciascuna consultazione. Se tali principi comuni ci fornissero una base, gli accordi e i trattati concreti si troverebbero senza dubbio in una posizione molto migliore. Signor Presidente, questo è in sintesi tutto quanto avevo intenzione di dire.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Ministro, onorevoli deputati, la troika ministeriale UE-USA nel settore “Giustizia, libertà e sicurezza”, alla quale hanno partecipato a marzo il Ministro Mate e il Vicepresidente Frattini, è stata un’eccellente opportunità per discutere di talune importanti questioni con la nostra controparte americana.
Abbiamo compiuto un passo nella giusta direzione, adottando la dichiarazione ministeriale sull’approccio da assumere per l’introduzione della nuova normativa americana sull’esenzione dal visto. Nel quadro di tale normativa, è necessario che vengano firmati accordi di sicurezza con i paesi che fanno o faranno parte del programma di esenzione dal visto. Gli Stati Uniti hanno notato il duplice approccio necessario nel caso dell’Unione europea, in cui le competenze in tale ambito sono suddivise tra la Comunità e gli Stati membri. Le questioni di competenza nazionale verranno discusse con le autorità nazionali, mentre le questioni che sono responsabilità dell’Unione verranno discusse con le autorità europee. I negoziatori americani hanno altresì appoggiato l’obiettivo comune di garantire quanto prima spostamenti tra Unione europea e Stati Uniti senza l’obbligo del visto.
Al fine di raggiungere tale obiettivo, la Commissione ha proposto un mandato per il Consiglio che gli permetterebbe di avviare i negoziati con gli Stati Uniti. Sono grato al Ministro Mate, che ha presieduto il Consiglio “Giustizia e affari interni” del 18 aprile, poiché grazie all’ampio consenso il Consiglio era disposto ad assegnare tale mandato alla Commissione. Ciò conferma la nostra comune intenzione di voler lavorare e procedere in modo compatto, il che è ovviamente più efficace.
A questo punto la Commissione avvierà quanto prima i negoziati. Siamo già entrati in contatto con le autorità americane. Necessitiamo di compiere rapidi progressi con gli Stati Uniti in merito alle condizioni per il programma di esenzione dal visto, che è di competenza comunitaria. Al contempo, dobbiamo salvaguardare i diritti e le libertà dei nostri cittadini e garantire il più rapidamente possibile l’accesso agli Stati membri. Intendiamo far sì che qualsiasi accordo tra la Comunità e gli Stati Uniti si basi sul principio di reciprocità, sul rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà individuali, tra cui la protezione dei dati e il diritto a una vita privata.
Come appena affermato dal Ministro Mate, nel corso dei negoziati dovremo anche discutere del sistema elettronico per l’autorizzazione di viaggio. Nel quadro del programma di esenzione dal visto, i passeggeri diretti verso gli Stati Uniti via aria o via mare dovranno rispondere on line ad alcune domande prima della partenza. Verrà loro poi rilasciata un’autorizzazione elettronica di viaggio. Desidero sottolineare che tale sistema è già attivo tra l’Unione europea e l’Australia. Gli Stati Uniti ci hanno fornito diverse volte le informazioni per gli accordi sul funzionamento del sistema elettronico per le autorizzazioni di viaggio (ESTA, Electronic System for Travel Authorisation), in modo particolare in occasione della nostra videoconferenza con Michael Chertoff, il Segretario per la sicurezza interna.
Sono ovviamente necessarie ulteriori delucidazioni e io e il Ministro Mate discuteremo ancora di tali questioni con Michael Chertoff quando verrà a Bruxelles a metà maggio. Dobbiamo mantenere la solidarietà tra gli Stati membri in merito all’intera questione. Il doppio approccio funzionerà efficacemente solo se gli Stati saranno completamente trasparenti nei loro negoziati con gli Stati Uniti. Gli USA dovrebbero presentare a breve gli accordi per l’attuazione del protocollo d’intesa con gli Stati membri che li hanno sottoscritti, dato che tali accordi di attuazione sono chiaramente fondamentali e saremo responsabili della loro valutazione.
Infine, in stretta collaborazione con la Presidenza, la Commissione proseguirà il dialogo di lunga data con gli Stati Uniti. Le relazioni tra UE e USA in tale ambito richiedono un partenariato sicuro ed essenziale. La sicurezza dei nostri cittadini esige un’azione congiunta che tuteli i diritti fondamentali. A mio avviso, l’adozione del mandato negoziale costituisce il miglior compromesso possibile. Esso concede agli Stati membri l’arbitrio per negoziare con gli Stati Uniti in merito a questioni che sono una loro prerogativa, quali la cooperazione e lo scambio di informazioni tra i servizi segreti, ma sta senza dubbio a noi garantire che gli spostamenti verso gli USA siano possibili per tutti i cittadini dell’Unione. L’estensione del programma di esenzione dal visto è stata criticata in seno al Congresso americano, ma ritengo che, con l’appoggio del Parlamento europeo e del signor Ministro, saremo in grado di sostenere la posizione dell’Unione europea, che intende restare ferma sulla propria posizione in merito alla parità di trattamento di tutti i suoi cittadini.
Questo è quanto posso dire al Parlamento questa mattina. Ascolterò ora con attenzione i vostri interventi, che forniranno chiarimenti utili per i prossimi negoziati.
Urszula Gacek, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signor Presidente, accolgo con grande favore l’iniziativa intrapresa dal Consiglio e dalla Commissione, in cui verranno stabiliti principi quadro chiari e trasparenti riguardanti accordi bilaterali sugli spostamenti senza l’obbligo del visto tra gli Stati membri dell’Unione e gli Stati Uniti.
All’inizio di quest’anno, alcuni impazienti Stati membri hanno avviato i negoziati con gli Stati Uniti in modo indipendente, senza il consenso dell’Unione. Altri paesi hanno scelto di attendere la regolamentazione dei principi nel quadro dell’Unione, avendo compreso che si sarebbero trovati in una posizione più forte se avessero potuto contare sull’appoggio dell’intera Unione europea. Oggi è stato inviato un messaggio forte agli Stati Uniti, chiarendo che la pressione non deve essere esercitata sui singoli Stati membri per violare i principi comunitari, il che si applica anche a questioni sensibili che ricadono al di fuori degli accordi dell’Unione, quali la pubblicazione dei dati relativi agli spostamenti dei passeggeri. L’elemento significativo è che al momento i singoli Stati membri possono negoziare separatamente con gli Stati Uniti, il che riguarda soprattutto i paesi più motivati a garantire ai loro cittadini spostamenti senza l’obbligo del visto. Tali paesi devono, tuttavia, tener presente la posizione elaborata insieme e basata sul principio di reciprocità, nonché il requisito di informare la Commissione in merito ai progressi dei negoziati.
Fondamentalmente la palla è passata agli Stati Uniti. Esorto gli USA a valutare con attenzione i criteri in base ai quali vengono concessi i visti ai cittadini originari della parte orientale dell’Unione europea. E’ davvero il caso di ritenere che gran parte di questi ultimi siano potenziali immigrati clandestini che non lasceranno gli Stati Uniti allo scadere del visto? Questa, e non la potenziale minaccia alla sicurezza, è in effetti la ragione per cui la grande maggioranza delle domande di visto viene rifiutate. Dopotutto, difficilmente l’Europa orientale costituisce terreno fertile per i gruppi terroristici del fondamentalismo islamico. In passato, i cittadini dell’Europa orientale avevano cercato di abitare illegalmente negli Stati Uniti per motivi economici. Oggi la situazione è molto cambiata. Dall’adesione all’Unione, i cittadini dell’Europa orientale sono stati in grado di lavorare legalmente nella vecchia Europa. Possono pertanto lavorare anche negli USA senza infrangere la legge e senza il timore del servizio immigrazione.
Considerati tali cambiamenti, questi cittadini hanno sempre più difficoltà a comprendere l’atteggiamento negativo degli USA. La posizione assunta dagli Stati Uniti è altresì dannosa per la sua stessa immagine. Ecco perché è anche nell’interesse degli USA portare a termine rapidamente i negoziati e garantire che l’obbligo del visto per i cittadini dell’Unione sia consegnato alla storia.
Claudio Fava, a nome del gruppo PSE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, saluto il Presidente del Consiglio e il Commissario. Salutiamo come gruppo l’approvazione da parte del Consiglio di un mandato negoziale che permetterà alla Commissione di negoziare finalmente l’inclusione di tutti gli Stati membri, ripeto tutti gli Stati membri, il nuovo programma Visa Weaver così come è stato modificato lo scorso anno al Congresso americano.
Allo stesso tempo noi vorremmo esprimere il nostro rammarico per la scelta del governo di Washington, che aveva avviato negoziati bilaterali con i paesi di recente adesione all’Unione europea, una scelta che non è condivisibile sul piano del merito e sul piano del metodo.
Il nostro gruppo ritiene che gli Stati Uniti siano un partner essenziale nella lotta contro il terrorismo, ma allo stesso tempo crediamo che il governo americano debba rispettare la soggettività politica dell’Unione europea e le sue competenze, così come sono fissate nei nostri trattati. Se mi permette, Commissario, lo stesso richiamo andrebbe rivolto anche agli Stati membri dell’Unione europea: sono loro gli interpreti e i custodi di questa soggettività europea.
Vale la pena ricordare, come lei fa fatto, che la politica dei visti, così come la politica di asilo e di lotta all’immigrazione illegale, sono materie di competenza della Comunità europea ed è importante avere sancito attraverso linee rosse del Consiglio questo mandato negoziale che nessun accordo bilaterale può essere negoziato tra un paese membro e gli Stati Uniti su materie di competenza europea, soprattutto quando tali accordi prevedono l’accesso delle autorità americane a banche dati dell’Unione europea.
Alla Commissione chiediamo adesso di lavorare per un accordo, una soluzione globale che preveda l’esenzione del visto per i cittadini di tutti i paesi europei in condizioni di pari dignità e soprattutto di reciprocità.
Sophia in ‘t Veld, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, accogliamo con grande favore tale mandato e ne aspettiamo i risultati. Mi sto altresì chiedendo perché non sia stato fatto negli anni passati e perché sia fattibile ora. Auguriamoci che sia realizzabile.
Accolgo con favore anche la dichiarazione del Ministro Mate, secondo cui l’esenzione dall’obbligo del visto deve essere applicata a tutti i cittadini dell’Unione europea e non a tutti gli Stati membri e c’è una bella differenza. A tale proposito,desidero altresì richiamare la vostra attenzione sul divieto di ingresso negli USA posto alle persone sieropositive. Mi auguro che resterete fermi sulla posizione di eliminare tale divieto. Vorrei inoltre chiedere la vostra opinione in merito alle dichiarazioni di Michael Chertoff riportate questa settimana dal Washington Post, in base alle quali l’esenzione dall’obbligo del visto dipende dal fatto dalla decisione delle compagnie aeree di prendere o meno le impronte digitali. Si tratta di un fattore del tutto nuovo e vorrei conoscere la vostra opinione al riguardo.
Arriviamo poi ai dati PNR. Se i requisiti americani relativi a tali dati vanno oltre quanto al momento indicato nell’accordo UE-USA, che in ogni caso non è ancora stato ratificato, significa che tale accordo decade all’istante? A tale proposito dobbiamo conoscere i contenuti degli accordi di attuazione e mi domando davvero perché ad oggi non disponiamo di informazioni in materia. Mi sembra una situazione bizzarra.
Passiamo ora al sistema elettronico dell’autorizzazione di viaggio e alla protezione dei dati personali. Non posso dire di essere completamente certa che il tutto sia stato organizzato adeguatamente. I 12 principi visionati nel frattempo sono senz’altro buoni, tuttavia, proprio come per le norme del terzo pilastro, la decisione quadro per l’Unione europea in sé, il problema risiede non nei principi, bensì nel relativo lungo elenco di eccezioni. A tale proposito voglio garanzie e non solo principi. Desidero altresì sapere come funzionerà nella pratica prima di decidere semplicemente di trasmettere i dati di tutti ad altri paesi.
Vi è poi la questione della legittimità democratica. Come intendete garantire il controllo democratico? Trovo che la proposta di una commissione di esperti non sia democratica né tanto meno trasparente. A mio avviso, si tratta di un tipico caso di controllo parlamentare.
Mi auguro, infine, che la Commissione e il Consiglio abbiano imparato la lezione e cioè che noi, in quanto Unione europea, siamo molto più forti se siamo uniti, e non divisi, e se, inoltre, risolviamo questioni di questo genere apertamente con l’appoggio parlamentare di quest’Assemblea.
Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, desidero ringraziare vivamente la Commissione per tutti gli sforzi compiuti per garantire parità di trattamento a tutti i cittadini dell’Unione europea alle frontiere statunitensi. Ritengo, tuttavia, che i negoziati riguardanti l’aumento dei requisiti per i visti USA fornisca una chiara indicazione delle limitazioni dell’UE.
Nonostante il pieno sostegno alla Commissione europea, in particolar modo da parte dei paesi che hanno aderito all’Unione nel 2004 e nel 2007, i colloqui hanno subito un tracollo. Gli Stati Uniti devono firmare accordi bilaterali in materia di visti con ciascuno Stato membro a turno, una volta che il paese interessato rispetta solo ed esclusivamente i criteri della normativa americana in proposito. E’ evidentemente semplice per la Commissione ridurre le competenze degli Stati membri. Questo viene fatto a volte mediante i Trattati, altre attraverso consuetudini. E’ molto più difficile che le relazioni con paesi terzi vadano a buon fine. Nonostante tale appoggio significativo al diritto di rappresentanza esclusiva della Commissione, taluni Stati membri hanno optato per negoziati individuali. Il mio paese non è fra questi, ma devo ammettere di non essere affatto sorpreso che abbiano agito in questo modo.
Dimitrios Papadimoulis, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Signor Presidente, rappresentanti della Commissione e del Consiglio, non ci avete detto abbastanza né avete convinto il Parlamento europeo. La scelta degli USA di sottoscrivere accordi separati in merito a una questione di giurisdizione comunitaria costituisce un insulto all’UE e dovrebbe essere descritta come tale. La decisione della Repubblica ceca di sottoscrivere tale accordo costituisce una violazione della giurisdizione comunitaria. Nessuno ha il diritto di fornire dati personali sui cittadini europei agli americani, né a nessun altro, in mancanza di verifica da parte dell’UE e del Parlamento europeo. Ciò va oltre i contenuti del PNR.
Membri del Consiglio, chiedo a voi, pertanto, di prendere nota del fatto che sono coinvolti solo i nuovi Stati membri. Sebbene la Grecia rientri tra i primi 15 Stati membri dell’UE, i cittadini greci necessitano ancora del visto per recarsi negli USA. Dobbiamo porre fine a tutto ciò, ma mediante un unico approccio e non violando la protezione dei dati personali dei cittadini. Vi prego di inserire questo punto nella vostra posizione finale.
Jana Bobošíková (NI). – (CS) Onorevoli colleghi, in Parlamento rappresento i cittadini della Repubblica ceca, che sono stati appena menzionati. La Repubblica ceca ha avviato i negoziati bilaterali sui visti USA da parte di alcuni Stati membri. Sono molto risentita per le critiche ingiustificate della Commissione europea in merito alla politica estera del mio paese. La Commissione è andata oltre le sue competenze effettive con arroganza e ha soppresso il principio di sussidiarietà e uguaglianza dei membri dell’Unione. Lasciate inoltre che vi ricordi che i negoziati bilaterali in materia di visti sono stati semplicemente la reazione della Repubblica ceca alla completa mancanza di risultati da parte della Commissione in merito alla questione dell’esenzione dal visto per i nuovi Stati membri. Onorevoli colleghi, la Commissione dovrebbe rendersi conto che, sebbene sia un organo esecutivo di alto livello, vi sono molti settori in cui deve rispettare la volontà politica del Parlamento e dei singoli Stati membri.
Infine, se la Commissione europea desidera essere un arbitro della sicurezza delle compagnie aeree dell’Unione nell’ambito dei visti USA, non dovrebbe rimproverare quei paesi che compiono sforzi, attraverso lo scambio di informazioni, per ostacolare le intenzioni dei terroristi. Dovrebbe, al contrario, criticare quei paesi che, senza scrupoli, negoziano, tra gli altri, con i rappresentanti della Libia o di Hamas.
Carlos Coelho (PPE-DE). – (PT) Signor Presidente, signor Ministro Mate, signor Vicepresidente Barrot, onorevoli colleghi, il 10 marzo, in quest’Aula, ho espresso i miei timori in merito a tale questione. Ritenevo all’epoca, e ritengo tutt’ora, che gli Stati Uniti abbiano optato per la strategia divide et impera, proponendo accordi bilaterali nel quadro del loro programma per l’esenzione dal visto. Diversi Stati membri, purtroppo, non sono stati in grado di resistere alla tentazione di provare a compiere progressi più rapidi, dimenticando che la politica comune in materia di vista è senza dubbio un’area di competenza comunitaria, così come il loro obbligo al rispetto del principio di solidarietà sancito nel Trattato.
Quando tali Stati membri hanno aderito all’Unione europea, si sono assunti la responsabilità di rispettare l’intero acquis comunitario, concordando di condividere la loro sovranità in merito a questioni comuni per le quali un approccio europeo dovrebbe prevalere. La firma degli accordi bilaterali ha pertanto creato un precedente, che è del tutto contrario allo spirito su cui si basa l’integrazione europea.
Mi congratulo con il Consiglio per il mandato negoziale conferito alla Commissione in data 18 aprile. Dobbiamo impedire che tale processo indebolisca la posizione negoziale europea. In marzo ho sostenuto che sarebbe stato meglio optare per un congelamento degli accordi bilaterali fino alla conclusione delle consultazioni tra la Commissione e gli Stati Uniti. Esorto la Commissione e il Commissario Barrot a non transigere in merito a tale questione di interesse comune. Li esorto a controllare da vicino le iniziative di ciascuno Stato membro, a non esitare a fare ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee in caso di violazione del diritto comunitario, e in particolare a informare questo Parlamento sugli sviluppi di tale situazione e sul livello di solidarietà, o di mancanza di solidarietà, di cui hanno dato dimostrazione i diversi Stati membri.
Martine Roure (PSE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, accogliamo con favore il fatto che il Consiglio abbia finalmente conferito alla Commissione europea un mandato per negoziare con gli Stati Uniti in merito all’inserimento nel programma di esenzione dal visto dei 12 paesi che ne sono al momento esclusi.
E’ un buon segnale che in parallelo siano stati avviati i negoziati riguardo al sistema elettronico di autorizzazione di viaggio e allo scambio di dati. Tuttavia, tale mandato renderà davvero possibile arrestare le con consultazioni bilaterali in favore di un approccio autenticamente europeo? Speriamo che sia così.
Desidero ricordarvi ancora una volta che non è ammissibile alcun negoziato bilaterale in materia di esenzione dal visto, né in materia di scambio di dati con gli USA, come il PNR, e che possono essere considerati solo accordi a livello di Unione europea.
Tale mandato negoziale prevede anche un accordo generale sulla protezione dei dati personali? E’ quanto desidero chiedere, dato che la giurisprudenza americana esclude ancora gli europei e non li tutela. Desidero infine sottolineare che il SIS e il VIS sono stati istituiti a fini specifici e che fornire a paesi terzi l’accesso ai dati contenuti in tali sistemi violerebbe i principi di finalità e di proporzionalità. Ci affidiamo pertanto a voi.
Gérard Deprez (ALDE). – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero fare alcune brevi osservazioni.
Innanzi tutto, accolgo con favore gli sforzi compiuti dal Presidente della Commissione e dagli Stati membri, che il 18 aprile hanno portato all’approvazione di un adeguato mandato negoziale. Tale questione è stata trattata in modo disorganizzato e, oserei direi, gestita di recente in modo disastroso, mentre questa è al contrario una buona notizia per tutti i cittadini europei.
Desidero, tuttavia, menzionare due punti, già sollevati dal Commissario. Signor Presidente, signor Commissario, non è giusto che al momento gli accordi di attuazione negoziati tra taluni Stati membri e gli Stati Uniti non debbano essere affatto trasparenti. Può non essere sorprendente per gli USA, ma è inaccettabile per gli Stati membri. Rivolgo le mie osservazioni in modo particolare alla Repubblica ceca, che eserciterà a breve la Presidenza dell’Unione e che dovrebbe fungere da esempio. Sebbene il mandato negoziale stabilisca norme molto chiare in merito alla protezione dei dati, sono ancora convinto che, riguardo a tale questione sensibile, solo un effettivo accordo transatlantico, e non solo la definizione di 12 principi, ma un autentico accordo transatlantico, idealmente, a mio avviso, supervisionato da un’autorità comune per la protezione dei dati, può soddisfare le esigenze di entrambe le parti, e le nostre in particolare.
Guntars Krasts (UEN). – (LV) La ringrazio, signor Presidente. Desidero cogliere quest’opportunità per esprimere la mia gratitudine alla Commissione europea per rappresentare gli interessi dei nuovi Stati membri nei colloqui con gli Stati Uniti, in merito all’introduzione di un programma di esenzione dal visto. La Commissione ha risolutamente mantenuto tale questione all’interno del suo ordine del giorno. In seguito ai colloqui di marzo tra Unione europea e Stati Uniti, possiamo concludere con soddisfazione che sono state attenuate con successo le possibili situazioni di conflitto con i singoli Stati membri, che hanno avviato colloqui bilaterali con gli Stati Uniti, in merito all’introduzione di programmi di esenzione dal visto. Com’è noto, gli USA hanno mantenuto la posizione per cui avrebbero eliminato i sistemi sui visti solo in colloqui bilaterali con ciascun singolo Stato membro. Dovremmo pertanto accogliere con favore i risultati del vertice di marzo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, in cui è stato raggiunto un accordo sul duplice approccio, che, nella situazione attuale, andrebbe considerato come una soluzione ideale, che neutralizza le potenziali politiche di conflitto. Gli Stati membri, che hanno attualmente colloqui in corso con gli Stati Uniti in merito all’introduzione di programmi di esenzione dal visto, hanno grande interesse nell’accordo raggiunto con gli USA in occasione del vertice di marzo relativo alla riuscita attuazione, entro giugno di quest’anno, del sistema elettronico di autorizzazione di viaggio e al coordinamento della sua introduzione con il sistema europeo in programma. Per tali Stati membri, qualsiasi ritardo significherebbe tirare in lungo l’introduzione dei programmi di esenzione del visto con gli Stati Uniti. Grazie.
Vladimír Remek (GUE/NGL). – (CS) Onorevoli colleghi, i miei elettori in Repubblica ceca si domandano anche se, al fine di concedere un visto, sia accettabile la quantità di dati e informazioni personali richiesto dagli USA per la proclamata lotta al terrorismo. Desidero ricordare al contempo che l’Unione europea non si è dimostrata sufficientemente attiva nel difendere i legittimi interessi dei suoi nuovi Stati membri in merito all’esenzione dal visto USA. Il timore di complicare le relazioni in materia di visti dei vecchi Stati membri dell’Unione ha semplicemente fatto il gioco dei funzionari cechi che badavano ai loro propri interessi.
Sebbene il governo di Praga lo neghi, inoltre, è una coincidenza piuttosto evidente che gli USA siano desiderosi di concedere l’esenzione dal visto ai nostri cittadini proprio quando stanno cercando di ottenere l’approvazione della Repubblica ceca per l’insediamento di una base radar antimissilistica in tale paese. Sebbene sia chiaro che si tratta di una pura coincidenza e che la buona volontà del governo ceco è ricompensata da gesti reciproci da parte degli USA, viene logicamente da sé il sospetto di contrattazioni politiche nella sovranità del paese.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, tutta questa discussione sull’esenzione dal visto tra Stati Uniti e Unione europea a poco a poco inizia a sembrare un’allucinazione. Diversi Stati membri sono riusciti a sottoscrivere accordi bilaterali con gli USA. Per essi è stato più rapido e, ovviamente, più facile che non aspettare un accordo generale con l’Unione europea nel suo insieme. L’America sta legando numerose condizioni all’esenzione dal visto, come parte della lotta al terrorismo. Qual è il problema?
Gli eurofederalisti affermano che la firma di accordi in materia di visti è di competenza comunitaria. Nella precedente discussione su tale argomento, un membro del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e i Democratici europei hanno affermato che ciò che viene definita “solidarietà europea” deve avere la precedenza, il che deve essere spiegato alle popolazioni degli Stati membri interessati, che sono le vere vittime. Apparentemente l’ideologia deve avere la precedenza sulla pratica. E’ responsabilità degli Stati membri, e deve restare responsabilità degli Stati membri, decidere in prima persona chi può entrare nel loro territorio e a quali condizioni, e la politica dei visti ne è una componente essenziale.
Simon Busuttil (PPE-DE). – (MT) La ringrazio, signor Presidente. L’abolizione del visto di viaggio per gli USA costituisce una priorità di estrema importanza per i nostri cittadini e ci sbagliamo se pensiamo che non lo sia. Si tratta di una priorità fondamentale, dato che viaggiare senza visto è più facile, oltre che più economico, per tutti. E’ importante anche perché non possiamo più tollerare l’ingiusta situazione in cui metà dei paesi dell’Unione europea non necessitano del visto per recarsi negli USA, mentre l’altra metà sì. Ci si deve trovare nella condizione di aver bisogno di un visto per andare negli Stati Uniti per apprezzare l’importanza della sua abolizione. Qualsiasi sforzo, in qualsiasi direzione esso sia compiuto, volto ad abolire il visto, è pertanto buono, positivo e da appoggiare, non da criticare. L’importante non è chi riesce ad abolire il visto per i 12 paesi che ancora lo richiedono. L’importante è che sia abolito. Si dovrebbe pertanto porre fine ai giochi infantili tra la Commissione e gli Stati membri su chi è competente per negoziare con gli Stati Uniti. Gergo giuridico a parte, esiste un’unica realtà – la realtà per cui gli USA intrattengono legami bilaterali forti e di lunga data con gli Stati membri ed è ovvio che le discussioni si tengano direttamente con loro. D’altro canto è chiaro che la Commissione ha un ruolo – sì, ha il ruolo di continuare ad aumentare la pressione nella giusta direzione. Al contempo, tuttavia, tutti noi sappiamo che ad oggi gli USA hanno preferito parlare con i singoli paesi e infatti la Commissione non ci è ancora riuscita da sola. E’ pertanto importate che non ci incaponiamo a discutere su chi ha il diritto di negoziare, dato che in tal modo perderemo e verremo divisi, invece di uscirne rafforzati. Ecco perché sono favorevole a un duplice approccio, l’importante è che ci appoggiamo l’un l’altro affinché il visto sia abolito, abolito senza indugio e per tutti i cittadini dell’UE.
Stavros Lambrinidis (PSE). – (EL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci avete presentato l’infame duplice programma di esenzione dal visto, secondo il quale gli USA renderanno l’esenzione dal visto un privilegio e ratificheranno i requisiti speciali da imporre alla Grecia e ai nuovi Stati membri, che dovranno fornire, ovviamente con un timbro europeo di approvazione, ancor più dati sensibili sui passeggeri rispetto a quelli universalmente richiesti in teoria dal PNR. Vi sarà persino l’immediato accesso ai precedenti giudiziari dei cittadini. La vostra risposta è che non si tratta di una questione di competenza comunitaria e che ciascuno Stato membro dovrebbe agire come preferisce. In altre parole, state lasciando la metà degli Stati membri esposti alle brutali minacce per la consegna di dati personali, che gli USA non hanno richiesto all’altra metà degli Stati membri. In ogni caso, è stato Rosenzweig, il sottosegretario di Stato americano, interessato ad affermarlo in modo più plausibile, ma anche più cinico. Lo ha affermato in Senato il 28 febbraio:
(EN) “Gli otto paesi aspiranti […] hanno forti incentivi a impegnarsi nell’attuazione di una serie completa di norme di sicurezza”.
(EL) In altre parole, riguardo ai visti tali paesi sono così disperati che possiamo obbligarli ad accettare qualsiasi cosa.
Signor Commissario, secondo la lettera e lo spirito della politica comune in materia di visti dell’Europa, tuttavia, l’attuale condizione di esenzione o meno dal visto semplicemente non deve essere concessa a tutti; tutti i cittadini ne hanno diritto alle stesse condizioni. Gli USA sono stati abbastanza forti dal punto di vista politico da annientare la politica europea comune. In Consiglio e in Commissione, purtroppo, non avete avuto la volontà politica di fermarli.
Jeanine Hennis-Plasschaert (ALDE). – (NL) Signor Presidente, quando si tratta del programma di esenzione dal visto, le dichiarazioni non sono, detto molto onestamente, rassicuranti e alcune domande hanno già confermato tale supposizione. Le precedenti versioni del mandato della Commissione sono state ulteriormente ridotte. In breve, un risultato scarso. In ogni caso, sei Stati membri, e ora forse anche Malta, hanno firmato protocolli d’intesa con gli americani. Le disposizioni di attuazione non sono ancora note, così come non sono affatto chiare le linee della politica nazionale.
Insieme al misero mandato della Commissione, ho in proposito la seguente domanda: davvero, perché gli Stati membri appartengono all’Unione europea? Esiste ancora quel senso di appartenenza alla Comunità? Possiamo resistere agli americani solo se i 27 Stati membri agiscono nello stesso modo. Noi, in quanto Unione, dobbiamo inviare un segnale forte all’altra sponda dell’Atlantico. Dobbiamo avere il coraggio di trarre vantaggio dalla nostra forte posizione negoziale. Con tutto il dovuto rispetto, ritengo che il comportamento di alcuni Stati membri su questo punto sia inaccettabile. L’argomentazione per cui la Commissione ha compiuto progressi troppo piccoli nel corso degli ultimi anni per gli Stati membri interessati sembra molto valida, ma è sproporzionata quando si tratta del comportamento dimostrato. E’ decisamente tempo di agire per noi stessi e di non lasciare semplicemente tutto agli Stati Uniti. In questo modo, con tutta onestà, l’UE si sta rendendo proprio ridicola.
Marek Aleksander Czarnecki (UEN). – (PL) Signor Presidente, desidero esprimere i miei ringraziamenti alla Commissione europea e in particolare al Commissario Frattini, che purtroppo non è potuto essere con noi oggi. Il Commissario Frattini ha reso estremamente chiaro nel corso dei negoziati che la questione dei visti è di competenza di Bruxelles e che quei paesi che stanno negoziando con gli Stati Uniti stanno violando la solidarietà dell’Unione.
A oggi, 14 degli Stati membri più ricchi dell’Unione, insieme alla Slovenia, si sono avvalsi di tale privilegio, ma tutti gli Stati membri dell’Unione sperano di fare la stessa cosa, soprattutto quelli situati nella parte dell’Europa dalla quale provengo. L’unanimità è una conditio sine qua non per la soluzione definitiva delle questioni legate ai visti a vantaggio di tutti gli Stati membri dell’Unione europea. L’approccio migliore sembra essere l’azione comune attraverso un unico rappresentante, segnatamente il Commissario Frattini. Quest’ultimo ha dimostrato la volontà di lottare per la parità di trattamento di tutti i cittadini dell’Unione. Tale approccio dimostra altresì che l’Unione è in grado di parlare con una sola voce. Ciononostante è spiacevole che taluni Stati membri siano stati pronti a prendere decisioni indipendenti in merito a tale questione e a sottoscrivere protocolli individuali in materia di visti con gli Stati Uniti.
Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, la firma di un accordo tra gli USA e un singolo paese in merito al programma di esenzione dall’obbligo di visto (VWP, Visa Waiver Programme) si rivelerà molto pericoloso. Permetterà agli USA di accedere alle banche dati europee contenenti i dati personali dei passeggeri, i dati fiscali e persino i casellari giudiziari. Gli Stati membri devono fare particolare attenzione a questo proposito, perché sono interessate questioni di giurisdizione comunitaria, come il Trattato di Schengen e la politica europea comune in materia di visti. Ecco perché mi oppongo recisamente all’iniziativa della Repubblica ceca di sottoscrivere un protocollo d’intesa bilaterale con gli USA.
Altri paesi hanno seguito l’esempio della Repubblica ceca: sono già stati sottoscritti protocolli d’intesa da Estonia, Lettonia, Ungheria, Slovacchia e Malta. Reputo insoddisfacenti i chiarimenti e le dichiarazioni della Commissione: non è riuscita a rispondere in merito a cosa accadrebbe qualora vi siano punti in contrasto con le posizioni europee negli accordi già sottoscritti dai paesi sopra menzionati.
Il mio paese, la Grecia, rientra tra i 15 membri dell’UE originali. Sebbene si trovi alle prese con la procedura relativa ai visti, ciononostante non ha seguito questa strada, perché se davvero crediamo, signor Commissario, che nell’UE ciascuno Stato membro possa fare quello che ritiene serva ai suoi interessi, allora non esiste alcuna unione.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). – (HU) Signor Presidente, devo oppormi, a nome dell’Ungheria e degli altri nuovi Stati membri, alle critiche e alle accuse che abbiamo ascoltato in questa sede. I vecchi Stati membri dell’Unione europea lasciano i nuovi Stati membri a loro stessi. La solidarietà europea non funziona – né verso i nuovi Stati membri, né verso la Grecia. Ecco perché tutte queste osservazioni critiche sono incomprensibili. Vi è un’area in particolare in cui la solidarietà nel quadro dell’Unione europea non ha funzionato e continua a non funzionare ed è estremamente importante che tale questione possa forse essere risolta una volta per tutte. Dobbiamo essere in grado di chiarire quali sono le competenze degli Stati membri e quali della Comunità quando si negoziano i regimi di esenzione dal visto. Ci auguriamo che quest’anno l’Ungheria e tutti gli altri nuovi Stati membri godano degli stessi diritti, quali recarsi negli USA senza l’obbligo del visto, come accade per i vecchi Stati membri. L’attuale dibattito dimostra che la solidarietà nel quadro dell’Unione europea non funziona. Grazie per la vostra attenzione.
Adina-Ioana Vălean (ALDE). – (EN) Signor Presidente, a mio avviso è ovvio che l’UE non abbia voce nei negoziati con gli USA. Il duplice approccio è solo una prova dell’incapacità del Consiglio e della Commissione di tutelare i cittadini e gli interessi europei.
Il fatto che gli Stati membri siano lasciati da soli a negoziare bilateralmente con gli USA mette a repentaglio la nostra credibilità e la nostra forza sulla scena internazionale e può andare a discapito dei nostri cittadini, i cui dati possono essere scambiati senza alcun controllo democratico.
Ritengo che gli Stati membri dovrebbero agire all’interno di un quadro europeo e desidero che la Commissione si dimostri determinata e che faccia comprendere ai nostri partner americani che la parità di diritti e la parità di trattamento non sono negoziabili.
L’ETAS che verrà realizzato potrebbe costituire un’evoluzione positiva, dato che le domande di ingresso verrebbero valutate in base a ciascun individuo e non secondo il paese d’origine. Si tratterebbe di un primo passo verso la parità di trattamento.
A prescindere dalla nazionalità, dobbiamo rendere l’Europa senza frontiere interne una realtà e garantire la parità di trattamento a tutti gli europei.
Józef Pinior (PSE). – (PL) Signor Presidente, la questione più importante che dobbiamo affrontare al momento implica il raggiungimento di un accordo con gli Stati Uniti in materia di visti, in cui tutti gli Stati membri dell’Unione siano trattati allo stesso modo. Si tratta di una questione assolutamente fondamentale. La Polonia si affida alla politica europea riguardante tale aspetto. Ritengo che la solidarietà tra tutti i paesi europei rappresentata dalla Commissione europea sia, in questo caso, assolutamente essenziale. Ci auguriamo che tale approccio comporti, in occasione del vertice del 12 giugno, il conseguimento di un accordo riguardante un nuovo regime dei visti, che permetta l’ingresso negli USA a tutti i cittadini dell’UE alle stesse condizioni,.
Desidero esporre un altro punto. Nello sviluppo della politica collegata al regime dei visti, la Commissione europea deve garantire il rispetto dei principi fondamentali dei diritti europei, affinché non venga violata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in merito alle informazioni personali relative al regime dei visti.
Libor Rouček (PSE). – (CS) Onorevoli colleghi, l’argomento principale della discussione di oggi è la parità, la parità di condizioni e la parità di trattamento. Per quanto concerne i visti per recarsi negli Stati Uniti, a circa 20 anni di distanza dal crollo del comunismo e a quattro anni dall’adesione all’UE dei nuovi Stati membri dell’Europa centrale e orientale, le disparità persistono. Tali nuovi Stati membri, insieme alla Grecia, necessitano ancora del visto per recarsi negli USA. Sebbene reputi che questo fatto sia vergognoso, credo anche che dovrebbero essere gli USA a vergognarsi e non l’Unione europea. Dopotutto ci troviamo di fronte a un paese democratico che tratta in questo modo la Polonia, la Repubblica ceca, l’Ungheria così come altri paesi, ma che al contempo li definisce i suoi alleati più prossimi.
Per quanto concerne i negoziati e i rispettivi metodi negoziazione negoziali, concordo pienamente con i miei colleghi, in merito al fatto che l’Unione europea debba parlare con una sola voce. Questo è l’unico modo per ottenere la parità, sia la parità tra gli Stati membri dell’UE, che la parità reciproca tra l’UE e gli USA, tra cui alcuni ambiti, quali lo scambio di dati, la protezione dei dati personali e così via.
Jan Zahradil (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, sono lieto che quanto abbiamo sempre affermato si sia rivelato vero: nessuno ha violato gli obblighi derivanti dagli accordi, la normativa dell’UE o le competenze dell’Unione, e i negoziati bilaterali possono svolgersi parallelamente a negoziati multilaterali o paneuropei. Onorevoli colleghi, sono risentito per il fatto che il mio paese, la Repubblica ceca, sia accusato di mancanza di solidarietà e trasparenza. Ciò non è assolutamente vero. Ottemperiamo agli obblighi derivanti dagli accordi, alla normativa comunitaria e al principio di sussidiarietà in modo accurato e preciso e nella misura necessaria, né di più, né di meno. Desidero altresì chiedere ad alcuni dei miei colleghi di non farci la morale sull’europeismo. Siamo tutti europei allo stesso modo: non ci sono membri più europei o meno europei.
Genowefa Grabowska (PSE). – (PL) Signor Presidente, è senza dubbio il caso che la politica in materia di visti rientri nella politica europea comune ed è mio desiderio ardente che la Commissione si dimostri efficace nel quadro del mandato negoziale concessole. Ci auguriamo che ne esca con un buon accordo, visto che rappresenterebbe un successo comune.
Ad oggi, tuttavia, abbiamo permesso di venire divisi facilmente in merito a tale questione. Gli Stati Uniti hanno ripartito i cittadini dell’UE in due gruppi. Il primo gruppo può definirsi “superiore” e ai suoi membri è permesso entrare nel territorio americano senza alcuna difficoltà, mentre il secondo gruppo è ritenuto inferiore e i suoi membri devono affrontare procedure spesso umilianti al fine di entrare negli USA.
Desidero manifestare la mia ferma protesta contro tale stato di cose e menzionare altresì una situazione che sta acquistando notorietà negli Stati Uniti. La questione dei visti è un fattore di campagna elettorale negli USA. Non è giusto che un candidato prometta, ad esempio, l’aumento dei requisiti dei visti per i miei cittadini, e cioè i polacchi, mirando pertanto all’immane diaspora polacca. Dovremmo impedire che ciò accada.
Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signor Presidente, desidero sapere se la Commissione e il Consiglio garantiranno che l’UE non permetterà, come parte dei negoziati, l’accesso alle banche dati europee, quali il sistema di informazione Schengen e il sistema di informazione visti (SIV). In quanto relatrice in merito al SIV, ho ottenuto un divieto generale al trasferimento di informazioni dalla banca dati SIV a paesi terzi e desidero sapere se tale divieto risulta in qualche modo minacciato.
In secondo luogo, la Commissione e il Consiglio accettano il fatto che percorrere tale vicolo cieco della sorveglianza di massa e della raccolta dei dati personali di tutti – il 99 per cento dei quali saranno completamente innocenti – rischia di distrarre dal cercare di arrestare quello 0,1 per cento, che potrebbe costituire una minaccia terroristica o essere un sospettato appartenente al crimine organizzato?
Oggi, in Italia, uno dei migliori procuratori antimafia ha messo in guardia sul fatto che la mafia sta allungando i suoi tentacoli in tutta Europa, dato che è stata trascurata a causa della mancanza di un’adeguata cooperazione transnazionale e tra i sistemi giudiziari penali. Non si tratta forse della nostra priorità principale? E non ce ne stiamo occupando perché si tratta di una faccenda troppo complicata.
Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE). – (RO) Al momento, la Commissione europea ha aumentato i suoi poteri negoziali in seguito al mandato conferitole la scorsa settimana dai ministri degli Interni degli Stati membri.
Veniamo inoltre da una serie di proficui incontri con i rappresentanti americani, l’ultimo dei quali è stato la troika UE-USA in tema di giustizia e affari interni del 13 marzo.
Ritengo che dovremmo insistere quanto più possibile e quanto prima sui tre principi adottati in tale occasione, in modo particolare sull’obiettivo comune dell’esenzione dall’obbligo del visto.
Sebbene siano stati registrati progressi significativi, in alcuni Stati membri i tassi di rifiuto continuano a crescere.
In Romania, il tasso ha raggiunto il 37 per cento, quasi il 10 per cento in più rispetto allo scorso anno, sebbene nel frattempo il nostro paese sia divenuto un membro dell’Unione europea.
Tale evoluzione, purtroppo, ci separa dall’obiettivo del 10 per cento previsto dal programma di esenzione dal visto.
Al momento solo un’azione concertata di tutti gli Stati membri è in grado di risolvere tale questione di reciprocità relativa ai visti tra UE e USA.
Dobbiamo essere certi che, entro il prossimo vertice UE-USA, la nostra posizione sia uniforme e categorica in relazione all’esenzione dal visto per tutti i cittadini europei, sulla base di un programma ben strutturato.
Ioan Mircea Paşcu (PSE). – (EN) Signor Presidente, è lodevole l’intenzione del Consiglio e della Commissione di sottolineare la loro determinazione nel negoziare con gli USA in merito all’abolizione dei visti per conto di tutti i cittadini europei, così come i passi tecnici preparatori da compiere a tale scopo. E’ tuttavia già emerso un divario tra le consultazioni multilaterali che l’UE è in procinto di avviare, che è probabile richiederanno tempo, e i risultati concreti già ottenuti da taluni paesi europei grazie a negoziati bilaterali con gli USA. In fondo miriamo tutti allo stesso risultato – l’abolizione dei visti per recarsi negli USA. E’ solo che ci troviamo di fronte a una scelta – o attendere che decollino i negoziati multilaterali tra l’UE e gli USA e ottenerla più tardi o entrare in negoziazioni bilaterali con gli USA e ottenerla molto prima. Obbligare i paesi membri dell’UE a scegliere l’opzione meno attraente per il bene di una falsa solidarietà, che molti paesi membri dell’UE non rispettano in merito ad altre questioni molto più importanti – come l’energia ad esempio – è perlomeno moralmente sbagliato, tanto più dato che metà dei cittadini europei sono già esenti dall’obbligo del visto grazie a precedenti negoziati bilaterali con gli USA.
Marian-Jean Marinescu (PPE-DE). – (RO) Ritengo che vi siano relazioni particolari tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. La maggior parte degli Stati membri fa parte della NATO e partecipa congiuntamente al mantenimento della sicurezza in Europa e in altri paesi, qualora necessario, senza che vi siano differenze fra i paesi.
Ciononostante, le differenze esistono quando si tratta di concedere i visti d’ingresso per gli USA, che si fondano su criteri che al momento non sono sufficientemente chiari e trasparenti. Il criterio principale, meno del 10 per cento di visti rifiutati, dipende esclusivamente dai cittadini americani e non dai cittadini che richiedono il visto.
Le istituzioni europee non sono ancora riuscite a portare a termine i negoziati a favore dei cittadini europei. Ciascuno Stato membro deve, pertanto, trovare metodi indipendenti per risolvere la situazione.
E’ positivo il fatto che tali negoziati si siano intensificate nel corso degli ultimi tempi e che non sia possibile che vengano condotti in parallelo dall’Unione europea e dagli Stati membri.
E’ necessario, per tali negoziati, fare riferimento a criteri per il rilascio dei visti. Solo criteri chiari e, in particolare, trasparenti, forniranno ai cittadini le informazioni necessarie prima di presentare la domanda del visto.
Ewa Tomaszewska (UEN). – (PL) Signor Presidente, la decisione di negare un visto dipende ovviamente dai funzionari americani. Far dipendere il diritto di ingresso negli USA dalla percentuale di domande di visto respinte equivale a un ragionamento come il seguente: facciamo quello che vogliamo, niente dipende da noi, ma utilizziamo questo processo per sottoporvi a un trattamento e a procedure umilianti e per obbligarvi ad accettare questo sistema degradante. Tutto ciò è semplicemente inammissibile e dimostra che non esiste alcun partenariato e che, a tutti gli effetti, ci troviamo in una posizione in cui non possiamo influenzare nulla.
Mi auguro, tuttavia, che l’approccio comunitario a tale questione e il ricorso ad altri strumenti derivanti dalle relazioni tra Unione europea e Stati Uniti risultino in un metodo per risolvere tale problema.
Monika Beňová (PSE). – (SK) Accogliamo con favore l’iniziativa della Commissione europea e la consideriamo un passo avanti per rendere i cittadini di tutti gli Stati membri dell’Unione europea tutti uguali, ivi compresi coloro che, nonostante, questo maggio, facciano parte dell’Unione europea da quattro anni, sono ancora soggetti alla rigida politica americana in materia di visti.
Il governo della Repubblica slovacca rientra tra quelli che stanno conducendo colloqui bilaterali con gli Stati Uniti, nella sincera convinzione che, come risultato di tali consultazioni, Washington agisca in modo più rapido e sia più collaborativo.
Sarei pertanto molto lieta qualora, nei circoli europei, si considerassero i negoziati bilaterali della Slovacchia come un passo positivo: complementari alle azioni delle istituzioni europee piuttosto che sostitutivi. Desidero altresì sottolineare che non si tratta del fatto che i nostri governi si sentono trattati ingiustamente: vogliamo che siano rispettati i principi fondamentali della Comunità, fra cui è annoverata l’uguaglianza di tutti i cittadini.
Titus Corlăţean (PSE). – (RO) La Romania è uno degli Stati membri dell’Unione europea i cui cittadini necessitano del visto per entrare nel territorio degli Stati Uniti.
Contrariamente alle azioni di altri paesi, fino ad oggi la Romania ha evitato di avviare negoziati bilaterali con gli USA, sebbene il partenariato concluso con tale paese e la presenza dei contingenti rumeni in Iraq e in Afghanistan le avrebbero dato il diritto di sollecitare la ricerca di soluzioni bilaterali per risolvere la questione dei visti.
Sono a favore di un approccio comune degli Stati membri dell’UE e di un mandato della Commissione europea per trovare celermente una soluzione per l’esenzione dall’obbligo del visto per i cittadini dell’Unione europea, tra cui i rumeni, nel caso degli Stati Uniti.
E’ necessario uno sforzo negoziale effettivo, coerente ed efficace da parte della Commissione europea. Altrimenti, alla fine, in seguito alla pressione esercitata dall’opinione pubblica rumena, che non può essere ignorata, la Romania dovrà trovare una soluzione rapida mediante colloqui bilaterali con gli Stati Uniti, proprio come altri Stati membri dell’Unione europea che hanno risolto il problema dei visti americani senza tenere in considerazione la posizione comune di Bruxelles.
Mi rammarico, infine, per l’assenza del Commissario Frattini, che non può pertanto partecipare alla discussione, dato che avrebbe avuto l’obbligo di lottare per il corretto trattamento e la libera circolazione dei cittadini europei e di quelli rumeni e non di promuovere politiche discriminatorie a discapito dei cittadini rumeni, cittadini comunitari che vivono e lavorano in Italia, molti dei quali correttamente integrati nella società italiana.
Dragutin Mate, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Tenterò di rispondere ad alcuni dilemmi e questioni che sono stati sottolineati in modo particolare. Innanzi tutto, desidero dire che è estremamente importante che in occasione dell’ultimo Consiglio tenutosi il 18 aprile sia stato raggiunto un accordo e che la Commissione abbia ricevuto un mandato per avviare i negoziati. Ciò è estremamente importante, come voi stessi avete ripetuto più volte qui oggi, così che possiamo operare in un determinato modo, nello spirito e affinché tutti i cittadini europei abbiano gli stessi diritti e, certamente, gli stessi doveri.
Dovendo toccare alcuni punti specifici menzionati in precedenza, desidero dire che, all’inizio dei negoziati, come già affermato da uno dei membri del Parlamento, non siamo stati in grado di accettare una strategia che è stata in un certo senso imposta all’Europa. Desidero aggiungere che, quando tale strategia è stata attuata, siamo forse riusciti a resistere alla pressione iniziale. Abbiamo concluso gli accordi, abbiamo trovato un modo per risolvere la situazione, abbiamo raggiunto un duplice approccio di cooperazione per il futuro e, pertanto, in un certo senso, abbiamo chiarito, sia agli Stati Uniti d’America che agli Stati membri dell’UE, come siamo in grado di cooperare e quali sono i limiti di quello che è o non è accettabile.
Desidero in particolare toccare le questioni riguardanti le impronte digitali e, ovvio, i dilemmi che hanno alcuni di voi, membri del Parlamento europeo, innanzi tutto in quanto cittadini dell’UE. E’ imperativo non confondere i due sistemi, ESTA e PNR. Il sistema PNR resterà immutato, identico a come è ora, identico a come è stato adottato e approvato e non riguarda la raccolta delle impronte digitali presso agenzie viaggi o altrove. Tale questione resta immutata e non è né oggetto di discussione, né tanto meno di cambiamenti. Ritengo che ciò sia senza dubbio estremamente importante.
In merito al tema della protezione dei dati e alle attività di un gruppo di esperti di alto livello, desidero dire che da quando sono a capo del Consiglio dei Ministri e presiedo il Consiglio, ho agito, insieme alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, in modo estremamente trasparente. Ho consegnato alle commissioni competenti due relazioni in merito a tale questione e oggi ho tenuto una presentazione riguardante gli attuali eventi, anche dinanzi al Parlamento.
Ritengo che in questa prima fase abbiamo agito in linea con il principio secondo cui individuiamo dove si trovano le difficoltà, le difficoltà comuni, i principi comuni, se ve ne sono, e dove non c’è nulla. Su tale base saremo poi in grado di procedere con ulteriori attività. Nel 2009 verranno avviate altre attività e altri negoziati ed è estremamente importante, a patto che siano avviati, che noi, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione abbiamo una base comune. Questo è l’unico modo per riunire il potere necessario a raggiungere un accordo. Ritengo che anche il vostro Parlamento abbia deciso che tale accordo sia di estrema importanza per tutti noi, al fine di disporre di un ombrello per la protezione dei dati, così che, quando negoziamo un accordo, non dobbiamo tirarlo fuori tutte le volte e questo è il nostro obiettivo. Non si trattava di negoziati relative al raggiungimento di un accordo. Alcuni principi sono stati studiati. Su tali basi vedremo, e già lo sappiamo, che dodici principi sono praticamente identici. Dovessero essere avviate le consultazioni, il principio che risultasse diverso sarebbe certamente parimenti oggetto di negoziato. Mi auguro che i nostri negoziati vadano a buon fine.
Desidero anche sottolineare la questione riguardante la cooperazione tra gli Stati membri, la Commissione e la Presidenza in merito ai protocolli, agli ulteriori colloqui e ai programmi di attuazione. Andrebbe affermato chiaramente che i protocolli non sono accordi. I protocolli d’intesa sono l’espressione della volontà politica di uno Stato che vuole diventare un paese esente dall’obbligo del visto. Essi non contengono alcun elemento che conferirebbe a tale documento lo status di accordo internazionale.
In merito agli ulteriori colloqui e agli accordi di attuazione e/o alle norme di attuazione, intratteniamo relazioni molto intense con gli Stati membri. Diversi giorni fa, ad esempio, ho tenuto colloqui molto aperti con Jan Langer della Repubblica ceca riguardo a tali incontri e a come essi procedono. Ad oggi non vi sono ancora documenti scritti riguardanti i colloqui e le norme di attuazione che gli Stati Uniti d’America offrirebbero a uno qualsiasi degli Stati membri.
A mio avviso, la cosa più importante è che il lavoro degli Stati membri, così come quello della Commissione e della Presidenza, continuino a essere trasparenti. Solo all’interno di tale triangolo, nonché, certamente, nel quadro di alcune aree di cooperazione con il Parlamento europeo, si può trovare il modo adeguato di affrontare la questione. Ritengo, tuttavia, che dovremo lasciare che il Commissario, il Vicepresidente, risponda a diverse questioni che rientrano tra le competenze della Commissione.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, dobbiamo porre rimedio a una situazione ingiusta. Non è possibile avere due categorie di cittadini europei, una che ha l’obbligo del visto e l’altra che ne è esente. Ritengo che sia una convinzione profonda che noi tutti condividiamo.
In secondo luogo, personalmente credo nel potere di negoziati unitari. L’Europa è molto più forte quando parla con una sola voce, con la solidarietà di tutti gli Stati membri. Mi sono permesso, e Dragutin Mate mi è testimone, di sottolineare, in merito a un altro tema, la questione “Cieli aperti”, che in effetti non è affatto similare, parlando in termini relativi, che è stato perché la Commissione disponeva del mandato in un determinato momento che siamo stati in grado di ottenere la prima fase di “Cieli aperti”.
Ebbene, allo stesso modo credo nel potere di negoziati unitari e devo dire, insieme al Presidente Mate, che dovremo davvero lavorare sodo e con grande determinazione.
Desidero aggiungere che, ciononostante, in passato la Commissione ha istituito accordi reciproci con diversi paesi terzi. I nostri accordi ci hanno permesso di ottenere buoni risultati con il Canada, l’Australia e altri paesi, non vi è pertanto alcuna ragione per cui non dovremmo essere in grado di porre fine a tale discriminazione.
Desidero spiegare che mercoledì e giovedì la Commissione disporrà già di rappresentanti a Washington per avviare ufficialmente i negoziati. In altre parole, ciò attesta la nostra determinazione ad attuare appieno tale mandato. Questo è quanto sono in grado di dirvi su questo primo punto.
Desidero ora rispondere alle domande sollevate dall’onorevole Deprez, in particolar modo in merito agli accordi di attuazione. Come il Presidente Mate ha appena affermato, non disponiamo ancora degli accordi di attuazione ed è pertanto molto difficile valutarli. Sarà senza dubbio nostra responsabilità, tuttavia, valutarli successivamente con attenzione alla luce delle disposizioni comunitarie. Aggiungo che saremo trasparenti, in particolare con il Parlamento, in merito alle negoziazioni con gli Stati Uniti, ma anche gli Stati membri – non sto accusando nessuno, nessuno Stato membro – che intrattengono colloqui bilaterali devono rispettare tale dovere di trasparenza. Abbiamo bisogno di fiducia reciproca se vogliamo essere efficaci. Mi sento in dovere di sottolinearlo.
I
Ovviamente, qualora gli accordi di attuazione riveleranno successivamente aspetti che non sono ammissibili dal punto di vista del diritto comunitario, valuteremo come agire, ma agiremo.
In terzo luogo, alcuni di voi hanno sollevato la questione dei dati. Desidero sottolineare con tutto ciò che lo scambio di dati PNR è regolato dall’accordo del 2007 tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. Tali disposizioni si trovano lì e al momento ci vincolano. Non vi è nessuna ragione per cui dovremmo subire intimidazioni da parte dei nostri amici americani. Stando così le cose, ho preso nota en passant dei commenti dell’onorevole Deprez in merito all’idea che alla fine sarebbe senza dubbio utile l’istituzione, forse, di un’autorità indipendente, nel quadro di un accordo transatlantico generale, al fine di monitorare la protezione dei dati.
Ecco alcune precisazioni, ma posso davvero dirvi che il Parlamento sarà certamente tenuto molto al corrente in merito ai nostri negoziati, che la nostra forza derivi da un accordo interistituzionale completo, che dimostri ai nostri amici americani che l’Unione europea ora intende pienamente richiedere un trattamento equo per tutti i suoi cittadini e che lo farà con instancabile determinazione.
(Applausi)
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà nella tornata di maggio a Strasburgo.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Tunne Kelam (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la dichiarazione della Presidenza in merito alla parità di trattamento di tutti i cittadini dell’UE. E’ tempo di conferire alla Commissione un mandato parlamentare al fine di raggiungere un accordo completo in merito al programma di esenzione dal visto UE-USA. L’obiettivo è fornire quanto prima spostamenti sicuri senza obbligo del visto a tutti i cittadini dell’UE, senza eccezioni. Ci aspettiamo inoltre che la Commissione fornisca la massima trasparenza nel corso delle negoziazioni. A questo punto non vediamo perché la parte americana dovrebbe insistere a chiedere la presentazione di dati aggiuntivi. E’ altresì importante che i mezzi elettronici possano essere utilizzati dai cittadini per inoltrare le domande di visto e i dati personali.
Diversi colleghi hanno mostrato irritazione riguardo alle mosse compiute da alcuni Stati membri per accelerare la conclusione degli accordi per l’esenzione dal visto con le autorità americane attraverso consultazioni bilaterali. Questo non è dividere l’Europa. Non dimentichiamo che in pratica tutti i vecchi Stati membri già godono dell’esenzione dal visto, mentre praticamente tutti i nuovi Stati membri mancano di tale opportunità.
I protocolli d’intesa sottoscritti da tali Stati devono essere considerati atti di volontà politica verso l’esenzione dal visto; non si tratta certo di accordi separatisti.
(La seduta, sospesa alle 11.25, è ripresa alle 11.30)
PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO Vicepresidente
4. Tempo delle votazioni
Presidente. − L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.
(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)
4.1. Protocollo all’accordo di stabilizzazione e di associazione CE/Ex Repubblica jugoslava di Macedonia per tener conto dell’adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania all’UE (A6-0078/2008, Jacek Saryusz-Wolski) (votazione)
4.2. Applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato a talune categorie di accordi, di decisioni e di pratiche concordate tra compagnie di trasporto marittimo di linea («consorzi») (versione codificata) (A6-0089/2008, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
4.3. Intermediazione in campo civile e commerciale (A6-0150/2008, Arlene McCarthy) (votazione)
– Prima della votazione
Arlene McCarthy, relatrice. – (EN) Signor Presidente, non vi sono emendamenti alla posizione comune, grazie all’eccellente collaborazione tra Parlamento, Consiglio e Commissione e in particolare al lavoro dei miei relatori ombra, gli onorevoli Wallis e Gauzès del gruppo PPE-DE, che hanno tenuto una linea molto dura con il Consiglio e la Commissione.
Credo sia passato più di un anno da quando abbiamo concordato tale proposta, ma è stata la mediazione di esperti e professionisti di questo settore, la cui risposta alla prima consultazione on line di sempre del Parlamento, che ci ha convinti dei meriti di tale legge. So che ora accoglieranno con favore la votazione di oggi per portare tali proposte nella normativa.
