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Mercoledì 7 maggio 2008 - Bruxelles Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Dichiarazione della Presidenza
 3. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 4. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 5. Microcrédit (dichiarazione scritta): vedasi processo verbale
 6. Rettifica (articolo 204 bis del regolamento): vedasi processo verbale
 7. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
 8. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 9. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
 10. Ordine dei lavori
 11. EMU@10 – Primo decennio dell’Unione economica e monetaria (comunicazione della Commissione) (discussione)
 12. Peggioramento della situazione in Georgia (discussione)
 13. Consiglio economico transatlantico (discussione)
 14. Revisione della direttiva 94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo (discussione)
 15. Diritti umani nel mondo (2007) e politica dell’Unione europea – Missioni di osservazione elettorale dell’UE: obiettivi, prassi e sfide future (discussione)
 16. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
 17. Relazioni economiche e commerciali con i paesi del sud-est asiatico (ASEAN) (discussione)
 18. Regimi di sostegno a favore degli agricoltori (aiuti al settore del cotone) (discussione)
 19. Gestione degli stock ittici di acque profonde (discussione)
 20. Dichiarazione di interessi finanziari: vedasi processo verbale
 21. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 22. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING
Presidente

(La seduta è aperta alle 15.00)

 
1. Ripresa della sessione
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  Presidente. − Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo interrotta giovedì 24 aprile.

 

2. Dichiarazione della Presidenza
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  Presidente. − Onorevoli colleghi, tutti conosciamo le terribili conseguenze del ciclone tropicale Nargis che sabato scorso ha devastato la Birmania/Myanmar. E’ stata una tragedia in cui decine di migliaia di persone hanno perso la vita, centinaia di migliaia sono rimaste senza casa, e le infrastrutture delle aree più densamente popolate del paese sono state distrutte. Si tratta del più grande disastro che abbia mai colpito la regione, e il bilancio definitivo in termini di vite umane e danni non è ancora noto.

Non sembra che la giunta militare alla guida del paese abbia affrontato in modo adeguato la situazione. Non è stata adottata alcuna misura preventiva, né alla popolazione è stata fornita la dovuta assistenza.

Anche se accogliamo con favore la notizia che la data del referendum costituzionale sia stata posticipata al 24 maggio nelle regioni più pesantemente colpite dal ciclone (le regioni di Rangoon e del delta dell’Irrawaddy), tale decisione deve essere estesa a tutto il paese affinché alla popolazione sia chiaro che il governo è concentrato su misure urgenti di aiuto umanitario e interventi immediati.

Le autorità hanno dichiarato che il sostegno internazionale sarebbe cosa gradita. Dovrebbe essere inteso come un gesto positivo, e ci aspettiamo che il governo agevoli l’attuazione delle misure di assistenza internazionali.

L’Unione europea ha già iniziato a elaborare misure di emergenza per prestare aiuto. Durante la nostra prossima sessione plenaria a Strasburgo ascolteremo la relazione della Commissione europea sugli aiuti umanitari forniti e sulle condizioni in loco per prestarli.

Il popolo della Birmania/Myanmar merita la nostra più sincera solidarietà. Pertanto, desidero esprimere tale sentimento a nome del parlamento europeo, e in totale sincerità, vorrei aggiungere che in quest’ora rivolgiamo anche un pensiero alla vincitrice del nostro Premio Sacharov, Aung San Suu Kyi. Siamo uniti a lei da un profondo legame di solidarietà e chiediamo che venga rilasciata affinché possa dedicare i suoi sforzi a ottenere la libertà per il suo popolo e la democrazia nel paese.

 

3. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

4. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale

5. Microcrédit (dichiarazione scritta): vedasi processo verbale

6. Rettifica (articolo 204 bis del regolamento): vedasi processo verbale

7. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale

8. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

9. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale

10. Ordine dei lavori
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  Presidente. − Considerato il fatto che l’interrogazione orale al Consiglio sulle “società di compilazione degli elenchi fraudolenti” non può essere affrontata se non dopo le 20.00, ora in cui il Consiglio non potrà essere presente, fatto, ovviamente, spiacevole – non è scritto qui, ma lo aggiungo io –, è stato chiesto di rinviare l’interrogazione orale a una tornata successiva.

 
  
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  Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. (DE) Signor Presidente, non abbiamo altra scelta se non accettare. Tuttavia, lei ha affermato che il Consiglio “non potrà” essere presente. Dubito che non abbia la possibilità. Non è mia intenzione dire nulla contro la Presidenza slovena, sempre molto disponibile. Come ho già sottolineato diverse volte in passato, siccome la vita politica non procede secondo il calendario del Consiglio, dovrebbe essere possibile segnalare al Consiglio, quando si definisce l’agenda, che è necessaria un po’ di flessibilità, affinché, quando emergono nuove problematiche da affrontare, queste possano essere discusse con il Consiglio. Questo è quanto vorrei chiedere.

La seconda richiesta, signor Presidente, è di inserire l’argomento nell’ordine del giorno della prossima tornata, in quanto si tratta di un tema urgente. Se tali prerequisiti sono soddisfatti, possiamo accettare la proposta.

 
  
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  Simon Busuttil, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, desidero solo far presente che convengo con l’oratore precedente riguardo all’importanza di questa interrogazione orale. Sono non poco deluso che il Consiglio non sarà in Aula per partecipare alla discussione.

Si tratta di un tema che riguarda migliaia – se non centinaia di migliaia – di imprese in Europa imbrogliate e di fatto defraudate del loro denaro. E’ quindi un peccato che il Consiglio non sia presente. Ritengo che dovrebbe attribuire maggiore importanza sia alle imprese, in particolare a quelle piccole, che a quest’Assemblea.

 
  
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  Presidente. − Comprendo la sua posizione. La Presidenza slovena è di norma molto disponibile, ma purtroppo la situazione di oggi è tale per cui lei ha ragione a lamentarsene.

Abbiamo quindi deciso che affronteremo la questione nella prossima tornata.

(Il Parlamento approva l’ordine dei lavori così modificato)(1)

 
  

(1)Per altre modifiche all’ordine dei lavori: vedasi processo verbale.


11. EMU@10 – Primo decennio dell’Unione economica e monetaria (comunicazione della Commissione) (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la comunicazione della Commissione sul primo decennio dell’Unione economica e monetaria.

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. − (ES) La ringrazio molto, signor Presidente. Onorevoli deputati, celebriamo il decimo anniversario della storica decisione di introdurre l’euro, di lanciare la terza fase dell’Unione economica e monetaria, una decisione adottata dal Vertice del Consiglio europeo svoltosi dal 1° al 3 maggio 1998.

Tale decisione ha caratterizzato lo sviluppo dell’Unione europea degli ultimi dieci anni. Oggi, sia all’interno che al di fuori dei nostri confini, l’euro è un simbolo dell’integrazione europea utilizzato da 320 milioni di cittadini europei ogni giorno.

La Commissione ha interpretato la fine del primo decennio di un’importante iniziativa politica e il termine di un intero ciclo economico come un’ottima occasione per tirare le somme e riflettere sulle sfide che l’Unione economica e monetaria dovrà affrontare negli anni a venire.

Questo è lo scopo della comunicazione adottata proprio questa mattina dalla Commissione e che io ho l’onore di illustrarvi ora.

La comunicazione si basa su un’ampia relazione elaborata dalla Direzione generale della Commissione “Affari economici e finanziari” che fornisce un’analisi dettagliata del funzionamento dell’Unione economica e monetaria, dell’impatto dell’euro negli ultimi dieci anni, nonché delle prospettive per il futuro.

La conclusione della valutazione di cosa l’euro abbia significato nel primo decennio della sua esistenza non potrebbe essere più esplicativa: l’euro è un innegabile successo economico e politico.

Grazie a questa valuta noi europei oggi godiamo di una maggiore stabilità macroeconomica, di tassi d’interesse inferiori e di aumenti dei prezzi molto più contenuti rispetto ai decenni precedenti, nonostante la recente crescita dell’inflazione.

Grazie all’euro, l’Unione europea – e in particolare i 15 paesi della zona euro – è uno spazio molto più integrato dal punto di vista economico, con scambi potenziati, più opportunità, maggiore occupazione e mercati che funzionano con più efficienza.

Grazie all’euro, le nostre economie sono più adeguatamente protette contro le scosse esterne e hanno acquisito una maggiore importanza e influenza sui mercati mondiali.

Tutto questo si è tradotto in molti vantaggi concreti, ma se mi permettete dirlo, il risultato maggiore in assoluto è stata la creazione di 16 milioni di posti di lavoro nella zona dell’euro negli ultimi dieci anni.

Grazie all’euro, l’Europa è ora più forte. E’ in una posizione migliore per contrastare le turbolenze e le crisi come quelle che ci hanno colpito negli ultimi mesi, e sempre grazie all’euro, godiamo di una base più solida per sostenere in futuro la nostra crescita e il nostro modello di protezione sociale.

Nondimeno, per quanto positivo possa essere il nostro giudizio, non significa che tutte le aspettative che dieci anni fa abbiamo riposto nella moneta unica siano state soddisfatte.

Primo, la crescita economica degli ultimi dieci anni è stata inferiore alle previsioni.

Secondo, permangono disparità tra le economie dell’area, a causa, tra l’altro, della mancanza di incentivi adeguati per attuare tutte le necessarie riforme strutturali.

Terzo, nell’area dell’euro non abbiamo ancora raggiunto una forte presenza esterna che ci permetta di avere peso a livello globale in linea con la dimensione e l’importanza della nostra economia e della nostra moneta.

Infine, l’immagine pubblica dell’euro – una valuta ampiamente identificata con l’immagine dell’Unione europea – non rispecchia tutti i vantaggi oggettivi che offre ai cittadini.

Simile diagnosi offre sufficiente materiale per considerare che cosa si deve ancora fare, e la nostra conclusione è che c’è ancora molto lavoro da compiere.

Dobbiamo anche tenere conto delle nuove sfide cui ci troviamo di fronte ora, con un’Europa allargata, con cambiamenti sociali, economici e tecnologici accelerati, con tendenze di base profonde come la globalizzazione, l’invecchiamento della popolazione e i cambiamenti climatici; dobbiamo modernizzare i principi e la visione che ispirano l’Unione economica e monetaria.

E’ ovvio che il nuovo contesto in cui viviamo oggi non era facile da prevedere 20 anni fa quando si doveva decidere che cosa inserire nel Trattato di Maastricht o 10 anni fa quando si è deciso di lanciare la terza fase dell’Unione economica e monetaria.

Ora dobbiamo lavorare sulla base di questi parametri onde conseguire un’Unione economica e monetaria più solida, più efficiente a livello interno e che si presenti con maggiore uniformità nel mondo esterno.

Pertanto, nella comunicazione adottata questa mattina, la Commissione non solo desidera fare un bilancio del passato, ma propone anche di avviare un dibattito su quali miglioramenti si debbano apportare in futuro. Quale contributo iniziale a tale dibattito proponiamo un’agenda basata su tre pilastri.

Il primo riguarda il funzionamento interno dell’Unione. L’interdipendenza tra le economie dell’area dell’euro è più grande che mai. Dobbiamo esserne consapevoli e procedere con determinazione negli interessi dell’Unione economia e monetaria nel complesso e in particolare di ogni suo Stato membro verso un autentico coordinamento delle sue politiche economiche. Come si può conseguire tale risultato? Dobbiamo rafforzare la vigilanza di bilancio prevista nel Patto di stabilità e crescita, approfondirla in termini di qualità delle finanze pubbliche e della loro sostenibilità a lungo termine, ampliando l’obiettivo di sorveglianza oltre gli aspetti prettamente di bilancio e contemplando anche aspetti macroeconomici e stabilendo un collegamento più stretto tra la vigilanza di bilancio e lo sviluppo di riforme strutturali.

Il secondo pilastro riguarda l’agenda esterna. Con nostra totale soddisfazione, in brevissimo tempo l’euro è diventato la seconda valuta mondiale di riferimento. Tuttavia, non ha senso che nel momento in cui notiamo con piacere la posizione dominante dell’euro nei mercati globali, rifiutiamo di intervenire collettivamente, in linea con questo nuovo status. La posizione raggiunta dall’euro sui mercati internazionali porta indubbi vantaggi, ad esempio una protezione più adeguata contro i colpi esterni. Nell’ultimo decennio abbiamo attraversato periodi critici, in cui questo ruolo protettivo è stato messo alla prova. Anche lo status dell’euro implica comunque responsabilità e rischi. L’Europa deve assumersi totalmente le proprie responsabilità onde conseguire una maggiore stabilità economica a livello mondiale. Per raggiungere questo obiettivo, occorre elaborare una strategia che tenga conto degli interessi dell’area dell’euro e difenda quest’ultima costantemente nei confronti dell’esterno, e senza dubbio il modo migliore per garantire tale coerenza è una rappresentanza internazionale unica dell’euro. Pur riconoscendo che è difficile conseguire tale traguardo in breve tempo, dati gli interessi coinvolti, desidero comunque dichiarare al Parlamento – e so che quest’Assemblea è d’accordo con me – che è un obiettivo assolutamente necessario.

Infine, il terzo pilastro della nostra agenda per il futuro riguarda il miglioramento della governance dell’Unione economica e monetaria. Le istituzioni e gli strumenti che amministrano questa Unione sono adeguati, soprattutto se consideriamo i miglioramenti introdotti dal Trattato di Lisbona. La questione ora non consiste nel cambiare gli strumenti, ma nell’usarli, e usarli pienamente. Una migliore governance dell’area dell’euro scaturirà da un pieno coinvolgimento del Consiglio ECOFIN negli aspetti legati all’Unione economica e monetaria; deriverà da un rafforzamento dell’agenda e dei dibattiti dell’Eurogruppo, in particolare in termini del coordinamento di politiche economiche cui ho già accennato; e risulterà da un dialogo sempre più serrato tra la Commissione e il Parlamento, e tra l’Eurogruppo e il Parlamento.

Inoltre, nei prossimi anni la composizione dell’Eurogruppo sarà sempre più simile a quella dello stesso Consiglio ECOFIN.

Proprio questa mattina la Commissione ha adottato la relazione di convergenza che spiana la strada all’adesione della Slovacchia all’area dell’euro per il 1° gennaio 2009. Nelle prossime settimane avrò l’opportunità di discutere concretamente con quest’Assemblea di tale documento e delle relative proposte.

Un elemento che dovrebbe rappresentare una preoccupazione collettiva delle nostre istituzioni è la comunicazione al pubblico di tematiche legate all’Unione economica e monetaria, affinché i cittadini abbiano una percezione dell’euro in linea con i vantaggi oggettivi che esso comporta per noi che abbiamo tale moneta nelle nostre tasche.

Sto per concludere, signor Presidente. Abbiamo una questione di estrema importanza sul tavolo che merita di essere il primo argomento da affrontare oggi. Ovviamente, non posso illustrare tutti i dettagli dell’analisi riportata nella nostra comunicazione e nella relazione, ma potete contare sulla mia totale disponibilità ad affrontare il tema nei mesi a venire.

L’obiettivo della Commissione, come ho sottolineato, è pervenire a una solida intesa politica sui passi necessari da compiere al fine di garantire che l’Unione economica e monetaria possa rispondere alle enormi sfide con cui dobbiamo confrontarci. Riteniamo che siano queste in via prioritaria le questioni che meritano la nostra attenzione nel dibattito che si apre oggi.

Coloro che hanno elaborato il Trattato di Maastricht e che dieci anni fa hanno deciso di lanciare l’Unione economica e monetaria erano all’epoca all’altezza del compito, e hanno creato uno strumento che ha significato per noi protezione e vantaggi. La parte più difficile è stata realizzata: l’euro è una realtà ed è un successo. Possiamo quindi affrontare questa nuova fase con fiducia e ottimismo, ma dobbiamo anche agire con la stessa determinazione e con il pensiero in mente che quello che è positivo per l’Unione economica e monetaria è positivo per l’Unione europea nel complesso, per tutti i suoi Stati membri e per tutti i suoi cittadini. La ringrazio molto, signor Presidente.

 
  
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  Presidente. − Grazie, signor Commissario, e desidero ringraziarla per il profondo e responsabile impegno.

 
  
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  Werner Langen, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, desidero congratularmi con il Commissario Almunia per il coraggio di illustrare una serie di proposte di miglioramento in occasione del decimo anniversario dell’area dell’euro. Esamineremo con attenzione quanto presentato, ma, a giudicare da quello che abbiamo visto finora, posso affermare che il nostro gruppo offrirà il massimo sostegno possibile. Vogliamo migliorare le condizioni ma non vogliamo quello che i colleghi del gruppo socialista al Parlamento europeo chiedono, ossia definire una sorta di governance economica. A tale riguardo può contare sul nostro totale appoggio.

Dieci anni di euro significano anche che è ora di fare un bilancio di quanto è stato attuato nell’ultimo decennio. Abbiamo visto che l’euro è stato un risultato estremamente positivo. Nessuno prevedeva che oggi, a 10 anni di distanza dalla decisione politica, l’euro sarebbe stata la seconda principale valuta di riserva a livello mondiale. Lei ha citato i posti di lavoro, il tasso contenuto di inflazione, la convergenza delle economie, e i successi che hanno trasformato l’euro in un’ancora di stabilità per l’Europa in un’epoca di globalizzazione. Se ci fermiamo a pensare a come mai riusciamo ad affrontare i prezzi elevati di materie prime ed energia, possiamo dire che si tratta di un’altra questione cui l’euro risponde in modo eccellente.

Nonostante lo scetticismo di molti cittadini dell’Unione europea e dell’area dell’euro, sono assolutamente convinto che sia stata una scelta oculata introdurre l’euro a quell’epoca e a quelle condizioni rigorose. Ora che cerchiamo di intervenire per modificare tali condizioni, signor Commissario, siamo al suo fianco e possiamo solo affermare, guardando indietro, che in passato ha preso molte decisioni ardite. Se penso alla Lituania, se guardo oggi la Slovacchia, dubito che ci fosse lo stesso coraggio, perché anche se, nel caso della Slovacchia, i criteri posso essere soddisfatti sulla carta, è discutibile che il paese possa mantenere gli impegni se si considerano l’attuale convergenza e il costante tasso di inflazione. Dovremo affrontare la questione; la Banca centrale europea ha espresso qualche dubbio nelle sue osservazioni preliminari, di cui purtroppo non si fa alcuna menzione nell’odierna decisione della Commissione. Forse dobbiamo davvero confrontarci in merito a questo tema.

Al momento, la procedura funziona in questi termini: si presenta la domanda di adesione all’area dell’euro, noi veniamo consultati, insieme al Consiglio formato dai capi di Staro o di governo, e poi il Consiglio “Economia e Finanza” deve prendere una decisione. Pertanto, attualmente non possiamo in alcun modo rinviare o rifiutare questa adesione. Sono tuttavia preoccupato del fatto che oggi vengono create le condizioni per accettare un paese di media grandezza con una struttura sensibilmente industriale e che in seguito, nel momento in cui vorranno entrare paesi più grandi, dovremo concedere sconti che non saremo più in grado di giustificare.

E’ la preoccupazione che condividiamo quando solleviamo dubbi sull’adesione incondizionata, e anche sulle riflessioni già espresse dalla Banca centrale europea. Non dobbiamo dimenticare che l’attuale forza dell’euro come valuta mondiale è anche il risultato di un dollaro debole – il merito non è tutto da imputare alla sola forza dell’euro. Se ripenso ai termini della discussione sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita, posso solo affermare che per gli Stati membri rappresenta una sfida. Lo ha menzionato poc’anzi nella sua agenda a tre punti: gli Stati membri incontrano difficoltà a soddisfare le condizioni che essi stessi hanno stabilito.

Constato con un po’ di preoccupazione che avete chiuso i procedimenti per deficit contro l’Italia e altri paesi. Sebbene i dati corroborino questa decisione, osservo gli sviluppi in Francia, Italia e, nei prossimi anni, anche in Spagna, con notevole ansia. All’inizio di questo decennio, il principale colpevole era la Germania. I tedeschi sono di nuovo riusciti ad avere tutto sotto controllo, ma la stabilità dell’euro dipenderà dalla solidarietà e dalla solidità degli Stati membri più grandi. Pertanto mi rivolgo a lei in quanto Commissario: non ceda a queste specifiche richieste. Faccia in modo che in qualsiasi riforma non sia in primo piano, all’esterno, la rappresentanza, che l’attenzione non sia posta su chi rappresenta chi e dove, ma che primeggi la stabilità interna dell’area dell’euro. L’importante è soddisfare le condizioni e porre l’accento sulla stabilità dei prezzi. Così, tra vent’anni, potremo affermare che l’euro è l’ancora della stabilità dell’Europa nel mondo e la base della prosperità e del progresso nel nostro continente.

 
  
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  Pervenche Berès, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, grazie per la presente comunicazione, per questa opportunità di tirare un bilancio ed esaminare che cosa occorre fare per domani.

L’euro è un successo, nessun dubbio al riguardo. L’euro ci ha protetti. In quale situazione si troverebbero i nostri mercati finanziari, le nostre valute, scossi dalle turbolenze del mondo di oggi, se non avessimo l’euro? Ma questo successo ci impone una serie di obblighi. Significa che dobbiamo essere ancora più coraggiosi, perché non siamo un semplice spazio monetario; ci incombe una particolare responsabilità.

Sì, l’euro è un successo, eppure rivela alcune delle nostre lacune intrinseche. Spesso ci muoviamo meglio nella difensiva che nell’offensiva. Spesso ci comportiamo bene quando si tratta di segnare i punti, un’operazione che il Patto di stabilità ci permette, ma quando poi si tratta di organizzare il miglior gioco possibile, di ottimizzare la potenzialità offerta dalla moneta unica, di frequente siamo al di sotto delle nostre capacità.

E’ una realtà all’interno dell’UE. Perché non usiamo la nostra moneta per rafforzare la nostra capacità di attuare la strategia di Lisbona? Perché non usiamo la nostra moneta per realizzare gli obiettivi stabiliti riguardo a energia e ambiente? Ne ha parlato con riferimento al di fuori dell’UE, e concordo sulla sua diagnosi.

Lei propone meccanismi volti a migliorare la vigilanza multilaterale e ha indubbiamente ragione, ma questo si basa su due premesse. La prima è che la presidenza a lungo termine dell’Eurogruppo, sotto la responsabilità di Jean-Claude Juncker, ha migliorato il funzionamento di quest’organo. La seconda è che l’indipendenza della Banca centrale europea non è in discussione e nessuno può contestarla. Date queste due premesse, abbiamo ancora molto lavoro da compiere e io, signor Commissario, confido nel fatto che lei restituisca un po’ di equilibrio all’Unione economica e monetaria, che è ancora in squilibrio e il cui braccio economico ha bisogno di essere migliorato, lo sappiamo bene, fin dal primo giorno, e noi dobbiamo trovare il modo di riformarlo mentre procede. Dieci anni, abbiamo ancora molto da fare.

Oggi, le domande che poniamo dall’inizio devono essere affrontate, pur se, com’è ovvio, in un contesto ben diverso oggi. Dobbiamo analizzare tale contesto alla luce di due principali fenomeni. Il primo è logicamente l’attuale crisi originatasi negli Stati Uniti, che riflette il fatto che stiamo attraversando la seconda fase della globalizzazione, segna il ritorno dell’inflazione, è caratterizzata da un tasso di scambio euro/dollaro non favorevole alle nostre esportazioni – anche se ha i suoi vantaggi una tale situazione – ed è anche contraddistinta da un’incredibile ascesa dei prezzi delle materie prime, del petrolio e delle derrate alimentari.

Il secondo elemento del contesto di cui dobbiamo tener conto è il Trattato di Lisbona che modifica la realtà dell’Eurogruppo, attribuendogli nuove responsabilità in termini di rappresentanza esterna e di coordinamento. Ne dobbiamo essere consapevoli e sfruttare al massimo il potenziale di questo Trattato.

Signor Commissario, ci chiede di contribuire a pervenire a un’intesa. Se l’intesa è positiva, ci saremo. Tuttavia, riteniamo anche che forse occorra andare oltre, con proposte concrete. Se ho compreso correttamente il suo pensiero, lei vorrebbe ricevere una tabella di marcia dal Consiglio. Benissimo! Ci deve dire, però, a quali condizioni il Parlamento europeo avrà voce in queste proposte intese a migliorare la governance dell’euro, affinché il potenziale di questa moneta venga pienamente utilizzato a vantaggio dei cittadini e un domani i nostri concittadini accettino più volentieri la Banca centrale europea. Il fatto che sia diventata un’istituzione forse ci autorizza di nuovo a esaminare le condizioni di nomina dei suoi membri. Sapete che quest’Assemblea è dalla vostra parte, che è alleata della Commissione quando quest’ultima vuole andare avanti, ma saremo anche un alleato esigente. Non ascoltate il Consiglio; a prescindere da quanto è scritto nei Trattati, tenete conto di qualsiasi proposta eccellente possa arrivare anche dal Parlamento europeo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. RODI KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
  
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  Wolf Klinz, a nome del gruppo ALDE.(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, in passato abbiamo assistito a vari tentativi da parte di Stati politicamente sovrani di organizzazione unioni monetarie comuni. I tentativi sono durati a lungo ma alla fine sono tutti naufragati.

Pertanto, non era una sorpresa che negli anni settanta il resto del mondo avesse avuto un atteggiamento molto critico alle proposte di avviare in Europa un simile processo. Pierre Werner, un ex Primo Ministro del Lussemburgo, insieme a Valéry Giscard d’Estaing e a Helmut Schmidt, quand’erano ancora ministri delle Finanze, presentarono già proposte che andavano in questa direzione.

Anche all’inizio degli anni novanta, avviare un’unione economica e monetaria era considerato in modo molto critico. Molti esperti, tra cui premi Nobel statunitensi, bocciarono l’idea perché irrealistica. Tuttavia, contro ogni aspettativa, l’euro fu introdotto – registrando un vero e proprio successo.

L’unione monetaria europea è in effetti qualcosa come un piccolo miracolo politico, un esempio sui generis. A tale riguardo, la dichiarazione dell’ex Presidente della Commissione Hallstein si è ancora una volta dimostrata vera, ossia che chiunque non creda ai miracoli riguardo a questioni legate all’Europa non è realista.

L’introduzione dell’euro è stata comunque accolta con molto scetticismo da parte dei cittadini di molti paesi. Se all’epoca si fosse indetto un referendum nei primi 12 Stati membri dell’area dell’euro, probabilmente oggi non avremmo questa moneta, o perlomeno non in molti di quei paesi. Da allora, tuttavia, i cittadini hanno sviluppato un’opinione dell’euro più positiva. Forse non la totalità dei cittadini è a suo favore, ma probabilmente la maggioranza sì. Gran parte dei pensieri talvolta nostalgici rispetto alle vecchie monete quali il marco, il fiorino olandese, lo scellino o il franco, hanno lasciato spazio alla convinzione che l’euro ha significato vantaggi non solo per l’economia nel complesso, ma anche per i singoli cittadini.

La prova più evidente di tale realtà si ha, ovviamente, quando la gente viaggia. I controlli dei passaporti sono un ricordo del passato all’interno dell’area Schengen e non è più necessario cambiare la valuta, operazione dispendiosa in termini di tempo e denaro. La maggior parte dei cittadini ha anche compreso che non saremmo in grado di affrontare la crisi finanziaria che stiamo attraversando con altrettanta capacità se non avessimo la Banca centrale europea e una moneta unica. Inoltre, gli aumenti dei prezzi delle materie prime sono stati in qualche modo rallentati dalla moneta forte.

Ciononostante, vi sono ancora cittadini che associano l’euro a esperienze negative. Gli aumenti dei prezzi, in particolare, sono spesso imputati al Teuro, che si può tradurre come “euro costoso”. Il fatto è, tuttavia, che l’euro è stabile. Ha dimostrato di essere una valuta stabile. Negli ultimi 10 anni il tasso di inflazione è stato inferiore rispetto al decennio precedente, anche in paesi estremamente consapevoli della stabilità come la Germania. Grazie non solo a questa stabilità, l’euro ha acquisito sempre più peso a livello internazionale e oggi è la seconda principale valuta di riserva internazionale dopo il dollaro.

Dobbiamo ringraziare l’indipendenza della Banca centrale se l’euro è stabile, motivo per cui è difficile comprendere perché vi siano costanti tentativi di minare questa indipendenza. I suoi primi presidenti, Wim Duisenberg e Jean-Claude Trichet, hanno svolto un lavoro davvero straordinario.

Nulla è cambiato: una moneta comune senza una politica fiscale ed economica è, e rimane, un’impresa rischiosa. L’UE si trova ad affrontare sfide impegnative: un tasso di disoccupazione costantemente elevato, modifiche demografiche, pressione migratoria, l’aumento della povertà di certi gruppi della società e una concorrenza più aggressiva quale risultato della globalizzazione. L’area dell’euro può rispondere a queste sfide solo se i politici in campo economico degli Stati membri lavoreranno ancora a più stretto contatto. La nomina di un presidente per l’area dell’euro era un primo passo in questa direzione, ma sempre solo un passo. Devono seguirne molti altri.

L’area dell’euro deve soprattutto presentare un fronte unito al mondo e alle organizzazioni come il Fondo monetario internazionale e l’OCSE.

 
  
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  Alain Lipietz, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi auguro di non superare il tempo a disposizione più di quanto non abbia fatto l’onorevole Klinz con il suo.

Non parlerò di nuovo del grande successo dell’euro, sia come istituzione che come strumento per stabilizzare l’inflazione. Tuttavia, desidero ringraziarla, signor Commissario, e ringraziare anche la Commissione per aver finalmente eliminato un tabù. Dopo dieci anni, è ora che di esaminare che cosa non ha funzionato.

Quello che non ha funzionato, come è stato sottolineato, è che la crescita promessa dall’euro non si è concretizzata. Peggio ancora, gli Stati membri dell’Unione europea che non aderiscono all’area dell’euro hanno registrato una crescita superiore rispetto ai paesi che ne fanno parte. Sussiste pertanto un vero e proprio problema riguardo al modo in cui l’euro è stato strutturato con l’accordo di Maastricht, e noi dobbiamo affrontare questo aspetto.

Per quanto posso vedere, i punti da esaminare sono tre. Il primo, da lei evidenziato, è la necessità di riformare la governance dell’euro, con coordinamento tra la politica di bilancio e la politica monetaria. E’ chiaro – e su questo aspetto non sono d’accordo con l’onorevole Berès – che non possiamo chiedere al tempo stesso maggiore coordinamento tra le due e affermare che la Banca centrale europea deve rimanere totalmente indipendente. In alternativa, questo potrebbe significare che la politica di bilancio a propria volta – vale a dire il Consiglio ECOFIN – diventerebbe un’istituzione indipendente non più responsabile sotto il profilo democratico. Sarebbe una situazione del tutto inaccettabile. Dobbiamo pertanto definire il termine “indipendente”. Indipendente da che cosa? Da interessi privati, sì; da interessi nazionali, sì; ma non dalla politica di bilancio e di economia generale dell’UE.

Il secondo problema è che Maastricht ha conferito al Consiglio la responsabilità nel campo della politica dei cambi, sebbene l’arma di tale politica sia il tasso d’interesse, e quest’ultimo è controllato dalla Banca centrale europea. Occorre quindi dire molto chiaramente che quando si tratta di tassi di cambio la Banca centrale europea deve subordinare il proprio tasso d’interesse alla politica di cambio definita dal Consiglio.

Il terzo punto è che sulla base della crisi dei subprime abbiamo imparato che è necessario distinguere tra vari tipi di prestito. Questo elemento non era tuttavia presente nel Trattato di Maastricht. Ritengo occorra dire con molta chiarezza che i prestiti richiesti per lo sviluppo sostenibile e per interventi concreti intesi a contrastare i cambiamenti climatici devono essere erogati a tassi d’interesse estremamente contenuti.

 
  
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  Mario Borghezio, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che le molte parole di tranquillità contenute nella corposa relazione che ci è stato presentata siano tranquillizzanti, ma fino a un certo punto: intanto perché basterebbe ascoltare, a fronte di questa relazione tecnica, confortata da ben 32 pagine di bibliografia, quello che qualunque cittadino potrebbe raccogliere, andando magari a parlare con le persone, con le casalinghe, con i pensionati in un mercato qualsiasi dell’Europa, nel mio paese o in Francia o altrove, e sentire che la gente non ce la fa ad arrivare alla fine del mese.

Allora bisogna cominciare a concentrarsi sui problemi dell’economia reale e sull’impatto che l’euro e le politiche della BCE hanno avuto nei confronti di chi lavora e produce, a cominciare da quel sistema delle piccole e medie imprese che soffre sotto il peso di politiche che sono ben lontane dall’essere non suscettibili da critiche anche puntuali, critiche costruttive, che è necessario fare nell’interesse dei nostri cittadini e dell’economia degli Stati membri.

Per esempio, io sottopongo due indicazioni: quella, rivolta alle banche, di una politica a favore di un credito selettivo, quindi a favore della produttività e del capitale e di chi lavora e produce; e poi di mantenere e garantire l’indipendenza del sistema delle banche popolari, territoriali, che con voto capitario negli statuti e con quote massime di proprietà sono un baluardo della difesa dell’economia reale.

Purtroppo, la politica della BCE – cui Maastricht ha dato la sovranità monetaria e quindi anche la sovranità economica sopra i nostri Stati – non sempre sembra rispondere con le sue scelte, per esempio mantenendo bassi o alti i tassi d’interesse, agli interessi diffusi della produzione reale e della produttività dei nostri paesi.

Io dico, quindi, che giudichiamo non positivamente l’adeguamento sul fatto che dall’entrata in vigore dell’euro sia raddoppiato il tasso di sconto, con costi di operazioni bancarie molto elevati, per esempio nel nostro paese. Non positivo è l’aver proseguito la politica di rarefazione della circolazione monetaria all’interno del mercato europeo realizzata con ogni mezzo – Basilea II docet – con il risultato di mortificare i consumi e l’interscambio interno del pur vasto mercato europeo.

Noi chiediamo come primo obiettivo di un’Europa quello di sottoporre la Banca centrale europea al controllo delle istituzioni politiche! Ci deve essere un controllo politico della Banca centrale europea perché la sua attività, perché la domanda – che i cittadini europei si pongono e noi da questi banchi ripetiamo – è: a chi giova la politica della Banca centrale europea? La risposta la lasciamo alla vostra riflessione!

 
  
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  Adamos Adamou, a nome del gruppo GUE/NGL. (EL) Signora Presidente, signor Commissario, onde confermare il successo delle politiche adottate, la relazione della Commissione sul nuovo ciclo della strategia di Lisbona pone un’indebita enfasi sul fatto che la crescita economica in Europa è aumentata dall’1,8 per cento del 2005 al 2,9 per cento del 2007, e che le previsioni per il 2008 sono del 2,4 per cento.

Ora è stata tuttavia apportata una correzione, come abbiamo sentito poc’anzi dal Commissario Almunia: quest’anno la crescita economica scenderà al 2 per cento e nel 2009 all’1,8 per cento.

Sottolineiamo questo dato in quanto dimostra chiaramente che cosa avviene in condizioni di mercati liberalizzati. Inevitabilmente, con l’Unione economica e monetaria e, ovvio, la globalizzazione neoliberale, è la crescita complessiva, e non tanto quella sporadica, a non essere in alcun modo una certezza perché i meccanismi applicati sono dettati esclusivamente da rigide forze di mercato. Nonostante gli interventi per contenere l’inflazione, che dovrebbe essere la priorità assoluta della Baca centrale europea (BCE), il tasso quest’anno raggiungerà il 3,6 per cento.

Cosa sta accadendo nel mondo? Potrebbe essere che proprio per i loro limitati scopi le procedure del laissez-faire stiano fallendo? Oggi che l’EMU esiste da 10 anni, si possono mettere in questione le cose a ragion veduta.

Che cosa possiamo sperare di guadagnare dal rigido conservatorismo del Patto di stabilità? Secondo quest’ultimo, tutti gli Stati membri devono partire da un piano di parità, i bilanci devono essere in equilibrio e il disavanzo deve essere ridotto annualmente, a prescindere dalla qualità di vita o se il disavanzo è già al di sotto del 3 per cento.

Quale prestazione sociale otterranno i giovani e i lavoratori se si insiste che la spesa sociale non deve aumentare, anche in periodi di prosperità? Quale quadro e quali politiche vengono attuati a favore dei lavoratori, il cui reddito minimo nella maggior parte degli Stati membri varia tra i 92 e i 668 euro, in un’epoca di aumenti dei prezzi a lungo termine e inflazione?

La disoccupazione è in calo rispetto al 1999. Si registra tuttavia un aumento addirittura superiore negli impieghi precari e non assicurati, che non solo non migliorano la qualità di vita della popolazione, ma la compromettono.

Oggi occorre un radicale cambio di rotta, abbandonando i quadri e le politiche perseguiti. Questo è quello che chiede a maggioranza della popolazione dell’UE, a fronte dei profitti pari a 4,2 milioni di euro l’ora di Shell e BP nell’interesse del cosiddetto libero mercato, mentre i lavoratori rimangono schiacciati da una sempre maggiore insicurezza del posto di lavoro e da un calo del valore reale dei salari.

 
  
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  Jens-Peter Bonde, a nome del gruppo IND/DEM. (DA) Signora Presidente, se avessimo dovuto escludere tutti i paesi che avevano violato le regole dell’unione monetaria, ben presto non sarebbero rimasti molti membri. L’inflazione è ora intorno al 3,6 per cento, anche se era stato promesso il 2 per cento. L’unione monetaria si basa su un piano sbagliato. L’obiettivo di inflazione è stato attinto dal modello tedesco, benché i tedeschi abbiano rispettato il criterio solo in 6 dei 30 anni precedenti l’introduzione dell’unione monetaria europea. Che pazzi! Come possiamo prendere seriamente un simile obiettivo e farne un dogma senza considerare altri traguardi? Il prezzo del denaro è un mezzo, non un fine. L’obiettivo della politica economica deve consistere nel creare piena occupazione e nel garantire che ognuno vada a casa con un salario anziché una prestazione.

La politica monetaria e valutaria deve aiutare le persone, non gettarle nella povertà. Negli Stati Uniti, il tasso annuo di crescita dal 1990 al 2007, in un arco di tempo di 17 anni, è stato del 2,9 per cento, mentre nell’UE era di appena il 2 per cento. All’interno dell’unione monetaria, ogni singolo cittadino avrebbe potuto essere più ricco di 38 000 euro con una politica diversa se il tasso di crescita in Europa avesse solo uguagliato quello degli Stati Uniti prima dell’ultima crisi. E’ davvero un prezzo molto alto da pagare per un progetto ideologico inteso a eliminare le monete nazionali. Dobbiamo avere uno Stato comune con un governo comune e un parlamento comune responsabili della politica economica per tutti, oppure dobbiamo permettere ai singoli paesi di gestire le proprie valute e di accontentarsi di una moneta comune con cui finanziare gli scambi transfrontalieri. Questa è la lezione da trarre dal fiasco dell’unione monetaria.

In assenza di riforme, non è difficile prevedere lo sfacelo dell’unione monetaria. Forse sarà l’Italia di Berlusconi che cadrà per prima e dovrà rispolverare la lira. Mi fa piacere che in Danimarca abbiamo ancora la buona vecchia corona! Tutte le dichiarazioni dei nostri politici riguardo alle difficoltà economiche che emergerebbero se rifiutassimo l’euro si sono dimostrate fasulle. I danesi hanno votato “no” il 2 giugno 1992. Abbiamo di nuovo votato “no” il 28 settembre 2000. Mi chiedo se, qualora non votassimo “no” per la terza volta, i politici proporranno di prendere i soldi da noi.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, è giusto celebrare l’introduzione della moneta unica europea come una storia di successo. Anche se alcuni aspetti sono già stati menzionati, rimane una serie di punti interrogativi, di cui vorrei citarne due.

Innanzi tutto, c’è un paese nell’Unione europea che, a differenza di molti dei paesi candidati all’epoca, ha deciso deliberatamente di non aderire, una scelta che ha il diritto di fare, conformemente alle disposizioni dell’attuale Trattato. Lasciamo che i britannici stiano sulla loro isola. C’è tuttavia un altro paese, la Svezia, che non si è avvalsa di questa facoltà nelle sue condizioni di adesione, ma si è costantemente comportato come se, al pari del Regno Unito, avesse il diritto di decidere in merito all’introduzione dell’euro e all’adesione all’area dell’euro. Questa situazione contrasta con il processo intrapreso al tempo. Forse è necessario dare una sistemata anche qui.

 
  
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  Monika Beňová (PSE).(SK) Desidero ringraziare la Commissione e il Commissario sia da parte mia che a nome del governo della Repubblica di Slovacchia per la posizione positiva assunta oggi dall’Esecutivo nei confronti di tale paese.

Il governo della Repubblica slovacca ha adottato un approccio responsabile non solo per soddisfare i criteri obbligatori, ma anche per garantire un passaggio indolore all’introduzione definitiva dell’euro prevista per il 1° gennaio 2009, nonché una sostenibilità continua di detti criteri.

A tale riguardo, mi sento tenuta a rispondere alle osservazioni formulate dall’onorevole Langen. Onorevole Langen, se altri paesi dell’area dell’euro vantassero una disciplina di bilancio pari a quella della repubblica slovacca e anche solo la metà del tasso di crescita economica, l’euro avrebbe potuto essere anche una moneta più forte, per non parlare delle misure restrittive in materia di accesso al mercato del lavoro che alcuni Stati continuano ad applicare nei confronti di alcuni nuovi Stati membri dell’UE. Se si eliminassero queste limitazioni, forse potremmo parlare di migliori previsioni economiche per l’UE.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE). (SV) Signora Presidente, signor Commissario, non ho la minima difficoltà a unirmi al coro di congratulazioni per l’euro e i suoi primi dieci anni di circolazione. Pochi, se ce n’erano, poteva pensare che l’introduzione dell’euro sarebbe stata in generale ben accolta, come è ora. L’onorevole Bonde è un uomo coraggioso. E’ un collega affabile e capace, ma è in errore riguardo alla maggior parte delle cose, e sbaglia completamente in questo caso specifico. Signora Presidente, signor Commissario, coloro che predicevano la catastrofe sbagliavano. L’euro è un clamoroso successo. Sulla scia della crisi finanziaria, la BCE ha dimostrato che cosa significa essere in grado di intervenire collettivamente e in tempi rapidi, anche più velocemente della Federal Reserve di Washington. Questa è pertanto un’altra medaglia al merito.

Al mio collega tedesco che ha menzionato la Svezia non posso dire altro se non che concordo sul fatto che non vada bene. Mi auguro che nell’arco di cinque anni il mio paese, la Svezia, diventi membro a pieno titolo dell’Unione economica e monetaria. Personalmente gradirei davvero che il paese indicesse un nuovo referendum nell’autunno del 2010 o nella primavera del 2011. Posso promettere al Commissario e ad altri deputati che farò tutto il possibile affinché la Svezia introduca l’euro. Sarebbe un risultato positivo per la Svezia e per l’UE.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, il mandato fondamentale dell’euro è stato più che rispettato. L’euro e il mercato interno sono la nostra migliore risposta alla globalizzazione. L’euro fa del mercato interno il mercato nazionale e l’euro, la bandiera e l’inno costituiscono i tre simboli che cementano la nostra identità. I criteri di Maastricht e il Patto di stabilità e di crescita hanno giustificato le necessarie riforme negli Stati membri e hanno sostenuto e quindi reso possibile la storia di successo dell’euro.

In conclusione, desidero tuttavia soffermarmi su due punti: i criteri devono essere rispettati, e alla Slovacchia deve essere riservato lo stesso trattamento della Lituania. Non dobbiamo suscitare l’impressione, a ogni singola decisione, di non interpretare i criteri con coerenza.

Quello che affermiamo in quest’Aula non è saldamente ancorato nelle coscienze dell’opinione pubblica. Mi piacerebbe vedere una campagna pubblicitaria sui “Dieci anni dell’euro” che evidenzi i vantaggi dell’euro per i cittadini degli Stati membri, e invito la Commissione, la BCE e gli Stati membri a comunicare quest’anno ai cittadini in termini concreti il valore addizionale dell’euro.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).(SK) Oggi celebriamo il decimo anniversario dell’introduzione dell’euro come moneta unica. E’ un giorno importante per la Repubblica slovacca, che con ogni probabilità inizierà a usare tale valuta il 1° gennaio 2009. Nella sua relazione sulla convergenza la Commissione afferma che la Repubblica slovacca ha soddisfatto i criteri di Maastricht in modo sostenibile e ne raccomanda l’adesione all’area dell’euro quale sedicesimo membro a partire da gennaio 2009.

Vorrei cogliere questa occasione per sottolineare che alla Repubblica slovacca è stata offerta l’opportunità di diventare membro dell’area dell’euro in seguito alle importanti riforme adottate dall’ex governo slovacco guidato da Mikuláš Dzurinda. Confido nel fatto che anche l’attuale governo prenda seriamente le raccomandazioni formulate dalla Commissione e faccia tesoro dell’esperienza slovena. Ritengo altresì che la Repubblica slovacca riuscirà a superare lo scetticismo espresso nel dibattito odierno dall’onorevole Langen.

Sono fermamente convinta che le storie di successo riportate dal Commissario Almunia apporteranno una ventata di ottimismo al popolo slovacco. La Repubblica slovacca apprenderà dalle esperienze di Malta e Cipro con un’inflazione al momento dai dati apparentemente stabili.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). (LT) Dieci anni sono un periodo abbastanza lungo per poter valutare i vantaggi – o la loro mancanza – dell’Unione economica e monetaria. E’ oggi possibile vederne i pro, nonché i contro e i difetti.

Desidero richiamare l’attenzione sui criteri di Maastricht, il cui quadro teorico fu sviluppato prima di quello dell’Unione economica e monetaria. Oggi questi criteri sono davvero obsoleti. Il fattore di stabilità e crescita è stato rivisto, in quanto nessuno dei paesi è riuscito a rispettarlo. Durante il periodo di applicazione di tali criteri non un paese dell’area dell’euro è riuscito a soddisfarne effettivamente uno solo.

Vorrei anche menzionare i nuovi Stati membri, a cui nel settore finanziario vengono applicati requisiti rigidi. Per quanto riguarda l’inflazione, i tassi stabiliti erano puramente teorici e non conformi alle attuali realtà. Il processo di fissazione del tasso di inflazione basato su paesi non aderenti all’area dell’euro non è in effetti corretto e dovrebbe essere riesaminato.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM).(EN) Signora Presidente, non è possibile conciliare i problemi economici di base dell’euro. Nel lungo periodo, è inammissibile avere un tasso d’interesse comune per una moltitudine di economie nazionali con capacità diverse. E’ impossibile avere un tasso di cambio esterno comune per una varietà di economie con andamenti diversi. E’ fattibile nel breve periodo e persino nel medio, ma alla fine queste contraddizioni economiche inconciliabili stroncheranno la moneta singola europea. Questa situazione non tiene neanche conto dei processi decisionali antidemocratici e irresponsabili adottati dalla Banca centrale europea. Incombe la minaccia di una crisi economica e, nel momento in cui se ne scateni alla fine una abbastanza consistente, distruggerà la moneta singola europea.

 
  
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  Zsolt László Becsey (PPE-DE).(HU) Grazie, signora Presidente, innanzi tutto, congratulazioni per il decimo compleanno dell’Unione economica e monetaria. L’euro è stato un successo: è stata adottata una valuta stabile con un basso tasso di interesse, un’operazione efficace per contrastare la speculazione, e dall’introduzione dell’euro siamo stati in grado di creare molti più posti di lavori rispetto al passato. Lo sappiamo. E’ il motivo per cui l’euro è interessante per i paesi che hanno aderito all’Unione europea ma non sono ancora membri della zona euro. La disciplina è di vitale importanza al pari dell’indipendenza delle banche centrali, ne convengo. Tuttavia, l’area dell’euro non dovrebbe essere un club elitario, un club politico d’élite, e noi non dovremmo affermare che l’adesione è aperta solo ai paesi che hanno già attuato parte della convergenza in termini reali. L’euro è infatti uno strumento che potrebbe essere particolarmente positivo per quei paesi che necessitano disperatamente di stabilità, coesione, nonché di misure per lottare contro la speculazione e combattere la disoccupazione al fine di diventare autenticamente europei. Per questa ragione, usiamo cautela rispetto ai principi di ortodossia, anche riguardo al criterio di inflazione. E’ assolutamente cruciale stabilire i criteri secondo regole uniformi. Molte grazie, signora Presidente.

 
  
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  Antolín Sánchez Presedo (PSE).(ES) Signora Presidente, desidero associarmi a questi festeggiamenti dell’euro, uno dei più straordinari risultati del processo di integrazione europea.

L’Europa ha impiegato 40 anni per avere una Banca centrale, ma non dobbiamo dimenticare che gli Stati Uniti ne hanno impiegati 140 dall’indipendenza.

I risultati sono stati estremamente positivi, come ha sottolineato il Commissario, in termini di stabilità macroeconomica, posti di lavoro, potere di acquisto, coesione europea e anche vantaggi per gli Stati che non aderiscono all’area dell’euro, e ci ha conferito maggiore capacità politica.

Guardando al futuro, condivido quanto ha affermato il Commissario: per affrontare le sfide poste da globalizzazione, invecchiamento della popolazione e cambiamenti climatici, dal punto di vista interno dovremo accogliere i nuovi paesi, migliorare il coordinamento per far sì che la strategia di Lisbona diventi una realtà e apportare cambiamenti al fine di controllare la stabilità dei mercati di capitali.

Per quanto riguarda il contesto esterno, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità in quanto nuovo attore globale. Anche l’area dell’euro è destinata a essere il motore trainante della prossima fase dell’integrazione comunitaria.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE).(PL) Signora Presidente, se l’introduzione dell’euro è stata un successo e ha significato tali vantaggi pratici ed economici, mi chiedo – e qui mi rivolgo al Commissario Almunia – se non varrebbe la pena investire qualche euro nell’educazione, nella prospettiva di sollecitare i nuovi Stati membri a farsi coinvolgere anche maggiormente in questa area comune dell’euro quanto prima. Come dicevano i latini, bona pecunia non olet, o, per usare un eufemismo, i soldi buoni odorano ma non puzzano, così, chissà, forse persino i britannici finiranno per pensare che potrebbe essere una buona idea introdurre l’euro, dal momento che porta con sé una tale abbondanza di vantaggi.

 
  
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  Joaquín Almunia, Membro della Commissione. (ES) La ringrazio molto, signora Presidente, e ringrazio molto anche tutti i deputati che sono intervenuti in questo dibattito.

Apprezzo molto i commenti espressi riguardo all’iniziativa e al lavoro della Commissione che vi ho presentato qui oggi e su cui senza dubbio continueremo a confrontarci nei mesi a venire.

L’euro, l’Unione economica e monetaria – come molti di voi hanno evidenziato nei rispettivi interventi – è un sogno diventato realtà, e questo è avvenuto nell’arco di dieci anni.

Ritengo che vi sia motivo di ringraziare coloro che hanno lanciato questa iniziativa nei primi decenni dell’integrazione europea: Pierre Werner nel 1970, per la prima relazione sull’Unione economica e monetaria, Valéry Giscard d’Estaing e Helmut Schmidt negli anni settanta e ottanta; naturalmente Jacques Delors e tutti coloro che hanno collaborato con lui e si sono impegnati per rendere possibile il Trattato di Maastricht e la stessa idea dell’Unione economica e monetaria che stiamo sviluppando.

Vi è motivo per essere soddisfatti non solo perché abbiamo trasformato in realtà il loro sogno, ma perché questa realtà ci sta dando risultati che i cittadini comuni possono apprezzare.

Alcuni di voi hanno accennato ai risultati tra i cittadini e nell’economia reale: che cosa comprenderà la gente al di fuori di questa sede? Il pubblico capisce molto meglio di quanto alcuni di noi immaginino che, grazie all’euro e all’integrazione europea, oggi nell’area dell’euro ci sono sedici milioni di posti di lavoro in più rispetto a dieci anni fa. Sedici milioni di impieghi in più. Nell’area dell’euro è stata creata molta più occupazione che negli Stati Uniti. Nella zona euro la creazione di posti di lavoro è stata maggiore di cinque volte dall’introduzione della moneta unica rispetto al decennio precedente l’esistenza di tale valuta.

Il pubblico lo capisce perfettamente. I cittadini lo capiscono molto bene, proprio come comprendono e ci chiedono, riguardo all’attuale situazione, con importanti sfide e contesti molto tesi e difficili nei mercati e nell’ambiente economico, di non restare inattivi e di continuare a prendere iniziative.

Ora che disponiamo degli strumenti per l’integrazione economica, dobbiamo usarli: quelli che sono previsti dal trattato, quelli stabiliti dieci anni fa sulla base dei risultati conseguiti e della nostra esperienza di quale difficoltà comporti raggiungere certi obiettivi.

Dobbiamo coordinare meglio le politiche economiche, non solo le politiche di bilancio. Questo è l’aspetto di cui parliamo quando discutiamo della strategia di Lisbona; ma in particolare, quando parliamo dell’area dell’euro dobbiamo riferirci alle esigenze specifiche di tale zona, sia in termini di coordinamento delle politiche di bilancio che in termini di coordinamento delle riforme strutturali, la cui attuazione è essenziale affinché l’area dell’euro funzioni a dovere e ottenga validi risultati dal punto di vista di occupazione, crescita, aumenti contenuti dei prezzi e maggiori opportunità per i cittadini, per coloro che noi rappresentiamo.

Ci sono stati indubbiamente alcuni risultati, e non dobbiamo nasconderli.

Ad esempio, un risultato è che tutti i disavanzi eccessivi nell’area dell’euro sono stati corretti. Oggi la Commissione ha anche approvato l’abrogazione della procedura per i disavanzi eccessivi a carico di Portogallo e Italia. Nell’area dell’euro non vi sono paesi con un disavanzo superiore al limite fissato nel Trattato e dal Patto di stabilità e di crescita.

Solo alcuni anni fa, quando discutevamo qui della riforma del Patto di stabilità e di crescita, molti di voi non potevano immaginarlo, ma il successo del Patto di stabilità e degli impegni assunti dai governi degli Stati membri dell’area dell’euro portano a questo risultato di assenza di disavanzi eccessivi.

Vi sono tuttavia cose importanti da fare, e dobbiamo farle. E’ questo su cui verte l’iniziativa in oggetto: metterci di nuovo in movimento, e vi fornirò un elenco di temi da affrontare in sede di parlamento e di Eurogruppo, e sono d’accordo con coloro tra voi che hanno affermato che il lavoro dell’Eurogruppo riveste una straordinaria importanza e che l’operato svolto sotto la presidenza di Jean-Claude Juncker è estremamente positivo. Occorre dibattere questo aspetto nei parlamenti, con l’opinione pubblica e con i governi degli Stati membri, e dobbiamo dialogare con la Banca centrale europea senza timore, con rispetto e soddisfazione, considerato il modo in cui la BCE esercita la propria indipendenza. E’ una banca incredibilmente efficace, benché sia molto giovane rispetto alla Banca d’Inghilterra, alla Federal Reserve, alla Banca del Giappone o a qualsiasi altra banca centrale.

