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Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 21 maggio 2008 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Benvenuto
 3. Dati scientifici relativi al cambiamento climatico: conclusioni e raccomandazioni in vista dell’adozione di decisioni (discussione)
 4. Relazione 2007 sui progressi compiuti dalla Turchia (discussione)
 5. Tempo delle votazioni
  5.1. Calendario delle tornate del Parlamento europeo – 2009 (votazione)
  5.2. Divieto di esportazione e di stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico (A6-0102/2008, Dimitrios Papadimoulis) (votazione)
  5.3. Tutela penale dell’ambiente (A6-0154/2008, Hartmut Nassauer) (votazione)
  5.4. Inchiesta sulla struttura delle aziende agricole e sui metodi di produzione agricola (A6-0061/2008, Gábor Harangozó) (votazione)
  5.5. Condizioni da osservare per esercitare l’attività di trasportatore su strada (A6-0087/2008, Silvia-Adriana Ţicău) (votazione)
  5.6. Accesso al mercato di servizi di trasporto effettuati con autobus (rifusione) (A6-0037/2008, Mathieu Grosch) (votazione)
  5.7. Accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada (rifusione) (A6-0038/2008, Mathieu Grosch) (votazione)
  5.8. Servizi mobili via satellite (A6-0077/2008, Fiona Hall) (votazione)
  5.9. Semplificazione del contesto in cui operano le imprese in materia di diritto societario, contabilità e revisione contabile (A6-0101/2008, Klaus-Heiner Lehne) (votazione)
  5.10. Donne e scienza (A6-0165/2008, Britta Thomsen) (votazione)
  5.11. Libro verde su una migliore demolizione delle navi (A6-0156/2008, Johannes Blokland) (votazione)
  5.12. Dati scientifici relativi al cambiamento climatico: conclusioni e raccomandazioni in vista dell’adozione di decisioni (A6-0136/2008, Karl-Heinz Florenz) (votazione)
  5.13. Relazione 2007 sui progressi compiuti dalla Turchia (A6-0168/2008, Ria Oomen-Ruijten) (votazione)
 6. Malattie reumatiche (dichiarazione scritta): vedasi processo verbale
 7. Dichiarazioni di voto
 8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 9. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 10. Tragica situazione in Birmania (discussione)
 11. Catastrofe naturale in Cina (discussione)
 12. Trattato globale sul bando delle armi all’uranio (discussione)
 13. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
 14. Verifica dei poteri: vedasi processo verbale
 15. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 16. Esame intermedio della politica industriale - Un contributo alla strategia dell’UE per la crescita e l’occupazione (discussione)
 17. REACH (Progetto di regolamento sui metodi di prova) (discussione)
 18. Nuova strategia per la salute degli animali nell’Unione europea (2007-2013) (discussione)
 19. Strategia per la terza riunione delle parti alla Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (discussione)
 20. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 21. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING
Presidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta è aperta alle 9.05)

 

2. Benvenuto
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  Presidente. − Onorevoli colleghi, porgo il benvenuto qui al Parlamento europeo alla delegazione del Congresso messicano, guidata dal senatore Guadarrama, che ci segue dalla tribuna degli ospiti ufficiali, e le auguro a nome di tutti noi un proficuo lavoro e un piacevole soggiorno al Parlamento europeo.

(Applausi)

Oggi la delegazione partecipa alla sesta riunione della commissione parlamentare congiunta UE-Messico. Il Messico è un partner importante dell’Unione europea e questa riunione si svolge in un momento rilevante delle relazioni tra il Messico e l’UE. Il Vertice di Lima dello scorso fine settimana ha dimostrato che abbiamo molti interessi comuni. Ho altresì avuto l’opportunità di parlare con il vostro presidente, Felipe Calderón.

Questo pomeriggio, la commissione parlamentare congiunta affronterà anche il tema del cambiamento climatico, e sono pertanto certo che seguirete con interesse questa discussione in plenaria. Auguro ai nostri amici e colleghi messicani un proficuo soggiorno a Strasburgo.

 

3. Dati scientifici relativi al cambiamento climatico: conclusioni e raccomandazioni in vista dell’adozione di decisioni (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione interlocutoria dell’onorevole Karl-Heinz Florenz, sui dati scientifici relativi al cambiamento climatico: conclusioni e raccomandazioni in vista dell’adozione di decisioni [2008/2001(INI)] (A6-0136/2008).

 
  
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  Karl-Heinz Florenz, relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, benvenuti al Parlamento europeo. Che cosa ha spinto l’Unione europea a istituire una commissione temporanea sul cambiamento climatico? E’ stato il giusto approccio per presentare una visione generale di come noi, l’Unione europea, intendiamo trattare la questione. Se vogliamo contribuire a livello internazionale a garantire che tale questione sia mantenuta all’ordine del giorno – come fa con successo Stavros Dimas in Commissione – in quanto Unione europea, in quanto Parlamento, dobbiamo illustrare qual è la nostra idea; in altre parole, dobbiamo dire qual è il nostro biglietto da visita in merito a tale questione. Da ultimo, l’Europa deve mostrare come stiamo trattando tale questione e quale approccio stiamo adottando al fine di incoraggiare altri paesi e continenti ad andare con noi nella stessa direzione. Ecco perché è importante iniziare dagli aspetti scientifici di questa discussione ed è ciò di cui parliamo oggi.

Concentrandoci su tale aspetto non produrremo mai una relazione allettante, perché tratterebbe semplicemente dello status quo. Non è una questione di negoziati: dare un po’ di qua, prendere un po’ di là. Si tratta di concentrarsi sui fatti. Abbiamo raccolto tali fatti in numerose strategie tematiche, durante le quali abbiamo invitato a Bruxelles e a Strasburgo due vincitori del Premo Nobel. Signor Presidente, ha organizzato un ottimo evento e ha tenuto un discorso molto significativo sul cambiamento climatico, che dal mio punto di vista è stato estremamente gratificante e che mi ha incoraggiato a raddoppiare i miei sforzi.

Abbiamo ascoltato le opinioni di numerosi esperti provenienti da organismi internazionali di tutto il mondo, sotto l’eccellente presidenza del mio buon amico Guido Sacconi, che ha gestito le questioni ottimamente. Abbiamo anche potuto invitare alcuni critici, sebbene purtroppo non siano venuti tutti, perché non vogliono che le loro critiche siano oggetto del controllo internazionale. Esprimere critiche per iscritto senza volere che siano oggetto di un controllo formale difficilmente è una condotta eroica. Avrei accolto con favore la presenza di almeno uno o due critici desiderosi di affrontare il dibattito internazionale.

Abbiamo letto molti documenti eccellenti. E’ stato coinvolto il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) e abbiamo altresì consultato l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, la conferenza sul clima della Repubblica federale di Germania e molti altri, con il risultato che ora abbiamo di fronte i fatti. Non si tratta di una sorta di documento aggressivo, come alcuni dei miei onorevoli colleghi hanno a volte affermato; si tratta di una relazione sullo status che costituisce una base su cui determinare come dovremmo procedere in futuro. Gli argomenti mostrano chiaramente che vi è un’opinione scientifica diffusa in base alla quale possiamo ora procedere con il nostro lavoro. Vi è un consenso su come valutare l’influenza antropogenica; questo punto è trattato all’articolo 3. Disponiamo di informazioni sufficienti per affermare che è importante l’obiettivo di limitare in futuro l’aumento medio della temperatura a livello globale di non più di 2°C rispetto ai livelli preindustriali.

Cosa dobbiamo fare in futuro allora? In Europa, dobbiamo raccogliere l’energia di cui disponiamo per una nuova terza rivoluzione industriale basata sui tre pilastri di sostenibilità, e, nella fattispecie, sostenibilità produttiva, dimensione sociale e certamente dimensione economica. Non si tratta di un fardello, bensì di un’enorme opportunità che dobbiamo sviluppare ulteriormente così come la nostra visione.

Una cosa è certa: il dibattito sul clima costituisce solo una parte minima del nostro problema. Dobbiamo impegnarci in un dibattito sulla sostenibilità. Il fatto che in soli 500 anni stiamo sperperando riserve energetiche per la cui formazione sono occorsi milioni di anni e che non abbiamo assolutamente alcuna risposta alla domanda su come i nostri figli, e i figli dei nostri figli, saranno in grado di sviluppare in futuro le loro fonti di energia.

Questa è la grande opportunità. Abbiamo bisogno del coraggio di essere creativi. L’età della pietra non si è conclusa perché non c’erano più pietre. Lasciatemi dire che l’età della pietra è finita, fortunatamente, perché noi politici abbiamo avuto coraggio: il coraggio di cogliere il futuro, il coraggio per i nostri figli e il coraggio per questo nostro pianeta.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. − La ringrazio molto, onorevole Florenz, anche per le cordiali parole che ha rivolto al Presidente. E’ più un’eccezione che una regola che questo genere di sentimenti venga espresso. Dato che il mio ruolo qui è di essere obiettivo e neutrale, mi tratterrò dal constatare che le lodi tendono a essere molto poche, in particolare dalla propria famiglia politica. Ciò che è accaduto questa mattina è stato di conseguenza un fatto eccezionale!

 
  
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  Janez Podobnik, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Signor Presidente, onorevole Florenz, onorevoli deputati, è ora disponibile la prova che l’uomo è corresponsabile dei grandi cambiamenti subiti dal sistema climatico e che tali cambiamenti hanno già avuto un impatto negativo sulla natura e sulla società umana. E’ altresì certo che, se non agiamo prontamente e non riduciamo in modo considerevole le emissioni di gas a effetto serra nel corso di questo secolo, la temperatura globale continuerà ad aumentare, portando a danni e disagi generali.

Il quarto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, pubblicata in Spagna nel novembre 2007, a oggi rappresenta la valutazione scientifica sul cambiamento climatico più completa e credibile. Il rapporto dichiara che non vi sono dubbi in merito al fatto che il sistema climatico si stia riscaldando e che l’aumento della temperatura media globale nel corso degli ultimi 50 anni sia stata causata molto probabilmente dalla concentrazione antropogenica dei gas a effetto serra.

Le relazioni di valutazione sulla situazione pubblicate dall’IPCC dal 1990 mostrano che la scienza del cambiamento climatico e delle conseguenze a esso relative hanno compiuto considerevoli passi avanti nel corso degli ultimi anni, il che può essere attribuito a diversi fattori: la prova sempre crescente del noto cambiamento climatico, il duro lavoro degli scienziati e la migliore disseminazione delle scoperte scientifiche.

Com’è stato affermato nella relazione interlocutoria dell’onorevole Florenz, che a nostro avviso mette in evidenza alcune nuove formulazioni estremamente importanti in merito ai problemi odierni descritti di cui siamo a conoscenza, la situazione è sufficiente a giustificare l’immediata creazione e attuazione di politiche volte a contribuire alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Come tutti noi sappiamo, questo è il motivo per cui, a marzo dello scorso anno, i capi di Stato e di governo europei hanno deciso di inviare un messaggio risoluto alla comunità internazionale, con impegni relativi alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

L’Unione europea è determinata a rispettare tali impegni con un approccio integrato al clima e alla politica energetica. In secondo luogo, dedicherà particolare attenzione all’efficienza energetica, alle fonti rinnovabili di energia, ai biocarburanti, alla cattura e allo stoccaggio del biossido di carbonio e in generale alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

Desidero altresì ricordarvi, onorevoli deputati, le ultime decisioni del Consiglio europeo. Come ho già accennato, lo scorso anno l’Unione europea ha adottato impegni risoluti e su vasta scala relativi al clima e alla politica energetica. Oggi, nel 2008, è tempo di agire.

Alla Conferenza sul cambiamento climatico, tenutasi a Bali nel dicembre dello scorso anno, è stato compiuto un importante passo avanti con l’avvio di un processo di negoziati internazionali, che coinvolge tutti, i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Tale processo è stato delineato nel piano d’azione di Bali. L’Unione europea è determinata a continuare a mantenere il suo ruolo di leader a livello internazionale nell’ambito del cambiamento climatico e dell’energia e a conservare l’impeto necessario ai negoziati nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite, in particolare in occasione di una delle sue sessioni di quest’anno a Poznań. L’obiettivo è garantire che, a Copenaghen nel 2009, venga raggiunto un accordo integrato, globale e ambizioso sul cambiamento climatico per il periodo successivo al 2012, il che sarà in linea con gli obiettivi dell’Unione europea, per i quali la temperatura globale non deve aumentare di più di due gradi. L’UE contribuirà anche in modo considerevole in merito a questo punto, rispettando gli obiettivi definiti in occasione dell’incontro del Consiglio europeo di primavera del 2007.

La sfida principale è che la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio sicura e sostenibile sia condotta in modo tale da essere in linea con lo sviluppo sostenibile dell’Unione europea, la sua competitività, un affidabile approvvigionamento energetico, sicurezza alimentare e finanze pubbliche sane e sostenibili.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. − (EL) Signor Presidente, onorevoli deputati, grazie per l’opportunità che mi avete concesso oggi di discutere la relazione interlocutoria della commissione temporanea sul cambiamento climatico, presentata dall’onorevole Florenz. Mi congratulo con lui per l’eccellente lavoro svolto.

La relazione conferma l’appoggio del Parlamento europeo a un’ambiziosa politica comunitaria sulla lotta al cambiamento climatico. Mi lasci cogliere quest’opportunità, signor Presidente, per ringraziare tutti i membri del Parlamento europeo per il loro continuo appoggio e contributo vitale volti alla promozione della nostra politica climatica, sensibilizzando l’opinione pubblica e informando i membri del parlamento di altri paesi. Signor Presidente, desidero anche far notare l’importante ruolo che ha giocato nel promuovere la politica dell’UE sul cambiamento climatico. Sono certo che lei e i membri del Parlamento europeo continuerete con lo stesso impegno, così che, nei due brevi anni che abbiamo davanti, potremo raggiungere un accordo a Copenaghen entro la fine del 2009. Saremo pertanto in grado di trattare con efficacia questa grave minaccia per il pianeta. Sia nell’UE, in cui si intensificano le discussioni sul pacchetto di misure in materia di clima ed energia, che nei negoziati internazionali, dobbiamo riunire tutte le nostre risorse e cooperare il meglio possibile. Dobbiamo fare uso del vantaggio acquisito dell’UE, tenendo presente la Conferenza di Copenaghen del dicembre 2009.

Due fattori ci hanno aiutato a giungere alle importanti decisioni prese a Bali: la posizione dell’Europa, in quando leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico, e le scoperte scientifiche del Gruppo di lavoro intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC). Grazie a tali scoperte, molti leader mondiali hanno riconosciuto che vi è effettivamente la necessità urgente di intraprendere misure. Tale serie di relazioni scientifiche ha ora permesso ai cittadini e ai leader politici, tra cui i membri di diversi paesi, di comprendere meglio le dimensioni di tale sfida e i seri pericoli che affrontiamo, se non interveniamo per arrestare il cambiamento climatico. Ritengo che quasi tutti concordiamo sul fatto che è stata indubbiamente scientificamente provata la necessità di misure urgenti e coraggiose per la lotta al cambiamento climatico. Tali misure sono riassunte nella relazione interlocutoria che abbiamo dinnanzi, che fa capire in modo più chiaro che mai il messaggio scientifico lanciato nel 2007 dall’IPCC e da altre fonti.

Il dibattito scientifico sul fatto che il cambiamento climatico sia causato dall’attività umana o meno è durato per decenni a causa dello scetticismo, che ha impedito di prendere misure decisive. Ora il dibattito si è concluso. Ciò non significa che è stata data una risposta a tutte le domande o che abbiamo compreso ogni dettaglio; ma ora sappiamo abbastanza per concludere che è nel nostro interesse la rapida adozione di misure ambiziose, in termini di sicurezza energetica e in termini sociali, ambientali ed economici. Non solo non ci possiamo permettere il lusso di aspettare, ma, peggio ancora, il tempo di cui disponiamo è molto limitato. Se dobbiamo limitare il riscaldamento globale a 2°C, limite al di sopra del quale perdiamo la capacità di arginare o di invertire il suo impatto ambientale, le emissioni di gas a effetto serra raggiungeranno il culmine entro i prossimi 10 o 15 anni al massimo.

Per darci una buona possibilità di non superare i 2°C, sul lungo periodo, è necessario che nel 2050 le emissioni globali siano ridotte al 50 per cento dei loro livelli nel 1999. Al fine di ottenere tale risultato, è necessario un cambiamento radicale nel modo in cui produciamo e utilizziamo l’energia. Vi deve essere una transizione mondiale a un’economica a basse emissioni di CO2, e sono necessari cambiamenti piccoli, ma significativi, in molti aspetti della nostra vita quotidiana. Quello di cui abbiamo bisogno non è altro che una rivoluzione verde.

Le relazioni dell’IPCC hanno palesato che alcuni effetti gravi del cambiamento climatico sono probabilmente inevitabili, persino con misure ambiziose volte a ridurre le emissioni. La comunità internazionale deve pertanto essere pronta a farvi fronte. Per tale ragione, sarà necessario un supporto, in particolare ai più vulnerabili tra i paesi in via di sviluppo, che affronteranno i problemi più gravi.

Passo ora ai negoziati dell’ONU. Sappiamo di avere a disposizione poco tempo, dato che la nostra principale priorità è ottenere un accordo a Copenhagen nel 2009. La firma di un accordo sostanziale e completo, che soddisfi gli obiettivi fissati dalle scoperte scientifiche costituisce una sfida considerevole. Persuadere i nostri partner internazionali a sottoscrivere tale ambizioso accordo è un nostro obiettivo e richiederà uno sforzo titanico. L’UE deve pertanto restare fedele alla sua strategia fino ad oggi apprezzabile, il che significa che dobbiamo raggiungere risultati positivi a casa e mostrare ai nostri partner internazionali all’estero che l’adozione di misure ambiziose non è né contraria ai loro interessi, né di ostacolo al loro sviluppo economico.

A tal proposito, una delle nostre sfide sarà garantire la partecipazione dei paesi sviluppati a uno sforzo volto a ridurre le emissioni ai livelli corrispondenti all’obiettivo di 2°C, il che corrisponde a una riduzione, entro il 2020, del 25-40 per cento delle loro emissioni rispetto al livello di queste ultime nel 1990. Non fatemi girare intorno alla questione. Esortiamo gli Stati Uniti a lanciare la sfida; anziché ostacolare il progresso, lo devono incoraggiare. Come si sarà reso conto nel corso della sua recente visita negli Stati Uniti, laggiù le discussioni in corso hanno iniziato a muoversi nella giusta direzione, ma ovviamente da parte loro ci aspettiamo ancora molto di più.

Oltre a lavorare con i paesi sviluppati, dobbiamo anche lavorare per realizzare impegni ambiziosi in merito alla riduzione delle emissioni da parte dei paesi in via di sviluppo, in particolare da parte di quelli più avanzati. Vi sono molte possibilità per ridurre le emissioni; tali possibilità comportano significativi vantaggi ulteriori per la sicurezza energetica, la salute umana e lo sviluppo in generale. Le misure in tale direzione devono essere fornite dal prossimo accordo del 2009 e in esso appoggiate. Anche a tal proposito, ritengo che le cose stiano andando nella giusta direzione. Vi è maggiore consapevolezza della necessità di intraprendere azioni per combattere il cambiamento climatico. Al contempo, stanno altresì diventando evidenti vantaggi ulteriori in relazione alla salvaguardia o dell’energia, o della salute umana, o dello sviluppo economico, che non solo saranno salvaguardati, ma, probabilmente, ne beneficeranno.

La recente visita dei rappresentanti della Commissione in Cina ha confermato che la nostra controparte è pienamente consapevole del suo obbligo pressante di attuare misure interne. Ha già iniziato ad attuarle e intende continuare i suoi sforzi. Dobbiamo appoggiarla bilateralmente e multilateralmente. Avremo molte opportunità durante i mesi a venire e il prossimo anno per far comprendere il nostro messaggio. Ad esempio, vi sarà la Conferenza del G8 e del G8+5, per cui la presidenza giapponese si sta concentrando sul cambiamento climatico. Ulteriori opportunità arriveranno con l’iniziativa sotto l’egida dell’ONU per le economie leader a livello mondiale e per i diversi programmi di cooperazione bilaterale dell’UE sul cambiamento climatico. Faremo uso di tutte queste opportunità. Persuaderemo i nostri partner del fatto che vanno prese misure urgenti e che vanno programmate politiche solide e fattibili in materia di energia e di cambiamento climatico. Nei nostri tentativi dobbiamo evidenziare sistematicamente le scoperte scientifiche alla base delle nostre azioni; dobbiamo continuare a riferirci alla passata mancanza di azione o alle misure inadeguate.

Come sappiamo, la visione condivisa deve essere oggetto di negoziati nel quadro della tabella di marcia di Bali. E’ molto importante che tale visione sia negoziata sulla base delle autorevoli opinioni scientifiche di cui disponiamo. Dobbiamo insistere sul fatto che i negoziati siano condotti alla luce delle scoperte scientifiche. Sono fiducioso che insieme abbiate un importante ruolo da svolgere, proprio come la Commissione, nel far comprendere questo messaggio ai nostri partner, ai nostri cittadini e ai loro rappresentanti parlamentari.

 
  
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  Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, mi scuso per il ritardo, ma ho cercato di contenere la velocità in modo tale da rispettare il clima.

La discussione principale di oggi riguarda i dati scientifici relativi al cambiamento climatico. Desidero innanzi tutto ringraziare il mio collega Karl-Heinz Florenz per l’eccezionale lavoro compiuto e la sua costante devozione a questo tema.

Onorevoli colleghi, è stata ora stabilita una conoscenza scientifica sul cambiamento climatico. Secondo una maggioranza degli esperti in materia, non possiamo più avere alcun dubbio in merito al fatto che il riscaldamento globale sia ormai una realtà e che sia in gran parte dovuto alle attività umane. Qualche dissidente mette in questione la realtà di tale fenomeno, senza offrire alcuna prova effettiva. La relazione interlocutoria della nostra commissione temporanea sul cambiamento climatico costituisce la prima fase di un processo che porterà alla ricerca di soluzioni.

Quasi tutti noi concordiamo che l’aumento della temperatura mondiale deve limitarsi a due gradi al di sopra dei livelli preindustriali, tenendo presente al contempo che in effetti si deve mirare a un aumento inferiore ai due gradi. Il dibattito sul cambiamento climatico non può, tuttavia, essere ridotto a una battaglia di statistiche. Quando parliamo di clima, menzioniamo lo scioglimento della calotta artica, la desertificazione, il riscaldamento globale, lo spostamento di specie animali e soprattutto fenomeni che potrebbero avere conseguenze catastrofiche in termini di spostamenti umani.

Si tratta di una sfida importante per l’umanità nel suo insieme. Le regioni colpite più duramente saranno i paesi più poveri di Africa, Asia e America centrale e latina, dove si prevede una migrazione ambientale. Con il manifestarsi di condizioni climatiche estreme si prevede la comparsa di un nuovo tipo di rifugiato. Non si tratterà più di rifugiati politici o migranti economici; saranno rifugiati climatici. Vi è altresì il rischio di una crisi alimentare, dato che vi saranno meno terre coltivabili. Quando le scorte di acqua potabile scarseggeranno, aumenteranno le tensioni e potrebbero scoppiare delle guerre per il controllo delle risorse.

Abbiamo un’enorme responsabilità a tal proposito. Non si tratta più della questione di mettere in discussione il fenomeno del cambiamento climatico, bensì per tutti noi di collaborare per trovare delle soluzioni e attuarle. Anche il pacchetto relativo a interventi per il clima e alle energie rinnovabili presentato a gennaio dalla Commissione è ora oggetto di discussione da parte della commissione parlamentare per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare e della commissione parlamentare per l’industria, la ricerca e l’energia: il sistema per lo scambio di quote di emissioni, la ripartizione degli oneri climatici, la cattura e lo stoccaggio di biossido di carbonio e le energie rinnovabili.

I membri del nostro gruppo PPE-DE in tali commissioni e il gruppo PPE nel suo insieme sono estremamente coinvolti. Ci aspettiamo molte discussioni di questo tipo e siamo determinati a collaborare al fine di trovare un compromesso in prima lettura. E’ fondamentale che il Parlamento e il Consiglio giungano a un accordo prima delle elezioni europee.

Onorevoli colleghi, l’Unione europea si è assunta il ruolo di leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico nei confronti dei suoi partner internazionali e deve continuare a mantenerlo. Se non prendiamo sul serio il nostro ruolo di incoraggiare gli USA e altri paesi, quali la Cina e l’India, come ha detto lei, signor Commissario, a unirsi a noi nella lotta al cambiamento climatico, allora chi lo farà?

Alla Conferenza mondiale di Poznań del dicembre 2008, che darà forma all’accordo che ci auguriamo di sottoscrivere a Copenaghen nel dicembre 2009, l’Europa dovrà essere unita e pienamente operativa. Si tratta di una sfida globale, ma l’Europa ha il potere di riuscire a persuadere i suoi partner a unirsi alla sua lotta e abbiamo il dovere di preparare il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti.

 
  
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  Martin Schulz, a nome gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, il gruppo socialista ha proposto che fosse istituita la commissione temporanea sul cambiamento climatico e quando abbiamo avanzato tale proposta eravamo più convinti che mai di trovarci in una fase decisiva in termini di politica europea e senza dubbio internazionale, poiché ciò che ci aspettiamo da tale commissione è che assolva un compito erculeo e non solo qui in quest’Assemblea.

Le questioni di cui si sta occupando costituiscono – e va detto – un compito monumentale: un compito, come si dice da noi in Germania, per un intero secolo. Si tratta senza dubbio di questioni che devono essere risolte in questo secolo, perché se non lo facciamo, le future generazioni perderanno irrevocabilmente molto. Accolgo pertanto con favore il fatto che il presente dibattito abbia svelato tra i membri di quest’Assemblea un consenso molto forte a compiere sforzi enormi al fine di dominare le sfide che abbiamo di fronte.

Desidero pertanto unirmi ai ringraziamenti rivolti a Karl-Heinz Florenz che, come membro di un gruppo parlamentare diverso ma nelle sue funzioni di relatore, ha presentato una relazione di cui noi, come gruppo socialista, appoggiamo senza dubbio i contenuti. Sono grato anche per il fatto che, insieme all’onorevole Karl-Heinz Florenz e al mio collega Guido Sacconi, vi siano due persone appartenenti a quest’Assemblea alla guida della commissione, il che a mio avviso costituisce un segnale positivo in merito al fatto che siamo in grado di raggiungere un risultato sulla base del consenso. Vi sono così tante questioni che richiedono il consenso: la questione che a mio avviso verrà senza dubbio sollevata è se saremo ancora in grado di collaborare quando si tratterà di questioni essenziali riguardanti la direzione politica che dovremo seguire, nonché quando inizieremo ad affrontare punti specifici.

Desidero pertanto sottolineare due o tre linee di frattura di cui ci dovremo occupare. Non voglio entrare nei dettagli della relazione interlocutoria, che ritengo sia eccellente; desidero soltanto attirare la vostra attenzione su un esempio. Qualche anno fa eravamo tutti molto entusiasti quando abbiamo detto che, riducendo le emissioni di CO2, intendevamo allontanarci dal petrolio e avvicinarci alle fonti rinnovabili. Abbiamo detto che la risposta erano i biocarburanti, ma all’epoca nessuno si è reso conto che l’utilizzo massiccio di terreni agricoli per la coltivazioni di colture energetiche avrebbe portato a una carenza di terreni agricoli per le colture alimentari.

Quando qualche anno fa, in Messico, vi sono stati dei disordini, quando all’improvviso non c’era più disponibilità di farina di mais o i prezzi erano aumentati drasticamente, noi – o per lo meno io – non abbiamo collegato subito le cose. Oggi sappiamo che dobbiamo risolvere problemi energetici e climatici, ma anche combattere la fame nel mondo. Dobbiamo riconciliare questi due aspetti e questa è solo una piccola indicazione del fatto che stiamo affrontando un compito interdisciplinare, che ci imporrà di dimostrare una risolutezza considerevole, ivi compresa la risolutezza nel fare compromessi, tra cui cui anche compromessi altrove.

L’Europa è un continente industriale. Le strutture industriali che sono state istituite nel corso di 50 o 60 anni sono state responsabili dei danni causati al clima. E’ necessario un cambio di direzione, ma tutti noi dobbiamo riconoscere che non si possono cambiare nel giro di due settimane mediante una risoluzione parlamentare strutture industriali che sono state istituite nel corso di 50 o 60 anni. Anche per fare questo occorre tempo e a tal proposito dovremo trovare il giusto compromesso tra gli obiettivi estremamente ambiziosi che ci stiamo dando.

Il Commissario Dimas ha ragione; non abbiamo tempo da perdere. Dobbiamo trovare un giusto compromesso tra tali obiettivi ambiziosi, da un lato, e quello che è fattibile, in termini di cambio di direzione, dall’altro. Entrambi tali aspetti sono estremamente importanti ed entrambi necessitano di un approccio razionale finalizzato a un compromesso. Accolgo pertanto con favore il fatto che la Presidenza francese abbia affermato di essere intenzionata a tentare di produrre un risultato entro la fine dell’anno. Se abbiamo la stessa volontà di trovare un compromesso e se il grado di impegno in seno al Consiglio sarà lo stesso che è evidente qui in Parlamento, allora ho motivo di essere ottimista. Tuttavia, se osserviamo la medesima posizione tattica in seno al Consiglio, come osserviamo sempre in questa specifica istituzione, allora perderemo tempo.

Ho l’impressione che sia il Parlamento che la Commissione dimostrino grande disponibilità. Se anche il Consiglio dimostrerà la stessa disponibilità e se tutte e tre le istituzioni collaboreranno, allora potremo ottenere, prima delle elezioni europee, quanto affermato dall’onorevole Daul, e cioè informare il grande pubblico che i capi di Stato e di governo concordano sulle linee generali della politica, mentre il Parlamento europeo esegue il lavoro nel dettaglio. Si tratta di una divisione del lavoro abituale, che alla fine sarà poi effettivamente visibile.

(Applausi)

 
  
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  Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, non è un fatto negativo se la relazione interlocutoria della nostra commissione per il cambiamento climatico non fa nulla di più che dichiarare l’ovvio, poiché conferma, nero su bianco, ciò che la maggior parte di noi ha riconosciuto da tempo. La scienza del cambiamento climatico è inconfutabile. I ghiacci perenni e le calotte polari si stanno sciogliendo, i livelli del mare e le temperature si stanno alzando, in gran parte a causa dell’attività umana. Una mancanza di azione in questo momento significa che l’umanità si lancerà verso uno strapiombo da cui non c’è ritorno.

Le scadenze per la politica climatica non sono fissate né dall’Unione europea né dalla comunità internazionale: sono fissate dalla natura. Il risultato finale è che – nonostante gli impegni di Kyoto – le emissioni di gas a effetto serra stanno aumentando più rapidamente che mai, fino a un quarto dal 1990. Alcuni scienziati affermano che le concentrazioni di CO2 sono già andate troppo oltre. Tutti concordano sul fatto che la finestra aperta, che rappresenta l’opportunità a nostra disposizione al fine di stabilizzare le emissioni e limitare l’aumento della temperatura a due gradi al di sopra dei livelli preindustriali, si chiuderà tra sette anni.

Le democrazie sono guidate da una direzione in crisi. Spesso non vengono affrontati problemi gravi finché non è necessario farvi fronte e, come ha messo in evidenza l’onorevole Karl-Heinz Florenz nella sua eccellente relazione, è necessario tagliare le emissioni di gas a effetto serra non del 20 per cento, ma possibilmente fino al 40 per cento, in base all’accordo che si potrà raggiungere con i paesi terzi in occasione dei colloqui di Copenhagen del prossimo anno.

Vi sono segnali positivi dagli altri principali responsabili delle emissioni, la Cina e gli USA. Pechino ha dimostrato una ritrovata volontà di negoziare in occasione del vertice ONU di Bali e tutti i tre candidati presidenziali americani si impegnano ad affrontare il cambiamento climatico. Ciò che dobbiamo fare – in assenza di ulteriori prove e con le risorse a portata di mano – è approvare il pacchetto sul cambiamento climatico della Commissione. Plaudo al lavoro svolto in quest’ambito dai miei colleghi Lena Ek, Chris Davis e Vittorio Prodi.

Dobbiamo altresì raddoppiare i nostri sforzi al fine di promuovere l’energia pulita – è la cosa assurda è che sappiamo come. Generare energia dal sole del deserto per integrare le fonti di energia rinnovabile qui in Europa potrebbe accelerare il processo volto a ridurre le emissioni di CO2 in un sol colpo. Infatti, studi satellitari condotti del Centro aerospaziale tedesco ci hanno dimostrato che, utilizzando meno dello 0,3 per cento dell’area desertica del Medio Oriente e del Nord Africa, è possibile generare corrente ad alta tensione sufficiente a far fronte alla domanda attuale e futura di Europa, Medio Oriente e Nord Africa. Non ci vuole una scienza. Lo si fa da 20 anni in California. In Spagna e in Marocco si stanno costruendo impianti per fare altrettanto.

Se potessimo fare appello a grinta e determinazione, a coraggio e risolutezza, potremmo abbandonare il petrolio e al contempo fornire posti di lavoro, acqua potabile e migliori infrastrutture a coloro che subiscono maggiormente il cambiamento climatico. Potremmo combatterlo senza dover spegnere le luci.

Il nostro scopo deve essere investire in maniera efficace il denaro europeo, investirlo nel generare energia solare termica ad alta tensione e investire il capitale politico nelle relazioni umane in tutto il Mar Mediterraneo per renderlo possibile. Non potremmo trovare un argomento migliore da usare nei negoziati con l’ONU al fine di ottenere un accordo internazionale innovativo a Copenaghen.

(Applausi)

 
  
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  Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, desidero esprimere i miei ringraziamenti all’onorevole Karl-Heinz Florenz per l’ottima collaborazione nella commissione temporanea sul cambiamento climatico. Se prendiamo la relazione Florenz e diciamo: “Questa è la situazione del dibattito sulla politica climatica nel Parlamento europeo”, potremmo concludere che qui, tra i membri del Parlamento europeo, c’è un “clima” meraviglioso, non fosse per il fatto che – come la Banda Bassotti dei famosi fumetti – nello stesso luogo al contempo venga portata avanti un’agenda molto diversa!

Purtroppo, parallelamente alla commissione temporanea sul cambiamento climatico, la politica climatica viene portata avanti anche in altre commissioni del Parlamento europeo: nella commissione per l’industria, nella commissione per l’ambiente e nella commissione per lo sviluppo. In tali commissioni i nostri colleghi spesso giungono a risultati molto diversi; non giungono alla conclusione che ci troviamo all’alba della rivoluzione “verde”, di una seconda o terza rivoluzione industriale.

Prendiamo come esempio solo la controversia sulla regolamentazione delle emissioni di CO2 dei veicoli a motore. Al momento quanto è stato avanzato in tale contesto dall’onorevole Langen, il relatore della commissione per l’industria, non ha nulla a che vedere con l’ambiziosa politica climatica o con lo sforzo di garantire sicurezza energetica attraverso tecnologie efficienti, che è quanto stiamo pretendendo dalle industrie automobilistiche in Europa. Questo nuovo ambizioso inizio difeso dal Commissario Dimas è stato costantemente bloccato da diverse maggioranze del Parlamento europeo nel corso dell’ultimo anno e mezzo.

Mi piacerebbe sapere cos’è accaduto allo spirito del più ambio dibattito sul clima in merito a tale controversia sulle automobili. Su questo punto, non è il mio gruppo che dovrebbe mettersi una mano sulla coscienza; coloro che stanno ponendo dei freni in proposito sono distribuiti tra tutti gli altri gruppi di quest’Assemblea.

Lasciatemi fare un’altra constatazione: lo scambio di quote costituirà una questione importante a Poznań e a Copenhagen. La Commissione dovrebbe garantire il conseguimento di una riduzione del 20 per cento in Europa. Questa era la proposta fatta da Angela Merkel, quando la Germania ha esercitato la Presidenza del Consiglio, eppure non appena la Commissione presenta la sua proposta in merito allo scambio di quote, i membri entrano ancora una volta in azione come il braccio parlamentare della lobby dell’industria europea, con il risultato che i negoziati si concentrano non sul raggiungimento di obiettivi di riduzione ambiziosi, ma sull’ottenimento di esenzioni ancor prima che siano state stabilite le regole.

La relazione dell’onorevole Florenz è buona. Resta il fatto, tuttavia, che quanto votiamo oggi non ha nulla a che vedere con la realtà della politica climatica del Parlamento europeo.

 
  
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  Liam Aylward, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, anch’io desidero unirmi alle congratulazioni rivolte all’onorevole Florenz e sottolineare quanto siamo fortunati ad avere un uomo delle sue capacità alla guida del presente dibattito e fargli i miei complimenti per quanto ha prodotto fino a oggi. In questa istituzione siamo spesso accusati di essere distanti, di non essere a contatto con i nostri cittadini, ma in questo caso l’UE sta lavorando per loro. Non è una coincidenza che il 95 per cento dei cittadini europei creda nell’importanza di proteggere il nostro ambiente e che più di due terzi ritenga che le politiche volte ad affrontare il cambiamento climatico debbano essere avviate a livello europeo.

Proprio come qualsiasi altro paese, il mio paese, che è una piccola isola, non può risolvere o far fronte da solo al cambiamento climatico. Nel trattato di riforma, che nel mio paese al momento costituisce un importante argomento di dibattito, l’Unione europea ha posto l’accento su misure che vedranno i 27 Stati membri uniti nella lotta al cambiamento climatico. L’Unione europea faciliterà in modo costruttivo il passo avanti costituito dall’accordo ONU di Bali dello scorso dicembre e tutte le parti ora riconoscono la necessità di agire con urgenza.

Dobbiamo accettare le difficoltà che stiamo affrontando; le prove scientifiche sono ormai schiaccianti. Il cambiamento climatico costituisce una seria minaccia globale. Ci costerà. Abbiamo la seria volontà di sacrificare non solo il nostro clima e il nostro pianeta, ma anche le nostre economie? Una prolungata mancanza d’azione ci costerà forse fino a un quinto del nostro prodotto interno lordo, mentre un’azione effettiva significherà una spesa dell’1 per cento.

Abbiamo altresì la volontà di esporre il nostro clima a un punto di non ritorno? Gli scienziati ci hanno già informato del fatto che l’ultima decade è stata la più calda mai registrata e che il 2007 è stato uno dei 10 anni più caldi. Non dimentichiamo i nostri impegni e obiettivi di Bali. Dobbiamo continuare a rispettare una tabella di marcia di soluzioni di coesione di fronte alla minaccia del cambiamento climatico, garantendo che sia incentrata sulla flessibilità degli Stati membri.

 
  
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  Jens Holm, a nome del gruppo GUE/NGL. – (SV) I contenuti della presente relazione sono corretti, ma avrei preferito vedere di più in merito alle misure concrete volte a rispondere al cambiamento climatico. Nonostante ciò, la relazione ha certamente l’appoggio del gruppo GUE/NGL.

Notiamo dalla relazione che le emissioni globali sono aumentate del 70 per cento tra il 1970 e il 2004, che l’ultima decade è stata la più calda di sempre e che affrontiamo diversi punti critici, ad esempio lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia. Chiediamo pertanto una riduzione del 60-80 per cento delle emissioni dell’UE entro il 2050. Chiediamo l’etichetta clima per i prodotti di consumo e misure volte a reagire alle considerevoli emissioni generate dall’UE attraverso le importazioni da altri paesi. Chiediamo inoltre un cambiamento nei modelli degli stili di vita.

Tutto ciò è assolutamente corretto, ma dobbiamo anche rendere più facile per le persone vivere in modo non dannoso per il clima. Dobbiamo ad esempio mangiare meno carne e spostarci meno in auto e in aeroplano. Purtroppo l’UE sovvenziona l’industria della carne con ingenti somme. Allo stesso modo l’UE purtroppo sovvenziona la costruzione di autostrade, che porta soltanto a un numero più elevato di veicoli. Anche le nostre misure volte a rispondere al trasporto aereo sono lontane dall’essere adeguate. Se i politici non creano sistemi sostenibili, non siamo credibili quando esortiamo le persone a modificare il loro stile di vita.

Come ho detto, dobbiamo andare oltre. Dobbiamo attuare maggiori misure concrete al fine di apportare cambiamenti e dobbiamo avere maggiori obiettivi di riduzione. Dobbiamo altresì essere autocritici e mettere in discussione l’ordine economico prevalente nell’UE. Dopotutto, l’UE è impegnata nel completamento del mercato interno e nella crescita permanente. Ciò porta solo a più trasporti, il che non è sostenibile.

 
  
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  Johannes Blokland, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Desidero innanzi tutto ringraziare il relatore, l’onorevole Florenz, per l’approfondita relazione interlocutoria che abbiamo dinnanzi oggi. E’ positivo disporre di tutte le pertinenti informazioni scientifiche sul cambiamento climatico raccolte nella presente relazione. Può servire da utile passo verso la relazione finale della commissione temporanea sul cambiamento climatico. Non ho nulla da aggiungere in merito ai contenuti e non ho pertanto presentato alcun emendamento.

Molto è noto riguardo al cambiamento climatico, ma sono necessari numerosi altri studi, dato che sono ancora sconosciuti molti parametri. La presente relazione, insieme a tali ulteriori studi, costituisce un inizio attivo.

Non posso appoggiare gli emendamenti, tra gli altri, dell’onorevole Březina, in quanto essi sono completamente inammissibili. In merito agli emendamenti dell’onorevole Doyle e di altri, mi atterrò all’opinione del relatore. Infine, desidero fare i miei migliori auguri all’onorevole Florenz per la stesura della relazione finale.

 
  
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  Jana Bobošíková (NI).(CS) Signor Presidente, la relazione di cui discutiamo oggi è un simbolo dell’arroganza e della convenzionale cecità del Parlamento. Si trova pericolosamente vicina a soffocare la libertà, la democrazia e la solidarietà verso i più deboli della società. In merito alla libertà di pensiero, non vi è nulla di peggio che insistere che solo un’opinione scientifica sia corretta e denunciare le altre idee. In merito alla democrazia, non vi è nulla di peggio che dare la benedizione politica a tale opinione e cercare di controllare di conseguenza le vite delle persone. In merito alla solidarietà verso i più deboli, non vi è nulla di peggio che versare generi alimentari in vagoni cisterna per benzina e guardare la persone morire di fame. Tali politiche non salveranno il pianeta. Gli unici vincitori saranno i produttori di semi di colza sovvenzionati e i produttori di componenti per mulini a vento. Tenendo conto del fatto che tale relazione tenta di sopprimere lo scambio di opinioni, che detta quali debbano essere i risultati scientifici e che ignora le necessità dei più poveri della società, non posso in alcun modo dare il mio appoggio. Ritengo che la commissione temporanea sul cambiamento climatico vada immediatamente sciolta. In conclusione, desidero solo dire che provengo dalla Repubblica ceca e che posso affermare con orgoglio che, a differenza di altri politici, il pensiero del Presidente Václav Klaus non si è surriscaldato e il suo cervello non è diventato verde.

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  Presidente. − Grazie, onorevole Bobošíková. In futuro metterò maggiore impegno al fine di pronunciare il suo nome correttamente. Ritengo che ci troviamo tutti lungo una curva di apprendimento, non solo il Presidente, ma senza dubbio anche l’oratore. La ringrazio, onorevole.

 
  
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  Cristina Gutiérrez-Cortines (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, desidero ringraziare l’onorevole Karl-Heinz Florenz e l’intero gruppo di lavoro per aver coinvolto scienziati di livello così elevato a lavorare su tale questione. Penso che sia la prima volta che degli scienziati abbiano lavorato fianco a fianco con i membri di quest’Assemblea. Si tratta di un vantaggio da non scartare, dato che è chiaro, come hanno affermato gli scienziati, che affrontiamo incertezze enormi sotto forma di cambiamento climatico. In altre parole, la scienza compie progressi e mano a mano modifica le sue idee e pertanto non possiamo far diventare la scienza verità assolute. Che cosa significa questo? Significa che se gli scienziati, nel loro lavoro, rivedono costantemente le proprie scoperte e noi li seguiamo, allora anche noi dobbiamo essere flessibili e adattare le nostre soluzioni ai cambiamenti verificatisi nella conoscenza.

Questa simmetria tra una conoscenza sempre maggiore e la nostra flessibilità è molto importante. Una delle mie preoccupazioni è pertanto l’enorme fiducia che in Europa abbiamo in noi stessi. Il dubbio e l’incertezza costituiscono la base del lavoro scientifico e in questo caso per fare la cosa giusta. Ritengo che dobbiamo essere consci del fatto che vi possono essere altri paesi, quelli che critichiamo, che in taluni ambiti stanno facendo la cosa giusta.

Dico questo, e mi sento in dovere di ribadire che appoggio il progetto, perché ritengo che si debbano prendere in considerazione i concetti di complessità e di impatto, il che è confermato da quanto ci è accaduto con i biocarburanti. Dobbiamo altresì regolarci mediante una disciplina assoluta in relazione all’impatto ambientale, all’impatto economico e alla fattibilità delle soluzioni.

Dato che, tuttavia, lo scopo del presente documento non è fornire soluzioni, continuo ad appoggiarlo. Ciononostante, desidero altresì dire che dobbiamo applicare una politica combinata e a tal proposito il documento deve compiere un passo avanti nella seconda parte, con decisioni prese dall’alto a livello nazionale, senza trascurare il fatto che il cambiamento climatico è una questione che va risolta attraverso l’adattamento a livello locale.

Dobbiamo pertanto iniziare a contemplare una politica di ampia conoscenza del cambiamento climatico dall’alto, in combinazione con una politica operata dal basso, nell’industria, nei settori economici, nell’agricoltura, nei nostri diversi territori, per permettere a ciascun paese di confezionare i suoi progetti in linea con il progetto generale.

 
  
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  Guido Sacconi (PSE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io naturalmente mi associo a tutti i colleghi che hanno espresso il loro ringraziamento e apprezzamento per il lavoro del nostro relatore, Karl-Heinz Florenz. A questo io voglio aggiungere, in modo niente affatto formale, un ringraziamento a tutti i membri e ai gruppi politici che lavorano e hanno lavorato in modo molto intenso in quest’anno di impegno della commissione speciale sui cambiamenti climatici, nella quale – devo dire la verità – si è realizzato un clima di unità molto forte, molto convinto al di là di aree marginali di dissenso che è bene ci siano.

Questo mi fa ben sperare perché tutto il materiale che abbiamo già accumulato e quello che stiamo accumulando per il rapporto finale, sono sicuro troverà una sintesi e ci consentirà insomma di consegnare al futuro Parlamento una buona eredità per sviluppare il suo lavoro successivo, con una visione veramente integrata, come è necessario in questo problema.

Quello di oggi è il primo capitolo, quello che riguarda la presa di atto sullo stato dell’arte in materia di conoscenza scientifica del problema. Intendiamoci non è che il panel dell’IPCC è una corrente scientifica, è una sede nella quale è una sede nella quale, con un lavoro durato anni, si è presa in considerazione tutta la letteratura scientifica in materia e si è operata una sintesi, una verifica raggiungendo gradi di probabilità circa i diversi settori, i diversi giudizi, che si è arrivati molto presto vicino al 100%, il che non ha precedenti – credo – nella storia scientifica.

Io penso che questo sia interessante anche da un punto di vista più generale, potrebbe essere preso un po’ come modello per stabilire una relazione intelligente, diciamo così, tra conoscenze scientifiche e decisione politica di fronte alla straordinaria complessità dei problemi del mondo contemporaneo.

Il cambiamento climatico c’è, corre veloce, bisogna agire quindi molto tempestivamente e, come diceva bene Karl-Heinz non è solo un problema ma anche un’opportunità. E’ proprio sulla base di questa conoscenza che nell’arco di un anno, vero Commissario Dimas, è cambiato anche il clima politico mondiale, non c’è stato solo il surriscaldamento globale. Anche il clima politico mondiale è cambiato fino ad arrivare a Bali, ad una presa di atto comune di tutti, della validità della ricerca IPCC e fino ad arrivare agli ultimi mesi ai cambiamenti delle posizioni delle leadership veramente interessanti.

Parte del nostro lavoro è stato anche fare numerose visite in Cina, India, di recente negli Stati Uniti, a Washington, e abbiamo potuto cogliere quello che poi, come lei ricordava, i candidati presidenti hanno detto molto chiaramente, che cioè ci sarà un impegno diverso anche di quel paese nei prossimi mesi che fa davvero bene sperare in vista dei negoziati internazionali che dovranno concludersi a Copenaghen nel 2009.

Io sono d’accordo con lei in questa direzione e stiamo producendo risultati che soltanto un anno fa erano inimmaginabili.

 
  
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  Vittorio Prodi (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, grazie Commissario per la sua presenza costante. Come scienziato non posso che rallegrarmi del fatto che il quadro scientifico sia finalmente accettato e riconosciuto anche nelle sedi di alta rappresentanza politica come questa. Come vicepresidente della commissione speciale sul cambiamento climatico sono soddisfatto dei primi risultati del lavoro comune e mi congratulo con il relatore Florenz, con i colleghi e il presidente Sacconi.

Personalmente, però, ho l’apprensione che tutta la nostra buona volontà non sia sufficiente a risolvere i gravosi problemi che abbiamo davanti. Penso soprattutto alle prospettive catastrofiche che il cambiamento climatico proietta sui problemi già difficilissimi quali la povertà, la salute pubblica, l’accesso alle risorse naturali e, prima fra queste, l’acqua e credo che una volta affrancata la prima tappa di questo viaggio di scoperta nel fenomeno con la redazione di questa prima relazione sulle prove scientifiche dovremmo farci carico di una mission impossible.

Dare elementi di speranza, prevede piani fattibili per un futuro che non sia fatto solo di conflitti e disparità, offrire una visione in cui la scienza ci aiuti a riequilibrare gli scompensi che da uomini abbiamo creato o contribuito a peggiorare. Questo dobbiamo dire ai nostri concittadini: ce la faremo e con questo avremo anche fatto un salto di civiltà.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ALEJO VIDAL-QUADRAS
Vicepresidente

 
  
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  Caroline Lucas (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, a prima vista, la presente relazione potrebbe sembrare di tipo tecnico, riassumendo semplicemente le conoscenze scientifiche per quelle che sono. Ma fate attenzione, la presente relazione è altresì profondamente politica e costituisce una chiamata alle armi, perché il fatto è che essa dimostra la necessità urgente di una completa rivoluzione del modo in cui gestiamo le nostre economie.

La conoscenza porta con sé responsabilità e sapere quello che sappiamo circa le realtà del cambiamento climatico e tuttavia non agire in modo commensurato equivarrebbe a niente meno che a un crimine contro le future generazioni.

La logica della relazione è pertanto questa: l’obiettivo di ridurre del 20 per cento le emissioni dell’UE è semplicemente incompatibile con la scienza sui due gradi; dobbiamo pertanto muoverci unilateralmente al fine di conseguire ora riduzioni interne almeno del 30 per cento; dobbiamo rispondere a fatti nuovi – solo il mese scorso uno scienziato del clima di spicco, James Hansen, ha messo in guardia in merito al fatto che gli obiettivi attuali sono decisamente troppo deboli e che dobbiamo impegnare molte più risorse al fine di aiutare i paesi in via di sviluppo ad adattarsi, essendo destinate all’azione sul cambiamento climatico tutte le entrate derivanti dalle vendite all’asta delle quote del sistema ETS.

La buona notizia è che l’UE è l’unica a trovarsi in una posizione valida per assumere un ruolo guida nel cambiamento climatico e che, se dovessimo raccogliere tale sfida, potremmo anche trovare rivitalizzate le nostre stesse istituzioni e l’UE riconnessa con i cittadini che si suppone rappresenti.

 
  
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  Bogdan Pęk (UEN).(PL) Signor Presidente, da qualche tempo a questa parte ascolto allarmato le argomentazioni pseudoscientifiche avanzate nel cuore dell’Europa. Mi riferisco alle presentazioni fatte in quest’Assemblea, da cui si suppone venga disseminato in tutto il mondo il sapere fondato su prove scientifiche certe. In effetti, tuttavia, vi sono semplicemente tanti scienziati che sostengono che non ci troviamo nella posizione di poter influenzare il cambiamento climatico con i mezzi attualmente disponibili quanti ve ne sono che sostengono il contrario.

Immaginate per un momento che il primo gruppo abbia ragione, onorevoli colleghi. Se le cose stanno così e noi destiniamo enormi risorse a un presunto cambiamento climatico, che influenza di conseguenza il benessere dell’umanità, in particolare in Europa, condanneremo le nazioni europee a un rapido declino rispetto ad altre nazioni che nel frattempo si svilupperanno più rapidamente.

Posso garantire a quest’Assemblea che il presidente di una commissione parlamentare tiene conto solo delle opinioni di un gruppo di scienziati e, se il Commissario Dimas non si riferirà a tutto il lavoro scientifico noto in merito a tale argomento, permettendo di conseguenza la nascita di un mito, protesterò con vigore e lo farò perché azioni di questo tipo devono essere intraprese solo ed esclusivamente sulla base di prove scientifiche conclusive.

 
  
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  Roberto Musacchio (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, io ringrazio molto il relatore Florenz perché ha fatto un buon lavoro e soprattutto ha valorizzato il lavoro di alcuni mesi della commissione clima così ben diretta da Guido Sacconi. Il punto politico chiave che mi fa concordare sulla relazione di Florenz è proprio l’assunzione che si fa dell’impianto dell’IPCC, quindi dell’ONU e delle indicazioni della Conferenza di Bali. Guardate, questo è un punto non solo scientifico, ma un punto di democrazia, quella è una sede di democrazia mondiale.

Ora il tema che è di fronte a noi è che se l’Europa vuole essere credibile e trainante nell’accordo del dopo Kyoto dobbiamo avere le carte in regola. Occorre che il pacchetto dei provvedimenti definito sia realmente approvato in tempi certi e che esso sia all’altezza degli impegni di Bali, cioè sia un pacchetto che rispetti gli impegni, che sia trasparente, realizzato e verificato.

E’ fondamentale che si eviti la corsa alle eccezioni, alle deroghe che creano non credibilità all’interno dell’Europa e nei rapporti con gli altri. Bisogna evitare le furbizie degli Stati membri e dell’imprenditoria, bisogna cioè fare sul serio!

 
  
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  Graham Booth (IND/DEM).(EN) Signor Presidente, concordo con l’onorevole Pęk. Molti eminenti scienziati da tutto il mondo hanno firmato la dichiarazione di Manhattan del 4 marzo di quest’anno. Tra le altre cose in essa si afferma che “non vi è alcuna prova convincente che le emissioni di CO2 delle moderne attività industriali abbiano causato in passato, causino ora o causeranno in futuro un catastrofico cambiamento climatico”. La scorsa settimana, altri 31 000 scienziati hanno appoggiato il punto di vista della petizione Oregon.

Non si tratta più dell’eccentrica voce di dissenso e anche Nigel Lawson, un membro della commissione per il cambiamento climatico della Camera dei Lord, è concorde nel dire che la discussione non è chiusa. Prima di impegnarci in costi enormi mediante imposte climatiche, scambio di quote e così via, proprio nel momento in cui siamo stati avvertiti di una probabile recessione economica globale, dobbiamo ascoltare entrambe le parti del dibattito e accertarci assolutamente in merito a chi ha ragione.

 
  
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  Roger Helmer (NI).(EN) Signor Presidente, per una volta vengo in quest’Aula con una buona notizia: il riscaldamento globale si è arrestato. Il 1998 è stato l’anno più caldo a memoria d’uomo. Nel corso degli ultimi 10 anni, le temperature globali sono state stazionarie o in diminuzione. Il recente modesto riscaldamento è paragonabile a quello verificatosi nel periodo caldo dell’età medievale; prima di allora, durante l’Optimum romano e prima ancora, durante l’Optimum olocenico.

Oggi, le temperature sono al di sotto delle massime degli ultimi 2 000 anni. Viene sempre più messo in dubbio il ruolo della CO2. Dal 1850 le temperature medie si mettono bene in relazione con i cicli solari ma in modo molto scarso con la CO2 atmosferica. Il modello di riscaldamento, in termini sia geografici che temporali, è completamente diverso da quello previsto dai modelli computerizzati.

I modelli relativi all’effetto serra prevedono un riscaldamento massimo nell’alta atmosfera, ma le osservazioni dimostrano che quel poco di riscaldamento presente si trova sulla superficie ed è in gran parte il risultato dell’effetto “isola di calore urbana”.

L’effetto serra della CO2 è logaritmico; si tratta cioè di una legge dai ritorni decrescenti. In termini di effetto serra, l’atmosfera è già satura di CO2, e ulteriori emissioni avranno un effetto minimo.

Il livello del mare si sta alzando non più rapidamente di quanto abbia sempre fatto, circa 15-20 centimetri ogni secolo; in generale, la massa glaciale globale è costante; gli eventi meteorologici violenti non sono più frequenti di quanto siano sempre stati; l’estinzione delle specie è portata non dal riscaldamento globale ma dalla perdita di habitat e in particolare dalla corsa ai biocarburanti. Studi recenti dimostrano che gli orsi polari se la stanno cavando molto bene.

L’isteria climatica è sempre più lontana dalla realtà. Dobbiamo riconsiderare le nostre politiche prima che facciano altri danni.

(Applausi)

 
  
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  Markus Pieper (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevole Harms, danneggiare i carri armati è effettivamente una cosa positiva da un punto di vista pacifista! I fatti scientifici sono ben noti: il cambiamento climatico di cui oggi siamo testimoni ha molto a che fare con l’attività umana. Sono pertanto esemplari, a tal proposito, i risultati ottenuti dalla commissione temporanea.

Quello che mi turba della presente relazione è, tuttavia, la sua sfumatura minacciosa. Sono allarmato dal fatto che non venga dato assolutamente nessuno spazio a opinioni scientifiche divergenti. Il fatto è che ogni qual volta che i politici sostengono di essere infallibili, sbagliano qualcosa. La relazione parla di un’ondata di calore di intensità eccezionale e di estinzione di specie fino al 70 per cento a causa del cambiamento climatico. Afferma che quasi ogni regione della Terra sarà colpita negativamente. Tali dichiarazioni si basano su proiezioni da modellazioni sul lungo periodo, ma non possono essere attribuiti in modo così semplicistico solo al cambiamento climatico indotto dall’uomo.

Con queste premesse, ritengo che sia scandaloso per il nostro Parlamento che gli emendamenti proposti dall’onorevole Březina, che attirano l’attenzione proprio su tale situazione, siano dichiarati inammissibili. Signor Presidente, desidero chiedere in modo particolare che l’emendamento n. 15 sia dichiarato ammissibile. La protezione ambientale non è servita a dovere se talune opinioni sono soppresse semplicemente mediante procedure amministrative. Una minaccia esagerata innesca misure politiche che porteranno a una visione distorta delle priorità politiche. Ne costituisce un esempio la dichiarazione che il cambiamento climatico debba diventare una priorità nell’assistenza allo sviluppo. Oggi, tuttavia, l’AIDS, la malnutrizione, la malaria e i terremoti costituiscono problemi più urgenti ed è in questi ambiti che dobbiamo dispiegare le nostre risorse politiche.

Anche in Europa il dibattito sul cambiamento climatico ha raggiunto proporzioni che stanno mettendo a rischio le conquiste sociali. Una famiglia tedesca già paga allo Stato più del 40 per cento del prezzo dell’energia elettrica e alle pompe di benzina il dato è ora tra il 55 e il 78 per cento. Il nuovo sistema per lo scambio di quote di emissione porterà a un ulteriore aumento dei prezzi dell’energia elettrica di almeno il 30 per cento.

Appoggio un approccio razionale alla questione del cambiamento climatico, in modo tale da poter poi individuare soluzioni che siano socialmente ed economicamente compatibili. Gli emendamenti proposti dall’onorevole Březina offrirebbero diversi punti di partenza e desidero chiedere il vostro appoggio.

(Applausi)

 
  
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  Dorette Corbey (PSE).(NL) Desidero ringraziare l’onorevole Florenz, che ha prodotto un’eccellente relazione. Il dibattito sul cambiamento climatico è estremamente denso di emozioni e certamente è giusto che sia così. Oggi, tuttavia, dobbiamo optare per un approccio sensibile. Nei prossimi mesi lavoreremo intensamente sul cambiamento climatico e molte misure ambiziose sono all’ordine del giorno.

Per l’Europa è molto importante dimostrare la sua credibilità prima di Copenhagen e giungere a un accordo sul pacchetto clima, il che può verificarsi se abbiamo una base comune e tale base è la conoscenza. L’onorevole Florenz può attribuirsi il merito di aver esposto l’opinione scientifica diffusa. Il punto di partenza della nostra politica sono le scoperte del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), in cui lavorano insieme migliaia di scienziati. E’ un fatto che la Terra si stia riscaldando ed è altresì un fatto che il riscaldamento sia per certi versi causato dalle azioni dell’uomo. Al fine di mantenere il cambiamento climatico nei limiti, dobbiamo ridurre prima del 2050 le emissioni di gas a effetto serra del 60-80 per cento. Non si tratta di un compito facile. Sono coinvolti interessi importanti. Senza dubbio, la produzione pulita può introdurre molti vantaggi e occupazione ed è altresì positivo che in questo modo metteremo fine alla nostra dipendenza dal petrolio ed entreremo nel mondo dell’energia sostenibile. La transizione a un’economia a basse emissioni di CO2 non è tuttavia semplice.

Sono tuttavia importanti due elementi. Innanzi tutto, la politica deve basarsi sulla conoscenza, il che non significa, onorevole Pieper, che l’opinione diffusa nell’IPCC sia immutabile. Possiamo pensare che l’IPCC sia aperto a critiche e ad argomentazioni adeguatamente supportate da parte degli scettici, perché ciò è di aiuto alla conoscenza e pertanto il nostro gruppo appoggia pienamente il paragrafo 10.

Il secondo punto è la necessità del sostegno pubblico sul lungo periodo. Affinché sia possibile per il grande pubblico appoggiare misure risolute, chiediamo che siano esposti i punti scientifici di base in un opuscolo disponibile al pubblico, affinché tutti possano essere consapevoli delle sfide che affrontiamo. In tal modo possiamo occuparci di tali sfide insieme. Penso che la presente relazione dell’onorevole Florenz costituisca per noi la base per intraprendere un’azione maggiormente congiunta e per istituire una buona politica entro il 2009.

 
  
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  Lena Ek (ALDE). - (SV) Signor Presidente, anch’io desidero congratularmi con l’onorevole Karl-Heinz Florenz per l’eccellente relazione. Desidero sottolineare che ha un significato politico e simbolico molto forte, che è non meno evidente nel fatto che i leader dei tre grandi gruppi politici hanno introdotto la discussione.

Tutti concordiamo sui contenuti della relazione Florenz. E’ altresì redatta in modo tale che la gente comune possa effettivamente leggere il testo e comprenderne il significato. La sua presentazione chiara e istruttiva costituisce un ulteriore aspetto positivo che desidero sottolineare.

Restano tuttavia dei problemi che dobbiamo discutere. Vi esorto ad appoggiare gli emendamenti relativi all’aumento di 1,5°C della temperatura della superficie del mare. Dobbiamo altresì esaminare la questione della salute pubblica. Affronteremo questo tema nella prossima relazione. Penso che in tale ambito vadano presentate alcune idee sensate. Noi membri del Parlamento europeo abbiamo ora la possibilità di dimostrare la determinazione e la serietà del nostro impegno in merito a tali questioni. L’onorevole Avril Doyle e io siamo entrambi relatori sullo scambio dei diritti di emissione. Se di fronte al voto saremo tutti seri in merito alle cose dette oggi, allora ci aspettiamo che le proposte che avanzeremo nelle nostre diverse commissioni saranno appoggiate con vigore.

Desidero infine sottolineare che ci troviamo nel cuore dei preparativi per la Conferenza di Copenaghen. Tali preparativi devono procedere in modo completamente diverso, con la cooperazione tra Parlamento, Consiglio e Commissione e insieme ai paesi in via di sviluppo. Mancano solo 18 mesi.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, anch’io desidero congratularmi con l’onorevole Florenz per la sua relazione. Sarebbe perfetta se si fondasse sulle scoperte scientifiche della commissione ONU competente e se evidenziasse la necessità di maggiori e migliori informazioni per i cittadini.