Troppo spesso assistiamo a casi in cui un matrimonio o una relazione che coinvolge figli finisce e le parti si ritrovano con anni di procedure giudiziali e ingenti spese legali. Una delle mie elettrici con un compagno greco ha accumulato spese legali e ha lottato con il sistema giudiziario per tre anni prima di riavere indietro i suoi figli. La mediazione può pertanto costituire per i cittadini uno strumento prezioso per ottenere l’accesso alla giustizia e potenzialmente ridurre i costi della risoluzione delle dispute senza quel procedimento, spesso aspro, di intentare una causa.
Ha il valore aggiunto di svincolare i tempi procedurali per i casi che richiedono una sentenza del tribunale. Questa nuova legge dovrebbe aiutare le persone di tutta l’UE a ottenere un accesso alla giustizia rapido e a costi contenuti. Esorto pertanto gli onorevoli deputati ad appoggiare la seconda lettura e ad aprire nuove strade per il ricorso e il risarcimento dei cittadini di tutta l’UE.
(Applausi)
Presidente. − Ricordo ai colleghi della plenaria che il relatore ha diritto a chiedere la parola per il tempo di due minuti, quindi vi pregherei di evitare alcune intemperanze fuori luogo, mentre invece l’onorevole Rack credo che abbia chiesto la parola per una questione procedurale.
Reinhard Rack (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, normalmente diremmo che la nostra apparecchiatura non funziona, ma in questo caso specifico sono gli ascensori a non funzionare. Davvero molti dei nostri onorevoli colleghi stanno aspettando per scendere in Aula. Stando così le cose, sarebbe appropriato se, forse, potremmo considerare di anticipare dichiarazioni come queste.
Presidente. − Garantisco un impegno attivo per far funzionare velocemente gli ascensori o per consentire di votare negli ascensori.
4.4. Spiegamento e utilizzazione del programma europeo di radionavigazione via satellite (EGNOS e Galileo) (A6-0144/2008, Etelka Barsi-Pataky) (votazione)
4.5. Estensione del campo di applicazione della direttiva 2003/109/CE ai beneficiari di protezione internazionale (A6-0148/2008, Martine Roure) (votazione)
4.6. Libro verde sul ruolo della società civile nella politica in materia di droga dell’Unione europea (A6-0073/2008, Giusto Catania) (votazione)
4.8. Attuazione della programmazione del 10° Fondo europeo di sviluppo (A6-0042/2008, Marie-Arlette Carlotti) (votazione)
4.9. Relazione 2007 sui progressi compiuti dall’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (A6-0059/2008, Erik Meijer) (votazione)
– Prima della votazione
Erik Meijer, relatore. – (EN) Signor Presidente, l’emendamento orale dell’onorevole Landsbergis mi obbliga a spiegare la complicata situazione riguardante un nome.
“FYROM” non è mai stato il nome di alcun paese e può solo essere un’abbreviazione di “ex Repubblica jugoslava di Macedonia”. Nella mia precedente relazione, adottata dalla riunione in plenaria di questo Parlamento il 12 luglio 2007, è stato deciso di non introdurre l’utilizzo di tale acronimo come nome, bensì di usare solo le cinque parole che lo compongono.
La conclusione è stata la sostituzione di tutti gli altri termini inclusi negli emendamenti con “ex Repubblica jugoslava di Macedonia”.
Propongo di mantenere tale linea. L’emendamento orale dell’onorevole Landsbergis non è conforme a tale decisione. Mi aspetto che nel 2008 un accordo con la Grecia risolva la questione dei diversi punti di vista relativi ai nomi di tale Stato e che quindi il termine FYROM venga dimenticato per sempre.
Vytautas Landsbergis (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ci troviamo in una situazione delicata con uno dei nostri vicini, quando una repubblica normalmente esistente nel continente europeo viene dichiarata ufficialmente non esistente – solo “ex” Repubblica di M. – per decisione dell’ONU.
Prima che Washington segua New York che e chiede che la Georgia nel Caucaso venga chiamata “ex Repubblica sovietica di Georgia”, potremmo esprimere il nostro malcontento in merito a tali pratiche e lavorare per trovare una soluzione per “M.”. Si tratta di una proposta temporanea – non di sostituire il nome di qualcuno con “ex”, ma di correggere la situazione con il testo della nostra relazione, inserendo una spiegazione aggiuntiva: “il paese sotto il nome di FYROM”.
Vi prego di avere un po’ di senso dell’umorismo e di offrire il vostro appoggio. Aiuteremmo sia la Grecia che “M.”.
(L’emendamento orale non è accolto)
4.10. Politica della Cina e sue conseguenze per l’Africa (A6-0080/2008, Ana Maria Gomes) (votazione)
– Prima della votazione sull’emendamento 5
Ana Maria Gomes, relatrice. – (PT) Signor Presidente, desidero proporre un emendamento al paragrafo 5, che comporta una modifica minima del testo. Il testo attuale è il seguente:
(EN) “chiede in tale contesto all’Unione europea di incoraggiare la creazione di un forum di partenariato panafricano cui partecipino tutti i principali donatori e investitori;”.
(PT) in seguito all’emendamento da me proposto risulterebbe:
(EN) “chiede in tale contesto all’Unione europea di garantire che al forum di partenariato panafricano partecipino tutti i principali donatori e investitori, in particolare la Cina;”.
(PT) Tale emendamento deriva dal fatto che ci siamo resi conto che il forum del partenariato panafricano è stato appena creato. Si tratta pertanto di una modifica minima che riflette la situazione attuale. E’ stato comunicato a tutti gli onorevoli colleghi e relatori ombra e non sono stato informato di nessuna obiezione.
(L’emendamento orale è accolto)
PRESIDENZA DELL’ON. PÖTTERING Presidente
5. Seduta solenne – Slovenia
Presidente. − Spoštovani gospod predsednik Republike Slovenije. E’ un grande piacere dare il benvenuto al Presidente della Repubblica di Slovenia, qui oggi nel Parlamento europeo di Strasburgo. Benvenuto, signor Presidente.
La Slovenia ha aderito all’Unione europea il 1 maggio 2004 e attualmente esercita la Presidenza del Consiglio. Signor Presidente, lei ha assunto la carica di Presidente della Slovenia quattro mesi fa, durante i quali ci siamo già incontrati tre volte: due giorni prima che assumesse ufficialmente la carica a Lubiana, poi l’8 gennaio in occasione del lancio ufficiale dell’Anno europeo del dialogo interculturale, e infine a febbraio, a New York, nel corso della discussione tematica dell’Assemblea generale dell’ONU sul cambiamento climatico.
Signor Presidente, lei è il terzo Presidente della Slovenia dall’indipendenza del suo paese. Ha alle spalle una lunga e brillante carriera di docente di diritto internazionale e, soprattutto, di diplomatico, dato che ha dedicato gran parte della sua carriera al servizio delle Nazioni Unite. Per otto anni, è stato il Rappresentante Permanente della Repubblica di Slovenia all’ONU, e per cinque anni è stato Vicesegretario generale per gli Affari politici all’ONU. Ora la Slovenia ha il grande onore di essere il primo dei nuovi Stati membri – i paesi che hanno aderito all’Unione europea il 1° maggio 2004 – nonché il primo ex paese comunista e il primo paese slavo a esercitare la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea.
Per la Slovenia tale privilegio comporta non poche responsabilità, alle quali sta facendo fronte, poiché ora i nuovi Stati membri, nell’assumersi tale impegno, si fanno altresì carico di responsabilità nei confronti della grande famiglia dell’Unione europea. Per la Slovenia, la Presidenza del Consiglio comporta anche un’altra responsabilità, quella nei confronti dei suoi paesi vicini, i paesi dei Balcani occidentali.
La Slovenia costituisce un modello per tali paesi, dimostrando loro che il successo è possibile, che si può ottenere l’adesione all’Unione europea e che essa porta stabilità, sviluppo e prosperità.
Signor Presidente, è con mio grande piacere che la invito a rivolgersi all’Assemblea. Izvolite, prosim!
Danilo Türk, Presidente della Repubblica di Slovenia. – (SL) Signor Presidente, onorevoli deputati, è un grande onore per me essere stato invitato a intervenire di fronte a questa stimata Assemblea. Solo un mese fa celebravamo il XV anniversario della prima seduta del Parlamento europeo. Tale anniversario costituisce un’eccellente opportunità per riflettere sul presente e sul futuro dell’Unione europea. Oggi posso approfittare di questa speciale opportunità di condividere le mie riflessioni con voi – i rappresentanti eletti delle nazioni dell’Europa.
Questo Parlamento e, certamente, l’Unione europea in generale stanno imponendo la realizzazione di una grande visione, una visione di pace e di benessere duraturi, uno spirito di cooperazione e di integrazione in costante crescita, da cui le nazioni europee traggono vantaggio. I padri di tale visione – Jean Monnet, Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide de Gasperi e altri – forse non immaginavano neppure che, a 51 anni di distanza dalla formazione delle Comunità europee, in un’Unione europea estremamente integrata dopo l’importante espansione del 2004, la Slovenia, tra i nuovi Stati membri, sarebbe stata il primo paese a esercitare la Presidenza e che il Presidente sloveno avrebbe tenuto un discorso al Parlamento europeo.
Tuttavia, il loro senso di soddisfazione forse sopraffarebbe il loro senso di stupore. Non solo il progetto europeo è riuscito, ma si è anche rivelato un progetto dall’enorme potere di trasformazione, che sta creando un tipo di Europa completamente nuovo, un tipo di Europa che, durante i primi periodi della sua lunga storia, era sconosciuto. Ciò che oggi è ancor più importante è che l’Unione europea, attraverso il progetto europeo, si è già in buona parte affermata come un soggetto a livello mondiale, come un attore a livello globale, il che è precisamente ciò di cui desidero parlare oggi.
Che cosa ha permesso di raggiungere questo incredibile successo, la creazione di un così grande e importante attore a livello mondiale come questo? Quali conclusioni possiamo trarre oggi da tale successo? Siamo in grado di applicare le conoscenze acquisite in passato quando affrontiamo le sfide di oggi e di domani? Questi sono interrogativi che dobbiamo porci in continuazione. In questo mondo sempre più “globalizzato”, l’Unione affronterà sempre questioni complicate e dovrà fornire risposte credibili. L’Unione europea continuerà a essere un successo, a patto che conservi il suo dinamismo, a patto che sia un attore politico a livello mondiale con importanza sempre crescente, e – aggiungerei – un’importanza politica. Andare avanti costituisce una precondizione per il successo. Ciò che si chiede all’Unione europea al livello attuale è che assuma il ruolo di leader a livello mondiale.
In molti settori il suo ruolo o è già stato definito o è atteso con ansia. A tal proposito desidero menzionare due di tali ambiti: il surriscaldamento globale e i diritti umani.
Lo scorso anno l’Unione europea ha collocato al centro delle sue decisioni politiche le questioni ambientali e in particolare quella del surriscaldamento globale. E’ stata senza dubbio una saggia decisione, dato che il cambiamento climatico e il degrado ambientale costituiscono evidentemente la minaccia più grave e la sfida più grande che tutti noi stiamo affrontando. La Commissione europea ha stabilito speciali obiettivi, che permettono all’Unione europea di assumersi un ruolo di leader nel mondo. L’obiettivo principale è riuscire a ridurre del 20 per cento, rispetto al 1991, le emissioni di gas a effetto serra entro il 2020. Il conseguimento di tale obiettivo è stato definito come impegno indipendente. L’iniziativa per un obiettivo ancor più ambizioso dovrebbe rientrare in un accordo internazionale generale, che comprenderebbe anche altri attori fondamentali. In questo caso, nel quadro della proposta della Commissione europea, l’Unione europea sarebbe anche pronta a conseguire una riduzione del 30 per cento nell’arco dello stesso lasso di tempo. Tali obiettivi sono così importanti e così ambiziosi che offrono realmente una visione volta al cambiamento delle misure promesse contro il surriscaldamento globale, fornendo di conseguenza l’esempio necessario e una leadership a livello mondiale.
Tali obiettivi, tuttavia, possono essere raggiunti o diventeranno nuovamente un altro ostacolo insormontabile? La risposta è che ciò non è ancora molto chiaro. Un mese fa il Consiglio europeo ha accolto con favore una proposta della Commissione europea – in quanto costituiva una valida base per un accordo. Le consultazioni di quest’anno e dell’anno a venire mostreranno quanto si potrà effettivamente realizzare prima della conferenza di Copenaghen, in programma per il dicembre 2009. Desidero sottolineare in modo particolare che, istituendo una speciale commissione sul cambiamento climatico, il Parlamento europeo ha già riconosciuto l’importanza di tale questione e, a tale proposito, ha un compito estremamente importante.
Probabilmente, il compito che ci aspetta sarà difficile. L’inquietudine che inizia a trasparire dai mezzi d’informazione europei veicola tutta una serie di messaggi confusi. Vi sono espressioni di sostegno, ma anche voci scettiche che segnalano le preoccupazioni di alcune branche europee dell’industria, tra cui il fatto che, dato che l’economia mondiale sta attraversando un periodo difficile, anche la competitività sta diventando sempre più difficoltosa e, al contempo, le questioni ambientali stanno diventando relativamente meno importanti.
Momenti difficili come questo rappresentano una vera sfida per la leadership. E’ evidente che il surriscaldamento globale ha già raggiunto il punto in cui la comunità internazionale si trova di fronte a una scelta ovvia: o continuare con i metodi di crescita e accettare un’eventuale catastrofe o farsi coraggio e adottare un approccio volto al cambiamento, che può mitigare adeguatamente le conseguenze del surriscaldamento globale e prevenire il peggio. Non ci riusciremo venerando la crescita. Sebbene non sia facile da realizzare, questo è sostanzialmente l’ordine del giorno e mi auguro che quest’anno sceglieremo la strada che porta al cambiamento.
Nel compiere tali sforzi, sarà necessario estendere considerevolmente il fronte dei suoi sostenitori. Sono già in ogni caso in molti coloro che sentono la necessità di un passaggio al cambiamento. Le organizzazioni non governative, i mezzi d’informazione e altri soggetti della società civile si stanno mobilitando. Nella comunità imprenditoriale vi sono segnali di una forte tendenza allo sviluppo di nuove tecnologie basate sull’energia pulita e sempre più persone sono pronte a modificare le loro abitudini di consumatori.
Tali tendenze devono ora essere associate a un movimento deciso. L’arco temporale è noto. Il luogo è noto. Secondo il piano d’azione adottato a Bali lo scorso anno, ci si aspetta che i negoziati siano conclusi entro il prossimo anno con l’adozione di un accordo a livello mondiale che, nel 2012, sostituirà il protocollo di Kyoto.
Onorevoli deputati, l’ambiente non è l’unica questione per cui l’Unione europea deve assumersi un ruolo di leader a livello internazionale. L’Unione deve anche avere un ruolo più incisivo negli sforzi compiuti per i diritti umani a livello mondiale. Che l’Unione europea appoggi i diritti umani è, certamente, ovvio. Le istituzioni europee si basano sui principi dello Stato di diritto e sui diritti umani, l’Europa è un regno dei diritti umani.
La firma del Trattato di Lisbona da parte di tutti gli Stati membri entro la fine di quest’anno, anno in cui celebriamo il sesto anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, significherà altresì che, per la prima volta nella storia dell’Unione, l’intera serie dei diritti civili, politici, economici e sociali dei cittadini dell’Unione, determinati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, diventerà giuridicamente vincolante.
Da un punto di vista globale, la situazione nel mondo non è incoraggiante. In molte zone del pianeta vi sono numerosi esempi della sistematica violazione dei diritti umani, il che è parzialmente dovuto alla ricerca sfrenata di vantaggi economici, indipendentemente dai bisogni della popolazione locale e dell’ambiente. Le popolazioni povere e quelle indigene, in particolare, sono spesso minacciate dalla povertà e dalla fame e, in alcuni casi, anche dall’estinzione. Nei conflitti armati in diverse località di Africa e Asia continuano a essere perpetrate crudeltà che rappresentano crimini contro l’umanità.
L’Unione europea deve agire in modo tale da proporre modelli economici di crescita sostenibile, deve altresì agire compiendo sforzi umanitari e diplomatici, ma anche applicando sanzioni a sostegno delle decisioni della Corte internazionale di giustizia. A questo punto, l’Unione europea deve assumersi un ruolo di leader, in modo particolare perché l’azione a livello mondiale nella sfera dei diritti umani sta restando indietro.
Il Consiglio dell’ONU per i diritti umani sta ancora lottando per metodi di lavoro corretti. Gli sforzi per stabilire una revisione universale periodica dei diritti umani a livello mondiale sono promettenti, ma ancora inefficaci. Le attività contro le numerose e sistematiche violazioni dei diritti umani non sono integrate a sufficienza. Tutto ciò può essere corretto lentamente, sebbene non senza una leadership efficace, non senza un efficace ruolo di leader di quegli Stati membri dell’ONU che davvero lottano per i diritti umani.
In realtà ciò non può accadere senza un più forte ruolo di leader da parte dell’Unione europea, che rappresenta il gruppo più importante degli Stati membri influenti delle Nazioni Unite. Ultimamente alcuni altri sostenitori tradizionali dei diritti umani sono diventati meno attivi e non hanno fatto domanda per aderire al Consiglio dell’ONU per i diritti umani. Le crescenti preoccupazioni dovute al terrorismo e alle altre minacce alla sicurezza, tra cui le reazioni a tali minacce a volte non pianificate in modo sufficientemente adeguato, hanno ovviamente ridotto il livello di sensibilità nei confronti dei diritti umani. L’Unione europea deve colmare questo vuoto.
L’Unione deve altresì trovare nuovi metodi di cooperazione con il Consiglio di sicurezza dell’ONU. E’ stata l’attività del Consiglio di sicurezza nel Darfur a contribuire a stabilire il ruolo della Corte internazionale di giustizia nei suoi sforzi volti a perseguire legalmente gli autori di alcuni dei crimini più atroci dei nostri tempi. Quasi precisamente un anno fa, la Corte internazionale di giustizia ha emesso provvedimenti di custodia per alcuni di tali autori. Gli sforzi per portarli dinanzi a un giudice devono continuare. La cooperazione con il Consiglio di sicurezza rimarrà di importanza cruciale.
Anche senza le attività del Consiglio di sicurezza dell’ONU, tuttavia, l’Unione europea deve considerare le azioni che contribuirebbero all’efficienza della Corte internazionale di giustizia. Desidero sottolineare che è proprio l’amministrazione internazionale di giustizia a costituire la colonna portante delle attuali attività internazionali per i diritti umani e che essa necessita di un sostegno efficace.
L’Unione europea dovrebbe altresì appoggiare quelle democrazie emergenti in tutto il mondo che sono realmente impegnate nei diritti umani. Si interessano delle attività internazionali, ma al contempo devono tenere conto delle loro organizzazioni regionali, nonché delle altre organizzazioni, e anche del fatto che, in tutte le attività internazionali connesse ai diritti umani, tali aspetti non vengano trascurati. Tali paesi sono, tuttavia, partner, dell’Unione europea e tali partenariati devono essere coltivati.
Onorevoli deputati, nelle sue diverse forme, l’attività internazionale per i diritti umani può essere efficace se nasce da solide basi, da un onesto rispetto dei diritti umani al proprio interno, il che comprende la tutela dei diritti umani sia per i migranti che per i richiedenti asilo, e da un’attenta applicazione delle leggi in quei casi che comprendono accuse di terrorismo. La costruzione di tali fondamenta, tuttavia, deve continuare. Il Trattato di Lisbona comprende la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e una procedura decisionale potenziata che, in relazione ai diritti umani, faciliterà l’adozione di soluzioni creative e coraggiose.
Per l’Unione europea il requisito della creatività non è nulla di nuovo. L’insoddisfazione creativa europea, come ha affermato il Presidente tedesco Horst Köhler nel suo discorso di due anni fa a quest’Assemblea, tale insoddisfazione creativa ha aiutato l’Europa ad accettare varie sfide sociali e politiche nel suo impegno alla libertà e alla verità, con la capacità di far diventare una realtà la solidarietà e di creare un mondo migliore per tutti. In nessun altro settore la creatività e l’insoddisfazione creativa saranno necessari tanto quanto nell’area della gestione dell’immigrazione e dell’inclusione sociale degli immigrati.
L’Europa sta invecchiando e non sarà più in grado di svolgere il ruolo di leader a livello mondiale senza una riuscita politica demografica. Tali politiche comprenderanno inevitabilmente la gestione della migrazione. L’Europa ha bisogno di persone nuove, di animo positivo e capaci di fare la loro parte nella creazione di un mondo migliore per tutti. Le misure politiche, che possono contribuire al processo di integrazione dei migranti, ovviamente differiscono e devono essere associate in modo corretto, in base alle circostanze in cui si trova ciascun paese ospitante che accoglie immigrati. Al contempo sono più ampiamente applicabili alcuni elementi e in alcuni casi l’Unione europea può anche apprendere da paesi terzi, quali il Canada.
Le politiche di migrazione necessiteranno di diversi obiettivi coordinati a livello dell’Unione europea nel suo insieme. L’obiettivo del regime comune europeo in materia di asilo da realizzarsi entro il 2010 sembra essere ambizioso e urgente. E’ altresì necessario un maggiore coordinamento tra la politica di immigrazione e la politica di aiuto allo sviluppo. L’Unione europea deve rafforzare il suo ruolo nel dialogo ad alto livello con le Nazioni Unite relativo alla migrazione.
E’ al contempo necessaria la creatività in relazione all’integrazione degli immigrati e delle loro comunità. Il benessere economico e una maggiore mobilità sociale verso l’alto sono la chiave per una riuscita politica in materia di migrazione. Le attività imprenditoriali condotte dalle minoranze etniche, ad esempio, offrono posti di lavoro e contribuiscono in modo significativo all’economia dei paesi ospitanti. D’altro canto, i governi possono apportare il loro contributo con regolamentazioni e programmi di qualificazione adeguati e fornendo supporto generale alle libere imprese.
L’integrazione deve comprendere un accesso efficace a una formazione di qualità, in parallelo con corsi di lingua e l’accesso all’università. L’istruzione costituisce una precondizione per una riuscita integrazione degli immigrati in una società più ampia.
E il successo deve essere reso visibile. Agli individui di origine straniera che sono riusciti ad affermarsi deve essere data la possibilità di comparire in televisione e su altri mezzi d’informazione e devono essere considerati esempi di successo. Questo aiuterà il grande pubblico a comprendere che la diversità e l’inclusione sociale sono compatibili e che la non discriminazione e le pari opportunità rientrano tra le virtù politiche più importanti. Nulla ha successo come il successo. E nulla mostrato in televisione è di più grande effetto del successo di coloro che hanno iniziato dai margini della società.
Ho per certi versi sottolineato in maggior dettaglio le questioni dell’immigrazione e dell’integrazione a causa della loro importanza per il futuro dell’Europa e anche perché rappresentano un altro settore in cui verrà testata la creatività europea. In passato, l’Unione europea è riuscita a risolvere la maggior parte delle questioni sociali e, come risultato, è diventata un esempio di giustizia sociale e di benessere economico a livello mondiale. Non vi è alcuna ragione per cui la nostra generazione non possa trovare buone soluzioni nel settore dell’immigrazione e dell’integrazione. L’Europa ha molto da guadagnare, integrando persone capaci, professionalmente qualificate e desiderose di contribuire al suo futuro e al suo benessere.
Onorevoli deputati, senza dubbio oggi necessitiamo di gestione, di lungimiranza e necessitiamo di creatività. L’Unione europea deve al contempo dimostrare di essere in grado di continuare a trovare soluzioni pragmatiche alle diverse sfide. Non dobbiamo dimenticare che, più di 50 anni fa, è stato proprio il pragmatismo a fornire la chiave per la creazione delle Comunità europee e continua a essere la chiave del successo anche oggi.
L’istituzione delle Comunità europee per scopi economici vantaggiosi è stata un’idea eccezionalmente pragmatica, che ha reso possibile un ulteriore sviluppo dell’integrazione. Lo sviluppo della Comunità economica europea verso l’unione doganale e, ancora oltre, la capacità di potenziare nuove forme di cooperazione e nuove istituzioni con ulteriore autorità e la capacità di espandersi geograficamente, tutto esemplifica l’importanza che il pragmatismo ha avuto nella storia e nella crescita dell’Unione europea.
Oggi l’Unione affronta nuove sfide che richiedono un adattamento pragmatico, tra cui la più importante è innanzi tutto la sua futura espansione. Sebbene sia chiaro che tutti coloro che cercano di diventare Stati membri dell’UE, tutti i paesi candidati, debbano rispettare i criteri di adesione, non possiamo tuttavia impedire a nessuno di essi di diventare uno Stato membro solamente a causa di difficoltà politiche o pregiudizi culturali. (Applausi)
Nei suoi sforzi per assumersi un ruolo di importanza strategica a livello mondiale, l’Unione europea ha bisogno della Turchia e pertanto i negoziati di adesione con la Turchia devono continuare. L’Unione non deve negare alla Turchia la prospettiva di diventare membro, cosa che, dopotutto, è già stata confermata. Dovesse accadere, verrebbe messa in discussione la credibilità dell’Unione europea stessa.
L’Unione europea non può rassegnarsi ad avere un buco nero nei Balcani occidentali. I negoziati di adesione devono definire chiaramente una prospettiva europea per i Balcani occidentali, il che richiede ulteriore lavoro con i singoli paesi di tale regione, che devono rafforzare la loro capacità di rispettare i criteri di adesione, nonché con l’intera regione che necessita di un quadro di discussione e di risoluzione dei problemi condivisi. Nella sua politica verso i paesi vicini che si trovano a est e altrove, l’Unione europea deve applicare lo stesso pragmatismo che in passato ha contribuito a raggiungere risultati. Senza parlare di modelli, desidero porre l’accento sul fatto che l’Ucraina e la Moldavia hanno bisogno di una prospettiva di adesione all’UE, che non dovrebbe essere negata loro.
Onorevoli deputati, il pragmatismo è evidente sia nella pratica che come disposizione d’animo. Gli Stati candidati, ovviamente, devono rispettare tutti i criteri richiesti in merito a ogni questione relativa all’adesione. Le ragioni per cui la prassi dell’Unione, riguardante la conformità con i criteri di idoneità, è coerente e rigida sono buone. Se il percorso per il rispetto dei criteri è lungo, lasciamo che sia così. Uno o due anni di negoziati costituiscono un piccolo prezzo da pagare per conservare la credibilità e il rispetto degli standard dell’Unione europea. La prospettiva di espansione, tuttavia, la prospettiva di nuovi membri deve continuare a essere credibile.
I paesi che sono in grado di rispettare i criteri non devono essere esclusi dal processo di espansione dell’Unione europea. La sensazione di essere esclusi dà adito all’insoddisfazione e l’insoddisfazione dà adito all’instabilità. Ecco perché si deve conservare una disposizione d’animo pragmatica e si deve contemplare qualsiasi espansione ulteriore alla luce di quanto l’Unione europea necessita in qualità di attore di livello mondiale.
Onorevoli deputati, per concludere, l’Unione europea è un immenso successo storico, che ora ha raggiunto un livello di sviluppo in cui deve urgentemente rendersi conto del suo ruolo di leader negli eventi mondiali e delle responsabilità che detta il suo status. Ci si aspetta che l’Unione europea svolga un ruolo di leader in tutti i settori, quali il surriscaldamento globale e i diritti umani.
La creatività continuerà a essere la motivazione centrale nella ricerca di politiche efficaci in ambiti, quali l’immigrazione e l’integrazione. E, infine, il pragmatismo continuerà a rivestire importanza in tutte le questioni riguardanti l’ulteriore espansione che è necessaria affinché l’Unione europea si assicuri il suo ruolo di leader a livello mondiale. Tutto ciò può suonare in qualche modo grandioso, tuttavia il progresso è sempre la migliore cura per la stagnazione. A tale proposito, l’epoca in cui viviamo non fa eccezione, sebbene sia vero che le questioni odierne siamo più varie che non in passato. Non dobbiamo, tuttavia, dimenticare che anche questa è una naturale conseguenza del successo. (Applausi).
Presidente. − Signor Presidente, desideriamo ringraziarla vivamente per il suo discorso europeo. La sua presenza qui e il suo intervento hanno reso chiaro che la Slovenia e la Presidenza slovena sotto il Primo Ministro Janus Janša – vedo due ministri seduti qui: Janez Lenarčič e Janez Podobnik – desiderano lavorare in stretta collaborazione con il Parlamento europeo. In qualità di Presidente della Slovenia, ha trasmesso tale messaggio con particolare risonanza.
La sua esperienza qui, nel Parlamento europeo, ci ha dimostrato che non è la dimensione del paese – piccolo, grande o medio – a determinare se una Presidenza UE avrà successo; è lo spirito che guida la Presidenza che conta. Ritengo che possiamo affermare con sicurezza che, dato che la Slovenia – e il suo Presidente – sono motivati da un tale spirito europeo, si tratta di una Presidenza che farà progredire l’Europa e per questo desideriamo esprimerle i nostri più sentiti ringraziamenti.
(Applausi)
Desideriamo ringraziarla anche per il sostegno alle priorità del Parlamento europeo. Desidero menzionarne due di cui ha parlato. La prima è la protezione del clima. Se ci atteniamo al programma, completeremo i nostri lavori in modo tale da avere una posizione europea per il Vertice ONU che si terrà a Copenaghen nel dicembre 2009. Desideriamo altresì ringraziarla per il suo appello relativo ai diritti umani, poiché se noi, in quanto Parlamento europeo, non difendiamo la causa dei diritti umani, chi lo farà? Così spesso i governi sono guidati da altri interessi – il che è incomprensibile – eppure dobbiamo trovare il modo di far coincidere abilmente tali interessi e i nostri valori, affinché le persone ne traggano vantaggio ed ecco perché i diritti umani costituiscono il cuore delle nostre politiche, qui, nel Parlamento europeo.
Signor Presidente, la ringrazio per essere venuto in visita al Parlamento europeo. Resterà ancora un po’ con noi? Ancora una volta, a nome di quest’Assemblea, desidero esprimere personalmente i miei sinceri ringraziamenti a lei e alla Presidenza slovena. Vi facciamo i nostri migliori auguri per il resto dei sei mesi durante i quali la Slovenia sarà al timone dell’Unione europea. Se avrete successo, tutti noi avremo successo, e con questo intendo l’Unione europea. Con questo si conclude la seduta solenne.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, mi permetta di aggiungere alcune parole al mio discorso di ieri durante la discussione relativa al lancio di uno dei più grandi progetti congiunti a livello europeo, il sistema di navigazione Galileo. Apprezzo moltissimo il lavoro dei relatori, che hanno raggiunto una soluzione di compromesso sia in Parlamento che con il Consiglio e la Commissione e grazie alla quale siamo stati in grado di concludere le prolungate discussioni di oggi. Ora dobbiamo decidere dove ubicare la sede dell’autorità di vigilanza di Galileo. Desidero sottolineare ancora una volta che la Repubblica ceca è disponibile ed è un candidato ideale. Confido che verrà finalmente mantenuta la promessa di collocare nuove istituzioni dell’Unione nei nuovi Stati membri.
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ho votato contro la presente relazione. Ho ascoltato la stessa discussione alla quale hanno assistito ieri i precedenti oratori e non posso fare altro che inorridire per quanto ho sentito: un’assurda guerra di offerte per un’agenzia la cui esistenza non è necessaria. Stiamo inventando un nuovo sistema satellitare perché all’Unione europea serve una sorta di articolo da gioielleria alla moda – questo progetto Galileo è per l’UE una pietra preziosa da ostentare. E’ costoso; non è particolarmente necessario; è anticompetitivo; abbiamo un accordo con i cinesi, c’è il sistema russo ed esiste già il sistema GPS. L’Europa non ha bisogno di questo sistema, eppure pagheremo per averlo.
Come abbiamo visto ieri dai voti sul discarico, non vigileremo su come verrà speso il denaro per questo particolare sistema e, pertanto, sprecheremo milioni e milioni di euro e sterline dei contribuenti europei. E’ inconcepibile la convinzione che ci siamo imbarcati in questo assurdo sistema solo perché per noi costituisce una sorta di motivo di vanità.
Syed Kamall (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, dato che ieri ho assistito alla discussione e mi è venuta in mente la canzone dei Queen Bohemian Rhapsody e a quelle immortali parole “Galileo, Galileo” e ho ripensato alle parole del testo di quella canzone. Is this the real life? Is it just fantasy? Caught in a landslide, with no escape from reality, open your eyes, look up to the sky and see (E’ questa la vita vera? O è solo fantasia? Travolto da una frana, senza scampo dalla realtà, apri gli occhi, alza lo sguardo al cielo e vedrai). Sono venuti i cinesi e hanno visto. Poi se ne sono andati e ora stanno costruendo il loro sistema. I Russi stanno ammodernando il loro, Glonas, e, ciliegina sulla torta, il GPS americano, che tutti noi già utilizziamo gratuitamente, è in fase di aggiornamento per essere reso ancora più accurato e facile da usare.
Non dovremmo sprecare il denaro dei contribuenti guadagnato con fatica per un quarto sistema satellitare che non offre alcun vantaggio in più rispetto agli altri. E, se posso mischiare le mie metafore, togliamo questo elefante bianco dal cielo. Non ho votato a favore della relazione.
Roger Helmer (NI). – (EN) Signor Presidente, neanch’io ho votato a favore della relazione Barsi-Pataky. Si tratta semplicemente di un progetto di vanità politica, un po’ come l’euro e come l’euro non ha alcuna giustificazione economica o tecnica. Non è necessario; è superfluo; sta già diventando obsolescente.
Come ha già sottolineato il mio collega, il settore privato è venuto, l’ha guardato e ha deciso di non partecipare, perché non ha senso. I cinesi sono venuti, l’hanno guardato, hanno portato via le idee migliori e hanno deciso che avrebbero ottenuto migliori risultati realizzandolo per conto loro. Considerando le potenziali applicazioni militari di un sistema globale di posizionamento, il fatto che i cinesi siano andati via e l’abbiano realizzato, dovrebbe farci riflettere tutti, nonché preoccupare enormemente.
Non dovremmo sprecare altro denaro pubblico su questo inutile gesto politico.
Daniel Hannan (NI). – (EN) Signor Presidente, quando è stato concepito il progetto Galileo, il Presidente Chirac lo ha descritto come necessario per combattere l’imperialismo tecnico degli USA. Questo è, in vero, l’unico argomento possibile che ne giustifichi l’esistenza. Non ho alcuna intenzione di ripetere gli argomenti che abbiamo appena ascoltato da tre miei onorevoli amici: non ha senso in termini economici; non ha senso in termini tecnici; abbiamo l’utilizzo gratuito del GPS americano.
Il punto che davvero desidero esporre – e mi rivolgo agli onorevoli colleghi integrazionisti presenti in Aula, perché non credo che si debba essere euroscettici per essere preoccupati in proposito – è questo: guardiamo quel che è successo nel corso della discussione di ieri, quando il mio onorevole amico Heaton-Harris ci ha chiesto che cosa stavamo votando e nessuno in Aula è stato in grado di nominare l’agenzia per la quale avevamo appena votato erogazioni dirette.
Non vi state facendo nessun favore, anche in qualità di sostenitori del progetto europeo, se destinate il denaro dei contribuenti a tali progetti con un atteggiamento “Europa, che sia giusto o sbagliato”, senza fermarvi a guardare se esso viene speso in modo efficiente o se viene perso o rubato. Esorto tutti i miei colleghi a cercare di offrire ai loro contribuenti una qualche efficienza economica dal loro punto di vista.
Presidente. − Grazie, non abbiamo altre richieste o dichiarazioni di voto su questa relazione e prima di passare all’altra colgo l’occasione per fare gli auguri ed esprimere maggiori auspici di buon lavoro all’onorevole Lombardo per il suo prossimo impegno.
Árpád Duka-Zólyomi (PPE-DE). – (HU) La ringrazio, signor Presidente. Sono a favore della relazione sull’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, in quanto invia un messaggio importate al popolo macedone. Il paese si è molto sviluppato dalla relazione del 2007. I risultati economici sono buoni e si riscontrano successi nel settore della legislazione. In politica interna si sta sviluppando il consenso, mentre le diverse comunità nazionali ed etniche sono capaci di coesistere. Con il costante sostegno dell’accordo quadro di Ohrid e del principio Badinter, le questioni politiche sono impregnate di un nuovo spirito che sostiene la rappresentanza proporzionale e la conservazione dell’identità delle minoranze. Lo sviluppo economico e sociale dell’ex Repubblica jugoslava è complesso e il 2005 ha visto la sua candidatura per l’adesione all’UE. Il messaggio negativo non ha avuto fortuna al vertice NATO di Bucarest, in cui il comportamento gretto e illogico della Grecia ha avuto un ruolo fondamentale. Sono certo che, per l’UE, la nomenclatura non sarà un ostacolo all’adesione e sono lieto che il Parlamento sia stato in grado di giungere a un accordo in proposito. La nostra decisione costituirà un messaggio positivo, in quanto il paese è deluso dai rifiuti e dai ritardi dell’UE. Ora è tempo di avviare veri e propri negoziati di adesione con il paese. Grazie per la vostra attenzione.
Gyula Hegyi (PSE). – (HU) E’ con qualche timore che ho votato la relazione sulla Macedonia. E’ vero che abbiamo stabilito sempre più requisiti per l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, ma stiamo davvero facendo tutto negli interessi dell’integrazione euroatlantica? Nell’evoluzione del Kosovo verso l’indipendenza e nel veto della NATO all’adesione della Macedonia potrebbero nascondersi potenziali pericoli. La minoranza dei separatisti e la maggioranza dei nazionalisti potrebbero facilmente sconvolgere il fragile equilibrio macedone. L’Unione europea e gli Stati Uniti spesso si intromettono nella politica della Macedonia. Ci aspettiamo e chiediamo molte misure impopolari alla leadership macedone, il che implica responsabilità. Noi stessi siamo responsabili per la stabilità del piccolo paese e per l’integrazione euroatlantica. Sarebbe auspicabile che tutti prendessero sul serio tale responsabilità.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, il voto di oggi per la Macedonia è un passo avanti verso una rapida adesione all’Unione europea. Tale successo è dovuto agli sforzi dell’ultimo Presidente Boris Trajkovski, che era un amico personale e un paneuropeista e che ha determinato questo andamento, ma è anche un successo importante per l’attuale governo macedone del Primo Ministro Gruevski e del ministro degli Esteri Milososki, che hanno instaurato amicizie in tutta Europa per questo paese europeo: un paese che ha un’eccellente politica delle minoranze, che sta registrando uno straordinario eccellente e a cui desideriamo offrire un massiccio sostegno.
Lasciatemi inviare un messaggio chiaro: esorto i nostri onorevoli colleghi della Grecia ad abbandonare finalmente la questione del nome. Oggi quest’Assemblea ha affermato molto chiaramente che respinge qualsiasi blocco dovuto alla questione del nome e che le questioni bilaterali non devono ostacolare l’adesione. Questo è il messaggio che abbiamo inviato oggi con una massiccia maggioranza di quest’Assemblea e che costituisce un pesante avvertimento per quei governi che impediscono di compiere progressi. Esorto tutti ad abbandonare tale blocco negli interessi dell’Europa.
La Macedonia è un paese europeo e ci auguriamo che possa essere fissata una data per l’avvio dei negoziati di adesione prima della fine di quest’anno.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, mi permetta di ribattere alla discussione di ieri. La maggior parte di noi ha segnalato la sete cinese di petrolio africano e il fatto che la Cina fornisca armi in cambio di petrolio è di appoggio alla corruzione e ai regimi dittatoriali, ed esacerba la povertà. Inoltre di più, miliardi di prodotti cinesi stanno sommergendo l’Africa, rendendo quelli africani assolutamente non competitivi. Questa cosiddetta politica incondizionata sta diventando un ostacolo sempre più grande al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio di eliminare la fame e la povertà nei paesi in via di sviluppo. Mi ha sorpresa la dichiarazione in un certo senso commovente del Commissario Michael, che se la Commissione avesse avuto i poteri politici si sarebbe unita alla Cina, difendendo il diritto della Cina di condurre la sua distintiva politica estera incondizionata, nonostante la Cina sia un membro del Consiglio di sicurezza dell’ONU e in quanto tale sia responsabile degli sviluppi mondiali, proprio come l’Unione. Disapprovo l’espressione di tali sentimenti da parte di un membro della Commissione.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, il ruolo della Cina nello sviluppo dell’economia mondiale è particolarmente importante. La Cina costituisce anche un simbolo di successo per il popolo africano.
Nel corso degli ultimi 25 anni, la Cina ha creato opportunità per 400 milioni dei suoi cittadini, sollevandoli dall’estrema povertà. Oltre 200 milioni di Cinesi, inoltre, sono entrati nella classe media. La Cina ha pertanto un’enorme esperienza nel creare sviluppo economico. Ci si aspetta che ciò abbia un impatto positivo anche sui paesi africani. Si stima che il commercio tra Africa e Cina debba aumentare da 4 milioni di dollari nel 1995 a 55 milioni di dollari nel 2006. Per la Cina, l’Africa rappresenta un’importante fonte di materie prime. L’economia cinese necessita di sempre maggiori forniture di energia e di materie prime. La Cina sta pertanto facendo tutto ciò che è in suo potere per istituire una presenza permanente in Africa.
Syed Kamall (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, mostro particolare interesse per la presente relazione perché, in una precedente vita professionale di docente, ho esaminato sia gli investimenti diretti esteri della Cina, verso l’interno e verso l’esterno, che lo sviluppo e gli investimenti africani.
Guardando la relazione, che è in effetti piuttosto equa, ritengo che, in quanto UE e Stati membri dell’UE, dovremmo accogliere con favore gli investimenti cinesi in Africa, in particolare gli investimenti nelle infrastrutture, perché consentono agli imprenditori e ai cittadini locali di creare benessere per loro stessi e di intrattenere scambi commerciali per uscire dalla povertà.
Al contempo dovremmo altresì essere consapevoli della sete e della fame cinese di risorse naturali – del genere di motivo che spinge la Cina a cercare risorse. Dovremmo cercare di lavorare con la Cina e di affrontare tali questioni, in particolare quando trattiamo con governi sgradevoli.
Una delle mie preoccupazioni riguardo alla politica cinese consiste nel fatto che distrugge i tentativi dell’UE, e di altri donatori, di offrire condizionalità o di porla sugli aiuti. Potremmo suggerire qualsiasi condizione sugli aiuti al fine di garantire una governance migliore, ma i cinesi arrivano e distruggono tutto.
In generale è una relazione equa e ho votato a favore.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Geringer de Oedenberg, suggerendo di approvare in prima lettura in procedura di codecisione la proposta di una versione codificata del regolamento del Consiglio relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3n del Trattato a talune categorie di accordi, di decisioni e di pratiche concordate tra compagnie di trasporto marittimo di linea (“consorzi.
Trattandosi di un procedura di codificazione, tale proposta non doveva essere oggetto di emendamenti “formali” da parte della commissione parlamentare e quest’ultima non ne ha fatti. Ciononostante, approfitto di tale dichiarazione di voto per esprimere la mia sorpresa in merito al ritardo con cui l’Unione europea codifica testi che sono stati emendati più volte e la cui lettura e applicazione si complicano con il passare del tempo. La procedura di codificazione è prevista in un accordo interistituzionale del 20 dicembre 1994, derivante da una volontà politica del Consiglio europeo del dicembre 1992, che prevede una procedura accelerata per una rapida adozione degli atti codificati.
Appoggio fermamente la necessità di codificare le norme. Si tratta di un imperativo per la democrazia, lo Stato di diritto, la formazione di studenti, l’adeguata applicazione del diritto da parte dei cittadini e dei giuristi e così via.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Accolgo con favore l’adozione della posizione comune per risolvere un problema di mediazione in materia civile e commerciale di lunghissima data, sebbene tale direttiva sarà limitata ai casi transfrontalieri, in base a un’interpretazione restrittiva dell’articolo 65 CE, ma con una più ampia definizione delle controversie.
Mi rammarico, ciononostante, che la posizione comune non permetta alla direttiva di essere attuata attraverso accordi volontari tra le parti, sebbene sia vero che le norme degli Stati membri relative alle procedure giudiziarie non possano sempre essere modificate da accordi tra le parti. In generale, tale posizione comune deve essere accolta con favore, dato che resta fedele all’obiettivo originale di facilitare l’accesso alle procedure di risoluzione delle controversie e di promuoverne la risoluzione in via amichevole, garantendo un legame soddisfacente tra mediazione e procedure giudiziarie.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Barsi-Pataky, che propone, dopo aver apportato eventuali modifiche, l’approvazione della proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il proseguimento dell’attuazione dei programmi europei di navigazione satellitare (Egnos e Galileo).
Mi congratulo con Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione responsabile dei Trasporti, per la sua determinazione, la sua lucidità, la sua capacità di discernimento, nonché le sue convinzioni politiche in merito a tale difficile questione, in cui il settore pubblico ha salvato i produttori, che si trovavano a un punto morto in quanto a strategia da adottare, in particolare in relazione ai rischi finanziari. Grazie alla volontà di tutti, in particolare del Parlamento europeo, è stato possibile raccogliere una somma dell’ordine di 3,4 miliardi di euro, pari al 100 per cento del finanziamento pubblico. All’origine della risoluzione di tale crisi, vi sono pertanto i rappresentanti dei cittadini, con l’entrata in servizio nel 2010 e l’utilizzo dei satelliti fino al 2013. Questo caso dimostra la necessità di pensare rapidamente alle risorse europee da mettere in campo per finanziare gli investimenti pubblici nel caso di défaillance del mercato privato.
Charlotte Cederschiöld e Gunnar Hökmark (PPE-DE), per iscritto. – (SV) Abbiamo accettato la proposta negoziata tra il Consiglio e il Parlamento in merito ai programmi di navigazione satellitare Egnos e Galileo, riguardo alla quale il Parlamento, contrariamente alla nostra opinione, ha già deciso in merito alla questione del bilancio. Sottolineiamo di non essere a favore del fatto che siano destinate a tali progetti risorse sottratte al bilancio per la ricerca. Abbiamo inoltre cercato un resoconto della Commissione relativo a come si intende creare un finanziamento commerciale per tali progetti.
Accogliamo tuttavia con favore il fatto che la proposta negoziata permetta al Parlamento europeo di valutare e influenzare tali progetti.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il sistema globale di navigazione via satellite (GNSS, European Global Navigation Satellite System), in quanto prima infrastruttura comunitaria e a causa della sua natura tecnologica e spaziale, può essere realizzato solo grazie a una volontà comune. Per come è stato concepito, il GNSS consiste di due programmi: EGNOS e Galileo.
L’importanza del GNSS sta in particolare nel fatto che si tratta di un sistema alternativo e complementare a quello americano e russo. Tale obiettivo comporta uno spazio strategico, economico, industriale e di sicurezza, oltre a molti altri interessi, che nessuno Stato membro può realizzare da solo.
Dato che questo sarà il primo programma a implicare il finanziamento e le infrastrutture comunitarie, il Parlamento e il Consiglio si assumeranno maggiori responsabilità congiunte in merito alla regolamentazione dello spiegamento e del funzionamento dei programmi.
Per le ragioni sopra citate e poiché il completamento di tale progetto rappresenterà una pietra miliare storica e strategica del progresso tecnologico e dell’indipendenza dell’Unione europea, il GNSS e la suddetta relazione meritano il mio pieno appoggio, in quanto costituiscono una soluzione futura.
Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Galileo costituisce un esempio di progetto tecnico su larga scala, che nessun singolo Stato membro può completare da solo. Sin dall’inizio ero positivo riguardo al finanziamento di tale progetto mediante il bilancio dell’UE. Purtroppo è ormai palese che l’UE non è stata in grado di gestire questo compito immane in modo soddisfacente, a causa di “disaccordi interni”, come riferisce il relatore. Tutto ciò è, a mio avviso, estremamente spiacevole e trovo incomprensibile che il Consiglio non sia stato in grado di accettare l’enorme aumento del bilancio. Sta alla Commissione la presentazione di una soluzione di finanziamento più soddisfacente per questo importante progetto.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la prospettiva che il progetto Galileo sia finalmente lanciato. La relazione dell’onorevole Barsi-Pataky sul proseguimento dell’attuazione dei programmi europei di navigazione satellitare indica uno sviluppo, i vantaggi del quale verranno percepiti in settori che variano dalla politica spaziale europea, ricerca e innovazione alla politica estera e di sicurezza comune e alla politica europea in materia di sicurezza e di difesa. Ho votato a favore della relazione.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Al momento il GPS fornisce molti dei servizi che verrebbero offerti dal programma europeo di navigazione satellitare Galileo. Non dovremmo, tuttavia, permettere di diventare dipendenti da un monopolio della navigazione satellitare troneggiato dagli USA e istituito dall’esercito americano. Persino le orbite dei satelliti GPS sono determinate in modo tale da garantire, innanzi tutto, che le aree in cui gli USA stanno conducendo operazioni militari abbiano una buona copertura. Il nostro sistema ci permetterebbe di definire la migliore configurazione delle rotte aeree per l’Europa.
Data l’importanza strategica del progetto, ho votato a favore della relazione, sebbene la questione dei finanziamenti non sia ancora stata completamente risolta.
Teresa Riera Madurell (PSE), per iscritto. – (ES) Dato che il mio intervento è stato interrotto dal Presidente in un’applicazione del tempo di parola molto più severa rispetto a quello applicato ai colleghi che mi hanno preceduto, desidero aggiungere alcuni commenti. Dobbiamo certamente essere lieti della determinazione delle istituzioni a superare tutti gli alti e bassi del progetto. Ci troviamo finalmente nella condizione di avviare una pianificazione garantita della fase di spiegamento di Galileo. Siamo altresì estremamente soddisfatti del lavoro condotto per rendere la partecipazione al progetto quanto più ampia possibile.
Detto ciò, desidero ora accennare a un punto fondamentale: la natura civile del progetto, una condizione essenziale per garantire la trasparenza delle operazioni. L’indipendenza del sistema europeo permetterà il rilascio della certificazione per i servizi forniti agli utenti e fornirà la qualità garantita. Tali condizioni sono vitali nello sviluppo di nuove applicazioni commerciali, che offriranno enormi opportunità alle PMI, con un potenziale ambientale e sociale enorme. La navigazione per non vedenti, la pianificazione della strada più accessibile ai disabili, l’assistenza a coloro che sono affetti dal morbo di Alzheimer o la rapida localizzazione delle persone che si trovano in situazioni di emergenza sono tutti esempi di applicazioni volte a migliorare la qualità della vita.
Il Parlamento europeo ha già dato il suo pieno appoggio a Galileo attraverso impegni in materia di normativa e di bilancio e lo ha già riconosciuto come progetto strategico.
Lydia Schenardi (NI), per iscritto. – (FR) Ci saranno voluti undici anni di dolorosa indecisione e disaccordi politici e amministrativi per arrivare a una soluzione volta alla creazione di un sistema europeo di navigazione satellitare. Si stimano cinque anni di ritardo derivanti dal metodo scelto – tra cui il partenariato pubblico-privato, la cooperazione internazionale al di fuori dell’Unione europea, la partecipazione obbligatoria di tutti gli Stati membri, il ruolo imposto della Commissione europea. Se tali principi e metodi fossero stati applicati a imprese tecnologiche e industriali, quali Airbus e Ariane, l’Europa oggi forse non disporrebbe di un suo produttore aeronautico né di un suo lanciatore spaziale.
Sebbene il risultato finale non sia completamente soddisfacente, vi è comunque molto da imparare. Il lancio di grandi progetti strategici in nuovi ambiti, in cui il settore privato non è in grado o non vuole rischiare, si può concretizzare solo se sono le autorità pubbliche a essere decisori e finanziatori esclusivi, poiché si tratta di progetti che implicano una visione politica e non semplicemente una logica economica. In secondo luogo, in questo tipo di progetti, il passaggio obbligatorio per le istituzioni e le procedure comunitarie si è rivelato essere un freno e un fattore negativo, moltiplicando i freni ideologici, là dove la cooperazione intergovernativa ha dimostrato la sua efficacia. Ci auguriamo che sia stato fatto tesoro della.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione sulla modifica del regolamento del Consiglio concernente il proseguimento dell’attuazione dei programmi europei di navigazione satellitare. Il progetto Galileo, una componente di tali programmi, avrà molteplici applicazioni e verrà utilizzato per il controllo del traffico, la logistica dei trasporti, la prevenzione e l’intervento nel caso di calamità naturali, i servizi commerciali e governativi.
Fin dalla prima discussione sul bilancio comunitario per l’anno 2008, il Parlamento europeo ha considerato questo progetto una priorità e ha richiesto lo stanziamento dei fondi necessari e la revisione dell’accordo interistituzionale, affinché ciò fosse possibile. Il programma EGNOS sarà operativo a partire dal marzo 2009, mentre il programma Galileo dovrà essere operativo entro la fine del 2013.
Si stima che le risorse di bilancio necessarie al fine di realizzare i progetti Galileo siano di 3,105 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea riconoscono l’importanza strategica di tale progetto e appoggiano la sua realizzazione. Di conseguenza, la Commissione europea è tenuta a informare regolarmente il Parlamento e il Consiglio in merito ai progressi compiuti nell’attuazione del progetto.
Mi congratulo con il relatore, l’onorevole Barsi-Pataky, per il modo in cui ha lavorato per questo regolamento con i colleghi appartenenti a tutti i gruppi politici.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La direttiva in questione aveva lo scopo di creare uno status uniforme per i cittadini di paesi terzi residenti legalmente nel territorio europeo dopo un periodo di cinque anni di residenza legale e ininterrotta in uno Stato membro.
L’obiettivo della presente iniziativa è estendere il campo di applicazione della direttiva ai beneficiari della protezione internazionale al fine di offrire certezza giuridica circa la loro residenza e i loro diritti, che sono paragonabili a quelli dei cittadini UE.
Esiste ancora, tuttavia, un vuoto in quanto la direttiva non prevede il riconoscimento reciproco e il trasferimento di responsabilità in materia di protezione internazionale a un altro Stato membro, il che significa che non sarà possibile concedere ai cittadini di paesi terzi i diritti di circolare liberamente e di stabilirsi nell’UE fintanto che non sarà riconosciuto il loro status. La valutazione di tali domande di trasferimento, pertanto, continua a essere regolata dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dall’Accordo europeo sul trasferimento di responsabilità relativa ai rifugiati del Consiglio d’Europa.
Data tale situazione, è altresì vitale garantire che il secondo Stato membro in questione rispetti il principio di non respingimento, così che l’interessato non sia rinviato in un paese in cui si troverebbe in pericolo. Al massimo tale persona dovrebbe essere rinviata allo Stato membro che ha concesso per primo tale protezione.
In merito a tutti gli altri aspetti, ritengo che debbano essere rispettati gli stessi requisiti e che tali persone siano soggette alle stesse richieste indicate nella direttiva.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La relazione dell’onorevole Roure, così come la direttiva che è volta a modificare, non è accettabile. Per accordare ai beneficiari la protezione internazionale dello status di soggiornante di lungo periodo, anche temporaneamente, senza imporre alcuna condizione in merito a risorse o integrazione minima, persino quando tale status può essere rilasciato solo dopo cinque anni di residenza, è pura follia.
Le disposizioni proposte, inoltre, sono equivalenti alla protezione di tali persone contro l’espulsione, ivi compresa l’espulsione verso un altro Stato membro, a meno che non abbiano commesso un reato grave. Risulterebbe pertanto impossibile negare a tali soggetti il diritto di risiedere nello Stato membro di loro scelta, a prescindere dalle loro condizioni e atteggiamento sociale. Tale prerogativa avrebbe la precedenza sul diritto sovrano degli Stati di decidere chi può vivere nel loro territorio, con quale status e in quali condizioni compatibili con l’ordine pubblico e la sicurezza.
Infine, come tutti voi sapete, le domande di protezione internazionale sono utilizzate per evitare i già deboli controlli e le restrizioni sull’immigrazione che sono effettivamente puramente economici. Siete consci del fatto che, in tali circostanze, la protezione sussidiaria è spesso preferita allo status di rifugiato, perché è più breve e più flessibile. Se i beneficiari possono diventare soggiornanti di lungo periodo, si incoraggerà ulteriormente l’immigrazione.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) La relazione contiene molte proposte per l’integrazione delle persone alle quali è stata concessa protezione internazionale. Avremmo appoggiato tali proposte, qualora la votazione si fosse svolta nel parlamento svedese.
In tale contesto, tuttavia, tali proposte fanno parte della creazione di un regime europeo comune in materia di asilo. Tale relazione va di per sé verso la generosa direzione riguardante la politica in materia di asilo. Al contempo fa parte della costruzione della “Fortezza Europa”. La protezione offerta dalla Convenzione di Ginevra è messa a repentaglio dal fatto che l’UE sta assumendo su di sé la responsabilità di interpretare a chi debba essere concessa protezione e in quale forma.
Non vediamo altra alternativa se non dire “no” a tutte le forme di politica comune in materia di asilo a livello europeo, in quanto altrimenti gli Stati membri perderebbero il controllo sulla direzione presa dalla politica. Le convenzioni dell’ONU devono continuare a costituire gli strumenti regolatori volti a garantire i diritti dei richiedenti asilo nella società internazionale.
Jens Holm, Esko Seppänen, Søren Bo Søndergaard e Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Oggi ci siamo astenuti dalla votazione della relazione dell’onorevole Roure, anche se appoggiamo fondamentalmente l’idea alla base del testo: garantire che i rifugiati e le persone autorizzate a risiedere in un paese in base a una forma di protezione temporanea o sussidiaria godano degli stessi diritti dei soggiornanti di lungo periodo di tale paese nel quadro del campo di applicazione della direttiva 2003/109/CE. Riteniamo, tuttavia, che spetti agli Stati membri, e non all’UE, decidere in merito a tale questione.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Appoggio la relazione dell’onorevole Roure per estendere il campo di applicazione della direttiva 2003/109/CE ai beneficiari di protezione internazionale. Ciò che la relazione si propone di ottenere è la garanzia che i beneficiari di protezione internazionale siano titolari, dopo cinque anni di residenza legale nell’Unione, degli stessi diritti di cui godiamo noi cittadini dell’UE. Ritengo che sia una logica modifica della precedente direttiva e ho votato a favore.
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. − Grazie alla strategia in materia di droga per gli anni 2005-2012, l’Unione europea ha posto le basi per contrastare un fenomeno preoccupante, in costante crescita soprattutto tra le fasce più vulnerabili come i giovani e le donne, quale è quello della diffusione delle droghe in Europa.
Tuttavia gli obiettivi dichiarati devono poter essere realizzati e per questo l’UE ha bisogno dell’impegno della società civile, che ricopre un ruolo fondamentale contro la diffusione dell’uso delle droghe.
