Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sulla crescente tensione in Burundi(1).
Alain Hutchinson, autore. – (FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, inizialmente non desideravamo che il Parlamento riflettesse adesso sulla situazione in Burundi perché, per il momento, le autorità burundesi e il FNL sono nella fase del negoziato, una fase critica che alla fine sembra avere una prospettiva positiva e che, ci auguriamo, dovrebbe culminare con la concretizzazione degli accordi di Dar el Salam, che intendono mettere fine ai combattimenti, alle violenze e all’insicurezza di cui soffre il paese. E oggi sappiamo che un battito di ali di farfalla a Strasburgo può talvolta provocare un sisma a diverse migliaia di chilometri di distanza.
Dall’altro lato, non parlare della situazione di questo piccolo paese, orfano in termini di sviluppo, perché privato delle sue ricchezze naturali che spesso attirano i donatori di fondi, sarebbe stato impensabile. Quindi, d’accordo con gli altri gruppi politici, abbiamo voluto fare di questa risoluzione un appello d’azione per questo paese partner situato nella difficile regione dei Grandi Laghi. Abbiamo voluto ricordare la volontà dell’Unione europea, in particolare della nostra Assemblea e della sua, signor Commissario, di trovare nuove piste per gli aiuti allo sviluppo che siano più efficaci nei paesi che sono indeboliti da situazioni di conflitto, di guerra civile all’occorrenza, e in seno ai quali la ricostruzione democratica, il ripristino dei servizi pubblici devastati, il rilancio di politiche elementari come la sanità e l’istruzione siano affrontati e sostenuti con maggiore efficacia e rapidità. Abbiamo voluto inserire questa risoluzione nel quadro del piano d’azione che i Paesi Bassi sono stati incaricati di preparare per il Burundi, che era stato selezionato – e ce ne rallegriamo – come uno dei tre paesi pilota nell’ambito di questo nuovo approccio. Il nostro desiderio, quindi, è chiaramente affermato. Vogliamo che il Burundi diventi un modello di sviluppo e che, a tal fine, le autorità di questo piccolo Stato dispongano dei mezzi finanziari e del sostegno necessari in termini di ricostruzione pubblica, politica ed economica.
Il Parlamento seguirà quest’evoluzione molto da vicino, ma desidera anche fare appello ai parlamentari burundesi di tutte le formazioni politiche affinché trovino con urgenza le formule per ripristinare le loro istituzioni, bloccate da mesi, per discutere e votare, nonché permettere al governo di attuare i progetti tesi alla ricostruzione, come la riforma della giustizia tanto attesa e del sistema sanitario, fra i settori che richiedono un’azione urgente.
Infine, desideriamo sottolineare che il Burundi, uno dei paesi più poveri del mondo, riceve proporzionalmente meno aiuti allo sviluppo per abitante. Questo non può durare. Desideriamo che siano offerte rapidamente risorse finanziarie supplementari per finanziare i programmi prioritari di sviluppo e, in particolare, le infrastrutture totalmente devastate. Insieme all’Unione europea, solo cinque Stati membri sono rappresentati in Burundi, paese in cui deve essere ricostruito tutto. Vorremmo che questi paesi coordinassero con efficacia i loro sforzi prima che si adottassero decisioni nelle capitali europee e che, in loco, le delegazioni incaricate dell’attuazione delle politiche di sviluppo continuino a collaborare e che siano rafforzati i loro organigrammi.
Per concludere, vorrei insistere sul paragrafo della nostra risoluzione che riguarda il mantenimento e il possibile rafforzamento degli aiuti umanitari necessari e sul fatto che il ritiro di detti aiuti deve essere organizzato in stretta associazione con il rafforzamento delle politiche di sviluppo la cui attuazione è più complessa. A questo proposito, abbiamo voluto insistere che non si trascuri la visibilità delle azioni condotte in loco dalle autorità burundesi, sostenute dall’Unione europea e dagli Stati membri. Oltre alla risoluzione del conflitto con il FNL e del ripristino di una maggiore sicurezza, i burundesi hanno un bisogno urgente di constatare un’evoluzione positiva del loro paese nella loro difficilissima vita quotidiana.