Onorevoli colleghi, signor Commissario, dobbiamo, tuttavia, passare dalle scoperte all’azione. Dobbiamo adattare le nostre politiche alle misure proposte dalla scienza. Necessitiamo di carburanti e di automobili più puliti. Siamo a conoscenza, signor Commissario, della sua lotta, anche in seno alla Commissione, contro i gruppi di pressione e gli interessi che minano gli sforzi dell’UE per diventare leader a livello mondiale nella lotta al cambiamento climatico. La grande maggioranza del Parlamento europeo è un alleato. Esso appoggerà sforzi più ambiziosi da parte della Commissione e dei governi, perché la vita umana e la protezione dell’ambiente sono di importanza considerevolmente maggiore rispetto agli interessi di taluni ambienti imprenditoriali.

 
  
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  Jerzy Buzek (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, non sono il primo a congratularmi con il relatore per la sua eccellente relazione e sono certo che non sarò l’ultimo. Di recente la comunità internazionale ha ricevuto un documento del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) contenente un ampio studio scientifico sul riscaldamento globale. Facciamo riferimento a tale studio nella nostra relazione e nella nostra risoluzione. La maggior parte dei ricercatori ha accettato tale documento, vale a dire il quarto rapporto di valutazione dell’IPCC. Così ha fatto anche la maggioranza dei governi dei 110 paesi rappresentati nel Gruppo. Ciononostante alcune voci si sono fatte sentire per contestare la validità del documento. Sono state ascoltate anche in quest’Assemblea. E’ pertanto opportuno iniziare con la valutazione della controversia.

Per prima cosa, quasi tutti al momento concordano almeno sul fatto che il riscaldamento globale è una realtà, anche se capita che qualche angolo del nostro pianeta sia temporaneamente più freddo che in passato. A causa, tra le altre ragioni, del rapporto dell’IPCC, sembra ora che sia accettata l’esistenza del riscaldamento globale. Di conseguenza non è più così importante riferirsi a ulteriori indizi dell’avvicinarsi dell’apocalisse collegati alle temperature in aumento. D’altro canto, è certamente necessario spiegare e provare le ragioni di tale aumento.

Desidero chiedere all’Assemblea di ricordare che la maggior parte degli scienziati, che hanno condotto ricerche in merito a tale problema, sono seriamente convinti che la responsabilità del riscaldamento globale dipenda principalmente, sebbene non esclusivamente, dagli esseri umani, il che è particolarmente vero in relazione alle emissioni di gas a effetto serra. Varrebbe la pena dedicare ulteriori sforzi a documentare e provare tale teoria. La ricerca delle cause del riscaldamento globale deve senza dubbio continuare e questa deve essere la principale conclusione delle nostre valutazioni.

Ciononostante, la cosa più importante è che teniamo a mente il fatto che sembra già molto probabile che i gas a effetto serra prodotti dagli esseri umani costituiscano la causa principale del riscaldamento globale ed è pertanto necessario agire. Ecco perché l’Unione europea si è assunta il ruolo di leader mondiale nel limitare le emissioni. E’ di conseguenza particolarmente importante per noi europei raggiungere a Poznań e a Copenaghen un accordo globale in merito a tale questione. Dobbiamo ricordare che non possiamo salvare il pianeta da soli. Abbandonare ora le nostre azioni sarebbe, tuttavia, imperdonabile. Non possiamo cancellare le nostre responsabilità nei confronti della civiltà.

 
  
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  Riitta Myller (PSE). - (FI) Signor Presidente, esistono dati ben consolidati e riconosciuti sul cambiamento climatico mondiale e le origini umane dell’attuale andamento del riscaldamento globale vanno al di là di ogni ragionevole dubbio scientifico. Ciò è quanto l’onorevole Florenz afferma nella sua relazione all’inizio delle sue conclusioni. Dopotutto, lo scopo di redigere la presente relazione interlocutoria era nello specifico di stabilire una base comune per la versione finale.

Il lavoro della commissione e del Parlamento deve essere fermamente ancorato al quarto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico. In tale rapporto è palese l’opinione diffusa che la temperatura media globale debba essere stabilizzata così che non aumenti di più di 2°C, il che costituisce anche un modo per tenere conto dell’impatto economico, ecologico e sociale del cambiamento climatico.

Questi sono i fatti, come ha affermato l’onorevole Florenz. Ora è questione di come capiamo quello che leggiamo – in base alla nostra capacità di lettura – il che sarà palese quest’anno quando discuteremo il pacchetto di leggi che la Commissione ci ha presentato. Desidero sottolineare in modo particolare che, dato che si tratta di una questione di impatto ecologico, economico e sociale del cambiamento climatico, dovremmo concentrarci di più sulla questione dell’efficienza energetica. Mi auguro che, nelle sue attività future, la Commissione considererà come una questione speciale il potenziale per l’aumento dell’efficienza energetica. Dato che l’energia risparmiata è l’energia più economica, è altresì il modo migliore, dal punto di vista ecologico, per combattere il cambiamento climatico e pertanto mi auguro, in merito a tale punto, che vi saranno nuove proposte e stimoli da parte della Commissione.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, stiamo discutendo un’ottima relazione interlocutoria sui fatti scientifici relativi al cambiamento climatico, presentata dal relatore della commissione temporanea sul cambiamento climatico, onorevole Karl-Heinz Florenz. Desidero ringraziare lui, così come tutti i colleghi della commissione temporanea appartenenti a quest’Assemblea, per l’enorme mole di lavoro svolta per realizzare il presente documento.

Per i legislatori, ignorare il parere oggetto di revisione tra pari della stragrande maggioranza degli scienziati nel campo del cambiamento climatico di tutto il mondo costituirebbe un mix esplosivo di arroganza, irresponsabilità e totale inadempimento dei propri obblighi. Noi siamo i decisori. I nostri cittadini ci hanno conferito un mandato democratico e su questo tema, la questione più urgente che la comunità mondiale sta affrontando oggi, non possiamo farci trovare inadeguati anche quando, o soprattutto quando, le decisioni dinnanzi a noi sono estremamente impegnative.

Esorterei i nostri cari colleghi, che potremmo tranquillamente definire “scettici del clima”, a percorrere questa strada con noi, fosse solo sulla base del concetto molto abusato ma molto importante del principio precauzionale. Sì, la scienza è complessa e dinamica, ma con un rapporto di cinque a uno della comunità scientifica a sostegno della tesi che presentiamo, dobbiamo mettere alla prova, dobbiamo mettere in discussione e soprattutto dobbiamo reagire – e reagire in modo adeguato – al lavoro oggetto di esame tra pari di alcuni dei migliori e dei più brillanti esponenti nell’ambito della climatologia e della meteorologia.

Più di due terzi della superficie mondiale è ricoperta di oceani e tre quarti delle megacittà mondiali si trovano sul mare. Più del 97 per cento delle acque del pianeta è contenuto negli oceani e il pesce fornisce la più alta percentuale di proteine consumate dall’uomo a livello mondiale e da esso dipendono 3,5 miliardi di persone, dato che costituisce la loro fonte alimentare primaria. Secondo le previsioni scientifiche, con l’aumento delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dall’uomo, cambiamenti drammatici, quali il riscaldamento degli oceani, lo scioglimento delle calotte polari, l’aumento del livello del mare e l’acidificazione degli oceani, porranno serie minacce agli ecosistemi marini e alla comunità dei pescatori.

Nelle vesti di Vicepresidente della commissione per la pesca, desidero raccomandare che le sue opinioni ponderate vengano prese in considerazione nella relazione interlocutoria di oggi. Due rapidi punti: è stata una grave omissione non aver incluso i membri della commissione per la pesca nella commissione temporanea sul cambiamento climatico e, in secondo luogo, mi rammarico del fatto che la commissione temporanea non sia stata in grado di accettare l’opinione della commissione per la pesca.

Per concludere, vi è una serie di emendamenti che pongono l’accento sull’impatto scientifico delle conseguenze del cambiamento climatico sugli oceani del pianeta. Esorto i colleghi ad appoggiare tali emendamenti, dato che la relazione su cui si basano le decisioni del Parlamento deve essere quanto più possibile esaustiva e integrata.

 
  
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  Agnes Schierhuber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, anch’io desidero iniziare ringraziando il nostro relatore per il lavoro svolto. La relazione – come affermato dai precedenti oratori – riferisce per intero i fatti scientifici riguardanti il cambiamento climatico, che sono stati discussi nel dettaglio con esperti di fama mondiale nel corso delle riunioni tematiche.

Il settore agricolo e della silvicoltura costituisce una delle industrie colpite più duramente dal cambiamento climatico e pertanto nutre un forte interesse nell’adozione a livello globale di misure efficaci volte alla protezione del clima. E’ essenziale il coinvolgimento di tutti i paesi, in particolare dei paesi in via di sviluppo, nel processo post-Kyoto. E’ altresì importante sottolineare che l’agricoltura non influenza affatto i prezzi dei prodotti alimentari: nel prezzo di un panino, ad esempio, il grano utilizzato per produrlo ammonta a meno del 2 per cento dei costi.

E’ altresì ben noto che le fonti rinnovabili per i carburanti derivati da colture agricole non rilasciano più CO2 di quanta ne sia stata immagazzinata durante la loro coltivazione, il che significa che sono neutrali in termini di CO2. E’ stato altresì riconosciuto che, sulla base di ricerche che hanno portato a solide scoperte, gli esseri umani sono parzialmente responsabili del cambiamento climatico. Per tale ragione, è importante condurre ricerche più intensive così come risparmiare energia attraverso un suo più efficiente utilizzo. Prendiamo coraggio dal fatto che ci sono voluti 3 000 anni perché venisse accettato che la Terra è rotonda e non piatta.

Desidero esortare questo Parlamento a impegnarsi in un serio dibattito, che riconosca che il cambiamento climatico è un problema globale; si tratta di un problema macrosociale che non può essere risolto per mezzo di politiche settoriali in singoli Stati membri dell’UE. Si può ottenere una soluzione solo a livello mondiale e l’Unione europea deve certamente assumere un ruolo di leader e di mediatore nella lotta al cambiamento climatico.

 
  
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  Valdis Dombrovskis (PPE-DE). - (LV) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con il relatore per la sua posizione chiara e inequivocabile, che, sulla base dei risultati degli studi scientifici, riconosce che il riscaldamento globale si sta realmente verificando e che è causato dall’uomo. Dobbiamo ricordare che qualche anno fa molti politici influenti, tra cui i leader di talune importanti potenze, cercavano ancora di negarlo. La relazione compie un passo avanti e rifiuta, in quanto non fondate dal punto di vista scientifico, dichiarazioni secondo le quali il riscaldamento globale non si sta verificando e che si tratta solo di naturali variazioni della temperatura. La presente relazione dimostra ancora una volta che l’UE è un leader a livello mondiale per quanto riguarda il riscaldamento globale, il che tuttavia non è affatto motivo di euforia. Al fine di mantenere il riscaldamento globale nei limiti del 2 per cento, secondo stime recenti il volume delle emissioni di CO2 dovrà essere ridotto almeno della metà entro il 2050. In tale contesto, l’affermazione contenuta nella relazione secondo cui quasi tutti gli Stati membri dell’UE hanno compiuto buoni progressi verso il rispetto degli obiettivi di Kyoto è eccessivamente ottimistica. Nel periodo tra il 1990 e il 2005 i vecchi Stati membri dell’UE hanno ridotto le loro emissioni solo del 2 per cento ed è molto improbabile che nel corso dei restanti cinque anni ridurranno le loro emissioni di un ulteriore 6 per cento al fine di rispettare il loro obiettivo collettivo di Kyoto. E’ solo grazie al fatto che i nuovi Stati membri dell’UE hanno ridotto considerevolmente le loro emissioni in modo più rapido che l’UE nel suo insieme può rivendicare uno status di leader mondiale in questo ambito. Ci si aspetta che i nuovi Stati membri ridurranno le loro emissioni di CO2 del 21 per cento entro il 2010. E’ solo questo fatto che mette in condizione i leader europei di parlare di un obiettivo apparentemente ambizioso di ridurre le emissioni del 20 per cento entro il 2020. Certo, questo obiettivo deve essere accolto con favore, ma è importante che i principali responsabili delle emissioni realizzino la maggior parte di tale riduzione. E’ inaccettabile permettere che gli sforzi delle politiche dell’UE in materia di cambiamento climatico si basino solo sui risultati esistenti conseguiti dai nuovi Stati membri e da isolati vecchi Stati membri, così come è inaccettabile caricarli di oneri aggiuntivi, essendo al contempo indulgenti con i principali responsabili delle emissioni. A prescindere dalla distribuzione delle riduzioni delle emissioni tra gli Stati membri dell’UE, tuttavia, non otterremo nulla a meno che non si giunga a un accordo mondiale e paesi, quali Stati Uniti, Cina, India, Russia e altri, non siano coinvolti nella risoluzione del problema. Tale questione deve essere prioritaria nella politica estera e nella politica sul cambiamento climatico dell’UE. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE-DE). - (SL) Solitamente optiamo per cambiamenti e misure solo se si basano su fatti consistenti. Nella commissione per il cambiamento climatico abbiamo accumulato numerosi dati da molti scienziati. La maggior parte dei dati indica che i cambiamenti negli ecosistemi sono la conseguenza delle emissioni antropogeniche e suggeriscono possibili tendenze per il futuro.

Mentre alcuni sono preoccupati e utilizzano tali dati come una minaccia, dobbiamo altresì considerare il loro lato positivo, e cioè che possiamo ancora agire. Dobbiamo tuttavia farlo in modo rapido, responsabile, serio e coordinato: prima all’interno dell’Unione e poi anche a livello globale. Possiamo riuscire con gli accordi internazionali solo se siamo sufficientemente sensibili anche in merito ai problemi dei paesi terzi, che si preoccupano delle questioni dello sviluppo sostenibile e molti persino dell’eliminazione della povertà.

Un approccio integrale richiede un cambiamento nella nostra testa di europei, perché fino a oggi ci siamo preoccupati solo o principalmente dello sviluppo di una società a basse emissioni di biossido di carbonio. Possiamo tuttavia giungere a un accordo internazionale solo se consideriamo in modo equo sia le misure volte a ridurre le emissioni che le misure volte a modificarle, al fine di allinearle con i cambiamenti climatici.

I miei ringraziamenti al relatore per l’eccellente relazione e mi aspetto che il nostro lavoro continui in tal senso nel corso del prossimo anno.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE).(HU) Signor Presidente, mi congratulo con l’onorevole Florenz per la notevole relazione. Il dibattito sulle basi scientifiche del cambiamento climatico è di straordinaria importanza, poiché purtroppo noi politici spesso manchiamo di tener conto dei fatti, sebbene i fatti siano molto persistenti. Concordo con l’onorevole Martin Schulz in merito al fatto che dovremmo arrestare il dibattito basato sulle convinzioni e considerare i fatti.

In Ungheria, ad esempio, il livello delle acque sotterranee della Grande pianura ungherese tra il fiume Danubio e il fiume Tibisco è calato di 3-4 metri nel corso degli ultimi 30-40 anni; si è verificata una grave desertificazione, il che significa che gli scienziati hanno eseguito delle misurazioni e hanno scoperto che la desertificazione è dovuta per il 50 per cento al cambiamento climatico e per il 50 per cento alla dannosa attività dell’uomo.

In breve, consideriamo nel modo dovuto quanto dicono gli scienziati. Sono inoltre concorde nel dire che l’Unione europea non può risolvere questo problema da sola; USA, Giappone, Cina, Brasile e i paesi in via di sviluppo devono essere partner in questa impresa. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE). - (FI) Signor Presidente, la colpa del cambiamento climatico è l’umanità e l’uomo può pertanto anche contribuire a modificarne direzione.

L’obiettivo dell’UE è aumentare al 10 per cento il quantitativo dei carburanti destinati ai trasporti su cui incidono i biocarburanti. Si tratta per di più di un obiettivo che da raggiungere. Dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere per conseguirlo, ivi compreso incorporare l’utilizzo della torba come materia prima per il biodiesel.

E’ necessario più denaro da destinare alla ricerca in modo tale da poter impiegare i metodi più efficaci. Alcuni studi, ad esempio, mostrano che la produzione di energia dalle alghe è, per ettaro, fino a 15 volte superiore alla produzione dall’uva, dall’olio di palma e dalla soia, è pertanto necessaria una ricerca maggiore in questo ambito. Si tratta pertanto di un modo mediante il quale è possibile ridurre l’utilizzo dell’olio di palma e, se tutto va come deve, anche interromperlo del tutto, dato che è un’attività assolutamente dannosa per l’ambiente. Dobbiamo pertanto intraprendere azioni in collaborazione con gli Stati Uniti d’America, la Cina, l’India e la Russia.

 
  
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  Péter Olajos (PPE-DE). - (HU) La ringrazio signor Presidente. Se vogliamo conseguire un successo a Copenhagen alla fine del 2009, credo che vi siano due punti di cui dobbiamo assolutamente tenere conto, punti di cui ho avuto un’esperienza diretta durante le mie visite degli ultimi mesi in India, Bangladesh, Cina e California.

Innanzi tutto, dobbiamo compiere uno sforzo genuino. In altre parole, non è sufficiente congratularci l’un l’altro; non è sufficiente parlare del 10, 20, 30 o 40 per cento. Secondo i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente, non solo le emissioni di biossido di carbonio dal 2000 non sono diminuite, ma in effetti esse sono alquanto aumentate, dell’1 per cento. Il sistema di scambio di emissioni (ETS) è un grande successo ed è attualmente in fase di riforma, ma ritengo che sarebbe utile avviare riforme simili nel sistema non ETS; i due sistemi potrebbero forse essere persino consolidati. Appoggio fermamente la proposta del Consiglio di fissare come anno di base il 1990 piuttosto che il 2005.

L’altro punto molto importante è il Fondo di adattamento. Se vogliamo conseguire un successo a Copenaghen, dobbiamo istituire tale Fondo. La relazione Stern ha dimostrato che, a meno che non vi sia un Fondo di adattamento, le altre regioni del pianeta hanno poche possibilità di evitare le conseguenze spiacevoli del cambiamento climatico. Grazie.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE). - (RO) L’Unione europea è già colpita dal cambiamento climatico. Negli ultimi anni la Romania, ad esempio, è stata soggetta a siccità, inondazioni e temperature elevate. In alcune zone della regione meridionale e sud-orientale della Romania è iniziato un processo di desertificazione. L’Unione si è assunta un ruolo importante nella lotta al cambiamento climatico, per quanto riguarda sia la riduzione delle cause che l’adattamento al cambiamento climatico.

Il Trattato di Lisbona contiene disposizioni sul cambiamento climatico e a tal proposito anch’io apprezzo la clausola di solidarietà nel caso di catastrofi naturali. Purtroppo la governance mondiale nell’ambito della protezione ambientale è decentralizzata e a volte manca di coerenza nelle decisioni generali; 18 istituzioni multilaterali sono responsabili del controllo di circa 500 accordi internazionali, di cui 300 a livello regionale. L’Unione europea deve avere un ruolo di leader in questo settore.

Vi sono soluzioni. Necessitiamo di azioni coerenti sul cambiamento climatico, trasporti più ecologici, programmi di ricerca e sviluppo per adattare l’agricoltura a un adeguato consumo idrico, rimboschimento e, soprattutto, una migliore gestione dei rifiuti. Mi congratulo con il relatore.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE).(SK) Il cambiamento climatico comporta gravi implicazioni, non solo per gli ecosistemi, ma anche per l’economia, la salute pubblica, la sicurezza idrica e alimentare, così come per la migrazione. I più recenti studi scientifici portano alla convinzione che anche l’attività umana abbia contribuito all’andamento del riscaldamento globale e pertanto spetta alla nostra società la responsabilità di attuare misure politiche efficaci.

Accolgo con favore la relazione interlocutoria della commissione temporanea sul cambiamento climatico e le sue raccomandazioni sulla futura politica climatica dell’UE in materia di cambiamento climatico, e appoggio fermamente l’idea che l’aumento globale della temperatura media debba essere limitata a non più di 2°C. Oltre a ciò, l’Unione europea deve compiere gli sforzi necessari a ridurre le emissioni in modo tale da mantenere le temperature ben al di sotto del punto limite di due gradi. Rendere disponibili al pubblico le informazioni scientificamente provate e pertanto contribuire a una maggiore sensibilizzazione del grande pubblico in merito a questa questione deve costituire uno strumento importante delle politiche di mitigazione del cambiamento climatico.

 
  
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  Anni Podimata (PSE).(EL) Signor Presidente, signor Commissario, accolgo innanzi tutto con favore la relazione interlocutoria sui fatti scientifici relativi al cambiamento climatico. Sono particolarmente lieta perché pone l’accento sul fatto che gli scienziati siano concordi in merito alla gravità del problema. La relazione mette altresì in evidenza il grande impatto del fattore umano, in particolare l’energia, sul cambiamento climatico.

Il quarto rapporto di valutazione dell’IPPC afferma che le emissioni di CO2 a livello mondiale sono aumentate di circa l’80 per cento tra il 1970 e il 2004 e che tali aumenti sono dovuti principalmente all’utilizzo di combustibili fossili. Dato che esiste un legame stretto innegabile tra il clima e la pianificazione energetica, desidero sottolineare quanto sia necessaria la creazione di un piano integrato a livello europeo in modo tale da conoscere quali siano le scelte energetiche maggiormente indicate ed efficaci.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE). - (EN) Signor Presidente, ascoltando la discussione di questa mattina sento la necessità di fare un paio di osservazioni.

Innanzi tutto, la prova scientifica. Non vi sono dubbi che stabilire l’esistenza del riscaldamento globale e le sue cause sia una questione molto complicata. Non si tratta di una situazione in provetta per la quale è possibile condurre un esperimento in laboratorio al fine di determinare se una cosa è in un modo o in un altro. Le prove si basano su osservazioni sul lungo periodo e su procedure molto complicate e certamente vi sono alcuni scettici, alcuni scienziati, che hanno un’opinione differente. Non è una cosa nuova. Gli scienziati sono famosi per avere idee diverse: non dimentichiamo che molti di essi hanno dubitato ampiamente persino del fatto che il fumo provochi il cancro e ancora oggi hanno dei dubbi. Tutti noi sappiamo senza dubbio qual è la verità. La stessa cosa è successa per la talidomide come causa della focomelia negli embrioni umani.

Il secondo punto riguarda l’enfasi che si dovrebbe dare a un approccio globale perché tutti noi sappiamo che i paesi che inquinano di più, ad esempio USA, Cina e India, stanno facendo molto poco per combattere il riscaldamento globale.

 
  
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  Janez Podobnik, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Ho seguito con grande interesse la vostra discussione estremamente vivace, che ha costituito una base molto buona per la relazione interlocutoria presentata dal relatore, l’onorevole Karl-Heinz Florenz, per la quale mi congratulo e lo ringrazio.

La vostra discussione è stata tale che ne trarrebbe vantaggio qualsiasi parlamento. E’ stata molto complessa; la prendo come una critica positiva, dato che tutte le opinioni sono preziose, anche quelle critiche.

Dalla vostra discussione posso trarre due conclusioni fondamentali. L’Unione europea è e rimarrà una forza capace di far fronte… certamente, in cooperazione con i suoi partner a livello mondiale, alle continue pressioni al fine di ottenere un confronto serio sui cambiamenti climatici. Mentre la seconda conclusione consiste nel fatto che il cambiamento climatico non è solo un problema, ma anche un’opportunità. Possiamo tuttavia farvi fronte efficacemente innanzi tutto agendo a livello globale.

Desiderò altresì dire che, nel quadro del pacchetto clima ed energia, l’Unione europea sta preparando con successo e in modo accurato tutte quelle misure con cui potremmo in effetti rispondere alle conseguenze del cambiamento climatico.

La transizione verso un’economia a basse emissioni di biossido di carbonio sicura e sostenibile influenzerà diverse politiche, tra cui l’economia e la vita quotidiana dei cittadini. In diverse aree dell’Unione europea, sono necessarie misure politiche coordinate e qui è dove desidero appoggiare le vostre riflessioni secondo le quali dobbiamo aiutarci a vicenda, non solo in merito alle decisioni globali, ma essere altresì unanimi in merito ai dettagli relativi a tali misure politiche.

Desidero menzionare in modo particolare le sinergie tra cambiamento climatico ed energia. A tal proposito è necessario creare politiche europee e nazionali armoniose nei settori della ricerca, dello sviluppo e dell’innovazione; dobbiamo incoraggiare un sistema di trasporti sostenibile, che permetta agli Stati membri di adottare le misure necessarie nella lotta al cambiamento climatico; dobbiamo migliorare l’efficienza energetica, in particolare negli edifici, così come altre fonti di energia in tutti i settori, nonché tenere informati i consumatori in merito a un utilizzo efficiente dell’energia, al fine di ridurre le implicazioni sociali e anche per sfruttare al massimo le nuove opportunità.

Come è già stato accennato nella relazione dell’onorevole Florenz, la scienza del cambiamento climatico è ben consolidata e riconosciuta e il fatto che l’attuale riscaldamento globale sia una conseguenza dell’attività umana è scientificamente inconfutabile.

Permettetemi di commentare brevemente i vostri punti di vista relativi al quadro scientifico dell’IPCC. In merito a tale questione sono a favore del rispetto dell’ambito politico. Il Parlamento europeo costituisce un’arena politica illustre. Certamente dobbiamo rispettare anche l’ambito scientifico, che è, tuttavia, impegnato secondo i principi etici della ricerca e dell’accuratezza scientifica.

Non dobbiamo dimenticare, al contempo, lo spazio dei cittadini, dell’uomo comune, che sarà colpito da misure individuali in termini di qualità della vita, anche quando calcola il suo bilancio familiare e pianifica il suo futuro.

In modo particolare, desidero dire che sembra importante che, secondo l’onorevole Sacconi, nel corso delle sue sessioni, la commissione temporanea sul cambiamento climatico se la sia cavata bene e abbia discusso le questioni relative al cambiamento climatico in un’atmosfera positiva e che abbia anche adottato, a larga maggioranza, una relazione interlocutoria sui fatti scientifici relativi al cambiamento climatico.

Accogliamo con favore in modo particolare la decisione del Parlamento europeo di estendere fino al febbraio 2009 il mandato della commissione temporanea sul cambiamento climatico. Signor Presidente, consideriamo questo fatto come una prova aggiuntiva specifica che, nell’ambito del cambiamento climatico, il Parlamento europeo appoggi con le sue azioni a livello internazionale l’ambiziosa politica dell’Unione europea, avendo cura che le sue decisioni politiche siano supportate dai più recenti risultati scientifici.

Siamo altresì lieti dell’annuncio, fatto nel corso della discussione di oggi, che seguirà poi il dibattito sul pacchetto cambiamento climatico, il che significa il pieno rispetto degli impegni presi dal Consiglio europeo nel marzo 2008.

 
  
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  Stavros Dimas, Membro della Commissione. − (EL) Signor Presidente, ringrazio tutti gli oratori della discussione di oggi per i loro interventi estremamente interessanti.

Desidero in particolare sottolineare che l’UE, l’UE a 15 o l’UE a 27, rispetterà l’obiettivo di Kyoto e che non vi sono dubbi in proposito. Dato che avrò, o mi auguro di avere, questo incarico per altri 18 mesi, vi garantisco che non falliremo in nessun caso nel raggiungere l’obiettivo di Kyoto. Dico ciò perché le misure che abbiamo già preso, e che stiamo prendendo ora, garantiscono che l’obiettivo di Kyoto sarà raggiungo. Al momento questo è il minimo che dobbiamo fare nei prossimi anni. Per la cronaca, i dati che avete fornito prima sono corretti. E’ stato affermato che l’UE sta riducendo le sue emissioni di gas a effetto serra, mentre altri paesi come gli Stati Uniti le stanno aumentando e a un tasso significativamente più rapido rispetto al 1990. Nel 2005, com’è stato detto, eravamo al di sotto del livello del 1990 del 2 per cento e nel 2006 poco sotto il 3 per cento per i paesi dell’UE a 15, che hanno un obiettivo comune. Il nostro successo è tuttavia sempre maggiore come UE a 27, dato che siamo al di sotto del livello del 1990 di circa l’8 per cento. Alla fine del periodo che il protocollo di Kyoto ci ha riconosciuto per il rispetto dei nostri obblighi, l’UE a 15 sarà al di sotto di almeno l’8 per cento e l’UE a 27 di almeno l’11 per cento rispetto al livello del 1990. E’ da notare che la nostra diminuzione di poco sopra l’8 per cento è molto positiva, perché ci aiuterà a raggiungere l’obiettivo del 2020 e a superarlo.

Secondo la relazione interlocutoria, le scoperte scientifiche giocheranno un ruolo importante nei negoziati internazionali perché ci permetteranno di intraprendere misure decise. Serviranno da base per la valutazione della sostenibilità delle proposte da presentare per i negoziati nel corso del periodo precedente alla Conferenza di Copenaghen.

La risoluzione ci ricorda i pericoli che il cambiamento climatico incontrollato comporta e che colpiranno la società umana in diversi modi, nonché che avranno un serio impatto sulle nostre economie e tradizioni culturali.

La risoluzione evidenzia molto giustamente quanto sia importante evitare grandi sconvolgimenti climatici, quali il prosciugamento degli affluenti del Rio delle Amazzoni e il collasso di grandi volumi di ghiaccio a entrambi i poli.

Ritengo che sia parimenti importante porre l’accento sulle probabili conseguenze del cambiamento climatico in termini di sicurezza internazionale, di scarsità idrica e alimentare, nonché di controversie sul controllo delle risorse e degli spostamenti dei migranti. La pressione sulla comunità internazionale aumenta in continuazione a causa delle emergenze ambientali derivanti da condizioni meteorologiche estreme e dei violenti conflitti causati dal cambiamento climatico. La recente crisi dei prezzi dei prodotti alimentari costituisce a oggi l’esempio più concreto di quello che può accadere: gli scarsi raccolti in molte parti del pianeta sono causati da condizioni meteorologiche estreme. Purtroppo questa situazione non sembra essere temporanea o eccezionale; è pronta a diventare un fenomeno integrante e ricorrente, che non può essere controllato senza cambiamenti drastici alla politica e alle pratiche agricole.

Permettetemi a questo punto di menzionare qualche altro argomento esposto nella relazione. Inizierò con la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra mediante azioni sostenibili a livello nazionale nei paesi in via di sviluppo. C’è bisogno del supporto e delle prospettive offerte dalla tecnologia. Vi devono essere finanziamenti volti a trasferire la tecnologia e a promuovere la capacità agricola di tali paesi, così che le riduzioni in questione possano essere misurate, registrate e verificate. Quest’idea costituisce il cuore dei negoziati del piano d’azione di Bali. Com’è stato evidenziato a Bali, qualsiasi mossa da parte dei paesi in via di sviluppo dipenderà solo dai seri impegni presi dai paesi sviluppati e volti a ridurre le emissioni, ma anche dagli sforzi sostanziali di tali paesi al fine di fornire i finanziamenti volti in particolare a trasferire tecnologia e a creare la capacità amministrativa necessaria.

Per l’UE è importante trarre vantaggio da qualsiasi opportunità per il dialogo con i principali paesi in via di sviluppo, affinché vi sia un accordo su ciò che significa esattamente e come l’UE possa appoggiare tali azioni, o attraverso la cooperazione nella formulazione della politica, l’assistenza tecnica, il trasferimento del know-how e la disposizione di incentivi sul mercato della CO2, o attraverso l’assistenza finanziaria. E’ necessario intraprendere misure in tutti i settori, ivi comprese azioni in merito alle emissioni derivanti dal consumo di energia e al disboscamento.

Passerò ora all’aspetto scientifico della presente discussione. La Commissione concorda appieno sul fatto che le scoperte scientifiche debbano essere rese note al grande pubblico. I consumatori devono essere pronti e maggiormente consapevoli di quanto i gas a effetto serra siano generati dal loro stile di vita e dalle loro abitudini di consumo. Allertare sempre più il grande pubblico deve, tuttavia, essere accompagnato da forti incentivi finanziari per le imprese volti a ridurre le emissioni di gas a effetto serra derivanti dai prodotti e servizi che forniscono.

E’ necessaria una transizione su scala mondiale verso un’economia a basse emissioni di CO2, il che può essere realizzato solo attraverso misure sistematiche e coordinate volte a ridurre le emissioni in tutti i settori.

Il pacchetto di misure sul cambiamento climatico e l’energia, attualmente in fase di codecisione, ci dà un vantaggio nella transizione. Ci permette altresì di dimostrare che per le nostre economie e società una politica climatica ambiziosa è sia fattibile che maggiormente vantaggiosa.

Dobbiamo continuare la nostra cooperazione estremamente costruttiva su questo importante pacchetto di misure politiche e quest’anno dobbiamo giungere, mi auguro quanto prima, a un accordo.

Per concludere, desidero congratularmi con il Parlamento europeo per il suo importante contributo agli sforzi volti a combattere il cambiamento climatico e mi complimento con l’onorevole Florenz per l’eccellente lavoro svolto.

Mi auguro che il Parlamento prosegua in questo modo costruttivo. Che la nostra cooperazione e il nostro scambio di opinioni possano continuare, sia in merito al pacchetto di misure sul clima e sull’energia, che in merito ai negoziati internazionali nel corso del periodo precedente a Poznań e Copenaghen.

 
  
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  Karl-Heinz Florenz, relatore. − (DE) Signor Presidente, signor Commissario, signor Presidente in carica, vi ringrazio molto per le vostre parole di chiusura che sono estremamente incoraggianti. Ritengo che siamo stati in grado di identificare un’opinione prevalente qui in quest’Assemblea e che tale opinione naturalmente ci obbliga a portare avanti ulteriori studi scientifici e a eliminare i dubbi rimanenti, poiché, dopotutto, in quale area della conoscenza umana non c’è spazio per i dubbi? Ciò è qualcosa che, in quanto relatore, desidero senza dubbio veder accadere.

Sono grato per gli elogi che sono stati gentilmente fatti oggi e desidero passarli ai miei collaboratori che stanno dietro le quinte, che hanno lavorato davvero duramente su questa relazione. Desidero cogliere questa opportunità per ringraziarli di cuore ancora una volta.

Ascoltando la discussione di oggi si può avere l’impressione che stiamo discutendo della CO2. Lasciatemi dire che avremo molte altre questioni di cui parlare, dato che la CO2 è solo la punta dell’iceberg. Sì, costituisce un problema grave, non vi sono dubbi in proposito, ma la vera sfida è come ci occupiamo delle nostre strategie per la sostenibilità. Come dobbiamo avere cura del nostro pianeta, la Terra, affidatoci per i nostri figli? Ci sono voluti milioni di anni per creare le fonti di energia che stiamo bruciando al momento e le stiamo sprecando in circa un solo migliaio di anni. La sfida allora è come fare in modo che con un litro di carburante si percorra una distanza doppia rispetto a quella che si percorre attualmente. Questo è quanto dobbiamo ottenere e allora avremo adempiuto il nostro compito. Questa è la sfida di maggior rilievo: aumentare l’efficienza in Europa, sviluppare tecnologie d’avanguardia, utilizzare tali tecnologie al nostro interno – va da sé – e inoltre venderle in modo proficuo in tutto il mondo al fine di creare posti di lavoro. Questa è la nostra opportunità, per come la vedo, e desidero chiedere a tutti voi di aiutarci a cogliere tale opportunità con ambo le mani.

Desidero ringraziare tutti nuovamente, ma con un occhio sul Regolamento, desidero attirare la vostra attenzione su un ultimo punto. Sin dall’inizio di questa discussione, vi è stato un terribile errore nella traduzione dell’articolo 10, in cui si dice che condanno qualcosa, il che non è affatto nella mia natura. Posso disapprovare una cosa o un’altra, ma non condanno mai nulla. Parlerò senza mezzi termini: ritengo che sia importante evidenziare che c’è un problema di traduzione in quest’Aula, il che è evidente nell’intera relazione, e desidero attirare la vostra attenzione sulla corretta dicitura degli emendamenti in questo ambito che sono stati presentati a quest’Assemblea.

Desidero ringraziare tutte le persone coinvolte e invitarvi a lavorare con noi nel corso della prossima e più difficile fase di questo processo, vale a dire la risoluzione della questione di come dobbiamo ora rispondere a questi fatti scientifici.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà alle 12.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Neena Gill (PSE) , per iscritto. – (EN) Al fine di affrontare con successo il cambiamento climatico, i mercati si devono adattare in modo tale da riflettere i costi ambientali del biossido di carbonio. Chi inquina deve pagare. Dobbiamo impiegare ogni tipo di strumento politico, tra cui riduzioni dell’aliquota IVA, scambio di quote di emissione e sovvenzioni, al fine di modificare il comportamento dei consumatori e delle imprese in modo tale che siano maggiormente incentivati a scegliere opzioni ecologiche. Come ha sottolineato Nicholas Stern, i costi economici e sociali del cambiamento climatico saranno catastrofici.

Non sono pertanto affatto d’accordo con chi, in quest’Assemblea, nega il cambiamento climatico. Per vedere il suo impatto, devono solo guardare il numero e la frequenza in crescita dei disastri naturali in tutto il mondo. Tali disastri per noi costituiscono un chiaro appello a un’azione più incisiva.

L’UE ha un ruolo legittimo nell’affrontare il cambiamento climatico e deve dare l’esempio nonché fare da guida per gli altri paesi. Serve un dialogo maggiore con le economie emergenti di India e Cina, al fine di garantire che la loro crescita contribuisca alle emissioni globali in minor misura rispetto a quella di UE e USA nel corso dell’ultimo secolo. E’ di fondamentale importanza il trasferimento di tecnologia dall’UE ai paesi in via di sviluppo, così che possano evitare uno sviluppo industriale ad elevate emissioni di biossido di carbonio e passare direttamente a un’economia a basse emissioni di carbonio.

 
  
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  András Gyürk (PPE-DE) per iscritto. – (HU) Quando si prendono decisioni in merito a tale questione, è assolutamente fondamentale tener conto dei dati concreti relativi al cambiamento climatico basati su prove scientifiche. Dopotutto, il rischio di prendere decisioni sbagliate sulla base di conclusioni errate è per lo meno altrettanto elevato quanto la mancanza d’azione. Vale la pena notare una cosa in proposito: il cambiamento climatico è un dato di fatto che può essere scientificamente dimostrato e sono urgentemente necessarie misure rapide ed efficaci per porvi rimedio.

Un serio esame dei fatti scientifici può altresì aiutarci a valutare come strumenti di protezione ambientale basati sul mercato possano contribuire a promuovere la qualità dell’ambiente. A nostro avviso, sono necessari maggiori sforzi da parte degli Stati membri al fine di diffondere incentivi non dannosi per il mercato. La creazione del sistema di scambio delle quote di emissione, che affronta la questione della riduzione delle emissioni sulla base dei meccanismi di mercato, costituisce uno sviluppo gradito. Il fatto che il sistema funzioni costituisce una prova che il mercato, la concorrenza e la protezione ambientale non sono idee reciprocamente esclusive.

In Ungheria vi sono molti esempi che dimostrano come conclusioni sbagliate possano risultare in decisioni errate. Produzione di biomassa significa in realtà bruciare legname; le conseguenze dannose del sostegno obbligato ai biocarburanti stanno diventando sempre più evidenti. Le misure messe in atto in questi due settori non rispettano i requisiti di sostenibilità e inoltre non offrono una risposta al problema non dannosa per il mercato.

Desideriamo porre l’accento sul fatto che il cambiamento climatico richiede l’avvio di misure che non solo tengano conto delle prove scientifiche, ma anche permettano ai meccanismi di mercato di assumere peso .

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE) , per iscritto. – (FI) Signor Presidente, la nostra risoluzione sui fatti scientifici relativi al cambiamento climatico contiene alcune importanti osservazioni su cui è difficile non essere d’accordo. Ciononostante va detto che contiene anche alcune osservazioni irritanti. Vi sono esempi di ciò nella storia della scienza, che devono servire da avvertimenti. In quanto filosofo non ritengo che per un politico sia assolutamente innocuo interpretare i risultati scientifici, trarre da essi conclusioni affrettate e cercare di controllarle, figuriamoci “condannare” qualche altra interpretazione. Qual è il punto di tutto ciò e perché queste cose vanno affermate come regole generali? Si tratta della questione della nostra credibilità, elemento di cui necessiteremo enormemente nella nostra lotta al cambiamento climatico.

Al punto 5 si dice che è scientificamente provato che l’uomo costituisce la causa principale del cambiamento climatico. Il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico non lo asserisce in nessuna fase. Il rapporto parla di probabilità. Il contributo dell’uomo al riscaldamento nel corso dell’ultimo decennio costituisce una grande probabilità.

Il punto 7 pone l’accento sui risultati scientifici che “indicano chiaramente come evolverà il cambiamento climatico nel prossimo futuro, basandosi su modelli regionali diversi”, il che è precisamente ciò che non sappiamo. La scorsa settimana, a Reading, i simulatori climatici hanno fatto appello nella loro dichiarazione alla necessità di supercomputer. Al momento i meteorologi non sono in grado di dare una risposta alla domanda relativa al tipo di effetti regionali che avrà il cambiamento climatico, in parte a causa delle insufficienti capacità informatiche.

Al punto 8, si accenna al fatto che la deglaciazione della Groenlandia e della calotta polare antartica occidentale costituiscono esempi di punti critici del cambiamento climatico. Attualmente tuttavia i dati relativi alla deglaciazione sono molto contraddittori, a causa del fatto che al momento lo spessore del ghiaccio in aree centrali della Groenlandia e dell’Antartico sta aumentando.

Né accuserei o condannerei gli scettici e i critici del cambiamento climatico, come nel caso del punto 10. Neanche i politici in particolare lo dovrebbero fare: la questione dovrebbe essere lasciata al dibattito scientifico.

 
  
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  Marian-Jean Marinescu (PPE-DE) , per iscritto. – (RO) La CLIM può fare raccomandazioni e fornire soluzioni per le future politiche dell’Unione europea in questo ambito, raccomandazioni e soluzioni basate su prove scientifiche chiare e, soprattutto, sul fermo sostegno dei cittadini europei.

Le prove scientifiche sono indiscutibili. La relazione dell’onorevole Karl-Heinz Florenz è esauriente, il che prova che i dati scientifici sono sufficienti al fine di prendere decisioni politiche ferme e avviare azioni concrete non solo a livello europeo, ma anche a livello globale, per ridurre drasticamente il fenomeno antropico responsabile del cambiamento climatico e mitigarne gli effetti.

E’ necessario continuare gli sforzi nella ricerca, in particolare nell’ambito delle nuove tecnologie, dell’energia rinnovabile e dei biocarburanti, al fine di trovare l’equilibrio necessario a mantenere concorrenza economica, sviluppo sociale e garantire la sicurezza alimentare ed energetica, che sono fondamentali per il benessere dei cittadini europei.

La comunità scientifica e i rappresentanti politici devono unire le loro forze e appoggiare le attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica nonché stimolare la partecipazione dei cittadini in attività concrete, perché lo scambio di buone pratiche, la cooperazione e il dialogo internazionali, regionali e in particolare transfrontalieri, così come il coinvolgimento diretto dei cittadini rappresentano il mezzo più efficace per lottare contro il cambiamento climatico.

 
  
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  Sirpa Pietikäinen (PPE-DE) , per iscritto. – (EN) Signor Presidente, onorevoli colleghi, negli ultimi anni l’Unione europea è stata uno degli attori internazionali che hanno mostrato la via per lo sviluppo di una politica climatica globale sostenibile. E’ una posizione che l’UE deve mantenere anche in futuro.

Desidero ringraziare il relatore e la commissione per questa relazione apprezzabile. Servirà a rafforzare la visione delle basi scientifiche su cui si deve appoggiare il lavoro per il controllo del cambiamento climatico. Occorre notare che la scienza e la conoscenza da essa portata cambiano in continuazione a causa delle nuove tecnologie e scoperte. Di conseguenza, dobbiamo restare aperti a tutte le informazioni su questo fenomeno e altresì rispettare le opinioni diverse.

E’ estremamente importante reagire in modo decisivo al cambiamento climatico. Fino a oggi, ciascuno dei quattro Gruppi intergovernativi ha dovuto rivedere le stime relative alla velocità con cui si sta verificando il cambiamento climatico operate dai loro predecessori. Il fenomeno si è sviluppato più rapidamente rispetto alle prime stime della Comunità in merito. Anche ora sembra che vi sia la necessità di rivedere le precedenti stime dell’IPCC. Gli studi condotti dalla NASA, l’agenzia spaziale americana, mostrano che il controllo del cambiamento climatico richiederà azioni più drastiche: il contenuto del gas presente nell’atmosfera causato dal cambiamento climatico deve essere limitato in modo più rigoroso in modo tale da poter evitare tali drastici cambiamenti.

L’UE deve tener conto dell’opinione scientifica sempre più diffusa secondo cui le emissioni di biossido di carbonio debbano essere ridotte in modo più drastico al fine di rallentare il riscaldamento climatico, come raccomandato dall’IPCC. Avendo osservato da vicino tale sviluppo, temo che gli obiettivi del pacchetto clima dell’UE non siano sufficientemente ambiziosi. L’Unione deve ora compiere sforzi molto più determinati al fine di istituire nell’Unione società effettivamente ecologiche. La modernizzazione in termini ecologici deve costituire il principio guida di tutti i settori politici dell’UE. La capacità di cambiare di fronte a tale rivoluzione costituirà altresì il fattore principale che influirà sulla competitività internazionale dell’UE.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (PSE) ) , per iscritto. – (RO) La lotta al cambiamento climatico è diventata un argomento presente sempre più spesso nell’ordine del giorno dei lavori delle organizzazioni internazionali. Iniziando con il Vertice del 2007, quando è stato deciso l’obiettivo del 20 per cento per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili entro il 2020, il riscaldamento globale è diventato una priorità per tutti i paesi del pianeta.

Tale decisione è stata seguita da altri importanti eventi internazionali, quali il Vertice del G8 a Heiligendamm, la discussione del Consiglio delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico o il piano d’azione di Bali. In seguito a tali eventi internazionali, è stato raggiunto un accordo scientifico, secondo il quale le tendenze del riscaldamento globale si basano sulle attività umane e i risultati della ricerca e della raccolta dei dati sono sufficienti ad avviare azioni urgenti e decisioni politiche volte a ridurre le emissioni di gas. E’ fondamentale creare il Fondo di adattamento e includere le foreste in un nuovo accordo di protezione del clima volto a evitare un ulteriore disboscamento ed emissioni di biossido di carbonio causate dagli incendi boschivi.

Sensibilizzare il grande pubblico diffondendo le prove scientifiche relative all’impatto umano sul cambiamento climatico giocherà un ruolo fondamentale al fine di ottenere l’appoggio dei cittadini dell’UE per azioni politiche volte a ridurre le emissioni di carbonio.

 
  
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  Andres Tarand (PSE) , per iscritto. – (ET) Il clima sta cambiando e ciò accade a causa dell’attività umana. Fino a 40 anni fa, quando ho prelevato dei campioni di ghiaccio dalla stazione di ricerca in Antartide, ne eravamo inconsapevoli. Oggi l’IPCC, che collaziona il lavoro di migliaia di scienziati, ha fornito prove sufficienti a dimostrare che il cambiamento climatico si sta verificando e il nostro compito è agire piuttosto che continuare a fornire prove. Su questo punto mi trovo pienamente d’accordo con l’approccio del relatore, l’onorevole Florenz.

L’Unione europea deve essere ambiziosa e adottare un obiettivo più vicino a una riduzione del 30 per cento delle emissioni di gas a effetto serra entro l’anno 2020. Altrimenti la questione sarà complicata in previsione di contributi genuini da parte di altri paesi. E’ strano che un forum più elevato voti all’unanimità sul livello di dettaglio degli obiettivi generali, ma che, quando si tratta degli obiettivi relativi al contenuto delle emissioni di CO2 nei gas di scarico delle automobili o di diverse altre misure specifiche, non osa più essere così ambizioso. Questo non è il modo di affrontare in modo efficace il cambiamento climatico.

Appoggio le proposte di modifica che concentrano l’attenzione sulla necessità di eseguire studi più dettagliati e modelli della situazione degli oceani e dei mari e dell’influenza del cambiamento climatico sulla fauna ittica. Non posso, tuttavia, trovarmi d’accordo su diverse proposte di modifica in cui si manifestano dubbi in merito al fatto che si stia verificando il cambiamento climatico, in cui è messa in risalto l’importanza dei combustibili fossili e dell’energia nucleare e in cui è ridicolizzato lo sviluppo dell’energia rinnovabile.

Ritengo che la commissione temporanea sul cambiamento climatico del Parlamento abbia contribuito a sensibilizzare i rappresentanti di diversi livelli sociali e a individuare una posizione comune. Come compromesso è ragionevole l’estensione di nove mesi del mandato della commissione fino all’incontro di Poznań. Una scadenza più lunga per noi avrebbe voluto dire eseguire un compito importante dovendo tenere decisamente d’occhio le elezioni.

 
  
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  Gabriele Zimmer (GUE/NGL) , per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione. La discussione sul cambiamento climatico, che è necessaria con urgenza, deve fondarsi su solidi fatti scientifici. Essi sono stati forniti dalla relazione interlocutoria dell’onorevole Florenz. La presente relazione deve assumere un ruolo di rilievo sia nell’arena pubblica che in seno alla Commissione e al Consiglio. Le scoperte scientifiche sull’effetto serra sono disponibili da più di 180 anni.

E’ stato a causa di particolari condizioni sociali che sono state ignorate tali conoscenze relative alla minaccia alle basi naturali e climatiche della vita, impedendo un’azione tempestiva e facendo sì che anche oggi si continui ad agire in questo modo. O iniziamo ad agire ora sulla base della cooperazione internazionale al fine di limitare danni ulteriori ed evitare i disastri che sono stati previsti e che colpiranno con tutta la loro forza innanzi tutto le popolazioni più povere del pianeta, o continuiamo sulla strada verso la distruzione. I fatti dimostrano in modo convincente che è necessaria un’azione immediata volta a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e che dobbiamo limitare il riscaldamento a meno di 2°C modificando il nostro stile di vita e le abitudini di consumo, nonché mediante l’adozione di criteri e quadri politici e sociali. Appoggio la dichiarazione del relatore secondo la quale non di tratta di discutere i valori delle emissioni; ora il dibattito deve concentrarsi sulla sostenibilità.

La Strategia dell’UE per lo sviluppo sostenibile deve tener conto di tali problemi e istituire finalmente politiche su basi sostenibili, il che richiede una modifica delle priorità politiche. Ogni giorno perso è potenzialmente devastante e ciò non può trovare giustificazione.

 

4. Relazione 2007 sui progressi compiuti dalla Turchia (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten, a nome della commissione per gli affari esteri, sulla relazione 2007 sui progressi compiuti dalla Turchia [2007/2269(INI)] (A6-0168/2008).

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten, relatrice. − (NL) Signor Presidente, dall’ultima relazione sulla Turchia, nel paese vi sono stati diversi sviluppi positivi. Penso al fatto che sia passata la legge sulle fondazioni e, ancor più di recente, alla prima modifica dell’articolo 301, che porterà a ulteriori riforme necessarie al fine di garantire la piena libertà d’espressione. E’ altresì chiaro tuttavia che la Turchia presenta un quadro misto e che va fatto molto di più, non solo per rispettare gli accordi con l’Europa, ma anche per rispettare le promesse fatte al suo stesso popolo.

La presente relazione è equilibrata e affinché resti tale, mi auguro che le fissazioni che sono state alimentate non portino da nessuna parte. Nel documento ho menzionato tutti i problemi ed esso contiene tre messaggi importanti.

Siamo innanzi tutto preoccupati delle implicazioni del caso AKP dinanzi alla Corte. Ci aspettiamo che la Corte costituzionale rispetti i principi dello Stato di diritto, le norme europee e gli orientamenti della Commissione di Venezia sul divieto dei partiti politici. Accogliamo con favore il fatto che nel 2007 la democrazia ha trionfato sui tentativi dell’esercito di distruggere il processo politico. Siamo tuttavia altresì preoccupati che vi siano ancora delle forze che lavorano nel tentativo di destabilizzare il paese. La modernizzazione del paese e le riforme sono ora chiaramente necessarie. Il primo ministro Erdoğan ha promesso che il 2008 sarà l’anno delle riforme e saremo lieti di fargli mantenere tale promessa. Il governo deve ora approfittare dell’ampia maggioranza di cui gode in parlamento per dare inizio alle riforme con determinazione; riforme che sono fondamentali se la Turchia deve diventare una democrazia moderna e prospera basata su uno Stato laico e una società pluralistica e riforme che sono innanzi tutto nei migliori interessi della popolazione turca stessa.

Terzo punto. Il processo costituzionale è un’opportunità ideale per redigere una nuova costituzione laica incentrata sulla tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il che costituisce l’unico modo per creare un sistema di verifiche e di equilibrio, a garanzia della democrazia, dello Stato di diritto, della coesione sociale e della separazione fra religione e Stato. Se si guarda ai dati recenti, essi dimostrano che mantenere separati la religione e lo Stato è causa tensioni nella società turca. Peraltro il 72 per cento dei turchi istruiti sono preoccupati della natura laica della Turchia, così come il 60 per cento dei cittadini di tutte le grandi città e quasi il 50 per cento degli altri cittadini turchi. La magistratura e i procuratori si gettano su tale inquietudine e sfruttano il loro campo d’azione per ignorare la maggioranza parlamentare e operare in modo estremamente indipendente. Un sistema giudiziario in uno Paese nello Stato di diritto deve essere indipendente, ma anche imparziale. La nuova costituzione è l’unico modo in cui il governo turco può riformare il paese e istituire la separazione tra Stato e religione e un paese nello Stato di diritto, al fine di acquisire nuova credibilità pubblica.

Tutto ciò necessita della garanzia di un’ampia partecipazione al processo costituzionale da parte di tutti gli organismi della società civile. A mio avviso, ciò significa giungere a un accordo sulla modernizzazione con tutti i partiti politici, le minoranze etniche e religiose e le parti sociali. La modernizzazione deve garantire che i diritti individuali dei cittadini, le loro libertà, siano messi in linea con la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

A tal proposito, dobbiamo portare avanti i negoziati tra l’UE e la Turchia, ma anche senza ipocrisia, in modo tale da poter essere vicendevolmente onesti e aperti. Trovo che sia molto spiacevole che il mio collega, l’onorevole Lagendijk, venga attaccato quanto afferma apertamente e onestamente dove sono stati commessi degli errori nonché quando chiede cooperazione da parte di tutti i partiti politici nel processo di riforma.

Per riassumere, signor Presidente, c’è ancora molto da fare in merito alla condizione delle minoranze religiose in Turchia, alla condizione dei curdi e delle altre minoranze, allo sviluppo socio-economico della regione, al miglioramento della condizione delle donne, al dialogo tra il governo turco e le parti sociali, in cui in particolare richiamo l’attenzione sul movimento sindacale che è spesso sottoposto a pressioni, alla cooperazione costruttiva nella risoluzione della questione di Cipro e al buon vicinato nella regione. In breve, vi prego di rispettare gli accordi che sono stati presi.

Signor Presidente, pongo nuovamente l’accento sul fatto che, a mio avviso, solo una società che consente a se stessa di essere guidata dal rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e che si fonda sulla democrazia, sullo Stato di diritto e su un’economia di mercato avente una dimensione sociale può svilupparsi in una società pacifica, stabile e prospera.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARTINE ROURE
Vicepresidente

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Desidero iniziare esprimendo la mia gratitudine per la relazione redatta dall’onorevole Ria Oomen-Ruijten, che ad avviso del Consiglio rappresenta un importante contributo alla discussione relativa al processo di adesione della Turchia.

La Presidenza slovena ha incoraggiato la Turchia a compiere ulteriori progressi nel suo processo di avvicinamento all’adesione all’Unione europea. In seno al Consiglio è attualmente in corso un dibattito in merito alle otto relazioni rimanenti sulla revisione dell’allineamento legislativo, le cosiddette relazioni di screening. Se i preparativi tecnici compiono buoni progressi, nell’UE saremo forse in grado di aprire due nuovi capitoli – conferenza di adesione della Turchia a giugno.

In merito alle riforme in Turchia, concordiamo con la valutazione del Parlamento europeo secondo la quale quest’anno è decisivo per tale processo e riteniamo che la Turchia non debba perdere tale opportunità.

Una versione riveduta del partenariato per l’adesione, che è stata accettata nel febbraio di quest’anno, definisce gli ambiti prioritari principali in cui il paese deve accelerare le riforme. Certo sono i progressi effettivi di tali riforme che influenzeranno direttamente l’ulteriore corso del processo di negoziazione.

Desidero altresì porre l’accento sul fatto che condividiamo le preoccupazioni del Parlamento europeo circa i procedimenti contro il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP). La presidenza ha rilasciato una dichiarazione sottolineando che la separazione dell’esecutivo dalla magistratura costituisce un principio fondamentale di tutte le società democratiche e che tale principio va rispettato. Vigileremo attentamente sugli sviluppi. Ci auguriamo che il risultato di tali procedimenti rispetti le norme democratiche, operando secondo i principi dello Stato di diritto e ci auguriamo che tali procedimenti non influiscano sul processo di riforma richiesto.

Permettetemi di continuare accennando ad alcuni aspetti dell’affermazione delle libertà fondamentali e del rispetto dei diritti umani. Si tratta di due ambiti in cui le riforme in Turchia sono particolarmente importanti.

In riferimento alla libertà di espressione, accogliamo con favore l’emendamento dell’articolo 301 del codice penale, che costituisce un passo nella giusta direzione; tuttavia, al fine di garantire effettivamente la libertà di espressione, sarà necessario che tale articolo venga anche attuato in modo adeguato. A parte il fatto che anche altre disposizioni necessitano di essere armonizzate con le norme europee.

In merito alla libertà di religione, accogliamo con favore l’adozione della legge sulle fondazioni, che costituisce un passo nella giusta direzione. Sottolineiamo al contempo che si devono compiere ulteriori sforzi in questo settore verso la garanzia del pluralismo religioso, in linea con i criteri europei.

Riguardo alle relazioni tra civili ed esercito, il risultato della crisi costituzionale dello scorso anno ha confermato che il processo democratico è di importanza cruciale. Ciononostante le forze armate dispongono ancora di un’influenza politica significativa. A tal proposito è necessario rafforzare il controllo democratico civile dell’esercito e potenziare ulteriormente il controllo parlamentare della spesa per la difesa.

In merito alla situazione nel sud-est del paese, condanniamo risolutamente gli attacchi terroristici e esprimiamo la nostra solidarietà alla popolazione turca. Appoggiamo gli sforzi della Turchia per proteggere il suo popolo e nella lotta al terrorismo. Al contempo tuttavia ribadiamo che è assolutamente necessario rispettare le disposizioni del diritto internazionale e sforzarsi di preservare la pace e la stabilità nella regione.

Come tutti voi sapete, l’Unione europea valuta i progressi della Turchia in base al rispetto da parte sua dei criteri politici di Copenhagen e all’osservazione delle disposizioni nel quadro dei negoziati per la Turchia. Anche il Consiglio valuterà l’attuazione del protocollo allegato al Trattato di Ankara. A tal proposito mi rammarico che la Turchia non abbia ancora adempiuto i suoi obblighi e che non abbia compiuto alcun progresso verso la normalizzazione delle relazioni con la Repubblica di Cipro.

Tuttavia, tra gli aspetti importanti dei progressi compiuti nei negoziati di adesione vi sono, senza alcun dubbio, gli sforzi verso buone relazioni con i paesi vicini e verso la risoluzione pacifica delle controversie, in linea con il documento costituzionale delle Nazioni Unite.

Grazie.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Oomen-Ruijten e la commissione per gli affari esteri per questa relazione molto solida, ferma ed equilibrata. Ad oggi nei negoziati di adesione con la Turchia sono stati aperti sei capitoli e, come ha affermato il Presidente Lenarčič, deve essere possibile aprire altri due capitoli durante la Presidenza slovena e nella fattispecie quelli del diritto societario e della proprietà intellettuale.

In questo contesto desidero ricordarvi un principio guida semplice ma assolutamente fondamentale della politica di allargamento dell’UE, che si applica ad ogni paese candidato, tra cui la Turchia: la velocità dei negoziati dipende dai progressi compiuti nella riforma giuridica e democratica – e in particolare dalla loro attuazione. In altre parole i colloqui tecnici sui capitoli costruiscono i muri e le stanze della casa – forse un giorno persino il tetto – mentre la riforma giuridica e democratica costituisce proprio le fondamenta per la costruzione di qualsiasi nuovo Stato membro dell’UE. E, come sanno tutti i costruttori, si deve prima costruire fondamenta solide per poi passare a tirare su i muri. Pertanto, prima le riforme e poi i progressi nei negoziati tecnici.

Ecco perché reputo la relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten così pertinente. La Commissione condivide le sue opinioni relative al lento ritmo con cui procedono le riforme. Eppure talune riforme legislative hanno già avuto luogo. Noto che accogliete con favore la nuova legge sulle fondazioni e la Commissione riferirà su vostra richiesta in merito a tale legge e alla sua attuazione nella nostra prossima relazione sui progressi compiuti dalla Turchia del prossimo autunno.

La recente revisione dell’ignobile articolo 301, inoltre, costituisce un passo avanti. Ciò che conta alla fine, tuttavia, è la sua adeguata attuazione al fine di garantire la libertà d’espressione per tutti in Turchia.

Oltre alle libertà fondamentali d’espressione e di religione, sono fondamentali ulteriori progressi in settori quali i diritti culturali e linguistici, i diritti delle donne e dei minori e i diritti sindacali. Tutto sommato è assolutamente fondamentale un rinnovato interesse nelle riforme connesse all’UE, che dovrebbe altresì contribuire a superare l’attuale crisi politica.

Questo è il messaggio del Presidente Barroso trasmesso durante la nostra recente visita in Turchia. Sia il governo che i partiti dell’opposizione si devono impegnare nel dialogo e nella ricerca di un compromesso sulle questioni sensibili che dominano il dibattito interno, tra cui il processo di riforma costituzionale. Sia la laicizzazione che la democrazia devono essere difese in tale contesto.

Deploro che la Corte costituzionale abbia bloccato per due anni la legge sul difensore civico. Accolgo con favore il fatto che insistiate che venga sbloccata, in modo tale da istituire senza indugio l’ufficio del difensore civico. Tutti noi sappiamo quanto sia stata importante la funzione del difensore civico nel mantenere le responsabilità delle autorità e nel promuovere i diritti dei cittadini negli Stati membri dell’UE.

L’essenza di tali riforme è di garantire la trasformazione della Turchia in una società aperta e moderna, in cui vi sia il pieno rispetto di libertà e democrazia, diversità e tolleranza – vale a dire per una laicizzazione democratica.

L’effettiva esistenza della nostra Unione poggia sui valori fondamentali di democrazia, Stato di diritto e diritti umani che tutti noi condividiamo. Essi costituiscono la base del senso della famiglia e del contratto di matrimonio, come ha affermato Jacques Delors, nei quali noi europei ci siamo impegnati.

Il quadro negoziale con la Turchia spiega chiaramente tali valori ed è compito della Commissione vigilare su di essi. Il ruolo della Commissione del processo di adesione può essere descritto come “l’amico che dice la verità” – anche se la verità non è sempre ben accolta in alcune parti dell’UE o in Turchia.

Non possiamo pertanto essere indifferenti a quello che sta succedendo nei paesi candidati, tanto meno a eventi che influiscono sui nostri valori democratici condivisi. Noto la vostra preoccupazione circa le implicazioni del caso della chiusura dell’AKP. Certamente la sentenza della Corte costituzionale deve essere compatibile con i principi democratici e lo Stato di diritto, ivi compresi gli orientamenti della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa.

Desideriamo che la Turchia superi questo caso mediante il rispetto dei valori europei. La Turchia non si può permettere di perdere un altro anno sulle riforme e noi dobbiamo vedere una progressione, e non una regressione, nel rispetto dei principi democratici.