Due ultime osservazioni. Innanzi tutto, per quanto riguarda i paesi che non aderiscono, e non sembra intendano entravi, all’area dell’euro. Non mi riferisco ai paesi candidati che faranno il loro ingresso nei prossimi anni, a patto che soddisfino le condizioni, ma a quegli Stati che hanno deciso in virtù di una clausola opt-out o tramite un referendum di non volervi far parte.

Alcuni di voi hanno affermato che l’area dell’euro avrà problemi in futuro. Secondo me saranno coloro che non vogliono aderire all’area dell’euro che avranno problemi.

Nell’economia globale, quelli che soffriranno le conseguenze dell’isolamento sono coloro che vogliono essere isolati. Chi si integra, chi è disposto a condividere e a definire di concerto la propria politica economica prenderà le decisioni corrette, le decisioni giuste, e beneficerà dei vantaggi dell’integrazione a favore dei propri cittadini.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. – Le proiezioni di crescita economica della UE per i prossimi anni indicano un rallentamento preoccupante del nostro sistema produttivo. Dal 2,8% del 2007 la crescita dell’economia UE diminuirà di un punto in un biennio: passando al 2.0% nel 2007 e all’1.8 % nel 2008. Di certo tale battuta di arresto non trae origine soltanto dal mercato interno europeo bensì da un rallentamento delle attività economiche globali, condizionato dalla difficile situazione americana e dall’aumento dei prezzi delle materie prime.

La Commissione a tal proposito prevede per il prossimo futuro un picco di inflazione imposto dal rapido incremento dei prezzi di prodotti alimentari, energetici e delle materie prime. Tale fenomeno risulta particolarmente preoccupante, poiché ricadendo direttamente sulle abitudini di vita dei nostri cittadini comporta una diminuzione del potere di acquisto. D’altro canto questo fenomeno costituisce un onere aggiuntivo per le nostre imprese che perdono progressivamente forza competitiva nei confronti delle nuove economie emergenti. Nonostante ciò, in riferimento all’obiettivo “occupazione” della Strategia di Lisbona, si riscontrano segnali positivi essendo ormai 4 milioni i nuovi posti di lavoro in Europa.

Il nostro impegno, tuttavia, sarà quello di verificare se questa "nuova" dinamicità del mercato del lavoro sia di fatto attribuibile a lavori precari, considerando che gli effetti di tali dati risultano incidere positivamente sulle economie soltanto nel momento in cui siano in grado di creare aspettative di stabilità.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Fa impressione sentire la Commissione e i principali responsabili dell’Unione europea parlare ancora dei successi dell’area dell’euro, benché proprio le statistiche dimostrino l’opposto, sia in termini di crescita economica che di qualità della vita dei cittadini europei. Chiaramente, i successi in questione riguardano l’aumento dei profitti e i favolosi guadagni che i gruppi finanziari ed economici hanno realizzato nel corso di questi primi 10 anni di Unione economica e monetaria.

E’ tuttavia inaccettabile che sistematicamente dimentichino l’acuirsi delle disparità sociali, l’aumento del lavoro precario e mal retribuito che getta sempre più milioni di lavoratori nella povertà, aggravandone così l’ulteriore sfruttamento e privandoli delle condizioni che garantiscono ai loro figli una vita dignitosa.

Non deve pertanto stupire che il piano presentato dalla Commissione europea sia la stessa terapia di sempre solo un po’ più energica: più controlli economici per garantire maggiore competitività e stabilità finanziaria per i gruppi economici, vigilanza di bilancio rafforzata al fine di accelerare la liberalizzazione dei servizi pubblici e più pressione e controlli onde evitare aumenti delle retribuzioni.

Questa situazione si tradurrà in una più forte tensione sociale e in più battaglie condotte per proteggere i diritti sociali e dei lavoratori e per impedire un maggiore sfruttamento.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Gli obiettivi antipopolari e antilavoratori del Trattato di Maastricht sono sfociati nella creazione dell’UEN e dell’euro, spianando il terreno al reazionario Trattato di Lisbona e un peggioramento degli attacchi ai diritti dei lavoratori nonché alle libertà.

Il centrodestra e il centrosinistra hanno ratificato queste decisioni dell’UE e del governo. In Grecia, i partiti Nuova democrazia, PASOK e Coalizione di sinistra hanno votato a favore del Trattato di Maastricht. L’organizzazione di eventuali consultazioni referendarie è stata rifiutata. Questo atteggiamento serve in modo encomiabile gli interessi capitalisti e dimostra in quale misura i capitalisti temano la reazione dei cittadini.

Trasferire un meccanismo chiave di politica economica dagli Stati membri al controllo della BCE ha aiutato i capitalisti a ridurre i costi del lavoro e a moltiplicare i profitti. La compressione sui salari, che la BCE ha incoraggiato dall’inizio del proprio operato, si è tradotta in una vertiginosa caduta del potere d’acquisto dei lavoratori, in un rapido peggioramento del livello di vita delle famiglie della classe lavoratrice e nella povertà.

Nella maggior parte dei paesi, l’UEM e l’euro sono sempre più messi in discussione. Gli argomenti a favore di stabilità dei prezzi, protezione delle economie e così via si son dimostrati un’impostura. L’euro protegge solo i profitti dei monopoli, agevola privatizzazione e fusioni e spiana addirittura la strada a un maggiore sfruttamento.

 
  
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  Cătălin-Ioan Nechifor (PSE), per iscritto. – (RO) La creazione dell’Unione economica e monetaria (UEM) ha determinato non solo la costruzione di un semplice spazio di libero scambio a livello dell’Unione, ma ha anche conferito all’Unione maggiore potere politico sulla scena internazionale, ha imposto i criteri che hanno portato alla riunificazione del continente e all’introduzione della moneta unica – l’euro, che può competere con il dollaro americano.

L’aspetto positivo dell’UEM è di aver garantito tassi di interesse e di inflazione contenuti a vantaggio di consumatori e imprese e di aver incoraggiato la solidità e la vitalità delle finanze pubbliche, mentre l’introduzione della moneta unica ha significato la scomparsa dei costi legati allo scambio estero e ha facilitato il commercio e l’equivalenza dei prezzi nei paesi che al momento rappresentano la zona dell’euro.

Oggi l’Europa si accinge a celebrare un decennio dall’adozione della moneta unica e, anche se gli Stati meridionali dell’UE hanno dovuto affrontare una serie di difficoltà in seguito all’introduzione di tale valuta, le autorità non si sono ancora lamentate. La spiegazione degli analisti è che, nonostante i cambiamenti sul mercato finanziario statunitense, l’Europa è rimasta stabile. Vorrei anche aggiungere che il successo dell’euro può essere dimostrato dal fatto che i danesi, che all’inizio si sono opposti all’introduzione della moneta unica, ora la vogliono.

Per quanto riguarda la Romania, l’euro rimane al momento un importante obiettivo e sono necessari ancora notevoli sforzi per soddisfare i criteri d convergenza e rafforzare la competitività delle imprese rumene sul mercato unico.

 
  
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  Esko Seppänen (GUE/NGL), per iscritto. – (FI) All’adesione della Finlandia all’UE è seguito un referendum. All’epoca l’élite politica promise ai cittadini una nuova consultazione referendaria se la Finlandia avesse rinunciato alla propria valuta, il marco. La promessa non fu mantenuta – a differenza di quanto avvenuto in Svezia – e molti finlandesi chiesero di riavere la propria moneta.

L’euro è stato un successo nel senso che i turisti possono usare la stessa valuta in tutti i paesi dell’UEM e confrontare i prezzi. Il contante per viaggiare non è tuttavia la vera essenza dell’Unione economica e monetaria: è la politica monetaria comune. Quest’ultima non ha dimostrato lo stesso genere di successo a causa della dimensione dell’area dell’euro e della differenza nelle sue economie.

Innanzi tutto, la moneta è stata svalutata di un terzo rispetto al dollaro, operazioni a cui è seguita una rivalutazione di due terzi. Gli effetti dell’UEM dovrebbero essere valutati anche in termini di politica comune dei tassi di interesse, che in molti paesi si è tradotta in prezzi gonfiati del mercato immobiliare.

 
  
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  Winkler, Iuliu (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Il 2008 segna la celebrazione dei 10 anni della creazione della Banca centrale europea (BCE), uno dei progetti più audaci della costruzione europea. A distanza di 10 anni dalla sua istituzione, i risultati ottenuti dall’Unione economica e monetaria rappresentano successi indiscutibili. L’uso esclusivo di criteri economici alla base delle decisioni della BCE e l’eliminazione di qualsiasi influenza politica nel processo decisionale hanno determinato il successo di tale progetto che ha apportato vantaggi alle economie degli Stati membri partecipanti.

Con l’adesione all’UE, sia il governo che la Banca centrale della Romania hanno valutato le prospettive per il paese di entrare nel 2014 nell’UEM. L’adozione dell’euro in Romania implica prima la partecipazione al Meccanismo di cambio (ERM II) per due anni, ossia a partire dal 2012.

Affinché queste scadenze restino obiettivi raggiungibili, dobbiamo proseguire gli interventi volti a coordinare le politiche fiscali del governo con le politiche monetarie della banca centrale e questo richiede moderazione e prudenza nell’esecuzione del bilancio. Al fine di mantenere l’inflazione entro i parametri proposti dalla NBR dobbiamo evitare le tentazioni specifiche degli anni elettorali. La politica in materia di inflazione perseguita dalla NBR deve essere sostenuta dalla stabilità fiscale, da decisioni responsabili in seno al parlamento della Romania e da un’esecuzione di bilancio equilibrata ed efficace a livello di tutte le istituzioni statali.

 

12. Peggioramento della situazione in Georgia (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul peggioramento della situazione in Georgia.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Prima di iniziare a parlare della Georgia, desidero replicare alla dichiarazione che il Presidente del Parlamento europeo ha fatto all’inizio della seduta di oggi riguardo alla Birmania/Myanmar. Poiché è la prima volta che intervengo oggi, vorrei, a nome della Presidenza, esprimere le mie sincere condoglianze a tutti i parenti delle vittime del ciclone Nargis in Birmania/Myanmar. Desidero altresì richiamare la vostra attenzione sulla dichiarazione della Presidenza pubblicata ieri in cui viene manifestata la disponibilità dell’Unione europea a fornire al paese aiuti umanitari di emergenza.

Tornando alla Georgia, onorevoli deputati, accolgo con favore la decisione del Parlamento europeo di inserire in agenda la situazione di tale area, in quanto le relazioni tra la Georgia e la Federazione russa sono estremamente instabili. Il Consiglio segue da molto vicino lo sviluppo della situazione nel paese. Il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” ha discusso l’argomento di recente, il 29 aprile. La questione è stata oggetto di dibattito anche ieri da parte del Comitato politico e di sicurezza, cui è intervenuto anche il vice Primo Ministro Baramidze.

Il 2 maggio la Presidenza ha risposto, a nome dell’Unione europea, pubblicando una dichiarazione sull’acuirsi delle tensioni tra la Georgia e la Russia. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune Javier Solana si era incontrato in precedenza due volte con il Presidente Saakashvili e il 30 aprile aveva parlato con l’inviato speciale georgiano David Bakradze. La Presidenza ha anche discusso i recenti avvenimenti con il ministro russo degli Esteri Lavros in occasione dell’incontro tra la troika dell’Unione europea e la Russia tenutosi in Lussemburgo.

Desidero sottolineare che l’Unione europea è molto preoccupata per la recente serie di eventi che hanno portato a un acuirsi della tensione tra la Georgia e la Federazione russa. E’ per noi motivo di particolare apprensione l’annuncio di un aumento in Abkhazia del numero delle forze di pace da parte della Comunità degli Stati Indipendenti e dell’introduzione di altri quindici posti di controllo lungo il confine amministrativo. E’ anche causa di preoccupazione il fatto che il 20 aprile nello spazio aereo georgiano sia stato abbattuto un apparecchio georgiano senza equipaggio. Siamo inoltre allarmati per la decisione della Federazione russa di instaurare contatti ufficiali con le istituzioni dell’autorità de facto dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia, create senza l’accordo delle autorità della Georgia.

L’Unione europea ribadisce il proprio impegno nei confronti della sovranità e dell’integrità della Georgia all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale, come confermato dalla risoluzione 1808 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’Unione europea continua a sostenere gli sforzi internazionali volti a pervenire a una soluzione pacifica dei conflitti nell’Abkhazia e nell’Ossezia del Sud. In particolare, appoggiamo le attività delle Nazioni Unite condotte sotto l’egida del Gruppo di amici del Segretario generale delle Nazioni Unite, nonché gli interventi dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

L’Unione europea esorta tutte le parti ad astenersi da qualsiasi azione che possa acuire la tensione, e ad adottare misure volte a riportare la fiducia. A tale proposito, l’Unione europea accoglie con favore l’iniziativa del Presidente della Georgia intesa a pervenire a una soluzione pacifica del conflitto in Abkhazia. Auspichiamo che tale iniziativa promuova un dialogo costruttivo al riguardo. Anche il Rappresentante speciale dell’Unione europea e la Commissione europea proseguiranno i propri sforzi mirati a ripristinare la fiducia a sostegno di una risoluzione dei conflitti in Georgia.

L’Unione europea accoglie inoltre con favore la decisione della Federazione russa di riportare alla normalità le relazioni con la Georgia in merito a certi settori. Tale scelta comporterebbe l’eliminazione delle restrizioni sui visti per i cittadini georgiani, il ripristino dei collegamenti postali e altri provvedimenti positivi. Per quanto attiene alla situazione politica interna in Georgia, desidero, in questo frangente, esprimere l’auspicio dell’Unione europea che le prossime elezioni parlamentari del 21 maggio siano libere ed eque. E’ importante che le autorità georgiane adottino tutte le misure possibili affinché l’opinione pubblica abbia fiducia nell’organizzazione delle elezioni. Appoggiamo pertanto il lancio di un programma di assistenza elettorale finanziato dallo Strumento per la stabilità.

Accogliamo altresì con favore l’offerta della Polonia che propone il presidente del Senato polacco quale mediatore per facilitare il dialogo tra il governo e l’opposizione. Tutti i partiti politici della Georgia – sia al governo che all’opposizione – devono prodigarsi e fare qualunque cosa al fine di migliorare il clima nel periodo preelettorale e di introdurre una cultura politica davvero democratica.

In conclusione, desidero ribadire l’importanza cruciale che media liberi e indipendenti rivestono nel processo di costruzione della democrazia. La parità di accesso a rappresentanti del governo e dell’opposizione ai mezzi di informazione è una delle precondizioni per elezioni libere ed eque. Onorevoli deputati, con questo concludo. Attendo di sentire le vostre opinioni riguardo alla situazione in Georgia.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, innanzi tutto condivido appieno quanto espresso dalla Presidenza dell’UE riguardo alla gravità degli ultimi sviluppi in Georgia.

La missione di domani dei responsabili politici dell’UE rappresenterà in effetti un’ottima opportunità per ribadire il nostro incondizionato appoggio alla Georgia in questa difficile congiuntura.

Le tensioni riguardo ai conflitti irrisolti in Abkhazia e Ossezia del sud si stanno purtroppo acuendo a ritmo sostenuto. Le recenti decisioni prese dalla Federazione russa riguardo al potenziamento dei legami con le autorità separatiste de facto in Abkhazia e Ossezia del sud costituiscono uno sgretolamento dell’integrità territoriale della Georgia, e queste misure hanno rafforzato le aspettative in merito a un futuro riconoscimento nelle due regioni separatiste e, pertanto, pregiudicano gli sforzi volti a pervenire a una soluzione pacifica. La Commissione chiede quindi alla Federazione russa di ritirare le proprie decisioni – o, almeno, di non attuarle, come ha affermato chiaramente anche ‘Unione europea nella sua dichiarazione.

Dobbiamo ora concentrarci su come interrompere questa partita a scacchi, dove ogni mossa provoca una contromossa. Qualsiasi azione proposta potrebbe essere paragonata alla capacità di abbassare la temperatura.

Dico questo soprattutto perché un ulteriore peggioramento dell’attuale crisi potrebbe pregiudicare la stabilità non solo in Georgia, ma nell’intera regione del Caucaso meridionale.

Abbiamo accolto con favore la nuova iniziativa di pace per l’Abkhazia proposta dal Presidente Saakashvili. Ritengo sia importante svilupparla affinché costituisca una base per un dialogo costruttivo con il coinvolgimento di tutte le parti. Questo significa, innanzi tutti, con gli stessi abkhazi, che mi auguro saranno disposti – e spero anche autorizzati – a impegnarsi nel processo diplomatico.

La Russia rimane un attore essenziale se vogliamo raggiungere un accordo pacifico e sostenibile riguardo a questi conflitti.

La Commissione ha preso nota della richiesta della Georgia che invita l’Unione europea a intraprendere le azioni che potrebbero indurre la Russia a rivedere la sua attuale politica. Penso che esamineremo altri interventi, ma dobbiamo stare attenti nell’adottare misure simboliche che potrebbero non migliorare le opportunità di una soluzione della crisi e portare, in realtà, a un acuirsi delle tensioni.

Detto questo, ritengo che un riesame complessivo dei meccanismi di pace, come, ad esempio, suggerito dal Segretario generale delle Nazioni Unite nell’ultima relazione sull’Abkhazia, potrebbe contribuire ad accelerare una risoluzione pacifica di questi conflitti, con il sostegno però di tutte le parti. Dobbiamo essere tutti disposti ad assumere un ruolo più attivo nell’appoggiare questi sforzi.

Non dimentichiamoci che negli ultimi quattro anni la Georgia ha compiuto sforzi incredibili per andare verso una società democratica e orientata al mercato.

Abbiamo appena pubblicato una relazione sui progressi compiuti da cui emerge che la Georgia ha ancora molto lavoro da fare, ma che ha registrato sviluppi notevoli in molte aree del piano d’azione ENP. Questi risultati confermano l’impegno della Georgia di voler rafforzare i suoi legami con l’Unione europea nel quadro della politica europea di vicinato.

Per quanto riguarda le prossime elezioni politiche, abbiamo mobilizzato un pacchetto per l’assistenza elettorale pari a 2 milioni di euro (già citato), nella prospettiva di garantire le condizioni per un processo elettorale più equo e più trasparente. Forniamo anche una significativa assistenza europea, sosteniamo programmi di riabilitazione a favore della popolazione nelle zone di conflitto al di là delle divisioni etniche.

La Commissione continuerà a sostenere la Georgia nel suo sviluppo politico, sociale ed economico, nella convinzione che il paese disponga della forza necessaria per superare le sfide che deve affrontare.

 
  
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  Jacek Saryusz-Wolski, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, qui in questo Parlamento il recente acuirsi in Georgia di una situazione già tesa deve essere motivo di gravissima preoccupazione. Il Parlamento europeo deve dimostrare il proprio fermo impegno nonché appoggio alla sovranità e all’integrità territoriale della Georgia.

La recente decisione del governo russo di instaurare contatti ufficiali e di rafforzare la presenza militare russa in Abkhazia va al di là e viola gli accordi in essere nonché l’integrità territoriale della Georgia. Aggrava inoltre le tensioni nelle zone di conflitto pregiudicando così gli sforzi di pace internazionali.

Che cosa si potrebbe fare per restaurare pace e stabilità nell’intera regione? Qui vi sono alcune possibili raccomandazioni per quest’Assemblea in vista della nostra risoluzione. Primo, dovremmo chiedere a Russia e Georgia di dare prova di moderazione, di continuare a perseguire soluzioni pacifiche al conflitto e di consentire la mediazione dell’UE. Secondo, dovremmo esortare il governo russo a revocare la propria decisione di stabilire relazioni ufficiali con l’Abkhazia e l’Ossezia del sud e a ritirare i propri contingenti dall’Abkhazia. Terzo, dovremmo chiedere al Consiglio di sicurezza dell’ONU di potenziare il mandato e le risorse dell’UNAMIG onde stabilire gradualmente forze internazionali di mantenimento della pace effettivamente indipendenti. Dovremmo raccomandare al Consiglio dell’UE e alla Commissione di assumere un ruolo più attivo e di partecipare alla risoluzione del conflitto, prendendo magari in considerazione una missione PESD. Dovremmo appoggiare l’invio quanto prima da parte dell’Unione europea di una missione che si occupi di valutare quanto accaduto. Infine, dovremmo invitare la comunità internazionale a unirsi agli sforzi dell’UE volti a stabilizzare la situazione e a risolvere il conflitto nella regione.

Questo conflitto è una sfida per la politica europea di sicurezza e di difesa dell’UE. Offrirà all’UE l’opportunità di agire in linea con le ambiziose disposizioni in materia di PESC alla base del Trattato di Lisbona – in modo da non essere solo un pagatore nelle situazioni di conflitto, ma anche un attore.

 
  
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  Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. (DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, la scorsa settimana ho avuto l’opportunità, insieme alla delegazione, di recarmi non solo a Tbilisi, ma anche in Abkhazia e nella parte occupata del distretto di Gali. Due cose mi hanno colpito in particolare: la prima è la sorte di coloro che sono stati costretti a fuggire, di cui solo alcuni hanno avuto la possibilità di tornare a coltivare i propri campi e che, naturalmente, hanno difficoltà a vendere i prodotti attraverso un confine tracciato d’improvviso nel paese.

Quello che mi ha anche allarmato è stato il rappresentante del governo de facto con cui ci siamo incontrati, che si è rivelato, com’è ovvio, molto incompetente. Signora Commissario, temo che ne conseguirà – lei lo ha affermato in modo specifico – che la Russia offrirà al popolo dell’Abkhazia ben poche opportunità o possibilità di rientrare in un piano di pace.

La nostra solidarietà va pertanto, ovviamente, alla Georgia, un piccolo paese schiacciato dalla pressione di un vicino molto grande. Tuttavia, ritengo che entrambe le parti debbano dimostrare moderazione, soprattutto ora, e quindi appoggio le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione.

Un’altra ragione a giustificazione della mia posizione è che ho ritenuto quanto detto ieri dal vice Primo Ministro della Georgia alla nostra commissione, e il modo in cui lo ha detto, piuttosto insoddisfacente, in quanto sapeva di discorso da guerrafondaio che in questa fase critica sarebbe bene evitare.

Le elezioni sono imminenti e, com’è ovvio, si approfitterà di alcune condizioni, tra cui la direzione delle elezioni stesse. La Russia sta proprio cadendo in questa trappola, anche sostenendo indirettamente e non intenzionalmente quelle forze in Georgia che potrebbero volere usare il conflitto per i propri scopi politici. Permettetemi di ribadire: appoggiamo appieno la Georgia e le sue aspirazioni di indipendenza e integrità – questo punto è indiscutibile. Auspichiamo anche che le prossime elezioni siamo condotte davvero all’insegna dell’equità e della libertà.

Due elementi, in particolare, spingono la Georgia verso l’Unione europea e anche questo è importante, secondo me. Il primo riguarda la distensione delle restrizioni sui visti. E’ inaccettabile che i russi – e indirettamente, i cittadini di Abkhazia e Georgia cui viene rilasciato un passaporto russo – godano di libertà di visto negate agli stessi georgiani. E’ una situazione iniqua e ingiusta, e deve essere cambiata. Il secondo elemento concerne la necessità di creare in Georgia una missione realmente internazionale di mantenimento della pace. Non possiamo permettere che nella regione sia presente un gruppo di pace costituito, da un lato, dalla Russia, una delle parti in conflitto, e, dall’altro, dal principale partner che ha virtualmente occupato l’area e ora fornisce anche i contingenti di mantenimento della pace.

Ritengo che il desiderio della Georgia di prevenire questo sia giustificato ed è fondamentale – la signora Commissario lo ha già detto in sede di commissione – che manteniamo la capacità di condurre i negoziati. Logicamente, non possiamo ammettere l’uno per cento dei dettagli e delle formulazioni che la Georgia utilizza – siamo l’Unione europea – ma queste due richieste da parte del paese meritano particolare sostegno. Mi auguro che la Commissione sarà attiva e riuscirà ad appoggiare validamente qui le istanze della Georgia.

 
  
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  Georgs Andrejevs, a nome del gruppo ALDE. (LV) Signora Presidente, signor Ministro, signora Commissario, onorevoli colleghi, una settimana fa anch’io ho avuto la possibilità di appurare di persona la situazione in Georgia, quando mi sono recato a Tbilisi in quanto ero uno dei membri della delegazione del Parlamento europeo. A nome del mio gruppo politico, il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, desidero richiamare l’attenzione della comunità internazionale sul ruolo destabilizzante delle forze militari della Federazione russa presenti nella zona di conflitto. La richiesta della Georgia rivolta alla comunità internazionale e alle organizzazioni internazionali di valutare la possibilità di sostituire le forze russe di “mantenimento della pace” con un’altra formula dovrebbe essere presa in considerazione e sostenuta dal Consiglio e dalla Commissione europea, che dovrebbero anche esaminare la possibilità di inviare sotto la supervisione dell’UE una missione di mantenimento della pace nella regione georgiana dell’Abkhazia. Per risolvere questo conflitto occorrono un appoggio e una cooperazione internazionali forti, ma vorrei anche invitare il governo georgiano a intervenire nel modo migliore onde migliorare il clima politico interno nella stessa Repubblica di Georgia. Le elezioni presidenziali del 5 gennaio di quest’anno sono state una decisione per togliersi dall’impasse, ma durante il processo elettorale sono state osservate diverse violazioni e ambiguità, e purtroppo devo ammettere che le azioni da parte delle autorità georgiane competenti non sono state sufficienti a convincere elettori e candidati che ci fosse la volontà politica di esaminare tutte le violazioni occorse all’epoca di quelle consultazioni elettorali. Sono convinto che nelle elezioni parlamentari in programma per questo mese di maggio le autorità georgiane responsabili adotteranno tutte le misure necessarie per rafforzare la fiducia dell’opinione pubblica nel processo elettorale. A tale proposito, desidero accogliere con favore il programma di assistenza elettorale, finanziato dalla Commissione europea, cui partecipano quattro ONG, le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa. I partiti politici, il governo e l’opposizione devono fare tutto quanto in loro potere per migliorare l’attuale clima estremamente teso in Georgia e per instaurare una cultura politica realmente democratica. Entrambe le parti – la coalizione e l’opposizione – e, ovviamente, anche la società civile, devono comprendere che l’instabilità interna aumenta il rischio e la probabilità di altre influenze distruttive dagli Stati vicini, in particolare dalla Federazione russa. Grazie per la vostra attenzione.

 
  
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  Marie Anne Isler Béguin, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signora Presidente, signora Commissario, Ministro Lenarčič, intervengo anche a nome della delegazione; sono infatti presidente della delegazione del Parlamento europeo ai tre paesi del Caucaso.

Avete ragione quando affermate che la situazione è allarmante e grave, e non ritengo che possiamo limitarci a stare a osservare impotenti questa escalation di provocazioni. Personalmente, parlerei piuttosto di un’annessione di un paese da parte di un altro. Quando a marzo la Russia si è ritirata dal regime di sanzioni ordinato dalla CSI, le si è aperta la possibilità di offrire assistenza militare all’Abkhazia. Il 16 aprile, la Russia ha legalizzato le relazioni bilaterali e i documenti ufficiali dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud. Questa decisione non significa, indirettamente, un riconoscimento delle due regioni separatiste? E, infatti, il 24 aprile la Russia ha unilateralmente aumentato il numero di contingenti e inviato materiale armato. Non sappiamo. Persino l’ONU, nel paese, non sa in quale misura la Russia abbia aumentato le proprie forze di mantenimento della pace. Come hanno riportato in miei colleghi, la settimana scorsa eravamo a Gali e apparentemente non c’era nulla che giustificasse l’aumento di queste unità, passate da 2 000 a 3 000 uomini. Per tutti i colleghi che non lo sanno, questo accordo risale al 1994 quando la Russia si è proposta quale mediatore e ha suggerito di inviare forze di mantenimento della pace sul territorio abkhazo, tra l’area abkhaza e la zona dell’Abkhazia in cui vivevano le popolazioni georgiane. Oggi, mentre la CSI parla di diversità, sono presenti solo militari russi. Poiché noi stessi siamo mediatori potremmo chiedere: quale tipo di risultato ha ottenuto tale mediazione?

Voglio anche chiedere qual è la nostra responsabilità. Ho, ovviamente, ascoltato tutti i vostri suggerimenti, ma ritengo che al momento dobbiamo fermare l’escalation della violenza. Ho anche ascoltato le due ultime dichiarazioni del Consiglio. L’Unione europea sostiene solo il ripristino della fiducia. Ministro Lenarčič, oggi sul territorio non vi è la minima fiducia. Non esiste più alcun dialogo. L’Abkhazia ha interrotto il dialogo con la Georgia nel 2006. Per quanto riguarda la comunicazione dell’Unione europea, anche la Commissione sta intervenendo. L’Esecutivo afferma che l’Unione europea si impegnerà nel conflitto solo se le parti presenti lo chiedono. In risposta, posso dire che non accadrà mai. La Russia non ci chiederà mai di aiutare a risolvere il problema, perché la Russia ha sempre sostenuto di non essere una parte coinvolta in questo conflitto. Ora si pone pertanto la questione della responsabilità dell’Unione europea.

Anche se annunciate il sostegno dell’ONU, sappiamo benissimo che all’ONU è tutto bloccato e che ha anche fallito, perché quando è stata chiesta una risoluzione ONU, la Russia non ha risposto. La Russia frena quindi anche questo processo. penso che con questo abbiamo abbastanza argomenti, nonché la possibilità di fornire aiuto in un modo molto più concreto. Non si tratta più della risoluzione del conflitto; siamo al punto di prevenire un eventuale conflitto. Dobbiamo quindi intervenire, ed è per questo motivo che, nel contesto della risoluzione che abbiamo votato la settimana scorsa a Tbilisi, consideriamo, per esempio, di proporre alla Russia di ripartire l’onere del mantenimento della pace inviando un contingente civile di pace in loco. Ritengo che dovremmo ricordare i Balcani. Penso che la storia non ci perdonerà per la seconda volta la nostra inerzia. Il conflitto nei Balcani doveva essere l’ultimo, e credo spetti a noi stroncare sul nascere la guerra nel Caucaso meridionale.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Ministro, signora Commissaria, all’ultimo minuto rompiamo il silenzio piuttosto compromettente dell’UE sulla questione della Georgia.

Nel conflitto in corso in Abkhazia e Ossezia non sono in discussione i diritti di una minoranza russa. Nonostante l’epurazione etnica sperimentata da trecentomila georgiani nella regione dopo il 1993, la Georgia democratica offre da alcuni anni all’Abkhazia una serie di libertà autonome. Malgrado ciò, di recente la Russia si è mossa a favore del riconoscimento di un’amministrazione fantoccio in Abkhazia rafforzando i collegamenti commerciali ed espandendo il campo di applicazione del diritto russo civile, commerciale e in materia di famiglia per coprire quest’area.

Oggi dobbiamo porci una domanda molto importante: ostacolando l’adesione alla NATO della Georgia, non abbiamo incoraggiato la Russia a intervenire in questi termini? E’ una domanda che andrebbe rivolta in particolare a Berlino. Il conflitto è di natura geopolitica. Sono in gioco la credibilità dell’Unione europea e la pace nella regione. Se non riusciamo a dissuadere la Russia dal proseguire con azioni volte a distruggere uno dei nostri partner chiave nel Caucaso, in futuro nessuno ci darà credito.

Dobbiamo affiancare gli Stati Uniti nell’organizzare una riunione del Consiglio di sicurezza e dell’OSCE al riguardo. Oltre a chiedere un forte sostegno diplomatico a favore dell’integrità della Georgia, dovremmo esortare a sostituire la presenza militare russa con contingenti che agiscono sotto un mandato dell’ONU o dell’OSCE. Sarebbe utile inviare una missione parlamentare a Tbilisi. Se non riusciamo in questo compito, la Russia e la sua politica neoimperialista possono spingere l’intera regione sull’orlo di una guerra.

 
  
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  Miloslav Ransdorf, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Dal 1991 la Georgia ha avuto tre Presidenti: il dissidente Gamsakhurdia, Shevardnadze, esponente dell’establishment comunista, e di recente il protetto americano Saakashvili.

E’ difficile dire chi dei tre sia stato il peggiore. Durante la sua visita, il Presidente Saakashvili ci ha fatto partecipi solo di una riflessione: ci ha sollecitato a comprare vini georgiani, che ha chiamato “vini della libertà”. Non sono sicuro che, ad esempio, il vino preferito di Stalin, il Khvanchkhara, si possa considerare tale; in ogni caso la situazione in Georgia è grave. Un quarto della popolazione è emigrato: 1 300 000 georgiani lavorano nelterritorio della Federazione russa. Il fatto in sé dimostra che è di vitale importanza che i due paesi risolvano le loro reciproche questioni, ora che il nuovo Presidente Medvedev ha assunto la guida del Cremlino. Ritengo che abbia bisogno di tempo per soddisfare le promesse fatte, ossia dare una mano alla Georgia e contribuire a risolvere la questione, che oggi è estremamente grave.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE).(NL) Desidero ringraziare sia la Presidenza che la signora Commissario per le risposte fornite. L’acuirsi della tensione nella regione è in effetti motivo di profonda preoccupazione. Concordo riguardo alle osservazioni formulate e alle richieste di moderazione.

Tuttavia, l’interrogativo che ci si pone è a che cosa serva, dal momento che anche le conclusioni del Consiglio del novembre 2007 invitavano alla moderazione, eppure la tensione si è purtroppo acuita. E adesso, signora Presidente? Il vice Primo Ministro della Georgia Baramidze dice “Aiutateci, aiutateci!”, e per di più usa un linguaggio molto rozzo, un linguaggio che ha fatto poco per ridurre le tensioni, anche da parte georgiana. Cosa dovremmo fare, quindi?

Innanzi tutto, c’è la missione. Non solo la Georgia, ma anche la Russia deve partecipare al processo di mediazione. Il secondo punto riguarda la missione ONU di mantenimento della pace. E’ inammissibile che la Russia da sola stabilisca di inviare sul territorio i contingenti russi.

Il terzo punto, signora Presidente, attiene all’allentamento della pressione. Ho seguito poc’anzi tramite il computer nel mio ufficio la splendida cerimonia di insediamento del Presidente Medvedev. Ho sentito il Presidente Medvedev, il nuovo presidente, dichiarare con enfasi la propria intenzione di salvaguardare la sovranità e l’indipendenza della Russia. Il suo omologo in Georgia ha fatto altrettanto. Vorrei chiedere a tutti coloro che desiderano congratularsi con il Presidente Medvedev oggi di chiedergli anche di garantire la sovranità e l’indipendenza del territorio georgiano.

Signora Presidente, una cooperazione costruttiva è quello che è importante; una cooperazione costruttiva su entrambi i versanti. Un nuovo presidente in Russia rappresenta anche una nuova opportunità per noi di rivolgergli una richiesta più concreta per convincerlo di questo. Molte grazie.

 
  
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  Jan Marinus Wiersma (PSE). (NL) Desidero unirmi ai precedenti oratori, tra cui la signora Commissario e il Presidente in carica del Consiglio, nell’esprimere la preoccupazione che tutti condividiamo riguardo alla situazione emersa nella regione – in particolare il Caucaso – concernente la Georgia e i problemi con l’Ossezia del sud e l’Abkhazia. Mentre fino a poco tempo fa parlavamo di conflitti congelati, la situazione è tale che questi rischiano di diventare latenti; e ovviamente dobbiamo prendere tutte le precauzioni del caso affinché non si trasformino in conflitti aperti. L’Unione europea, l’ONU e chiunque sia in grado di assumere un ruolo ha la responsabilità di appianare la situazione.

Dobbiamo naturalmente respingere le mosse compiute dalla Russia. Sono – o almeno sembrano – azioni verso la formalizzazione, verso un possibile riconoscimento dell’indipendenza. Gli interessi geostrategici assumono un peso rilevante al riguardo, com’è ovvio. Posso immaginare che a Mosca il recente Vertice della NATO abbia suscitato un senso di frustrazione, in quanto ha convenuto di consentire alla Georgia di aderire alla NATO nel lungo periodo, e che non vi manchi logicamente anche la necessaria contrarietà dovuta alla reazione della maggior parte dei paesi UE alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Riteniamo che tali problematiche debbano essere rigorosamente distinte dalla situazione in Georgia. In passato, nel quadro dell’OSCE sono stati conclusi accordi in merito, e pensiamo che l’ONU, in particolare, debba sforzarsi di rimettere sulla giusta via la questione, le consultazioni e il dialogo.

Ora stiamo effettivamente assistendo a un acuirsi su entrambi i fronti, un’escalation nella guerra delle parole; una partita a scacchi, davvero, come afferma la signora Commissario, ma una partita che temo finirà senza vincitori – il che non è positivo per nessuno.

Da un lato, c’è la reazione della Russia che aumenta il numero di “peacekeeper”. Dall’altro, la Georgia crea problemi nei negoziati in seno all’OMC riguardo all’adesione della Russia. Credo che su entrambi i fronti si debbano eliminare dalla discussione le chiare allusioni nazionalistiche.

Tutte le parti devono dimostrare moderazione, come hanno affermato molti, e nel lungo termine si devono ovviamente compiere tentativi nella prospettiva di una soluzione strutturale. Ritengo che l’Unione europea possa svolgere un ruolo importante al riguardo, anche nel dialogo diretto con la Russia in occasione del prossimo Vertice UE-Russia. Quest’ultimo può offrire l’opportunità di chiedere al nuovo presidente che cosa prevede di fare il suo paese in merito a questi conflitti congelati, non solo nel Caucaso ma anche in Transnitria; forse in quella sede il nuovo presidente può illustrare le sue intenzioni riguardo agli accordi definiti nel 1999 nel quadro dell’OSCE, credo, riguardo alla situazione in questi paesi, Stati, repubbliche secessioniste, e così via.

Infine – e concordo con chiunque abbia criticato le interpretazioni date dalla Russia alle decisioni dell’ONU – questi “peacekeeper” non sono ovviamente tali; dovrebbero essere piuttosto visti come contingenti al servizio di un interesse militare strategico russo e certo non obiettivi ONU. A tale proposito occorre definire nuovi accordi, e l’Unione europea può svolgere un ruolo in tale contesto.

Inoltre, ovviamente si deve preservare l’integrità territoriale della Georgia, e lo stesso principio vale per il rispetto delle minoranze e dei loro problemi – l’onorevole Swoboda si è soffermato su questo punto – poiché la popolazione in loco rischia di essere schiacciata tra Mosca e Tbilisi. E’ sottinteso che è importante intervenire in qualche modo per affrontare la questione dei profughi. Forse il modo migliore per l’Unione europea di fornire aiuto è investire in misure volte a instaurare la fiducia per assistere entrambe le parti nel cammino verso un dialogo rinnovato.

 
  
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  Árpád Duka-Zólyomi (PPE-DE). – (HU) Grazie, signora Presidente. La Georgia è molto prossima alla guerra, secondo una dichiarazione rilasciata ieri dal sottosegretario della Georgia per la Reintegrazione. La situazione tra la Georgia e la Russia è in effetti sempre più tesa. Il decreto di Putin che chiede alle agenzie di Stato di intensificare la cooperazione con l’Abkhazia e l’Ossezia del sud, l’abbattimento di un velivolo georgiano senza equipaggio e il rafforzamento delle unità militari russe in Abkhazia forniscono validi motivi per le gravi preoccupazioni manifestate dal governo di Saakashvili.

La Russia – indifferente all’integrità territoriale della Georgia – vuole porre gradualmente sotto il proprio controllo le due regioni secessioniste della Georgia. I motivi dei russi sono esplicativi della loro politica di predominio del potere. L’80 per cento della popolazione dell’Abkhazia ha oggi la cittadinanza russa e i russi sostengono di avere quindi la responsabilità di difenderli. Altrettanto illuminante è la dichiarazione rilasciata ieri dal generale Alexey Maslov, comandante in capo delle forze di terra russe: “Il potenziamento del numero di contingenti in Abkhazia è negli interessi della prevenzione di un conflitto armato e della promozione della stabilità nella regione transcaucasica.”

Le autorità russe non possono semplicemente sopportare di vedere la Georgia che ha scelto la strada dell’autonomia, dell’indipendenza e dell’integrazione atlantica. La regione è una parte integrante della politica europea di vicinato. Abbiamo la responsabilità di fornire tutto il sostegno possibile alle riforme in Georgia, nonché allo sviluppo della democrazia e dello Stato di diritto.

E’ anche lo scopo dei notevoli sforzi della commissione di cooperazione parlamentare UE-Georgia. Una settimana fa si è svolta una riunione a Tbilisi, in occasione della quale abbiamo adottato una serie di raccomandazioni decisive. Ci siamo anche recati nella “zona di conflitto” dell’Abkhazia dove al momento le condizioni sono insostenibili. Ritengo che dobbiamo essere più energici e meno ambigui nel nostro appoggio alla Georgia, ed esercitare una maggiore pressione su Mosca. Le forze di mantenimento della pace dovrebbero essere trasformate in unità internazionali e neutrali. Tbilisi affronta con calma la situazione, e vorrebbe risolvere i problemi con strumenti pacifici. Le elezioni politiche in Georgia sono state anticipate e ora sono imminenti. Questa consultazione elettorale sarà una prova importante per la giovane e fragile democrazia del paese e dobbiamo fornire ogni possibile assistenza al fine di garantirne la riuscita. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Józef Pinior (PSE).(PL) Signora Presidente, signora Commissario, in diverse occasioni il Parlamento europeo si è impegnato nel processo di costruzione della democrazia in Georgia. Assistiamo ammirati al modo in cui il popolo georgiano si è sforzato per instaurare una democrazia liberale, una società civile forte e organizzare elezioni libere. Il Parlamento europeo è ancora fermamente schierato dalla parte della democrazia in Georgia, salvaguardando l’integrità territoriale dello Stato.

Ieri ho ascoltato un discorso pronunciato dal vice Primo Ministro della Georgia, Giorgi Baramidze. Le questioni descritte da Baramidze da una prospettiva georgiana rivelano la gravità della situazione che ci troviamo attualmente ad affrontare nel Caucaso. Ovviamente, ci rivolgiamo a tutte le parti, alla Georgia come alla Russia, invitandole alla prudenza. Deve essere tuttavia chiaro che in Europa non vi è alcun consenso riguardo a una politica neoimperialista adottata dalla Russia nei confronti dei paesi caucasici o della Georgia. Sulla Russia grava il fardello di una particolare responsabilità di garantire la pace e la stabilità nella regione.

Al contempo desideriamo far presente che l’aspetto di massima importanza nella situazione internazionale, in Georgia, è la democrazia del paese. Per tale motivo ci rivolgiamo alle autorità georgiane e al popolo georgiano affinché rafforzino ulteriormente la democrazia liberale in loco, nonché la società civile e lo Stato di diritto.

Quanto ha affermato il Commissario riguardo all’assistenza dell’UE volta a sostenere le prossime elezioni in Georgia è un passo dell’Unione europea che dovrebbe caratterizzare la politica europea nel Caucaso: difesa della Georgia, ammirazione per la costruzione della democrazia, nessun consenso al disfacimento dell’integrità territoriale del paese. Rivolgiamo un appello alla Russia e alla Georgia affinché instaurino stabilità, pace e sicurezza in questa regione.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, oggi la Russia ha un nuovo Presidente, ma il nuovo incarico di Vladimir Putin di Primo Ministro gli consentirà di mantenere la sua presa sul potere, nonché di controllare il suo protetto Dmitry Medvedev. Di conseguenza, la politica estera russa non cambierà.

Una fiumana di petroldollari sta facendo della Russia una potenza in ripresa, ma, purtroppo, tutto sembra in termini a somma zero. La priorità della politica estera di Putin – ricostruire qualcosa di analogo alla vecchia Unione Sovietica – è stata incentrata su quello che la Russia chiama con toni paternalistici il suo “estero vicino” – le ex repubbliche sovietiche nei Baltici, nell’Europa orientale e nel Caucaso meridionale, dove la Russia è determinata a mantenere la propria sfera di influenza. Devono essere castigati perché guardano a occidente verso la NATO e l’UE, anziché verso Mosca.

La Georgia, sotto il Presidente Saakashvili, riformista e filoccidentale, ha sofferto in misura notevole per la tirannia esercitata dalla Russia. Oltre a utilizzare gli scambi e gli approvvigionamenti energetici come armi diplomatiche, Putin ha costantemente cercato di minare l’integrità territoriale della Georgia attraverso il tacito appoggio alla scissione, le sedicenti repubbliche di Abkhazia e Ossezia del sud. Lo spiegamento di ulteriori contingenti russi in Abkhazia – apparentemente come forze di mantenimento della pace ma senza dubbio unità di combattimento – e il recente abbattimento di un velivolo radioguidato georgiano hanno acuito in modo provocatorio la tensione nella regione.

Tuttavia, considerata la fretta dell’Occidente di avallare un Kosovo indipendente senza una risoluzione della NATO o un accordo internazionale, le azioni della Russia – purtroppo – hanno una certa logica. Il riconoscimento del Kosovo ha smosso un bel po’ di marciume e offerto alla Russia la possibilità di assumere una posizione moralista. Non dovremmo stupirci che la Russia interpreti questo come un precedente. Sarà davvero tragico se, grazie al nostro approccio nei confronti del Kosovo, abbiamo irrimediabilmente danneggiato la Georgia e scatenato un conflitto armato in un paese di cui dovremmo difendere con tutte le nostre forze l’integrità territoriale.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, assieme ai colleghi della delegazione interparlamentare, guidata dalla collega Isler Beguine, il cui intervento condivido in pieno, ho partecipato alle riunioni la settima scorsa a Tbilisi: la situazione davvero sta precipitando e l’escalation di tensione rischia di sfociare in aperto confronto armato. Nell’incontro ufficiale lo stesso presidente, Saakashvili, ci ha confermato che potrebbe stavolta non trattarsi di giorni ma di ore.

I nodi risolti legati alla situazione di Abkhazia e Sud-Ossezia stanno venendo al pettine e Mosca ha confermato con atti ufficiali la volontà di instaurare rapporti legali con le due regioni, azioni queste che stanno mettendo in discussione la stessa integrità territoriale della Georgia, così come riconosciuta dalle risoluzioni ONU in materia.

L’auspicio è che l’Europa, finalmente con una voce sola, giochi un ruolo più deciso per la ricerca di pacifiche soluzioni, prima che sia troppo tardi. È sin troppo semplice prevedere, in caso di degenerazione dei rapporti, una serie di conseguenze a catena in tutta l’area, eventi che finirebbero per giungere fino ai nostri confini. Ci aspettiamo quindi un impegno concreto in tal senso del Consiglio e della Commissione.

O affrontiamo la situazione e rilanciamo la nostra azione di mediazione, o purtroppo avremo la responsabilità immane di non avere voluto o saputo fare abbastanza!

 
  
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  Corien Wortmann-Kool (PPE-DE). (NL) Siamo amici della Georgia. La vera amicizia significa offrire sostegno e assistenza, e vuol dire che l’Europa deve capire che oggi è in discussione l’integrità territoriale della Georgia. Ma la vera amicizia significa anche esprimere critiche quando queste sono doverose.

Signora Presidente, il governo georgiano deve affrontare un compito difficile. Deve costruire la democrazia, basata su valori europei, in un paese la cui storia è molto diversa. Deve inoltre costruire l’economia, e il Commissario giustamente afferma che la PEV ha registrato validi sviluppi, anche se rimane molto da fare. E’ un compito difficile per il governo georgiano in un momento in cui è in gioco l’integrità territoriale del paese minacciata dalla Russia.

L’Europa deve assumere una posizione netta al riguardo e deve sostenere le parti coinvolte nel conflitto. Le proposte del Presidente Saakashvili meritano una giusta opportunità. Rappresentano una soluzione migliore della dimostrazione di forza. La missione a cui parteciperà la Presidenza del Consiglio è una valida iniziativa, poiché sono finiti i giorni in cui potevamo sederci e aspettare che le cose si ristabilizzassero. Il Consiglio e la Commissione devono dimostrare la volontà di intervenire.

Il fatto che il 21 maggio siano in programma le elezioni politiche aumenta la tensione. Io partecipo alla missione di osservazione e vigilerò sulle elezioni con coscienza. Queste elezioni parlamentari fungeranno da cartina tornasole per il governo Saakashvili. Da qui discende la responsabilità di garantire che le elezioni si svolgano in modo equo e democratico. Questo fornirà la base in Europa per unire le forze e garantire che i cittadini dell’intera Georgia – anche Abkhazia e Ossezia del sud in altre parole – possano vivere in libertà e democrazia. E’ questo il motivo per cui la Georgia merita il nostro appoggio. Molte grazie.

 
  
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  Robert Evans (PSE).(EN) Signora Presidente, qualche minuto fa la signora Commissario Ferrero-Waldner ha iniziato il proprio intervento sottolineando la gravità della situazione, un’opinione espressa anche dal Ministro Lenarčič a nome del Consiglio. Tutti gli oratori hanno finora evidenziato la gravità dell’attuale situazione.

So dalle mie visite in Georgia che il paese si impegna realmente onde rafforzare i suoi contatti con l’Unione europea. Ritengo, onorevoli colleghi, che ora dovremmo appoggiare la Georgia in questo momento di crisi e a fronte di quello che un collega poc’anzi ha descritto come l’imperialismo russo.

La Russia non ha mai accettato l’integrità territoriale della Georgia rispetto all’Abkhazia o all’Ossezia del sud. Apprendiamo da quanto abbiamo sentito nelle ultime settimane che i separatisti russi e abkhazi sono a quanto risulta coinvolti negli incidenti degli aerei-spia che hanno portato a questo acuirsi della tensione, e tutti noi dobbiamo riconoscere che un fatto è stato conseguenza dell’altro. Non sono a conoscenza di tutte le misure diplomatiche intraprese, ma sono preoccupato perché l’Unione europea non sta facendo abbastanza per fermare questa escalation di violenza. L’onorevole Isler Béguin ha affermato qualche minuto fa che la storia non ci perdonerà la nostra inazione. Se non si interviene l’intera area potrebbe disgregarsi in una guerra – una guerra senza alcun vincitore.

Pertanto il mio messaggio di questo pomeriggio – rivolto non solo a quest’Aula, ma al Ministro Lenarčič per il Consiglio e, in effetti, al Commissario Ferrero-Waldner – è di fare tutto quanto in nostro potere, al massimo livello, al fine di garantire che tutti, in primo luogo i russi, comprendano la pericolosità degli avvenimenti che si osservano in questa regione e che dobbiamo fermare questa escalation prima di precipitare in un’altra crisi dei Balcani.

 
  
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  Vytautas Landsbergis (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, dobbiamo affermare con chiarezza: Stop alla guerra! Ruki proch ot Gruzii – Giù le mani dalla Georgia! Basta con il mandato ONU ai conflictkeeper! E’ l’unico modo per far sì che il Cremlino presti ascolto. Se l’UE non è capace di parlare in questi termini, la responsabilità sarà anche sua. Possiamo affermarlo in questa sede, chiedendo di richiamare in Russia i reparti paracadutisti russi.

Nessuno ha lanciato un simile allarme prima dello spargimento di sangue avvenuto nel gennaio 1991 a Vilnius, quando i paracadutisti erano già in loco.

Poiché ora la Russia è artefice dell’acuirsi delle tensioni intorno e contro la Georgia, attribuendovi inoltre un carattere sempre più militare, le motivazioni sottese a questo atteggiamento possono essere di natura politica, ma non solo. Che cosa se ne può evincere qui?

L’obiettivo può essere costringere grazie al fatto compiuto il nuovo Presidente Medveded se oggi scoppiano combattimenti tra soldati russi e georgiani, operazione che può essere facilmente orchestrata da parte dei servizi segreti russi – oppure, invece, offrirgli la possibilità di fare la parte della colomba; influenzare le prossime elezioni in Georgia; vendicarsi sull’UE per il Kosovo punendo la Georgia; bloccare i progressi nel paese in termini di crescita economica e lotta alla corruzione dopo un importante spostamento da una gestione russa dello Stato a una di impronta occidentale.

Purtroppo, vi è anche il pericolo diretto di un conflitto contro la disobbediente Georgia. In tal caso, pensando a un eventuale collegamento tra il veto di Bucarest a un’adesione alla NATO della Georgia e l’aggressività in rapida ascesa della Russia, potremmo chiedere alla Germania di assumere il ruolo di mediatore nel conflitto tra Russia e Georgia onde evitare il peggio. Non c’è più tempo per agire a livello locale, etnico, o usare stratagemmi congelati. Il caso è europeo.

(Applausi)

 
  
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  Urszula Gacek (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, dal dibattito di oggi sono emersi molti temi – visti, accordi di libero scambio e le prossime elezioni. Tutte questioni che meritano di essere affrontate. Tuttavia, l’argomento chiave su cui dobbiamo concentraci è l’instabile situazione riguardo alla sicurezza. Dobbiamo offrire il nostro sostegno alla Georgia in un momento in cui il paese teme ulteriori provocazioni, e persino un’aggressione, da parte della Russia.

Non attenuiamo il messaggio di oggi. Primo, non vi sarà alcuna tolleranza nei confronti degli atti provocatori della Russia. Secondo, l’integrità territoriale della Georgia non può essere in alcun modo compromessa e, terzo, le unità di mantenimento della pace presenti nelle regioni potenzialmente secessioniste devono essere neutrali e affidabili per tutte le parti. I contingenti russi chiaramente non soddisfano questi criteri.

Questi sono i temi che dobbiamo affrontare, e dobbiamo farlo adesso.

(Applausi)

 
  
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  Katrin Saks (PSE).(ET) All’incontro di ieri con il vice Primo Ministro della Georgia, l’opinione più volte espressa è stata che l’approccio adottato con il Kosovo è stato la causa scatenante dell’escalation della tensione in Georgia.

E’ vero che la Russia sta sfruttando la situazione, ma è altrettanto chiaro che gli interessi imperialisti della Russia troverebbero anche altre giustificazioni qualora fosse necessario.

Il problema oggi non è quello che la Georgia ha fatto o non è riuscita a fare. Il problema oggi è che viene provocata la guerra con la scusa di mantenere la pace, e siamo pericolosamente prossimi al conflitto.

L’importante ora è valutare con estrema chiarezza la situazione in Abkhazia e offrire il nostro incondizionato appoggio alla Georgia.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN).(PL) Signora Presidente, nel nome della lotta contro il terrore, oggi la Russia ha ucciso oltre la metà del popolo ceceno. Al momento, la Russia esercita un’influenza sulla violazione dei diritti umani in Bielorussia, e tale influenza è inequivocabile. Quello che sta accadendo in Georgia è solo un’altra minaccia. Non possiamo limitarci a considerare queste problematiche come se si trattasse di affari interni della Russia; non possiamo permettere che l’azione militare russa causi di nuovo dipendenza e guerra in paesi che fino a poco tempo fa erano subordinati alla Russia. La Russia non è capace di rispettare la libertà di un altro popolo. Preferirei non fosse così, ma secoli di storia ci hanno mostrato questa realtà, e purtroppo è un grave dramma.

L’Unione europea non può affrontare queste questioni come se si trattasse soltanto di una questione di delicate procedure diplomatiche. Dobbiamo semplicemente prendere la questione con molta serietà.