La stabilità psicologica, il follow up del paziente dopo la terapia di disintossicazione, la creazione di un’alternativa di vita anche sotto il profilo sociale e lavorativo, sono solo alcuni dei vantaggi prodotti dal lavoro dei centri di recupero, delle ONLUS e dalle ONG operanti nel settore.
Per questo, concordando con il relatore, auspico che, oltre ai sussidi finanziari diretti alle comunità che si occupano del problema, sia altresì prevista un’adeguata politica fiscale per le organizzazioni che svolgono la cosiddetta “ergoterapia” ovvero la riabilitazione attraverso la prestazione di lavoro. In particolare mi attendo che gli Stati membri si impegnino a prevedere specifiche esenzioni dalle imposte o da oneri burocratici troppo stringenti.
Dobbiamo evitare che per ragioni di bilancio dello Stato o meramente burocratiche si concretizzi il rischio di chiusura di queste entità insostituibili nel lavoro di accompagnamento verso una normalizzazione della vita del tossicodipendente.
Slavi Binev (NI), per iscritto. – (BG) Ho appoggiato la relazione dell’onorevole Catania e desidero aggiungere che non esiste una soluzione facile al problema della droga. L’abuso e il traffico di droga distruggono la società attraverso il crimine e la corruzione, che li accompagnano, mentre le malattie trasmissibili legate alla droga (AIDS, epatite) costituiscono una seria minaccia per la salute pubblica.
Ecco perché ritengo che una risposta efficace debba coinvolgere non solo le istituzioni, la società civile e i mezzi d’informazione, ma piuttosto un programma completo attraverso il quale anche l’istruzione, la religione e gli sport possano apportare il loro contributo per risolvere questo problema e possano servire da barriera per tenere i nostri figli lontani dal peccato. Incoraggiare gli sport e gli studi religiosi nei programmi scolastici e al di fuori della scuola può aumentare considerevolmente la consapevolezza dei bambini in merito alla mortale influenza della droga. Unendo gli sforzi della società civile e nell’applicazione delle leggi, in particolare a livello di comunità locale, è possibile ottenere risultati migliori nell’attuazione e nello sviluppo ulteriore della strategia europea in materia di droga.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. – (SV) Il relatore chiede che un’organizzazione di attori della società civile a livello europeo abbia un chiaro valore aggiunto rispetto alle organizzazioni della società civile locali, regionali e nazionali. Dal nostro punto di vista, ciò è assolutamente inaccettabile, in quanto la politica in materia di droga è direttamente connessa al diritto penale e all’atteggiamento dei singoli paesi nei confronti del crimine e della pena. La politica in materia di droga, inoltre, deve essere ideata conformemente agli aspetti sociali e culturali di ciascun paese al fine di aiutare effettivamente le persone bisognose, che necessitano dell’aiuto della società per tornare a una vita funzionale.
Abbiamo pertanto scelto di votare “no” alla relazione nella sua interezza.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Sebbene sia vero che, nel combattere il consumo di droga, l’informazione, la prevenzione e la consapevolezza siano essenziali al fine di allontanare i rischi della tossicodipendenza per la salute fisica e mentale dei consumatori, tali fattori purtroppo non sono sufficienti.
Secondo l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, più di 70 milioni di europei hanno fumato cannabis, mentre il 60 per cento delle persone che frequenta le discoteche in Francia, Italia e Regno Unito ha assunto cocaina. Da ciò si può concludere che le strategie europee di informazione e comunicazione sono completamente inefficaci, dato che purtroppo la domanda e l’offerta di droga stanno crescendo ovunque in Francia e in Europa.
Non è accettabile alcun compromesso riguardante l’assunzione e la vendita di sostanze stupefacenti. Solo la tolleranza zero funziona.
Ciò è confermato dal danno che le politiche sperimentali per la liberalizzazione delle sostanze stupefacenti hanno causato a migliaia di vittime.
Roselyne Lefrançois (PSE), per iscritto. – (FR) In qualità di relatore ombra del gruppo socialista, ho dedicato molto tempo ed energia a questo argomento, con l’intenzione, per quanto concerne la sostanza, di spiegare la necessità di un maggiore dialogo con la società civile nella lotta contro la droga e, per quanto concerne la forma, di proporre un testo che possa essere letto e compreso da tutti.
Con la loro esperienza diretta e capacità di innovazione, ritengo che gli attori della società civile possano davvero apportare un utile contributo alle politiche nazionali ed europee in merito alla prevenzione e all’informazione, così come aiutare le persone a uscire dalla dipendenza e a reintegrarsi nella società.
Sono pertanto necessarie molte azioni a livelli diversi: al lavoro, a scuola, nelle strade e nelle carceri.
Accolgo quindi con favore l’adozione della presente relazione, che saluta la creazione del Forum della società civile sulla droga e sottolinea l’importanza di una maggiore cooperazione tra la società civile e tutte le istituzione e agenzie dell’Unione.
La lotta contro la droga riguarda tutti noi. Coloro che si trovano in prima linea nella lotta, che lavorano ogni giorno per aiutare i tossicodipendenti e per prevenire che altre persone affondino nella dipendenza devono essere considerati partner particolarmente importanti.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) L’abuso di droga costituisce un problema rilevante in tutte le società europee e la Scozia non fa eccezione. Le raccomandazioni dell’onorevole Catania in merito al ruolo della società civile nella politica in materia di droga dell’UE richiedono giustamente un approccio europeo maggiormente concertato relativamente a questo problema che non conosce confini. La società civile è un attore fondamentale per affrontare tutti gli aspetti di questo problema e le sue iniziative dovrebbero poter godere dell’appoggio dell’UE. E’ necessario prestare ascolto alle raccomandazioni del relatore se vogliamo costruire una politica efficace per la lotta su tutti i fronti contro l’abuso di droga. Ho votato a favore della relazione.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Che la coltivazione illegale di papaveri possa convertirsi in produzione industriale di prodotti medicinali è discutibile, ma può valere la pena di tentare. Quel che è certo è che la politica degli USA nei confronti dell’Afghanistan e la mancanza d’azione da parte dell’UE relativamente all’aumentata produzione di oppio hanno aggravato il problema.
Una politica lungimirante in materia di droga deve basarsi sull’effettivo annientamento delle organizzazioni dedite al traffico di droga, sull’immediata espulsione degli spacciatori stranieri e sull’adozione di misure prioritarie mirate, insieme alla fornitura di migliori servizi per la disintossicazione dei tossicodipendenti. Si chiede sempre più a gran voce una normativa o la liberalizzazione della droga, ma persino in Svizzera, dopo quasi 15 anni di distribuzione di eroina, si sono finalmente infrante le speranze che ciò sia di aiuto ai tossicodipendenti nel superare la loro dipendenza. La relazione che abbiamo dinanzi propende decisamente verso la liberalizzazione e non ho pertanto votato a favore.
Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN), per iscritto. – (PL) Accolgo con favore una discussione sulle droghe. Esse costituiscono un problema serio, ma gli sforzi burocratici non hanno ridotto le attività degli spacciatori, che vendono la droga nelle scuole, nei centri di istruzione superiore, nei complessi residenziali e in altri luoghi pubblici, ed è improbabile che in futuro sortiscano qualche effetto.
Nel 1998 una sessione speciale dell’Assemblea generale dell’ONU si è posta l’obiettivo di creare un mondo senza droga nell’arco di tempo di 10 anni. Gli anni successivi hanno visto la pubblicazione di molti regolamenti, raccomandazioni, decisioni, relazioni e di un Libro verde. Oggi abbiamo votato un altro progetto di risoluzione. Faremmo bene a riflettere sui risultati ottenuti in questo modo. Mi dispiace dover dire che nella storia dell’umanità le sostanze stupefacenti non sono mai state così facilmente reperibili come lo sono oggi. L’unica cosa che manca ancora è la possibilità di ordinarle via Internet.
Ho votato a favore della risoluzione perché appoggio qualsiasi misura volta a combattere il problema della droga. Ciononostante, desidero porre l’accento sul fatto che, fin tanto che non isoleremo i produttori dai distributori e non introdurremo cambiamenti radicali nel codice penale al fine di creare un deterrente effettivo per quelle persone che si guadagnano da vivere con la droga, questo problema non si ridurrà. Al contrario, aumenterà di dimensioni.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Ritengo che esista la necessità di favorire, non solo a livello europeo, ma anche nazionale e locale, un dialogo fra e con i vari attori della società civile per arginare il drammatico pericolo rappresentato dalla droga.
La società civile deve essere considerata un alleato fondamentale dell’Unione e degli Stati membri nel raggiungimento degli obiettivi delineati nella strategia dell’Unione europea in materia di droga.
Grazie alla loro esperienza sul campo, infatti, le comunità terapeutiche possono sostenere le campagne di sensibilizzazione, fornendo maggiori e migliori informazioni sui rischi legati all’uso di sostanze stupefacenti e sui possibili programmi di prevenzione.
Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. – (SV) Nessuno mette in discussione l’importanza dell’enorme lavoro, che spesso si rivela un successo, condotto dalle organizzazioni civili per aiutare le persone divenute tossicodipendenti. Dobbiamo raccogliere tutte le forze una volta per tutte nella battaglia contro le sostanze nocive che creano dipendenza. E’ stato pertanto gratificante vedere una relazione che mette in risalto le iniziative condotte in Europa.
La ragione per cui mi sono astenuto dalla votazione di oggi, pertanto, non ha nulla a che vedere con l’effettivo oggetto della relazione. La ragione può al contrario essere letta sotto “Società civile – la dimensione esterna”. Qualche tempo fa ho votato a favore di una relazione che appoggiava l’agevolazione del passaggio alla coltivazione legale del papavero in Afghanistan per la produzione di farmaci antidolorifici, una decisione devo ammettere angosciante. Una delle ragioni della mia scelta sono state le diverse relazioni presentate sulle conseguenze nocive delle irrorazioni mediante aeromobili delle coltivazioni esistenti e la disperata condizione in cui si trova la popolazione afgana. La relazione incoraggia sia la coltivazione separata che le irrorazioni, il che non è coerente. La relazione concede altresì sostegno alle organizzazioni europee che lavorano nella produzione di sostanze derivanti dalle foglie di coca, ad esempio, per uso terapeutico o altri “utilizzi legali”. Non sono minimamente a favore di questo punto, ma dato che la principale intenzione della relazione è tuttavia buona, ho deciso alla fine di astenermi.
Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) La proposta di risoluzione per la donazione e il trapianto di organi rientra in un dibattito mondiale sulla sicurezza dei minori. Al fine di contribuire efficacemente alla tutela dei minori, sto lavorando a una campagna europea denominata Do you know where your child is now? (Sai dov’è tuo figlio adesso?). Il capitolo di questa relazione che tratta del traffico di organi è direttamente connesso a questo punto. L’appello agli Stati membri e al Consiglio per l’adozione di misure efficaci volte a distruggere la relazione tra la carenza di organi e il traffico di organi è pertanto più che giustificata.
Al fine di combattere il traffico di organi, deve essere adottata una strategia sul lungo periodo con l’intenzione di eliminazione le disuguaglianze sociali alla base di tali pratiche. Dobbiamo combattere il traffico di organi e di tessuti, che dovrebbe essere universalmente vietato, in particolare quando riguarda il trapianto di organi e di tessuti dai minori. Sono profondamente delusa per il fatto che l’Europol non abbia condotto un’indagine sulla vendita e il traffico di organi, citando l’assenza di casi documentati.
Al contrario, le relazioni del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione mondiale della sanità dimostrano chiaramente che il traffico di organi costituisce un problema anche negli Stati membri dell’Unione. Chiediamo alla Commissione europea e all’Europol di migliorare il controllo sul traffico di organi e di trarre le conclusioni necessarie. Mi auguro che la Slovacchia possa far uso dell’esercizio della Presidenza dell’UE al fine di portare avanti questo importantissimo punto all’ordine del giorno.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica dell’accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 sulla disciplina di bilancio e la sana gestione finanziaria con riguardo all’adeguamento del quadro finanziario pluriennale in base alla relazione dell’onorevole Böge.
Tale adeguamento è diventato imprescindibile a causa del ritardo nell’adozione di taluni programmi operativi sotto le rubriche 1B e 2, 2 034 milioni di euro ai prezzi attuali degli stanziamenti previsti per i Fondi strutturali, il Fondo di coesione, lo sviluppo rurale e il Fondo europeo per la pesca che non si potevano impegnare nel 2007 o riportare nel 2008. E’ divenuto pertanto logico che tale ammontare fosse trasferito agli anni successivi conformemente al paragrafo 48 dell’accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio e la sana gestione finanziaria, aumentando i tetti di spesa pertinenti per gli stanziamenti d’impegno.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione relativa all’adeguamento del quadro finanziario pluriennale, presentata dal nostro onorevole collega Böge. L’ammontare non utilizzato nel 2007 degli stanziamenti d’impegno per i Fondi strutturali, il Fondo di coesione, il Fondo per lo sviluppo rurale e il Fondo europeo per la pesca dovrebbe essere riportato per gli anni a venire. 2,034 miliardi di euro saranno pertanto trasferiti, ai sensi del paragrafo 48 dell’accordo interistituzionale, al periodo 2008-2013. L’ammontare sarà stanziato principalmente nel 2008 (circa il 56 per cento). Nel corso del periodo 2000-2013 l’influenza di tale trasferimento sarà significativa.
Dobbiamo analizzare le ragioni che hanno portato al mancato utilizzo di tali fondi. Innanzi tutto, vi sono 45 programmi operativi che sono stati presentati alla Commissione in ritardo per l’approvazione. Il 72 per cento della riprogrammazione richiesta è dovuta a ritardi nei programmi per lo sviluppo rurale. Alcuni sono stati inviati alla Commissione in dicembre, rendendone pertanto impossibile l’adozione nel 2007. Le restrizioni istituzionali nazionali e la mancanza di una precedente esperienza di programmazione sono alcune delle cause di tali ritardi. La maggior parte dei 45 programmi operativi rinviati provengono dai nuovi Stati membri. Chiedo alla Commissione di assisterli maggiormente nell’acquisizione di nuove procedure e nella formazione del personale preposto all’utilizzo di tali fondi.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione di iniziativa dell’onorevole Carlotti sull’applicazione del 10° Fondo europeo di sviluppo (FES) e, come indicato nella relazione, mi rammarico del fatto che il fondo non sia stato inserito nel bilancio dell’Unione, il che avrebbe permesso un controllo democratico.
Ci auguriamo che il tema dell’inserimento del FES nel bilancio venga sollevato di nuovo nel 2009 in occasione della revisione intermedia delle prospettive finanziarie. In merito al FES e al suo ruolo nell’eliminazione della povertà e nel raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM), la sua programmazione sta diventando urgente, così come, pertanto, la definizione degli accordi politici necessari alla sua attuazione. Sarà necessario attribuire la priorità al miglioramento dell’assistenza sanitaria e all’istruzione di base, nonché, aggiungerei, all’agricoltura di sussistenza.
In un momento in cui l’agenda di Doha dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) si trova in un effettivo periodo di stasi, sta diventando urgente l’utilizzo dei suoi strumenti per lo sviluppo da parte dell’Unione europea al fine di partecipare a questo piano ambizioso, giusto e ammirevole volto a eliminare la povertà nel mondo.
Mikel Irujo Amezaga (Verts/ALE), per iscritto. – (ES) Ho votato a favore della relazione, dato che ritengo che sia della massima importanza sottolineare la necessità di FES nei paesi ACP. E’ fondamentale che documenti quali la Dichiarazione di Parigi del marzo 2005 siano presi con serietà e rivisti periodicamente al fine di produrre dati netti relativi agli aiuti. Ciononostante, è certo che a causa di una terribile mancanza di coordinamento tra gli Stati membri, i loro aiuti ufficiali allo sviluppo sono stati ridotti dallo 0,4% del PIL nel 2006 a meno dello 0,38% nel 2007. Questa minuscola percentuale rappresenta una perdita di 1 700 milioni di euro. L’elemento più negativo, tuttavia, è che i paesi partner si trovano in una perenne situazione di discontinuità senza alcuna possibilità di pianificare sul lungo periodo, dato che non sanno minimamente se disporranno di fondi sufficienti a realizzare eventuali piani, anche se essi sono stati promessi dagli Stati membri. L’aspetto più triste di tutto ciò è che chiediamo loro di fare la loro parte quando noi dimentichiamo di fare la nostra. Non possiamo lavorare insieme in questo modo.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) Accolgo con favore la relazione Carlotti sull’applicazione del 10° Fondo europeo di sviluppo (FES). Al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi del FES in merito all’eliminazione della povertà nei paesi e nelle regioni partner e al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, è necessario un maggiore controllo parlamentare dei suoi strumenti di attuazione. Concordo inoltre con l’idea che la programmazione del Fondo dovrebbe prestare particolare attenzione alle aree relative agli OSM, quali salute, istruzione, rispetto dell’ambiente e promozione del buon governo. Si inizia a sentire la necessità di affrontare le attuali difficoltà di ratifica del 10° FES, al fine di facilitare l’attuazione rapida del Fondo. Ho votato a favore della relazione.
Vincent Peillon (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della presente relazione dell’onorevole Carlotti sull’applicazione del 10° Fondo europeo di sviluppo (FES).
Il FES costituisce lo strumento comunitario principale degli aiuti alla cooperazione allo sviluppo nei confronti dei paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico). E’ focalizzato in particolar modo sul conseguimento degli Obiettivi del Millennio definiti dalle Nazioni Unite nel 2000.
Al momento, tuttavia, il 10° FES (2008-2013) è giunto a un momento di stasi. Dato che l’accordo di Cotonou riveduto non è stato ratificato da alcuni paesi ACP, i 22,7 milioni di euro previsti dal bilancio e disponibili dal 1 gennaio 2008 non sono ancora stati utilizzati.
Il testo adottato dal Parlamento, pertanto, chiede con urgenza la fine di questa impasse e mette in evidenza diverse questioni: priorità alla riduzione della povertà (soprattutto alla sanità e all’istruzione), attenzione particolare alla dimensione di genere e a una strategia di sviluppo sostenibile per i paesi interessati.
Il Parlamento, infine, desidera vedere inserito il FES nel bilancio generale dell’Unione, al fine di rendere più coerenti le politiche europee e di migliorare il controllo democratico della sua gestione.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’attuazione del bilancio del 10° Fondo europeo di sviluppo non deve essere valutata in termini puramente contabili. Come doverosamente notato dalla relazione in questione, non è questa la funzione del Parlamento, ma piuttosto la discussione dell’integrazione del FES nel bilancio della Commissione o le norme sull’utilizzo del saldo restante da ogni anno finanziario. Quel che ci riguarda è la coerenza tra l’impiego di tali fondi e gli obiettivi politici dell’Unione europea relativamente ai paesi ACP.
A tale proposito, fa specie che l’attuale situazione sia piuttosto diversa da quella esistente all’epoca della creazione di tali strumenti e del relativo quadro. In molti di questi paesi, oltre a tener conto del fattore Cina, si devono considerare gli effetti dei cambiamenti nel mercato agricolo e alimentare, il cambiamento climatico e il nuovo approccio degli Stati Uniti nei confronti dell’Africa. Alla luce di tutto ciò, si ha la percezione che la strada percorsa finora non sia più del tutto adeguata, il che costituisce, e desidero sottolinearlo, la nostra principale preoccupazione.
Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. – (SV) Quando l’UE, il più grande donatore di aiuti a livello globale, opera nei paesi in via di sviluppo, i nostri valori devono essere chiari. I diritti umani devono essere i nostri guardiani, non solo in teoria, ma anche nella pratica. Affermare pertanto che l’UE non dovrebbe impiegare il Fondo europeo di sviluppo per promuovere la democrazia e i diritti umani essendo in grado di esigere sviluppo in questo settore è in contraddizione con il nostro desiderio di conseguire risultati concreti. Gli aiuti fanno del bene solo se vanno a vantaggio dei cittadini, di conseguenza noi, in quanto donatori, dobbiamo essere in grado di definire criteri al fine di incoraggiare lo sviluppo della democrazia, dei diritti umani e del funzionamento della società civile. A volte creare sviluppo richiede anche aiuti diretti attraverso operazioni per il mantenimento della pace, che devono poter altresì essere coperte dal Fondo europeo per gli investimenti, in quanto tali operazioni riducono la sofferenza umana e prevengono le catastrofi in modo molto concreto.
Naturalmente noi, il mondo ricco, non dobbiamo imporre un modo di vivere particolare ad altre persone. Tuttavia abbiamo la responsabilità di permettere che vi sia una scelta ove oggi non c’è. Sono tuttavia deluso per il fatto che quella che altrimenti sarebbe una valida e importante relazione metta in questione quanto per me costituisce un principio fondamentale di qualcosa che si sta facendo in cambio in termini di diritti umani e di libertà fondamentali e dell’opportunità di operazioni per il mantenimento della pace nel quadro del Fondo europeo per gli investimenti.
Angelika Beer (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Il gruppo dei Verdi non voterà a favore della relazione Meijer sulla Macedonia. Sebbene la relazione contenga molte parti che delineano chiaramente i progressi compiuti da questo paese, il modo con cui, proprio all’ultimo minuto, i politici greci hanno fatto pressione contro il paragrafo relativo alla questione del nome è assolutamente inaccettabile. La manifestazione più notevole di questo comportamento è stata l’espressione del desiderio di cancellare il riferimento all’accordo interinale del 1995 in cui i greci garantivano che la questione del nome non avrebbe costituito un ostacolo all’adesione della Macedonia alle istituzioni internazionali. La Grecia non solo mette in questione il suo impegno in merito al diritto internazionale, ma sta altresì interferendo nella sovranità di un altro Stato in un modo che non ha precedenti. Tale comportamento da parte di uno Stato membro dell’UE è inaccettabile.
Jaromír Kohlíček (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) La FYROM è uno dei pochi paesi al mondo il cui nome non è stato riconosciuto ufficialmente dagli altri paesi. Sebbene questa repubblica abbia introdotto diverse festività etniche e religiose, esiste ancora l’abnorme accordo bilaterale sullo status dei cittadini USA. Tra i successi conseguiti rientrano le misure prese contro il crimine organizzato e la corruzione, realizzate dal governo malgrado l’incapacità delle forze di occupazione in Kosovo di fare qualcosa in merito a tali problemi. Trovo incomprensibile che ad oggi non sia stata concordata alcuna posizione unanime per dare ai cittadini che si trovano all’estero la possibilità di votare. Nel referendum a Montenegro questi cittadini sono stati discriminati; nel caso delle elezioni in Macedonia l’UE è titubante.
Il paragrafo 31 plaude all’irruzione della polizia in un deposito segreto di armi. Ritengo che l’informazione contenuta nella seconda parte del paragrafo relativa al fatto che i terroristi siano stati maltrattati allorché erano agli arresti sia alquanto ridicola. Non sono a conoscenza di casi in cui la polizia abbia chiesto gentilmente a dei terroristi di arrendersi. A parte l’insolita situazione riguardante il nome del paese e l’accordo con gli USA che va contro gli accordi internazionali, uno degli aspetti inconsueti della questione della FYROM è costituito dai contrasti con i paesi vicini. Per come la vedo io, dobbiamo insistere sul fatto che tali contrasti siano risolti prima che il paese aderisca all’UE. Dato che alcuni degli emendamenti possono modificare il significato della relazione, il nostro voto sul prodotto “finale” dipenderà dal fatto che tali emendamenti siano adottati o meno.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) La relazione dell’onorevole Maijer sui progressi compiuti dall’ex Repubblica iugoslava di Macedonia verso l’adesione è bilanciata e verte su una questione che crea discordia. La FYROM deve andare avanti con il suo programma incentrato sulle riforme al fine di garantire che i negoziati di adesione possano essere avviati quanto prima. Per prevenire una posizione negoziale sulla questione del nome, non dobbiamo farci tentare dalla possibilità di utilizzare il nome FYROM come ostacolo al suo coinvolgimento nelle istituzioni internazionali. Appoggio pertanto con favore la relazione e gli sforzi del relatore volti a garantire che la questione del nome non dominasse il documento.
Richard Howitt (PSE), per iscritto. – (EN) I membri del Parlamento europeo appartenenti al partito laburista britannico hanno votato a favore della presente risoluzione, che rivela uno sforzo autentico volto a mantenere i progressi conseguiti dall’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (FYROM) verso l’adesione dell’UE, mettendo in evidenza le azioni positive compiute nella lotta alla corruzione e nella protezione della libertà dei mezzi d’informazione così come nell’esercitare pressione per le future azioni necessarie ad avvicinarsi all’apertura dei negoziati di adesione.
Non abbiamo votato a favore dell’emendamento n. 13 relativo ai negoziati sulla questione del nome. Sebbene appoggiamo appieno l’intero lavoro compiuto per trovare una soluzione al problema del nome, non riteniamo che ciò vada collegato in alcun modo all’adesione della FYROM alle organizzazioni internazionali. Ognuna di esse dovrebbe essere decisa sulla base dei suoi propri meriti.
In secondo luogo, ci siamo astenuti dalla votazione dell’emendamento n. 7 relativo alla questione della liberalizzazione dei visti. Dato che il Regno Unito non fa parte dell’accordo di Schengen nel cui ambito rientra tale aspetto, non è opportuno dare il nostro appoggio all’emendamento.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il successo di oggi è dovuto agli sforzi coordinati ed efficaci che abbiamo compiuto insieme a molti altri onorevoli colleghi dell’intero spettro politico del Parlamento europeo.
Questo tentativo è andato a buon fine anche grazie al tardivo cambiamento della linea ufficiale greca volto a trovare una sincera soluzione di compromesso per mezzo di un nome composto accettabile per tutti.
Dobbiamo impegnarci a fondo per trarre vantaggio da tale progresso e giungere a una soluzione attraverso un compromesso equo, da raggiungere sotto la stessa egida dell’ONU prima della fine del 2008.
E’ negli interessi della Grecia e dei popoli mantenere la pace e la stabilità nella regione, in modo tale da prevenire un’altra impasse di diversi anni. La vita pubblica deve essere liberarsi della sindrome di Skopje.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) I membri al Parlamento europeo appartenenti al Partito comunista di Grecia (KKE) non hanno votato a favore della presente relazione. Ci opponiamo a un’UE capitalista e bellicista e pertanto anche all’allargamento dell’UE. La causa primaria dei problemi nei Balcani è imputabile ai piani imperialistici, agli interventi dell’UE, degli USA e della NATO e ai cambiamenti dei confini.
L’adesione all’UE e alla NATO dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (FYROM) e di altri paesi dei Balcani coinvolge i loro popoli nella situazione di stasi imperialistica tra USA, UE e Russia relativa al controllo delle fonti di energia e dei canali di trasporto. Si stanno mettendo seriamente a rischio coloro che vivono nella regione.
Il partito comunista di Grecia non si preoccupa della questione del nome. Appoggia una soluzione reciprocamente accettabile circa tale problema, che deve costituire una definizione puramente geografica, separata da nazionalismi e assoggettamenti che creano discordia.
Coloro che hanno avvertito la necessità di scusarsi di fronte alla popolazione greca a causa del loro voltafaccia dell’ultimo minuto in merito alla questione del nome macedone, e che appartengono all’UE, alla Nuova democrazia, al PA.SO.K., alla Coalizione della sinistra (SYN) e al Raduno popolare ortodosso, si stanno fregando le mani dalla soddisfazione. Hanno votato a favore dell’adozione degli emendamenti presumibilmente positivi relativi al nome nel tentativo di distrarre le persone dalla questione principale e cioè dall’intervento e dagli schemi imperialisti per i Balcani. Tale diversivo è ideato al fine di nascondere la loro sottomissione agli scopi imperialisti e alla nomina di UE, USA e Russia come arbitri. Tutto ciò espone il nostro paese alle minacce e alla pressione volte a estorcere denaro in cambio della piena partecipazione ai piani imperialistici, che stanno peggiorando dal vertice NATO di Bucarest.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) ho votato a favore dell’eccellente relazione di iniziativa dell’onorevole Gomes sulla politica della Cina e le sue conseguenze per l’Africa. Sebbene vada accolto con favore il fatto che la Cina sia pronta a cooperare con i paesi africani in modo concreto e pragmatico, vi sono diversi motivi di preoccupazione, quali la cooperazione della Cina con i regimi repressivi dell’Africa, il mancato rispetto delle norme sociali e ambientali, la fornitura di armi ai regimi repressivi e non democratici. Appoggio la proposta che l’Unione africana, la Cina e l’UE debbano istituire un organo consultivo permanente per migliorare la coerenza e l’efficacia delle loro rispettive attività di cooperazione e per istituire un quadro globale per progetti operativi concreti relativamente a sfide comuni, quali l’adattamento al cambiamento climatico, le energie rinnovabili, l’agricoltura, le risorse idriche e la sanità.
Appoggio altresì l’idea di un dialogo tra il Congresso nazionale del popolo cinese, il Parlamento panafricano, i parlamenti nazionali africani e il nostro Parlamento europeo con lo scopo di promuovere lo sviluppo sostenibile e migliorare le loro capacità di controllo sull’esecutivo in pace e democrazia.
Philip Claeys (NI), per iscritto. – (NL) La relazione Gomes indica giustamente le varie pratiche cinesi inaccettabili in Africa e a volte arriva al dunque. L’etnocidio in Tibet può ricevere molta attenzione al momento, ma la politica cinese in Africa è per lo meno altrettanto indicativa di un regime che non potrebbe curarsi meno dei diritti umani e delle altre regole del gioco.
I cinesi fanno affari con chiunque purché soddisfi la sete di petrolio. Le imprese e gli uomini d’affari cinesi creano isole cinesi extraterritoriali protette da capi di Stato corrotti, a loro volta protetti dal veto cinese nel Consiglio di sicurezza. L’Europa non è allo stesso livello dei cinesi e lentamente, ma inevitabilmente, sarà costretta a lasciare l’Africa. L’Europa deve solo rendersi conto che alla fine, mentre i cinesi acquistano vantaggi in Africa, il messaggio, ripetuto con costanza, di democrazia, libertà e buon governo, per non dimenticare di sostenibilità, sta diventando completamente privo di significato. E’ tempo di una nuova strategia.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Gomes sulla politica della Cina e le sue conseguenze per l’Africa, perché ritengo che, alla luce della crescente presenza cinese in Africa, l’Unione europea debba provare, adottando una posizione comune sul dialogo, a incoraggiare la Cina a fondare le sue azioni economiche e politiche in Africa su criteri che non impediscano la promozione della pace, la sicurezza umana, lo Stato di diritto o lo sviluppo sostenibile.
Sono altresì a favore della richiesta che l’Unione europea perseveri nella promozione del rispetto dei principi dai quali è governata, a prescindere dal successo delle sue iniziative di dialogo.
Jens Holm, Erik Meijer, Esko Seppänen, Søren Bo Søndergaard e Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) La relazione dell’onorevole Ana Maria Gomes copre molti aspetti importanti, non ultimo il fatto che il coinvolgimento dell’UE e della Cina debba essere nell’interesse dei paesi e dei popoli africani e che gli investitori esterni che operano in Africa debbano rispettare le norme ambientali e sociali. Ecco perché abbiamo deciso di appoggiare la relazione. Tuttavia non siamo a favore della forma del primo paragrafo, che sottolinea l’importanza del Trattato di Lisbona nel miglioramento dell’efficacia e della coerenza delle relazioni esterne dell’UE.
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) La commissione per lo sviluppo ha redatto una relazione molto equilibrata sulla politica della Cina e le sue conseguenze per l’Africa.
La voto con tanta più soddisfazione dato che ho avuto un’esperienza molto spiacevole all’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE. Nella mia relazione sull’impatto degli investimenti stranieri diretti, ho formulato alcune considerazioni critiche sugli investimenti cinesi in Africa. I delegati ACP, con la connivenza di socialisti, comunisti e verdi, sono riusciti a eliminarle tutte dalla relazione.
Perché non erano disposti ad affermare che gli ISD si concentrano sulle industrie estrattive e che spesso appoggiano i governi ACP in orientamenti politici che non sono nell’interesse della democrazia, dello Stato di diritto e dell’eliminazione della povertà in quei paesi?
Perché hanno eliminato la conclusione che gli ISD cinesi sono investiti in talune multinazionali che inondano i mercati africani di beni di bassa qualità, in particolare tessili?
Accolgo con favore il riferimento, nella motivazione della relazione, al fatto che la corsa della Cina in Africa sta saccheggiando le risorse nazionali africane a vantaggio della Cina e che sta minando lo sviluppo sostenibile. Vi è anche preoccupazione circa il rischio che la Cina possa esportare in Africa alcune delle sue peggiori pratiche interne…
(Testo abbreviato conformemente all’articolo 163 del Regolamento)
Erika Mann (PSE), per iscritto. – (DE) Desidero cogliere l’opportunità offerta dalla presente dichiarazione di voto per esprimere i miei sentiti ringraziamenti alla relatrice, l’onorevole Ana Maria Gomes, poiché il testo oggetto di votazione è molto apprezzabile. Desidero altresì ringraziarla per avervi incluso numerosi aspetti del parere della commissione per il commercio internazionale.
A mio avviso, è molto importante valutare la politica della Cina in Africa in modo equo, senza una condanna generalizzata del suo impegno in tale continente. Andrebbe invece accresciuto l’impegno dell’UE attraverso l’approccio incentrato su “Più Europa in Africa”, il che potrebbe migliorare la visibilità europea e conseguire una presenza europea più forte, rafforzando di conseguenza i contatti tra l’UE e l’Africa. Legami economici più stretti tra i due continenti potrebbero portare grandi benefici a entrambe le parti.
David Martin (PSE), per iscritto. – (EN) La relazione di Ana Gomes sulla politica della Cina e le sue conseguenze per l’Africa sottolinea non solo le azioni positive intraprese da Pechino impegnandosi con l’Africa, ma anche che la politica cinese necessita di miglioramenti. Da un lato l’UE deve accogliere con favore il ruolo della Cina nello sviluppo dell’Africa, sebbene attraverso i suoi aiuti la Cina esporti, in modo allarmante, alcune delle sue peggiori pratiche interne, tra cui la corruzione e la mancanza di considerazione per i diritti dei lavoratori e delle norme ambientali. Senza dubbio l’impegno con la Cina in merito a tali questioni e alle sue relazioni con regimi repressivi, quali il Sudan e lo Zimbabwe, necessitano di un approccio comune dell’UE. E’ tenendo conto di queste considerazioni che ho votato a favore delle raccomandazioni della relazione.
Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) La relazione dell’onorevole Ana Maria Gomes copre molti aspetti importanti, non ultimo il fatto che il coinvolgimento dell’UE e della Cina debba essere nell’interesse dei paesi e dei popoli africani e che gli investitori esterni che operano in Africa debbano rispettare le norme ambientali e sociali. Ecco perché abbiamo deciso di appoggiare la relazione.
Tuttavia non siamo a favore della forma del primo paragrafo, che sottolinea l’importanza del Trattato di Lisbona nel miglioramento dell’efficacia e della coerenza delle relazioni esterne dell’UE.
In termini di riforma della politica agricola comune, il Sinn Féin è a favore di qualsiasi riforma effettiva che permetta all’agricoltura e alla vita rurale di diventare sostenibile in Irlanda, in Europa e in tutto il mondo.
Lydie Polfer (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Gomes poiché fornisce un’analisi molto dettagliata delle cause e delle conseguenza della dominazione cinese in Africa da una prospettiva sia economica che politica.
L’impressionante crescita economica cinese degli ultimi 20 anni ha portato a un aumento della domanda di petrolio e di altre materie prime. Oggi la Cina importa il 30 per cento del petrolio di cui necessita dall’Africa; tale dato salirà al 45 per cento entro il 2010.
In Africa, la Cina investe in modo massiccio anche nelle infrastrutture.
Tali impegni sono senza prerequisito che siano sul fronte dei diritti umani o si tratti di condizioni sociali e ambientali.
L’Europa deve sedersi, prendere nota della situazione e deve cercare di definire un partenariato strategico sia con l’Africa che con la Cina al fine di garantire lo sviluppo sostenibile del continente africano.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La relazione in questione definisce correttamente lo stato attuale della politica cinese in Africa, descrivendo in dettaglio gli investimenti, i finanziamenti e le conseguenze politiche. Non è purtroppo realistica nelle sue proposte, suggerendo ripetutamente che si esorti l’UE a incoraggiare la Cina ad adottare un comportamento ideale nell’ambito dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e del rispetto dell’ambiente e, infine, a compiere nella sua politica estera ciò che non fa nella sua politica interna. Nel capitolo riguardante ciò che andrebbe fatto relativamente alla (corretta) descrizione della politica cinese in Africa e delle sue conseguenze, non vi è alcun suggerimento riguardo a quale dovrebbe essere la strategia europea e in partenariato con paesi quali India, Brasile e (omissione inammissibile) gli Stati Uniti.
L’attuale situazione globale non ha nulla a che vedere con i modelli che hanno inquadrato il pensiero geostrategico degli ultimi decenni. La comparsa di nuove economie che differiscono enormemente le une dalle altre, l’aumento generalizzato e globalizzato dei consumi, la concorrenza per l’acquisizione di beni essenziali e le materie prime, la minaccia di rivolte sociali, il rischio di preferenza per regimi politici forti, tutte queste nuove realtà necessitano di un’analisi e, in particolare, di una proposta maggiormente strategica con una diversa visione del futuro. Per questi motivi mi sono astenuta dalla votazione della proposta.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − La relazione della collega Ana Maria Gomes sulla “Politica della Cina e sue conseguenze per l’Africa” evidenzia il ruolo di assoluto primo piano che Pechino ormai ha negli equilibri diplomatici, economici e politici africani.
Ritengo indispensabile che il comportamento cinese, nonostante abbia acceso i riflettori su un continente in oblio come quello africano, debba essere contenuto e limitato per non incorrere in una nuova potenziale forma di colonialismo che ha segnato e scritto pagine vergognose della nostra storia europea.
A questo scopo auspico che l’UE definisca una strategia coerente in modo da assicurare il rispetto da parte della Cina di temi quali la governance, la lotta alla corruzione, la tutela dei diritti umani, del lavoro e dell’ambiente e in modo da garantire accordi limpidi e trasparenti tra i due Paesi.
Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. – (SV) L’Africa è un continente che necessita di aiuti, di rapporti commerciali più stretti e di una maggiore partecipazione nel processo di globalizzazione, che sta generando maggiore benessere per tutti. La Cina è diventata rapidamente un importante partner del continente africano, con una grande sete di materie prime e non da ultimo di petrolio, di cui diversi paesi africani sono in possesso. Il fatto che sempre più paesi si interessino all’Africa è di stimolo per il suo sviluppo. Va detto, tuttavia, che l’approccio poco critico della Cina quando si tratta dell’accesso a tali materie prime, con scarsa o nessuna considerazione dei diritti umani, corruzione e regimi non democratici, pone una sfida all’UE, che ha a lungo insistito sul fatto che il commercio e gli aiuti debbano andare di pari passo con le esigenze di uno sviluppo democratico, tenendo in considerazione i diritti umani e le libertà fondamentali. E’ un segnale importante che il Parlamento europeo stia chiaramente esortando la Cina a tenere conto dei diritti umani e dello sviluppo della popolazione Africana. Il concetto di “sviluppo” è più ampio di quello di semplice progresso economico e pertanto appoggio senza riserve il punto di vista per cui i diritti umani e la democrazia debbano costituire un aspetto importante delle relazioni internazionali, ivi comprese quelle tra Cina e Africa.
7. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
(La seduta, sospesa alle 12.50, è ripresa alle 15.00)
8. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
9. Situazione in Birmania (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla situazione in Birmania.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) L’Unione europea sta seguendo da vicino la situazione in Birmania, o Myanmar. Stiamo appoggiando attivamente gli sforzi, compiuti in primo luogo dalle Nazioni Unite, volti ad accelerare la transizione verso la democrazia, la riconciliazione e lo sviluppo del paese. L’inviato speciale Piero Fassino ha riferito al Parlamento europeo in merito alla situazione in Birmania/Myanmar. Ha altresì informato il Parlamento circa gli allineamenti che si stanno verificando con i paesi vicini della Birmania e gli altri membri dell’ASEAN.
Com’è noto, l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Ibrahim Gambari, ha visitato il paese all’inizio di marzo. Desidero sottolineare la nostra delusione per il fatto che la sua visita non ha portato ad alcun risultato evidente. La maggior parte di noi ha avuto l’impressione che le autorità birmane non fossero pronte a cooperare con la comunità internazionale. L’Unione europea desidera vedere le autorità birmane accettare le proposte avanzate da Ibrahim Gambari riguardo a un ulteriore processo politico. L’intera comunità internazionale è concorde in merito a tali proposte, che non sono portata eccessivamente vasta.
L’UE e Ibrahim Gambari segnalano problemi simili. L’UE, inoltre, invia regolarmente comunicazioni politiche fondamentali alla Birmania/Myanmar, una delle quali è la recente risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione in tale paese. Il nostro messaggio centrale comune è principalmente che la riconciliazione nazionale, la stabilità e la prosperità sono possibili solo attraverso un processo inclusivo e credibile di democratizzazione. Ecco perché l’Unione europea sta seguendo con interesse la risposta dell’opposizione al prossimo referendum sulla costituzione.
Esortiamo le autorità a permettere una discussione aperta e libera sulla costituzione prima del referendum, al fine di fermare la persecuzione degli attivisti politici e di abrogare le leggi che limitano la libertà di espressione. A prescindere dall’attuale situazione, l’Unione europea non ha perso la speranza che le autorità birmane garantiranno una consultazione referendaria equa e libera e che permetteranno la presenza di osservatori internazionali. E’ pronta ad appoggiare gli osservatori provenienti dai paesi dell’ASEAN.
Oltre a permettere di condurre in modo corretto il referendum, esortiamo la Birmania a rilasciare i prigionieri politici e a cessare gli arresti. Il Consiglio si unisce al Parlamento europeo nell’appello alla Birmania di non prolungare gli arresti domiciliari di Aung San Suu Kyi. Ci auguriamo che in futuro la Cina e i paesi dell’ASEAN continueranno anche ad appoggiare la missione di Ibrahim Gambari e la posizione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Inviamo questo messaggio attraverso canali diplomatici e attraverso il nostro inviato speciale.
In occasione della sessione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” che si terrà la prossima settimana, l’Unione europea intende estendere la validità della posizione comune sulla Birmania. In tal modo saranno ancora possibili le attività umanitarie, benché limitate, mentre le sanzioni resteranno in vigore. Esortiamo i partner internazionali a garantire maggiori aiuti, di cui i cittadini birmani hanno necessità urgente. L’Unione europea continuerà a fornire tali aiuti.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, il Commissario Ferrero-Waldner non ha potuto partecipare a questo incontro. Da parte sua e da parte della Commissione, desidero fare alcune osservazioni riguardo alla Birmania.
Tra un paio di settimane, il 10 maggio, verrà chiesto al popolo birmano di approvare o rifiutare una costituzione. L’Unione europea e i suoi partner ritengono che nella preparazione del progetto di costituzione vi sia stato un coinvolgimento insufficiente delle diverse forze politiche e dei gruppi etnici presenti nel paese. In tale processo la giunta al potere ha agito completamente a suo piacimento.
La costituzione prevede pertanto che il 25 per cento dei membri del parlamento verrà nominato dall’esercito, mentre il restante 75 per cento verrà eletto. E’ possibile che Aung San Suu Kyi sarà in grado di votare alle elezioni previste per il 2010 e forse persino di candidarsi, ma il regime sembra volerle impedire di diventare un giorno Presidente dell’Unione di Myanmar. Cina, India e ASEAN esercitano una certa influenza: si preoccupano principalmente della stabilità del paese nonché delle relazioni commerciali e degli investimenti.
Coadiuvato da una diplomazia cinese discreta, Ibrahim Gambari, rappresentante speciale dell’ONU, non è stato in grado di aprire maggiormente il processo politico e ha affermato che si sarebbe concentrato sulle questioni economiche, sociali e umanitarie.
Data l’assenza di progetti tangibili, il 29 aprile il Consiglio “Affari generali” discuterà tutte le possibili operazioni che l’Unione europea potrebbe condurre per influenzare la situazione in Birmania. Desidero sottolineare che l’obiettivo dell’UE è la promozione di un approccio equilibrato alla questione birmana; desideriamo soprattutto risultati oggettivi. Il 19 novembre 2007 il Consiglio ha adottato una versione della posizione comune che ha introdotto nuove sanzioni. Il regolamento CE è entrato in vigore il 10 marzo e la sua revisione annuale è prevista per la fine di questo mese.
Le sanzioni dell’Unione europea riflettono la nostra insoddisfazione in merito alla lentezza del processo verso la democrazia, la detenzione persistente di numerosi prigionieri politici e la violazione delle libertà fondamentali. Ciononostante, l’impatto delle sanzioni deve essere esaminato regolarmente al fine di garantire che esse abbiano un impatto diretto sui membri del regime e sulle loro risorse. La Commissione ha istituito programmi di assistenza nel quadro della politica generale di cooperazione, che copre i settori della sanità e dell’istruzione. Sono lieto di constatare che il Parlamento europeo ha espresso il suo sostegno a tali misure nel quadro dell’esercizio del suo diritto di controllo.
Ciò si aggiunge agli aiuti umanitari di ECHO a favore dei paesi vicini e dei rifugiati birmani nella regione. Continuiamo ad appoggiare la missione di Ibrahim Gambari. L’Unione europea fa parte del “gruppo di amici”, che riunisce a New York i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, la presidenza dell’ASEAN, l’India, il Giappone e la Norvegia, che sono tutti coinvolti nel monitoraggio della situazione in Birmania. L’inviato speciale dell’UE per la Birmania, Piero Fassino, svolge un ruolo fondamentale nel sostenere la missione di Ibrahim Gambari. Queste sono le informazioni che ho voluto darvi per conto del Commissario Ferrero-Waldner.
Geoffrey Van Orden, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, oggi discutiamo della Birmania, perché le sanzioni mirate dell’Unione europea devono essere rinnovate in cinque giorni di tempo e le autorità birmane procederanno con un referendum sulla loro costituzione fittizia tra solo poco più di due settimane.
Desideriamo fare un appello sincero al regime birmano affinché compia un passo, che è decisamente nei suoi stessi interessi così come negli interessi della popolazione birmana: intraprendere le azioni necessarie per ricongiungersi alla comunità internazionale delle nazioni. La politica di sospetto isolamento è stata tentata nel corso di quasi tutta la vita della Birmania come Stato indipendente ed è fallita. Ha danneggiato la Birmania e ha danneggiato la popolazione birmana.
Nel 1948 la Birmania era il più grande esportatore mondiale di riso, il produttore del 75 per cento di tek a livello globale e il paese più ricco del sudest asiatico. Si riteneva che stesse percorrendo rapidamente la strada verso lo sviluppo. Oggi ha un PIL pro capite inferiore a quello del Rwanda o del Bangladesh.
L’economia birmana necessita con urgenza di assistenza da parte delle organizzazioni finanziarie internazionali, eppure, da quando la Birmania si è ripiegata su se stessa e si è allontanata dalla democrazia, la Banca asiatica di sviluppo, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno tutti, giustamente, rifiutato di elargire ulteriori aiuti finanziari. Il rifiuto del regime birmano di impegnarsi con realtà esterne ha portato paesi di tutto il mondo a imporre sanzioni economiche.
La Birmania ha bisogno di amici che l’aiutino a proteggere i suoi interessi nazionali sulla scena mondiale, ma persino l’ASEAN ha ora dichiarato, anche questa volta giustamente, che non difenderà più le autorità birmane in nessun forum internazionale.
Diciamo al governo birmano: il mondo non sarà più contro di voi, se solo smetterete di voltare le spalle al mondo. Non dovete temere la comunità internazionale più di quanto dovete temere il vostro stesso popolo. Non avete bisogno del nono esercito più grande a livello mondiale e del quindicesimo bilancio militare più elevato a livello globale. Non dovete vivere in un bunker. Riconoscete le aspirazioni democratiche del vostro popolo, arrestate la repressione politica e permettete alle forze di opposizione di impegnarsi appieno e liberamente in un nuovo processo costituzionale.
Józef Pinior, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto desideriamo esortare il regime birmano a: rilasciare gli oppositori politici e i più di 1 800 prigionieri politici, tra cui Aung San Suu Kyi, i leader degli Studenti della generazione ‘88 e i leader della Lega delle nazionalità shan per la democrazia arrestati nel 2005; rendere conto di tutte le vittime e le persone scomparse dalle ultime azioni repressive di settembre contro le proteste dei monaci buddisti e gli attivisti democratici, rendendo altresì noto il luogo in cui si trovano le monache e i monaci scomparsi; garantire l’accesso alla Birmania al Relatore speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani in Birmania che è in arrivo e permettere ai partiti politici dell’opposizione di incontrare l’inviato speciale.
Vi sono preoccupazioni effettive riguardo al cosiddetto referendum: vi è il pericolo che nel quadro delle attuali condizioni repressive la consultazione referendaria consolidi un controllo militare continuo. Dall’annuncio del referendum, il governo ha emanato la legge n. 1/2008, che nega il diritto di voto ai membri degli ordini religiosi, tra cui i monaci e le monache. Impone anche una condanna a una pena detentiva di tre anni a chiunque sia sorpreso a “tenere discorsi, distribuire documenti, utilizzare cartelloni o disturbare il voto in qualsiasi altro modo nelle cabine elettorali o in un luogo pubblico o privato per compromettere il referendum”.
Cerchiamo garanzie da parte del governo affinché si convochino commissioni elettorali indipendenti, si compili adeguatamente l’iscrizione alle liste degli elettori, si eliminino le restrizioni di lunga data sui mezzi d’informazione, si permetta la libertà di associazione, espressione e assemblea in Birmania e si revochino le nuove normative che criminalizzano il legittimo dibattito sul referendum.
Marco Cappato, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Signor Commissario Barrot, lei ha parlato di un approccio equilibrato. Devo dire, temo che questo approccio sia eccessivamente timido, perché innanzitutto ci sono delle informazioni che questo Parlamento avrebbe bisogno di sapere e cioè esistono degli strumenti dell’Unione europea per la promozione della democrazia e dei diritti umani.
Sono dei nuovi strumenti e adesso non c’è nemmeno l’obbligo di avere il permesso dei paesi di dittature per poter spendere questi soldi. Allora o parliamo da spettatori di quello che succede, ma se parliamo, invece, da persone che si pongono il problema di che cosa si può fare, sarebbe importante per noi sapere – oggi – come stiamo spendendo questi soldi, chi riusciamo ad aiutare, come riusciamo a fare entrare informazione e fare uscire informazione dal paese. Per esempio, sarebbe importante riflettere su come vengono spesi i soldi sulla cosiddetta lotta contro la droga, che in Birmania vanno direttamente nelle casse del regime birmano per poter meglio reprimere il loro popolo attraverso l’Ufficio delle Nazioni Unite. Come Unione europea dovremmo porci anche questo problema. Il referendum, il referendum non è che non ha sufficientemente coinvolto le diverse parti come lei ha detto, il referendum è una copertura per meglio continuare a perpetrare il massacro dei diritti umani e civili in Birmania.
Al rappresentante del Consiglio, signor Lenarčič, volevo dire che essendoci stato un coinvolgimento determinante dei monaci nella lotta non violenta e avendo i monaci pagato di persona con la loro vita per questa lotta, credo che sia stato simbolicamente l’annuncio che avete fatto di non invitare il Dalai Lama a Bruxelles per il dialogo politico necessario con i paesi dell’Unione, avrà ed ha già un effetto negativo per la lotta non violenta del popolo birmano, in particolare dei monaci.
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. –(GA) Signor Presidente, nell’ottobre dello scorso anno il mondo è stato testimone delle migliaia di monaci buddisti e dei membri della marcia pubblica che hanno attraversato le strade di Rangoon per chiedere libertà e riforme da parte del regime militare ingiusto e violento della Birmania. Questa è stata la più grande dimostrazione contro il governo dalla sanguinosa repressione del primo movimento democratico del 1988.
(EN) Qualora qualcuno ritenga che la situazione avrebbe potuto essere peggiore rispetto a quella dello scorso anno, tutto quello che dobbiamo fare è guardare all’evidenza: povertà, scarsità di cibo, continuazione dell’oppressione, eliminazione degli oppositori politici, perdurare dell’incarcerazione di un vincitore del Premio Sacharov e di un Premio Nobel per la pace, continuazione dell’oppressione e della soppressione di qualsiasi punto di vista alternativo avanzato.
E’ nostro dovere, nel quadro dell’Unione europea, ribadire i forti messaggi di sostegno inviati nel settembre 2007 a coloro che stanno lottando in Birmania. Ora ci troviamo di fronte a una situazione in cui una nuova costituzione è oggetto di referendum, una costituzione definita da qualcuno come il prossimo passo verso la restaurazione della democrazia, eppure essa assegna un quarto dei seggi in parlamento all’esercito, proibisce a Aung San Suu Kyi di candidarsi alle elezioni perché è sposata con uno straniero e obbliga a sottostare completamente al diktat della giunta.
E’ ora necessario coinvolgere la Cina al fine di esercitare pressione sulla giunta birmana per garantire che la popolazione sia adeguatamente rappresentata, ma anche il Bangladesh e la Thailandia devono dare il loro appoggio per consentire loro di incoraggiare le autorità birmane a guardare in modo nuovo. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi nelle sanzioni e nell’intraprendere azioni politiche forti, non solo a livello europeo, ma in tutto il mondo e in particolare nelle Nazioni Unite. In seno all’ONU tutti gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero parlare con una sola voce al fine di esercitare pressione sulle autorità perché siano intraprese azioni a quel livello.
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, come è stato appena sottolineato, la situazione umanitaria e dei diritti umani in Birmania si sta deteriorando e tocca al prossimo Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” prenderne atto in modo chiaro e forte e ridefinire i mezzi d’azione della politica europea.
Ciò che inizialmente sembrava un segnale positivo, la famosa riforma costituzionale, è diventata rapidamente un progetto assolutamente machiavellico. La presenza militare al governo sta pertanto per essere inserita ufficialmente nella costituzione, in violazione di tutte le norme internazionali e in assenza di osservatori, mentre tutti coloro che si oppongono all’attuale regime sono esclusi dalla rappresentanza elettorale. Si tratta di una farsa vera e propria, che farà sprofondare ancora di più la Birmania sotto il pugno di ferro della giunta.
Va detto che questo rappresenta un fallimento della strategia inclusiva, nella Birmania stessa e a livello regionale, attuata dall’Unione europea e dalle Nazioni Unite. Il nostro inviato non è neppure riuscito a mettere piede in Birmania. Oggi la nostra duplice strategia – sanzioni/incentivi – deve pertanto diventare più efficace e più mirata. In altre parole, abbiamo bisogno di una migliore messa in atto, più perspicace, più regolare, dei criteri già definiti conformemente agli obiettivi perseguiti.
Le nostre misure finanziarie devono portare all’isolamento completo delle imprese che hanno legami con la giunta o che, in un modo o nell’altro, contribuiscono al suo finanziamento, così come delle persone al potere, che possono ancora recarsi in altri paesi per fare compere e mandare i loro figli a studiare all’estero. Lo stesso vale per le sanzioni bancarie imposte loro, che al momento non vietano trasferimenti tramite banche europee.
Per quanto concerne l’ASEAN, i negoziati sull’accordo di libero scambio devono essere visti come un’opportunità per garantire che gli stati vicini si astengano dall’attuare qualsiasi strategia che possa controbilanciare le sanzioni contro la Birmania.
Il secondo aspetto riguarda gli incentivi. Dobbiamo appoggiare al contempo le forze vive del paese: sul piano umanitario, che va da sé ben inteso, ma anche sul piano politico, il che significa condannare pubblicamente le autorità birmane, denunciando i contenuti del referendum e le procedure applicate e promuovendo con convinzione lo Stato di diritto e le libertà fondamentali mediante i progetti EIDHR, Significa altresì appoggiare e proteggere i difensori dei diritti umani, combattere l’arruolamento dei bambini nei gruppi armati e proteggerli dalla violenza.
Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, non si pensi che la mia sia sinofobia perché anche in altri interventi spesso critico la posizione della Cina, ma cari colleghi, sulla situazione in Birmania e sulle note responsabilità del governo cinese che sostiene il Consiglio di Stato birmano, credo che non ci siano dubbi. Del resto sono le stesse responsabilità che la Cina ha nel Darfur, che ha nel Tibet e in tanti altri luoghi della terra dove si perpetrano violazioni dei diritti umani, e non ultimo la Cina stessa.
Esprimere, quindi, sdegno, esecrazione e condanna, come al solito facciamo nelle nostre risoluzioni, mi vede ovviamente partecipe, mi vede ovviamente solidale, ma rimango scettico su quelli che sono poi gli effetti. Sostengo la netta condanna e deploro il fatto che il regime birmano in 45 anni non abbia fatto dei passi avanti nel rispetto dei diritti umani e della libertà di coscienza.
Potrei forse non condannare la repressione politica ed etnica del popolo birmano? Anzi ne approfitto in proposito per ricordare in particolare il caso del popolo Karen, che fieramente resiste da decenni per difendere la sua identità, e altrettanto certamente deploro i meccanismi di consultazione referendari della Costituzione che si vorrebbe imporre alla Birmania. Certo, colleghi, concordo su tutto quanto sentimentalmente, si dice nella risoluzione, ma proprio perché tutto, come al solito per quanto promana dagli atti dell’Unione, rimane sul piano dei sentimenti, credo non serva assolutamente a nulla e visto come si afferma nella risoluzione le sanzioni mirate, seppur rinnovate non hanno avuto l’impatto auspicato.
Di conseguenza, chiedere il loro deciso inasprimento senz’altro sì, ma soprattutto si dovrebbero usare analoghi strumenti di pressione nei confronti di quegli Stati, Cina, Russia, India, affinché in virtù della loro influenza economica e politica sul regime birmano, esercitino un’azione sinergica con l’Unione europea in materia e arrestino le loro forniture di armi e di risorse strategiche. Concordo in sostanza anche con quanto ha sostenuto bene la collega Flautre.
Hartmut Nassauer (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, tra pochi giorni il Consiglio deciderà se mantenere la sua posizione comune sulla Birmania e se mantenere le sanzioni. In Birmania non vi sono stati cambiamenti tangibili riguardo a democrazia, Stato di diritto o rispetto dei diritti umani. In Birmania sono detenuti quasi 2 000 prigionieri politici. Il leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi si trova da anni agli arresti domiciliari. In breve, non vi è la minima ragione di diminuire le sanzioni.
Bisogna riconoscerlo, è stato annunciato un referendum costituzionale ed è stato pubblicato un progetto di costituzione, che però manca di legittimità democratica. Non sono stati consultati né l’opinione pubblica né l’opposizione democratica. Il progetto di costituzione è pieno di difetti democratici. E’ assurdo che un quarto dei seggi in parlamento vadano all’esercito. E’ assurdo escludere i candidati che hanno sposato un partner straniero o che hanno figli di un’altra nazionalità. Tutto ciò attesta una mancanza di progresso democratico.