Desidero concludere dicendo alcune parole su Cipro. Per i leader delle due comunità è ora tempo di porre fine all’impasse e di andare verso la riunificazione dell’isola. Sono fiducioso che la Turchia contribuirà appieno alla ricerca di una soluzione. La Commissione appoggia un rinnovato processo ONU e sosterrà pienamente entrambe le comunità presenti sull’isola affinché giungano ai difficili compromessi necessari.

 
  
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  Emine Bozkurt, relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. – (NL) Di recente in Turchia è passata un’importante normativa in materia sociale e del lavoro. L’ingresso di un numero maggiore di donne nel mercato del lavoro costituisce un obiettivo importante, dato che al fine di rafforzare la posizione delle donne è estremamente necessaria la loro partecipazione all’economia.

Va da sé che i diritti della donna sono i diritti umani. E’ importante che le donne siano in grado di rivendicare i diritti umani così come le pari opportunità e i diritti alla riproduzione e che non siano vittime di criteri vaghi come “contro la decenza pubblica”, il che è fondamentale anche per le organizzazioni omosessuali. In Turchia sono estremamente necessari strumenti volti a monitorare e a introdurre la promozione di genere. Desidero pertanto vedere una commissione per i diritti della donna avente pieni poteri legislativi nel parlamento turco.

In Turchia le elezioni locali si svolgeranno il prossimo anno. A livello nazionale il numero delle donne parlamentari è raddoppiato, ma si deve fare ancora molto. L’affluenza locale è ancora inferiore all’1 per cento, una sfida enorme se ora deve diventare una realtà l’equa rappresentanza in politica delle donne.

 
  
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  Giorgos Dimitrakopoulos, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signora Presidente, desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Oomen-Ruijten per la sua relazione nonché per la sua cooperazione nel corso di tutto questo tempo.

La relazione invia un messaggio chiaro alla Turchia secondo cui il suo percorso verso l’Europa e alla fine il suo ingresso nella famiglia europea passerà attraverso le seguenti fasi.

Innanzi tutto, deve continuare a potenziare le riforme in tutti i suoi settori e strutture.

In secondo luogo, deve mostrare totale e assoluto rispetto per i diritti umani e i diritti dei minori.

In terzo luogo, le truppe turche devono ritirarsi da Cipro e vi deve essere un contributo verso una soluzione equa e duratura in merito alla questione di Cipro. E’ ormai tempo per tutti noi di offrire il nostro appoggio alle iniziative in questa direzione del Presidente Christofias.

Quarto, la Turchia deve mantenere in generale relazioni di buon vicinato e con la Grecia in modo particolare, il che significa che devono finire le violazioni della regione di informazione di volo, così come le provocazioni di ogni genere.

Vi sono senza dubbio in Turchia delle forze che vogliono la destabilizzazione del paese, mentre alcuni cittadini Turchi si augurano una Turchia più democratica, progressista, sviluppata, dotata di maggiore consapevolezza ambientale e sociale, amante della pace e orientata all’Europa. Si deve trasmettere a tali cittadini il messaggio che la loro lotta non è invano ed è quanto riesce a fare la relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten, così come la discussione che teniamo qui oggi.

 
  
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  Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero iniziare ringraziando l’onorevole Oomen-Ruijten per la cooperazione molto fruttuosa e costruttiva offerta. A nome del mio gruppo, desidero altresì esprimere all’onorevole Lagendijk la nostra solidarietà: respingiamo tutti gli attacchi sleali contro di lui.

Desidero limitare il mio intervento a una sola questione fondamentale e cioè la minaccia di divieto nei confronti di due partiti, l’AKP e il DTP. In entrambi i casi, vogliamo che sia molto chiaro che questi due divieti per noi sarebbero completamente inaccettabili e costituirebbero un grande impedimento ai progressi della Turchia per diventare un membro dell’Unione europea. Per il nostro modo di intendere la democrazia, è incomprensibile che un tribunale semplicemente neghi a diversi elettori, dopo il fatto, il diritto di influenzare la situazione politica del loro paese esprimendo il loro voto per il partito che preferiscono. Ciò è inaccettabile nel caso del partito di maggioranza ed è inaccettabile anche nel caso del Partito della società democratica (DTP). Vi sono in gioco principi giuridici e democratici fondamentali, che si oppongono a questa linea di condotta.

In merito al DTP, anziché cogliere l’opportunità per parlare ai rappresentanti della popolazione curda e avviare il dialogo, dato che – insieme ai turchi – rifiutiamo il terrorismo, è in corso un tentativo per vietare anche questo partito. So che non tutti nel DTP sono pronti a impegnarsi nel dialogo. In tal caso, va semplicemente adottato un approccio al fine di sviluppare tale dialogo in modo adeguato. Richiediamo pertanto in modo inequivocabile che tutte le forze moderate della Turchia facciano del loro meglio al fine di garantire che questi due partiti possano continuare a operare nel panorama politico turco.

Sappiamo che si tratta di un processo di lunga durata e senza limiti di tempo, ma deve avere un obiettivo e tale obiettivo deve essere l’adesione. Si tratta di un obiettivo per il quale, nell’Unione europea, dobbiamo fare del nostro meglio per raggiungerlo, restando in contatto con i nostri cittadini. Anche la Turchia, tuttavia, deve fare del suo meglio, portando avanti le riforme necessarie.

(Applausi)

 
  
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  Alexander Graf Lambsdorff, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signora Presidente, anch’io desidero iniziare ringraziando sentitamente l’onorevole Oomen-Ruijten per la buona cooperazione, che è stata costruttiva in quest’occasione proprio come lo è stata lo scorso autunno. Una convergenza sostanziale costituisce una caratteristica della presente relazione. I gruppi parlamentari concordano in merito al fatto che la Turchia debba continuare a compiere continui miglioramenti di sua spontanea volontà, ma che debba farlo molto più rapidamente che in passato. Concordiamo inoltre sul fatto che si tratta di qualcosa che possiamo e senza dubbio dobbiamo aspettarci da un paese candidato all’adesione.

Riteniamo inoltre che le riforme debbano essere perseguite nonostante l’importante crisi politica interna. Desidero sollevare un punto cui ha appena accennato l’onorevole Swoboda: L’Unione europea non è una parte attiva di tale processo di divieto. Il Commissario Rehn ha ragione quando afferma che la laicizzazione e la democrazia vanno difese; altrimenti, come asserito dall’onorevole Swoboda, dovremo far fronte a un problema democratico fondamentale che porterà grandi tensioni sui negoziati di adesione.

Ciò che è importante notare è che molti dei problemi di cui stiamo parlando esistono da tempo, pertanto vanno messi in rilievo solo pochi punti. Lo scorso anno abbiamo accolto con favore il fatto che il governo turco avesse ricevuto un mandato chiaro e inequivocabile per ulteriori riforme. Abbiamo richiesto che tale mandato venisse utilizzato al fine di portare effettivamente avanti le riforme. Accogliamo con favore l’adozione della legge sulle fondazioni. Si tratta di un passo positivo, ma tutto sommato dobbiamo dire – e ritengo che anche in questo caso vi sia l’unanimità – che in generale siamo tutti delusi da quanto è stato ottenuto.

Prendiamo la riforma costituzionale: è adombrata dalla discussione sul velo a tal punto che nessun progresso effettivo è stato compiuto sul fondamentale rinnovo della costituzione turca. La discussione sul velo è altresì una questione di libertà di religione e di libertà di opinione, ma non deve essere utilizzata per l’oppressione culturale delle donne che abbracciano atteggiamenti laici.

Un’altra questione importante, in particolare per il Gruppo liberale, è la libertà di parola. Dal nostro punto di vista, la cosiddetta riforma dell’articolo 301 non è soddisfacente. Ho parlato con molte persone nella stessa Turchia e, anche lì, sono molto pochi coloro che ritengono che questa riforma dell’articolo 301 sia seria e ben fondata, in particolare dato che ora costituisce un paragrafo simbolico. Vi sono molti altri paragrafi del codice penale che limitano la libertà di parola. Non desidero elencarli tutti, ma c’è ancora molto lavoro da fare in proposito.

Un altro punto che desidero menzionare brevemente riguarda le relazioni con la Turchia nel quadro dell’UE e della NATO. Desideriamo sottolineare che ci aspettiamo che la Turchia mostri un atteggiamento positivo nei confronti delle missioni della Politica europea di sicurezza e di difesa (PESD). Comprendiamo le difficoltà esistenti, ciononostante ci aspettiamo che il paese candidato all’adesione mostri uno spirito europeo quando è in gioco la sicurezza delle truppe militari europee impegnate in missioni quali EUPOL e EULEX.

 
  
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  Joost Lagendijk, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Onorevoli colleghi, come avrete probabilmente notato, nelle ultime due settimane il Commissario e io siamo stati molto criticati da alcuni ambienti turchi. Si sostiene che non comprendiamo la Turchia in modo adeguato, che non ci rendiamo realmente conto di quanto sta accadendo nel paese.

Devo ammettere che a volte ci sono diversi aspetti della Turchia che non comprendo. Non riesco a capire, ad esempio, il fatto che molte persone in Turchia non considerano un problema il fatto che il partito di maggioranza, che nelle ultime elezioni ha ottenuto il 47 per cento dei voti, stia correndo il rischio di essere vietato dalla Corte costituzionale. Un’altra cosa che non comprendo è il fatto che le raccomandazioni del Consiglio d’Europa sul divieto dei partiti politici siano passate così facilmente, dato che è chiaro che il caso contro l’AKP non ne rispetta affatto i criteri. Un’altra cosa che non capisco è il fatto che è così facile lasciarsi sfuggire che, vietando l’AKP e il DTP, circa il 90 per cento dei voti del sud-est sono stati dichiarati nulli, con tutto ciò che comporta. Ancora, non capisco il motivo per cui in Turchia sia stato fatto così tanto perché io e il signor Commissario abbiamo criticato il fatto che, dal nostro punto di vista, un caso politico, se porta al divieto del partito di maggioranza, comporta conseguenze davvero gravi. A mio avviso, è nostro dovere affermarlo e dobbiamo continuare a farlo.

Vi è tuttavia un’altra cosa che non comprendo. Ciò che non capisco è perché per le autorità sia stato impossibile permettere ai sindacati di dimostrare pacificamente a Istanbul il 1° maggio, anche in piazza Taksim, luogo molto simbolico dal 1977. Un’altra cosa che davvero non riesco a capire è perché per le autorità sia stato impossibile distinguere tra rivoltosi e sindacati che cercano di esercitare i loro diritti democratici. Non capisco neppure perché sia stata necessaria una violenza così eccessiva contro i dimostranti pacifici e i passanti innocenti.

Concluderò esprimendo la speranza che questo Parlamento continui, come nella presente relazione, a incoraggiare le riforme, ma anche, qualora esse non vengano attuate, a criticare il governo e l’opposizione, secondo modalità che descriverei come chiare, esplicite, rispettose delle reciproche opinioni, ma senza tabù. Credo fermamente che, se ciò accadrà, tutti noi, in Turchia e nell’Unione europea, alla fine ci capiremo meglio.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Questa relazione molto valida non verrà accolta bene ad Ankara. Da un lato, riconosciamo gli sforzi compiuti, e cioè l’adozione della legge sulle fondazioni, la riforma del codice penale in merito alla libertà di espressione e le modifiche costituzionali annunciate. Dall’altro, certe questioni restano ancora irrisolte, tra cui la libertà di religione per le fedi diverse dall’islam, l’ingerenza nelle attività del Patriarcato ecumenico e i lenti progressi nelle indagini sull’omicidio di Hrant Dink e dei tre cristiani di Malatya. Alcune disposizioni dell’accordo di associazione inoltre non sono state rispettate. Lo scorso anno, abbiamo scritto riguardo a ciascuna di tali questioni. Si potrebbe tranquillamente concludere che il tempo scorre molto lentamente nella regione del Bosforo.

Invece di esercitare pressione per l’intero processo di integrazione, dobbiamo forse disporre un quadro giuridico per un tipo di cooperazione tra Turchia e Unione più adatto per entrambi i partner. Ciò potrebbe essere fatto immediatamente. La dimensione politica di tale quadro potrebbe trascendere tranquillamente la politica europea di buon vicinato. Il pacchetto alternativo non causerebbe tensioni come quelle attualmente presenti ad Ankara e nelle capitali europee e relative al dibattito in merito al fatto che la Turchia diventi o meno un membro a pieno titolo dell’Unione europea.

 
  
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  Vittorio Agnoletto, a nome del gruppo GUE/NGL. – Presidente, onorevoli colleghi, noi ci asterremo su questa risoluzione, soprattutto per come non è trattata la questione curda. In particolare, non penso si possano definire semplicemente operazioni militari sproporzionate quelle condotte dalla Turchia nel nord dell’Iraq, anziché ribadire che ci troviamo di fronte a un’esplicita violazione del diritto internazionale.

La questione curda non può essere ridotta solo ed unicamente ad una questione sociale. E’ una questione prima di tutto politica e noi dobbiamo dire in modo assolutamente chiaro al governo che deve aprire delle discussioni con le amministrazioni locali della regione curda e con il DTP. Non possiamo tacere sul fatto che non c’è un minimo accenno sulla risoluzione della Corte di Lussemburgo sulla diversa collocazione del PKK nelle liste dei terroristi come avviene invece finora.

Pensiamo che sulla questione curda sono stati lanciati tantissimi appelli alla Turchia, ma che finora non è stato assolutamente notato alcuna modifica sostanziale. Questo è il motivo della nostra astensione.

 
  
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  Georgios Georgiou, a nome del gruppo IND/DEM. – (EL) Signora Presidente, ho letto con grande interesse e rispetto la relazione della mia onorevole collega Oomen-Ruijen e mi congratulo con lei.

Tuttavia, cerco per quanto mi è possibile, ma non riesco a farla quadrare con gli eventi attuali. Gli sviluppi in Turchia ci impediscono di vedere il tipo di futuro che emergerà per tale paese dagli innati tratti asiatici.

La Turchia ha tentato in passato di attuare riforme. Non dimentichiamo le riforme di Tanzimat o le riforme di Abdul Hamit e Hatt-ı Hümayun. Per centinaia di anni si sono tentate riforme senza successo.

La decisione della Corte costituzionale costituisce una minaccia sinistra: si stanno abolendo i partiti politici. Non capisco perché la Turchia non debba seguire l’esempio dell’Europa, se è un paese candidato e se…

(La Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Desidero dire all’onorevole Swoboda che un partito politico è stato in raltà già vietato in Europa. Sto parlando del Belgio, in cui il Vlaams Blok, il più grande partito fiammingo, è stato effettivamente vietato nel 2005. Non si tratta ovviamente di una giustificazione del fatto che anche la Turchia stia agendo in questo senso nei confronti dei partiti politici.

Detto ciò, sono sbalordito, signora Presidente, che il Consiglio e la Commissione siano soddisfatti delle superficiali modifiche apportate al famoso articolo 301 del codice penale turco, che ancora impone altrettante restrizioni alla libertà di espressione. Ora è un reato punibile insultare “la nazione turca”, piuttosto che “insultare la cultura turca”. Si tratta semplicemente di una questione di semantica, che può ancora portare a effettive pene detentive.

L’articolo 301 non deve essere modificato, deve essere abolito, insieme a tutte le disposizioni giuridiche che contrastano con la libertà di espressione e i diritti democratici fondamentali. Se ciò non viene fatto, si devono semplicemente arrestare i negoziati, come si è sempre promesso. Si è sempre promesso che il processo negoziale avrebbe mantenuto il ritmo delle riforme attuate in Turchia. Bene, non è precisamente questo il caso, senza dubbio dato che si crede già che si apriranno a breve due nuovi capitoli. Se l’Unione europea approva miglioramenti superficiali come questi, perde tutta la sua credibilità e tutto il resto del processo negoziale diventerà una farsa grottesca.

 
  
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  Werner Langen (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, desidero iniziare ringraziando sentitamente l’onorevole Oomen-Ruijten. Ha presentato una relazione aperta e onesta sui progressi compiuti che deriva senza interruzioni dalle relazioni adottate negli anni precedenti.

Tuttavia vi è un punto in merito al quale sono molto più scettico di lei e del Commissario Rehn. Non vedo alcun progresso compiuto dalla Turchia nel corso dello scorso anno. Al contrario, tutto si è arenato in un punto morto. Nutriamo il più grande interesse in una Turchia che sia moderna, democratica, stabile, orientata all’Occidente e che mantenga strette relazioni economiche, politiche e culturali con l’Europa. Tuttavia, se si guarda ai fatti, ci sono tutti gli indizi del verificarsi di una stagnazione.

Dobbiamo ancora trovare una soluzione alla questione dell’Unione doganale. La Turchia gode di uno status speciale nei confronti dell’Unione europea per quanto riguarda Cipro. Nel presente processo di riforma, abbiamo avanzato una proposta in merito all’articolo 301, ma desidero ricordarvi che l’ex Primo Ministro Tansu Çiller ha promesso una riforma nel 1995, 13 anni fa, prima che appoggiassimo l’Unione doganale, e nulla è successo. La richiesta di divieto è sul tavolo, il che dimostra la mancanza di maturità democratica della Turchia: i partiti non sono minimamente sconcertati dal fatto che il partito di maggioranza possa essere vietato e che il primo ministro stesso possa essere escluso dalla politica. L’esercito costituisce sia un fattore di stabilità che un impedimento alla democrazia. Anche tale contraddizione non è stata risolta e vedo i segnali di un nuovo nazionalismo in Turchia che è evidente in molti settori. Il comportamento nei confronti del Presidente della nostra stessa delegazione, Joost Lagendijk, dimostra che non si tratta proprio della libertà di opinione. Vi è invece il desiderio di esercitare pressione sul grande pubblico, in tutti i modi possibili, al fine di influenzare l’opinione pubblica. Non possiamo essere d’accordo su tutto ciò.

A mio avviso, al momento, non vi è assolutamente alcun motivo di ottimismo per quel che riguarda la Turchia e dobbiamo pensare seriamente ad altre possibilità. La presente relazione è aperta e onesta a tale riguardo e dobbiamo appoggiarla.

 
  
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  Jan Marinus Wiersma (PSE).(NL) Desidero rendere omaggio al relatore e a come ha redatto la presente relazione, che mostra chiaramente la direzione che il Parlamento vuole seguire e cioè di negoziare l’adesione all’Unione europea e nient’altro.

Il 2008 è stato annunciato come l’anno delle riforme in Turchia. Certamente appoggiamo tale aspirazione, ma attendiamo di vedere come riusciranno in Turchia gli sviluppi interni. L’onorevole Swoboda ha affermato abbastanza in proposito. Se le cose non andranno come devono, dovremo occuparci di una Turchia che non è realmente in grado di agire.

Parlando di riforme, desidero attirare la vostra attenzione sull’articolo 301 del codice penale, che viene utilizzato per limitare la libertà d’espressione in Turchia in diversi modi. Il governo ha annunciato che desidera modificare tale articolo. Riteniamo che si tratti di un passo avanti, ma ciò che desideriamo di più e ciò che riteniamo essere la soluzione migliore è che l’articolo venga abolito per sempre, insieme alle altre disposizioni restrittive, onde porre fine alla pratica che purtroppo persiste tutt’ora e cioè il cattivo utilizzo di tali articoli per limitare la libertà d’espressione.

In secondo luogo desidero unirmi all’onorevole Lagendijk nel dire che anche noi siamo indignati per il modo in cui la polizia è intervenuta a Istanbul alla dimostrazione del 1° maggio. Vi renderete conto che per noi, in quanto socialdemocratici, per i quali il 1° maggio è un giorno importante, si tratta di un gesto decisamente allarmante. Ci auguriamo che non accada mai più e chiediamo alle autorità di garantire che non si ripeta.

Infine, un’osservazione sulla questione curda. Vogliamo che in Turchia il dialogo politico si svolga effettivamente e vogliamo che venga cercata una soluzione politica attraverso la decentralizzazione, ma anche, ad esempio, promuovendo l’utilizzo del curdo in generale. Ritengo che si tratti di un punto importante che sia da sottolineare ancora oggi.

Infine, desidero altresì attirare la vostra attenzione su un punto che abbiamo discusso più volte, l’espressione del sostegno per l’iniziativa del Primo Ministro spagnolo Zapatero e di Erdoğan, la sua controparte turca, in merito a quella che essi chiamano l’Alleanza delle civiltà. Ci auguriamo che finalmente oggi il Parlamento appoggi i nostri emendamenti a riguardo.

 
  
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  Andrew Duff (ALDE). - (EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto difendere Joost Lagendijk dagli scandalosi attacchi alla sua integrità da parte del CHP e di taluni giornalisti nazionalisti. Joost Lagendijk è un buon amico della Turchia e un Presidente di prim’ordine della commissione parlamentare mista. Coloro che attaccano l’onorevole Lagendijk attaccano questo Parlamento e cercano di sacrificare la democrazia sull’altare di un laicismo aggressivo. Il nostro stesso messaggio deve essere assolutamente chiaro: se la Corte Suprema della Turchia continua a chiudere partiti politici, essi distruggeranno tutte le prospettive di adesione all’Unione della Turchia.

 
  
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  Cem Özdemir (Verts/ALE).(DE) Signora Presidente, anch’io desidero iniziare ringraziando il relatore per la sua collaborazione equa e per questa relazione molto equilibrata. Tale documento sottolinea i punti critici identificati in Turchia dalla popolazione stessa: ad esempio, la risoluzione su base consensuale del problema curdo, salvaguardando al contempo i diritti di tutti i gruppi etnici presenti in Turchia, il problema del velo in Turchia, che comprende il rispetto degli interessi di coloro che non desiderano portare il velo, e la questione della libertà di religione, che in Turchia deve essere applicata a tutti, ivi compresi aleviti, cristiani e il patriarca ecumenico di Istanbul, ad esempio.

Stiamo dicendo tutto ciò, perché siamo amici della Turchia e perché vogliamo vedere una Turchia europea all’interno dell’Unione. Ecco perché esprimiamo tali critiche, come un amico a un altro. L’Unione europea può fare anche di più. Segnali come quelli inviati dal Presidente Sarkozy – che la Turchia, a prescindere da quello che fa, non entrerà mai nell’Unione – senza dubbio non aiutano.

 
  
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  Roberta Angelilli (UEN). – Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio la relatrice per l’ottimo lavoro svolto, che puntualizza con grande precisione l’attuale situazione istituzionale, politica e sociale della Turchia.

Al di là delle posizioni che vedono taluni più positivi ed altri più freddi, se non addirittura contrari, all’ingresso della Turchia nell’Unione europea, è innegabile che la Turchia sia molto in ritardo in termini di modernizzazione e di affermazione dei diritti umani. Certo, qualche sforzo è stato fatto, ma la corruzione rappresenta una vera e propria piaga, è ancora irrisolta la questione di Cipro, così come sono in alto mare i rapporti con gli armeni; c’è la vicenda curda, le violenze contro le donne sono ancora una nota dolente e lo stesso vale per i matrimoni forzati e i delitti d’onore.

Preoccupante è anche la situazione delle registrazioni alla nascita dei bambini così come i bassi livelli di scolarizzazione. Questo elenco non è certamente esaltante e fotografa una situazione molto problematica che il Parlamento dovrà continuare a seguire con grande attenzione e intransigenza. Non si possono fare sconti sulla libertà e sui diritti fondamentali .....

(La Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Adamos Adamou (GUE/NGL).(EL) Signora Presidente, a patto che la Turchia rispetti pienamente tutti i criteri di Copenhagen e gli obblighi che si è assunta nel quadro dell’accordo di associazione e del protocollo addizionale all’accordo di Ankara, essa può e deve entrare nell’UE.

Per noi è perfettamente chiaro che l’obiettivo è la piena adesione della Turchia e che un partenariato di altro genere non costituisce un’alternativa. Le prospettive di adesione all’UE della Turchia eserciteranno pressione sul paese per quanto concerne il rispetto dei diritti umani di tutti coloro che vivono in Turchia, ivi compresi i curdi e le minoranze religiose.

Nonostante le nostre preoccupazioni riguardo ai procedimenti giurisdizionali attualmente in corso in merito alla questione del partito di maggioranza e alla modifica superficiale dell’articolo 301 del codice penale, riteniamo che la Turchia abbia compiuto qualche progresso. Tuttavia, se il suo corso di adesione deve procedere senza ostacoli, deve agire nei confronti dell’UE nel suo insieme come hanno fatto i precedenti paesi in via di adesione e rispettare gli obblighi previsti dal Trattato.

La Turchia deve pertanto onorare i suoi impegni, aprire i suoi porti marittimi e i suoi aeroporti alle navi e agli aerei della Repubblica di Cipro, e togliere il veto alla partecipazione di Cipro alle organizzazioni internazionali.

Oggi, mentre guardiamo i progressi compiuti grazie agli sforzi della comunità turca e greca che vivono a Cipro in seguito all’accordo del 21 marzo tra i leader delle due parti in cui è divisa Cipro, la Turchia non deve essere d’ostacolo.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM).(NL) La Repubblica di Turchia si sta escludendo dall’adesione all’Unione europea. Non posso trarre nessun’altra conclusione dal maltrattamento della sua esigua minoranza cristiana, forse 100 000 persone, o solo un centesimo dell’1 per cento del totale della popolazione. Alla luce dei criteri di Copenaghen, il Consiglio, la Commissione e il Parlamento non hanno altra scelta.

La persecuzione diretta alla quale sono stati sottoposti per molti anni gli ortodossi siriani e gli altri cristiani nella Turchia sudorientale, Tur Abdin, costituisce una manifestazione diretta dello Stato turco. Un paese in cui i cittadini che partecipano alle funzioni cristiane e che a tal proposito sono regolarmente interrogati dalla polizia o dai servizi di sicurezza appartiene all’Unione europea? Interrogatori che sono inoltre associati a minacce alla loro vita personale o al loro posto di lavoro e persino, in alcuni casi, alla tortura. Situazioni turche, autoesclusione turca. Il punto è, tuttavia, quanto è onesta con se stessa l’Unione europea a tal riguardo?

 
  
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  Sylwester Chruszcz (NI).(PL) Signora Presidente, nutro grande rispetto per la nazione turca e sono pienamente consapevole dei secoli di relazioni strette e di buon vicinato tra il mio paese, la Polonia, e la Turchia. Ciononostante, devo dire che l’idea dell’adesione di questo paese all’Unione europea sfugge alla mia comprensione.

Sebbene la Turchia sia stata presente sul territorio europeo per molti secoli, non è, dal punto di vista culturale, un paese europeo. Dobbiamo cooperare con la Turchia al meglio delle nostre capacità, ma sono difficili da quantificare le implicazioni dell’adesione di un paese musulmano al club europeo. Senza dubbio, l’attuale situazione in Turchia indica che le autorità di Ankara non sono particolarmente ansiose di integrarsi in Europa.

Oltre alle relazioni della Turchia con l’Unione europea, desidero altresì menzionare le sue relazioni con l’Armenia. Sono lieto che la proposta di risoluzione del Parlamento europeo richieda al governo turco di porre fine al blocco economico imposto all’Armenia. E’ deplorevole, tuttavia, che tale documento non faccia alcun riferimento al genocidio armeno.

 
  
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  Jacques Toubon (PPE-DE).(FR) Signora Presidente, la relazione della nostra onorevole collega Ria Oomen-Ruijten è approfondita, onesta e coraggiosa in un momento forte per la Turchia e per questo desidero congratularmi con lei. Questa relazione, tuttavia, appartiene a un genere che sento diventare sempre più irreale. Il Parlamento e molte altre istituzioni continuano a fingere, come se la nostra instancabile pedagogia possa far cambiare la Turchia. Dato che in effetti è questo di cui si tratta: la contraddizione tra questo paese, questa nazione, questo grande popolo, la sua evoluzione e il progetto che desideriamo portare avanti insieme.

La Turchia è uno Stato nazione, uno degli ultimi nel suo genere, uno dei più forti e uno dei più consapevoli. La sua unità è del tipo nazionalista, il che è chiaramente discernibile in relazione al riconoscimento del genocidio in Armenia. La sua politica è sempre più ispirata da un’unica religione anche mentre si allontana dalla laicità che costituisce proprio la base della sua costituzione. Manifesta un desiderio di indipendenza, mentre noi qui desideriamo attuare un principio di integrazione e delegazione dei poteri e della sovranità. Ciò non è altro che una collisione frontale tra le due parti.

Smettiamo di illuderci, smettiamo di dire ai turchi tutto e il contrario di tutto e di far credere loro che siamo pronti o ad accettare la loro adesione senza il rispetto effettivo dei criteri di Copenhagen o a rifiutarla a causa di essi, quando si tratta fondamentalmente di noi e di quello che vogliamo che diventi il progetto europeo. Definiamo inoltre una struttura di partenariato sostenibile che si avvalga di un approccio vantaggioso che permetta alla Turchia di assumersi il suo ruolo di potenza regionale e all’UE di continuare la costruzione della sua identità nel mondo.

 
  
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  Véronique De Keyser (PSE).(FR) Signora Presidente, dato che dispongo di un solo minuto, arriverò subito al punto.

La posizione conciliante del relatore, l’onorevole Oomen-Ruijten, ha evitato diversi scogli. Tuttavia ne resta uno e cioè il disaccordo sull’emendamento n. 14 riguardante la salute riproduttiva. I socialisti ritengono che tale emendamento non costituisca un dettaglio minore, un problema meramente femminile. Si tratta di un’indicazione della chiara separazione tra la Chiesa e lo Stato nonché di un simbolo della laicità.

Se non vogliamo più che la laicità turca sia difesa dall’esercito o da colpi di Stato giudiziari, lasciamo che se ne curino le donne. La difenderanno con il loro corpo. In un paese che ancora pratica i delitti d’onore, richiedere diritti sessuali per le donne significa opporsi agli eccessi fondamentalisti che arrivano da ogni parte.

 
  
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  István Szent-Iványi (ALDE). - (HU) Signora Presidente, non dissimuliamo la situazione: la questione dell’adesione della Tirchia è giunta a una fase critica. E’ rallentata sia dalle incertezze della politica interna turca che dall’esitazione da parte dell’Unione europea nei confronti della Turchia. In tale situazione è importante ribadire che il processo di adesione è un processo senza limiti di tempo, ma che l’obiettivo comune è essere membro dell’UE. Ci siamo impegnati in questo e lo stesso ha fatto la Turchia.

E’ nei nostri interessi strategici che la Turchia faccia parte dell’organismo politico dell’Europa sul lungo periodo. L’adesione in qualità di partner associato attraverso l’Unione mediterranea può essere complementare, ma non sostituire il processo di integrazione. La Turchia deve inoltre fare decisamente molto di più di quanto fatto finora per potenziare le istituzioni democratiche, rafforzare il controllo civile dell’esercito, riformare l’ordinamento giuridico e promuovere i diritti umani e delle minoranze. Abbiamo la responsabilità congiunta di garantire che questo processo sia un successo, perché sarà anche un nostro fallimento, e non solo della Turchia, se i negoziati si arenano. Grazie.

 
  
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  Mogens Camre (UEN).(DA) Signora Presidente, la Turchia è troppo grande e troppo diversa per diventare un membro dell’UE. Se la Turchia volesse davvero vivere secondo le famose parole di Kemal Atatürk: “Esiste una sola civiltà”, non staremmo qui anno dopo anno ad affermare che senza dubbio la Turchia non è intenzionata a rispettare le richieste dell’UE in merito all’adozione dei valori europei e all’abbandono dei valori ottomani. Chiaramente la Turchia pensa semplicemente di sfinire l’UE negoziando senza rispettare le nostre fondamentali richieste di cambiamento. Per il 34° anno di seguito la Turchia occupa più di un terzo del territorio di uno Stato membro dell’UE. Cipro nel suo insieme soffre sotto l’occupazione turca, e la regione occupata soffre ancora maggiormente. E’ ovvio che la grande maggioranza dei cittadini europei non vuole che la Turchia diventi un membro dell’UE, e sembrerebbe che neppure una proporzione crescente di cittadini turchi lo desideri. E’ tempo di arrestare questa farsa. La Turchia può avere un esteso accordo commerciale. L’Europa non ha spazio nel futuro che la Turchia sta cercando di creare.

 
  
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  Ioannis Kasoulides (PPE-DE). - (EN) Signora Presidente, mi congratulo con l’onorevole Ria Oomen-Ruijter per il suo approccio equilibrato e giusto, ma severo a tale questione controversa. Oggi i colpi di Stato militari sono fuori moda e sono stati sostituiti dai coup d’état giudiziari. E’ incredibile che la costituzione e le leggi permettano il rovesciamento giudiziario del governo democraticamente eletto dal 47 per cento della popolazione, con un’accusa completamente sproporzionata rispetto alla pena richiesta se paragonata all’UE, al Consiglio d’Europa o alle norme della Commissione di Venezia.

I principi dell’UE sono incompatibili con uno “Stato profondo” o con l’esercito che intralcia il governo nel rispondere alle nuove sfide: su Cipro, dimostrare che i negoziati sono ora ripresi, che Ankara ha la volontà politica di giungere a un accordo basato sui principi su cui si fonda l’UE, senza la presenza delle truppe turche sull’isola o il diritto di intervento unilaterale dell’esercito; sui diritti umani e sulla libertà d’espressione nell’articolo 301; sul rispetto dei diritti delle minoranze religiose non musulmane e del patriarca ecumenico ortodosso; sugli obblighi della Turchia relativamente al Protocollo di Ankara; su questioni quali il delitto passionale contro le donne e l’omertà esistente in merito a tale questione; sulla questione dei genocidio armeno e del blocco imposto all’Armenia e così via.

Queste sono le sfide affrontate dalla Turchia se vuole dar prova di essere un paese candidato destinato a diventare membro dell’Unione europea.

 
  
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  Maria-Eleni Koppa (PSE).(EL) Signora Presidente, la Turchia ha il suo posto nella famiglia europea e il nostro unico scopo deve essere la sua piena adesione. L’Unione deve onorare gli impegni presi. La Turchia, a sua volta, deve rispettare i criteri di Copenaghen e gli obblighi che si è assunta.

Tuttavia sono stati compiuti molti pochi progressi nell’ambito dei diritti umani nel corso dell’anno passato. L’abrogazione del famoso articolo 301 e di tutte le disposizioni che deridono la libertà d’espressione continua a essere lo scopo ultimo.

La situazione nel sud-est della Turchia, inoltre, necessita di attenzione immediata. Condanniamo la violenza e riteniamo che debba essere trovata una soluzione chiara mediante mezzi pacifici. Non si può affrontare la violenza con la violenza. Ecco perché ritengo che vi debba essere un’indagine approfondita sull’utilizzo del territorio turco da parte degli aerei USA in relazione ai sequestri segreti di indiziati trasportati alla baia di Guantánamo.

Dobbiamo mirare a creare una società pacifica, democratica e stabile. Per tale ragione, ci preoccupano in modo particolare gli ultimi sviluppi in Turchia derivanti dalle ripercussioni del possibile divieto del Partito giustizia e sviluppo (AKP).

Desidero concludere congratulandomi con il relatore…

(La Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE). - (EN) Signora Presidente, tutti noi sappiamo che l’ostacolo principale che impedisce alla Turchia di progredire verso la democrazia è l’esercito turco, un esercito che non solo controlla milioni di soldati e le persone a loro carico, ma che controlla anche i partiti politici e i processi, la polizia e i servizi segreti, gran parte della magistratura (ivi comprese la Corte suprema e la Corte costituzionale), così come le questioni religiose, educative, sociali ed economiche del paese.

In realtà, dalla rivoluzione del generale Atatürk degli anni venti, la Turchia si è trovata, direttamente o indirettamente, sotto una dittatura militare. Di recente, le prospettive di adesione all’UE hanno offerto ad alcune persone coraggiose, come i leader del partito AKP, l’occasione di sfidare la supremazia dell’esercito. Abbiamo il dovere di aiutare tali persone non solo con le parole, ma con i fatti. L’esercito trae la maggior parte della sua forza dal sostegno offerto dall’Occidente. Miliardi di euro in aiuti diretti e in lucrative iniziative rischiose di difesa comune vengono forniti da USA, Gran Bretagna, Germania, Italia e Spagna. Tali paesi insieme ad altri, tra cui Russia e Cina, hanno il dovere di interrompere tale appoggio economico a favore dell’esercito turco finché e a meno che non sia istituita in modo sicuro una vera democrazia nel paese.

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Presidente, onorevoli colleghi, solo forti interessi geopolitici e geoeconomici, non certo l’interesse e la volontà dei nostri popoli, sostengono la causa dell’entrata della Turchia in Europa.

Questa relazione sembra un’enciclopedia delle ragioni ostative all’entrata nell’Unione europea di un paese che ogni giorno di più accentua la sua islamizzazione, dove i mufti predicano pubblicamente che le donne che non portano il velo sono tutte adoratrici di satana. La Costituzione turca è un florilegio di norme che vengono mantenute e che sono contro i diritti umani che noi continuamente sosteniamo.

Generica è purtroppo la relazione su questioni fondamentali: Cipro, genocidio degli armeni e questione curda. E poi entrando in Europa questo paese islamico che proibisce addirittura l’uso dell’alcol, queste norme ci verranno imposte anche i nostri popoli compresi quelli di glorioso origine celtica, dagli irlandesi ai bretoni a noi padani, che amiamo orgogliosamente il nostro vino e la nostra birra.

 
  
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  Francisco José Millán Mon (PPE-DE).(ES) Signora Presidente, la relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten che verrà adottata oggi è un documento serio, in generale equilibrato nonché impegnativo.

Cita i progressi compiuti, ma sottolinea altresì le riforme in sospeso.

Siamo tutti lieti che le autorità turche ritengano che il 2008 sia l’anno delle riforme, dato che sappiamo che sono rese necessarie dai negoziati di adesione. I cambiamenti stessi, inoltre, saranno positivi per la Turchia.

Data la grande maggioranza parlamentare del governo turco, le riforme non possono essere posticipare. Con la loro introduzione, i cittadini dell’UE avrebbero altresì prova della solidità dell’impegno turco in termini di adesione all’UE e ai suoi valori, tra cui il rispetto dei diritti e delle libertà.

La relazione sottolinea pertanto il nostro fermo desiderio che nessun incidente grave disturbi la vita politica democratica della Turchia.

Onorevoli colleghi, appoggiamo le riforme. Appoggiamo altresì il rispetto degli impegni. Gli impegni in sospeso comprendono la normalizzazione delle relazioni con Cipro e la piena attuazione del protocollo addizionale dell’accordo di Ankara.

Un’altra importante questione per l’UE è costituita dal controllo dell’immigrazione. Dobbiamo impedire l’immigrazione illegale, che occasionalmente utilizza la Turchia come paese di transito e combattere le organizzazioni criminali che ne traggono profitto.

E’ necessario controllare le frontiere esterne e attuare I meccanismi per il rimpatrio degli immigrati illegali. Tali linee d’azione richiedono la cooperazione della Turchia e pertanto mi rammarico del fatto che non sia ancora stato raggiunto un accordo di riammissione.

Onorevoli colleghi, anche il terrorismo costituisce una minaccia molto reale in Turchia e nell’Unione europea. Dobbiamo potenziare la cooperazione al fine di combattere tale flagello in modo più efficace.

Con questo punto concludo. Vi è un’altra sfera più ampia, quella della politica estera, in cui l’UE e la Turchia devono compiere uno sforzo maggiore al fine di far convergere le loro posizioni. Mi riferisco, ad esempio, al Mediterraneo o all’Asia centrale.

Abbiamo inoltre molti interessi reciproci in termini di sicurezza energetica, una delle più grandi sfide dei nostri tempi.

In breve, onorevoli colleghi, la Turchia e l’Unione europea anno bisogno l’una dell’altra e dobbiamo continuare a lavorare tenendolo ben presente.

 
  
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  Béatrice Patrie (PSE).(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi compiaccio della natura equilibrata della presente relazione che invia un segnale positivo alla Turchia. I socialisti garantiranno che i negoziati di adesione continuino in modo positivo sotto la Presidenza francese. E’ proprio perché siamo a favore dell’adesione che non vi devono essere ombre sugli eventi che toccano i nostri valori democratici comuni.

Non è ammissibile che intellettuali, quali il giornalista di origine armena, Hrant Dink, rischiano la vita parlando di taluni periodi della storia turca. Non è ammissibile neppure il perdurare di tesi ufficiali che banalizzano il genocidio armeno definendolo una grande tragedia, ignorando la sofferenza di un popolo, in cui il numero delle persone deportate è paragonabile a quello delle vittime dell’influenza nel Regno Unito.

Come il filosofo Bernard-Henri Lévy, credo che negare il genocidio faccia effettivamente parte del genocidio. Esorto inoltre le autorità turche a intraprendere la strada ragionevole della verità, contribuendo alla riabilitazione delle minoranze nazionali.

 
  
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  Gunnar Hökmark (PPE-DE). - (EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Oomen Ruijten per la presente relazione. Essa sottolinea che in molti settori la Turchia fa già parte dei progetti europei, ma pone altresì l’accento, relativamente alla riforma della società turca, che c’è sviluppo, che c’è un movimento che va avanti. Al contempo sottolinea che tali riforme e cambiamenti sono stati compiuti decisamente troppo lentamente e che c’è molto ancora da fare.

Ma tutto ciò ci lascia con una domanda fondamentale: è l’Unione europea e sono l’Europa e i valori europei più ricchi con una Turchia che rispetta tutti i requisiti e che ha compiuto tutto le riforme evidenziate nella relazione, o siamo più ricchi con una Turchia che forse in futuro propenderà maggiormente verso altre parti del mondo, verso altri valori? Ritengo che la risposta a questa domanda si piuttosto ovvia e che sottolinei che dobbiamo senza dubbio continuare a esercitare pressione in merito a tutti i cambiamenti che vanno compiuti in Turchia relativamente a libertà d’espressione, riforma del paragrafo dell’articolo 301, libertà di religione, parità di trattamento tra donne e uomini, non solo per la legge ma anche nella realtà, e certamente la necessità di risolvere il problema di Cipro e diverse altre questioni. Ma con tale prospettiva, se i negoziati di adesione porteranno a tutti questi risultati, è fondamentale che l’Unione europea sia aperta all’adesione della Turchia, dato che ciò rafforzerebbe i valori europei, l’Europa e l’Unione europea, e ritengo che sia la conclusione ovvia e necessaria di questo dibattito.

 
  
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  Richard Howitt (PSE).(EN) Signora Presidente, desidero iniziare accogliendo con favore l’approccio equilibrato e coscienzioso del relatore e senza dubbio del Commissario e della Presidenza in merito a questa importante relazione. Desidero porre l’accento su tre punti.

Ai miei amici turchi: la detenzione, il 1° maggio 2008, di 530 sindacalisti è stata una violazione del diritto fondamentale dell’OIL della libertà di associazione nonché dei criteri di Copenhagen. Vi esorto a proteggere i sindacati, nonché a prevenire ulteriori attacchi al sindacato degli autotrasportatori Tümtis.

Agli oppositori all’adesione della Turchia: non sfruttate a fini politici il caso contro il partito AK in Corte costituzionale. Dopo la crisi della nomina del presidente, si sono tenute le elezioni e la democrazia ha vinto. Oggi, in un modo o nell’altro, mi aspetto che la democrazia vinca ancora.

Agli onorevoli Claeys, Langen, Belder, Toubon e ad altri, che hanno deliberatamente tentato di minare l’appoggio pubblico all’adesione all’UE in Turchia attraverso il linguaggio e le minacce cui sono ricorsi nel corso della discussione di questa mattina: l’opinione pubblica turca deve capire che voi non costituite una maggioranza, che voi non parlate a nome di questo Parlamento e che non riuscirete a ostacolare le sue prospettive europee.

 
  
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  Elmar Brok (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica, signor Commissario, onorevoli colleghi, oggi la Turchia è più che mai un paese importante per l’Unione europea. Il processo di riforma in Turchia deve pertanto essere appoggiato ed è pertanto fondamentale per noi che la Turchia sia democratica e che si fondi sullo Stato di diritto.

Dobbiamo tuttavia avere qualche preoccupazione, che sono state espresse anche nella relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten. La questione è se la Turchia sia realmente in grado di attuare le riforme. Se osservo quello che sta succedendo per l’articolo 301 del codice penale, la libertà di religione e la legge sulle fondazioni, i diritti delle minoranze e così via, è palese che il governo Erdoğan cerca di compiere progressi, ma che non arriva a quanto è necessario poiché, sul piano interno, è piuttosto ovvio che si sono raggiunti i limiti della capacità di riforma della Turchia.

Quando, inoltre, vedo che si compiono passi volti a vietare il partito di maggioranza, proprio così, e poi un paio di settimane dopo, esso riparte nuovamente con un altro nome, ma alcune persone che non sono più benvolute in politica, allora questo significa che...

(La Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Emilio Menéndez del Valle (PSE).(ES) Signora Presidente, il fondamentalismo islamico violento, che ha come obiettivo l’Occidente, ma che nuoce anche all’Islam, sta aumentando in Medio Oriente e nel Maghreb.

Anche il fondamentalismo islamico radicale, sebbene non violento, sta aumentando in diversi paesi, il che indica il ruolo fondamentale che la Turchia può assumersi nei confronti del mondo musulmano nelle sue relazioni con l’Unione europea.

Può fare ciò in qualità di paese ufficialmente laico, ma che ovviamente ha una cultura e radici musulmane, il che costituisce un vero vantaggio per relazioni tra l’UE e i paesi musulmani.

Ecco perché il mio gruppo ha proposto due emendamenti per congratularsi con la Turchia in quanto cosponsorizza, insieme alla Spagna, l’Alleanza delle civiltà, progetto ufficiale dell’ONU, il che non va dimenticato, dato che è attraverso tale progetto che la Turchia dimostra il suo impegno volto a facilitare la relazioni tra l’Occidente e il mondo arabo-islamico.

 
  
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  Vural Öger (PSE).(DE) Signora Presidente, onorevole Oomen-Ruijten, mi congratulo per la presente relazione, che rispetto. E’ equilibrata e giusta e questa è la linea che dovremmo mantenere oggi.

Abbiamo ragione a sottolineare che la Turchia debba compiere ulteriori sforzi. L’obiettivo di realizzare una democrazia prospera e stabile in Turchia non è solo negli interessi stessi di tale paese, ma costituisce anche un importante interesse strategico dell’UE.

Sono preoccupato per l’atteggiamento del Presidente del Consiglio entrante, Nicolas Sarkozy. La sua politica riguardo alla Turchia non ha lo scopo di giungere all’adesione del paese all’UE. Insiste a riferirsi alla Turchia come un paese candidato all’adesione che è stato cancellato dai documenti dell’UE e sottolinea che la Francia appoggerà solo l’apertura di capitoli che non sono volti alla piena adesione. Qui è in gioco la credibilità dell’UE. Lasciatemi porre l’accento su un punto: pacta sunt servanda! L’apertura dei negoziati di adesione è stata concordata all’unanimità e ciò significa che anche la Francia era d’accordo.

Invece di inviare messaggi negativi, l’UE deve occuparsi in modo costruttivo con la Turchia. In quest’Aula, abbiamo deciso a maggioranza che, con la Turchia, noi…

(La Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Evgeni Kirilov (PSE). - (EN) Signora Presidente, l’onorevole Oomen-Ruijten ha prodotto una relazione molto obiettiva ed equilibrata sulla Turchia che è decisamente encomiabile. Tra i paesi membri vicini vi è un consenso notevole in merito al fatto che per la Turchia vi debba essere una chiara prospettiva di adesione all’UE, il che non è a caso. I paesi vicini conoscono sempre meglio la situazione. La Turchia ha già compiuto progressi notevoli nelle riforme introdotte per raggiungere gli standard democratici europei. Certamente resta ancora molto da fare, ma dobbiamo incoraggiare la Turchia in tale processo; dobbiamo incoraggiare le forze riformiste paneuropee della Turchia, sia nel partito di maggioranza che nell’opposizione.

In merito alla decisione costituzionale in sospeso sul caso della chiusura del partito AK: è certamente inaccettabile. Credo che dobbiamo restare calmi perché sono certo che la Turchia troverà motivi sufficienti a superare una crisi potenziale.

Noi paesi vicini dobbiamo incoraggiare la Turchia e compiere ogni sforzo volto a promuovere la cooperazione transfrontaliera bilaterale e trilaterale e raggiungere un nuovo livello qualitativo nelle relazioni di buon vicinato, come nel caso del…

(La Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, l’onorevole Oomen-Ruijten ha presentato una relazione solida e obbiettiva. Ha evidenziato alcuni progressi e ha attirato l’attenzione su molte questioni e problemi irrisolti. La questione fondamentale che è stata sfiorata solo en passant è la seguente: se la Turchia fosse riformata, avrebbe diritto all’adesione? L’attuale diritto dell’UE offre un’alternativa politica alla fine del processo negoziale, sia per l’Unione europea che per la Turchia stessa. Questo è il motivo per cui in Austria, e altrove, stiamo chiedendo negoziati senza limiti di tempo. L’adesione è una possibilità, ma non è un risultato scontato.

 
  
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  Pierre Pribetich (PSE).(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, dato che la Turchia fa parte della storia europea, dato che la Turchia è una componente della cultura europea, dato che la Turchia costituisce una notevole opportunità economica e demografica per l’UE, la presente posizione a favore dell’adesione significa che posso richiedere ancora di più: di più relativamente ai principi democratici, di più relativamente alla laicità e di più relativamente ai diritti umani.

L’Unione europea è stata costruita su valori e principi che non possiamo disconoscere con un silenzio assordante nel corso della procedura di adesione per il bene della diplomazia. La Turchia deve riconoscere il genocidio armeno, un atto storico e simbolico, e ciò testimonierà la sua maturità politica. Il Parlamento ha insistito su tale riconoscimento con tutta la dovuta convinzione e determinazione sin dal giugno 1987. Per 21 anni, dobbiamo venire fuori con una formulazione così insipida? Se il Parlamento accetta tutto ciò, significa fare un passo indietro. Onorevoli colleghi, vi esorto a votare a favore dell’emendamento n. 23, per far comprendere alle autorità…

(La Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE).(PL) La mentalità dei turchi è leggermente cambiata dai tempi di Kemal Atatürk. La loro tradizione religiosa li sta dirigendo verso il loro specifico percorso, che è diverso da quello di noi europei. La prossimità geografica non equivale alla vicinanza culturale. Inoltre i codici sociali orali non suggeriscono che il popolo turco graviti verso un’identità europea.

Si presenta pertanto la questione relativa al fatto che la Turchia desideri o meno cambiare e adottare il nostro modello sociopolitico, perché l’articolo 301 sembra negarlo. Abbiamo il diritto di fare la morale ai turchi e dire loro che cosa devono fare? Mediante i suoi emendamenti, il gruppo socialista del Parlamento europeo desidera imporre una soluzione fondata sull’ideologia al popolo turco, ma quest’ultimo è felice così com’è. Relativamente alle riforme è stato compiuto solo qualche progresso e l’esercito continua ad avere un ruolo molto importante. Dobbiamo imporre con la forza a una nazione la prosperità, modificando la sua identità, tradizione e cultura? In ogni caso, tutto ciò è effettivamente suscettibile di cambiamento?

Signora Presidente, il Consiglio ha deciso in buona fede in merito ai negoziati, così che la Turchia possa diventare un ponte tra l’Europa e l’Islam. Ora non è più convinto che la sua stessa decisione sia giusta. Tutto quello che abbiamo lasciato è un’illusione.

 
  
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  Joel Hasse Ferreira (PSE).(PT) Signora Presidente, in generale accolgo con favore e appoggio la relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten, in particolare la preoccupazione manifestata circa le implicazioni del caso della chiusura del partito AK. Inoltre ora disponiamo di un meraviglioso periodo di tempo da sfruttare per risolvere la questione di Cipro.

Come affermato nella relazione, è altresì fondamentale che il governo turco persegua le sue riforme, rispettando il pluralismo e la diversità in una Turchia democratica e laica, e che tutti i cittadini siano in grado di sviluppare la loro identità culturale in uno Stato turco democratico.

Sono chiaramente necessari progressi anche in altri settori, quali la difesa dei diritti sindacali e maggiori passi avanti lungo la strada verso un’effettiva parità di genere. La relazione riconosce, tuttavia, che sono già stati compiuti molti progressi necessari al fine di modernizzare la Turchia.

Signora presidente, i progressi della Turchia verso la piena integrazione devono continuare rigorosamente in conformità delle condizioni concordate dal Consiglio europeo e concordate da questo Parlamento. Né più né meno.

 
  
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  Panayiotis Demetriou (PPE-DE).(EL) Signora Presidente, tutti noi sappiamo che oggi c’è un’atmosfera nuova a Cipro. Sia i greco-ciprioti che i turco-ciprioti vogliono una soluzione per il problema di Cipro e sono ansiosi di servire gli interessi del loro paese per il bene di entrambe le parti. Qui è precisamente dove sta intervenendo la Turchia, in quanto le forze turche occupano parte di Cipro. La Turchia controlla politicamente la situazione ed è tempo che si renda conto di dover abbandonare tale politica. E’ negli interessi della Turchia che il problema di Cipro venga risolto. Soprattutto l’esercito, che ha interferito negativamente nel corso di tutto il processo, deve rendersi conto che il problema di Cipro deve essere risolto.

E’ decisamente tempo di porre fine all’occupazione e all’ingerenza della Turchia, affinché i greco-ciprioti e turco-ciprioti possano coesistere in pace nell’UE. Possiamo riuscirci e credo che possiamo vivere in pace.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Dato il poco tempo a disposizione e il rumore in Aula, cercherò di essere molto breve.

La discussione che si è appena conclusa, e soprattutto l’intera relazione redatta dall’onorevole Oomen-Ruijten, hanno confermato ciò di cui anche il Consiglio è consapevole: ogni processo di riforma è difficile. Questo vale anche per la Turchia.

In tale processo lo Stato si trova di fronte a dilemmi notevoli riguardanti valori quali laicità, democrazia e diritti umani.

Ciò è reso evidente dai processi menzionati diverse volte, a cui si fa riferimento nella relazione e considerati anche dal Consiglio, dai processi quali i procedimenti contro i partiti politici sul velo delle donne, sulla condizione delle donne in generale, sulla libertà di religione e sulla libertà di espressione, tra le altre cose.

Desidero sottolineare quanto segue: in quei settori in cui la Turchia ha compiuto progressi, essi sono evidenti benché insufficienti. I progressi sono palesi nelle modifiche apportate all’ordinamento giuridico penale, la normativa di base, alla condizione delle donne – guardate solo al numero delle donne in parlamento, che è aumentato – ma certamente, in tutte queste aree i progressi compiuti non sono ancora sufficienti.

Riguardo a Cipro, desidero sottolineare che il Consiglio si aspetta dalla Turchia primariamente due cose: un ruolo costruttivo nei negoziati sotto l’egida delle Nazioni Unite e l’attuazione del protocollo che è stato aggiunto al Trattato di Ankara. Questi sono i compiti principali, ma ve ne sono anche altri.

E’ senza dubbio utile, in tutto ciò, che la Turchia abbia un obiettivo e tale obiettivo è stato fornito. E’ stato concordato reciprocamente quando l’Unione europea ha concesso alla Turchia lo status di paese candidato e i negoziati di adesione sono proceduti nel quadro di tale condizione.

La Presidenza slovena ha inserito i negoziati di adesione con la Turchia tra suoi obiettivi principali e ci auguriamo che venga raggiunto in modo tale da poter aprire a breve ulteriori capitoli di negoziato.

Certamente il raggiungimento dell’obiettivo ultimo non è sicuro; dipende dai negoziati di adesione, da come sono riuscite le riforme e dipende da noi, gli Stati membri, così come dal paese candidato.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare il relatore e gli onorevoli deputati per questa discussione decisamente seria e responsabile in un momento molto critico per le relazioni UE-Turchia. Ho preso debitamente nota dei vostri messaggi, che sono altresì codificati nel progetto di risoluzione e negli emendamenti di compromesso.

Desidero prendere tre messaggi in particolare, il primo è che è fondamentale rilanciare appieno le riforme in modo tale da promuovere le libertà fondamentali dei cittadini turchi e da aiutare la Turchia stessa a rispettare i criteri di Copenaghen dell’UE.

Il secondo messaggio è che i diritti dei cittadini debbano essere rispettati nella vita quotidiana della società. Condivido la vostra preoccupazione per l’emendamento n. 32 circa l’uso eccessivo della forza da parte della polizia turca contro i dimostranti in occasione della manifestazione del 1° maggio di quest’anno a Istanbul. E’ importante riaffermare che la libertà di associazione e del funzionamento pacifico dei sindacati rappresenta un diritto fondamentale nel quadro della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il terzo e ultimo messaggio è che il Parlamento europeo è chiaramente molto preoccupato riguardo al caso di chiusura. Chiudere un partito politico non è, e non può essere, una questione di ordinaria amministrazione. Non può essere presa alla leggera in una democrazia europea.

Vi è pertanto molto in gioco anche quest’anno in Turchia e nelle relazioni UE-Turchia. La miglior cura per rivitalizzare veramente il processo di adesione della Turchia nell’UE è garantire che le riforme procedano, che in Turchia sia avviato un sincero dialogo politico e che siano rispettate sia la democrazia che la laicità.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten, relatore. − (NL) Ringrazio i miei colleghi con cui ho collaborato in modo davvero eccellente. Come ho affermato in precedenza, è solo se siamo uniti che possiamo chiarire che il processo di riforma in Turchia è necessario. Possiamo tutti inviare un segnale positivo votando a favore della relazione a larga maggioranza, il che contribuirà alla riforma della Turchia e ad assicurare che siano garantite le libertà individuali e che sia istituito lo Stato di diritto. Tutto ciò è necessario per una società moderna in cui stiano bene sia gli uomini che le donne.

Esorto ancora una volta i miei colleghi a evitare qualsiasi gioco politico quando votano gli emendamenti e di assicurarsi che per la presente relazione sulla Turchia vi sia una vasta maggioranza assoluta affinché sia adottata in plenaria.

 
  
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  Presidentee. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Tunne Kelam (PPE-DE) , per iscritto. – (EN) La Turchia, essendo il più ampio Stato ad avere prospettive di adesione, è e sarà per l’Europa un partner e un alleato importante sul piano strategico. E’ nell’interesse di tutti sviluppare relazioni affidabili sulla base di valori e del rispetto reciproco. L’UE deve appoggiare il governo eletto democraticamente e deve condannare i tentativi volti a indebolirlo.

Tuttavia, il perseguire l’adesione all’UE può essere affidabile solo se il paese candidato riconosce e conduce relazioni normali con ciascuno Stato membro dell’UE. Sebbene l’attuale situazione mostri segnali di consolidamento, invito nuovamente la Turchia a rispettare finalmente i fondamentali criteri di adesione riconoscendo la Repubblica di Cipro e ritirando le unità dell’esercito turco.

Il pieno rispetto dei criteri di Copenaghen continua a essere una condizione fondamentale per l’adesione all’UE. L’amministrazione turca ha compiuto sforzi considerevoli in questo ambito. Nel 2007 la democrazia è stata rafforzata in tale paese. Ancora, è attesa un’iniziativa politica per una soluzione duratura della questione curda, tra cui possibilità effettive di studiare e utilizzare la lingua curda. Attendiamo altresì con ansia misure convincenti per arrestare la violenza dovuta a motivi religiosi contro le minoranze cristiane, nonché fornire le stesse opportunità a tutte le comunità religiose per erigere liberamente case di culto.

 
  
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  Lasse Lehtinen (PSE) , per iscritto. – (FI) Signora Presidente, desidero ringraziare il relatore per questa relazione equilibrata. A mio avviso invia alla Turchia un segnale onesto e critico, sebbene al contempo positivo e ottimistico. Appoggia i tentativi di riforma operati dalle forze moderate e progressiste della Turchia, menzionando chiaramente quegli aspetti della società in cui il paese ha compiuto progressi. Al contempo esprime nuovamente la sua preoccupazione per la situazione relativa alla libertà di parola, alla parità di genere, ai curdi e alle altre minoranze e all’impiego della forza da parte delle autorità. Dobbiamo ricordare che ora siamo impegnati in negoziati di adesione fondati sui criteri di Copenaghen.

Se il paese rispetta tali criteri e i principi di uno Stato europeo governato dallo Stato di diritto, non vedo alcuna ragione per cui vada bloccata l’adesione. La Turchia che forse entrerà nell’UE tra dieci o vent’anni sarà una Turchia diversa da quella che vediamo oggi. Se davvero vogliamo una Turchia democratica, stabile e pacifica, non dobbiamo per lo meno chiederle in faccia la porta dell’adesione. Non lasciamo che ci accusino di populismo grossolano e di xenofobia. Una Turchia europea è negli interessi non solo dell’UE e della Turchia stessa, ma anche del mondo nel suo insieme. Si deve dare alla Turchia una possibilità.

 
  
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  Csaba Sógor (PPE-DE) , per iscritto. – (HU) Stiamo discutendo l’adesione della Turchia, in altre parole se questo paese, con il suo retaggio asiatico, possa diventare europeo. Riconoscere il genocidio degli armeni, garantire i diritti della minoranza curda, pari opportunità per le donne – questi sono solo alcuni dei numerosi problemi fondamentali. Parliamo di aspettative e standard dell’Unione europea, ma nel frattempo vi sono problemi persistenti in seno all’UE stessa relativamente a democrazia e diritti umani e delle minoranze.

Proprio ora in Romania ci stiamo preparando per le elezioni delle autorità locali. Negli ultimi giorni il passato si è manifestato nuovamente a Timişoara, o Temesvár: a maggioranza, la commissione elettorale del distretto di Timiş ha appoggiato un reclamo presentato da una persona fisica che richiedeva la rimozione di alcuni manifesti appartenenti alla RMDSZ, l’Unione democratica ungherese di Romania.

Gli unici voti a favore del membro della RMDSZ sono arrivati dal Partito liberale democratico (PDL) e da due magistrati donna della commissione elettorale. L’atteggiamento antiminoranze, antiungheresi dimostrato dai membri di alcuni partiti politici è intollerabile e inaccettabile. Cosa ci possiamo aspettare dalla Turchia se in seno all’Europa combattiamo ancora con problemi come questo? Sentimenti anti-rom a Roma, responsabilità collettiva in Slovacchia, atteggiamento antiungheresi a Timişoara…

 
  
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  Feleknas Uca (GUE/NGL) , per iscritto. – (DE) Dall’inizio di quest’anno continuano purtroppo ad arrivarci numerose notizie drammatiche e preoccupanti circa le incursioni transfrontaliere dell’esercito turco, circa i morti e feriti causati dal conflitto nel sud-est del paese e sul confine della Turchia con l’Iraq settentrionale e circa le brutali e sproporzionate aggressioni delle forze di sicurezza, in particolare nei confronti di donne e bambini, durante la festa curda del Nawrūz di quest’anno.

La relazione della collega olandese, l’onorevole Oomen-Ruijten, sottolinea alcuni punti importanti, ma costituisce una risposta decisamente troppo timida alla serietà della situazione politica in Turchia. Al fine di evitare di recare offesa ai leader politici del paese, omette di richiedere, con la necessaria chiarezza, gli elementi centrali delle riforme indispensabili in Turchia. A mio avviso, tali elementi centrali possono essere definiti con chiarezza.

1. misure civili volte a limitare e controllare l’influenza dell’esercito in Turchia;

2. una rottura definitiva con l’idea che la questione curda possa essere risolta mediante mezzi militari e un chiaro impegno in una soluzione politica e nella riconciliazione;

3. l’abrogazione incondizionata dell’articolo 301 del codice penale e di tutti gli altri articoli che limitano la libertà di pensiero e la libertà d’opinione;

4. una dichiarazione di un chiaro impegno politico per la piena emancipazione delle donne.

La relazione avrebbe dovuto esprimersi in termini molto meni ambigui e molto più risoluti in merito a tali questioni.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING
Presidente

 

5. Tempo delle votazioni
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  Presidente. − Passiamo ora al tempo delle votazioni.