 
  
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  Janusz Onyszkiewicz (ALDE).(PL) Da qualche tempo a questa parte la Russia tenta di alimentare una sorta di spirale del terrore nei confronti della Georgia. Ne è un esempio l’abbattimento di un aeromobile teleguidato da parte di un aereo russo, e non sussiste il benché minimo dubbio che non sia stato opera di un velivolo dell’aviazione abkhaza. C’è un video che possiamo visionare, in cui possiamo vedere chiaramente un MiG-29 puntare e sparare un missile che poi va a colpire l’aeromobile. Risulta che di recente le forze di sicurezza abkhaze ne abbiano abbattuti altri due.

Si pone la seguente domanda: com’è possibile che, nonostante l’accordo concluso nel 1994 a Mosca, le forze abkhaze dispongano di tali mezzi? Noi in quest’Aula dobbiamo sostenere l’appello rivolto dal governo georgiano all’Alto rappresentante delle Nazioni unite in Georgia in cui si chiede di avviare un’indagine in merito e di andare a fondo della questione.

Non possiamo permettere che i russi alimentino questa spirale di terrore.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, penso che oggi sia emerso con chiarezza che l’espressione “conflitti congelati” potrebbe essere fuorviante. Infatti, la nostra comprensione della sostanza di questi conflitti è stata spesso congelata. Quello cui assistiamo al momento è l’attuazione di politiche post-imperialiste e di estero vicino: politiche che il governo russo si è impegnato ad abbandonare 12 anni fa quando è diventato membro del Consiglio d’Europa.

Oggi dobbiamo sottolineare con molta precisione che l’interpretazione della Russia del suo ruolo ONU di mantenimento della pace è assolutamente inaccettabile. Non dobbiamo neppure esitare ad affermare con chiarezza che l’unità e l’integrità si devono applicare negli stessi termini per la Georgia e la Russia.

E’ l’ora di agire. E’ finita l’ora delle parole.

(Applausi)

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE).(ET) Oggi, ascoltando gli interventi, emerge con chiarezza che tutti noi in quest’Aula, a prescindere dal fatto che si rappresenti il Consiglio, la Commissione o il Parlamento europeo, tutti noi siamo dell’avviso che le Georgia sia sull’orlo di una crisi, sul punto di precipitare in un conflitto, se non interveniamo immediatamente quale questione urgente e con notevoli risorse.

Poiché il tempo a mia disposizione è breve, vorrei affrontare solo un punto, in particolare la questione delle cosiddette forze russe di mantenimento della pace presenti da ormai 14 anni in territorio georgiano, nell’Abkhazia e nell’Ossezia del sud. E a quale scopo? In questo arco di tempo si sono susseguite innumerevoli provocazioni, tra cui voli di ricognizione senza equipaggio, pace unilaterale, e un potenziamento dei cosiddetti peacekeeper. Si è assistito a un peggioramento dell’instabilità.

In Abkhazia, dove vive l’80 per cento degli abkhazi, la Russia ha rilasciato passaporti al 90 per cento dei cittadini della regione. Per quale motivo discutiamo qui di deroghe ai visti? Stanno facendo di tutto per destabilizzare ulteriormente la situazione.

Ho solo una proposta al riguardo: i peacekeeper, i peacekeeper della Russia, devono essere sostituiti con autentiche ed efficaci unità di mantenimento della pace.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE).(PL) Signora Presidente, primo, l’Unione europea deve correggere un errore riguardo ai visti, secondo, deve definire in modo non aggressivo ma determinato i fatti che riguardano l’operato della Russia in Georgia, e, terzo, deve aiutare la Georgia a risolvere i suoi problemi interni.

A proposito della Georgia, vorrei parlare e rivolgere una richiesta alla Russia. Il nuovo presidente russo potrebbe essere lanciato in un nuovo stile ad alto livello, alla stregua di un grande attore. Anziché pensare in termini imperialisti, forse la Russia potrebbe cominciare a pensare orientandosi alla cooperazione. Questo approccio non danneggerà il sentimento di orgoglio nazionale. In secondo luogo, una grande Russia orgogliosa e ricca può permettersi di rispettare l’integrità territoriale della Georgia, esattamente come noi rispettiamo il territorio russo piuttosto strano nella regione di Kaliningrad.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Ho ascoltato con molta attenzione le dichiarazioni formulate nel presente dibattito e vi ringrazio molto. Desidero innanzi tutto rispondere alla dichiarazione dell’onorevole Wiersma che ritiene che l’Unione europea possa assumere un ruolo importante nell’attenuare l’acuirsi dell’attuale situazione. Ne convengo, e la Presidenza slovena e, penso, il Consiglio si impegneranno in questo senso. Come? Prima di tutto, nell’ambito delle Nazioni Unite. Possiamo condividere la valutazione dell’onorevole Isler Béguin secondo cui i progressi compiuti nel quadro delle Nazioni Unite sono stati modesti e di certo non possiamo ritenerci soddisfatti, ma il contesto ONU rimane una delle sedi fondamentali per affrontare la questione.

Ho già accennato nel mio intervento introduttivo alla risoluzione 1808 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che riafferma le sovranità e l’integrità territoriale della Georgia all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale. La suddetta risoluzione del Consiglio di sicurezza è stata adottata di recente, il 15 aprile, e a tale proposito vorrei sottolineare ed evidenziare, soprattutto in relazione a quanto dichiarato dall’onorevole Evans, il fatto che senza l’accordo della Federazione russa tale risoluzione non sarebbe stata adottata.

Pertanto, l’ONU rimane una sede importante per affrontare questo problema. Un altro importante contesto è l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e anche in questo ambito l’Unione europea continuerà e, auspichiamo, intensificherà gli sforzi per attenuare la situazione. Attenuare la situazione, vale a dire calmare i toni e ridurre la tensione, è una priorità assoluta dell’Unione europea in questo momento. E’ la priorità al primo posto.

Al contempo, faremo tutto il possibile onde potenziare i nostri sforzi volti a pervenire a una risoluzione duratura e pacifica della questione. Sarà un obiettivo non solo nell’ambito delle sedi multilaterali che ho citato, ma anche nei nostri contatti bilaterali con la Federazione russa e la Georgia. La Presidenza è attiva al riguardo. Ho già fatto presente che questo tema è stato di recente oggetto di colloqui a livello ministeriale tra la troika dell’Unione europea e la Federazione russa. Proprio oggi il Ministro Rupel, il Presidente del consiglio “Affari generali e relazioni esterne”, ha incontrato il vice Primo Ministro georgiano Baramidze con cui ha affrontato la questione. Il Vertice Unione europea-Federazione russa in programma il prossimo mese fornirà una delle tante opportunità per discutere questa problematica in futuro.

Desidero sottolineare che l’Unione europea è attiva. A oggi, il tema della Georgia è stato spesso un punto dell’agenda del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”. Abbiamo un Rappresentante speciale dell’Unione europea per la Georgia e il Caucaso. E’ possibile che a breve, nei prossimi giorni, il Direttore politico si rechi in visita speciale nel paese, e così via. Vorrei rilevare che l’Unione europea continuerà a sostenere con fermezza la Georgia nei suoi sforzi volti a pervenire a un accomodamento pacifico dei conflitti irrisolti in Abkhazia e Ossezia del sud. Desidero altresì far presente che costituirà un tema costante del nostro dialogo con la Federazione russa nel cui ambito evidenziamo sempre la necessità di una soluzione pacifica, e esortiamo e incoraggiamo a un approccio costruttivo da parte della Federazione russa nei confronti della proposta di una soluzione pacifica avanzata di recente dal Presidente Saakashvili.

Il Rappresentante speciale dell’Unione europea proseguirà senza dubbio nel suo operato e l’Unione europea continuerà e intensificherà le proprie azioni, soprattutto per quanto attiene all’attuazione di un pacchetto di misure volte a rafforzare la fiducia – attribuiamo grande valore al sostegno della Georgia a favore di questo pacchetto. In breve, posso garantirvi, a nome della Presidenza, che ci impegneremo per proseguire e potenziare gli sforzi mirati a, primo, allentare la tensione e, secondo, a pervenire a una soluzione pacifica e duratura della questione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MECHTILD ROTHE
Vicepresidente

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, è stata una discussione importante in un momento difficile e importante. Prima di replicare ad alcune delle idee, delle domande e delle riflessioni sollevate, desidero far presente che accolgo con molto favore la relazione della commissione parlamentare di cooperazione UE-Georgia, che è allineata con gran parte dell’analisi condotta in seno alla Commissione e condivide una base comune con le nostre relazioni periodiche sui progressi compiuti.

E’ assolutamente chiaro che dobbiamo sostenere la Georgia, ma, come sottolineato da alcuni di voi, i buoni amici devono anche seguire i buoni consigli, e ritengo che la che prima cosa che dobbiamo dire loro è: il dialogo è l’unica via da percorrere. Se la Georgia viene provocata, l’essenziale è che non cada nella trappola di reagire in modo aggressivo.

Come evidenziato da molti di voi, è più importante che mai per la Georgia consolidare la sua democrazia e svolgere elezioni libere e imparziali, e noi vedremo che cosa accade il 21 maggio. Ma è altrettanto chiaro che è fuori discussione che l’Unione europea se ne stia inerte in un momento così difficile come questo.

Continueremo sicuramente a esortare la Russia a revocare la propria decisione infatti, come ha affermato il nostro Presidente del Consiglio, si è appena svolta la riunione della troika del Consiglio di partenariato permanente UE-Russia – vi ho partecipato io stessa – dove la questione è stata affrontata molto apertamente. Si terrà poi, ovviamente, il Vertice di giugno e sfrutterò qualsiasi opportunità per chiarire al massimo questo punto.

Proseguiremo altresì ad appoggiare la Georgia nei suoi sforzi volti a consolidarsi. Ribadisco che sosterremmo anche ogni iniziativa intesa a promuovere il dialogo tra tutte le parti.

Sono d’accordo, come ho affermato in precedenza, riguardo alle proposte di rivedere i meccanismi di pace, se si può raggiungere un accordo al riguardo con tutti i partner: questa è naturalmente la difficoltà, di nuovo. Per quanto attiene alle agevolazioni dei visti, abbiamo iniziato una serie di confronti in sede di Consiglio. Sempre più Stati membri vedono ora l’urgenza di facilitare e riammettere i visti. Non siamo ancora giunti a un’intesa unanime che sia assolutamente necessario adottare questo approccio, ma forse ora ci stiamo muovendo nella giusta direzione.

Per quanto riguarda i profughi, agli sfollati che hanno dovuto abbandonare l’Abkhazia e l’Ossezia del sud abbiamo già fornito consistenti aiuti umanitari. Quest’anno sosteniamo in aggiunta l’attuazione di una nuova normativa della Georgia sulla reintegrazione degli sfollati dai loro miseri rifugi temporanei, operazione, questa, che interessa un programma di 2 milioni di euro.

Ma naturalmente continueremo a essere attivi, perché è una delle questioni su cui dobbiamo tenere gli occhi costantemente aperti.

Per concludere, ci prodigheremo per fare tutto il possibile per riportare la stabilità in Georgia e naturalmente sosterremo senza meno la sovranità e l’integrità territoriale della Georgia.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà il 5 giugno.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Adam Bielan (UEN), per iscritto. – (PL) Negli ultimi giorni e nelle recenti settimane le autorità russe hanno compiuto una serie di azioni provocatorie nei confronti della Georgia, provocando un conflitto che minaccia lo scoppio della guerra. Alcuni giorni fa, la Russia, senza il consenso della Georgia, ha potenziato i suoi contingenti militari in Abkhazia, aumentandoli da due a tremila soldati, e ha anche designato un ufficiale russo di grado elevato al comando del cosiddetto personale militare abkhazo. Si tratta di un chiaro segno dei preparativi russi per un’aggressione militare in Georgia.

Invito a sostenere la sovranità e l’integrità territoriale della Georgia, e chiedo alle autorità russe di porre fine all’escalation di questo conflitto nonché di convalidare le azioni militari intraprese. La retorica aggressiva e la provocazione del Cremlino rendono impossibile una soluzione pacifica della situazione minacciano di destabilizzare l’intera regione.

Le presunte forze armate russe “di pace” dovrebbero essere immediatamente sostituite con forze pacifiche indipendenti sotto il comando dell’UE o dell’ONU.

Il ruolo dell’UE dovrebbe essere quello di “disarmare” il conflitto e di moderare le mire della Russia riguardo alle ex repubbliche del Caucaso meridionale.

L’UE deve dimostrare senza indugi il suo pieno appoggio alla Georgia, potenziare sistematicamente la propria cooperazione e facilitare gli accordi in materia di visti per i georgiani.

 

13. Consiglio economico transatlantico (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sul Consiglio economico transatlantico.

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. − (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, considerati insieme, l’Unione europea e gli Stati Uniti rappresentano a livello mondiale il 60 per cento del prodotto interno lordo e il 40 per cento degli scambi. I servizi commerciali transatlantici e i flussi d’investimento ammontano a 3 miliardi di dollari al giorno. Le relazioni economiche transatlantiche creano 14 milioni di posti di lavoro. E’ la dimensione che ci accingiamo a discutere qui oggi.

Nell’aprile 2007 l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno firmato un accordo inteso a rafforzare l’integrazione economica transatlantica tra gli Stati Uniti e l’Unione europea. Tale accordo si basa sul riconoscimento non solo del fatto che l’Unione europea e gli Stati Uniti sono reciprocamente i principali partner economici, ma anche che ci accomunano interessi e sfide e condividiamo un’ampia gamma di valori comuni, quale l’impegno al libero scambio e l’apertura agli investimenti, l’impegno a una concorrenza libera e priva di distorsioni, il rispetto per i diritti di proprietà, tra cui i diritti di proprietà intellettuale, e l’effettiva protezione di consumatori, lavoratori e dell’ambiente.

L’accordo transatlantico rafforza i nostri impegni comuni volti a conseguire una cooperazione economica più stretta e a accelerare lo smantellamento degli ostacoli transatlantici agli scambi e agli investimenti. Il Consiglio economico transatlantico è stato istituito per garantire il funzionamento di questa cooperazione. Il suo scopo è eliminare le barriere a un autentico mercato transatlantico. Al tempo stesso, tuttavia, affrontiamo anche sfide comuni nelle nostre relazioni con altri paesi. Il Consiglio economico transatlantico si è già dimostrato una valida sede per il dialogo strategico su come procedere nelle relazioni con la Cina e su come comportarsi con le risorse pubbliche. La sicurezza dei prodotti riguardo alle merci importate e l’imposizione dei diritti di proprietà intellettuale nei paesi terzi sono esempi specifici di una cooperazione concreta in determinati settori.

L’ostacolo maggiore al commercio tra le nostre economie altamente sviluppate è dato dalla divergenza nelle norme e negli approcci alla disciplina. Negli ultimi sessant’anni le principali barriere non tariffarie agli scambi sono state virtualmente eliminate negli otto principali cicli commerciali a livello mondiale. Gli ostacoli non tariffari, quali inutili regolamentazioni severe e procedure amministrative che limitano gli scambi, sono oggi il maggiore impedimento. Spesso sono meno visibili e più complesse, e possono essere molto sensibili da un punto di vista politico, considerato che spesso sono il risultato di decisioni arbitrarie di politica interna.

La buona notizia per noi è che gli Stati Uniti, che in passato sono sempre stati molto scettici nei confronti delle normative non emanate da loro, sono sempre più disponibili riguardo alla cooperazione internazionale su questioni di regolamentazione, soprattutto con noi. La decisione da parte della commissione statunitense per i titoli e la borsa (Securities and Exchange Commissione, SEC) di accettare i principi internazionali di informativa finanziaria (International Financial Reporting Standard, IFRS) ha rappresentato uno storico passo avanti.

In qualità di presidente europeo del Consiglio economico transatlantico, in queste fasi iniziali ho compreso un concetto importante. La cooperazione transatlantica non è possibile in assenza di una leadership politica. Concordare sul fatto che è auspicabile avere un mercato senza barriere è una cosa; ma non appena ci accingiamo ad affrontare la questione di determinati ostacoli, scopriamo che l’integrazione economica richiede un duro lavoro, nonché infinita pazienza e perseveranza e, come ho detto, una leadership politica. La situazione era comunque la stessa quando volevamo trasformare in realtà il mercato interno europeo. Mi permetto di ricordare che 30 anni di integrazione economica e politica hanno spianato la strada al nostro progetto di mercato interno europeo.

Modificare norme esistenti e procedure assodate non è sempre una scelta popolare. Ci saranno sempre gruppi che, grazie allo status quo, non devono rinunciare ai loro privilegi. Un certo gruppo si sente sempre minacciato in casa propria. Se cediamo e allentiamo questa pressione, perdendo di vista i vantaggi per l’economia europea nel complesso, ci isoliamo e finiamo per mettere nella sabbia la nostra testa collettiva.

Oggi desidero sottolineare non solo che l’integrazione economica e la riduzione del carico normativo sono ostacolati dalle attuali normative, ma anche che le nuove iniziative di regolamentazione possono pregiudicare l’obiettivo desiderato. Un esempio è la legge del Congresso statunitense che propone di sottoporre a controllo preventivo la totalità del carico che lascia i nostri porti con destinazione gli Stati Uniti. Ovviamente, è un aspetto che sarà affrontato nell’ambito del Consiglio economico transatlantico.

La prossima riunione del CET si svolgerà il prossimo martedì qui a Bruxelles. Si tratta del primo incontro su suolo europeo. Gli americani vi parteciperanno con un nutrito gruppo di rappresentati di governo. Abbiamo un’ampia agenda che segnerà gli sviluppi in molti settori. Come in occasione della nostra prima riunione tenutasi a Washington, anche in questa sede si proseguirà il dialogo strategico. I temi previsti sono l’integrazione della Russia nell’economia mondiale, la questione di come rispondere ai crescenti pericoli di protezionismo e, soprattutto, quali conclusioni tutti noi possiamo trarre dalla crisi dei mercati finanziari. Come potete vedere, copriamo un ampio spettro.

Gli emicicli di entrambe le sponde dell’Atlantico hanno un ruolo importante da svolgere nell’intero processo. Sono molto grato al Parlamento europeo per il profondo interesse dimostrato nei confronti di detto processo. Ringrazio altresì il Parlamento europeo per gli stretti contatti che mantiene con il Congresso e devo ammettere che in quanto membri parlamentari vi spetta un compito importante, poiché molto di quello che vogliamo, e possiamo, definire in termini politici necessita poi di essere formalizzato da un punto di vista legislativo. Affinché questo avvenga, ci occorre l’approvazione del Congresso negli Stati Uniti e vostro in Europa. E’ anche questo il motivo per cui il dialogo normativo è contemplato nel progetto globale.

Per concludere, vorrei sottolineare che l’approccio adottato di recente è molto diverso da tutti i precedenti tentativi, tutti naufragati, più o meno in modo spettacolare, e che entrambe le parti sono convinte che sia finora la strategia più promettente in termini di effettivi cambiamenti conseguiti. E’ importante disporre di un controllo politico permanente e di una chiara ripartizione delle responsabilità riguardo alle iniziative, anche di quelle intraprese in passato ma che purtroppo non hanno raggiunto l’obiettivo.

E’ pertanto estremamente importante chiarire il fatto che non si tratta di un esercizio di cooperazione da mettere insieme in fretta e furia. E’ un progetto a lungo termine. Entrambe le parti concordano che né la durata dell’attuale governo americano, il cui mandato scade il prossimo gennaio, né la durata della Commissione europea in carica, il cui mandato scade a novembre del prossimo anno, possono svolgere un ruolo nella pianificazione a medio o a lungo termine di questa attività.

Siamo assolutamente determinati a garantire che questo progetto si protragga oltre la legislatura e i periodi dei mandati.

 
  
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  Jonathan Evans, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare il Vicepresidente Verheugen. Ha parlato della necessità di una leadership politica, di duro lavoro e di pazienza. Sono tutte qualità che lui ha dimostrato e devo dire che non saremmo al punto in cui siamo oggi se non fosse stato per il duro lavoro e l’impegno personale dimostrati dal Vicepresidente nei confronti di questo progetto.

La proposta di risoluzione comune che verrà presentata a quest’Aula è un documento che, ritengo, riflette le richieste pervenute in questa occasione da tutte le commissioni parlamentari. Desidero congratularmi in primo luogo con loro per l’impegno, e, in secondo luogo, anche per la loro capacità di sintesi, perché è un testo limitato a 47 paragrafi, che lo crediamo o meno, scaturito da tutte le commissioni del Parlamento.

E’ un processo positivo. E’ un processo che, secondo me, deve continuare in futuro. Desidero ringraziare il dialogo commerciale e il dialogo sui consumatori per l’impegno con i legislatori. Vorrei anche richiamare l’attenzione sul commento formulato dal Vicepresidente Verheugen riguardo all’impegno del Congresso. La scorsa settimana ho infatti avuto un incontro a Washington con i nostri colleghi del Congresso e, per quanto possa sembrare incredibile – penso per la prima volta quindi – mi è stato chiesto di illustrare la loro posizione alla riunione che si terrà il 13 maggio. Penso che sia una relazione dai termini molto diversi rispetto a quella che avevamo come parlamento con il Congresso tre o quattro anni fa.

Perché sono importanti questi aspetti? Perché il nostro obiettivo è sviluppare la cooperazione in materia normativa, condurre una valutazione dei rischi adeguata – anche sulla sicurezza dei prodotti importati – colmare le differenze riguardo alle norme tecniche, contrastare il protezionismo, eliminare gli ostacoli agli scambi transatlantici e promuovere la liberalizzazione dei mercati di capitale.

Tuttavia penso anche che possiamo riservarci il ruolo di ente contabile globale riguardo alle sfide della globalizzazione. Possiamo dimostrare che, su base transatlantica, possiamo garantire che le norme non sono attenuate nelle sfide poste da Cina e India.

Mi permettete giusto in chiusura di intervento di aggiungere una parola su un’altra persona che ha contribuito a questo processo? Il presidente dalla commissione del Congresso per le relazioni esterne, Tom Lantos, che purtroppo è mancato qualche settimana fa. Voglio solo dire che era l’unico superstite dell’olocausto facente parte del Congresso degli USA, un uomo cui salvò la vita Raoul Wallenberg. Desidero vedere il suo impegno nei confronti di questo processo riportato nella storia del nostro Parlamento e ringraziarlo a nome di tutti noi.

(Applausi)

 
  
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  Jan Marinus Wiersma, a nome del gruppo PSE. (NL) Anche noi ci complimentiamo con il Commissario Verheugen per l’impegno dimostrato nella cooperazione tra l’UE e gli Stati Uniti e nello sviluppo e nell’istituzione del Consiglio economico transatlantico il cui obiettivo è rafforzare la cooperazione economica, creare un grande mercato comune – non solo negli interessi dell’UE e degli Stati Uniti, ma anche al fine di affrontare i problemi che si pongono a entrambi, quali l’emergere della globalizzazione, la regolamentazione di contesti da disciplinare a livello globale, e talvolta anche la deregolamentazione, laddove necessario.

Il Commissario Verheugen ha ragione ad affermare che fattori politici assumono un peso straordinariamente importante in merito, e che anche il ruolo della leadership politica è importante qui – un tema di per sé. Questo è un anno elettorale negli Stati Uniti: un anno che porta incertezza riguardo alla futura direzione del paese. Non sappiamo chi sarà il nuovo presidente, sebbene io abbia una mia personale preferenza. Lo sviluppo economico del paese è diverso dal nostro. Noi ci stiamo ancora muovendo sufficientemente bene; negli Stati Uniti, regna il pessimismo. Sviluppo eccessivo dell’economia, aumento della disoccupazione, aspre lamentele per i prezzi alti dell’energia, per esempio: tutto questo porta a un livello di incertezza che di certo si ripercuoterà sui principali attori del paese.

Nondimeno, abbiamo bisogno gli uni degli altri per poter attuare un’ampia agenda, come ha affermato il Commissario Verheugen. Non si tratta solo dello sviluppo di un mercato comune; si tratta anche del nostro impegno riguardo ai problemi globali associati agli scambi e alla politica commerciale e alle nostre relazioni con le nuove potenze economiche conosciute con l’acronimo BRIC. Questo è un aspetto importante.

E’ altresì essenziale prendere in considerazione in che modo possiamo sviluppare un’agenda commerciale comune che includa anche aspetti sociali e ambientali. I punti che ho evidenziato sono di estrema importanza per il mio gruppo.

Desidero anche ricordare alcune priorità da affrontare nel breve periodo oltre allo sviluppo del mercato in questione. Ritengo che anche la crisi alimentare debba essere un tema inserito in agenda, come la sicurezza e la sostenibilità degli approvvigionamenti di energia – entrambi siamo essenzialmente consumatori di energia e dipendiamo dai paesi produttori – e, naturalmente, la stabilità dei mercati finanziari. Penso che alla fine si tratti di evitare le sviluppo di una Fortezza Europa e di una Fortezza America come reazione a tutti i tipi di nuovi sviluppi economici: dobbiamo impegnarci al massimo per agire di concerto nell’agorà internazionale quando è in gioco il nostro futuro economico e quello di molti paesi che dipendono da noi. Grazie.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il Commissario Verheugen ci ha ricordato una serie di elementi fondamentali legati al tema di oggi: innanzi tutto, che gli scambi tra gli Stati Uniti e l’Unione europea si attestano su un valore di 3 miliardi di dollari al giorno.

In secondo luogo, ci ha ricordato che il mercato unito tra i nostri Stati membri ha impiegato oltre 30 anni per svilupparsi – e, come sappiamo tutti, non è ancora perfetto. In altre parole, ci è stato fatto presente che la creazione di un mercato unico tra gli Stati Uniti e l’Europa può solo essere un progetto a lungo termine.

Infine, ha sottolineato l’importanza in tale contesto del ruolo della politica, degli ambienti politici e delle istituzioni.

Il mio gruppo ha contribuito alla presente risoluzione e pertanto appoggia i concetti di fondo che contiene. In primo luogo, dobbiamo mirare alla massima armonizzazione possibile delle norme, a prescindere che si tratti della sicurezza dei prodotti o di altri elementi finanziari; un sistema di norme uniformi e armonizzate, quindi. Sappiamo tuttavia quanto sia difficile conseguire questo obiettivo, pertanto se dovesse dimostrarsi irrealizzabile o dovesse richiedere troppo tempo, la risoluzione propone il riconoscimento reciproco delle norme in merito ai vari aspetti economici, sulla base del principio che se è abbastanza positivo per noi deve esserlo anche per i nostri partner – e viceversa, ovviamente.

Ora, come sappiamo tutti, è più facile a dirsi che a farsi, e vi sono ancora diversi problemi che dobbiamo risolvere di concerto, che si tratti di pollame, ormoni, bestiame o la questione estremamente sensibile – menzionata dal Commissario – della clausola degli USA di verificare ogni singolo container.

Con il necessario approccio positivo, ritengo che possiamo riuscire a risolvere tutti questi problemi uno a uno; e, se il nostro Parlamento e il Congresso degli USA contribuiscono, è possibile realizzare un risultato soddisfacente.

 
  
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  Dariusz Maciej Grabowski, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signora Presidente, innanzi tutto desidero esprimere alcune parole di apprezzamento nei confronti del Commissario Verheugen per essersi occupato e impegnato riguardo a una questione di tale importanza. Il XIX secolo è stato un’epoca di espansione europea, il XX secolo un periodo dominato dagli Stati Uniti, e il XXI secolo sembra configurarsi come l’era della Cina e dell’Asia sudorientale. Onde evitare un ripetersi dei conflitti che hanno accompagnato i cambiamenti economici del XIX e del XX secolo, e considerata la rapidità dei processi economici degli ultimi decenni, dobbiamo anticipare potenziali campi di battaglia e trovare metodi che prevengano lo scontro.

Occorre adesso spendere qualche parola riguardo alle tre principali minacce – accesso ineguale alle informazioni e alla comunicazione di informazioni; accesso ineguale alle materie prime; e, terzo, accesso ineguale alla ricerca e alla tecnologia. Questi sono i contesti in cui il ruolo e l’importanza del Consiglio transatlantico acquisiscono visibilità.

Dobbiamo diagnosticare, prevedere e prevenire le crisi, e la libertà economica non deve essere sinonimo di anarchia economica. L’Europa non deve dimostrare indifferenza o protezionismo nei confronti degli Stati Uniti, né gli Stati Uniti verso l’Europa. Sia gli USA che l’Europa, che godono di una superiorità dominante nel campo dell’accesso alle informazioni, dovrebbero agire in modo da non aumentare le sproporzioni nello sviluppo e da evitare che questo avvenga.

 
  
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  Umberto Guidoni, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che ci sia la necessità di trovare una maggiore coerenza tra accordi commerciali bilaterali e norme multilaterali dell’Organizzazione mondiale del commercio, al fine di garantire un sistema commerciale internazionale più equilibrato. Senza questa coerenza il Consiglio economico transatlantico rischia di diventare uno strumento per la creazione di un rapporto economico privilegiato fra due grandi potenze, un mercato tra le due sponde dell’Atlantico orientato contro gli altri mercati mondiali e con caratteristiche protezionistiche.

Al contrario, l’Europa e gli Stati Uniti devono unire gli sforzi per creare un sistema commerciale più equo, inserendo all’ordine del giorno la questione relativa all’applicazione di norme ambientali e sociali e privilegiando lo sviluppo, la riduzione della povertà, la salvaguardia dell’ambiente e della diversità culturale, piuttosto che imponendo una deregolamentazione che favorisce lo spostamento rapido dei capitali e i profitti delle multinazionali.

Anche a causa della speculazione finanziaria, la crisi alimentare sta dilagando a livello mondiale. È necessario che la Commissione ponga all’ordine del giorno la questione dei prezzi delle materie prime e quindi in particolare dei prodotti alimentari, in modo che venga definito un meccanismo di stabilizzazione dei prezzi per contrastare le manovre speculative dei grandi capitali.

È necessario lavorare perché la protezione dei diritti di proprietà intellettuale non crei barriere di accesso alla conoscenza promuovendo e incentivando una condivisione dei saperi e dei trasferimenti di tecnologia ai paesi in via di sviluppo.

Numerose controversie commerciali tra Unione europea e USA sono relative all’uso degli OGM e degli ormoni delle carni. Il Consiglio e la Commissione devono agire in conformità e in difesa della legislazione comunitaria, per garantire il diritto dei cittadini europei a cibo e ambiente sicuri. Occorre partire dalle caratteristiche dell’agricoltura europea e verificare le reali necessità di avvalersi di prodotti contaminati da OGM, basandosi sempre sul principio di precauzione e prevedendo la tracciabilità e l’etichettatura dei prodotti contenenti OGM.

L’Unione europea e gli Stati Uniti devono inoltre assumere un ruolo guida per lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, sviluppando soluzioni tecniche che siano ecologicamente sostenibili.

 
  
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  Bernard Wojciechowski, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signora Presidente, mi fa piacere che da parte di entrambe le sponde dell’Atlantico vi sia la volontà di instaurare un forte partenariato tra i nostri continenti. Desidero estendere i miei ringraziamenti alla Commissione per il lavoro svolto riguardo alla realizzazione di questa struttura vantaggiosa per ambedue. Sono lieto che quest’Assemblea, nonostante annoveri alcuni comunisti, appoggi gli sforzi intesi a ridurre gli ostacoli agli scambi e agli investimenti tra gli Stati Uniti e l’Unione europea e attenda la creazione di un mercato transatlantico entro il 2015.

In Europa si nutrivano grandi aspettative nel nuovo Presidente francese, auspicando che attuasse la riforma economica in un paese bloccato nell’ibernazione socialista. Eppure sembra più interessato a un modello ormai obsoleto che alla liberalizzazione dell’economia. Si riponevano grandi speranze che il nuovo Cancelliere riformasse il datato modello di previdenza sociale tedesco, imprimendo al tempo stesso un fresco impulso al resto d’Europa durante la Presidenza della Germania. Risultato: nada, zero, rien. Quello che un tempo era il motore dell’integrazione europea oggi è di ostacolo a un’economia europea liberale. Il gergo “Europa sociale” o di un’“Europa della solidarietà” è fuorviante nei confronti dei nostri cittadini. E’ ora che ci mettiamo di buona lena a lavorare per ridurre gli ostacoli economici internamente e a costruire un profondo partenariato con gli Stati Uniti. E’ l’unica soluzione con cui possiamo perseguire l’obiettivo di un’Europa competitiva.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).(CS) Onorevoli colleghi, mi aspetto che l’imminente Consiglio transatlantico cerchi soprattutto una serie di soluzioni volte a prevenire un ulteriore aumento dei prezzi delle derrate alimentari. Mi attendo una reazione a questo balzo dei prezzi ma anche al fatto che quest’anno dieci milioni di persone moriranno e altri 100 milioni sprofonderanno in una maggiore povertà.

La situazione in cui la carestia nei paesi in via di sviluppo può sfociare in rivolte mentre i paesi industrializzati razionano gli elementi non è il risultato di un disastro naturale. E’ il risultato di politiche scriteriate su entrambe le sponde dell’Atlantico. A causa di sovvenzioni e oneri doganali sulle importazioni elevati, i prodotti agricoli non vengono coltivati laddove si può ottenere la massima quantità al prezzo inferiore. Nei campi anziché colture troviamo colza, granoturco, canne, che una volta trasformati finiscono nei serbatoi del carburante delle automobili. Al tempo stesso, si sa bene che il prezzo del grano crollerebbe immediatamente del 10 per cento e quello del granoturco del 20 per cento se gli Stati emettessero una moratoria sui biocombustibili, e non mi soffermo neppure sull’aspetto comico della questione, ossia sul fatto che per produrre un litro di biocombustibile spesso occorre più di un litro di gasolio.

Onorevoli colleghi, credo che in una settimana di discussioni in seno al Consiglio transatlantico emergerà con chiarezza se l’UE e gli USA sentono davvero un’autentica responsabilità globale o se stanno mantenendo una posizione nettamente populista. Alla luce dei risultati letteralmente mortali dell’attuale politica alimentare, dovrebbero porre subito termine alle sovvenzioni agricole ingiuste e ai dazi doganali iniqui e cessare di promuovere gli insensati biocombustibili. E’ il solo modo per garantire il calo dei prezzi degli alimenti e la possibilità per un maggior numero di esseri umani su pianeta di avere l’opportunità di vivere senza temere di morire di fame. E’ l’unica via per assicurare un’autentica responsabilità globale.

 
  
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  Erika Mann (PSE).(DE) Signora Presidente, devo ammettere di essere sconcertata rispetto a quanto appena affermato dall’onorevole Wojciechowski riguardo alla Germania e a quale elemento di disturbo questo paese rappresenta per il tessuto dell’Europa. Ho sempre visto la situazione in altri termini. Trovo strano udire commenti di questo genere espressi qui in seno al Parlamento europeo.

Commissario Verheugen, credo che lei abbia affrontato i punti più rilevanti, ma c’è un aspetto che non ha citato, ossia quanto siano difficili i negoziati questa volta. Il Consiglio economico transatlantico è ancora agli albori e le aspettative sono, ovviamente, molto elevate. L’elenco delle cose “da fare” è fitto e personalmente credo che sarebbe appropriato usare un sano realismo, perché vi sono alcuni nel gruppo che non fanno che sovraccaricare il CET con un numero eccessivo di argomenti – tra cui problematiche complesse da una prospettiva psicologica, come la questione del pollame. La mia personale raccomandazione è di essere un pochino più realistici e, forse, di sfoltire l’agenda.

L’onorevole Wiersma ha anche sottolineato che questo è un anno politicamente difficile per gli Stati Uniti. Anche qui in Europa ci troviamo ad affrontare un anno non facile; a dire il vero, è già iniziato. Molti sono impegnati in campagne pre-elettorali e devono assicurarsi la rielezione e dal prossimo anno avremo un Parlamento diverso e una nuova Commissione, pertanto sarebbe bene per entrambe le parti fare leva sul realismo in modo da non dover affrontare difficoltà, come accaduto così spesso.

Non dovremmo mai dimenticare perché abbiamo fatto questo. Lo abbiamo fatto affinché potessimo comprendere meglio che cosa significa l’integrazione dei due mercati – non che vogliamo integrarli, ma che sono in realtà già integrati. L’onorevole Neyts-Uyttebroeck ha giustamente fatto riferimento ai dati. Quello che ci piacerebbe davvero intraprendere – e che in fin dei conti era l’obiettivo – è eliminare gli ostacoli che possiamo togliere. Non li possiamo eliminare tutti. Con alcuni di essi dovremo convivere. Anche nell’ambito del mercato europeo conviviamo con ostacoli, che non si possono sopprimere nella totalità, eppure il mondo non cade a pezzi. Dobbiamo solo eliminare quelli che possiamo togliere, con cui è difficile vivere, con cui non vivono bene i consumatori, quelli la cui soppressione creerà più posti di lavoro, gli ostacoli irrazionali.

Alcuni ostacoli sono assurdi. E’ sufficiente che facciate un giro nelle piccole aziende; vi diranno che vi sono ostacoli assolutamente ridicoli. In effetti, esistono molte barriere ridicole, di cui dovremmo sbarazzarci.

Spero vivamente che la Commissione e il Parlamento proseguiranno a collaborare dimostrando questo impegno. Molti problemi nascono in Parlamento o devono essere affrontati da tale istituzione. Pertanto, un profondo ringraziamento per la stretta collaborazione, e i migliori auguri per una prossima riunione di successo.

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE).(EN) Signora Presidente, nel 2000 è stata raggiunta un’intesa su accordi relativi alla sfera di sicurezza per dati commerciali trasmessi agli USA. Non siamo tuttavia mai andati al di là della stesura di norme transatlantiche comuni. Quello che avviene con sempre maggiore frequenza è il trasferimento di dati commerciali, in particolare dati di passeggeri ma anche del settore bancario e delle telecomunicazioni, ad autorità pubbliche ai fini di sicurezza.

Non è il contesto per sollevare preoccupazioni legate alle libertà civili, ma siano di fronte a un’importante dimensione economica. Ovviamente, se chi viaggia per affari subisce eccessivi ritardi, questo è un costo. Ma è ancora più oneroso il notevole costo imposto alle società.

Per quanto capisco, negli Stati Uniti esiste una disposizione che prevede il rimborso dei costi, ma nell’UE non vi è alcuna politica coerente. Ad esempio, nella direttiva sulla conservazione dei dati, abbiamo lasciato agli Stati membri la facoltà di decidere se compensare le società di telecomunicazioni. Sarebbe interessante verificare quanti lo facciano effettivamente. Ma il risultato è che l’Unione europea è difficilmente in una posizione forte per incoraggiare un quadro transatlantico comune non solo per norme relative alla privacy, che è di vitale importanza, ma anche per affrontare l’impatto economico della raccolta di dati quali le società vengono impiegate alla stregua di funzionari delle autorità pubbliche.

 
  
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  Karl von Wogau (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, negli ultimi l’Europa ha compiuto notevoli progressi verso un mercato comune. Tuttavia, ancora oggi vi sono mercati, anche all’interno dell’Unione europea, che vengono liberalizzati solo gradualmente, ad esempio nell’area dei servizi finanziari, dove non disponiamo di un autentico mercato comune europeo. Anche per i veicoli, sebbene esista un mercato comune in seno all’Europa, abbiamo abbandonato a metà strada il processo in ambito transatlantico. Nel settore della sicurezza e della difesa sono stati compiuti progressi verso un mercato comune. Un primo passo in questa direzione è stata l’introduzione dell’Agenzia europea per la difesa, e un altro è stata la decisione di destinare 1,4 miliardi di euro alla ricerca nel campo della difesa a titolo del Settimo programma quadro per la ricerca.

Il passo più importante su questo percorso tuttavia sono le proposte di direttiva presentate attualmente dalla Commissione, in primo luogo per la fornitura nell’area della sicurezza e della difesa, e, in secondo luogo, nel settore del trasferimento interno di materiale nel campo della difesa. Si tratta di passi decisivi verso un mercato comune europeo nell’area della difesa, ma come si comporta il mercato transatlantico in questo ambito? Qui si assiste a due importanti cambiamenti. Uno riguarda il fatto che di recente gli Stati uniti hanno deciso di acquistare velivoli di rifornimento da una società europea. Il secondo è che la proposta di direttiva avanzata dalla Commissione europea per la fornitura di materiale per la difesa non contempla alcuna norma Buy European paragonabile alle attuali norme Buy American. Il nodo della questione è ottenere il materiale migliore per le nostre forze armate e questo comporta un profondo dialogo tra l’Unione europea e la NATO.

E’ tuttavia altrettanto importante far sì che l’Unione europea e gli Stati Uniti si confrontino direttamente riguardo a queste problematiche economiche. Il Consiglio economico transatlantico dovrà pertanto affrontare il tema – questa volta o forse in una successiva occasione.

 
  
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  Antolín Sánchez Presedo (PSE).(ES) Signora Presidente, il rafforzamento delle relazioni tra l’Unione europea e gli Stati Uniti è la chiave nel contesto transatlantico e in un mondo sempre più multipolare.

In termini economici, gli Stati Uniti e l’Europa vantano la migliore relazione bilaterale a livello mondiale riguardo a cooperazione economica, scambi e investimenti.

Abbattere gli ostacoli all’integrazione economica transatlantica promuoverà il reciproco benessere. Per completare il mercato transatlantico entro il 2015 occorrerà la volontà politica.

L’adozione al Vertice del 2007 dell’accordo quadro inteso a rafforzare l’integrazione economica ha rappresentano un’importante pietra miliare per recuperare lo spirito della nuova agenda transatlantica di Madrid del 1995 e per imprimere nuovo slancio al partenariato economico transatlantico.

Dobbiamo inviare il messaggio al Consiglio economico transatlantico che può contare sul sostegno del Parlamento europeo per procedere in questa direzione.

Gli Stati Uniti e l’Europa sono due giganti dell’economia globale, e hanno quindi in particolare la responsabilità di plasmare la globalizzazione attribuendole un volto umano. La loro integrazione economica è un punto di riferimento positivo per realizzare un’economia aperta, attendibile e sostenibile su scala mondiale.

Questo processo, paragonabile agli impegni multilaterali, dovrebbe spingersi oltre, aprire nuovi percorsi e stabilire nuovi orientamenti per lo sviluppo di relazioni più trasparenti, affidabili ed eque conformemente a norme comuni.

Contribuirà anche a unire gli sforzi in risposta ai problemi di stabilità finanziaria, ai cambiamenti climatici e alle esigenze di sviluppo umano.

La sicurezza dei prodotti, la protezione dei consumatori, scambi leali, la difesa della reputazione, la promozione di invenzioni tecnologiche e dell’innovazione, le norme di contabilità, lo sviluppo di servizi finanziari e la cooperazione in campo normativo sono tutti argomenti che formano parte dell’agenda.

Auspichiamo e confidiamo, Commissario Verheugen, che non tornerà in Parlamento a mani vuote.

 
  
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  Sophia in ‘t Veld (ALDE).(EN) Signora Presidente, sebbene sia consapevole dei rischi posti da un sovraccarico dell’agenda del Consiglio economico transatlantico, mi permetto di chiedere ancora di inserirvi la questione della protezione dei dati, perché questo aspetto – a differenza di quanto pensano molti – è di carattere altamente economico. Di norma infatti ricadeva della sfera di responsabilità della DG Mercato interno della Commissione, ma da allora le cose sono cambiate.

I dati personali sono diventati una grossa attività, e sono un’attività in crescita. Oggi siamo testimoni, ad esempio, di alcune fusioni multimiliardarie nel settore. Pensate a Google/Double Click, di cui abbiamo discusso a gennaio; la fusione tra Microsoft e Yahoo!, che ora è stata annullata; e, a breve, Reed Elsevier e ChoicePoint. Questo indica l’importanza assunta dai dati personali.

L’attività ha anche carattere globale. Le imprese si devono confrontare sempre più con schemi giuridici diversi nel mondo, o anche all’interno dell’Europa o degli Stati Uniti – per esempio: norme in materia di notifica di violazione, protezione dei dati, e pubblicità di profilazione e comportamentale. Alle aziende e ai cittadini occorrono norme globali per maggiore certezza giuridica e trasparenza. Dovremmo pertanto iniziare a elaborare norme globali. Ritengo che il Consiglio economico transatlantico sia la piattaforma appropriata per questa attività e, quindi, vorrei sentire se il Commissario Verheugen concorda con me che questo tema dovrebbe figurare nell’agenda del CET.

 
  
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  Urszula Gacek (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, la recente crisi dei mutui ipotecari subprime negli Stati Uniti ha avuto ripercussioni sulle maggiori istituzioni finanziarie d’Europa, dimostrandoci quanto siano strettamente interconnessi i mercati statunitense ed europeo.

La conseguente riluttanza delle banche a concedere prestiti – anche a se stesse – è sfociata in una crisi dei crediti che avrà un impatto negativo sulla crescita economica e sulla prosperità di aziende e famiglie, a prescindere che siano a Paris, in Texas, o a Paris, in Francia.

Molti governi hanno tradito i comuni cittadini. Si sono dimostrati organi inefficienti di regolamentazione dei mercati finanziari, laddove è stata autorizzata la circolazione di strumenti finanziari sempre più originali, come in quel gioco da bambini in cui si deve passare il pacco. Ma quando la musica alla fine si è fermata, nessuno voleva più tenere il pacco, che era solo un fascio di pessimi debiti.

La relazione evidenzia molto giustamente la necessità di rafforzare la cooperazione tra le autorità di vigilanza su entrambe le sponde dell’Atlantico, in particolare in un momento in cui i governi si concentreranno su operazioni di salvataggio a breve termine, salvando dal fallimento o sostenendo banchieri e singoli creditori.

I governi devono prestare attenzione a non inviare il segnale sbagliato a chi è privo di scrupoli e sconsiderato. Attraverso le loro autorità di regolamentazione dei mercati finanziari devono esigere dagli istituti finanziari metodi contabili trasparenti e criteri di prestito incentrati sulla prudenza.

Uno sforzo concertato da parte degli Stati Uniti e dell’Europa consentirà, si spera, di evitare tali crisi in futuro.

 
  
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  Pervenche Berès (PSE). (FR) Signora Presidente, signor Vicepresidente della Commissione, lei ha ragione. Dopo che altri tentativi sono naufragati, questo è volto a migliorare le nostre relazioni transatlantiche su una base legislativa caso per caso. Tuttavia, emerge subito chiaramente che dall’analisi odierna della situazione manca una dimensione, ossia il contesto in cui il presente dibattito si svolge. Fascicolo dopo fascicolo, possiamo constatare che riguardo a ogni normativa sono stati compiuti progressi su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Che dire della discussione di base in cui dobbiamo tuttavia confrontarci con i nostri partner americani riguardo alla situazione, al rischio che la loro economia attraversi un periodo di recessione, al problema di organizzare il disaccoppiamento all’inizio di tale recessione e, ovviamente, alla questione del tasso di cambio? L’obiettivo della presente risoluzione non è affrontare il problema del tasso di cambio, e tuttavia sappiamo molto bene che il livello delle relazioni transatlantiche dipenderà in ampia misura dalla nostra capacità di regolamentare gli scambi sulla scena internazionale. Se si analizza, fascicolo dopo fascicolo, lo stato delle discussioni con le nostre controparti statunitensi, siamo anche autorizzati a intervenire su fascicoli che forse non riguardano il dialogo transatlantico nel quadro del Consiglio che lei ha contribuito a creare.

Illustrerò solo un esempio: la situazione dei mercati immobiliari. Ovviamente, spetta ai legislatori americani decidere in quale modo rafforzare la loro capacità di concedere prestiti immobiliari che corrispondano alle reali necessità e capacità di indebitamento della popolazione statunitense nonché tenere conto di cosa significa effettivamente finanziare l’edilizia abitativa sociale. In Europa sappiamo che riportare i mercati finanziari a condizioni normali di funzionamento dipende ampiamente da un ritorno alla normalità dei mercati finanziari americani. Nel nostro dialogo con i partner americani dobbiamo pertanto anche sottolineare questi aspetti, subordinati alla loro capacità di modificare la loro legislazione.

 
  
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  Corien Wortmann-Kool (PPE-DE).(NL) Dopo la scorsa notte, non sembra probabile che negli Stati Uniti verrà eletta una donna come presidente. Nondimeno, a prescindere da chi verrà scelto, gli scambi continueranno a svolgere un ruolo importante nelle relazioni con gli Stati Uniti.

Siamo i principali partner commerciali gli uni degli altri, e quindi è di estrema importanza una cooperazione economica costruttiva. E’ pertanto doveroso complimentarsi con il Commissario Verheugen per l’approccio adottato. Nutriamo grandi aspettative riguardo a questo Consiglio economico transatlantico, anche se capiamo che sarà un investimento a lungo termine. Tale Consiglio deve tuttavia svolgere un ruolo importante nell’armonizzazione normativa, nella riduzione della burocrazia e nell’eliminazione degli ostacoli agli scambi – affinché le nostre imprese possano condurre affari più facilmente negli Stati Uniti e i nostri mercati si accordino meglio tra loro.

Pertanto, signor Commissario, le chiedo se vuole attribuire priorità a die verrückten Maßnahmen, come affermato così gentilmente dall’onorevole Mann: non abbiamo un termine altrettanto adatto in olandese. Tra queste verrückte Maßnahmen figura il controllo al 100 per cento dei container, che dovrebbe essere tolto dal tavolo, in quanto è un provvedimento assurdo che avrà un impatto estremamente negativo e si rivelerà anche costoso.

Signora Presidente, dobbiamo anche unire le forze con gli Stati Uniti quando si tratta dei nostri interessi nel resto del mondo, in particolare riguardo alla lotta contro i giocattoli non sicuri provenienti dalla Cina e la produzione di articoli contraffatti in Asia. Nel caso degli articoli contraffatti, è come sbattere la testa contro un muro; non sembriamo in grado di arginare in alcun modo il flusso.

Desidero anche richiamare l’attenzione in particolare sull’azione congiunta nell’ambito dell’attuale crisi finanziaria. Anche in questo contesto, il Consiglio economico transatlantico deve svolgere un ruolo positivo in quanto tema urgente.

Signora Presidente, la responsabilità di sostenere il dialogo con il Congresso degli USA non incombe solo al Consiglio economico transatlantico e al Commissario, ma anche a noi: se uniamo le forze, possiamo fortificarci reciprocamente. Questo è in realtà il nostro obiettivo.

 
  
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  Benoît Hamon (PSE). (FR) Signora Presidente, signor Commissario, il dialogo economico transatlantico arriva in un contesto contraddistinto da una triplice crisi: la crisi bancaria e finanziaria mondiale, di cui non possiamo ancora intravedere la fine, la crisi dei prezzi delle derrate alimentari, e, infine, l’attuale crisi dei prezzi del petrolio. Tutti questi choc si inscrivono inoltre in un contesto generale di riscaldamento globale e cambiamenti climatici, che chiedono un’inversione dei cicli e la messa in questione di certi dogmi su cui abbiamo basato la prosperità della società occidentale.

Rafforzare le nostre relazioni transatlantiche potrebbe servire a questo obiettivo? Ritengo di sì, anche se sarà difficile, complesso e non scevro di conflitti. La presente risoluzione delinea alcune risposte in linea con le domande e le aspirazioni della pubblica opinione europea e americana. In primo luogo, non si tratta di limitare le nostre ambizioni alla creazione di uno spazio transatlantico di libero scambio, ma di lavorare concretamente allo sviluppo dei nostri scambi commerciali a favore di obiettivi più lodevoli, che promuovono standard sociali e ambientali.

Da questo punto di vista, la risoluzione che voteremo domani è ben equilibrata. Riconosce che i cosiddetti ostacoli agli scambi commerciali tra l’Unione europea e gli USA sono spesso atti degli organi legislativi finalizzati a conseguire obiettivi sociali, ambientali, culturali o di pubblica sanità, e non possono essere smantellati senza una decisione democratica e un’azione legislativa positiva volta a proteggere tali obiettivi.

Il testo incoraggia anche l’Unione europea a trarre insegnamento da certi accordi commerciali bilaterali firmati dagli USA, che contengono disposizioni dettagliate in materia di norme lavorative. E’ per queste particolari ragioni che reputo la relazione utile ai fini del dialogo transatlantico.

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, la nostra riunione di oggi in questa sede per dar seguito a un’iniziativa davvero importante è un grande tributo al lavoro svolto dal Commissario Günther Verheugen, dall’onorevole Jonathan Evans e da altri.

Desidero rendere omaggio in particolare all’onorevole Evans per la sua leadership politica perché ritengo che l’elemento politico e parlamentare sia stato assolutamente cruciale.

Ho avuto il privilegio di recarmi a Washington per la prima volta con la delegazione della commissione per il mercato interno l’anno scorso: in quell’occasione abbiamo potuto andare al Congresso e sottolineare l’impegno ampiamente diffuso in seno al Parlamento riguardo a questi aspetti.

Desidero inoltre far presente che di recente la commissione per il mercato interno ha avuto l’onore di una visita da parte di Nancy Nord, presidente in carica della commissione statunitense per la sicurezza dei beni di consumo (CPSC). E’ stato il risultato diretto della nostra visita a Washington e dimostra, credo, che adesso ne stiamo affrontando la dimensione politica.

Ora, perché dobbiamo affrontare quella dimensione politica? La risposta è perché il lavoro relativo a questione tecniche legate alla sicurezza dei prodotti e ad aspetti legati all’armonizzazione in particolare deve avere una dimensione politica. La questione è a un livello burocratico. Se prendiamo le autovetture cui accennava poc’anzi l’onorevole von Wogau, il problema è che in effetti gli esperti nell’Unione europea e gli esperti negli Stati Uniti – non i politici – non riescono ancora a pervenire a un accordo su punti cruciali quali gli standard di emissione per gli automezzi pesanti o su quali prove effettuare sui veicoli per verificarne la sicurezza.

Questi non sono aspetti politici. Sono questioni su cui i burocrati non riescono ad accordarsi. Ritengo che dobbiamo occuparcene, perché comporta per noi in realtà enormi sprechi di denaro che potremmo spendere e investire rendendo i prodotti più sani e più ecologici per i consumatori. Questo è il nocciolo della questione in fin dei conti.

So che posso contare su di lei, signor Commissario, sul fatto che la sua leadership politica affronterà la questione, ma ritengo che tutti dobbiamo impegnarci in questo processo, non per prendere quelle decisioni dettagliate ma per dire alle persone coinvolte: riunitevi e intensificate gli sforzi, perché noi tutti vogliamo che riusciate nell’impresa.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE-DE).(PL) Signora Presidente, il Consiglio economico transatlantico istituito un anno fa è un’idea valida per promuovere la cooperazione transatlantica sul fronte economico. Non dobbiamo dimenticare, dopotutto, che gli Stati Uniti sono il nostro principale partner commerciale. Sono convinta che un’efficace individuazione degli ostacoli esistenti seguita dalla loro eliminazione stimolerà al massimo la crescita economica. Mi auguro che le due parti elaborino immediatamente un piano dettagliato che evidenzi le azioni da intraprendere a opera di singoli settori al fine di creare un mercato transatlantico coronato dal successo.

Onorevoli colleghi, la cooperazione nel quadro del Consiglio economico transatlantico comporta problemi che sono importanti per il funzionamento di un mercato comune. Mi fa particolarmente piacere che tra le priorità di questa cooperazione figurassero questioni relative alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Mi permetto di ricordarvi che l’anno scorso la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione sulla promozione del sistema di brevetti in Europa, in cui ha tentato di rivitalizzare il dibattito su un brevetto comunitario. Quest’anno attendo con ansia una comunicazione sulla strategia nel campo dei diritti di proprietà intellettuale. La cooperazione transatlantica è particolarmente importante in questo settore. Le nostre economie sono ampiamente basate sulla conoscenza. Questa è una delle ragioni per cui la tutela e l’esercizio di diritti di proprietà intellettuale riveste tale rilevanza.