Che cosa va fatto? Appoggio gli appelli cui hanno dato voce i precedenti oratori, in particolare le misurate osservazioni del mio onorevole collega Geoffrey Van Orden. Non possiamo tuttavia affrontare la questione della Birmania da soli. Senza il supporto cinese, la giunta non sopravviverebbe. Ecco perché i cinesi hanno anche la responsabilità di ciò che sta succedendo laggiù. La Cina si è fatta avanti per riempire il vuoto economico creato dalle sanzioni dell’Occidente e sta ottenendo vantaggi. Ecco perché è necessario un avvicinamento alla Cina, se vogliamo assistere a un cambiamento nella situazione in Birmania.
Desidero altresì fare un appello ai miei amici dell’ASEAN. So che i miei amici dell’ASEAN considerano qualsiasi osservazione sul Myanmar come un’interferenza nei loro affari interni, ma sono anche consapevole che la situazione nel Myanmar li inquieta. Il messaggio che rivolgo loro è che il Myanmar sta rovinando l’immagine dell’ASEAN nel mondo e pertanto anche l’ASEAN deve esercitare pressione.
Richard Howitt (PSE). – (EN) Signor Presidente, accolgo con favore le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione di questo pomeriggio, ma con 700 prigionieri politici detenuti in seguito alle dimostrazioni dello scorso anno e con il rifiuto da parte del generale Than Shwe di incontrare l’inviato speciale dell’ONU, Ibrahim Gambari, è necessario il rinnovo, sei mesi dopo, della nostra posizione comune – ma non è abbastanza. Perché non estendere le sanzioni a petrolio e gas, da cui il regime ricava i principali finanziamenti? Se gli Stati Uniti impongono sanzioni finanziarie e bancarie, negando valuta estera al regime, perché l’Unione europea non fa lo stesso? Quali passi possono essere compiuti per permettere agli aiuti umanitari l’accesso alla Birmania orientale, dove, si riferisce, 3 000 villaggi sono stati rasi al suolo e dove le agenzie europee di aiuti sono pronte ad agire? I monaci buddisti hanno scritto “no” sui muri dei monasteri per inviare il loro messaggio alla popolazione civile birmana sul referendum costituzionale di maggio. Anche il messaggio dell’Europa alla Birmania deve essere un “no” forte alla dittatura e un “sì” alla democrazia.
Pierre Schapira (PSE). – (FR) Signor Presidente, sono ormai passati sei mesi da quando le dimostrazioni a Rangoon hanno rivelato al mondo le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate regolarmente in Birmania.
Sembra, purtroppo, che l’opinione pubblica internazionale si sia già dimenticata di questo paese in crisi. La realtà è che dobbiamo fornire un sostegno instancabile alla popolazione birmana e adottare una strategia coerente sul lungo periodo al fine di garantire, finalmente, il rispetto della democrazia, della libertà di stampa e della libertà di religione, espressione e associazione.
Nonostante la pressione diplomatica, nonostante l’azione esemplare di Aung San Suu Kyi, alla quale, lo ricordo, è stato conferito il Premio Sacharov nel 1990, e nonostante gli sforzi della società civile internazionale, la situazione non è migliorata: dato che non hanno diritto di voto, 400 000 monaci buddisti non potranno partecipare al referendum.
Questa situazione inaccettabile costituisce la prova del fatto che la pressione esercitata fino ad oggi è stata inadeguata. Le sanzioni contro il regime birmano devono essere estese e devono mirare all’élite politica piuttosto che alla popolazione.
Mi auguro soprattutto, che venga potenziata l’azione dell’UE. Al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica, chiedo, chiediamo, che a Aung San Suu Kyi – che incarna questa lotta – sia concessa la cittadinanza d’onore di tutte le capitali europee, in modo tale da dimostrare la nostra determinazione nel promuovere effettivamente i diritti umani e la libertà in Birmania.
Katrin Saks (PSE). – (ET) Quando la mattina entro nell’edificio del Parlamento di Bruxelles, Aung San Suu Kyi mi guarda da un grande cartellone con i suoi occhi tristi e devo confessare che ogni mattina mi sento impotente in modo imbarazzante.
Le risoluzioni che abbiamo adottato quasi all’unanimità non hanno avuto alcun tipo di effetto. Oggi, quando ho ascoltato le parole dei rappresentanti della Commissione e del Consiglio, ho notato la retorica: “Ci auguriamo, desideriamo, consideriamo, siamo preoccupati”. Non si tratta di un atteggiamento troppo timido nei confronti di un regime come questo? Dobbiamo parlare chiaramente con una sola voce e farlo con molta più forza.
Come facciamo ad andare avanti? Torniamo sempre indietro alle sanzioni economiche. A mio avviso, tuttavia, si tratta chiaramente dell’unico modo per influenzare questo regime; dobbiamo, certo, monitorare con attenzione dove finiscono i nostri aiuti allo sviluppo. Il nostro denaro deve dipendere da riforme molto specifiche in questa società.
Ana Maria Gomes (PSE). – (EN) Signor Presidente, sono stata in Birmania e ho visto la miseria e l’oppressione in cui vive la popolazione birmana. C’è da vergognarsi perché l’Europa non ha fatto abbastanza per aiutare i birmani – i loro valorosi monaci, i loro prigionieri politici, il loro coraggioso leader Aung San Suu Kyi – a ottenere la libertà e a liberarsi degli oppressori della giunta.
L’Europa non ha fatto abbastanza per mobilitare vicini influenti come la Thailandia, la Malesia, Singapore e in particolare l’Indonesia a dare sostegno a coloro che lottano per i diritti umani e la democrazia in Birmania.
L’Europa non ha fatto abbastanza per spingere la Cina e l’India a smettere, in un modo o nell’altro, di appoggiare gli oppressori birmani. L’Europa non ha fatto abbastanza per evitare che le imprese europee, quali la francese Total, continuassero a fare affari con la Birmania, aiutando pertanto a pagare la mafia della droga e gli oppressori che compongono la giunta birmana, e non ha fatto abbastanza quanto meno per punire tali imprese. L’Europa deve agire ora e rifiutarsi di accettare la farsa di un referendum.
Il Presidente Barroso e i suoi Commissari diretti oggi a Pechino devono parlare chiaramente e con fermezza della Birmania, delle responsabilità di Pechino e della sua triste condizione. L’attuale Presidenza del Consiglio e quella successiva devono agire in modo decisivo per fare la differenza per il popolo birmano, nella fattispecie attuando severamente le sanzioni decise e spingendo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad agire contro gli oppressori birmani.
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signor Presidente, per quest’Assemblea sta diventando un’abitudine adottare risoluzioni, che in buona parte sono decisamente inefficaci. Siamo altresì abituati ad applicare sanzioni, anch’esse totalmente inefficaci, perché non sono rivolte ai responsabili in grado di cambiare le cose, ma sono, come in questo caso, rivolte alla gente comune della Birmania, alla quale stiamo rendendo la vita ancor più miserabile.
E’ già stato detto che in questo caso il vero colpevole è la Cina. Stiamo applicando alcuna sanzione contro la Cina? No! Il mercato europeo è invaso da prodotti difettosi che acquistiamo dalla Cina. Perché non stiamo applicando alcuna sanzione a questo paese per vedere come influisce sulla situazione in Birmania?
Colm Burke (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, concordo con i miei colleghi in merito a tale questione. Non si tratta solo del fatto che non vi sono stati cambiamenti nel corso degli ultimi mesi, bensì anche del fatto che non vi sono stati cambiamenti nel corso degli ultimi 50 anni.
Vi sono violazioni dei diritti umani ogni giorno. Le comunità religiose non manifestano in strada a meno che non ritengano che vi sia qualcosa di profondamente sbagliato in un paese. Diversi mesi fa abbiamo assistito alle manifestazioni in strada dei monaci, che sentivano di poter far capire il loro messaggio. La reazione della giunta è stata diversa: si è assicurata che le loro proteste per le strade venissero immediatamente fermate e represse e gli omicidi che si sono verificati subito dopo sono scandalosi. E questo governo ha continuato a restare al potere.
I principali colpevoli qui sono le imprese e i paesi che trattano con la Birmania: coloro che le forniscono armi e che comprano i suoi prodotti. Concordo con i miei colleghi sul fatto che dovremmo essere più proattivi nell’obbligare la Cina ad adottare una linea d’azione diversa nel trattare con la Birmania. Questo è l’unico modo con cui possiamo ottenere un cambiamento. Anche noi dobbiamo agire e parlare con quelle imprese europee che stanno aiutando l’attuale giunta. A meno che non agiamo in prima persona, risulterà molto difficile imporre un cambiamento in altri paesi. Appoggio questa proposta di risoluzione.
Jim Allister (NI). – (EN) Signor Presidente, la Birmania costituisce una di quelle questioni che giustamente causano l’arrivo di un numero considerevole di messaggi nelle caselle di posta dei membri del Parlamento europeo.
Noto dei parallelismi tra la Birmania e lo Zimbabwe. Una volta avevano entrambi un’economia fiorente. Entrambi sono passati poi dalla democrazia all’oppressione con tutto ciò che comporta: negazione delle libertà fondamentali, estrema povertà e militarismo oppressivo.
Ma noto una somiglianza anche nelle risposte dell’UE alla Birmania e allo Zimbabwe. Francamente, sono entrambe troppo timide. Oggi abbiamo ascoltato la Commissione e il Consiglio, ma che cosa avevano effettivamente da dirci? Molto, molto poco.
Dico che dobbiamo essere molto più forti. Dobbiamo aumentare le sanzioni economiche così come le altre e dobbiamo attuare un adeguato embargo totale sulle armi. Dobbiamo esercitare pressione dove forse avrà maggiore efficacia: su quei regimi, su quei simpatizzanti, come la Cina, che sostengono l’attuale giunta. Solo allora, in particolare quando trattiamo con coloro che hanno un atteggiamento ambivalente nei confronti della giunta militare, vi sarà un cambiamento.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Ho già affermato che in occasione della sua prossima sessione il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” discuterà la questione della Birmania ed è probabile che adotterà alcune conclusioni. Affronterò questa questione dopo, ma prima desidero rispondere ad alcune osservazioni.
Innanzi tutto, l’onorevole Cappato. Desidero sottolineare che fino ad oggi il Consiglio non ha mai discusso la possibilità di invitare il Dalai Lama a un incontro con il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” e non credo che un tale incontro potrà mai avere luogo. Se accadesse, ruoterebbe attorno al Tibet e non alla Birmania, che è al momento oggetto di discussione. Desidero tuttavia affermare quanto segue: ciò che serve per migliorare la situazione in Tibet non è tanto il dialogo tra l’Unione europea e il Dalai Lama, ma più che altro il dialogo tra le autorità cinesi e il Dalai Lama. La Presidenza slovena lo ha già richiesto più volte.
Passiamo ora alla prossima sessione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”. Ci aspettiamo che il Consiglio giunga a una serie di conclusioni e decida di ribadire la sua profonda preoccupazione in merito alla situazione in Birmania ed esorti le autorità birmane a intervenire con urgenza affinché abbia luogo la transizione verso un governo civile legittimo e la riconciliazione nazionale. Ci aspettiamo inoltre che il Consiglio richieda una discussione aperta sul referendum, che dovrebbe essere condotto in modo libero ed equo. Oltre a ciò, come affermato dall’onorevole Flautre, ci aspettiamo che le autorità birmane invitino osservatori internazionali per controllare il referendum.
Non ho dubbi che il Consiglio richiederà il rilascio di tutti i prigionieri politici, come sottolineato dall’onorevole Howitt. Non dubito neppure che richiederà al contempo il rilascio di Aung San Suu Kyi. Ci aspettiamo inoltre, come osservato giustamente dall’onorevole Van Orden, che le sanzioni, giunte al loro termine, siano estese per altri 12 mesi con la possibilità di modificarle, cioè di intensificarle o alleggerirle in qualsiasi momento a seconda della situazione.
In merito alle armi e in risposta all’onorevole Romagnoli, l’Unione europea ha proibito l’esportazione in Birmania di qualsiasi tipo di armi o materiali ad esse associati. Ciò fa parte delle sanzioni dell’Unione europea e ci aspettiamo che venga esteso insieme al sistema, o meccanismo, di sanzioni. Stiamo cercando di fare in modo che altri Stati membri si uniscano a noi in questo.
Desidero aggiungere, infine, che si potrebbe dire, come ha fatto l’onorevole Flautre, che la strategia delle Nazioni Unite nei confronti della Birmania abbia fallito. Si potrebbe tuttavia dire che non ha ancora dato i suoi frutti. Io propendo per quest’ultima possibilità.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione tutte le osservazioni, che riflettono il fatto che la Birmania ha ancora molta strada da percorrere prima che trovi la via per la democrazia e ne siamo tutti troppo consapevoli. Dobbiamo continuare a potenziare la nostra politica e a tale proposito desidero sottolineare che abbiamo di recente aumentato le sanzioni rivolte al regime e in particolare ai leader. Il Consiglio sta attualmente esaminando la possibilità di sanzioni finanziarie più ampie.
Desidero aggiungere che, per quanto concerne i prigionieri politici, il 29 aprile il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” offrirà l’opportunità di inviare un messaggio al regime per chiedere ancora una volta di porre fine alle intimidazioni e alle carcerazioni. Ci siamo seriamente impegnati a continuare a essere solidali con Aung San Suu Kyi. Desidero porre l’accento sul fatto che non possiamo contattarla direttamente, ma che siamo in contatto con i membri del suo partito.
Oltre alle sanzioni, alcuni di voi hanno ovviamente menzionato la cooperazione con i paesi vicini, che hanno il dovere di aiutarci a esercitare influenza sul regime birmano e questa settimana l’onorevole Ferrero-Waldner solleverà la questione birmana in Cina. La Commissione ha inoltre preso contatto con il governo thailandese, mentre l’Indonesia sembra stia preparando una nuova iniziativa. Avete pienamente ragione, tuttavia, a sottolineare l’importanza dell’azione da parte degli altri paesi della regione.
Vengo ora al problema dell’assistenza alla popolazione. Il popolo birmano non deve pagare il prezzo della stagnazione politica causata dai leader del paese. Per quanto concerne l’Europa, non sono sufficienti la condanna e il semplice isolamento di Myanmar. Desidero precisare che quando forniamo assistenza, sforzandoci di cogliere tutte le opportunità per sottolineare che non è solo attraverso un governo migliore da parte del regime che tale assistenza sarà efficace come ci auguriamo che sia.
L’onorevole Cappato in particolare ha espresso preoccupazione in merito a come vengono monitorati gli aiuti internazionali. Devo precisare che gli aiuti internazionali sono forniti attraverso le agenzie dell’ONU e i partner delle ONG e posso dire che li monitoriamo molto da vicino. Ma ha fatto bene, tuttavia, a sollevare la questione.
Ritengo pertanto che ciò che vogliamo è esercitare quanta più pressione possibile al fine di garantire che la Birmania si evolva più rapidamente verso la democrazia. Al contempo, desideriamo evitare che il popolo birmano soffra ancor di più a causa di un totale isolamento, che probabilmente non costituirebbe la risposta adeguata.
Presidente. − Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì, 24 aprile 2008.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
James Nicholson (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Accolgo sinceramente con favore la presente risoluzione che dimostra la costante preoccupazione del Parlamento per la situazione in Birmania. Abbiamo la responsabilità di garantire che ciò che accade in questo paese non “esca dal radar”.
E’ cosa ben nota che, nonostante l’abbondanza di risorse e le terre fertili, la Birmania resta uno dei paesi più poveri del mondo. E’ altresì ampiamente riconosciuta la responsabilità della giunta militare di un lungo elenco di violazioni di diritti umani, tra cui il brutale trattamento dei monaci buddisti che hanno protestato contro il regime.
Alla luce dei recenti sviluppi, nella fattispecie l’intenzione della giunta militare di forzare l’approvazione di una costituzione affatto democratica e completamente illegittima, è decisamente tempo che l’UE eserciti tutta la sua influenza al fine di tentare di migliorare la situazione.
E’ finito il tempo di discutere semplicemente la situazione in Birmania nel quadro dell’arena internazionale. Le negoziazioni tra l’ONU e le autorità birmane si sono dimostrate completamente inefficaci. Ora sono necessarie con urgenza sanzioni mirate alla giunta e agli affari ad essa connessi.
Appoggio appieno la presente risoluzione che esorta il Consiglio a far entrare in vigore sanzioni più ampie e più rigide nei confronti del regime militare birmano. A tal proposito, mi auguro sinceramente che le nostre parole siano seguite dall’azione.
10. Immigrazione illegale, azione esterna dell’Unione europea e Frontex (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione su immigrazione illegale, azione esterna dell’Unione europea e Frontex.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Come introduzione, desidero sottolineare che la sfida dell’immigrazione necessita di un approccio completo. L’Unione europea deve sviluppare una politica e una legislazione in materia di immigrazione efficaci e al contempo proseguire i suoi sforzi nella lotta all’immigrazione illegale. Necessitiamo di misure sia a livello di Unione europea che a livello di Stati membri e della cooperazione di paesi terzi. Uno degli aspetti più importanti della lotta all’immigrazione clandestina è il controllo efficace delle frontiere esterne dell’Unione europea.
Un grande risultato in quest’ambito è senza dubbio la recente inclusione di nove Stati membri nell’area Schengen. In seguito alla loro adesione all’area Schengen, la Presidenza slovena ha iniziato a lavorare quanto prima all’introduzione del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione, noto come SIS II. Si tratta di uno degli attuali progetti prioritari dell’Unione europea. Tutte le attività necessarie andrebbero condotte in modo da facilitare il completamento della transizione dal sistema d’informazione Schengen di prima generazione a quello di seconda generazione al più tardi entro settembre 2009.
A causa dei frequenti incidenti nel Mar Mediterraneo e sulla costa nordafricana, nel 2007 la Commissione e alcuni Stati membri hanno proposto una serie di iniziative al fine di migliorare la gestione dell’immigrazione illegale. Come parte di tali sforzi, nel marzo di quest’anno la Presidenza slovena ha ospitato una conferenza a livello ministeriale sulle sfide future poste dalla gestione delle frontiere esterne dell’Unione europea. Le tre relazioni presentate a febbraio dalla Commissione sono state dibattute per la prima volta in occasione di tale conferenza, i cui partecipanti hanno discusso in merito alla valutazione e al futuro sviluppo dell’agenzia Frontex, così come delle ulteriori misure per la gestione delle frontiere esterne dell’Unione europea. E’ stato concordato che, in futuro, si devono potenziare i controlli alle frontiere e si deve agevolare un’affidabile identificazione degli individui. Dobbiamo al contempo sforzarci di rendere l’Unione europea aperta e accessibile.
I ministri hanno inoltre discusso la proposta di istituire un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere, o EUROSUR. La Presidenza sta già preparando ulteriori linee guida in materia, che saranno oggetto di discussione da parte del Consiglio, come parte del settore “Giustizia e affari interni”, in occasione della sessione di giugno.
La lotta all’immigrazione illegale verrà resa più efficace anche mediante una direttiva su norme e procedure comuni per il rimpatrio delle persone che risiedono illegalmente nel territorio degli Stati membri dell’Unione europea, la cosiddetta direttiva “Rimpatri”. La Presidenza ha già avviato il secondo ciclo di negoziati con il Parlamento europeo, che si è rivelato estremamente costruttivo. Riteniamo che, con uno sforzo congiunto, potremmo adottare tale direttiva in prima lettura.
In merito alla proposta di direttiva riguardante le sanzioni contro i datori di lavoro di cittadini provenienti da paesi terzi che si trovano illegalmente nel territorio dell’Unione europea, il Consiglio è in attesa di una proposta da parte del Parlamento europeo per modifiche ed emendamenti.
Un’altra componente costitutiva dello sviluppo di una politica completa in materia di migrazione è la politica concernente i visti. A tale proposito, la Presidenza slovena ha fatto progressi discutendo due pratiche molto importanti e più precisamente quelle sulle modifiche all’Istruzione consolare comune e al codice dei visti. Siamo in attesa di una cooperazione creativa con il Parlamento europeo nel corso degli ulteriori lavori su entrambe tali pratiche.
In occasione della sessione informale di gennaio, il Consiglio ha discusso le questioni relative all’asilo e alla cooperazione pratica tra gli Stati membri e questo mese ha adottato decisioni adeguate. Come ho affermato nella mia introduzione, è necessaria una visione completa della politica in materia di migrazione al fine di gestire e combattere l’immigrazione illegale. La lotta all’immigrazione illegale richiede anche la cooperazione con i paesi di origine e di transito, nonché l’eliminazione delle cause della migrazione, vale a dire un impulso allo sviluppo nei paesi di origine.
Lo scopo dell’approccio globale adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2005 era quello di avviare una discussione esauriente della politica in materia di sicurezza, così come il potenziamento e l’approfondimento della cooperazione innanzi tutto con i paesi di origine e di transito, nonché l’istituzione di un partenariato con tali paesi. Si stanno svolgendo proprio in questo momento molte attività nel quadro di tale approccio globale, che sono mirate principalmente alle regioni più critiche, in modo particolare l’Africa e le regioni confinanti con l’Unione europea a est e a sud-est.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, il fattore principale che attrae oggi gli immigrati illegali è il lavoro illegale.
I migranti continueranno a venire in Europa fintanto che riterranno che i vantaggi finanziari che possono ottenere dal lavoro illegale abbiano più peso dei rischi di essere arrestati dagli organismi europei preposti all’applicazione della legge.
Ci occorre una volontà comune a livello europeo per attuare una strategia efficace contro il lavoro illegale. Questo è decisamente lo strumento da privilegiare nel quadro di tale strategia, che dipende da noi, dagli Stati membri e dalla nostra volontà politica comune. E’ questo il contesto in cui si inserisce la proposta della Commissione di sanzionare i datori di lavoro dei cittadini di paesi terzi che risiedono illegalmente nell’UE, e che è attualmente sottoposta all’esame del Parlamento e del Consiglio.
Tale proposta cerca di garantire che tutti gli Stati membri adottino misure preventive e sanzioni simili e che davvero le applichino al fine di contrastare il lavoro illegale.
Desidero incoraggiare il Parlamento a continuare l’esame di tale proposta affinché possiamo disporre di uno strumento comunitario che obblighi tutti gli Stati membri a intraprendere tutte le misure necessarie a garantire il rispetto dello Stato di diritto in tutta l’Unione europea.
Detto ciò, non voglio sottovalutare le sfide poste dall’immigrazione illegale attraverso le frontiere esterne dell’Unione europea. E’ molto probabile che anche quest’anno molte persone provenienti dal continente africano saranno tentate dalla possibilità di venire nell’UE via mare: alcune verranno da sole, altre in piccoli gruppi e altre ancora saranno sfruttate dalle organizzazioni criminali che chiederanno loro elevate somme di denaro per portarle in Europa.
Sono stati compiuti sforzi considerevoli a livello europeo per fornire agli Stati membri il sostegno finanziario necessario nel 2008. Il bilancio dell’agenzia Frontex è praticamente raddoppiato nel 2008 rispetto al 2007. Quest’anno ammonta a un totale di 70 milioni di euro, tra cui più di 31 milioni di euro per operazioni alle frontiere marittime dell’UE.
In merito alle operazioni in queste zone ad alto rischio, Frontex ha organizzato quattro operazioni su larga scala: Poseidon, Hermes, Nautilus e Hera. Le informazioni circa le date esatte e la durata precisa non sono ancora di dominio pubblico ma, grazie all’aumento dei finanziamenti, avranno una durata maggiore rispetto al 2007.
E’ altresì importante sottolineare che è stato raggiunto un accordo tra gli Stati membri e Frontex in merito alle procedure e alle condizioni di utilizzo delle attrezzature tecniche contenute nella base di dati del registro centralizzato delle attrezzature tecniche disponibili (CRATE).
Al momento, 18 aeroplani, 20 elicotteri e 105 navi sono stati volontariamente messi a disposizione dagli Stati membri. Da parte sua, Frontex fornisce le risorse umane necessarie per aiutare gli Stati membri a preparare e valutare le operazioni marittime. Nella sua relazione di valutazione su Frontex, la Commissione ha raccomandato che il potenziale di CRATE e gli impegni presi dagli Stati membri siano sfruttati appieno al fine di garantire la disponibilità delle apparecchiature necessarie per le operazioni alle frontiere marittime.
L’agenzia Frontex deve riferire regolarmente alle istituzioni europee circa l’effettivo utilizzo fatto delle apparecchiature e della misura in cui tale utilizzo è adeguato ai bisogni e deve altresì informarle circa un futuro meccanismo volto a garantire la disponibilità delle apparecchiature offerte dagli Stati membri. L’agenzia potrebbe inoltre aumentare il potenziale di CRATE acquistando o affittando essa stessa apparecchiature tecniche.
Attraverso tali sforzi, gli Stati membri e Frontex contribuiranno a ridurre, per quanto possibile, la scomparsa in mare di coloro che tentano di raggiungere l’Europa a bordo di navi improvvisate. Ecco perché la Commissione accoglie con favore l’accordo bilaterale tra la Spagna e i paesi dell’Africa occidentale, così come i contatti tra l’Italia, Malta e la Libia. Ad oggi, i contatti con la Libia non hanno portato ai risultati sperati, ragione di più per portarli avanti.
Nella sua relazione sul futuro sviluppo di Frontex, la Commissione ha sottolineato che la cooperazione con i paesi terzi costituisce un elemento fondamentale per migliorare le operazioni congiunte condotte dall’agenzia sul lungo periodo. Dobbiamo pertanto studiare effettivamente la possibilità di autorizzare l’agenzia a realizzare progetti pilota aventi come beneficiari i paesi terzi, garantendo ovviamente coerenza tra le attività dell’agenzia e il quadro generale della politica esterna dell’Unione.
Tali progetti potrebbero accrescere l’impatto della cooperazione instaurata nel quadro attualmente in vigore, potendo tali modalità essere utili all’individuazione dei bisogni reali di potenziamento delle capacità relative alla gestione delle frontiere in taluni paesi terzi.
La Commissione infine considera il 2008 come un anno di prova. Frontex dispone di un bilancio generale più elevato, la banca dati di CRATE è pienamente operativa e le squadre di intervento rapido sono pronte. Valuteremo senza dubbio i risultati di tali misure e, ove necessario, potrebbe essere appropriato esplorare altre opzioni, quali l’istituzione del sistema europeo di sorveglianza delle frontiere, come indicato nella relazione di valutazione della Commissione.
Queste sono le informazioni che desideravo fornirvi oggi. Sono ora ansioso di ascoltare le osservazioni di quest’Assemblea in merito a questi difficili problemi.
Simon Busuttil, a nome del gruppo PPE-DE. – (MT) A questo punto dell’anno iniziamo a sentir parlare di tragedie in cui sono annegati centinaia di migranti e dato che sappiamo cosa succede, è giusto chiedersi se quest’anno siamo più preparati a far fronte alla sfida della migrazione illegale. Frontex è solo una parte della soluzione – è un deterrente, come ha affermato la Commissione, nella lotta alla migrazione illegale, e il 2008 sarà per Frontex un anno di prova. Come ha giustamente affermato il Commissario Barrot, quest’anno abbiamo raddoppiato il bilancio di Frontex, le abbiamo assegnato una squadra di intervento rapido e sembra anche che disponga dei mezzi necessari alle sue missioni. Controlleremo pertanto molto da vicino l’operato di Frontex e ci auguriamo che quest’anno sarà più efficace di quanto non sia stata finora. Se Frontex vuole il sostegno di questo Parlamento deve dimostrare di meritarselo.
Signor Presidente, come ho affermato, Frontex fa parte di questa soluzione; indipendentemente dal fatto che vogliamo o meno tale soluzione, vi è la necessità di un serio dibattito in merito a come suddividere il peso tra gli Stati membri – discussione fin ad oggi evitata dal Consiglio. Dobbiamo eliminare l’ipocrisia per cui, da un lato, ci scandalizziamo quando gli emigrati annegano e, dall’altro, lasciamo tutto il peso sulle spalle degli Stati membri meridionali. Nel Mediterraneo la necessità di suddividere il peso non potrebbe essere più chiara. Lo scorso anno si sono già verificati incidenti in cui gli emigranti trovati nella zona di salvataggio della Libia sono finiti in mare o si sono aggrappati alle reti per i tonni. La Libia non ha fatto nulla, mentre i paesi europei si puntavano il dito l’un l’altro. Desidero chiedere alla Commissione e al Consiglio che cosa intendono fare quest’anno – non vi è alcun dubbio, signor Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, non vi è alcun dubbio che tutti noi abbiamo il dovere di salvare le vite di queste persone. Tuttavia, è giunto il momento sia per la Commissione che per il Consiglio di avere il coraggio di rispondere a queste domande. Vi è un singolo paese che è obbligato ad accogliere gli emigranti o essi dovrebbero essere suddivisi tra tutti gli Stati membri?
PRESIDENZA DELL’ON. MECHTILD ROTHE Vicepresidente
Claudio Fava, a nome del gruppo PSE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio la signora Presidente, il Signor Presidente del Consiglio e il signor Commissario. Noi apprezziamo la proposta del Presidente del Consiglio di un approccio integrato ai temi dell’immigrazione e questo tentativo di sovrapporre e trattare insieme in sinergia i vari aspetti di questo problema non può che partire dal rilevare un dato che tutti conosciamo: il 60% dei migranti che arrivano in Europa arrivano via mare e Fortress Europe ha considerato con una cifra approssimata per difetto che negli ultimi dieci anni siano 12 000 gli esseri umani che sono annegati o che sono andati dispersi: il Mediterraneo è diventato la più grande fossa comune a cielo aperto.
Io credo che Frontex non nasca per ragioni umanitarie, non può prescindere da questo contesto, non può prescindere dal fatto che siamo anche di fronte a un grande problema umanitario. Quali sono i punti di difficoltà e di ambiguità di questo progetto? Frontex fino ad adesso è stato interpretato dagli Stati membri in modo da alleggerire la loro responsabilità e invece Frontex è un’agenzia di coordinamento fondata su uno spirito di solidarietà e di reciprocità e che non può prescindere dagli Stati membri, anzi, spetta agli Stati membri in prima battuta la responsabilità della gestione delle frontiere e anche delle frontiere di terra e in mare.
Altro punto significativo: Frontex fino ad ora non ha avuto mezzi sufficienti e quando apprendiamo che ci saranno mezzi, strutture, uomini e risorse concrete a disposizione di Frontex vorremmo verificare la loro affidabilità sul piano operativo. Non basta soltanto enumerare navi ed elicotteri, bisogna realmente vedere in che modo questo patrimonio di risorse e strumenti possa essere messo a disposizione di questa agenzia.
Terzo punto: Frontex non ha ancora risolto un problema che lei Commissario poneva e diceva che noi dobbiamo contribuire a fare in modo che il numero dei morti e dei dispersi diminuisca. In che modo Frontex può farsi carico di questo? Noi crediamo che ci sia una sola via: fare in modo che nel mandato venga inclusa l’operazione di salvataggio in mare e cioè che accanto alle regole che disciplinano l’immigrazione nell’Unione europea sia previsto anche il diritto del mare, il diritto umanitario che prevede la necessità di preservare ogni vita umana nel momento in cui c’è il rischio imminente che queste vite possano perdersi.
Questo è il messaggio che lasciamo a lei, Commissario, e sono alcuni dei punti sui quali noi, da parte sua e da parte del Consiglio, vorremmo un chiarimento.
Jeanine Hennis-Plasschaert, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, siamo franchi e aperti: dato che Frontex è un’agenzia di coordinamento, non ci possiamo aspettare che arresti l’afflusso dei migranti irregolari in sé e da sé, né che ponga fine al traffico di esseri umani. Frontex non è, e non sarà mai, una panacea per tutti i problemi causati dalla migrazione irregolare.
Alla fine è semplice: la sicurezza delle frontiere dell’UE è responsabilità ultima di tutti gli Stati membri e i controlli alle frontiere devono essere condotti in uno spirito condiviso di responsabilità e solidarietà tra gli Stati membri.
Nel corso degli ultimi anni, abbiamo affrontato un autentico paradosso. Si potrebbe sentire gli Stati membri invitare Frontex ad arrestare immediatamente il flusso dei migranti irregolari e a utilizzare quante più apparecchiature possibile. Tuttavia il registro centralizzato delle apparecchiature tecniche disponibili, come sapete, è solo un registro virtuale. I beni presenti sull’elenco appartengono agli Stati membri e sono soggetti alla loro volontà di metterli a disposizione. Chiaramente, potremmo discutere la volontà di diversi Stati membri.
Quanto alle prospettive finanziarie, se Frontex dovesse mettere a disposizione in una sola volta tutte le apparecchiature, il suo bilancio evaporerebbe all’istante. Pertanto la questione principale ancora in attesa di una risposta – e mi rivolgo al Consiglio – è se il Consiglio sia disposto ad estendere il principio di solidarietà obbligatoria, imponendo a tutti gli Stato membri l’attuazione, ad esempio, di un meccanismo di solidarietà obbligatoria.
Nel corso degli ultimi anni gli Stati membri hanno ripetutamente riaffermato l’importanza di garantire il pieno rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani nella gestione della migrazione. Gli Stati membri sottolineano l’importanza della solidarietà europea nella suddivisione di questo fardello come principi fondanti. Eppure, troppo spesso, una presa di decisioni efficace è resa impotente dall’incapacità di tali Stati membri di collaborare nei loro reciproci interessi.
Concorda il Presidente in carica sul fatto che è passato il tempo delle parole e che è giunto il momento dell’azione? Non è concorde sul fatto che, in un mondo segnato da conflitti regionali crescenti e da un divario sempre maggiore tra ricchi e poveri, la mobilità aumenterà piuttosto che diminuire? Non è decisamente ora che gli Stati membri si mettano nella condizione di rispondere a tale sfida con una revisione radicale, eppure responsabile, dei loro punti di vista in merito a ciò che si suppone sia un pacchetto completo su una comune – e, ripeto, comune – politica in materia di migrazione?
Devo purtroppo lasciare l’Aula in questo momento, dato che partecipo al trilogo di alto livello in corso sulla direttiva “Rimpatri”. Sono tuttavia ansioso di ricevere una sua risposta dettagliata non appena le sarà possibile.
Mario Borghezio, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’esperienza di Frontex va sostenuta e rappresenta la frontiera della civiltà europea di fronte all’assalto dell’immigrazione illegale che è voluta, che rappresenta molto spesso dei drammi umanitari penosissimi e rappresenta un grande affare per le organizzazioni criminali di stampo mafioso e proprio per questo deve essere affrontata con la necessaria energia.
Noi riteniamo che però funzionino molto bene anche le misure adottate da paesi come la Spagna, che con il sistema SIVE ha realizzato il più sofisticato muro high-tech anticlandestini. Inutile piangere come i coccodrilli sulle morti e sui casi umanitari quando poi non si fa niente per difendere le proprie coste, come ha fatto per lungo tempo anche il nostro paese – basta pensare alla situazione di Lampedusa – bisogna semplicemente evitare che i barconi dei clandestini raggiungano le acque territoriali dei paesi membri.
Quanto alla configurazione giuridica dei clandestini, sono del tutto immotivate le ragioni di chi ancora oggi si oppone al reato di immigrazione clandestina: l’arresto, la detenzione degli immigrati clandestini rientrano totalmente nella previsione di cui all’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che al paragrafo f dice chiaramente che una delle eccezioni alla possibilità di restringere la libertà delle persone va proprio nei confronti di chi entra, di chi tenta di entrare in maniera illegale nel territorio degli altri paesi.
L’Europa, infine, non può chiudersi di fronte al confronto con i risultati dell’applicazione integrale degli accordi di Schengen che sono sotto i nostri occhi. Doveva promuovere la libera circolazione di lavoratori e studenti, ma oggettivamente ha realizzato una specie di carta verde di libera circolazione per i delinquenti. E’ questo che vogliamo nei nostri territori? Certo che no. Allora bisogna intervenire con urgenza: la direttiva del 2004 va rivista alla luce di questi risultati.
I paesi membri, che dovevano stabilire soglie di reddito e l’obbligo di dimostrare che le risorse di chi entra nel territorio dei nostri paesi sono legali, non l’hanno fatto – ad esempio in Italia – e ci ritroviamo così città, come la capitale della cristianità, invasa da Rom e rumeni che delinquono, che stuprano, che commettono atti di illegalità e non vengono espulsi. Riflettiamo su questi risultati.
Cem Özdemir, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signora Presidente, dall’istituzione dell’agenzia europea per la sicurezza alle frontiere, Frontex, l’attuazione dei programmi europei di lavoro è proceduta in modo efficace e come da programma. Ciononostante, dall’adozione del regolamento Frontex, il mio gruppo è estremamente preoccupato a causa dei gravi incidenti che si verificano nell’area mediterranea, in cui le persone che partono in cerca di un futuro migliore spesso perdono la vita.
Vi sono pertanto alcune domande che desidereremmo porre al Consiglio, una delle quali è la seguente: Frontex ha integrato appieno nelle disposizioni e nelle pratiche contenute nel suo regolamento gli obblighi in materia di diritti umani? O, per essere un po’ più precisi e franchi: possono il Consiglio e la Commissione garantire che gli Stati membri dell’UE, che ricevono il sostegno di Frontex, rispettano tutti i loro obblighi nel quadro del diritto internazionale e delle convenzioni internazionali relativamente alla sicurezza e al controllo delle loro frontiere esterne?
Le statistiche pubblicate da Frontex riferiscono unicamente in merito al numero di migranti ai quali è stato impedito di entrare nell’Unione europea. Non vi sono statistiche riguardanti il numero di richiedenti asilo arrestati e non è neppure chiaro come essi siano stati trattati. Desideriamo sapere se esistono statistiche sul numero di richiedenti asilo arrestati. Se vi sono, perché tali dati non sono ancora stati resi pubblici?
Infine, se un richiedente asilo viene arrestato, quale ruolo ha Frontex relativamente al coordinamento delle domande di asilo? Dove vengono esaminate tali domande? Quali sono i meccanismi esistenti per garantire che una domanda sia esaminata in modo approfondito prima che il richiedente asilo sia rimpatriato?
Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signora Presidente, l’Unione europea e le sue istituzioni affermano sempre che la lotta per i diritti umani è di importanza fondamentale. Tuttavia non sembra che ciò si applichi all’agenzia Frontex dell’UE e alla politica che ne è alla base. L’UE vuole utilizzare Frontex per non far entrare le persone che vengono da fuori; non vuole salvare vite.
Le organizzazioni di aiuti ritengono che da quando è stata istituita Frontex muoiono più profughi, perché ora devono viaggiare di più. Frontex sta militarizzando il sistema europeo per respingere i profughi. La domanda è questa: perché i profughi vogliono prima di tutto entrare qui? Questo ha decisamente a che fare con il divario di prosperità e va fatto qualcosa in proposito. Il cambiamento climatico peggiorerà la situazione dato che ancor più profughi tenteranno il viaggio verso l’Europa.
Frontex non è oggetto di alcun controllo parlamentare. Mi permetto di citare un’audizione organizzata dalla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, alla quale il direttore esecutivo di Frontex non ha ritenuto necessario presentarsi. La strategia dell’UE è chiaramente quella di scegliere gli elementi migliori tra i migranti e i profughi e di tenere a bada gli altri, utilizzando tra le altre cose Frontex. Frontex sta in generale peggiorando la situazione dei rifugiati. La posizione del mio gruppo è pertanto molto chiara: Frontex deve essere sciolta e deve al contrario essere fatto di più per fornire aiuto pratico ai profughi, il che costituirebbe il giusto approccio, basta isolazionismo e costante potenziamento della “Fortezza Europa”.
Georgios Georgiou, a nome del gruppo IND/DEM. – (EL) Signora Presidente, la questione degli accordi transfrontalieri non è astrusa come leggere i testi di Lisia o di Cicerone. D’altro canto Frontex non farà nulla per risolvere tutti i problemi che crediamo esistano tra l’Europa e coloro che sono così sfortunati da cercare rifugio qui. Questi poveri sventurati sono vittime asiatiche sfruttate dai paesi vicini che cooperano con l’Europa, ma che non vedono mai le conseguenze da una prospettiva europea.
Ora, qualora vi fossero effetti contrari e Frontex, ad esempio, dovesse sia svolgere una funzione di salvataggio che informarci circa la provenienza di queste persone e circa quali Stati permettono questo commercio illegale di sventurati, che spesso finiscono in fondo al mare, allora l’UE sarebbe in grado di intraprendere azioni contro tali paesi e taglierebbe gli aiuti che oggi elargiamo loro.
Koenraad Dillen (NI). – (NL) Signora Presidente, in sé non possiamo certo semplicemente accogliere con favore l’estensione annunciata dei compiti di Frontex, i progetti per istituire operatori di frontiera paneuropei e la creazione di una banca dati europea centralizzata. E’ un buon segno anche il fatto che sia stato dato il via a Frontex per avviare i negoziati sugli accordi di cooperazione con diversi paesi di partenza e di transito al fine di garantire un’azione congiunta contro l’immigrazione illegale. D’altro canto, quest’agenzia naturalmente sta in piedi o cade in base l’assistenza tecnica e al sostegno politico degli Stati membri, che in passato si è dimostrato troppo spesso problematico. Ad esempio, Francia, Germania e Paesi Bassi sono stati molto più attivi del Belgio, che ha preso parte solo a tre operazioni.
Tuttavia non possiamo riporre troppa fede nel rafforzamento delle frontiere esterne e non dovremmo farci accecare dalle telegeniche operazioni condotte da Frontex nel Mediterraneo. La maggior parte degli immigrati illegali giunge in Europa legalmente, ma essi semplicemente scompaiono allo scadere del visto e sono centinaia di migliaia. Da questo punto di vista, pertanto, i 53 000 arresti proposti dalla Commissione qualche mese fa non faranno molto di più che “curare i sintomi”.
La questione principale è ancora che sia gli Stati membri dell’UE che l’Unione europea sono responsabili dell’immigrazione illegale e incontrollata, nonché di tutti gli effetti catastrofici che ne derivano. Non parlo solo della politica flessibile in materia di visti e della politica negligente in materia di rintracciamento e rimpatrio, ma anche delle irresponsabili ondate di regolarizzazione che si sono verificate in alcuni Stati membri e che hanno costituito un’attrazione enorme. Tra queste dannose decisioni, l’estensione di Schengen a est è al momento la meno rilevante. Vi potreste pertanto chiedere se Frontex non stia semplicemente facendo da parafulmine per tranquillizzare i cittadini europei.
Patrick Gaubert (PPE-DE). – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, Jacques, onorevoli colleghi, al momento stiamo esaminando testi estremamente significativi che dovrebbero portare a un reale cambiamento e, oserei dire, a una reale evoluzione nella gestione dei flussi migratori. Penso in modo particolare alla direttiva “Rimpatri”, alla direttiva “Carta blu”, alla direttiva che introduce sanzioni contro i datori di lavoro e alla direttiva che fissa un insieme comune di diritti.
Si deve completare quanto prima l’attuale attività legislativa, se desideriamo risultati effettivi visibili ai nostri cittadini e a quelli dei paesi terzi. Dobbiamo inviare un messaggio chiaro. Come parlamentari, trattiamo in modo diretto e con serietà la questione dell’immigrazione. Dobbiamo riflettere sulla gestione delle nostre frontiere esterne e sul ruolo di Frontex al riguardo. Frontex non è stata creata per recuperare i corpi degli annegati a sud dell’Europa. Non è stata creata per recuperare i corpi dei bambini morti di fame e di sete nell’Europa dell’est, trascinati dai loro genitori in un viaggio migratorio senza fine. Frontex ha una missione chiara: proteggere le nostre frontiere al fine di proteggere i nostri cittadini.
Gli Stati membri devono pertanto far fronte alle loro responsabilità e rispettare i loro impegni fornendo a Frontex tutte le risorse necessarie alla realizzazione delle sue missioni nelle migliori condizioni possibili. Dobbiamo smettere di pensare a Frontex come a una misura isolata o temporanea. Essa deve essere all’altezza, e deve restare al passo, dei fenomeni che rientrano nel suo ambito di competenza: migrazione e immigrazione illegale, crimine organizzato, contrabbando, traffichi in tutte le sue forme. L’agenzia Frontex deve essere al cuore del più ampio progetto di sicurezza e, a tal proposito, vi deve essere una cooperazione più stretta con le alte autorità competenti in materia.
Come spesso accade, sono i grandi principi e la volontà politica a minacciare il buon funzionamento dell’agenzia: principio di responsabilità, di solidarietà e di rispetto, impegni che vanno ricordati a ciascuno Stato membro. Mi auguro che la Commissione e in particolare il Consiglio prenderanno in considerazione le nostre richieste e le nostre preoccupazioni e che non rovinino il successo di un’agenzia di cui necessitiamo a livello europeo.
Javier Moreno Sánchez (PSE). – (ES) Signora Presidente, onorevoli colleghi, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, come è stato detto, Frontex funziona. Lo scorso anno, ad esempio, grazie alle operazioni congiunte il numero degli immigrati clandestini giunti alle isole Canarie è diminuito del 61 per cento. Le organizzazioni di stampo mafioso, tuttavia, stanno cercando nuove vie per evitare le operazioni di sicurezza. Le loro attività sono come la lepre, mentre le nostre risposte come la tartaruga. Tutti noi conosciamo la fiaba di La Fontaine e come finisce: senza dubbio vinceremo la gara, ma quante vite perderemo durante il cammino?
Onorevoli colleghi, dobbiamo essere chiari e concisi l’un l’altro e nei confronti dei cittadini. Desideriamo davvero trattare il problema dell’immigrazione illegale congiuntamente o solo far sembrare che ce ne stiamo occupando? Frontex offre un valore aggiunto in termini di riduzione del numero di immigrati illegali, salvando vite e lottando contro il traffico di esseri umani e fa da deterrente notevole nelle aree controllate.
Tuttavia, onorevoli colleghi, è importante andare più in là e garantire un sistema europeo integrato per la gestione di tutte le frontiere esterne dell’UE. Frontex ha bisogno di mandati e risorse adeguati. Le proposte della Commissione stanno andando nella giusta direzione, ma vogliamo sapere quanto sono uniti e impegnati gli Stati membri nella lotta contro l’immigrazione illegale, un fenomeno che colpisce tutti noi e non solo i paesi delle frontiere meridionali.
Come accolgono gli Stati membri l’idea di introdurre un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere? Sviluppando la capacità operativa di Frontex, come vede il Consiglio la creazione di centri regionali nelle zone sensibili, in particolare sulle frontiere marittime meridionali?
In relazione all’aspetto chiave della sorveglianza delle frontiere, inoltre, quale sarà il ruolo di Frontex in Iconet e qual è stata la risposta del Consiglio alla proposta di istituire l’EUROSUR?
Desidero dire, infine, che sono d’accordo con lei, signor Commissario, in merito al fatto che la cooperazione con i paesi terzi costituisce una componente fondamentale della lotta contro l’immigrazione illegale. Quali passi intende compiere Frontex al fine di agevolare lo sviluppo degli accordi conclusi da Stati membri come la Spagna? Ritengo che le risposte a domande come queste potrebbero costituire una prima indicazione di come e quando vinceremo la gara.
Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signora Presidente, gli Stati membri hanno sia il diritto che il dovere di sorvegliare adeguatamente le frontiere, al fine di gestire l’immigrazione e cooperare tra loro e attraverso l’Unione europea, indipendentemente dal fatto che siano nell’area Schengen, di cui purtroppo non fa parte il mio paese. Ciò significa che devono collaborare con Frontex e attraverso Frontex, nella misura in cui sono legalmente autorizzati a farlo, e devono appoggiare i cosiddetti RABITS – gli operatori mobili di frontiera – e garantire che Frontex riceva risorse adeguate.
Ma frontiere ben gestite non significa trattamento disumano dei migranti o negligenza nel dovere di rispettare il diritto in materia di rifugiati dando accesso a un procedura per la domanda di asilo. Dovremmo pertanto collimare operatori mobili di frontiera mediante squadre di esperti in materia di asilo, che possano essere mobilitati con breve preavviso per gestire gli ampi afflussi di migranti potenziali e garantendo che valutino individualmente qualsiasi domanda potenziale.
Frontex non può sostituire un sistema completo in materia di migrazione – di cui ancora non disponiamo – che copra l’immigrazione illegale e la migrazione legale e che disponga di adeguati canali migratori legali, preservando al contempo il canale per la domanda di asilo.
Infine, sono cauta circa la tendenza a mischiare immigrazione e criminalità. Il termine “sicurezza delle frontiere”, che viene spesso utilizzato, tende a suggerire automaticamente che gli immigrati costituiscano una minaccia. La maggior parte di loro non lo sono. Possono non avere il diritto legale a venire, ma ciò non significa necessariamente che siano criminali.
Agustín Díaz de Mera García Consuegra (PPE-DE). – (ES) Signora Presidente, vediamo il lato più duro e drammatico dell’immigrazione illegale quando arriva il bel tempo sulle coste dell’Atlantico e del Mediterraneo.
I gruppi mafiosi operano molto più di frequente ora che è apparentemente meno rischioso. Ecco perché questa discussione è così necessaria: per appoggiare, agevolare e incoraggiare qualsiasi iniziativa al fine di prevenire e neutralizzare una piaga criminale che mette in pericolo così tante vite e che apre un varco con frequente impunità nelle nostre frontiere.
L’azione esterna dell’Unione europea sta diventando una componente essenziale di tale ambito e i progetti pilota di Montavia e Capo Verde lo confermano. L’Assemblea ha recentemente permesso alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni di partecipare a questo incarico autorizzando due viaggi in Senegal e Mauritania, esempi eccellenti di paesi di origine e di transito degli immigrati illegali.
L’azione esterna dell’UE in materia di immigrazione d’ora in poi deve essere più incisiva e più visibile e concentrarsi su paesi molto più rilevanti, innanzi tutto la Guinea Conakry.
Frontex ha compiuto buoni progressi in poco tempo. Dispone di fondi, 70 milioni di euro per essere precisi, e di capacità di coordinamento ben progettate, ma necessitiamo dell’appoggio univoco del Consiglio, ad esempio, per rendere la banca dati CRATE più di un semplice catalogo di mezzi o una dichiarazione di offerte. Il problema è drammatico e persistente e ci obbliga a continuare i nostri sforzi e a mantenere attivi i nostri sistemi di prevenzione, assistenza e controllo, con risorse e personale dispiegato in modo permanente e tempestivo, nelle isole Canarie e nel Mediterraneo.
Nel corso del primo trimestre dell’anno, 1 702 immigrati hanno raggiunto le Canarie contro i 1 425 nel stesso periodo dello scorso anno. Ora arrivano più immigrati, ma utilizzando meno imbarcazioni. In tre anni sono arrivati alle isole Canarie 48 305 immigrati. E’ vero che il numero è diminuito drasticamente tra il 2006 e il 2007, passando da 31 000 a 11 000, ma la dura verità è che sempre più immigrati arrivano ai porti delle Canarie e ogni giorno ritroviamo dei corpi nel Mediterraneo, o vicino alle coste di Oran e delle Canarie stesse.
Inoltre, signora Presidente – e con questo concludo – tra il 15 per cento e il 20 per cento degli immigrati irregolari rimpatriati ci riprova. Il problema è pertanto persistente. Ecco perché necessitiamo di più volontà comune globale e meno retorica comune.
Genowefa Grabowska (PSE). – (PL) Signora Presidente, signor Commissario, signor Presidente del Consiglio, Malta, Spagna, Italia e Francia sono tutti paesi particolarmente colpiti dai flussi migratori, ma non costituiscono le uniche vie migratorie.
Desidero attirare l’attenzione dell’Aula sulle frontiere orientali dell’Unione europea e in particolare sulle frontiere del mio paese, la Polonia. Gli accadimenti degli ultimi mesi indicano che i flussi migratori stanno passando anche attraverso tali frontiere e che anche lì si verificano tragedie umane. Desidero ricordare all’Assemblea che due bambini ceceni sono morti per sfinimento mentre cercavano di entrare in Polonia con la loro madre. Oltre agli immigrati illegali provenienti da Ucraina e Bielorussia, i centri di accoglienza polacchi per i profughi ospitano anche pakistani, coreani e vietnamiti.
La migrazione, e in particolare la migrazione illegale, è un problema che coinvolge tutta l’Unione ed è pertanto deplorevole che l’UE non abbia un approccio comune verso l’immigrazione illegale. I principi applicati da parte degli Stati membri in merito all’asilo e alla deportazione differiscono enormemente. Desidero pertanto cogliere questa opportunità per sottolineare che necessitiamo di un unico quadro giuridico. Ci sarebbe allora per lo meno possibile trattare allo stesso modo gli immigrati illegali in tutta l’Unione. Chiaramente, l’unica alternativa all’immigrazione illegale è la migrazione legale, di cui i cittadini dell’Unione europea non devono avere timore. Essa costituisce un’opportunità per l’Europa che invecchia. Ecco perché accolgo con favore l’approccio assunto dalla Presidenza slovena, perché anch’io ritengo che sia necessaria una più stretta collaborazione tra le autorità doganali e di controllo delle frontiere al fine di migliorare il metodo esistente per la gestione delle frontiere dell’UE.
Gli Stati membri devono inoltre essere decisamente molto più coinvolti nelle azioni comuni di Frontex. Non possono continuare a essere egoisti come lo sono stati fino ad oggi e devono invece essere più generosi quando si tratta di equipaggiare quest’importante agenzia. Non sto pensando solo a esperti, ma anche e soprattutto a navi, aerei e altre dotazioni che garantiranno l’effettiva protezione delle frontiere dell’Unione. Dopo tutto, sui mari e sulle montagne sono in gioco le vite di molti individui e con esse la nostra sicurezza comune.
Carlos Coelho (PPE-DE). – (PT) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Vicepresidente della Commissione, onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte a una crisi di immigrazione illegale di massa che ha delle conseguenze sulla sicurezza e sulla coesione di tutta l’Unione europea. L’immigrazione è un fenomeno di proporzioni enormi che, in particolare in uno spazio senza frontiere interne, necessita di un approccio europeo.
Appoggio pertanto la creazione di un sistema europeo di sorveglianza delle frontiere, EUROSUR, che ottimizza e che collega tra loro i sistemi di controllo delle frontiere degli Stati membri al fine di aumentare la sicurezza interna dell’UE, di combattere l’immigrazione illegale, di prevenire il crimine transfrontaliero e il terrorismo e di potenziare la capacità degli Stati membri relativamente alle operazioni di salvataggio.
Appoggio altresì il ruolo centrale di Frontex nel controllo e monitoraggio delle frontiere esterne. Sono d’accordo in merito al fatto che Frontex debba agevolare l’applicazione delle disposizioni comunitarie attuali e future e che renda inoltre tale applicazione più efficace in termini di gestione delle frontiere esterne e di garanzia del coordinamento delle azioni degli Stati membri e, in particolare, dell’assistenza tecnica e operativa da fornire agli Stati membri che la richiedono. Segnalo tuttavia al Consiglio e agli Stati membri che tali obiettivi verranno raggiunti se forniamo all’agenzia le risorse umane e finanziarie necessarie che purtroppo fino a tempi molto recenti non sono state affatto evidenti.
Riguardo al sistema di ingresso/uscita, ritengo che debba essere più cauto. Sono preoccupato circa questo susseguirsi di proposte sul controllo degli individui, che si stanno moltiplicano con una rapidità allarmante. Sembra che siamo incapaci di portare a termine quanto già concordato e scappiamo avanti, senza curarci di evitare sovrapposizioni e duplicazioni di funzioni, per valutare l’impatto di tali questioni sui diritti fondamentali degli individui o per istituirne la salvaguardia ove necessario.
A mio avviso, anziché proporre nuovi meccanismi, la Commissione dovrebbe impegnarsi a recuperare i ritardi che si cono già accumulati e a mettere in funzione quanto prima sistemi quali il SIS II (Sistema d’informazione Schengen) e il VIS (Sistema d’informazione visti).
Katrin Saks (PSE). – (ET) Signor Commissario, onorevoli colleghi, in un’Unione europea senza frontiere interne, la cooperazione e la solidarietà per proteggere le nostre frontiere esterne sono di importanza fondamentale, così come l’ulteriore miglioramento delle attività di Frontex.
Tuttavia, oltre agli immigrati che attraversano il Mediterraneo via mare, di cui si è parlato molto qui e di cui siamo senza dubbio consapevoli grazie ai mezzi di informazione, vi è anche l’enorme problema delle persone di paesi terzi che entrano nell’UE muniti di visto allo scadere del quale non hanno alcuna intenzione di andarsene. Si tratta soprattutto di immigranti provenienti da est.
In questo caso un unico sistema d’informazione visti è di estrema importanza, dato che in merito a tale questione non è sufficiente la crescente responsabilità di uno Stato nazione o di uno Stato membro. E’ molto importante che vi sia una cooperazione sempre maggiore tra i paesi.
Si è inoltre parlato molto di una politica comune in materia di migrazione. In merito ad alcuni aspetti essa è senza dubbio importante. Tuttavia talune questioni devono restare nell’ambito di competenza degli Stati membri, come ad esempio la questione delle quote, dato che su questioni di questo genere ciascun paese deve valutare le sue possibilità di integrazione. Tali questioni non possono essere risolte dall’alto.
Panayiotis Demetriou (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, non ritengo sia necessario ripetere quanto abbiamo appena ascoltato dagli onorevoli colleghi che sono già intervenuti. Essi hanno ad ogni modo coperto quasi tutti gli aspetti del problema, che ciascuno di noi reputa complesso, difficile e molto grave.
Vorrei parlare qui e ora delle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione secondo le quali dovremmo smetterla con l’aria fritta e passare all’azione. Ciò che l’UE deve fare è regolato da tre principi. In primo luogo il messaggio deve essere chiaro e il problema dell’immigrazione deve essere riconosciuto non solo come problema nazionale, ma anche come problema europeo. In secondo luogo, si deve applicare in modo pratico il principio di solidarietà e, terzo, si deve attuare una politica olistica, piuttosto che frammentata.
Abbiamo creato Frontex, il che è eccellente. Il Commissario afferma che è stata organizzata, dotata di personale e potenziata con tutte le risorse necessarie. Può tuttavia Frontex risolvere il problema? Ho i miei dubbi. I miei colleghi hanno parlato di questioni quali le cause dell’immigrazione. Abbiamo senza dubbio bisogno di potenziare Frontex. Tuttavia, necessitiamo soprattutto di rivolgere la nostra attenzione agli Stati del Mediterraneo. Le iniziative di terra e di mare devono essere potenziate in modo tale da poter per lo meno resistere all’afflusso massiccio di immigrati illegali. Cipro è uno dei casi in questione. E’ di recente diventata la meta degli immigrati clandestini provenienti dal Medio Oriente attraverso i territori occupati dai turchi. L’UE dispone dei mezzi e dei metodi per intervenire con la Turchia al fine di arrestare tale fenomeno.
Oltre a quanto tutti noi abbiamo discusso, tuttavia, vi è un altro argomento di dibattito: la questione dei diritti umani, che costituisce un tema importante. Al fine di arrestare l’immigrazione illegale e l’immigrazione in generale, non possiamo permettere che si rinunci ai diritti umani. Quando trattiamo e abbiamo a che fare con gli immigrati dobbiamo applicare i principi e i valori dell’UE in materia di diritti umani. Questo è quanto esorto la Commissione e il Consiglio a fare.
Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, ora che l’estate è alle porte e che le condizioni meteorologiche sono buone, in particolare in Grecia e nel Mediterraneo, l’immigrazione illegale assumerà purtroppo dimensioni enormi. Gli immigrati illegali arriveranno sia alle frontiere terrestri che a quelle marittime della Grecia. Il mio paese sta facendo del suo meglio. Sta prendendo tutte le misure possibili, ma non sono sufficienti ad arginare questa marea.
Frontex è stata istituita cinque anni fa. Siamo soddisfatti dei suoi risultati? Oserei dire di sì, considerate le scarse risorse tecniche e le ridotte competenze di cui dispone. Se, tuttavia, vogliamo prendere un’effettiva decisione politica, allora dobbiamo potenziare Frontex mediante infrastrutture logistiche e un’adeguata normativa. Questo è l’unico modo per adempiere ai nostri obblighi. Infine, dobbiamo altresì istituire una guardia costiera per le frontiere marittime del Mediterraneo.
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signora Presidente, il problema dell’immigrazione illegale è molto complesso. Implica solo in parte opere di difesa intorno alle frontiere di un paese e dell’Unione europea in generale.
Dobbiamo esaminare le cause e le motivazioni che portano in Europa queste persone. Rischiano le loro vite e le vite dei loro cari. Percorrono migliaia di chilometri. Sopportano condizioni terribili eppure continuano a venire ancora. Pertanto la mia considerazione iniziale è che continueranno a venire anche se costruiamo un muro di sei metri tutto intorno alle frontiere europee.
Il Commissario ha detto un’altra cosa molto saggia. Queste persone vengono perché abbiamo bisogno di loro. C’è lavoro per loro nei nostri Stati membri. Allora perché non trovare un sistema per legalizzare gli immigrati illegali? Perché non trovare un sistema di gestione in cui queste persone possono essere incanalate nei nostri paesi in modo legale e sicuro?
Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE). – (FR) Signor Commissario, signor Ministro, ritengo che sia profondamente scioccante far credere che la nostra sicurezza sia minacciata da persone che muoiono di fame e che vengono qui in cerca di lavoro per sostentare le famiglie che hanno lasciato a casa. Desidero ricordare ai miei colleghi il discorso pronunciato da Kofi Annan quando gli abbiamo conferito il Premio Sacharov. Ci ha chiesto di fare esattamente il contrario di quanto stiamo facendo: ci ha chiesto di aprire le nostre frontiere. Quando guardiamo un pochino verso il futuro, ci rendiamo semplicemente conto molto bene che avremo bisogno di questi lavoratori perché vi sarà carenza di manodopera nell’Unione europea.
Che cosa facciamo allora? Costruiamo muri per poi scegliere chi avrà il permesso di entrare: sceglieremo le persone di cui avremo bisogno. Ciò è assolutamente inaccettabile. Abbiamo bisogno di una politica diversa, una politica aperta a tutte queste persone.
Tuttavia, ciò che desidero sapere è cosa Frontex si augura di fare, ad esempio, nei paesi di transito. A tal proposito, vi porto l’esempio della Mauritania con cui ho familiarità, dato che l’Unione europea mi aveva inviato in tale paese in qualità di capo della missione per osservare le elezioni. Abbiamo preso un impegno con questo paese povero per aiutarlo nel processo di transizione verso la democrazia. Deve gestire i flussi di immigrati che attraversano il paese diretti verso le Canarie.
(La Presidente interrompe l’oratore)
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, siamo qui a discutere di Frontex ed è ciò su cui ci dovremmo concentrare. Frontex deve certamente essere vista nel contesto di una strategia migratoria completa che da un lato gestisce l’immigrazione legale, ma dall’altro combatte l’immigrazione illegale.
In questo contesto generale, Frontex è lo strumento di sicurezza da cui dipende la campagna contro l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani e viene utilizzata in quei settori in cui gli Stati membri hanno difficoltà a essere all’altezza. Ecco perché dobbiamo garantire che Frontex possa davvero evolvere in uno strumento di sicurezza apprezzabile.
Il Parlamento è riuscito a ottenere un raddoppiamento del bilancio, insieme a una significativa estensione del periodo di tempo per le operazioni congiunte. Sono lieto che nei prossimi giorni verranno avviate le operazioni Hera e Nautilus. Tuttavia – e questo punto è diretto al Consiglio – ogni operazione andrà a buon fine se gli Stati membri creeranno le condizioni indispensabili e renderanno disponibili gli strumenti necessari.
Questa è pertanto la mia richiesta e il mio appello urgente al Consiglio: chiedo che venga fatto tutto il possibile per garantire che non si verifichi la stessa situazione degli anni passati, quando gli Stati membri tergiversavano. Dovrebbero capire, finalmente, che abbiamo bisogno di questo strumento di sicurezza e che lo stiamo mettendo in condizione di funzionare in modo efficace attraverso la fornitura necessaria…
(La Presidente interrompe l’oratore)
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) E’ stato estremamente interessante assistere a questa dinamica discussione. Credo che una cosa fosse chiara a tutti nel corso del dibattito: l’immigrazione legale è il genere di immigrazione di cui l’Unione europea ha bisogno, ma che l’altro tipo di immigrazione, quella illegale, è da combattere. Questo era un tema all’ordine del giorno della discussione di oggi.
La Presidenza è, ad ogni modo, tra coloro che ritengono che l’immigrazione illegale sia un fenomeno da combattere, dato che è di solito a sfondo criminale. In questo caso, dietro vi è una società del crimine organizzato che non è interessata a ciò che devono sopportare le persone che cercano di far entrare in Europa. Devo dire che non sono d’accordo con quei membri del Parlamento che sono dell’avviso che il Consiglio stia cercando di evitare tali discussioni. Non concordo neppure con coloro che ritengono che stiamo ancora semplicemente parlando.
Il Consiglio non sta evitando questo dibattito. E’ stata la Presidenza slovena che, nel marzo di quest’anno, ha organizzato la conferenza sulle sfide future del controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea. Tutte o quasi tutte le questioni menzionate nel corso della discussione di oggi rientravano tra gli argomenti trattati in occasione di tale conferenza, che è stata condotta a livello ministeriale. Ad ogni modo, concordo con l’onorevole Hennis-Plasschaert: è giunto il momento di agire. La sua assenza prova che stiamo agendo. Sta partecipando a un evento molto importante e cioè la fase conclusiva della discussione tripartita sulla direttiva “Rimpatri”, che, ho sentito dire, sta procedendo bene e che oggi potrebbe concludersi con successo.
La direttiva “Rimpatri” costituisce un aspetto importante della lotta contro l’immigrazione illegale. Se sarà adottata in prima lettura, questa è la speranza della Presidenza europea e l’ambizione del Parlamento europeo, disporremo di una nuova leva per aiutarci a far fronte con maggior successo al fenomeno dell’immigrazione illegale.
La questione della solidarietà comporta un prezzo politico significativo relativamente ai problemi dell’immigrazione illegale. Dobbiamo tuttavia apprezzare il fatto che vi siano già alcuni elementi di solidarietà: abbiamo avuto la risorsa Schengen, o “strumento Schengen”, per i nuovi Stati membri, abbiamo Frontex e il signor Commissario ha elencato capacità rilevanti che gli Stati membri hanno volontariamente offerto all’agenzia in nome della solidarietà.
Non posso pertanto essere d’accordo sul fatto che non vi sia solidarietà nell’Unione europea. C’è, ma vi è spazio per migliorare. Dobbiamo tener conto che – e credo che l’onorevole Fava sia tra coloro che l’hanno sottolineato – il controllo delle frontiere esterne rientra tra le competenze degli Stati membri. Perché? Semplicemente perché la maggior parte di loro vuole che sia così. La solidarietà ha pertanto i suoi limiti. La maggioranza degli Stati membri vuole che il controllo delle frontiere esterne diventi di loro competenza.
L’onorevole Saks ha affermato che gli Stati membri non vogliono che siano loro imposte dall’esterno o dall’alto le quote di immigrazione. Vogliono decidere da soli in merito a questioni di questo genere. Questo è il quadro in cui stiamo operando e in cui la Presidenza slovena sta cercando di trovare possibili vie per andare avanti. Ritengo che siamo già riusciti a realizzare diverse misure, ma che su altre dobbiamo ancora lavorare.
Desidero dire alcune parole circa i centri di accoglienza, menzionati dall’onorevole Moreno Sánchez. Al riguardo è ancora in corso un dibattito molto difficile. Si tratta di una questione sensibile dal punto di vista politico e non di un semplice tema di discussione. Il Consiglio se ne occuperà per qualche tempo.
L’onorevole Özdemir ha sollevato la questione dell’asilo. Esistono statistiche a riguardo. Il regime in materia di asilo è efficace a livello europeo, tuttavia stiamo cercando di migliorarne ancora l’efficienza. Il primo passo è stato la pubblicazione di un Libro verde sul futuro dell’asilo presentato dalla Commissione europea, nonché le decisioni del Consiglio sul miglioramento della prassi di cooperazione, adottate in occasione dell’ultima sessione del Consiglio “Giustizia e affari interni”.
Desidero concludere qui, sebbene potrei parlare ancora di questo argomento interessante e d’attualità. Onorevoli deputati, vi garantisco che le vostre opinioni contano e che le terremo presenti nel prosieguo di questo dibattito. La Presidenza slovena conta sulla vostra cooperazione per compiere progressi in questo settore.
Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto tornare indietro al tema principale di questa discussione, Frontex, e chiarire alcuni punti. L’onorevole Fava, in particolare, voleva sapere se le apparecchiature utilizzate da Frontex sono pienamente operative.
E’ vero che Frontex dipende dagli Stati membri per le apparecchiature tecniche necessarie per le operazioni che coordina e, fino ad oggi, l’agenzia è soddisfatta di come gli Stati membri hanno fornito le apparecchiature disponibili nella banca dati CRATE.
Certo, un passo ulteriore sarebbe l’attuazione di un sistema obbligatorio per gli Stati membri modificando il regolamento di base dell’agenzia. La Commissione vi accenna nella sua relazione di valutazione. Le discussioni in proposito continueranno con l’agenzia Frontex e gli Stati membri. Frontex ha concluso accordi tecnici con la maggior parte degli Stati membri in merito alle condizioni di utilizzo delle apparecchiature. Non è ovviamente in grado di acquistare apparecchiature, che sono molto costose, tuttavia nella sua relazione di valutazione la Commissione raccomanda che Frontex acquisti o affitti le apparecchiature usate più di frequente: visori notturni a infrarossi, piccole apparecchiature radar, apparecchiature per la visione termica e così via.
Desidero altresì dire, dato che l’onorevole Moreno Sánchez ha sollevato proprio questi punti, che vi sono alcuni luoghi particolarmente a rischio per i quali potremmo forse considerare l’istituzione di centri operativi permanenti. Frontex sta attualmente esaminando questa possibilità.
Vi sono molte altre domande e mi scuso se non menziono tutti gli onorevoli deputati sebbene abbia preso appunti accurati.
Molti di voi hanno chiesto in merito all’attuale capacità di Frontex di fornire assistenza alle persone le cui imbarcazioni hanno fatto naufragio. E’ importante ricordare che sono gli Stati membri ad avere la responsabilità di farsi carico o di salvare coloro che restano coinvolti in tali incidenti: Frontex non ha alcun mandato in questo settore. Detto ciò, ritengo che sia vero affermare che fortunatamente sono state salvate molte vite grazie alle operazioni coordinate da Frontex. Sempre più persone devono essere salvate perché ciò di cui ci siamo resi conto vedendo questi terribili naufragi di povera gente, che spesso è stata anche sfruttata, è che durante tali operazioni si tratta di una preoccupazione fondamentale.
Desidero ribadire brevemente quanto appena affermato dal Presidente e dal Ministro, così come dall’onorevole Gaubert: si tratta, per l’Europa, di cominciare a gestire i flussi migratori, i quali non possono essere gestiti efficacemente senza Frontex, senza sorveglianza delle frontiere esterne. Non vi è alcun dubbio che necessitiamo di un quadro giuridico che permetterà gradualmente all’Europa di fornire una vera risposta europea a tutti questi problemi migratori. Devo altresì dire che uno dei compiti principali che attende la mia attenzione è la preparazione di una nuova comunicazione su questo approccio generale alla migrazione, che dovrebbe tener conto di tutti gli aspetti che avete sollevato.
Desidero aggiungere che una politica in materia di migrazione non può avere successo in assenza di una stretta collaborazione con i paesi di origine e, certamente, ciò che è stato detto su questo tema è che tutti gli sforzi sono bene accetti al fine di potenziare tale cooperazione con i paesi in questione.
Signor Ministro, ha sottolineato solo poc’anzi che il trilogo sul testo del “rimpatrio” sembra fare progressi. Esso costituisce anche uno dei capisaldi di questa politica generale in materia di immigrazione, che deve certo essere una politica generale, ma che deve anche essere una politica comune: la solidarietà è fondamentale. Si è accennato spesso questa sera ai salvataggi in mare, ma non dobbiamo dimenticare le frontiere europee a est.
Chiaramente – e concludo con questo punto – il trattamento degli immigrati illegali deve rispettare i diritti fondamentali nei quali l’Europa è fermamente impegnata. Tutto ciò significa che necessitiamo di un vero approccio generale, un approccio che sia umano ma al contempo estremamente serio e rigoroso. Questo è essenziale se non vogliamo che l’Europa sia una fortezza e se vogliamo che sia aperta, ma aperta nel quadro di norme che riteniamo ragionevoli, che rispettano gli individui e, al contempo, finalizzate a garantire che gli sforzi di integrazione abbiano successo nei diversi Stati membri, dato che senza integrazione la politica in materia di immigrazione non può avere successo.
Questo è quanto desideravo dire e mi scuso con gli onorevoli deputati per non aver risposto a tutte le questioni sollevate. Posso garantirvi che sono desideroso di ascoltare l’Assemblea al fine di cercare di gettare le basi di tale politica generale in materia di immigrazione.
Presidente. − La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Marian-Jean Marinescu (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Le frontiere esterne dell’Unione europea, sia terrestri che marittime, proteggono tutti gli Stati membri da possibili minacce causate da immigrazione illegale, contrabbando e crimine organizzato.
Gli strumenti proposti dalla Commissione europea nello sviluppo dell’agenzia Frontex, e cioè i più avanzati sistemi di sorveglianza delle frontiere, le apparecchiature tecniche e le squadre di intervento rapido, sono senza dubbio opportuni.
Ciononostante, lo sforzo di rafforzare le frontiere dovrebbe essere un intervento europeo congiunto e non dei singoli paesi situati lungo le frontiere. E’ inoltre necessario agire non solo sulle frontiere dell’Unione europea, ma anche sulle frontiere dei paesi confinanti con l’Unione europea.
Vi ricordo il fatto che la stabilità politica, lo sviluppo della democrazia, l’economia e l’aumento del livello di vita nei paesi terzi confinanti con l’Unione europea diminuirà considerevolmente la pressione alle frontiere, per tale ragione la cooperazione con le autorità competenti di tali paesi rappresenta una priorità importante.
I progetti presentati dalla Commissione devono essere finanziati adeguatamente e con urgenza, affinché possano essere attuati quanto prima.
11. Strategia europea in materia di diversità biologica (COP 9) e di prevenzione dei rischi biotecnologici (COP-MOP 4) (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca
– l’interrogazione orale dell’onorevole Miroslav Ouzký, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, alla Commissione, sulla strategia della Commissione in merito alla nona riunione ordinaria della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica (COP 9) e alla quarta riunione delle Parti del Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza (COP-MOP 4) (O-0023/2008 –B6-0017/2008);
– l’interrogazione orale dell’onorevole Miroslav Ouzký, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, al Consiglio, sulla strategia del Consiglio in merito alla nona riunione ordinaria della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica (COP 9) e alla quarta riunione delle Parti del Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza (COP-MOP 4) (O-0022/2008 –B6-0016/2008).
Miroslav Ouzký, autore. – (CS) Signora Presidente, signor Ministro, signor Presidente in carica del Consiglio, desidero innanzi tutto accennare a un punto che non ha nulla a che vedere con la mia interrogazione per esprimere una lamentela. Mentre la polizia di tutti i paesi garantisce, come parte dei suoi doveri, che i politici o i membri del parlamento possano svolgere le loro funzioni, la polizia francese cerca di impedire ai membri del Parlamento europeo di lavorare. All’entrata di questa istituzione un poliziotto mi ha impedito di entrare, persino dopo aver visto il mio permesso, presumibilmente al fine di proteggere una dimostrazione che si stava svolgendo fuori dall’ingresso del Parlamento. Ritengo che sia scandaloso e mi auguro che tale questione venga discussa in Aula. Certo questo non è pertinente alla mia interrogazione, ma lasciatemi dire che ora non mi sarei potuto trovare qui a parlare se non fossi entrato da un altro lato dell’edificio.
A nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sono stato autorizzato a porre un’interrogazione sia al Consiglio che alla Commissione in merito all’imminente riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica e sulla biosicurezza di Bonn. La questione fondamentale, sia per il Consiglio che per la Commissione, riguarda un chiarimento degli obiettivi di tale conferenza. Desideriamo inoltre sapere se il Consiglio e la Commissione hanno in programma di coinvolgere nella conferenza i membri del Parlamento europeo. Devo dire che la nostra commissione vuole di più della semplice adozione di risoluzioni e accordi individuali: vuole sapere come vengono eseguiti e attuati, in altre parole come vengono messi in pratica.
Desidero chiedere se l’Unione europea e le istituzioni europee comprendono il loro ruolo di guida in questo settore, nella lotta contro la perdita di biodiversità. Se vogliamo essere una forza guida, dovremmo renderlo assolutamente chiaro. Desidero chiedere se capiamo che il finanziamento di tutti questi programmi e decisioni costituisce una necessità fondamentale e che non possono essere attuati senza un adeguato supporto finanziario. Mi auguro inoltre che sia la Commissione che il Consiglio comprendano l’impatto che la scarsità d’acqua ha nella regione del Mediterraneo e l’impatto che hanno la siccità e il cambiamento climatico sulla biodiversità in quanto tale.
La commissione desidera sapere se verrà riservata particolare attenzione alla biodiversità marina e costiera e se la Commissione e il Consiglio comprendono l’importanza di coinvolgere i governi regionali e locali, così come le imprese interessate a tale questione, nella lotta contro la perdita di biodiversità. Desidera sapere se comprendiamo l’importanza di una gestione sostenibile delle foreste e delle coltivazioni, con particolare enfasi sulla produzione sostenibile di biocarburanti, che sta diventando un argomento scottante. Com’è noto, la produzione di biocarburanti rientra nel pacchetto sul clima di cui stiamo discutendo ora, poiché l’utilizzo e lo sviluppo sostenibile di biocarburanti è una questione di estrema importanza. D’altro canto, sappiamo che ha un impatto molto negativo sulla biodiversità.
Presidente. − Grazie. Trasmetterò il suo reclamo e verrà poi forse contattato in merito alla questione.
Janez Podobnik, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Desidero ringraziare la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare e il suo presidente, l’onorevole Ouzký, per l’interrogazione parlamentare che pone a me, al Consiglio e alla Commissione. Con tale interrogazione attribuisce grande importanza al problema estremamente sensibile della biodiversità.
Insieme al cambiamento climatico, la biodiversità costituisce la principale priorità della Presidenza tra le esigenze ambientali. La nona riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica (COP 9), che si terrà a maggio a Bonn, è pertanto un evento importante per l’Unione europea in generale, così come per la Presidenza slovena.
Nel quadro del programma di 18 mesi della Presidenza tedesca, portoghese e slovena, il Consiglio ha compiuto intensi preparativi per far sì che sia una riunione di successo in termini di migliore protezione e utilizzo sostenibile della biodiversità a livello globale. Il Consiglio ha sottolineato che l’Unione europea si è impegnata a rispettare l’obiettivo globale nel quadro del quale intende rallentare in modo significativo il tasso di perdita di biodiversità entro il 2010. Si è altresì impegnata a raggiungere l’obiettivo dell’UE di arrestare la diminuzione di biodiversità in Europa entro il 2010. La mia risposta alla sua domanda è pertanto: sì, l’Unione europea vuole e deve conservare il suo ruolo di leader mondiale in questo settore.
Il Consiglio ha sottolineato che l’Unione europea si sforza di avere un ruolo attivo e costruttivo e che, alla Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica di maggio, si sforzerà di ottenere dalla riunione risultati di ampia portata, ma realistici. Il Consiglio ha altresì affermato che, per raggiungere l’obiettivo globale sulla biodiversità entro il 2010, è urgentemente necessario insistere con misure concrete ulteriori a tutti i livelli.
Dobbiamo attuare la Convenzione a livello nazionale ed europeo. L’Unione europea ha preso l’impegno politico di conseguire tutti i tre obiettivi della Convenzione sulla diversità biologica e cioè protezione e sostenibilità dell’utilizzo della biodiversità, accesso a risorse genetiche e ripartizione dei vantaggi derivanti dal loro utilizzo.
Le decisioni che definiscono i compiti prioritari dell’Unione europea per la nona Conferenza delle Parti sono state adottate inizialmente dal Consiglio nel giugno dello scorso anno e poi ancora nel marzo di quest’anno. Lasciate che vi elenchi alcuni dei compiti prioritari. Dobbiamo mettere in rilievo l’importanza dell’attuazione accelerata di tutti i programmi di lavoro della Convenzione sulla diversità biologica e migliorare la sinergia tra le politiche sul cambiamento climatico e la biodiversità al fine di ottenere quanti più possibili vantaggi comuni. Il Consiglio continua a sottolineare la necessità di coesione a tutti i livelli nell’attuazione degli accordi internazionali sull’ambiente.
Dobbiamo mettere in rilievo il fatto che per la nona Conferenza è importante discutere il problema della produzione, del commercio e dell’utilizzo di biocarburanti e biomassa e del loro effetto sulla biodiversità e sui servizi degli ecosistemi. A tale proposito è ancor più importante determinare chiaramente criteri sostenibili per la produzione di biocarburanti. Dobbiamo sottolineare l’importanza dell’attuazione del programma per la biodiversità forestale e la riduzione della deforestazione e del degrado degli ecosistemi forestali. Il Consiglio sottolinea l’importanza delle foreste per adattarsi al cambiamento climatico, per mitigarlo e per preservare la biodiversità.
Dobbiamo garantire un’attuazione rapida e completa del programma di lavoro per le aree protette. In questo contesto dobbiamo fornire supporto tecnico e finanziario – ha chiesto circa il finanziamento – vale a dire il supporto finanziario per istituire aree protette in tutto il mondo. La nona riunione deve adottare criteri ecologici al fine di individuare le aree marine in mare aperto che necessitano di protezione. E’ importante mettere in rilievo il ruolo del settore privato, in particolare delle piccole e medie imprese, nell’attuazione della Convenzione.
Da ultimo, l’Unione europea ha fermamente deciso di continuare a partecipare attivamente alla pianificazione e ai negoziati delle procedure internazionali per l’accesso alle risorse genetiche e la ripartizione dei vantaggi da esse derivanti. L’Unione europea si sforzerà di portare a termine le negoziazioni prima dalla decima riunione della Conferenza della Parti della Convenzione.
Per concludere, alla riunione verranno discussi più di 20 diversi temi. Ho parlato solo di quelli che il Consiglio reputa essere di importanza cruciale per conseguire gli obiettivi della Convenzione, in particolare l’obiettivo per il 2010 in materia di biodiversità. Questa sarà l’ultima riunione prima del termine fissato per il 2010 e sarà pertanto una data limite per l’adozione di misure concrete. Poiché questa riunione si svolgerà in Europa, per l’Unione europea è ancora di maggiore importanza la promozione delle sue priorità e dei suoi sforzi.
Ho inoltre esaminato con attenzione la vostra proposta di risoluzione sulla quale voterete domani in Parlamento. A nostro avviso tale risoluzione costituisce una valida sintesi delle principali priorità e obiettivi che l’Unione europea deve raggiungere a Bonn.
PRESIDENZA DELL’ON. EDWARD McMILLAN-SCOTT Vicepresidente
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Ouzký per questa interrogazione estremamente importante. Credo che tutti noi abbiamo notato come, nel 2007, le questioni ambientali siano salite in cima all’ordine del giorno politico. Il cambiamento climatico ha occupato i titoli dei giornali e l’immaginario popolare.
Tuttavia la mancanza di biodiversità costituisce una minaccia globale che necessita di essere affrontata con la stessa urgenza ed entrambi i temi sono connessi. Cambiamento climatico e biodiversità sono connessi. Il mancato riconoscimento di tale relazione può vanificare i nostri sforzi volti al miglioramento in entrambi i settori.
Come possiamo arrestare la perdita di biodiversità? Bene, ritengo che l’Europa abbia compiuto dei progressi in tale ambito mediante l’attuazione delle attività coperte dalla comunicazione della Commissione del 2006 “Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 – e oltre”. Sono tuttavia necessari maggiori sforzi. In particolare abbiamo bisogno di un più forte buy-in di settori diversi dalla conservazione della natura, quali l’agricoltura, la pesca e l’energia.
E’ altresì essenziale un’efficace cooperazione internazionale e abbiamo preso fermamente l’impegno di lavorare attraverso la Convenzione sulla diversità biologica per proteggere la diversità globale in tutto il mondo.
La nona Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica, che si terrà spalla a spalla con la quarta riunione delle Parti del Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, offre una notevole opportunità per aumentare la protezione della biodiversità e, dato che tali riunioni saranno ospitate e presiedute dalla Germania, l’Europa avrà un ruolo particolare. Spingeremo per l’accelerazione degli sforzi internazionali verso il raggiungimento dell’obiettivo globale di ridurre in modo significativo la perdita di biodiversità entro il 2010.
All’inizio di marzo, il Consiglio ha adottato le conclusioni che istituiscono l’ampio mandato politico e le priorità principali dell’UE in queste riunioni. Tali priorità possono essere riassunte in sette punti.
Primo, vogliamo definire nuovi impegni per migliorare l’attuazione, in particolare in merito all’esecuzione dei programmi della Convenzione sulla diversità biologica sulle aree protette e la biodiversità forestale.
Secondo, vogliamo garantire che l’adattamento al cambiamento climatico e le misure di mitigazione supportino anche l’obiettivo per il 2010 in materia di biodiversità. Le decisioni che verranno prese a Bonn devono contribuire al dibattito post-Bali sulla riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado forestale.
Terzo, promuoveremo l’adozione di criteri per l’identificazione di aree marine vulnerabili da proteggere. Inoltre, intendiamo anche impegnare tutte le parti contraenti in termini di modalità di applicazione di tali criteri.
Quarto, vogliamo sviluppare orientamenti internazionali volti a promuovere modalità che non danneggino la biodiversità al fine di migliorare la produzione e il consumo di biomassa, tra cui i biocarburanti.
Quinto, abbiamo l’obiettivo di identificare le principali componenti di un sistema internazionale sull’accesso alle risorse genetiche e la ripartizione dei vantaggi derivanti dal loro utilizzo.
Sesto, vogliamo un accordo sull’istituzione di un meccanismo internazionale della conoscenza scientifica sulla biodiversità.
Settimo e ultimo, promuoveremo una decisione in materia di responsabilità civile e risarcimento dei danni derivanti dai movimenti transfrontalieri di organismi viventi modificati.
La Commissione agevola pertanto sempre l’inserimento dei membri del Parlamento in delegazioni comunitarie che negoziano accordi multilaterali, di cui io stesso ho avuto un’esperienza molto positiva in prima persona. Accolgo con favore la partecipazione dei membri del Parlamento europeo alla COP 9 e alla MOP 4, come vengono chiamate nella lingua che utilizziamo in questo contesto. Sono certo interessata ad ascoltare le vostre priorità e aspettative per tali riunioni.
Pilar del Castillo Vera, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, signor Ministro, signor Commissario, questo pomeriggio parlo a nome dell’onorevole Gutiérrez-Cortines.
La prima cosa che desidero dire è che il Parlamento europeo appoggia chiaramente e incondizionatamente la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica dell’ONU.
In relazione a ciò, la risoluzione che si voterà domani costituisce un tentativo per potenziare i principali obiettivi e intenzioni della conferenza internazionale come segue: primo, garantire la migliore protezione possibile delle risorse naturali della fauna e della flora; secondo, incoraggiare l’utilizzo sostenibile del suolo per la conservazione delle specie e della natura; e infine preservare il nostro capitale genetico naturale.
A tale proposito, si devono prendere in considerazione diversi programmi di conservazione, in particolare i modelli già applicati nell’UE. Mi riferisco fondamentalmente a Natura 2000 e a “Habitat”, che si sono rivelati estremamente utili.
Ritengo inoltre che si debba lavorare in modo sistematico, utilizzando modelli integrali flessibili, dato che alla fine la natura è un sistema dinamico in costante evoluzione, influenzato da tutte le necessità che deve soddisfare, sia in termini di agricoltura che di altre funzioni.
Ritengo altresì che debbano essere utilizzati più criteri basati sulla scienza e la formazione e che debbano essere presi in considerazione tutti gli aspetti economici e relativi alla fattibilità.
Anche l’opinione dei proprietari e gli incentivi per questi ultimi costituiscono una questione importante e ho pertanto due domande per la Commissione. Come vede l’applicazione dei metodi scientifici nella catalogazione e identificazione delle varietà di specie o degli spazi da preservare? Come vede gli incentivi per i proprietari a tutti i livelli?
María Sornosa Martínez, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, signor Ministro, signora Commissario, siamo tutti consapevoli del fatto che la perdita di diversità biologica sta avendo effetti sociali, economici e culturali diffusi, ulteriormente aggravati dall’influenza negativa del cambiamento climatico.
Le conseguenze di tale situazione colpiscono i più poveri ancora più duramente. La Convenzione sulla diversità biologica costituisce lo strumento giuridico più importante a livello mondiale per combattere la perdita di diversità biologica. A tale proposito vi è tuttavia un problema: la mancanza di risorse finanziarie costituisce un grande impedimento nel conseguimento degli obiettivi della Convenzione. Esorto pertanto sia la Commissione che il Consiglio a promuovere il finanziamento per la preservazione della biodiversità biologica in tutti i bilanci pertinenti nel quadro della loro sfera di competenza.
Desidero evidenziare alcuni aspetti che la proposta di risoluzione mette in rilievo in modo particolare: il riconoscimento della perdita costante di biodiversità nell’Unione europea, che è diventata ormai un dato di fatto; il passaggio all’adozione di un regime internazionale di accesso e di ripartizione dei benefici delle risorse genetiche giusto, imparziale e giuridicamente vincolante; e la promozione dell’applicazione degli impegni esistenti in favore di una migliore conservazione e gestione sostenibile della biodiversità marina, con lo scopo di proteggerla dalle prassi distruttive e dalle attività di pesca non sostenibili, che colpiscono gli ecosistemi marini.
Desidero concludere dicendo che è il momento di agire con fermezza e di tentare di risolvere tutti questi problemi, dato che, sebbene ritenga che vi sia ancora tempo – e tutti noi lo sappiamo – il tempo è contro di noi e contro la biodiversità che desideriamo proteggere.
Johannes Lebech, a nome del gruppo ALDE. – (DA) Signor Presidente, difficilmente la nona riunione COP sulla diversità biologica poteva arrivare in un momento migliore. Nel corso delle ultime settimane, è stato detto e scritto molto circa i biocarburanti e che sia chiaro: i biocarburanti non vanno prodotti a spese della biodiversità. Certo, attualmente stiamo considerando le proposte di direttiva della Commissione per la promozione dell’utilizzo di energia sostenibile, tra cui i biocarburanti. Il Parlamento deve garantire che siano istituiti criteri solidi in relazione alla sostenibilità am3bientale per la produzione di tali biocarburanti. Non otterremo nulla nella lotta contro il surriscaldamento globale, se riduciamo le emissioni di CO2 dei veicoli e al contempo aumentiamo le emissioni di CO2, abbattendo piante e foreste per produrre benzina, rilasciando pertanto elevate quantità di CO2 dal suolo. La riunione di Bonn costituirà una buona opportunità per mettere in risalto l’importanza della produzione di biocarburanti in linea con i requisiti di sostenibilità sia all’interno che all’esterno dell’UE.
Nel 2002 le parti si sono impegnate a ridurre in modo significativo la perdita di biodiversità entro il 2010 a livello regionale, nazionale e globale. E’ importante che le parti continuino a lavorare verso questo obiettivo. La Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite rappresenta il quadro globale per la protezione della biodiversità. Molti accordi internazionali, purtroppo, terminano con il minimo comun denominatore, il che non è accettabile quando si tratta di protezione della natura. L’UE deve definire standard elevati per se stessa e cercare di aumentare gli standard negli accordi internazionali. L’UE deve migliorare anche in merito alla protezione della biodiversità. Al momento, a volte diciamo una cosa e ne facciamo un’altra, il che potrebbe indebolire la nostra credibilità. Ciononostante, la Commissione e gli Stati membri devono spingere per una maggiore protezione della biodiversità, in particolare nelle aree forestali e agricole, dato che tali aree si trovano sottoposte a una pressione particolare, poiché vengono prodotti sempre più biocarburanti.
Come possiamo garantire che la biodiversità e i biocarburanti non diventino una situazione aut aut? Possiamo farlo imponendo requisiti più severi. Sarà forse poi possibile ottenere entrambi. La COP 9 contribuirà a garantire tutto ciò.
Zdzisław Zbigniew Podkański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, la preservazione della diversità biologica rappresenta una sfida per il mondo contemporaneo. Non è in questione solo la bellezza, ma anche l’equilibrio tra la natura e il bene dell’umanità.
Siamo consapevoli ormai da molti anni del problema della contaminazione chimica e degli altri effetti dannosi della civilizzazione, quali il deterioramento dell’ambiente, il cambiamento climatico, l’inquinamento, la deforestazione e il danneggiamento degli habitat. L’effetto serra è recentemente diventato una questione d’attualità. E’ stato purtroppo ignorato il problema della contaminazione biologica causata dagli organismi geneticamente modificati e di questo siamo tutti complici. Abbiamo tralasciato il fatto che, mentre la contaminazione chimica può essere invertita nel corso del tempo, la contaminazione biologica è spesso irreversibile.
Dobbiamo pertanto prendere una decisione chiara per definire se siamo a favore della diversità biologica o degli OGM. Dobbiamo decidere a cosa teniamo di più: gli esseri umani e il loro ambiente o gli interessi di Monsanto e di altre imprese simili che stanno traendo enormi profitti dagli OGM. Se desideriamo preservare la diversità biologica dobbiamo altresì garantire che vengano identificate le specie naturali maggiormente minacciate. Sarebbe in seguito possibile definire obiettivi per la loro protezione e prevenire l’estinzione di altre specie in futuro. Dobbiamo ricordare che è facile causare danni, me spesso impossibile tornare indietro.
Marie Anne Isler Béguin, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, non si tratta ovviamente della prima volta che parliamo di biodiversità e che chiediamo al Consiglio e alla Commissione di difenderla. E’ un passo positivo il fatto che siamo riusciti a fare del cambiamento climatico una priorità dell’UE, ma dobbiamo renderci conto, tuttavia, che le Convenzioni sulla biodiversità e la desertificazione sono un po’ eclissate dal cambiamento climatico.
Sappiamo quanto la biodiversità o, in fin dei conti, la protezione della natura, sia importante per la nostra sopravvivenza, perché ci accorgiamo che, nonostante le misure prese a livello europeo e globale, l’erosione della biodiversità continua; l’estinzione di specie continua. Dobbiamo affrontare la realtà: sebbene possiamo tentare di tenere a freno il cambiamento climatico, non si può dire lo stesso per le specie. Una volta che una specie si è estinta, è definitivo: è sparita per sempre.
Dobbiamo integrare appieno tale questione, tale evidenza. Quando sappiamo, ad esempio, che disponiamo di strumenti eccellenti quali Natura 2000, la direttiva “Uccelli” e la direttiva “Habitat” per combattere il degrado della biodiversità nell’Unione europea e quando oggi vediamo che ci sono ancora alcuni Stati membri riluttanti ad attuare Natura 2000, riluttanti a pagare per Natura 2000, diventa chiaro che abbiamo ancora molta strada da fare.
Di conseguenza, mi auguro sinceramente che la Commissione continui ad appoggiare Natura 2000 e continui ad appoggiare queste due direttive. Desidero chiedere che nel quadro della Convenzione di Bonn vengano istituiti criteri per i biocarburanti, così come che sia richiesto e ottenuto un accordo sulla creazione di un gruppo intergovernativo di esperti sulla biodiversità, come il GIEC per il cambiamento climatico, poiché potremmo aiutare le parti a istituire strumenti che noi stessi stiamo introducendo, ma che oggi loro non sono in grado di introdurre.
Jens Holm, a nome del gruppo GUE/NGL. – (SV) Si stima che sul pianeta vi siano 14 milioni di specie diverse di animali e piante, il che è indicativo di quanto sia meraviglioso il nostro globo e di quale sia la nostra responsabilità nel custodirlo. Tuttavia, questa diversità biologica è minacciata. Più di 30 000 specie sono al momento minacciate di estinzione. La minaccia principale siamo noi, gli umani, e il sistema economico che abbiamo costruito, che si basa su una crescita costante e sul consumo, che riteniamo si possano ottenere attraverso la concorrenza piuttosto che con la pianificazione e attraverso il trasporto piuttosto che con la produzione locale. Non dobbiamo stupirci se ora ci troviamo di fronte a una catastrofe climatica e all’impoverimento biologico.
Possiamo invertire questa tendenza. Il fatto che l’UE e i suoi Stati membri abbiano sottoscritto la Convenzione sulla diversità biologica dell’ONU è senza dubbio positivo e può costituire uno strumento importante. In tal modo, iniziamo, ad esempio, a elaborare piani d’azione volti a proteggere la diversità biologica e a istituire una rete globale delle aree protette sulla terra ferma e in mare, giusto per fare un esempio. Tuttavia, la maggior parte del lavoro resta da fare a livello europeo. Vanno affrontati i punti fondamentali, altrimenti non saremo mai in grado di risolvere i problemi ambientali che ci troviamo di fronte.
Desidero mettere in rilievo tre settori. La follia dei trasporti – l’UE si basa sull’assenza di frontiere tra gli Stati membri. Un bene deve essere prodotto dove è meno costoso. Di conseguenza, solo tra il 1993 e il 2000, il trasporto su autocarri a lunga percorrenza è aumentato di ben il 30 per cento. Quando l’UE e gli Stati membri sovvenzionano infrastrutture, le autostrade ricevono sempre molto di più rispetto ai mezzi di trasporto sostenibili. Nell’ex Europa dell’est, nei nuovi Stati membri, l’UE sta perseguendo una vera e propria politica dell’asfalto con ingenti sovvenzioni alle autostrade. Sono le ferrovie che dovrebbero ricevere impulso, non le autostrade. Dico pertanto alla Commissione: esaminate la politica delle sovvenzioni.
Parlando di sovvenzioni, potrebbe essere destinato un importo incredibile per quelle agricole, 55 miliardi di euro all’anno. Sovvenzioni che hanno un impatto negativo diretto sull’ambiente non dovrebbero essere corrisposte, mentre gli aiuti all’agricoltura dovrebbero essere assegnati alle misure ambientali e all’agricoltura biologica. La diversità biologica e le soluzioni a favore dell’ambiente, e non le rese massime, andrebbero inserite negli obiettivi della politica agricola.
Un terzo problema fondamentale da affrontare è il mercato interno. Lo so che dire così equivale a un sacrilegio, ma semplicemente l’UE non può continuare a permettere al mercato di avere la precedenza su una politica ambientale progressista. Qualche settimana fa, il Commissario UE Verheugen mi ha risposto dicendo che negli ultimi cinque anni la Commissione ha portato 19 volte singoli paesi dinanzi alla Corte europea di giustizia per casi riguardanti l’ambiente o la sanità pubblica. Ciò che è davvero spaventoso è che in tutti questi 19 casi, la Corte ha seguito la linea della Commissione, in altre parole vietando agli Stati membri di attuare misure a tutela dell’ambiente o della sanità pubblica. Se davvero vogliamo serietà, dobbiamo avere un garanzia ambientale degna di questo nome. Ora non ce l’abbiamo e purtroppo non ce la darà neppure il Trattato di Lisbona. La politica di mercato sarà confermata anche in quel caso.
Per riassumere, nella nostra risoluzione chiediamo norme di sostenibilità per i biocarburanti. Desidero cogliere questa opportunità per porre la seguente domanda, forse in particolar modo al Consiglio: siete disposti a elaborare criteri ambientali, ma anche norme sociali, per i biocarburanti ad esempio, garantendo una retribuzione accettabile, diritti sindacali e cosi via per i biocarburanti di cui facciamo scorta per l’Unione?
Johannes Blokland, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, due settimane fa ho rappresentato la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare e la commissione temporanea per il cambiamento climatico al Consiglio informale sull’ambiente che si è tenuto in Slovenia. Due erano i temi principali: il cambiamento climatico e la protezione della biodiversità. L’accento è stato posto su biodiversità, biomassa e biocarburanti in relazione alla biodiversità nelle foreste. La discussione ha trattato anche il potenziale di biomassa dalle aree forestali per l’approvvigionamento energetico, in modo particolare la seconda generazione di biocarburanti, e i criteri di sostenibilità per l’utilizzo di biomassa ottenuta dalle aree forestali. E’ stata una conferenza riuscita, per la quale è doveroso ringraziare il presidente sloveno, il Ministro Podobnik.
E’ noto che numerose specie sono a rischio di estinzione a causa della deforestazione e del disboscamento illegale. Si trovano di fronte a un cambiamento radicale del loro ambiente e pertanto non sono in grado di sopravvivere. Le foreste ospitano una grande varietà di specie animali e vegetali. E’ pertanto vitale arrestare la deforestazione quanto prima al fine di proteggere la biodiversità, il che si applica non solo ai paesi al di fuori dell’Unione europea, ma senza dubbio anche agli Stati membri dell’UE. E’ necessario incoraggiare una buona silvicoltura, soprattutto perché le foreste sono molto preziose anche per altri settori. La deforestazione inoltre causa una forte erosione del suolo, senza dubbio nelle aree montane, e interferisce sull’equilibrio idrico, che ha un notevole impatto anche sulla biodiversità.
Anche il surriscaldamento globale può influire sul numero delle specie. L’area di distribuzione delle specie può mutare considerevolmente e di conseguenza alcune di esse sono esposte a seri rischi, in particolare nelle regioni settentrionali. Il disboscamento nelle regioni tropicali sembra solo aumentare il surriscaldamento, in parte perché riduce in modo significativo la capacità di stoccaggio di CO2. Tuttavia, gli studi pubblicati negli ultimi anni, ad esempio in Nature and Science, mostrano che se aumentano le superfici forestali il risultato è un aumento delle emissioni di metano, un gas a effetto serra 23 volte più potente del CO2. Viene emesso più metano quando aumenta la temperatura e c’è più sole. Nelle regioni tropicali in particolare, viene emesso molto più metano. Quando vengono piantate più foreste, aumenta la capacità di assorbimento di CO2, ma parte dell’assorbimento di CO2 viene di conseguenza annullata da un aumento delle emissioni di metano. Ciononostante il bilancio è effettivamente positivo, senza dubbio nelle regioni non tropicali.
Infine, i fattori che ho menzionato e che influiscono negativamente sulla biodiversità sono purtroppo aggravati dall’attuale produzione di biocarburanti, che sta avendo ripercussioni negative, in particolare sulle foreste pluviali tropicali. Si stanno sostituendo foreste che ospitano una grande varietà di specie con piantagioni che ne ospitano molto poche e che, inoltre, hanno ripercussioni negative in termini di gas a effetto serra, capacità di assorbimento e prezzi dei prodotti alimentari. Sono lieto che ciò sia stato sottolineato nella risoluzione. In ogni caso, dobbiamo essere vigili sulla seconda generazione di biocarburanti.
Presidente. − Solo perché lo ha scritto, non significa che lo debba leggere ad alta voce se il tempo non lo consente.
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, alla luce del presente dibattito e della Giornata della Terra di ieri, desidero sottolineare l’urgente necessità di una maggiore comprensione del concetto di biodiversità e delle sue implicazioni per la nostra società. Si tratta di un concetto molto poco compreso.
Quasi tutti gli ecosistemi del pianeta e i loro servizi sono stati drammaticamente trasformati dall’azione dell’uomo. L’attuale tasso di perdita di biodiversità è attualmente il più rapido mai registrato nella storia dell’umanità e tale processo non accenna a rallentare. 2010 – come stai!
E’ diminuito il numero e la diffusione geografica di molte popolazioni animali e vegetali. L’estinzione delle specie è una componente naturale della storia della Terra, ma negli ultimi anni l’attività umana ha aumentato il tasso di estinzione di almeno cento volte rispetto al tasso naturale. Secondo la lista rossa dell’IUCN, all’interno di gruppi ben studiati, tra il 15 per cento e il 52 per cento delle specie si trovano in pericolo di estinzione. In generale, le specie maggiormente minacciate sono quelle che: si trovano più in alto nella catena alimentare, hanno una bassa densità di popolazione, sono più longeve, si riproducono lentamente e vivono in aree geografiche limitate.
In molti gruppi di specie, come gli anfibi, i mammiferi africani e gli uccelli nei terreni agricoli, la maggioranza delle specie hanno assistito a un declino nelle dimensioni della loro popolazione e nella loro diffusione geografica. Le eccezioni sono quasi sempre dovute agli interventi umani, quali la protezione nelle riserve, o a specie che tendono a prosperare nei paesaggi dominati dall’uomo.
Si deve rendere consapevoli le persone del fatto che la loro crescente impronta ecologica va decisamente oltre i confini dell’UE e che il nostro stile di vita ha conseguenze dirette sulle popolazioni autoctone dei paesi in via di sviluppo. Se la maggior parte di noi ha almeno un’idea dell’estensione del problema del cambiamento climatico, molti non hanno ancora fatto il collegamento tra cambiamento climatico e perdita di biodiversità.
Ritengo senza dubbio che, in quest’ambito, dovremmo unire il lavoro della Convenzione sulla diversità biologica e della Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico. In effetti mi viene da chiedere se necessitiamo ancora di una COP indipendente sulla biodiversità. La questione andrebbe affrontata e ho partecipato alla COP dello scorso anno a New York.
Sì, concordo sul fatto che la mitigazione del cambiamento climatico e le misure di adattamento, ivi compresa la deforestazione, devono essere a sostegno della biodiversità. Accolgo con favore le osservazioni del Commissario Wallström in merito alle questioni relative alla biodiversità marina. A tal proposito, dobbiamo inserire i coralli d’acqua fredda e le montagne sottomarine, che ospitano ecosistemi ricchi e spesso unici. Vi sono vuoti enormi nelle nostre conoscenze scientifiche riguardo all’impatto del cambiamento climatico sulle zone marine. Dobbiamo ricordare che più del 70 per cento della superficie del pianeta è ricoperta di oceani, che il 97 per cento di tutte le acque della Terra sono contenute negli oceani e che essi forniscono il 99 per cento dello spazio vitale del globo.
Concludo, signor Presidente, per non aumentare ulteriormente la sua pressione sanguigna. Siamo onesti con noi stessi. Gli obiettivi definiti a Johannesburg sei anni fa sono impossibili da raggiungere. Smettiamola di prenderci in giro e chiudiamo il discorso.
Anne Ferreira (PSE). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, signor Ministro, onorevoli colleghi, la commissione per l’ambiente ha adottato una risoluzione molto valida e mi auguro che la Commissione europea e gli Stati membri terranno conto delle diverse raccomandazioni che contiene, in particolare la richiesta di dare prova di iniziativa e di convinzione alla Conferenza di Bonn, ma anche di agire all’interno al fine di arrestare la perdita di biodiversità nell’Unione europea entro il 2010.
Desidero trattare tre punti che sono stati sollevati nella risoluzione. Il primo è la questione dei biocarburanti, che alcuni dei miei onorevoli colleghi ha già menzionato. I biocarburanti hanno un impatto ambientale considerevole sulle foreste e sui terreni agricoli e l’impatto del loro sviluppo sulle risorse alimentari continuerà a crescere. Non vi dovrebbe essere concorrenza tra i prodotti agricoli destinati all’alimentazione e quelli destinati all’industria, a prescindere che siano per la produzione di biocarburanti o per l’industria agrochimica. La relazione tra prodotti alimentari e agricoltura deve essere definita chiaramente.
Il secondo punto riguarda la biodiversità marina. Abbiamo trattato con molto ritardo questa questione. Appoggio pienamente le richieste di azione rapida contenute nella risoluzione, in particolare al fine di istituire aree marine protette.
L’ultimo punto riguarda gli OGM. Disponiamo ora di studi che dimostrano il loro impatto negativo sull’ambiente e in particolare sul suolo. Sappiamo che la disseminazione di OGM comporta l’inquinamento delle colture tradizionali, il che pone un problema per la preservazione della biodiversità.
Inoltre, la concentrazione industriale nel settore delle sementi e il loro controllo da parte di qualche multinazionale sono causa di preoccupazioni. E’ una situazione che la Commissione e gli Stati membri non devono trascurare.
Infine, la Conferenza delle Parti di Curitiba, Brasile, del marzo 2006 ha deciso di mantenere la moratoria sulle sementi terminator. E’ stata una decisione eccellente, ma ora potremmo voler considerare se la moratoria è sufficiente e se dovremmo forse proibire l’utilizzo di questi tipi di sementi GM monouso.
Cosa intendono fare la Commissione e gli Stati membri alla Conferenza delle Parti di Bonn relativamente a questi punti? Avete già un’idea dei criteri di sostenibilità riguardanti i biocarburanti che potrebbero essere presentati a Bonn?
Marios Matsakis (ALDE). – (EN) Signor Presidente, come l’onorevole Doyle prima di me, pensavo di avere più tempo, ma approfittando della sua generosità, mi accontenterò di un minuto e mezzo.
La biodiversità è essenziale al fine di salvaguardare la sopravvivenza degli ecosistemi della Terra e di conservare un inestimabile gruppo genetico delle caratteristiche distintive e specifiche di ciascuna specie. Questo Parlamento ha ribadito la sua preoccupazione in merito alla perdita di biodiversità attraverso la sua pertinente risoluzione del 22 maggio 2007, ma uno degli ostacoli principali per arrestare la perdita di biodiversità è, temo, la mancanza di un’azione efficace da parte della Commissione e del Consiglio, i quali danno entrambi l’impressione di avere molto a cuore la questione solo in teoria, ma che in pratica mancano della volontà e della determinazione di garantire in termini reali che vi sia la piena attuazione delle direttive pertinenti e che siano rispettati sia gli impegni internazionali che quelli interni.
Ci auguriamo che, sebbene a questo stadio avanzato, la Commissione e il Consiglio agiscano in modo deciso e costruttivo per contribuire, in parte mediante la loro posizione ferma all’imminente Conferenza di Bonn, a proteggere con efficacia la biodiversità.
Presidente. − Onorevole Matsakis, in effetti, sia l’onorevole Doyle che il suo gruppo hanno comunicato i tempi che ho concesso, temo quindi il malinteso sia dovuto alla richiesta del suo gruppo e all’inadeguata comunicazione tra di voi, perché ho sempre applicato la regola per cui, se un membro del Parlamento parla in una lingua diversa dalla propria, gli viene sempre concesso un po’ più di tempo – e non vale solo per l’inglese.
Hiltrud Breyer (Verts/ALE). – (DE) Signor Presidente, tutti coloro che hanno parlato oggi hanno espresso il nostro impegno per una maggiore protezione delle specie e per una maggiore biodiversità. Sappiamo che per l’Unione europea le direttive sulla protezione della natura e la rete delle aree per la conservazione della natura create da Natura 2000 costituiscono un successo. Tuttavia, tutte queste belle parole e tutti questi impegni non devono distrarre l’attenzione dal fatto che – come da lei affermato, signora Commissario – non è solo la questione del clima ad aver dominato i titoli dei giornali; purtroppo è stato lo stesso anche per la protezione della natura e delle specie.
Troppo spesso le specie minacciate sono dipinte come seccature che arrestano od ostacolano i progetti edilizi. Ecco perché ritengo che sia vergognoso che, di tutti i paesi europei, in Germania, che ospiterà la Conferenza delle Parti, i governi dei Länder guidati dai conservatori, quali quelli dell’Assia e della Bassa Sassonia abbiano lanciato nel Bundesrat un’iniziativa che non è altro che un attacco nei confronti di questa storia di successo dell’Unione.
La Germania manca completamente di credibilità per chiedere più aree di tutela ambientale e più protezione delle specie minacciate nei paesi più poveri, se cerca di attenuare la tutela ambientale nell’Unione europea. Purtroppo la Germania non è l’unica! Piuttosto all’improvviso anche il gruppo liberale del Parlamento europeo ha tenuto un seminario in merito a tale questione. L’attacco dell’onorevole Stoiber alla tutela ambientale in Europa è stato condotto proprio nello stesso modo, a titolo di “semplificazione”.
Mi aspetto che lei, signora Commissario, si impegni fermamente ancora una volta con l’Unione europea affinché qualsiasi tentativo…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Péter Olajos (PPE-DE). – (HU) Grazie, signor Presidente. L’onorevole Matsakis ha già accennato ai problemi di attuazione e desidero semplicemente portare un paio di esempi. In Europa e nel bacino dei Carpazi la protezione delle nostre foreste pone sempre più sfide. In alcuni luoghi le foreste vengono bruciate, in altri vengono distrutte o molto più semplicemente sottratte. Nei Carpazi o, ad esempio, a Sajólád, il 30-40 per cento delle foreste sono già state sottratte. Gli abbattimenti illegali riducono la biodiversità, causano erosione e producono il 20 per cento delle emissioni di gas a effetto serra. Per arrestare tutto ciò, quattro nostri onorevoli colleghi del Parlamento europeo hanno inviato una dichiarazione scritta alla Commissione riguardo a una legge che autorizzi la vendita nell’UE solo di legname e prodotti derivati da legname ottenuto mediante abbattimenti legali e controllati. Desidero chiedere ai miei onorevoli colleghi di firmare a sostegno della dichiarazione del 23.
Preservare la biodiversità è un importante obiettivo nazionale. La posizione del governo ungherese in merito alla trascuratezza dei siti Natura 2000 è tale per cui questa settimana, in cui si celebra la Giornata della Terra, il Rally dell’Europa centrale, che fa parte della Dakar Series, è stato organizzato, senza impedimenti, attraverso le aree di maggiore protezione ambientale e persino attraverso siti di Natura 2000, in assenza di valutazioni di impatto ambientale, programmi di riabilitazione o protezione e persino di autorizzazioni a organizzare la competizione. Non esiste guadagno che possa compensare il danno ambientale causato. Non gestiamo in modo affatto migliore le nostre specie volatili. Solo due settimane fa la Commissione europea ha inviato all’Ungheria un ultimo avvertimento scritto, perché l’Ungheria non ha introdotto alcuna misura nazionale per la protezione degli uccelli selvatici.
Ma non voglio portare solo esempi negativi. Recentemente, grazie alla mia iniziativa, è stato firmato un accordo europeo unico e volontario anche in Ungheria affinché gli uccelli non muoiano più a causa degli elettrodotti aerei. Nel quadro di questo progetto per un cielo libero da ostacoli, i cittadini, l’industria elettrica e lo Stato hanno concordato che, sistemando i cavi, isolandoli e così via, entro il 2020 in Ungheria vi sarà un corridoio aereo sicuro per gli uccelli. Si tratta di un accordo innovativo, di grande valore e merita l’attenzione e l’appoggio dell’Europa. Grazie.
Magor Imre Csibi (ALDE). – (RO) Alla riunione delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica che si terrà a Bonn, verrà discussa anche la questione della biodiversità forestale.
Si tratta di un tema sensibile per il quale non è ancora stata trovata alcuna soluzione sostenibile. La biodiversità forestale è minacciata della deforestazione illegale condotta a livello globale, il cui effetto consiste nella sostanziale, e per lo più irreversibile, riduzione della biodiversità. La deforestazione rappresenta inoltre il terzo fattore principale del surriscaldamento globale.
La PECH ha espresso la sua posizione in merito all’impatto significativo della deforestazione sul clima, gli svantaggi economici sul lungo periodo e l’importanza di conservare intatte le foreste, nella risoluzione del novembre 2007 sul commercio e il cambiamento climatico.
Apprezzo altresì l’iniziativa UE del piano d’azione per l’applicazione delle normative, la governance e il commercio nel settore forestale.
Ho accennato alle azioni europee che, purtroppo, non portano ai risultati sperati. Nell’attuazione del piano d’azione, ad esempio, il 70 per cento dei paesi dell’UE non sono riusciti a intraprendere alcuna azione concreta fino all’aprile 2007.
Dobbiamo trovare una soluzione globale quanto prima. Incoraggio i delegati dell’UE alla Conferenza di Bonn ad appoggiare l’elaborazione di una definizione comune di ciò che significa taglio illegale, il che sosterrebbe l’utilizzo razionale delle foreste.
Incoraggio inoltre l’avvio di discussioni in merito al lancio di un meccanismo globale per la supervisione dell’abbattimento delle foreste e del commercio del legname.
Richard Seeber (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, il motto dell’Unione europea è “unità nella diversità”, ma, com’è noto, nel mondo naturale tale diversità è diminuita in modo allarmante nel corso degli ultimi 150 anni. Attualmente i tassi di perdita sono tra le 1 000 e le 10 000 volte più elevati rispetto alla media registrata nella storia del pianeta. Attualmente l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) elenca circa 15 600 specie a rischio di estinzione in tutto il mondo. L’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) stima che i principali paesi produttori di grano e granoturco hanno perso più dell’80 per cento delle loro varietà originali e tali dati costituiscono solo la punta dell’iceberg, dato che sappiamo che, a oggi, sono state identificate e descritte solo circa 1,7 milioni dei 13 milioni di specie viventi stimate del pianeta. Sappiamo anche che il cambiamento climatico sta peggiorando la situazione. Siamo tuttavia parimenti consapevoli del fatto che tale perdita di diversità biologica riduce la nostra capacità di risposta in particolare al cambiamento climatico, ci troviamo quindi di fronte a un dilemma di difficile soluzione.
Pertanto, mi trovo purtroppo costretto a chiedere alla Commissione quanto segue: perché non stiamo integrando sostenibilità e diversità delle specie in tutti i settori della nostra politica? Perché non stiamo svolgendo più attività di ricerca e sviluppo sulla coesistenza delle specie e, certamente, degli umani?
Chiunque segua il presente dibattito potrebbe avere l’impressione che sia sufficiente l’istituzione di qualche sito Habitat e la protezione degli uccelli, ma ciò in realtà costituisce solo la punta dell’iceberg. Perché non coinvolgiamo i nostri cittadini per far fronte a questi compiti, che tutti devono partecipare a risolvere? La Commissione ha i compiti a casa da fare a tal proposito e lo stesso vale per noi, qui nel Parlamento europeo, e per il Consiglio. La semplice partecipazione a conferenze e la firma di dichiarazioni non sono affatto sufficienti. E’ tempo di agire, il che significa agire insieme!