(Per i risultati dettagliati della votazione vedasi processo verbale)

 
  
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  Struan Stevenson (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, prima di prendere parte alla votazione sul calendario, desidero sollevare la questione relativa allo sciopero in programma per domani. Mi risulta che Air France sarà in sciopero, che i treni saranno in sciopero e che il personale aeroportuale sarà in sciopero. Tutto ciò rende impossibile la nostra vita di parlamentari. Ho passato la mattina a cercare di cambiare i voli in modo tale da poter tornare al mio collegio elettorale, il che significa che mancherò alla votazione di domani. Tutto ciò interferisce con il nostro lavoro di parlamentari. Stiamo per votare il calendario, che ci impone di venire qui dodici volte all’anno, eppure la Francia non fa nulla per facilitarci la vita nel venire qui. E’ quasi impossibile. Se abbiamo intenzione di continuare a venire a Strasburgo, forse potremmo apportare qualche cambiamento ai sistemi di trasporto che ci permettono di venire qui?

(Applausi)

 
  
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  Presidente. − Onorevole Stevenson, prendiamo nota di quanto detto, ma ora non dobbiamo avviare una discussione prima dell’adozione su tale base generale del calendario delle tornate.

 
  
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  Daniel Cohn-Bendit (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, desidero solo dire ai miei onorevoli colleghi che nell’Unione europea esiste il diritto di sciopero, il diritto di sciopero è il diritto di sciopero e ritengo altresì che sia incredibile chiedere a un paese di fornire un calendario degli scioperi. E’ ridicolo, completamente ridicolo. Desidero altresì dire al nostro onorevole collega che i lavoratori belgi hanno scioperato in molte occasioni e allora dove andrebbe a finire questo Parlamento se i belgi scioperassero? E’ una discussione ridicola. Se vuole tornare, che torni; se vuole restare, tutto quello che deve fare è fermarsi un giorno di più e mangiare un piatto di asparagi.

(Applausi a sinistra)

 
  
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  Presidente. − Onorevoli colleghi, questi due interventi hanno reso palese quanto sia pluralistica la natura dell’Unione europea e ritengo che in principio dobbiamo essere grati di ciò. Desidero aggiungere – e lo dico assolutamente seriamente, non come critica bensì come esempio di come funziona il diritto dell’Unione europea – che se qualcuno inizia a mettere in questione il diritto applicabile, si finisce nel caos. Suggerisco pertanto di procedere ora alla votazione e di rispettare il diritto dell’Unione europea. Tutti noi sappiamo chi decide in Parlamento europeo, pertanto desidero chiedere a tutti voi di permetterci, cortesemente, di procedere con calma alla votazione sul calendario delle tornate.

Onorevole Stevenson, come tutti gli altri, riceverà dall’amministrazione una notifica sulla situazione relativa alle condizioni di viaggio di domani.

 

5.1. Calendario delle tornate del Parlamento europeo – 2009 (votazione)
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  Presidente. − Prima di procedere alla votazione stessa, desidero sottolineare solo una cosa. Vorrei che ora ascoltaste con grande attenzione e poi lascerò la parola ad alcuni presidenti dei gruppi parlamentari. Vi è un emendamento, proposto dagli onorevoli Trakatellis, Varvitsiotis, Papastamkos, Lambrinidis e da altri onorevoli colleghi, relativo a una settimana in particolare dell’anno 2009, e cioè la settimana 16, dal 13 al 19 aprile. Si tratta della settimana immediatamente precedente alla Pasqua ortodossa. Non è proprio la settimana di Pasqua, ma quella prima. Non è stata tuttavia fatta alcuna proposta per una tornata in questa particolare settimana, dato che è la settimana di gruppo. Ciò significa che questo emendamento non è ammissibile dato che non vi sono proposte perché il Parlamento europeo si incontri nel corso di tale particolare settimana. Ciò non implica, tuttavia, una decisione preliminare riguardante la tornata proposta dal 20 al 23 aprile.

 
  
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  Joseph Daul (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come sapete il 2008 è l’Anno europeo del dialogo interculturale, il che comprende il dialogo interreligioso. Vi chiedo pertanto, in qualità di Parlamento europeo, di dare l’esempio e di rispettare le minoranze. E’ per questo motivo, nello spirito di compromesso e di buona volontà nei confronti degli amici ortodossi, che il mio gruppo suggerisce il seguente emendamento al calendario delle tornate per il 2009. La settimana 17, la settimana plenaria dell’aprile 2009, comincia il 21 aprile e finisce il 24 aprile – non desidero dire nulla di più – al fine di permettere agli onorevoli colleghi interessati di celebrare la Pasqua ortodossa.

A nome di tutti i paesi di tradizione ortodossa, vi ringrazio per il vostro appoggio e vi chiedo di non creare ulteriori controversie. Desidero chiedere, tuttavia, per il sostegno del Parlamento europeo nel rispetto delle minoranze, di dare l’esempio ai nostri cittadini.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, suppongo si tratti di un emendamento orale. Non è stato detto, ma se si tratta di un emendamento orale, il mio gruppo è a favore di procedere alla votazione oggi. E’ altresì un fatto che qui molti cattolici lavorano durante le festività religiose; domani è uno di tali giorni, nonostante lo sciopero. Si verifica anche tale situazione, ma desidero tuttavia consigliare di votare a favore di tale proposta o almeno di metterla al voto. Signor Presidente, se ritiene che non sia ammissibile, i gruppi dovrebbero provare in seguito, con questo spirito, a raggiungere un consenso.

 
  
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  Presidente. − Vi sono talune questioni su cui dobbiamo avere un consenso e suggerisco di procedere come è stato proposto dagli onorevoli Daul e Swoboda. Si procederà alla votazione di questo emendamento alla fine. Prendiamo prima gli altri emendamenti.

 
  
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  Hartmut Nassauer (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, prima della votazione, desidero sottolineare un problema che influisce sulla votazione stessa e che potrebbe essere necessario discutere e risolvere.

Nel calendario proposto, vi è un riferimento alla data delle elezioni del 2009. Non dobbiamo votare ora in proposito, ma semplicemente annotarlo. Tuttavia, a causa della data delle elezioni, la sessione costitutiva del Parlamento si terrà nel luglio 2009. Essendo questo il caso, gli onorevoli colleghi di alcuni paesi sono preoccupati, perché, se si guarda con attenzione, è chiaro che, se la sessione costitutiva si terrà il 14 luglio 2009, alcuni colleghi non rispetteranno il requisito dei cinque anni per i diritti alla pensione. In alcuni Stati membri non si fa riferimento alla durata della legislatura ma a un periodo di tempo fisso, perché la durata della legislatura varia nei diversi Stati membri.

Ritengo che vi siano valide ragioni per considerare e risolvere il problema, o riguardo alla data delle elezioni o riguardo alla data della sessione costitutiva. Desidero pertanto chiedere al Servizio giuridico del Parlamento di esaminare tale questione.

 
  
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  Daniel Cohn-Bendit (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, desidero avanzare una proposta analoga.

Sono stupito che i diritti delle minoranze siano dispiegati in termini così moralistici. Ci sono sette giorni festivi ebraici che non possono essere osservati perché sono giorni lavorativi. Lo stesso vale per 13 giorni festivi protestanti. La sessione costitutiva si terrà il 14 luglio. Si tratta di una delle festività laiche più importanti. Possiamo lavorare in Francia il 14 luglio dato che commemoriamo la Rivoluzione francese? Ritengo che sia impossibile e inappropriato! Anche questo deve essere modificato per favore!

(Applausi)

 
  
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  Presidente. − Abbiamo preso nota di quanto è stato detto e possiamo ora procedere alla votazione.

(L’emendamento orale è accolto)

 

5.2. Divieto di esportazione e di stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico (A6-0102/2008, Dimitrios Papadimoulis) (votazione)
  

– Prima della votazione

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis, relatore. − (EL) Signor Presidente, ringrazio ancora una volta i relatori ombra per la loro eccellente collaborazione. Nel corso del dialogo con i loro rappresentanti, che erano presenti in tutte le fasi, siamo giunti a un compromesso molto soddisfacente con il Consiglio, grazie al contributo della Commissione.

Vi è tuttavia il rischio che tale compromesso possa crollare, facendoci ricominciare da capo, se vengono approvati gli emendamenti n. 37 e n. 41 su Almadén.

Desidero ricordarvi, onorevoli colleghi, che in prima lettura anch’io, come relatore, ho appoggiato gli emendamenti Almadén, ma ora siamo di fronte alla realtà. Né il Consiglio, né la Commissione accetta tali emendamenti. Se vengono approvati, ricominceremo da capo. Un anno fa, il Consiglio ha accettato solo uno degli emendamenti del Parlamento europeo. Ora, con la cooperazione di tutti i gruppi politici, siamo riusciti a far accettare 22 emendamenti al testo dell’accordo. Vi domando: abbiamo intenzione di sacrificare tale risultato? Ieri il Commissario Dimas è stato molto chiaro. La Commissione non accoglie gli emendamenti nn. 37 e 41. In Consiglio neppure il governo spagnolo ha insistito su tali emendamenti.

Vi chiedo pertanto di rifiutare questi emendamenti in modo tale da poter avere compensare i progressi significativi ottenuti nel nostro accordo con il Consiglio in merito alla protezione dell’ambiente e della salute pubblica, il che ci permetterà di approvare a larghissima maggioranza un passo significativo verso il divieto di esportare il mercurio.

 

5.3. Tutela penale dell’ambiente (A6-0154/2008, Hartmut Nassauer) (votazione)
  

– Prima della votazione

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (EN) Signor Presidente, la ringrazio nuovamente. Con il suo permesso desidero fare la seguente dichiarazione a nome del Consiglio.

Abbiamo esaminato il seguente emendamento che è stato adottato dalla commissione giuridica del Parlamento europeo. Si tratta del nuovo considerando 12 bis.

Cito: “Qualora risulti che un’attività continuativa dia luogo, dopo un certo tempo, a un danno ambientale che a sua volta potrebbe far scattare una responsabilità penale ai sensi della presente direttiva, per stabilire se l’autore del danno abbia agito intenzionalmente o per negligenza è opportuno far riferimento al momento in cui questi si è reso conto, o avrebbe dovuto rendersi conto, della fattispecie di reato, e non al momento in cui egli ha avviato l’attività. A questo proposito, occorre tener presente che, in tali circostanze, la concessione preventiva di un’autorizzazione, licenza o concessione non dovrebbe costituire una giustificazione”. Fine della citazione.

Comprendiamo le intenzioni espresse nel presente emendamento. Tali questioni sono di competenza degli Stati membri. Riteniamo che gli Stati membri terranno debitamente conto di tali intenzioni.

Grazie.

 
  
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  Olli Rehn, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, la retorica della presente dichiarazione può equivalere a quella dell’onorevole Cohn-Bendit. Desidero leggere la presente dichiarazione e cito: “La Commissione ha preso nota del seguente emendamento adottato dalla commissione giuridica: “Qualora risulti che un’attività continuativa dia luogo, dopo un certo tempo, a un danno ambientale che a sua volta potrebbe far scattare una responsabilità penale ai sensi della presente direttiva, per stabilire se l’autore del danno abbia agito intenzionalmente o per negligenza è opportuno far riferimento al momento in cui questi si è reso conto, o avrebbe dovuto rendersi conto, della fattispecie di reato, e non al momento in cui egli ha avviato l’attività. A questo proposito, occorre tener presente che, in tali circostanze, la concessione preventiva di un’autorizzazione, licenza o concessione non dovrebbe costituire una giustificazione”. Comprendiamo appieno le preoccupazioni manifestate nel presente emendamento. Tali questioni rientrano nelle competenze degli Stati membri e siamo fiduciosi che terranno debitamente conto di tali importanti preoccupazioni”.

 
  
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  Hartmut Nassauer, relatore. − (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, queste due dichiarazioni mi spingono a sottolineare, a vantaggio dei colleghi che forse non hanno compreso appieno ciò che sta accadendo, che tali dichiarazioni fanno parte del compromesso che abbiamo concordato. Abbiamo chiesto chiarimenti in merito a due o tre problemi che sono stati forniti in questo modo. Tuttavia, l’oggetto della procedura legislativa sarà senza dubbio solo il testo così come lo abbiamo concordato noi congiuntamente.

Ho qui la lettera del Presidente del Coreper – attualmente presieduto dalla Slovenia – che conferma che il presente testo, se oggi lo adotteremo, verrà altresì approvato dal Consiglio. Ciò significa, certamente, che raggiungeremo un accordo in prima lettura, il che ci offrirà il successo legislativo che vogliamo ottenere.

 

5.4. Inchiesta sulla struttura delle aziende agricole e sui metodi di produzione agricola (A6-0061/2008, Gábor Harangozó) (votazione)
  

– Prima della votazione

 
  
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  Gábor Harangozó, relatore. − (HU) La ringrazio, signor Presidente. Onorevoli colleghi, le indagini sulla struttura delle aziende agricole sono annoverate tra le indagini statistiche più vecchie a livello europeo e forniscono informazioni necessarie e sostanziali sulle aziende agricole dell’Unione europea.

In particolar modo ora, che abbiamo allargato l’UE, che comprende dodici nuovi Stati membri, e dato che proprio in questo momento stiamo lavorando sulla riforma della Politica agricola comune, è estremamente importante essere in grado di condurre quanto prima un’indagine nuova e completa. Necessitiamo di dati comparabili e uniformi, che ci permettano di pianificare una politica agricola equa e che funzioni adeguatamente. Ecco perché ho cercato di garantire che saremo in grado di giungere a un accordo in prima lettura e di avviare tali indagini quanto prima.

Desidero ringraziare in modo particolare i miei onorevoli colleghi, che hanno partecipato a un dialogo a tre per il loro approccio eccezionalmente costruttivo; Desidero ringraziare in modo particolare per il loro lavoro l’onorevole Elisabeth Jeggle, nonché Nicolas Meves e Alexis Kuhl. Gli emendamenti proposti come risultato del dialogo a tre sono stati inseriti nel blocco uno. Desidero chiedere a tutti voi di appoggiare gli emendamenti del blocco uno, in modo tale da poter poi chiudere questa pratica. Grazie.

 

5.5. Condizioni da osservare per esercitare l’attività di trasportatore su strada (A6-0087/2008, Silvia-Adriana Ţicău) (votazione)
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 18

 
  
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  Mathieu Grosch (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, a mio avviso gli emendamenti nn. 108 e 117 non sono compatibili e pertanto, a nome del gruppo PPE-DE, propongo di appoggiare l’emendamento n. 108 e di respingere l’emendamento n. 117.

 

5.6. Accesso al mercato di servizi di trasporto effettuati con autobus (rifusione) (A6-0037/2008, Mathieu Grosch) (votazione)
  

– Prima della votazione

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, per motivi di equità, lunedì ho annunciato che avremmo richiesto il rinvio della votazione su questa relazione, non perché l’onorevole Grosch non abbia svolto un buon lavoro – anzi il contrario – ma perché vogliamo avere più tempo per esaminare la questione dei periodi di riposo e integrarla nei termini precisi della presente relazione. Abbiamo tenuto colloqui con i gruppi e abbiamo riscontrato un notevole appoggio a favore della presente proposta. Persino l’onorevole Jarzembowski, che è stato il più difficile da convincere, questa mattina mi ha avvisto del fatto che ora sostiene la proposta. Mi auguro pertanto che ci potremo occupare della questione in questo modo e richiedo pertanto il rinvio di una delle due prossime tornate.

 
  
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  Mathieu Grosch, relatore. − (DE) Signor Presidente, in qualità di relatore, sono a favore, come il gruppo PPE-DE, della proposta, e desidero che sia chiaro che abbiamo preso nota dell’accordo tra le parti sociali. Stiamo tuttavia impiegando il tempo in previsione dell’incorporazione di questo punto in un emendamento.

 
  
  

(Il Parlamento approva la proposta)

 

5.7. Accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada (rifusione) (A6-0038/2008, Mathieu Grosch) (votazione)

5.8. Servizi mobili via satellite (A6-0077/2008, Fiona Hall) (votazione)

5.9. Semplificazione del contesto in cui operano le imprese in materia di diritto societario, contabilità e revisione contabile (A6-0101/2008, Klaus-Heiner Lehne) (votazione)

5.10. Donne e scienza (A6-0165/2008, Britta Thomsen) (votazione)

5.11. Libro verde su una migliore demolizione delle navi (A6-0156/2008, Johannes Blokland) (votazione)

5.12. Dati scientifici relativi al cambiamento climatico: conclusioni e raccomandazioni in vista dell’adozione di decisioni (A6-0136/2008, Karl-Heinz Florenz) (votazione)
  

– Prima della votazione

 
  
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  Presidente. − In merito alla relazione Florenz, desidero dichiarare che per tale relazione gli emendamenti nn. 5, 11, 12, 13, 14 e 15 sono inammissibili. Essi potranno essere tuttavia presentati quando ci occuperemo della relazione principale. Ho ricevute diversi messaggi di posta elettronica relativi a tale questione. Tutti i servizi e il Servizio giuridico li hanno esaminati nel dettaglio e hanno concluso che tali emendamenti sono inammissibili per la presente relazione. Sono tuttavia ammissibili per la relazione finale.

 
  
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  Jan Březina (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, devo dire di poter accettare questa argomentazione per tutti gli emendamenti ad eccezione del n. 15. Non capisco perché non si possa votare ora l’emendamento n. 15.

 
  
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  Presidente. − Onorevole Březina, la risposta che ho ricevuto – e ho ricevuto un messaggio di posta elettronica riguardante questo emendamento in particolare – è stata la stessa che ho ricevuto per tutti questi specifici emendamenti e di tale risposta mi devo fidare. L’emendamento n. 15 potrà essere tuttavia presentato per la relazione principale, affinché possa essere inserito.

 

5.13. Relazione 2007 sui progressi compiuti dalla Turchia (A6-0168/2008, Ria Oomen-Ruijten) (votazione)
  

– Prima della votazione sull’emendamento n. 11

 
  
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  Alexander Graf Lambsdorff (ALDE).(DE) Signor Presidente, concordiamo con i nostri onorevoli colleghi sul fatto che dobbiamo riconoscere adeguatamente il ruolo della lingua curda in Turchia. Su questo punto, il paragrafo 11 necessita tuttavia di alcuni chiarimenti di tipo linguistico. Desidero pertanto proporre un emendamento orale che è stato concordato con gli altri relatori ombra e con il relatore. Nella versione modificata la dicitura della frase sarebbe pertanto la seguente:

(EN) “ivi inclusa la possibilità reale di imparare il curdo nelle scuole pubbliche e private e di utilizzarlo nelle trasmissioni radiotelevisive, nella vita di tutti i giorni e per l’accesso ai servizi pubblici”.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

– Prima della votazione sul paragrafo 19

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten, relatore. − (NL) Desideriamo eliminare la parola “limitrofi”, perché vogliamo che il difensore civico lavori con tutti mediatori europei, sia uomini che donne.

 
  
  

(L’emendamento orale è accolto)

 

6. Malattie reumatiche (dichiarazione scritta): vedasi processo verbale
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO
Vicepresidente

 

7. Dichiarazioni di voto
  

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

− Calendario delle tornate per il 2009

 
  
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  Toomas Savi (ALDE). - (EN) Signor Presidente, desidero fare solo una breve osservazione in merito al calendario parlamentare del prossimo anno. Sebbene le elezioni parlamentari siano state fissate per il periodo tra il 4 e il 7 giugno, accorciando pertanto di una settimana il mio mandato di 5 anni, sono lieto che le elezioni non si tengano tra l’11 e il 14 giugno. La domenica è il giorno in cui in Estonia, per tradizione, si tengono le elezioni, ma se le elezioni europee si fossero tenute il 14 giugno – giornata di lutto nazionale per la commemorazione della deportazione di massa eseguita nel 1941 ad opera delle autorità sovietiche – le bandiere avrebbero sventolato a mezz’asta in tutta l’Estonia. Sarebbe stato un giorno infelice per tenere le elezioni del Parlamento europeo.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, questa è stata l’ultima votazione sul calendario in questa legislatura e abbiamo scongiurato cinque tentativi volti a contestare Strasburgo come sede del Parlamento e come unica sede del Parlamento, attraverso emendamenti irrazionali.

Ciononostante, desidero dire vi dovrebbe essere un’ampia riforma, perché dopo tutto è una questione di denaro e di emissioni di CO2. Desidero sottolineare che, qualora dovessimo concentrarci su 12 settimane in plenaria all’anno e utilizzare appieno ancora una volta tutti e i cinque i giorni di tali settimane, potremmo pertanto eliminare le mini-plenarie costose e non necessarie di Bruxelles e sostituirle con settimane di collegio elettorale. Ciò ci avvicinerebbe maggiormente ai nostri cittadini e ci darebbe più tempo da dedicare al nostro lavoro effettivo. Sarebbe altresì meno costoso, ridurremmo le nostre emissioni di CO2 e tutto ciò potrebbe essere ottenuto attraverso le nostre stesse decisioni senza modifica dei Trattati. Finché non vi è una modifica dei Trattati, dobbiamo fare uso dei Trattati attuali nel modo più razionale ed efficace possibile. Ecco perché ritengo che dobbiamo adottare l’approccio da me proposto.

 
  
  

− Relazione: Dimitrios Papadimoulis (A6-0102/2008)

 
  
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  Fiona Hall (ALDE). - (EN) Signor Presidente, quando il presente regolamento è stato portato in Parlamento in prima lettura, mi sono opposta ai tentativi volti a permettere lo stoccaggio del mercurio, non solo nelle miniere di sale ma anche negli impianti sotterranei adattati allo smaltimento di rifiuti. Era chiaro che le miniere di anidrite sarebbero state incluse nella definizione ampliata, il che era causa di grande preoccupazione per la popolazione di Billingham del mio collegio elettorale, che sta lottando contro i piani per l’impiego delle vecchie miniere di anidride vicino alle loro case per lo smaltimento dei rifiuti. Purtroppo, il testo votato oggi in seconda lettura ha reintrodotto la possibilità di stoccare il mercurio in siti diversi dalle miniere di sale, specificatamente in formazioni di roccia dura profonde e sotterranee. Dato che le miniere di anidride di Billingham possono rientrare in questa nuova definizione dei siti permessi, ho ritenuto necessario astenermi dalla votazione del pacchetto di compromesso, dato che in seconda lettura non vi è alcuna votazione finale. Questo, nonostante io concordi pienamente con il divieto di esportazione del mercurio dall’Europa.

 
  
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  Alojz Peterle (PPE-DE). - (SL) Ho accolto con favore la presente relazione, poiché contiene tutti gli elementi necessari a una rapida risoluzione di questa questione. Sono lieto che il Parlamento, la Commissione e il Consiglio possano giungere a una visione di compromesso, il che corrisponde al modo in cui abbiamo effettivamente contribuito a tali dinamiche. Una soluzione diversa potrebbe significare ritardare la soluzione per lungo tempo.

Grazie.

 
  
  

− Relazione: Hartmut Nassauer (A6-0154/2008)

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE).(CS) Oggi non è più tollerabile che gravi reati ambientali e reati riguardanti la salute pubblica siano considerati meri illeciti, come lo sono stati fino a oggi in alcuni paesi, ad esempio in Italia o a Cipro. Ecco perché ho appoggiato la direttiva che obbliga tutti i paesi a introdurre nella loro normativa entro due anni sanzioni penali pertinenti, nonostante le obiezioni degli euroscettici. D’altro canto, la Repubblica ceca, così come molti altri paesi, dovranno introdurre il concetto di responsabilità per le persone giuridiche nel diritto penale, il che non costituisce una nozione nota per i paesi post-socialisti. Dovremo decidere se propendere per il modello tedesco, in cui le violazioni della legge da parte delle persone giuridiche sono decise dalle autorità amministrative, o se scegliere il modello delle autorità giudiziarie tipico di Francia, Gran Bretagna e ora anche Slovenia. Dovremo altresì decidere se dovrà essere ritenuto responsabile l’intera persona giuridica o la direzione. Temo che non saranno sufficienti i due anni di cui disponiamo per completare l’attuazione.

 
  
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  Roger Helmer (NI). - (EN) Signor Presidente, non ho votato a favore della presente misura. Sembra che l’allarmismo climatico e l’ambientalismo stiano assumendo rapidamente le caratteristiche di una religione. Si basano sulla fede e non sui fatti, tant’è che le possibilità di compensazione del carbonio sono state giustamente paragonate all’acquisto delle indulgenze papali in epoca medievale. Ora abbiamo l’onorevole Nassauer con l’introduzione di quella che sembra essere una sorta di legge ambientale blasfema.

In ogni caso, ho notevoli riserve in merito al fatto che tali questioni ambientali siano trattate dal diritto penale piuttosto che da quello civile. Ma il vero problema in questo caso è l’estensione del diritto europeo. Le persone che rappresentano vogliono commercio, vogliono cooperazione in Europa, ma non vogliono un’unione politica e non vogliono un ordinamento giuridico europeo. Dobbiamo resistere a tutti gli ulteriori passi volti a creare responsabilità europee e una competenza europea in tali settori.

 
  
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  Syed Kamall (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, mentre la presente relazione sembra rimuovere i riferimenti a sanzioni specifiche, fa riferimento a quali azioni debbano essere considerate reati negli Stati membri. Consideriamo pertanto uno scenario in cui qualcuno del mio collegio elettorale – Londra, la più grande città del mondo, la capitale del più grande paese del mondo – commetta un atto che non è considerato reato secondo il diritto inglese (diritto a cui si è giunti attraverso una tradizione di common law e attraverso la ragione), ma che, poiché abbiamo deciso di imporre dall’alto il diritto dell’UE, mettendo da parte la ragione, sopra le teste dei cittadini del mio collegio elettorale, tale atto viene ora considerato un reato secondo il diritto dell’UE.

A cosa porterà tutto ciò? Come reagiranno i miei elettori? Vi dico io che come reagiranno. Diranno: “Che assurdità è mai questa? Come è possibile che ciò che non è considerato reato secondo il ragionevole diritto inglese, è un reato secondo il diritto europeo? E’ ora di uscire dall’Unione!”. Dobbiamo pertanto stare attenti a non far sì che il Regno Unito abbandoni l’UE.

 
  
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  Giuseppe Gargani (PPE-DE). – Signor presidente, onorevoli colleghi, io avevo chiesto la parola per un attimo al Presidente dopo l’approvazione del provvedimento di Nassauer sulla proposta del Parlamento europeo per le protezioni del diritto penale.

Volevo congratularmi in maniera particolare con il relatore, perché questo è un provvedimento di grande importanza – c’è stata una grande discussione all’interno della commissione – e abbiamo raggiunto un compromesso molto intelligente e molto alto, anche per la collaborazione dell’onorevole Monica Frassoni. Io sento proprio il bisogno di sottolineare questo particolare lavoro che la commissione ha fatto e faccio una particolare congratulazione al relatore Nassauer.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE).(PL) In riferimento alla relazione dell’onorevole Nassauer, desidero dire di aver votato a favore. Sebbene tutti gli Stati membri abbiano adottato le stesse disposizioni, queste ultime sono state attuate in molti modi diversi, il che incoraggia un comportamento non desiderabile attraverso il quale imprenditori irresponsabili ricollocano la loro attività economica in paesi in cui le sanzioni penali per reati contro l’ambiente sono meno severe. Ciò colpisce in modo particolare i nuovi Stati membri dell’Unione. Va sottolineato che i reati commessi in seno a organizzazioni criminali stanno diventando sempre più significativi e che i reati contro l’ambiente stanno sempre più assumendo una natura transfrontaliera.

Concordo riguardo alla posizione del relatore, secondo cui il quadro giuridico definito nella proposta di direttiva rappresenta un contributo importante a una protezione efficace dell’ambiente e può garantire un’attuazione uniforme e responsabile del diritto in materia di protezione ambientale all’interno della Comunità. Funzionari adeguatamente formati costituiscono una conditio sine qua non per un’attuazione efficace del diritto e un’effettiva riduzione degli illeciti a danno dell’ambiente. La proposta di specificare gli obblighi degli Stati membri a tal proposito è, pertanto, chiaramente del tutto rilevante.

Desidero fare la seguente osservazione a vantaggio dell’onorevole collega del Regno Unito, che lavora forse conformemente a un malinteso. Non stiamo creando una nuova normativa comunitaria per imporre sanzioni, il che si è rivelato impossibile. Stiamo invece insistendo affinché ciascuno Stato membro attui la normativa necessaria nel quadro del proprio ordinamento giuridico al fine di garantire che dovunque in Europa siano applicate sanzioni uniformi per reati simili.

 
  
  

− Relazione: Fiona Hall (A6-0077/2008)

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE).(CS) Oggi 21 maggio viene inferto un altro brutto colpo agli euroscettici, perché, insieme al Consiglio, abbiamo votato per una decisione congiunta che contribuirà a trasferire parzialmente all’Unione europea i diritti sulle radiofrequenze per le telecomunicazioni dei 27 Stati membri, il che dimostra l’importanza dell’UE. Se gli Stati membri non possono gestire da soli qualcosa con successo, l’affidano all’Unione europea, negli interessi dei cittadini europei. Oggi è questione di rimuovere gli ostacoli giuridici al futuro sviluppo dei servizi mobili via satellite per le comunicazioni di emergenza, al fine di salvaguardare la vita, la salute e le proprietà di mezzo miliardo di cittadini. Le navi e gli aerei già utilizzano questo sistema, il quale, grazie alla moderna tecnologia, può eseguire altre funzioni, quali servizi multimediali bidirezionali, trasmissioni di segnali televisivi via satellite e accesso a Internet a banda larga. Tale decisione non deve tuttavia diventare uno standard nel settore delle telecomunicazioni. I diritti esclusivi relativi ad altre parti delle radiofrequenze continuano a essere una questione di competenza delle autorità di regolamentazione nazionali. Mi auguro che in paesi che sono in qualche modo euroscettici, come la Repubblica ceca o la Gran Bretagna, i mezzi d’informazione e comunicazione presteranno sufficiente attenzione a questo tema, che costituisce una buona notizia per i cittadini.

 
  
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  Syed Kamall (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, sono lieto di poter appoggiare la presente relazione perché non sembra essere un esempio di coercizione, ma piuttosto di cooperazione. Nella mia precedente carriera, ho infatti lavorato in questo settore, offrendo consigli alle imprese relativamente ai servizi mobili via satellite.

Una delle cose con cui le imprese si dovevano confrontare era il fatto di non comprendere il mercato. Alla fine degli anni novanta, circa cinque operatori hanno lanciato servizi satellitari a livello globale. Nonostante le loro migliori stime, hanno completamente frainteso il mercato, ritenendo che fosse rappresentato da chi viaggia per affari a livello internazionale, ma la tecnologia di questo mercato è stata sostituita dagli sviluppi nella tecnologia cellulare.

Sono lieto che tali imprese abbiano l’opportunità di tentare nuovamente di creare un mercato dei servizi mobili via satellite a livello globale, che ritengo porterebbe grandi vantaggi, in particolare alle persone nei paesi in via di sviluppo, che non sono state raggiunte dalle reti terrestri. Accolgo pertanto con favore la presente relazione, per la quale ho votato a favore.

 
  
  

− Relazione: Karl-Heinz Florenz (A6-0136/2008)

 
  
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  Miroslav Ouzký (PPE-DE).(CS) Desidero spiegare il perché del mio voto sulla relazione dell’onorevole Karl-Heinz Florenz. Nella votazione finale non ho votato a favore della presente relazione e desidero sottolineare, come il presidente della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, che la ragione non era una mia mancata comprensione della serietà di questo tema o l’intenzione di respingere o contestare in alcun modo il lavoro del relatore. Non ero d’accordo in merito a diverse frasi e dichiarazioni che non solo ho trovato essere non politicamente corrette, ma anche - in taluni casi – non veritiere. Considero inoltre inaccettabile, scandalosa e in qualche modo sbagliata la decisione del Tabling Office riguardo all’inammissibilità della proposta senza addurre alcuna motivazione.

 
  
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  Jan Březina (PPE-DE).(CS) Neanch’io ho votato a favore della relazione del mio collega, l’onorevole Florenz. Tutto ciò che è marchiato, e presentato, come un fatto scientifico deve spiegare le opinioni scientifiche espresse da entrambi i gruppi di scienziati, coloro che sono d’accordo così come coloro che non lo sono. Le dichiarazioni nelle relazione sono presentate come una chiara opinione scientifica diffusa. Non è questo il caso, tuttavia. Anche l’altra fazione è importante. Nel corso della discussione è stato spesso posto l’accento sul principio della cautela esplorativa. Non potremmo utilizzarlo anche in merito alle conclusioni di parte e eccessivamente severe riguardante la politica in materia di cambiamento climatico? Come geologo, vi posso assicurare che molte volte in passato la Terra si è riscaldata molto di più che non di quei 2°C demonizzati e non si è verificato alcun fatto tragico. Dopo tutto l’uomo è sempre vissuto in un’epoca di continui cambiamenti climatici.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE).(SK) Ho votato a favore della relazione interlocutoria del relatore, Karl-Heinz Florenz, in cui la conoscenza scientifica del cambiamento climatico gioca un ruolo importante. Al contempo trovo deplorevole che alcuni emendamenti del mio collega Březina e di altri 40 onorevoli colleghi, in particolare l’emendamento n. 15, non sono stati accolti nella presente relazione. Tali emendamenti avrebbero migliorato il testo. Gli scienziati continuano a rivedere costantemente le loro tesi, il che significa che anche noi dobbiamo essere aperti a nuove idee.

Alcuni dei cambiamenti climatici a livello globale causati dall’attività umana si manifestano, in gran parte, in alcune regioni, come prosciugamento delle acque. Di conseguenza, trattenere le acque piovane di una regione e lasciar prosciugare solo l’eccedenza naturale costituisce un prerequisito al fine di garantire la sicurezza ambientale e la stabilità globale nonché da ultimo, ma non per importanza, al fine di mantenere la crescita economica. Confido che, nel corso dei prossimi decenni, il nuovo paradigma dell’acqua diventi un’utile nuova idea e il manifesto dell’umanità per il futuro della civiltà.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, oggi abbiamo adottato una relazione eccezionalmente importante sulla lotta al cambiamento climatico. Vi sono legami stretti tra quest’ultima e i problemi relativi all’energia. Sempre più spesso fronteggiamo siccità, inondazioni, desertificazione e scioglimento dei ghiacciai. Deve senza dubbio essere ormai chiaro a tutti che il nostro clima sta cambiando. Stanno sorgendo problemi sociali, ambientali e finanziari a causa dell’aumento delle temperature.

Se davvero vogliamo proteggere il nostro pianeta, la nostra stessa Terra, allora tutti noi, tutti i paesi e le società dell’intero pianeta, dobbiamo rallentare o arrestare ulteriori aumenti del livello delle emissioni di CO2 e delle emissioni di altri gas a effetto serra. E’ necessario promuovere investimenti ecologici, insieme a impianti energia pulita e a basso consumo energetico. E’ soprattutto necessario dare la priorità a convincere le persone a risparmiare energia e ad aumentare le loro conoscenze e consapevolezza, il che può facilmente dimostrarsi il modo più rapido per ottenere risultati.

Dobbiamo trovare una soluzione di compromesso sulla limitazione delle emissioni di gas a effetto serra nell’Unione. Si deve concedere un trattamento diverso ai nuovi Stati membri rispetto a quelli più sviluppati. Essi avranno allora l’opportunità di recuperare terreno ed eliminare le disparità nel livello dello sviluppo economico.

 
  
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  Kurt Joachim Lauk (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, desidero innanzi tutto commentare la relazione dell’onorevole Florenz, che, a mio avviso, ha riassunto molto bene l’attuale opinione scientifica diffusa. Ciononostante, non ho votato a favore della relazione. Il clima costituisce una questione rilevante e concordo in merito al fatto che a tal proposito dobbiamo agire. Tuttavia, l’opinione scientifica diffusa è solo provvisoria, proprio come tutte le opinioni scientifiche diffuse dell’ultimo secolo erano per natura di breve durata e rispetto alle quali, in ogni caso, siamo andati oltre.

La relazione che abbiamo dinnanzi non ci offre sufficienti opportunità in proposito. Le misure specifiche delineate, inoltre, sono unilaterali. Dobbiamo garantire che l’Europa non rinunci alle sue capacità economiche. L’Europa non può salvare il mondo da sola. Nell’affrontare questo problema globale, devono essere coinvolti con urgenza altri paesi. Questo è l’unico modo per attuare l’opinione scientifica diffusa. Non possiamo portare questo fardello da soli.

In tale contesto, ciò che sento che manca nella relazione è la rassegna delle misure necessarie a mitigare il cambiamento climatico. Probabilmente, non possiamo arrestarlo completamente. Essendo questo il caso, ritengo che le misure che altereranno in modo permanente le nostre strutture industriali non possono essere adottate sulla base di ciò che è solo un’opinione scientifica diffusa.

 
  
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  Roger Helmer (NI). - (EN) Signor Presidente, non ho votato a favore della relazione dell’onorevole Florenz. Uno dei più grandi miti dell’allarmismo climatico è che esiste un’opinione scientifica diffusa e che tutti gli scienziati concordano con essa. Come membro della commissione temporanea sul cambiamento climatico, so perché la relazione dell’onorevole Florenz è venuta fuori in questo modo: è stata ascoltata solo una delle voci intervenute al dibattito e si è pertanto concluso che esiste un’opinione diffusa.

Prima, durante la discussione di oggi, l’onorevole Booth ci ha ricordato la Petizione Oregon, che è stata firmata da 30 000 scienziati, mettendo in dubbio completamente le basi base dell’allarmismo climatico. Non esiste alcuna opinione diffusa; è sempre più diffusa e potente l’opinione scientifica che appoggia l’altra visione. Nel contempo causeremo ingenti danni economici alle persone che rappresentiamo in un tentativo futile e destinato a fallire di influenzare un problema speculativo, che, secondo molte persone, non esiste.

E’ il danno economico che ci metterà in croce e che metterà in croce specialmente l’Europa, perché paesi in via di sviluppo come Cina e India hanno decisamente troppo buon senso per farsi ingannare.

 
  
  

− Relazione: Ria Oomen-Ruijten (A6-0168/2008)

 
  
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  Dimitar Stoyanov (NI). - (BG) La delegazione del partito Ataka non ha votato a favore della cosiddetta relazione relativa ai progressi compiuti dalla Turchia, dato che non comprendiamo cosa possano implicare tali progressi.

Ciò che capiamo è che la Turchia è uno Stato in cui è al potere un partito islamico, in cui il capo di Stato è un presidente islamista. Uno Stato che non si avvicina neppure al rispetto dei diritti umani, uno Stato che opprime un’intera nazione e fa guerra, proprio mentre parliamo, a un’intera nazione con lo scopo di distruggerla, e tale nazione è la popolazione curda. Uno Stato che è fortemente militarizzato, in cui vi è una giunta militare segreta e la politica turca prende qualsiasi direzione indicata dai generali. Uno Stato che continua a occupare il territorio di uno Stato membro dell’UE proprio mentre parliamo.

Uno Stato di questo genere non ha titolo per nessuna negoziazione fintanto che tali gravi problemi non saranno stati realmente eliminati .

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) A mio avviso, la relazione Oomen-Ruijten costituisce ancora un’altra opportunità mancata per venire al dunque in merito alla potenziale adesione della Turchia all’Unione europea. La relazione si concentra su quelle che sono, a mio parere, diverse questioni marginali, mentre il punto fondamentale di tutto ciò resta, certamente, che la Turchia non è in alcun modo un paese europeo, che non sarà mai in alcun modo un paese europeo e che di conseguenza non vi può essere alcuna questione dell’accesso all’Unione europea di un paese non europeo. Fine della storia!

Desidero tuttavia accennare, a tale proposito, che mi ha sorpreso sentire tra gli altri, nel corso della discussione, il mio collega socialista, l’onorevole Swoboda, dire che è assolutamente inaccettabile che in Turchia i partiti vengano vietati. Vi ricordo che nel mio paese nel 2004 il più grande partito nazionale, Vlaams Blok, che ha ricevuto il 24 per cento dei voti, è stato semplicemente vietato ed sì è dovuto sciogliere. Non ricordo alcuna protesta da parte dei socialisti a quell’epoca. Al contrario, la loro solidarietà è limitata ai fondamentalisti islamici, di cui si è preso debitamente nota.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, è da molti anni che affermo che un partenariato privilegiato tra l’Unione e la Turchia sarebbe stato molto più vantaggioso che non la promessa dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea. Purtroppo la relazione relativa ai progressi compiuti conferma che, sebbene siano stati aperti i negoziati di adesione, i criteri di Copenhagen non sono ancora stati rispettati, il che non vale per un solo ambito, ma influisce sulla libertà di religione, sui diritti delle minoranze, sulle pari opportunità (per le donne in particolare), sulla corruzione, sulla questione curda e su quella di Cipro e certamente anche sul potere dell’esercito sulle politiche del governo. Proprio come il relatore, anch’io accolgo con favore gli sforzi del governo per garantire progressi, ma purtroppo tali progressi non sono visibili. Al contrario: la Turchia sta vietando un partito politico, ha un nuovo articolo 301 utilizzato per perseguire scrittori e intellettuali per aver insultato la cultura turca e stanno aumentando anche la violenza e l’ostilità derivanti da motivi religiosi e politici. Ad oggi non è ancora stato risolto l’omicidio di Hrant Dink così come altri omicidi. Detto ciò, accolgo la relazione, che è onesta e ben equilibrata.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, abbiamo adottato una relazione importante. Dovremmo appoggiare e riconoscere nel modo dovuto i cambiamenti attuati in Turchia conformemente ai negoziati di adesione. In considerazione della sua particolare posizione geografica, la Turchia è un partner strategico per l’Unione per quanto riguarda i negoziati di quest’ultima con i paesi dell’area del Mar Nero, dell’Asia centrale e del Medio Oriente. La Turchia è altresì di importanza vitale al fine di garantire la sicurezza energetica dell’Europa, dato che le risorse energetiche provenienti dal Mar Nero e dal Mar Caspio vengono trasportate in Europa attraversando il territorio turco. La Turchia, inoltre, dispone di un enorme potenziale economico. Ha un’economia dinamica, un enorme mercato interno e una società che è per lo più di un’età per essere attiva sul mercato del lavoro. Confido che tutto ciò in futuro contribuisca allo sviluppo dell’economia dell’Europa.

Un altro aspetto dell’adesione della Turchia merita di essere menzionato. In quanto paese islamico che è anche uno Stato membro dell’Unione, sarà in grado di assumersi un ruolo importante nello sviluppo delle relazioni tra l’Occidente e il mondo islamico.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten, sebbene contenga molte frasi di compromesso. Ha fatto questa scelta, perché all’inizio contiene una frase cruciale e cioè che l’apertura dei negoziati costituisce il punto di partenza di un processo di lunga durata e senza limiti di tempo. Questa è stata l’unica ragione per cui ho potuto votare a favore della relazione. Lasciate chiarire bene che il mio partito, l’Unione sociale cristiana, è sempre stato, e continua a essere, a favore della Turchia. Abbiamo fatto propaganda e lavorato duramente per l’Unione doganale che è stata adottata da quest’Assemblea a maggioranza di un solo voto. Si potrebbe dire che all’epoca quel voto fosse il mio. Abbiamo appoggiato la Turchia nella NATO e in merito a un’ampia gamma di questioni.

Lasciatemi altresì chiarire in modo adeguato che tuttavia la Turchia non è un paese europeo e che condivido il punto di vista dell’onorevole Roithová, secondo cui un partenariato privilegiato, uno status speciale fatto su misura, è la soluzione giusta. Questa è la soluzione a cui si giungerà alla fine. Dobbiamo finalmente smettere di portare questo alleato cieco verso una presunta adesione. Tale adesione non si verificherà e pertanto per entrambe le parti sarebbe meglio e più onesto potersi riunire quanto prima e concordare di perseguire un’altra strada, una strada verso un partenariato tra pari, senza istituzioni comuni, ma con comuni interessi e un programma di cooperazione convenuto e pratico.

 
  
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  Albert Deß (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, sebbene la relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten contenga molte critiche della Turchia, non ho votato a favore, perché a mio avviso la piena adesione della Turchia non può essere lo scopo dei negoziati di adesione. L’onorevole Posselt ha già sottolineato questo punto. Ritengo che dovremmo iniziare quanto più rapidamente possibile a offrire alla Turchia questo partenariato privilegiato. La Turchia non fa parte dell’Europa né svolge una funzione di collegamento con i paesi islamici.

In Sudan, si verifica da anni la persecuzione dei cristiani nel Darfur. Per molti anni la Turchia ha avuto la possibilità di fare la sua parte per porre fine a tali crimini contro i cristiani in Sudan. Tuttavia, aspetto ancora di vedere la Turchia compiere un passo in tale direzione. Questo è il motivo per cui non ho votato a favore della relazione: perché la Turchia non è un membro a pieno titolo dell’Unione europea.

 
  
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  Marusya Ivanova Lyubcheva (PSE). - (BG) Signor Presidente, ho appoggiato la relazione relativa ai progressi compiuti dalla Turchia sebbene vi siano ancora taluni rischi connessi al percorso di tale paese verso l’Unione europea.

Sono stata motivata dal fatto che la relazione comprende testi che trattano la protezione dei diritti umani, la protezione dei diritti delle donne in due importanti settori: la salute riproduttiva e le pari opportunità, in particolar modo in termini di accesso all’istruzione.

Il secondo punto che desidero sottolineare si riferisce alla salvaguardia richiesta nella relazione riguardo alla politica di vicinato. Devono essere risolte le questioni ancora pendenti in termini di paesi vicini, tra cui la questione relativa ai rifugiati bulgari provenienti dalla Tracia, che riguarda altresì i diritti umani fondamentali. Le sue proporzioni vanno al di là degli aspetti finanziari e legati alla proprietà. I suoi aspetti morali sono particolarmente importanti. Senza preoccuparci del passato, desideriamo vedere in futuro azioni chiare, nonché l’osservanza dell’accordo firmato tra i nostri paesi; questo è il motivo per cui appoggio la relazione.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

− Calendario delle tornate per il 2009

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. (EN) Ho appoggiato tutti gli emendamenti al calendario che riducono il nostro tempo a Strasburgo e che l’aumentano a Bruxelles. L’attuale situazione è bizzarra: si scarpina avanti e indietro tra Bruxelles e Strasburgo a costi elevati in termini di tempo e denaro. Dovremmo incontrarci in un’unica sede.

Non respingo tuttavia il reclamo dell’onorevole Stevenson relativo agli attuali scioperi dei trasporti. Riconosciamo e appoggiamo il diritto di sciopero. La nostra obiezione a Strasburgo non si basa su alcuna opposizione all’esercizio dei diritti dei lavoratori in Francia, bensì sugli inerenti sprechi che i nostri attuali accordi istituzionali comportano.

Non ho votato a favore di fare un’eccezione per il lunedì della Pasqua ortodossa, visto che non prevediamo di non incontrarci il 14 luglio. Le festività laiche meritano lo stesso trattamento di quelle religiose.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) A dire il vero vogliamo che tutte le sessioni del Parlamento europeo si tengano a Bruxelles e vogliamo che si ponga fine quanto prima al circo itinerante tra Bruxelles e Strasburgo.

Abbiamo pertanto votato a favore delle proposte di interrompere le sessioni del lunedì e quelle del giovedì pomeriggio durante le tornate di Strasburgo, nella speranza che le sessioni in tale sede siano progressivamente eliminate del tutto.

Il Parlamento europeo deve avere un’unica sede e un unico luogo di lavoro. E’ deplorevole che vi siano Stati membri i cui leader politici si considerano grandi sostenitori dell’idea europea, ma che al contempo non alzano un dito quando sono in gioco i loro interessi nazionali.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) In generale sono a favore di quanto è stato proposto per il calendario delle tornate per il 2009. Ritengo tuttavia che gli emendamenti che richiedono un prolungamento del tempo passato a Strasburgo non contribuirebbero al funzionamento efficiente del Parlamento. Senza dubbio l’efficienza e la logica richiedono che vi sia un’unica sede del Parlamento a Bruxelles. Il mio voto riflette la mia opinione in merito a tale questione.

 
  
  

− Relazione: Dimitrios Papadimoulis (A6-0102/2008)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Consideriamo positivo il riconoscimento dei problemi sociali e ambientali derivanti dalla chiusura delle miniere di mercurio della Comunità. Consideriamo altresì positivo accettare che progetti e altre iniziative debbano continuare a essere appoggiati, sulla base degli strumenti finanziari disponibili, al fine di permettere alle aree colpite di trovare soluzioni fattibili per l’ambiente, l’occupazione e l’attività economica.

E’ stato inoltre concordato che chi richiede l’autorizzazione prenda le misure necessarie, attraverso una garanzia finanziaria o un meccanismo equivalente, al fine di garantire l’adempimento agli obblighi derivanti dall’autorizzazione (tra cui le operazioni di mantenimento dopo la chiusura) e che siano condotte le operazioni di chiusura.

E’ stato altresì approvato che i settori industriali che ottengono mercurio dalla purificazione del gas naturale o come sottoprodotto di operazioni di estrazione e di fusione di metalli non ferrosi forniscano i dati rilevanti alla Commissione europea e alle autorità competenti degli Stati membri interessati. La Commissione dovrà rendere disponibili al pubblico tali informazioni.

Riteniamo inoltre che sia giusto incoraggiare la fornitura di assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo e ai paesi con economie in transizione, in particolare assistenza che faciliti la transizione a tecnologie alternative senza mercurio e per giungere così gradualmente all’eliminazione definitiva degli impieghi e dei rilasci di mercurio e composti del mercurio.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della presente relazione che ha lo scopo di anticipare il divieto di esportazione del mercurio al 15 marzo 2011, tre mesi prima rispetto alla data proposta dal Consiglio. Si può produrre il mercurio attraverso il riciclaggio di rifiuti (tubi fluorescenti o batterie, ad esempio), la purificazione del gas naturale o il trattamento di metalli non ferrosi.

Sono lieta che, oltre al mercurio metallico, il divieto comprenda i prodotti contenenti mercurio che non possono essere venduti o distribuiti nell’Unione europea, cinabro e composti del mercurio.

E’ parimenti estremamente importante che i composti utilizzati per ricerca e sviluppo, nelle medicine o nei processi analitici non siano inclusi nel divieto, come affermato nella relazione.

Lo stoccaggio deve essere reso sicuro, come suggerito sia dalla relazione che dal Consiglio. Prima di essere trattati, i residui di mercurio stoccati temporaneamente per più di un anno devono essere conservati in formazioni di roccia dura profonde e sotterranee, in modo tale da prevenire qualsiasi rischio per la salute umana e l’ambiente.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) In generale, appoggio la relazione di Dimitrios Papadimoulis relativa al divieto di esportazione e allo stoccaggio in sicurezza del mercurio metallico. Anticipando la data del divieto di esportazione al 2010 permette maggiore coerenza con la strategia generale dell’UE sul mercurio. Appoggio inoltre l’ampiamento dei tipi di mercurio coperti dal divieto. Ritengo inoltre che, prima che entri in vigore il divieto, sia necessaria più ricerca in merito a metodi sicuri di smaltimento del mercurio. Ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) L’ipocrisia non ha limiti? La Commissione europea propone giustamente di vietare l’utilizzo del mercurio e di creare infrastrutture adeguate per il suo stoccaggio, in considerazione della sua alta tossicità e dei rischi per la salute pubblica. Ciononostante, la Commissione insiste a promuovere le lampadine fluorescenti per risparmiare energia, sapendo che contengono almeno 5 mg di mercurio ciascuna, un quantitativo particolarmente dannoso, dato il numero di lampadine presenti in ciascun posto di lavoro e abitazione.

Il profitto è tutto. Gli investimenti e i profitti dei monopoli vanno protetti anche se è dimostrabile che è la salute pubblica a farne le spese. L’UE proibisce l’utilizzo del mercurio, ma permette alle imprese di offrire lampadine gratuite contenenti mercurio al fine di promuovere le loro vendite.

La responsabilità della salute pubblica è affidata alle imprese, che devono gestire la raccolta dei rifiuti, sebbene sia noto che i rifiuti finiscono nelle discariche e nei cestini per i rifiuti. La società nel suo complesso, e non solo chi utilizza le lampadine, sarà esposta a un notevole rischio di contaminazione. Ecco perché, certamente, esse possono essere in generale smaltite nelle discariche. Senza dubbio, al fine di prevenire le proteste che influirebbero sulle vendite, non vengono compiuti neppure i passi più basilari al fine di informare il grande pubblico dei rischi che corrono a causa della dispersione del contenuto di tali lampadine nell’ambiente.

 
  
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  Bernard Wojciechowski (IND/DEM), per iscritto. – (PL) Il mercurio è uno dei più potenti veleni ambientali. In condizioni normali questo metallo è liquido con un’elevata compressibilità del vapore. Non biodegrada e di conseguenza rimane nell’ambiente molto a lungo. Il mercurio si accumula in catene trofiche che possono passare al corpo umano in notevoli concentrazioni.

Lo sviluppo industriale ha portato all’utilizzo del mercurio perché è un metallo con proprietà particolari e non è costoso da ottenere. Sembra difficile eliminare l’utilizzo del mercurio nella produzione delle lampadine a basso consumo energetico. Andrebbe tuttavia sviluppato un sistema di raccolta efficace di tali rifiuti, insieme a una tecnologia sicura per il loro riciclaggio, al fine di prevenire un ulteriore degrado dell’ambiente naturale.

Uno dei casi più gravi di avvelenamento da composti di mercurio ha avuto luogo in Giappone tra il 1953 e il 1960. Si è verificata una malattia di massa tra gli abitanti del golfo di Minamata, che hanno mostrato i sintomi di una lesione nervosa che spesso portavano alla morte.

L’Unione europea dovrebbe fare tutto ciò che è in suo potere al fine di garantire che il mercurio sia immagazzinato in modo sicuro. L’esportazione del mercurio metallico deve essere vietata.

 
  
  

− Relazione: Hartmut Nassauer (A6-0154/2008)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione del mio stimato collega tedesco, l’onorevole Hartmut Nassauer, redatta in prima lettura della procedura di codecisione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela penale dell’ambiente. Appoggio la posizione volta a reinserire tale meccanismo all’interno del severo ambito di competenza del diritto comunitario, limitando gli effetti della direttiva ai soli casi di violazione della normativa comunitaria sulle questioni ambientali e permettendo pertanto agli Stati membri di determinare le sanzioni da applicare nel caso di violazione di tali norme. Questa saggia posizione segue quella della Corte di giustizia delle Comunità europee che ha stabilito che l’UE ha il potere di adottare misure penali solo in casi in cui sia “giustificata da una necessità”, in altre parole, riguardanti i trasporti comuni e le politiche ambientali. Va sottolineato che la direttiva ha lo scopo di obbligare gli Stati membri a stabilire, all’interno delle loro normative, sanzioni penali per violazioni gravi del diritto comunitario riguardo alla tutela dell’ambiente, senza creare alcun obbligo per l’applicazione di tali sanzioni che possono essere invocate in casi individuali.

 
  
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  Hanne Dahl (IND/DEM), per iscritto. (EN) Data la natura transfrontaliera della criminalità ambientale, riteniamo che una serie definita di norme e sanzioni minime riguardanti la criminalità ambientale a livello internazionale costituirebbe uno strumento utile nel mantenere una strategia di protezione ambientale completa ed efficace. Non crediamo tuttavia che l’UE abbia o debba avere competenze per stabilire misure penali in merito alle questioni del primo pilastro. Oggi non ho pertanto votato a favore della relazione.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Il relatore ha fondamentalmente riconosciuto che, conformemente alla sentenza della Corte di giustizia del 23 ottobre 2007 nella causa C-440/05, il diritto penale e le norme di procedura penale non rientrano tra le competenze comunitarie e pertanto non può essere determinato il tipo e il livello delle sanzioni penali da applicare. Sono stati pertanto presentati emendamenti a una proposta di direttiva della Commissione europea, che non era accettabile.

E’ altresì importante che la Commissione e il Consiglio abbiano accolto tali emendamenti proposti. Nonostante ciò, tuttavia, insistono sulla possibilità che il legislatore comunitario sia in grado di imporre agli Stati membri di prevedere sanzioni di questo tipo al fine di garantire che le norme da essi attuate nel settore della tutela ambientale siano pienamente efficaci.

Dato che non è stato sufficientemente chiarito il ruolo degli Stati membri nell’intero processo, scegliamo di astenerci dalla votazione finale.

 
  
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  Neena Gill (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della presente relazione dato che permette sanzioni penali per reati ambientali gravi. Gli Stati membri devono assumere una posizione forte in merito alla tutela ambientale e garantire una rigida applicazione della presente direttiva.

In particolare, voto a favore dell’inserimento di un allegato alla direttiva, che chiarisca quale normativa è soggetta a sanzioni penali. Un allegato è fondamentale al fine di fornire maggiore chiarezza giuridica circa quale normativa comunitaria sia interessata. Dovrebbe sia coprire la normativa esistente, in cui la presente direttiva sarà competente per imporre sanzioni penali, che permettere di coprire la normativa futura.

Un allegato garantirà inoltre che la direttiva sia limitata alla sola applicazione del diritto comunitario e all’attuazione della normativa nazionale e che non abbia alcun impatto su quello che è puramente il diritto nazionale.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) E’ in corso l’adozione di un diritto penale comune nell’UE, privando così gli Stati membri del loro esclusivo diritto sovrano di determinare, in modo indipendente, quali tipi di comportamento considerano reato, nonché della possibilità di definire le qualifiche e i limiti delle sanzioni penali.

La Corte di giustizia delle Comunità europee, mediante un colpo di forza, con la sua sentenza del 13 settembre 2005 sul caso noto come “protezione dell’ambiente” si è concessa il diritto di interferire nel diritto penale degli Stati membri nel caso di violazioni della normativa ambientale.

Oggi, nuova tappa, si tratta di stabilire una serie armonizzata di violazioni che dovrebbero essere sanzionate dal diritto penale in tutti gli Stati membri, così come di armonizzare le sanzioni penali in casi di violazioni ambientali.

La Corte ha preso il potere e l’ha passato alla Commissione con totale sdegno per i paesi, le costituzioni nazionali, i parlamenti e la corretta applicazione del diritto.

Chi fra noi è per la sovranità e difende le libertà e i diritti dei paesi di decidere per loro stessi respinge tali metodi.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione Nassauer sulla tutela penale dell’ambiente. Mentre il diritto penale sostanziale è e deve rimanere di competenza degli Stati membri, è altrettanto chiaro che la tutela ambientale è una questione che può essere coordinata meglio a livello dell’UE. Sono soddisfatto che il pacchetto di compromesso permetta all’UE di prendere l’iniziativa in merito alla tutela ambientale, rispettando al contempo l’integrità degli ordinamenti giuridici nazionali.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La direttiva proposta apre la strada all’imposizione agli Stati membri di un diritto penale unificato dell’UE. Utilizza la protezione ambientale e le preoccupazioni dei lavoratori riguardo ai problemi ambientali per promuovere l’adozione di un diritto penale comune dell’UE. Revoca persino la regola dall’unanimità degli Stati membri che fino a oggi si applicava alle questioni penali, il che prepara la strada all’acquis communautaire, dando all’UE il diritto e il potere di istituire e imporre sanzioni penali ovunque reputi sia necessario. In ultima analisi, talune disposizioni della Costituzione europea sono state reintegrate. D’ora in avanti, la loro applicazione rientra sotto il nuovo nome di “Trattato di Lisbona”, prima che sia persino stato ratificato o entrato in vigore. Si tratta di uno sviluppo pericoloso che va a discapito dei popoli d’Europa.

Investire l’UE del potere di adottare un diritto penale unificato senza l’accordo unanime degli Stati membri è equivalente ad abolire uno dei diritti sovrani fondamentali delle nazioni: decidere quali azioni costituiscono un reato penale e specificare il tipo e il livello delle sanzioni. E’ stata pertanto stabilita la supremazia del diritto comunitario sulla normativa nazionale e persino sulle disposizioni costituzionali nazionali. Lo scopo è imporre direttamente sul popolo europeo la volontà di un serio monopolio europeo giuridicamente autorizzato. Al contempo, si ridurranno drasticamente i diritti personali e le libertà fondamentali delle persone.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN), per iscritto.(PL) Avere cura dell’ambiente è un dovere che incombe su tutti noi. Il mondo non sta tuttavia adempiendo molto bene i proprio compiti. Vi è la tendenza a non riconoscerne l’importanza e a rimandarli a più tardi.

Nel 1998, il Consiglio europeo ha preso la decisione di proteggere l’ambiente attraverso il diritto penale. L’adozione della nuova direttiva significa che una serie di reati soggetti a sanzioni penali in tutti i paesi è ora definita con chiarezza. Ritengo sia altresì necessario porre l’accento sulla responsabilità di produttori, esportatori, importatori e trasportatori dei prodotti e servizi che forniscono, al fine di garantire che non vi siano scappatoie o opportunità di sottrarsi a tali responsabilità.

Sono tuttavia necessarie risorse al fine di fornire, ad esempio, apparecchiature e formazione del personali, affinché si possano attuare adeguatamente i nuovi principi e si possano ridurre i reati a danno dell’ambiente. Ritengo che le risorse debbano essere rese disponibili dal bilancio dell’Unione europea, almeno per i nuovi Stati membri, dato che sono quelli ad avere la maggior parte del lavoro da completare e in breve tempo.

Solo se tutti gli Stati membri agiscono in modo solidale sarà possibile raggiungere gli obiettivi stabiliti. In assenza di tale solidarietà, le differenze regionali diventeranno semplicemente più pronunciate.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela penale dell’ambiente [COM(2007)0051)] poiché l’introduzione di nuove disposizioni giuridiche e l’istituzione di un elenco comune di reati a danno dell’ambiente per l’intera Comunità garantirà un’attuazione maggiormente efficace della normativa comunitaria.

Si applicano le stesse disposizioni in tutti gli Stati membri dell’Unione, ma le modalità con cui sono attuate variano in modo considerevole, il che incoraggia comportamenti indesiderati attraverso i quali imprenditori irresponsabili ricollocano la loro attività economica in paesi in cui le sanzioni penali per i reati sono meno severe. Ciò colpisce in particolare i nuovi Stati membri. Va sottolineato che tali reati, commessi nel quadro di organizzazioni criminali, stanno diventando sempre più significativi e che i reati a danno dell’ambiente sono sempre più di natura transfrontaliera.

Concordo con la posizione del relatore secondo cui il quadro giuridico definito nella proposta di direttiva rappresenta un contributo importante per un’efficace tutela dell’ambiente e può garantire un’attuazione uniforme e responsabile del diritto in materia di protezione ambientale in seno all’Unione europea. Funzionari adeguatamente formati costituiscono una conditio sine qua non per un’efficace attuazione del diritto e un’effettiva riduzione dei reati a danno dell’ambiente. La proposta di specificare chiaramente gli obblighi degli Stati membri a tal riguardo è pertanto assolutamente rilevante. L’adozione di una serie di reati a danno dell’ambiente e delle sanzioni associate costituirà uno strumento estremamente utile per l’attuazione comune della normativa in materia di tutela ambientale in seno all’Unione europea.

 
  
  

- Relazione: Gábor Harangozó (A6-0061/2008)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione del mio collega ungherese, Gábor Harangozó, che modifica, in prima lettura della procedura di codecisione, la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle indagini sulla struttura delle aziende agricole e all’indagine sui metodi di produzione agricola. Appoggio l’idea di permettere deroghe agli Stati membri che desiderano realizzare l’inchiesta sulla struttura delle aziende agricole nel 2009 piuttosto che nel 2010 a causa del censimento decennale della popolazione del 2011. Appoggio parimenti qualsiasi semplificazione prevista.

 
  
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  Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. − (PT) La proposta di regolamento è giustificata dal nuovo approccio politico della Commissione, che implica la semplificazione della normativa e una migliore regolamentazione.

Concordo riguardo alla proposta della Commissione volta a semplificare le procedure riducendo il numero delle ispezioni interne, mantenendo al contempo il livello di rigore necessario imposto dalla normativa precedente sulla realizzazione di indagini strutturali sulla produzione agricola e animale, sul lavoro agricolo e sulle apparecchiature utilizzate.

Inoltre, e con lo scopo di semplificare, la proposta introduce solo un nuovo tipo di ispezione e non impone in alcun modo agli Stati membri di modificare i loro sistemi amministrativi.