E’ tuttavia negli interessi delle nostre economie che le soluzioni da noi promosse vengano rispettate dai paesi terzi. Senza la comprensione e il coinvolgimento di questi ultimi, i nostri sforzi non sortiranno gli effetti previsti. E’ il motivo per cui tra gli elementi della cooperazione transatlantica occorre prevedere azioni per migliorare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale nei paesi terzi.

Confido nel fatto che il Consiglio economico transatlantico pubblichi prossimamente una relazione sui progressi compiuti nell’attività di cooperazione in merito all’introduzione dei diritti di proprietà intellettuale, in cui illustrerà gli interventi da adottare in futuro per rafforzare la cooperazione nella lotta alla contraffazione di merci e alla pirateria.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Signora Presidente, signor Commissario, il Consiglio economico transatlantico è un’istituzione la cui finalità è trovare soluzioni migliori nel campo della cooperazione economica e incrementare il volume di scambi tra l’UE e gli Stati Uniti. Il Consiglio in oggetto è anche una sede in cui si elaborano le fondamenta di un mercato comune consolidato. Ricordiamoci che ci stiamo avvicinando a un momento in cui dovremmo proporre congiuntamente ad altre regioni del mondo di modificare le norme e i principi di funzionamento dell’economia mondiale e degli scambi globali.

Un’area importante della nostra cooperazione è il controllo dei mercati finanziari e l’adozione di principi trasparenti al riguardo onde evitare i rischi che abbiamo affrontato a seguito della crisi del mercato dei mutui, che ha causato poi turbolenze sui mercati alimentari mondiali.

 
  
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  Corina Creţu (PSE).(RO) La nostra discussione si svolge prima della riunione di Lubiana dei legislatori europei e americani, già ricordata anche da lei, signor Commissario, nonché dal capo della nostra delegazione, l’onorevole Evans, e sono certa che questo appuntamento evidenzierà, una volta di più, la necessità di consolidare il dialogo transatlantico.

L’istituzione del Consiglio economico transatlantico riflette l’esigenza di armonizzare le posizioni di entrambe le parti riguardo alla gestione delle crisi che ci troviamo ad affrontare a livello globale, in particolare la crisi alimentare e quella energetica, nonché in altri campi.

Purtroppo, la povertà è e rimane il principale nemico dell’umanità e non può essere alleviata senza una reale cooperazione tra gli organismi internazionali e gli Stati nazionali, ma soprattutto tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America.

Infine, vorrei cogliere quest’occasione per chiedere di nuovo il sostegno della Commissione europea per risolvere la questione dei visti, quale segno di dovuta solidarietà nei confronti dei nuovi Stati membri dell’Unione europea che non hanno ancora appianato il problema.

 
  
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  Peter Skinner (PSE).(EN) Signora Presidente, molti hanno parlato di questioni molto gravi. Ovviamente, è di estrema importanza che comprendiamo che è sempre in corso il dialogo tra gli Stati Uniti e l’Unione europea, ma che il CET riguarda davvero risultati concreti. Ha lo scopo di far piazza pulita della retorica e di eliminare alcune delle miserabili scuse addotte su entrambe le sponde dell’Atlantico riguardo a quelle cose che dobbiamo fare per poter imprimere slancio alle nostre economie e ricompensare i rispettivi cittadini con la crescita, soprattutto oggi con la crisi finanziaria intorno a noi.

E’ per questo motivo che sono così soddisfatto di constatare che sono stati compiuti effettivamente alcuni progressi. Accolgo con favore il fatto che molti come l’onorevole Jonathan Evans, il Commissario Verheugen e colleghi di quest’Assemblea si siano impegnati a fondo riguardo a tale questione nel tentativo di far progredire le cose. Sono stati menzionati i principi contabili internazionali, nonché gli accordi di intermediazione finanziaria. Sono tutti sviluppi positivi e aspetti molto concreti, ma non può essere una lista della spesa. Il CET ha sette priorità da portare avanti garantendo che si pone fine alla retorica. Le assicurazioni sono una di queste priorità da cui potrebbe sortire un risultato tangibile – forse non oggi ma di certo domani.

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero innanzi tutto ringraziarvi di cuore per l’ampio sostegno emerso dalla presente discussione in merito al progetto di cooperazione economica transatlantica nonché ribadire che tale progetto può avere successo solo con il coinvolgimento di tutte le istituzioni. Il Consiglio ha il suo proprio ruolo da svolgere, così il Parlamento, e la Commissione si sta impegnando per svolgere anche la propria parte.

Vorrei esprimere il mio disaccordo e tranquillizzare coloro che hanno affermato di essere preoccupati dal fatto che questo sia una sorta di protezionismo transatlantico o che le due maggiori e più potenti regioni economiche del mondo si stiano trincerando. La cooperazione economica transatlantica non è diretta contro nessuno. E’ oltremodo interessante sapere che le regioni economiche già citate nell’ambito del dibattito odierno mostrano già grande interesse in questa attività e hanno già chiesto, in modo più o meno esplicito, se possiamo immaginare di istituire qualcosa di analogo con altre entità.

La mia risposta è sempre la stessa: intendiamo aspettare e vedere se il modello che abbiamo creato qui funziona effettivamente, perché ci troviamo ancora alle fasi iniziali. Vorrei tentare ancora di dimostrare che esistono varie dimensioni qui. Il vero fulcro dell’attività è eliminare gli ostacoli agli scambi. E’ esattamente come ha affermato l’onorevole Harbour: si tratta di ostacoli commerciali. Se si osserva la situazione con attenzione, è incomprensibile, inammissibile che applichiamo da così tanti anni un principio così insensato. Ha assolutamente ragione. E’ perché i burocrati non possono acconsentire. Quello che stiamo facendo qui spinge i burocrati ad agire, li costringe a confrontarsi, imponendo loro termini di riferimento.

Signora Presidente, mi permetta di aggiungere una parentesi al riguardo. Sebbene svolga questa attività da molto tempo, ho imparato qualcosa di nuovo dal coinvolgimento in questo. Ho sempre pensato che se un processo politico negli Stati Uniti era controllato dalla Casa Bianca, tutto si risolveva nel premere un pulsante e l’intera amministrazione e l’esecutivo avrebbero fatto quello che il Presidente voleva. Persino negli Stati Uniti non è così. L’Europa non è la sola ad avere difficoltà nell’attivare la propria burocrazia – gli americani hanno lo stesso problema. Quindi, è questo il nostro compito essenziale. Qui parliamo di elementi che alleggeriscono l’economia di entrambe le parti di molti, molti miliardi di euro di costi inutili, denaro che potrebbe essere investito o impiegato per creare posti di lavoro e promuovere innovazioni più intelligenti. Questa è la missione chiave.

La seconda dimensione richiede di guardare molto più avanti nel tempo per valutare se sia eventualmente possibile lavorare con norme comuni. Per esempio, il copresidente americano e io concordiamo sul fatto che non sia sensato per gli Stati Uniti e l’Europa sviluppare norme e farsi concorrenza con le stesse norme sui mercati dei paesi terzi. Il tentativo di agire molto più di concerto e prevenire problemi nelle future regolamentazioni è una delle ragioni per cui ci confrontiamo a fondo sulle nanotecnologie, e il motivo per cui discutiamo di norme in materia di biocombustibili. Facciamo tutto questo per evitare che in futuro si ripresenti una situazione analoga, in modo che le cose non si sviluppino per i fatti loro.

Desidero anche spiegarvi la mia visione personale. Ritengo che, considerate le filosofie estremamente diverse delle due sponde dell’Atlantico, su come, ad esempio, conseguire l’obiettivo della sicurezza dei prodotti, possiamo raggiungere questo risultato in definitiva solo se siamo disposti a riconoscere le nostre rispettive filosofie e i metodi normativi, e se, per esempio, riconosciamo che gli americani sono restii, come noi, ad avvelenare i loro cittadini, e se gli americani ammettono che noi, al pari loro, non siamo inclini a esporre i nostri cittadini ai pericoli dovuti alle apparecchiature elettriche. Sussiste pertanto una base di reciproco riconoscimento delle norme sensibili.

Passo ora alla terza dimensione. E’ il settore su cui si è incentrata quasi esclusivamente la discussione di questo pomeriggio – si tratta degli importanti aspetti di ampia portata che talvolta implicano contesti politici globali, menzionati in questa sede. Concordo con l’onorevole Erika Mann e vorrei invitarvi a non sovraccaricare il Consiglio, oltre al fatto che abbiamo un accordo quadro che indica i temi che possiamo o meno affrontare. Molti degli argomenti citati non sono assolutamente contemplati dall’accordo quadro e sono riservati ad altre sedi di discussione. Nondimeno, l’esperienza ha già dimostrato che la cooperazione pratica rende necessario confrontarsi sui grandi aspetti strategici, quali il futuro del sistema commerciale mondiale, la questione del protezionismo, la pratica degli investimenti attinti da fondi pubblici, il problema dei prezzi delle derrate alimentari e dell’energia e dell’eventuale necessità di disciplinare i servizi finanziari. E’ esattamente quello che facciamo. Abbiamo trovato un modo di rispondere in modo molto rapido e flessibile. Pertanto, non posso escludere che nel lungo periodo potremo affrontare temi che vanno al di là di quanto stabilito effettivamente nell’accordo quadro.

Consentitemi di ribadirlo: il presente dibattito mi ha incoraggiato a proseguire il cammino iniziato e mi ha infuso la certezza che questa volta ce la faremo. Insieme, disponiamo di un enorme potenziale che non abbiamo ancora cominciato a sfruttare. Una volta eliminati gli ostacoli che ci impediscono di utilizzare appieno il nostro potenziale economico, possiamo fare molto di più per conseguire i nostri obiettivi politici, sociali ed ecologici. Ecco di che cosa si tratta.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  
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  Presidente. – Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2,del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Tunne Kelam (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Le sfide globali si profilano minacciose sullo sfondo della discussione di oggi. Anziché litigare per i problemi pregressi e i dettagli del mutuo riconoscimento dobbiamo capire che su scala mondiale l’UE rappresenta il 7 per cento della popolazione del pianeta. Onde affrontare queste sfide sempre peggiori, esiste solo una soluzione: le due maggiori aree democratiche di libero scambio devono unire le forze. Non esiste assolutamente alcuna alternativa alla più stretta cooperazione transatlantica possibile. Non è una questione di prospettiva a lungo termine a tutti i costi.

L’anno scorso il Parlamento europeo e il Congresso degli USA hanno avuto un inizio promettente. E’ stato definito un obiettivo ambizioso, ossia completare il mercato transatlantico entro il 2015. Per realizzare questo risultato ci occorre la totale cooperazione del Consiglio e della Commissione.

Il primo compito consiste nell’individuare ed eliminare tutti gli attuali ostacoli – politici e tecnici. Il secondo compito riguarderà la stesura di un documento conciso che ne spieghi all’opinione pubblica le ragioni essenziali e i vantaggi.

Infine, non dimentichiamoci che il modo migliore per conseguire gli obiettivi della strategia di Lisbona sarà la creazione di un’autentica ed efficace integrazione transatlantica.

 
  

(1)Vedasi processo verbale.


14. Revisione della direttiva 94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sulla revisione della direttiva 94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo.

 
  
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  Vladimír Špidla, Membro della Commissione. − (CS) Grazie per l’opportunità di affrontare due temi strettamente connessi, il comitato aziendale europeo e la relativa ristrutturazione, che la Commissione reputa di importanza fondamentale e in merito alla quale abbiamo registrato sviluppi significativi lo scorso anno.

Per quanto riguarda il comitato aziendale europeo, la Commissione ritiene che per migliorarne il quadro giuridico sia necessaria un’azione a livello comunitario. I comitati aziendali europei non sono automaticamente consultati riguardo a processi di ristrutturazione. Inoltre, l’attuazione della direttiva è caratterizzata da incertezza giuridica e occorre garantire un migliore collegamento tra l’informazione e la consultazione dei lavoratori sia a livello nazionale che sovranazionale nonché tra le direttive pertinenti.

Come sapete, il 20 febbraio la Commissione ha lanciato una seconda consultazione con le parti sociali in merito alla revisione della direttiva. Con questa iniziativa, la Commissione ha suggerito vari approcci su cui la direttiva potrebbe orientarsi nella prospettiva di risolvere le questioni che ho menzionato. Questi approcci contemplano principalmente la modifica delle definizioni, il rafforzamento delle norme da applicare dove manca un accordo, la formazione dei dipendenti, variazioni da apportare agli accordi in caso di cambiamenti significativi quali le fusioni, e attuazione di un sistema concordato per il dialogo reciproco a livello nazionale e sovranazionale.

La consultazione ha preceduto la presentazione della proposta legislativa della Commissione. Ha offerto alle parti sociali l’opportunità di affrontare l’argomento. Queste ultime sono senza dubbio nella posizione migliore per garantire un impatto positivo della revisione della direttiva, che è fondamentale. La Commissione ha pertanto invitato le parti sociali ai negoziati sui comitati aziendali europei. La Confederazione europea dei sindacati ha infine annunciato che poteva avviare le trattative riguardo ai comitati aziendali europei con le organizzazioni dei datori di lavoro. A nome della Commissione, ho invitato ancora una volta le parti sociali a compiere ogni sforzo possibile al fine di migliorare il quadro per queste attività. L’esecutivo è al momento impegnato nel riesame delle opzioni per l’azione comunitaria, tenendo conto delle risposte e dei contributi delle parti sociali.

Se le conclusioni di tale valutazione confermano che il modo migliore per risolvere le attuali problematiche consiste nel riesaminare la direttiva e se le parti sociali non replicano all’ultimo invito formulato, in estate proporrò ai membri della Commissione di adottare una proposta legislativa equilibrata nel rispetto degli interessi di tutti i protagonisti e delle opinioni espresse.

I comitati aziendali europei necessitano di nuovo slancio, hanno bisogno di sviluppare un autentico dialogo sovranazionale e devono essere in una posizione che consenta loro di svolgere appieno un ruolo quando si tratta di anticipare e attuare eventuali cambiamenti. Devono essere più forti e incisivi. Questa è una delle priorità della Commissione per il 2008 e a tale riguardo si impegnerà per pervenire a una stretta collaborazione con il Parlamento e il Consiglio.

La seconda questione è la ristrutturazione. Questa riforma è una risposta inevitabile ai significativi cambiamenti socioeconomici provocati in Europa dal progresso tecnologico, dalla globalizzazione e dall’invecchiamento della popolazione, nonché ai passi necessari che ci consentono di affrontare il riscaldamento globale e le minacce all’ambiente. Incombe soprattutto alle imprese la responsabilità dell’adattamento perché hanno dimestichezza con le condizioni di mercato e le tecnologie e si assumono i rischi insiti in qualsiasi genere di riorganizzazione.

L’impatto sociale, economico e regionale della ristrutturazione, in particolare se su larga scala, impone che subappaltatori, imprese, lavoratori e relativi rappresentanti esprimano il proprio parere nel corso delle varie fasi di adeguamento. Per le stesse ragioni, anche l’adattamento a cambiamenti di carattere economico implica l’adozione di misure pubbliche volte non solo a creare un quadro generale per promuovere la competitività economica, ma anche ad acquisire un sostegno mirato per anticipare i lavori preparatori per la ristrutturazione e la relativa gestione socialmente responsabile.

Oltre alle regioni in questione, la ristrutturazione interessa principalmente le imprese. Da un lato, devono essere in grado di svilupparsi rapidamente e di mantenere la rispettiva competitività, e, dall’altro lato, devono assumersi le responsabilità sociali e regionali anticipando i cambiamenti, garantendo un’informazione adeguata e il più possibile tempestiva delle parti coinvolte, e, in particolare, introducendo meccanismi intesi a preparare i lavoratori e le regioni alla prevedibile ristrutturazione.

Nel 2003 le parti sociali si sono accordate in merito a un quadro generale, che soddisfa questi requisiti e sulla cui base sono state elaborate le direttive, che al momento trovano tuttavia scarsa applicazione. Per questo motivo la Commissione presenterà tra breve una relazione volta ad aiutare le parti sociali a compiere altri passi in questo ambito, ad esempio attuando in maniera più efficace gli attuali orientamenti, ampliando il campo di applicazione dei principi e definendo alcune soluzioni per affrontare i gravi problemi che esistono.

Desidero sottolineare che la Commissione è disposta a collaborare con il Parlamento il più strettamente possibile riguardo ai temi prioritari, ossia i comitati aziendali europei e la ristrutturazione, e riguardo quindi all’agenda sociale, portandoci oltre lo scopo della discussione di oggi.

 
  
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  Philip Bushill-Matthews, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, intervengo a vari titoli, non solo come coordinatore del maggiore gruppo politico di quest’Assemblea, ma anche come chi ha svolto un ruolo importante nell’ambito della discussione del presente fascicolo nel corso del precedente mandato e, soprattutto, come qualcuno che, nell’ambito di una precedente carriera nel mondo imprenditoriale, ha in effetti introdotto i comitati aziendali in varie società diverse: qualcuno che crede sostanzialmente nello sviluppo dell’informazione e della consultazione e che sa qualcosa riguardo a cosa funziona e a cosa no – senz’altro un vero campione della filosofia.

Signor Commissario, è di certo un’estrema ironia che la questione in oggetto – tutta incentrata sul dialogo sociale e sull’unione di due parti dell’industria – si areni in realtà alla prima difficoltà perché la CES si rifiuta di sedere al tavolo e discutere. A lei il mio elogio per aver tentato, e per continuare a provare ad avviare il dialogo. Ma se lei sostiene che in mancanza del dialogo la normativa verrà introdotta in ogni caso, dov’è l’incentivo per entrambe le parti di sedersi? Dov’è la sanzione a carico di una parte per non essere stata disposta a sedersi? Secondo me – e lo dico con il cuore gonfio – la soluzione appropriata per lei, signor Commissario, quando “riesamina le sue opzioni”, per qualsiasi proposta presenti, è riflettere il fatto che una parte era disposta al confronto e l’altra no.

Infine, in un modo caratterizzato da una crescente globalizzazione e dalla necessità, ovviamente, di ristrutturare le società onde mantenere il passo, le questioni relative all’informazione e alla consultazione dei lavoratori rivestono un’importanza cruciale. Tuttavia che cosa osserviamo? Un fallimento del dialogo sociale, un fallimento del partenariato sociale e un fallimento proprio da parte di coloro che dovrebbero dare una guida. Rifiutando di negoziare, i sindacati europei non solo hanno tradito se stessi; hanno tradito i lavoratori che sostengono di rappresentare. Quando alla fine la questione arriva dinanzi a quest’Assemblea, noi, in quanto deputati al Parlamento europeo, dobbiamo assicurarci di non mancare l’obiettivo.

 
  
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  Harlem Désir, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la direttiva sui comitati aziendali europei è stato un documento pioniere all’epoca della sua adozione nel 1994. Anche se fissava solo requisiti minimi, ha spianato la strada al diritto di informazione e consultazione dei lavoratori dei gruppi di dimensioni comunitarie ed è stata uno degli elementi fondanti del diritto del lavoro europeo. Tuttavia oggi, è in ritardo rispetto ai cambiamenti occorsi nella realtà delle imprese, ed è in ritardo anche rispetto ad altre direttive sull’informazione e la consultazione dei datori di lavoro che sono state adottate da allora. E’ pertanto assolutamente necessario riesaminarla affinché nei gruppi di dimensione comunitaria, l’informazione in tempo utile e la garanzia di un’elevata qualità della consultazione consentano di trovare alternative laddove i dipendenti devono far fronte a decisioni di ristrutturazioni, chiusura di siti e massicci tagli del personale.

Troppo spesso negli ultimi anni abbiamo assistito a improvvise decisioni di licenziamenti collettivi senza che i lavoratori abbiano la possibilità di essere effettivamente consultati o che i loro rappresentanti abbiano davvero modo di pronunciarsi al riguardo. A volte i lavoratori apprendono dalla radio che stanno per essere licenziati. I loro rappresentanti vengono informati solo pochi minuti prima che la decisione sia resa pubblica, di solito nel momento in cui aprono le borse.

Tutto questo evidenzia l’urgenza di un riesame. Una revisione che, inoltre, il testo originale della direttiva prevedeva e nel 2000 i relativi meccanismi avrebbero dovuto essere aggiornati. Da allora, la BusinessEurope – o UNICE come si chiamava all’epoca – ha fatto di tutto per bloccare il processo di revisione, per far sì che la consultazione finisse in una bolla di sapone.

Questo è il motivo per cui io, onorevoli colleghi, onorevole Bushill-Matthews, in quanto relatore per il Parlamento europeo insieme ad altri qui, nel 2001, e avendo inoltre contribuito ad avanzare la richiesta di un’ambiziosa revisione della direttiva adottata da una vasta maggioranza del Parlamento, come avvenuto di nuovo nel 2007, non posso accettare le critiche mosse alla confederazione europea dei sindacati. E’ sincera ed è pronta a negoziare. Se questa consultazione, se questo negoziato finisce in un nulla di fatto, spetta alla Commissione esercitare il suo diritto d’iniziativa. La Commissione detiene un monopolio del diritto d’iniziativa. Noi lo rispettiamo. Tuttavia, attribuisce anche una responsabilità, quella di difendere l’interesse generale dell’Europa, di non consentire che interessi privati lo tengano in ostaggio, di garantire che i lavoratori sul nostro continente possono contare sulla Commissione europea per tutelare il loro diritto alla consultazione e all’informazione, in tempo utile, in modo che possa svilupparsi un autentico dialogo sociale europeo nei principali gruppi di dimensione comunitaria.

 
  
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  Siiri Oviir, a nome del gruppo ALDE. – (ET) Onorevoli colleghi, è un fatto estremamente positivo che la Commissione abbia compiuto un’azione di sensibilizzazione riguardo ai problemi del comitato aziendale europeo, alla necessità di consultare e informare i lavoratori in una situazione in cui le condizioni globali rendono imprescindibile un qualche autentico processo di ristrutturazione economica.

Concordo appieno con il precedente oratore alla mia sinistra che la consultazione è di fondamentale importanza. Ma la consultazione non à l’unica cosa rilevante: lo è anche una condivisione costruttiva e positiva delle informazioni. Qui è stato posto un forte accento sulla necessità del dialogo sociale.

Ma l’Unione europea di oggi non comprende più i 15 vecchi paesi democratici; ce ne sono 27. E nel mio paese, ad esempio, l’adesione ai sindacati, che sono una parte naturale del dialogo sociale, è pari a circa il 5 per cento della forza lavoro. I lavoratori non sono membri dei sindacati per propria decisione volontaria. Hanno le loro ragioni per una scelta di questo genere, una delle quali è senza dubbio data dal fatto che non ritengono che i sindacati abbiano peso sufficiente a proteggere i loro interessi.

La Commissione è ora impegnata nella stesura di un quadro giuridico e di una normativa, e dovrebbe sapere che ci sono molti paesi in questa situazione. Esorto a prendere in debita considerazione questo aspetto, altrimenti finiremo per avere una legislazione che per molti Stati membri non funziona e non può essere applicata.

 
  
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  Ewa Tomaszewska, a nome del gruppo UEN. – (PL) In quanto membro del Sindacato autonomo e indipendenti dei lavoratori Solidarność, intervengo ora anche a nome dei miei colleghi del sindacato. I datori d lavoro puntano i piedi per quanto riguarda l’apertura di un dialogo. Un dialogo è negli interessi dei sindacalisti e degli ambienti di lavoro.

La direttiva 94/45 è da tempo obsoleta e non è armonizzata con altre direttive UE, in particolare la direttiva 2001/86 che completa lo statuto della società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori e la direttiva 2002/14 che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità europea. Manca altresì una definizione adeguata del ruolo dei sindacati nell’istituzione e nel funzionamento dei comitati aziendali europei. La procedura per la loro creazione è complicata, ed è per questo motivo che ne è presente solo un terzo di quelli che in effetti potrebbero esserci.

La mancanza di una definizione precisa di informazione e consultazione rende molto difficile per i lavoratori accedere alle informazioni, soprattutto nel corso della privatizzazione o dell’acquisizione del controllo di uno stabilimento. Attendiamo un sollecito emendamento di questo dispositivo giuridico.

 
  
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  Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, posso solo esprimere la mia soddisfazione che lei, signor Commissario, abbia finalmente tolto la politica sociale europea dalla lista d’attesa. Era ora che avvenisse. In fin dei conti, era chiaro che i negoziati tra i sindacati e la Federazione dei datori di lavoro europei erano destinati al fallimento quando una parte rifiuta categoricamente qualsiasi revisione. Il fatto che la Commissione ritardi questo progetto normativo fondamentale genera nei cittadini l’impressione che l’Esecutivo stia portando avanti un modello esclusivamente liberale di mercato interno e non stia facendo assolutamente nulla per il modello sociale europeo.

Non è sufficiente parlare di un’Europa sociale; i cittadini vogliono vedere l’azione in loco. E’ ormai chiaro da tempo che la soglia minima di 1 000 lavoratori è di gran lunga troppo elevata per consentire un’adeguata rappresentanza dei lavoratori nell’ambito di una situazione della gestione aziendale in continua evoluzione in tutta Europa.

E’ altrettanto palese che i comitati aziendali europei non possono svolgere adeguatamente il loro ruolo rappresentativo se sono informati troppo tardi in merito a fusioni, alla vendita o alla cessione parziale di imprese. Se, da un lato, la Commissione è convinta che il modello danese della flessicurezza sia così straordinariamente adatto alla strategia europea in materia di occupazione, allora, logicamente, deve anche garantire la creazione a livello europeo delle precondizioni volte a sostenere il modello danese del mercato del lavoro, e con questo mi riferisco a una rappresentanza efficace dei lavoratori.

La Commissione deve quindi anche rafforzare i diritti dei sindacati nel quadro della direttiva modificata sui comitati aziendali. La Commissione dovrebbe inoltre, quale risultato dell’Iniziativa europea per la trasparenza e del codice di governance delle imprese, garantire che tutte le imprese che rientrano nel campo di applicazione della direttiva sui comitati aziendali costituiscano anche comitati aziendali europei. Posso solo parlare per il mio paese: delle società con sede in Germania che dovrebbero avere introdotto comitati aziendali, solo il 30 per cento lo ha fatto. Non è ammissibile che il sottrarsi nella pratica al diritto europeo in materia di occupazione rimanga senza conseguenze! Questa è una vera sfida per la Commissione.

 
  
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  Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, otto anni fa la Commissione ha pubblicato una relazione, prevista nella direttiva del 1994 concernete i comitati aziendali europei, in cui riconosceva che l’applicazione di tale testo in alcuni casi sembra – cito – “garantire soltanto un modesto livello di informazione e di consultazione transnazionale”. Concludeva, e cito di nuovo, che avrebbe adottato “al momento opportuno, una decisione su di un’eventuale revisione della direttiva”. Questo avveniva otto anni fa. Sono trascorsi quattro anni e non è successo nulla. Nel 2004 la Commissione ha finalmente avviato la prima fase di consultazione con le parti sociali. Così sono stati sprecati altri quattro anni, anche se la posizione di tutte le parti era ben nota e non era cambiata.

Secondo le organizzazioni dei datori di lavoro, qualsiasi revisione della direttiva è inutile, mentre i sindacati ritengono che sia cruciale. Aggiungerei che la Commissione stessa ha riconosciuto che nel 2006 solo un terzo delle società aveva istituito un simile comitato, che il 20 per cento dei comitati aziendali europei esistenti veniva consultato solo successivamente all’annuncio pubblico di decisioni della dirigenza e che il 30 per cento non veniva affatto consultato. Durante quel periodo, si registrò una crescita vertiginosa nelle fusioni, ristrutturazioni e delocalizzazioni.

Infine oggi saltiamo fuori con questa ingiustificabile ibernazione. Sono state presentate alcune proposte. Sono in realtà così timide che la BusinessEurope, che era di nuovo contro la revisione, è soddisfatta che siano, per usare le sue parole, meno prescrittive che ispirate, ma almeno il confronto può iniziare. La palla passa ora al Parlamento, che non parte da zero. Mi permetto di ricordare che nel 2001, il nostro collega del PPE all’epoca, Winfried Menrad, aveva fatto adottare una relazione al riguardo. Indicava, tra altri requisiti per l’attuazione della direttiva – cito – “sanzioni adeguate a livello nazionale ed europeo in caso di inosservanza della direttiva” – specifiche sanzioni pesanti –, il diritto di sospendere la decisione della direzione dietro richiesta dei rappresentati dei lavoratori e un ruolo più significativo dei sindacati.

Il nostro gruppo sosterrà le proposte indicate nella vecchia relazione del PPE, che nel 2001 aveva ottenuto la maggioranza, e suggerisce di essere più specifici al riguardo, in particolare su due punti. In primo luogo, i comitati aziendali europei devono poter accedere a informazioni di carattere strategico relative al gruppo affinché la consultazione non sia solo una formalità, e soprattutto devono avere il diritto di sospendere qualsiasi piano di ristrutturazione: non solo per posticiparne la scadenza, ma anche per procedere a una controvalutazione, presentare controproposte e partecipare a veri negoziati. Ci rimane solo poco tempo. Il termine del mandato di quest’Assemblea si avvicina. Penso che sia il momento della verità.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE).(NL) Opto per un approccio un po’ diverso rispetto a quello del mio collega Bushill-Matthews. Sono d’accordo con lui su alcuni punti, per esempio che, a seguito di fusioni, trasferimenti, ristrutturazioni – e tutto al di là dei confini nazionali – in un mondo caratterizzato dalla crescente globalizzazione sono sempre più necessarie informazioni e consultazioni adeguate.

Al momento esistono dagli 800 agli 820 comitati aziendali europei che rappresentano circa 145 milioni di lavoratori. Sono dell’avviso, che in un’economia di mercato orientata socialmente gli interessi dei lavoratori che possono anche garantire calma e stabilità sul mercato del lavoro devono essere in grado di funzionare al meglio.

Signor Presidente, questo è il motivo per cui i comitati aziendali europei sono così importanti per me. I datori di lavoro e i lavoratori devono tuttavia raggiungere un accordo e vorrei chiedere ai lavoratori di continuare nei loro sforzi in questo senso. Se comunque devono sedersi di nuovo al tavolo delle trattative, devono anche vedersi offrire dai datori di lavoro una base su cui condurre tali negoziati.

Appoggio totalmente quello per cui ho votato a favore nel 2001 nel quadro della relazione presentata dal collega Winfried Menrad. Che cosa sostenevamo all’epoca? Affermavamo che si doveva introdurre la nuova normativa al fine di garantire una diffusione anticipata e più tempestiva delle informazioni nonché una consultazione adeguata, ridurre il limite del numero di lavoratori presenti nel comitato aziendale europeo, applicare più sanzioni diverse e più efficaci in caso di violazione della normativa e migliorare le circostanze alle quali i comitati aziendali europei devono funzionare.

Signor Presidente, invito ciascuna parte interessata a sedersi al tavolo delle trattative. Se questo non avviene, spetterà a lei, Commissario Špidla, garantire il completamento del testo in questione nel corso di quest’anno. Molte grazie.

 
  
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  Presidente. – Abbiamo un problema di tempo, in quanto il Consiglio deve intervenire nella prossima discussione e il suo rappresentante dovrà lasciare a un certo punto l’Aula, pertanto mi dispiace, onorevoli colleghi, ma sarò piuttosto severo per quanto riguarda il rispetto del tempo di parola.

 
  
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  Jan Andersson (PSE).(SV) Signor Presidente, tutti sembrano essere d’accordo sul fatto che questa sia una direttiva importante. E’ importante, non ultimo in tempi di sempre maggiori ristrutturazioni, che l’informazione e la consultazione funzionino a dovere. Condivido anche il parere della Commissione e del Commissario Špidla secondo cui oggi la direttiva non funziona adeguatamente. E’ necessario migliorarla. Sappiamo che importanti ristrutturazioni sono avvenute senza diffondere informazioni né procedere a consultazioni.

Convengo anche riguardo al fatto che sia giusto lasciare la questione alle parti sociali. Tuttavia, considerato come stanno oggi le cose, le probabilità a favore dell’elaborazione di una direttiva durante questo mandato parlamentare sono del tutto inesistenti. Se accade che una parte in un negoziato usi la trattativa esclusivamente per protrarre il processo e dopo nove mesi non c’è alcun accordo, non avremo nessuna direttiva e quindi non cambieremo nulla. C’è il netto rischio che avvenga questo nel nostro caso, e che è poi la ragione per cui una parte si è ritirata. Vedete, c’è il netto rischio che si tratti semplicemente di rimandare.

Questa è la situazione in cui ci troviamo oggi. Date queste premesse, la Commissione ha il dovere di intervenire. Ci troviamo in questa situazione perché i negoziati sono falliti. Date queste premesse, la Commissione deve presentare una proposta basata sui principi menzionati dal Commissario Špidla e sull’analisi da lui effettuata. Date queste premesse, noi del Parlamento europeo promettiamo, come abbiamo già affermato alla riunione dei coordinatori sul comitato per il mercato del lavoro, che faremo del nostro meglio per elaborare una direttiva che possa essere pronta durante questo mandato parlamentare. Questo è l’aspetto importante al momento. La Commissione deve agire.

 
  
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  José Albino Silva Peneda (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto desidero congratularmi con la Commissione per il lavoro svolto con le parti sociali in merito alla revisione della direttiva riguardante il comitato aziendale europeo. Ritengo, tuttavia, che l’abisso che separa la retorica europea e le realtà pratiche delle vite quotidiane dei cittadini abbia contribuito a indebolire la fiducia tra imprese e lavoratori.

E’ diventato cruciale aumentare il livello di fiducia tra le due parte dell’industria al fine di rafforzare la competitività e la solidarietà nell’Unione europea. La fiducia aumenterà quanto più si intensificherà il dialogo sociale e quanto più il dialogo sociale sarà intensificato maggiore sarà la trasparenza delle decisioni prese riguardo a processi di adeguamento o ristrutturazione.

Migliorando il flusso di informazioni tra datori di lavoro e lavoratori contribuiremo a comprendere più adeguatamente l’impatto dei fenomeni internazionali nonché ad aiutare entrambe le parti ad accordarsi per cercare soluzioni ai processi di ristrutturazione. E’ per questo motivo che dobbiamo riesaminare e modernizzare i meccanismi giuridici relativi alla consultazione e alla partecipazione dei lavoratori al fine di ottenere un quadro giuridico che promuova l’articolazione del dialogo sociale.

Invito pertanto la Confederazione europea dei sindacati a riconsiderare la propria posizione e a sedersi al tavolo delle trattative per esaminare il presente progetto di direttiva, insieme ai rappresentanti dei datori di lavoro. Se questo non dovesse rivelarsi possibile, mi dispiacerà, ma devo anche aggiungere che la Commissione deve assumersi le sue responsabilità e sarebbe positivo se il processo di revisione della direttiva in parola venisse completato durante il mandato di quest’Assemblea e di questo Esecutivo.

 
  
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  Harald Ettl (PSE).(DE) Signor Presidente, quando la Commissione dice alle parti sociali d’Europa di provare di nuovo ad andare d’accordo rivela di ignorare in un certo senso la realtà politica. L’industria non è disposta a partecipare e la Commissione non riesce a capire il motivo per cui il meccanismo delle parti sociali funziona così male.

In un panorama industriale in rapido cambiamento, che impone di adeguarsi in tempi brevi, un processo decisionale che si basi sul conseguimento dell’unanimità, come nel caso di BusinessEurope, non è una soluzione percorribile. In fin dei conti, l’ITUC vota a maggioranza qualificata, pratica, questa, che consente flessibilità e cambiamenti. E’ stato per questo meccanismo decisionale delle parti sociale che nel 1994 politici del come Helmut Kohl e il Parlamento europeo hanno negoziato e approvato la direttiva sul comitato aziendale europeo, ma persino all’epoca è stata prevista una disposizione che prescriveva di procedere ogni cinque anni a una revisione e a un ulteriore adeguamento. Oggi siamo nel 2008 e la Commissione vuole di nuovo avviare una procedura negoziale che si protrarrà inevitabilmente oltre il termine di questa legislatura, anche se l’industria non è disposta, o non è in grado, di negoziare a causa del suo meccanismo decisionale interno.

Per riassumere, a titolo informativo, questa è la stessa situazione del 1994. Vogliamo migliorare uno strumento vitale del calibro del comitato aziendale europeo, come ha spiegato qui in plenaria il Presidente Barroso, o vogliamo solo far credere che volevamo una revisione comunque e che alla fine non è stato possibile a causa delle circostanze, come è già accaduto così spesso con altre questioni sociali?

Nel secondo caso, non stiamo investendo abbastanza energia onde pervenire a una soluzione migliore e il risultato di tutti i nostri sforzi compiuti nel corso di questa legislatura in merito alle problematiche sociali e riguardanti i lavoratori sarà ancora peggiore. Non deve succedere!

 
  
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  Alejandro Cercas (PSE).(ES) Signor Presidente, grazie, signor Commissario. Se ho compreso bene – e spero di aver capito giusto e di non aver confuso i miei desideri con la realtà – credo che lei intenda combattere questa battaglia, che non voglia rinunciare alla sua capacità d’iniziativa, che cercherà di far sì, prima che quest’Assemblea termini il suo lavoro e che questa Commissione finisca il proprio, che alla fine si abbia una direttiva sui comitati aziendali rinnovata, dopo un’attesa di otto anni. E’ chiaro che ai suoi tempi era un documento molto positivo, ma ora è stato ampiamente superato dagli eventi.

Se è così, signor Commissario, a lei va il nostro pieno appoggio, il mio pieno appoggio, poiché ritengo che abbia il diritto e il dovere di mantenere questa iniziativa della Commissione nel momento in cui una delle parti non vuole che si proceda alla revisione della direttiva, nonostante sia ovvio che è necessaria. E’ necessaria perché è in gioco l’interesse generale. I lavoratori europei sono molto arrabbiati, e giustamente.

Signor Commissario, questa mattina ho ricevuto una delegazione di lavoratori di uno stabilimento di Valldolid – Smurfit Kappa –, che verrà chiuso il prossimo mese; l’hanno appreso dai giornali e non capiscono il perché di questa decisione perché si tratta di un’impresa redditizia. Non sanno neppure chi sono i loro dirigenti, perché l’azienda fa parte di un conglomerato di società e nessuno sa più chi sono gli azionisti.

Signor Commissario, i lavoratori chiedono sicurezza e l’Europa deve dargliela; deve dare loro chiarezza, deve dare loro il diritto di essere informati e consultati. Non si può decidere una ristrutturazione senza dialogo sociale. Il dialogo sociale è di importanza capitale, ed è assolutamente necessario superare le difficoltà.

So che non è facile per lei. Non sarà facile in sede di Collegio dei Commissari o di Consiglio. Tuttavia, signor Commissario, se intraprenderà questo percorso avrà il nostro pieno appoggio; a volte non si vincono tutte le battaglie, ma si devono combattere quelle importanti, e questa si deve combattere.

 
  
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  Karin Jöns (PSE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, sembra che, ancora una volta, la Commissione stia sostenendo in modo puramente formale l’idea di un’Europa sociale. E’ responsabile del fatto che non disponiamo ancora di una proposta di riforma dei comitati aziendali, perché è la Commissione, e nessun altro, che non tiene conto della dichiarazione della CES che non vuole sedersi al tavolo negoziale con BusinessEurope a meno che le trattative non siano autentiche. L’Esecutivo sta definendo regole di gioco completamente nuove, in quanto l’articolo 138 del Trattato non prevedere una terza fase nel processo di consultazione. Non c’è mai stata una simile fase. La tattica della Commissione è palese – cerca di guadagnare tempo.

Davvero la Commissione piegherà di nuovo la testa di fronte ai datori di lavoro? In linea di principio, nessuno vuole una riforma sostanziale dei comitati aziendali, di certo non prima delle prossime elezioni europee. Mi permetto di ricordarle che Jacques Delors ci aveva già presentato una proposta, appena due settimane dopo che i datori di lavoro si erano rifiutati di negoziare. Lei avrebbe potuto fare lo stesso. La fine di giugno è troppo lontana, per non parlare che fatto che per “proposta equilibrata” si intende qualcos’altro.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE).(EN) Signor Presidente, desidero ringraziare il Commissario Špidla per la sua dichiarazione e perché intende riformare la direttiva che istituisce il comitato aziendale europeo. Tuttavia ci occorrono scadenze e dobbiamo agire con urgenza se vogliamo riuscire a rassicurare i cittadini europei, i lavoratori europei, che l’Europa è più di un mercato unico.

Devo dire che mancano di logica coloro delle file del PPE che biasimano la CES per aver abbandonato i negoziati. L’ETUC, i sindacati e i lavoratori sono quelli che trarrebbero beneficio da una seria revisione della direttiva sul comitato aziendale europeo. E’ una grossa assurdità. Se avessero pensato che dai negoziati potevano emergere sviluppi positivi, sarebbero rimasti a trattare. Ma non sono disposti ad addentrarsi in una farsa di nove mesi di negoziato solo perché i datori di lavoro abbandonino il confronto.

Pertanto, ritengo che sia assolutamente fondamentale che la Commissione presenti qui e senza indugi una proposta.

 
  
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  Pier Antonio Panzeri (PSE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo comprenda bene anche lei, signor Commissario, che c’è un’oggettiva contraddizione tra il dire che la revisione della direttiva è tra le priorità della Commissione e poi non procedere concretamente su questa strada: serve più coraggio e determinazione, senza farsi condizionare da un negoziato che non produce risultati a causa non della CES, ma di chi, fingendo di voler dialogare, lo fa solo per perdere tempo!

Ci sono due motivi che dovrebbero spingerla ad assumersi qualche responsabilità in più: il primo è di metodo, non ci si può fermare e la Commissione deve difendere le proprie prerogative di decisione! Il secondo è politico: lei sa bene che l’attuale legislazione non permette un’azione efficace dei CA e rivedere la direttiva è un’esigenza non solo per rispondere agli obiettivi iniziali, ma per assicurare anche maggiore attrezzatura per rispondere meglio alle sfide odierne.

Per questo voglio insistere, signor Commissario: dia un segnale forte, mostri il coraggio necessario di decidere!

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE).(PL) Signor Presidente, la direttiva che istituisce il comitato aziendale europeo risale al 1994. Da allora sono emerse nuove sfide in un’economia globalizzata, e nuovi Stati membri hanno aderito all’UE, tra cui il mio, la Polonia. Per questo motivo la direttiva in questione ha bisogno di essere modificata con urgenza. Si impone un cambiamento anche alla luce del Trattato di Lisbona, che attribuisce grandissimo valore al dialogo sociale. La direttiva deve essere modificata perché lo impone anche la Carta dei diritti fondamentali, che all’articolo 27 afferma chiaramente: “Ai lavoratori o ai loro rappresentanti devono essere garantite (…) l’informazione e la consultazione (…).”

La nuova direttiva dovrebbe quindi migliorare i meccanismi esistenti e introdurne di nuovi ed essenziali – meccanismi che faciliteranno l’eliminazione delle tensioni legate ai cambiamenti organizzativi, quali la scissione o la fusione di aziende, i licenziamenti nell’ambito di un gruppo e soprattutto il trasferimento di imprese e stabilimenti all’interno dell’UE.

Sono certa che l’informazione tempestiva riguardo a tali misure impopolari permetterà di alleviare le tensioni sul mercato del lavoro e di unire il movimento sindacale europeo.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, questi processi di ristrutturazione, fusione o di totale o parziale delocalizzazione da parte delle multinazionali avvengono in vari paesi dell’UE, tra cui il mio, il Portogallo, senza alcun rispetto per i diritti dei lavoratori e senza il minimo confronto con i sindacati – come già sottolineato più volte – e perfino senza alcuna informazione diretta.

La revisione della direttiva in questione è attesa da tempo ed è essenziale per rafforzare la tutela di diritti dei lavoratori. La revisione non deve solo garantire il rispetto dell’informazione, ma deve anche assicurare che i lavoratori abbiano il diritto di manifestare e di opporsi, se del caso, tra cui il diritto di veto a ristrutturazioni o delocalizzazioni in dispregio dei diritti dei lavoratori, dei diritti regionali e dei paesi. Si sarebbe dovuto procedere a questa revisione molto tempo fa e quindi, signor Commissario, la sfida consiste nel non ritardarla ulteriormente.

 
  
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  Vladimír Špidla , Membro della Commissione. − (CS) Onorevoli deputati, purtroppo non c’è abbastanza tempo per rispondere in modo dettagliato. Mi soffermerò tuttavia su alcuni dei principali punti. La prima questione riguarda la posizione delle parti sociali. Sono fermamente convinto che le parti sociali siano nella posizione migliore per partecipare direttamente a questo cambiamento. D’altro canto, la Commissione gode del diritto d’iniziativa, e ovviamente la proposta di direttiva non è stata presentata con leggerezza; anzi, è stata basata su una valutazione dell’attuale situazione e dell’esperienza maturata a tutt’oggi. Non sarà quindi la condotta delle parti sociali a frenare la Commissione. Ciononostante, sono dell’avviso che sia, e fosse, opportuno chiedere loro di partecipare un’ultima volta.

Nel corso della discussione è emerso che la proposta sembra rimproverare alcune delle parti sociali. Desidero far presente che viviamo in uno Stato di diritto e che di conseguenza chiunque rivendichi i propri diritti non per questo può essere punito. Questo significa che se una parte sociale si avvale del proprio diritto di astenersi dai negoziati, tale scelta non deve incidere sullo sviluppo delle consultazioni stesse. Desidero sottolineare che in passato erano i datori di lavoro a interrompere le trattative e a non negoziare. Da questo punto di vista, le parti sociali hanno i loro diritti e possono esercitarli, e ovviamente questo ha implicazioni di cui bisogna tener conto. Occorre tener conto delle conseguenze ma non si può attribuire un giudizio di valore a tale riguardo ai fini dei negoziati in merito al testo in oggetto.

L’obiettivo della Commissione è migliorare la direttiva che istituisce il comitato aziendale e riuscirvi entro il termine di questa legislatura, e tutte le scadenze ovviamente dipendono da questo. Ci proponiamo di rafforzare l’efficacia della direttiva. Nonostante le critiche mosse alla parola “equilibrio”, sono dell’avviso che un approccio equilibrato sia una condizione fondamentale per un testo così complesso.

Ho osservato l’entusiasmo di tutti i gruppi politici di quest’Assemblea, che evidenzia, anche in questa forma limitata, la complessità della direttiva e le sue ramificazioni. Attendo quindi con ansia di collaborare ulteriormente con il Parlamento, il Consiglio europeo e le parti sociali riguardo ai lavori preparatori volti a migliorare questo documento.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Nel rinnovare la direttiva che istituisce il comitato aziendale europeo, la Commissione deve affrontare in modo dettagliato l’aspetto della protezione dei diritti dei lavoratori.

I lavoratori devono avere pieno accesso alle informazioni relative a processi di ristrutturazione nonché l’opportunità di intervenire con determinazione nell’intero processo. Troppo spesso la forza lavoro apprende di piani di ristrutturazione che implicano notevoli tagli dei posti di lavoro o un peggioramento delle condizioni e delle retribuzioni solo dopo che le decisioni sono state prese. I lavoratori hanno il diritto di essere coinvolti in tutte le fasi dei processi di ristrutturazione e di avere la possibilità di influenzarli al fine di proteggere i posti di lavoro e le condizioni in materia di occupazione.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. (PT) La discussione sul comitato aziendale europeo ha portato sul tavolo negoziale varie proposte orientate nella direzione migliore: il rafforzamento del concetto di partecipazione, cooperazione e partenariato tra le varie parti interessate. Tuttavia, il dibattito insiste costantemente su una visione antieconomica che, con intenzione generosa, spesso sfocia in una serie di proposte che non promuovono il successo economico né proteggono i posti di lavoro. E’ il caso delle misure volte a salvaguardare gli impieghi anche quando le imprese o il settore industriale in questione non sono redditizi. Nessuno penserebbe, ovviamente, di vietare l’uso di macchine fotografiche digitali o di applicare una sovratassa sociale sul loro prezzo. Nondimeno, l’uso diffuso delle camere digitali è stata la causa diretta della perdita di migliaia di posti di lavoro nel settore che produce pellicole per le macchine fotografiche di “vecchia concezione”.

L’ampia partecipazione dei lavoratori deve essere basata su un concetto di occupabilità, di protezione dell’individuo e di superamento delle crisi economiche, non su una visione in cui la realtà economica è un semplice dettaglio. Gli sviluppi tecnologici e l’apertura del mercato devono essere visti come un’opportunità e il dialogo imprenditoriale deve essere impostato in questo senso.

 

15. Diritti umani nel mondo (2007) e politica dell’Unione europea – Missioni di osservazione elettorale dell’UE: obiettivi, prassi e sfide future (discussione)
  

PRESIDENZA DELL’ON MAREK SIWIEC
Vicepresidente

 
  
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  Presidente. –L’ordine del giorno reca la discussione congiunta:

– la relazione, presentata dall’onorevole Cappato a nome della commissione per gli affari esteri, sulla relazione annuale sui diritti umani nel mondo nel 2007 e sulla politica dell’Unione europea in materia [2007/2274(INI)] (A6-0153/2008);

– la relazione, presentata dall’onorevole Salafranca Sánchez-Neyra e dall’onorevole De Keyser a nome della commissione per gli affari esteri, sulle missioni di osservazione elettorale dell’UE: obiettivi, prassi e sfide future [2007/2217(INI)] (A6-0138/2008).

 
  
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  Marco Cappato, relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, le politiche promozionali dei diritti umani passano innanzitutto per i poteri effettivi di politica internazionale della quale questa Unione europea si dota. Purtroppo troppo spesso, come anche la relazione che abbiamo approvato all’unanimità in commissione, troppo spesso la politica europea è in realtà politica degli Stati nazionali ed è difficile avere una politica europea sui diritti umani quando gli Stati nazionali fanno così tanto pesare i propri interessi nazionali.

Però è anche vero che quando c’è la volontà politica, e a volte la si conquista anche grazie a questo Parlamento europeo, che pure non ha poteri di politica internazionale, si riescono a fare dei passi avanti importanti. Vediamo sulla pena di morte: tre risoluzioni di questo Parlamento europeo hanno alla fine un po’ trascinato e un po’ convinto una posizione europea importante per la moratoria sulle esecuzioni capitali conquistata a dicembre alle Nazioni Unite a New York. Vediamo come questo Parlamento ha proposto una politica europea sulla questione Tibet con la risoluzione che abbiamo approvato nella scorsa sessione.

Esistono anche degli strumenti di diritti umani, ma troppo spesso l’Unione europea non rispetta la propria stessa legalità. Noi abbiamo clausole sul rispetto dei diritti umani in tutti i nostri accordi di cooperazione, eppure non abbiamo dei meccanismi efficaci di monitoraggio e di sospensione temporanea, perché quelle clausole davvero consentono di affermare il rispetto della democrazia nei paesi terzi.

Noi molto spesso, come Europa, in questi anni abbiamo criticato gli Stati Uniti d’America perché la via di promozione della democrazia attraverso lo strumento militare si è rivelata inefficace. E questo è vero! Però è anche vero che noi dobbiamo dotarci di strumenti alternativi; non basta dire che le armi non funzionano, perché altrimenti cediamo nella tentazione pacifista, neutralista, ma diciamo semplicemente che rischia di essere oggettivamente utile per i dittatori.

Allora l’arma che noi abbiamo individuato e che in questa relazione si dice esplicitamente – mi spiace davvero che in realtà ci sia un emendamento del gruppo socialista che vuole cancellare questa parte – è l’arma della non violenza, la non violenza ghandiana come strumento politico, non come richiamo folcloristico, non violenza fondata sul diritto, fare vivere il diritto, per la vita del diritto, per il diritto alla vita, fondata sulla conoscenza.

La non violenza è anche una tecnologia e allora noi in questa relazione proponiamo che il 2010 sia nominato Anno europeo della non violenza, che l’Unione europea promuova con la Commissione e il Consiglio gli strumenti della non violenza aiutando i dissidenti, una politica attiva, aiutando le opposizioni democratiche. Questo è fondamentale per non rimanere semplicemente a una difesa formale dei documenti dei testi per i diritti umani, ma per fare vivere davvero i diritti umani nella realtà delle dittature e delle non democrazie.

 
  
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  Véronique De Keyser, relatore. − (FR) Signor Presidente, a distanza di quindici anni dalla prima missione di osservazione elettorale in Russia e di otto anni dalla prima comunicazione in materia da parte della Commissione, quale bilancio si può fare riguardo alle osservazioni elettorali? Ebbene, innanzi tutto un bilancio positivo. L’obiettivo della presente relazione, redatta in collaborazione e in totale armonia con l’onorevole Salafranca, era evidenziare i successi conseguiti, ossia la crescente professionalità delle missioni di osservazione elettorale, la creazione all’interno dell’UE di un corpo di osservatori esperti – risultati per cui il bilancio dello strumento europeo la democrazia e i diritti umani è ora vicino al 25 per cento – e, soprattutto, la fortunata combinazione di due missioni, ognuna delle quali guidata da deputati al Parlamento europeo: quella dell’UE, più tecnica e a lungo termine, e quella del Parlamento, più breve e più di carattere politico.

Dobbiamo tuttavia continuare ad andare avanti. Le principali raccomandazioni della presente relazione sono, innanzi tutto, aprire le missioni ai membri ACP, EUROLAT ed EMPA, ma con molta cautela. Occorre essere prudenti al fine di non distruggere la professionalità e di mantenere un’impronta europea. In secondo luogo, mantenere lo stanziamento di bilancio a circa il 25 per cento per lo strumento europeo per i diritti umani e la democrazia, elaborare una relazione annuale che valuti le missioni dell’anno – davvero di estrema importanza –, verificare la sicurezza delle votazioni elettroniche – una nuova sfida per gli osservatori elettorali – e, in particolare, concentrarsi molto di più sul follow-up di tali missioni. E’ proprio riguardo a quest’ultimo aspetto che le difficoltà emergono, ed è complesso per le elezioni essere quell’autentica leva per la democrazia che dovrebbero essere. La relazione descrive una serie di percorsi di follow-up, ma in questa sede io mi soffermerò solo sul seguito politico, e mi rivolgo in particolare al Consiglio. E’ inammissibile che, nel caso di rappresentanti o presidenti eletti su base illecita, la politica dell’Unione europea si comporti nei loro confronti come se non fosse accaduto nulla. Tutto prosegue come se niente fosse. E’ altresì impensabile – e disastroso – che rappresentanti eletti su base democratica non abbiano il diritto al rispetto e alla legittimità loro conferita dal risultato elettorale. Abbiamo avuto tristi esempi in passato che hanno portato a situazioni tragiche. Non voglio farne un caso da manuale. La presente relazione si basa sul consenso e non sulla polemica e l’Europa si è dotata di un eccellente strumento. Non bisogna fare i difficili.

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, relatore. (ES) Signor Presidente, la storia delle missioni di osservazione elettorale è una storia di successo, e credo che in questo caso alla politica estera dell’UE, tante volte criticata, vada il dovuto riconoscimento, in quanto rafforza la visibilità dell’Unione europea, aumenta il prestigio delle istituzioni europee e consolida l’immagine dell’Unione europea.