Anders Wijkman (PPE-DE). – (EN) Signor Presidente, ritengo che se c’è una cosa da fare per tentare di arrestare la perdita di biodiversità è fermare la distruzione delle foreste tropicali. Ogni anno perdiamo dai 14 ai 15 milioni di ettari. Abbiamo discusso la questione per anni e senza compiere alcun progresso concreto.
Il vero problema consiste nel fatto che sul mercato i servizi ecosistemici, se parliamo di pozzi di assorbimento del carbonio, biodiversità o regolazione del clima regionale o del sistema idrologico, non hanno alcun valore effettivo. E’ un difetto del nostro modello economico e fintanto che non compensiamo i silvicoltori per tale valore – così che sia più redditizio conservare le foreste dove si trovano anziché abbatterle – tale tasso di deforestazione resterà invariato.
Esiste una soluzione: inserire le foreste nello scambio delle quote di emissione. La Commissione è tuttavia contraria e ha le sue ragioni. Il problema è che non propone alcuna alternativa e tutti noi sappiamo che nella convenzione sulla diversità biologica sono previste risorse finanziarie limitate – ed è anche probabile che non ve ne saranno affatto in futuro.
Sono conscio del fatto che la Commissione si interessa del problema della deforestazione nei tropici proprio come tutti noi, ma la questione è: dov’è l’alternativa che propone? Serve un pacchetto. E’ necessario un approccio completo che affronti il cambiamento climatico, i pozzi di assorbimento del carbonio, la biodiversità e la difesa dei mezzi di sussistenza dei meno abbienti, che imponga alla DG Ambiente e alla DG Sviluppo di collaborare strettamente. Vi prego di fornirci un’alternativa in modo tale da avere qualcosa sul tavolo da poter discutere, altrimenti temo che la deforestazione continuerà, così come la perdita di biodiversità.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, la produzione agricola si è intensificata al fine di soddisfare la domanda crescente di prodotti agricoli e di materie prime destinate a impieghi diversi dal consumo. Tale intensificazione è dovuta in particolare alla produzione di biocarburanti e biomassa. Sappiamo che la coltura intensiva è dannosa per la diversità biologica. In tale contesto si solleva la questione di come riconciliare la preservazione della diversità biologica e lo sviluppo intensivo di economia e infrastrutture.
La moderna gestione della diversità biologica richiede un maggior controllo dei processi sviluppati e investimenti adeguati nella ricerca scientifica. Abbiamo tratto vantaggio dallo sviluppo economico e pertanto parte di tali benefici, vale a dire parte dei proventi da esso derivanti, deve essere destinata alla preservazione della diversità biologica. Fondamentalmente, dobbiamo comprendere che preservare e tutelare l’ambiente necessita di azioni sia a livello globale che locale. Ognuno di noi deve agire in quanto individuo e questo vale anche per interi settori dell’economia. Questa è la sfida che tutti noi dobbiamo affrontare.
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sarei interessato a sentire se, in merito allo “stato di salute” della PAC, la Commissione ha già pensato a come procedere, soprattutto nelle prossime prospettive finanziarie. Il fatto è che, senza dubbio, le energie rinnovabili e i biocarburanti costituiscono per noi una sfida importante e andrebbero inserite nel quadro finanziario dello “stato di salute”.
Ciò avrà un ruolo fondamentale anche in merito agli sviluppi relativi al CO2, che siamo certamente obbligati a ridurre conformemente al Protocollo di Kyoto. La mia domanda specifica è la seguente: quali proposte farà la Commissione?
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, ora discutiamo come preservare la diversità biologica per le prossime generazioni, eppure al contempo adottiamo misure completamente controproducenti. Dopo l’euforia iniziale per la produzione di agrodiesel, ora sappiamo che ha effetti controproducenti, non solo perché occorrono 9 000 litri d’acqua per produrre un litro di agrodiesel e perché produce emissioni di protossido d’azoto, che è molto più dannoso del CO2, ma sappiamo anche che la coltivazione di colture energetiche mette in pericolo e persino distrugge la diversità delle specie.
Alla luce di queste nuove scoperte e nell’interesse di conservare la biodiversità, state considerando di sospendere le decisioni che abbiamo preso in merito alla miscelazione dell’agrodiesel con i carburanti convenzionali? State considerando di investire in nuove ricerche e forse di sviluppare una strategia alternativa, dato che ora ne conosciamo gli impatti e i risultati negativi?
Janez Podobnik, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Desidero innanzi tutto ringraziarvi per il coinvolgimento dimostrato nel corso del presente dibattito. Concordo con voi nel dire che è una vera arte parlare in modo conciso, sintetico e semplice riguardo a un problema così serio e complesso come la biodiversità. Questo è uno dei motivi per cui, signor Presidente, ho riscontrato una serie di problemi nel cercare di inserire tutto nel tempo concesso per la discussione.
Permettetemi di commentare brevemente il vostro dibattito. Inizierò con la prima affermazione in cui confermate la posizione del Consiglio per cui il cambiamento climatico e gli effetti sulla biodiversità sono collegati e interdipendenti. La discussione è stata ampia e ha toccato numerose questioni coprendo i contenuti più ridotti della riunione di Bonn. Ha accennato anche allo stile di vita dell’uomo moderno, del XXI secolo, a partire dalla politica in materia di rifiuti e dei trasporti e toccando la questione della produzione e del consumo sostenibili e così via.
Posso assicurarvi, e ne sono personalmente convinto, che l’Unione europea dispone di validi meccanismi e che abbiamo misure adeguate. Nella mia introduzione ho già affermato che il nostro obiettivo principale è essere presenti a Bonn e lottare perché vi sia attuazione, avvicinamento alla realtà e continuazione del nostro percorso per passare dalle parole ai fatti.
E’ stato chiesto in merito alle risorse finanziarie. I meccanismi finanziari sono stati definiti e concordati a livello europeo. Desidero sottolineare che a Bonn il Consiglio lavorerà per nuove e innovative risorse finanziarie e con ciò intendo non solo a livello europeo ma anche globale. Desidero evidenziare la necessità di collegare i settori che influiscono sulla biodiversità. Desidero porre l’accento in particolar modo sul ruolo del settore privato. La tre Presidenze, e cioè quella tedesca, portoghese e slovena, si sono adoperate per garantire che venga sollevata la questione del coinvolgimento del settore privato nel problema della biodiversità. La conferenza sull’imprenditoria e la biodiversità che si è tenuta in Portogallo è stata un vero successo. Ci auguriamo di sviluppare a Bonn le soluzioni proposte in quell’occasione.
Desidero ringraziare l’onorevole Blokland, che ha accennato alla riunione informale dei ministri dell’ambiente che si è tenuto a Lubiana. L’onorevole Blokland vi ha preso parte a nome di due delle vostre commissioni e desidero pertanto ringraziarlo. Abbiamo trattato la questione delle foreste, il loro sfruttamento sostenibile, l’influenza che esercitano sulla biodiversità e la possibilità di utilizzarle per la biomassa e i biocarburanti di seconda generazione.
Desidero informarvi che il Consiglio è consapevole della serietà e della complessità dei criteri di sostenibilità nella produzione di biocarburanti e biomassa. Questa è stata anche la ragione per cui abbiamo concordato e collaborato con la Commissione per la formazione di un gruppo di lavoro che, il mese prossimo al COREPER, proporrà buone soluzioni per i criteri di sostenibilità nella produzione di biocarburanti, che diventeranno poi una parte costituente di entrambe le direttive che sono ora in corso di adozione. Ringrazio in modo particolare tutti coloro che, oltre agli effetti sociali e agli effetti contrari della produzione di biocarburanti, hanno anche accennato alla loro influenza sulla biodiversità. A volte ce ne dimentichiamo.
Desidero concludere questo breve commento ribadendo che, a livello globale, stiamo lavorando sull’istituzione di una rete di regioni terrestri e marine protette. L’Unione europea dispone di uno strumento valido ed efficace denominato Natura 2000 ed è significativo che venga attuato costantemente sia a livello nazionale che europeo.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ritengo che questo dibattito vivace e aggiornato rifletta gli interessi di quest’Assemblea in merito a tali questioni e pertanto vi ringrazio. So con certezza di parlare a nome del Commissario Dimas nel ringraziarvi per l’interesse manifestato dal Parlamento in merito a tali questioni. Riconosco qualche vecchio collega nella lotta per la tutela ambientale e la biodiversità.
L’homo sapiens è una specie davvero interessante, perché possiamo volare sulla Luna, fare comunicazione di massa mediante la tecnologia dell’informazione e sappiamo senza dubbio parlare. Ma non siamo di grado creare i rinoceronti, un’anguilla o un fiordaliso e quando questi esseri non ci saranno più, sarà per sempre, come avete giustamente sottolineato.
Desidero solo commentare alcuni punti, che ritengo siano di grande interesse. Vorrei iniziare con la questione dei biocarburanti, perché proprio attualmente sono anch’essi oggetto di un dibattito molto vivace in tutti i mezzi d’informazione e costituiscono per tutti noi un grave problema nonché una sfida. Com’è noto, il Consiglio europeo ha concordato tale obiettivo del 10 per cento di biocarburanti a condizioni molto chiare e la nostra posizione nell’Unione europea è che vogliamo biocarburanti sostenibili, che non abbiano alcun impatto negativo sull’ambiente o sulla produzione alimentare. Noi, in Commissione, consideriamo i benefici dei biocarburanti sul lungo periodo in termini di minori emissioni di CO2 perché, come ricorderete, oggi l’alternativa è il petrolio. La sicurezza dell’approvvigionamento e dell’agricoltura: si possono ottenere nuove opportunità grazie ai principi stabiliti. Un limitato obiettivo del 10 per cento, solidi criteri di sostenibilità, così come puntare ai biocarburanti di seconda generazione – questa è la vera sfida: assicurarsi che si possa passare quanto più rapidamente possibile ai biocarburanti di seconda generazione.
Dovremo tuttavia agire in merito a tali questioni anche a livello internazionale, garantire che vi siano criteri di sostenibilità e che ciò non aggravi la crisi alimentare.
Desidero altresì dire, in risposta all’onorevole Wijkman, che l’intera questione della deforestazione verrà affrontata in una comunicazione, quest’estate o a inizio autunno da quanto ho capito, pertanto nel corso delle negoziazioni verrà trattato anche questo tema.
Al contempo è necessario seguire l’intero dibattito che si sta svolgendo proprio attualmente ed essere certi di preparare in modo adeguato una buona discussione e una valida decisione sulla deforestazione. Tutto ciò va fatto anche per le negoziazioni relative al cambiamento climatico.
Desidero inoltre dire all’onorevole Doyle che forse l’importante non è cercare di unire le negoziazioni delle diverse Conferenze delle Parti, ma piuttosto garantire la massimizzazione dei cobenefici quando attuiamo le misure per contrastare il cambiamento climatico e quelle volte a garantire di restare al passo dei nostri obiettivi in materia di biodiversità.
Ritengo pertanto che ciò sia quanto vada fatto ora, in modo particolare quando si tratta di protezione delle foreste tropicali e della garanzia di disporre di tali criteri di sostenibilità per i biocarburanti.
Penso quindi che non dobbiamo mirare a ciò che già sappiamo essere impossibile o che ci porterebbe in una situazione amministrativa o politica altrimenti impossibile, bensì a cercare l’attuazione, il che vale per l’intero dibattito su normativa, regolamentazione e obiettivi ambiziosi. Li abbiamo. Li abbiamo già, ma ora è questione di attuarli e, certo, di lavorare, come ho cercato di dire, sui sette punti a cui miriamo nelle negoziazioni, per garantire una collaborazione anche con partner a livello internazionale, al fine di garantire di poter disporre di una buona base scientifica, che trasferiremo in un’attuazione molto concreta. Questo è quanto posso dire in generale.
Infine, il piano d’azione stabilito riguarda precisamente l’integrazione, ivi compresa la garanzia che sia esaminata anche la politica agricola comune.
Da questo punto di vista, ritengo pertanto, ancora una volta, che si tratti di garantire che convinciamo sia gli Stati membri che tutte le nostre istituzioni a fare tutto il necessario per attuare i nostri obiettivi.
Non ruberò altro tempo. Sono ben consapevole della necessità di rispettare le tempistiche. Allora vi ringrazio nuovamente per questa discussione e vi garantisco che il Commissario Dimas intende partecipare personalmente al segmento ministeriale della COP 9. Sono certa che è impaziente di incontrare qualcuno di voi in quell’occasione. Gli anticiperò il vostro sostegno verso un risultato apprezzabile di queste importanti riunioni.
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Genowefa Grabowska (PSE), per iscritto. – (PL) Appoggio pienamente la risoluzione in questione.
La nona Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica dell’ONU si terrà a Bonn nel maggio 2008. I rappresentanti di diversi paesi valuteranno la perdita di diversità biologica, che si sta verificando ovunque. I partecipanti valuteranno anche un modo equo e onesto di ripartire i vantaggi derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche. La perdita di diversità biologica nelle foreste ha conseguenze particolarmente negative. Influisce sul tasso di deforestazione e accelera la crisi climatica. Condivido la preoccupazione per cui il cambiamento climatico porterà a un deterioramento persino ulteriore della diversità biologica nel mondo e risulterà nel degrado ambientale e nell’estinzione di talune specie, il che, a sua volta, avrà un impatto negativo sullo sviluppo umano e sulla lotta alla povertà. E’ già noto che la deforestazione e il degrado delle foreste sono responsabili del 20 per cento delle emissioni di diossido di carbonio mondiali.
In tale contesto, la credibilità dell’Unione europea è seriamente compromessa a causa dell’attuazione inefficace da parte degli Stati membri della normativa riguardante la diversità biologica e delle direttive quali quelle riguardanti gli uccelli e gli habitat. La resistenza a talune azioni politiche sta causando effetti negativi simili. Come esempio potrei portare gli sforzi insufficienti nell’attuazione degli impegni volti ad arrestare il processo di perdita di diversità biologica sul territorio dell’UE entro il 2010. Non vi è neppure la volontà a partecipare a negoziazioni relative allo strumento che permette di accedere ai benefici e di ripartirli, né la volontà di stanziare ulteriori finanziamenti mirati all’attuazione delle convenzioni nei paesi in via di sviluppo.
PRESIDENZA DELL’ON. DIANA WALLIS Vicepresidente
12. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
Presidente. − L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0019/2008).
Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte al Consiglio.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 1 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-0154/08):
Oggetto: Allargamento dello spazio Schengen
Può dire il Consiglio se ha valutato le conseguenze politiche dell’ultimo allargamento dello spazio Schengen e le sue ripercussioni sulle relazioni tra l’Unione europea e i paesi vicini cui ora si estendono le nuove frontiere di Schengen, siano essi o meno membri dell’UE?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Sono passati quattro mesi dall’ultimo allargamento dello spazio Schengen del 21 dicembre dello scorso anno. Com’è noto, il processo di allargamento non si è effettivamente concluso fino alla fine di marzo, quando sono stati eliminati i controlli alle frontiere aeroportuali. Pertanto non vi sono state molte occasioni o il tempo necessario a valutare le conseguenze politiche generali di tale allargamento e le sue ripercussioni sulle relazioni tra gli Stati membri dell’Unione europea che applicano le norme di Schengen e i paesi vicini.
Tuttavia, alcuni gruppi di lavoro del Consiglio stanno già discutendo questioni, quali la riorganizzazione delle autorità di frontiera di alcuni Stati membri in seguito all’allargamento dello spazio Schengen, nonché i cambiamenti e le tendenze dell’immigrazione illegale che ne potrebbero costituire una conseguenza. Senza dubbio l’allargamento dello spazio Schengen ha avuto effetti molto positivi sulla politica dell’Unione europea in materia di visti, in particolar modo per i cittadini dei paesi terzi, che possono spostarsi all’interno dell’intero spazio Schengen muniti di un visto rilasciato da un nuovo Stato membro, contrariamente a quanto accadeva in precedenza.
L’Unione europea ha inoltre già concluso accordi con i paesi dell’Europa orientale e dei Balcani occidentali al fine di semplificare la procedura di rilascio del visto.
Manuel Medina Ortega (PSE). – (ES) Signora Presidente, signor Ministro, la ringrazio molto per la sua risposta. Dato che proviene da un paese che si trova proprio in questa situazione, sono certo che la Presidenza slovena sta seguendo la questione con grande interesse.
Personalmente, mi sono preso il disturbo di visitare alcuni dei paesi che si trovano in tale situazione: da un lato mi auguro che le nostre frontiere siano garantite, ma dall’altro non desideriamo affatto che l’UE costruisca un nuovo muro, nuovi bastioni.
Quali garanzie abbiamo che l’allargamento dello spazio Schengen non creerà difficoltà, ad esempio, per i lavoratori transfrontalieri o per coloro che erano abituati a entrare senza alcun problema in paesi che ora rientrano nello spazio Schengen, soprattutto nel caso della Slovenia, che confina che un paese candidato all’adesione all’UE?
Janez Lenarčič. − (SL) La ringrazio, onorevole Medina Ortega, per la domanda aggiuntiva. Come è già stato accennato, il Consiglio non ne ha ancora discusso ai più alti livelli e non ha condotto una valutazione completa delle conseguenze dell’allargamento dello spazio Schengen sui singoli paesi.
Ha chiesto circa l’esperienza slovena e dirò quanto segue: la questione non riguarda certamente la costruzione di nuovi muri, ma lo spostamento delle frontiere esterne dell’Unione europea verso nuove frontiere. Significa che le frontiere esterne dello spazio Schengen si sono spostate, incorporando un numero maggiore di Stati membri dell’Unione europea. Si è trattato di un progetto impegnativo per gli Stati le cui frontiere costituiscono in parte le nuove frontiere esterne dello spazio Schengen. Tali Stati hanno passato molti anni a prepararsi. Questo progetto era molto ambizioso e l’Unione europea l’ha riconosciuto istituendo una speciale fonte di finanziamento denominata “strumento Schengen”, che ha contribuito a istituire controlli appropriati alle nuove frontiere esterne dello spazio Schengen.
Ha chiesto anche in merito alla frontiera tra Slovenia e Croazia. E’ un fatto che in passato fosse una frontiere invisibile. E’ altresì un fatto che, all’epoca in cui abbiamo ottenuto l’indipendenza, fosse una frontiera provvisoria. In collaborazione con i nostri partner nell’Unione europea, siamo effettivamente riusciti a organizzare controlli alle frontiere che non rendano più difficile il passaggio dei cittadini della Repubblica di Croazia. Siamo riusciti anche a conservare tutti gli elementi imposti dagli standard di Schengen e dalle normative per l’esecuzione di efficaci controlli alle frontiere.
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, l’allargamento dello spazio Schengen nel dicembre dello scorso anno ha portato maggiore, e non minore, sicurezza, il che è confermato dalle statistiche e ne dovremmo essere lieti.
Nella prossima fase devono essere incluse nell’area Schengen la Svizzera e il Liechtenstein, ma ho sentito che vi potrebbero essere problemi, poiché alcuni Stati membri potrebbero voler introdurre una serie di riserve circa l’adesione del Liechtenstein. Ho sentito vari commenti da parte della Repubblica ceca in questo senso.
Ho pertanto una domanda da rivolgere al Consiglio: siete a conoscenza di tali possibili riserve e cosa intendete fare per evitare i problemi associati alla non adesione del Liechtenstein?
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) La mia domanda riguarda le norme Schengen e il loro contributo al cambiamento climatico e all’aumento delle emissioni di diossido di carbonio. Lo scorso mercoledì ho avuto il piacere di volare da Bruxelles a Lubiana ed essere ospite del suo bellissimo paese per due giorni in quanto membro dell’Ufficio PPE-DE.
Una volta atterrati a Lubiana, siamo scesi tutti dall’aereo e siamo stati spinti su una navetta, come accade in molti aeroporti. Eravamo ammassati in un autobus. Ci sono voluti 22 minuti e poi l’autobus è partito verso quello che credevamo essere il controllo passaporti o il ritiro bagagli. La navetta ha percorso esattamente 20 metri, signor Presidente – la distanza tra me e lei – e siamo scesi per andare al gate. Non sto scherzando. Quando ho chiesto il perché di questa procedura senza senso, mi è stato garantito che era imposta dalle norme Schengen. La prego di fornirci una spiegazione, signor Ministro!
Janez Lenarčič. − (SL) In risposta all’onorevole Pirker: è un dato di fatto che sono già state avviate le procedure per includere la Confederazione svizzera e il Principato del Liechtenstein nello spazio Schengen. Tali procedure e le procedure di valutazione sono al momento ancora in corso. L’opinione della Presidenza è che l’ingresso di questi due paesi nello spazio di Schengen dipenda esclusivamente dai risultati di tali procedure e in particolare dai risultati della valutazione. Non siamo a conoscenza di alcuna obiezione sollevata da nessuno Stato membro in merito alle procedure previste per l’ingresso di qualsiasi singolo paese nello spazio Schengen.
In risposta all’onorevole Doyle, devo ammettere di non essere convinto che si tratti di norme Schengen, ma che riguardino più probabilmente le norme di sicurezza negli aeroporti. Non sono ad ogni modo in grado di spiegare ora le ragioni per cui la corsa di questa navetta fosse di soli 20 metri. Presumo che esistano regolamenti che coprono gli spostamenti negli aeroporti e che non rientrano nelle norme Schengen, ma che verosimilmente riguardano la sicurezza aeroportuale.
Presidente. − La ringrazio, signor Ministro. Forse potrà indagare questa sera durante il suo viaggio di ritorno.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 2 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0159/08):
Oggetto: Mantenimento della popolazione attiva nelle regioni montane, inaccessibili ed insulari
Un’elevata percentuale di risorse umane decide frequentemente di abbandonare talune regioni dell’UE a causa della penuria di opportunità professionali, il che comporta lo spopolamento di tali regioni, in cui non risiedono più che le persone anziane.
Alle luce di tale evoluzione e tenendo presente il grave problema demografico cui è confrontata l’UE, può la presidenza dire se verranno proposte misure per trattenere la popolazione attiva nelle regioni montane, inaccessibili ed insulari al fine di permettere uno sviluppo equilibrato di tutte le regioni dell’UE e di preservare la sua competitività?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) In risposta all’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou, desidero dire quanto segue: oltre ad altri quattro regolamenti nell’ambito della politica di coesione, nel luglio 2006 il Consiglio ha adottato il regolamento relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale. Ai sensi dell’articolo 3 di tale regolamento, gli aiuti derivanti da tali fondi erano intesi anche per talune regioni insulari e Stati membri insulari, nonché per le regioni montane.
Al contempo il Consiglio e il Parlamento europeo hanno adottato un regolamento relativo al Fondo sociale europeo. Tale regolamento fornisce la seguente definizione del ruolo del FSE: migliorare le possibilità di occupazione e di impiego, favorire un alto livello di occupazione e creare nuovi e migliori posti di lavoro. Questi due regolamenti sono armonizzati al fine di garantire sostegno a settori specifici. Conformemente a essi, gli Stati membri possono, nei loro progetti e programmi operativi, prestare particolare attenzione a stimolare lo sviluppo e l’occupazione nelle regioni menzionate dall’onorevole deputato nella sua interrogazione. Sta pertanto allo Stato membro di decidere per sé quale di questi programmi operativi e misure concrete derivanti da tali programmi soddisfano i criteri elencati nell’interrogazione. La Commissione valuta i programmi proposti, evidenzia se sono inadeguati a conseguire gli obiettivi della politica di coesione e a soddisfare le disposizioni di regolamenti specifici e, se tutte le condizioni vengono rispettate, approva tali proposte.
Quando si tratta di dare forma a qualsiasi nuova misura giuridica nell’ambito della politica di coesione, il compito della Commissione è di prendere decisioni che permettano di raggiungere gli obiettivi della politica di coesione. La prima opportunità per il periodo 2007-2013 è costituita dalla discussione della prima relazione intermedia sull’attuazione della politica di coesione. Ci aspettiamo che la Commissione presenti tale relazione a giugno.
Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (EL) Signora Presidente, ringrazio il signor Ministro per aver ripetuto tutte le misure previste dai Fondi strutturali e dal Fondo sociale europeo. Volevo sapere se la Presidenza e il Consiglio sono consapevoli del fatto che alcune regioni europee restano disabitate. Appartengono certamente a Stati nazione, ma questo impoverisce l’UE e la espone all’arrivo di persone invitate da altre regioni. Tale argomento riguarda tutti noi, dato che non concerne unicamente ciascun singolo Stato. Ecco perché chiedo se la Presidenza intende interessarsi a tale questione in modo particolare.
Janez Lenarčič. − (SL) La ringrazio per questa domanda aggiuntiva, onorevole Panayotopoulos. La Presidenza è consapevole del fatto che in alcune regioni la popolazione attiva non è più presente. Desidero tuttavia ribadire che prevenire il verificarsi di tale fenomeno è compito degli Stati membri, che propongono le misure richieste. D’altro canto dobbiamo comprendere che non possiamo obbligare le persone a vivere e lavorare in regioni specifiche.
Si tratta di un problema grave che è da risolvere. Ripeto che le misure della politica sociale offrono delle soluzioni, ma che tocca agli Stati membri decidere quale di tali soluzioni proporre per determinati casi concreti.
Jörg Leichtfried (PSE). – (DE) Signor Ministro, desidero prendere posizione contro le sue ultime osservazioni. Certo la competenza in questo caso è degli Stati membri, ma anche l’Unione europea è responsabile dello spopolamento di tali regioni, che si sta verificando a causa di ciò che stiamo affrontando in tutta l’UE e cioè la liberalizzazione. Nelle piccole comunità vengono chiusi gli uffici postali, perché non traggono più profitto, vengono chiuse le casse di risparmio locali e vengono chiuse le piscine locali, in alcuni casi, perché vengono privatizzati i servizi pubblici. Tutto ciò rende la vita in tali comunità un po’ meno piacevole. Provengo da una regione montana e l’ho visto accadere. La mia domanda allora è se a livello di Consiglio si è mai riflettuto in merito a tale problema.
Signora Presidente, desiderò altresì esprimere un breve commento in risposta alla precedente interrogazione: anche a Graz si deve prendere la navetta per percorrere cinque metri, non siete pertanto gli unici. E’ lo stesso vecchio controsenso: si dice che è colpa di Schengen, il che è senza dubbio completamente falso.
Janez Lenarčič. − (SL) Credo fossero 20 metri e non cinque, ma è comunque una distanza troppo breve. Come ho detto prima, non desidero discutere del funzionamento dell’aeroporto di Lubiana, che è un’impresa indipendente che segue le sue regole di funzionamento. Desidero tuttavia ribadire che la politica di coesione dell’Unione europea dispone che gli Stati membri trattino il problema evidenziato dall’onorevole Panayotopoulos. Con quali risultati costituisce un’altra domanda che si potrebbe porre.
Ha accennato ai servizi postali ed è un punto molto interessante. Devo tuttavia sottolineare che la direttiva riguardante i servizi postali, che quest’anno è stata adottata anche dal Parlamento europeo, affronta anche questo problema. Un elemento importante di tale direttiva è la garanzia che i servizi postali saranno universali anche dopo l’apertura di questo mercato. Tale direttiva ha pertanto affrontato adeguatamente il problema a cui ha accennato.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 3 dell’onorevole Hélène Goudin (H-0161/08):
Oggetto: Trattato di Lisbona
All’articolo 1, punto 24, relativo al capo 1, articolo 10 A, paragrafo 2, lettera f) (Principi e obiettivi), si legge che l’Unione deve “contribuire all’elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile”.
Ritiene il Consiglio che tale disposizione comporti che un divieto da parte dell’UE di un impegno ambientale speciale, che vada al di là di un livello pienamente armonizzato, possa essere considerato in violazione del trattato?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) L’interrogazione dell’onorevole Goudin non è coperta dalle competenze del Consiglio. Il Consiglio in quanto tale, al contrario dei governi degli Stati membri, non ha partecipato alla conferenza intergovernativa che ha elaborato il progetto del Trattato di Lisbona. Com’è noto, inoltre, il Trattato di Lisbona non è ancora entrato in vigore. Quando lo sarà, e ci auguriamo che accada presto ed entro la scadenza anticipata, sarà la Corte a essere competente riguardo alla spiegazione delle sue disposizioni – credo che sia quello che l’onorevole Goudin stesse chiedendo.
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). – (EN) Signor Ministro, in quest’Aula ci sono state presentate molte stime riguardo a quanto siano simili la vecchia Costituzione e il nuovo Trattato di Lisbona proposto. Può fornirci la sua opinione riguardo all’effettiva somiglianza di questi due documenti?
Nils Lundgren (IND/DEM). – (SV) Signora Presidente, ritengo che dovremmo essere ragionevolmente in grado di porre domande in merito a come dobbiamo interpretare il Trattato, che viene ora presentato con un nome diverso ma che è lo stesso, e che il Consiglio debba quindi essere in grado di rispondere all’interrogazione. Ora, la mia domanda supplementare all’interrogazione n. 3 è: con la dicitura riportata si intende che l’UE deciderà non solo gli obiettivi della politica ambientale globale, ma anche i mezzi, i mezzi che gli Stati membri dovranno utilizzare per raggiungere l’obiettivo?
Janez Lenarčič. − (SL) La questione relativa a quanto sia simile o diverso il Trattato di Lisbona rispetto a o dal Trattato costituzionale dipende innanzi tutto dalle impressioni personali. Si tratta di un trattato diverso da quello costituzionale, ma che offre alcune soluzioni simili o persino identiche. Mi limiterò ai seguenti fatti.
E’ diverso in quanto non è il genere di trattato che sostituisce tutti i trattati precedenti. Si tratta di un metodo classico per adattare i trattati fondamentali dell’Unione europea. E’ diverso nel senso che è stato abbandonato il concetto di costituzione e non si parla più di Costituzione dell’Unione europea, ma di un trattato classico.
Le similitudini o le equivalenze vanno trovate in diverse soluzioni, tra cui quelle istituzionali, funzionali e del settore della semplificazione, dell’adozione delle decisioni e del ruolo potenziato dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo. Il trattato è pertanto diverso rispetto al precedente Trattato costituzionale, ma offre alcune soluzioni simili o persino identiche.
In merito alla seconda domanda: ho prestato particolare attenzione alle parole dell’interrogazione dell’onorevole Goudin e desidero sottolineare che tale disposizione riguarda il sostegno dell’Unione a dare forma a misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile e così via. In altre parole, l’Unione non impone od ordina, bensì aiuta. Credo che queste parole parlino da sole.
Presidente. − Intendo consentire un’altra domanda supplementare in merito a tale questione specifica. Abbiamo ricevuto un’intera serie di indicazioni, ma tengo conto dell’equilibrio politico e di chi ha già posto una domanda.
Jens Holm (GUE/NGL). – (SV) La formula citata dall’onorevole Goudin è apprezzabile ed è meraviglioso che vogliamo proteggere e migliorare l’ambiente, si tratta di una formula apprezzabile contenuta nel Trattato di Lisbona. L’eterno problema della politica ambientale dell’UE si ha quando le misure ambientali entrano in conflitto con il mercato interno. Recentemente il Commissario Verheugen ha dichiarato che nel corso degli ultimi cinque anni la Commissione ha portato gli Stati membri dinanzi alla Corte europea di giustizia per un totale di 19 volte per casi in cui gli Stati membri hanno legiferato a tutela dell’ambiente. In tutti i 19 casi la Corte si è pronunciata a favore del mercato interno e contro l’ambiente. Mi domando se ciò rafforzi in qualche modo le garanzie ambientali. Con tale dicitura possiamo intendere che l’ambiente ha la precedenza sulle richieste del mercato? Può cortesemente formulare una dichiarazione in proposito?
Janez Lenarčič. − (SL) Sì, desidero dire all’onorevole Holm che sono pienamente d’accordo con lui. Può assolutamente capitare che le norme giuridiche siano in contrasto tra loro in diversi settori, anche quando si tratta della natura della norma giuridica. Quella norma o quella disposizione del Trattato di Lisbona, che, ripeto, non è ancora entrato in vigore, riguarda il sostegno dell’Unione europea. La natura della norma giuridica è diversa da un ordine o da un divieto, la maggior parte dei quali si può in effetti trovare nel mercato comune.
E’ un dato di fatto che esiste la possibilità che contrastino, ma è altrettanto un dato di fatto che è nella natura delle cose che tali contrasti vengano risolti dalla Corte conformemente al diritto comunitario in vigore. Esiste un modo per eliminare tale rischio nella formulazione delle norme giuridiche, ma è una questione che riguarda la Commissione europea, che è l’unica ad avere il potere di iniziativa legislativa. Sono convinto che quando prende l’iniziativa è attenta a evitare i potenziali contrasti.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 4 dell’onorevole Marian Harkin (H-0163/08):
Oggetto: Il Trattato di Lisbona
E’ soddisfatto il Consiglio che i quesiti sottoposti dalla Presidenza slovena agli Stati membri, comprendenti i trentatré punti sul Trattato di Lisbona che necessitavano di chiarimenti, abbiano avuto un’adeguata risposta?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) L’onorevole Harkin ha chiesto circa i punti sollevati dalla Presidenza slovena. E’ una questione di lavoro tecnico, che è necessario per prepararsi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, lavoro che deve essere eseguito in anticipo se vogliamo dare piena attuazione al Trattato. Tale lavoro è stato avviato a gennaio, conformemente al mandato che il Consiglio europeo ha conferito alla Presidenza slovena nel dicembre dello scorso anno.
Mi sento in dovere di sottolineare che tali attività sono di natura puramente preliminare, perché, com’è noto, il Trattato entrerà in vigore solo dopo essere stato ratificato da tutti i 27 Stati membri. Ciononostante il Consiglio invia regolarmente relazioni riguardanti tale lavoro preparatorio preliminare, o lavoro tecnico, all’Ufficio di Presidenza del Parlamento europeo, in particolare quando riguardano questioni che coinvolgono il Parlamento europeo stesso.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Sono lieta che la Presidenza slovena stia facendo buoni progressi. Desidero sollevare, per il signor Ministro, una o due questioni che al momento sono causa di controversia in Irlanda. Vorrei dei chiarimenti da parte della Presidenza slovena in merito a tali questioni.
Innanzi tutto, riguardo all’introduzione di una base imponibile comune consolidata e riguardo, certo, all’armonizzazione fiscale, può chiarire che ogni paese ha potere di veto su tali questioni?
In secondo luogo, desidero chiederle circa il protocollo sul Trattato Euratom allegato al Trattato di Lisbona. Vorrei che chiarisse per me, se tale protocollo emenda o modifica in qualche modo la sostanza o le procedure del Trattato Euratom e se vi sono modifiche alla base giuridica o implicazioni, in particolare in merito all’energia nucleare.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio – (EN) Farò un’eccezione e parlerò in inglese, onorevole Harking, al fine di evitare ulteriori dibattiti e di essere il più chiaro possibile in merito alle questioni che ha sollevato.
Primo, tassazione: al momento ogni Stato membro ha il diritto di veto sulle questioni relative alla tassazione, che si tratti di base imponibile comune per le società, di armonizzazione fiscale o di qualsiasi altra questione relativa alla tassazione, e sarà così anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il Trattato di Lisbona non introduce cambiamenti. Nell’ambito della tassazione, il metodo decisionale resta invariato: le decisioni possono essere prese solo per consenso di tutti gli Stati membri, tra cui, certamente, l’Irlanda.
Riguardo alla sua seconda domanda, vale lo stesso: il mix energetico, la scelta delle fonti di energia sono, e resteranno, oggetto delle decisioni sovrane degli Stati membri. Ciascuno Stato membro è libero di scegliere l’energia nucleare, di inserirla nel suo mix energetico e ciascuno Stato membro è libero di non sceglierla, il che resterà invariato anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Syed Kamall (PPE-DE). – (EN) Dato che gli Stati membri hanno chiesto chiarimenti in merito a taluni punti del Trattato di Lisbona, mi domando se posso chiedere un chiarimento sulla clausola “passerella” in particolare. Vi sono molti settori in cui l’UE cerca di avere competenza, ma per i quali non dispone della base giuridica e ciò è stato oggetto di molte critiche e di controlli nel corso degli anni. Ma lei non teme che, con la clausola “passerella”, l’UE possa acquisire nuove competenze senza la necessità di consultare i parlamenti nazionali? Non teme che ciò possa effettivamente mettere in pericolo i parlamenti nazionali e la democrazia in tutta l’Unione europea?
Jim Allister (NI). – (EN) Può il signor Ministro formulare un commento sul perché si è ritenuto necessario introdurre una moratoria nel corso del referendum irlandese sulle cattive notizie e su qualsiasi nuovo proposta controversa provenienti da Bruxelles?
E’ il timore della gente così grande che il Consiglio e la Commissione ritengono che sia meglio tenerla all’oscuro? Può dirci quali proposte sono oggetto di tale moratoria e, in particolare, se riguardano in qualche modo l’armonizzazione del calcolo dell’imponibile per le società e, se sì, perché?
Janez Lenarčič. − (SL) In merito all’interrogazione dell’onorevole Kamall, desidero sottolineare quanto segue: la clausola “passerella” permette agli Stati membri di concordare di prendere una decisione che consente una certa attività a livello dell’Unione. Ritengo sia erroneo considerare ciò come qualcosa che potrebbe accadere senza l’accordo dei parlamenti nazionali. Qualora qualcuno agisca senza l’accordo del parlamento nazionale, l’azione non verrebbe appoggiata in patria.
Desidero altresì spiegare che il Trattato di Lisbona potenzierà il ruolo dei parlamenti nazionali, coinvolgendoli in modo più diretto nei meccanismi dell’Unione europea. Anche la clausola “passerella” è soggetta a questo ruolo di maggior peso dei parlamenti nazionali.
In risposta all’onorevole Allister, devo dire che non ho familiarità con alcuna moratoria. Nessuno ha preso alcuna decisione, né il Consiglio né la Presidenza, in merito a una moratoria sulle cattive notizie o sui temi delicati.
La domanda che ha posto come richiesta di chiarimento, riguardante una base imponibile consolidata per le società, non è nuova. Questa questione è già stata discussa qualche volta, per anni a dir il vero, e non vi è ancora alcun accordo. Senza un accordo, non ci possono essere progressi. Ecco perché, come ho già spiegato in risposta a una precedente domanda, le questioni in materia di tassazione rientrano nella categoria di argomenti su cui l’Unione europea prende decisioni esclusivamente mediante accordo. Nulla è cambiato e non cambierà, neppure in seguito al referendum irlandese o successivamente.
Presidente. − Passiamo ora a due interrogazioni, alle quali verrà fornita una risposta congiunta, riguardanti i diritti umani in Cina, la prima dell’onorevole Doyle e la seconda dell’onorevole Evans.
Presidente. − Poiché vertono sullo stesso argomento, annuncio l’
interrogazione n. 5 dell’onorevole Avril Doyle (H-0165/08):
Oggetto: Diritti umani in Cina
Il 17 gennaio il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (P6_TA(2008)0021) con cui sollecita la Cina “a non usare i Giochi Olimpici del 2008 come pretesto per arrestare, [...] e imprigionare illegalmente i dissidenti, i giornalisti e gli attivisti per i diritti umani che diffondono notizie o manifestano contro gli abusi dei diritti umani”.
Quali misure ha adottato il Consiglio in risposta alla risoluzione del Parlamento? Quali reazioni, se ve ne sono state, ha riscontrato da parte delle autorità cinesi? Ritiene che queste ultime stiano facendo sforzi sufficienti per onorare i principi sanciti dalla Carta olimpica?
e l’
interrogazione n. 6 dell’onorevole Robert Evans (H-0184/08):
Oggetto: Diritti umani in Cina
All’inizio del 2007 l’attivista per i diritti umani Yang Chunlin, raccoglieva le firme in Cina per una petizione denominata “Vogliamo i diritti umani, non le Olimpiadi”. Nel luglio dello stesso anno è stato arrestato “per incitamento alla sovversione dello Stato” ed è tuttora detenuto in una prigione a Jiamusi.
Il Consiglio condivide la profonda preoccupazione dell’interrogante per il prolungarsi della detenzione e per il trattamento di Yang Chunlin? Riconosce il Consiglio che la prigionia dell’attivista per i diritti umani è in contraddizione con le promesse fatte da numerosi funzionari cinesi alla vigilia dei Giochi olimpici di Pechino?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Al pari dei membri al PE che hanno posto le due interrogazioni, anche il Consiglio è preoccupato per la persecuzione degli attivisti dei diritti umani in Cina. Riguardo agli impegni cinesi per le Olimpiadi, è una questione che interessa il comitato olimpico internazionale. Possiamo tuttavia affermare che le recenti azioni repressive contro i sostenitori dei diritti umani e gli altri attivisti stanno mettendo in dubbio l’impegno della Cina a rispettare le sue promesse sulla base delle norme internazionali sui diritti dell’uomo, il che implica la tutela del diritto legittimo dell’individuo alla libertà di espressione.
Siamo altresì preoccupati per gli sfratti e le persecuzioni, tra cui quelli connessi alle costruzioni olimpiche. Conformemente alle linee guida riguardanti i sostenitori dei diritti umani, i leader delle missioni degli Stati membri dell’Unione europea in Cina stanno seguendo con attenzione la situazione degli individui come Yang Chunlin e Hu Jia. Il Consiglio dell’Unione europea sta costantemente, e in diversi modi, mettendo in guardia le autorità cinesi circa i casi che sono motivo di preoccupazione.
Dopo l’arresto di Hu Jia a dicembre, il Consiglio ha parlato diverse volte di questo caso, ma senza ricevere una risposta soddisfacente. Il Consiglio seguirà questi due casi da vicino e cercherà di agire in proposito.
Ciononostante dobbiamo tuttavia menzionare alcuni casi positivi, ad esempio il rapido rilascio dei giornalisti cinesi, tra cui Yu Huafeng e Ching Cheong. Accogliamo con favore anche i cambiamenti alle normative dei mezzi d’informazione, e cioè il fatto che si è verificato un rilassamento temporaneo delle restrizioni imposte ai giornalisti stranieri nel periodo precedente alle Olimpiadi.
Nell’ultimo ciclo di colloqui in materia di diritti umani tra l’Unione europea e la Cina, tenutosi nell’ottobre 2007, la troika dell’Unione europea ha esortato la Cina a conservare le normative riguardanti i giornalisti stranieri anche dopo che le Olimpiadi saranno finite. La delegazione cinese ha garantito che ai giornalisti sarà consentito di lavorare più agevolmente dopo l’ottobre di quest’anno. Senza dubbio il Consiglio discuterà ancora la questione con le autorità cinesi.
Sarete probabilmente a conoscenza del fatto che il Consiglio si sta preparando per il prossimo ciclo di colloqui sui diritti umani tra l’Unione europea e la Cina, che si svolgeranno a Lubiana in data 15 maggio. La troika UE intende discutere le questioni che al momento preoccupano di più, in particolare la libertà di espressione, il controllo di Internet, la questione delle normative che coprono i giornalisti stranieri, il diritto alla libertà di riunione pacifica e il ruolo della società civile. L’UE dedicherà particolare attenzione al problema dei diritti dei sostenitori dei diritti umani. Posso garantirvi che la troika UE farà del suo meglio nel dibattito su tali temi e mostrerà inequivocabilmente la sua preoccupazione ai rappresentanti del governo cinese.
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) “L’obiettivo della filosofia olimpica è mettere lo sport al servizio dello sviluppo armonioso dell’uomo, e […] qualsiasi forma di discriminazione nei confronti di un paese o di una persona in basse a razza, religione, convinzioni politiche, genere o altro è incompatibile con l’appartenenza al movimento olimpico” – due principi fondamentali della Carta olimpica sottoscritta dai cinesi. Se da un lato desidero che le Olimpiadi siano un enorme successo – e ritengo che non dovremmo boicottare i Giochi – dall’altro non dobbiamo temere di ricordare alle autorità cinesi che devono compiere maggiori sforzi al fine di preservare la dignità umana attraverso un sistema giudiziario equo e libero, mezzi d’informazione indipendenti, un migliore trattamento dei tibetani e delle altre minoranze etniche, un migliore benessere degli animali e così via. Dobbiamo altresì riconoscere le enormi sfide demografiche, ambientali e di ammodernamento che la Cina si trova ad affrontare. Concorderà tuttavia il Consiglio che, come parte di tale processo, la Cina deve essere in grado di accettare critiche legittime quando non riesce a essere all’altezza degli impegni che ha sottoscritto, quali i principi fondamentali della Carta olimpica?
Robert Evans (PSE). – (EN) Il signor Ministro ha affermato di non aver ancora ricevuto risposte soddisfacenti dalle autorità cinesi. Nel corso delle settimane e dei mesi a venire, il signor Ministro porterà avanti con determinazione ciò che ha già chiesto e a cui non ha ricevuto risposte? Sarà consapevole del fatto che nel periodo antecedente l’offerta olimpica, la Cina ha dato molte garanzie circa il miglioramento della situazione dei diritti umani, promesse che ad oggi, come sappiamo, non sono ancora state rispettate.
E’ il momento opportuno di agire, nel periodo preolimpico, perché dopo sarà troppo tardi. Il 15 maggio, quando si terranno tali discussioni, verranno effettivamente dibattuti i passi concreti da poter compiere al fine di esercitare pressione sulla Cina riguardo a libertà di parola, diritti dei giornalisti, diritto alla libertà di manifestazione e così via?
Il signor Ministro eserciterà pressione anche in merito alla pena capitale di cui fanno uso? Dato che qualsiasi statistica esistente mostra che al momento la Cina condanna a morte più persone del resto del mondo messo assieme. I Giochi olimpici non si possono svolgere in tale paese senza inviare tale messaggio alle autorità cinesi con quanta più determinazione possibile.
Janez Lenarčič. − (SL) In risposta all’onorevole Doyle: come ho affermato nella mia prima risposta, la Carta olimpica è un questione che riguarda il comitato olimpico internazionale. Tale organo è competente ad agire qualora giudichi che vi sia stata una violazione della Carta olimpica.
In risposta all’onorevole Evans, l’Unione europea veglia sulla situazione dei diritti umani. Ho già detto che i colloqui in materia di diritti umani tra l’UE e la Cina si terranno il 15 maggio e comprenderanno le questioni relative a libertà di espressione, controllo di Internet, normative riguardanti i giornalisti stranieri, diritto alla libertà di riunione pacifica e ruolo della società civile. Non si tratta di un elenco completo ed esclusivo; potrebbero essere discussi anche altri aspetti. Per quanto concerne la pena capitale, la posizione dell’Unione europea è chiara e l’UE è coerente nel difenderla e nel farla rispettare in tutti i fora bilaterali e multilaterali.
Vincas Justas Paleckis (PSE). – (LT) Signor Ministro, ha accennato al fatto che vi sarebbero tentativi di influenzare il governo cinese, il che corrisponde assolutamente al vero. Tuttavia i disagi provocati alla staffetta della torcia olimpica offrono un quadro della possibilità che nel corso dei Giochi olimpici la televisione cinese trasmetterà servizi relativi non solo alle competizioni atletiche, ma anche a diversi disordini nelle strade e nelle piazze con l’intervento della polizia che coinvolgono sia i cittadini cinesi che i turisti. Tenuto conto di tale situazione, ritiene sia più fattibile esercitare pressione sulla Cina o scegliere la strada delle negoziazioni diplomatiche?
Gay Mitchell (PPE-DE). – (EN) Si dice che se si vuole un trapianto di organi, in Cina rispondono che avranno l’organo molto presto e c’è il sospetto che in effetti uccidano le persone, per così dire, su ordinazione. Le persone condannate alla pena di morte, vengono giustiziate per soddisfare tali richieste.
Ieri in Aula ho sostenuto con un altro Commissario che la diplomazia del megafono non funziona nel caso della Cina. Possiamo pertanto dedurre che il Consiglio perseguirà altre forme di diplomazia con la Cina, dato che questa non funziona? In particolare solleverete tali preoccupazioni, che sono state documentate ed esposte in passato al Consiglio e alla Commissione?
Janez Lenarčič. − (SL) Alla domanda dell’onorevole Paleckis: ritengo che la risposta sia molto semplice. Non dobbiamo mai abbandonare la diplomazia come mezzo di discussione, persuasione e conseguimento di risultati. La risposta è pertanto semplice. Come abbiamo detto, il Consiglio sta conducendo un dialogo molto avanzato tra l’Unione europea e la Cina. Si tratta di un dialogo in corso e il mese prossimo verrà presentato un nuovo capitolo. Desideriamo continuare con tale dialogo, di cui i diritti umani costituiscono, e continueranno a costituire, un elemento importante.
Non posso commentare la domanda dell’onorevole Mitchell, dato che il Consiglio non ha discusso in merito a tale fenomeno e non ha un’opinione in proposito. Onorevole Mitchell, probabilmente concorderà che non posso pronunciarmi su informazioni e dati apparsi sui mezzi di informazione o altrove.
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente in carica, ha giustamente affermato che nella pratica il dialogo può contribuire a risolvere i conflitti. La mia domanda è questa: pensa di creare nuovi forum con la Cina, che siano essi sull’educazione o sulla ricerca? E’ fondamentale che l’apprendimento dagli altri e la comprensione reciproca siano al centro dell’attenzione. Dopotutto, a livello internazionale, non c’è solo lo sport, la musica e gli affari; ci sono anche le relazioni umane e a tal proposito necessitiamo di nuovi forum.
Syed Kamall (PPE-DE). – (EN) Desidero solo approfondire la domanda posta dal mio collega, l’onorevole Evans. Se i cinesi non affrontano le questioni evidenziate dal mio collega in modo soddisfacente, quale azione ritiene che il Consiglio e gli Stati membri debbano intraprendere?
Qualora ritenga di non poter rispondere al momento, quali azioni suggerirebbe che il Consiglio prendesse? O staremo semplicemente seduti con le mani in mano, accettando docilmente qualsiasi cosa ci diranno i cinesi e attendendo semplicemente le Olimpiadi? Quali azioni dobbiamo intraprendere?
Janez Lenarčič. − (SL) In un certo senso le domande dell’onorevole Rübig e dell’onorevole Kamall sono correlate. La domanda è: cosa può essere fatto se non riceviamo una risposta soddisfacente e una delle possibilità è certamente ribadire la richiesta. E’ stato chiesto in merito a nuove piattaforme per il dialogo con la Cina – sì, certo, se emergerà la necessità e se il Consiglio e la delegazione cinese sono d’accordo in merito a tale ampliamento del dialogo. Ritengo tuttavia che sia essenziale che il dialogo prosegua e considero la presente come una risposta congiunta a entrambi gli onorevoli deputati. Il Consiglio è determinato a proseguire il dialogo e ad affrontare la questione dei diritti umani.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 7 dell’onorevole Koenraad Dillen (H-0233/08):
Oggetto: Tibet
L’UE aveva vivamente reagito alla violenta repressione dei disordini scoppiati in Myanmar, adottando sanzioni economiche e designando un inviato speciale dell’UE in questo paese.
Nel caso della Cina, il Consiglio si esprime in maniera molto più moderata. La portavoce dell’Alto rappresentante dell’UE per la PESC, Javier Solana, ha fatto recentemente sapere che “le relazioni tra l’UE e la Cina sono completamente diverse da quelle tra l’UE e Myanmar”.
Ritiene il Consiglio che esista una differenza tra Myanmar e la Cina per quanto concerne le massicce violazioni dei diritti dell’uomo e le violenze perpetrate dalle autorità? Può dire il Consiglio quali miglioramenti ha apportato il dialogo politico per quanto attiene al rispetto dei diritti dell’uomo e alla situazione della lingua e della cultura tibetane? Qual è la posizione del Consiglio nei confronti della proposta di Amnesty International di inviare in Tibet degli osservatori internazionali al fine di consentire l’avvio di un’indagine?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Come il Parlamento europeo, anche il Consiglio è preoccupato circa i recenti avvenimenti e violazioni dei diritti umani in Tibet.
Il 19 marzo, solo pochi giorni dopo tali avvenimenti, il Consiglio ha fatto una dichiarazione a nome dell’Unione europea, in cui invitava alla moderazione. Ha esortato il governo cinese a rispondere all’ansia dei tibetani in merito al rispetto dei diritti umani. Ha fatto appello al governo cinese e al Dalai Lama affinché venga avviato un dialogo concreto e costruttivo, che porterebbe a una soluzione duratura accettabile per tutti e completamente rispettosa della cultura, della religione e dell’identità tibetane. La Presidenza slovena ha inviato una dichiarazione simile a nome dell’Unione europea nel corso della sessione del Consiglio per i diritti umani che si è tenuto a Ginevra il 25 marzo.
Siamo a conoscenza delle richieste di un’indagine ONU della risposta cinese agli avvenimenti in Tibet. Il Consiglio ha chiesto al governo cinese di revocare le restrizioni sull’accesso alla regione, il che contribuirebbe a una valutazione indipendente della situazione. I dialoghi tra l’Unione europea e la Cina in materia di diritti umani, che oggi sono stati menzionati diverse volte e che si terranno nella capitale slovena, Lubiana, il 15 maggio, costituiranno un’altra occasione per discutere la situazione in Tibet e altre questioni urgenti, quali la condizione dei sostenitori dei diritti umani. La troika UE insisterà affinché le autorità cinesi permettano ai giornalisti stranieri di accedere al Tibet nel rispetto delle normative adottate nel periodo antecedente ai Giochi olimpici.
L’Unione europea e la Cina parleranno a Lubiana in sulla censura di Internet e di conseguenza proseguiranno la discussione avviata nell’ottobre dello scorso anno nel corso dell’ultimo ciclo del dialogo.
E’ importante valutare il dialogo in materia di diritti umani nel contesto di un più ampio dialogo tra l’UE e la Cina in materia di diritti umani, riforme e progressi politici e sociali. Le questioni alla base dei disordini di cui siamo stati testimoni in Tibet vengono regolarmente discussi in quanto parte del dialogo con la Cina in materia di diritti umani. Tali questioni sono libertà di credo religioso, diritti delle minoranze e diritti culturali. Nel corso dell’ultimo ciclo dei dialoghi dell’ottobre dello scorso anno, la troika UE ha tenuto una discussione molto aperta con le autorità cinesi in merito alla restrizione della libertà religiosa.
Tra i recenti cambiamenti positivi nell’ambito dei diritti umani in Cina vi è anche il fatto che quest’anno è entrata in vigore la nuova normativa sul diritto del lavoro e che la competenza di rivedere le sentenze di morte è tornata nelle mani della Corte suprema del popolo. Il numero delle esecuzioni è pertanto calato drasticamente.
Desidero infine sottolineare che l’Unione europea sta seguendo da vicino la situazione in Birmania proprio come quella in Tibet. Riguardo a quest’ultima, l’Unione europea sta appoggiando attivamente gli sforzi delle Nazioni Unite volti ad accelerare il passaggio a democrazia, riconciliazione e sviluppo del paese ed è coinvolta nelle consultazioni con i partner asiatici.
Koenraad Dillen (NI). – (NL) Ringrazio il signor Ministro per la risposta, che è stata abbastanza dettagliata, ma che purtroppo non è arrivata al cuore della questione. In quest’Assemblea siamo tutti d’accordo sul fatto che ci dobbiamo preoccupare della situazione dei diritti umani in Birmania e in Cina. Mi azzardo a dubitare che sia in arrivo un cambiamento concreto. Desidero sottolineare che, solo qualche settimana fa, il giornale francese Libération ha pubblicato in prima pagina le foto delle apparecchiature utilizzate in Cina per torturare un prigioniero tibetano, pertanto dubito che vi sia stato alcun cambiamento positivo.
Desidero comunque porre la mia domanda in termini più specifici. Perché l’Unione europea ricorre a criteri diversi, dato che, ad esempio, è stata intrapresa un’azione molto dura contro la Birmania, con sanzioni economiche, mentre non è accaduto lo stesso in Cina? Può essere che, quando sono coinvolti importanti interessi economici, piuttosto che i diritti umani, siamo un po’ meno di principio?
Janez Lenarčič. − (SL) Non posso trovarmi d’accordo con lei, onorevole Dillen, nel dire che vi siano criteri diversi. Ritengo che l’Unione europea non ricorra a criteri diversi. Se fosse stato così, la Presidenza slovena non avrebbe parlato a nome dell’Unione europea alla sessione del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, che si è tenuto a Ginevra il 25 marzo, in merito al tema che ha menzionato.
Quando si tratta di diritti umani, l’Unione europea si sforza di ricorrere agli stessi criteri per tutti i paesi terzi. La questione è quale mezzo utilizzare. Questo varia da caso a caso. Quando si decide quali leve o quali misure introdurre, è essenziale considerare la probabilità di raggiungere il risultato desiderato.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 8 dell’onorevole Colm Burke (H-0167/08):
Oggetto: Diritti umani in Ciad
Può il Consiglio specificare esattamente in che modo intende aumentare la pressione diplomatica per il cessate il fuoco in Ciad al fine di proteggere i civili assediati e incrementare gli sforzi diplomatici per garantire la pace?
Due politici dell’opposizione, che il governo del Ciad afferma di non aver trattenuto, sono stati in effetti fermati il 3 febbraio dalle forze di pubblica sicurezza. Dopo il tentativo di colpo di Stato all’inizio di febbraio, in che modo il Consiglio pensa di garantire la libertà all’opposizione politica, in seguito agli arresti che si inseriscono nel quadro della repressione contro gli oppositori politici nella capitale N’Djamena?
Il 14 febbraio il Presidente Déby ha dichiarato lo stato di emergenza, assicurando al suo governo poteri eccezionali, per poter censurare i media, cercare persone e proprietà e controllare rigidamente ogni movimento in Ciad. In quale maniera il Consiglio intende assicurare che l’amministrazione Déby non stia infrangendo i diritti umani dei cittadini del Ciad con i poteri più ampi recentemente acquisiti?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Il Consiglio segue da vicino la situazione dei diritti civili in Ciad, in particolare da quando le autorità ciadiane hanno dichiarato lo stato di emergenza, che, com’è noto, è stato revocato il 16 marzo. Il Consiglio ha esortato il Presidente Déby a rispettare i diritti e le libertà fondamentali, a esercitare moderazione e a rilasciare immediatamente i detenuti. Al momento risulta ancora scomparsa solo una persona.
Il 13 agosto dello scorso anno è stato raggiunto un accordo con quasi tutti i partiti politici dell’opposizione. Il Consiglio esorta ancora i firmatari di tale accordo politico a continuarne l’attuazione, indipendentemente dalla sospensione che si è verificata a causa dei violenti scontri con i gruppi di ribelli. Il proseguimento dell’attuazione dell’accordo si applica anche alle disposizioni per la promozione delle libertà democratiche e della libertà di parola. Il Consiglio si sta unendo agli sforzi internazionali volti a promuovere tale processo e in particolare a conquistare la fiducia dei partiti politici dell’opposizione e della società civile.