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE), per iscritto. − (PT) Dato che le sovvenzioni agricole provengono dal denaro pubblico, è fondamentale garantire la loro distribuzione equa sulla base di criteri oggettivi. Siamo pertanto concordi nel dire che vi sia la necessità di condurre indagini al fine di determinare le condizioni relative alle aziende agricole. Non si può tuttavia consentire l’applicazione di tali principi al fine di imporre ancora un ulteriore onere burocratico sugli agricoltori, in particolar modo sugli agricoltori di piccole e medie dimensioni le cui risorse sono limitate o assenti. Parimenti, ciò non può essere una modalità volta a impedire agli agricoltori, a causa di errori tecnici o di altro tipo di cui essi non sono consapevoli, di ottenere l’appoggio a cui hanno diritto, come è accaduto a volte in Portogallo con il riconoscimento e l’identificazione via satellite.

Riteniamo pertanto che sia positivo che la relazione riconosca le significative difficoltà metodologiche e tecniche presenti in molti Stati membri e che, inoltre, insista sulla necessità della Commissione di fornire agli agricoltori l’assistenza tecnica e consultiva necessaria relativamente al riconoscimento via satellite delle aziende agricole. A tal proposito, desideriamo altresì attirare ancora una volta l’attenzione sulla necessità delle autorità degli Stati membri di garantire l’accesso e l’utilizzo dei dati raccolti durante il riconoscimento via satellite esclusivamente per gli scopi specificati.

 
  
  

– Relazione: Sylvia-Adriana Ţicău (A6-0087/2008)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione della mia collega rumena, Silvia-Adriana Ţicău, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme comuni sulle condizioni da osservare per esercitare l’attività di trasportatore su strada.

La precedente direttiva 96/26/CE riguardante l’accesso alla professione di trasportatore su strada e i quattro regolamenti relativi all’accesso al mercato dei trasporti, unitamente alla liberalizzazione dei prezzi del trasporto stradale internazionale intervenuta alcuni anni prima, hanno dato forma al mercato interno del trasporto stradale, benché con una minima qualità dei trasporti, mentre l’apertura del mercato disciplinata dai regolamenti ha favorito una maggiore concorrenza.

L’esperienza ha dimostrato che tali misure vengono applicate in maniera errata o non equa, poiché sono ambigue, incomplete o divenute inadatte a causa dell’evoluzione del settore. Le imprese restano soggette a una sorveglianza e a controlli non equi a seconda degli Stati membri, con livelli di qualifica professionale e di solidità finanziaria estremamente diversi. Diveniva pertanto urgente legiferare, richiedendo condizioni di onorabilità, di idoneità finanziaria e professionale, attuando il mutuo riconoscimento di alcuni dei documenti richiesti per l’ottenimento dell’autorizzazione necessaria per esercitare.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) A parte le critiche di taluni aspetti inclusi nella presente proposta di regolamento, i suoi contenuti non devono essere valutati senza tenere conto del suo “ruolo” nella sempre maggiore liberalizzazione del trasporto su strada di merci e di viaggiatori nel servizio internazionale, così come promosso dalla Commissione europea e dalle istituzioni dell’Unione europea con potere di codecisione, e cioè il Parlamento europeo e il Consiglio.

A dire il vero, la stessa Commissione europea evidenzia questa idea centrale nella sua proposta: “la direttiva 96/26/CE riguardante l’accesso alla professione di trasportatore su strada e i quattro regolamenti relativi all’accesso al mercato dei trasporti, unitamente alla liberalizzazione dei prezzi del trasporto stradale internazionale intervenuta alcuni anni prima, hanno dato forma al mercato interno del trasporto stradale”. In altre parole, sono stati stabiliti “i requisiti comuni per accedere alla professione”, mentre “l’apertura del mercato disciplinata dai regolamenti ha favorito una maggiore concorrenza”.

Come abbiamo messo in risalto relativamente alla proposta di regolamento su norme comuni per l’accesso al mercato del trasporto su strada di merci nel servizio internazionale, la presente proposta ha lo scopo di aumentare la liberalizzazione del trasporto su strada nel servizio internazionale, cercando di promuovere una maggiore concorrenza tra gli operatori in un settore già sommerso da costi innumerevoli ed elevati, a carico dei suoi lavoratori.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. (DE) L’armonizzazione delle norme esistenti in questo settore costituisce un mezzo importante per ottimizzare il trasporto su strada in Europa. In tale contesto, inoltre, un regolamento è maggiormente conveniente rispetto a una direttiva.

Le norme che regolano l’attività di un operatore del trasporto su strada devono rispettare criteri definiti con precisione se si vuole ottenere il più alto livello possibile di sicurezza sulle nostre strade. Tali norme devono comprendere sia i requisiti che le sanzioni.

Un elemento fondamentale è il monitoraggio e il controllo dei dati, da condurre nel dovuto rispetto della riservatezza dei dati personali. E’ molto importante che i registri elettronici nazionali contenenti i dati siano interconnessi, così che i dati possano essere comparati e il regolamento serva di conseguenza il proprio scopo.

Mi oppongo agli emendamenti nn. 7 e 102 che cercano di attenuare la regola dei sei giorni. Una reintroduzione della regola dei dodici giorni, che è già stata respinta, non sarebbe coerente con la sostanza della presente relazione.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) La relazione dell’onorevole Ţicău fa parte di un pacchetto di misure che, unitamente a due altre relazioni, ha lo scopo di regolare l’attività del trasporto su strada.

Tale attività è di estrema importanza nell’Area economica europea poiché rende possibile il mercato aperto e competitivo di cui oggigiorno siamo così fieri.

Nel quadro di tale nuova proposta, le imprese devono assumere un gestore dei trasporti avente una formazione professionale certificata che sarà responsabile della gestione dell’attività di trasporto dell’impresa. Vengono mantenute le condizioni già stabilite per l’accesso all’attività – e cioè onorabilità, idoneità finanziaria e professionale.

Tale riformulazione è intesa a rendere la normativa esistente maggiormente intelligibile ed esigente in termini di sicurezza ed efficienza in questo tipo di impresa.

Accolgo pertanto con favore il lavoro condotto dal relatore al fine di aumentare le responsabilità in termini di sicurezza e garanzie di impegno in questo settore, nonché le misure sull’idoneità professionale che comprende una formazione professionale di elevata qualità e il riconoscimento reciproco di diplomi e licenze.

 
  
  

– Relazione: Mathieu Grosch (A6-0038/2008)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione del mio stimato collega, Mathieu Grosch, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per l’accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada, che ha lo scopo di fondere i testi che regolano l’accesso al mercato del trasporto internazionale di merci e di cabotaggio su strada, attualmente disciplinato da regolamenti e direttive precedenti. Nel mercato interno, il trasporto internazionale tra gli Stati membri è stano pienamente liberalizzato, sebbene restino ancora diverse limitazioni per il cabotaggio. Accolgo con favore tali indicazioni e semplificazioni, nonché l’aumento delle sanzioni per le violazioni commesse in Stati membri diversi da quello di stabilimento.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Si tratta solo di un altro passo verso e di un altro strumento volto ad aumentare la liberalizzazione del trasporto internazionale di merci su strada cercando di promuovere una maggiore concorrenza tra gli operatori in un settore che è già sommerso di costi innumerevoli ed elevati a carico dei suoi lavoratori.

Uno degli obiettivi attuali è trovare un modo per facilitare l’inserimento dei trasporti di “cabotaggio” su strada – in altre parole, condurre fino a tre operazioni di trasporto in seguito a un viaggio internazionale, a patto che essi siano condotti entro sette giorni – in un mercato che è già così liberalizzato che ciò avrà un profondo impatto sulle finanze e la sopravvivenza degli operatori nazionali.

Tale decisione avrà anche conseguenze dannose per i lavoratori del trasporto su strada di merci. Ciò è evidente, ad esempio, nella proposta da parte di una maggioranza di quest’Assemblea di rimuovere il riferimento ai “tempi di lavoro”, lasciando soltanto i termini “tempi di guida” e “tempi di riposo”, in altre parole permettendo un orario di lavoro più lungo che influirà negativamente sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza dei lavoratori. Se teniamo conto delle recenti decisioni della Corte di giustizia, neppure il riferimento alla direttiva 96/71/CE sulla trasferta dei lavoratori tutelerà i diritti occupazionali di molti lavoratori di questo settore.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. − (PL) Ho votato a favore dell’adozione della relazione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per l’accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada (rifusione) [COM(2007)0265 – C6-0146/2007 –2007/0099(COD)].

Concordo con il relatore in merito al fatto che l’adozione della proposta della Commissione sarà strumentale a semplificare e chiarire i principi applicabili al trasporto di merci su strada.

Appoggio la relazione dell’onorevole Grosch, volta a fornire opportunità agli Stati membri vicini di aprire ancora ulteriormente i loro mercati ai trasporti di cabotaggio.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Mathieu Grosch sull’accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada. La fusione degli esistenti regolamenti e della direttiva 2006/97/CE semplificherà e migliorerà l’accesso al mercato del trasporto di merci su strada.

Appoggio la visione del relatore secondo la quale le limitazioni al cabotaggio vanno attenuate e le norme che regolano il cabotaggio vanno allineate a quelle applicate al trasporto di merci transfrontaliero nel mercato interno. E’ pertanto fondamentale definire chiaramente il cabotaggio al fine di garantire un approccio uniforme.

Sebbene le corse a vuoto vadano evitate nell’interesse dell’ambiente e dell’efficienza e sebbene vada altresì appoggiato il cabotaggio sulla strada di rientro da altri paesi, soggetto a limitazioni definite nella relazione, non si deve dimenticare che anche tali misure indeboliscono la posizione delle ferrovie.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Non votiamo a favore della relazione sull’accesso al trasporto stradale. Liberalizza il mercato del trasporto di merci su strada e apre gli operatori internazionali al trasporto nazionale. Il trasporto interno e internazionale su strada delle merci e dei passeggeri è pertanto passato alle imprese di monopolio. Le conseguenze sono disastrose per le imprese di piccole e medie dimensioni e in particolare per i lavoratori e i conducenti che verranno sfruttati ancora di più dai gruppi di monopolio.

La proposta del Parlamento europeo sta puntando a una strada sempre più reazionaria rispetto a quella della Commissione. Elimina persino la più piccola limitazione proposta e richiede la piena liberalizzazione del mercato del trasporto nazionale e internazionale.

La possibilità di eseguire senza limitazioni operazioni di scarico e ricarico degli Stati membri e il tempo illimitato passato dai veicoli e dal personale in altri Stati membri dopo aver condotto semplici operazioni di trasporto internazionale, è volto a ridurre i costi della manodopera. Si violeranno i diritti che tutelano i salari, il lavoro e l’assicurazione dei lavoratori del trasporto internazionale e si promuoverà la concentrazione delle attività in grandi multinazionali, devastando il settore se non controllato e degradando la qualità dei servizi.

Il movimento laburista della classe operaia deve opporsi vigorosamente a tutto ciò, mostrando insubordinazione e disobbedienza alla politica antilaburista e antipopolare dell’UE.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) La presente proposta rientra in un pacchetto di misure nel quadro del settore del trasporto su strada. Questa specifica proposta mira a migliorare la coerenza della normativa comunitaria nell’area del trasporto internazionale di merci su strada, fondendo due regolamenti esistenti e garantendo di conseguenza una maggiore efficienza nell’applicazione delle norme, nonché chiarendo e facilitando l’applicazione del concetto di cabotaggio. Essa inoltre stabilisce misure volte a semplificare e normalizzare la licenza comunitaria e le attestazioni dei conducenti, riducendo di conseguenza i costi e i ritardi amministrativi, in particolare nel caso di controlli sulle strade.

Gli Stati membri saranno altresì in grado di potenziare i loro sistemi di comunicazione, che contribuiranno a riportare reati commessi da un’impresa di trasporto su strada nello Stato membro in cui essa è stabilita. Ritengo che il presente testo sia estremamente importante per lo sviluppo di questo settore nel mercato europeo, conferendogli l’efficienza, la regolamentazione e la struttura necessarie, che conducono a un mercato aperto, regolato ed equo.

 
  
  

– Relazione: Fiona Hall (A6-0077/2008)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione della mia collega britannica, Fiona Hall, che ha eseguito un lavoro eccellente, modificando in prima lettura della procedura di codecisione la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla selezione e l’autorizzazione dei sistemi che forniscono servizi mobili via satellite (MSS). In qualità di relatore del mio gruppo politico, il gruppo PPE-DE, mi sono battuto per un’ottima copertura geografica dei servizi sul territorio dell’UE. Sono lieto di aver potuto contribuire a esigere che le candidature debbano comportare l’impegno che il sistema proposto fornisca la copertura di un’area di servizio pari almeno al 60 per cento della superficie terrestre aggregata degli Stati membri, dal momento in cui comincia la fornitura. Inoltre, il sistema proposto dovrà fornire almeno il 50 per cento della popolazione e su almeno il 60 per cento della superficie terrestre aggregata di ciascuno Stato membro nel momento definito dal richiedente, ma in ogni caso non oltre sette anni dalla data di pubblicazione del testo. Infine, le candidature devono comportare un impegno volto a permettere l’utilizzo, da parte dei servizi di protezione civile e di soccorso in caso di catastrofe, dei servizi mobili via satellite proposti.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Nella presente relazione vi sono punti positivi che accogliamo con favore, in particolare le proposte relative all’importanza dei servizi mobili via satellite che coprono aree esterne ai principali centri urbani degli Stati membri e della fornitura dei migliori servizi possibili al fine di colmare il divario digitale, nonché l’argomentazione per cui l’area di copertura iniziale del servizio dei servizi mobili via satellite proposti debba essere fissata a un livello sufficiente, aumentando pertanto la capacità di copertura di tali sistemi.

Non possiamo tuttavia ignorare il contesto in cui tali proposte vengono presentate, e cioè la liberalizzazione e l’avanzamento del mercato interno delle telecomunicazioni. Non dobbiamo pertanto votare a favore della presente relazione.

Parimenti, non concordiamo in merito al fatto che gli Stati membri debbano rinunciare ai propri diritti nazionali di uso delle frequenze in considerazione dell’ampiezza dell’impronta satellitare dei servizi mobili via satellite, che rende difficilmente evitabili le interferenze attraverso i confini nazionali. Infatti, la decisione della Commissione del febbraio 2007 riconosce che gli Stati membri debbano conservare il diritto di concedere l’autorizzazione per il funzionamento di componenti terrestri complementari all’interno del loro territorio.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. (SV) La relazione sulla selezione e l’autorizzazione dei sistemi che forniscono servizi mobili via satellite riguarda come dobbiamo fornire un sistema europeo comune di servizi via satellite, un fattore importante per il potenziamento di una durevole competitività dell’Europa nell’industria e nella ricerca tecnologica avanzata. La relazione è buona e si concentra su come poter migliorare tale compito. Tuttavia, una questione cruciale, riguardante la copertura di tale servizio, ha presentato problemi dal punto di vista svedese, dato che il compromesso è stato stabilito sul 60 per cento del territorio terrestre dell’UE. Ciò significa che parte della Svezia non verrà coperta, il che è negativo dal punto di vista della tecnologia e della ricerca. Ho pertanto scelto di astenermi.

 
  
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  Dominique Vlasto (PPE-DE), per iscritto. – (FR) L’adozione della presente decisione costituisce un passo decisivo verso il potenziamento del mercato interno delle comunicazioni elettroniche.

L’obiettivo è semplice: fornire a tutti un accesso Internet ad alta velocità, l’accesso mobile a contenuti multimediali e protezione civile nel caso di catastrofi umane o naturali.

I mezzi attuati corrispondono alle aspettative dei nostri cittadini, in particolare in termini di accesso a Internet: un servizio per il 50 per cento della popolazione e su almeno il 60 per cento di ciascuno Stato membro costituisce un mezzo efficace per colmare il divario tecnologico e può altresì essere utilizzato nelle zone rurali.

Tale decisione costituisce persino più di un successo dato che comporta un’armonizzazione molto maggiore della gestione dello spettro radio su scala europea che, vale la pena ricordarlo, costituisce una risorsa sempre più scarsa.

Si tratta inoltre del risultato della volontà di tutti gli Stati membri di mettere a disposizione dell’industria delle telecomunicazioni i mezzi per creare un mercato dei servizi a livello europeo, che è stato in precedenza troppo frammentato.

In breve, i servizi mobili via satellite (MSS) dovrebbero risultare un successo sia a livello industriale che a livello di potenziamento della diversità culturale e del pluralismo nei mezzi d’informazione e comunicazione.

 
  
  

– Relazione: Klaus-Heiner Lehne (A6-0101/2008)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione di iniziativa del mio collega tedesco, Klaus-Heiner Lehne, su una semplificazione del contesto in cui operano le imprese in materia di diritto societario, contabilità e revisione contabile, in risposta alla comunicazione della Commissione europea sull’argomento.

Al pari dei miei colleghi, accolgo con favore l’obiettivo generale della Commissione di ridurre in Europa gli oneri amministrativi per le imprese. Tale riduzione, tuttavia, non può essere attuata a prezzo di incertezza giuridica o contabile, quando le PMI iniziano a penetrare il mercato interno. Sono lieto che il Parlamento non abbia accettato il consiglio di aumentare le soglie cui si fa riferimento nella comunicazione per le microentitià, al di sotto delle quali tali entità sono esonerate dai requisiti di contabilità, revisione contabile e riservatezza nel quadro del diritto europeo. Sono altresì molto lieto che il Parlamento abbia votato a favore di un emendamento che ho proposto in commissione e che è stato adottato in quella fase. Esso raccomanda che si tengano consultazioni relative alla necessità e fattibilità della creazione di un regolatore europeo per i servizi di contabilità e di revisione contabile.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione Klaus-Heiner Lehne sulla “semplificazione del contesto societario” perché convinto della necessità di “nuove” riforme in materia di diritto societario, contabilità e controllo di bilancio. Il diritto societario è ormai fortemente e, ritengo, positivamente influenzato dalla normativa a livello europeo. Dobbiamo evitare che questa imponga obblighi burocratici eccessivi e non necessari evitando di sovrapporre oneri già dovuti, connessi alla disciplina nazionale.

Tali riforme dovranno essere finalizzate a rendere più facile la lettura della normativa applicabile, nonché a ridurre gli oneri burocratici ed amministrativi soprattutto in materia di contabilità. La semplificazione risulterà in un grande vantaggio per le imprese e, soprattutto, per le PMI normalmente prive di grandi uffici legali e contabili. Sono convinto che una disciplina comprensibile e di facile applicazione favorisca innanzitutto il rispetto della legalità. Al contempo attraverso disposizioni chiare e di agevole identificazione si aiuta la creazione di un ambiente economico positivo ed attivo.

Credo che il lavoro della commissione pertinente e del relatore onorevole Lehne abbia consentito un giusto compromesso tra esigenze di rispetto del principio di sussidiarietà e creazione di un percorso armonizzato tra Stati membri impegnati in uno sforzo comune diretto alla semplificazione della disciplina societaria a livello europeo.

Dobbiamo evitare di creare impedimenti burocratici che imbriglino il dinamismo e l’imprenditorialità fino a soffocarli.

 
  
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  Sharon Bowles (ALDE), per iscritto. (EN) L’emendamento n. 11 quater, richiede la cancellazione del paragrafo 26. Esistono due modi per interpretare tale paragrafo. Alcuni sono preoccupati che possa essere una richiesta di “un’azione, un voto”, e per tale motivo hanno votato a favore della cancellazione del paragrafo. Questa non è la mia interpretazione. Il paragrafo si riferisce specificatamente a “ostacoli alla libera circolazione di capitale” e si riferisce alla specifica sentenza relativa a Volkswagen. La mia interpretazione è che questo paragrafo inviti la Commissione a ovviare a misure protezionistiche particolari, ed estreme. Per tale ragione non ho votato a favore dell’emendamento, bensì del mantenimento del paragrafo in quanto dichiarazione contro il protezionismo.

 
  
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  Sylwester Chruszcz (NI), per iscritto. – (PL) Sono a favore della semplificazione delle procedure di rendicontazione e delle modalità di comunicazione tra la pubblica amministrazione e gli imprenditori. Al momento, le procedure burocratiche imposte agli imprenditori sono eccessivamente complesse. La relazione si propone di migliorare la comunicazione, oltre a raccomandare l’introduzione dello standard XBRL. Si tratta di uno standard aperto, il che significa che è facilmente accessibile persino per le piccole imprese.

Ho pertanto deciso di appoggiare la presente relazione.

 
  
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  Jonathan Evans (PPE-DE), per iscritto. (EN) Io e miei colleghi conservatori britannici desideriamo chiarire che ci opponiamo fermamente al paragrafo 23 della presente relazione che appoggia l’istituzione di una “una base imponibile consolidata comune per le imprese” nell’UE.

Abbiamo tuttavia chiarito la nostra politica in proposito in molte occasioni e l’equilibrio del resto della relazione nel promuovere la semplificazione delle norme sulle imprese, soggetto a tale precisazione, ha il nostro appoggio.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La relazione ha in generale lo scopo di semplificare e ridurre la normativa comunitaria sulla base del fatto che ciò andrà a vantaggio in particolare delle PMI. E’ vero che vi possono essere alcuni aspetti positivi di tale semplificazione e che di solito appoggiamo la semplificazione di misure relative alla normativa societaria, a patto che essa risulti in una riduzione del carico amministrativo. Non possiamo tuttavia votare a favore di una relazione che, da un lato, richiede semplificazione, mentre dall’altro richiede la creazione di nuovi quadri giuridici comunitari.

Le seguenti proposte nella relazione hanno portato alla nostra astensione dovuta alla loro natura dubbiosa e negativa: una normativa su un possibile coordinamento tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri in modo tale da armonizzare le richieste di informazioni fatte alle imprese; revisione dello statuto della società europea per portarla maggiormente in linea con il resto del diritto comunitario; la creazione di un nuovo quadro giuridico per le imprese, e l’istituzione di una nuova base imponibile consolidata comune poiché ciò renderebbe lo statuto della società europea più utile ed efficace.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE), per iscritto. – (PL) La comunicazione della Commissione su una semplificazione del contesto in cui operano le imprese in materia di diritto societario, contabilità e revisione contabile dispone misure volte a ridurre gli oneri amministrativi sulle imprese europee e a garantire che esse possano competere efficacemente a livello globale. Non solo gli Stati membri mancano di trarre vantaggio dalle misure facoltative volte a ridurre la burocrazia, ma spesso rispondono anche alle concessioni comunitarie attraverso disposizioni nazionali più severe, privando di conseguenza le imprese locali dell’opportunità di semplificare le procedure conformemente alla normativa dell’Unione.

La Commissione deve pertanto concentrarsi sull’incoraggiare gli Stati membri ad armonizzare la classificazione dei requisiti riguardanti la rendicontazione nell’ambito delle informazioni finanziarie. Dovrebbe altresì esortare gli Stati membri ad adottare nuove tecnologie al fine di ridurre i costi. Inoltre, una soluzione che comprende l’istituzione di una base imponibile consolidata comune renderebbe lo statuto della società europea più utile ed efficace. Anche la proposta di escludere le cosiddette microimprese dal campo di applicazione delle direttive sulla contabilità deve essere accolta con favore. In pratica, ciò significherebbe esonerarle dalla necessità di tenere la contabilità, presentare una relazione finanziaria annuale e pubblicare le relazioni richieste nel quadro della normativa europea.

I cambiamenti proposti sono senza dubbio lodevoli. Ciononostante, se le imprese europee devono competere con successo sul sempre più esigente mercato globale, sembrerebbe fondamentale un’ulteriore semplificazione dell’acquis nell’ambito del diritto societario e della sua efficace attuazione negli Stati membri.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Appoggio la relazione dell’onorevole Lehne sulla semplificazione del contesto in cui operano le imprese. L’UE ha un ruolo fondamentale da svolgere per garantire che le imprese operino in un contesto competitivo, eppure spesso le imprese e gli Stati membri si trovano ostacolati da norme eccessivamente complesse. Devono pertanto essere accolti con favore i passi volti a semplificare il contesto in cui operano le imprese.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della presente relazione, ma ritengo che dobbiamo attuare un pacchetto di azioni più completo al fine di garantire la semplificazione del contesto in cui operano le imprese europee.

Mi riferisco in particolare ai problemi incontrati quando si avvia un’impresa. L’Eurostat mostra che, negli Stati membri dell’UE, il periodo necessario per adempiere le formalità amministrative per avviare un’impresa variano tra un giorno e diversi mesi. Alcuni Stati membri, inoltre, erano annoverati molto al di sotto della media dell’OCSE in una graduatoria della facilità di fare impresa in diversi paesi del mondo. Da ultimo ma non per importanza, le diverse norme nei 27 Stati membri riguardo al diritto societario impediscono la circolazione transnazionale del capitale e l’avvio di nuove imprese in uno Stato membro diverso da quello di origine.

Ritengo che questi due elementi siano essenziali per realizzare la crescita economica che costituisce l’obiettivo della strategia di Lisbona e, di conseguenza, andrebbero promossi maggiormente da parte della normativa societaria europea.

 
  
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  Janusz Lewandowski (PPE-DE), per iscritto. – (PL) Signor Presidente, l’Unione europea non viene percepita come un’area in cui, in termini di facilità di utilizzo, le disposizioni riguardanti la gestione di un’impresa siano particolarmente semplici. In effetti la sensazione generale è che questa sia un’area eccessivamente regolamentata da norme mondiali, che creano particolari difficoltà alle piccole imprese. Ogni passo verso la semplificazione delle disposizioni, come indicato nella comunicazione della Commissione del 10 luglio 2007, devono pertanto essere accolte con favore. L’effetto più importante e più desiderabile della semplificazione deve essere l’incoraggiamento delle piccole imprese a operare sul mercato comune europeo. Ad oggi quest’ultimo non è stato molto accessibile alle nuove imprese dell’Europa centrale e orientale.

Se si deve raggiungere lo scopo, le disposizioni nazionali devono essere armonizzate, oltre ad abrogare le disposizioni non necessarie a seguito delle due opzioni proposte dalla Commissione. Ciò, tuttavia, non richiede un’armonizzazione fiscale, come suggerito nel paragrafo 23 della relazione dell’onorevole Lehne, la cosiddetta formula leggera per consolidare la base imponibile per le imprese. Il relatore favorisce la seconda delle opzioni proposte dalla Commissione, che è di portata minore. Ciononostante, nel contesto dell’attuale tendenza dell’Unione europea a regolamentare, equivarrebbe senza dubbio a un’inversione della tendenza sfavorevole che sicuramente limita le opportunità a disposizione delle imprese europee per competere sul mercato globale.

 
  
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  Marianne Thyssen (PPE-DE), per iscritto. − (NL) La comunicazione della Commissione solleva questioni fondamentali che devono determinare la politica europea sul diritto societario e contabile. La relazione Lehne avanza buone risposte a tali questioni, che posso accogliere anch’io. Vi è tuttavia un punto problematico in cui la Commissione propone l’introduzione di una categoria di “microentità”. Si tratta di imprese più piccole che si trovano al di sotto di una specifica soglia che devono essere esonerate dalla rendicontazione finanziaria e dall’obbligo annuale in materia di contabilità comunitari. La relazione Lehne è a favore di tale approccio e suggerisce persino di aumentare le soglie. In Belgio, il 75 per cento delle imprese sarebbe sollevato dagli attuali requisiti di trasparenza. A prima vista, l’abolizione del sistema contabile per le piccole imprese sembra un’importante semplificazione della burocrazia, ma, data l’importanza delle informazioni finanziarie per tutte le parti interessate (i fornitori di credito, ad esempio), porterebbe a maggiore burocrazia e a costi più elevati. Dato che non vi sarà alcuna rendicontazione finanziaria generalmente accettata, si chiederà alle imprese di fornire dati à la carte, in vari modi. Inoltre si priveranno di uno strumento utile per il controllo interno dell’impresa, che è certamente importante per una PMI. Mi sono pertanto astenuta dalla votazione finale.

 
  
  

– Relazione: Britta Thomsen (A6-0165/2008)

 
  
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  Adam Bielan (UEN), per iscritto. – (PL) Signor Presidente, l’istruzione superiore è diventata molto più accessibile e un numero crescente di donne consegue la laurea. Ciononostante, le donne sono ancora scarsamente rappresentate ai più alti livelli del mondo accademico. Sebbene la maggior parte dei docenti universitari siano donne (più del 50 per cento), esse tendono a occupare meno incarichi accademici di alto livello.

Sono a favore dell’idea di promuovere misure favorevoli alla famiglia prevedendo l’introduzione di orari di lavoro flessibili e migliori servizi per l’assistenza all’infanzia. Appoggio inoltre l’accessibilità alle prestazioni previdenziali all’estero e l’introduzione di condizioni per quanto concerne i congedi parentali, che consentirebbero a uomini e donne la libertà di scelta. Le interruzioni dell’attività scientifica femminile legate a motivi familiari non devono avere ricadute negative sulle loro successive opportunità di carriera, offrendo di conseguenza ai colleghi uomini un vantaggio eccessivo relativamente alla prosecuzione della loro attività scientifica.

Appoggio la relazione dell’onorevole Thomsen, perché ritengo che affronti in modo corretto questioni legate agli stereotipi di genere, che ancora esistono in molti Stati membri dell’Unione europea.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Britta Thomsen su donne a scienza, in quanto ritengo sia essenziale favorire un equo accesso all’attività scientifica per entrambi i generi. Fattori, quali gli stereotipi associati alla scienza naturale o gli ostacoli che si creano a causa delle difficoltà di conciliare la vita personale e famigliare con la vita professionale, comportano numerosi svantaggi e difficoltà per le scienziate e le ricercatrici ed escludono molte donne dalla ricerca scientifica.

Le disparità tra uomini e donne relativamente alla loro presenza in posizioni di responsabilità nel mondo accademico e scientifico, le rispettive retribuzioni e l’esigenza di una vita privata necessita di misure volte a neutralizzare tali stereotipi di genere nella scienza, al fine di attrarre le donne all’attività scientifica e di rimuovere le disuguaglianze esistenti.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Sappiamo che vi sono più donne che uomini nell’istruzione superiore, eppure, quando si tratta di scegliere la carriera scientifica, gli uomini superano ancora in numero le donne. L’enorme aumento della partecipazione delle donne all’istruzione superiore non ha né portato a un cambiamento corrispondente nel rapporto tra donne e uomini in particolari settori di studio o professionali, né ha eliminato lo specifico divario salariale di genere.

Come sottolinea il relatore, in seno al governo e all’università, le donne che svolgono attività di ricerca sono ancora una minoranza. La media UE è infatti pari al 35 per cento. In tutti gli Stati membri, tuttavia, questi due settori vantano una percentuale più elevata di donne ricercatrici rispetto alle imprese commerciali, dove la media UE che emerge dai dati più recenti è pari al 18 per cento, pur con ampie variazioni tra uno Stato e l’altro. I paesi con la minor partecipazione femminile nelle attività di ricerca delle imprese sono Germania (11,8 per cento), Austria (10,4 per cento) e Paesi Bassi (8,7 per cento), mentre in Lettonia, Bulgaria e Romania la presenza femminile supera il 40 per cento. La distribuzione dei ricercatori calcolata in base ai principali settori scientifici mostra andamenti differenti per i due sessi. Il 54 per cento degli uomini che svolgono attività di ricerca nell’università lavora nei dipartimenti di scienze naturali e ingegneria, a fronte di una presenza femminile pari al 37 per cento.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) Un maggiore accesso delle donne al settore scientifico, come afferma il relatore, è di importanza cruciale. Come possiamo arrivare a tale risultato in ciascun singolo paese costituisce, da un lato, una questione che varia in base alla cultura del paese e ad altre caratteristiche specifiche. Il problema si manifesta in modo diverso nei 27 Stati membri dell’UE e pertanto anche le soluzioni devono variare. Non è possibile generalizzare sulla situazione delle donne in tutti i 27 Stati membri. Il Junilistan è convinto che la strada verso la parità debba essere pianificato in pratica a livello nazionale.

Abbiamo pertanto scelto di non votare a favore della relazione.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE), per iscritto. – (PL) In qualità di docente universitario donna che ha maturato molti anni di esperienza lavorativa presso un’università polacca, sono consapevole della portata delle sfide implicate e appoggio pertanto la relazione dell’onorevole Thomsen. La relazione ha un approccio interessante al problema della discriminazione di genere nel mondo scientifico, identificando gli ostacoli sociali, culturali e finanziari che sono causa dalla sottorappresentanza femminile.

Siamo poche nel settore statale e nell’istruzione superiore, un esiguo 35 per cento, e solo il 18 per cento nel settore privato. Come ci si può aspettare che costruiamo una società basata sulla conoscenza, che sviluppiamo una scienza e un’economia europea, che facciamo fronte alle sfide della strategia di Lisbona e che soddisfiamo le aspettative dell’Europa alle porte del XXI secolo, senza coinvolgere le donne nella scienza? Dobbiamo creare le condizioni necessarie a permettere alle donne di essere maggiormente coinvolte nel mondo scientifico e ad aprire loro le porte dei laboratori universitari. Si deve altresì fare in modo che le donne possano aspirare agli incarichi accademici di più alto livello. La promozione nel mondo scientifico dipende dai successi accademici e la possibilità di una donna di vedersi assegnare una cattedra è tre volte inferiore rispetto a quella di un uomo, il che è deplorevole e non può essere spiegato solo con i più incisivi impegni famigliari delle donne.

Poche donne sono membri degli organi decisionali degli istituti di istruzione superiore europei, dove è pertanto difficile attuare politiche sulla parità di genere. Dobbiamo solo riferire l’esempio vergognoso del Consiglio scientifico del Consiglio europeo della ricerca. Solo cinque dei suoi ventidue membri sono donne!

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE-DE), per iscritto. (PL) La partecipazione delle donne nel mercato del lavoro sta aumentando in modo sistematico in tutta l’Unione europea. La Polonia non fa eccezione, sebbene in Polonia la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro resti al di sotto della media dell’Unione. Desidero sottolineare, tuttavia, che più polacche ricoprono posizioni di responsabilità rispetto alle loro controparti nell’Europa occidentale.

Ritengo che l’aumento dell’attività professionale delle donne costituisca una questione importante. In tale contesto, è fondamentale considerare la situazione delle scienziate, dato che è simile alla situazione di tutte le donne che si trovano di fronte alla necessità di conciliare i doveri professionali con la vita famigliare.

Ciononostante, non credo che l’imposizione della parità debba essere il modo di aumentare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Le decisioni sull’occupazione devono essere prese soprattutto in base alle qualifiche e alle competenze acquisite dalle donne attraverso un’adeguata istruzione. La proposta volta ad aumentare la trasparenza delle procedure di assunzione, la rivalità per le posizioni dirigenziali e l’assegnazione di sovvenzioni per la ricerca scientifica sembra tuttavia adeguata. Tali cambiamenti andrebbero tuttavia accompagnati da una riforma del mercato del lavoro.

Il settore scientifico dell’Unione europea ha bisogno di sostegno. I corsi tecnici e scientifici vanno promossi come studi appetibili per entrambi i generi, data l’importanza della scienza per lo sviluppo economico. Dobbiamo pertanto incoraggiare i giovani a frequentare corsi universitari di questa natura.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Britta Thomsen su donne e scienza perché nel mondo scientifico le donne continuano a essere sottorappresentate. La relazione sottolinea passi importanti verso un equilibrio tra uomini e donne in ambito universitario.

La promozione delle carriere universitarie per le donne deve giocare un ruolo fondamentale. Grande importanza è data all’eliminazione degli stereotipi di genere. L’attuale tendenza di assegnare attributi maschili e femminili a singole discipline universitarie è dannosa per un giusto equilibrio tra i sessi.

Con l’aiuto di nuovi programmi e procedure di assunzione, è possibile garantire che siano le capacità e le qualifiche dei candidati ad essere essenziali, e non il loro sesso. Lo stesso si deve applicare alle opportunità di avanzamento e ai livelli retributivi. L’obiettivo non vincolante di una quota di almeno il 40 per cento di donne e di almeno il 40 per cento di uomini nei gruppi di selezione costituisce un modo per livellare gli squilibri tra i sessi nelle professioni universitarie, ma le capacità e le qualifiche dei candidati devono prevalere sempre.

 
  
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  Rovana Plumb (PSE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della relazione sulla situazione delle donne nel mondo scientifico, che considero fondamentale per raggiungere gli obiettivi di crescita e occupazione della strategia di Lisbona.

Nei nuovi Stati membri dell’UE, il numero delle ricercatrici è circa il 40 per cento, paragonato a quello dei paesi occidentali, dove si aggira intorno all’11 per cento, ma, purtroppo, una percentuale molto alta è impiegata in settori in cui le spese per la ricerca e lo sviluppo sono tra le più basse.

Desidero attirare l’attenzione sull’importanza dell’articolo su un’integrazione del punto di vista familiare nel quadro generale, ricorrendo alla possibilità di orari di lavoro flessibili, di migliori strutture per l’assistenza all’infanzia, al fine di conciliare vita famigliare e carriera professionale.

Ritengo che la rapida attuazione delle disposizioni contenute nella presente relazione fornirà un sostegno fondamentale al fine di ottenere, nel 2010, una percentuale del 25 per cento di donne che lavorano nella ricerca in posizioni dirigenziali. Mi congratulo con l’onorevole Britta Thomsen per la relazione.

 
  
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  Teresa Riera Madurell (PSE), per iscritto. − (ES) Dato che non sono stata in grado di assistere e partecipare alla discussione per motivi di salute, desidero giustificare il mio appoggio alla relazione. Si tratta di un lavoro eccellente e completo, che copre tutte le questioni principali per garantire una rappresentanza equilibrata di uomini e donne nel mondo scientifico e tecnologico.

Si tratta inoltre di una relazione molto tempestiva, dato che, se l’UE necessita di ulteriori 700 000 ricercatori per conseguire i suoi obiettivi entro il 2010, per la Commissione e gli Stati membri questo è il momento giusto per attuare le misure specifiche esposte nella relazione al fine di correggere tali anomali.

Qualifiche e meriti sono equamente condivisi tra uomini e donne. In effetti al momento le donne superano in numero gli uomini nelle università, oltre a ottenere risultati migliori. Esistono dati oggettivi relativi a tutto ciò.

I governi in particolare, inoltre, devono favorire la presenza di un numero maggiore di donne nel settore scientifico e tecnologico, dato che utilizzare solo la metà dei cervelli non è né intelligente, né efficiente.

Sono lieta che il Parlamento abbia finalmente avviato un esame approfondito di tale questione.

 
  
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  Lydia Schenardi (NI), per iscritto. – (FR) Verità distorte, dichiarazioni erronee e osservazioni sessiste, che stigmatizzano innanzi tutto gli uomini, rappresentano, in poche parole, in poche brutali parole, la sostanza della presente relazione.

L’uguaglianza tra uomini e donne e una migliore integrazione delle donne nelle carriere professionali non possono essere concepite in modo autoritario e repressivo. Ciò può solo rendere i risultati negativi e controproducenti.

E’ senza dubbio vero che per le donne sono numerosi i ritardi in termini di integrazione, divari retributivi o mancanza di profili professionali, in particolare in ambito scientifico e tecnologico.

Ancora una volta, tuttavia, sono il dialogo, l’attuazione di misure non restrittive, volte a incoraggiare le ragazze a portare avanti studi in ambito scientifico sul lungo periodo, e un sostegno attivo delle donne nel corso di tutta la loro carriera, che le faranno finalmente avanzare nella società.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. (SV) La relazione dell’onorevole Britta Thomsen sottolinea che le ricercatrici costituiscono una minoranza nell’UE. Hanno minore sicurezza finanziaria e nelle loro carriere professionali e sono penalizzate in misura crescente dalle loro responsabilità famigliari, il che è grave, sia per principio che riguardo alle conseguenze pratiche. Le economie – e democrazie – moderne non possono permettersi di offrire uno speciale trattamento negativo a persone di levatura accademica. Ho pertanto votato a favore della relazione.

Ciononostante, desidero sottolineare che parti della relazione non sono state sottoposte a votazione e trovo difficile comprendere come ciò possa essere ragionevole. Il paragrafo 7 chiede che si consideri l’età come criterio di eccellenza, insieme alla situazione famigliare, compreso il numero delle persone a carico del ricercatore. Penso che risulterebbe difficile da applicare nella pratica e potrebbe persino essere controproducente. Vi è sempre il rischio di semplificare il ruolo dei generi e di parlare di “qualità che tendono a essere prevalenti nelle scienziate” o di creare standard assoluti per misurare le prestazioni dei ricercatori.

D’altro canto, appoggio senza riserve la raccomandazione di introdurre obiettivi non vincolanti che impongano che entrambi i generi siano rappresentati da almeno un 40 per cento ciascuno nelle commissioni scientifiche di vario genere. Concordo inoltre con la critica che a volte l’UE punti in basso quando si tratta di parità. La politica della presenza non deve essere sottovalutata – sebbene non vada trasformata in una religione.

 
  
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  Bernard Wojciechowski (IND/DEM), per iscritto. – (PL) Le donne apportano un contributo fondamentale allo sviluppo della scienza. Il vincitore polacco del premio Nobel per la fisica e la chimica, Marie Skłodowska-Curie, costituisce un buon esempio. Strade, ospedali e università sono stati intitolati a questa famosa scienziata.

Quando si opta per una carriera scientifica, le donne affrontano una sfida più grande rispetto agli uomini. Ciò è parzialmente dovuto al loro ruolo nella gravidanza e nell’allevare i figli. Le scienziate pertanto devono essere appoggiate mediante lo sviluppo di condizioni preferenziali per il congedo per maternità e mediante sovvenzioni speciali per le donne che allevano i figli e al contempo portano avanti una carriera scientifica.

Contrariamente a quanto sostenuto nella proposta di risoluzione dinanzi a noi oggi, tuttavia, non è auspicabile imporre percentuali per la rappresentanza femminile nel personale accademico o nelle commissioni di vario genere, al fine di garantire l’uguaglianza di genere. Le decisioni sui posti di lavoro e le carriere nel settore scientifico non devono essere prese in base al genere. Devono invece essere prese in base alla scelta, alla conoscenza e alle capacità individuali della persona in particolare.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. − (SK) Desidero ringraziare l’onorevole Thomsen per la sua relazione, che mostra un certo tipo di discriminazione contro le donne nel mondo scientifico e della ricerca. Sebbene le donne rappresentino più del 50 per cento degli studenti dell’UE, esse occupano solo il 15 per cento degli accademici di alto livello in ambito scientifico e della ricerca.

Gli studi universitari sono raramente seguiti da un risultato corrispondente al considerevole quantitativo di tempo e denaro in essi investiti. Dopo molti anni di studio, le donne spesso sacrificano la loro vita privata e lavorativa o cercano di conciliarle. Dovrebbe essere nell’interesse della società cooperare con i cittadini con un elevato potenziale intellettuale e appoggiarli, nonché lasciare che tale potenziale rifletta l’eredità culturale, spirituale, storica e scientifica della nazione. La maternità in particolare ha un impatto sulle possibilità di carriera delle donne, paradossalmente le punisce in termini di possibilità di ottenere le posizioni più in alto, di realizzarsi e di essere giustamente premiate, e non offre loro un’adeguata ricompensa per l’investimento sociale compiuto nel dare alla luce e allevare i bambini che saranno responsabili del domani.

Ritengo che ciò potrebbe essere risolto mediante una riforma nell’ambito delle condizioni di studio delle giovani donne, dello studio e del lavoro a distanza e dell’apprendimento permanente, così come incoraggiando i padri ad appoggiare le madri che vogliono diventare scienziate. Anche lo Stato ha la responsabilità di sostenere le donne che partecipano all’attività scientifica: di appoggiarle durante i loro studi, aiutarle a conciliare vita famigliare e lavorativa e avere il giusto riconoscimento per il loro lavoro, fornendo loro prestazioni sociali dirette e aiuti, nel modo più naturale possibile, nell’assistenza all’infanzia.

 
  
  

– Relazione Johannes Blokland (A6-0156/2008)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La demolizione delle navi continua ad avere un considerevole impatto sociale ed ecologico, sia a causa del modo in cui viene eseguita, che può risultare dannoso per l’ambiente, sia perché il numero di navi in costruzioni è aumentato per anni. Ciò spiega l’importanza continua dell’innovazione e dello sviluppo nell’industria della costruzione navale negli Stati membri, al fine di migliorare le navi e renderle meno dannose dal punto di vista ambientale.

Dal 2005, l’IMO (International Maritime Organization, Organizzazione marittima internazionale) coopera con l’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) e con l’UNEP (United Nations Environment Programme, Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) n vista dell’introduzione di un regime internazionale vincolante per la demolizione “pulita” delle navi. Sono attualmente in corso negoziati su un progetto di convenzione che dovrebbe essere adottato entro il 2009, ma che dovrebbe entrare in vigore soltanto alcuni anni dopo.

Secondo i termini dell’attuale progetto, la convenzione non verrà applicata alle navi da guerra e alle altre navi di Stato. Non si è ancora raggiunto un accordo sulle normative al di fuori del contesto IMO, sulle norme minime degli impianti di riciclaggio delle navi, su alcuni obblighi in materia di comunicazione delle informazioni (ivi comprese le notifiche fra Stati) e sugli strumenti utili per dare attuazione alla convenzione.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la relazione Clokland sul Libro verde su una migliore demolizione delle navi. La demolizione di navi è un settore pericoloso che comporta costi elevati in termini di vite umane e di ambiente. E’ inaccettabile che l’UE chiuda un occhio sull’esportazione di navi verso i paesi in via di sviluppo per la demolizione. Tali navi sono in effetti rifiuti pericolosi ed è fondamentale che l’UE agisca al fine di prevenire tali esportazioni. Accolgo con favore il sostegno di quest’Assemblea agli emendamenti del mio gruppo, che sottolineano la necessità di intraprendere azioni urgenti in questo settore.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) La relazione dell’onorevole Johannes Blokland sul Libro verde su una migliore demolizione delle navi cerca di realizzare uno smantellamento delle navi sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. La relazione mira ad affrontare i problemi che si incontrano al momento in tale settore, in particolare la seria preoccupazione per la salute e la sicurezza dei lavoratori nei cantieri navali di Bangladesh e India. Ho pertanto votato a sostegno delle raccomandazioni della relazione.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Le preoccupazioni europee circa l’ambiente e le condizioni di lavoro nei paesi terzi meritano per principio il nostro accordo. L’esportazione di condizioni di miseria, che sia ambientale, lavorativa o di altra natura, non potrà mai rientrare nella nostra visione di commercio e scambio a livello mondiale. E’ tuttavia vitale che non difendiamo una visione così moderna e assoluta della nostra posizione su taluni valori, che la nostra attenzione concentrata su una singola parte non oscuri il quadro più grande.

L’adozione di misure drastiche, volte ad arrestare pratiche che in realtà non sono altro che dumping sociale e ambientale, ma che porterebbero anche alla distruzione di un settore economico di un paese terzo e che causerebbero di conseguenza una miseria ancora maggiore per una parte estremamente vulnerabile della popolazione, non è in linea con quanto difendiamo. Riforme graduali e l’imposizione di norme fatte su misura per promuovere lo sviluppo costituiscono una soluzione più efficace e auspicabile. Non possiamo porre fine alla miseria e al degrado umano se possiamo offrire, come alternativa, solamente miseria e degrado umano.

 
  
  

– Relazione: Karl-Heinz Florenz (A6-0136/2008)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione interlocutoria del mio collega tedesco, Karl-Heinz Florenz, sui dati scientifici relativi al cambiamento climatico nel quadro della commissione temporanea del Parlamento.

L’opinione scientifica diffusa sulle origini e le cause del cambiamento climatico è ben consolidata e riconosciuta a livello mondiale. Le prove scientifiche provenienti da tutti i continenti e dalla maggior parte degli oceani mostrano che molti ecosistemi naturali sono già stati colpiti dai cambiamenti climatici regionali dovuti alle emissioni storiche di carbonio prodotte dai paesi industrializzati. E’ stato altresì scientificamente provato che le cause alla base del riscaldamento globale sono essenzialmente di origine umana.

Accolgo con favore il fatto che la relazione sottolinei la necessità di un’analisi e di ricerche ulteriori sulle conseguenze del cambiamento climatico, quali gli effetti sulla concorrenza economica, i costi energetici e lo sviluppo sociale in Europa, il ruolo dell’utilizzo del suolo, il ruolo delle foreste e della deforestazione, il ruolo dell’ambiente marino e il calcolo dei costi esterni del cambiamento climatico nell’industria, e in particolare nel settore dei trasporti, ivi compresa la quantificazione degli effetti dell’inquinamento causato dal trasporto aereo.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. − L’ultima conferenza intergovernativa sul cambiamento climatico e le varie conferenze in seno alla Convenzione quadro sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (UNFCCC) hanno dimostrato che i gas serra prodotti dall’uomo sono la causa del cambiamento climatico e che occorre arrestare la crescita della temperatura terrestre a + 2°C rispetto ai livelli pre-industriali.

Concordo dunque con la commissione CLIM e con il relatore nel chiedere interventi più stringenti e maggiori studi in materia di effetti del cambiamento climatico, monitorando fenomeni quali desertificazione, scioglimento dei ghiacciai, cambiamento dell’ambiente marino, eventi atmosferici catastrofici, ecc. Gli ultimi rapporti dell’Agenzia per l’ambiente europea indicano la necessità di fare molto di più per rispettare i target di Kyoto e gli ulteriori obiettivi di riduzione fissati nel Consiglio UE nel marzo 2007.

Alla luce del pacchetto “Energia e Clima”, della comunicazione “Limitare il cambiamento climatico a 2° Celsius” ritengo tuttavia che ulteriori misure possano essere prese allo scopo di migliorare l’“efficienza energetica” la quale consentirebbe risparmi significativi in materia di emissioni di gas serra. Ciò anche attraverso un sistema di etichettatura che indichi l’impronta ambientale relativamente al parametro dei gas serra. Ritengo che si debbano coinvolgere più direttamente i singoli, cittadini europei e popolazioni dei paesi terzi, nel promuovere una coscienza ed un’attiva partecipazione alla lotta al cambiamento climatico attraverso piccoli gesti di risparmio energetico.

 
  
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  Daniel Caspary (PPE-DE), per iscritto. (DE) Il cambiamento climatico costituisce una questione seria e pone all’umanità una sfida difficile. Non è tuttavia assolutamente chiaro fino a che punto sia il risultato dell’attività umana. Le più recenti scoperte scientifiche non possono certamente ancora essere considerate prove ferme e solide e si trovano ancora in uno stato di flusso; non sono le migliori. Inoltre, la relazione si riferisce ad alcuni fatti presunti che sono in realtà false credenze.

Supposizioni e false affermazioni, tuttavia, non possono fare da base per lo sviluppo di nessuna misura razionale, efficace, accessibile e socialmente accettabile. Ecco perché non ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. (SV) Oggi abbiamo votato a favore della relazione interlocutoria sui dati scientifici relativi al cambiamento climatico. Occorre grande sostegno e determinazione per conseguire i migliori risultati possibili nell’affrontare le sfide politiche poste dal cambiamento climatico. In tale contesto vogliamo sottolineare l’importanza di garantire che la ricerca sia libera e che le critiche e la messa in discussione costituiscano una condizione fondamentale per il progresso e lo sviluppo di qualsiasi ricerca. Limitare tale possibilità non costituisce solo una minaccia alla ricerca stessa ma anche una limitazione del diritto di ciascun individuo a esprimere la propria opinione.

La povertà è il maggiore responsabile dell’inquinamento e l’ambizione di mitigare il cambiamento climatico non entra in conflitto con la crescita e la modernizzazione. Una condizione essenziale per il progresso dei paesi poveri verso la prosperità, e pertanto anche per lo sviluppo di risorse e possibilità di investimento in tecnologie più moderne e pulite, è che questi debbano essere in grado di scambiare i loro beni liberamente. In tale contesto, qualsiasi dazio sulle importazioni per il biossido di carbonio o simili costituisce una soluzione inadeguata che rischia di andare contro il suo scopo.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione interlocutoria della commissione temporanea sul cambiamento climatico sui dati scientifici relativi al cambiamento climatico (conclusioni e raccomandazioni in vista dell’adozione di decisioni) perché sono convinta che l’opinione scientifica ampiamente diffusa sulle origini umane del cambiamento climatico richieda con urgenza un’azione maggiore da parte dei poteri politici, con particolare enfasi sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e su un futuro accordo internazionale relativo al cambiamento climatico.

Aumentare e diffondere la comprensione scientifica del fenomeno del cambiamento climatico renderà le persone maggiormente consapevoli della necessità di modificare i loro stili di vita e renderà i processi decisionali più responsabili, informati ed efficaci. Incoraggiare la ricerca sugli impatti economici e sociali del cambiamento climatico deve costituire una priorità.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Si tratta di ancora un’altra relazione che, nonostante inizi con alcune affermazioni corrette circa la situazione attuale, fa pochi o nessun progresso relativamente alle soluzioni necessarie. Non è chiara in merito alle misure raccomandate e si limita a elencare alcune proposte e giustificazioni vaghe. Sembra maggiormente volta a facilitare l’avvio di nuove imprese che cercano di trarre sempre più profitti dalle nuove attività nei settori dell’ambiente e dell’energia, a costo del cambiamento climatico.

Desidero pertanto dire che sarebbe positivo mostrare gli stessi sforzi e persistenza, nonché preoccupazione, in merito ad altri problemi globali che vengono fondamentalmente ignorati o meramente confinati a un elenco di preoccupazioni croniche: eliminazione delle malattie curabili, protezione del suolo e degli habitat, esaurimento delle risorse a disponibilità limitata, in particolare gli idrocarburi e così via.

Per concludere, il relatore ritiene che le basi scientifiche del cambiamento climatico siano fissate e raccomanda che la commissione temporanea del Parlamento europeo continui a lavorare e presenti, alla fine del suo mandato, al Parlamento una relazione contenente, all’occorrenza, raccomandazioni in quanto ad azioni o iniziative da intraprendere sulla futura politica integrata dell’UE sul cambiamento climatico. Aspetteremo tale futura relazione.

 
  
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  Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. − (PT) I dati scientifici esposti nella presente relazione sono stati discussi a lungo con esperti mondiali nel corso di incontri della commissione temporanea sul cambiamento climatico e non possono pertanto essere messi in discussione con leggerezza.

Come la relazione Florenz, accolgo il quarto rapporto dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) come lo studio più completo sul cambiamento climatico. Concordo che sia assolutamente fondamentale evitare un aumento superiore ai 2°C della temperatura globale, in modo tale da evitare gli scenari maggiormente catastrofici, suggerendo che gli ambizioni obiettivi dell’UE per la riduzione delle emissione dei gas a effetto serra siano mantenuti.

Dato che questo costituisce il compendio di informazioni più credibile attualmente disponibile, tagliando alla radice quelle idee ricorrenti di taluni isolati estremisti che continuano a mettere in questione se l’attività umana sia realmente la causa principale del riscaldamento globale, la relazione Florenz invia un segnale chiaro che il Parlamento europeo manterrà la sua rigida e ambiziosa posizione nella lotta al cambiamento climatico. Ha pertanto il mio appoggio.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Negli anni sessanta il parlamento francese, avendo concordato i benefici della pianificazione, ogni anno votava un tasso di crescita per l’economia, pensando di decidere, dato che il caso ha fatto sì che per più anni di file la crescita reale fosse quella che aveva deciso. Leggendo la relazione dell’onorevole Florenz, ho avuto la medesima impressione: l’impressione che questo Parlamento intenda votare sulla temperatura del mondo.

Lasciatemi chiarire questo punto: ciò che critico non è la necessità dell’uomo di proteggere l’ambiente, di preservare l’immensa diversità della natura o, in termini economici, di trovare i mezzi di utilizzare meglio le risorse naturali per risparmiarle. E’ il sacrificio rituale alla nuova religione del clima e i suoi nuovi guru, questi scienziati orientati che gettano l’anatema su tutti coloro il cui lavoro si oppone alle loro conclusioni intoccabili.

E’ la stigmatizzazione sistematica dell’uomo come entità presumibilmente diabolica, in particolare l’uomo occidentale ed europeo. Si tratta di pentimento istituzionalizzato. E’ il suicidio industriale ed economico della sola Europa all’altare del cosiddetto riscaldamento globale, senza alcun beneficio per l’ambiente a livello mondiale, ma con le peggiori conseguenze umane e sociali per i popoli d’Europa. Ecco perché non ho votato a favore della presente relazione.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione Florenz sul cambiamento climatico e penso che sia giusto che il Parlamento prenda tale questione così seriamente. Gli sforzi volti a contrastare il cambiamento climatico richiedono azioni a tutti i livelli e le istituzioni dell’UE, così come le nazioni d’Europa, devono tutte collaborare per spostarsi verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

La votazione sulla relazione capita lo stesso giorno in cui si svolge ad Aberdeen un’importante conferenza sull’energia. Il governo scozzese ha segnalato la sua intenzione di far diventare la Scozia la capitale europea dell’energia verde. Tale governo appoggia appieno gli obiettivi dell’UE per le energie rinnovabili e si impegna in una Scozia non nucleare, che entro il 2020 produrrà il 50 per cento della sua domanda di elettricità da fonti rinnovabili. Mi auguro che altre nazioni in tutta Europa possano guardare alla Scozia come un buon esempio nella lotta al cambiamento climatico.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Le scoperte scientifiche provano le origini umane dell’attuale tendenza del riscaldamento globale e la relazione dell’onorevole Florenz ribadisce tali risultati. Vi è la necessità urgente di agire a livello UE al fine di combattere il cambiamento climatico e limitare l’aumento della temperatura globale a non più di 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Diversamente da alcuni membri del partito conservatore, accolgo appieno tali dati e ho votato a favore della relazione dell’onorevole Florenz “Dati scientifici relativi al cambiamento climatico: conclusioni e raccomandazioni in vista dell’adozione di decisioni”.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Quando noi qui in Europa investiamo nelle ultime tecnologie ecologiche e nell’energia rinnovabile, a qualsiasi prezzo per quanto elevato, mentre in un paese come la Cina ogni settimana entra in funzione una nuova centrale elettrica alimentata a carbone, i nostri migliori sforzi possono solo essere una goccia nell’oceano.

Ci troviamo in una situazione assurda, in cui quelle nazioni, che accelerano il cambiamento climatico attraverso un’industrializzazione sfrenata e uno sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e che non sono pronte a limitarsi, si aspettano che l’Occidente, e in particolare l’Europa, dia loro una mano quando vengono colpite da catastrofi. Ci si aspetta che proteggiamo l’ambiente, spesso a danno della nostra industria o del nostro commercio di importazione, e poi persino che forniamo aiuti umanitari ai responsabili dell’inquinamento in caso di catastrofe.

A meno che siamo tutti contenti di una situazione globale in cui qualsiasi speranza di miglioramento sarà sempre un sogno irrealizzabile, dobbiamo aumentare bruscamente la pressione su quei sei paesi che sono responsabili di almeno il 50 per cento delle emissioni di gas a effetto serra a livello globale.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione interlocutoria della commissione temporanea sul cambiamento climatico non contiene nessuna nuova idea, pensiero o raccomandazione utile ai popoli d’Europa relativamente alla protezione ambientale. Continua la ben nota politica antipopolare dell’UE di fornire una scusa “verde” all’accumulazione eccessiva di capitale. Si limita a riprodurre le scoperte del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico.

La relazione reputa che l’aumento massimo di 2°C del riscaldamento globale costituisca un “obiettivo strategico” dell’UE, e accetta al contempo che “tale livello di riscaldamento avrebbe già un impatto considerevole sulle nostre società e sui nostri stili di vita”. Non dice nulla circa la responsabilità che i capitalisti si sono assunti nello sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Invece di richiedere misure volte per lo meno a rendere i monopoli maggiormente affidabili, adotta appieno la propaganda multinazionale secondo la quale siamo tutti da biasimare per il peggioramento delle condizioni climatiche e sottolinea che “sono necessari cambiamenti degli stili di vita individuali”.

Gli accordi raggiunti a Kyoto, Bali e così via si sono rivelati inefficaci: il loro obiettivo primario non è la protezione ambientale, bensì la protezione del capitale e dei suoi profitti. Essi commercializzano l’ambiente e sviluppano un nuovo settore economico redditizio: l’economia verde. La soluzione ai problemi ambientali non verrà fornita dalle multinazionali e dai monopoli responsabili della situazione odierna, bensì dalla persone che ne devono subire le conseguenze.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN), per iscritto. – (PL) La storia ci insegna che nuove scoperte scientifiche possono provare che teorie, in precedenza ampiamente ritenute vere, posso non essere basate sui fatti. Ritengo che la scienza relativa al cambiamento climatico, confermando il riscaldamento globale, non si sia ancora dimostrata sufficientemente attendibile. Certamente non è stata dimostrata fino al punto tale da permetterci, con la coscienza a posto, di redigere norme che portano all’imposizione di specifici comportamenti negli Stati membri dell’Unione europea.

Possiamo osservare l’aumento della temperatura media dell’atmosfera a livello globale. Tuttavia, non è ancora stata avanzata alcuna risposta alla domanda su fino a che punto esso sia dovuto all’attività umana.

Su tale argomento il mondo scientifico è diviso. Alcuni scienziati ritengono che i grandi cambiamenti climatici costituiscano un fenomeno ciclico che ha colpito il mondo per milioni di anni. Essi sostengono che quegli scienziati, che emettono avvertimenti riguardanti l’impatto degli esseri umani sul cambiamento climatico, lo fanno al fine di attrarre fondi per la ricerca e diffondere allarmismo tra la popolazione.

Altri scienziati affermano che la capacità degli esseri umani di prevedere i cambiamenti climatici sul lungo periodo sia molto limitata. Essi asseriscono che il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) sia guidato dalla politica piuttosto che dalla scienza. E’ inoltre dubbia l’affermazione che una maggioranza degli scienziati appoggi la visione secondo cui il cambiamento climatico sia dovuto all’azione degli esseri umani.

Le suddette controargomentazioni sono facilmente accessibili. Sono inoltre inconfutabili e sollevano il dubbio e la domanda: può un qualsiasi genere di politica di coesione essere costruito su argomentazioni scientifiche non certe, avanzate da gruppi di pressione?

 
  
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  Lydie Polfer (ALDE), per iscritto. – (FR) Sono a favore della relazione dell’onorevole Florenz a nome della commissione temporanea sul cambiamento climatico, dato che analizza l’incidenza e gli effetti del cambiamento climatico, nella misura in cui sono garantite da prove scientifiche.

Di conseguenza, ci deve preoccupare l’affermazione secondo cui i costi del cambiamento climatico possono equivalere a una percentuale compresa tra il 5 e il 20 per cento del PIL entro il 2050, a meno che non siano intraprese alcune misure estremamente ambizione.

Anche se a oggi gli Stati membri hanno compiuto buoni progressi, dobbiamo tuttavia essere molto più ambizioni nei nostri sforzi volti a ridurre le emissioni.

Dobbiamo altresì restare vigili per quel che riguarda gli effetti potenzialmente dannosi della promozione dei biocarburanti sulle forniture alimentari mondiali e sulla deforestazione.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) I dibattiti scientifici non possono comportare discussioni su convinzioni e i dubbi sulla veridicità dell’opinione di maggioranza non possono essere interpretati come negativismo o come scelta politica. Inoltre, recenti episodi, quali la discussione sulle implicazioni indesiderate e inaspettate dell’incentivo ad incrementare la produzione di biocarburanti, rivela chiaramente come un dubbio costante costituisca l’unica certezza scientifica che dobbiamo abbracciare senza esitazione.

D’altro canto, visti i dati scientifici, in discussioni riguardanti le opzioni, ci troviamo chiaramente nel campo della scelta politica. Sebbene non mi consideri competente in ambito scientifico da dare un’opinione in merito alla prima domanda, in merito alla seconda ritengo di avere il dovere di farlo. Ho affermato e desidero sottolinearlo che, di fronte all’aumento prevedibile dei consumi (in particolare di energia) da parte della nostra enorme popolazione in seguito agli effetti positivi della globalizzazione, dobbiamo trovare risposte scientifiche e soluzioni tecnologiche. Alcune modifiche nel comportamento, sia individuale che collettivo, sono senza dubbio accolte con favore. E’ tuttavia nella scienza che troveremo le soluzioni di base di cui necessitiamo.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE-DE), per iscritto. (DE) Non ho votato a favore della presente relazione nella votazione finale, perché prendo sul serio la lotta al cambiamento climatico e non posso sottoscrivere formulazioni dogmatiche e apocalittiche che diffonderebbe allarmismo tra la popolazione europea. La relazione presenta risultati scientifici con una probabilità del 60-70 per cento di essere fatti provati.