Ritengo sia giusto ammettere che sotto il mandato del Commissario Ferrero-Waldner, l’Unione europea è leader mondiale nell’attività di osservazione elettorale grazie alla sua metodologia e alla credibilità del lavoro che svolge.

Come affermato dall’onorevole De Keyser, la relazione in questione è stata adottata con 60 voti a favore e nessuno contrario in seno alla commissione per gli affari esteri, risultato che dimostra inequivocabilmente l’eccellente cooperazione.

Penso che dobbiamo partire dagli elementi positivi acquisiti con l’esperienza, ma non dobbiamo dormire sugli allori, benché meritati, perché c’è ancora molto lavoro da svolgere.

Credo quindi che sia importante sottolineare le raccomandazioni e i suggerimenti formulati nelle relazioni finali presentate dalle missioni di osservazione elettorale, senza dimenticare che si tratta di raccomandazioni e suggerimenti e che gli Stati sovrani possono decidere se attuarli o meno, ma ritengo che sia essenziale includerli nei programmi e nei dialoghi politici con i nostri partner.

Un altro aspetto fondamentale è l’indipendenza delle missioni, nonché il prestigio di cui godono grazie all’obiettività, all’imparzialità e all’indipendenza che le contraddistingue.

Tale indipendenza tuttavia deve tradursi in una capacità da parte delle missioni di coordinare con gli Stati membri e con la Commissione una sola posizione, affinché l’Unione europea parli con una voce sola e non vi sia frammentazione, come evidenziato dall’onorevole De Keyser quando ha spiegato che si sono stati alcuni problemi con il Consiglio dei ministri.

L’Unione europea e le missioni dell’Unione europea devono collaborare con altre missioni nonché con le organizzazioni locali.

Infine, signor Presidente, penso che sia di estrema importanza che la Commissione, il cui operato in questo ambito è davvero eccellente, disponga di un sufficiente margine di flessibilità e che non sia limitata da catene che le impediscono di sviluppare questa straordinaria missione.

In sintesi, signor Presidente, desidero esprimere il mio appoggio e la mia soddisfazione riguardo al lavoro svolto e anche il mio sostegno per il futuro.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Consentitemi un’osservazione di tipo procedurale prima di iniziare i commenti preliminari. Oggi è stato annunciato all’inizio della seduta che uno dei temi all’ordine del giorno era stato rimandato perché il Consiglio non poteva partecipare alla discussione. Considerata l’ora tarda alla quale ci accingiamo ad affrontare l’argomento, ci sono chiari motivi per spostarlo a un altro giorno, in particolare perché l’agenda della sessione odierna è così fitta. La Presidenza intende essere presente per tutte le discussioni indicate e ci sarà anche per l’intero dibattito che inizia a un’ora così avanzata, soprattutto perché è nostra intenzione illustrare l’importanza che il Consiglio e la Presidenza attribuiscono a questo tema. La mia introduzione si dilungherà pertanto un po’ più dei cinque minuti previsti. Vi chiedo quindi la vostra comprensione e cercherò di abbreviare la dichiarazione conclusiva al termine della discussione.

Onorevoli deputati, desidero accogliere con favore la relazione elaborata dall’onorevole Cappato, ossia il testo sulla relazione annuale sui diritti umani nel mondo. Voglio sottolineare che reputiamo fondamentale il ruolo del Parlamento nel promuovere il rispetto dei diritti umani a livello internazionale e consideriamo la vostra posizione critica un importante contributo agli sforzi dell’Unione europea in questo settore vitale. Il Consiglio esaminerà la relazione in dettaglio. Oggi desidero tuttavia ribattere riguardo a certi elementi chiave del suo testo, onorevole Cappato.

Prima di tutto, è indubbio che la sua relazione affronti gran parte delle principali sfide che l’Unione europea deve affrontare nel settore dei diritti umani. Ci fa soprattutto piacere che nella relazione sui diritti umani siano state incluse anche le attività del Parlamento europeo. Il capitolo riguardante questo ambito riconosce il ruolo significativo svolto da questa stimata Assemblea nella promozione del rispetto dei diritti umani. In futuro, anche il Consiglio si impegnerà al fine di garantire una stretta cooperazione con il Parlamento, in particolare con la commissione per gli affari esteri e la sottocommissione sui diritti umani. Riteniamo che le relazioni annuali continueranno a riflettere gli sforzi del Parlamento europeo in questo ambito.

Per quanto riguarda la richiesta, contenuta nella relazione, di rafforzare la cooperazione tra il Consiglio d’Europa e l’Unione europea, devo ammettere che concordiamo sul fatto che vi siano ampie possibilità in tale campo che la firma di un memorandum d’intesa tra il Consiglio d’Europa e l’Unione europea sia ovviamente importante. L’Unione europea rispetta gli sforzi compiuti dal Consiglio d’Europa sul versante della promozione e della protezione dei diritti umani. L’Unione europea continua inoltre a essere una fedele sostenitrice del sistema delle Nazioni Unite di protezione dei diritti umani. Sosteniamo attivamente l’indipendenza dell’incarico dell’Alto commissario per i diritti umani e stiamo facendo tutto il possibile affinché il Consiglio per i diritti dell’uomo diventi un organo efficace per affrontare le gravi violazioni dei diritti umani nel mondo.

La settima sessione del Consiglio per i diritti dell’uomo, svoltasi di recente a Ginevra, è stata un successo per l’Unione europea. Le nostre due principali iniziative – il rinnovo dei mandati dei relatori speciali sui diritti umani in Birmania/Myanmar e nella Corea del Nord – sono state accolte. Sono state accolte anche tutte le iniziative dei singoli Stati membri dell’UE. Ci siamo inoltre impegnati per far sì che il mandato dell’esperto indipendente per la Repubblica democratica del Congo venisse riconfermato, ma purtroppo non siamo riusciti nell’impresa. Tra i risultati positivi di questa sessione è opportuno ricordare il rinnovo dei mandati dei difensori dei diritti umani e del diritto delle donne a non essere vittime della violenza.

In aprile, nel quadro del Consiglio per i diritti dell’uomo è stato avviato un nuovo meccanismo, il riesame periodico universale, che l’Unione europea considera un dispositivo fondamentale per proteggere e promuovere i diritti umani. E’ ancora prematuro valutare in modo adeguato il funzionamento di questo nuovo meccanismo, ma dalle impressioni iniziali emerge che gli Stati membri lo stanno prendendo seriamente e agiscono in modo responsabile. Suscitano tuttavia preoccupazione certi tentativi da parte di alcuni rappresentanti del Consiglio per i diritti dell’uomo intesi ad attenuarne l’efficacia.

Oltre all’intenso lavoro nel quadro delle Nazioni Unite, negli ultimi anni l’inserimento dei diritti umani in altre aree della politica estera è stato oggetto di particolare attenzione. Desidero ribadire che questo aspetto è in cima all’elenco di priorità della Presidenza slovena, la quale appoggia anche tutti gli sforzi compiuti al riguardo da Riina Kionka, rappresentante personale di Javier Solana per i diritti umani.

A questo punto, vorrei soffermarmi sulla parte della relazione che chiede di aggiornare gli orientamenti in materia di diritti umani. Durante il nostro mandato, saranno rinnovati tre dei cinque orientamenti tematici. La settimana scorsa il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” ha aggiornato gli orientamenti sulla tortura. Il prossimo mese dovremmo concludere anche l’aggiornamento degli orientamenti sulla pena di morte in concomitanza del loro decimo anniversario. La Presidenza sta portando inoltre a termine un aggiornamento degli orientamenti sui bambini e i conflitti armati. A tale riguardo, occorre notare che questo mese il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” dovrebbe anche approvare un riesame biennale dell’attuazione della lista di controllo per l’integrazione della protezione dei bambini confrontati ai conflitti armati nella politica estera e di sicurezza comune.

Per quanto attiene agli orientamenti sui difensori dei diritti umani, la sua relazione chiede agli Stati membri di considerare la possibilità di rilasciare visti per questi gruppi. In aprile la Presidenza ha organizzato, nell’ambito del gruppo di lavoro sui diritti umani del Consiglio europeo (COHOM), una serie di dibattiti mirati a uno scambio di informazioni sulle pratiche di rilascio dei visti. Risulta che il confronto abbia indotto alcuni Stati membri, di concerto con i dipartimenti consolari di competenza, a valutare la possibilità di assistere i difensori dei diritti umani rilasciando loro visti a breve termine. Al tempo stesso, gli Stati membri hanno appoggiato l’idea di inserire un riferimento a questo aspetto nel nuovo codice comune sui visti. L’elemento cruciale riguardo agli orientamenti e, com’è ovvio, la loro attuazione pratica, vale a dire il controllo delle situazioni nel campo dei diritti dell’uomo e la reazione alle violazioni con iniziative e dichiarazioni e l’inserimento di tale tema nel dialogo.

Uno dei principali obiettivi della politica estera e di sicurezza comune è infatti il rispetto dei diritti umani nel mondo. Grazie a strumenti quali misure e strategie congiunte, iniziative e operazioni di gestione della crisi, l’UE ha cercato di rafforzare il processo democratico e di migliorare la situazione dei diritti umani in molti paesi. In tale contesto, riveste particolare importanza il dialogo sui diritti umani. L’UE sta conducendo colloqui con Iran, Uzbekistan, Federazione russa, Unione africana e Cina.

Nell’ambito degli accordi di cooperazione, che contengono disposizioni relative ai diritti dell’uomo, questo dialogo viene sviluppato anche con altri paesi terzi. E a tale proposito, mi permetto di sottolineare che la prossima occasione di discutere la situazione in Cina sarà già la settimana a venire, il 15 maggio, quando si svolgerà a Lubiana il prossimo incontro del dialogo sui diritti umani tra UE e Cina. Desidero anche ricordare le recenti consultazioni con la Federazione russa, tenutesi nel mese di aprile.

Onorevoli parlamentari, vorrei anche soffermarmi sull’aspetto della cooperazione tra le singole istituzioni dell’Unione europea in materia di protezione e promozione dei diritti umani. Nei prossimi giorni il Consiglio dovrebbe formulare una risposta alla lettera del Presidente del Parlamento europeo, Hans-Gert Pöttering, relativa alla cooperazione interistituzionale nell’ambito del dialogo sui diritti umani. Posso garantire che è forte la volontà politica di consolidare queste relazioni, perlomeno da parte della Presidenza.

In conclusione, accolgo con favore la relazione dell’onorevole De Keyser e dell’onorevole Salafranca Sánchez-Neyra sulle missioni di osservazione elettorale, che sono un elemento di estrema importanza della politica dell’Unione europea ai fini del rafforzamento della democrazia. Tali missioni contribuiscono a migliorare il dialogo democratico e il processo di elezioni democratiche nonché a creare istituzioni democratiche. Quest’anno le elezioni si sono svolte, e si svolgeranno, in molti paesi. Il Consiglio le controlla da vicino e proseguirà in questo compito.

Nell’ambito dei nostri sforzi volti a potenziare i legami tra il Parlamento europeo e il Consiglio nel settore delle missioni di osservazione elettorale, abbiamo già avuto uno scambio di opinioni con i parlamentari che hanno guidato missioni di osservazione. Le loro relazioni contribuiscono in misura significativa alla formulazione della politica in questo campo e ritengo che anche il confronto di oggi si rivelerà utile a tale proposito.

 
  
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  Presidente. − Desidero far presente al signor Ministro che ha detto di essere sorpreso del fatto che le discussioni siano state ritardate. Questo avviene quando gli oratori impiegano molto più tempo per il loro intervento di quanto preannunciato. Secondo gli accordi precedenti, il Ministro doveva parlare per 5 minuti. Ha parlato per 10 minuti, e così adesso abbiamo un ulteriore ritardo di 5 minuti. Succede poi che con mezzo minuto qui e minuti là, questi ritardi si accumulano, pertanto assumiamoci tutti la responsabilità di mantenere la tabella di marcia.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, è ovviamente un grande piacere che possa intervenire di nuovo oggi alla discussione congiunta in plenaria in merito a due relazioni chiave nel campo dei diritti umani e della democrazia: la relazione Cappato sulla relazione annuale sui diritti umani e la relazione Salafranca/De Keyser sulle missioni di osservazione elettorale (MOE). Desidero congratularmi con i tre autori per l’eccellente lavoro svolto.

Accolgo altresì con favore il fatto che le due relazioni sui diritti umani e sull’attività di osservazione elettorale siano discusse congiuntamente perché ritengo che sia una prova tangibile della convinzione che condividiamo, ossia che i diritti umani e la democrazia devono procedere di pari passo e che non dovrebbero essere considerati separatamente. I diritti umani sono la base della democrazia e la democrazia è indispensabile per proteggere e promuovere i diritti umani.

Consentitemi di affrontare i due temi all’ordine del giorno uno dopo l’altro. Ovviamente, mi limiterò a fornire qui una panoramica generale ma sono ovviamente disposta ad approfondire le questioni nel corso della discussione.

L’osservazione delle elezioni è una storia di successo della politica estera dell’Unione europea e la ringrazio, onorevole De Keyser, per quello che ha affermato. Grazie a, credo, un metodo coerente e rigoroso nonché a un’osservazione a lungo termine indipendente e imparziale, l’UE si annovera tra le organizzazioni più affidabili di osservatori internazionali. Questo è stato confermato nelle recenti missioni di osservazione dell’UE in delicati processi elettorali quali, per esempio, Kenya (l’osservatore capo era l’onorevole Lambsdorff), Pakistan (onorevole Gahler) e Nepal (onorevole Mulder). Tra le prossime missioni figurano la Cambogia e il Rwanda, che devono entrambi risollevarsi da un passato estremamente doloroso. Come nel 2007, le missioni saranno finanziate nel pieno rispetto del quadro di bilancio deciso.

La cooperazione consolidata tra le MOE dell’UE e il Parlamento europeo combina la competenza tecnica con la sensibilità politica e garantisce che l’UE parli con una voce sola. Desidero pertanto congratularmi di nuovo con tutti gli osservatori capo per il loro straordinario lavoro. La professionalità delle MOE dell’Unione europea è stata per me infatti una priorità dall’inizio del mio mandato, durante il quale sono stati inviati osservatori capo in circa 36 paesi.

Convengo che l’osservazione elettorale dell’UE non possa costituire una politica a sé ma debba essere un elemento di una più ampia strategia a sostegno della democrazia e dei diritti umani. Occorre rafforzare il seguito delle MOE-UE, sul piano sia politico che tecnico. Tutti dobbiamo svolgere un ruolo e la Commissione userà il prossimo riesame dei documenti di strategia nazionale al fine di elaborare approcci politici più coerenti a livello nazionale, come suggerito nella relazione, onde garantire che i nostri interventi nei settori della protezione e della promozione dei diritti umani, della promozione della democrazia, del sostegno elettorale e dell’assistenza allo sviluppo finalizzati al miglioramento della governance democratica e dello Stato di diritto si rafforzino tra loro.

C’è senza dubbio un certo margine per migliorare ulteriormente la politica. Procederò su questa linea in stretto dialogo con il Parlamento. Ciò premesso, propongo di organizzare in autunno un secondo seminario congiunto sull’osservazione elettorale, sulla base del nostro positivo incontro dell’anno scorso incentrato sul tema essenziale del seguito nonché del mantenimento della qualità del lavoro di osservazione. In queste aree abbiamo già compiuto passi importanti: le MOE-UE sono adesso considerate sistematicamente nel ciclo elettorale ed è sempre maggiore la sensibilizzazione riguardo all’integrazione delle raccomandazioni delle MOE-UE nel dialogo con paesi partner. Le due serie di orientamenti riguardo alla metodologia interamente rinnovate e di recente pubblicazione, nonché il continuo appoggio ai programmi di formazione per gli osservatori, ci aiuteranno a sostenere il minuzioso lavoro di elevata qualità svolto sul terreno dagli osservatori capo e dai rispettivi gruppi. Il secondo seminario potrebbe concentrasi sul rafforzamento della visibilità per le MOE-UE e sulla dimensione politica del sostegno elettorale.

Possiamo, ovviamente, discutere dell’ulteriore apertura delle nostre missioni, come indicato dall’onorevole De Keyser. Finora, alle missioni hanno anche partecipato osservatori, per esempio, di Svizzera, Canada e Norvegia.

Cercherò di essere breve riguardo alla seconda parte, in quanto il nostro Presidente del Consiglio ha già detto molto. Questo è un anno importante per i diritti umani in quanto celebriamo il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il 15° anniversario della Conferenza mondiale sui diritti umani.

Penso che dovremmo dire che lo scorso anno è stato caratterizzato da cambiamenti fondamentali nell’ambito dei sistemi ONU nel campo dei diritti umani intesi alla definizione istituzionale del Consiglio per i diritti dell’uomo. Il primo ciclo delle revisioni periodiche universali (RPU) è adesso giunto al termine e il secondo è iniziato il 5 maggio. Con alcuni Stati membri dell’UE e paesi terzi oggetto di esame, penso sarà molto utile analizzare in modo approfondito se questa innovazione chiave contribuirà positivamente a rafforzare l’efficacia del Consiglio per i diritti dell’uomo. Il pertinente gruppo del Consiglio UE (COHOM) – con sede a Ginevra – ha cominciato a migliorare il coordinamento nella prospettiva di una posizione dell’Unione europea più coerente in seno al Consiglio per i diritti dell’uomo e discuterà in dettaglio le conclusioni da trarre dai primi due cicli.

Non mi addentro ora in tutti i particolari. Penso che quanto rimane ancora da affrontare verrà fuori nel corso del dibattito e sarò pronta a rispondere a tutte le domande.

 
  
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  Thijs Berman, relatore per parere della commissione per lo sviluppo. − (NL) Signor Presidente, signora Commissario, la Birmania è sulla scia del disastro: risaie disseminate di cadaveri, sopravvissuti senza casa, organizzazioni di soccorso impossibilitate a entrare nel paese. Le esportazioni di gas della Birmania fruttano ogni anno al paese 3 miliardi di euro, tuttavia il regime sta destinando ora agli aiuti di emergenza solo 5 milioni di euro. E’ un’elemosina scandalosa dato che la giunta sapeva del ciclone ma non ha avvertito la popolazione.

La Birmania rappresenta un’enorme sfida per la politica dell’UE in materia di diritti umani. Insieme alle sanzioni è l’unica soluzione. Rafforzare le restrizioni riguardo ai visti, colpire quelle società che sostengono il regime, chiudere l’UE a qualsiasi transazione bancaria del governo.

Il Consiglio avrebbe dovuto adottare queste misure la settimana scorsa. Non l’ha fatto. Le considerazioni di natura commerciale hanno prevalso. Questo tipo di analisi critica è del tutto assente dalla relazione annuale dell’UE sui diritti umani nel mondo nel 2007. Le nuove sanzioni nei confronti della Birmania dovranno aspettare, comunque. Prima, l’UE deve sollecitare i paesi ASEAN a fornire aiuti. Anche gli stessi Stati membri devono essere pronti. Il Consiglio di sicurezza deve inviare il Segretario generale Ban Ki-moon in Birmania. Le frontiere del paese devono essere aperte.

 
  
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  Giusto Catania, relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’Unione europea spesso si occupa delle violazioni dei diritti umani fuori dal nostro territorio e non si accorge che le nostre politiche contribuiscono alla violazione sistematica dei diritti fuori dall’Unione europea.

Per tali ragioni pensiamo che l’Agenzia dei diritti fondamentali debba estendere il suo mandato anche a paesi che hanno concluso accordi di stabilizzazione o di associazione o anche i paesi che hanno concluso accordi di riammissione con l’Unione europea. Pensiamo che questo sia importante per i migranti e per i richiedenti asilo, che spesso vengono espulsi dai nostri paesi e vengono spediti in luoghi dove non sono garantite le libertà individuali e i diritti fondamentali.

Possiamo parlare anche del paese che in questo momento ha la Presidenza di turno, la Slovenia, dove i cittadini, considerati cancellati dai registri e quindi privati e della loro cittadinanza, vengono spediti in paesi come il Kosovo o la Serbia dove non viene garantita la loro incolumità.

Siamo anche preoccupati perché la cooperazione internazionale, nell’ambito della lotta al terrorismo, ha abbassato il livello di protezione delle libertà fondamentali ed è per queste ragioni che il parere della commissione LIBE a questo rapporto è un parere che chiede con forza che siano attuate tutte le disposizioni previste da questo Parlamento, in particolare sui voli della CIA e sulle detenzioni illegali dei presunti terroristi.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė, a nome del gruppo PPE-DE. (LT) Desidero innanzi tutto ringraziare i miei colleghi i cui sforzi congiunti hanno facilitato l’elaborazione della relazione annuale sui diritti umani nel mondo nel 2007 e sulla politica dell’Unione europea in materia. Molte grazie, onorevole Cappato. La nostra cooperazione è stata proficua e gradevole.

La nostra risoluzione individua i diritti umani quali priorità principale e valore. La mia famiglia politica, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei ha sempre considerato i diritti umani un ambito della massima importanza. In cima alla nostra agenda figurano l’abolizione della pena di morte, l’inammissibilità della tortura, i diritti delle donne e dei minori e la lotta contro la discriminazione. Il gruppo PPE-DE ha sempre riservato grande attenzione alla situazione dei diritti umani in paesi quali Cina, Russia e Iran, e non senza motivo, in quanto il rispetto di tali diritti in queste regioni suscita enorme preoccupazione.

E’ ampiamente risaputo che l’UE ha sviluppato e attuato molte misure intese alla protezione dei diritti umani e alla diffusione della democrazia, tra cui figurano il dialogo politico, interventi e strumenti finanziari – strumenti europei finalizzati a proteggere la democrazie e i diritti umani, la struttura e l’attività di forum multinazionali.

Pertanto, uno degli obiettivi della nostra risoluzione è valutare l’efficacia della politica dell’UE e le misure al momento attuate insieme ai rispettivi risultati e suggerire eventuali modi per migliorare tali azioni rendendole più coerenti e garantendone la trasparenza e la visibilità. E’ opportuno sottolinea il fatto che le relazioni tra l’UE e le istituzioni dell’ONU nell’ambito della protezione dei diritti umani hanno sortito brillanti risultati; è quindi essenziale proseguire gli sforzi in futuro.

Parlando in tutta onestà, a causa delle nostre diverse convinzioni, esperienze e culture nel Parlamento europeo tendiamo a valutare in modo differente certe questioni e determinati problemi, ad esempio la salute sessuale e riproduttiva. Nell’affrontare queste controverse tematiche il criterio più appropriato è quello dei diritti umani, in particolare i diritti di bambini e donne. Pertanto, la pedofilia (si è compiuto qualche tentativo di mascherare tale fenomeno con l’espressione “salute sessuale”) non deve essere ammessa, in qualsiasi modo la chiamiamo.

Devo menzionare l’importanza del ruolo della società civile, perché senza quest’ultima, senza la partecipazione attiva di ONG, gli sforzi politici spesso non si tradurrebbero in alcun risultato. I difensori dei diritti umani, a prescindere dal loro paese di origine – Oswaldo Payá e le Damas de Blanco di Cuba, Yuri Bandazhevsky della Bielorussia, Salih Mahmoud Osman del Sudan e centinaia di altri – meritano il nostro rispetto e maggiore sostegno.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi, a nome del gruppo PSE. – (HU) Signor Presidente, a nome del Partito socialista europeo, desidero ringraziare il relatore, l’onorevole Marco Cappato, per la sua equilibrata ed esauriente relazione e per la grande apertura e la disponibilità a cooperare. E’ di particolare importanza che, su raccomandazione dei socialisti, ai diritti economici e sociali sia stata riservata maggiore attenzione nel testo in oggetto. Se, a prescindere dalla nostra politica di partito in quanto membri del Partito popolare europeo, Liberali, Verdi o Socialisti, siamo orgogliosi di un’Europa sociale, è allora di estrema importanza che chiediamo ad altri – del tutto giustamente – di rispettare i diritti sociali. Nel caso della Cina e della Russia, per esempio, molte centinaia di milioni di coloro che vivono nei villaggi non hanno assicurazione sociale, né accesso all’assistenza medica e sanitaria di base e neppure la pensione. Sono esempi, credo, di diritti umani fondamentali e in futuro si dovrebbe rivolgere molta più attenzione a questi aspetti.

Siamo molto orgogliosi del fatto che la relazione chieda di intensificare la cooperazione tra l’Unione europea e il Consiglio d’Europa nel campo dei diritti delle minoranze. Sulla base dei criteri di Copenaghen, la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali e la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie sono, dopotutto, documenti chiave per l’Unione europea e il Consiglio europeo. Al contempo, tuttavia, riteniamo che sia un problema importante che non sia prevista una relazione distinta, o almeno un paragrafo specifico, sulle minoranze nazionali, dal momento che noi – e il Commissario Ferrero-Waldner in loco – controlleremo il Kosovo e definiremo quanto avviene riguardo ai diritti delle minoranze. Nella nostra relazione, intanto, non si fa altro riferimento se non alla Cina e alla Russia. In futuro sarebbe pertanto opportuno che le relazioni sui diritti umani contemplassero una sezione specifica sulle minoranze etniche, sui Rom e sui migranti, in altre parole sulle nuove minoranze. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Janusz Onyszkiewicz, a nome del gruppo ALDE. – (PL) Desidero soffermarmi un attimo sul legame tra i diritti umani e la democrazia. E’ opinione diffusa che tali diritti possano essere pienamente rispettati solo nell’ambito di una democrazia. La democrazia è a propria volta identificata con governi di maggioranza il cui mandato è il risultato di un meccanismo elettorale. Questa era la democrazia greca, dove la maggioranza decideva in merito a tutto. Attraverso questo sistema di voto maggioritario, tuttavia, Socrate fu condannato a morte.

Pertanto, la volontà della maggioranza non può sempre fungere da garanzia dei diritti dei cittadini. E’ il motivo per cui nel XIX secolo si fece strada un timore nel pensiero politico – che oggi si comprende poco –, la paura di estendere i diritti di voto a gruppi sociali più ampi, collegata alla teoria che solo una minoranza illuminata sia in grado di rispettare i diritti umani e le libertà.

Oggi ci imbattiamo spesso in situazioni in cui elezioni del tutto rispettabili sfociano in governi dittatoriali, o nel sostegno a tali governi. Basti pensare a paesi come la Bielorussia, o ai governi di Hamas nella Striscia di Gaza. E’ altresì opportuno ricordare la famosa risposta da parte del Presidente dell’Egitto Mubarak, il quale, esortato a svolgere elezioni imparziali, affermò che si sarebbero tradotte in governi nel paese sotto il controllo di gruppi islamici radicali fondamentalisti.

E’ evidente che le elezioni sono un elemento di inestimabile valore ed è per questo che sono anche oggetto di controllo. Chissà, tuttavia, che in questi giorni in molti paesi non sia più importante avere un governo dello Stato di diritto e un potere giudiziario davvero indipendente anziché indire elezioni. Altrimenti potremmo avere una democrazia che non è nulla di più di una dittatura sostenuta da un mandato elettorale – una dittatura in cui non esistono istituzioni indipendenti per creare un complesso sistema di equilibri e garanzie al fine di proteggere i cittadini dall’azione arbitraria delle autorità. La democrazia deve essere democrazia liberale e non dittatura della maggioranza. Dobbiamo pertanto proseguire nell’attività di osservazione elettorale, ma non dobbiamo limitarci a questo nella lotta volta a instaurare un’autentica democrazia liberale. Questo significa che occorre rivolgere più attenzione alla creazione di una cultura democratica e delle istituzioni di una società civile.

Tali azioni non devono contare sul sostegno delle autorità autocratiche. E’ quindi necessario sviluppare meccanismi di assistenza più adeguati, dispositivi che siano anche più flessibili di quelli di cui già disponiamo, e si deve ampliare la portata del nostro intervento fornendo aiuti a quei coraggiosi che subiscono varie repressioni a causa delle attività svolte.

 
  
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  Konrad Szymański (UEN).(PL) Signor Presidente, ritengo che l’unica spiegazione alla mancanza nella relazione sui diritti umani di parole adeguate in merito alla questione della libertà religiosa nel mondo sia riconducibile ai pregiudizi della sinistra e anche, forse, del relatore.

La libertà a professare e praticare una religione è uno degli elementi più importanti dei diritti umani. Tale principio è stato confermato nell’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nell’articolo 16 del documento finale dell’OSCE e nell’articolo 9 della Convenzione europea. E’ una libertà che è stata violata su larga scala. I cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato nel mondo e non possono praticare liberamente la loro fede in Cina, nell’Arabia Saudita o in Iran. In Iraq i cristiani assiri, che vivono in quelle terre da secoli, hanno dovuto fuggire dalle proprie case. In Russia l’attività delle comunità religiose che non appartengono alla Chiesa ortodossa russa diventa sempre più difficile.

Purtroppo, non apprenderemo nulla di questo dalla relazione dell’onorevole Cappato. Una simile censura è una strada diretta verso la perdita di ciò che costituisce l’unica forza nel sistema della protezione dei diritti umani: la strada verso la perdita di credibilità.

 
  
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  Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, le relazioni presentate sono molto precise e ben documentate. Offrono un’indicazione convincente, credo, dell’attuale capacità del parlamento di valutare la politica dell’UE in materia di diritti umani e democrazia. Orientamenti, dialoghi e consultazioni, piani d’azione, la clausola sui diritti umani, le missioni di osservazione elettorale: questi strumenti sono valutati perfettamente e sono individuati con chiarezza anche i passi avanti ancora da compiere, che si tratti di elaborare singole strategie per paese nel campo dei diritti umani o di definire indicatori per valutare le situazioni o di chiedere al parlamento di avviare misure appropriate per l’attuazione della clausola relativa ai diritti dell’uomo. Questi obiettivi sono, penso, ben noti alla Commissione e al Consiglio e resteranno nell’agenda delle nostre discussioni.

Si rivolgono anche specifiche richieste agli Stati membri. In particolare, deploriamo il fatto che molti di loro non abbiano ancora ratificato un gran numero di convenzioni internazionali e di protocolli aggiuntivi: la Convenzione sulla protezione di diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, il protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate e altri strumenti quali la Convenzione 169 dell’OIL. La loro ratifica farebbe onore agli Stati membri e a tutta l’UE.

Vi sono anche questioni ancora più complesse e ricorrenti che la situazione internazionale pone immancabilmente al centro delle nostre preoccupazioni: problematiche relative a un approccio esaustivo e integrato ai diritti umani in tutte le politiche dell’UE. Sì, la politica in materia di asilo e di immigrazione perseguita dall’UE e dagli Stati membri porta a gravi violazioni dei diritti umani, in particolare alle nostre frontiere esterne. Sì, grandi società europee chiudono un occhio di fronte agli attacchi diretti al diritto sociale o al diritto a un ambiente sano o addirittura li commettono. L’UE deve avanzare verso un quadro legislativo che promuova la compatibilità tra le sue attività e il rispetto dei diritti umani. Sì, la crisi alimentare mette in questione la nostra politica agricola e la nostra politica energetica. Sì, ancora una volta, l’impatto dei cambiamenti climatici sui diritti umani è evidente. I diritti alla vita, alla salute, alla casa e all’alimentazione sono in cima all’elenco delle violazioni.

La nostra ambizione è una politica globale e integrata. I lavori relativi all’attuazione del Trattato di Lisbona sono iniziati. Segneranno un’ulteriore tappa del nostro impegno sul fronte dei diritti umani. Tale impegno deve essere garantito da un’organizzazione e da risorse più sostanziose e più coerenti nel campo dei diritti dell’uomo. Ad esempio, il servizio europeo per l’azione esterna dovrà comprendere un centro dedicato al carattere trasversale dei diritti umani. Lo stesso Parlamento europeo dovrà saltare il fosso. Un organo parlamentare del tutto funzionante è altamente auspicabile a tale fine.

 
  
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  Vittorio Agnoletto, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, promuovere e difendere i diritti umani rischiano oggi di essere parole vuote di significato, soprattutto se le dichiarazioni di principio non seguono fatti precisi. Da tempo l’Unione europea sembra volutamente inerme di fronte a regimi che violano i diritti umani, interessata solo all’approfondimento delle relazioni commerciali ed economiche.

La Commissione è sempre più svuotata dal Consiglio e dagli Stati membri nelle sue strategie di promozione dei diritti umani nel mondo. Assistiamo da tempo a una consapevole rinazionalizzazione delle competenze in tema di promozione dei diritti fondamentali. Mai come oggi, insomma, la Commissione è debole in tema di proposte sui diritti umani e della democrazia nel mondo, come dimostra, ad esempio, il rifiuto di un uso generalizzato della clausola democratica votata dal Parlamento due anni fa.

I diritti umani sono tornati ad essere una variabile dipendente delle politiche di controllo economiche o militari, come dimostra la cosiddetta lotta al terrorismo dell’amministrazione Bush. Per questo è importante che il Parlamento europeo continui ad avere un ruolo di stimoli in questo settore come il rapporto del collega Cappato. Certo, il rapporto si concentra esclusivamente su una dimensione che definirei individualistica dei diritti.

Lo stesso relatore ha votato contro i nostri emendamenti che cercavano di dimostrare come la promozione dello sviluppo dei popoli, dei loro diritti sociali, economici e culturali, così come definiti dall’ONU, sono una condizione per il godimento dei diritti individuali. Sono gli stessi concetti di interdipendenza, di indivisibilità dei diritti che definiscono tale concetto.

Il relatore, ancora una volta, si è abbandonato alla relazione dei black list of countries, in cui si attaccano i soliti paesi e non si criticano i più potenti. Ad esempio, avevamo cercato di far notare con degli emendamenti che la Turchia è colpevole di una politica di annientamento dell’identità culturale, politica e sociale dei curdi. Una repressione che riguarda milioni di esseri umani, ma non è stato fatto nulla! Ricordo che la questione curda è, a mio avviso, determinante nella concezione del futuro di un’Europa democratica, il tutto unito a formulazioni generali e generiche sui diritti umani, che hanno sapore antico dei due pesi e due misure. Per questo il nostro gruppo ha deciso di astenersi nel voto finale.

 
  
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  Presidente. − Se qualcuno attendeva l’intervento dell’onorevole Georgiou del gruppo Indipendenza/Democrazia, rimarranno delusi, in quanto non è presente in Aula.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI). (NL) Grazie, signor Presidente. Ritengo che, se alcuni aspetti della corposa relazione dell’onorevole Cappato sono aperti alle critiche, il testo, a suo merito, inserisce espressamente in agenda la discriminazione contro le religioni minoritarie in alcuni paesi terzi – una scelta che era estremamente necessaria.

Dobbiamo semplicemente avere il coraggio di affermare alcune cose con maggiore chiarezza e, senza menare il can per l’aia, di denunciare innanzi tutto il totalitarismo fanatico dei paesi islamici. Il fatto è che, mentre in Europa l’islam è riconosciuto e trattato come una religione di pari posizione e i musulmani sono, ovviamente, riconosciuti e trattati come cittadini alla pari, e nel mio paese l’islam è riconosciuto e sovvenzionato dal governo, nel mondo islamico i cristiani e i non credenti sono apertamente considerati come cittadini di serie B e oggetto di discriminazione.

Solo per dare un esempio, nella apparentemente “moderna” Algeria, chiunque tenti di convertire un musulmano viene condannato a cinque anni di carcere e al pagamento di multe salatissime. Anche in altri paesi islamici la discriminazione e l’oppressione di minoranze non islamiche sono semplicemente parte di una politica ufficiale. Di conseguenza, è ora che l’Europa intervenga con fermezza.

Constato che, mentre l’Organizzazione della conferenza islamica parla costantemente della discriminazione di cui sono vittima i musulmani qui e là, l’Unione europea non pronuncia una parola sulla persecuzione più irragionevole, sistematica e ufficialmente organizzata subita dai seguaci di altre fedi nei paesi musulmani. Questo tende a suscitare l’impressione che i dialoghi ufficiali e le clausole sui diritti umani siano diventati una sorta di carta da pacchi morale. Pensate a quanto possa essere credibile l’Unione europea se essa stessa spalanca la porta a un paese come la Turchia, dove è risaputo che la polizia fa un ampio uso della tortura?

Quali lezioni può impartire l’Unione europea sulla libertà di espressione e la libertà di stampa se poi da anni conduce segretamente e apertamente negoziati per l’adesione con un paese come la Turchia, descritto da Reporters sans frontières come uno dei peggiori violatori della libertà di espressione? Inoltre, quali lezioni può dare l’Unione europea riguardo alla libertà di religione quando sostiene un paese come la Turchia che ha massacrato o cacciato tutte le precedenti religioni minoritarie e perpetua alla luce del sole atti di discriminazione contro le poche rimaste?

Se, tuttavia, guardiamo al di là della retorica ufficiale e delle dichiarazioni e clausole ufficiali, spesso vediamo una politica europea in materia di diritti umani che usa due pesi e due misure e un enorme oceano tra le parole e le azioni.

Per inciso, un simbolo perfetto di questa ambigua politica europea è l’attuale Commissario europeo competente per lo Sviluppo e gli aiuti umanitari, Luois Michel. Quando era ancora ministro degli Esteri del Belgio, sembrava una specie di coscienza globale con il cordon sanitaire europeo contro l’Austria, mentre era tutto latte e miele con quel dittatore malvagio di Fidel castro. Alcuni mesi fa questo Commissario europeo ha ancora una volta perorato la causa di migliorare notevolmente le relazioni con Cuba, anche se tutte le organizzazioni nel settore dei diritti umani affermano che l’apparato statale di Cuba mira costantemente a ridurre i diritti e le libertà dei cittadini.

Soggetti come i Commissari europei non sono adatti a occuparsi della politica in materia di diritti umani. Un’altra considerazione riguarda la totale assenza nella relazione in questione della richiesta urgentemente necessaria di ripristinare il diritto alla libertà di espressione in alcuni dei nostri paesi europei, tra cui il Belgio. In tale Stato il partito di opposizione è vistosamente assediato da denunce e processi, e vari atti sono stati inaspriti onde rendere impossibile la libertà di espressione sul problema dell’immigrazione. E’ ora di avere il coraggio di vedere la trave nel nostro occhio.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE). (PL) Signor Presidente, signora Commissario, il fatto che istituzioni riconosciute osservino i processi elettorali migliora l’atmosfera delle consultazioni e talvolta contribuisce a cristallizzare cambiamenti significativi, com’è avvenuto, ad esempio, durante la Rivoluzione arancione a Kiev. L’impresa di osservazione è ovviamente un’operazione costosa, ma giustificata, dal momento che, per un verso, insegna la democrazia e, per l’altro, ci aiuta a valutare la consapevolezza politica e la coscienza di una data nazione.

Ho qualche suggerimento su come le missioni possano essere efficaci senza comportare costi indebiti. Innanzi tutto, dovremmo inviare persone che sanno la lingua del luogo. Se non è fattibile, il gruppo di osservatori potrebbe essere formato in modo che nel suo ambito si usi una sola lingua (francese o inglese), in cui vengono effettuate le traduzioni le quali, a propria volta, comportano il ricorso a interpreti per la traduzione nella particolare lingua locale.

Per quanto possibile, sarebbe utile reclutare volontari da altri paesi, come studenti o membri di organizzazioni non governative o studentesche. Perché? Più osservatori ci sono, meglio vanno le cose. Anche se talvolta si sente affermare con ironia, in Africa ad esempio, che non hanno più bisogno dei colonizzatori, finisce che il contatto e l’interazione con gli elettori porta al riconoscimento della missione e, al tempo stesso, di quella forma di assistenza democratica.

Laddove entrano in gioco i diritti umani, noi del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei interveniamo al fine di garantire che coloro che vivono in aree particolarmente vulnerabili del globo siano consapevoli dei propri diritti e possano lottare per difenderli. In questo ambito è necessaria un’opera costante di educazione. Non c’è altro modo. Concluderò facendo presente che senza i valori e i diritti umani fondamentali, la democrazia può essere una soluzione imperfetta, se non una caricatura di come si governa.

 
  
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  Józef Pinior (PSE).(PL) Signor Presidente, signora Commissario, la discussione che si svolge oggi qui riguarda una delle questioni più importanti in cui è impegnata l’Unione europea, e di certo il Parlamento europeo: l’osservazione dei diritti umani nel mondo, e il controllo dell’attuale situazione della democrazia globale. Mi sembra che le due relazioni costituiscano un risultato molto significativo del Parlamento europeo. Desidero esprimere le mie congratulazioni all’onorevole Cappato e all’onorevole De Keyser per l’elaborazione di questi documenti.

In simili situazioni ci troviamo sempre di fronte al seguente dilemma: come possiamo difendere i diritti umani, parlare dei principi del diritto che vorremmo dimostrare in altre regioni del mondo, e al contempo condurre un’efficace politica dell’UE? E’ la base dell’arte dell’odierna politica UE: equilibrare questi due principi, dimostrare i concetti dei diritti umani e, al tempo stesso, l’efficacia della nostra politica. Questa è la realtà nuda e cruda che dobbiamo affrontare oggi in Birmania, in Cina, nel Caucaso, e in moltissime regioni del mondo. Mi sembra che le due relazioni facciano un valido tentativo di equilibrio tra le due sfide cui deve far fronte l’Unione europea.

Ancora un punto: desidero approfittare della discussione per ringraziare il Commissario Ferrero-Waldner per le risposte fornite riguardo all’osservazione dei diritti umani. Le mie informazioni si rivelano corrette. La Mongolia può essere un esempio di un paese in cui il nostro impegno nel campo dei diritti umani sortisce risultati positivi. La Mongolia può essere un esempio di come la situazione può cambiare in meglio in questo ambito. E’ uno Stato asiatico di enorme importanza, cui l’Unione europea può guardare in futuro come un modello per altri paesi dell’Asia centrale.

 
  
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  Fiona Hall (ALDE).(EN) Signor Presidente, le missioni di osservazione elettorale sono un elemento centrale e vitale del sostegno dell’UE ai diritti umani, alla democratizzazione e al buon governo. Desidero riferirmi in particolare alle missioni di osservazione in Africa, perché esiste un particolare partenariato tra l’UE e i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico.

Spesso la missione di osservazione si svolge nel quadro di aiuti allo sviluppo forniti a titolo dell’accordo di Cotonou. Per le elezioni del 2006 nella Repubblica democratica del Congo, ad esempio, è stata prestata una rilevante assistenza tecnica riguardo al processo di registrazione elettorale, e le missioni di osservazione elettorale dovrebbero avere un seguito in un quadro di sostegno anche dopo le elezioni, come sottolinea la relazione dell’onorevole De Keyser. Dopo le elezioni è enormemente necessario fornire un aiuto pratico e tecnico, ad esempio, per formare i funzionari civili e per gli scambi tra pari con altri deputati. Ai parlamenti neoeletti occorre assistenza affinché possano rafforzare la propria capacità di far mantenere ai loro esecutivi gli impegni assunti. E’ inoltre necessario dare un seguito politico alle elezioni, soprattutto alle raccomandazioni della missione di osservazione, di cui si dovrebbe tener conto prima del successivo ciclo elettorale.

Vorrei soffermarmi su alcuni altri punti. Sì, la missione di osservazione elettorale occupa un posto molto speciale, nel senso che è indipendente e distinta dal resto del processo. Non è la Commissione; è diversa dalle relazioni esterne; e, se è vero che la missione di osservazione deve comunicare con la delegazione locale della Commissione, con gli ambasciatori degli Stati membri e anche con altre missioni di osservazione, non deve rendere conto a nessuno di questi e la sua indipendenza è la sua forza. Sono d’accordo riguardo al collegamento e al coordinamento, ma non ritengo che dovremmo avere missioni congiunte con alti organi poiché questa scelta potrebbe compromettere l’indipendenza estremamente importante della missione di osservazione dell’UE.

Rilevo il desiderio di ampliare le missioni di osservazione e di rafforzarne le attività nel Mediterraneo meridionale. Posso capirlo, ma non dovrebbe avvenire a spese di missioni di democrazie emergenti in Asia, America latina e soprattutto in Africa. Come sottolineato da molti, le missioni si pagano, pertanto, se avremo missioni in più, ci occorreranno anche risorse in più.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE).(ES) Signor Presidente, desidero innanzi tutto complimentarmi con l’onorevole Cappato per il lavoro svolto e il risultato ottenuto.

Desidero di fatto estendere i complimenti all’intera sottocommissione per i diritti umani, perché ritengo che la relazione dimostri che da tempo ormai la sottocommissione è diventata maggiorenne, con tutto ciò che questo implica.

Per quanto riguarda la relazione, vi sono tuttavia alcuni aspetti che vorremmo riprendere e invitiamo tutti a compiere un ultimo sforzo affinché siano riconosciuti.

Primo, si deve riconoscere e ricordare una volta ancora che i diritti umani sono universali e indivisibili, principio, questo, che non è esplicitamente riportato nel testo e che vorremmo venisse inserito, pertanto abbiamo presentato un emendamento al riguardo.

Secondo, sarebbe opportuno che decidessimo che, in futuro, ogni inviato speciale dell’UE sia dotato di un chiaro mandato in relazione ai diritti umani e, in particolare, alla garanzia del rispetto degli orientamenti in materia di diritti umani.

Terzo, per quanto attiene a questi orientamenti, ritengo che sia importante ricordare un altro punto: anche se i diritti delle donne sono, per definizione, diritti umani, ci sembra che gli elementi specifici spesso abbinati a certe violazioni di quei diritti, da una prospettiva di genere, rendano altamente raccomandabile adottare quanto prima una serie nuova di orientamenti concernenti in particolare i diritti delle donne.

Infine, sebbene sia indubbio che vi siano vari casi specifici che dovremmo menzionare, ma che non possiamo fare per mancanza di spazio e di tempo, voglio almeno approfittare della presente discussione per sollevare ancora una volta il problema della violazione di diritti umani nel Sahara occidentale per mano delle autorità marocchine, in quanto esempio lampante di una decolonizzazione incompleta o compiuta malamente.

Pertanto, la Spagna e, per estensione, l’Unione europea, ha il dovere di non tirarsi indietro rispetto a questo problema, tanto più considerando che il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha di nuovo esortato a risolvere il conflitto attraverso una soluzione equa e duratura in conformità del diritto internazionale, e tutti sappiamo che, soprattutto, questo comporta l’applicazione del diritto all’autodeterminazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MIGUEL ANGEL MARTÍNEZ MARTÍNEZ
Vicepresidente

 
  
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  Luisa Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, grazie alla sottocommissione per i diritti umani e a Marco Cappato, anche se io non parlerò di questa relazione. Spero che la commissione per i diritti umani diventi una vera commissione e non soltanto una sottocommissione. Grazie soprattutto a De Keyser e Salafranca per l’approfondito e stimolante rapporto. Lamento, però, che il rapporto non sia stato fatto congiuntamente dalle commissioni per gli esteri e per lo sviluppo, tenuto conto che i presidenti delle due commissioni copresiedono il gruppo parlamentare delle osservazioni elettorali.

Grazie davvero anche alla Commissione, in modo particolare a Benita Ferrero-Waldner, per gli impegni e la determinazione profusi nello sviluppo dello strumento dell’osservazione elettorale per i diritti umani con la consapevolezza che democrazia e diritti necessitano non solo fair in free election, ma sviluppo e lotta contro la povertà.

Ho solo un minuto, vorrei sottolineare l’esigenza di una maggiore coerenza per il dopo elezioni e mi riferisco per esempio al caso della Palestina; credo che sia indispensabile questo per essere credibili con il nostro strumento, così come anche la continuità per il follow-up delle relazioni e delle politiche di sostegno ai parlamenti nazionali. Importante anche è la proposta di Ferrero-Walder di un secondo seminario di valutazione, soprattutto se riusciamo a coinvolgere la società civile e gli osservatori elettorali locali, che sarebbero per noi un modo di interlocuzione molto importante.

 
  
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  Hélène Goudin (IND/DEM). – (SV) Signor Presidente, l’UE è un’unione di valori che si basa sull’accordo comune di rispettare i diritti umani. Quando questi non vengono rispettati all’interno dell’UE o nell’area vicina ad essa, l’UE dovrebbe intervenire. Tuttavia, è un peccato che questo Parlamento tenti di usare i diritti umani per promuovere la propria posizione nel quadro della politica estera a spese della competenza degli Stati membri. Non dobbiamo dimenticare il fatto che vari Stati membri non sempre rispettano i diritti umani, ad esempio nel caso dei diritti di omosessuali, lesbiche, bisessuali e transgender, quando nel nostro fanatismo ci battiamo moralisticamente il petto e critichiamo le politiche dei paesi terzi.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signor Presidente, devo chiedere, la presente discussione è soltanto un rito annuale per lavarci la coscienza riguardo ai diritti umani o nell’UE stiamo davvero esigendo un reale cambiamento da parte dei paesi che perpetrano gravi abusi?

Sì, l’UE protesta, ma la portata della nostra azione è inversamente proporzionale all’importanza commerciale di quelli che sono i destinatari? Prendete l’India e la Cina. Stiamo corteggiando entrambi i paesi per gli scambi commerciali. Quanto siamo seri nel promuovere con loro l’agenda dei diritti umani? Perché i nostri accordi commerciali non hanno autentica forza di diritti umani? E’ vero che all’UE interessa più il commercio che la repressione?

Guardo l’India, con la sua discriminazione basata sulle caste, il suo spaventoso primato sul fronte del lavoro forzato e del traffico sessuale, e i diffusi abusi alla libertà di religione. E poi scopro che tutto quello che abbiamo con questo paese è un dialogo ad hoc e l’assenza di un impegno profondo in questioni relative ai diritti umani. Non c’è da stupirsi che le cose non migliorino.

Devo anche aggiungere che talvolta il nostro obiettivo è distorto, Quando si tratta di aiuti allo sviluppo, l’UE esercita forti pressioni su un’agenda dei diritti, che preveda la promozione dell’aborto, anche dove questo offende la cultura locale – come in Kenya, dove le ONG sostenute dall’UE usano i fondi per finanziare gli aborti in violazione degli usi e del diritto locali.

Il nostro obiettivo non dovrebbero essere i diritti fondamentali e un uso migliore delle risorse allo sviluppo al fine di fornire aiuti all’approvvigionamento alimentare e idrico, anziché diffondere la nostra agenda, spacciandola persino per politica in materia di salute?

 
  
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  Ari Vatanen (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ritengo sia il giorno giusto per riflettere sull’importanza delle elezioni e delle missioni di osservazione. Proprio questa mattina abbiamo sentito un’altra serie di risultati dagli USA. Credo che lì le elezioni stiano andando avanti da secoli e non sappiamo ancora chi sia il candidato democratico alle presidenziali. Penso che sarà Obama, ma non me lo chiederanno.

Mentre da mesi negli USA avviene questo, in Russia si sono svolte le elezioni e oggi Vladimir Putin, dovrei dire, ha passato la presidenza a Medvedev. Dovrei dire che Medvedev è stato insediato, ma non sarebbe l’espressione corretta, perché quando era in corso la campagna elettorale, Medvedev si è preso un solo giorno per la sua propaganda – è quanto è stato scritto nel comunicato stampa del Cremlino. E’ stato persino sottolineato che era un giorno non retribuito. Come si può organizzare una campagna elettorale se la si fa in un giorno? E’ possibile se si sa che la copertura televisiva sarà superiore di 17 volte rispetto a quella di tutti gli altri tre candidati messi assieme. Questa è la triste situazione In Russia, Il popolo russo merita di più. Questa non è una critica al Cremlino. Dobbiamo esprimerci a favore del popolo russo e a favore di tutti coloro che in qualsiasi altro paese non abbiano ancora la democrazia nel modo che intendiamo noi.

Queste missioni di osservazione sono importanti? Sì, sono molto importanti, perché sono incentrate sulla costruzione della democrazia che è la nostra principale missione in quest’Aula. L’onorevole Salafranca e l’onorevole De Keyser hanno prodotto un’ottima relazione, ma dobbiamo semplicemente portare avanti questa tematica. L’UE deve diventare molto più forte. Non possiamo rimanere in silenzio, perché lo dobbiamo a coloro che non hanno ancora una democrazia.

 
  
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  Richard Howitt (PSE).(EN) Signor Presidente, complimenti a un eccellente relatore, l’onorevole Marco Cappato, per la relazione annuale sui diritti umani.

Vorrei spiegare due dei nostri emendamenti socialisti: innanzi tutto, rispetto la sua e la vostra posizione riguardo a Gandhi e alla non violenza e ritengo che sia una tradizione molto importante su cui cerchiate di attirare la nostra attenzione in Parlamento. Ma il nostro tentativo di cancellare il paragrafo in questione è solo dovuto al fatto che non può essere l’unico principio di orientamento della PESC. Il ripristino e il mantenimento della pace talvolta implicano l’uso di mezzi militari e sono comunque una parte nobile e onorevole di quanto possiamo e dobbiamo fare come Europa al fine di creare un mondo più pacifico e di successo.

In secondo luogo, per quanto riguarda il nostro emendamento sul Consiglio per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, essendo io qualcuno che si reca regolarmente a Ginevra con i colleghi della sottocommissione, posso condividere le sue preoccupazioni. E’ deludente constatare la polarizzazione ancora esistente riguardo ai territori occupati palestinesi, la mentalità del blocco, soprattutto nel gruppo africano, anche se noi stessi dobbiamo esserne consapevoli in Europa. Tuttavia, ritengo essenziale che quest’anno continuiamo ad appoggiare lo spirito della riforma ONU, che riconosciamo il ruolo positivo svolto dagli Stati membri dell’UE in seno al Consiglio per i diritti dell’uomo e che il processo di revisione tra pari è appena agli inizi e che per noi lavorare in modo aperto, globale ed efficace è il modo migliore per sostenere tale istituzione.

Infine, nel considerando P e nel paragrafo 4 chiediamo alla Commissione, insieme al Consiglio, di appoggiare la proposta di un consenso sulla promozione della democrazia nella politica di vicinato, nei criteri di Copenaghen, nelle nostre strategie regionali nel mondo. Parliamo di promozione della democrazia ma non esiste una definizione europea univoca al riguardo. L’idea che, come abbiamo raggiunto un’intesa sullo sviluppo, la Commissione, gli Stati membri e il Parlamento definiscano di concerto e si impegnino a promuovere la democrazia nel mondo è molto forte. Javier Solana l’ha appoggiata e mi auguro che il Consiglio e, in particolare, la Commissione sostengano ufficialmente l’idea questa sera.

 
  
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  Ona Juknevičienė (ALDE). (LT) La relazione dell’UE dell’anno scorso era di 104 pagine, 4 delle quali dedicata alla questione dei diritti umani. Quest’anno sono rispettivamente 216 e 10. Sono stati ripetuti fatti indicati nel testo dello scorso anno, come lo sviluppo dell’Agenzia per i diritti fondamentali e l’attività del Parlamento in questo ambito. Tuttavia, la relazione offre un resoconto dettagliato di come noi europei stiamo difendendo i diritti dell’uomo a livello mondiale.

Nondimeno, non una sola parola è stata detta nella relazione o nella risoluzione riguardo alla protezione dei diritti umani o di eventuali casi di violazione all’interno dell’Unione. Non esistono episodi in cui i diritti umani siano stati violati nell’UE o se, forse, ci sono, li risolviamo effettivamente in modo corretto e senza indugio? Secondo me, non è così. Sembra come se fosse più facile parlare dei peccati di altri che ammettere i propri.