La pressione esercitata dall’Unione europea ha portato alla formazione di una commissione d’inchiesta, in cui l’Unione europea e l’Organizzazione internazionale della francofonia cooperano nel ruolo di osservatori internazionali. Uno dei compiti di tale commissione è la ricerca dei casi di violazione dei diritti umani durante gli scontri e stabilire le circostanze in cui sono scomparsi alcuni leader dell’opposizione. La commissione dovrebbe completare i suoi compiti entro tre mesi.
Colm Burke (PPE-DE). – (EN) Mi trovavo effettivamente in Ciad tra il 24 e il 30 marzo e ho incontrato il ministro degli Affari esteri e il presidente dell’assemblea nazionale. Non sono soddisfatto delle risposte che ho ricevuto relativamente a Ibni Umar Mahamet Saleh, che risulta scomparso, e alla commissione d’inchiesta.
Desidero solo chiedere quanto segue: le persone di tutto il mondo incaricate dell’inchiesta e i rappresentanti dell’UE si trovano in Ciad in qualità di osservatori? La mia impressione è che si trovino in Ciad solo in qualità di osservatori e, se questa è la situazione, non sono soddisfatto. Non credo che otterremo una relazione veritiera e accurata se al posto di osservatori, non sono coinvolti nell’inchiesta rappresentanti internazionali.
Janez Lenarčič. − (SL) Ha ragione, onorevole Burke. I rappresentanti dell’UE e dell’Organizzazione internazionale della francofonia partecipano a tale inchiesta in qualità di osservatori internazionali. A mio avviso, tale ruolo è sufficiente a valutare la relazione che ci aspettiamo venga presentata dalla Commissione fra tre mesi.
Presidente. − Non vi sono altre domande su questo tema e la prossima interrogazione sarà l’ultima.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 9 dell’onorevole Liam Aylward (H-0180/08):
Oggetto: Missione di pace in Ciad
Può il Consiglio rilasciare una dichiarazione dettagliata sull’attuale situazione della missione di pace dell’UE in Ciad?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. - (SL) In seguito agli attacchi che a gennaio hanno colpito la capitale, N’Djamena, condotti dai ribelli dal Sudan, l’ufficiale in comando, il generale Nash, il 31 gennaio ha deciso di interrompere temporaneamente lo spiegamento.
Tale decisione è stata accettata per due ragioni. Innanzi tutto per permettere la valutazione della nuova situazione politica e di sicurezza e in secondo luogo per evacuare senza ostacoli gli europei e i cittadini di altri paesi. Il dispiegamento è stato ripreso dopo 12 giorni, pausa che non ha influito sul programma generale dell’operazione. La capacità operativa iniziale è stata raggiunta il 15 marzo e, secondo i piani, si dovrebbe raggiungere la piena capacità entro la fine di giugno.
Indipendentemente da questa breve interruzione temporanea, il Consiglio ha chiaramente dichiarato di essere ancora impegnato nell’attuazione del mandato conformemente alla risoluzione pertinente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare il mandato umanitario.
Gli scontri dell’inizio di febbraio erano stati previsti come uno scenario possibile di cui si è tenuto conto sin dall’inizio quando l’operazione è stata pianificata. Purtroppo tali previsioni si sono avverate, dando ulteriore urgenza al dispiegamento della missione EUFOR e della missione delle Nazioni Unite in Ciad e nella Repubblica dell’Africa centrale.
Il Consiglio è dell’avviso che sia nell’interesse della comunità internazionale e dell’Unione europea il miglioramento della stabilità e della sicurezza della regione. La presenza delle strutture multidimensionali menzionate contribuirà alla stabilizzazione della situazione politica e umanitaria e impedirà che la crisi si diffonda nelle regioni e nei paesi vicini.
Quanto all’incidente sulla frontiera sudanese, quando è rimasto ucciso un militare EUFOR, il comandante dell’operazione ha fatto le sue scuse per aver attraversato involontariamente il confine e per l’infelice azione che è risultata in tale fatalità. Il comandante ha confermato che l’EUFOR avrebbe condotto il suo mandato conformemente alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, vale a dire con imparzialità e conseguente rispetto delle frontiere sudanesi.
Desidero aggiungere che l’inchiesta relativa a tale incidente è in corso. Il dispiegamento delle truppe procede secondo i piani. Al momento ci sono 1 800 soldati EUFOR in Ciad e nella Repubblica dell’Africa centrale. Quando la missione sarà pienamente operativa, disporrà di 3 700soldati provenienti da 14 Stati membri. Al momento sono in corso negoziati con paesi terzi in merito a un loro possibile contributo.
Liam Aylward (UEN). – (EN) Signora Presidente, desidero chiedere al signor Ministro se è soddisfatto che sia disponibile un adeguato supporto logistico per permettere il pieno dispiegamento della missione di pace nel corso delle settimane e dei mesi a venire.
Concorda inoltre il signor Ministro che la missione di pace dell’UE in Ciad invii un messaggio molto forte al governo sudanese, dato che molti dei 300 000 rifugiati ammassati nei campi del Ciad orientale si trovano lì per sfuggire dalla regione del Darfur e dal genocidio ?
Janez Lenarčič. − (SL) La risposta alla prima parte della domanda dell’onorevole Aylward è senza dubbio sì. La risposta alla seconda parte è sì, a patto che sia osservato il mandato per l’operazione, che non comprende il Darfur.
Presidente. − Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).
Presidente. – Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.
(La seduta, sospesa alle 19.10, riprende alle 21.00)
PRESIDENZA DELL’ON. MARTINE ROURE Vicepresidente
13. Verso una riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione, presentata dall’onorevole Cristiana Muscardini a nome della commissione per il commercio internazionale, “Verso una riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio” [2007/2184(INI)] (A6-0104/2008).
Cristiana Muscardini, relatrice. − Signor presidente, signora Commissaria, onorevoli colleghi, prima di tutto un ringraziamento caloroso al segretariato, che è stato molto attivo e utile con tutti i colleghi della commissione per stendere questo progetto. Consegniamo noi oggi alla Commissione una serie di considerazioni, frutto di un’accurata riflessione condotta in armonia da tutta la commissione commercio internazionale.
La nostra commissione vuole un’organizzazione mondiale del commercio più efficace e democratica, pronta, dal punto di vista del funzionamento istituzionale, a svolgere l’importante compito di regolatore del commercio internazionale e perché questa avvenga è indispensabile una riforma.
L’ingresso recente di numerosi nuovi membri – citiamo la Cina e l’imminente adesione della Russia – mettono in luce il successo dell’organizzazione che annovera oggi 152 paesi. Ma proprio per questo, con la sua nuova dimensione, è necessario una riflessione rivolta alla sua riorganizzazione.
Nella relazione noi sottolineiamo con forza gli aspetti vitali per comprendere come l’OMC e il multilateralismo commerciale vogliano dire una nuova caratura più forte e dinamica e democratica. La nostra agenda è riempita dai negoziati del Doha Round, questo accordo sappiamo che è sempre dietro l’angolo ma non lo si raggiunge ancora. La commissione commercio internazionale perciò, cosciente di questo problema, reitera il suo sostegno ai negoziati che devono sfociare in un successo per un commercio più equilibrato ed equo, ma ritiene nello stesso tempo che sia giunto il momento di guardare avanti al dopo Doha con coraggio e ambizione.
Nel consegnare le nostre considerazioni alla Commissione, chiediamo all’esecutivo comunitario di avere lo stesso coraggio e la stessa ambizione per intraprendere a Ginevra un’iniziativa politica che possa aprire la strada ad una revisione del funzionamento di alcuni meccanismi che oggi obiettivamente non funzionano.
Occorre una struttura istituzionale che possa migliorarsi rispetto all’odierna situazione distinguendo le attività legate alla negoziazione di nuove regole internazionali e ai nuovi impegni connessi all’applicazione di accordi già esistenti. Il principio del consenso è e deve restare la norma delle conferenze ministeriali, ma noi dobbiamo pensare anche modalità diverse rispetto all’unanimità nelle procedure che conducono alla decisione finale di un’organizzazione che, essendosi ingrandita, ha bisogno di un passo diverso. Lo abbiamo pensato per l’Europa, dobbiamo pensarlo anche per l’OMC!
Il criterio guida del ciclo Doha è stato quello di coinvolgere tutti i paesi membri con negoziati relativi ad una pluralità di questioni, in un’organizzazione ampia come questa nostra, questa formula deve essere rivista con un approccio plurilaterale, una sorta di geometria variabile. Ne avevamo parlato a suo tempo per l’Europa, è necessario oggi per l’OMC!
Lo sviluppo è un tema importante e negli ultimi il gruppo dei paesi in via di sviluppo è diventato sempre più ampio ed eterogeneo e comprende paesi emergenti ed altri già largamente emersi, pensiamo alla Cina, all’India, al Brasile, al Sudafrica. Occorre perciò, nell’interesse dei veri paesi che sono ancora in via di sviluppo, operare dei raggruppamenti più chiari ed omogenei che corrispondano all’evoluzione della situazione economica chiedendo a tutti impegno e responsabilità in corrispondenza della loro forza economica.
Il Segretariato dell’OMC, pur essendo prestigioso e competente, e molte volte l’abbiamo consultato in questi mesi di lavoro, è limitato istituzionalmente: sarebbe opportuno rafforzarne il ruolo, consentirgli di prendere iniziative e suggerire compromessi. Rafforzare il segretariato vuole dire dargli una rappresentatività geografica che lo faccia sentire il centro e il motore dell’azione e dell’organizzazione, nell’interesse di tutti i suoi membri, compresi proprio quei paesi in via di sviluppo che oggi non sono sufficientemente tenuti nella considerazione necessaria per un vero sviluppo.
Trasparenza, dimensione parlamentare: abbiamo necessità di incrementare la trasparenza nei procedimenti di risoluzione delle controversie internazionali per rafforzare l’immagine verso l’esterno. La promozione di una dimensione parlamentare dell’OMC deve sfruttare l’esistente conferenza parlamentare sull’OMC per arrivare a creare una vera assemblea parlamentare con poteri consultivi che ne legittimi l’operato.
La concorrenza e il coordinamento con le altre organizzazioni internazionali è assolutamente necessaria, per questo dobbiamo rafforzare anche i rapporti con le organizzazioni internazionali del lavoro e con alcune agenzie dell’ONU, perché temi sociali e ambientali di grande portata internazionale non possono restare estranei all’attività dell’OMC.
Oltretutto, non possiamo dimenticare che dobbiamo rendere le controversie commerciali che costituiscono l’aspetto tipico e forte senza tenere conto che se non si trova un modo per snellire e accelerare queste procedure, noi rischiamo di avere contenziosi annosi con un danno per le società, per i paesi membri e per i consumatori. Per questo noi rivolgiamo un caloroso appello alla Commissione perché abbia lo stesso coraggio che ha avuto la commissione parlamentare nell’individuare norme nuove per rendere più snello il futuro dell’organizzazione mondiale della sanità.
Androula Vassiliou, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, la Commissione è grata al Parlamento per la sua relazione tempestiva e approfondita.
Garantire che l’OMC sia in grado di rispondere alle sfide poste da un’economia globale in rapido cambiamento deve costituire una priorità fondamentale dell’Unione europea. Inoltre, alla luce delle attuali difficoltà economiche che molti membri dell’OMC stanno affrontando, è più essenziale che mai un’istituzione multilaterale forte per rispondere alla richiesta di politiche protezionistiche egoistiche.
La relazione riconosce l’importanza centrale dell’agenda di Doha per lo sviluppo (ADS). La Commissione desidera ribadire che qualsiasi iniziativa a Ginevra in merito al futuro dell’ADS dovrà essere calibrata e radicata in ciò che ci auguriamo che sarà un esito positivo dell’ADS stessa.
Oggi, nel corso di quella che potrebbe essere la fase finale dell’ADS, nessun membro dell’OMC avrebbe la volontà politica e/o le risorse amministrative per impegnarsi in una significativa riflessione sulla riforma dell’OMC. Ci aspettiamo e ci auguriamo che tale situazione si evolverà verso un accordo ADS definitivo da sottoscrivere prima della fine del 2008, il che aprirà anche le porte a un dibattito sul futuro dell’OMC, un dibattito che dipenderà moltissimo dalla conclusione positiva o meno dell’ADS.
In quanto alle idee espresse nella relazione, in linea di principio la Commissione ne condivide la maggior parte, anche se risulta chiaro che alcune proposte avanzate nella proposta di risoluzione si troveranno di fronte alla forte resistenza di alcuni membri dell’OMC.
In merito alle questioni istituzionali, la Commissione continua a incoraggiare la promozione della dimensione parlamentare dell’OMC e di altre idee, quali la concessione di risorse aggiuntive al Segretariato dell’OMC e l’espansione dei suoi compiti, così come il potenziamento di meccanismi attivi per garantire la trasparenza, nonché il controllo e la supervisione efficaci dell’applicazione delle norme.
Prendiamo nota della richiesta di apertura nei procedimenti di risoluzione delle dispute e desideriamo sottolineare che si basa su una nostra iniziativa grazie alla quale sono state aperte al pubblico alcune udienze relative a casi dell’OMC che coinvolgevano l’Unione europea.
In merito alle proposte sostanziali avanzate nella relazione, la necessità di integrare interessi non commerciali nel campo di applicazione delle norme dell’OMC resterà un principio guida della politica dell’Unione europea nel quadro multilaterale, così come in quello delle sue negoziazioni bilaterali avviate di recente sulla base della comunicazione Europa globale e delle iniziative unilaterali in favore dei paesi in via di sviluppo. Ne costituisce un esempio il nuovo sistema unilaterale per le concessioni tariffarie a favore dei paesi in via di sviluppo, il Sistema di preferenze generalizzate plus.
La relazione tra la politica commerciale, le risorse umane e l’ambiente costituirà certamente un settore importante e sull’ordine del giorno potrebbero comparire altri temi relativi al commercio.
Dare forma a una nuova politica multilaterale dopo la conclusione del Ciclo di Doha costituirà una delle sfide più stimolanti e difficili per la politica commerciale europea. Il Parlamento si assumerà un ruolo sempre maggiore nel definire e guidare tale politica, in particolar modo una volta che sarà entrato in vigore il Trattato di Lisbona.
La Commissione, e in particolare il mio collega Peter Mandelson, è ansiosa di impegnarsi con voi in un dialogo aperto e costruttivo al fine di giungere a conclusioni solide e realistiche volte a potenziare l’OMC e l’intero sistema commerciale multilaterale.
Johan Van Hecke, relatore per parere della commissione per lo sviluppo. – (NL) Signora Presidente, signora Commissario, la nostra commissione per lo sviluppo appoggia appieno le argomentazioni del relatore, l’onorevole Muscardini, a favore di una radicale riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio. Nel 2001 la relazione Sutherland ha avviato un dibattito molto vivace all’interno dell’OMC stessa in merito alla riforma istituzionale, un dibattito che purtroppo si è concluso davvero troppo rapidamente. Alcune persone ritengono che al momento non sia appropriato un dibattito sulla riforma. Vogliono aspettare il risultato dell’agenda di Doha per lo sviluppo, prima di sostenere un dibattito fondamentale sulle istituzioni in quanto tali. A nostro avviso, tuttavia, i due dibattiti non si escludono reciprocamente.
Dal punto di vista dello sviluppo, desideriamo vedere nell’OMC una nuova differenziazione tra i paesi in via di sviluppo, sulla base delle necessità di sviluppo di ciascun paese, piuttosto che delle categorie di paese. L’onorevole Muscardini ha già spiegato perché ciò è necessario. Non solo nell’OMC è necessaria maggiore trasparenza, ma è altresì essenziale una migliore cooperazione con le altre organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione internazionale del lavoro e l’UNCTAD. Per quanto concerne la nostra commissione, è fondamentale la proposta contenuta nella relazione Sutherland in merito ad accordi di finanziamento per l’assistenza tecnica a favore dei paesi meno avanzati da considerarsi come un diritto contrattuale, così che possano partecipare pienamente al sistema commerciale multilaterale. Infine, anche la risoluzione delle controversie, da cui spesso, per le ragioni che noi tutti conosciamo, escono peggio i paesi in via di sviluppo, deve essere rivista, come sosteneva Sutherland.
In breve, la riforma dell’OMC è fondamentale, non solo per rafforzare la sua legittimità con tutti i suoi Stati membri, ivi compresi i più poveri, ma, ritengo, anche per salvaguardare il multilateralismo.
Gunnar Hökmark, relatore per parere della commissione per gli affari economici e monetari. – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare la relatrice e la commissione per il commercio internazionale per la presente relazione. Ritengo che valga la pena, quando discutiamo dell’OMC, di sottolineare anche il fatto che la globalizzazione e il libero commercio hanno offerto nuove opportunità a milioni e milioni di persone. Il mondo non ha mai visto più progressi nella lotta alla povertà di quelli osservati nel corso degli ultimi due decenni.
Ciò sottolinea la necessità di salvaguardare un quadro stabile di norme eque e multilaterali per il libero commercio, il che costituisce il compito principale dell’OMC ed è anche il motivo per cui è importante avere un’OMC forte e potenziata. Dobbiamo garantire di essere in grado di avere più commercio e concorrenza internazionali senza distorsioni. Ecco perché la commissione per gli affari economici e monetari ha messo in evidenza la necessità di ridurre gli aiuti di Stato, di rimuovere le barriere commerciali non tariffarie e di aiutare i paesi in via di sviluppo a trovarsi in una posizione migliore nei negoziati relativi al quadro multilaterale e alle norme del libero scambio.
Ciò evidenzia ancora una volta perché necessitiamo di un’OMC e di un Segretariato forti – al fine di prendere decisioni e confermare le norme, ma anche al fine di sviluppare il sistema commerciale multilaterale.
Se riusciremo ad avere un’OMC forte e un Segretariato forte, faremo una cosa importante per salvaguardare le opportunità del commercio globale di svilupparsi in un quadro di norme eque e libere. Questo è il nostro compito – niente di più e niente di meno.
In tal senso, è altresì importante sottolineare alcune cose che vanno necessariamente fatte: dobbiamo aumentare il libero scambio nei servizi; dobbiamo aumentare l’apertura nei servizi finanziari; dobbiamo garantire che possiamo avere più libero commercio in agricoltura. Quando discutiamo dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, vediamo l’importanza di aprire i mercati.
Ma non riusciremo mai a fare tutto ciò senza un’OMC solida e la possibilità di sostenere un quadro forte, che sia adatto ai paesi in via di sviluppo e che possa offrire ai meno abbienti opportunità nuove e migliori, nonché aiutare tutti noi a trarre vantaggio dalle opportunità del libero mercato.
Georgios Papastamkos, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signora Presidente, a prima vista è strano che dobbiamo dibattere la riforma dell’OMC sulla scia dell’estesa impasse dei negoziati del ciclo di Doha. Ciononostante, vale la pena di discutere il funzionamento e il futuro dell’OMC, dato che tale empasse è dovuta a problemi istituzionali e strutturali, nonché ai difetti del sistema del commercio mondiale, il che è dimostrato anche dalla relazione dell’onorevole Muscardini.
A mio avviso, sono tre le sfide principali della riforma tentata. Innanzi tutto, vi deve essere la liberalizzazione degli scambi commerciali più grande e reciprocamente vantaggiosa possibile, dato che costituisce una garanzia consolidata di crescita economica. L’obiettivo resta senza dubbio l’equa distribuzione dei benefici tra i membri dell’OMC e l’inserimento armonioso dei paesi in via di sviluppo nel sistema commerciale mondiale.
In secondo luogo, le sfide vanno cercate negli accordi istituzionali necessari a garantire consenso, impegno congiunto, legittimazione democratica, trasparenza ed efficacia di una governance organizzata del commercio mondiale. In terzo luogo, l’adeguato equilibrio va cercato tra le questioni commerciali e quelle non commerciali.
Gli Stati membri dell’OMC hanno tutti i diritti di applicare misure commerciali restrittive volte a proteggere l’ambiente, la sanità pubblica e i consumatori. Un esempio tipico è costituito dai casi contro l’UE portati dinanzi ai tribunali dell’OMC da partner commerciali, a causa degli OGM e del divieto di importare carni contenti ormoni dagli USA e dal Canada. Va tuttavia compreso che la soluzione non si trova nel sovraccaricare l’OMC con responsabilità aggiuntive, bensì nel collegare il sostegno reciproco e la coerenza con gli obiettivi e le azioni, sia da parte dell’OMC che delle altre organizzazioni internazionali.
Onorevoli colleghi, la missione dell’OMC non è colmare vuoti operativi lasciati da altri organismi specializzati del sistema ONU. La comunità globale sta attraversando sia una crisi economico-finanziaria preoccupante, che una catastrofe alimentare mai registrata. Di fronte a questi due flagelli, i cambiamenti superficiali, quali l’abolizione delle barriere, non sono sufficienti. Sfide globali necessitano comprensione globale, convergenza sistematica e norme coerenti, il che si applica a responsabilità sociale, tutela ambientale e competitività economica.
Harlem Désir, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, è fondamentale completare il ciclo di Doha, ma è altresì essenziale esaminare ancora una volta il funzionamento dell’OMC. Ogni giorno la vediamo sommersa di problemi riguardanti la sua efficacia, la sua legittimità e la sua interazione con le altre organizzazioni multilaterali.
Per certi versi era inevitabile che, solo poco dopo 10 anni dalla sua creazione, i suoi meccanismi di funzionamento necessitassero di una revisione. Passando dall’AGTC all’OMC, il sistema commerciale multilaterale non è cambiato solo nelle dimensioni; per certi versi è mutata anche la sua natura. Le norme commerciali sono state estese a una gamma considerevole di nuovi settori: servizi, proprietà intellettuale, investimenti, barriere non tariffarie. I nuovi paesi membri si sono uniti a quelli originari e questo allargamento ha introdotto una diversità, una disparità di situazioni e Stati membri, con risorse e problemi diversi. Tutto ciò significa ovviamente che, oltre agli sforzi per completare i negoziati sul Round per lo sviluppo, vanno esaminate anche le riforme necessarie.
Accolgo con favore il lavoro condotto dalla nostra relatrice, l’onorevole Muscardini, e il fatto che siamo stati in grado di cooperare con lei e con gli altri gruppi. Desidero sottolineare vari punti di questa relazione di estrema rilevanza, che mi auguro sia adottata domani dalla grande maggioranza di quest’Assemblea.
Il primo elemento è l’equilibrio in termini di norme internazionali e di istituzione di nuove relazioni tra l’OMC e le altre organizzazioni internazionali. Vedrete che nella relazione abbiamo accennato all’interazione con le questioni ambientali e sanitarie – il che è chiaramente essenziale, come si è visto nel caso dei farmaci generici e della proprietà intellettuale – ma anche con le questioni sociali. Non possiamo mancare di discutere questo tema in seno all’OMC.
La cooperazione tra l’OIL e l’OMC, che è stata ripresa dai direttori generali delle due organizzazioni, deve spingersi molto oltre e l’Unione europea deve essere la forza propulsiva a tal riguardo. Avanziamo due proposte specifiche: la prima è che sia conferito all’OIL lo status di osservatore nell’OMC, come nel caso del Fondo monetario internazionale; la seconda è che l’OMC debba istituire – e l’Unione deve presentare la proposta – una commissione per il commercio e il lavoro decoroso, sul modello della commissione per il commercio e l’ambiente, che ha permesso di compiere molti progressi in merito all’interazione tra norme ambientali e norme commerciali.
In secondo luogo, desidero sottolineare gli aspetti della relazione che incoraggiano l’OMC a destinare maggiori risorse ai membri più deboli, ai paesi meno sviluppati, al fine di garantire una partecipazione equa, efficace ed efficiente nel corso di tutti i negoziati e in tutte le commissioni in cui si dà forma ai futuri accordi e alle politiche commerciali.
In terzo luogo, poniamo altresì l’accento sull’importanza della trasparenza esterna e sulla possibilità, per la società civile, per i parlamentari e per una dimensione parlamentare effettivamente dinamica, di avere un ruolo di maggior peso in seno all’OMC. Vogliamo una vera assemblea parlamentare. Al momento, un’assemblea parlamentare si riunisce a fianco dell’OMC, a cui di recente si è rivolto il direttore generale, così come i ministri del Commercio, ma vogliamo che venga riconosciuta ed è per questo che avanziamo proposte molto specifiche, ad esempio relativamente all’organo di appello e la risoluzione delle controversie. Dato che tali procedimenti sono simili a quelli in una corte o in un tribunale, dovrebbero svolgersi pubblicamente e i documenti dovrebbero essere accessibili al pubblico. Ritengo che ciò contribuirebbe anche a sfatare certi miti e a rendere tale organizzazione più trasparente.
Infine, le risorse del Segretariato costituiscono un’altra importante questione ed è stata messa in risalto. Oggi il bilancio dell’OMC è di 135 milioni di dollari: sei volte inferiore rispetto a quello del FMI e circa 10 volte inferiore rispetto a quello della Banca mondiale. Occupa circa 600 persone, un dato che è ancora molto inferiore rispetto a quello delle altre organizzazioni multilaterali. Di conseguenza, aumentare le risorse di un’OMC che è meglio inserita nel sistema delle organizzazioni multilaterali è, a mio avviso, una delle condizioni per norme commerciali migliori al servizio dello sviluppo.
Mariela Velichkova Baeva, a nome del gruppo ALDE. – (BG) Il processo dinamico dell’integrazione economico-finanziaria su scala globale costituisce un fattore determinante per il difficile ambiente economico internazionale. Le analisi condotte dalle organizzazioni mondiali leader sulle politiche di macroeconomia e le tendenze globali indicano che nel corso dei prossimi dieci anni vi saranno elevati livelli di insicurezza politica ed economica. Al momento, si profilano minacciosamente taluni rischi, quali l’aumento dei prezzi dell’energia, il cui movimento dinamico influisce sui prezzi dei prodotti agricoli. Presi insieme tali fattori generano pressione inflazionistica e insicurezza alimentare, limitate capacità di infrastruttura per l’approvvigionamento destinato ai trasporti, che sono essenziali per il commercio internazionale, nonché disordini finanziari. Attiro la vostra attenzione su tali rischi e insicurezze non perché voglio privarvi di un sonno ristoratore, ma perché desidero sottolineare alcuni dei parametri dell’ambiente economico internazionale e la necessità di attuare una politica per correggere gli squilibri e sostenere le economie vulnerabili. Lasciate che vi ricordi che due delle industrie maggiormente colpite dalla liberalizzazione degli scambi sono quella manifatturiera e quella agricola e che l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari ha sollevato violente proteste in molte regioni in tutto il mondo.
Per rispondere alle realtà politiche ed economiche, l’Organizzazione mondiale del commercio, in quanto sistema commerciale dotato di norme vincolanti nell’ambito del commercio internazionale, deve migliorare le proprie regole di funzionamento, struttura organizzativa e procedura decisionale, nonché mostrare una flessibilità e adattabilità istituzionale maggiormente pragmatiche e nel farlo deve, senza dubbio, tenere conto del fatto che negoziare in un’organizzazione composta di 150 Stati che si trovano a livelli di sviluppo differenti, che hanno strutture economiche distinte e che attuano riforme diverse nei settori economici, è un’impresa alquanto ambiziosa. Tuttavia, se Sofia, Cotonou, Santiago, Bruxelles propongono delle alternative, i dibattiti di Ginevra costituiscono il meccanismo per giungere ad accordi volti a rimuovere progressivamente le barriere.
Seán Ó Neachtain, a nome del gruppo UEN. – (GA) Signora Presidente, l’agricoltura non deve rimetterci in un accordo dell’Organizzazione mondiale del commercio. Il Commissario Mandelson al momento sta negoziando un accordo molto impari, che sarebbe estremamente dannoso per gli agricoltori europei e per l’intero settore agroalimentare dell’UE.
Mi sembra che il calendario elettorale degli USA stia dettando le tempistiche dei negoziati dell’OMC. Non si deve tollerare quest’assurdità. I contenuti e la sostanza dell’accordo sono molto più importanti di qualsiasi elezione.
Sebbene l’Irlanda sia il quarto maggiore esportatore mondiale di carni, verrebbe colpita negativamente da tale accordo. Gli accordi dell’OMC comprometteranno il mercato interno irlandese delle carni e delle carni di agnello, che al momento è stimato essere superiore ai 2,5 miliardi di euro. La riduzione fino al 70 per cento dei dazi sulle importazioni delle carni e delle carni di agnello proposto dal Commissario Mandelson è semplicemente eccessiva.
La scorsa settimana 10 000 agricoltori hanno marciato per le strade di Dublino per protestare contro il Presidente Barroso in visita alla città. Il Presidente Barroso conosce la profonda rabbia degli agricoltori irlandesi ed è tempo che tenga a freno il Commissario Mandelson.
Infine, è imperativo raggiungere un accordo nell’Organizzazione mondiale del commercio – un accordo che sia soddisfacente per tutti; un accordo che porti vantaggi all’Europa, agli agricoltori e all’agricoltura; e un accordo che salvaguardi le risorse alimentari.
Caroline Lucas, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, il gruppo dei Verdi appoggia le linee generali della presente relazione, in particolare la richiesta di maggiore coerenza tra il quadro normativo dell’OMC, il lavoro delle agenzie ONU e gli accordi esistenti in ambito sociale, ambientale e dei diritti umani. Riteniamo che debba comprendere uno status di osservatore per l’OIL, così come le misure contro il dumping sociale ed ecologico.
Appoggiamo altresì il ruolo del controllo parlamentare al fine di mitigare la mancanza di affidabilità e di legittimazione dell’OMC, nonché la necessità di sviluppare la risoluzione delle controversie dell’OMC sulla base del diritto sociale e ambientale internazionale, garantendo che disponga di reali poteri sanzionatori.
Sono tuttavia allarmata dal fatto che la relazione ometta di prendere atto del fatto che il fallimento del ciclo di Doha sia radicato precisamente nei difetti dell’OMC in quanto organizzazione. Si tratta di due cose separate. L’impasse del ciclo di Doha è completamente collegato agli abusi sistematici dei processi decisionali operati da alcuni paesi forti e la conseguente alienazione dei paesi più deboli.
Ritengo che la relazione ometta anche di riconoscere che a Cancún, nel 2003, è stata necessaria niente meno che una rivoluzione da parte dei paesi in via di sviluppo e di alcuni dei paesi emergenti antecedenti a Hong Kong per avviare la fine del vecchio sistema feudale in cui ha funzionato fin troppo a lungo l’OMC. Ritengo che sia chiaro che dobbiamo smettere di aspettare di ottenere un risultato dal Ciclo di Doha e iniziare immediatamente con la riforma dell’OMC: riforma sia delle sue procedure che delle sue politiche, perché il processo di riforma da solo non è sufficiente. Dobbiamo esaminare un’intera serie di norme che nel XXI secolo sono completamente superate per far fronte a nuove sfide, come il cambiamento climatico.
Dobbiamo pertanto esaminare norme quali ad esempio quella sui PPM: il divieto di distinguere i prodotti in base a come sono stati prodotti. Tale distinzione è fondamentale se vogliamo essere in grado di appoggiare e promuovere obiettivi, quali l’efficienza energetica, ad esempio, e la diminuzione delle emissioni.
Vogliamo anche che le procedure per la risoluzione delle controversie siano rifocalizzate completamente. Desidero complimentarmi con i miei colleghi per un emendamento elaborato dai Verdi che richiede in modo molto specifico un nuovo modo per esaminare il meccanismo di risoluzione delle controversie, garantendo che si basi sui principi della Carta dell’ONU e che sia separato da quello attuale dell’OMC.
Jacky Hénin, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signora Presidente, l’unico punto su cui saremo d’accordo è la necessità urgente di rivoluzionare l’OMC.
L’OMC, come il FMI, è un’organizzazione illegittima, antidemocratica e pericolosa per quanto riguarda l’interesse delle persone. Inizialmente era stata istituita per garantire l’egemonia finanziaria e industriale degli Stati Uniti e dei principali gruppi transnazionali.
L’Unione sì è, ovvio, messa servilmente al servizio di tale sistema, nella speranza di raccogliere qualche briciola dalla tavola del padrone americano. Oggi questo libero scambio sfrenato si è rivoltato contro i suoi fondatori e il centro di gravità economica del pianeta si è spostato verso est e verso l’Asia in particolare, producendo la crisi finanziaria e alimentare più terribile che il mondo abbia mai attraversato.
Non sono pochi i paesi che ieri erano stati classificati come nazioni emergenti, divenuti a loro volta predatori, che rinunciano alla loro strategia predatoria in nome di non si sa quale benevolo obiettivo, con tutta l’organizzazione stessa del commercio internazionale costruita intorno all’OMC che li incoraggia a continuare il cammino. La regola conosciuta da tutti i giocatori è arricchirsi il più velocemente possibile, senza riguardo per i mezzi impiegati, ivi compresa la speculazione sui farmaci o sui prodotti alimentari di prima necessità.
Nell’Unione sono esplose le disparità e la classe media e quella proletaria stanno diventando sempre più povere. La crisi alimentare che colpisce le popolazioni meno abbienti è una diretta conseguenza della politica dell’OMC volta a distruggere le colture di sussistenza a vantaggio delle colture di esportazione. I biocarburanti sono semplicemente un facile capro espiatorio di un sistema mercenario che deve essere rivoluzionato quanto prima.
Desidero cogliere questa opportunità per denunciare le osservazioni irresponsabili del Commissario Mandelson, che ha richiesto un’ulteriore deregolamentazione dei mercati agricoli in un momento in cui il Programma alimentare mondiale sottolinea l’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari e lo definisce, cito, come uno “tsunami silenzioso che minaccia di ridurre alla fame più di 100 milioni di persone”. Il Commissario Mandelson vuole pertanto passare alla storia sotto il vergognoso epiteto di affamatore?
L’OMC deve pertanto essere rivoluzionata al fine di frenare la speculazione e appoggiare i produttori piuttosto che una minoranza di profittatori che traggono vantaggio dai mercati finanziari mondiali, in modo tale da incoraggiare le popolazioni a diventare più indipendenti in termini di prodotti alimentari e di industria, nonché di esortare le nazioni a cooperare piuttosto che a competere.
Derek Roland Clark, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signora Presidente, dalla relazione sembra che l’UE imponga a tutti gli Stati membri di raggiungere un consenso nelle negoziazioni dell’OMC o di giustificare la loro posizione per iscritto. Il Regno Unito pertanto, ad esempio, deve andare d’accordo con il resto dell’UE. Dobbiamo rigar dritto. In parole povere, significa che, riformando l’OMC, la Gran Bretagna sarà obbligata in maggior misura a intrattenere scambi commerciali con tali altri paesi come permesso dall’UE. Ma noi siamo operatori del commercio mondiale. Lo siamo stati per secoli. Abbiamo molta esperienza nel commercio internazionale. Ad esempio, i nostri scambi commerciali con gli USA sono più intensi di quelli di Francia e Germania messi insieme. Ma i paesi dell’UE non sembrano intenzionati a trarre vantaggio dalla nostra esperienza e così ci troviamo già frenati dagli accordi commerciali dell’UE, il che sta distruggendo la reputazione commerciale della Gran Bretagna a livello mondiale. Non ci è permesso di intrattenere sufficienti scambi commerciali con i nostri partner tradizionali del Commonwealth britannico. Non si tratta di scambi commerciali esclusivi. Non cercheremmo di impedire agli altri paesi europei di unirsi a noi nel commercio con i nostri amici del Commonwealth. Andrebbe a vantaggio di tutti gli interessati. I paesi dell’UE prospererebbero e molti paesi del Terzo mondo vedrebbero aumentare il loro tenore di vita. L’OMC è stata istituita al fine di promuovere il commercio e l’amicizia e l’UE continua a ripetere di voler aiutare i più svantaggiati. Bene, un modo per iniziare è ampliare i legami commerciali, anziché tagliarli.
Irena Belohorská (NI). – (SK) Non ci sono molte persone che dubiterebbero dell’importanza dell’OMC, ma non vi è neppure nessuno che avrebbe dei dubbi in merito alla necessità di riformare questa organizzazione, il cui obiettivo principale è combattere la povertà e fornire aiuti ai paesi in via di sviluppo.
La base per la riforma deve essere la relazione dell’onorevole Peter Sutherland. Com’è noto, al momento l’onorevole Sutherland dirige due giganti sovranazionali: BP e Goldman Sachs International. Altri membri della sua squadra sono ex diplomatici, uomini d’affari e docenti universitari, nessuno dei quali è noto per le critiche mosse nei confronti dell’attuale sistema.
Con il dovuto rispetto per tutti questi signori, desidero chiedere: gli interessi di chi protegge la riforma dell’OMC da loro proposta? Proteggerà gli interessi dei paesi in via di sviluppo o gli interessi delle imprese sovranazionali? Che segnale è questo per i paesi meno avanzati e per quelli in via di sviluppo?
Com’è noto a tutti noi, la fiducia è importante nelle questioni economiche così come in quelle politiche. L’OMC non è un’istituzione meramente economica, ma anche politica ed ecco perché è importante la fiducia tra i suoi membri. Tuttavia, le persone nei paesi in via di sviluppo crederanno che i signori delle imprese sovranazionali hanno a cuore il loro bene? Perché fare il gioco degli oppositori dell’OMC e mettere a repentaglio l’immagine di questa istituzione?
Tokia Saïfi (PPE-DE). – (FR) Signora Presidente, in un momento in cui i negoziati nel quadro del ciclo di Doha si disarticolano e ristagnano, la questione del funzionamento dell’OMC è più rilevante che mai.
Non è possibile uscire da questa fase di stasi riformando l’OMC? Mancando un accordo sulla sostanza, è possibile favorire il processo per giungere a tale accordo? Questo rilancio dell’OMC sembra possibile e le permetterà di funzionare e prendere decisioni in modo più efficace.
Sono previsti due livelli di riforme: quelle volte a migliorare la procedura negoziale e quelle volte a migliorare la legittimità dell’OMC, un fattore fondamentale della sua organizzazione. A tale scopo, è importante porre l’accento sulla dimensione parlamentare dell’OMC e trarre il massimo vantaggio da noi, i rappresentanti legittimi dei cittadini, e rendere più trasparenti e democratiche le questioni legate alla globalizzazione.
E’ necessario molto lavoro al fine di garantire la coerenza delle politiche internazionali. Non serve a nulla eliminare gli ostacoli alle frontiere se dietro di esse restano ancora ostacoli agli investimenti, disprezzo per i diritti sociali e violazione delle norme ambientali. Un’OMC efficace è pertanto fondamentali al fine di garantire l’obiettivo di maggiori scambi commerciali e liberalizzazione regolata dai mercati. Con norme, tuttavia, non si intende protezionismo. Infatti la liberalizzazione senza tutele non è la soluzione di tutti i mali, in particolare di quelli che viviamo oggi a causa dell’aumento dei costi delle materie prime agricole e la conseguente diffusione della fame.
La proposta Falconer di ridurre i dazi doganali è pertanto inaccettabile per gli agricoltori europei e avrebbe conseguenze immani sulla produzione agricola dei paesi più poveri.
Inoltre, al fine di concludere il ciclo di Doha, è essenziale riequilibrare i negoziati e giungere ad accordi effettivamente reciproci sull’accesso al mercato. Non siamo ancora pronti a sacrificare la nostra agricoltura e il nostro ruolo nel contribuire alla sicurezza alimentare solo per ottenere, vergognosamente, qualche riduzione dei dazi applicati ai prodotti industriali.
Kader Arif (PSE). – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, accolgo con favore la discussione di questa sera sulla relazione dell’onorevole Muscardini relativa alla riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio.
La crisi alimentare che al momento sta colpendo duramente i paesi in via di sviluppo mostra perfettamente la necessità urgente di una migliore regolamentazione del commercio mondiale, che deve essere portata da un’OMC riformata capace di controllare i prezzi della globalizzazione e di promuovere norme commerciali più eque. Questa crisi è strutturale, non ciclica. E’ un segnale dei gravi problemi che stanno sviando il commercio globale da quello che dovrebbe essere il suo obiettivo principale: garantire lo sviluppo di tutti e in particolare quello dei paesi più poveri del pianeta.
Sono state avanzate diverse teorie nel tentativo di spiegare l’origine di tale crisi e non dubito della loro pertinenza. Ritengo, tuttavia, che dovremmo porci, collettivamente, diverse domande. Questa crisi avrebbe avuto le stesse dimensioni qualora in seno all’OMC fosse stata data maggiore considerazione alle priorità dei paesi in via di sviluppo? Qualora vi fosse stato un migliore coordinamento tra l’OMC e le altre organizzazioni internazionali quali l’UNDP e la FAO? Qualora i nostri accordi sul libero scambio non avessero incoraggiato i paesi in via di sviluppo a specializzarsi in singole colture destinate all’esportazione, a discapito delle loro tradizionali colture di sussistenza e di autosufficienza alimentare? Qualora in seno all’OMC avessimo ascoltato e appoggiato i paesi africani quando hanno richiesto l’inserimento di un’azione sui prezzi dei prodotti di base nell’attuale ciclo di negoziati? A tale proposito, desidero sottolineare che l’articolo 38 del GATT impone a tutti i membri dell’OMC di stabilizzare e migliorare la situazione dei mercati per i prodotti primari, che sono di particolare importanza per i paesi in via di sviluppo.
Al fine di trattare i problemi attuali e migliorare l’efficienza e la legittimità dell’OMC, tale relazione propone diverse misure. Per garantire che le voci, i punti di vista e gli interessi dei paesi in via di sviluppo siano ascoltati di più e, certamente, presi in considerazione, pone l’accento sulla necessità di introdurre un sistema decisionale più democratico e una migliore rappresentanza nel Segretariato dell’OMC, a cui è altresì necessario fornire ulteriori risorse umane e finanziarie.
Al fine di garantire maggiore trasparenza delle discussioni e dei lavori dell’organizzazione, è necessario prevedere una migliore informazione, il dialogo tra l’organizzazione e i rappresentanti della società civile e l’apertura al pubblico degli incontri, in particolare per i procedimenti di risoluzione delle controversie.
Infine, è necessario potenziare la dimensione parlamentare dell’OMC, che garantisce legittimità democratica e trasparenza delle negoziazioni, il che comprende in modo particolare la creazione di un’assemblea parlamentare dell’OMC con poteri consultivi.
Oltre a tali misure, è necessario rivedere gli obiettivi stessi del sistema commerciale multilaterali con l’intenzione di garantire coerenza con le altre organizzazioni internazionali. Solo una riforma impegnata in tal senso ci permetterà di concludere il Ciclo di Doha che sta effettivamente lavorando per lo sviluppo e per il raggiungimento degli obiettivi del Millennio. Desidero sottolineare a tale proposito che il primo di tali obiettivi è l’eliminazione della povertà e della fame dal mondo; purtroppo l’attuale situazione ci ricorda i nostri impegni non mantenuti.
Daniel Dăianu (ALDE). – (EN) Signora Presidente, desidero sottolineare che la riforma dell’OMC deve essere inserita nel rimodellamento dell’intera organizzazione istituzionale che si occupa della governance delle sfide globali.
Guardate semplicemente agli effetti del surriscaldamento globale e alla crisi finanziaria dovuta agli enormi squilibri economici. Il libero commercio deve essere equo. Deve inoltre essere connesso alle politiche che aiutano i paesi poveri a svilupparsi, in particolare mediante l’agricoltura. Il formidabile aumento dei prezzi dei prodotti alimentari incoraggeranno il protezionismo e le restrizioni a meno che in tutto il mondo non ci concentriamo sullo sviluppo della produzione alimentare.
Gli aumenti dei prezzi dei prodotti di base ha peggiorato uno stato di cose generale molto complicato. I prodotti alimentari verranno sempre più visti come una questione di sicurezza nazionale, nei paesi poveri come in quelli ricchi. E’ pertanto necessario esaminare la riforma della PAC, la politica di cooperazione allo sviluppo dell’UE e le politiche in materia di energia, tenendo conto dei drammatici cambiamenti del contesto internazionale.
Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). – (PL) Signora Presidente, signora Commissario, desidero attirare la vostra attenzione su tre questioni nel contesto della presente discussione.
Innanzi tutto, molti paesi, pur essendo membri dell’OMC, non rispettano le norme sociali, ambientali e in materia di benessere animale. I loro costi di produzione sono di conseguenza inferiori. Purtroppo, tuttavia, è allora impossibile competere con prodotti lavorati in tali economie. E’ necessario tener conto di questo aspetto quando si migliorano le possibilità di accesso al mercato europeo per i beni di paesi terzi, altrimenti molti settori manifatturieri europei cesseranno semplicemente di esistere.
In secondo luogo il mercato europeo continua ad aprirsi ai prodotti agricoli di paesi terzi in cambio di agevolazioni a vantaggio di tali paesi sulle esportazioni dall’Europa di servizi e prodotti industriali. Il potenziale agricolo dell’Europa si sta pertanto indebolendo.
Terzo, appoggio pienamente i suggerimenti dell’onorevole Muscardini riguardanti l’istituzione di un’assemblea parlamentare dell’OMC, i cambiamenti alla classificazione dei paesi sviluppati e in via di sviluppo, la necessità di una più stretta collaborazione tra l’OMC e l’ONU e la deroga al principio del consenso in particolare a livello di commissioni e gruppi di lavoro all’interno del quadro dell’OMC.
Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL). – (NL) Signora Presidente, desidererei molto parlare a lungo delle mie idee in merito alla riforma dell’OMC, ma preferisco invece porre alla Commissione alcune domande specifiche alle quali desidererei una risposta. Le domande illustrano i punti che abbiamo preso in considerazione nel corso della discussione sulla riforma dell’OMC, oltre alle riforme procedurali, quali la trasparenza, che sono già state menzionate.
Nel contesto del cambiamento climatico, vi è sempre maggiore pressione a utilizzare i biocarburanti. In questa sede non voglio entrare nel merito del dibattito per capire se sia positivo o negativo, ma sollevo le seguenti domande relative agli obblighi dell’Unione europea nel quadro dell’OMC. Il pacchetto dell’UE sul cambiamento climatico contiene diversi criteri ambientali che i biocarburanti devono rispettare. Tuttavia, io e molti miei colleghi desiderano vedere applicati criteri sociali, quali il minimo salariale e la prevenzione del lavoro minorile. Ciò è compatibile con i requisiti dell’OMC? Se non lo è, non ci troviamo allora in una posizione che ci obbliga ad accettare il lavoro minorile e a essere sottopagati? Ho un’altra domanda relativa al commercio di alimenti contenenti OGM. Ritengo che il Protocollo di Cartagena lasci agli Stati membri la decisione di approvare o meno gli OGM. Ciò è compatibile con l’OMC e, se non lo è, come intendete risolvere la questione? Il Parlamento ha indicato che la maggioranza dei suoi membri si oppongono al commercio di pelli di foca. Il Canada minaccia ora di contestare tale posizione attraverso l’OMC. Come ritiene che possano essere sostenuti i desideri della maggioranza della popolazione dell’UE in merito a tale questione? Ritengo che questi punti siano molto importanti e che vadano presi in considerazione nel corso della riforma.
Patrick Louis (IND/DEM). – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, gli scambi commerciali tra le nazioni sono una cosa buona. Il libero commercio è auspicabile, ma oggi il mondo è cambiato e le regole dell’OMC sono inadatte e in molti casi devono essere modificate.
La natura effettiva del commercio internazionale è cambiata. In passato il commercio si basava sulla complementarietà: si cercava quello che non si aveva e si esportavano le eccedenze. Tale ordine ha fatto prosperare le nazioni. Ma oggi primeggia il dumping sociale. Si abbandona quello che si sa fare per importare ciò che qualcun altro produce a prezzi inferiori, non perché sia più produttivo, ma perché comporta costi, tasse e obblighi sociali inferiori.
Quest’ordine dell’OMC permette ai paesi poveri, ai meno abbienti nei paesi ricchi, di rendere i ricchi dei paesi poveri ancora più ricchi. Si basa sempre meno sulla solidarietà o su accordi di reciprocità tra le nazioni; si tratta piuttosto di un ordine che distrugge le nazioni stesse e che crea un conflitto tra vincitori e vinti.
E’ necessario pertanto modificare le regole dell’OMC. Devono restaurare la preferenza comunitaria e rinnovare lo spirito del Trattato di Roma, che istituiva la tariffa doganale comune. Non si trattava di una protezione eccessivamente cauta, bensì di un’equa compensazione di fronte al dumping sociale. I padri fondatori non avevano sempre torto. L’OMC deve includere nella sua valutazione degli obblighi commerciali le fluttuazioni errate dei tassi di cambio. E’ inammissibile che lo yuan resti così basso mentre il paese ha un’eccedenza commerciale estera così elevata. E’ scandaloso che l’EADS perda un miliardo di euro ogni volta che il dollaro perde 10 centesimi contro un euro ideologico.
In conclusione, il futuro di un commercio veramente libero ci ricorda che abbiamo molto da fare prima di poterci rilassare. Da un lato dobbiamo ristabilire le frontiere come condizione della politica e pertanto la libertà dei popoli; dall’altro dobbiamo subordinare la politica monetaria e quella finanziaria all’economia reale, all’economia produttiva, dato che è l’unica a permettere ai popoli di vivere qui in libertà.
Jim Allister (NI). – (EN) Signora Presidente, l’OMC ha molti difetti, ma senza dubbio il più ridicolo è l’ingiusto vantaggio dato a Cina, India e Brasile conferendo loro il favorevole status di paesi in via di sviluppo. Una volta erano economie emergenti, ma oggi sono decisamente emerse e possono competere con le economie più forti. Sono senza dubbio così affermate da essere leader mondiali in molti settori. Eppure, inspiegabilmente, offriamo loro un giro gratis come paesi in via di sviluppo, accettando di conseguenza da parte loro norme e impegni inferiori.
Non c’è da meravigliarsi che i miei elettori spesso ritengano che l’OMC non soddisfi o non serva i loro interessi, sensazione accentuata quando vedono il Commissario Mandelson fare una concessione dopo l’altra senza pari relativamente a questioni agricole.
Signora Commissario, ottenere il giusto accordo è più importante di ottenere un accordo. Non si tratta del giusto accordo se la nostra industria agroalimentare verrà spazzata via da una marea montante di importazioni a basso costo da paesi ai quali accordiamo un trattamento più favorevole di quanto non necessitino le loro solide capacità economiche.
Zbigniew Zaleski (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, un’istituzione che non funziona adeguatamente deve essere riformata al fine di garantire che serva correttamente tutte le parti interessate e i consumatori. Siamo a favore del libero scambio, ma purtroppo è spesso accompagnato dalla tentazione di soccombere all’avidità. Con la liberalizzazione degli scambi è necessario istituire un meccanismo di controllo, il che costituisce lo scopo di un’Organizzazione mondiale del commercio solida che opera nel modo corretto. Oggi il commercio internazionale è diventato così rapido e vario e si è sviluppato a un punto tale che si è reso necessario un buon coordinamento. Il Parlamento europeo non può stare a guardare senza far nulla. Nel profondo del mio cuore ritengo pertanto che il lavoro dell’onorevole Muscardini sulla riforma di quest’organizzazione servirà a soddisfare tali aspettative e porterà a un organismo internazionale capace di guidare gli scambi commerciali lungo un percorso chiaro e ben definito.
David Martin (PSE). – (EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Muscardini per la sua eccellente relazione.
L’OMC ha ancora un ruolo significativo a livello mondiale e tutt’ora lo svolge bene, ma necessita di essere modernizzata e riformata. Ritengo che una delle riforme fondamentali sia di portare la democrazia parlamentare nell’OMC. Necessitiamo di un’assemblea parlamentare che si incontri con regolarità e che controlli i lavori che procedono attorno al tavolo negoziale dell’OMC.
Dobbiamo anche aggiornare le regole dell’OMC al fine di garantire che la sostenibilità ambientale e il cambiamento climatico siano presi in maggiore considerazione nelle negoziazioni dell’OMC e che all’interno di tali negoziazioni siano altresì incluse le clausole sociali e le condizioni di lavoro. In particolare desidero che l’OIL sia più strettamente collegata al lavoro dell’OMC di quanto non sia attualmente.
In termini di relazione nel suo complesso, appoggio decisamente il lavoro compiuto dall’onorevole Muscardini nella commissione per il commercio internazionale.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, il mercato comune e il commercio senza restrizioni costituiscono i prerequisiti fondamentali per lo sviluppo economico. L’espressione “senza restrizioni” non significa tuttavia non regolato e non munito dei principi che determinano le condizioni di scambio commerciale mentre prevedono la competitività. La necessità di un’adeguata regolamentazione degli scambi commerciali a livello mondiale è particolarmente forte nel contesto della globalizzazione. Ecco perché è così importante il ruolo dell’Organizzazione mondiale del commercio, che è un ampio organismo che riunisce più di 150 paesi membri. L’OMC sarà in grado di agire con maggiore efficacia qualora le sue competenze saranno definite chiaramente e limitate alla politica commerciale.
La chiarezza e la competitività comportano la garanzia che il processo produttivo rispetti standard stabiliti e requisiti di qualità relativi ad esempio alla tutela ambientale, alle condizioni salariali e di lavoro e al benessere animale. La competitività non si misura esclusivamente in termini di prezzi e di costi di produzione. Dato che concludo, desidero dire che la riforma dell’OMC costituisce un’espressione della volontà di collaborare negli interessi dello sviluppo e al fine di combattere la povertà.
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, desidero fare le mie congratulazioni per questa relazione a tutte le persone coinvolte, in particolare alla relatrice.
Vedo – e cito liberamente dalla motivazione della relazione – che l’analisi dell’intera Organizzazione mondiale del commercio, che la commissione per il commercio internazionale sta per intraprendere, si baserà fortemente sulle considerazioni finali della relazione Sutherland, che, per molti anni, è rimasta a languire coperta di polvere su una mensola. Apparentemente, allora, quando la commissione avrà elaborato la sua propria relazione, spetterà alla Commissione europea il compito di prendere a Ginevra le iniziative necessarie a portare avanti i miglioramenti raccomandati.
Quale garanzia abbiamo che qualsiasi nuova relazione riceva azioni ulteriori rispetto all’eccellente relazione Sutherland? Le considerazioni sull’ambiente e il cambiamento climatico rientreranno in un nuovo pacchetto dell’OMC? Relativamente al punto già fatto nella relazione in merito alla mancanza di omogeneità tra i paesi in via di sviluppo e all’attuale posizione di Cina, Brasile e India, distingueremo più chiaramente a tale livello tra i diversi stadi di sviluppo?
La mia ultima domanda è: la sicurezza alimentare regionale per tutte le regioni sarà una considerazione legittima?
Androula Vassiliou, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare gli onorevoli deputati per i loro suggerimenti e osservazioni, di cui si terrà conto nel corso delle riflessioni della Commissione riguardo alla riforma dell’OMC.
La Commissione condivide molte delle preoccupazioni espresse nel corso della discussione ed effettivamente appoggia molte delle proposte avanzate nella relazione dell’onorevole Muscardini. Ciononostante si deve riconoscere che alcune di esse incontreranno una forte resistenza, ma senza dubbio la Commissione le promuoverà.
La Commissione appoggia pienamente in particolare la richiesta di coerenza tra l’OMC e le altre organizzazioni internazionali e la richiesta di maggiore trasparenza, così come di un ruolo potenziato per i parlamenti, in particolare nella revisione della politica commerciale e di monitoraggio. La Commissione condivide anche l’opinione che un’OMC forte sia nell’interesse dei paesi in via di sviluppo.
Desidero anche rispondere alle osservazioni dell’onorevole Liotard, che vanno oltre la riforma dell’OMC. A questo stadio non posso entrare nei dettagli, ma desidero garantirle che siamo già impegnati con i nostri partner in merito al lavoro minorile e alle altre questioni correlate e che appoggiamo la cooperazione tra l’OIL e l’OMC.
Infine, desidero dire che riferirò senza dubbio le vostre osservazioni al mio collega, il Commissario Mandelson, in modo tale che ne tenga pienamente conto nel corso delle discussioni con gli altri membri dell’OMC.
Cristiana Muscardini, relatrice. − Signor presidente, onorevoli colleghi, grazie alla Commissione per l’apprezzamento svolto nel lavoro in commissione e grazie al conforto del relatore della commissione sviluppo e della commissione economica e dei molti colleghi intervenuti in quest’Aula. Di questo conforto politico e diciamo tecnico io mi avvalgo oggi, questa sera, per risottolineare alla Commissione la necessità di non porre tempo in mezzo perché guai a coloro che hanno tempo e che questo tempo sprecano! Cioè è vero il Doha può finalmente trovare una soluzione, ma troppe volte in questi anni questa soluzione è stata rimandata e se oggi c’è una gravissima crisi alimentare, dobbiamo anche ricordarci che una certa responsabilità è anche di alcuni tecnici, anche dell’Unione europea, che in certi lontani periodi immaginarono scenari diversi per l’emergenza agricola ed alimentare.
Se noi vogliamo evitare lo scontro tra i paesi veramente poveri e in via di sviluppo e i paesi che si sono già sviluppati, se vogliamo rendere equo il mercato – e il mercato può essere equo e libero solo attraverso delle regole – noi abbiamo la necessità di avere coraggio perché, se vogliamo difendere il concetto di lavoro dignitoso e se vogliamo rendere celeri i contenziosi, non possiamo accettare di rimandare ancora una volta.
La commissione per il commercio internazionale è cosciente delle difficoltà esistenti per un progetto di riforma dell’OMC, dove certi equilibri sono consolidati da tempo, ma anche cosciente che l’OMC, per allinearsi alle aspettative che provengono da più parti e diventare una moderna organizzazione del terzo millennio, deve in qualche modo avere la pretesa e il coraggio di procedure sulle vie della riforma. Alla Commissione il compito di raccogliere e fare proprie queste nostre riflessioni, che domani il Parlamento europeo a larga maggioranza formalizzerà in una richiesta politica.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione di terrà domani alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Kathy Sinnott (IND/DEM), per iscritto. – (EN) Nel 2001, i negoziati del ciclo di Doha avevano l’obiettivo di ridurre le barriere commerciali in tutto il mondo, permettendo liberi scambi tra paesi caratterizzati da diversa prosperità.
Nel 2005, l’UE ha tagliato i prezzi offerti ai coltivatori europei di zucchero di circa il 40 per cento a causa della decisione dell’Organizzazione mondiale del commercio di contribuire ad avvantaggiare i paesi più poveri sul mercato globale, quali Australia, Brasile e Thailandia. Purtroppo ciò ha avuto un effetto estremamente negativo sui paesi dell’Unione europea, quali l’Irlanda, la cui industria dello zucchero è stata distrutta, e sulle nazioni produttrici di zucchero più povere dei paesi Africa-Caraibi-Pacifico, come Mauritius, Belize e Figi.
Ancora oggi nel 2008, molti di questi paesi più poveri, che hanno subito l’impatto della ristrutturazione del settore dello zucchero dell’UE, stanno ora affrontando disordini civili a causa del prezzo di prodotti fondamentali, quali il riso e il mais, che non si possono più permettere perché sono venute a mancare loro le entrate derivanti dallo zucchero.