Se fossi stato uno dei cavalieri dell’Apocalisse del libro della Rivelazione di Giovanni, avrei preferito sedere sul cavallo bianco piuttosto che su quello pallido. Il cambiamento climatico costituisce una questione sensibile, che non può essere ridotta a slogan.

 
  
  

– Relazione: Ria Oomen-Ruijten (A6-0168/2008)

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Mi sono astenuto in merito alla relazione di iniziativa della mia collega olandese, Ria Oomen-Ruijten, sulla relazione 2007 relativa ai progressi compiuti dalla Turchia in vista dell’adesione, sebbene, come la nostra commissione per gli affari esteri, accolgo con favore la promessa del Primo Ministro Erdoğan di rendere il 2008 l’anno delle riforme e di trasformare la Turchia in una democrazia moderna e prospera basata su uno Stato laico e una società pluralista.

Sarebbe tuttavia opportuno ricordare la promessa della Turchia di garantire relazioni di buon vicinato con la Grecia e la Bulgaria e la necessità di garantire un accordo completo sulla questione di Cipro basato su principi UE.

La Turchia, inoltre, non sta rispondendo alla richiesta di porre fine al blocco economico contro l’Armenia e di avviare un processo di riconciliazione, che permetta una discussione franca e aperta sugli eventi passati. Questi negoziati sono importanti per l’UE e la Turchia, dato che quest’ultima sta facendo proprio l’acquis communautaire. In nessun caso, tuttavia, i negoziati devono pregiudicare la decisione politica finale sull’adesione della Turchia all’UE.

 
  
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  Colm Burke, Jim Higgins, Mairead McGuinness e Gay Mitchell (PPE-DE), per iscritto. La delegazione del Fine Gael del gruppo EPP-ED ha votato a favore, nel suo complesso, della relazione Oomen-Ruijten sulla relazione 2007 relativa ai progressi compiuti dalla Turchia. Appoggiamo le riforme intraprese dalla Turchia verso la democrazia, il buon governo e lo Stato di diritto. Questi passi sono positivi sia per la Turchia che per l’UE e appoggiamo gli sforzi di tale paese verso la riforma.

Noi sottoscritti, tuttavia, non abbiamo votato a favore delle emendamento n. 14 relativo al paragrafo 16 della relazione, che comprende la frase “i diritti sessuali e riproduttivi”. Non abbiamo votato a favore di tale parte dell’emendamento per le ragioni esposte nella nostra dichiarazione congiunta al Parlamento nella plenaria del 13 marzo 2008.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione Oomen-Ruijten sui progressi della Turchia verso l’adesione all’UE nel 2007. Ritengo che la Turchia debba sia in grado di aderire all’Unione. Attualmente vi sono difficoltà su questioni relative ai diritti umani e sindacali e ai diritti delle minoranze, quali i curdi e i cristiani. Sono stati tuttavia compiuti dei progressi, sebbene lentamente, e vanno riconosciuti.

Ho appoggiato l’emendamento che tratta del genocidio armeno. So che risale a molto tempo fa, ma una nazione deve accettare la propria storia e a oggi la Turchia non ha accettato questa macchia sanguinosa del suo passato. Può non costituire un ostacolo definitivo all’adesione all’UE, ma in tutta onestà non possiamo semplicemente nasconderla sotto un tappeto turco troppo comodo.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Le osservazioni dell’onorevole Oomen-Ruijten nella sua relazione sui progressi compiuti dalla Turchia in vista dell’adesione dimostrano, come se fosse necessaria una qualche prova ulteriore, che la Turchia, in termini di civiltà, forma mentis, tradizioni – tutte senza dubbio assolutamente rispettabili – non è un paese europeo. Non è inoltre necessario guardare altrove per scoprire le ragioni delle immense difficoltà incontrate nel corso dei negoziati di adesione.

La Presidenza francese, che inizia il 1° luglio, può costituire l’occasione per sollevare tale fondamentale ambiguità: la finzione della vocazione europea della Turchia come è stata esposta nel Trattato del 1963. Tradendo le sue promesse elettorali, ora Nicholas Sarkozy afferma di voler portare avanti i negoziati e in effetti di avviare nuovi negoziati su tutti i capitoli che”non direttamente legati all’adesione”, secondo una formula tanto demagogica quanto ipocritica, che non risolve alcun problema. Chi si può far credere che si dicute solo una “quasi adesione”?.

Temo che l’unico obiettivo di mantenere, nella Costituzione francese, l’obbligo di consultare il popolo in merito a qualsiasi nuova adesione europea sia di lasciare ai cittadini e solo ai cittadini la responsabilità di 45 anni di codardia politica e diplomatica non imputabile alla Turchia stessa, ma solo ai loro governi.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Nonostante talune contraddizioni, è un fatto che la Turchia sia strategicamente importante per le ambizioni dell’UE, in particolare data l’attuale crisi sempre più profonda del sistema capitalista.

Mentre resta in dubbio il suo status finale – piena adesione all’UE o a una futura Unione mediterranea – ciò che sembra essere certo è che l’UE stia cercando di trovare soluzioni che servono meglio gli interessi di un importante gruppo finanziario ed economico nei principali paesi, in particolare in Germania.

La Turchia offre un mercato enorme che risveglia diversi appetiti. E’ un paese vasto con un’abbondante forza lavoro a basso costo e una nutrita scorta di consumatori, a cui, tuttavia, non è permesso di commemorare il 1° maggio, come si è visto di recente nella brutale repressione dei membri sindacali e dei dimostranti da parte delle forze di sicurezza turche. E’ un territorio esteso che occupa una posizione geostrategica rilevante tra Europa, Asia e Medio Oriente, che gioca un ruolo centrale nella controversia sulla proprietà e l’accesso alle risorse energetiche dell’Asia centrale (quali il progetto Nabucco) e che ha un ruolo fondamentale da svolgere nel partenariato USA-NATO-UE.

La Turchia è altresì un paese le cui autorità occupano militarmente e illegalmente parte del territorio di uno Stato membro dell’UE, Cipro.

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL), per iscritto. − (CS) Sebbene la proposta di risoluzione del Parlamento europeo citi diversi documenti, mancano le informazioni fondamentali. La Turchia è un paese candidato dal 1963. Sono sempre state discusse le condizioni per l’avvio dei negoziati. I cosiddetti criteri di Copenaghen, fissati nel 1993, non si trovano nei preamboli di apertura del documento.

Quando affondiamo i denti nella relazione 2007 relativa ai progressi compiuti dalla Turchia della Commissione europea, scopriamo che, sebbene siano stati compiuti alcuni progressi, la normativa adottata in merito alle minoranze nazionali non è stata ancora attuata a sufficienza. Il fatto che circa il 10 per cento della popolazione turca in grado di lavorare sia occupata nei paesi dell’UE è un indicatore delle relazioni di lunga data tra la Turchia e l’UE. Ciò che ci sorprenderà è lo stato di attuazione delle norme nel settore economico, ad oggi piuttosto discutibile. Sebbene tali norme siano ufficialmente racchiuse nella normativa turca, nell’affrontare singoli casi osserviamo spesso un approccio molto “non europeo”.

Possiamo dire che, sebbene la Turchia abbia conseguito un successo significativo, ad oggi in molti settori le differenze tra la Turchia e la maggior parte dei paesi dell’UE (ivi compresi gli Stati dei Balcani) non sono diminuite in modo significativo. L’influenza dell’esercito sul sistema politico del paese e il potente status dell’islam sunnita costituiscono le caratteristiche più ovvie della società turca, distinguendola dai paesi dell’UE. La relazione dipinge l’attuale situazione della società piuttosto accuratamente. Sebbene il paragrafo 12 della risoluzione non sia equilibrato, il gruppo GUE/NGL voterà a favore del testo.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) La relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten illustra l’autismo dei leader dell’Europa di Bruxelles che negano l’evidenza: la Turchia è un paese asiatico.

La loro cecità li porta a negare le prevedibili conseguenze della sua adesione. Con una popolazione di più di 100 milioni di abitanti entro il 2020, la Turchia sarà lo Stato più popoloso e pertanto quello più importante in seno alle istituzioni europee. Ciò significa che il nostro Parlamento corre il rischio di essere dominato non dal gruppo PPE-DE o dal gruppo socialista, bensì dagli islamisti dell’AKP. La Turchia sarà inoltre il paese a ricevere più assistenza: le regioni turche assorbiranno la maggior parte dei Fondi strutturali e i suoi 10 milioni di agricoltori distruggeranno la politica agricola comune.

Questo rifiuto di accettare la realtà porta i nostri governi anche a ignorare i desideri dei popoli d’Europa. Di conseguenza, avendo imposto il Trattato costituzionale europeo alla Francia, che il paese aveva respinto nel 2005, Nicholas Sarkozy si sta preparando a eliminare l’articolo 88.5 della Costituzione, sottoponendo a referendum l’adesione all’UE di nuovi Stati membri.

Se Bruxelles riuscisse a imporre l’adesione della Turchia, dovremmo proporre alle nostre nazioni di abbandonare un tale insieme, che di europeo avrebbe solo il nome, al fine di costruire un’altra Europa, un’Europa europea: l’Europa delle nazioni.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione sui progressi compiuti dalla Turchia verso l’adesione all’UE nel 2007.

Desidero tuttavia esprimere il mio sgomento nel leggere sul giornale tedesco Die Welt che la Turchia, che ama essere dipinta come un paese islamico moderato, ha promulgato una legge che vieta di acquistare vino e di servirlo in bicchiere al pubblico.

Il vino costituisce un prezioso elemento della cultura europea che viene legalmente prodotto in gran parte degli Stati membri dell’UE e che può essere venduto e consumato in tutti gli Stati membri.

Tale legge è incompatibile con la piena adesione all’UE. Tutti i beni prodotti legalmente – ivi compreso il vino – sono beni, la cui libera circolazione nel mercato interno deve essere garantita. Tale divieto viola anche le norme antidiscriminazione dell’UE. Un paese che limita la libera circolazione di qualsiasi bene prodotto legalmente da un altro Stato membro non può essere un membro a pieno titolo dell’UE.

Il Primo Ministro Erdoğan ha promesso che il 2008 sarebbe stato l’anno della riforma, destinata a rendere la Turchia una democrazia moderna fondata su uno Stato laico e una società pluralista.

Considerato il divieto turco sulla vendita e il consumo del vino in bicchiere, desidero chiedere se tale promessa equivale a “parole, parole al vento”.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) La relazione 2007 relativa ai progressi compiti dalla Turchia dell’onorevole Ria Oomen-Ruijten costituisce un’analisi completa e incoraggiante dei progressi del paese verso l’adesione. La Turchia sembra aver compiuto progressi in ambiti quali la libertà di parola e la riforma giudiziaria. Anche le proposte del governo di riformare l’articolo 301, un ostacolo alla piena libertà democratica nel paese, devono essere accolte con favore. Sono senza dubbio necessari ulteriori sforzi nei settori relativi ai diritti delle minoranze del paese ed è preoccupante l’attuale caso in esame alla Corte costituzionale. Appoggio le raccomandazioni della relazione e ho votato a favore.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE), per iscritto. − (SK) Accolgo con favore la relazione 2007 relativa ai progressi compiuti dalla Turchia della mia collega, l’onorevole Oomen-Ruijten, che esorta il governo turco a rispettare le sue promesse di perseguire le riforme e di modernizzare il paese. Desidero altresì esprimere la mia opinione sostenuta da lungo tempo, che è anche l’opinione della grande maggioranza degli europei, che l’UE non debba offrire alla Turchia prospettive di piena adesione. Sotto il profilo geografico, culturale e spirituale, la Turchia si trova al di fuori del concetto di identità europea. Oltre a ciò, il bilancio dell’UE non è e non sarà in grado di far fronte agli oneri che comporterebbe la piena adesione della Turchia. Detto ciò, appoggio la visione di una stretta cooperazione, il cosiddetto “partenariato strategico” tra l’UE e la Turchia. In questa luce, comprendo anche l’importanza di tale relazione.

Accolgo con favore il fatto che la Turchia abbia compiuto dei progressi in diversi ambiti nel 2007. Nonostante ciò, la triste situazione dei diritti umani continua a persistere. Nel contesto della presente relazione, dobbiamo insistere maggiormente sul miglioramento della situazione delle minoranze nazionale (vale a dire la minoranza curda) e sull’introduzione della completa libertà di parola e di religione. Appoggio inoltre la richiesta di abrogare l’articolo 301 del codice penale e di riaprire immediatamente il seminario greco-ortodosso di Halki. Dobbiamo altresì chiedere alla Turchia di guardare al suo passato e di accettare la realtà del genocidio armeno, così come l’illegalità dell’interferenza militare a Cipro.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) La Turchia dimostra sistematicamente di non essere pronta per l’adesione all’UE, opprimendo le minoranze, lanciando razzi contro un paese vicino e, più recentemente, ponendo il veto alla nomina del capo della squadra austriaca per gli scavi archeologici di Efeso, apparentemente a causa di osservazioni antiturche da parte di un membro della sua famiglia. Le modifiche cosmetiche all’articolo del codice penale che proibisce di denigrare la Turchia e la cultura turca stanno distogliendo l’attenzione di Bruxelles dall’impiego della forza bruta conto i dimostranti e dagli atti di aggressione militare contro l’Iraq settentrionale.

Considerato il fatto che la Turchia non è pronta per l’adesione all’UE, l’unica opzione è l’immediata sospensione dei negoziati di adesione; si potrebbero condurre in alternativa dialoghi su un partenariato privilegiato.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ogni relazione sulla Turchia è espressione dei competitivi progetti imperialisti su tale paese. Questa particolare relazione ha optato per appoggiare il governo turco, cercando di porre un’enfasi eccessiva sui progressi che la Turchia sta compiendo in diversi settori, il che è contrario ai fatti. Come d’abitudine, la relazione tesse le lodi dei diritti democratici, nonostante la ben nota politica repressiva e autocratica del governo turco, come è stato dimostrato di recente dalla brutale repressione delle dimostrazioni del 1° maggio. La relazione tollera la politica anticurda della Turchia.

La relazione appoggia indirettamente gli attacchi turchi sul territorio iracheno. Mentre condanna la “violenza” perpetrata dal PKK e da “altri gruppi terroristici”, consiglia soltanto l’esercito turco di non impegnarsi in “operazioni militari sproporzionate”.

La relazione sorvola sulla continua occupazione turca di Cipro ed evita categoricamente e incondizionatamente di richiedere il ritiro delle forze militari turche.

La relazione accoglie con favore la partecipazione attiva della Turchia nelle missioni e negli interventi imperialisti dell’UE e della NATO. Data la posizione della Turchia nel sistema imperialista e la sua competitività in un contesto più ampio, l’UE mira a utilizzare il processo di adesione a suo vantaggio al fine di ottenere il controllo delle risorse energetiche e geostrategiche nel medesimo contesto.

Per tali ragioni non votiamo a favore della relazione.

 
  
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  Lydie Polfer (ALDE), per iscritto. – (FR) La relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten è estremamente equilibrata: accoglie con favore le iniziative legislative delle autorità turche volte a continuare il processo di riforma, ma esercita altresì pressione per aumentare il ritmo della riforma al fine di garantire il rispetto dei principi dello Stato di diritto.

Anche la questione curda, ivi compresi i suoi aspetti culturali ed economici, deve essere affrontata.

Allo steso modo, la questione delle pari opportunità per le donne deve essere inserita nel nuovo progetto di costituzione.

Si chiede inoltre al governo turco di rispettare il pluralismo e la diversità religiosa in uno Stato laico democratico.

I negoziati possono continuare solo con la piena osservanza dei principi e dei valori dell’Unione europea.

 
  
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  Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) I progressi compiuti in diverse aree della società, l’economia e la politica degli ultimi anni ci offrono una buona ragione per sottolineare come il desiderio di aderire all’Unione europea possa portare con successo a riforme importanti in paesi in cui esiste tale possibilità. Dato che la Turchia rientra in questo caso e dato che tali negoziati sono sempre rimasti aperti, non vi è più alcuna necessità di sottolineare l’importanza di trarre pieno vantaggio da questa opportunità al fine, indipendentemente dal risultato dei negoziati, di promuovere in Turchia le riforme più complete ed essenziali.

Unitamente al riconoscimento dato dalla presente relazione – così come dalle affermazioni fatte dagli alti funzionari dell’UE, in particolare dal Presidente della Commissione – non possiamo non essere preoccupati circa i procedimenti giudiziari avviati contro il partito AK. Sebbene il fatto che non vi sia stato alcun intervento militare è auspicabile, continuiamo a deplorare tale tentativo di ottenere, attraverso i tribunali, ciò che le urne hanno negato. D’altro canto, sono preoccupanti anche i dubbi persistenti riguardo alle vere intenzioni del partito AK. La difesa della libertà di religione, per come la intendiamo nell’Unione europea, merita il nostro accordo. L’imposizione diffusa di una visione religiosa su tutta la società sarebbe inaccettabile.

 
  
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  Toomas Savi (ALDE), per iscritto. (EN) Avendo appoggiato la relazione, desidero ricordarvi che il primo discorso che ho tenuto in quest’Assemblea il 13 dicembre 2004, relativo ai progressi della Turchia verso l’adesione, insistendo sul fatto che prima ancora di prendere in considerazione l’adesione, la Turchia deve prima riconoscere il legittimo governo greco-cipriota, riconoscere il genocidio armeno del 1915 e migliorare la situazione della più grande nazione senza Stato a livello mondiale, i curdi.

In quattro anni, nessuna di tali questioni è stata risolta. Non vi è stato alcun progresso notevole nelle relazioni turche con Cipro, nessun segnale di volontà ad ammettere i crimini passati. L’esercito turco, invece, con l’autorizzazione del parlamento turco, sta mettendo in atto un genocidio contro i curdi. L’Unione europea deve assumere una posizione più ferma sulla Turchia e sospendere i negoziati fintanto che le sopramenzionate questioni non siano state risolte.

 
  
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  Jacques Toubon (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Non votando a favore della relazione della commissione per gli affari esteri sulla situazione i Turchia, la delegazione francese dell’UMP desidera affermare che la Commissione, i governi degli Stati membri e il Parlamento europeo commettono un errore a continuare ad alimentare l’illusione di un’adesione della Turchia.

L’UMP non si oppone alla relazione dell’onorevole Ria Oomen-Ruijten, che è di qualità eccellente, ma a un rifiuto di prendere in considerazione la realtà della Turchia e la sua politica, che è in contraddizione con il nostro progetto di integrazione europea.

 
  
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  Dominique Vlasto (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Non ho votato a favore della presente relazione e della proposta di risoluzione al fine di ribadire ancora una volta di essere contrario al principio di adesione all’UE della Turchia. La Commissione europea, i governi degli Stati membri e il Parlamento europeo commettono un errore a continuare ad alimentare quest’illusione, che inganna i cittadini sia turchi che europei. Mi rifiuto di associarmi a un atteggiamento politico che non tiene conto della realtà della Turchia e della sua politica, che è in contraddizione con il nostro progetto di integrazione europea.

Se l’Europa è uno spazio di valori condivisi, non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle inquietanti tendenze delle autorità turche in relazione ai principi dello Stato di diritto, della libertà d’espressione e di pensiero o del rispetto dei diritti delle minoranze. mantenere una linea morbida nei confronti delle autorità turche in relazione alle loro responsabilità costituisce un errore strategico che le allontana dai progressi da compiere, non tanto per l’adesione all’UE, ma affinché la popolazione turca di raccogliere i vantaggi dei suoi diritti fondamentali e dello sviluppo sociale ed economico in Turchia.

Un partenariato privilegiato con la Turchia contribuirà a raggiungere tali obiettivi nel rispetto dell’integrità di entrambe le parti.

 

8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
  

(La seduta, sospesa alle 13.50, è ripresa alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. DIANA WALLIS
Vicepresidente

 

9. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale

10. Tragica situazione in Birmania (discussione)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla tragica situazione in Birmania.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Siamo tutti ancora scossi dalla sofferenza umana che il devastante ciclone Nargis ha causato alla povera e oppressa popolazione della Birmania, o Myanmar.

Abbiamo espresso le più sentite condoglianze dell’Unione europea in numerose dichiarazioni pubblicate successivamente al disastro. L’Unione europea, inoltre, ha immediatamente promesso fondi urgenti a sostegno delle necessità umanitarie. A oggi gli impegni dell’Unione hanno superato i 60 milioni di euro. Va sottolineato al contempo che la somma promessa integra gli aiuti già esistenti forniti dall’Unione europea, il che non corrisponde a un importo esiguo.

Nonostante ciò, la questione fondamentale continua a essere l’accesso alle aree colpite e come distribuire gli aiuti rapidamente. Lo scorso martedì, la Presidenza, in collaborazione con il Commissario Louis Michel, ha convocato una sessione straordinaria del Consiglio dell’Unione europea. In tale occasione, i ministri per lo sviluppo erano concordi sull’esistenza del pericolo di una tragedia ancora più grande, se le autorità birmane non fossero state pronte a una migliore collaborazione.

La situazione è ancora critica. Ecco perché il Consiglio europeo ha esortato le autorità birmane a introdurre misure urgenti volte a facilitare l’accesso agli aiuti destinati alle persone che si trovano in serie difficoltà. Il Consiglio ha accolto con favore gli sforzi compiuti dal Commissario Louis Michel per convincere le autorità in Birmania/Myanmar che gli aiuti umanitari sono urgenti e neutrali. Al contempo deploriamo il fatto che le autorità birmane non siano pronte a fare uso di tutti gli aiuti che l’Unione europea e la comunità internazionale sono pronte a fornire.

Il Consiglio ha inoltre espresso il suo pieno appoggio al Segretario generale dell’ONU e a tutte le iniziative offerte dagli organismi ONU, che contribuirebbero a soddisfare le esigenze umanitarie. Accogliamo altresì con favore la visita in Birmania del Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, in programma per domani.

Il Consiglio ha sollevato la questione della situazione in Birmania in occasione di tutti gli incontri politici tenutisi ultimamente con i partner asiatici. I paesi asiatici sono stati invitati a esercitare pressione sulle autorità birmane e a convincerle che la natura degli aiuti umanitari internazionali è neutrale e imparziale.

Il 19 maggio i ministri degli Esteri degli Stati membri dell’ASEAN si sono incontrati a Singapore. L’Unione europea aveva precedentemente presentato loro un’iniziativa volta a chiedere ai paesi della regione di esercitare pressione sulle autorità birmane, affinché aprissero le frontiere agli aiuti umanitari e agli operatori umanitari.

Lunedì 26 maggio il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” discuterà in merito alla situazione umanitaria in Birmania e al diniego di far accedere alle zone colpite gli esperti nel campo degli aiuti umanitari e di distribuire gli aiuti.

La Birmania, o Myanmar, continua inoltre a essere un argomento prioritario nelle discussioni del Consiglio, a causa della situazione politica del paese. Il fatto che, nonostante le enormi proporzioni del disastro, la giunta militare non abbia cancellato il referendum nazionale è causa di preoccupazione. Riteniamo che ciò possa portare a irregolarità nella procedura di adozione della nuova costituzione.

Siamo altresì preoccupati a causa delle notizie relative all’intensificarsi delle intimidazioni durante il periodo dei preparativi del referendum. Desidero sottolineare che l’Unione europea è anche delusa perché le autorità non hanno prestato alcuna attenzione alle richieste delle Nazioni Unite di una transizione più inclusiva e maggiormente legittima verso la democrazia. Desidero ribadire che l’Unione europea continuerà ad appoggiare gli sforzi delle Nazioni Unite.

Vi prego infine di notare che il 29 aprile l’Unione europea ha rivisto la posizione comune adottata nel novembre 2007. Tale posizione, adottata come risposta alla repressione di proteste pacifiche, d’ora in poi comprenderà misure restrittive più risolute contro la Birmania.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, desidero innanzi tutto ringraziarvi per aver inserito la Birmania nell’ordine del giorno della sessione.

Considerate le proporzioni della catastrofe causata il 2 maggio dal ciclone Nargis, abbiamo suggerito alla Presidenza di convocare una sessione straordinaria del Consiglio dei ministri degli Affari esteri dell’UE. La sessione del Consiglio è stata convocata il più presto possibile da parte della Presidenza slovena, che desidero ringraziare, e si è tenuta il 12 maggio.

In occasione dell’incontro, l’UE ha chiesto maggiore cooperazione da parte delle autorità birmane al fine di consentire l’accesso e la distribuzione di aiuti umanitari internazionali. Ho deciso di dare seguito alla richiesta direttamente, recandomi in visita in Birmania il 15 e 16 maggio. Nel corso della mia missione, che ho chiarito essere strettamente umanitaria e non politica, ho potuto incontrare le autorità birmane e i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie in Birmania e mi sono recato in visita, sul posto, alle aree colpite intorno a Yangon. Ho avuto due ore e mezza di discussioni e incontri molto intensi con il ministro della Pianificazione – che deteneva ovviamente l’autorità maggiore ed era senza dubbio il più autoritario dei tre che ho incontrato – il ministro del Welfare e il ministro della Sanità.

Ciò che è emerso molto chiaramente dalla mia missione è stato che le autorità birmane sono ancora estremamente riluttanti a creare le condizioni operative normalmente richieste per fornire una risposta umanitaria internazionale volta a far fronte alle necessità locali. Mi è altrettanto chiaro che un approccio, che cerca di imporre aiuti umanitari internazionali alle autorità birmane, tenendo debitamente conto dei mezzi attuali, è destinato a fallire e persino a rivelarsi controproducente. Ciò mi è stato detto da tutte le organizzazioni umanitarie in Birmania, le quali hanno confermato che, visto che una mancanza di mezzi dipende senza dubbio anche dall’accesso di esperti e professionisti internazionali, il problema ovviamente non è la mancanza di organizzazioni sul posto o persino di fondi, ma piuttosto la mancanza di accesso.

La mia missione ha senza dubbio apportato un contributo modesto all’apertura di una piccola finestra volta a creare gradualmente uno spazio umanitario minimo per gli aiuti umanitari internazionali. Le autorità birmane hanno fornito una risposta parziale alle diverse richieste specifiche: ad esempio, sono stati estesi di due settimane i visti degli esperti che operano per la Commissione. E’ stato rilasciato loro un visto della durata di tre giorni, che è stato esteso di due settimane. Avevamo richiesto un mese.

Abbiamo altresì chiarito una situazione che si presentava davvero grave. In alcune zone, le autorità locali chiedevano un permesso, e pertanto un’autorizzazione scritta, anche per gli operatori locali, vale a dire personale impiegato dalle loro stesse agenzie, dall’ONU o dalle ONG e nella maggior parte dei casi ciò è stato senza dubbio impossibile. Ciò è stato chiarito e ovviamente non è richiesta alcuna autorizzazione per gli operatori locali. L’autorizzazione non è più necessaria anche per entrare nelle zone colpite dall’evento calamitoso, in particolare l’aeroporto di Pathein. Ho inoltre richiesto l’apertura di un secondo aeroporto per gli aerei in arrivo con le apparecchiature, in altre parole l’aeroporto Pathein che è un aeroporto militare. Mi è stato detto che non era possibile perché gli standard tecnici utilizzati dalla torre di controllo differiscono dalle norme internazionali e che, in ogni caso, ciò non renderebbe in alcun modo più semplice il lavoro dato che le strade tra Rangoon e il delta, la zona maggiormente colpita, si trovavano in condizioni molto migliori e quindi utilizzabili molto più facilmente. Purtroppo non ho ricevuto alcuna autorizzazione per controllare in prima persona questo tipo di informazione.

Ritengo che sia importante mantenere la pressione internazionale, sia da parte dei paesi vicini che da parte della comunità internazionale nel suo complesso. Desidero dire che, nei miei colloqui con le autorità, ho altresì avanzato una specifica richiesta – in effetti ho avanzato cinque richieste specifiche di cui vi parlerò brevemente tra un istante – di permettere l’operato di medici e personale medico dei paesi vicini nelle zone maggiormente colpite ed essi hanno ottenuto l’autorizzazione il giorno che sono partito. Ciò significa che sono stati mobilitati 140 medici oltre al personale medico proveniente da Laos, Cambogia, India, Bangladesh e Thailandia, che hanno pertanto potuto visitare le zone maggiormente colpite. Il ruolo che i paesi vicini devono giocare è fondamentale e ho altresì potuto avere un colloquio molto lungo con il Segretario generale Ban Ki-moon mentre aspettavo l’aereo per tornare a Bangkok. Gli ho comunicato tutte queste informazioni e gli ho espresso le mie sensazioni in merito alla questione, oltre a raccontargli come si è svolta la missione.

Il Segretario generale dell’ONU ha concordato riguardo all’analisi, ma lui stesso ha avanzato due specifici suggerimenti: dispiegare un coordinatore congiunto ONU/ASEAN degli aiuti umanitari e organizzare rapidamente a Bangkok il 24 e il 25 maggio una conferenza dei donatori copresieduta dall’ONU e dall’ASEAN. In seguito alla recente visita del coordinatore ONU degli aiuti umanitari, John Holmes, domani il Segretario generale Ban Ki-moon visiterà la Birmania al fine di discutere come incanalare gli aiuti internazionali.

Per quanto riguarda le necessità, la situazione umanitaria in Birmania resta drammatica. Vi è il pericolo che la prima catastrofe causata dal ciclone possa essere aggravata da una seconda catastrofe umanitaria: il rischio di carestia, dato che i raccolti sono andati distrutti, oltre alle epidemie tra i sopravvissuti le cui condizioni di vita sono deplorevoli. Vi è un rischio di epidemia. Mentre ci trovavamo in Birmania, l’Organizzazione mondiale della sanità non individuato alcun rischio di colera, ma un gran numero di bambini soffriva di diarrea e così via. Ciò significa che poteva scoppiare un’epidemia a causa dell’inquinamento delle acque. Vi è altresì un rischio di carestia. La regione accumula grandi quantità di riso, e tutti i prodotti alimentari nei depositi andati tutti distrutti.

Si pone un problema pratico: queste terre andrebbero seminate al fine di garantire il raccolto di ottobre. Il ritardo è pertanto al massimo di tre o quattro settimane. Un certo numero di persone che si trova nei campi temporanei, come li chiamano, non desiderano tornare alle loro terre per motivi di vario genere, mentre altre desiderano fare ritorno, ma necessitano di tipi particolari di semi, dato che tutte le terre hanno subito una salinizzazione e necessitano di conseguenza di piante molto più resistenti oltre che di fertilizzanti. A tale riguardo, pertanto, ho tentato di intraprendere un dialogo concreto e costruttivo con le autorità. Si è pensato che il regime di microcredito dell’UNDP potrebbe essere utilizzato come meccanismo finanziario. Al momento siamo ancora impegnati a discuterne. Devo dirvi che non si tratta di un processo rapido.

La Commissione ha fornito una risposta rapida, con una decisione d’urgenza di due milioni di euro adottata il 5 maggio. Com’è noto, sono autorizzato a rilasciare immediatamente tre milioni di euro senza passare per alcuna procedura ufficiale. Certamente, dato che non avevamo alcuna individuazione, abbiamo iniziato erogando due milioni. Abbiamo successivamente deciso per una copertura di cinque milioni di euro in aiuti alimentari, oltre a un’ulteriore copertura d’urgenza di dieci milioni di euro. Siamo senza dubbio intenzionati a fare di più in base alle valutazioni dei bisogni e alle garanzie in termini di controllo degli aiuti.

Quanto sono partito dopo due ore e mezzo di confronto con le autorità, ho trasmesso loro una specifica nota che riprendeva per iscritto le diverse richieste che avevo avanzato. La mia prima richiesta riguardava l’estensione dei visti per coloro che operano temporaneamente in questa missione e cioè il personale della Commissione. Ci è stata concessa un’estensione di due settimane.

Ho altresì chiesto un chiarimento definitivo e che notificassero alle nostre autorità locali che il personale birmano presso le nostre agenzie e gli altri operatori non necesita più di un’autorizzazione ufficiale o di un visto. Questo punto è stato ovviamente chiarito.

Ho chiesto visti di sei mesi per più ingressi al fine di permettere alle ONG finanziate dall’UE che operano nel paese di triplicare il loro personale internazionale. Quando ho lasciato la Birmania vi erano circa un centinaio di domande di visto in sospeso per le agenzie ONU e poco più di un centinaio di domande delle ONG. Ho chiesto di essere informato regolarmente. Da allora ne sono stati rilasciati alcuni, ma siamo molto lontani da quanto è stato richiesto.

Ho inoltre sollecitato di concedere visti e autorizzazioni di viaggio per visitare il delta, nonché di garantire di poter mobilitare personale sufficiente. Come ho detto, ho poi chiesto il rapido rilascio di autorizzazioni per i medici nella zona e per il personale medico locale. Sembra che abbiano compreso perfettamente questo punto.

Per quanto concerne l’aeroporto di Pathein, che avrebbe potuto servire, in qualche modo, da hub di ridistribuzione dei prodotti in arrivo per via aerea dalla comunità internazionale, la risposta in questo caso è stata un secco “no”. La ragione, a loro avviso, era che le apparecchiature e i mezzi di controllo non erano conformi alle norme internazionali e che era molto più facile arrivare passando per Rangoon, affermazione di cui dubito perché, quando mi trovavo in Birmania, Rangoon era già sovraccarica e aveva diversi problemi che sono stati successivamente risolti sino a un certo punto. Non sono certo che siano stati risolti grazie al mio intervento. Si trattava semplicemente del fatto che non erano in grado di trovare un modo neppure per far funzionare l’aeroporto di Rangoon. Ho altresì l’impressione che tali operazioni siano state gestite in questo modo per ragioni di comodità istituzionale.

Tutto sommato, vi posso dire che si è trattata di una missione estremamente frustrante. Sento che vi è totale sfiducia da parte della comunità internazionale. Nel paese vi sono alcune preoccupazioni a priori molto radicate. Si ha a volte la netta impressione che sia un dialogo tra sordi. E’ estremamente difficile raggiungere la coscienza e la mentalità della persona a cui stiamo parlando. I colloqui sono andati bene perché per due ore e mezza abbiamo veramente discusso, in modo molto educato, ma anche fermo, perché ricorreva una domanda assillante: perché dire di no agli operatori internazionali che sono così necessari per aiutare la popolazione?

Ho altresì accennato alla responsabilità di proteggere, in particolare in questo modo, il che ha posto comunque un problema di principio. A quel punto mi è stato detto che talune domande non hanno bisogno di risposta. Ecco com’è andata la missione. Certo ero rattristato di non avere ottenuto nulla di più specifico, ma non vi nascondo che ero ben lieto di tornare in Europa.

 
  
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  Hartmut Nassauer, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, il Commissario ci ha fornito una descrizione grafica e persuasiva del modo in cui il governo militare al potere in Birmania sta cinicamente e brutalmente tradendo il suo stesso popolo.

Desidero rivolgermi a tal proposito all’Associazione delle nazioni asiatiche del sud-est e ai paesi membri dell’ASEAN. Per molti anni, il Parlamento europeo ha mantenuto relazioni amichevoli con i parlamentari dei paesi dell’ASEAN. Non molto tempo fa, tali paesi hanno sottoscritto una nuova Carta dell’ASEAN in cui affermano esplicitamente la loro adesione al principio del rispetto e della tutela dei diritti umani. Va da sé che l’ASEAN porta ha qualche responsabilità nei confronti della Birmania, che è uno dei suoi paesi membri, e che la reputazione dei paesi dell’ASEAN a livello mondiale ne risentirà se continua a lasciare che la giunta militare birmana agisca come fa ora.

Chiedo ai paesi membri dell’ASEAN, nei loro stessi migliori interessi e per il bene delle loro buone e amichevoli relazioni con l’Unione europea, di fare qualunque cosa sia in loro potere al fine di persuadere la giunta militare birmana che deve lasciare che il mondo esterno aiuti la popolazione del suo paese. Come ho segnalato, ciò rientra tra i poteri e le responsabilità dei paesi dell’ASEAN. Si chiederà loro come esercitano tale responsabilità e se l’utilizzo da parte loro della loro sfera d’azione per agire in merito a tale questione influenzerà o meno le nostre relazioni con l’ASEAN. Non devono agire mediante appelli pubblici – vi sono altri modi – ma l’Unione europea si aspetta che in particolare i vicini della Birmania facciano qualsiasi cosa è in loro potere per modificare l’atteggiamento del regime al potere.

 
  
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  Jan Marinus Wiersma, a nome del gruppo PSE. – (NL) Desidero iniziare complimentandomi con il Commissario a nome del mio gruppo. Oggi ha affermato chiaramente che sta facendo ciò che è in suo potere, in circostanze molto difficili. Egli stesso ha riferito che la situazione in Birmania assume forme bizzarre. Ora sono passate quasi tre settimana da quando il ciclone si è abbattuto sul paese e il governo sta ancora facendo entrare con difficoltà qualsiasi aiuto esterno. Le stesse autorità sembrano restare piuttosto passive. Il paese è stato chiuso agli operatori umanitari, agli esperti e ai mezzi d’informazione per settimane. E’ quasi kafkiano che una settimana fa la giunta abbia lasciato proseguire un referendum pensato per rafforzare la sua posizione.

Secondo diverse fonti, il numero di morti ufficiale è di circa 80 000. Decine di migliaia di persone sono ancora disperse e il numero degli sfollati supera i due milioni. Tali proporzioni stanno gradualmente diventando degne di Pol Pot, o almeno crediamo che sia così, semplicemente dato che le informazioni che escono dal paese sono poche proprio come gli aiuti che riescono a entrare. All’inizio di questa settimana, l’ex coordinatore ONU Jan Egeland ha affermato che rifiutare di lasciar entrare gli aiuti è omicidio. Il governo birmano sta trasformando la sua responsabilità di proteggere in una farsa. Il contrasto con la Cina, tragicamente colpita la scorsa settimana da un violento terremoto, è notevole. L’enorme devastazione non è stata coperta e dovunque è stato possibile vederla in TV, anche nella Cina stessa, e il governo cinese ha lanciato un appello internazionale per chiedere aiuto.

L’immagine del governo birmano non può più essere danneggiata maggiormente. Ha più o meno raggiunto il punto più basso di tutti i tempi. La Cina si trova nella posizione di fare molto di più per esortare il governo birmano ad accettare gli aiuti, così come la Russia e l’India che devono esercitare pressione sulla giunta o nell’ONU o nell’ASEAN. A tal proposito, concordo riguardo all’osservazione dell’onorevole Nassauer.

Lo scorso lunedì in seno all’ASEAN è stato raggiunto un accordo sugli aiuti internazionali per la Birmania. Tutti gli aiuti devono essere coordinati attraverso l’ASEAN. Si tratta di un passo avanti, ma sono ancora esclusi gli aiuti diretti provenienti dall’Occidente. La prossima settimana si terrà una conferenza dei donatori. Chiedo all’Europa di contribuire generosamente e senza riserve, ma solo se vengono date garanzie in merito al fatto che il nostro contributo finisca effettivamente nel posto giusto e che sia concesso l’ingresso nel paese anche ai giornalisti, così che possiamo ottenere il giusto quadro della situazione.

 
  
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  Jules Maaten, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Quante volte prima d’ora ci siamo trovati alzati in quest’Aula a parlare della Birmania? Molte volte all’anno ci troviamo qui e il caso resta ancora senza speranze.

La situazione in Birmania, tuttavia, è persino peggiorata rispetto all’ultima volta che ne abbiamo parlato. 1,4 milioni di vittime non hanno ancora ricevuto alcun aiuto. 30 000 bambini soffrono di malnutrizione acuta. Centinaia di migliaia di senza tetto e a rischio di colera, polmonite e malattie infettive. Mi risulta che questa mattina sia stato permesso a ben otto medici stranieri di Médecins sans frontières di accedere alla zona colpita.

Desidero in ogni caso appoggiare l’appello lanciato dall’onorevole Nassauer all’ASEAN. Ora deve finalmente mostrare determinazione, perché è palese che la giunta sia maggiormente interessata alla sopravvivenza del suo stesso regime mediante il referendum, che non è degno di questo nome – l’onorevole Wiersma lo definisce “kafkiano” – che non alla sopravvivenza della sua stessa popolazione. I generali pensano che gli stranieri che entrano nel paese minaccerebbero la sopravvivenza del loro regime militare.

E’ palese, tuttavia, che Médecins sans frontières, Oxfam, le navi britanniche, francesi e statunitensi stiano portando beni umanitari e non un cambiamento di regime, che tuttavia io stesso mi augurerei molto. Eppure, possiamo apparentemente non convincere di ciò la giunta, e pertanto dobbiamo cercare alternative. Ritengo che l’alternativa migliore sia il Consiglio di sicurezza. L’Europa e gli Stati Uniti devono insistere sul fatto che la situazione in Birmania sia inserita nell’ordine del giorno. Tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno sottoscritto i seguenti due principi: accettare la responsabilità di difendere i cittadini e, se un paese non è più in grado o non intende più farlo, il diritto della comunità internazionale di intervenire nel caso di catastrofi.

Le Nazioni Unite devono intervenire. Comprendo i problemi e sono orgoglioso del Commissario Michel, che, anziché torcersi le mani e riunire gruppi di lavoro, è semplicemente venuto al sodo con il motto “fatti, non parole”, il che mi ha colpito. Ritengo inoltre che l’appoggio promesso dall’Unione europea sia esemplare. Ritengo che il ministro francese Bernard Kouchner abbia ragione nel dire che la giunta è colpevole di un crimine contro l’umanità. Mi domando perché noi, gli altri 26 Stati membri dell’UE, non ascoltiamo come si deve.

Signora Presidente, si devono portare aiuti al popolo birmano, con o senza il consenso della giunta. Rifiutare un appoggio essenziale è un crimine contro l’umanità desidero che l’Unione europea prenda l’iniziativa nel far sì che le Nazioni Unite e il Consiglio di sicurezza riferiscano questo caso al procuratore della Corte penale internazionale de L’Aia. Quel che troppo è troppo, la pazienza ha un limite. Direi di trascinare la giunta dinnanzi alla Corte penale internazionale. Questo è ciò che vogliamo. Per come è ora la situazione, è l’unica a dover stare dietro le sbarre e non i dissidenti della Birmania!

 
  
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  Daniel Cohn-Bendit, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signora Presidente, penso che dobbiamo essere un po’ più precisi nel modo in cui parliamo di tale questione; ad esempio, il concetto di neutralità. Non siamo neutrali. Se siamo per il popolo birmano, significa che siamo contro la giunta militare. Dato che la giunta militare non ha alcuna intenzione di aiutare la popolazione birmana, siamo contro la giunta militare. Non la dobbiamo appoggiare, ma così è precisamente come veniamo percepiti.

Louis Michel ha discusso per due ore e mezza. Tutta questa storia ha un che di surreale: dice di essere andato là, di aver parlato loro per due ore e mezza, che gli è stato detto che tale aeroporto non può essere mobilitato in 24 ore, ma a Sarajevo sono stati forniti gli impianti tecnici per aprire un aeroporto. Questo non è il vero problema.

E’ pertanto ovvio che ci troviamo in una situazione molto particolare e sono d’accordo: la responsabilità di proteggere significa che la giunta militare sta commettendo un crimine contro l’umanità, contro il suo stesso popolo. E’ un dato di fatto. Si vedrà nei dibattiti pubblici a seguire cosa ne sarà di questo stato di cose. E’ tuttavia vero che questo caso ovvio vada sottoposto alla Corte internazionale di giustizia. La cosa più interessante è che facendo così ci rivolgiamo al Consiglio di sicurezza e i protettori della Birmania, la Cina, parlano in effetti in una lingua alquanto inintelligibile.

In effetti potremmo dire che la Cina può aver fatto la cosa giusta aprendo le sue frontiere, ma che al contempo continua a proteggere la Birmania e che continua a proteggere un governo che sta massacrando la sua stessa popolazione.

Di conseguenza, penso che in tale situazione sia ovvio che nessuno sappia come imporre del cibo. Ciononostante dobbiamo esercitare pressione, tutta la pressione che possiamo. Persino una soluzione possibile che implica assistenza manu militari offrirebbe a noi e ai paesi in Asia qualche possibilità per esercitare pressione sulla Birmania. Credo che l’intervento di oggi di Louis Michel sia alquanto esplicito: parlami tesoro, parlami, ti ascolto, ma non me ne potrebbe importare di meno. Questo è ciò che ci ha detto oggi alla sua maniera diplomatica, per la quale nutro il massimo rispetto.

Oggi, tuttavia, le autorità birmane sono sorde. Non ascolta, non sono interessate in un referendum costituzionale, come è stato affermato. Si stanno prendendo gioco di tutti. D’ora in poi, pertanto, si deve aumentare al massimo la pressione e dobbiamo chiedere che le conseguenze siano sottoposte al Consiglio di sicurezza e al Tribunale penale internazionale dell’Aia.

 
  
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  Brian Crowley (UEN)(GA) Signora Presidente, sono passate quasi tre settimane da quando il ciclone Nagris si è abbattuto sulla Birmania, distruggendo i porti e i delta dell’Ayeyarwady. Ha distrutto case e città, uccidendo lasciando senza casa migliaia di persone.

(EN) La storia ci ha insegnato che, a meno che non reagiamo immediatamente quando le persone soffrono, le loro sofferenze sono destinate ad aumentare per multipli e fattori ben al di là della nostra concezione.

Il fallimento del regime birmano riflette in molti modi quanto abbiamo osservato in questo Parlamento nel corso degli ultimi anni, riguardo alla giunta militare che si trova attualmente al potere in Birmania. Tuttavia, nonostante il nostro dissenso nei confronti di tale giunta militare, dobbiamo trovare meccanismi – a prescindere da come siano stati raggiunti – per fornire aiuti direttamente alla popolazione. Accolgo con favore il fatto – e non pensavo più di tanto che oggi l’avrei detto – che ora la giunta militare abbia permesso a cinque elicotteri delle Nazioni Unite di entrare e distribuire alimenti, nonostante la nave militare francese e le navi militari americane si trovino nella baia ed attendano di distribuire cibo e assistenza medica alla popolazione.

Per tutti noi è doveroso garantire di poter compiere i migliori sforzi possibili per assistere gli esseri umani che soffrono. Senza dubbio, riguardo a quei grandi difensori della Birmania, la Cina, la Birmania potrebbe imparare dal modo in cui i cinesi hanno reagito alla calamità naturale che li ha colpiti più di recente, chiedendo assistenza e aiuti internazionali al Giappone e ad altri paesi. Se tutto va per il meglio possiamo creare tra questi diversi alleati le condizioni attraverso le quali poter fornire aiuti e soccorso.

La questione riguardante il Tribunale penale internazionale è da trattare in un altro momento. Il nostro primo e immediato obiettivo nonché compito, in seguito a quanto Louis Michel ha già affermato, è garantire l’attuazione di meccanismi volti a fornire tali aiuti, a ricostruire le infrastrutture, a ricostruire le case e, soprattutto, a impedire che la popolazione birmana continui a soffrire.

 
  
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  Jim Allister (NI). - (EN) Signor Presidente, un regime che permette ingiustificatamente che la sua popolazione soffra inutilmente perseguendo la sua stessa paranoia xenofoba non è solo amorale ma anche crudele e purtroppo tale giunta governa in Birmania. Indifferente com’è di fronte alla triste condizione del suo stesso popolo, è improbabile che sia influenzata da quanto viene detto nel Parlamento europeo, ma, nel nome dell’umanità, dobbiamo parlare.

Non cerchiamo di controllare la Birmania, cerchiamo solo di aiutare il suo popolo, sebbene la realtà sia che, sul lungo periodo, senza un cambiamento di regime, per la popolazione birmana saranno pochi i miglioramenti. Sì, dobbiamo massimizzare gli aiuti umanitari, considerando il paracadutare di cibo e rifornimenti come una tattica necessaria; ma fondamentalmente ristabilire la democrazia è come questo paese, che una volta era prospero, reclamerà il suo posto e porrà i bisogni della popolazione prima della conservazione della giunta.

 
  
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  Urszula Gacek (PPE-DE). - (EN) Signora Presidente, desidero innanzi tutto esprimere le mie più sentite condoglianze per tutte le persone della Birmania, che sono in lutto, e la mia solidarietà a quelle rimaste ferite a causa degli effetti del ciclone Nargis. Il popolo birmano è nei pensieri e nelle preghiere di molti europei. Le nostre condoglianze non sono tuttavia sufficienti. Dobbiamo discutere misure pratiche e vedere come possiamo attuarle in modo tale da alleviare la sofferenza dei sopravvissuti.

Molti paesi e organizzazioni internazionali sono sia intenzionate che in grado di fornire aiuti umanitari immediati; lo sono ormai da settimane. Purtroppo, le autorità militari al governo considerano di primaria importanza la conservazione del loro potere; la sofferenza del loro stesso popolo sembra avere poche conseguenze. Temono qualsiasi coinvolgimento straniero in Birmania, anche se da parte degli operatori umanitari. Il resoconto di prima mano del Commissario sulle sue discussioni con le autorità militari birmane aiutano a far riflettere e non ci sono molte speranze che le autorità birmane cambino la propria posizione. Pertanto, mentre parliamo e ci torciamo le mani con sgomento sull’impossibilità di far accettare gli aiuti alle autorità birmane e sull’impotenza dell’ASEAN, centinaia di migliaia di persone soffrono.

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU può e deve fare appello al suo principio di responsabilità di proteggere e fornire aiuti senza il consenso delle autorità birmane. Esorterei vivamente il governo del Regno Unito – che attualmente esercita la Presidenza del Consiglio di sicurezza – a concedere l’autorizzazione di paracadutare immediatamente gli aiuti. Le autorità birmane sono responsabili di un crimine contro l’umanità, ma non possiamo starcene a guardare, permettendo loro di perpetrare tale crimine. E mentre concordo sul fatto che un lancio non costituisca il modo ideale per far arrivare gli aiuti a un paese – perché piuttosto avremmo formato gli operatori umanitari a distribuire aiuti – è meglio di niente, pertanto, per favore, facciamo arrivare qualche aiuto e facciamolo ora.

 
  
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  Libor Rouček (PSE).(CS) Onorevoli colleghi, desidero unire la mia voce a quelle che hanno espresso le loro più sentite condoglianze alle famiglie in lutto di decine di migliaia di vittime del ciclone mortale Nargis in Birmania (Myanmar). Desidero altresì esprimere la mia piena solidarietà alle centinaia di migliaia di persone che hanno perso, a causa di questa catastrofe, i loro mezzi di sostentamento e il tetto sopra la loro testa. Accolgo con favore la rapidità con cui sono stati offerti gli aiuti umanitari della Commissione europea e apprezzo inoltre la celerità dell’azione del Commissario Michel. Non posso purtroppo approvare il comportamento del governo e delle autorità birmani. E’ stato disumano e crudele il modo in cui hanno impedito al loro stesso popolo, vittima di questa orribile catastrofe, di ricevere aiuti umanitari dall’estero. Desidero di conseguenza esortare il governo birmano e gli alti funzionari birmani ad aprire completamente le frontiere agli aiuti stranieri e a permettere alle merci e agli operatori delle organizzazioni umanitarie straniere di entrare nel paese. Esorto inoltre Cina, India, Singapore e altri paesi della regione, tra cui i paesi membri dell’ASEAN, di esercitare la loro influenza al fine di persuadere la Birmania ad aprirsi agli aiuti stranieri. Nessun paese al mondo è in grado di far fronte da solo a un disastro naturale di tali dimensioni.

 
  
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  Marios Matsakis (ALDE). - (EN) Signora Presidente, la situazione in Birmania, in seguito al recente ciclone catastrofico, è tragica e peggiora di giorno in giorno. Quei civili, sopravvissuti quando si è abbattuto il ciclone, stanno ora affrontando la malattia e la morte per inedia, la mancanza di un riparo e di cure mediche adeguate. Eppure i dittatori militari al potere in Birmania restano decisamente indifferenti di fronte alla necessità urgente di permettere che aiuti adeguati raggiungano le vittime.

A questi generali militari senza cuore interessa molto di più restare aggrappati al potere e molto di meno il destino dei sopravvissuti alla catastrofe. Il modo in cui il regime birmano ha agito e continua ad agire è inaccettabile e criminale. La comunità internazionale, e l’UE in particolare attraverso il Commissario Michel, ha fatto del suo meglio per convincere la giunta della Birmania a essere ragionevole, ma, ahimé, senza sortire l’effetto desiderato.

Penso che ora non vi sia nessun altro modo se non procedere con una sorta di distribuzione forzata degli aiuti nella regione colpita. Tale impresa può essere avviata con l’approvazione urgente da parte dell’ONU mediante la logistica necessaria fornita da adeguati sistemi militari di distribuzione, in stretta collaborazione con altri paesi, quali gli USA.

Questa è veramente l’ultima spiaggia, una misura eccezionale, ma è a mio avviso assolutamente necessaria al fine di salvare la vita a migliaia di innocenti. Semplicemente non possiamo restare inattivi a guardare per un minuto di più il popolo birmano continuare a soffrire e a morire.

 
  
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  Frithjof Schmidt (Verts/ALE).(DE) Signora Presidente, la portata della crisi in Birmania è terrificante: 100 000 morti, 200 000 dispersi e più di due milioni di senza tetto in un paese di 54 milioni di abitanti. Il delta dell’Irrawaddy è la regione più estesa per la produzione di riso e svolge un ruolo fondamentale nella produzione alimentare. L’onda di marea ha spazzato l’entroterra per 35 chilometri, inondando i campi e lasciando molti di essi fortemente salinizzati. In altre parole, il disastro umanitario attuale è destinato a essere aggravato nel medio periodo da una crisi della produzione alimentare nel delta dell’Irrawaddy.

La popolazione della Birmania necessita immediatamente degli aiuti della comunità internazionale, sia immediati che sul lungo periodo. Tali aiuti, purtroppo, devono essere fatti entrare con la forza contro la volontà dei generali, qualunque cosa accada. Un governo che blocca gli aiuti d’urgenza è uno scandalo senza precedenti nella storia delle relazioni internazionali. Le vittime del ciclone sono tenute in ostaggio da un drappello di soldati paranoici e omicidi, che governa la Birmania da diversi decenni.

Lo scorso settembre il movimento popolare democratico guidato dai monaci buddisti è stato brutalmente represso. In migliaia sono stati uccisi o sequestrati e ora decine di migliaia stanno morendo perché il governo non lascia entrare gli aiuti. Il suo rifiuto di accettare gli aiuti per la popolazione equivale a ucciderla. Questo regime omicida dovrebbe stare proprio in cima alla lista nera delle Nazioni Unite e i membri della giunta dovrebbero stare al banco degli imputati del Tribunale penale internazionale.

 
  
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  Hanna Foltyn-Kubicka (UEN).(PL) L’umanità non ha ancora imparato a prevenire le tragiche conseguenze dei disastri naturali. Tali conseguenze sono ancora più drammatiche nel caso di paesi governati da dittatori. La triste condizione della nazione birmana ne costituisce un esempio contemporaneo. Il popolo della Birmania ha sofferto sia a causa del ciclone che a causa del comportamento del regime militare al potere. E’ risultato evidente quanto siano stati spietati i generali birmani al governo quando hanno rifiutato gli aiuti internazionali volti a salvare la popolazione birmana, benché i generali stessi non fossero in grado di farlo. Tale decisione equivale a un crimine premeditato contro l’intera nazione. Nonostante la diffusa condanna internazionale, i generali birmani mantengono la loro linea d’azione criminale. Sembra che gli aiuti umanitari finiscano nelle mani dell’esercito e delle loro famiglie o che siano scambiati. Al contempo sono necessari più che mai con urgenza, a causa del diffondersi della fame e delle malattie.

Deve essere altresì prestata particolare attenzione alla situazione degli orfani birmani. Vi sono sempre più indicazioni che i trafficanti di esseri umani si rivolgano a questi orfani alla ricerca di schiavi del sesso per i bordelli di tutto il mondo.

Il rispetto dei diritti umani non signiica solo che le autorità nazionali debbano astenersi dal torturare, uccidere e arrestare. Non riuscire ad assistere le vittime di calamità o ostacolare deliberatamente l’assistenza equivale a commettere un genocidio.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE). - (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare il signor Commissario per il lavoro svolto sino a oggi in merito alla questione. E’ ormai chiaro che più di 125 000 persone sono morte a causa del ciclone che ha colpito le regioni meridionali della Birmania il 2 e 3 maggio. Le Nazioni Unite stimano che in eccesso 2,4 milioni di persone sono state colpite direttamente da questa tragedia. Molte sono gravemente ferite ed è probabile che si verificherà l’insorgenza di malattie a causa della mancanza di cibo e acqua pulita. Potrebbero già aver preso piede nella zona.

Le politiche adottate dalla giunta militare per impedire che gli operatori umanitari accedano alle aree colpite sono senza precedenti. Tali operatori umanitari e le agenzie per cui lavorano hanno l’esperienza per condurre un’operazione di soccorso completa, che porterebbe assistenza a un elevato numero di persone in un breve lasso di tempo. Dovranno morire altrettante persone prima che il regime militare permetta alle agenzie umanitarie di entrare?

Gli sforzi combinati di UE, Cina, India, tutte le altre nazioni del sud-est asiatico e ONU hanno il potere di obbligare le autorità birmane a rimuovere le restrizioni. E’ collaborando che possiamo cambiare la forma mentis di questo governo corrotto. Dobbiamo in particolare coinvolgere la Cina e l’India al fine di forzare tale cambiamento.

Sono ormai passati 18 giorni da quando il ciclone ha colpito la regione. La comunità internazionale deve continuare a lavorare così che ciascuna persona colpita dal disastro riceva cibo, acqua pulita, riparo e le cure mediche necessarie. Dobbiamio continuare a mantenere la pressione sulla leadership birmana e obbligarla a permettere alle agenzie umanitarie internazionali di fare il loro lavoro. Facciamo sì che ogni paese dell’UE, e l’UE stessa, continui a esercitare pressione diplomatica. Questo è il punto su cui è necessaria un’azione immediata. Non dobbiamo permettere che passino altri 18 giorni prima di agire. Il momento per eliminare le restrizioni è adesso.

 
  
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  Thijs Berman (PSE).(NL) Due settimane dopo la catastrofe, alcuni birmani hanno finalmente ricevuto riso, fagioli e farmaci, ma gli aiuti ancora non raggiungono un quarto di tutte le vittime e arrivano vergognosamente in ritardo per colpa della giunta. Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite afferma di essere stato in grado di portare riso e fagioli a 212 000 delle 750 000 persone maggiormente colpite. E’ pertanto necessario un fondo speciale dell’ONU, come richiesto anche dai socialdemocratici. Sono grato alla Commissione per tutti i preziosi sforzi compiuti in Birmania, nonché da Bruxelles.

Tuttavia, milioni di persone sono abbandonate alla fame, alla sete e alla malattia. E’ una forma di tortura, è omicidio e un totale inadempimento della responsabilità di proteggere. Si tratta di azioni che rasentano il genocidio. L’esercito è pertanto responsabile di crimini contro l’umanità. Per il nostro gruppo e domani per il Parlamento, si tratta di una questione da sottoporre al Tribunale penale internazionale. Il Consiglio di sicurezza deve aprire un’indagine sui crimini commessi dal regime. Qual è il punto di vista della Commissione al riguardo?

In qualità di relattore sulla Birmania, mi domando quando si raggiunge il limite del rispetto della sovranità di un paese? Dopo tutto il limite era molto più vicino nel caso dell’Iraq. Quando, per la stessa comunità internazionale, il rispetto per i diritti umani fondamentali è diventato inviolabile? Ora la credibilità dei diritti umani è macchiata in tutto il mondo dal rifiuto, principalmente dei paesi vicini, di trattare con il governo birmano e dalla mancanza di volontà di venire in aiuto della popolazione senza il consenso dei generali. La sovranità non dà diritto di strangolare il proprio stesso popolo.

Da qui la richiesta al Consiglio dell’Unione europea e in particolare al Regno Unito in quanto attuale Presidente del Consiglio di sicurezza, affinché la situazione in Birmania sia discussa nuovamente in seno al Consiglio di sicurezza. La Cina e la Russia devono comprendere che ora la situazione nel paese è ancor più criminosa, ancora più seria, rispetto a subito dopo il ciclone.

 
  
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  Thomas Mann (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, 130 000 morti e due milioni di senza tetto: è amara la situazione in Birmania. Vi è inoltre la minaccia diffusa di carestia. Le inondazioni causano agenti patogeni che provocano diarrea, quali la Salmonella, che si diffondono a macchia d’olio. Il rischio di malattie, quali tifo, colera, malaria e dengue, è elevato. I bambini, che hanno un sistema immunitario più debole e il cui fisico si disidrata più rapidamente, sono particolarmente a rischio. I sopravvissuti al disastro necessitano acqua potabile pulita, che non può essere fornita in modo duraturo senza impianti di trattamento di buona qualità. Necessitano di alloggi d’emergenza e non da ultimo di prevenire la diffusione di malattie respiratorie.

La giunta militare continua a non voler far entrare gli operatori umanitari occidentali, come ha appena confermato il Commissario Michel nel suo intervento incisivo. Sta in tal modo minacciando l’esistenza di decine di migliaia di persone. Qual è l’approccio responsabile? Esercitare pressione presentando istanza al Tribunale penale dell’Aia? Assolutamente sì! Vi è, tuttavia, vi è anche la necessità di modificare il diritto internazionale in modo tale da limitare la sovranità nazionale nel caso di una crisi umanitaria? Sarebbe difficile da realizzare e i cinesi porrebbero senza dubbio il veto in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU.

La Cina è uno dei pochi alleati dei dittatori birmani. Deve, tuttavia, compiere ogni sforzo – al pari dei paesi membri dell’ASEAN, come ha affermato Hartmut Nassauer – per garantire che sia consentito alle squadre internazionali di esperti e ai materiali umanitari, pronti ormai da qualche tempo, di entrare nel paese. Una delle ragioni per cui il Myanmar sta bloccando le numerose operazioni umanitarie organizzate dalla comunità internazionale è evidentemente un desiderio di influenzare la conferenza dei donatori al fine di ottenere somme multimilionarie da poter utilizzare come ritiene più opportuno.

Come il trattamento brutale e sprezzante del regime birmano nei confronti dei dimostranti pacifici nel corso della rivolta dei monaci buddisti del settembre 2007 e la conseguente imposizione di un embargo sulle notizie che dura da diversi mesi, si tratta di un atto totalitario, diretto contro gli interessi della popolazione. Questo presunto esercizio della sovranità nazionale è completamente inumano e non è assolutamente da buon statista.

 
  
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  Ana Maria Gomes (PSE).(PT) Più di 63 000 morti o dispersi e due milioni e mezzo di senzatetto è ora il risultato combinato del ciclone e della crudeltà della giunta che governa in malo modo e opprime la Birmania e che ha impedito agli aiuti internazionali di raggiungere coloro che ne hanno necessità. Che contrasto con l’apertura e la prontezza della Cina nell’aiutare i sopravvissuti di Sichuan!

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU non può più trattenersi dal considerare la giunta militare birmana responsabile della protezione del suo popolo, permettendo alle ONG e alle agenzie umanitarie internazionali di accedere al paese al fine di aiutare la popolazione abbandonata del delta dell’Irrawaddy. Non può più trattenersi neppure dal portare la giunta militare birmana dinanzi al Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità.

Questo Parlamento si augura che i governi europei eserciteranno pressione immediata sul Consiglio di sicurezza dell’ONU. E’ tempo che tutti i membri del Consiglio, tra cui la Cina che ha appoggiato la dittatura birmana, accettino le loro responsabilità nei confronti del sacrificato popolo della Birmania.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(LT) Oggi parliamo della tragica situazione in Birmania nel periodo successivo al ciclone che, all’inizio del mese, si è abbattuto sul paese. Le disastrose conseguenze della tragedia sono le centinaia di migliaia di morti, feriti, malati e dispersi, con un numero esorbitante di persone che hanno perso la casa e necessitano di cibo e acqua. Ogni giorno in televisione siamo testimoni di immagini ossessionanti di un paese rovinato da questo ciclone e di fronte alle quali è impossibile restare indifferenti.