Non siamo consapevoli del fatto che a Londra agenzie illegali per l’occupazione stanno trasformando in schiavi gli immigranti dalla Lituania e dalla Polonia? Non sappiamo che a Parigi gli arresti di massa di soggetti “illegali” avvengono per ordine del Presidente Sarkozy? E che dire delle azioni illegali contro i rumeni a Roma? Naturalmente, la parte lesa può adire la corte di Strasburgo. In vari anni, mentre i casi dinanzi a quella giurisdizione ammontavano a migliaia, si sarebbe potuto ripristinare la giustizia. Tuttavia, ogni giorno e ogni ora sono di grande importanza per le persone interessate.

Siamo stati eletti per lavorare per i nostri cittadini, per rappresentarli e proteggerne i diritti. Impegniamoci ad affrontarli. In Europa ogni individuo dovrebbe essere sicuro; saremmo più forti e in una posizione migliore per aiutare gli altri.

 
  
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  Presidente. − Grazie, onorevole Juknevičienė. Questo è uno di quei casi in cui vediamo la pagliuzza nell’occhio dell’altro e non riusciamo a vedere la trave nel nostro.

 
  
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  Margrete Auken (Verts/ALE). (DA) Signor Presidente, grazie per una splendida relazione sui diritti umani. Ha tuttavia un difetto molto grave. Il maggiore problema a livello mondiale nel campo dei diritti umani – la discriminazione contro 260 milioni di senza casta Dalit – viene menzionato solo brevemente e comunque soltanto nell’ambito di un elenco di aspetti che potrebbero scatenare la discriminazione. A febbraio dell’anno scorso abbiamo approvato una decisione lungimirante al riguardo, ed è pertanto allarmante che la commissione per gli affari esteri abbia respinto l’emendamento proposto dal gruppo dei Verde/Alleanza libera europea. Secondo la nostra proposta l’UE, di concerto con l’ONU, dovrebbe elaborare una serie di orientamenti volti a combattere le discriminazioni di casta e a sollevare il problema a incontri al vertice con i paesi interessati. L’India e il governo britannico hanno di nuovo affrontato il problema, visto che erano contro la decisione l’anno scorso, e sono riusciti a pervenire a un risultato positivo questa volta?

Il problema è una realtà in molti paesi dell’Asia meridionale, ma cito l’India perché è democratica, un aspetto che è stato evidenziato quale fattore di massima importanza in relazione ai diritti umani. E’ uno Stato democratico e vanta anche valide leggi contro le discriminazioni di casta, che, tuttavia, vengono continuamente violate. La democrazia dell’India merita il rispetto di tali leggi, e il paese deve diventare un modello per altri. E’ comunque anche imbarazzante che l’UE volti la faccia dall’altra parte di fronte alla sofferenza dei Dalit – e così fa il Parlamento! Potevamo affermare queste cose l’anno scorso. Cos’è accaduto che non possiamo affermarle oggi? La situazione dei Dalit è migliorata? La discriminazione sta scomparendo? No, tutti qui sappiamo che non è così. Perché, allora, la situazione disperata di queste persone non riceve l’attenzione concreta dell’UE?

 
  
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  Willy Meyer Pleite (GUE/NGL). (ES) Signor Presidente, molte grazie. Onorevoli colleghi, il 13 aprile è stato arrestato a Marrakesh Ennaama Asfari, un difensore dei diritti umani nel Sahara occidentale. E’ tuttora in prigione in Marocco.

Lo sto dicendo, onorevoli colleghi, per farvi presente che non dobbiamo dimenticare che l’Unione europea è responsabile del processo di decolonizzazione appoggiato dalle Nazioni Unite. Siamo responsabili, e pertanto qualsiasi relazione sui diritti umani deve affermare che l’Unione europea deve essere esigente e vigile e deve rispettare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

In secondo luogo, onorevoli colleghi, siamo in una civiltà, nel XXI secolo, in cui la popolazione diventa sempre più povera e affamata, è afflitta da più malattie e disuguaglianze. Negli ultimi dieci anni, secondo le Nazioni Unite, l’Africa si è impoverita. Desidero pertanto chiedere, suggerire ed esortare a riconoscere che i diritti umani sono tutti i diritti: economici, sociali, culturali e politici. Se avessimo una scala di misura, saremmo non poco sorpresi nel vedere la classifica dei paesi che non rispettano i diritti umani. Ritengo pertanto che dovremmo essere molto più sensibili e sollevare tutte le questioni di rispetto dei diritti umani.

 
  
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  Kathy Sinnott (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, è importante quando discutiamo di elezioni e di missioni di osservazione che guardiamo noi stessi in funzione del Trattato di Lisbona. Quanti cittadini del mezzo miliardo di europei al di fuori della cerchia della politica interna del Consiglio eleggeranno il presidente d’Europa? Nessuno. Quanti del grande pubblico eleggeranno il primo ministro d’Europa, il Presidente della Commissione? Di nuovo, nessuno.

Forse riusciremo a registrare più progressi nel promuovere la democrazia nel mondo quando l’UE stessa abbraccerà la democrazia. Come sottolineato dall’onorevole Bonde questa sera, qualora il presidente della Cina chiedesse al futuro presidente d’Europa, parlando di democrazia, con quanti voti è stato eletto, sarebbe un momento molto imbarazzante.

 
  
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  Urszula Gacek (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, accolgo con favore l’eccellente relazione sul ruolo del Parlamento europeo nell’attività di osservazione elettorale. L’osservazione elettorale nelle democrazie nuove ed emergenti è giustamente vista come una priorità dell’UE e una dimostrazione del proprio impegno nei confronti di tali nazioni.

Tuttavia, io vedo un altro ruolo per i nostri Stati membri, per le nostre cosiddette “democrazie mature” e questo ne è la dimostrazione.

Ricordo un acceso dibattito in Polonia prima delle elezioni generali dell’ottobre 2007. L’OSCE voleva inviare un gruppo ristretto di osservatori. La richiesta è stata inizialmente accolta con una reazione negativa da parte di molti politici che hanno interpretato questa proposta alla stregua di un affronto e di un insulto. Non era così. Le missioni di osservazione sono state inviate in molte vecchie democrazie europee. Le elezioni presidenziali francesi sono solo un esempio. Di recente, osservatori sono stati accolti in Polonia.

Quando cerchiamo di convincere le riluttanti democrazie nuove ed emergenti a consentire l’accesso agli osservatori internazionali, dobbiamo dimostrare che noi stessi permettiamo che altri ci controllino. I nostri processi elettorali non sono scevri di problemi. I britannici hanno documentato casi di frode elettorale nelle votazioni per posta e noi tutti affrontiamo nuove sfide, ad esempio votare in futuro tramite Internet.

Pertanto dimostriamoci aperti al controllo, perché tale apertura può solo rafforzare la nostra credibilità.

 
  
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  Libor Rouček (PSE).(CS) Oggi discutiamo di due relazioni strettamente connesse: la relazione annuale sulla situazione dei diritti dell’uomo nel mondo e la relazione sulle missioni di osservazione elettorale dell’UE. Le libere elezioni e il diritto alla democrazia sono diritti umani fondamentali riconosciuti, inter alia, dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici nonché dalla Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite. Per queste ragioni la promozione della democrazia è uno dei principali obiettivi della politica estera dell’UE. Per far sì che il sostegno sia efficace, dobbiamo rafforzare la nostra politica estera e di sicurezza comune e rendere le missioni di osservazione elettorale dell’UE più efficienti.

Appoggio pertanto le raccomandazioni dei nostri relatori. Ritengo altresì, ad esempio, che il processo elettorale, comprese le fasi pre e postelettorali, debba includere il dialogo politico con i paesi terzi interessati. Tra gli obiettivi di un processo elettorale, inteso non solo come la fase di votazione ma anche le fasi precedenti e successive in particolare, deve anche figurare il consolidamento delle istituzioni democratiche quali lo Stato di diritto, l’indipendenza dei mezzi di informazione e dei giudici, la società civile, e così via. Sono anche convinto, sulla base dell’esperienza personale delle missioni di osservazione, che il Parlamento europeo debba e possa svolgere un ruolo molto più efficace e significativo nell’ambito di tale processo.

Per concludere, in quanto rappresentante della Repubblica ceca desidero aggiungere qualche parola riguardo alla ratifica dello Statuto di Roma. Come l’anno scorso, vorrei invitare i membri del parlamento e i senatori della Repubblica ceca a ratificare quanto prima lo Statuto di Roma. Il fatto che la Repubblica ceca, che deterrà la Presidenza del’UE nel primo semestre del prossimo anno, sia l’unico Stato membro dell’UE che non lo abbia ancora ratificato è, secondo me, motivo di imbarazzo nei confronti di quello che, purtroppo in questo caso, è il mio paese di origine.

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE).(EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto rilevare – e mi rivolgo direttamente alla Commissione e al Consiglio – che l’UE deve offrire un valido sostegno al procuratore del Tribunale penale internazionale al fine di eseguire l’atto d’accusa di due individui che avrebbero perpetrato abusi dei diritti umani in Darfur, di cui uno è un ministro in carica del governo sudanese. La risposta dell’UE è stata finora debole, il che, considerato che rivendichiamo il merito – o gran parte del merito – di aver creato il Tribunale penale internazionale, è piuttosto vergognoso.

Rischiamo perfino di essere sopraffatti dagli Stati Uniti. In un interessante intervento di due settimane fa, John Bellinger, responsabile legale del Dipartimento di Stato, ha affermato che gli USA erano disposti, pur mantenendo la loro posizione ideologica nei confronti del Tribunale penale internazionale, a fornire assistenza pratica alla sua attività, e ha citato in particolare il Darfur. Ritengo quindi che dobbiamo sbrigarci in termini di sostegno al TPI riguardo al Darfur.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, abbiamo la prospettiva, chiunque vinca le presidenziali, che finiscano gli abusi – o almeno i peggiori – della guerra al terrorismo. Tutti i candidati si sono impegnati a chiudere Guantánamo, ma l’UE deve contribuire portando avanti la propria richiesta di smantellamento e guidando un’iniziativa internazionale volta ad accogliere i detenuti che non avranno un processo equo. In aggiunta a questo, però, – e concordo con chi afferma che, per essere credibile nel mondo, l’UE deve rispettare al proprio interno i diritti umani – dobbiamo assumerci la responsabilità di cui finora non ci siamo fatti carico a causa della collusione di governi europei con la pratica della extraordinary rendition, il che, tradotto, significa sequestro e tortura.

 
  
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  Maria da Assunção Esteves (PPE-DE).(PT) Le cose stanno così. La pena di morte, la tortura e la fame sono fenomeni barbari che persistono in questo mondo che in parte governiamo. Tuttavia, la situazione continuerà in questi termini solo se lo vogliamo noi. L’Europa dell’Illuminismo, dei valori, della dignità, manca di coerenza politica. Il Parlamento europeo e il Consiglio non sempre adottano esattamente le stesse posizioni in questo ambito, ma c’è solo un modo ed è che le istituzioni europee agiscano in modo coerente in tutte le loro politiche interne ed esterne. Riponiamo speranze per l’efficacia del nuovo servizio di azione esterna nel Trattato di Lisbona nel campo dei diritti umani.

Tuttavia, osserviamo il mondo e gli esempi che suscitano la nostra preoccupazione: gli Stati Uniti hanno la pena di morte come l’Africa; la Cina non ha solo la questione del Tibet, ma anche i lavori forzati, la tortura e le esecuzioni sommarie. Visti tali esempi, dovremmo confrontarci con la nostra mancanza di coerenza. All’Europa occorre una politica proattiva nel campo dei diritti umani. E’ fondamentale mobilitare la società civile, ma non dobbiamo dimenticare che la lotta per i diritti spettano in primo luogo agli Stati e alla loro diplomazia. Il Presidente francese ha fatto bene a dichiarare che non sarebbe stato presente ai Giochi olimpici di Pechino. Non dovrebbero presenziare neanche gli altri capi di Stato dell’UE. L’Unione è un’unità basata su valori. Non è sufficiente per l’Europa formulare dichiarazioni e risoluzioni. L’Unione europea non può vendersi l’anima.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE). (PL) Signora Commissario, nel congratularmi con i tre relatori, desidero porre l’accento in particolare sulla questione essenziale e incontestabile dei diritti della donna in tutte le sfere della vita pubblica, nelle relazioni sociali e in quelle private di carattere esclusivamente umano – non solo in teoria ma nella pratica.

Questo comporta soprattutto l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione e di violenza contro le donne e le ragazze, il che non è tuttavia sufficiente. Diamo un’occhiata all’Europa. L’Unione europea è impegnata nell’elaborazione di alcune risoluzioni che esorteranno gli Stati membri a riservare parità di trattamento a donne e uomini e poi verificheranno se e in quale misura questi principi siano stati attuati. Sono, comunque, molto curiosa, signora Commissario, di vedere se il principio dell’integrazione della dimensione di genere entrerà in gioco nelle strutture interne dell’Unione europea. Per quanto riguarda la creazione di nuove strutture dell’UE, per esempio, e la nomina delle quattro massime cariche – il Presidente dell’Unione, il Presidente della Commissione, il Presidente del Parlamento e l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’UE – sarà prevista una disposizione che rifletta tale principio?

Onorevoli colleghi, sarà un momento di verità, che dimostrerà se il nostro vero approccio nei confronti dei diritti delle donne è effettivamente quello che sosteniamo essere.

 
  
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  Maria-Eleni Koppa (PSE).(EL) Signor Presidente, la relazione oggi all’esame riguarda l’espressione più importante del Parlamento europeo sul fronte della politica in materia di diritti umani nel mondo. Le sfide sono grandi; il Parlamento europeo può e deve fungere da garante della democrazia e della dignità umana.

E’ fondamentale che l’UE adotti una salda posizione unita riguardo a questi temi. E’ l’unico modo in cui può contribuire a rafforzare e migliorare l’efficacia dell’azione comune.

Non dobbiamo applicare due pesi e due misure a seconda degli interessi in gioco. Tra i principali obiettivi della nostra politica devono figurare l’abolizione della pena di morte e della tortura, e la protezione dei minori coinvolti in conflitti armati. La protezione dei diritti umani deve permeare tutte le relazioni e tutti gli accordi con i paesi terzi. Non si deve tollerare alcun discostamento da questo o opportunismo.

I diritti umani devono essere il nostro faro in ogni nostra scelta politica.

Permettetemi di concludere ringraziando il relatore per il suo eccellente e dettagliato testo.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE).(EN) Signor Presidente, quando l’UE parla di violazioni dei diritti umani nei paesi terzi, con l’obiettivo di essere adeguatamente convincente, deve essa stessa esibire un fulgido operato riguardo al rispetto di tali diritti da parte di tutti gli Stati membri dell’UE.

Come sottolineato da altri oratori, purtroppo non è così. Illustrerò solo un esempio che riguarda la Gran Bretagna. Il Regno Unito mantiene, in violazione di convezioni internazionali, due colonie in un altro Stato membro – Cipro. In queste due colonie, ossia Akrotiri e Dhekelia, vivono circa 10 000 civili ciprioti che sono cittadini dell’UE nonostante le loro abitazioni siano su un territorio che la Gran Bretagna, per ovvie ragioni, ha escluso dall’UE. Queste persone non hanno il diritto umano fondamentale di eleggere la propria autorità esecutiva, sono governate da un governatore che è un generale dell’esercito britannico nominato dalla Regina d’Inghilterra e non hanno il diritto di avere un parlamento eletto. Le leggi applicabili a queste colonie ricadono sotto la piena giurisdizione del governatore. Di fatto, questi civili dell’UE vivono sotto una dittatura militare britannica.

E’ davvero vergognoso che il PE, la Commissione e il Consiglio continuino a chiudere un occhio di fronte a questa situazione.

Forse altri Stati membri hanno panni sporchi che non vogliono esporre o forse queste istituzioni non credono veramente nei principi della democrazia e della giustizia che sostengono di difendere, o forse l’UE si preoccupa dei diritti umani solo quando la questione non riguarda i propri membri.

Forse qualsiasi cosa. Una cosa è certa: il proseguimento della colonizzazione a Cipro si traduce in discredito e perdita di credibilità per qualsiasi relazione dell’UE sui diritti umani nel mondo.

 
  
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  Corina Creţu (PSE).(RO) Signor Presidente, signora Commissario, cari colleghi, desidero congratularmi con l’onorevole De Kayser e unirmi a coloro che hanno parlato del legame tra diritti umani, elezioni e democrazia. Sono originaria di un paese, la Romania, che ha conosciuto anni di totalitarismo e forse noi, quelli che ancora ricordano quei tempi, dovremmo sottolineare maggiormente l’importanza di elezioni democratiche, libere e corrette.

Un famoso professore americano, Larry Diamond, ha di recente richiamato l’attenzione su un fenomeno allarmante che lui chiama “recessione democratica”. Come emerge anche dalle ultime relazioni di Freedom House, il 2007 è stato l’anno peggiore per la libertà a livello mondiale dalla fine della guerra fredda.

In queste circostanze, sono d’accordo sul fatto che la principale missione della Commissione europea, del Parlamento europeo e degli Stati membri dell’Unione prima, durante e dopo le elezioni, consista nell’elaborare una strategia comune e globale per promuovere la democrazia. Appoggio l’idea di aiutare i parlamenti neoeletti a rafforzare e a svolgere l’attività legislativa sulla base di criteri quanto più possibile vicini a quelli democratici.

Desidero, tuttavia, far presente che non ogni lacuna organizzativa è un tentativo di frode, ma è essenziale definire in quale misura il quadro giuridico fornisce parità e trasparenza del processo elettorale.

 
  
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  Presidente. − Iniziamo ora il turno degli oratori che intervengono “attirando lo sguardo” del Presidente. Desidero far presente che nella riunione odierna del gruppo di alto livello sulla parità di genere e la diversità, un vicepresidente è stato fortemente criticato per aver affermato che solo i deputati uomini “attirano il suo sguardo” mentre le signore deputate non “attirano il suo sguardo”. Mi permetto di sottolineare che in questo caso sarà molto facile per me, perché sono solo donne coloro che hanno chiesto di “attirare il mio sguardo”. Non saremo pertanto oggetto delle critiche che ci sono state mosse solo un’ora fa.

 
  
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  Marianne Mikko (PSE).(ET) Onorevoli colleghi, la relazione di Marco Cappato sui diritti umani merita il massimo apprezzamento. Concordo sul fatto che l’Unione europea debba compiere un enorme sforzo al fine di perseguire una politica solida e davvero coerente sul fronte della promozione dei diritti umani nel mondo. E’ vero che il controllo della protezione dei diritti umani deve essere più efficace.

Sostengo la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea. Parlare con una voce sola ci consente di reagire con efficacia a qualsiasi violazione dei diritti umani nel mondo. Questo può significare migliaia di vite umane salvate. Sono a favore della proposta di organizzare nel 2009 una conferenza europea sulla non violenza.

E’ estremamente importante che gli europarlamentari siano coinvolti nelle attività di osservazione elettorale. Tuttavia, essi devono comportarsi con imparzialità, come sottolineato dai relatori, l’onorevole De Keyser e l’onorevole Salafranca. Come possono la partecipazione dei gruppi del Parlamento europeo all’attività di osservazione elettorale e l’operato delle delegazioni di osservazione europee essere più incisivi senza pregiudizio per entrambi? Dobbiamo trovare la soluzione assieme.

L’impegno dell’Unione europea sul fronte dei diritti umani è sempre maggiore. E il mondo può vedere che la solidarietà e la protezione dei diritti umani sono tra i nostri principi fondamentali, senza i quali nessun paese può raggiungere il benessere.

 
  
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  Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE). (FR) Signor Presidente, grazie per il sostegno dimostrato nei confronti della parità di genere. Personalmente, desidero congratularmi con i relatori per le tre relazioni, ma vorrei anche sottolineare l’importanza delle missioni di osservazione che gestiamo nel mondo. Ritengo che sia opportuno ribadirlo: sono azioni particolarmente positive che dovrebbero essere promosse tra i nostri cittadini, forse in primo luogo nel periodo pre-elettorale.

Permettetemi inoltre di rendere omaggio a tutti gli osservatori, perché in fin dei conti, anche se siamo presenti in loco in quanto osservatori capo, anche se partecipiamo alle missioni di osservazione, ci avvaliamo di centinaia di esperti – giovani e meno giovani – nel mondo, che generosamente vanno e sostengono la democrazia in altri paesi. Non credo che lo ribadiamo abbastanza spesso. Senza tale rete di osservatori, non vanteremmo queste eccellenti missioni di osservazione. Desidero anche sottolineare l’entusiasmo con cui le popolazioni accolgono gli osservatori, soprattutto gli osservatori di lungo periodo che restano per un po’ di tempo sul posto.

Sono tuttavia delusa del fatto che i miei colleghi non abbiano appoggiato il mio emendamento volto ad aumentare il bilancio, perché ritengo che più competenza forniamo nelle missioni elettorali più l’Unione europea sarà richiesta. Sarebbe una vera vergogna se una mancanza di risorse ci impedisse di rispondere alle domande dei paesi.

 
  
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  Katrin Saks (PSE).(ET) Ho chiesto la parola per sollecitare una maggiore attenzione nei confronti dei diritti umani in Afghanistan, un paese in cui gli Stati membri e l’Unione europea nel complesso hanno apportato un contributo sostanziale.

Mi sono recata in Afghanistan la scorsa settimana in quanto membro della delegazione del Parlamento europeo e desidero soffermarmi su due nomi.

Il primo è Perwiz Kambakhsh, un giovane giornalista condannato a morte perché aveva scaricato una serie di documenti da Internet sulla posizione delle donne nell’islam. Il suo destino è ora nelle mani del Presidente Karzai.

Il secondo nome è quello di Malalai Joya una giovane donna parlamentare che, avendo criticato il potere dei signori della guerra in seno al governo e al parlamento, è stata semplicemente espulsa dall’Emiciclo. E’ stata illegalmente privata dei suoi diritti. La legge non prevede alcuna disposizione al riguardo.

Oggi non ci occupiamo solo del fatto che non ha potuto far valere i propri diritti o il suo mandato dinanzi ai giudici ma anche che la sua vita è in pericolo. L’abbiamo incontrata è ha davvero bisogno che la aiutiamo e interveniamo con urgenza.

L’Unione europea nel suo insieme dovrebbe riservare ulteriore considerazione al tipo di Afghanistan che stiamo costruendo, soprattutto in previsione della Conferenza internazionale di Parigi dove si affronterà la questione del potenziamento dell’assistenza all’Afghanistan.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Purtroppo il tempo destinato al rappresentante del Consiglio nell’ambito di questa discussione è già scaduto e pertanto sarò ligio ed estremamente breve. Permettetemi di congratularmi con tutti i relatori per i loro testi utili e di altissimo valore. Desidero ringraziare tutti coloro che hanno partecipato al dibattito per le opinioni espresse. A nome della Presidenza, posso garantire che cercheremo di tenerne conto quanto più possibile nello svolgimento delle future attività del Consiglio.

 
  
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  Presidente. − Grazie, signor Ministro. In realtà, in questa discussione né il Consiglio né la Commissione hanno un tempo fisso, per quanto strano possa sembrare. Lei ha pertanto valutato con troppo rigore il tempo di cui disponeva. La ringrazio molto, in ogni caso, per averne usufruito con tale moderazione in questo secondo intervento. La parola va ora al nostro stimato Commissario Ferrero-Waldner.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, poiché non ho parlato in precedenza della questioni relative ai diritti umani, cercherò ora di delineare alcune idee e vorrei aggiungere qualche parola riguardo a tale argomento.

I dialoghi nel settore dei diritti umani sono diventati un elemento sempre più importante delle attività dell’UE volte a promuovere i diritti dell’uomo nel mondo. In sintonia con linee direttrici del 2001 per i dialoghi in materia di diritti umani, l’Unione europea ne ha avviati 30 e se ne stanno valutando anche altri – per esempio, con Asia centrale, Caucaso meridionale, Sudafrica e forse anche con alcuni importanti partner latinoamericani. La società civile, e in particolare le ONG dei paesi interessati attive nel campo dei diritti umani, partecipa di norma alla fase di preparazione degli incontri. Abbiamo anche ottenuto ottimi risultati costruttivi da alcuni dei nostri partner di vicinato, e, dobbiamo ammettere, alcuni risultati più misti, come nel caso del recente dialogo con la Russia. A proposito, la Russia è stato i primo paese in cui la Commissione e il segretariato del Consiglio hanno avuto un incontro informativo con un ristretto numero di eurodeputati quale seguito della relazione Valenciano, al fine di rispondere alle vostre preoccupazioni riguardo a un coordinamento rafforzato e a informazioni migliori. Mi auguro che tutte le parti coinvolte reputino questo positivo.

Anche l’attuazione del nuovo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR) avviene ora a pieno ritmo; i servizi della Commissione sono infatti impegnati nella valutazione di due inviti a presentare proposte per l’obiettivo 1 – i paesi svantaggiati – e di uno rivolto ai difensori dei diritti umani. E’ stata pubblicata la maggior parte degli schemi di sostegno su base nazionale (Country-Based Support Schemes, CBSS) che adesso sono al vaglio da parte delle nostre delegazioni a livello nazionale, e auspico che entro l’estate la maggioranza dei progetti venga avviata in loco.

Stiamo anche integrando attivamente i diritti umani e la sicurezza umana in tutte le questioni e politiche pertinenti. In futuro, disporremo ovviamente della nuova strategia europea in materia di sicurezza e spero che riusciremo ad adottare sul fronte della sicurezza un forte approccio incentrato sull’essere umano, perché la sicurezza umana mira proprio a raggruppare diritti umani, sicurezza e problematiche di sviluppo. Ci sono entrambi – libertà dalla paura e libertà dal bisogno.

Desidero richiamare la vostra attenzione in particolare su alcuni aspetti. Molti oratori hanno menzionato la situazione dei diritti umani nell’Unione europea. Una relazione del Parlamento europeo su questo tema manca dal 2004. Sì, ovviamente è importante affrontare i problemi, e noi disponiamo di due strumenti chiave per farlo. Uno è, in primo luogo, il Consiglio d’Europa e, in secondo luogo, abbiamo oggi un’agenzia per i diritti umani, appena istituita a Vienna, incaricata di controllare la situazione negli Stati membri e di presentare relazioni annuali in merito.

Volevo anche soffermarmi su un altro punto che è stato menzionato – da un collega che purtroppo è andato via –, ossia la protezione dei cristiani nei paesi terzi. L’Unione europea è fortemente contro la discriminazione nei confronti di qualsiasi gruppo religioso e nell’ambito del nostro dialogo con i paesi terzi solleviamo il problema in qualsiasi occasione e cerchiamo di affrontarlo con chiarezza.

Desidero anche aggiungere qualche parola riguardo alle missioni di osservazione elettorale. Molti di coloro che sono intervenuti sono già stati eccellenti osservatori capo. Posso solo sottolineare nuovamente l’indipendenza delle MOE, la coerenza delle loro politiche e degli attori e, in particolare, la loro professionalità; questa sarà la direzione in cui vorremmo proseguire l’attività in futuro.

Per quanto riguarda le tematiche relative alle donne – ovviamente, sono una donna e pertanto potete immaginare che prendo sempre con molta serietà le questioni di genere. Ho organizzato una conferenza sulle donne – molto recentemente, il 6 marzo – cui vogliamo ci sia un seguito. Tutte le azioni prevedono il mainstreaming e una valutazione di genere. Negli orientamenti relativi all’osservazione elettorale c’è una sezione dedicata in modo specifico alle donne. Esiste un’importante risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la 1325, sulle donne nei conflitti che chiede il controllo. Tra breve pubblicheremo anche una serie di progetti relativi allo sviluppo delle donne. Desidero solo far presente che, nella Commissione Barroso, di cui io stessa faccio parte, un terzo è costituito da donne. Ritengo che a essere importante non sia sempre la percentuale, ma anche la qualità. In questo contesto, voglio sottolineare che in generale la Commissione promuove una vita sana e riproduttiva; è un fattore importante per le vite di donne e bambini. E’ uno dei progetti rivolti al Kenya, ma naturalmente riguarda tutto il mondo e penso sia opportuno citarlo.

Un altro punto molto specifico è il TPI – il Tribunale penale internazionale –, cui va il grande sostegno della Commissione europea. Nell’ambito del quadro EIDHR per il 2008 destiniamo 4 milioni di euro. La clausola relativa al TPI è presente nei nostri accordi. Ci siamo impegnati affinché il TPI venisse accettato dai partner e vi sono giurisdizioni internazionali – basti pensare alla Cambogia e a molti altri – pertanto stiamo davvero lavorando con grande attenzione in questo senso.

Concludo rispondendo alla richiesta dell’onorevole Howitt di sottoscrivere qui la promozione della democrazia, come fanno altri. E’ il nostro pane quotidiano. La Commissione è riconosciuta come l’istituzione chiave nella promozione della democrazia attraverso le nostre MOE e altre misure di sostegno elettorale, nonché tramite il rilevante sostegno agli sforzi dei paesi terzi sul fronte della democrazia e a favore di organizzazioni internazionali quali l’ONU, l’OSCE e il Consiglio d’Europa. Vi posso garantire che prendiamo la promozione della democrazia con la stessa serietà di chiunque altro nell’Unione europea.

 
  
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  Sarah Ludford (ALDE).(EN) Signor Presidente, volevo solo porre una domanda alla signora Commissario prima che finisca: ha fatto riferimento al Tribunale penale internazionale e al sostegno fornito dalla Commissione, ma potrebbe rispondermi e dirmi, in dettaglio, che cosa fa l’UE, e nel suo caso la Commissione, per applicare gli atti d’accusa in Sudan?

Non ha risposto all’interrogativo e le sarei grata…

(Il Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, come ho detto, noi in generale sosteniamo, ovviamente, il Tribunale penale internazionale ma spetta poi a tale giurisdizione vedere anche chi protegge, riguardo a cosa.

E’ una questione, naturalmente, che figura nell’agenda del Tribunale penale, non nella nostra.

 
  
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  Marco Cappato, relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, replico ad alcuni colleghi che non ci sono, ma voglio fare una precisazione. Nel rapporto si parla dei diritti delle minoranze, si parla della libertà religiosa e naturalmente non si parla del rispetto dei diritti umani all’interno dell’Unione europea semplicemente perché non è il mandato di questo rapporto.

Io credo che in qualche modo l’abbiamo fatto, perché noi non abbiamo semplicemente fatto una lista di critiche al mondo, noi abbiamo parlato di noi, di come usiamo – bene o male – gli strumenti che abbiamo, del rispetto della legalità dell’Unione europea, quando diciamo che le clausole sui diritti umani non sono sufficientemente applicate e parliamo di noi! Credo quindi non si possa fare questa critica al nostro rapporto.

Credo che il ministro Lenarčič ha parlato molto degli strumenti che vengono utilizzati, il consiglio che mi permetto di proporre e che è inserito nella relazione è di parlare di più anche della valutazione dei risultati che poi i singoli strumenti ottengono.

Il collega Agnoletto ha rimproverato di non parlare abbastanza della dimensione collettiva dei diritti. In realtà, io penso che i diritti umani fondamentali si basino innanzitutto sul diritto individuale e anche per il genocidio, che è il più collettivo e il più terribile dei crimini, oggi ci si può attivare nei confronti della Corte penale internazionale anche come individui contro il crimine di genocidio, e quindi anche quello parte da un diritto individuale. Il diritto alla democrazia fa parte ormai dei diritti umani fondamentali e questo è uno strumento importante da utilizzare.

Il mainstreaming dovrebbe, credo, fare più attenzione al rispetto dei diritti umani in materia di immigrazione e di politiche contro la droga. Concludo nel rispondere al collega Howitt, la relazione non dice “che la non violenza è l’unico strumento per la promozione dei diritti umani, ma che è lo strumento più adeguato”. Non violenza non solo come assenza di violenza, come pacifismo, no, invece non violenza come azione attiva di disobbedienza, di sabotaggio, di un potere autoritario e di una dittatura! In questo senso noi facciamo la proposta politica che l’Unione europea promuova le tecnologie e le tecniche della non violenza nella promozione dei diritti umani e della democrazia. Spero che questo paragrafo sarà salvato dal voto di domani!

 
  
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  Véronique De Keyser, relatore. − (FR) Signor Presidente, desidero ringraziare tutti i colleghi che sono intervenuti e dire quanto le parole calorose, dell’onorevole Isler Béguin ad esempio, traducano l’entusiasmo di coloro che hanno partecipato a missioni elettorali. Anche se può sembrare che la presente relazione si basi su un ampio consenso, e come è stato affermato in alcune relazioni che ho letto, sia di scarso interesse per i mezzi d’informazione, debole in termini di conflitto interno, debole in termini di conflitto esterno e debole da qualsiasi prospettiva, rappresenta senza dubbio molte cose per i paesi che hanno democrazie giovani e devono indire elezioni.

Desidero rispondere a due miei colleghi in particolare. Innanzi tutto, vorrei rispondere all’onorevole Onyszkiewicz che ha sollevato una questione molto seria, quella della minoranza. Voglio dirgli che benché lo comprenda – e comprendo molto bene che l’osservazione elettorale non sia ancora democrazia – non posso seguirlo in questo percorso filosofico secondo cui si tratta di vero dispotismo illuminato e avanguardia rivoluzionaria, anche se Condorcet parla di minoranze. Non possiamo seguirlo su questo percorso. Ovviamente la democrazia non è perfetta. Sarebbe fantastico se lo fosse. E’ la democrazia che ha consentito all’onorevole Vanhecke di intervenire oggi con un discorso infame, islamofobico e razzista. L’onorevole Vanhecke rappresenta il 30 per cento degli elettori del mio paese, nella parte fiamminga. Purtroppo non possiamo cancellare il suo partito e il 30 per cento di fiamminghi. Onorevole Onyszkiewicz – forse non è più in Aula –, non possiamo cancellare il 50 per cento di palestinesi che hanno votato per Hamas. La democrazia solleva una serie di interrogativi ed è proprio a questi interrogativi che dobbiamo rispondere. Quando parliamo di seguito politico, delle domande poste dalle osservazioni elettorali e delle sfide, sono queste le problematiche che dobbiamo affrontare.

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, relatore. (ES) Signor Presidente, desidero ringraziare i miei colleghi per le calorose parole usate nei confronti della relazione che ho elaborato insieme all’onorevole De Keyser sulle missioni di osservazione elettorale, che non solo riguardano il giorno delle elezioni ma anche il sistema elettorale, il quadro giuridico, le pari opportunità e la parità di accesso ai mezzi d’informazione, al finanziamento dei partiti politici, il sistema per risolvere le controversie, e via dicendo.

Tuttavia, credo che la cosa più importante, signor Presidente, sia sottolineare che questa relazione sull’osservazione elettorale, come la relazione elaborata dall’onorevole Cappato sui diritti umani nel mondo, non soddisfino uno scopo astratto, ma abbiano piuttosto una causa, e quella causa è l’impegno che abbiano nell’Unione europea, e in Parlamento in particolare, nei confronti di un insieme di valori: democrazia, libertà, Stato di diritto, e, soprattutto, rispetto dei diritti umani.

Signor Presidente, quest’Assemblea è il battito democratico dell’Unione europea, e pertanto dobbiamo esprimerci sempre con molta chiarezza e molta forza, inviando un segnale inequivocabile e molto determinato di questo impegno totale e permanente che abbiamo assunto nei confronti della causa dei diritti umani che, come abbiamo sentito in quest’Aula questa sera, non si riferiscono né sono predicati da una regione o da un continente, ma hanno carattere universale e mondiale e dobbiamo iniziare dando l’esempio a casa nostra.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Slavi Binev (NI), per iscritto. – (BG) Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Cappato,

Per quanto riguarda la relazione annuale sui diritti dell’uomo nel mondo, occorre prestare attenzione anche a quanto segue: alla fine di aprile, le autorità di Skopje hanno deciso di arrestare il giornalista Victor Kanzurov nel cuore della notte e senza alcun capo d’accusa nei suoi confronti. L’unica colpa di Kanzurov è che da anni lotta con mezzi perfettamente legittimi per il proprio diritto e per quello di un numero enorme di suoi compatrioti di chiamarsi bulgari.

L’arresto di Kanzurov è durato 24 ore, poi gli è stato permesso di tornare a casa ma gli è stato sequestrato il passaporto. Pertanto, di fatto, è ancora agli arresti domiciliari senza alcuna accusa ufficiale a suo carico.

Sono dell’avviso che le azioni delle autorità in Macedonia siano assolutamente inaccettabili e che violino un diritto umano fondamentale, ossia la libertà di espressione, soprattutto nello scenario del moderno sviluppo dinamico della nostra casa comune europea. Sono altresì convinto che non rimarremo indifferenti di fronte a una violazione così manifesta che ci riporta indietro all’epoca di un’oscura società totalitarista che dovrebbe essere stata sepolta per sempre.

Grazie.

 
  
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  Titus Corlăţean (PSE), per iscritto. – (RO) Nel 2009 nella Repubblica di Moldova si svolgeranno le elezioni politiche, in cui il parlamento eleggerà il presidente dello Stato. La Repubblica di Moldova si trova al confine orientale dell’Unione europea ed è necessario che proceda a riforme democratiche che avvicinino il paese ai valori democratici specifici degli Stati membri dell’UE. Per realizzare questo obiettivo dovrebbe anche adottare il quadro definito dalla politica europea di vicinato.

La missione di osservazione elettorale nella Repubblica di Moldova è necessaria e opportuna, ma il controllo dovrebbe iniziare concentrandosi sul periodo precedente le future elezioni, tenendo conto dell’esigenza di rimediare le gravi violazioni della libertà di stampa da parte del regime comunista di Chisinau, le ripetute violazioni dell’indipendenza giudiziaria e i recenti emendamenti alla legge elettorale decisi dal parlamento della Repubblica di Moldova, dominato dal partito comunista.

Il 10 aprile 2008 sono stati apportati alcuni emendamenti alla legge elettorale che viola gravemente la prassi e le norme democratiche europee. Tra i cambiamenti introdotti figurano: il divieto di blocchi elettorali, l’innalzamento della soglia elettorale dal 4 al 6 per cento, uno sbarramento irrealistico e antidemocratico rispetto alla reale situazione politica del paese, il divieto per i cittadini con doppia cittadinanza di occupare cariche pubbliche, tra cui diventare membri del parlamento, e così via.

 
  
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  Hanna Foltyn-Kubicka (UEN), per iscritto. (PL) Nel Trattato di Lisbona firmato di recente, gli Stati membri dell’UE hanno assunto l’impegno di rafforzare i diritti umani, le libertà e l’ordine democratico nel mondo. Questo è senza dubbio il principale obiettivo della politica estera dell’UE.

Tuttavia, il comportamento del Presidente Barroso e di altri Commissari in occasione della loro recente visita nella Repubblica popolare di Cina e la loro dichiarazione secondo cui la questione del Tibet è un problema interno della Cina sono in netto contrasto con il principio non solo evocato nel Trattato di Lisbona, ma che noi cerchiamo di mettere in pratica giorno dopo giorno, soprattutto qui nel Parlamento europeo: il principio di anteporre a qualsiasi cosa i diritti umani.

Alla luce di questo, è difficile accettare il fatto che l’Europa tratti la Russia come un partner democratico, dimenticando che è un paese le cui autorità non solo permettono numerose violazioni delle nostre principali idee, ma se ne fanno anche apertamente beffe. Perché chiudiamo gli occhi di fronte all’incessante sterminio dei ceceni e all’imbavagliamento della stampa in quel paese?

Forse perché la stessa UE non è senza macchia sul fronte del rispetto dei diritti umani. Trovo deplorevole che la Repubblica federale di Germania non rispetti il diritto di genitori e figli di comunicare tra loro nella lingua scelta, come si evince dall’attuale pratica di giudici e Jugendamt.

Dobbiamo trovare una risposta alla domanda riguardo a quale sia il nostro obiettivo. Le nostre risoluzioni e le nostre interminabili discussioni sono davvero volte a instaurare i diritti nel mondo, o sono solo un modo di mascherare l’ipocrisia, affinché i politici europei possano sentirsi a posto con la loro coscienza?

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. – (FI) I diritti umani sono un fattore importante della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione. Le questioni relative ai diritti umani sono anche questioni afferenti la politica di sicurezza. Quando appoggiamo i diritti dell’uomo nel mondo, sosteniamo anche la sicurezza in Europa.

Le nuove sfide quali il cambiamento climatico, la desertificazione e la conseguente mancanza di derrate alimentari, sono minacce alla sicurezza umana e ai diritti dell’uomo. Questi ultimi non sono solo diritti politici, ma si riferiscono anche al diritto di accedere a cibo e acqua puliti, una priorità della vita quotidiana di ognuno. Quando le condizioni di base delle persone sono accettabili è anche altamente probabile che votino per leader politici moderati e insistano su diritti politici. Una base duratura per i diritti umani è costituita dagli ideali di democrazia e libertà, nonché dalla giustizia sociale ed economica.

La relazione sui diritti dell’uomo menziona Gandhi e la politica di resistenza non violenta che quest’uomo ha rappresentato. I diritti umani e la libertà non si possono promuovere attraverso la guerra e la violenza; il percorso scelto deve essere in armonia con i valori che i diritti umani significano.

Se promuoviamo i diritti umani promuoviamo la sicurezza. I diritti umani non sono solo uno strumento per realizzare altri obiettivi politici. Sono un valore di per sé. I diritti umani sono valori universali. Per questa ragione, l’UE deve rafforzare la sua politica in questo settore. I diritti umani non sono un’isola tagliata fuori da altre aree della politica, come dimostra, bisogna dargliene atto, la relazione sui diritti dell’uomo.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. – (FI) Desidero ringraziare l’onorevole Cappato per la sua ampia ed esaustiva relazione, un testo che giustamente esige dall’UE una politica più coerente nel campo dei diritti umani e strumenti più efficaci per valutarne l’impatto. L’Unione deve ancora percorrere molta strada per sviluppare una politica chiara, equilibrata e più ampiamente incisiva in questo ambito.

Non dobbiamo limitarci a sostenere ma insistere con fermezza sul rispetto dei diritti umani sia all’interno dell’UE che nelle sue relazioni esterne. Come sottolineato dalla relazione dell’onorevole Cappato, i diritti delle donne, per esempio, devono essere parte integrante di tutti i dialoghi dell’UE sui diritti dell’uomo.

La relazione affronta in modo molto soddisfacente il ruolo cruciale del Parlamento nell’ambito della politica dell’UE in materia di diritti umani, ad esempio con lo svolgimento regolare di discussioni su questioni di emergenza. Le risoluzioni d’urgenza che ne sono scaturite hanno evidenziato le gravi lacune della politica in crisi singole e più ampie, il che è un’enorme violazione della dignità umana. Al fine di standardizzare i dibattiti e migliorare il monitoraggio, in futuro le delegazioni parlamentari devono comunque integrare con maggiore sistematicità nell’agenda delle visite nei vari paesi una serie di consultazioni di seguito sui diritti dell’uomo.

Infine, è di fondamentale importanza che i finanziamenti siano mirati in modo adeguato se si vuole che la politica dell’UE in materia di diritti umani funzioni a dovere e sortisca risultati. La forza dello strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR) quale dispositivo finanziario è data dal fatto che può essere usato al fine di orientare direttamente le risorse in tempi rapidi verso situazioni critiche in circostanze difficili. E’ importante che questi fondi siano direttamente accessibili al fine di potenziare quanto più possibile l’efficienza delle organizzazioni locali di diritti umani. Si dovrebbero studiare nuovi modi di impiego dello strumento finanziario per quei paesi in cui l’operato di ONG è illegale.

 
  
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  Katalin Lévai (PSE), per iscritto. – (HU) E’ sconcertante che nei paesi in via di sviluppo l’82 per cento delle persone con una disabilità viva ancora al di sotto della soglia di povertà e continui a subire i peggiori abusi in termini di diritti umani, tra cui il mancato riconoscimento del diritto alla vita, maltrattamenti e umiliazioni. Particolarmente allarmante in tal senso è la situazione dei minori affetti da una disabilità.

L’Unione europea è ancora ben lungi dal perseguire una politica uniforme ed efficace volta a promuovere e proteggere i diritti dell’uomo nel mondo. Al fine di renderla più incisiva, dobbiamo compiere significativi passi avanti verso la garanzia di un rigoroso rispetto delle attuali disposizioni UE in materia di diritti umani. A causa delle lacune in questo ambito, molte donne possono persino oggi essere oggetto di una discriminazione negativa sul posto di lavoro. La situazione delle donne rumene è anche più difficile in quanto sono discriminate su due fronti. Date queste premesse, una strategia dell’Unione europea riguardo ai Rom e un ruolo di coordinamento della Commissione costituirebbero un importante sviluppo.

Trovo deplorevole che la relazione non faccia alcun riferimento alla riforma a livello europeo del diritto della libertà di assemblea e pertanto avanzo io tale proposta. Sono necessarie disposizioni precise onde evitare scappatoie giuridiche cui possono ricorrere i gruppi politici estremisti sempre più diffusi, e consentire al contempo alle minoranze di esercitare i loro diritti senza ingerenze, in un modo che non disturbi la pace della maggioranza silenziosa. Una formulazione precisa contribuirà a garantire che sia coloro che si riuniscono che le forze dell’ordine sappiano esattamente quali attività sono contrarie alla legge. Ritengo che disciplinare, inter alia, le dimostrazioni spontanee ma pacifiche che non siano state preventivamente notificate alle autorità sia un intervento altamente necessario e opportuno.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) La relazione evidenzia con cinismo la politica imperialista dell’UE. Definisce l’UE un “difensore” dei diritti umani e “ambasciatore” della democrazia nel mondo. Il rispetto dell’UE per i diritti umani e la democrazia ha avuto conseguenze tragiche per i popoli dell’ex Repubblica di Iugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq e la Palestina, conseguenze che quegli imperialisti dell’UE, degli Stati Uniti e della NATO hanno trasformato in bagni di sangue nel nome dei diritti umani.

L’UE usa i diritti umani in modo selettivo quale pretesto per esercitare pressione e ricattare paesi che, per varie ragioni, resistono alle sue aspirazioni imperialiste, come nel caso di Cuba, Vietnam, Corea del Nord, Bielorussia e Iran. L’UE si presenta come un arbitro globale dei diritti dell’uomo, ma non dice una parola sul crimine di genocidio perpetrato da Israele contro il popolo palestinese o sul massacro degli iracheni da parte delle forze di occupazione degli Stati Uniti imperialisti e degli Stati membri dell’UE, loro alleati. I riferimenti nella relazione alla povertà, all’ambiente, ai diritti dei lavoratori, alla salute e così via sono un insulto nei confronti dei popoli che soffrono sotto la dominazione imperialista e lo sfruttamento capitalista.

Il partito comunista di Grecia (KKE) non voterà a favore della relazione; esso denuncia l’ipocrisia provocatrice dell’UE nonché l’uso selettivo dei diritti umani cui ricorre quale pretesto per esercitare una pressione imperialista e persino per dichiarare guerra ai popoli.

 
  
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  Toomas Savi (ALDE), per iscritto. – (EN) Mi congratulo con il collega Marco Cappato per l’esaustiva relazione presentata, che evidenzia le questioni più scottanti dello scorso anno riguardo ai diritti dell’uomo. Concordo con lui appieno sulla necessità di un radicale rafforzamento del dialogo UE-Cina in materia di diritti umani, soprattutto in considerazione delle prossime Olimpiadi di Pechino.

E’ deplorevole che la Cina non abbia migliorato in misura significativa la situazione dei diritti umani nel paese dopo che a Pechino nel 2001 è stata assegnata l’organizzazione dei Giochi olimpici. Ma questa non dovrebbe assolutamente essere una ragione per lasciar perdere con il paese. Come indica la relazione, le Olimpiadi “costituiscono un’opportunità di importanza storica per il miglioramento dei diritti umani in Cina” e pertanto dobbiamo ricordare instancabilmente alle autorità cinesi le promesse che hanno fatto.

Dobbiamo tuttavia evitare di sollevare minacce che potrebbero sfociare in Cina in un isolamento e in un’insofferenza maggiori, come avvenuto di recente, provocando varie dimostrazioni antioccidentali nel paese. Dobbiamo fare attenzione a non creare tra il popolo cinese un’opposizione alle riforme democratiche, anzi, dovremmo concentrarci sullo sviluppo di un dialogo che ci offra l’opportunità di illustrare la nostra posizione senza trattare l’altra parte con disprezzo.

 

16. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, come sa, in Irlanda è in corso un dibattito sul Trattato di Lisbona dal momento che abbiamo il privilegio di votare al riguardo in quanto elettorato. Ma c’è anche – e oggi si intensificata – una guerra di parole che infuria tra il settore agroindustriale e il nostro Commissario per il Commercio, Peter Mandelson, ed è con un certo rammarico che oggi quella guerra di parole si è acuita ed è quasi impossibile separare le preoccupazioni riguardo agli scambi mondiali dal voto sul Trattato di Lisbona.

Personalmente credo che possiamo recuperare la situazione, ma solo se ai cittadini vengono forniti dei fatti. Quello che in effetti voglio sottolineare qui questa sera – e che sia detto che quest’Aula è il cuore pulsante della democrazia e dell’Unione europea – è che, in quanto rappresentati eletti, dobbiamo ottenere dalla Commissione i fatti. Ho scritto al Commissario. Attendo ora una risposta da sei settimane. Non ho altro da aggiungere. Tuttavia il Trattato di Lisbona è importante ed è una vergogna che queste due questioni siano state collegate.

 
  
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  Marianne Mikko (PSE).(ET) Onorevoli colleghi, la liberà di parola è il principale fattore della democrazia. Non può essere soggetta ad alcun compromesso.

Il 2 maggio, proprio un giorno prima della Giornata mondiale della libertà di stampa, il conto bancario della testata moldava Jurnal de Chisnau è stato congelato per ordine del tribunale; la motivazione addotta era che il giornale riportava accuse di stupro nei confronti del procuratore di Stato. Ribadisco: riportava o dava una visione d’insieme della faccenda, faceva quello che si presume sia l’attività dei mezzi d’informazione.

In quanto giornalista da vent’anni e attuale presidente della delegazione della Moldova, condanno incondizionatamente tale atto. Anche molte organizzazioni internazionali di giornalisti hanno espresso la loro preoccupazione. L’ordine del tribunale non è niente di più che un nuovo modo di violare la libertà di parola in Moldova.

L’Unione europea deve continuare a offrire un sostegno globale al paese. L’Europa del XXI secolo è un’Europa della libertà di parola; qualsiasi altra cosa significhi democrazia rappresenta un pericolo. Non dobbiamo sederci e attendere che le cose vadano davvero male. Al contrario, nel nome della democrazia dovremmo aggredire verbalmente chiunque calpesti sotto i piedi i nostri valori più preziosi. La democrazia e la libertà di parola sono insostituibili.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). (LT) Ricordo ancora di aver letto sulla guida all’Unione europea che la solidarietà degli Stati membri è uno dei valori più importanti dell’Europa, con piccoli paesi, ad esempio quelli del Benelux, che sono la vera forza trainante del mercato interno dell’UE; gli interessi di ciascun paese erano ritenuti di pari importanza.

Oggi tuttavia gli interessi energetici dei paesi più grandi hanno sminuito tutti i valori dell’UE a un punto tale che c’è il pericolo che essi rimangano per sempre isole di energia. Se la Russia interrompe la fornitura di petrolio alla Lituania, i principali Stati membri insieme alla Russia attribuiranno la colpa alla Lituania per aver fatto dell’Europa l’ostaggio degli interessi in materia di energia dei paesi post-sovietici. In altre parole, i paesi post-sovietici impongono un’agenda che non è rappresentativa delle relazioni UE-Russia, che a propria volta ostacola la cooperazione strategica.

Sembra che l’UE non si sia accorta che la rete di oleodotti della Gazprom ha già praticamente coperto l’intera UE e molto presto scopriremo che è il numero uno delle forniture di energia in Europa.

Esorto la Commissione europea e gli Stati membri a non avviare negoziati con la Russia fino a quando non sia stata raggiunta un’intesa con tutti gli Stati membri, grandi e piccoli. Il metodo dei due pesi e delle due misure è una vergogna di vecchia data dell’UE.

 
  
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  Mikel Irujo Amezaga (Verts/ALE). (ES) Signor Presidente, ieri la Commissione europea ha pubblicato un comunicato in cui annuncia che l’imposta speciale chiamata “imposta speciale sulle vendite al dettaglio di certi combustibili” non è compatibile con la normativa comunitaria.

Tra le altre motivazioni, la Commissione ritiene che il principale obiettivo dell’imposta sia rafforzare l’autonomia delle regioni, offrendo loro gli strumenti per generare gettito fiscale.

Domani, 8 maggio, l’Avvocato generale a Lussemburgo formulerà le proprie conclusioni sul caso di specie, che dirimeranno se i consigli provinciali o territoriali baschi hanno la capacità a legiferare.

Poiché la Commissione considera aiuto di Stato qualsiasi distorsione nelle aliquote d’imposta, si potrebbe affermare che la Commissione è contro ogni entità diversa dallo Stato che abbia la capacità di stabilire i propri tassi fiscali.

Invito pertanto il Parlamento ad esaminare il caso e a chiedere alla Commissione di modificare la propria linea politica, in quanto potrebbe finire per limitare l’autonomia concessa a molti territori che non sono Stati.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN).(EN) Signor Presidente, noto con piacere il riesame della politica agricola comune e delle prime azioni anticrisi adottate nell’ambito dell’economia alimentare.

Le conclusioni avanzate e le decisioni prese sono, purtroppo, farraginose e inadeguate. Occorre affermare con molta chiarezza che, nella sua attuale formulazione, la politica agricola comune sta portando a una perdita della sicurezza biologica nell’Unione europea e a un acuirsi della crisi alimentare globale. Le restrizioni imposte alla produzione agricola, gli ordini, i divieti, le quote e in contingenti si stanno traducendo in una diminuzione delle riserve alimentari, soprattutto nei paesi di recente adesione. Prima dell’inizio del processo di integrazione dell’UE, per esempio, la Polonia produceva di norma il doppio delle derrate alimentari rispetto al volume di oggi; produrrebbe molto di più se le fosse permesso.

La conclusione è molto semplice: se gli alimenti scarseggiano, consentiamo di andare avanti e produrre a coloro che hanno il potenziale per farlo, ossia i nuovi Stati membri.

 
  
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  Diamanto Manolakou (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, più di 30mila poliziotti dotati di unità militari speciali, cannoni ad acqua e gas lacrimogeni hanno iniziato a picchiare e a massacrare i lavoratori nelle strade intorno a piazza Taksim a Istambul e nella sede delle confederazioni dei lavoratori DISK. Il bilancio di questi fatti: oltre 500 arresti e vittime tra i dimostranti.

Esprimiamo la nostra solidarietà con la classe lavoratrice e con tutti i lavoratori della Turchia in generale. Chiediamo di porre fine alla persecuzione di attività politiche e sindacali. La classe lavoratrice ha il diritto inalienabile di scioperare e dimostrare il 1° maggio, giorno in cui ricordiamo i lavoratori caduti nella lotta di classe, per difendere e consolidare i propri risultati ed liminare qualsiasi sfruttamento umano.