Prima di accogliere nuove misure di smantellamento sulla protezione del commercio, dovremmo eseguire un’onesta valutazione d’impatto sull’effetto che l’UE potrebbe avere sui suoi vicini più poveri in modo tale che nessun altro cambiamento di questo tipo sia nuovamente distruttivo.
14. Accordo di libero scambio con il Consiglio di cooperazione del Golfo (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale dell’onorevole Helmuth Markov, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sugli sviluppi recenti nei negoziati sugli accordi di libero scambio tra Unione europea e Consiglio di cooperazione del Golfo (O-0032/2008 –B6-0020/2008).
Androula Vassiliou, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, qualcuno potrebbe dire che i negoziati sugli accordi di libero scambio con i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo sono durati per 17 anni. In effetti è solo dal 2002 che se ne discute la sostanza. Noi, in Commissione, ma anche i rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio, ci auguriamo di concludere i negoziati più presto che tardi. Sappiamo che l’accordo di libero scambio contribuirà a intensificare le relazioni tra le nostre regioni. Nel 2007 i negoziati sugli accordi di libero scambio sono stati condotti a un ritmo accelerato e sono culminati nella visita del Commissario Mandelson a Doha del dicembre 2007, dando un significativo impulso politico. Abbiamo compiuto buoni progressi in merito a tutti i capitoli e siamo più vicini che mai a un accordo.
Vi sono, tuttavia, alcune questioni in sospeso, che sono importanti per garantire un effettivo accesso preferenziale dell’UE al mercato del CCG e nessuna discriminazione rispetto ad altri. Tali questioni riguardano i dazi all’esportazione, alcune eccezioni nell’area dei servizi energetici, in particolare da parte degli EAU, e alcune disposizioni orizzontali dell’accordo, quali la concorrenza e la proprietà intellettuale. A gennaio è stato cancellato un ciclo di negoziati. Da allora non vi è stato affatto alcun riscontro da parte del CCG. Ora ci auguriamo che il prossimo ciclo sia a inizio maggio, contemporaneamente all’incontro della commissione congiunta UE-CCG, programmata per il 6 maggio.
Il nostro obiettivo resta quello di compiere progressi nel corso del prossimo ciclo e di concludere quanto prima i negoziati, se tutto va come deve nei primi mesi della presidenza francese. L’accordo di libero scambio ha lo scopo di creare una relazione preferenziale tra l’UE e il CCG, in linea con i principi e le regole dell’OMC. Porterà di conseguenza alla liberalizzazione fondamentalmente di tutti gli scambi commerciali tra le parti. Ha altresì lo scopo di sostenere gli Stati membri del CCG nelle loro politiche di diversificazione economica, incoraggiando ulteriori riforme economiche e offrendo la possibilità di portare maggiori investimenti stranieri, oltre al maggiore dinamismo degli investimenti verso l’interno della regione.
L’accordo di libero scambio comprende impegni significativi sul commercio di servizi e investimenti di entrambe le parti e accesso reciproco ai mercati degli appalti pubblici, anche nei settori dell’energia e dei trasporti. Copre programmi ambiziosi di liberalizzazione dalle tariffe, anche nel settore chimico. Da ultimo, ma non per importanza, copre gli ambiti non tariffari, quali gli ostacoli tecnici al commercio, le norme sanitarie e fitosanitarie o i diritti di proprietà intellettuale.
Quest’Assemblea ha espresso la sua preoccupazione per il fatto che l’accordo di libero scambio in corso di negoziazione con il Consiglio di cooperazione del Golfo non contiene clausole sulle norme ambientali, sociali e in materia di diritti umani. Lasciate pertanto che chiarisca innanzi tutto che l’attuale progetto di accordo di libero scambio UE-CCG comprende diverse clausole non commerciali – su diritti umani, migrazione, lotta al terrorismo e non proliferazione delle armi di distruzione di massa. Tali clausole sono state concordate qualche anno fa con il CCG. In occasione dell’ultimo ciclo è tuttavia emerso che il CCG aveva alcune domande in sospeso sulla forma della clausola di sospensione connessa all’applicazione di elementi politici fondamentali dell’accordo. Oltre a tali clausole, il preambolo dell’accordo si riferisce alla necessità di potenziare il processo di sviluppo economico e sociale nei paesi CCG e al contempo di tutelare l’ambiente. Si riferisce inoltre al fatto che le parti non devono incoraggiare gli investimenti esteri diretti abbassando o rilassando le norme interne in ambito ambientale o in materia di etichettatura. Prevede anche consultazioni qualora sembri che una misura proposta o effettiva non sia coerente con tali principi.
I negoziati sull’accordo di libero scambio UE-CCG hanno tenuto conto dei risultati e delle conclusioni di uno studio per la valutazione d’impatto in termini di sostenibilità condotto tra il 2001 e il 2004. Era il caso, in particolare, di settori che i consulenti avevano identificato come fondamentali per uno sviluppo economico maggiormente sostenibile nel CCG, in particolare i servizi e alcuni settori industriali. Oltre alla richiesta di quest’Assemblea, a febbraio abbiamo stabilito le direttive in materia di negoziato sull’accordo di libero scambio UE-CCG, ivi compresi tutti gli aggiornamenti conformemente alle procedure concordate e nel rispetto degli obblighi di riservatezza.
Desidero infine sottolineare soltanto che il Parlamento europeo è stato aggiornato regolarmente sullo stato di avanzamento dei negoziati sull’accordo di libero scambio UE-CCG e che la Commissione europea continuerà a tenerlo aggiornato.
Tokia Saïfi, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signora Presidente, la conclusione dell’accordo di libero scambio tra la Comunità europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo è oggetto di negoziati dal 1988 e sembrerebbe che presto verranno conclusi una volta per tutte.
Accolgo con favore i recenti progressi, perché la conclusione di un accordo di libero scambio è essenziale al fine di incrementare e regolare gli scambi commerciali tra l’Unione europea e gli Stati del Golfo. Dovrebbe pertanto avviare una nuova era, più dinamica, di cooperazione in diversi ambiti strategici tra due regioni che sono di reciproca importanza vitale, ma le cui relazioni mancavano di sostanza.
L’accordo di libero scambio deve contribuire a smantellare le barriere non tariffarie e a eliminare tutte le sovvenzioni e la compensazione pubblica, in particolare per l’accesso delle materie prime, conformemente alle attuali regole dell’OMC. Le opportunità e le sfide poste dall’importanza crescente dei fondi sovrani devono essere oggetto di un esame approfondito, del dialogo e della cooperazione costruttiva tra il Parlamento europeo e gli Stati del Golfo.
L’obiettivo in questo caso è mantenere un ambiente aperto agli investimenti ma che al contempo li renda più trasparenti. I gestori di tali fondi devono pertanto essere in grado di fornire al mercato le informazioni aggiuntive sull’origine delle loro risorse, nonché sui loro obiettivi e strategie di investimento. L’Europa deve tuttavia garantire anche di poter attirare tali fondi, che generano crescita, innovazione e occupazione, di fronte alla forte concorrenza internazionale, al fine di attrarre capitale produttivo.
La conclusione dell’accordo di libero scambio incoraggerà gli Stati del Golfo a essere maggiormente ricettivi dal punto di vista dei loro partner europei e di metterci in condizione, pertanto, di diversificare e accelerare i nostri scambi e il nostro commercio.
Carlos Carnero González, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signora Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare la signora Commissario per le sue delucidazioni e affermare immediatamente che il gruppo socialista al Parlamento europeo ritiene che la firma dell’accordo di libero scambio con il Consiglio di cooperazione del Golfo sia un obiettivo che condividiamo.
Dobbiamo infatti sottoscriverlo quanto prima, il che andrà a vantaggio dell’Europa e dei paesi che fanno parte del CCG. E’ altresì vero, tuttavia, che il mandato per negoziare tale accordo è piuttosto datato. E’ un mandato che non contiene le clausole necessarie a concentrarsi sulle questioni fondamentali odierne, quali i diritti umani, l’occupazione o l’ambiente.
Sono pertanto lieto che la signora Commissario ci abbia detto che l’Esecutivo intende fare tutto ciò che è in suo potere per inserire tali questioni nell’accordo, che sarebbe altrimenti assolutamente incomprensibile, perché non si tratta solo di scambi economici o commerciali.
Siamo tutti consapevoli del fatto che tali paesi sono importanti dato che dispongono di una delle più grandi fonti di benessere del pianeta, il petrolio, componente essenziale delle nostre società moderne.
Tali paesi, tuttavia, non dispongono solo di petrolio. Dispongono di persone, uomini e donne; uomini e donne nati in tali paesi e altri uomini e donne che vengono da altri paesi per lavorare. Ritengo che in tali Stati i diritti umani non siano rispettati come dovrebbero, ad esempio, in termini di libertà di espressione o di libertà di associazione. In merito alla mancanza di parità delle donne, non possiamo che provare vergogna e indignazione quando, ad esempio, leggiamo notizie, quali le relazioni di Human Rights Watch, che affermano che le donne in alcuni di tali paesi necessitano del permesso di un cosiddetto “guardiano”, che può essere il padre, il marito o persino un figlio, per lavorare, viaggiare, studiare o addirittura per accedere ai servizi sanitari, il che è semplicemente inaccettabile, completamente inaccettabile.
Tuttavia potremmo senza dubbio parlare anche della situazione che è stata precedentemente menzionata degli immigrati che lavorano in tali paesi, che costituiscono una grande forza lavoro. I loro diritti sono o non sono garantiti? Quali sono, inoltre, le preoccupazioni ambientali di importanti paesi produttori di petrolio quali sono gli Stati del CCG? Sono interessati al cambiamento climatico o al prezzo del petrolio greggio?
Va detto con amicizia, ma in tutta chiarezza. E’ per questo motivo che siamo lieti che la risoluzione che voteremo domani abbia finalmente incluso paragrafi importanti come i paragrafi 17 e 19, di cui ci sentiamo coautori, che si riferiscono, ad esempio, ai diritti umani in quanto oggetto di una clausola che deve costituire una parte fondamentale dell’accordo di libero scambio da sottoscrivere con il Consiglio di cooperazione del Golfo, o alla necessità che le parti ratifichino le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
Abbiamo anche proposto emendamenti aggiuntivi, che ci auguriamo possano essere appoggiati dai diversi gruppi, rafforzando di conseguenza tali questioni. Dobbiamo tuttavia stare attenti a non inviare ai nostri alleati un messaggio sbagliato: i diritti umani devono essere difesi a prescindere dalla presenza o meno del petrolio.
Ramona Nicole Mănescu, a nome del gruppo ALDE. – (RO) Tenuto conto della mia recente visita alla regione insieme alla delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con gli Stati del Golfo, la discussione in merito ai negoziati sull’accordo di libero scambio tra la Comunità europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo ha catturato la mia attenzione.
Gli argomenti discussi nel corso degli incontri interparlamentari comprendevano anche i negoziati di tale accordo.
I rappresentanti del CCG hanno dichiarato che gli europei esercitavano pressione per ottenere l’accesso illimitato a diverse opportunità di investimento, mentre il CCG è interessato non solo ad acquisire capitale, ma anche al bisogno di tecnologia e di know-how nell’ambito della gestione.
Da un lato i negoziati avviati avrebbero dovuto essere completati nel 2006, ma osserviamo che proseguono e le ragioni sono imputabili a entrambe le parti.
L’Unione europea ritiene che i membri del CCG manchino di coordinamento e riforme e questi ultimi si lamentano di un interminabile elenco di requisiti che sono tenuti a rispettare.
Alcuni dei più importanti sono stati ricordati dal Commissario per il commercio, Peter Mandelson: accesso al mercato, segnalazione dell’origine dei prodotti, licenze governative, misure per proteggere gli investimenti, nonché i criteri per la loro garanzia all’interno del CCG.
Per questo motivo, ritengo che, con la conclusione dell’accordo di libero scambio, entrambe le parti si impegnerebbero ufficialmente nella cooperazione economica con importanti vantaggi reciproci: sviluppo della cooperazione energetica, sviluppo economico e tecnologico della regione e, implicitamente, maggiore impatto sulla protezione ambientale, creazione di un mercato comune e aumento degli investimenti europei sono solo alcuni di essi.
D’altro canto, nella regione è in corso una sensibile discussione sul problema del rispetto dei diritti umani. L’Unione ricopre un ruolo molto importante nell’economia internazionale, ma, al contempo, è anche uno dei principali promotori del rispetto dei diritti umani fondamentali.
Le discussioni che ho tenuto con i rappresentanti delle ONG più attive nella regione hanno rivelato molto chiaramente l’opportunità fornita dai negoziati sull’accordo di libero scambio al fine di esercitare pressione sugli Stati del Golfo per fornire maggiori libertà civili e politiche ai cittadini di tali paesi.
Per tale ragione, quando si negoziano questioni economiche, si deve dare implicitamente maggiore attenzione alle leggi relative al rispetto dei diritti dei lavoratori immigrati e delle donne.
Caroline Lucas, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, il mio gruppo appoggia fermamente l’appello alla Commissione di fornire al Parlamento maggiori informazioni circa i negoziati dell’accordo di libero scambio e in particolare di trasmettere l’attuale mandato negoziale e una valutazione d’impatto aggiornata in termini di sostenibilità.
Siamo a favore anche dell’accento posto sulla necessità di un capitolo forte sullo sviluppo sostenibile nel quadro dell’accordo di libero scambio, dati gli scarsi risultati ottenuti dagli Stati del Golfo relativamente alle norme sociali e ambientali. Questo è quanto ci preoccupa circa i suggerimenti della DG Commercio per cui, dato che i negoziati sull’accordo di libero scambio con gli Stati del Golfo sono stati avviati molto tempo fa, quando le questioni relative allo sviluppo sostenibile erano in apparenza meno rilevanti, ora è in qualche modo troppo tardi per caricare i negoziati di nuove questioni, come le clausole sui diritti umani.
Ritengo che vada detto che ciò è politicamente inaccettabile e ci auguriamo che la DG Commercio ricorderà che il Parlamento dovrà dare il suo assenso ai risultati finali dei negoziati.
Ma oltre alle nostre preoccupazioni circa le norme ambientali e sociali degli scambi commerciali all’interno della regione del Golfo, dobbiamo chiedere più attentamente quale tipo di commercio intende liberalizzare un accordo di libero scambio con il Golfo. Certamente sappiamo che l’interesse dell’UE riguarda l’accesso illimitato alle risorse energetiche, riguarda l’eliminazione di qualsiasi ostacolo al commercio, come le tasse all’esportazione o le restrizioni quantitative. Senza dubbio sappiamo che l’UE sta cercando di estromettere attraverso la concorrenza altre economie industrializzate ed emergenti al fine di ottenere le migliori condizioni di accesso, nonché che l’UE vede aumentare i prezzi dell’energia e vuole vendere di più alla regione al fine di compensare il suo bilancio commerciale. Certamente ciò non è assolutamente coerente con gli obiettivi dichiarati dell’UE in merito alla sua politica relativa al cambiamento climatico.
Ma proviamo semplicemente a immaginare uno scenario diverso: che l’UE non cerchi di equilibrare le sue relazioni commerciali attraverso una liberalizzazione totale, ma che utilizzi l’incentivo del disequilibrio commerciale al fine di promuovere lo sviluppo e l’applicazione dell’energia rinnovabile; che l’UE non partecipi alla corsa internazionale per assicurarsi l’accesso al petrolio, ma che insista sugli accordi internazionali perché tutti i paesi ricevano una quota equa di risorse globali in calo.
Paragonata a uno scenario ambizioso di questo genere che desidereremmo si realizzasse, l’insistenza del Parlamento per un capitolo sullo sviluppo sostenibile da inserirsi all’interno dell’accordo di libero scambio è assolutamente il minimo di cui abbiamo bisogno per decidere se quest’Assemblea può dare il proprio assenso al futuro accordo oppure no.
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, l’importanza di concludere un accordo di libero scambio adeguatamente funzionante non può essere ingigantita. E’ dagli anni ottanta che aumentano le esportazioni dell’UE verso gli Stati membri del CCG. Il CCG è attualmente il sesto mercato più grande delle esportazioni dell’UE e l’UE è il primo partner commerciale del CCG. Nel 2005 le esportazioni UE verso il CCG ammontavano a circa 50 miliardi di euro, contro i 37 miliardi di euro circa delle esportazioni UE dal CCG.
La Commissione si aspetta che il volume degli scambi raddoppi subito dopo la firma dell’accordo. Inoltre, per la prima volta, per come la vedo io, l’accordo proposto prevede clausole su diritti umani, non proliferazione e lotta al terrorismo, il che è senza dubbio da accogliere con favore.
Vi è purtroppo stato un lungo ritardo nel giungere a un accordo e quando, nel febbraio 2007, il Commissario Mandelson ha visitato la regione, ha dato impulso all’accordo di libero scambio, come ha detto lei, signora Commissario, se la sto citando correttamente.
Mi risulta, tuttavia, che egli abbia affermato pubblicamente, quando si trovava nella regione, che incolpava il protezionismo arabo del Golfo in quanto lo considerava una delle causa del ritardo della firma dell’accordo di libero scambio. Ritiene ancora la Commissione che sia così e ritiene che sia questo il genere di linguaggio da utilizzare per promuovere gli accordi internazionali?
Nonostante i contrattempi nel raggiungere un accordo commerciale, gli Stati membri del CCG si stanno impegnando in modo positivo con la Commissione in merito all’armonizzazione delle normative sulla sicurezza aeroportuale. Attualmente, i passeggeri che acquistano prodotti esenti da dazio e che si spostano all’interno del Golfo o nell’Unione europea potenzialmente potrebbero vedere i loro beni confiscati a causa delle attuali restrizioni sui liquidi per la sicurezza aeroportuale.
Ma fortunatamente diversi Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo si sono impegnati con la Commissione facendo domanda per il riconoscimento delle norme di sicurezza nel quadro del regolamento (CE) n. 915/2007, il che, mi risulta, permetterà ai passeggeri provenienti da paesi terzi di spostarsi con i loro acquisti esenti da dazio, a patto che il paese sia stato riconosciuto come sicuro. Attraverso tale domanda, questi paesi hanno istituito con successo una cooperazione tecnica e pratica con l’UE e ci si dovrebbe complimentare con la Commissione per aver intrapreso azioni in questo ambito.
Tale esempio di cooperazione pratica incoraggia più ampi accordi di libero scambio che potrebbero entrare in vigore in futuro. Desidero tuttavia vedere tale cooperazione e tali accordi accelerati ed estesi.
Un accordo di libero scambio deve altresì costituire un modo per promuovere la cooperazione scientifica con gli Stati del Golfo e di conseguenza appoggiare lo sviluppo sostenibile nella regione. Al momento la cooperazione scientifica tra l’Europa e gli Stati del Golfo è molto scarsa, sebbene il potenziale potrebbe essere enorme.
La cooperazione nelle scienze è particolarmente importante quando si tratta di cambiamento climatico e politica energetica. L’Unione europea attualmente importa circa il 50 per cento del suo fabbisogno energetico, di cui circa il 20 per cento dal Golfo.
Si deve potenziare un accordo di libero scambio nell’ambito della lotta al cambiamento climatico e pertanto accolgo con favore lo studio di fattibilità programmato dalla Commissione in questo settore.
David Martin (PSE). – (EN) Signora Presidente, desidero iniziare dagli aspetti positivi. Innanzi tutto desidero esprimere pubblicamente i miei ringraziamenti a David O’Sullivan, il direttore generale per il commercio, che ha risposto in modo rapido e positivo alla nostra richiesta di mandati negoziali. Li abbiamo ricevuti nel giro di circa una settimana da quando è venuto in commissione e gli abbiamo chiesto di fornirci tali mandati.
Accolgo inoltre con favore i progressi significativi che si stanno compiendo nel corso di tali negoziati e riconosco, così come hanno già fatto altri, che ciò dovrebbe aprire gli Stati del Golfo agli scambi commerciali con l’UE ed essere positivo per il commercio europeo.
Accetto anche senza riserve che qualsiasi accordo di libero scambio che negoziamo costituirà un miglioramento dell’accordo di cooperazione del 1989 e, come lei ci ha ricordato, signora Commissario, e come l’onorevole Doyle ha appena ripetuto, accolgo con favore il fatto che l’accordo di libero scambio contenga diverse clausole non commerciali su temi, quali diritti umani, migrazione, lotta al terrorismo e non proliferazione delle armi di distruzione di massa.
Tuttavia non mi rammarico del fatto che le clausole sociali, ambientali e sulle condizioni di lavoro che stiamo negoziando con gli Stati del Golfo siano significativamente più deboli rispetto a quelle che stiamo negoziando nel corso del nostro attuale ciclo di accordi di libero scambio. Non accetteremmo, ad esempio per i negoziati con la Corea o con l’ASEAN, le norme che sembriamo pronti ad accettare per gli Stati del Golfo.
La Commissione ci ha già detto – e potremmo averlo anticipato – che ciò accade perché negoziamo sulla base di un vecchio mandato negoziale, un mandato che non è stato aggiornato dal 2001. Ciò che non ho sentito da nessun membro della Commissione, che sia il Commissario responsabile, che sia il direttore generale per il commercio o il Commissario presente in Aula stasera, è perché stiamo ancora negoziando sulla base di un vecchio mandato. E’ difficile non sospettare che la Commissione ritenesse che sarebbe stato troppo difficile negoziare con gli Stati del Golfo le attuali clausole di sostenibilità e di sviluppo nonché le clausole sulle condizioni di lavoro. Parimenti, perché la valutazione d’impatto in termini di sostenibilità non è stata aggiornata dal 2004? Anche in questo caso, non ho ancora sentito motivazioni convincenti in proposito.
Devo dire di essere particolarmente preoccupato – l’onorevole Carnero ha accennato alla situazione delle donne ed è una preoccupazione che condivido – ma sono particolarmente preoccupato circa i diritti dei lavoratori immigrati negli Stati del Golfo. Certo queste persone costituiscono la maggioranza della forza lavoro negli Stati del Golfo e non vedo in che modo, quale che sia, essi siano protetti da questo accordo di libero scambio. Cosa farà la Commissione per garantire che le norme fondamentali dell’OIL in merito ai lavoratori immigrati siano rispettate dagli Stati del Golfo ?
Infine, signora Commissario, la sua collega, il Commissario Ferrero-Waldner, la scorsa settimana ha incontrato la Bahrain Human Rights Society, che ha sollevato con lei diverse cause di preoccupazione riguardanti i diritti umani e i lavoratori immigrati. Il Gulf Daily News ha citato la sua dichiarazione in cui dava il suo pieno appoggio alle clausole sui diritti umani in qualsiasi accordo di libero scambio. Come ha in programma la Commissione di attuare tale promessa?
Kader Arif (PSE). – (FR) Signora Presidente, come è già stato affermato, l’Unione europea negozia la conclusione di un accordo di libero scambio con il Consiglio di cooperazione del Golfo da circa 20 anni.
Da allora il mandato negoziale della Commissione è stato modificato appena e senza dubbio non è stato aggiornato adeguatamente. Il risultato è una situazione in qualche modo sorprendente in cui l’Unione, per i suoi negoziati con i paesi del Golfo, non utilizza gli stessi criteri di cui si avvale con i suoi altri partner commerciali, quali la Corea o i paesi membri dell’ASEAN. In particolare il mandato negoziale non prevede affatto l’inclusione nel futuro accordo di alcuna clausola sulle norme sociali né alcun ambizioso capitolo sullo sviluppo sostenibile. La questione del rispetto dei diritti umani viene appena menzionata. Dato che tali elementi devono rientrare tra le priorità dell’azione europea, non solo devono essere pienamente integrati nel futuro accordo di libero scambio, ma devono anche essere oggetto di clausole sospensive per i casi in cui gli impegni non siano rispettati. E’ responsabilità dell’UE garantire che tutti gli accordi commerciali che negozia garantiscano la promozione e il rispetto dei principi democratici dei diritti umani, delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro e delle norme ambientali.
Nel caso degli Stati del Golfo, particolare attenzione – e l’onorevole Martin ne ha appena fatto menzione – va data alle condizioni di vita e ai diritti dei lavoratori immigrati, presenti in gran numero nella regione per sostenerne la rapida crescita, ma che spesso lavorano in condizioni vergognose e inaccettabili.
Più in generale, al di là degli scambi commerciali che vanno sviluppati nel quadro di relazioni commerciali armoniose, l’Europa e i suoi Stati membri devono rafforzare il loro dialogo politico e sociale. Dobbiamo pertanto attuare un accordo di libero scambio che non solo non abbia un impatto negativo sulle persone che vivono nella regione, ma, al contrario, che consolidi i loro diritti economici e sociali. Ecco perché è fondamentale, ad esempio, garantire che durante i negoziati sui servizi, sia rispettata la necessità di garantire un servizio pubblico universale che sia accessibile, sostenibile ed economico e che rispetti elevati standard di qualità.
Paul Rübig (PPE-DE). – (DE) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, siamo tutti d’accordo sul fatto che è molto importante rendere prioritario il miglioramento delle nostre relazioni con gli Stati del Golfo. L’Europa e gli Stati del Golfo hanno molti interessi in comune: da un lato l’Europa è il mercato più forte a livello mondiale, mentre dall’altro il Golfo ci fornisce risorse che sono uniche. Da questo punto di vista è essenziale intensificare le nostre relazioni con questi paesi con un occhio sul contesto globale.
Nell’OMC abbiamo la questione “Tutto tranne le armi”, che dovrebbe costituire la regola. Dobbiamo giungere a una soluzione sensibile il più rapidamente possibile a tal proposito, dato che è nell’interesse di entrambe le parti. Dobbiamo anche fare di più per promuovere gli scambi nell’ambito della ricerca, della conoscenza e del know-how, e cercare di costruire legami più stretti nel settore dell’istruzione. E’ altresì importante la conclusione congiunta della Carta dell’energia.
Androula Vassiliou, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, ringrazio gli onorevoli deputati per le loro osservazioni in merito ai negoziati sull’accordo di libero scambio UE-CCG. Desidero sottolineare che la Commissione continuerà ad aggiornare il Parlamento sullo stato di avanzamento di tali negoziati.
Sono rimasta particolarmente colpita dall’interesse manifestato dagli onorevoli deputati in merito all’inserimento di una clausola politica nell’accordo negoziato e desidero garantirvi che tali preoccupazioni verranno certamente affrontate nel corso delle negoziazioni. Posso anche confermare una cosa che è stata detta, e cioè che questo punto è stato trattato nel corso della visita del Commissario Ferrero-Waldner alla regione del Golfo della scorsa settimana. I paesi del Golfo hanno infatti espresso la loro determinazione a concludere l’accordo di libero scambio e a riconoscere l’importanza di un’ulteriore flessibilità in merito alla questione.
Presidente. – Onorevole Doyle, ha una mozione procedurale?
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, rinuncio questa volta, ma nel corso di altre discussioni era possibile porre una domanda veloce, se c’era, nata in seguito al dibattito, qualora non si fosse usufruito dei cinque minuti di “catch-the-eye”, anche se un deputato aveva già contribuito, in modo tale da utilizzare tutti i “catch-the-eye” o almeno un altro minuto.
Rinuncio questa volta, ma la mia richiesta è stata fatta solo in base a quanto detto, dato che questa sera c’è stato un solo “catch-the-eye”. Avevo una domanda supplementare per la signora Commissario, ma rinuncio.
Presidente. – Onorevole Doyle, può porre la domanda se lo desidera. Il punto è che non l’aveva chiesto.
Avril Doyle (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, a dire il vero volevo solo andare a fondo con il Commissario sul punto che, dati il tergiversare, il ritardo e la cancellazione dei negoziati dello scorso gennaio, nonché i pochi contatti che si sono avuti da allora e il numero di anni che questa situazione procede – con uno o due incontri all’anno – siamo convinti che vi sia una reale volontà da parte del CCG di concludere un accordo di libero scambio?
Ha in un certo senso appena risposto a questo punto, ma c’è la reale volontà a concludere un accordo di libero scambio con l’UE? Non è questa una domanda legittima, dato il tempo che stiamo negoziando?
Androula Vassiliou, Membro della Commissione. –(EN) Desidero semplicemente dire che ci auguriamo che ci sia. Come sapete, l’incontro pianificato per lo scorso gennaio non ha avuto luogo, ma ci auguriamo che nel prossimo incontro di maggio si svolgano negoziati sostanziali. Ce lo auguriamo.
Presidente. – Ho ricevuto una proposta di risoluzione(1)a norma dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani alle 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Roberta Alma Anastase (PPE-DE), per iscritto. –(RO) In quanto membro della delegazione del Parlamento europeo per le relazione con gli Stati del Golfo, desidero porre l’accento sull’importanza di firmare quanto prima l’accordo di libero scambio tra la Comunità europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo. La conclusione di tale accordo nel 2008 costituirebbe una premessa fondamentale al fine di intensificare le relazioni economiche tra le due regioni e la necessità di garantire la sicurezza energetica dell’Unione europea riflette l’importanza e l’urgenza di tale tema.
Tenendo conto che gli attuali scambi commerciale sono incentrati sul settore energetico, è fondamentale che il futuro accordo tratti in modo chiaro e approfondito la cooperazione in questo ambito e il suo consolidamento, il che moltiplicherebbe e faciliterebbe la realizzazione di progetti comuni nel settore dell’energia, anche con gli Stati membri dell’UE nella regione del Mar Nero, che trarrebbe vantaggio dalle nuove opportunità di sviluppo e di cooperazione.
Costituisce pertanto una priorità la definizione di un programma ben definito al fine di completare gli attuali negoziati, così come di formulare lo scopo principale di reciproci vantaggi, che porterebbero non solo al potenziamento delle relazioni economiche tra l’UE e gli Stati del Golfo, ma anche al consolidamento della stabilità e dello sviluppo sostenibile in generale.
15. Regime di tolleranza zero per gli OGM non autorizzati e le relative conseguenze economiche (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca l’interrogazione orale dell’onorevole Neil Parish, a nome della commissione per il trasporto internazionale, alla Commissione, sul regime di tolleranza zero per gli OGM non autorizzati e le relative conseguenze economiche (O-0031/2008 – B6-0151/2008).
Struan Stevenson, in sostituzione del relatore. – (EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare sentitamente il mio collega, l’onorevole Parish, presidente della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, per avermi dato la possibilità di venire qui a questa tarda ora per porre la presente interrogazione orale. Da molti mesi purtroppo aveva un accordo di lunga data con il Commissario Fisher Boel per recarsi in Danimarca ed è dovuto partire per Copenhagen questo pomeriggio. Si scusa pertanto per la sua assenza e invia inoltre i suoi più cordiali saluti al Commissario Vassiliou, dandole il benvenuto in Commissione.
Le cose stanno così. Nell’UE l’industria avicola e suinicola è molto competitiva e apprezzata. Non è minimamente sostenuta. Non riceve alcun pagamento unico per azienda; non riceve alcuna sovvenzione e si regge sul mercato da sola.
Nel settore avicolo e suinicolo il maggior costo di produzione è costituito dai mangimi. I suini e il pollame non pascolano sui prati e pertanto tutto ciò di cui si nutrono è a base di cereali. Se un’industria non è supportata, ci si deve assicurare che abbia accesso a mangimi competitivi in tutto il mondo.
In Europa ci vogliono in media più di due anni per autorizzare un prodotto GM perfettamente sicuro. Sono passati 33 mesi prima che Herculex, una delle poche sementi GM approvate, ottenesse l’approvazione europea. Negli USA è necessaria la metà del tempo per ottenere l’approvazione: 15 mesi.
Non ci sono scuse per questo. Con l’aumento dei prezzi e dei costi dei prodotti alimentari sia per l’industria avicola che per quella suinicola, non ci possiamo permettere questi ritardi nell’autorizzare i mangini. Dobbiamo accelerare le cose.
Negli USA molti di tali prodotti GM sono sottoprodotti dell’industria del bioetanolo e sono decisamente più economici rispetto ai mangimi ai quali possono avere accesso i nostri produttori avicoli e suinicoli. Tutto quello che facciamo, pertanto, è negare a noi stessi l’accesso ai mangimi più economici del mercato mondiale, rendendo praticamente impossibile ai nostri produttori di competere e di conseguenza rischiamo di trovarci nel grave pericolo di perdere posti di lavoro e di esportare la nostra industria al di fuori dell’UE.
Quei puristi che affermano che non dobbiamo permettere la produzione di pollame o carni suine con mangimi GM non otterranno alcun tipo di vittoria negando a noi stessi tali mangimi. Il risultato finale sarà la perdita della nostra industria a vantaggio di concorrenti non europei, mentre continuiamo a importare pollame e carni suine ottenute da animali nutriti con gli stessi identici mangimi GM, il cui accesso neghiamo ai nostri produttori. Questa politica è pazzesca.
Necessitiamo anche di prodotti ed etichettature chiari, affinché i consumatori possano operare una scelta consapevole. Devono sapere se la carne che mangiano è stata prodotta con OGM. Con l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, molte carni prodotte con OGM sono più economiche, il che offre una scelta ai consumatori e l’accesso a carni a basso costo, se è questo ciò che desiderano.
L’altra questione fondamentale per quanto concerne i mangimi è la tolleranza zero per i mangimi non GM che entrano nell’UE. Anche in questo caso, la severa brigata può battersi il petto e affermare che stiamo garantendo che non vi siano tracce di prodotti GM in nessun mangime non GM che entra nell’UE. Ma quali sono gli effetti della tolleranza zero quando un carico di soia non GM viene imbarcato in Brasile per essere portato nell’UE? Vi è la possibilità che un piccolissimo residuo di soia GM possa essere raccolto attraverso le attrezzature di carico del porto brasiliano. Quando quella nave attracca in un porto UE, se viene trovata anche una minuscola traccia di soia GM, anche se tale soia è stata autorizzata nell’UE, l’intero carico può essere mandato indietro.
Di conseguenza il risultato del regime di tolleranza zero è la drammatica riduzione del quantitativo di mangimi non GM che arrivano nell’UE. Pertanto anche quei produttori avicoli e suinicoli che vogliono utilizzare mangimi non GM trovano incredibilmente difficile accedere alle quantità di cui necessitano, quando ne hanno bisogno. Ancora una volta, ciò rende molto più difficile per tali produttori competere in modo equo su mercati mondiali aperti.
Se davvero vogliamo esportare la nostra industria avicola e suinicola al di fuori dell’UE e nutrire i nostri cittadini con pollame e suini brasiliani e persino con pollame tailandese, tutti alimentati con mangimi GM, allora le attuali politiche di tolleranza zero per i mangimi non GM e l’autorizzazione spaventosamente lenta dei mangimi GM nell’UE sono esattamente il modo giusto per farlo.
Signora Commissario, siamo lieti che sia stata fortemente appoggiata come Commissario per la DG Salute e tutela del consumatore. Le facciamo i nostri migliori auguri e ci auspichiamo che sia la prima a opporre resistenza ai miti del cibo Frankenstein in pillole e che metta in atto alcune politiche che permetteranno ai nostri allevatori di competere a livello internazionale a condizioni eque.
Androula Vassiliou, Membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, la Commissione riconosce il rischio che le importazioni di mangimi possano diventare più difficili e costose a causa dell’approvazione asincrona degli OGM nei paesi esportatori e nell’UE. Sono a conoscenza dello studio della DG Agricoltura e sviluppo rurale sulla questione della scarsità di mangimi. Devo sottolineare che gli effetti della politica di tolleranza zero per gli OGM non autorizzati sulle importazioni di mangimi diventano un problema solo nell’eventualità della cosiddetta approvazione asincrona di OGM. Uno dei fattori principali è la diversa durata della procedura di approvazione degli OGM tra i paesi terzi e l’UE, in combinazione con la mancanza di adeguati meccanismi di separazione nei paesi esportatori e con le strategie di commercializzazione dell’industria delle sementi in tali paesi. Anche il maggiore utilizzo degli OGM nei prodotti da parte dei nostri principali partner commerciali ha un’influenza rilevante.
In tale contesto, la Commissione sta concentrando i suoi sforzi nel far fronte a tali fattori fondamentali. Sono state avviate le discussioni con l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con lo scopo di aumentare l’efficienza nella durata della procedura di autorizzazione senza compromettere la qualità della valutazione scientifica dell’AESA. Desidero ricordarvi l’importanza a tale proposito della cooperazione degli Stati membri nel comitato permanente e nel Consiglio.
Da ultimo ma non per importanza, desidero evidenziare che di recente la Commissione ha adottato l’autorizzazione del mais GA21, che agevolerà le importazioni caratterizzate dalla vantaggiosa presenza di questo OGM proveniente dall’Argentina. Attualmente la Commissione è anche in procinto di inviare al Consiglio una proposta per l’autorizzazione di semi di soia GM, dopo che il comitato permanente non è riuscito a raggiungere la maggioranza qualificata. Tale autorizzazione per i semi di soia permetterà anche diverse importazioni di sementi e contribuirà pertanto al temporaneo miglioramento del problema della scarsità di mangimi sollevato dall’onorevole deputato.
Il quadro legislativo dell’UE sui prodotti alimentari e le sementi GM mira innanzi tutto a garantire la sicurezza dei prodotti immessi sul mercato. Ecco perché i prodotti alimentari e le sementi GM sono soggetti ad approvazione preventiva per l’immissione sul mercato. L’approccio della tolleranza zero per gli OGM non autorizzati attualmente applicato dall’UE è stato fissato nella legislazione UE, essendo stato approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio come il modo migliore per proteggere la salute umana e quella animale nonché l’ambiente. E’ simile all’approccio seguito dalla grande maggioranza dei paesi terzi, tra cui i principali produttori di OGM.
A livello internazionale, la Commissione, in stretta collaborazione con gli Stati membri, continua ad appoggiare lo sviluppo degli orientamenti del Codex in merito alla questione. La Commissione, tuttavia, riconosce la possibilità che vi siano incidenti del tipo indicato tra le ragioni alla base della sua interrogazione e riconosce che tali eventualità stanno diventando più semplici da individuare grazie ai miglioramenti costanti nelle tecniche di misurazione. La Commissione valuterà se sia appropriato e fattibile proporre una soluzione individuale per questo problema specifico, nel pieno rispetto della normativa vigente.
Nel caso del reclamo presso l’OMC contro la Comunità europea del 2003, la relazione del gruppo di studio corrispondente, conclusa nel 2006, non ha messo in questione la normativa UE, ma piuttosto il modo in cui è stata attuata in passato. La Commissione è riuscita a contenere tale controversia sino a oggi nel quadro di un dialogo regolare con i reclamanti su questioni biotecnologiche. Abbiamo dimostrato chiaramente ai reclamanti che attualmente non vi è alcuna moratoria o ritardo indebito nel sistema di approvazione della CE dei prodotti biotecnologici.
Dall’istituzione del gruppo di studio dell’OMC sono stati approvati 16 prodotti e solo sette nel 2007. Non possiamo escludere che i reclamanti, in particolare gli Stati Uniti, prenderanno in considerazione le implicazioni commerciali della questione della presenza vantaggiosa nella loro decisione di procedere o meno con ulteriori risoluzioni di controversie. La Comunità europea, tuttavia, desidera trovarsi in una buona posizione per difendere il suo caso e gli attuali dialoghi rendono improbabile tale eventualità.
Esther De Lange, a nome del gruppo PPE-DE. – (NL) Signora Presidente, signora Commissario, ieri in quest’Aula abbiamo parlato dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dei conseguenti effetti nell’Unione europea e nei paesi in via di sviluppo. Ora ci troviamo qui ancora questa sera a parlare di mangimi per animali geneticamente modificati. Poteva essere un’idea combinare i due dibattiti. Dopo tutto questo argomento in un certo senso tecnico dei mangimi per animali si adatta senza dubbio con il più ampio dibattito sulla sicurezza alimentare e l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Quanto è sensato in effetti distruggere o respingere interi carichi di mangimi per animali perché contengono involontariamente trace, quantità piccolissime, di prodotti geneticamente modificati? A me questo non sembra molto sensato, neppure dal punto di vista della sicurezza alimentare a cui ho accennato o alla luce dell’aumento dei prezzi.
Perché di recente i prezzi dei mangimi sono senza dubbio aumentati considerevolmente e aumenteranno ancora di più se continuiamo con questo atteggiamento. Molti produttori vedono aumentare di conseguenza i loro costi e credo che non faccia alcun danno sottolineare ancora una volta che l’aumento dei prezzi di cui continuiamo a parlare non significa necessariamente che anche gli agricoltori guadagnino di più. In effetti è già stato detto che, nel settore delle carni suine ad esempio, i costi dei mangimi stanno aumentando e che i margini sono effettivamente soltanto inferiori.
Come possiamo uscire da questa situazione di stasi? Non trattando all’improvviso le procedure di approvazione con negligenza. No, questo non è di certo il modo, ma a mio avviso vi è un problema in due aree e dobbiamo trovare una soluzione. Innanzi tutto, come ha affermato in precedenza l’onorevole Stevenson, nell’Unione europea l’approvazione di un OGM richiede più tempo: due anni e mezzo per noi, appena un anno per gli Stati Uniti. Ho preso nota di quanto dice la Commissione riguardo a rendere l’AESA più efficiente, ma certo non costituisce il problema per intero. La questione sta anche nelle spole tra i comitati del Consiglio, che non sono poi in grado di ottenere o una maggioranza qualificata a favore dell’approvazione o una maggioranza qualificata non a favore dell’approvazione e poi infine, dopo un lungo azzuffarsi, la decisione viene passata alla Commissione. Pertanto anche questo fa parte del problema e tale procedura deve diventare più rapida. Non si tratta certo di un argomentazione per l’approvazione automatica dei prodotti, ma ritengo che le persone abbiano il diritto di sapere con maggiore rapidità se un prodotto può essere approvato o meno per il mercato europeo.
In secondo luogo, dobbiamo trovare una soluzione alla presenza involontaria di tracce geneticamente modificate nei mangimi per animali, ad esempio attraverso un valore limite, senza dubbio nel caso di OGM che sono già stati approvati dall’AESA e senza dubbio quando si considera che le braciole di suini allevati al di fuori dell’Unione europea sono regolarmente disponibili nei nostri negozi. Si parla di concorrenza sleale! Ritengo sia un peccato che non abbia sentito nulla dalla Commissione riguardo a valori limite. Si riferisce alla normativa vigente. Siamo onesti, tuttavia, per l’etichettatura stiamo utilizzando un valore limite, quindi ritengo che sia possibile.
In breve, produttori e consumatori non devono diventare le vittime dell’indecisione dei comitati del Consiglio. E’ ora tempo di offrire chiarezza e rapidità.
Bernadette Bourzai, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, come suggerito dal titolo, la presente interrogazione tratta delle conseguenze economiche della procedura di autorizzazione degli OGM.
Desidero pertanto chiedere alla signora Commissario se la Commissione ha richiesto l’esecuzione di un qualche studio sulle cause dell’aumento dei prezzi dei mangimi per animali e desidero sapere anche in quali proporzioni i mangimi importati negli ultimi anni contenevano tracce di OGM non autorizzati in Europa e da dove provenivano tali prodotti. Ciò risulterebbe utile nella valutazione della portata di tali incidenti.
Diversamente dall’onorevole De Lange cha è appena intervenuta, confuto il legame causale tracciato tra il principio della tolleranza zero per gli OGM e il notevole aumento dei prezzi dei mangimi. I due elementi non vanno messi insieme dato che sappiamo molto bene che tale aumento è dovuto alla combinazione di diversi fattori, che non approfondisco in questa sede, ma principalmente alla speculazione dei mercati azionari sui futuri mercati agricoli. Tale aumento influisce inoltre su tutti i paesi, ivi compresi quelli con una normativa sugli OGM molto flessibile.
Ciononostante, è un dato di fatto che gli allevatori europei di bestiame si trovano in grande difficoltà, soprattutto a causa del fatto che l’UE dipende enormemente dalle importazioni di mangime. La mia domanda principale è pertanto la seguente: perché siamo così dipendenti e come dobbiamo reagire? Desidero chiedere alla Commissione se ha condotto un’analisi sulle conseguenze economiche degli accordi di Blair House, per cui l’Unione europea ha rinunciato alla sua produzione di mangimi per animali.
A mio avviso, al fine di ridurre tale dipendenza, vi sono due alternative. La prima è fare tutto ciò che possiamo per salvare – e intendo dire salvare – le ultime coltivazioni ricche di proteine e di foraggio e incoraggiare la ristrutturazione, evitando, ad esempio, il totale disimpegno degli aiuti durante la verifica dello stato di salute della PAC, in particolare in quanto tali coltivazioni offrono qualità ambientali indiscutibili per la rotazione delle colture e, di conseguenza, per il suolo.
Dall’altro, la Commissione deve esaminare la diversificazione delle nostre fonti di approvvigionamento. Nel dicembre 2007 ho partecipato a una conferenza organizzata dalla GM-Free Network, che ha dimostrato che esistono possibilità di approvvigionamento di mangimi non GM e che è necessario istituire contatti tra produttori e importatori.
Mi auguro che siamo tutti consapevoli del fatto che i consumatori hanno il diritto…
(La Presidente interrompe l’oratore)
Jan Mulder, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signora Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare la commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e questa seduta plenaria per aver dato seguito alla mia iniziativa di discutere questo tema qui questa sera.
Un punto degno di nota è che in tutto il mondo sta aumentando la coltivazione di colture geneticamente modificate, ma che solo noi, in Europa, ne siamo spaventati. La domanda fondamentale è perché. Il Commissario dice in modo piuttosto categorico che così è la normativa e ad essa ci dobbiamo uniformare. Tuttavia, se le mutate circostanze rendono necessario modificare la normativa, la Commissione lo deve fare. Ritengo che ora sia giunto il momento di farlo. Qualche tempo fa ponevo ancora domande a riguardo, ma una coltivazione geneticamente modificata è diversa da un’altra. C’è una grande differenza fra transgenesi e cisgenesi. Una è particolare delle specie, mentre l’altra no. Entrambe sono coperte dalla medesima normativa e la Commissione deve indirizzare a se stessa la questione della modifica della normativa da quel punto di vista.
A mio avviso, il punto cruciale di tutta questa storia è la tolleranza zero. Esistono poche situazioni al mondo in cui è possibile imporre l’assoluta tolleranza zero. Ci deve sempre essere la possibilità di lasciare un certo margine di differenza. Se si guida troppo velocemente per una distanza di 50 chilometri, in molti paesi si ha un margine di tolleranza di circa tre chilometri prima che si venga multati. Perché questo non è possibile per i beni d’importazione? Perché non è possibile una tolleranza, ad esempio, dello 0,8 per cento o dello 0,9 per cento? Può la Commissione darmi una risposta chiara in proposito?
Accolgo altresì con favore il fatto che siano in corso i colloqui con l’AESA per abbreviare le procedure senza mettere a rischio la qualità, ma ha l’AESA già indicato se è possibile o meno? I colloqui da soli non sono sufficienti, perché il tempo stringe.
Vi è anche un altro punto. Forse la Commissione può spiegarmi in quale modo io, in quanto politico, posso dire al grande pubblico che qui possiamo consumare un intero lotto di prodotti che non siamo autorizzati a produrre. Possiamo importare da tutto il mondo senza restrizioni qualsiasi prodotto derivato da animali alimentati con prodotti che qui sono vietati. Qual è lo scopo? Qual è la spiegazione? Forse il Commissario può suggerirmi un’idea per la prossima campagna elettorale.
Desidero infine chiedere quali sono le conseguenze dell’atteggiamento della Commissione riguardo all’OMC? Possiamo semplicemente farlo?
Janusz Wojciechowski, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, vi sono tre aree in cui gli OGM possono rivelarsi pericolosi.
La prima è l’area della sanità pubblica. Vi sono sempre più indicazioni che gli OGM sono potenzialmente pericolosi per la salute umana, ma tali indicazioni vengono ignorate. Prove concrete degli effetti dannosi degli OGM possono emergere in qualsiasi momento. Vi è stato un periodo in cui non vi erano prove della natura dannosa dell’amianto e quando le prove sono emerse i costi sono stati enormi. Si sono dovuti spendere miliardi per rimuovere l’amianto. La difficoltà con gli OGM è che se il loro utilizzo diventa diffuso, sarà impossibile liberarcene.
La seconda area è costituita dall’ambiente. Molti scienziati ritengono che gli OGM possono avere conseguenze disastrose sull’ambiente, il che costituisce una delle ragioni per cui è stata creata una riserva di sementi tradizionali nella profondità dei ghiacci dell’isola norvegese di Spitsbergen, in caso le sementi tradizionali vengano danneggiate dal crescente utilizzo degli OGM.
Il terzo pericolo riguarda l’economia. Aumentare l’utilizzo degli OGM è un modo per rendere gli agricoltori finanziariamente dipendenti dalle grandi imprese biotecnologiche. Gli agricoltori coltiveranno colture GM secondo condizioni imposte da potenti imprese che possiedono i brevetti delle sementi.
Al momento l’Europa non è affamata. I prodotti alimentari stanno diventando sempre più costosi, ma la politica agricola dell’Unione continua a consistere nell’imposizione di limiti amministrativi alla produzione agricola. L’Europa non deve cercare tecnologie altamente intensive per la produzione alimentare. L’Europa deve invece optare per la produzione di prodotti alimentari sani secondo metodi tradizionali.
Vi è certamente anche il problema della concorrenza. In merito a tale questione, concordo pienamente con l’onorevole Stevenson e con gli oratori precedenti. I nostri agricoltori non devono essere gli unici colpiti da un divieto sulle coltivazioni di OGM e sull’utilizzo di mangimi GM. Tale divieto dovrebbe essere accompagnato da un divieto sull’importazione di prodotti sia vegetali che animali contenenti OGM. Si deve applicare un principio chiaro e cioè che i produttori che esportano i loro prodotti verso il mercato europeo saranno soggetti agli stessi requisiti imposti ai nostri stessi produttori.
Caroline Lucas, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signora Presidente, desidero iniziare mettendo fortemente in dubbio l’assunto che sembra essere alla base della presente interrogazione orale. Cercare di collegare l’aumento dei prezzi dei mangimi in Europa e la corrispondente crisi dell’industria dell’allevamento alla normativa UE in materia di OGM in generale, e alla sua politica di tolleranza zero in particolare, è completamente falso e non veritiero.
E’ senza dubbio vero che sono tempi duri per gli allevatori di bestiame, ma sostengo che ciò non abbia nulla a che vedere con le politiche in materia di OGM dell’Europa bensì che sia completamente imputabile a una combinazione di fattori, tra cui le scarse condizioni meteorologiche che hanno portato a raccolti ridotti, deregolamentazione dei mercati, maggiore domanda da parte di paesi come la Cina, rapido e incauto aumento della produzione di biocarburanti e crescente speculazione finanziaria.
L’industria OGM sta facendo molto della relazione della DG Agricoltura sul potenziale impatto del regime OGM dell’UE sulla disponibilità e i prezzi dei mangimi. Lo scenario peggiore nella relazione poggia sull’assunto che il Brasile commercializzerà presto una varietà GM di semi di soia non approvata nell’UE. Ma non è stata assolutamente presentata alcuna prova che il Brasile stia anche solo considerando nuovi semi di soia GM.
La relazione ritiene che le approvazioni USA non verranno colpite dalla politica dell’UE e che il Brasile e l’Argentina saranno, in effetti, molto più cauti circa l’approvazione di nuove colture OGM che potrebbero altrimenti nuocere alle loro esportazioni verso l’UE. Ad esempio, l’Argentina ha introdotto un sistema di certificazione per le esportazioni di mais verso l’UE, proprio al fine di evitare caratteristiche non approvate.
Non vi è inoltre alcuna prova né di distorsioni importanti della concorrenza a causa di importazioni di carni ottenute da animali che potrebbero essere state alimentati con OGM non autorizzati nell’UE.
Francamente, pertanto, tutte queste questioni sono tendenziose e male informate, ma personalmente ho alcune domande in merito a un limite proposto per gli OGM non approvati dall’UE. Innanzi tutto, come può la Commissione essere certa che gli OGM non approvati dall’UE siano sicuri?
In secondo luogo, in caso di danni, quale istituzione o impresa dovrà pagare? L’UE, che permette tale contaminazione? L’impresa, che ha sviluppato l’OGM ma che a oggi non ha ricevuto alcuna valida approvazione del mercato? O l’impresa responsabile dell’importazione?
Infine, tale limite deve applicarsi anche alle piante geneticamente manipolate per la produzione di sostanze come quelle farmaceutiche? Quale valutazione è stata condotta sulla contaminazione di prodotti alimentari quotidiani con sostanze farmaceutiche attive?
Sono ansiosa di ascoltare risposte esaurienti a queste domande cruciali alla fine della presente discussione.
Kartika Tamara Liotard, a nome del gruppo GUE/NGL. – (NL) Signora Presidente, signora Commissario, voi e io sappiamo davvero troppo poco circa i rischi sanitari degli organismi geneticamente modificati. Vogliamo pertanto permettere tali OGM – io li chiamo cibo truffa – semplicemente perché rispondono a una necessità economica? Non per quanto mi riguarda. Per me le vere priorità sono la sanità pubblica, l’ambiente e la biodiversità. Bruxelles già impone ai paesi di approvare alcuni OGM, anche quando non lo vogliono, il che è in disaccordo con il Protocollo di Cartagena, secondo cui i paesi possono rifiutare nuovi prodotti OGM, qualora dubitino che siano sicuri. Lasciamo che siano gli Stati membri stessi a decidere quali prodotti a rischio permettere.
Non sono l’unica a protestare. Molti cittadini sono preoccupati riguardo agli OGM. Lo abbiamo visto in Polonia, Romania, Austria e Cipro. La resistenza ai campi sperimentali della Monsanto sta aumentando in luoghi come Raalte e Gemert-Bakel nei Paesi Bassi. Esiste il rischio reale che sementi modificate vengano trasportate dal vento dalla Monsanto alle vicine aziende agricole biologiche o tradizionali, quando gli agricoltori non vogliono affatto queste erbacce. Sono anche preoccupata circa i piani della Monsanto di rilevare l’impresa di sementi olandese De Ruiter, una tra le migliori dieci al mondo. E’ fin troppo ovvio che la Monsanto sta cercando di penetrare maggiormente in Europa. O nella speranza di norme più flessibili o semplicemente per essere in grado di esercitare pressione sui politici al fine di rilassare le norme assai rapidamente. Dobbiamo resistere con determinazione. Per noi la sanità pubblica, l’ambiente e la biodiversità sono più importanti dei profitti commerciali.
Jim Allister (NI). – (EN) Signora Presidente, che zimbello deve essere l’UE agli occhi dei suoi concorrenti! Con fervore bigotto vietiamo gli OGM nei mangimi, persino al punto ridicolo della tolleranza zero per qualsiasi traccia GM non autorizzata, ma al contempo le carni ottenute da animali allevati al di fuori dell’UE e alimentati proprio con gli OGM che ci rifiutiamo di autorizzare possono essere importate liberamente dovunque nei 27 Stati membri.
A me sembra che non abbia alcun senso. E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che l’UE entri nel regno dei cieli, e chi ci rimette? I nostri produttori che devono pagare prezzi esorbitanti per mangimi non GM. Sembra che, nell’UE, se si possono spuntare i riquadri della correttezza politica allora si deve essere felici e non importa la follia che si viene a creare.
Rosa Miguélez Ramos (PSE). – (ES) Signora Presidente, sebbene il bestiame europeo produca più del 40 per cento del valore aggiunto della nostra produzione agricola, è altrettanto vero che al momento non disponiamo di materie prime sufficienti per alimentare i nostri animali. Nel mio paese, la Spagna, la situazione del manzo, che dipende maggiormente dai mangimi rispetto ad altri Stati membri, è devastante. Nel caso delle carni suine e del pollame, questa terribile situazione è simile in tutta Europa.
Come si è già accennato, la normativa comunitaria permette la vendita di mangimi contenenti OGM, a patto che essi siano autorizzati nell’UE, ma non prevede alcun livello minimo per gli OGM non autorizzati, il che è causa di problemi negli scambi commerciali con i paesi terzi esportatori, nonché con il settore europeo dell’allevamento in sé che, come ho detto, sta vivendo il problema della carenza di mangimi.
Questa non è la prima volta che mi sono trovata concorde con l’onorevole Mulder e anche questa volta, dopo averlo ascoltato, ritengo che ci troviamo d’accordo anche in merito a tale questione, dato che una soluzione possibile potrebbe essere l’accettazione di contaminazioni GM accidentali fino a un certo limite, a patto che esse siano state valutate positivamente dall’AESA e autorizzate da un paese terzo, conformemente ai principi del Codex e operando una chiara politica di etichettatura.
Un’altra soluzione potrebbe essere una maggiore produzione sul territorio europeo, ma la Commissione sembrerebbe chiuderci questa possibilità con le sue proposte per il controllo. Il caso dei mangimi essiccati come componente fondamentale degli alimenti per animali è paradigmatico. Sebbene riconoca il pericolo derivante dall’abbandono della produzione, la Commissione si ostina ad applicare pagamenti disaccoppiati.
Desidero pertanto porre l’accento sul fatto che siamo di fronte a un grave problema di carenza di mangimi per animali e che la Commissione europea ha la responsabilità di far fronte a tale situazione.
Kyösti Virrankoski (ALDE). – (FI) Signora Presidente, una specie coltivata geneticamente modificata si ottiene modificando il suo genotipo con l’aiuto di una precisa tecnologia scientifica. Tale tecnologia si basa sugli sviluppi ottenuti in genetica andando indietro di più di 50 anni. Ha contribuito a coltivare specie in modo tale che necessitassero di minori sforzi e di un minor utilizzo di pesticidi e ha reso possibile produrre raccolti più abbondanti. Per tale motivo, la loro coltivazione è cresciuta rapidamente.
L’Unione europea non è stata in grado di essere coinvolta in tale sviluppo perché aderisce a un sistema di rigidi controlli burocratici. Ogni volta che la ricerca e gli esperimenti condotti dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare dimostravano che una specie non comportava rischi e andava a vantaggio del consumatore, doveva ancora attraversare un lungo processo prima di essere approvata. La proposta della Commissione va prima ad un comitato permanente, che approva o respinge la proposta a maggioranza qualificata. Se non riesce a prendere una decisione, il passo successivo è il Consiglio e se neanch’esso riesce a prendere una decisione, la proposta torna alla Commissione, che alla fine prende una decisione. Ciò tuttavia richiede del tempo.
Molti alimenti GM per animali sono importati nell’Unione europea. I paesi che cercano di limitare la coltivazione di specie OGM sono persino felici di utilizzarli. Dato che l’UE non ha avuto il tempo di approvare tutte le specie utilizzate al momento, i mangimi ne possono contenere minuscole tracce. In tali casi viene respinta l’intera spedizione, il che causa costi per l’industria e influisce sulla competitività della produzione alimentare europea. Ecco perché dobbiamo usare la testa in questo settore. Tracce infinitamente piccole di specie approvate in altri paesi non devono comportare tali conseguenze irragionevoli, soprattutto quando l’agricoltura europea è comunque alle prese con la concorrenza mondiale.
Dimitar Stoyanov (NI). – (BG) Un proverbio latino dice che natu