E’ vero che l’umanità non ha ancora alcun potere di fronte alle calamità naturali, in particolare quando accadono senza preavviso. Tuttavia, la recente situazione in Birmania è diversa, dato che siamo a conoscenza del fatto che il governo indiano a avvertito i leader birmani del ciclone imminente due giorni prima che raggiungesse il paese e pertanto erano stati informati.

Ciononostante, il ciclone ha colpito la popolazione del paese con tutta la sua potenza, perché i generali responsabili del paese non potevano essere disturbati per avvertire la propria popolazione del disastro imminente. Tale governo è meritevole di condanna, dato che le sue azioni recenti dimostrano assoluta inefficienza e indifferenza nei confronti dei cittadini, il che costituisce una palese violazione dei diritti umani. I generali responsabili sono colpevoli di aver dato la loro benedizione a questa calamità naturale, che si è sviluppata in una catastrofe di tali proporzioni.

L’elenco dei reati commessi dai leader della Birmania, che non verranno mai dimenticati, include: impedire agli operatori umanitari internazionali di entrare nel paese, rifiutare di assistere coloro che chiedono aiuto e ignorare completamente gli sforzi della comunità internazionale volti ad aiutare chi soffre. I vergognosi tentativi dei generali di tenere un referendum sulla costituzione in tali circostanze si aggiunge semplicemente all’elenco.

Ritengo sinceramente che l’Unione europea debba percorrere ogni strada possibile – ripeto: ogni strada possibile – per cooperare con India, Cina e altri paesi asiatici e per fare uso di tutte le istituzioni della rete delle Nazioni Unite al fine di garantire che il popolo birmano riceva i massimi aiuti possibili.

 
  
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  Józef Pinior (PSE). - (EN) Signora Presidente, desidero sollevare nel dibattito di oggi tre questioni. Innanzi tutto, il problema della nuova costituzione. La giunta del Myanmar ha annunciato che una costituzione a favore dell’esercito ha ricevuto un appoggio schiacciante al referendum, che si è tenuto nonostante le critiche diffuse e le necessità di una tragedia nazionale. I gruppi attivi nel settore dei diritti umani hanno ignorato il voto perché visto come una presa in giro. Un referendum condotto in tali condizioni deve essere di dubbia credibilità. Il 24 maggio sarà probabilmente impossibile tenere il secondo turno di votazioni in gran parte delle zone del delta dell’Irrawaddy.

In secondo luogo, vi è un problema più generale riguardante le sanzioni, in particolare le sanzioni dell’UE. Funzionano davvero? Le persone maggiormente colpite sono la popolazione in generale. Alcuni osservatori – esperti giornalisti, diplomatici, ex ambasciatori dell’UE nel sud-est asiatico – dicono che isolare la Birmania in questo modo non è di aiuto.

In terzo e ultimo luogo, ma non per importanza, è giunto il momento che il Consiglio di sicurezza dell’ONU intervenga. Deve insistere affinché in Birmania siano consegnati gli aiuti e sia concesso libero accesso agli operatori umanitari. I paesi dell’UE che distribuiscono aiuti devono insistere sul controllo al fine di garantire che gli aiuti raggiungano le vittime del ciclone che ne hanno maggiormente bisogno.

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, nei pochi secondi a disposizione vorrei portare nell’Aula il grido di allarme che mi giunge dai volontari dell’organizzazione internazionale Save the children, che ci informa del rischio imminente di una tragedia nella tragedia.

I soccorritori fanno infatti sapere che nella zona paludosa alla foce del Irrawaddy ci sono oltre 30.000 bambini che stanno morendo di stenti, ragazzini sopravvissuti alla furia del ciclone Nargis e spesso ai propri genitori, che ora sono piegati dalla fame e dalla sete, consumati dalla dissenteria e stremati dalla pioggia e dal freddo.

Signor Commissario, in questo contesto è delirante la politica di chiusura agli aiuti del regime di Than Shwe e dei suoi collaboratori in stellette. Non c’è tempo da perdere! Con la denutrizione già presente, la penuria di acqua potabile, le malattie incombenti e l’assenza di aiuti quei ragazzini non sopravviveranno a lungo: o interveniamo subito o avremo la responsabilità oggettiva di non aver saputo fare abbastanza!

 
  
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  Neena Gill (PSE).(EN) Signora Presidente, desidero ringraziare e complimentarmi per l’azione intrapresa dal Commissario Michel. Oggi abbiamo sentito dire che il ciclone Nargis ha portato devastazione a due milioni e mezzo di birmani e che, come affermato dal Commissario, la situazione è stata aggravata dall’intransigenza del regime nel negare aiuti stranieri e pertanto solo un quarto di coloro che necessitano di aiuti urgenti li ha effettivamente ricevuti. E’ incredibile ed è una negazione straziante dei diritti umani più fondamentali del popolo birmano, ma rasenta anche la negligenza penale.

Di recente abbiamo sentito di una qualche limitata flessibilità da parte della giunta, ma esorto la Commissione e il Consiglio a essere cauti nei confronti di questo ammorbidimento, perché si tratta del regime che ha spietatamente represso il suo stesso movimento a favore della democrazia. Desidero sottolineare che è fondamentale mantenere la pressione sulla giunta affinché sia permesso entrare nel paese a tutte le agenzie ONU in possesso dell’esperienza e del know-how logistico per affrontare la situazione. Mi preoccupa in particolare il fatto che, come evidenziato dal signor Commissario, siano i bambini a soffrire maggiormente. Di conseguenza si deve permettere all’UNICEF di entrare, di attenuare la minaccia di malattie e malnutrizione.

Infine, esorto coloro che hanno influenza sulla Birmania, vale a dire i paesi vicini e i partner dell’UE – India, Cina e i paesi dell’ASEAN – a incoraggiare la giunta ad accettare i soccorsi offerti da altri. Esorto inoltre la Commissione e gli altri a compiere passi volti a chiarire alla giunta che democrazia e impegno con il mondo esterno sono le uniche strade percorribili per uscire dalla crisi. Mi auguro che il Commissario Michel fornirà una risposta alle domande “Dove andremo da qui?” e “Come procederemo?”.

 
  
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  Mario Mauro (PPE-DE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, proprio il fallimento della missione descritta dal Commissario Michel, che ringrazio comunque per la spietata sincerità, ci fa capire come in questo momento è utile concentrarsi sulla dottrina dell’ingerenza umanitaria per favorire non tanto le relazioni con l’amministrazione birmana, quanto piuttosto con quella cinese, che in questo momento sta dimostrando ben diversa sensibilità alla luce dei gravi lutti e dei disastri avvenuti anche nel loro paese.

Concentrarsi nel rapporto con i cinesi può servire per aprire spazi di interventi umanitari che possono passare dal fatto di paracadutare direttamente nella zona dell’Irrawaddy direttamente gli aiuti creando una non fly zone, al fatto di aprire un vero e proprio corridoio umanitario.

Una domanda anche al Consiglio: l’Unione europea si era dotata di un rappresentante per la Birmania, sempre ringraziando il Commissario Michel per la dedizione e per essersi recato, come lui ha detto, in una zona di frustrazione, chi fine ha fatto quel rappresentante? A cosa serve?

 
  
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  Tunne Kelam (PPE-DE).(EN) Signora Presidente, esiste una priorità umana: portare aiuti umanitari internazionali ai milioni di esseri umani che sono stati spinti sull’orlo dello sterminio. E’ la giunta militare a essere responsabile innanzi tutto di non aver avvertito in tempo la sua popolazione circa l’avvicinamento del ciclone e, in secondo luogo, di aver rifiutato di lasciar entrare nel paese gli aiuti umanitari.

Credo che ora sia tempo di portare questa banda di malviventi, che ha commesso crimini contro l’umanità, dinnanzi alla Tribunale penale internazionale dell’Aia, ma ciò richiede un concentrato sforzo internazionale. Nel frattempo, si deve esercitare tutta la pressione possibile sui dittatori birmani e sui loro alleati, tra cui la Cina, da sostenere innanzi tutto nella fase dei soccorsi umanitari prima di avviare l’autoproclamata fase di ricostruzione.

 
  
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  Glyn Ford (PSE). - (EN) Signora Presidente, la tragedia della Birmania è stata semplicemente aggravata dal rifiuto della giunta militare di permettere la distribuzione di aiuti e assistenza. E’ stata rifiutata più di un’assistenza simbolica da parte della task force USA, con base a Okinawa, che è stata dispiegata fortuitamente dalla Thailandia. Se da un lato sono morte centinaia di migliaia di persone a causa della catastrofe iniziale, dall’altro la tragedia si può solo moltiplicare massicciamente a causa del rifiuto di ricevere aiuti e di conseguenza si controllare l’insorgenza di malattie. L’Oxfam ha stimato che nelle circostanze attuali sono potenzialmente minacciati fino ai due terzi di un milione di persone.

Dobbiamo esortare tutti – i cinesi, l’Unione europea, altri paesi vicini – a esercitare quanta più pressione possibile sul regime affinché moderi la sua posizione e apra le porte agli aiuti e agli operatori umanitari al momento parcheggiati a Bangkok e in Thailandia.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Desidero ringraziare tutti coloro che hanno partecipato a questa discussione, che mi porta a credere che, in questo Parlamento, vi sia un ampio consenso in merito ad alcuni elementi essenziali, che sono anche componenti essenziali dell’approccio del Consiglio alla situazione in Birmania.

Siamo estremamente preoccupati innanzi tutto per la situazione umanitaria in Birmania e in secondo luogo circa la responsabilità delle autorità birmane di rispondere agli effetti di questo disastroso ciclone e, in questo contesto, circa la loro responsabilità di garantire l’accesso agli aiuti umanitari, così che possano raggiungere coloro che ne hanno bisogno.

Desidero sottolineare che il Consiglio europeo è determinato a continuare gli sforzi volti a garantire che gli aiuti umanitari raggiungano chi ne ha bisogno e che a tale scopo utilizzerà tutti gli strumenti, tutti i meccanismi possibili a sua disposizione. In primo luogo i nostri; inoltre, a nome del Consiglio, desidero riconoscere e appoggiare gli sforzi compiuti dal Commissario Michel.

D’altro canto, l’Unione europea porterà avanti i suoi sforzi in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite e a organizzazioni regionali, quali l’ASEAN. Desidero sottolineare che prima dell’incontro dei ministri degli Esteri degli Stati membri dell’ASEAN, che si è tenuto l’altro ieri, l’Unione europea ha presentato agli Stati dell’ASEAN un’iniziativa, in cui dichiara le sue aspettative e proposte in merito alla situazione in Birmania. Il 19 maggio, dopo l’incontro dell’ASEAN a Singapore, è stata ricevuta una dichiarazione contenente alcuni elementi incoraggianti. Ne elencherò solo alcuni.

Innanzi tutto, i ministri degli Esteri dell’ASEAN hanno concordato di istituire un meccanismo per il coordinamento degli aiuti umanitari sotto l’egida dell’ASEAN. In secondo luogo, le autorità della Birmania, o del Myanmar, sono concordi nell’accettare aiuti sotto forma di squadre mediche provenienti da altri paesi dell’ASEAN. In terzo luogo, le autorità Birmane, o del Myanmar, hanno espresso la volontà di accettare l’assistenza esperta delle agenzie regionali e internazionali al fine di rispondere agli effetti del disastro.

Desidero altresì accennare alla decisione congiunta dei paesi dell’ASEAN delle Nazioni Unite per richiedere una conferenza dei donatori, che si terrà a Rangoon domenica 25 maggio.

Desidero concludere esprimendo la mia gratitudine per le opinioni che ho ascoltato nel corso della discussione. Vi garantisco che ci saranno molto utili per preparare il dibattito che si prevede si terrà nel corso della sessione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” di lunedì.

Grazie.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, ovviamente comprendo e condivido appieno i sentimenti generali espressi in quest’Aula – sentimenti di critica e di frustrazione, certo.

Quasi tutti gli oratori hanno accennato al ricorso del Consiglio di sicurezza, al concetto di responsabilità di proteggere, al diritto in interferire fino a un certo punto, ai limiti della sovranità generale e alle sanzioni in generale. Questo è in effetti ciò di cui si tratta. Desidero tuttavia parlare degli strumenti a disposizione della comunità internazionale per fare tutto ciò a cui avete accennato e garantire il rispetto di tutti questi principi. Si tratta di un tema un po’ più difficile perché in sostanza solleva la grave questione del rispetto del diritto umanitario internazionale, un argomento che la Commissione europea e il Parlamento hanno già deciso di discutere in settembre in relazione a casi specifici. Vi è pertanto un ampio consenso sull’analisi: tutti concordiamo che è inaccettabile, tutti concordiamo che è disumano, tutti concordiamo che vi deve essere un accesso migliore e così via.

Ciò che desidero suggerire – si tratta ovviamente di un’opinione personale – è di cercare, nel breve periodo, di capitalizzare o almeno di trarre il massimo vantaggio da qualsiasi cosa emerga dalla conferenza dei donatori, organizzata per iniziativa del Segretario generale Ban Ki-moon, a cui interverranno l’Unione europea e l’ASEAN, e, nel quadro di tale iniziativa o proposta, di nominare un coordinatore congiunto UE/ASEAN. Questo nell’immediato.

Sarà senza dubbio un compito difficile. Se la comunità internazionale desidera garantire un certo grado di coerenza, qualora non emerga alcun risultato dalle due iniziative, risulterà difficile agire come se non vi fosse nient’altro da fare e a quel punto la comunità internazionale, che sia l’ONU o altre istituzioni, deve concentrarsi su mezzi leggermente diversi.

Perché direi che – e con questo concludo – ciò che evidentemente è in un certo senso più frustrante, ciò che discredita o in ogni caso indebolisce, direi, il dovere morale d’ingerenza, il concetto stesso o l’applicazione del concetto della responsabilità di proteggere, è, al di là delle dichiarazioni di principio che siamo tutti portati a fare perché esse corrispondono ai nostri sentimenti, corrispondono alla nostra cultura, al nostro senso democratico e dei diritti dell’uomo e così via, vi sono strumenti di cui disponiamo o che siamo politicamente in grado di attuare.

Questa è la vera questione. Questo è il coraggio politico da cercare. Perché è troppo facile dichiarare: “Dobbiamo intervenire, dobbiamo inviare questo, dobbiamo forzare, dobbiamo fare di qua, fare di là”. Sì, bene, ma dove sono i mezzi? Sono i nostri paesi in grado e politicamente intenzionati ad accettare le conseguenze fino in fondo – di ricorrere alla forza, se necessario – e abbiamo la capacità di agire in questo modo? Questa è la vera questione.

Concordo riguardo a tutto ciò che è stato affermato in quest’Aula, ma dalle nostre generose posizioni si devono tirare le conclusioni. Desidero spiegare perché penso che vi siano due parti nella presente discussione. Vi è il dibattito generale su cui tutti noi concordiamo e vi è la questione immediata. Ritengo che quest’ultima consista nel fornire pieno appoggio e mettere un Segretario generale nelle migliori condizioni perché il dialogo abbia ancora senso e permettergli di trarre il miglior vantaggio possibile dalle sue due iniziative. Questo è più o meno quanto desidero suggerire.

Dubito che qualsiasi dichiarazione, minaccia o un linguaggio molto duro, hic et nunc – anche se necessario – possa cambiare la situazione. Purtroppo non la penso così. Ritengo pertanto che dobbiamo accompagnare le due iniziative del Segretario generale Ban Ki-moon e appoggiarle completamente.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUISA MORGANTINI
Vicepresidente

 
  
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  Presidentee. − Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) a norma dell’articolo 103, paragrafo 2 del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE) , per iscritto. – (SK) Sono scioccata dalla terribile tragedia che è accaduta alla popolazione birmana. E’ ignobile che i generali che hanno una presa salda sul paese non verranno toccati dall’elevato numero di vittime del distruttivo ciclone Nargis, numero che potrebbe aumentare ancora a causa della mancanza di acqua potabile, cibo e assistenza medica. Non capisco il genere di persone che ignorano la sfortuna della loro nazione e tengono la Birmania completamente isolata, sebbene sia palese che il paese non ce la possa fare da solo. Probabilmente l’arroganza del potere non ha limiti. In tale situazione di straordinaria crisi, la questione della sovranità dello Stato è un concetto assolutamente disumano.

L’organizzazione umanitaria Oxfam ha comunicato che, a meno che gli aiuti non arrivino rapidamente a coloro che sono stati colpiti, il numero delle vittime potrebbe arrivare a 1,5 milioni. Secondo l’ONU, il disastro ha colpito due milioni di persone, che necessitano di aiuto. Si tratta di voci allarmanti e dobbiamo adottare rapidamente una posizione chiara. Non possiamo continuare ad aspettare, a guardare impotenti, mentre la fame uccide altre vittime.

Voterò a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulla tragica situazione in Birmania. Sono convinta che l’UE non debba restare indifferente. Deve fare uso di tutti i mezzi disponibili per aiutare il popolo birmano. Considerando le proporzioni enormi della catastrofe, l’UE deve altresì utilizzare misure di attuazione dato che “le autorità nazionali trascurino in modo evidente di proteggere la popolazione da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità”.

 
  

(1)Vedasi processo verbale.


11. Catastrofe naturale in Cina (discussione)
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  Presidentee. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla catastrofe naturale in Cina.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Seguiamo con grande preoccupazione gli sviluppi in Cina in seguito al disastroso terremoto che ha distrutto gran parte del paese e la provincia di Sichuan in particolare.

Si stima che il terremoto abbia colpito circa 10 milioni di persone. Il numero di morti aumenta man mano che le ore passano, mentre si affievolisce la speranza di salvare i sopravvissuti che si trovano sotto le macerie. Le stime attuali relative al numero dei morti è salito ad almeno 50 000 persone. Si tratta di una vera e propria catastrofe. Forse sarebbe possibile salvare più vite qualora i soccorritori potessero raggiungere le aree colpite, ma questo è impedito loro da difficoltà oggettive, così come a causa della mancanza di apparecchiature adeguate.

Un’ulteriore difficoltà è costituita dai danni causati dal terremoto a diverse dighe. E’ questo il motivo per cui sui sopravvissuti della provincia di Sichuan incombe la terribile minaccia di inondazione. Il governo cinese ha richiesto le attrezzature di base necessarie per le operazioni di salvataggio.

Il ministro cinese della Sanità prevede anche grandi necessità in termini di medicinali e apparecchiature mediche moderne, perché vanno fornite ai feriti le cure indispensabili.

La portata delle attività di aiuto attualmente in corso è eccezionalmente ampia. Sono già stati paracadutati dodici tonnellate di merci per alleviare le difficoltà dell’area colpita. Numerosi elicotteri sono in volo per trasportare soccorritori e aiuti. I rappresentanti delle autorità locali hanno dichiarato che in questo momento necessitano maggiormente di coperte, tende, cibo e telefoni satellitari.

Come sapete, e come oggi è già stato accennato in precedenza, lo scorso martedì il Consiglio ha convocato una riunione straordinaria. Abbiamo espresso le nostre più sentite condoglianze al popolo cinese per i terribili bilanci di morti e di distruzione che interessano questa zona. Nel nostro messaggio abbiamo altresì espresso la nostra più profonda solidarietà a coloro che hanno perso i parenti più stretti a causa della calamità, a coloro che sono rimasti feriti in prima persona e a coloro che hanno subito gravi danni alla proprietà.

La comunità internazionale ha risposto rapidamente e si è offerta di fornire alla Cina assistenza. Con l’invio di lettere del ministero del Commercio estero, il paese ha ufficialmente accolto con favore tali aiuti. Numerose squadre straniere, tra cui quelle provenienti da Giappone, Taiwan, Corea e Australia, sono già sul posto e stanno per partire per la Cina.

L’Unione europea desidera fornire aiuti alla popolazione colpita. La Commissione europea, così come la maggior parte degli Stati membri, ha risposto in modo massiccio alle necessità della popolazione colpita ed è pronta a fornire aiuti anche in futuro.

Grazie.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signora Presidente, anch’io desidero ringraziare per aver inserito nell’ordine del giorno una discussione sulla situazione umanitaria nella provincia cinese di Sichan in seguito al terremoto del 12 maggio. Il Presidente Barroso, il Commissario Ferrero-Waldner e io abbiamo espresso le nostre più sentite condoglianze e abbiamo sottolineato il desiderio del popolo europeo di aiutare la popolazione cinese.

La mobilitazione delle autorità cinesi e dell’esercito è stata rapida e massiccia. Va detto che la gestione della crisi è stata efficiente e che le autorità si meritano le nostre congratulazioni. Vista l’ampiezza di danni e necessità, il 13 maggio il governo cinese ha richiesto assistenza internazionale e l’UE è stata solerte nel rispondere all’appello. La Commissione ha inviato in missione per una settimana un esperto ECHO in aiuti umanitari nella zona colpita. In base alle informazioni trasmesse da tale esperto, il 16 maggio, la Commissione ha adottato una decisione di prima urgenza di due milioni di euro. Ciò permetterà alla Croce Rossa di fornire tende, coperte, acqua potabile e beni di prima necessità.

La squadra di coordinamento e valutazione del meccanismo di protezione civile della Commissione è presente anche a Chengdu. Essa è in contatto con le autorità locali al fine di permettere agli aiuti europei di raggiungere più rapidamente coloro che ne hanno bisogno. Gli Stati membri hanno anche risposto rapidamente all’appello d’urgenza della Federazione della Croce Rossa inviando materiale d’urgenza e fornendo squadre di ricerca e soccorso. Il contributo totale dell’UE supera già i dieci milioni di euro. La Commissione, il Centro di monitoraggio e di informazione e la Piattaforma di crisi lavorano insieme e tengono informati gli Stati membri e la Cina in merito all’assistenza dell’UE. Occorre notare che le autorità cinesi esercitano un rigido controllo delle autorizzazioni di accesso nel territorio delle squadre internazionali.

In base alle nostre valutazioni, i bisogni principali sono acqua e impianti igienico-sanitari, alloggi temporanei, prodotti di prima necessità, medicinali e apparecchiature mediche. Purtroppo, molte grosse scosse di assestamento ostacolano le operazioni di salvataggio. Il timore principale è che infrastrutture vitali, come dighe, argini o centrali elettriche si rompano o crollino, creando in tal modo un secondo disastro umanitario.

 
  
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  Georg Jarzembowski, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, il mio gruppo si unisce alle espressioni di dolore e condoglianze nei confronti del popolo cinese da parte del Consiglio e della Commissione in seguito al terribile terremoto del 12 maggio. Esprimiamo la nostra più profonda solidarietà a coloro che sono in lutto o sono rimasti feriti a causa del terremoto.

Accogliamo inoltre con favore il fatto che le autorità cinesi abbiano avviato rapide misure di soccorso, nonché la volontà del governo cinese di accettare gli aiuti stranieri. Desidero altresì dar voce alla nostra speranza che continui a farlo in futuro, permettendo di distribuire efficacemente gli aiuti nel momento del bisogno.

Siamo inoltre lieti che in questo caso il governo cinese abbia permesso ai media stranieri di riferire nel dettaglio in merito al terremoto e ci auguriamo che permetterà anche di riferire in merito agli sforzi compiuti per la ricostruzione delle zone colpite.

Deploriamo in modo particolare che siano morti così tanti scolari quando sono crollati gli edifici delle scuole pubbliche e appoggiamo l’intenzione dichiarata dalle autorità cinesi di indagare in merito alle cause per cui le scuole potrebbero non essere state costruite per resistere ai terremoti e chiedere conto ai responsabili.

Siamo soprattutto intenzionati a fornire al popolo cinese l’assistenza di cui necessita. Il paese non ha bisogno di ingenti somme di denaro, poiché possiede le riserve valutarie più grandi del mondo. Ciò di cui necessita sono aiuti concreti che noi europei e i nostri Stati membri possiamo fornire e ringraziamo il Commissario per le misure umanitarie che ha già avviato.

Appoggeremo ogni azione volta ad aiutare la popolazione delle zone disastrate e ad assisterla nella ricostruzione dei villaggi. Alcune persone potrebbero essere trasferite in altre zone. Forniremo gli aiuti necessari a tale scopo. Si tratta davvero di una grande tragedia umanitaria e siamo solidali con la popolazione delle zone colpite e con l’intera nazione cinese.

 
  
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  Libor Rouček, a nome del gruppo PSE. – (CS) Signora Presidente, signor Commissario, Presidente Lenarčič, onorevoli colleghi, innanzi tutto, a nome del gruppo socialista, desidero unirmi a tutti coloro che hanno espresso le loro più sentite condoglianze per le famiglie in lutto delle decine di migliaia di vittime del terribile terremoto che ha colpito la provincia di Sichuan. Desidero altresì esprimere la mia piena solidarietà per le centinaia di migliaia di persone che non hanno più un tetto sopra la testa o che sono state obbligate a lasciare le loro case in seguito a tale disastro.

Poco fa abbiamo discusso circa la situazione in Birmania e abbiamo criticato il comportamento assolutamente inaccettabile della giunta birmana. La Cina, in totale contrasto con la Birmania, va elogiata. La Cina ha chiesto immediatamente l’aiuto della comunità internazionale e ha aperto le sue frontiere agli aiuti stranieri. Approvo inoltre, proprio come il mio onorevole collega, l’apertura delle autorità cinesi, sia a livello nazionale che nella provincia di Sichuan. Accolgo con favore il modo in cui hanno trattato l’organizzazione dei soccorsi e l’informazione del grande pubblico, sia all’interno che all’estero, in merito agli avvenimenti relativi al disastro. Ad esempio, tra le informazioni aperte fornite figurava anche l’aver ammesso che, oltre alle decine di migliaia di vittime, sotto le macerie erano sepolte anche 32 fonti di emissioni radioattive.

Sia il signor Commissario che il Presidente Lenarčič ci hanno informato in merito alle proporzioni degli aiuti umanitari che l’Unione europea ha offerto e fornito alla Cima. Li ringrazio entrambi per la rapidità con cui hanno agito la Commissione e il Consiglio e li esorto altresì a garantire che l’Unione europea sia pronta a rispondere celermente alle potenziali richieste di ulteriore aiuto da parte dei partner cinesi, non solo in merito agli aiuti umanitari, ma anche alla ricostruzione delle zone colpite, qualora tale intervento venga richiesto.

 
  
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  Dirk Sterckx, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Desidero innanzi tutto esprimere, a nome del nostro gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, le mie più sentite condoglianze per tutte le vittime. Appoggio altresì il periodo di lutto annunciato dal governo cinese. Lunedì, prima di venire a Strasburgo, sono andato a Bruxelles a firmare il registro delle condoglianze alla rappresentanza presso l’UE, a nome della delegazione per le relazioni con la Cina e presumo anche a nome del Parlamento nel suo complesso. La scorsa settimana l’Ufficio di presidenza della delegazione ha incontrato l’ambasciatore cinese, il quale mi ha detto quanto abbia apprezzato il sostegno del Parlamento europeo.

Stiamo affrontando una grave catastrofe di proporzioni enormi. Decine di migliaia di persone sono morte o sono ancora disperse, milioni di senzatetto, danni alle proprietà di proporzioni al momento a malapena calcolabili. Non abbiamo visto in Cina ciò che abbiamo osservato in Birmania, come discusso nel corso del precedente dibattito. In questo caso vediamo un paese in cui tutti, dal livello più alto a quello più basso, fanno il possibile per aiutare e fare in modo che sia salvata qualsiasi cosa che può ancora essere salvata. Vedo inoltre un paese che ha comunicato in modo molto aperto, e continua a comunicarlo, il dolore e la disperazione della popolazione del Sichuan e i problemi che le squadre di soccorso affrontano, squadre che hanno persino perso un paio di collaboratori. Vedo un paese che è addirittura aperto alle critiche degli sforzi umanitari da parte delle vittime del disastro, un quadro con cui abbiamo anche grande familiarità perché si ricrea ogniqualvolta che qui si verifica un evento simile.

Signora Presidente, dobbiamo guardare al futuro. Penso che la Cina ci abbia chiesto un tipo di aiuto molto specifico. Vedo che mostriamo solidarietà e sono grato alla Commissione e al Consiglio per quanto hanno fatto. Li esorto a fornire ulteriore aiuto quando i cinesi lo chiederanno.

Quando i soccorsi si saranno conclusi, dovrà iniziare la ricostruzione e anche qui dovremo ancora essere in grado di aiutare il più possibile. Sul più lungo periodo, desidero chiedere che esaminiamo come poter fornire assistenza tecnica, con norme edilizie e tecniche che rendano gli edifici maggiormente resistenti a questo genere di eventi. Potrebbe altresì essere un compito della comunità internazionale esaminare ciò che possiamo fare per istituire una sorta di sistema di allarme precoce, un sistema che allerti le persone prima che tali disastri si verifichino. Dobbiamo almeno tentare di svilupparlo. Ritengo che vi siano non poche regioni sul pianeta che potrebbero trarne vantaggio. In ogni caso, penso che sia importante che l’aver mostrato, in seno al Parlamento europeo, solidarietà nei confronti dei cinesi nel corso della presente discussione.

 
  
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  Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signora Presidente, in seguito al terribile terremoto che ha gettato nel lutto la Cina e il mondo intero, per la prima volta le autorità hanno giocato il gioco della trasparenza e hanno risposto al dramma con un massiccio dispiegamento d’urgenza, a sostegno del quale l’UE e l’intera comunità internazionale stanno facendo del loro meglio.

Tuttavia, tutti hanno potuto sentito pungenti critiche espresse in Cina in merito alla scarsa qualità degli edifici, in particolare le strutture di più recente costruzione e quelle pubbliche, come le scuole, che hanno portato alla scomparsa di migliaia di scolari, lasciando pochissimi sopravvissuti. Questa catastrofe dimostra la scarsa qualità delle costruzioni nel paese, una questione sensibile in Cina, in cui, nelle città più grandi, sono state espropriate milioni di persone nel periodo precedente a eventi decisivi, quali i Giochi olimpici.

Su questo dramma si profilano altre questioni preoccupanti, già menzionate: la solidità delle strutture idroelettriche, quali la diga in cemento di Zipingpu, ci fa temere il peggio per le 600 000 persone che vivono a valle. Il terremoto ha danneggiato anche 391 serbatoi. Finora sono disponibili poche informazioni sui siti di arricchimento del plutonio a nord-est della provincia di Sichuan, nonostante la loro grande vicinanza all’epicentro, il che è parimenti estremamente preoccupante.

Non sarebbe opportuno eseguire una valutazione internazionale indipendente in merito a tali questioni vitali, dato che i cinesi mostrano ancora un certo grado di opacità e qualsiasi dichiarazione ufficiale è rassicurante?

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) L’Europa deve offrire alla Cina quanto più aiuto possibile per motivi sia umanitari che politici. Sono uno dei numerosissimi membri di quest’Assemblea, che si oppongono fermamente alla barbara politica cinese nei confronti del Tibet e dei cristiani. Ritengo che dobbiamo senza dubbio reagire energicamente a qualsiasi caso di aggressione verso Taiwan.

D’altro canto, tuttavia, dobbiamo trarre vantaggio da ogni opportunità per mostrare al popolo cinese che le richieste che facciamo ai loro leader non sono motivate da nessun sentimento di ostilità nei confronti del suo paese e delle sue tradizioni. Dobbiamo dimostrare che un partenariato amichevole è possibile e si è ora presentata un’opportunità eccellente per farlo. Dobbiamo offrire ampia assistenza alle vittime e impegnarci senza riserve nell’opera di ricostruzione successiva alla recente catastrofe. Sarebbe un grave errore perdere quest’opportunità di creare un rapporto di fiducia tra l’Europa e la Cina.

 
  
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  Patrick Louis, a nome del gruppo IND/DEM. – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, le catastrofi naturali ci rattristano soprattutto quando causano un numero elevato di vittime, come di recente in Cina o in Birmania. Ci ricordano il valore della vita umana, così come il fatto che non possiamo controllare la natura. Desideriamo inviare un messaggio di compassione a coloro che subiscono catastrofi naturali e politiche.

Uno degli obiettivi dei politici è impedire che la sventura pubblica ricada sul loro popolo. Di conseguenza, se non possono impedire le catastrofi naturali, possono tentare di anticiparli e allertare la popolazione, ma soprattutto devono minimizzare i rischi attraverso politiche preventive responsabili. A titolo esemplificativo, le prometeiche infrastrutture cinesi, quali le enormi dighe idroelettriche e le centrali nucleari hanno resistito. Ma per quanto tempo ancora? Non è meglio utilizzare un numero più elevato di strutture più piccole per suddividere il richio e aumentare l’informazione pubblica sui rischi implicati?

La situazione più drammatica per la popolazione cinese, tuttavia, è relativa alle catastrofi politiche. Sebbene riconosciamo il carattere ammirevole di questo popolo lavoratore e abile e la finezza della sua cultura, possiamo giudicare gli atti politici senza scavare troppo nelle politiche interne del paese. La politica disastrosa del figlio unico costituisce una catastrofe enorme. Colpisce i bambini, l’elevato numero di famiglie di agricoltori obbligate a disfarsi delle figlie femmine, fonte inferiore di reddito che non garantisce la continuità della fattoria e la pensione, o il secondo figlio che non ha nessun diritto di esistere in base agli ordini di Creon. E’ il disprezzo dei diritti umani quando un ordine politico non permette ai genitori di avere quanti figli desiderano. Ancora una volta, la vita non è considerata per il suo valore effettivo, bensì come mera funzione utilitarista. Ma in questo caso, tuttavia, la catastrofe naturale si fonde a quella politica quando il tetto di una scuola crolla, schiacciando l’unico figlio e lasciando sconvolti i genitori.

Quando i 30 000 giornalisti previsti arriveranno a Pechino per i Giochi olimpici, devono ritagliarsi il tempo per osservare, al di là delle apparenze, la realtà di questo paese che, a furia di potenza e efficienza, rischia di perdere qualsiasi rispetto per gli esseri umani, vero fondamento dell’ordine politico.

 
  
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  Karsten Friedrich Hoppenstedt (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, durante i pubblici minuti di silenzio ordinati dalle autorità cinesi, la gente è rimasta immobile – le persone nelle strade, sugli autobus e nei negozi – e la loro espressione facciale non ha lasciato alcun dubbio circa la sincerità dei loro sentimenti. E’ stato molto diverso rispetto alle normali dimostrazioni collettive obbligatorie di solidarietà. Perché è stato così? Perché la televisione pubblica è stata capace di riferire 24 ore su 24, evocando una profonda sensazione di choc di fronte all’inimmaginabile sofferenza delle persone delle zone colpite. Ciò ha ispirato un nuovo senso di solidarietà in Cina. Il rispetto per l’individuo è diventato nuovamente evidente, anche tra i leader politici.

Finora gli unici grandi punti focali nazionali sono stati la crescita economica della Cina e, più di recente, i Giochi olimpici, ma alla luce della catastrofe attuale, molte persone quasi mancano di mostrare attenzione per tali punti. Cosa deve fare la comunità internazionale? Per certi versi si è già risposto a tale domanda: oltre a inviare materiali umanitari, piani di ripristino in caso di catastrofe e, certamente, apparecchiature tecniche, vi è la necessità di mettere in comune l’esperienza raccolta nel periodo successivo ai grandi terremoti verificatisi in Armenia, dove si sono perse più di 100 000 vite, in Turchia, dove è stata danneggiata una centrale nucleare e in cui si sono perse decine di migliaia di vite, e in Cina, nel 1976, dove diverse centinaia di migliaia di persone sono morte, e utilizzare tale esperienza collettiva al fine di sviluppare principi di buona prassi per la comunità internazionale e applicarli a vantaggio della Cina.

So che si è accennato a ciò che potrebbe accadere in particolare alle dighe ci deve far esaminare la resistenza ai terremoti degli edifici pubblici, degli ospedali e delle scuole. A tal proposito, c’è molto che si può fare e si possono dare indicazioni adeguate relativamente a quali norme debbano essere applicate alla costruzione di strutture antisismiche.

Naturalmente, in quanto membro della delegazione per le relazioni con la Cina, sottoscrivo i messaggi di condoglianze trasmessi dai precedenti oratori.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Signora Presidente, signor Commissario, tutti noi ci rammarichiamo per il disastro che ha devastato la Cina meridionale. Sono morte più di 50 000 persone e 4,8 milioni sono rimaste senza casa. Siamo tutti vicini alle famiglie colpite.

L’Unione europea ha agito come doveva: ha attivato I meccanismi di protezione civile e ha appoggiato le autorità cinesi. La comunità internazionale nel suo complesso ha altresì dato il suo appoggio. Mai prima d’ora la Cina aveva ricevuto così tante manifestazioni di solidarietà e offerte di appoggio concreto, perché, questa volta, le autorità cinesi non hanno tentato di nascondere le proporzioni della tragedia. Al contrario, hanno fornito le informazioni necessarie, hanno permesso l’accesso dei media internazionali e, in generale, hanno agito in modo trasparente ed efficiente, diversamente da quanto è successo in Birmania.

Il cambiamento climatico è alla base dell’aumento delle catastrofi naturali. Impedire che il pianeta si surriscaldi è una nostra responsabilità. Anche la Cina deve pertanto contribuire a ridurre le emissioni di CO2, appoggiando gli sforzi dell’Unione europea a giungere a un accordo internazionale quando, nel dicembre 2009, vi sarà la Conferenza di Copenaghen.

 
  
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  Bastiaan Belder (IND/DEM).(NL) Con un’apertura senza precedenti, i mass media cinesi hanno riferito in merito alle terribili conseguenze del grave terremoto che ha colpito la provincia di Sichan più di una settimana fa. Tale apertura delle autorità ha portato, nel paese, a una solidarietà per le vittime senza precedenti. E’ balzata alla ribalta la società armoniosa. Decine di migliaia di volontari si sono fatti avanti. Le squadre di soccorso provenienti da ogni provincia si sono concentrate nelle zone disastrate. Gli aiuti tangibili hanno raggiunto in Cina un massimo da primato. In breve, l’aperture delle autorità ha dato i suoi frutti.

In futuro, le istituzioni europee devono pertanto mantenere questa apertura senza precedenti delle autorità cinesi, senza dubbio nel caso della questione critica già sollevata in Cina relativa al motivo per cui così tanti edifici scolastici sono crollati. La Cina è stata altrettanto aperta con il resto del mondo. Il governo cinese, ad esempio, ha accettato l’offerta giapponese di inviare una squadra di soccorso. Nel frattempo, Taiwan ha impegnato 42 milioni di euro per soccorrere le vittime del terremoto. Mi auguro sinceramente che tale solidarietà porti alla normalizzazione necessaria nelle relazioni tra la Cina e Taiwan.

Mi unisco senza riserve a quei membri che hanno espresso la loro più profonda solidarietà per l’indicibile sofferenza del popolo cinese e ho apprezzato in modo particolare la firma del libro delle condoglianze presso la rappresentanza cinese di Bruxelles da parte dell’onorevole Sterckx a nome di tutti noi. L’approvo pienamente.

 
  
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  Cornelis Visser (PPE-DE).(NL) Desidero innanzi tutto porgere le condoglianze ai parenti delle numerose vittime della catastrofe naturale che il 12 maggio ha colpito la provincia di Sichuan. Fortunatamente le autorità cinesi hanno agito prontamente dopo il disastro. Accolgo altresì con favore la risposta dell’Unione europea. Desidero pertanto appoggiare le istituzioni europee, la Commissione e il Consiglio, nell’approccio per cui hanno optato finora. Dopo aver inizialmente rifiutato l’aiuto straniero, la Cina ha aperto le frontiere. Le stesse autorità cinesi hanno affermato di poter usare ogni aiuto possibile per far fronte a questa estesa catastrofe. Le squadre di soccorso giapponesi, sudcoreane e russe si trovano già nelle zone colpite. Reputo ciò e il fatto che i paesi vicini di Singapore e Taiwan stiano fornendo aiuti è molto incoraggiante. Le relazioni politiche con i paesi vicini non sono sempre buone e ciò potrebbe contribuire a migliorarle.

I mezzi d’informazione nazionali e internazionali hanno dedicato molta attenzione alla catastrofe. Sono lieto che sia stato concesso l’accesso alle zone colpite alla stampa e che le sia stata concessa la possibilità di scrivere ciò che voleva e di informare il resto del paese e del mondo. La trasparenza è importante al fine di ottenere un quadro chiaro della catastrofe, nonché per garantire che i giusti aiuti siano forniti sul posto. Ciò permette un maggiore coinvolgimento del resto della popolazione. Una stampa libera e un buon governo vanno di solito di pari passo. Un stampa libera può riferire i fallimenti della politica decisamente con grande tempestività e le politiche possono essere corrette.

Va discussa anche la supervisione degli edifici e dell’amministrazione di quella zona. Si possono tirare le conclusioni per i futuri progetti edilizi e si possono fare raccomandazioni per una gestione e una migliore organizzazione ufficiale.

La prevenzione e la preparazione alle catastrofi naturali sono responsabilità della massima importanza del governo. E’ solo negli ultimi anni che esse sono state adeguatamente organizzate anche in molti paesi europei. Infine, desidero chiedere alla Commissione europea e al Consiglio di offrire, se necessario, aiuto alla Cina per la formazione delle autorità e della funzione pubblica civile per l’elaborazione di piani volti a far fronte a crisi e catastrofi.

 
  
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  Alexandra Dobolyi (PSE). - (HU) La ringrazio molto, signora Presidente. Ogni persona rispettabile è rimasta scioccata della catastrofe naturale che si è verificata scorsa settimana in Estremo Oriente. E’ normale che l’attenzione del mondo intero si concentri su tali paesi.

Al momento la Cina è decisamente al centro dell’attenzione pubblica: i Giochi olimpici di quest’estate, la visita a Taiwan del premier cinese, gli avvenimenti in Tibet, il giro dell’Europa del Dalai Lama e come è stato ricevuto, la visita in Cina della Commissione europea; tutte queste cose hanno contribuito a concentrare l’attenzione sulla Cina. Ora non è tuttavia il momento di parlare dei boicottaggi o del Tibet.

Il terremoto, di magnitudo 8,0 e che ha lasciato in rovina l’altopiano di Sichuan, ha causato la morte di 50 000 persone e ha lasciato senza casa milioni di sopravvissuti, per non menzionare il danno economico arrecato. Ecco perché chiedo a ogni istituzione dell’Unione europea di assicurarsi che offriamo tutta l’assistenza umana che possiamo e che, finché sarà necessario, mettiamo a disposizione aiuti per coloro che sono sono stati colpiti dalla catastrofe.

Ringraziamo le squadre di soccorso e le organizzazioni umanitarie per il loro aiuto; hanno lavorato 24 ore su 24 per migliorare la condizione delle persone che vivono nella regione e assicuriamo al popolo cinese la nostra solidarietà e partecipazione incondizionate. Grazie.

 
  
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  Glyn Ford (PSE). - (EN) Signora Presidente, il 12 maggio un terremoto con magnitudo 7,8 ed epicentro vicino a Chengdu, nella provincia di Sichuan, ha ucciso più di 100 000 persone. Possiamo solo fare le nostre condoglianze a tutti coloro che hanno perso i loro cari e in particolare ai genitori che hanno perso i figli. Tuttavia, diversamente dalla tragedia verificatasi parallelamente in Birmania, riguardo alla quale alcuni hanno suggerito che la responsabilità di proteggere debba portare all’intervento internazionale diretto, i cinesi hanno impiegato risorse d’urgenza eccezionali, insieme a militari e personale medico. La Cina ha accolto con favore l’assistenza straniera, tra cui i soccorritori giapponesi che al momento lavorano nella zona, e ha permesso ai mezzi d’informazione cinesi e stranieri di seguire il periodo successivo alla catastrofe.

Come affermato dal Commissario Michel, l’Unione europea ha già contribuito con 10 milioni di euro in aiuti. Esortiamo il Consiglio e la Commissione a fornire alla regione interessata, nei mesi e negli anni a venire, ulteriori aiuti d’urgenza, assistenza tecnica e aiuti per la ricostruzione.

 
  
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  Józef Pinior (PSE). - (EN) Signora Presidente, questo è il momento in cui mostriamo alla Cina solidarietà e compassione. In questi tragici giorni abbiamo visto le vittime; abbiamo assistito a una grande tragedia della società cinese.

Sono rimasto impressionato dal modo in cui si sono comportate le autorità cinesi – leader dello Stato, responsabili amministrativi, provinciali e di partito – il comportamento dello Stato cinese è stato razionale, qualcosa di positivo in questo momento.

Ma al contempo, in quanto politico per i diritti umani, devo riferire al Parlamento che, secondo il Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia, il 14 maggio sono state arrestate 55 monache. Oggigiorno è anche questa una realtà in Cina. Il terremoto non può diventare un pretesto per abusi dei diritti umani.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE). - (HU) Signora Presidente, le terribili tragedie del terremoto cinese e del ciclone che l’ha preceduto in Birmania hanno scioccato il pubblico di tutto il pianeta. La risposta dei paesi di tutto il mondo è stata esemplare, con paesi che, dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Russia alla Giordania, hanno fornito aiuti per la modesta somma di più di due miliardi di dollari.

L’Unione europea e i suoi Stati membri hanno reagito immediatamente e anche la Commissione ha intrapreso un’azione decisiva, inviando due milioni di euro in aiuti d’urgenza alla Cina e assistendo gli sforzi per i soccorsi distribuendo alle unità ospedaliere mobili farmaci, apparecchiature di soccorso e attrezzature per la rimozione delle macerie. E’ stato particolarmente encomiabile, da parte del governo tibetano in esilio in India, chiedere ai suoi seguaci di arrestare temporaneamente le dimostrazioni contro la Cina ed elargire donazioni al fine di aiutare le vittime del terremoto.

Gli aiuti finanziari dell’Ungheria, originariamente destinati alla Birmania, sono stati riorientati verso la Cina a causa dell’atteggiamento isolazionista della dittatura militare birmana. I dirigenti cinesi, al contrario del regime del Myanmar, sono stati saggi ad accettare gli aiuti stranieri. Anche il modo responsabile in cui la Cina ha gestito la pubblicità è stato molto positivo e dimostra che sono stati compiuti progressi molto significativi in termini di sviluppo democratico. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE).(PL) Ancora una volta la natura ci ha dimostrato quanto sia indifesa l’umanità di fronte alle grandi catastrofi e calamità naturali. La Cina è il paese maggiormente popolato del pianeta, la sua economia sta fiorendo e si sta preparando con entusiasmo per i prossimi Giochi olimpici. E’ stata tuttavia devastata dal recente tragico terremoto.

Il popolo cinese ha paragonato tale disastro ai cataclismi precedenti che hanno accompagnato i principali cambiamenti storici del paese. Non sono certa che questo sia il modo di interpretare questo terribile evento. Ciononostante, sono certa che in un tale momento dobbiamo manifestare la nostra solidarietà per le decine di migliaia di uomini, donne e bambini che sono eroicamente sopravvissuti a questa tragedia personale e nazionale. Ecco perché il Parlamento europeo ha ragione a inviare oggi un chiaro segnale al popolo cinese, indicando che i membri di quest’Assemblea sono al loro fianco, che comprendiamo la loro sofferenza e vogliamo aiutarli. Dopo tutto, il principio di solidarietà costituisce uno dei valori fondamentali più importanti dell’Unione.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE). - (EN) Signora Presidente, ci si deve congratulare con la Cina per il modo in cui ha reagito a questa catastrofe. Desidero inoltre ringraziare la Commissione europea e il Consiglio per il modo in cui hanno agito nell’affrontare questa tragedia. E’ un gradito progresso che la Cina abbia aperto la zona a tutti coloro che possono offrire assistenza; ci auguriamo che lo facciano ancora in futuro in relazione ad altre aree. Permettere alle informazioni necessarie di uscire dal paese e di essere trasmesse dai media mondiali è il giusto passo avanti. Desidero altresì congratularmi con i mezzi d’informazione e comunicazione per aver sottolineato la portata della catastrofe e dell’assistenza necessaria.

Che ciò insegni anche alla Cina a osservare come poter utilizzare il proprio potere per esercitare pressione su altri regimi, in particolare in Birmania, al fine di cercare di portarli a notare che anch’essi necessitano di assistenza da parte della comunità mondiale. Salvare vite è la priorità in Cina; facciamo in modo che altri, come la giunta birmana, apprendano da questa esperienza.

 
  
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  Bogdan Golik (PSE).(PL) Signora Presidente, desidero esprimere le mie più sincere condoglianze a tutti coloro che, in Cina, hanno sofferto e che hanno perso i loro cari. Desidero esprimere le mie più sentite condoglianze a tutti coloro che hanno perso i figli, la moglie o il marito. Io stesso mi trovavo in Cina la scorsa settimana, quando si è verificato questa terribile catastrofe. Ero a Pechino e a Shanghai e ho rappresentato il Parlamento all’apertura della Fiera alimentare di Shanghai. Il disastro si è verificato lunedì, proprio mentre stavo arrivando. Ho immediatamente inviato lettere di condoglianze agli ambasciatori cinesi in Polonia e a Bruxelles. Ho avuto modo di vedere servizi televisivi sulla tragedia e rendermi conto della portata della sofferenza umana causata. Ho altresì visto gli aiuti massicci forniti immediatamente alle vittime da parte della gente comune, del governo e dell’esercito. La portata degli sforzi è stata senza precedenti.

Desidero approfittare di questa opportunità per ringraziare l’Unione e tutti gli Stati membri per gli aiuti forniti. Desidero altresì ringraziare l’Assemblea per il gesto di solidarietà dimostrato nel tenere oggi la presente discussione. Sono certo che gli aiuti continueranno a essere necessari.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE).(PL) Ritengo che vi siano due approcci differenti nei confronti della Cina. Uno è fornire assistenza in seguito alla disgrazia che si è verificata nel paese. Non possiamo reagire altrimenti. E’ un nostro dovere morale quello di aiutare. Il fatto che godiamo di una migliore condizione finanziaria ed economica è un’ulteriore ragione per offrire aiuti. Semplicemente, dobbiamo fare così.

Il secondo approccio implica essere sempre consci del fatto che dobbiamo aiutare la Cina anche in tempi normali. Con questo intendo dire che, quando il paese non è afflitto da catastrofi, dobbiamo aiutare il popolo cinese ricordando ai loro leader i diritti dei loro cittadini. Dobbiamo farlo in modo molto categorico. Dobbiamo rispondere adeguatamente a entrambe le situazioni, il che renderà le cose molto chiare. Credo che la popolazione cinese riconoscerà i nostri sforzi e di questo ci ringrazierà.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Credo che sia molto importante che il Parlamento europeo abbia deciso di dedicare la discussione di oggi alla catastrofe naturale in Cina. Primariamente al fine di poter inviare alla Cina un messaggio, da un lato esprimendo le condoglianze dell’Unione europea, e, come espresso dall’onorevole Grabowska, di trasmettere alla Cina e al suo popolo la solidarietà dell’Unione europea.

E’ ovvia anche la differenza di tono tra la discussione che si è tenuta a questo proposito e quella sul punto all’ordine del giorno immediatamente precedente. Senza dubbio, parte della ragione di tale differenza sta anche nel modo in cui i leader cinesi hanno agito e possiamo veramente dire che la loro risposta a questa terribile catastrofe è stata rapida ed efficiente, che hanno utilizzato considerevoli risorse nazionali, che hanno personalmente incaricato o nominato il Primo Ministro come coordinatore degli aiuti. Per superare con successo tali difficoltà ci deve essere un buon coordinamento, il che è stato ovviamente realizzato.

Anche i media hanno tenuto informato, sia a livello nazionale che internazionale, il grande pubblico con regolarità relativamente agli sviluppi. E’ stato concesso l’accesso alle zone colpite ai giornalisti stranieri nonché ad alcuni esperti stranieri, secondo le informazioni a nostra disposizione, tra cui giapponesi.

Ritengo pertanto che possiamo essere soddisfatti che nell’affrontare questa enorme catastrofe e nel fornire aiuto alla sua popolazione, le autorità cinesi sono state ben organizzata e che, soprattutto, sono intenzionate ad accettare gli aiuti stranieri, ivi compresi i nostri. Posso garantirvi che il Consiglio sarà sempre pronto a fornire aiuti.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Molto brevemente, signora Presidente, poso garantirvi che ho preso debita nota delle vostre osservazioni e desidero rispondere dicendo che saremo naturalmente ancora disponibili ad andare al di là degli aiuti che abbiamo già impegnato e che si basano su un’analisi dei bisogni.

Penso inoltre che tutti accolgano con favore la reazione della Cina e il modo in cui le autorità sono state aperte in termini di accesso e trasparenza. Penso in particolare all’accesso della stampa.

Desidero riprendere un’idea espressa dall’onorevole Flautre – il suggerimento di fornire una squadra di esperti per valutare i rischi e i danni collaterali, in particolare in relazione alle infrastrutture nucleari. Penso che sarebbe opportuno trasmettere questo messaggio. Non vi è certamente alcun obbligo a farlo, ma penso ancora che sarebbe opportuno avviare a tal proposito una discussione con le autorità cinesi.

 
  
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  Presidentee. − Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) a norma dell’articolo 103, paragrafo 2 del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì alle 12.00.

 
  

(1)Vedasi processo verbale.


12. Trattato globale sul bando delle armi all’uranio (discussione)
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  Presidentee. − L’ordine del giorno reca:

l’interrogazione orale (O-0029/2008/rev) presentata da Elly de Groen-Kouwenhoven, Angelika Beer e Carolina Lucas, a nome del gruppo Verts/ALE, Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL, Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE, Ana Maria Gomes, a nome del gruppo PSE, Ģirts Valdis Kristovskis, a nome del gruppo UEN, Karl von Wogau e Stefano Zappalà, a nome del gruppo PPE-DE, al Consiglio: Trattato globale sul bando alle armi all’uranio (B6-0153/2008),

e

l’interrogazione orale (O-0030/2008/rev) presentata da Elly de Groen-Kouwenhoven, Angelika Beer e Carolina Lucas, a nome del gruppo Verts/ALE, Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL, Annemie Neyts-Uyttebroeck, a nome del gruppo ALDE, Ana Maria Gomes, a nome del gruppo PSE, Ģirts Valdis Kristovskis, a nome del gruppo UEN, Karl von Wogau e Stefano Zappalà, a nome del gruppo PPE-DE, alla Commissione: Trattato globale sul bando alle armi all’uranio (B6-0154/2008).

 
  
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  Elly de Groen-Kouwenhoven, autore. (EN) Signora Presidente, nel dicembre 2007 l’Assemblea generale dell’ONU ha accettato con una maggioranza schiacciante una risoluzione che raccomandava un’indagine in merito agli effetti sulla salute del personale civile e militare delle armi all’uranio.

Ci congratuliamo con Germania, Irlanda e Italia in quanto unici paesi NATO ad appoggiare la risoluzione ONU. Il motivo di tale sostegno può essere il fatto che molti dei loro soldati sono tornati affetti da patologie mortali e/o successivamente hanno avuto figli che presentavano gravi malformazioni. Esortiamo pertanto altri paesi UE a seguire il loro esempio e a presentare relazioni sulla salute in linea con la richiesta ONU.

L’UI (uranio impoverito) è stato utilizzato nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan. L’UI è uno scarto ed è un materiale estremamente economico per costruire armi. Si stima che le scorte globali siano di 1,3 tonnellate. Molto meno di un migrogrammo in corpo può essere letale. Oltre alle radiazioni, l’UI è un composto chimico tossico. Nessuno informa le truppe o la popolazione dei paesi in cui vengono utilizzate armi all’uranio. Le ultime scoperte degli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità relative agli effetti dannosi dell’UI sono state censurate.

Esortiamo l’UE a informare i suoi cittadini e le popolazioni dei paesi obiettivo. Esortiamo la Commissione e il Consiglio ad assicurarsi che venga istituito quanto prima un trattato internazionale.

Al fine di acquisire un quadro dettagliato della questione, è decisamente tempo che la Commissione e il Consiglio diano accesso a tutte le relazioni esistenti e avviino ulteriori indagini che il Parlamento esorta dal 2001. Nel frattempo ribadiamo il nostro appello a bandire l’UI in base al principio di precauzione.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck, autore. − (NL) La lotta per bandire a livello globale l’utilizzo dell’uranio nelle armi e nelle munizioni rientra nella nostra generale lotta per il controllo delle armi e il disarmo. Concentriamo l’attenzione in modo particolare sulle armi e le munizioni che sono estremamente pericolose e dannose per i civili e che restano pericolose per lungo tempo dopo il termine del conflitto, quali le mine antiuomo, le bombe a grappolo e le armi contenenti uranio. So che è ironico parlare di armi più pericolose e più dannose di altre, ma le cose stanno così. Ecco perché ci concentriamo su quelle che possono avere gli effetti peggiori sulla popolazione civile indifesa.

Nel novembre 2006, questo Parlamento ha richiesto una moratoria su tale tipo di armi e cioè sulle armi contenenti uranio. Lo scorso anno il mio paese, il Belgio, ha approvato una legge non solo su una moratoria, ma su un’effettiva messa al bando di qualsiasi utilizzo delle armi all’uranio e penso che sia un piccolo motivo di orgoglio. Desidero ora chiedere alla Commissione e al Consiglio quale azione intendono intraprendere al fine di rendere tale moratoria più generalizzata e appoggiare un divieto generalizzato.

Come i precedenti oratori hanno già lungamente spiegato, inoltre, le armi all’uranio sembrano avere effetti dannosi sui soldati che le utilizzano o che sono esposti al loro utilizzo. Anche se ciò può non essere assolutamente certo, è tuttavia consigliabile che il Consiglio garantisca che i militari e il personale che prendono parte a operazioni nel quadro della Politica europea di sicurezza e di difesa non siano esposti a rischi di questo genere. Desidero pertanto chiedere al Consiglio quali misure concrete si stanno intraprendendo al fine di garantire che i militari e il personale che partecipano a queste operazioni non siano esposti a tali rischi e che non sia esposta neppure la popolazione delle zone in cui si svolgono tali operazioni. Sarò lieta di ricevere una risposta.

 
  
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  Ana Maria Gomes, autore. − (PT) Signora Presidente, in una recente lettera al The Times di Londra, nove ex comandanti militari britannici hanno esortato il governo del Regno Unito a unirsi a quelli che stanno conducendo una campagna a favore di una messa al bando delle munizioni a grappolo. La loro argomentazione era la stessa di quella avanzata nell’ambito delle mine antiuomo: per quanto utile possa essere sul breve periodo un’arma, nella logica militare il fatto che nuoccia in modo indiscriminato sul lungo periodo è sufficiente a giustificare la sospensione del suo utilizzo da parte di forze armate responsabili.

La stessa logica si applica in relazione alle munizioni all’uranio impoverito. La European Organisation of Military Associations, EUROMIL, sta monitorando da vicino la questione e la sua posizione, in base alle informazioni ricevute dal personale militare di tutta Europa, è categorica: le munizioni all’uranio impoverito devono essere abbandonate quanto prima.

Il Parlamento europeo si è già espresso a favore di una totale messa al bando di tali armi e la risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU, approvata lo scorso dicembre, che ha inserito la questione degli armamenti e delle munizioni contenenti uranio impoverito nell’ordine del giorno della sessantatreesima sessione dell’Assemblea generale, ha confermato che il Parlamento europeo ha ragione a prendere l’iniziativa e a chiedere che anche il Consiglio la prenda in tale dibattito sul disarmo e sul diritto umanitario.

Le argomentazioni “contro” avanzate dagli scettici presenti tra noi non attaccano. Il più elementare principio di precauzione impone la stigmatizzazione di tali armi persino prima che l’ampia prova circostanziale dei loro effetti indiscriminati e cancerogeni venga sostituita da un’irrefutabile prova scientifica.

Che cosa diranno di noi politici le persone, e persino gli scettici di oggi, tra dieci anni, quando gli effetti dannosi di tali armi saranno evidenti e indiscutibili se, nel frattempo, non abbiamo fatto nulla per toglierle dalla circolazione? Diranno le stesse cose che dicono ora circa le mine antiuomo: come hanno potuto aspettare così a lungo!

 
  
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  Ģirts Valdis Kristovskis, autore. (LV) Onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto sottolineare che invito il mio paese – la Lettonia – a sottoscrivere la risoluzione ONU del dicembre 2007. In secondo luogo esorto l’Alto rappresentante a presentare un’opinione ragionata sull’iniziativa contenuta in tale risoluzione. Terzo, invito l’Unione europea a garantire che vengano fatte circolare tra gli Stati membri le informazioni riguardanti i tipi di munizione che si prevede vengano utilizzate nelle operazioni. Nell’ambito dell’uranio impoverito, posso portare una particolare esperienza personale. In Lettonia sono stato il ministro della Difesa per cinque anni e mezzo. E’ stato proprio durante il mio mandato che la Lettonia ha aderito alla coalizione USA nella guerra in Iraq. A quel tempo in diverse occasioni sono emersi sospetti in merito all’utilizzo dell’uranio impoverito in Iraq. La comunità internazionale ha reagito celermente in merito alla questione. Le truppe lettoni, tuttavia, non hanno fatto uso di munizioni all’uranio impoverito. Eppure per diversi mesi, in Lettonia, mi è stato chiesto di assumermi la responsabilità di tali eventi in quanto ero uno dei ministri della coalizione. Purtroppo, in quanto ministro della coalizione, non sono stato informato circa l’utilizzo dell’uranio impoverito. E’ inaccettabile. Non solo gli Stati membri dell’UE devono valutare seriamente la necessità di munizioni di questo tipo nel loro arsenale di armi, ma l’Unione europea deve anche garantire che sia obbligatorio per gli Stati membri scambiare informazioni sul possibile utilizzo dell’uranio impoverito nelle operazioni. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Presidentee. − Onorevole Kristovskis, non l’ho interrotta perché la sua testimonianza in quanto ministro della Lettonia era estremamente importante, però le rendo noto che aveva superato ampiamente il suo tempo.

 
  
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  Stefano Zappalà, autore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, su questa materia molto è stato detto in passato e purtroppo ritengo che molto dovrà ancora essere detto prima che si trovi una soluzione definitiva, lo hanno detto prima i colleghi e lo hanno chiarito molto bene.

Esistono provvedimenti di qualche Stato membro che proibiscono la realizzazione e qualunque uso a scopo commerciale o bellico di questo tipo di munizionamento. Esistono varie sollecitazioni fatte da questo Parlamento, esistono documenti fotografici e testimonianze, esistono fondati motivi per ritenere che militari italiani sono morti per l’esposizione a tali tipi di armi.

Esiste una risoluzione dell’ONU che dimostra una generale preoccupazione, esistono varie richieste di studi approfonditi sulla materia. Esiste il principio di precauzione che conformemente al diritto dell’Unione europea dovrebbe indurre una moratoria generalizzata quanto meno fino a quando non si abbiano dati certi di natura scientifica.

Tuttavia, nulla di tutto questo fino ad oggi ha ottenuto un risultato sperato. L’uranio impoverito continua ad essere usato nei teatri di guerra, sia in zone rurali che urbane. E’ indubbio che il materiale chimico, in genere, penetra attraverso il suolo sia nelle falde acquifere che nei prodotti dell’agricoltura e quindi è indubbio che le particelle di uranio impoverito al contatto con il suolo si disperdono nel sottosuolo inquinando acque sotterranee e prodotti agricoli, con l’ovvia conseguenza della diffusione di malattie indotte nelle popolazioni che vi sono esposte e – anche se in forma ridotta – su tutto il pianeta attraverso il ciclo delle acque e gli elementi, specie in un sistema di mercato globale sempre più ampio.

E’ vero che non esistono ancora studi certi a dimostrazione di tale pericolosità, ma è innegabile che i parametri oggi a nostra conoscenza non escludano l’esistenza del rischio. Già solo questa considerazione deve impegnare i paesi a democrazia avanzata ad approfondire e decidere.

L’Unione europea in particolare non può, a mio avviso, continuare a non fare. L’Unione ha doveri precisi verso i propri Stati membri, ha doveri precisi nei confronti del resto del mondo, ha doveri precisi nei confronti dei propri cittadini. L’Unione ha risorse economiche da poter utilizzare e nessuna limitazione in termini di scienza e laboratori disponibili. Il non fare certamente è un fatto di volontà e non di carenza di disponibilità di risorse e mezzi.