Desideriamo condannare l’inaccettabile divieto e la brutale repressione a opera del governo turco. Allo stesso tempo, sosteniamo il diritto dei sindacati e dei partiti politici di organizzare la manifestazione per il 1° maggio nella storia piazza Taksim di Istambul, dove il 1° maggio 1977 furono uccisi 34 lavoratori.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ALEJO VIDAL-QUADRAS
Vicepresidente

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE).(HU) Signor Presidente, è con sincero calore e massima considerazione che mi congratulo con il Cancelliere Angela Merkel per il conferimento del Premio Carlo Magno di quest’anno. Angela Merkel ha apportato uno straordinario contributo alla promozione del Trattato di Lisbona e all’integrazione dei nuovi Stati membri. Accolgo altresì con favore il fatto che quest’anno, per la prima volta, siano stati assegnati i premi Carlo Magno per i giovani. Sono particolarmente soddisfatto e orgoglioso che il Premio Carlo Magno dedicato ai giovani conferito per la prima volta in assoluto sia toccato all’Ungheria, a un fantastico gruppo di giovani ungheresi, la fondazione Ferenc Rákóczi II, per il loro progetto “Studenti senza frontiere”. Mi congratulo di cuore con i gruppo ungherese, nonché con i vincitori della medaglia d’argento, della Gran Bretagna, e i vincitori della medaglia di bronzo, della Grecia. Il progetto ungherese “Studenti senza frontiere” è unico nel suo genere in quanto fornisce un’opportunità ai giovani delle comunità di minoranze etniche ungheresi presenti nei paesi partecipanti, Slovacchia, Romania, Ucraina e Serbia, di scambiare idee su questioni didattiche e culturali in Europa. E’ una pietra miliare il fatto che un illustre premio europeo venga assegnato in riconoscimento della promozione di legami tra segmenti di un gruppo etnico che vive nel proprio paese d’origine e quelli all’estero.

 
  
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  Presidente. − La ringrazio molto, onorevole Tabajdi. Le farà senz’altro piacere sapere che ho avuto l’onore di essere un membro della giuria che ha assegnato il Premio Carlo Magno per i giovani. Lo dico affinché sappia che abbiamo preso la decisione giusta.

 
  
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  Marco Pannella (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, i credenti dovrebbero saperlo meglio di me, miscredente come sono, sembra dal 13 al 17 maggio anche in Vietnam si svolge la massima festività del calendario buddista, Wesak, la nascita del Budda. Sembra, ma è anche certo per quel che ci riguarda che ancora adesso in Vietnam il supremo patriarca della Chiesa buddista unificata, Thich Huyen Quang, che da 26 anni è rinchiuso nel suo monastero, e il candidato di molti di noi, Thich Quang Do, il suo aggiunto, non potranno nemmeno celebrare i loro riti liberamente. In 26 anni, presidente, 15 volte noi come Parlamento avevamo chiesto la liberazione di costoro. Capisco, il tempo è scaduto, ma il tempo della vergogna per l’Europa non è scaduto, è tornato, colleghi, attenti!

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Un’autentica situazione di crisi sta interessando vaste aree del Portogallo settentrionale a seguito della chiusura di molte piccole e medie imprese, del trasferimento di multinazionali o anche a causa dei salari estremamente bassi, ha costretto negli ultimi anni più di 100 000 lavoratori a spostarsi in Spagna e in altri paesi dell’UE, nella maggior parte dei casi per trovare un’occupazione nel settore edile. Spesso, tuttavia, quei lavoratori sono finiti in situazioni precarie, in molti casi il lavoro è terminato, altri hanno scoperto che i loro contratti non erano rispettati e le promesse fatte non mantenute, che i salari erano inferiori al minimo previsto dalla legge o che gli orari di lavoro erano eccessivamente lunghi; in breve, le società che li assumevano in genere non adempivano i loro obblighi. Sottolineiamo pertanto che è assolutamente necessario procedere a un controllo efficace nei paesi in cui prevalgono simili situazioni e adottare le misure opportune contro tali pratiche illegali quale questione urgente. Ad esempio, i sindacati hanno suggerito di revocare la licenza alle società di costruzioni che non rispettano i diritti dei lavoratori o non soddisfano l’obbligo di fornire ogni mese informazioni corredate di un elenco completo dei lavoratori a libro paga, compresi quelli trasferiti.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE).(RO) Signor Presidente, il 9 maggio 2008 festeggeremo cinquantun anni dalla creazione dell’Unione europea. Per tutti i suoi cittadini è un’ottima occasione per guardare con fiducia e impegno verso il futuro.

Oggi, a un livello europeo, i temi oggetto di discussione sono la riforma della politica agricola, la futura politica comune in materia di energia, l’espansione della rete transeuropea nei settori delle infrastrutture di trasporto, delle telecomunicazioni e dell’energia, il cambiamento climatico e la riforma di bilancio dell’Unione.

Il Trattato di Lisbona è già stato ratificato dai parlamenti di 11 Stati membri, come la Romania. Il nuovo Trattato sottolinea l’importanza dell’economia di mercato sociale, con un elevato grado di competitività per lo sviluppo sostenibile dell’Europa. Il funzionamento del mercato unico favorisce altresì l’armonizzazione dei sistemi sociali applicati negli Stati membri. La Carta dei diritti umani fondamentali, che ha potere giuridico, conferma i diritti fondamentali. Partendo da valori comuni – giustizia sociale, uguaglianza e prosperità per tutti – i socialisti europei mirano a costruire una democrazia sociale, una società che non escluda nessuno e dove tutti i cittadini abbiano pari opportunità. L’essenza dell’approccio socialdemocratico è la costruzione di un’Europa sociale.

 
  
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  Marco Cappato, (ALDE) . – Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche io, come il collega Pannella, volevo attirare l’attenzione dei colleghi su quanto sta accadendo in Vietnam e non solo sulla questione dei leader della Chiesa buddista unificata, ultraottantenni, da oltre 20 anni agli arresti, ma anche sulle persecuzioni dei montagnard, abitanti delle colline centrali del Vietnam.

Da Kok Ksor e da Montagnard Foundation ci arrivano delle notizie, come quella del 28 aprile, quando Y-Tao Eban è stato ucciso dalle forze di polizia e di sicurezza vietnamita o come quella del 15 aprile quando due bambini degar montagnard sono stati uccisi da quattro poliziotti delle forze dell’ordine vietnamite. Questo per sollecitare anche all’adesione delle lettere che abbiamo distribuito a tutti colleghi rivolte al regime vietnamita e per sollecitare la comunità internazionale e le istituzioni europee a reagire alla situazione in Vietnam.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL).(PT) Alla luce dei costanti e deplorevoli tentativi da parte del Marocco di bloccare e portare a un’impasse i negoziati per la realizzazione dell’inalienabile diritto del popolo Sahrawi all’autodeterminazione, attualmente in corso sotto gli auspici dell’ONU. Desidero cogliere quest’occasione per sottolineare la necessità di rispettare appieno il diritto all’autodeterminazione del popolo Sahrawi, che è il solo modo per risolvere in modo realistico, equo e duraturo il conflitto, cioè, per porre fine alla vergognosa colonizzazione. Inoltre, dobbiamo esigere il rispetto del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’ONU, dobbiamo denunciare e condannare la brutale repressione nei territori occupati contro i patrioti Sahrawi che si oppongono alla colonizzazione e combattono per il proprio legittimo diritto all’autodeterminazione, dobbiamo denunciare il vero dramma umanitario imposto al popolo Sahrawi costretto a vivere al di fuori del proprio paese in campi profughi e dobbiamo chiedere adeguati aiuti umanitari internazionali urgenti.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE).(EN) Signor Presidente, il ciclone che sabato ha colpito la Birmania ha portato devastazione e sofferenza al popolo di quel paese.

Gli ultimi aggiornamenti parlano di 22 000 morti, 40 000 dispersi, centinaia di migliaia di feriti e un milione di senzatetto. Eppure, per quanto possa sembrare illogico e crudele, gli interventi di aiuto internazionali sono stati ostacolati dal regime di dittatura militare della Birmania.

Un esempio è il fatto che, a quattro giorni dalla catastrofe, il rilascio dei visti per gli operatori umanitari stranieri non avviene ancora in tempo, con i generali del paese che adducono scuse eccessivamente ingenue che nessuna persona intelligente può prendere sul serio.

Potrebbe il Presidente di quest’Assemblea, oltre al suo messaggio di solidarietà letto ad alta voce prima, inviare un messaggio molto duro alla giunta della Birmania e, indirettamente, ai suoi guardiani a Pechino, esortandoli a smettere di ostacolare gli sforzi internazionali di assistenza e di cominciare a provare a comportarsi, se non in modo democratico, almeno in modo umano nei confronti del popolo birmano?

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE). (PL) Signor Presidente, i cittadini dell’unione europea invecchiano. Le previsioni demografiche dipingono un quadro allarmante con una flessione entro il 2030 della popolazione attiva parti a 20 milioni.

Non è una situazione rosea per noi e dobbiamo quindi sostenere un aumento, non ultimo di tipo naturale; abbiamo problemi legati all’infertilità e alla sterilità. L’Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto l’infertilità come malattia e il metodo in vitro uno dei modi per curarla. Il numero di coppie per le quali la fecondazione con questo procedimento è l’unica possibilità di avere figli cresce di anno in anno. Il metodo è costoso, tuttavia, e non tutti i paesi rimborsano la spesa affrontata. Per molte coppie questi costi rappresentano un ostacolo che rende loro impossibile sottoporsi al trattamento. E’ un paradosso che per alcolismo, cancro ai polmoni e AIDS siano previste cure in Europa, mentre non tutti i paesi curano l’infertilità.

E’ per questo motivo che richiamo l’attenzione su questo aspetto e vorrei che tutti i cittadini dell’UE godessero di pari opportunità nonché della garanzia di potersi sottoporre a un trattamento in vitro a condizioni paritarie e sulla base del principio della parità di accesso ai servizi medici.

 
  
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  Csaba Sógor (PPE-DE).(HU) Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, questa settimana al Parlamento europeo affrontiamo, inter alia, una serie di questioni legate allo sport. E’ un argomento topico che in Romania ha assunto una particolare complessità. Con l’avvicinarsi della fine del campionato di calcio di quest’anno, nelle scorse settimane le squadre e i giocatori che potrebbero essere in grado in influenzarne il risultato finale sono stati oggetto di un’enorme pressione. Si è assistito a liti in televisione, intrighi, zuffe, partite sospese e tutto perché alcuni ritenevano inammissibile che potesse vincere una squadra che non fosse quella della capitale. Nell’incontro decisivo, la squadra di Cluj-Napoca si è tenuta stretta il suo vantaggio. Speriamo che il problema principale non fosse dovuto alla presenza di soli pochi giocatori di etnia rumena nella squadra di Cluj-Napoca, o al fatto che è di proprietà di un ungherese. Lo scontro tra polizia e tifosi è avvenuto nella stessa città dove nel corso degli ultimi due mesi gli ungheresi sono stati pestati con regolarità quasi prevedibile per aver usato la loro lingua madre. Tutto questo si ricollega ai sentimenti contro le minoranze alimentati costantemente da politici estremisti. Nello sport come in politica dobbiamo abituarci all’idea che uno o più politici autorevoli o centrali possono cercare di influenzare le decisioni e i risultati, ma che in realtà i risultati sono determinati dal lavoro di squadra concertato, dall’impegno e dalla correttezza. Grazie.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). (PL) Signor Presidente, durante l’ultima sessione in plenaria in Parlamento abbiamo discusso del problema dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.

Oggi, quando dobbiamo affrontare il problema di una crisi alimentare su scala mondiale, dobbiamo chiederci dove stanno le cause di questo stato di cose e dove abbiamo sbagliato.

Per oltre 30 anni il mercato alimentare dell’UE è stato ragionevolmente stabile e questo ha portato a un certo indebolimento della nostra attività di vigilanza. Durante questo periodo non c’è stato un controllo adeguato dei processi che emergevano e non è stata condotta alcuna analisi riguardo al legame tra un aumento della produzione alimentare e lo sviluppo economico complessivo, tra la crescente influenza di alcune società e l’incremento della domanda. Un rapido sviluppo economico di questo tipo verificatosi in Cina e in India si è infatti tradotto in un aumento del consumo, con una rispettiva impennata della richiesta di prodotti alimentari, tenuto conto del numero di persone in causa. Nell’ultimo periodo si è anche registrata una crescita dei costi di produzione, soprattutto sul fronte dei prezzi di energia e combustibili.

 
  
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  Presidente. − Con questo si chiude la discussione.

 

17. Relazioni economiche e commerciali con i paesi del sud-est asiatico (ASEAN) (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Glyn Ford, a nome della commissione per il commercio internazionale, sulle relazioni economiche e commerciali con l’Associazione dei paesi del Sud Est Asiatico (ASEAN) (A6-0151/2008) [2007/2265(INI)].

 
  
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  Glyn Ford, relatore. − (EN) Signor Presidente, innanzi tutto desidero ringraziare il Commissario e i suoi collaboratori, i collaboratori della commissione, del mio gruppo e il mio staff diretto per il lavoro svolto riguardo alla presente relazione. Desidero altresì ringraziare i relatori ombra a nome dei principali gruppi politici che, in uno spirito di collaborazione, hanno fatto sì che questo testo fosse quello che vediamo oggi. Mi assumo la totale responsabilità di tale relazione, ma soprattutto riguardo alle sue impronte politiche disseminate nelle pagine.

In un certo senso, vorremmo che questo negoziato tra l’UE e l’ASEAN non fosse necessario. La priorità della mia commissione è molto chiara: vogliamo una conclusione positiva dell’Agenda di Doha per lo sviluppo, che purtroppo sembra risucchiata nel buco nero della scelta e delle elezioni presidenziali negli USA.

E’ possibile che ne esca fuori relativamente incolume sei o dodici mesi dall’insediamento del Presidente Clinton, McCain o Obama quando gli Stati Uniti avranno finalmente un nuovo portavoce commerciale in grado di proseguire il dialogo. Ma nel frattempo, pare che avremo negoziati con la Corea, dove il mio collega David Martin era relatore del Parlamento, con L’ASEAN e con l’India per accordi bilaterali o di libero scambio con l’UE.

Il mandato del Consiglio adottato per avviare i colloqui con l’ASEAN, il quinto principale partner commerciale dell’UE, riguardava solo sette dei dieci membri dell’ASEAN, considerato che l’ASEAN è una regione che presenta un’estrema diversità con economie il cui PIL è pari a quello di alcuni Stati nazionali dell’Unione europea e tre dei suoi membri che figurano tra i paesi meno sviluppati, di cui due sono beneficiari dell’iniziativa “Tutto tranne le armi” e uno è lo Stato paria della Birmania, di cu abbiamo sentito parlare tanto oggi.

E’ chiaro che un accordo di libero scambio avvantaggerà potenzialmente entrambe le parti, aumentando il flusso di merci e servizi, sostenendo l’innovazione e rafforzando la crescita economica.

Accogliamo con favore la firma della Carta dell’ASEAN, sottoscritta il 20 novembre 2007 in occasione del Vertice ASEAN svoltosi a Singapore, e ne attendiamo con ansia la rapida ratifica. Questo dovrebbe contribuire a rafforzare l’integrazione economica con i paesi dell’ASEAN e nella mia relazione chiediamo alla Commissione di fornire assistenza tecnica e qualsiasi ulteriore sostegno possibile per agevolare tale processo.

I negoziati richiedono trasparenza in materia di appalti pubblici, concorrenza e investimenti, diritti di proprietà intellettuale e aiuti di Stato. Dobbiamo eliminare le barriere tariffarie e non tariffarie, soprattutto nei settori bancario, assicurativo e di assistenza giuridica.

Riteniamo che la semplificazione delle norme di origine sia un passo importante. Vorremmo che fosse garantita anche l’armonizzazione delle norme, in particolare in materia di sicurezza dei prodotti, protezione dei minori e benessere degli animali.

Dobbiamo lottare contro la contraffazione di medicine, ma al tempo stesso la commissione è preoccupata che non venga compromessa la flessibilità dell’accordo TRIPS.

La commissione per il commercio ritiene che sia essenziale che ogni accordo preveda un capitolo sullo sviluppo sostenibile, tra cui una valutazione d’impatto della sostenibilità. Inoltre ci occorre un accordo parallelo di cooperazione politica che comporti clausole sociali e ambientali vincolanti, obbligando le parti a ratificare le convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), nonché le normali clausole dell’APC sui diritti umani e la democrazia.

Si dovrebbero istituire forum per il commercio e lo sviluppo sostenibile in cui siedano datori di lavoro, lavoratori e società civiche che possono apportare un reale contributo non solo ai negoziati ma, aspetto più importante, in seguito sulla gestione dell’accordo.

La relazione suggerisce di far beneficiare i prodotti rispettosi dell’ambiente e i prodotti del "commercio equo" di tariffe doganali ridotte prima di altri prodotti nonché di un rapido accesso al mercato UE, nonché di smantellare le barriere tariffarie più rapidamente. Ma naturalmente, se si dovesse procedere in questo senso, chiediamo alla Commissione di aggiornare la nomenclatura doganale così da consentire tale processo.

Ci sono alcune questioni specifiche per paese. Riguardo a Singapore, nutriamo alcune preoccupazioni riguardo al segreto bancario che abbiamo espresso in occasione della visita e dell’incontro della commissione con i deputati parlamentari del luogo. Accogliamo con favore il ritorno della democrazia in Thailandia. E, ovviamente, abbiamo concordato che la Birmania dovrebbe partecipare o almeno sedersi al tavolo negoziale, anche se è assolutamente chiaro da parte nostra che fino a quando ci sarà l’attuale regime, non vi è alcuna prospettiva di firmare un accordo con la Birmania.

La nostra idea è quella di disporre di un accordo quadro per tutti che consenta a singoli paesi dell’ASEAN di agire sulla base della propria attuale situazione e di aprire particolari settori a un ritmo consono a loro. Così finalmente – e sottolineo finalmente – avremo un accordo comune e completo con tutti.

Se pertanto, da un lato, possiamo solo accogliere con favore la leadership del processo da parte del Vietnam, l’architettura istituzionale, aggravata da una mancanza di guida e volontà di alcune nazioni dell’ASEAN, è progredita a un ritmo meno sostenuto di quello anticipato o auspicato.

Desidero sottolineare che l’Unione europea non dovrebbe permettere che singoli paesi membri dell’ASEAN ostacolino il processo di veto. Se non c’è alternativa, il Consiglio, la Commissione e il Parlamento potrebbero, quale ultima spiaggia, valutare la possibilità di concludere accordi bilaterali anziché multilaterali. Mi auguro che il governo e la società civile in seno all’ASEAN interpretino la posizione del Parlamento espressa qui oggi come un incoraggiamento ad andare avanti, e a farlo con rapidità.

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, sono molto grato all’onorevole Glyn Ford per la sua relazione e per il generale sostegno espresso a favore della linea assunta dalla Commissione nei suoi negoziati per un accordo di libero scambio con i paesi dell’ASEAN.

Il sud-est asiatico merita la nostra totale attenzione. E’ comprensibile che in Asia sia la Cina il paese su cui ci concentriamo ripetutamente, ma il nostro partenariato con l’ASEAN non deve essere meno incisivo, a prescindere che trattiamo questioni di sviluppo sostenibile, società o commercio. Questo è il motivo per cui l’ASEAN è stato scelto quale partner di uno dei nostri accordi di libero scambio di nuova generazione nell’ambito della strategia “Europa globale”.

Il dinamismo delle economie ASEAN rappresenta di certo un’opportunità per l’Europa. Tuttavia, gran parte di tale opportunità è ancora più allo stadio potenziale che a quello reale. Le imprese dell’UE cercano di commerciare o investire nel sud-est asiatico dovendo affrontare ancora barriere tariffarie e non tariffarie e i mercati non propendono a favore dei prestatori esteri di servizi, soprattutto per quanto riguarda i mercati degli appalti pubblici. Si osserva la stessa situazione anche per gli investimenti diretti esteri in generale. Le imprese inoltre ritengono che i loro diritti di proprietà intellettuale siano ancora scarsamente protetti e che la trasparenza generale di alcuni mercati sia piuttosto molto carente.

Questo è l’argomento più forte sul fronte di un accordo di libero scambio che è profondo piuttosto che rapido e leggero. Non credo negli accordi di libero scambio quali pronti inquadramenti politici. La strategia commerciale “Europa globale” porterà nuove opportunità di scambio, nuovi volumi di esportazioni e nuovi posti di lavoro. Il negoziato è stato avviato sulla base della prova che potevano ottenere quei risultati se avessimo avuto la volontà di essere ambiziosi.

Facciamo bene a respingere l’idea di un accordo di libero scambio che copra solo certe tariffe. Non posso, pertanto, condividere la richiesta della relazione, ossia mostrare maggiore ambizione in questo negoziato. Abbiamo deliberatamente optato per un approccio negoziale interregionale. Ritengo fosse la scelta giusta. Credo che gli accordi bilaterali possano fungere da componenti essenziali del sistema multilaterale. laddove incoraggiano l’integrazione regionale e la crescita dei mercati regionali. Penso che possiamo vedere questo negoziato come un contributo al progetto dell’ASEAN per una comunità economica.

Tuttavia, come giustamente sottolinea la relazione, negoziare un’agenda di tale ambizione basandosi su un approccio interregionale non è la strada più facile né quella più rapida. Ogniqualvolta un paese membro dell’ASEAN non può mantenere l’impegno riguardo a un particolare ambito, dobbiamo confrontarci con il risultato del minimo comune denominatore, il che non è corretto nei confronti degli altri. Dobbiamo anche affrontare i problemi delle risorse, perché le capacità dei paesi dell’ASEAN sono sfruttate al massimo dall’ampio numero di accordi di libero scambio che stanno negoziando attualmente. Ne consegue che è difficile prevedere il calendario per un accordo interregionale completo prima di tre o quattro anni, ed è difficile che riusciamo a raggiungere un livello di ambizione notevolmente elevato.

Allo stesso tempo, ovviamente, i nostri maggiori concorrenti stanno consolidando i legami con singoli paesi nella regione, uno dopo l’altro. Il Giappone, l’Australia e gli USA sono tutti attivi. Scorro il paragrafo della relazione che si riferisce alla possibilità di adottare un approccio bilaterale qualora quello regionale dovesse rivelarsi difficoltoso. Non voglio abbandonare l’approccio regionale in questa fase, ma è nostra intenzione introdurre una certa flessibilità in questo quadro regionale – un pizzico di geometria variabile che prenda in considerazione i diversi livelli di sviluppo all’interno dell’ASEAN e che ci consenta di procedere a un ritmo più rapido con singoli paesi dell’ASEAN. Questo sarebbe economicamente positivo e spianerebbe la strada alla successiva adesione di altri.

Infatti, i nostri orientamenti di negoziato prevedono una conclusione con meno di 10 membri in quanto ai paesi meno sviluppati all’interno dell’ASEAN – Laos, Cambogia e Birmania/Myanmar – non è richiesto di assumersi gli obblighi indicati dell’accordo di libero scambio ma seguiranno il processo negoziale. Laos e Cambogia sono attualmente impegnati nelle domande di adesione all’OMS e, in ogni caso, beneficiano già di un ampio accesso preferenziale al mercato UE tramite l’iniziativa “Tutto tranne le armi”. Ma, secondo me, hanno una collocazione logica nell’accordo a lungo termine. Per quanto riguarda la Birmania, la relazione riflette la posizione dell’UE secondo cui non negoziamo impegni relativi ad accordi di libero scambio con un paese come la Birmania, anche se fa parte dell’ASEAN.

Un’ultima osservazione sullo sviluppo sostenibile. Auspichiamo di integrare gli aspetti ambientali e sociali nei nostri negoziati con l’ASEAN, e lo faremo in uno spirito di collaborazione. Inoltre abbiamo incaricato un consulente esterno di condurre una valutazione d’impatto sostenibile al fine di analizzare il possibile impatto degli accordi previsti per diversi ambiti, tra cui le preoccupazioni ambientali e sociali. Lo studio dovrebbe affiancare il processo negoziale nei prossimi 8 mesi. La scorsa settimana abbiamo inoltre invitato la società civile a contribuire alle nostre riflessioni sui nostri tre negoziati con l’ASEAN in materia di accordi di libero scambio. Non abbiamo constatato alcuna concreta divergenza rispetto alla nostra idea. Inserendo queste tematiche negli accordi sin dall’inizio, possiamo garantire di affrontare i problemi tempestivamente, se non addirittura prima che emergano.

Attendo con ansia di collaborare con il Parlamento man mano che procediamo con i negoziati. E’ sottinteso che aggiornerò al riguardo la commissione INTA. Sono molto grato per la presente relazione. E’ della qualità che mi attendo dalla commissione INTA e sulla quale faccio affidamento per la comprensione e la valutazione di complesse questioni di politica commerciale.

 
  
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  Francisco José Millán Mon, relatore per parere della commissione per gli affari esteri. (ES) Signor Presidente, grazie al piano d’azione di Norimberga e al primo Vertice UE-ASEAN tenutosi lo scorso anno, le relazioni sono state rilanciate.

Ad esempio, sono in corso di negoziato, benché a rilento, come ci è stato riferito, un accordo di libero scambio e una serie di accordi di associazione e di cooperazione bilaterali.

In seno alla commissione per gli affari esteri abbiamo appoggiato questo consolidamento delle relazioni, anche a livello economico e commerciale.

L’ASEAN è un processo di integrazione regionale che accogliamo con favore e sta assumendo una rilevanza sempre maggiore. Riunisce oltre 500 milioni di cittadini di dieci paesi, che sono molto diversi – come sottolineato dall’onorevole Ford – e in generale presentano una grande potenzialità di crescita.

L’Unione europea è il secondo principale partner commerciale dell’ASEAN. Dobbiamo intensificare le nostre vendite e anche gli investimenti effettuati dalle nostre imprese, e uno strumento ideale a tal fine è l’Accordo di libero scambio. Altri paesi all’interno e al di fuori del continente vogliono qualcosa di simile, come ha affermato il Commissario.

L’accordo deve essere molto ampio e non limitarsi a questioni di natura puramente commerciale. Deve inoltre essere accompagnato da accordi di associazione e di cooperazione bilaterali che includano la questione del rispetto dei diritti umani.

Questi accordi bilaterali possono logicamente essere conclusi solo con i paesi dell’ASEAN che soddisfano le necessarie condizioni politiche ed economiche, e non tutti i paesi sono in tale situazione, soprattutto la Birmania/Myanmar, il cui governo è oggetto di misure restrittive adottate dal Consiglio e sostenute dal Parlamento.

A meno che le circostanze politiche cambino, è chiaro che non è possibile concludere un accordo bilaterale con la Birmania, né quest’ultima può far parte dell’Accordo di libero scambio. In aprile il Parlamento ha confermato la sua posizione politica e ha chiesto il rilascio di prigionieri politici.

Per quanto riguarda la Birmania, colgo l’occasione per esprimere le mie condoglianze per le numerose vittime del ciclone che si è abbattuto sul paese. Mi associo alle parole pronunciate dal Presidente del Parlamento all’inizio del pomeriggio.

Per concludere, onorevoli colleghi, l’Unione europea deve continuare a compiere progressi nelle sue relazioni con l’ASEAN. Offriamo un’associazione politica più forte, strette relazioni economiche nel nostro reciproco interesse e cooperazione in molti ambiti. Ovviamente, sosteniamo il passo compiuto nel 2007 nel processo d’integrazione, la “Carta dell’ASEAN”. Vogliamo che gli impegni contemplati in questa Carta sul fronte dei diritti umani e della democrazia diventino una realtà, soprattutto in Birmania e anche in altri paesi della regione. Su questa base, le nostre relazioni si rafforzeranno. Molte grazie.

 
  
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  John Purvis, relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. − (EN) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Ford nel complesso è il testo che la mia commissione auspicava. Siamo particolarmente soddisfatti che siano stati inseriti tutti i nostri principali punti. Sottolineiamo che la futura crescita industriale nell’Unione europea dipende dall’apertura agli scambi e agli investimenti esteri, disciplinati da regole eque, ma che la nostra competitività rispetto ai paesi ASEAN dipenda da noi, ossia da un miglioramento dei nostri livelli di istruzione, formazione, ricerca, capacità delle imprese e innovazione.

Riteniamo che la cooperazione scientifica e tecnica e la protezione della proprietà intellettuale siano elementi essenziali di una relazione riuscita; ci aspettiamo soprattutto cooperazione nella lotta alla contraffazione. Auspichiamo un miglioramento nelle norme di origine, nell’armonizzazione delle norme, in particolare in materia sicurezza dei prodotti, protezione dei minori e benessere degli animali, nelle procedure burocratiche, nella trasparenza degli aiuti di Stato e nelle barriere non tariffarie, nonché l’eliminazione delle tasse discriminatorie.

Ci aspettiamo che venga contemplata l’esigenza di evitare il danno ambientale imputabile alla deforestazione e all’estrazione dell’olio di palma e, nel riconoscere la necessità di disporre di meccanismi contro le attività di dumping, preferiremmo di gran lunga impedirle attraverso un intervento precoce e il negoziato.

Auspichiamo lo sviluppo di azioni concertate con l’ASEAN sul fronte dell’energia e che la Commissione promuova progetti di ricerca comuni svolti da istituti con sedi in quella regione.

In questo spirito, ci auguriamo una relazione economica e commerciali di successo e di reciproco vantaggio con i paesi dell’ASEAN.

 
  
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  Peter Šťastný, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto desidero congratularmi con il mio collega, l’onorevole Ford, autore della presente relazione. La proposta di accordo commerciale con l’ASEAN è parte di una più ampia strategia di negoziati bilaterali e interregionali con partner commerciali dell’UE.

Se considerata come un’unica entità, l’ASEAN sarebbe il quinto maggiore partner commerciale dell’UE, davanti al Giappone. L’ASEAN è una regione che presenta un’estrema diversità, con tre dei suoi membri che figurano fra i “paesi meno sviluppati” (PMS), mentre altri presentano un reddito pro capite superiore a quello di molti Stati membri dell’UE. Io e i miei colleghi in seno alla commissione INTA siano fortemente a favore della prima opzione della Commissione; negoziare con la regione come se fosse un’unica entità, onde rafforzare l’integrazione economica regionale tra i paesi dell’ASEAN.

La relazione sottolinea l’importanza degli accordi commerciali interregionali, che possono completare il sistema multilaterale – a condizione che siano di più ampia portata e più ambiziosi, spingendosi oltre alle riduzioni tariffarie – e attuare norme sociali e ambientali. La relazione esorta le parti a ridurre o a smantellare progressivamente tutte le barriere agli scambi di merci e servizi, pur nel rispetto delle posizioni economiche diverse all’interno della regione dell’ASEAN. Sollecita inoltre la Commissione a garantire trasparenza e norme efficaci in materia di appalti pubblici – diritti di proprietà intellettuale, aiuti di Stato e altre sovvenzioni.

Infine, desidero ringraziare anche il relatore per la sua positiva collaborazione, riflessa in alcuni emendamenti di compromesso che pongono l’accento principale della relazione su questioni commerciali e legate agli scambi, insieme a problemi nel campo dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile. L’adozione di questi e di altri emendamenti hanno reso la relazione più equilibrata.

 
  
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  David Martin, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, prima di tutto desidero aggiungere le mie congratulazioni al mio amico e collega, l’onorevole Glyn Ford, per un testo che reputo un’eccellente relazione. Desidero anche dire alla Commissione che ritengo che il Commissario avesse assolutamente ragione qualche anno fa a lanciare studi su un eventuale accordo di libero scambio con l’ASEAN e ad agire sulla base di tali ricerche. Se, come altri hanno sottolineato, l’ASEAN è già una regione importante economicamente per noi, è una delle regioni dove è presente il maggiore potenziale di crescita se davvero vogliamo realizzare i nostri obiettivi riguardo al libero scambio. Al pari dell’onorevole Šťastný, sono d’accordo sul fatto che fosse assolutamente la strategia giusta procedere su base regionale, nonostante tutte le complicazioni che comporta un tentativo di questo genere.

La relazione dell’onorevole Ford invia un segnale chiaro e coerente alla Commissione: il Parlamento vuole vedere un capitolo forte sullo sviluppo sostenibile in tutti gli accordi di libero scambio di nuova generazione.

Il testo fa molti riferimenti alle clausole non commerciali che, mi fa piacere dirlo, sono coerenti con la linea da me adottata nella mia relazione sulla Corea, e sono particolarmente soddisfatto che questo documento dia rilievo alle clausole sociali e ambientali vincolanti.

Secondo me è importante non solo che i membri dell’ASEAN ratifichino le otto convenzioni fondamentali dell’OIL, operazione cui hanno proceduto finora solo la Cambogia, l’Indonesia e le Filippine, ma anche che noi assicuriamo l’introduzione di meccanismi che ne garantiscano l’applicazione adeguata.

Dovrebbe essere maggiormente formalizzato il ruolo dei sindacati e dei lavoratori, e sono lieto che il relatore abbia suggerito di creare un forum per il commercio e lo sviluppo sostenibile che possa controllare le norme e riferire in merito a qualsiasi violazione.

In termini di norme ambientali, la commissione per il commercio ha sottolineato in molte delle sue recenti relazioni – ad esempio la relazione Lipietz sul cambiamento climatico o la mia stessa relazione sulla Corea – che il commercio internazionale dovrebbe facilitare la diffusione delle tecnologie rispettose dell’ambiente, e di nuovo riconosco il fatto che il Commissario Mandelson in varie occasioni abbia dimostrato il proprio impegno sul fronte della riduzione delle tariffe per le tecnologie rispettose dell’ambiente, e mi auguro che il Commissario possa accogliere il suggerimento del relatore che indica di inserire questo aspetto nei negoziati dell’ASEAN.

Qualsiasi violazione di norme sociali e ambientali deve essere soggetta al regime uniforme di composizione delle controversie. Dato che gli USA si sono impegnati a applicare questo approccio per tutti i loro accordi di libero scambio, l’Europa deve adottare misure di attuazione altrettanto rigorose.

Infine, desidero concludere dicendo che so che non firmeremo un accordo di libero scambio con la Birmania, tuttavia mi auguro che la Birmania non benefici indirettamente di tale accordo, perché qualsiasi ampliamento degli scambi con gli alti paesi dell’ASEAN implica che la Birmania possa espandere il suo commercio all’interno del gruppo e beneficare indirettamente di un accordo di libero scambio UE. Pertanto mi auguro che esploreremo modi volti a garantire l’applicazione rigorosa delle sanzioni commerciali nei confronti dell’attuale regime birmano.

 
  
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  Nathalie Griesbeck, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, in un momento in cui parliamo molto dell’Asia a causa della Cina e dei problemi che ben conosciamo, nonché a causa del cataclisma che ha colpito la Birmania, su un altro piano, la relazione esaminata questa sera costituisce essenzialmente la risposta dei cittadini dell’UE rappresentati dal Parlamento alla comunicazione della Commissione sulla nuova strategia per i negoziati commerciali bilaterali e interregionali dell’Unione. E’ affermare l’ovvio sottolineare che l’Associazione dei paesi del Sud Est è un gruppo di dieci paesi con livelli particolarmente diversi di sviluppo, in termini sia politici che economici, come ha ricordato poc’anzi il nostro relatore. L’accordo commerciale attualmente in fase di discussione riguarda un mercato del valore di 57 miliardi di euro con una crescita annua del 4,9 per cento, il che rappresenta un potenziale di sviluppo straordinariamente importante. Anche se la politica commerciale dell’UE, costituita da un accordo commerciale tra le nostre due regioni, sembra chiara, insieme dobbiamo stimolare la crescita e la creazione di posti di lavoro, rimanendo al contempo realistici riguardo alle difficoltà.

Tuttavia, sebbene la globalizzazione dell’economia debba essere interpretata come un’opportunità, i nostri cittadini sono spesso molto preoccupati riguardo all’economia del nostro continente, come altri lo sono nei confronti dei propri. Gli effetti perversi e marginali della globalizzazione – troppo numerosi per coloro che devono sperimentarli personalmente – spesso oscurano i benefici che dovrebbero scaturire da accordi commerciali negoziati con intelligenza.

La presente relazione mira pertanto a inviare forti segnali alla Commissione europea affinché tenga debitamente conto delle preoccupazioni dei cittadini quando negozia con l’ASEAN. Dobbiamo pervenire a un equilibrio che permetta ai nostri partner di conseguire un livello soddisfacente di sviluppo economico, sociale e politico senza incoraggiare distorsioni della concorrenza e il dumping.

Desidero solo sottolineare qui tre punti che reputo prioritari. In primo luogo, da una prospettiva strettamente commerciale, occorrerebbe evidenziare che qualsiasi accordo commerciale deve essere raggiunto nell’ambito del quadro del rispetto reciproco delle norme del commercio internazionale, il che significa rispetto delle regole del diritto di concorrenza e di quello in materia di diritti d’autore. Un solo esempio tra molti: i nostri negoziati devono, in particolare, trovare soluzioni in materia di lotta ai medicinali contraffatti, garantendo l’accesso all’assistenza sanitaria per tutti i cittadini nel rigoroso rispetto dello spirito e delle procedure dell’accordo di Doha.

In secondo luogo, da un punto di vista sociale, gli accordi non possono chiaramente tollerare le differenze in termini sociali. I nostri partner devono impegnarsi a rispettare le norme minime dell’OIL, in particolare contrastando il lavoro minorile e migliorando le condizioni di lavoro e le retribuzioni.

In terzo e ultimo luogo, è ovviamente anche molto importante sottolineare, com’è già stato fatto questa sera nei vari interventi, che qualsiasi accordo commerciale deve comprendere i necessari requisiti in materia di economia e sviluppo sostenibile. L’Asia sudorientale è uno dei gioielli del nostro pianeta, e insieme dobbiamo proteggerne la flora e la fauna. La Commissione ha il compito di ottenere garanzie riguardo alla lotta per combattere lo sfruttamento illegale delle foreste e alla gestione delle quote della pesca, come ha rilevato un minuto fa il Commissario.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Ford sottolinea l’importanza della cooperazione tra l’Unione europea e i paesi del Sud Est asiatico nell’ambito delle relazioni commerciali ed economiche.

In termini di estensione della superficie e di popolazione, questi Stati sono simili all’Unione europea; sono un interessante mercato di vendita per l’Unione europea ed esportano una gamma di prodotti importanti verso il nostro mercato. Questi paesi presentano strutture politiche e potenzialità economiche diverse, come dimostrato dai dati del PIL pro capite, che in Birmania è pari a 211 dollari e a Singapore è di 31 400 dollari.

Una simile situazione pone una serie di problemi sul fronte della cooperazione ASEAN-UE, come sottolinea il relatore. Lo sviluppo degli scambi con paesi di questa regione richiede l’armonizzazione delle norme, soprattutto nel campo della sicurezza e della protezione della salute pubblica. Le relazioni economiche e intellettuali con i paesi dell’ASEAN possono imprimere slancio alla prosperità e alla pace nella regione.

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Dalla relazione dell’onorevole Ford emerge la pesantezza dei negoziati tra l’UE e l’ASEAN – che non deve sorprendere data la natura particolarmente eterogenea della regione. L’interesse dell’industria europea – per quanto riguarda l’accesso al mercato, per esempio – è grande e chiede programmi dal ritmo più sostenuto.

La questione è pertanto se l’UE debba continuare con questi negoziati multilaterali o sia più opportuno che passi a negoziati bilaterali. Questo suggerimento è già presente in una certa misura nell’emendamento n. 5 presentato dall’onorevole Ford e dall’onorevole Mass. Invito quindi la Commissione a offrire il suo massimo impegno a livello multilaterale ai fini di una conclusione positiva del ciclo di Doha. I negoziati possono poi procedere a livello bilaterale con i singoli paesi dell’ASEAN se risulta che a livello multilaterale occorre troppo tempo.

Naturalmente, con queste affermazioni non intendo esprimere la mia opposizione all’ulteriore integrazione regionale nel sud-est asiatico, in quanto è un processo di grande rilevanza. Penso in questo caso all’importante ruolo che l’ASEAN e l’ASEAN+3 possono svolgere ai fini di una maggiore integrazione del Myanmar nella regione. Il paese, colpito così pesantemente dal ciclone Nargis lo scorso fine settimana, necessita urgentemente di aiuti da parte della regione. Soprattutto l’ASEAN+3, che include anche la vicina Cina, deve impegnarsi più a fondo al fine di convincere la giunta ad aprire le porte del paese al mondo esterno, a proteggere meglio i diritti umani e a offrire più spazio di manovra all’opposizione. Grazie.

 
  
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  Daniel Varela Suanzes-Carpegna (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con il relatore, l’onorevole Ford, per il suo ottimo lavoro e per il risultato finale della sua relazione, che grazie al contributo della commissione per il commercio internazionale e di altre commissioni si è trasformata in un testo estremamente equilibrato.

Vorrei in primo luogo far presente che la relazione sottolinea la grande opportunità di intensificare le nostre relazioni economiche e commerciali in quest’area di potenziale sviluppo economico e di crescita demografica, e desidero altresì aggiungere che tiene conto delle enormi disparità tra i paesi che aderiscono al gruppo dell’ASEAN.

Mi preme rilevare l’importanza dell’apertura del settore dei servizi per entrambi le parti: è cruciale per l’Unione ma anche per l’ASEAN, che chiedono servizi più efficienti di qualità più elevata e a prezzi migliori, approfittando così dei vantaggi competitivi e dell’esperienza dell’UE.

Per quanto riguarda l’industria, abbiamo sottolineato nei nostri emendamenti, che sono stati inseriti nella relazione, la duplice necessità di soddisfare requisiti minimi di qualità e igienico-sanitari. Li esige la nostra industria europea e li deve esigere anche l’altra parte al fine di arginare la concorrenza sleale.

A ciò si aggiunga il rispetto di accordi internazionali su questioni sociali, occupazionali e ambientali; vorremmo sottolineare in particolare la lotta contro il lavoro minorile.

Abbiamo attirato l’attenzione sull’industria sensibile di trasformazione dei prodotti ittici, perché in questo settore sono presenti entrambi i problemi. Non riusciamo, in tutta onestà, a comprendere gli emendamenti sociali nn. 11 e 12, che attenuano e riducono quanto è già stato adottato in sede di commissione, eliminando dagli attuali paragrafi 16 e 17 lo specifico riferimento al settore del tonno, che è effettivamente interessato, alla conseguente concorrenza sleale e alla relazione dello stesso Parlamento europeo in merito a questi comparti, che era ed è sostenuto dalla Commissione europea.

Pertanto, visto il consenso di cui è stata oggetto l’intera relazione, chiediamo al relatore al gruppo socialista al Parlamento europeo di considerare questo e di pensare alla possibilità di ritirare gli emendamenti nn. 11 e 12 che il nostro gruppo non appoggerà. In breve, ritengo che, se ci si muove in questo senso, quello che otterremo sarà mantenere gli attuali, che sono molto più completi e migliori di quelli che si cerca di introdurre.

 
  
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  Antolín Sánchez Presedo (PSE).(ES) Signor Presidente, innanzi tutto, in risposta alla tragedia che la Birmania sta vivendo, colpita dal ciclone, desidero esprimere il mio dolore per le vittime e chiedere alle autorità del paese di consentire l’accesso agli aiuti internazionali e di avviare un processo di democratizzazione credibile che porrà termine all’isolamento del paese e chiuderà nuove prospettive per la popolazione.

l?ASEAN è una regione dal grande potenziale economico e un numero di abitanti simile a quello dell’Unione europea. Comprende 10 paesi molto diversi, ma questa eterogeneità, nonostante rendano più complessi i negoziati per un accordo di libero scambio, non devono impedirci di realizzare strumenti che porteranno vantaggi reciproci e completeranno il sistema multilaterale dell’OMC, tra cui la prospettiva di una conclusione soddisfacente dell’agenda per lo sviluppo di Doha, che entrambe le parti considerano una priorità.

I paesi meno sviluppati nella regione devono poter conservare le proprie preferenze e avere altresì l’opportunità di essere inclusi nell’accordo in futuro.

Le relazioni commerciali ed economiche sono parte di una strategia più ampia di consolidamento delle relazioni globali tra le due regioni.

Dobbiamo incoraggiare nuovi sviluppi nella cooperazione politica e in materia di sicurezza. In particolare, si è posto un accento speciale sulla lotta al terrorismo e sulla gestione delle crisi/dei disastri. Dobbiamo anche promuovere la collaborazione nel settore dell’energia, le attività di R&S, l’ambiente, il cambiamento climatico e lo sviluppo sostenibile, nonché il campo socioculturale e la cooperazione allo sviluppo. Riveste particolare importanza la cooperazione nell’ambito della sanità pubblica, in quanto contribuisce a garantire le condizioni igienico-sanitarie degli alimenti, essenziali per il consumo e lo sviluppo degli scambi. In questo processo globale, il coinvolgimento e il sostegno della società civile sono essenziali.

Desidero congratularmi con il relatore, l’onorevole Ford, per aver elaborato un testo che afferma che i diritti umani e la democrazia sono valori fondamentali dell’UE e chiede che formino parte dei negoziati e vengano inclusi negli accordi di partenariato e cooperazione che devono accompagnare gli accordi commerciali. Poiché rappresenteranno un importante passo avanti per le relazioni UE-ASEAN, auspichiamo che i negoziati siano un successo.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). (PL) Signor Presidente, signor Commissario, nell’intervenire al presente dibattito, desidero richiamare l’attenzione sulle seguenti questioni. In primo luogo l’ASEAN, che riunisce 10 paesi ampiamente diversi tra loro per il livello di sviluppo – dalla ricca Singapore ai poverissimi Laos, Birmania e Cambogia – e con una popolazione di quasi 500 milioni, è il quinto partner commerciale dell’UE e offre prospettive per un ulteriore sviluppo nelle relazioni economiche e commerciali con l’Unione europea.

In secondo luogo, un accordo di libero scambio con i paesi dell’ASEAN apporterà senza dubbio più vantaggi a questa regione che all’Unione europea. E’ quindi essenziale concludere accordi con questi paesi in aggiunta all’accordo commerciale, in cui essi si impegnino a rispettare le norme sociali e ambientali nonché in materia di protezione dei consumatori.

In terzo e ultimo luogo, questo è l’unico approccio che ci offrirà l’opportunità di ottenere una concorrenza leale tra società dei paesi dell’ASEAN e dell’Europa. Solo allora queste imprese cominceranno a includere nei rispettivi costi di produzione i costi complessivi di lavoro, protezione ambientale e tutela dei consumatori, e questo garantirà che i prezzi dei loro prodotti riflettano appieno i costi di fabbricazione.

 
  
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  Jerzy Buzek (PPE-DE). (PL) Signor Presidente, mi congratulo con il Commissario per la conduzione dei negoziati, e con l’onorevole Ford, il relatore, per il testo presentato. Stiamo valutando il modo di superare gli ostacoli e negoziare un valido accordo di libero scambio con i paesi dell’ASEAN; sottolineiamo le differenze tra questi paesi.

Desidero richiamare l’attenzione solo su un aspetto di tali negoziati, uno che quattro anni fa ignoravamo. La lotta al riscaldamento globale è diventata una priorità dell’UE e l’UE stessa è diventata leader mondiale in questo ambito. Nei nostri negoziati dobbiamo attribuire molta più importanza a questo fattore. Anche qui emergeranno differenze: non possiamo pretendere nulla dai paesi più poveri, ma con le economie nei paesi ricchi in rapido sviluppo dobbiamo pervenire a una comunità di interessi incentrata sulla lotta al cambiamento climatico.

Due paesi dell’UE, Polonia e Danimarca, sono responsabili della negoziazione di un accordo post-Kyoto, prevista quest’anno a Poznań e il prossimo anno a Copenaghen. Sta diventando anche una responsabilità dell’UE. Se non saremo in grado di negoziare un accordo comune entro la fine del 2009, saremo costretti, per così dire, a modificare la nostra ambiziosa politica intesa a contrastare il cambiamento climatico. Non vogliamo farlo, perché chiaramente non possiamo affrontare completamente soli tali modifiche e la minaccia globale. E’ per questo che è importante per noi ricorrere a tutti i negoziati UE con paesi terzi al fine di sottolineare tale aspetto – un accordo comune per lottare contro il cambiamento climatico su una scala globale.

 
  
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  Pierre Pribetich (PSE). (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, quale relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, desidero congratularmi con il relatore, l’onorevole Ford, prima di tutto per il suo ... (testo non udibile) su due aspetti che vorrei evidenziare. Il primo è la contraffazione, in particolare la contraffazione dei medicinali, che è un vero pericolo, un vero pericolo principalmente per lo sviluppo e il clima pacifico delle relazioni economiche e commerciali con i paesi del sud-est asiatico, ma anche in particolare per i consumatori, sia in termini della sicurezza tout court che in termini di qualità del prodotto. E’ pertanto opportuno sottolineare, evidenziare la necessità di prevenire qualsiasi forma di contraffazione, ricorrendo agli strumenti restrittivi contemplati nell’accordo. Mi permetto di insistere ancora sulla necessità di contrastare la contraffazione di medicinali per due ragioni: per proteggere la sicurezza dei consumatori e salvaguardare il settore farmaceutico da qualsiasi concorrenza sleale che non rispetti l’ambiente o le norme di sicurezza e in materia di sanità. Solo un’effettiva cooperazione tra tutti gli interessati garantirà la protezione dei consumatori a livello mondiale, e in particolare quelli in Europa.

Il secondo aspetto riguarda lo sviluppo di una normativa che incoraggi una riduzione delle emissioni di CO2 da parte delle imprese, segnatamente accordi reciproci sullo scambio di quote di emissione. Dobbiamo tener presente la necessità, per l’Unione europea, di evitare di penalizzare le società imponendo loro le disposizioni logiche e giuste delle nuove norme ambientali nel quadro del piano climatico, senza esigere in ritorno l’adozione di regole analoghe da parte di altri paesi.

Integrare questi due aspetti – nella forma e nello spirito – nel quadro delle nostre relazioni consentirebbe di mantenere la competitività delle imprese europee e, al contempo, di tutelare i consumatori, senza dimenticare ovviamente la protezione del clima. In breve, si tratta senza dubbio della ricerca di un perfetto equilibrio nelle nostre relazioni.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, è per me un piacere avere l’opportunità di partecipare alla presente discussione, sebbene non sia il mio argomento preferito.

Tuttavia, mi sono precipitata fuori dall’ufficio quando ho sentito i commenti sulle norme, e ritengo che il paragrafo 10 sia particolarmente in questa risoluzione e dovrebbe essere letto e, forse, aggiunto; forse dovremmo aggiungere le norme sulle sicurezza alimentare e la tracciabilità.

Mi associo a quanto affermato riguardo alla contraffazione dei medicinali, che è un grave problema.

Sono appena tornata dal Brasile e in uno stabilimento di lavorazione delle carni ho cercato ovunque un cartello di avvertimento riguardo a qualcosa. Non ce n’era neanche uno: in altre parole, non si prendevano in considerazione le questioni relative alla sicurezza sul lavoro. Anche negli stabilimenti di bioetanolo che abbiamo visitato, mi sentivo un po’ nervosa, perché, di nuovo, non c’era il minimo riferimento alla sicurezza dei lavoratori.

Non è per denigrare altri paesi; è per riconoscere che noi europei abbiamo norme elevate e dobbiamo insistere nel cercare di innalzare chiunque, in altre parole, al nostro livello.

Posso aggiungere che so che il Commissario ha sentito parlare di me prima e che oggi è sui giornali irlandesi? Se desidera commentare qualcosa riguardo a quelle notizie, le ascolterò con interesse.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, signor Commissario, l’Unione europea e l’ASEAN possiedono un considerevole potenziale che consentirà di adottare azioni volte ad affrontare le sfide globali, quali il cambiamento climatico, la sicurezza energetica, la lotta al terrorismo e la battaglia contro la povertà e la malnutrizione di milioni di abitanti dell’Asia.

I rappresentanti delle due organizzazioni devono pertanto intensificare il dialogo e trovare insieme soluzioni a questi difficili problemi. Devono anche creare nuove forme di cooperazione economica e intraprendere i passi necessari per rafforzare gli scambi vantaggiosi per entrambi. L’Unione europea deve condividere la propria esperienza e i risultati ottenuti riguardo al processo dell’integrazione regionale. Non dimentichiamo, comunque, che l’UE non deve limitarsi agli aspetti economici e deve insistere nel chiedere il rispetto dei diritti umani e della democrazia.

 
  
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  Stavros Arnaoutakis (PSE).(EL) Signor Presidente, gli accordi commerciali possono contribuire a stabilizzare le relazioni tra le due parti. Al contempo, tuttavia, nei negoziati in merito a un accordo di libero scambio si deve tener conto di certi requisiti e valori essenziali.

Permettetemi di suggerire quanto segue: il rispetto dei diritti dell’uomo, le capacità economiche di ciascun paese, la protezione dei diritti di proprietà intellettuale e della denominazione geografica; l’armonizzazione delle norme in materia di sicurezza dei prodotti, la cooperazione nella lotta alle malattie e alle epidemie, e la cooperazione in questioni ambientali.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE). (FR) Signor Presidente, signor Commissario, innanzi tutto desidero associarmi ai complimenti per il mio eccellente collega, l’onorevole Ford, e approfitto di questo tempo di parola per porgere il benvenuto all’onorevole Hartmut Nassauer, il presidente della nostra delegazione per le relazioni con i paesi del sud-est asiatico.

Mi viene in mente, onorevoli colleghi, quando siamo stati nella Repubblica delle Filippine; a tale proposito, mi viene da chiedere se in questi fascicoli non trascuriamo lo sviluppo. Mi ricordo il viaggio a Kidapawan nella provincia di Cotabato sull’isola di Mindanao, dove ho visto quasi 500 agricoltori con circa 1,5 ettari di terra di proprietà che, grazie all’intervento dell’Unione europea, riuscivano a vivere dei propri prodotti nel quadro di un’agricoltura di sussistenza. Abbiamo visto entusiasmo e gratitudine e ritengo, signor Commissario, che tutte le politiche dell’Unione europea debbano considerare lo sviluppo.

 
  
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  Glyn Ford, relatore. (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare tutti i colleghi che hanno partecipato alla discussione di questa sera. Sono consapevole della necessità, come ha appena sottolineato l’onorevole Audy, di far sì che le questioni relative allo sviluppo non vengano trascurate riguardo a tutta una serie di paesi, non solo le Filippine. Poiché sono uno molto meglio informato riguardo all’Indonesia che alle Filippine, so che ci sono molte parti dell’Indonesia in cui il paese non è Giacarta, è un paese in via di sviluppo e dobbiamo prestarvi attenzione.

Ringrazio il Commissario Mandelson per le sue osservazioni e desidero far presente che, in uno spirito di cooperazine e intesa, ho già parlato con l’onorevole Varela Suanzes-Carpegna e ho deciso di ritirare l’emendamento n. 11 − ce ne occuperemo domani − in cambio del suo sostegno, quale aggiunta, alle nuove parti del mio emendamento n. 12. In questo modo, l’intesa è persino maggiore di quella all’inizio della discussione.

 
  
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  President. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Bogusław Rogalski (UEN), per iscritto. (PL) Tenendo presente che la Comunità europea, nei suoi negoziati con l’Associazione dei paesi del Sud Est asiatico intesi a concludere un accordo di libero scambio di seconda generazione, dovrebbe dare priorità al sistema commerciale multilaterale creato dall’Organizzazione mondiale del commercio, è un aspetto importante il fatto che l’ASEAN copra una regione ampiamente eterogenea: uno dei suoi paesi figura tra le nazioni meno sviluppate, mentre altri presentano un livello di sviluppo elevato. E’ questa la principale ragione per cui queste disparità assumono un grande peso nella definizione di un accordo di libero scambio.