Da tutto quanto sopra, emerge che il Consiglio e la Commissione non possono esimersi dall’impegnarsi affinché i propri cittadini, siano essi civili o militari, non vengano inviati in aree del mondo dove sono utilizzate e sono state utilizzate tali tipi di munizione, ma non possono nemmeno esimersi dall’avviare ogni possibile iniziativa che in una prima fase ne concili la fabbricazione e l’uso e a seguito dei risultati scientifici si prepari la loro messa al bando totale e distruzione definitiva.

Questo è quanto si chiede sperando che il senso di responsabilità del Consiglio e della Commissione venga dimostrato concretamente, visto che non si tratta di fumosa questione politica, ma di salute pubblica.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Signora Presidente, la ringrazio. A nome del Consiglio, desidero ringraziare l’onorevole deputato per aver posto la domanda riguardante la messa al bando a livello mondiale o il trattato globale per mettere al bando le armi all’uranio.

Certo, gli onorevoli deputati sono probabilmente consci del fatto che tale accordo non esiste ancora. Non vi è alcun accordo che regolerebbe le armi all’uranio impoverito a livello multilaterale. E’ altresì noto che non vi è l’unanimità in seno al Consiglio.

Una discussione sugli effetti degli armamenti contenenti uranio impoverito si è tenuta di recente presso le Nazioni Unite, dove, alla fine dello scorso anno, la prima commissione dell’ONU ha adottato una risoluzione intitolata “Effetti dell’uso di armamenti e munizioni contenenti uranio impoverito”. Come si è già accennato, gli Stati membri dell’UE hanno tutti votato in modo diverso su tale risoluzione. Direi in modo molto diverso: cinque hanno votato a favore, quattro hanno votato contro e tutti gli altri si sono astenuti. Direi che questo è un quadro piuttosto buono dell’attuale situazione a livello mondiale.

Con il vostro permesso, desidero ora cercare brevemente di rispondere alle specifiche domande che sono state poste.

Per quanto concerne la prima domanda relativa alla risoluzione del Parlamento europeo sulle armi biologiche e alcuni tipi di armi convenzionali, desidero sottolineare che l’Unione europea è stata, è tuttora e continuerà a essere molto attiva nei suoi tentativi, fatti a livello internazionale, volti ad attuare la convenzione sulle armi biologiche e tossiche. Tra l’altro, l’UE ha giocato un ruolo importante in occasione della seconda conferenza d’esame del 2006 e sarà altresì attiva per la durata del programma di esperti sino alla prossima conferenza d’esame, in programma per il 2011.

In merito alla convenzione sulle armi convenzionali, sia l’Unione europea che i suoi Stati membri partecipano attivamente ai negoziati attuali, che comprendono una discussione sulle conseguenze umanitarie delle bombe a grappolo. Gli Stati membri si sono impegnati a realizzare, entro la fine di quest’anno, attraverso i negoziati, uno strumento giuridicamente vincolante che terrà conto di tutti gli aspetti delle bombe a grappolo.

Riguardo alla seconda domanda, desidero spiegare che a oggi le armi contenenti uranio impoverito non sono state inserite nella strategia dell’Unione europea relativa alle armi di distruzione di massa. E’ ancora in corso una discussione per vedere se è possibile inserire tali munizioni tra le armi di distruzione di massa. Vi sono in effetti alcuni che ritengono che l’uranio impoverito sia già coperto dalla convenzione sulle armi convenzionali; altri credono che il protocollo n. 3, che fa parte di tale convenzione, debba essere esteso per inserirvi la questione dei proiettili e delle testate contenenti uranio impoverito. In breve, i dibattiti sono ancora in corso.

Relativamente alla terza questione, desidero chiarire che la scelta delle attrezzatura militari, tra cui le munizioni utilizzate nelle operazioni condotte dall’Unione europea, rientri nell’ambito di responsabilità degli Stati membri e, dato che non esiste un accordo multilaterale relativo a tale quesione, non posso fornire nessuna informazione aggiuntiva in merito all’utilizzo dell’uranio impoverito.

La quarta domanda, riguardante le disposizioni di sicurezza per i soldati e i civili coinvolti nelle operazioni dell’Unione europea: desidero sottolineare che è il comandante dell’operazione, nel quadro del piano operativo approvato dal Consiglio europeo, ad essere responsabile delle disposizioni di sicurezza e che deve intraprendere qualsiasi misura che reputi necessaria. Certo, deve al contempo tener conto dei limiti operativi.

In qualsiasi missione civile dell’Unione europea, tale responsabilità spetta al capo missione sotto la direzione del comandante dell’operazione civile.

In quanto all’ultima domanda, relativa al dialogo tra il Consiglio europeo e gli USA, le organizzazioni non governative e i singoli, posso solo dire che fino a ora nel dialogo con gli Stati Uniti non è stata sollevata tale questione – né è stata ancora sollevata con la altre parti menzionate nell’interrogazione. In ogni caso, seguirò con interesse il resto della discussione su tale tema.

Grazie.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, la risoluzione del Parlamento, adottata nel novembre 2006, invita l’Unione europea e gli Stati membri a impegnarsi a estendere il campo di applicazione del protocollo III della convenzione su alcune armi convenzionali al fine di ridurre l’utilizzo delle armi all’uranio impoverito. Desidero ricordare all’Assemblea, che il Parlamento esorta ad azioni che, com’è noto, vanno al di là dei poteri della Commissione, dato che la Comunità non è firmataria della convenzione. Secondo i Trattati, inoltre, le istituzioni comunitarie non hanno alcun potere in ambito militare. Ciononostante, non desidero affatto dare l’impressione che la Commissione sia indifferente ai problemi relativi alla produzione, all’immagazzinamento e all’utilizzo delle armi coperte dalla convenzione su alcune armi convenzionali (CCW, Convention on Certain Conventional Weapons) o in generale alla questione delle armi disumane. La sua posizione è in effetti totalmente opposta.

La Commissione è profondamente impegnata nell’attuazione di una linea d’azione comune, adottata lo scorso anno dal Consiglio, a favore della natura universale della CCW e dei suoi protocolli. Quest’anno si sono tenuti tre seminari, uno per l’America latina e i Caraibi a marzo a Santo Domingo, e altre due per i paesi africani il mese scorso a Lomé. In seguito a tali eventi, la Repubblica dominicana ha già annunciato di essere intenzionata a ratificare a breve la convenzione, mentre il Suriname ha dichiarato di essere pronto a compiere i passi necessari alla ratifica. Anche la Commissione appoggia l’attuazione della convenzione sulle armi biologiche e sta altresì seguendo le iniziative volte a creare un nuovo strumento in risposta alle preoccupazioni umanitarie insorte derivanti dalle bombe a grappolo, nel quadro della CCW e del processo di pace di Oslo.

La Commissione ha intrapreso anche azioni in risposta ai problemi causati dalle munizioni esplosive. Nel 2006, ad esempio, sono stati erogati cinque milioni di euro per contribuire a rimuovere, in Libano, le macerie esplosive lasciate dalla guerra.

Relativamente alla seconda domanda, i risultati scientifici disponibili non possono confermare che le munizioni all’uranio impoverito (UI) comportino un rischio significativo per la salute della popolazione civile delle zone di combattimento interessate o del personale militare che presta o ha prestato servizio in tali zone. Questo parere riflette i risultati degli studi condotti da ONU, OMS, AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica), nonché da un gruppo di esperti istituito dalla Commissione europea conformemente all’articolo 31 del Trattato Euratom, che afferma quanto segue, e cito: “In base alle informazioni disponibili, si conclude che l’esposizione all’UI non può produrre alcun effetto individuabile sulla salute secondo ipotesi realistiche riguardanti le dosi che potrebbero essere ricevute”, fine della citazione. La Commissione intende esaminare nuovamente la questione. Essa continuerà inoltre ad assicurarsi della salute del suo personale e a conformarsi alle direttive dell’OMS in caso di utilizzo in condizioni che implicano una potenziale esposizione all’UI.

Quanto al dialogo con EUROMIL, la Commissione è senza dubbio disposta a confrontarsi con qualsiasi rappresentante della società civile.

Relativamente alle ultime tre domande, la Commissione attualmente non intende impegnarsi finanziariamente in tali ambiti.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ADAM BIELAN
Vicepresidente

 
  
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  Jana Hybášková, a nome del gruppo PPE-DE. – (CS) Le armi contenenti uranio impoverito rappresentano un fardello enorme per l’ambiente. L’argomentazione per cui i suoi effetti dannosi non siano stati provati suona assolutamente come un’assurdità a qualsiasi persona che abbia mai visto le conseguenze del loro utilizzo. Delle sporche bombe manderanno in frantumi le corazze spesse diversi centimetri dei carri armati più moderni. Il loro potere distruttivo è immane. Hanno un impatto sulla salute delle persone. Uccidono senza pietà. Non vi sono dubbi circa la necessità di cessare il loro commercio e arrestare la loro produzione, utilizzo e immagazzinamento. Il Parlamento e l’Unione, passo dopo passo, stanno costruendo forze armate europee e una difesa europea. Saremo i futuri partner sia della NATO che degli USA. Dobbiamo pertanto diventare partner credibili. Alzarsi e gridare: “Richiedo una moratoria sull’uranio impoverito” è comico. Ugualmente comico è esortare il Consiglio a preparare uno studio d’impatto. La prima cosa che è necessario fare è che venga raggiunto un consenso politico tra gli Stati membri, quali Francia, Gran Bretagna e forse Repubblica ceca. Dobbiamo poi iniziare a cooperare con l’ONU, al fine di gettare le fondamenta per il trattato globale sul bando dell’uranio impoverito, il che comprenderà la preparazione di un piano per una graduale messa al bando della produzione, accettabile per tutti gli Stati membri, dell’immagazzinamento e del commercio dell’uranio e fisseremo la data in cui l’utilizzo sarà finalmente messo al bando. Dopo di che dovremo tenere una conferenza per l’adozione di tale piano e l’avvio del processo che porterà alla definitiva messa al bando di tali armi.

Ci occorre un accurato studio analitico che valuti gli effetti collaterali. Ciò di cui abbiamo bisogno innanzi tutto è, tuttavia, la cooperazione politica, che avvierà il processo graduale volto a trovare la volontà politica e a ottenere a livello internazionale riconoscimento, consenso e decisione. Tale processo impiegherà anni. Sarebbe meraviglioso se l’Unione europea fosse una parte del nuovo trattato sul bando di qualsiasi utilizzo militare dell’uranio impoverito. Dobbiamo pertanto comportarci in modo responsabile. Non dobbiamo permettere che sciocche grida, ignoranza professionale e lavori incompleti danneggino la credibilità dell’UE. Dobbiamo continuare a essere partner in questo importante gioco.

 
  
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  Elizabeth Lynne, a nome del gruppo ALDE. (EN) Nel Regno Unito, centinaia di veterani credono che l’esposizione all’uranio impoverito nel corso della prima guerra del Golfo abbia comportato loro patologie croniche e disabilità e in Iraq vi è prova che l’utilizzo dell’uranio impoverito ha causato un aumento delle nascite di bambini con un occhio solo o a cui mancavano entrambi gli occhi. Sette degli otto bambini a cui mancavano entrambi gli occhi avevano padri che sono stati esposti all’uranio impoverito nel corso della guerra in Iraq nel 1991.

Almeno 17 paesi hanno ancora armi all’uranio impoverito nei loro arsenali militari, tra cui tre Stati membri dell’UE: Francia, Grecia e Regno Unito. Abbiamo ora bisogno con urgenza di un trattato internazionale che istituisca una moratoria immediata su utilizzo, sviluppo, produzione, stoccaggio, trasferimento e collaudo delle armi all’uranio impoverito, così come il riciclaggio o la distruzione delle scorte esistenti. Mi auguro che tutti appoggino tale risoluzione.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, la cautela da sola costituisce una ragione decisamente sufficiente per lavorare all’effettiva eliminazione delle armi che utilizzano l’uranio impoverito. Va senza dubbio accelerato il lavoro sugli studi di esperti in merito agli affetti dell’utilizzo di tali armi sugli esseri umani e sull’ambiente naturale. Si potrebbe tuttavia introdurre immediatamente una moratoria sull’utilizzo delle armi di questo tipo e trattare la questione nel quadro della nuova strategia europea in materia di sicurezza. La sfida che ora abbiamo di fronte è iniziare a lavorare a un trattato internazionale basato sul sistema dell’ONU. Tale trattato regolerebbe l’utilizzo, la produzione, l’immagazzinamento e il collaudo di questo tipo di armi.

 
  
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  Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, il presente dibattito era da tenersi molto tempo fa. Sono lieto che lo sia stato oggi. L’uranio impoverito è utilizzato in guerra da molti paesi, e in particolare nei paesi occidentali, come munizioni, perché ha un elevato potere penetrativo, in particolare contro i veicoli armati. Le munizioni all’UI, tuttavia, contengono sostanze chimiche estremamente velenose – sono in altre parole tossiche – oltre a essere radioattive. L’uranio impoverito è un sottoprodotto dell’industria nucleare, derivante dall’arricchimento dell’uranio o dalla produzione di armi nucleari. Anche l’utilizzo di energia nucleare, in breve, costituisce parte del problema.

Le munizioni all’UI hanno effetti sul lungo periodo. Quando viene colpito un obiettivo duro, l’uranio impoverito viene rilasciato a elevate temperature e brucia, trasformandosi in ossido di uranio impoverito, che assume la forma di una fine polvere tossica radioattiva, perché emette particelle alfa, che si inala facilmente e può essere diffusa dal vento e dall’acqua. Questa polvere è difficile da rimuovere dall’ambiente resta intrappolata nei polmoni con l’inalazione. Siamo a conoscenza della sindrome del Golfo e la sindrome dei Balcani; cento volte lo stesso fenomeno è stato evidente, con combattenti che contraggono tumori, quali il cancro ai polmoni, a causa dell’esposizione all’ossido di UI. Si sono altresì verificati aumenti nell’incidenza di tali tumori tra la popolazione delle zone in cui sono state utilizzate tali munizioni.

La cosa interessante è che l’efficacia militare delle munizioni all’UI è effettivamente molto limitata, mentre il loro utilizzo comporta numerosi rischi incalcolabili. La NATO a utilizzato le munizioni all’UI nella sua guerra di aggressione contro la Jugoslavia. In Iraq le forza USA hanno utilizzato un totale di 300 tonnellate di munizioni all’UI. In tale paese si è verificato un aumento della percentuale dei bambini deformi, in particolare a Baghdad. Il governo dell’Afghanistan ha ora richiesto un’indagine sull’utilizzo delle munizioni all’UI in Afghanistan e afferma che l’esercito americano non l’ha informato del fatto che sarebbero state usate munizioni all’UI, in particolare nella parte orientale del paese. Le munizioni all’UI sono state utilizzate nella guerra in Libano, principalmente da Israele, e ad esse si è fatto ampiamente ricorso durante la prima guerra del Golfo. 66 000 è il dato stimato dei combattenti contaminati.

Il problema è palese. A causa degli effetti dell’uranio impoverito, sono state riconosciute pensioni militari a veterani della prima guerra, quali Kenny Duncan del Regno Unito. Se la polvere dell’UI fosse stata, ad esempio, un prodotto cosmetico o una sostanza utilizzata nella produzione alimentare, sarebbe stata messa al bando molto tempo fa. Le truppe sono istruite a indossare indumenti protettivi quando maneggiano le munizioni all’UI. EUROMIL, la European Organisation of Military Associations, ha richiesto la messa al bando delle armi che sparano tali munizioni. Il Belgio ha messo al bando le munizioni all’UI e di questo ci congratuliamo. La commissione per il disarmo e la sicurezza internazionale dell’ONU ha votato con 122 favorevoli, 6 contrari e 35 astenuti per richiedere una relazione sugli effetti dannosi dell’utilizzo di armamenti e munizioni contenenti uranio impoverito. Tra i sei voti contrari c’erano quello di Repubblica ceca, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito. Quello di cui abbiamo bisogno è una messa al bando della produzione e dell’utilizzo delle munizioni all’UI.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’uso dell’uranio impoverito a fini bellici è contrario al diritto internazionale, esistono inconfutabili prove della sua reale tossicità tanto per l’uomo che per l’ambiente. Concordo che nella strategia di sicurezza europea deve essere pienamente considerato il problema e ritengo che totale ed assoluto dovrebbe essere il bando di questi armamenti nell’ambito degli Stati dell’Unione.

Entrambe le interrogazioni propongono valutazioni e pongono problemi condivisibili fondati e documentati numerosissimi casi – qui approfitto per ricordare quello dei soldati italiani impegnati nei Balcani, che ancora attendono giusti indennizzi e che temo non vedranno assolutamente mai. Dia l’Unione un segnale deciso e forte almeno per il futuro, visto che non appare in grado di porre rimedio ai danni del passato impedendo fabbricazione, stoccaggio e commercializzazione di questo tipo di armi nell’ambito degli Stati dell’Unione.

 
  
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  Luisa Morgantini, autore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, considero fuori luogo e anche abbastanza cinica il richiamo alla real politik di Jana Hybášková. Sulla salute dei cittadini non sono ammesse ignavia o negligenza né segreti di Stato.

L’uso delle armi all’uranio ha conseguenze devastanti e irreparabili. I proiettili di uranio quando esplodono irradiano polveri sottili e contaminanti, inquinano aria, terra e acqua, penetrano il sistema respiratorio, accrescono le probabilità di tumori, leucemie e malformazioni. Chi li usa viola palesemente le leggi umanitarie internazionali. Solo in Italia, a partire dalla guerra del Golfo del 1991, l’associazione che assiste i familiari delle vittime arruolate nelle forze armate ha calcolato a 50 i casi di decesso. Recentemente il ministro della difesa ha parlato di 77 morti e i malati oscillano dalle centinaia a circa duemila persone.

Sono più di 2.000 le tonnellate di uranio impoverito utilizzate dal 1991 al 2003. Il 70 per cento del territorio dell’Iraq è contaminato e ancora oggi non si conosce con certezza l’ammontare dei costi umani orribili dell’uranio impoverito. Ho visto in Iraq, all’ospedale di Bassora, ho visto i corpi di bambini deformi, ho visto le devastazioni dei loro piccoli corpi. Migliaia i civili senza nome che hanno continuato a vivere e morire nei territori contaminati dalle radiazioni: in Iraq, in Afghanistan, in Kosovo, in Bosnia e in Somalia, inconsapevoli della loro sorte.

E’ dal 2001 che come Parlamento europeo chiediamo l’introduzione di una moratoria. L’abbiamo ribadito nel 2006 con l’adozione della risoluzione su armi chimiche e armi disumane convenzionali. Nel 2007 la risoluzione votata a larghissima maggioranza all’ONU esorta gli Stati delle Nazioni Unite ad esaminare i danni alla salute. Hanno votato contro sei paesi: USA e Israele e purtroppo con essi anche alcuni Stati membri dell’Unione europea: Francia, Inghilterra, Repubblica ceca e Paesi Bassi. Avrebbero invece dovuto seguire l’esempio del Belgio che primo al mondo, nel marzo del 2007, ha deciso il bando completo dell’uranio impoverito a causa della sua tossicità.

Con altre colleghe – e sono lieta di tutte le forze politiche – ho voluto fortemente questa discussione, perché è indispensabile agire contro le violazione del diritto internazionale, umanitario e ambientale. Agire affinché le gerarchie militari, gli Stati e l’industria bellica si assumano le loro piene responsabilità: omissioni e segreti militari, mancata attuazione delle norme di protezione e del principio precauzionale insabbiano la pericolosità dell’uranio e la possibilità di evitare tante morti.

Per questo ribadisco le richieste contenute nella nostra risoluzione ed in particolare di garantire la massima trasparenza indicando aree contaminate e soprattutto perseguire l’immediata moratoria per arrivare in breve tempo alla messa al bando totale delle armi di uranio impoverito, cosi come le cluster bomb che continuano a mietere vittime come in Libano, dove l’esercito israeliano nelle ultime ore prima del ritiro ha lanciato più di un milione di bombe a grappolo nei villaggi e nelle case.

Agire e grazie al Consiglio e alla Commissione per quello che hanno risposto ma anche per quello che faranno per attuare, pur con le limitazioni che diceva il Commissario Michel, questa possibilità di vederci liberi dalle armi all’uranio e anche dalle cluster bomb.

 
  
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  Janusz Onyszkiewicz (ALDE).(PL) L’uranio impoverito è del 70 per cento più pesante del piombo. A causa della sua energia cinetica, anche un missile di calibro molto piccolo può pertanto penetrare la corazzatura di un carro armato. Ecco perché l’uranio impoverito è stato utilizzato dall’esercitò. Al mondo vi sono circa un milione e mezzo di tonnellate di uranio impoverito. Si può facilmente comprendere la tentazione a farne uso. Tuttavia risulta che le armi di questo tipo non si sono quasi rivelate efficaci come previsto. Il 70 per cento dei carri armati iracheni danneggiati è stato colpito con armi di altro tipo.

Ovviamente, resta in sospeso la questione delle conseguenze dell’utilizzo i tali armi. Si deve affermare chiaramente che non è emersa alcuna risposta definitiva. Dopo tutto, migliaia di persone hanno lavorato nelle miniere di uranio per molti anni, con nessun palese effetto dannoso. Ciononostante, vi sono ancora dubbi intorno alla questione e si deve pertanto dichiarare una moratoria per permettere di risolvere finalmente la questione.

 
  
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  Roberto Fiore (NI). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, i danni dell’uso dell’uranio impoverito sono tali e tanti che appare veramente improprio qualificarli come collaterali. I danni si propagano a ondate successive sui militari avversari colpiti e sugli stessi militari che ne fanno uso: sindrome del Golfo, sindrome dei Balcani.

Successivamente, a farne le spese ancora per decine di anni, sono le popolazioni civili residenti nei teatri di guerra che lo inalano, lo ingeriscono, in quanto contamina falde acquifere e catena alimentare, e ne subiscono le radiazioni. Per le caratteristiche a tutti note dei danni dell’esposizione alle radiazioni a metalli pesanti, il prezzo più pesante è pagato dai bambini, organismi in crescita, e soprattutto da quelli in gestazione. L’aumento esponenziale, nelle zone colpite dall’uso dell’uranio, di malformazioni genetiche e tumori infantili ne è la prova.

Un recente studio della britannica BBC ha illustrato come a 24 ore dai massicci bombardamenti sui Balcani i punti di rilevazione di radioattività atmosferica situati nel Nord dell’Inghilterra abbiano registrato picchi senza precedenti. Pertanto si propone non solamente la messa al bando dell’uranio impoverito ma anche l’accusa per crimini di guerra per coloro che usano l’uranio impoverito, sapendone e conoscendone le conseguenze e coloro che lo faranno nel momento in cui un bando avverrà.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, mentre siamo sul tema delle armi radioattive, questo Parlamento è stato notevolmente silenzioso riguardo a un cittadino britannico – di conseguenza, purtroppo, cittadino dell’UE – ucciso a Londra da un’arma radioattiva nel dicembre 2006. Mi riferisco certamente ad Alexander Litvinenko, che è stato assassinato in un atto di terrorismo sponsorizzato dallo Stato mediante il polonio-210.

Il principale sospettato per il crimine è Andrei Lugovoi, che è ora membro del parlamento russo e che, secondo la costituzione russa, non può essere estradato. Al contempo, un’inchiesta sulla morte del marito viene negata alla vedova di Litvinenko nei tribunali britannici, che potrebbero valutare le prove relative al suo omicidio in assenza di un processo di coloro che sono sospettati del crimine.

Questo assassinio è stato un atto di guerra della Russia contro il Regno Unito. Il governo britannico non vuole affrontare tale fatto. Ma se si vuole discutere di armi radioattive, perché non tenere un dibattito sull’omicidio di Litvinenko e sulle sue conseguenze di vasta portata?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Desidero esprimere, molto brevemente, i miei ringraziamenti per la presente discussione. Mi permetto di ribadire che il Consiglio continua a essere molto attivo in merito alle questioni di sicurezza esterna in linea con la strategia UE contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa. All’interno di tali strategie, vengono costantemente aggiornati gli obiettivi prioritari del Consiglio e vengono continuamente presi in considerazione nuovi sviluppi in quest’ambito, che vengono poi anche inseriti nei documenti aggiornati.

Un esempio di ciò è la misura presa dal Consiglio, a sostegno dell’adozione a livello globale della convenzione sul divieto o la limitazione dell’uso di alcuni tipi di armi convenzionali.

E’ interessante che lo scopo del protocollo V di tale convenzione sia di ridurre il più possibile la creazione di rifiuti militari esplosivi, una volta che i conflitti bellici si sono conclusi. E’ altresì interessante che i maggiori produttori e consumatori di armamenti contenenti uranio impoverito siano già firmatari della succitata convenzione.

E’ ancora troppo presto per fare alcuna previsione. Ho accennato alla situazione nel Consiglio, che è palese dai risultati della votazione sulla risoluzione della prima commissione dell’Assemblea generale, che oggi è stata menzionata diverse volte. Ci si deve augurare che discussioni, come questa in seno al Parlamento europeo, contribuiscano a ottenere un consenso in Consiglio. Nel prossimo futuro, tuttavia, vi sarà di più in merito a tale questione.

Grazie.

 
  
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  Louis Michel, Membro della Commissione. − (FR) Molto brevemente, signor Presidente, prendo ovviamente nota delle eccellenti osservazioni e delle proposte specifiche fatte in questa sede che trasmetterò senz’altro alla mia collega Benita Ferrero-Waldner e alla Commissione.

Devo tuttavia ricordare all’Assemblea che il margine di manovra della Commissione è estremamente limitato. Ha ovviamente poteri declamatori e incantatori; può presentare proposte, ma al di là di questo non ha alcun potere. Desidero che sia chiaro.

Detto ciò, prendo debita nota del messaggio estremamente chiaro che vi debba essere una garanzia di trasparenza, come affermato dall’onorevole Morgantini. Sono decisamente a favore di questo punto. La collega suggerisce una moratoria e io trasmetterò tale suggerimento. Mi sembra inoltre di avere percepito il bisogno, o la necessità, di riaggiornare gli studi condotti sino a oggi. Non vi è alcuna ragione per cui tali studi non debbano essere di nuovo aggiornati.

In ogni caso, dovete sapere che riferirò alla Commissione tutti gli eccellenti interventi e le argomentazioni che ho ascoltato in questa sede. Non dubito affatto che, a tempo debito, verranno intraprese azioni o che, in ogni caso, tuttavia, verranno trasmesse idee e lo spirito volontarista, credetemi, costituirà parte del processo perché è ovvio che ci dobbiamo augurare che tutti i paesi europei saranno in grado di fare ciò che ha fatto il Belgio. Non dico ciò semplicemente perché si tratta del Belgio, ma sono di certo lieto che sia stato il mio paese a farlo. E’ forse ciò che state cercando. Vi sono senza dubbio state alcune fonti di ispirazione utili e interessanti, ma desidero farvi sapere che trasmetterò tutti i suggerimenti, richieste e commenti formulati in questa sede con sincerità e convinzione.

 
  
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  Presidente. − Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1). ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì.

(La seduta, sospesa alle 17.35, è ripresa alle 18.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  

(1)Vedasi processo verbale.


13. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0156/2008).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte al Consiglio.

 
  
  

Annuncio l’interrogazione n. 1 dell’onorevole Manuel Medina Ortega (H-0267/08):

Oggetto: Discriminazione nei passaporti dell’Unione europea

In alcuni paesi dell’Unione europea vengono rilasciati passaporti e altri documenti utilizzati per l’attraversamento delle frontiere non solo ai cittadini di questi paesi, ma anche agli apolidi che risiedono permanentemente in questi stessi paesi. Dato che la grande maggioranza di queste persone appartiene a minoranze etniche, intende il Consiglio adottare o proporre modelli di passaporti e altri documenti affini evitando riferimenti negativi, come ad esempio “aliens”, ed eliminando in questo modo discriminazioni fondate sull’origine etnica?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) La mia risposta sarà piuttosto breve e cioè che la questione dei passaporti o dei documenti di viaggio agli apolidi, che risiedono permanentemente in uno Stato membro, non è di competenza comunitaria.

Di conseguenza, né la Commissione europea né il Consiglio sono competenti per proporre qualsiasi cambiamento relativamente a questo tipo di passaporto o di qualsiasi altro documento di viaggio.

 
  
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  Manuel Medina Ortega (PSE).(ES) Signor Presidente, la risposta del Presidente in carica del Consiglio è senza dubbio molto chiara: può non esservi alcuna discussione di questo tipo di questione. Forse devo porre la domanda in termini leggermente diversi. Può il Consiglio prevedere un qualche tipo di armonizzazione a livello europeo in merito a passaporti e identificazione di passaporti o pensa che tale questione resterà in modo permanente di competenza degli Stati membri?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Onorevole Medina Ortega, la ringrazio per la sua domanda aggiuntiva.

In questo momento, sono stati adottati solo norme o punti di riferimento comuni nell’ambito di elementi di sicurezza, passaporti o altri documenti di viaggio.

Personalmente, potrei anticipare ulteriori misure in questo ambito; come per qualsiasi altro, non posso fare congetture riguardo a un eventuale trasferimento di competenze.

Non si tratta di una questione di importanza o meno di questo tema, bensì di una questione di competenze. Al momento il compito di rilasciare i documenti di identità alle persone senza cittadinanza è di esclusiva competenza degli Stati membri e il Consiglio e la Commissione non hanno alcuna autorità.

Grazie.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Desidero porre una domanda in merito a un diverso tipo di discriminazione. A luglio, il suo paese, la Slovenia, ha in programma di introdurre i bollini autostradali e intende emetterne due varianti: un bollino annuale e un bollino semestrale. Ciò equivale a una discriminazione nei confronti dei dieci milioni di residenti nell’UE che si spostano verso il Mediterraneo per le vacanze. Quale proposta intende fare la Presidenza al governo sloveno per risolvere questo problema?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Onorevole Rack, la ringrazio per questa domanda. La prego tuttavia di notare che essa andrebbe rivolta allo specifico Stato membro e non al Consiglio, che non lo rappresenta affatto in merito a tale questione.

Ho tuttavia il vantaggio di conoscere molto bene tale Stato membro e desidero aggiungere che si tratta di una misura temporanea, fintanto che non verrà introdotto il pedaggio satellitare, nonché che le istituzioni competenti dell’Unione europea sono state informate, o è stata notificata loro la presente misura e che quest’ultima non deve essere interpretata come discriminatoria.

 
  
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  Presidentee. − Annuncio l’

interrogazione n. 2 dell’onorevole Avril Doyle (H-0270/08):

Oggetto: Ratifica del trattato di Lisbona

Potrebbe la presidenza slovena riferire in merito allo stato attuale del processo di ratifica del trattato di Lisbona? Quali azioni ha intrapreso il Consiglio per assicurare che il processo di ratifica si concluda positivamente?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Desidero informare l’onorevole Doyle che alla data di oggi, 21 maggio 2008, hanno ratificato il Trattato di Lisbona 13 Stati membri.

Li dovrei forse elencare: l’Ungheria, ha firmato per prima, lo scorso anno, seguita da Slovenia e Malta, Romania, Francia, Bulgaria, Polonia, Slovacchia, Danimarca, Austria, Lettonia, Lituania e Portogallo –il che significa 13 paesi, o quasi la metà degli Stati membri.

Nel corso dei suoi sei mesi di Presidenza, la Slovenia ha espresso il desiderio che la procedura di ratifica avanzi senza intoppi durante la nostra Presidenza e che prosegua poi in modo altrettanto efficace nel corso della successiva Presidenza francese, dato che l’obiettivo è l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona in data 1° gennaio 2009, come programmato.

Devo tuttavia sottolineare che la ratifica non è di competenza né della Presidenza né del Consiglio, ma che rientra tra quelle degli Stati membri, i firmatari del Trattato, in ogni caso conformemente alle normative costituzionali del paese.

Grazie.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE). - (EN) Ringrazio la Presidenza. Accolgo con favore il fatto che ad oggi 13 Stati membri abbiano ratificato il Trattato di Lisbona. Sarete consci del fatto che l’Irlanda è l’unico paese che lo ratificherà attraverso un processo referendario.

Al momento viviamo grandi difficoltà interne nel cercare di ribattere ai vari diversi gruppi che dicono “no”. Relativamente al Trattato di Lisbona, tali gruppi diffondono paure e confusione, deliberatamente o meno, spesso in merito a questioni molto importanti che non hanno nulla a che vedere con il Trattato. Mi può pertanto confermare, signor Presidente in carica del Consiglio, che il diritto di veto irlandese su future proposte sulla tassazione diretta non verranno in alcun modo compromesse dalla ratifica del Trattato di Lisbona e che non vi è affatto alcuna relazione tra i negoziati dell’OMC e la ratifica del Trattato di Lisbona?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Onorevole Doyle, la ringrazio per le sue due domande aggiuntive.

Posso confermare che, innanzi tutto, qualsiasi decisione in ambito fiscale continuerà a essere presa in modo consensuale. In altre parole, anche una volta che il Trattato di Lisbona sarà entrato in vigore, a patto che sia ratificato da tutti gli Stati membri, l’Irlanda, o qualsiasi altro Stato membro, manterrà il diritto di porre il veto a qualsiasi questione riguardante le tasse.

In merito alla sua seconda domanda, e cioè riguardo ai negoziati tenuti attualmente in seno all’Organizzazione mondiale del commercio, posso altresì confermare che tali negoziati non hanno alcuna connessione diretta con la ratifica del Trattato di Lisbona.

Di conseguenza, a entrambe le sua domande aggiuntive, la risposta è – sì.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE). - (EN) Signor Presidente, anch’io desidero porre al signor Ministro una domanda in merito ai Trattati e all’attuale processo di ratifica in Irlanda.

Una delle argomentazioni che imperversa al momento è che, dopo la ratifica del Trattato di Lisbona, i paesi possono perdere il veto nella ratifica di accordi commerciali internazionali – gli accordi dell’OMC, ad esempio.

Nella situazione attuale, esiste un veto e chi dice “no” sostiene che dopo Lisbona le cose cambieranno. Desidero conferma da parte della Presidenza slovena in merito al fatto che le cose stiano così oppure no.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Grazie alla fortuna degli irlandesi, gli elettori dell’Irlanda sono gli unici a cui è stato permesso di decidere in merito al Trattato che influirà in modo significativo sul futuro di tutti noi. Promette, a nome del Consiglio, di accettare il loro verdetto democratico oppure, come gli elettori di Francia e Paesi Bassi, gli irlandesi verranno trattati con disprezzo se osano votare “no”, molto nella disonorevole tradizione di “A terra, croppy!” e di Nizza II?

 
  
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  Presidente. − Onorevoli colleghi, non posso purtroppo concedere la parola ad altri oratori, in quanto il Regolamento non lo permette. Credo che tutti siano a conoscenza del fatto che stiamo studiando una modifica all’attuale Tempo delle interrogazioni, al fine di renderlo più flessibile, nonché maggiormente utile. Io stesso contribuisco al gruppo di lavoro e a tempo debito disporremo definitivamente di notizie positive. Al momento, il Regolamento è questo e non posso concedere la parola all’onorevole Higgins, nonostante il fatto che sia stato richiesto, perché è stato la terza persona a farlo.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Risponderò, innanzi tutto, alla domanda posta dall’onorevole Harkin.

Verranno apportati cambiamenti in merito alla conclusione di accordi con paesi terzi e organizzazioni internazionali. Di ciò si fa menzione all’articolo 207 del futuro Trattato di Lisbona. E’ tuttavia proprio questo articolo che al contempo fornisce molto chiaramente un elenco dei numerosi ambiti in cui gli Stati membri manterranno il veto, dato che l’articolo elenca un discreto numero di questioni e ambiti per i quali, quando si prendono decisioni, il Consiglio continuerà ad applicare il principio del consenso.

E’ il terzo paragrafo dell’articolo 207. Desidero dire che di è un discreto numero di tali ambiti. Si tratta della sfera dei servizi e degli aspetti commerciali della proprietà intellettuale, dell’ambito degli investimenti stranieri diretti, del settore dei servizi culturali e audiovisivi, dell’area dei servizi sociali, dell’educazione, dell’assistenza sanitaria e altri. Per tutti tali ambiti, anche una volta che sarà entrato in vigore il Trattato di Lisbona, si applicherà il principio del consenso ogni volta che il Consiglio prende una decisione, il che significa con l’approvazione di ciascuno singolo Stato membro.

Alla domanda dell’onorevole Allister desidero rispondere come segue: dato che nella mia prima risposta ho già accennato alla domanda pertinente, la ratifica del Trattato sull’Unione europea rientra tra le competenze degli Stati membri. Sottoscrivendo tale Trattato nel dicembre dello scorso anno, gli Stati membri si sono impegnati a fare tutto ciò che è in loro potere affinché il testo che hanno firmato venga altresì ratificato in linea con le loro norme interne, costituzionali e altre disposizioni giuridiche.

Questo è l’ambito in cui la Presidenza non ha alcun ruolo. E’ dovuto alla Presidenza, ad esempio, che la Slovenia, che attualmente esercita la Presidenza dell’Unione europea, sia stata tra i primi paesi ad adempiere a tale compito. Se la ratifica non dovesse andare a buon fine, cosa che ci auguriamo non accada, la responsabilità sarà solo del paese in cui ciò si è verificato e non del Consiglio o di qualcun altro.

Grazie.

 
  
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  Presidentee. − Annuncio l’

interrogazione n. 3 dell’onorevole Colm Burke (H-0272/08):

Oggetto: Negoziati con l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia in vista dell’adesione all’UE

Può il Consiglio illustrare lo stato attuale dei negoziati con l’ex repubblica iugoslava di Macedonia?

In quali campi ritiene il Consiglio che siano stati compiuti i progressi maggiori? Quali sono attualmente i temi più problematici affrontati nelle discussioni?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Dato che la portata della domanda è piuttosto ampia, la mia risposta sarà leggermente più lunga.

I negoziati con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia sull’adesione all’UE non sono ancora stati avviati. Fino a quando non avrà aderito all’Unione europea, l’Accordo di associazione e di stabilizzazione costituisce il quadro primario delle relazioni europee dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia.

In linea con i nostri compiti prioritari definiti all’interno del partenariato di associazione, i progressi del paese per ottenere l’adesione all’Unione europea sono stati valutati nella relazione intermedia della Commissione. Di regola, la relazione viene pubblicata alla fine di ottobre o all’inizio di novembre. Il Consiglio è ansioso che la Commissione produca nell’autunno di quest’anno la sua prossima valutazione.

Nelle sue conclusioni del 10 dicembre 2007, il Consiglio europeo ha preso nota dei progressi compiuti dall’ex Repubblica jugoslavia di Macedonia e ha espresso il suo rammarico per il fatto che l’attuazione delle riforme sia stata ritardata. I ritardi sono stati dovuti a tensioni politiche interne, a causa delle quali l’attenzione delle istituzioni politiche del paese è stata distolta dai compiti prioritari dell’integrazione europea.

Possiamo menzionare a questo punto alcuni esempi concreti, che indicano che l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia sta compiendo sforzi volti a evitare tali ritardi. Dei criteri politici, il paese ha compiuto progressi nella sfera di decentralizzazione, politica anticorruzione, cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, così come nelle relazioni interetniche e nell’attuazione dell’accordo di Ohrid.

In seguito alla pubblicazione, da parte della Commissione dell’UE, della relazione intermedia di novembre, il paese ha adottato la legge sul pubblico ministero, la legge sul consiglio del pubblico ministero e la normativa sul consiglio per le questioni interetniche, ed è stato altresì occupato il seggio vuoto nel consiglio giudiziario. Sono stati inoltre compiuti progressi nella sfera della sicurezza dei documenti, dei controlli alle frontiere e della migrazione.

Il Consiglio continuerà a incoraggiare tutti i partiti politici a intensificare il dialogo e la cooperazione tra loro e con i diversi gruppi etnici, affinché il paese possa conseguire progressi nel processo di integrazione.

Il Consiglio continuerà inoltre a incoraggiare entrambe le parti a rinnovare i loro sforzi in modo costruttivo, così che si possa raggiungere una soluzione reciprocamente accettabile in merito alla questione del nome nel corso dei negoziati condotti sotto l’egida delle Nazioni Uniti. Ciò migliorerebbe la cooperazione regionale e contribuirebbe alle buone relazioni con i paesi vicini.

Le principali riforme, che il paese deve ancora realizzare in linea con le raccomandazioni degli ambiti del partenariato di associazione, sono:

– conformemente all’accordo di Ohrid, di deve proseguire con la decentralizzazione: due terzi dei comuni sono già entrati nella seconda fase della decentralizzazione fiscale;

– di deve migliorare l’equa rappresentanza delle minoranze etniche nell’amministrazione pubblica e la sfera degli affari interni ne costituisce un buon esempio.

Le prossime riforme sono la riforma della polizia, la riforma giudiziaria e le due principali questioni irrisolte del cosiddetto accordo di maggio, che richiedono un più ampio consenso politico, e cioè la legge sulle lingue e l’accordo sulla regolamentazione dello status delle vittime del conflitto del 2001.

Il 18 febbraio 2008, il Consiglio ha adottato una decisione sui principi, i compiti più importanti e le condizioni derivanti dal partenariato di associazione dell’UE con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Il Consiglio ha aggiornato l’attuale partenariato, definendo i nuovi principali compiti per il lavoro ulteriore in base ai risultati contenuti nella relazione intermedia della Commissione per l’anno 2007.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE). - (EN) La ringrazio per la risposta. Mi stavo solo chiedendo: è soddisfatto che ora le tensioni si siano allentate sufficientemente da permettere che si possano compiere progressi? E se esse sono state allentate a sufficienza, di quale lasso di tempo parla per la piena attuazione delle riforme necessarie così che l’intero processo negoziale possa rimettersi in carreggiata?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Com’è noto, nell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia le elezioni sono state indette per il 1° giugno. Ci auguriamo che il periodo di campagna elettorale non causi ritardi nel mettere in atto le riforme necessarie. Se tutto va come deve, inoltre, le riforme proseguiranno prima e anche dopo il periodo elettorale.

In particolare, la Presidenza sta compiendo sforzi per compiere progressi nell’integrazione dei paesi dei Balcani occidentali, tra cui l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia che sta percorrendo la strada verso l’adesione all’Unione europea.

Ci auguriamo che tali progressi sia compiuti quanto prima e che sia presentata al paese, tra le altre cose, una data di possibile avvio dei negoziati di adesione.

Certo, ciò dipende primariamente dal paese stesso, dalla rapidità e dalla qualità delle riforme che si devono necessitano ancora completare e che ho menzionato nella mia risposta.

 
  
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  Presidentee. − Poiché l’autore non è presente, l’interrogazione n. 4 decade.

 
  
  

Annuncio l’interrogazione n. 5 dell’onorevole Gay Mitchell (H-0276/08):

Oggetto: Cambiamento climatico e sicurezza internazionale

Il recente documento elaborato da Javier Solana sul cambiamento climatico e la sicurezza internazionale richiama l’attenzione del Consiglio su alcuni degli aspetti principali relativi al cambiamento climatico, con particolare riferimento alle implicazioni circa le rivendicazioni territoriali, le zone economiche esclusive e l’accesso a nuove rotte commerciali, legate alle conseguenze del cambiamento climatico. L’enfasi data alle questioni di sicurezza e al potere geopolitico rappresenta un distacco dall’approccio finora adottato dall’Unione europea relativamente al cambiamento climatico, volto a ridurre le emissioni e a rafforzare le misure di preparazione a livello europeo e mondiale. Sta il Consiglio elaborando una posizione e una strategia relativamente a questi importanti aspetti?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Come sapete tutti, nel giugno 2007 il Consiglio europeo ha invitato il suo Segretario generale, l’Alto rappresentante Javier Solana e la Commissione europea a presentare un documento congiunto su come il cambiamento climatico influisca sulla sicurezza internazionale.

Tale relazione congiunta è stata presentata all’incontro del Consiglio europeo del marzo di quest’anno. Essa individua le possibili minacce e forme di controversie che potrebbero delinearsi in diverse parti del globo come conseguenza del cambiamento climatico.

Desidero elencare alcune di esse a titolo esemplificativo: controversie a causa di scarsità di risorse, in particolare quando l’accesso alle risorse viene utilizzato a fini politici; maggiore migrazione, la cui conseguenza è una pressione ulteriore esercitata sui paesi di transito o di destinazione, che potrebbe causare tensioni etniche e politiche; e probabili tensioni politiche a causa di cambiamenti delle aree costiere, scomparsa di isole e problemi ad accedere alle nuove strade di grande traffico e alle risorse.

A parte ciò, la relazione menzionata contiene diverse raccomandazioni che necessitano di ulteriori indagini; la loro attuazione dovrebbe poi essere seguita da piani d’azione dell’Unione europea.

Ecco il motivo per cui il Consiglio europeo ha invitato il Consiglio a studiare tale documento congiunto e a proporre le proprie raccomandazioni in merito alle ulteriori misure necessarie non più tardi del dicembre di quest’anno. Lo scopo di tali misure sarebbe, tra la altre cose, di potenziare la cooperazione con le regioni e i paesi terzi alla luce del cambiamento climatico e della sicurezza internazionale.

Desidero accennare al fatto che l’Unione europea non si allontana dal già noto approccio comune al cambiamento climatico. Al contrario, con tale documento sottolinea un aspetto nuovo e molto importante del cambiamento climatico, che non potremo evitare nei futuri dibattiti che si terranno a vari livelli.

Come l’onorevole Mitchell probabilmente saprà, nel 2007, in occasione della sua sessione di primavera, il Consiglio europeo ha approvato gli obiettivi dell’Unione europea in merito alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020. Questo avrebbe dovuto essere il contributo dell’Unione all’accordo globale e integrale per il periodo successivo al 2012.

Il Consiglio europeo ha altresì sottolineato che l’Unione europea è impegnata a trasformare l’Europa in un’economia efficiente in termini energetici e con basse emissioni di gas a effetto serra. Ha adottato la decisione che finché non si sarà concluso un accordo globale e integrale per il periodo successivo al 2012, l’Unione europea tenterà di ridurre unilateralmente le proprie emissioni di gas a effetto serra di almeno il 20 per cento, rispetto al 1990, entro il 2020.

Nel quadro del pacchetto sul clima e sull’energia il Parlamento europeo e il Consiglio stanno attualmente discutendo il contributo di ciascuno Stato membro al fine di conseguire il sopracitato obiettivo comunitario. A parte dalla mitigazione delle conseguenze del cambiamento climatico, in occasione dei negoziati internazionali sul cambiamento climatico, si presterà particolare attenzione alle nuove tecnologie e ad assicurarsi i fondi.

Nel giugno 2007, la Commissione europea ha pubblicato il Libro verde intitolato “L’adattamento ai cambiamenti climatici in Europa – quali possibilità di intervento per l’UE”. Quest’anno, dopo consultazioni intensive con tutti i gruppi interessati, la Commissione pubblicherà anche un Libro bianco sull’adattamento, che costituirà una base per ulteriori discussioni riguardanti la politica dell’Unione europea in questo settore.

Grazie.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE). - (EN) Ringrazio il signor Ministro per la risposta, ma mi domando se le Istituzioni stiano per certi versi fraintendendo.

Da un lato guardiamo in faccia la catastrofe ambientale, con l’Europa e il mondo intero che proseguono come di consueto, mentre dall’altro ci muoviamo per impegnarci sul problema del cambiamento climatico e prendere le difficili decisioni da cui dipendono le nostre future generazioni.

Come affermato dal signor Ministro, nelle sue conclusioni di primavera, il Consiglio si impegnato ad attivarsi per affrontare il grave problema del cambiamento climatico e a prendere le serie decisioni necessarie.

Ma Javier Solana parla la nostra stessa lingua? Ha detto cose diverse: ha parlato della necessità di diritti di sfruttamento per i combustibili fossili in uno degli ultimi luoghi incontaminati dal punto di vista ambientale del pianeta, chiamandola opportunità. Ciò non va contro quanto afferma il Consiglio europeo? Possiamo per cortesia coordinare i nostri messaggi?

E’ qui presente il relatore per il clima, l’onorevole Doyle, che potrà ascoltare quanto verrà detto.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Posso garantire che il Segretario generale del Consiglio – l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune – condivide senza dubbio lo stesso punto di vista del Consiglio europeo. Ha preparato la sua raccomandazione a nome del Consiglio. Il Consiglio ha accolto con favore la relazione e non ha riscontrato alcuna discrepanza o contraddizione in relazione alle altre decisioni del Consiglio, tra cui le decisioni nell’ambito della politica integrata per l’energia e la protezione del clima.

Non condivido pertanto l’opinione per cui vi siano discrepanze tra le attività dell’Alto rappresentante e le decisioni o intenzioni del Consiglio.

 
  
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  Carlos Carnero González (PSE).(ES) Signor Presidente, desidero approfittare della risposta del consiglio alla domanda pertinente del nostro onorevole collega, suggerendo, in modo particolare agli Stati membri intorno al Mediterraneo, che dovrebbero discutere anche il problema del cambiamento climatico.

Una delle proposte nella comunicazione della Commissione riguarda il potenziamento dell’iniziativa Horizon 2020 per il disinquinamento della regione mediterranea, sia vittima che causa del cambiamento climatico, e non vi può essere alcun dubbio che, mediante tale proposta, si possano intraprendere alcune azioni molto pragmatiche. Non pensa il Consiglio che si tratti di una priorità regionale nella lotta al cambiamento climatico nel quadro dell’ordine del giorno globale dell’UE?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) La ringrazio, onorevole Carner González, per la sua domanda aggiuntiva. Possiamo essere concordi con tale iniziativa. In effetti, una delle regioni su cui Javier Solana ha posto l’accento nella sua relazione è il Mediterraneo, una zona che potrebbe diventare sempre più problematica a causa del cambiamento climatico, ma anche a causa della migrazione e di pressioni similari.

Non vi è alcun dubbio che si possa prevedere che la tutela climatica e ambientale in generale costituirà uno dei temi principali nel quadro del processo di Barcellona, che verrà presto aggiornato con proposte volte a istituire un’Unione per il Mediterraneo. Ripeto che ciò sarà un aggiornamento del processo di Barcellona esistente.

Com’è noto, il documento della Commissione europea presentato di recente, che si riferisce a tali questioni, ha trovato un modo per affrontarle, cui ha accennato l’onorevole collega, sebbene, in futuro, il documento non menzioni ancora alcun progetto specifico. Possiamo, tuttavia, prevedere che questo sarà uno dei temi principali del nostro dialogo intensificato con i paesi attorno al Mediterraneo.

 
  
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  Presidentee. − Annuncio l’

interrogazione n. 6 dell’onorevole Jim Higgins (H-0278/08):

Oggetto: Protezione efficace delle frontiere esterne dell’UE

Potrebbe il Consiglio indicare quali progressi sono stati compiuti dall’attuale presidenza in merito ad una protezione più efficace delle frontiere esterne dell’Unione? Può inoltre far sapere se è stato discusso in seno al Consiglio il problema del traffico di droga nelle zone costiere?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Credo che l’onorevole Higgins sia consapevole che il Consiglio attribuisce grande importanza alla gestione efficace delle frontiere esterne. Con la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione europea, l’adeguata protezione e gestione delle frontiere esterne è di importanza fondamentale in modo tale da fornire sicurezza interna agli Stati membri e di contrastare efficacemente il terrorismo, l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani.

A tale scopo, il Consiglio europea ha a oggi prodotto diverse misure importanti. Ha, tra le altre cose, adottato strumenti giuridici quali il codice frontiere Schengen, il Fondo per le frontiere esterne, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri – in breve, Frontex. Ha altresì adottato misure relativamente all’istituzione delle squadre di intervento rapido alle frontiere.

Desidero altresì attirare la vostra attenzione su tre comunicazioni che la Commissione ha reso pubbliche il 13 febbraio di quest’anno. Tali comunicazioni contengono proposte e raccomandazioni su un possibile sistema di gestione delle frontiere a livello UE, sul futuro sviluppo di Frontex, sulla possibile creazione del Sistema europeo di sorveglianza delle frontiere chiamato Eurosur e sul sistema di entrate e uscite dalle frontiere esterne.

La discussione sulle proposte e raccomandazioni della Commissione derivanti da tali comunicazioni si è svolta il 12 marzo, in Slovenia, in occasione della conferenza ministeriale. E’ stato anticipato che a giugno il Consiglio “Giustizia e affari interni” adotterà le conclusioni del Consiglio sulla gestione delle frontiere esterne degli Stati membri dell’UE. Tali conclusioni devono elencare le priorità sul breve e sul lungo periodo per il futuro sviluppo di Frontex, le ulteriori raccomandazioni relative al lavoro della Commissione europea sull’utilizzo delle tecnologie per la sicurezza all’avanguardia, una migliore gestione delle frontiere esterne e linee guida sull’ulteriore lavoro volto a istituire Eurosur.

A parte ciò, abbiamo controllato con attenzione le attività di Frontex, in particolare per quanto riguarda l’attuazione delle operazioni congiunte, la rete europea di pattuglie costiere, l’ulteriore aggiornamento e utilizzo di apparecchiature registrate a livello centrale, il cosiddetto CRATE, e il possibile sviluppo delle squadre di intervento rapido alle frontiere.

L’istituzione, nel settembre dello scorso anno, di un centro di analisi e operazioni marittime – Narcotici (MAOC-N, Maritime Analysis and Operations Centre – Narcotics) è stato un importante passo avanti nella protezione delle frontiere. Esiste un centro per intraprendere azioni penali con l’appoggio dell’esercito, istituito da sette Stati membri: Regno Unito, Francia, Spagna, Irlanda, Paesi Bassi, Italia e Portogallo. Il centro è disponibile anche per qualsiasi altro Stato membro.

L’obiettivo del centro è sradicare il commercio illegale di sostanze vietate attraverso l’Atlantico, via aria e via mare, verso l’Europa e l’Africa occidentale.

Si deve raggiungere tale obiettivo intensificando la raccolta, lo scambio e l’analisi di informazioni e con un utilizzo ottimale delle strutture aeree e marittime degli Stati membri.

Tra i compiti prioritari del Consiglio vi deve altresì essere il potenziamento dei controlli alle frontiere, nonché la raccolta e lo scambio di informazioni classificate in merito alle rotte del traffico di droga.

 
  
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  Jim Higgins (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, dato l’aumento nell’utilizzo di droga e dato che più droghe sono disponibili, è chiaro che le autorità per la sicurezza non sono in grado di impedire alle forniture di droga di entrare, in particolar modo dal Sud America.

Signor Presidente in carica del Consiglio, ha fatto riferimento alle pattuglie costiere; lei e il Consiglio siete consapevoli del fatto che vi è di servizio solo un ispettore occasionale presso i porti e gli aeroporti della costa atlantica dell’Irlanda occidentale? Vi è solo un’imbarcazione. E’ semplicemente troppo chiaro che l’Irlanda viene utilizzata come ingresso alle esportazioni di droga dirette agli altri Stati membri –al suo paese e ad altri paesi dell’Unione europea. Lei e il Consiglio siete preoccupati per la situazione?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Sono grato all’onorevole Higgins per la sua domanda aggiuntiva. Desidero sottolineare che il Consiglio europeo è veramente preoccupato della situazione e continuerà a essere preoccupato fintanto che il traffico di droga continuerà a esistere.

In merito all’Irlanda, desidero sottolineare, come accennato in precedenza, che l’Irlanda è uno di queli paesi che, nel settembre dello scorso anno, hanno istituito il Maritime Analysis and Operation Centre – Narcotics (MAOC-N). Il suo compito è precisamente l’eradicazione del commercio illegale di sostanze vietate che si svolge su questa rotta, e cioè, via mare o via aria, attraverso l’Atlantico, verso l’Europa o l’Africa occidentale.

Pertanto, data la recente istituzione di tale centro, prevedo che in futuro diventerà molto attivo e la Presidenza appoggerà tali sviluppi, fornendo incoraggiamento con l’influenza di cui dispone.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signor Ministro, l’estensione dell’area coperta dagli accordi di Schengen dello scorso dicembre ha sollevato preoccupazioni tra molti cittadini dell’UE, che non godono più del livello di sicurezza al quale erano abituati. In seguito all’allargamento dell’area Schengen, si può affermare che la cooperazione tra le autorità di polizia degli Stati membri nell’area allargata abbia raggiunto i risultati desiderati?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) La ringrazio, onorevole Rack, per questa domanda aggiuntiva.

E’ importante rendersi conto che l’allargamento dell’area Schengen non si è verificata automaticamente, o a causa di un qualche impulso o da sola. Si è verificata una volta che sono stati completati estesi preparativi in tutti gli Stati membri che volevano far parte dell’area Schengen. E’ accaduto una volta che gli organismi e le Istituzioni dell’UE responsabili hanno sottoposto tali preparativi a una valutazione approfondita.

E solo una volta che è stato confermata l’istituzione di un adeguato controllo sulle future frontiere esterne dell’area Schengen allargata, tale espansione ha potuto avere luogo.

Desidero sottolineare in particolare che, poiché prendiamo sul serio le preoccupazioni delle persone, è certamente necessario informarle che non hanno ragioni obiettive per essere preoccupate.

Ripeto, l’espansione dell’area Schengen non si è verificata dalla sera alla mattina. Si è svolta in seguito a preparativi scrupolosi e dopo l’esecuzione di controlli approfonditi volti ad accertare che tutte le condizioni tecniche e di sicurezza fossero rispettate e, dato che lo erano, possiamo ora rassicurare la popolazione in merito al fatto che la sicurezza delle frontiere esterne dell’area Schengen allargata è in buone mani.

 
  
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  Presidentee. − Annuncio l’

interrogazione n. 7 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0281/08):

Oggetto: Lotta contro la povertà

Come vede il Consiglio l’evoluzione della salvaguardia di condizioni minime di esistenza dignitosa e di lavoro attraverso la piena occupazione produttiva per i cittadini europei e coloro che risiedono nell’Unione europea al fine di lottare contro il fenomeno della povertà, in particolare quella infantile?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) Ringrazio per la domanda posta dall’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou.

Occupazione e lotta contro la povertà e l’esclusione sociale rappresentano le maggiori sfide per l’Unione europea e gli Stati membri. Desidero tuttavia sottolineare che sia la politica dell’occupazione che la politica sociale rientrano tra le competenze degli Stati membri e che l’Unione europea appoggia e completa le loro attività.

Ecco perché gli Stati membri devono sviluppare le più adeguate combinazioni di politiche, tenendo conto della loro situazione economica e sociale e della loro situazione occupazionale.

Desidero menzionare alcune misure che l’UE ha intrapreso in questo ambito e la cui intenzione è, come ho già accennato, appoggiare e completare le politiche che rientrano tra le competenze degli Stati membri che le conducono.

Innanzi tutto, la normativa UE disciplina un elevato numero di questioni riguardanti l’occupazione, tra cui libera circolazione della forza lavoro, informazioni e consultazioni, condizioni di lavoro e misure antidiscriminatorie.

In secondo luogo, strumenti quali orientamenti in materia di occupazione, raccomandazioni integrate e principi comuni sulla flessicurezza, nonché la guida politica degli Stati membri nella trasposizione e nell’attuazione delle loro politiche.

Terzo, anche nel quadro di tale forma di coordinamento aperto, gli Stati membri hanno dimostrato un forte impegno politico volto allo scambio di informazioni e ad apprendere l’uno dall’altro. Il metodo di coordinamento aperto vi ha contribuito, istituendo indicatori comuni, incoraggiando studi e indagini reciproci e attraverso una più forte cooperazione a livello europeo.

Per quanto attiene ai diritti dei lavoratori e al miglioramento delle condizioni di lavoro, la normativa europea si limita a regolamentare la circolazione dei lavoratori, la libertà di informazione e consultazione, le condizioni di lavoro, tra cui l’orario di lavoro, salute e sicurezza sul posto di lavoro e misure antidiscriminatorie, che comprendono anche misure in materia di parità di genere.

Desidero sottolineare che nell’articolo 137 dell’accordo si afferma che le disposizioni di tale articolo non si applicano ai salari, il che significa che l’Unione europea non è autorizzata a definire minimi salariali, né tanto meno ad allineare i minimi salariali tra gli Stati membri.

All’interno del metodo di coordinamento aperto che è stato menzionato, gli Stati membri sono, in effetti, incoraggiati a fornire condizioni minime adeguate. La decisione in merito a queste ultime – il tipo e il livello di diritti – sono di competenza esclusiva degli Stati membri.

Poiché la situazione differisce tra gli Stati membri, a nostro avviso non ha senso imporre uno standard comune. Dobbiamo tenere presente che nell’area dell’Unione europea molti Stati membri affrontano questioni, quali la disponibilità di fondi, l’indebitamento e la sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale. Sarebbe pertanto discutibile istituire o imporre condizioni comuni in tali ambiti.

Tutto ciò indica che gli Stati membri devono sia pianificare con attenzione, che discutere la questione delle condizioni minime e contribuire in tal modo all’eliminazione della povertà.

Nella sua interrogazione, l’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou ha fatto riferimento in particolare alla povertà infantile. I bambini affrontano la povertà nelle famiglie in cui i genitori non sono occupati, in famiglie in cui il tasso di occupazione è basso e il reddito della famiglia è insufficiente o nei casi in cui il sostegno al reddito non è sufficiente a eliminare la povertà.

Di conseguenza, attuare strategie equilibrate e integrali, nonché strategie di inclusione attiva, almeno per certi versi, contribuisce effettivamente a promuovere il benessere dei minori e dei giovani.

Grazie.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, ringrazio il rappresentante del Consiglio per la risposta alla mia interrogazione relativa alla salvaguardia di livelli accettabili per condizioni di vita e di lavoro decorose. Un lavoro decoroso costituisce lo scopo sia della comunità globale dell’ONU, sotto l’egida dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), che dell’UE. Abbiamo ad ogni modo adottato una risoluzione in proposito.

Come intende il Consiglio attuare tali condizioni di vita e di lavoro decorose per i cittadini, in particolare per i bambini?

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) La ringrazio molto per la domanda aggiuntiva.

Anche in merito a questa risoluzione, si deve tener conto del fatto che il tema rientra tra le competenze degli Stati membri. Il Consiglio può solo parlare in termini generali. Certo, incoraggia gli Stati membri a rispettare le disposizioni generali contenute nella risoluzione citata o negli standard promossi dall’Organizzazione internazionale del lavoro. Tutti gli Stati membri dell’UE sono anche membri dell’Organizzazione internazionale del lavoro.

Grazie.

 
  
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  Emanuel Jardim Fernandes (PSE).(PT) Concordiamo in merito agli obiettivi che stanno dietro alle energie rinnovabili, ma è palese che il problema dei prodotti alimentari e della fame, che sembra stia aumentando, porta molti a chiedersi se i biocarburanti siano la mossa giusta. La mia domanda è intesa a sapere se, pur concordando in merito al fatto che dobbiamo spostarci verso le energie alternative, dall’altro, può affermare pubblicamente e garantire ai nostri cittadini che tale strada non aumenta i costi dei prodotti alimentari e la fame nel mondo.

 
  
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  Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. (SL) La ringrazio per la domanda aggiuntiva.

La questione dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari costituisce senza dubbio un grande problema ed ecco perché anche questo forum di alto livello ha organizzato una discussione al riguardo. Il Consiglio europeo è pronto a fare qualsiasi cosa al fine di far fronte in modo efficace all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Per intervenire, tuttavia, dobbiamo innanzi tutto individuare le ragioni per cui i prezzi dei prodotti alimentari stiano aumentando – e le ragioni sono probabilmente numerose.

I fattori che causano l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari sono molti e vari ed ecco perché il Consiglio li sta trattando attraverso l’operato di organismi differenti. Tale tema è stato discusso di recente in seno al Consiglio “Pesca e agricoltura”, che ha adottato taluni orientamenti che dovrebbero contribuire a rallentare l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.

Qualche tempo fa, proprio in quest’Aula, si è accennato ai biocarburanti come a uno di quei fattori che si presume contribuiscano all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. A livello globale vi è la consapevolazza della potenziale influenza dei biocarburanti ed è uno dei motivi per cui vi è uno sviluppo intensivo dei cosiddetti criteri di sostenibilità per la produzione di carburanti. Tra tali cr