Nell’ambito del processo di conclusione degli accordi di libero scambi, è assolutamente prioritario firmare un Accordo di associazione e di partenariato che contenga clausole in materia di diritti umani vincolanti, dal momento che i diritti dell’uomo e la democrazia sono valori fondamentali dell’UE. Si deve prestare attenzione alle conseguenze dell’accordo per i piccoli agricoltori della regione, nonché controllare e garantire il rafforzamento dell’agricoltura sostenibile e familiare.

Occorre sensibilizzare anche le autorità locali riguardo alla lotta al cambiamento climatico, contrastando la deforestazione e sostenendo le foreste tropicali. Il commercio di biocombustibili dovrebbe pertanto essere limitato esclusivamente a quei biocombustibili che non disturbano l’equilibrio dell’ambiente. Si deve sottolineare anche l’importanza della continua cooperazione nella lotta al terrorismo e nella gestione delle crisi e dei disastri.

Un accordo quadro UE-ASEAN potrebbe contribuire a incoraggiare la futura crescita industriale nell’UE, ma deve essere basato sul principio della trasparenza e su norme in materia di concorrenza, investimenti, diritti di proprietà intellettuale e aiuti di Stato.

 
  
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  Andrzej Tomasz Zapałowski (UEN), per iscritto. (PL) Signor Presidente, molti economisti osservano che la regione del sud dell’Asia ha il potenziale per diventare in futuro un centro economico mondiale. E’ una tendenza pericolosa, soprattutto per l’Europa, che potrebbe perdere una quota significativa del commercio mondiale. In Europa, intanto, continuiamo a inasprire le condizioni sul fronte delle imprese, dell’agricoltura e del commercio con paesi che non rispettano il diritto in materia di diritti d’autore. Date queste premesse, possiamo parlare di libera concorrenza leale?

Ovviamente, dobbiamo impegnarci a sostenere il rispetto dei diritti dell’uomo nei paesi asiatici, ma senza al contempo cedere mercati europei a merci che sono prodotte a condizioni non in linea con le norme europee in materia di concorrenza.

Al momento siamo fortemente concentrati sulla concorrenza economica all’interno dell’UE; qui stiamo commettendo un errore e ci stiamo comportando in modo sconsiderato. Nel frattempo, l’Asia ci sta sottomettendo economicamente, proprio come in passato l’Europa ha sottomesso l’Asia sul piano militare e politico.

 

18. Regimi di sostegno a favore degli agricoltori (aiuti al settore del cotone) (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Ioannis Gklavakis, a nome della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, sulla proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1782/2003, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, per quanto riguarda il regime di sostegno per il cotone [COM(2007)0701 – C6-0447/2007 – 2007/0242(CNS)] (A6-0166/2008).

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, prima di passare ad analizzare il contenuto della relazione, voglio ringraziare il relatore, l’onorevole Gklavakis, e i membri della commissione per l’agricoltura per l’ottimo lavoro svolto sulla questione estremamente sensibile della riforma del cotone.

Nel 2006, come sa, la Corte di giustizia ha annullato la riforma del cotone che avevamo approvato nel 2004, affermando che violava il principio di proporzionalità. La Corte ha anche statuito che un nuovo regime dovrebbe essere adottato entro un intervallo di tempo ragionevole. La Commissione ha quindi immediatamente replicato alla decisione chiedendo lo svolgimento di vari studi, lanciando un processo di consultazione completo ed effettuando le valutazioni d’impatto.

Su questa base, la Commissione propone di continuare ad applicare gli aiuti accoppiati per il 35 per cento, che consentono di mantenere la produzione di cotone e di rispettare i Trattati di adesione della Grecia, del Portogallo e della Spagna. Allo stesso tempo, destinare il 65 per cento al pagamento unico è in linea con il processo di riforma della PAC e con gli impegni assunti dall’Unione europea nei confronti dei suoi partner internazionali, in particolare nei paesi in via di sviluppo.

Date queste premesse, accolgo con estremo favore il fatto che la relazione reputi il 35 per cento accoppiato una scelta equilibrata di procedere. La sua relazione richiama giustamente l’attenzione sul processo di ristrutturazione di cui è oggetto il settore del cotone nell’Unione europea. Comprendo le necessità del settore e pertanto sono favorevole agli emendamenti che propongono di sostenere tale riorganizzazione, per esempio riducendo la superficie di base nazionale e aumentando quindi gli aiuti accoppiati per ettaro. Su questo punto, trovo i suoi suggerimenti molto sensati.

Tuttavia, lei chiede anche di aumentare gli aiuti per ettaro dove la superficie coltivata a cotone è inferiore alla superficie definita a livello nazionale, e questo pone un problema. Devo ammettere che si tratta in realtà di un sistema anticiclico che consentirebbe di rafforzare gli effetti di distorsione degli scambi degli aiuti all’interno del settore europeo del cotone e sarebbe in netto contrasto con il nostro mandato di negoziato commerciale multilaterale nel quadro del ciclo di negoziati di Doha per lo sviluppo.

Posso sostenere gli emendamenti relativi al pacchetto nazionale. Accolto con particolare favore la misura volta a ristrutturare il settore della sgranatura e a migliorare la qualità della produzione. Tuttavia, tutte le misure di ristrutturazione devono essere compatibili con la green box dell’OMC e non sovrapporsi a interventi già attuati nell’ambito della politica di sviluppo rurale.

Infine, non credo che sia una sorpresa il fatto che mi opponga a un trasferimento degli aiuti destinati alle regioni produttrici di cotone dal secondo al primo pilastro. Ritengo che sia ovvio – e ho avuto l’opportunità di esprimere tale opinione in varie occasioni in quest’Aula – che dobbiamo rafforzare la nostra politica di sviluppo rurale. Desidero sottolineare che nelle regioni produttrici di cotone in Spagna e in Grecia i programmi di sviluppo rurale sono applicati con vera efficienza, ad esempio i diversi regimi agroambientali.

Attendo con ansia una proficua discussione su questo importantissimo tema.

 
  
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  Ioannis Gklavakis, relatore. (EL) Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione il Commissario.

Nell’UE ci sono quattro paesi che producono cotone: Grecia, Spagna, Bulgaria e, in scala molto ridotta, Portogallo. Quando ho iniziato la presente relazione, ho lavorato a stretto contatto con un gran numero di persone, ho ricevuto raccomandazioni e partecipato a discussioni, pertanto posso affermare che è il risultato di una lunga e profonda cooperazione.

Ho lavorato con membri della commissione, che ringrazio, con rappresentanti spagnoli dei settori della sgranatura e della lavorazione del cotone e, ovviamente, con i miei compatrioti della Grecia.

Desidero sottolineare che la commissione per l’agricoltura ha approvato la relazione con 28 voti a favore e 6 contrari, risultato che dimostra l’elevato livello di consenso.

Vorrei soffermarmi brevemente sulla proposta del 2004 relativa agli aiuti al settore del cotone. E’ stata annullata dalla Corte di giustizia europea. Chiedeva di applicare un aiuto accoppiato pari al 35 per cento e un pagamento unico del 65 per cento. Negli anni successivi la coltivazione del cotone ha registrato una flessione che in Spagna e in Grecia si è tradotta con un calo rispettivamente del 50 per cento e del 20 per cento.

In Spagna le aziende che producono cotone si sono ridotte del 25 per cento e in Grecia dell’11 per cento.

L’obiettivo della presente relazione è il proseguimento della coltivazione del cotone in Europa: l’UE considerata come un insieme rappresenta solo il 2 per cento della produzione mondiale. Abbiamo pertanto deciso di mantenere in toto il finanziamento destinato agli Stati membri che producono cotone.

Ovviamente, per evitare il rischio che la produzione di cotone declini o diventi antieconomica abbiamo chiesto di aumentare lievemente il finanziamento per ettaro e sono molto lieto di sentire che la richiesta è stata accolta. E’ giocoforza che siccome l’importo rimane invariato, sarà ridotta l’area coltivata. Questo non implica certo alcun problema qualora uno Stato membro desideri incrementare l’area coltivata senza alcun massimale superiore definito.

Il rapporto tra aiuti accoppiati e pagamento unico rimane di 35 per cento a 65 per cento. Tuttavia, abbiamo chiesto che gli Stati membri siano autorizzati, se lo desiderano, a modificare la loro percentuale di aiuti accoppiati, senza in ogni caso scendere la di sotto del 35 per cento.

Vorrei far presente che una cosa deve essere chiara. La nuova superficie di terreno non rappresenterà un massimale definito, con l’imposizione di sanzioni per i casi in cui sia superato, come avveniva in passato. Al contrario, è un modo per salvaguardare l’attuale aiuto globale al settore. Infatti, riteniamo che la proposta di aumentare gli aiuti costituirà un forte incentivo a mantenere la coltivazione.

Proponiamo altresì l’introduzione di un pacchetto nazionale dell’1 per cento finanziato attraverso una deduzione dall’aiuto accoppiato, da stanziamenti non assorbiti e da 22 milioni di euro trasferiti al secondo pilastro.

Che cosa otterrà il pacchetto nazionale? Innanzi tutto, i suoi obiettivi sono ambiziosi: per esempio, saranno forniti aiuti alla ricerca incentrata su nuove varietà che richiedono meno acqua e meno pesticidi, apportando quindi grande beneficio all’ambiente. In secondo luogo, la qualità del cotone prodotto sarà migliorata, e il settore della sgranatura verrà modernizzato.

Il progetto di relazione risponde alle esigenze dei produttori di cotone negli Stati membri, nel rispetto degli obiettivi dell’UE. Affronta la questione dell’effettivo finanziamento e, al tempo stesso, introduce misure ambientali, che sono di importanza vitale nell’UE.

Prima di concludere, consentitemi di menzionare la splendida cooperazione e lo straordinario sostegno offertomi nella stesura di questo testo da tutti i colleghi, una collaborazione che ci ha consentito di introdurre nuove idee e raccomandazioni.

Sono fiducioso che l’attuazione del nuovo regime contribuirà a salvaguardare un settore fiorente dell’UE come quello della produzione del cotone e un’industria della sgranatura redditizia.

In ultimo, vorrei ringraziare ancora una volta la Commissione per il modo costruttivo in cui ha risposto alle necessità dei paesi produttori di cotone. Finalmente abbiamo conseguito un risultato e potremo orientare il Consiglio verso la giusta direzione.

 
  
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  Carmen Fraga Estévez, a nome del gruppo PPE-DE. (ES) Signor Presidente, è sorprendente che la risposta della Commissione europea alla sentenza della Corte di giustizia sia stata una nuova proposta che modifica il regime di sostegno a favore del cotone e che è praticamente identica alla precedente, tranne per quanto riguarda il collegamento del sostegno al cotone raccolto.

Per tutti questi motivi, accogliamo con favore l’eccellente relazione redatta dall’onorevole Gklavakis, che ha puntato il dito contro i principali problemi che affliggono il settore della produzione e della lavorazione.

Innanzi tutto, la proposta della Commissione di mantenere il 35 per cento di aiuto accoppiato è, come dimostrato negli ultimi anni dalla flessione nella produzione di un paese come la Spagna, assolutamente inadeguata; pertanto, riteniamo che la soluzione avanzata dalla relazione intesa a lasciare il limite massimo alla sussidiarietà sia la scelta più appropriata.

L’onorevole Gklavakis ha fornito alcuni dati, e posso dirle, signora Commissario, che l’Andalusia, che è la principale regione produttrice nel mio paese, ha perso il 65 per cento della produzione negli ultimi tre anni.

Inoltre, contrariamente a quanto da lei affermato, signora Commissario, e mi dispiace contraddirla, penso che l’emendamento n. 17, che ho presentato io stesso e che è stato inserito nella relazione, sia molto positivo, in quanto giustamente indica che gli aiuti ai produttori possono essere aumentati quando la superficie coltivata è al di sotto della soglia della superficie di produzione, il che, secondo me, si tradurrà in un beneficio per il settore, mantenendo la neutralità finanziaria, nonché il pieno utilizzo delle risorse e, ovviamente, renderà molto flessibile il settore.

Infine, signora Commissario, desidero far presente, riguardo all’industria della sgranatura, che è stata, credo, la grande negletta della riforma del 2004, che la sua ristrutturazione è un fatto indiscutibile, e che è essenziale istituire un fondo di ristrutturazione, come evidenziato nel testo dell’onorevole Gklavakis.

Inoltre, penso all’emendamento n. 39, che abbiamo presentato a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, che contribuirebbe, attraverso l’articolo 69, ad aumentare i finanziamenti per questo settore di lavorazione.

Infine, signor Presidente, desidero esprimere il mio rifiuto in merito all’accordo raggiunto questa settimana dalla commissione speciale per l’agricoltura, perché penso che non fornisca una risposta adeguata ai problemi del settore e, soprattutto, ai problemi dell’industria della sgranatura; devo informarla che oggi ho ricevuto una comunicazione dall’industria spagnola della sgranatura in cui si afferma che se il Consiglio non modifica questa proposta, 27 industrie di sgranatura cesseranno l’attività.

Mi auguro che il Consiglio modificherà tutti questi punti e ringrazio la signora Commissario per essere qui.

 
  
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  María Isabel Salinas García, a nome del gruppo PSE. (ES) Signor Presidente, signora Commissario, desidero anch’io associarmi alle congratulazioni, che reputo meritate, al relatore e ringraziarlo per la sua costante disponibilità e cooperazione, soprattutto quando si è trattato di incontrare tutti i produttori della mia regione, l’Andalusia, come ha fatto.

Mi preme sottolineare che stiamo affrontando una nuova riforma del settore del cotone, perché il mio paese, la Spagna, e in particolare la mia regione, l’Andalusia, ha presentato ricorso dinanzi alla Corte di giustizia contro la precedente riforma, e vorrei far presente che questa è la prima volta che una riforma della Commissione viene respinta.

Quello che sorprende, come è già stato detto, è che in risposta alla situazione, la Commissione ha inspiegabilmente presentato una proposta simile alla precedente quando, naturalmente, ciò che non è mutata è la posizione della Spagna. I produttori di cotone spagnoli vogliono – noi vogliamo – continuare a coltivare cotone. E’ già stato menzionato il grave danno che è stato causato alla mia regione.

Al fine di ottenere questo risultato ci occorre una riforma che sia diversa dalla precedente e ci consenta di proseguire la produzione. Ritengo pertanto che la relazione dell’onorevole Gklavakis sia appropriata e che rappresenti una soluzione di cui sarebbe opportuno tener conto.

La relazione propone fasce per il livello di accoppiamento degli aiuti più ampi e una maggiore sussidiarietà degli Stati membri. Penso che il relatore abbia compreso la diversa situazione del settore in Grecia e Spagna. Credo quindi che la soluzione avanzata nella relazione Gklavakis possa consentire di proseguire la coltivazione del cotone nei due principali paesi produttori.

E’ altrettanto evidente che abbiamo bisogno di un piano di ristrutturazione del settore; l’ultima volta la Commissione non ne ha tenuto conto, come richiesto dal Parlamento.

L’industria sta pensando a una compensazione per il danno provocato, che è quantificabile e che sarebbe opportuno prendere in considerazione.

Infine, è importante sostenere l’emendamento presentato dal gruppo socialista al Parlamento europeo che chiede un periodo di transizione che ci permetta di adattarci alla nuova situazione. Non si tratta di mantenere l’attuale situazione, che è insostenibile. Desidero ricordarvi che non è un’OCM; dobbiamo raggiungere un accordo che ci consenta di continuare a produrre cotone nell’Unione europea.

Anche se purtroppo non abbiamo ancora la codecisione, mi auguro che in questa occasione si tenga conto del lavoro svolto e del parere del Parlamento. Altrimenti, e a seguito delle relazioni che stanno pervenendo dal Consiglio, la Spagna non esclude la possibilità di chiedere una revisione della sentenza se non si terrà conto del parere del Parlamento.

 
  
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  Diamanto Manolakou, a nome del gruppo GUE/NGL. (EL) Signor Presidente, l’UE presenta un deficit nel cotone pari al 70 per cento. Il settore deve pertanto ricevere maggiori aiuti; questo contribuirebbe anche a sviluppare l’intera filiera, dalla coltivazione alla produzione di tessuti e abbigliamento. Invece, tra le quote e le imposte di corresponsabilità, la produzione, il reddito agricolo e i posti di lavoro sono in declino.

Dall’ultima riforma della PAC, le conseguenze di questa flessione si sono sentite molto in modo molto più intenso, a causa dell’introduzione del parziale disaccoppiamento dal volume della produzione al 65 per cento. In Grecia, a un anno di distanza dall’attuazione della nuova organizzazione comune del mercato (OCM), la produzione è scesa del 20 per cento, e in Spagna di oltre il 50 per cento.

In Grecia è scomparso l’11 per cento delle piccole e medie imprese agricole, un dato che in Spagna è del 25 per cento. Parecchi stabilimenti di sgranatura non sono redditizi, sono sul punto di chiudere e la perdita di posti di lavoro è stata notevole. L’aumento dei costi di produzione dovrebbe essere compensato da un corrispondente aumento degli aiuti, che invece sono stati ridotti.

Nonostante le proposte positive contenute, la relazione dell’onorevole Gklavakis non risolve il problema; accoglie la proposta della Commissione. Non siamo d’accordo riguardo all’idea di ridurre la quota in Grecia al fine di aumentare l’aiuto accoppiato per ettaro; si tradurrà nella scomparsa di un numero ancora maggiore di piccoli e medi produttori di cotone. Nessun altro può contare su una soluzione definitiva ai loro problemi.

 
  
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  Nils Lundgren, a nome del gruppo IND/DEM. (SV) Signor Presidente, quando in quest’Aula discutiamo riguardo alla politica agricola dell’UE, ai cittadini sensati viene ricordato quanto sia ancora irragionevole, malgrado certi miglioramenti apportati negli ultimi anni. Dobbiamo affrontare le continue sollecitazioni da parte di gruppi di interesse che chiedono una protezione continua nei confronti della concorrenza estera. Il regime è in vigore da così tanto tempo che ha persino distorto il modo in cui pensiamo e parliamo di questi aspetti. Per questo motivo il relatore può affermare impassibile quanto segue: “Il settore comunitario di produzione del cotone deve rimanere fiorente (…) con livelli di produzione soddisfacenti che permettano di sostenere la redditività dell’industria della sgranatura, che assicura 3 200 posti di lavoro in Grecia e 920 in Spagna.”

Se applicassimo lo stesso ragionamento ad altre aree, l’Europa sarebbe sull’orlo della rovina. La verità è che la Spagna è un paese industriale dai risultati positivi con una forza lavoro di circa 20 milioni di persone. Un tale paese può non avere alcun problema a spostare 920 addetti dalla sgranatura del cotone ad altre attività più produttive. Il relatore non ha neppure alcuna esitazione nell’usare frasi del tipo “E’ assolutamente necessario salvaguardare un settore fiorente dell’agricoltura comunitaria come quello della coltivazione del cotone.” Questo è un esempio estremo di contradictio in adjecto. Il buon senso ci dice che se la produzione del cotone è fiorente non necessita di alcun sostegno. La cruda verità è che la produzione del cotone nell’UE non è economicamente redditizia e dovrebbe quindi essere smantellata. Un simile processo di adeguamento può essere difficile e richiedere aiuti di Stato, ma il sostegno deve essere usato per cambiare, non per proteggere una produzione che chiaramente ha prestazioni migliori in altri paesi al di fuori dell’UE.

 
  
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  Katerina Batzeli (PSE).(EL) Signor Presidente, innanzi tutto desidero congratularmi con il relatore per il lavoro svolto, e con i relatori ombra, che hanno cooperato con l’autore alla stesura del presente testo.

Purtroppo, la relazione di cui discutiamo oggi è stata elaborata più a causa della pressione della sentenza della Corte di giustizia europea che per un desiderio politico di garantire un regime a lungo termine e stabile al settore del cotone fino al 2013 o di attuare una riforma che rispetti i termini e le norme dell’OMC e della PAC.

E’ difficile accettare che la superficie ammissibile in Grecia sarà ridotta a 270 000 ettari dai 340 000 ettari di coltivazione dell’anno scorso. La ridotta area di terreno si tradurrà in un’ulteriore diminuzione degli aiuti. E’ altrettanto difficile accettare che gli stabilimenti di sgranatura riceveranno aiuti a titolo del primo pilastro; potremmo sostenere un miglioramento nella qualità, ma non per misure contemplate nel secondo pilastro.

Ovviamente preferiremmo la stabilità, in modo che gli aiuti disaccoppiati e accoppiati nonché lo sviluppo rurale rientrino sotto il primo pilastro, e ricadrebbero nell’ambito del capo di applicazione del pacchetto nazionale coperto dall’Allegato VIII al regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, che prevede di accordare agli Stati membri flessibilità nell’applicazione del regolamento stesso.

Infine, desidero congratularmi in particolare con il governo spagnolo per aver portato la questione del cotone dinanzi alla Corte di giustizia europea, un’azione che il governo greco avrebbe intrapreso nel caso del tabacco.

 
  
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  Friedrich-Wilhelm Graefe zu Baringdorf (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, nella risposta che si accinge a dare, potrebbe spiegare che, quando si parla di 65 e 35, il 65 per cento non cancellato ma le imprese ricevono tale denaro? Se, in base a questa distribuzione del 35per cento, non verrà più coltivato il cotone, diventa ancor più prezioso prendere solo il 65 per cento e coltivare qualcos’altro, o persino non coltivare nulla del tutto, perché il 35 per cento non è sufficiente a coprire i costi di produzione in un modo che consenta di accettare il cotone ai prezzi pagati dall’industria.

Se ora la questione attiene ai posti di lavoro nel settore della lavorazione, non si può negare che sarebbe di nuovo necessario discutere con l’industria per verificare se sia nella posizione di pagare ai produttori un prezzo adeguato per questo cotone affinché sia economicamente redditizio coltivarlo.

Naturalmente, è importante che il 65 per cento disaccoppiato continui a essere versato ai produttori, che coltivino o meno. E’ il sistema del disaccoppiamento: mi sembra che negli interventi precedenti ci fosse un po’ di confusione al riguardo.

 
  
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  Mariann Fischer Boel, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione le diverse preoccupazioni, le diverse idee sollevate dagli onorevoli deputati. Ritengo che le nostre posizioni non siano molto distanti e sono certa che, alla fine, sarà possibile trovare un compromesso accettabile.

Credo che dobbiamo tenere presente che, quando la Corte di giustizia ha annullato la riforma del cotone, non ha messo in questione la parte accoppiata/disaccoppiata, il 35/65: niente affatto. La Corte di giustizia aveva preso quella decisione in quanto aveva concluso che dovevamo effettuare una valutazione d’impatto più approfondita, che è esattamente quello che stiamo facendo ora. Ma questo non significa che abbiamo visto una qualsivoglia ragione per modificare la parte accoppiata/disaccoppiata, e se gli agricoltori dovessero cessare la produzione, ovviamente non usufruiranno della parte disaccoppiata. Posso proseguire con il loro denaro, anche se non producono cotone in futuro.

Penso che potremmo finire in una situazione, perché credo che alcune difficoltà che il settore sta affrontando in realtà risalgono a prima della riforma del cotone del 2004. Ma mi auguro che il risultato di questa riforma sarà che avremo un settore del cotone. Avrà probabilmente lo sviluppo che abbiamo visto: sarà più piccolo, ma spero che sarà anche più competitivo.

Ritengo che si possa fare molto – è un punto menzionato dall’onorevole Batzeli – per migliorare la qualità della produzione. Qui stiamo contribuendo ad aggiungere valore al prodotto con un’etichetta di origine. Qui penso che gli Stati membri produttori di cotone dovrebbe approfittare di questa opportunità per ottenere per i loro prodotti un prezzo migliore, in modo da mantenere fiorente e competitivo il settore del cotone all’interno dell’Unione europea.

 
  
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  Ioannis Gklavakis, relatore. (EL) Signor Presidente, da quanto capisco, tutti concordiamo sul fatto che nell’UE la produzione di cotone debba continuare. Come potremmo non essere d’accordo? L’UE ha un deficit nel settore del cotone pari al 70 per cento. Se la produzione di cotone prosegue la flessione a tutti i livelli, l’UE registrerà un deficit in tutto.

Nell’UE produciamo solo il 2 per cento del volume mondiale che dobbiamo proteggere a tutti i costi. Non dimentichiamo che il cotone rappresenta solo lo 0,15 per cento della produzione agricola dell’UE. Inoltre, la relazione compie uno sforzo particolare; è significato che, nei paesi produttori di cotone che ho visitato, i produttori stessi mi abbiano garantito che è hanno tutte le intenzioni di produrre cotone di qualità.

Tutte le proposte avanzate dovrebbero consentire di raggiungere risultati notevoli. Tuttavia, devo di nuovo sottolineare un punto che ho capito che non è stato compreso. La superficie di terra è stata ridotta al fine di aumentare le sovvenzioni, e l’importo complessivo di finanziamento per paese è stato mantenuto. Non c’è alcun divieto che imponga di non ampliare la superficie coltivata, anche se questo, com’è ovvio, implicherebbe la riduzione degli aiuti per ettaro.

Pertanto, nel caso della Grecia siamo passati da 370 000 ettari con una sovvenzione di 594 euro per ettaro a 270 000 ettari a 750 euro; ma se coltiviamo più di 270 000, optando per 370 000 ettari, una scelta che siamo perfettamente autorizzati a compiere, nessuno verrà da noi a dirci, come di consueto, che c’è un limite massimo da rispettare o una sanzione. Questo significa che, di base, non c’è alcun divieto.

(Interruzione dall’Aula)

Mi rivolgo all’Assemblea e spiego. Siate così cortesi da leggere la relazione, e vedrete che è questa impostazione è assolutamente corretta, perché se superiamo i 270 000 ettari, riceveremo un importo inferiore anziché 750 euro. Vi prego di leggere la relazione.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. GÉRARD ONESTA
Vicepresidente

 
  
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  President. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani alle 11.00.

 

19. Gestione degli stock ittici di acque profonde (discussione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione, presentata dall’onorevole Rosa Migueléz Ramos a nome della commissione per la pesca, sulla gestione degli stock di acque profonde [2007/2110(INI)] (A6-0103/2008).

 
  
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  Struan Stevenson (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, su una questione procedurale, prima che iniziamo vorrei solo rapidamente aggiungere una parola riguardo all’ora tarda in cui si svolgono le discussioni sull’agricoltura e sulla pesca. Succede costantemente. Veniamo sempre convinti dall’Aula a tenere le ultime discussioni di sera, sia qui a Bruxelles che a Strasburgo.

Ritengo che sia profondamente scorretto. Con l’introduzione del Trattato di Lisbona, avremo poteri di codecisione nella commissione per l’agricoltura e nella commissione per la pesca. Questo significa che godremo di pari status con tutte le altre commissioni in questo Parlamento, e finora è la commissione per gli affari esteri che ha sempre le sessioni di pomeriggio, e noi veniamo sempre inseriti in tarda serata mentre i nostri colleghi degli affari esteri possono andare a cena e a dormire presto.

Non ritengo che sia giusto, e la esorto, signor Presidente, a trasmettere alla Conferenza dei Presidenti – alla Presidenza di questo Parlamento – il nostro reclamo a nome di tutti i membri della commissione per l’agricoltura e della commissione per la pesca e di sottolineare che ci opponiamo a questa situazione e desideriamo un comportamento corretto in futuro. Qualche volta siamo disposti a intervenire tardi nelle discussioni, ma a volte vorremmo che ci fosse data la preferenza e quindi la possibilità di parlare nel pomeriggio non inoltrato. Mi auguro che prenderà nota di ciò.

 
  
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, trasmetterò senz’altro le sue osservazioni al Presidente del Parlamento, ma invito anche lei a comunicarle ai presidenti dei suoi rispettivi gruppi, perché non le sarà di certo sfuggito che è la Conferenza dei Presidenti che decide l’ordine del giorno e l’ordine di discussione delle relazioni. Pertanto, io, da parte mia, trasmetterò l’informazione, ma lei faccia altrettanto da parte sua.

 
  
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  Rosa Miguélez Ramos, relatrice. (ES) La verità è che quanto espresso poc’anzi dall’onorevole Stevenson è un sentimento generale che tutti condividiamo, perché tutti riteniamo di parlare a queste tarde ore da ormai molti anni.

Penso che anche i Commissari dovrebbero iniziare a protestare. Esorto il Commissario Borg e la signora Commissario Fischer Boel a protestare a propria volta affinché questi dibattiti vengano previsti a un’ora più ragionevole, non solo per nostra comodità, ma anche perché è molto più facile per il pubblico e i settori interessati informarsi al riguardo.

Tuttavia, questa sera parliamo di specie acque profonde, e a questo punto desidero ricordarvi che le flotte europee hanno iniziato a pescare gli stock in questione negli anni novanta quando le specie demersali erano in declino e quando il merluzzo in particolare stava scomparendo, e che la comunicazione della Commissione cui si riferisce la mia relazione mira a valutare l’efficacia dei regolamenti da due prospettive: adeguatezza e attuazione.

La verità è che, come ho sottolineato nella mia relazione, che l’assegnazione iniziale dei contingenti agli Stati membri è stata effettuata e persino ampliata prima che disponessimo di informazioni biologiche sufficienti, il che si tradusse in successive distribuzioni basate su dati non del tutto affidabili; pertanto alcuni Stati membri non hanno sfruttato in toto il contingente assegnato, mentre altri hanno arrivano a esaurirlo nei primi mesi dell’anno.

La verità è anche che in assenza di dati scientifici attendibili e per effetto della disinformazione esistente circa la struttura geografica di queste specie, i TAC e i contingenti non solo sono stati stabiliti per zone di gestione estremamente vaste, ma sono risultati anche assai restrittivi, andando persino oltre le disposizioni adottate per le specie che rientrano nei programmi di ricostituzione degli stock.

La verità è anche, e bisogna riconoscerlo, che la classificazione lascia molto a desiderare, perché qualifica come stock di acque profonde tutte le specie catturate a una profondità superiore a 400 metri, per cui l’espressione va a coprire un ampio ventaglio peraltro privo di elementi biologici, zonali o morfologici comuni.

Direi alla Commissione che ovviamente risulta necessario differenziare più chiaramente tra specie che necessitano di essere tutelate – e ce ne sono molte – e altre specie che offrono un’alternativa alle specie demersali e per le quali si devono fissare obiettivi di flotta a lungo termine.

La verità è che la Commissione è già stata costretta a cancellare alcune specie dall’elenco e a riconoscere che, nella fattispecie, si tratta soltanto di catture accessorie della pesca effettuata in acque poco profonde e, per esempio, su richiesta del Regno Unito, dall’elenco delle specie di acque profonde è stato tolto il brosme e il contingente dei berici non è considerato quando la pesca avviene con reti da traino pelagiche.

Secondo me, la Commissione dovrebbe eliminare qualsiasi differenza nel trattamento delle varie specie che non sia pienamente giustificato come questione di urgenza, e desidero anche sottolineare che queste attività di pesca hanno compiuto progressi e che la flotta comunitaria sta già attuando molte misure che, tuttavia, non sono applicate da altre flotte non europee che pescano nelle stesse zone.

La nostra flotta ha ristretto il suo sforzo di pesca attraverso tagli ai TAC, la limitazione della capacità e la creazione di aree protette.

Ci sono altri aspetti riguardo a queste specie, ad esempio la sostenibilità del sistema dei TAC e dei contingenti per la gestione degli stock in questione, che è estremamente difficili da affrontare perché si tratta di pesca multispecifica.

Un altro problema sembra essere, ed è, la necessità di affrontare la questione dei rigetti, migliorando la gestione della zona. Un altro problema ancora che si deve correggere è la gestione dello sforzo di pesca, perché la Commissione ha commesso l’errore di includere nella definizione di pescherecci che necessitano di permessi speciali tutte le imbarcazioni con permesso di pesca in alto mare, il che ha comportato non poca confusione.

Infine, signor Presidente, onorevoli colleghi, penso che ascolterò tutti voi e anche la Commissione e, quindi, concluderò.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, innanzi tutto in risposta a quanto affermato dall’onorevole Stevenson e dall’onorevole Miguélez Ramos riguardo agli orari, devo sottolineare che la Commissione – con rispetto, con rassegnazione – accetta l’ordine delle discussioni fissato dal Parlamento.

Mi sia consentito ringraziare la relatrice, l’onorevole Miguélez Ramos, e tutti i membri della commissione per la pesca per una relazione molto dettagliata.

Come sapete, l’UE è un importante operatore della pesca in acque profonde. Gli Stati membri chiave dell’UE che partecipano a questo tipo di attività sono Estonia, Francia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo e Spagna. I loro sbarchi rappresentano il maggior volume di catture globali registrate.

Nel complesso, l’importanza economica e sociale delle flotte comunitarie che operano in acque d’altura è relativamente minore rispetto al settore comunitario della pesca considerato nel suo insieme. Nondimeno, in certi paesi e in determinate regioni – segnatamente Spagna e Portogallo – contribuisce in misura significativa alle catture, all’occupazione e al valore aggiunto a livello locale.

La pesca in acque d’altura è iniziata alla fine degli anni ‘70 e dagli anni ‘90 in poi ha conosciuto un rapido sviluppo, imputabile a tre fattori. Primo, notevoli riduzioni delle opportunità di pesca in acque poco profonde a causa del depauperamento degli stock e dell’estensione delle giurisdizioni nazionali nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare negli anni ‘70. Secondo, l’elevato valore di alcune specie di acque profonde, e terzo, i progressi nella tecnologia della pesca che consente di pescare a profondità maggiori.

Il nostro regolamento sulla pesca in alto mare si ripropone di stabilire disposizioni specifiche di accesso e relative condizioni per la pesca di stock di acque profonde. In effetti, sono stati compiuti alcuni passi avanti rispetto al precedente stadio di sviluppo della pesca, in cui non c’erano norme.

Le nostre proposte più recenti relative alla definizione dei TAC e dei limiti degli sforzi sono state sempre più basate su informazioni scientifiche, la cui disponibilità è in continua crescita. Quello di cui possiamo essere sicuri è il fatto che la situazione di questi stock è peggiorata negli ultimi anni. La consulenza scientifica necessita di ulteriori dati sia in termini di quantità che di qualità. Anche la nostra nuova proposta riguardo alla raccolta di dati, attualmente in fase di discussione in seno al Consiglio, tiene conto di questi aspetti. Inoltre, la proposta di attuazione per la raccolta di dati prevede una serie di obblighi incombenti agli Stati membri, tra cui nuovi studi incentrati sulla pesca in acque profonde nonché programmi di campionature biologiche aggiuntive.

Tuttavia, è chiaro che è necessario riesaminare le norme contenute nel nostro regolamento sulla pesca in acque profonde. La nostra comunicazione analizza le debolezze e gli aspetti problematici che occorre affrontare.

Ci auguriamo di avviare un esercizio di riesame del regolamento in questione, che definisce disposizioni specifiche di accesso e le relative condizioni per la pesca di stock di acque profonde, con il vostro prezioso contributo. Nel 2009 è prevista un’approfondita consultazione con tutte le parti interessate al fine di esaminare la possibilità di applicare regole più rigorose a questo tipo di pesca.

Dalla vostra relazione è chiaro che condividiamo le stesse preoccupazioni e i medesimi obiettivi e speriamo di poter lavorare insieme e a stretto contatto al fine di intervenire con urgenza a tutela degli stock.

 
  
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  Marios Matsakis, relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. (EN) Signor Presidente, molte congratulazioni alla relatrice per il suo eccellente lavoro. La gestione adeguata degli stock ittici di acque profonde è essenziale per promuovere la sostenibilità dell’uso dei mari e salvaguardare la conservazione degli ecosistemi marini.

Partendo da questi presupposti, è stato elaborato un parere fortemente sostenuto dalla commissione ENVI, costituito da una serie di suggerimenti volti a completare la relazione dell’onorevole Ramos e a intensificarne l’efficacia e l’applicabilità. Il parere sottolinea, inter alia, la necessità di ridurre i totali di cattura ammissibili, conformemente alla relativa consulenza scientifica, nonché di attenersi maggiormente alle raccomandazioni del Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare. Inoltre, è stata espressa la preoccupazione in merito all’inefficienza e alla scarsa attuazione dei regolamenti vigenti, soprattutto per quanto riguarda la questione delle procedure di monitoraggio e di controllo negli Stati membri. Inoltre, ha sottolineato i vantaggi derivanti dalla creazione di una rete di aree marine protette nel quadro del sistema Natura 2000.

In tale parere è stato anche fatto riferimento alla necessità di sviluppare linee guida comuni, di scambiare le migliori prassi, di migliorare l’impiego della tecnologia comunitaria disponibile e di coinvolgere gruppi di esperti e ONG allo scopo di attuare al meglio misure volte a ridurre la pesca illegale e la vendita di catture illegali sui mercati europei. E’ stata altresì menzionata la necessità di promuovere metodi di cattura più favorevoli all’ambiente che non danneggino l’ambiente e la biodiversità ecologica. La relazione, completata dalle raccomandazioni accolte del parere, gode del pieno sostegno del mio gruppo. Tuttavia, non possiamo appoggiare i tre emendamenti presentati, in quanto riteniamo che contrastino con l’esigenza di proteggere in modo adeguato ed efficace i nostri ecosistemi marini.

 
  
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  Struan Stevenson, a nome del gruppo PPE-DE. (EN) Signor Presidente, innanzi tutto desidero congratularmi con l’onorevole Miguélez Ramos per l’eccellente lavoro svolto nella stesura della presente relazione.

La scienza in materia di stock di acque profonde non è ancora pienamente sviluppata. Tuttavia, sappiamo che queste specie vivono a grandi profondità – abbiamo sentito dai 400 metri a oltre i 2 000 metri e anche più. Sappiamo che hanno una maturità tardiva, a volte raggiungono l’età della riproduzione non prima dei 25 anni di età, e hanno una capacità riproduttiva molto bassa. Sappiamo che esistono milioni di specie diverse che vivono a queste grandi profondità, di cui solo un numero estremamente limitato è commestibile. Ne consegue, che sappiamo che gli addetti alla pesca d’altura rigettano regolarmente circa il 55 per cento di tutto il pesce catturato. Sappiamo che il tipo di pesca praticata di solito su escosistemi sensibili di acque profonde può avere effetti terribilmente distruttivi – può distruggere coralli d’acqua fredda, montagne sottomarine e camini idrotermali. I pescherecci con reti a strascico praticano l’attività in un modo che richiederebbe un’importante valutazione d’impatto ambientale in qualsiasi altra industria attiva in zone d’altura.

Dobbiamo pertanto effettuare controlli rigorosi riguardo al tipo di attrezzi usati in queste attività di pesca di acque profonde. Dobbiamo evitare gli attrezzi distruttivi, garantire che tale pesca è autorizzata sono nelle zone in cui sappiamo con certezza che non si produrranno effetti dannosi, evitare situazioni in cui le reti possono andare perse e continuare la pesca fantasma per decenni. Detto questo, riconosco la natura della pesca artigianale al largo della costa del Portogallo e intorno alle Azzorre, dove la pesca viene praticata in modo sostenibile. Accolgo il fatto che non si sottopongano tali attività a eccessivi controlli.

Affrontiamo questo contesto caratterizzato da una normativa vigente inefficace, un monitoraggio inappropriato, una scienza inadeguata, una risposta insufficiente da parte degli Stati membri e una mancanza di informazioni globali attendibili. Posso solo sperare che la presente relazioni spiani la strada a grandi miglioramenti.

 
  
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  Paulo Casaca, a nome del gruppo PSE. (PT) Anch’io desidero congratularmi con il relatore e con tutti coloro che, come l’onorevole Stevenson, hanno contribuito a migliorare la presente relazione. Vorrei, soprattutto, rivolgere un appello generale a tutti affinché evitiamo di ripetere sul fondo del mare le drammatiche situazioni cui abbiamo assistito negli ultimi decenni riguardo alla pesca del merluzzo e di altre specie pelagiche. E’ essenziale rispettare il principio precauzionale e il principio della gestione degli ecosistemi. E’ essenziale per mantenere la pesca sostenibile.

La presente relazione contiene una proposta al paragrafo 8 che mi sembra nel complesso ben intenzionata, ma include il suggerimento di vietare l’attività di pesca sulle montagne sottomarine, il che nelle Azzorre non sarebbe praticabile, dal momento che quasi tutta la pesca d’altura è sulle montagne sottomarine. Non possiamo pertanto appoggiare quel paragrafo nella sua attuale formulazione e voteremo, ovviamente, per la proposta del partito socialista volta a modificarlo. Fondamentalmente, tuttavia, penso che tutti dobbiamo tenere ben presente che quando si tratta del fondo marino – ambienti che sono molto più fragili rispetto a quelli sulla superficie – non possiamo ripetere gli errori commessi in passato.

Come già sottolineato, le specie che vivono sul fondo del mare maturano molto, molto più lentamente, i danni sono molto più complessi da riparare, quindi non possiamo comportarci come in passato. Esorto pertanto la Commissione europea a prestare a questo aspetto la sua massima attenzione.

 
  
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  Pedro Guerreiro, a nome del gruppo GUE/NGL. (PT) Ci congratuliamo con la relatrice per il suo lavoro e appoggiamo in linea di massima il contenuto della relazione, tranne per alcuni punti. Poiché l’obiettivo è garantire uno sfruttamento sostenibile delle risorse, accogliamo con favore il fatto che il testo indichi la necessità di investire nella ricerca in materia di pesca e di destinarvi maggiori risorse umane e finanziare, di adottare adeguate misure socioeconomcihe volte a compensare i pescatori per i costi della riduzione dell’attività legati ai piani di recupero degli stock e di coinvolgere i pescatori della definizione di provvedimenti intesi alla protezione dell’ambiente marino e alla gestione delle risorse. Infine, come affermato, sottolineiamo la necessità di trovare soluzioni diverse e appropriate per specie differenti, tenendo conto degli attrezzi selettivi impiegati in ogni regione.

 
  
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  Carmen Fraga Estévez (PPE-DE). (ES) Signor Presidente, anch’io ritengo che vi siano ampie ragioni per sostenere gli emendamenti presentati per questa relazione, che reputo estremamente valida.

Per quanto attiene al divieto qui discusso da imporre alla pesca a una profondità superiore ai 1 000 metri, la commissione per la pesca lo ha già spiegato con estrema chiarezza in un’altra relazione molto più direttamente collegata agli ecosistemi marini vulnerabili del testo in oggetto, in cui, a grande maggioranza, è stato respinto il collegamento tra profondità ed ecosistemi sensibili.

Gli habitat vulnerabili dovranno essere protetti dove vengono trovati, a prescindere che siano a 1 000, 600 o 200 metri, e non in funzione del fatto che cadano da una parte o dall’altra di una linea artificiale tracciata in un ufficio di Bruxelles.

Questa è anche la dottrina della FAO, che nei suoi lavori preparatori sugli orientamenti relativi alla protezione degli ecosistemi vulnerabili ha deciso di non utilizzare la profondità quale criterio, proprio perché l’ha ritenuto arbitrario, carente in termini di base scientifica e più bizzarro di qualsiasi altro, in quanto, come ho detto, dal momento che non protegge i coralli o le montagne sottomarine che si trovano a una profondità inferiore, cancellerebbe immediatamente dalla mappa le attività di pesca praticate da tempo senza il minimo problema, come nel caso della pesca del pesce sciabola nelle Azzorre o dell’ippoglosso nero nella zona regolamentata dalla NAFO. Sono proprio solo due esempi.

Tuttavia, sostenendo gli emendamenti attribuiremmo maggiore coerenza ai processi legislativi, visto che proprio ora siamo impegnati nell’elaborazione della futura normativa sui rigetti da applicare a tutte le flotte comunitarie.

Pertanto non credo che sia il momento di compromettere certe flotte con regolamenti sui rigetti che potrebbero, in ultima istanza, risultare incoerenti rispetto alle norme generali, il che è contrario al principio di legiferare meglio a vantaggio del pubblico.

 
  
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  Zdzisław Kazimierz Chmielewski (PPE-DE). (PL) Signor Presidente, considerata la particolare natura degli stock e dell’ecosistema marino, la pesca di acque profonde costituisce un microclima unico nel suo genere, un micromondo che rivela in modo più deciso i vantaggi noti della politica della pesca e le sue sempre evidenti carenze.

L’interessante relazione dell’onorevole Miguélez Ramos e la discussione che ne è scaturita equivalgono a una caratteristica dimostrazione, a un’ulteriore giustificazione per comportarsi con umiltà dinanzi ai misteri delle profondità – umiltà, posso aggiungere, che richiede la necessaria compensazione almeno sotto forma di ricerca nei più profondi bacini europei, il cui campo di applicazione viene regolarmente ampliato. Nell’ascoltare le vivaci discussioni parlamentari è difficile non formarsi l’idea che molti centri di ricerca continuino a utilizzare principi schematici e metodologicamente frusti. Risulta che qui si riconoscano tre zone di profondità; fino a 400 metri, dai 400 ai 1 000 metri e oltre i 1 000 metri. Sono persino comparsi i fautori dell’introduzione di rigidi criteri formali di pesca. Per esempio, viene attribuito un qualche significato leggendario alle profondità superiori a 1 000 metri senza che vi sia alcuna ragione assolutamente incontrovertibile che giustifichi tale tesi.

Sono a favore del fatto di cercare altri metodi più efficaci per misurare lo stato degli stock, adatti all’ecosistema di un determinato bacino. I risultati di questa ricerca completa – e non solo dati stimati – dovrebbero costituire la base per limitare la pesca di acque profonde; e non solo questo tipo di pesca. Sono proprio migliori metodi di ricerca che possono offrire le garanzie di un sistema più preciso di quelli impiegati finora per scambiare informazioni e controllare questo importante e delicato segmento della pesca.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la ringrazio e mi congratulo con l’onorevole Miguélez Ramos per l’ottima relazione.

E’ opportuno ricordare che il 70 per cento della superficie del nostro globo è coperto da oceani. Oltre il 97 per cento dell’acqua del nostro pianeta è contenuta negli oceani. Gli oceani forniscono il 99 per cento dello spazio vitale della terra e il pesce rappresenta la più elevata percentuale al mondo del consumo di proteine da parte dell’uomo; 3,5 miliardi di persone dipendono dagli oceani per la loro primaria fonte di alimentazione. Non nuoce ricordarci quanto siano importanti queste discussioni sulla pesca.

La gestione sostenibile dei nostri stock ittici globali deve pertanto essere una priorità e noi dobbiamo riesaminare in modo costante come conduciamo tale gestione. Concordo con la Commissione che occorra nella gestione degli stock ittici di acque profonde si debba optare per un approccio basato sugli ecosistemi; ritengo che agevolerebbe l’impiego di vari approcci e strumenti, l’eliminazione delle pratiche di pesca distruttive e consentirebbe di stabilire zone marine protette nel rispetto del diritto internazionale.

La gestione delle acque d’altura deve anche basarsi sulla migliore ricerca scientifica rivista tra pari, che contemplerà programmi efficaci in merito a catture accessorie e raccolta di dati. Si deve inoltre procedere in via prioritaria a una ricerca efficace intesa alla mappatura del fondo marino e delle risorse naturali degli oceani, soprattutto in considerazione degli impatti del cambiamento climatico.

Sono molto preoccupata per l’attuale mancanza di dati sufficienti per condurre una valutazione scientifica dello stato dei nostri stock di acque profonde. E’ imperativo introdurre un divieto sui rigetti nella pesca di acque profonde, in quanto questo consentirebbe agli scienziati di studiare con maggiore precisione la complessa diversità delle specie da sbarcare.

Non è sufficiente una semplice riduzione dei rigetti, poiché la pesca a strascico in acque d’altura ha un impatto relativamente elevato sulle catture accessorie e sui rigetti. Ritengo che la discussione intorno alla definizione di cosa sia “profondo” sia inutile e sono pienamente d’accordo con la FAO sul fatto di escluderla in quanto è una misura approssimativa, un criterio grossolano molto arbitrario in temrini di sostenibilità delle specie e degli stock ittici.

 
  
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  Joe Borg, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, innanzi tutto desidero ringraziare tutti gli onorevoli deputati per le osservazioni e i suggerimenti, di cui di certo terremo conto quando intraprenderemo il riesame della nostra normativa il prossimo anno.

Mi soffermo ora su alcuni commenti in particolare. Prima di tutto, è estremamente difficile elaborare e fornire una definizione di pesce di acque profonde. Ho tuttavia preso nota delle osservazioni sollevate al riguardo. Dobbiamo apprendere anche dall’esperienza e impiegare i dati su queste specie di acque profonde, che abbiamo cominciato a raccogliere solo in tempi relativamente recenti. Nel frattempo, dobbiamo adottare un approccio precauzionale, considerata la scarsa qualità delle informazioni su tali specie. Il regolamento sulla raccolta dei dati contribuirà senza dubbio a correggere questa situazione.

Convengo sul fatto che queste specie siano molto più vulnerabili e pertanto dobbiamo essere estremamente attenti e cauti nella gestione di questa pesca.

Sui rigetti: come ho avuto modo di dichiarare in precedenza in quest’Aula, si tratta di un tema che prendiamo seriamente, ed è nostra intenzione coprire progressivamente tutte le attività di pesca in merito alla necessaria riduzione dei rigetti.

Riguardo ai due emendamenti, la Commissione intende accogliere l’emendamento n. 2, che mira a ridurre il livello dei rigetti anziché introdurre un divieto completo e generalizzato sin dall’inizio.

Per quanto attiene al primo emendamento, secondo la Commissione il testo originale prevede una maggiore tutela delle attività di pesca e degli habitat sensibili e, in particolare, dispone che le attività di pesca non possano essere praticate in zone oltre i 1 000 metri di profondità

Tuttavia, questo limite verrà riesaminato e, se del caso, corretto entro due anni.

 
  
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  Rosa Miguélez Ramos, relatrice. (ES) Signor Presidente, vorrei sottolineare l’urgente necessità di avere maggiori informazioni e di migliore qualità riguardo a queste specie, soprattutto per quanto riguarda quelle elencate nell’Allegato II, nonché di disporre di più risorse umane e finanziarie per la ricerca. Desidero ricordare che in sede di commissione per la pesca abbiamo tenuto un’audizione in merito e che gli esperti hanno sottolineato che il Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare deve identificare, per ciascuna specie, gli stock che si prestano a uno sfruttamento sostenibile, e hanno chiesto maggiore rigore scientifico nei piani di campionamento, e una maggiore concisione nei dati.

Per quanto riguarda le zone chiuse, per le quali non sono disponibili in effetti dati affidabili, gli esperi hanno consigliato di ridefinire quali zone e farle più piccole, poiché la chiusura di zone il cui sfruttamento è fattibile si tradurrebbe in pratica in un aumento della pesca illegale con maggiore impunità, data la mancanza di interesse delle parti nei confronti della pesca, il che acuirebbe anche la scarsità di data con cui valutare gli stock.

Desidero ricordare all’onorevole Stevenson che il testo degli emendamenti nn. 3 e 4 corrisponde esattamente a quello adottato dalla nostra commissione sulla base della relazione dell’onorevole Schlyter su una politica per ridurre le catture accessorie ed eliminare i rigetti nella pesca europea, senza l’aggiunta di una sola parola o di una virgola.

La parola “divieto” mi fa paura. “Divieto” può confondere, e anche demotivare; e, ovviamente, potrebbe danneggiare non poco i nostri pescatori, che al momento svolgono la loro attività nel miglior modo possibile. La cosa migliore da fare è eliminare e poi introdurre gradualmente il divieto, come proposto dalla Commissione; se non erro, penso che fossero quelle le parole esatte. Vorrei pertanto chiedervi di sostenere gli emendamenti nella votazione di domani. Grazie.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si sovlgerà domani alle 11.00

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Marianne Mikko (PSE), per iscritto. – (ET) Il XX secolo ha portato grandi risultati nel progresso scientifico e tecnologico, ampliando le conoscenze dell’uomo riguardo alla natura a un livello impensabile in precedenza. Nel 1969 l’americano Neil Armstrong è stato il primo uomo a camminare sulla luna; le missioni Voyager, lanciate nel 1977, sono uscite dal sistema solare, il che significa che gli astronomi potranno discutere non solo degli strati più esterni della nostra galassia ma anche della periferia dell’intero universo visibile.

Rispetto alla conquista dei cosmi, si è prestata scarsa attenzione alle profondità degli oceani che misurano solo pochi chilometri.

La normativa che disciplina gli scambi di stock ittici di acque profonde necessita di essere pesantemente rivista. Concorso con la relatrice sull’urgente necessità di destinare maggiori risorse, sia umane che finanziarie, alla ricerca scientifica.

E’ di importanza vitale definire che cosa costituisce una pesca di acque profonde. Al momento si parla di profondità e attrezzi. Gli Stati membri devono, tuttavia, decidere congiuntamente in merito alla sostanza delle definizioni e all’importanza degli accordi.

Desidero richiamare l’attenzione sul paragrafo 8 della relazione, che vieta la pesca a strascico a profondità inferiori a 1 000 metri. Perché dobbiamo prevedere una specifica restrizione riguardo alle profondità? La commercializzazione degli stock e la salvaguardia dell’equilibrio biologico si dovrebbero basare su caratteristiche regionali e accordi internazionali. Se un divieto di pesca a una certa profondità è giustificabile in una data zona, la restrizione dovrebbe essere applicata a tutti gli attrezzi che vengono a contatto con il fondo marino, non solo con le reti a strascico.

Ci occorre un sistema flessibile per gestire gli stock ittici e l’opportunità di reagire in tempi rapidi. Desidero ringraziare la relatrice, che ha attirato l’attenzione sull’inefficacia della legislazione in vigore.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto. – (RO) Il continuo e rapido esaurimento degli stock ittici di acque profonde e le insufficienti misure di protezione della biodiversità delle acque d’altura richiedono interventi urgenti al fine di garantire la conservazione e l’uso sostenibile delle specie ittiche. Anche se le raccomandazioni formulate nel 2002 e nel 2004 dal Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare (CIEM) richiamavano l’attenzione sul fatto che la maggior parte delle specie era al di sotto dei livelli di sicurezza biologica, l’Unione europea non ha ridotto a sufficienza i propri sforzi di pesca al fine di garantire una pesca sostenibile.

La comunicazione della Commissione sulla revisione degli stock ittici di acque profonde conferma che occorre ridurre gli attuali livelli di sfruttamento degli stock di acque profonde e che le misure in vigore non sono state attuate a sufficienza per essere efficaci. Pertanto, prima di adottare nuove azioni di gestione, dobbiamo individuare i motivi per cui le azioni esistenti non vengono attuate e le ragioni dietro al mancato, o al tardivo, rispetto da parte degli Stati membri degli impegni assunti.

Inoltre, l’UE deve compiere sforzi significativi ai fini della completa ed efficace attuazione della Risoluzione 61/105 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle zone di pesca in acque profonde in mare aperto e sulla protezione degli ecosistemi marini vulnerabili.

 

20. Dichiarazione di interessi finanziari: vedasi processo verbale

21. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale

22. Chiusura della seduta
  

(La seduta è tolta alle 23.05)

 
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