Raül Romeva i Rueda, autore. – (ES) Signora Presidente, la ripresa delle ostilità in Burundi rappresenta un preoccupante passo indietro in un processo già di per sé fragile.
Decine di vittime e migliaia di nuovi sfollati mettono in evidenza che gli sforzi a favore della costruzione della pace sono chiaramente insufficienti, almeno per il momento. E le responsabilità di questa situazione devono essere condivise.
In primo luogo, è deplorevole il ritorno alle armi del FNL, ma va anche detto che sono molte le denunce di violazioni dei diritti umani compiute dalle forze armate e dalla polizia burundesi.
D’altro canto, è evidente anche che l’instabilità in Burundi può avere importanti e gravi conseguenze su scala regionale, soprattutto sui paesi vicini, la Repubblica democratica del Congo e il Ruanda.
Concordo che in Burundi si registra una maggiore stabilità sin dall’entrata in vigore di una nuova costituzione, che è stata seguita da elezioni generali, ma questo rafforza la necessità che si crei una commissione di pace e di riconciliazione come misura di promozione della fiducia. L’Unione europea dovrebbe sostenere questa iniziativa dal punto di vista finanziario e logistico.
E’ in questo contesto, e soprattutto tenendo conto, come è stato detto, del fatto che l’Unione europea ha scelto il Burundi come paese pilota per l’applicazione di un piano d’azione finalizzato a migliorare la rapidità e l’efficacia degli aiuti, che ritengo che il contenuto di questa risoluzione meriti una particolare considerazione. Non solo da parte dalla Commissione europea, ma anche e soprattutto degli Stati membri. E più in concreto in due delle proposte contenute.
Prima: aumentare le risorse finanziarie concesse dall’Unione europea al Burundi, specialmente in occasione della revisione intermedia del decimo FES.
Seconda: che nel quadro del piano d’azione talmente necessario si dia priorità ai programmi a favore di una migliore governance e gestione della situazione democratica, alle politiche sanitarie attraverso la creazione di centri sanitari e il miglioramento degli ospedali, alla decisione del governo burundese di rendere gratuita l’istruzione primaria e ai continui sforzi per migliorare l’infrastruttura del paese.
Erik Meijer, autore. − (NL) Signora Presidente, proprio come il Sudan, sul quale abbiamo discusso prima questo pomeriggio, il Burundi è un paese caratterizzato dalla diversità etnica e in cui da sempre manca qualsiasi armonia fra i diversi gruppi della popolazione.
I problemi che ne derivano sono nel Burundi più difficilmente risolvibili rispetto agli altri paesi africani. E’ difficile tracciare un confine geografico fra territori che sono tipicamente il territorio di diversi gruppi etnici. Si può paragonarlo al sistema di caste che esisteva tradizionalmente in India. Già prima della colonizzazione tedesca e belga, nel Burundi e nel Ruanda gli hutu erano in maggioranza e i tutsi in minoranza. I tutsi, che erano diversi anche fisicamente dagli hutu, erano i dominatori. Gli hutu erano sotto il loro controllo.
Nel periodo della colonizzazione europea, si è cercato di cambiare qualcosa, ma non ai fini dell’uguaglianza e della parità dei diritti degli hutu. Si è trattato allora soprattutto di mettere i due gruppi etnici gli uni contro gli altri, per rafforzare il controllo tedesco o belga. Anche dopo l’indipendenza, non si è mai trovata una soluzione durevole per quei vecchi contrasti. Al Burundi è stata risparmiata la massiccia campagna della maggioranza hutu tesa ad annientare la fastidiosa minoranza tutsi, come è accaduto nel vicino nord in Ruanda. Ma ciò può essere dipeso anche dalla minore emancipazione degli hutu.
Quando nella risoluzione parliamo di 14 anni di guerra civile, di negoziati di pace, del movimento di opposizione FNL, del disarmo dei ribelli e delle nuove lotte che sono esplose il 17 aprile, dobbiamo essere coscienti di quel passato storico e dei problemi irrisolti. Lo scopo più importante della risoluzione è quindi la cessazione della violenza e il raggiungimento di un accordo. Concordo su questo aspetto, ma su quel punto in particolare vedo pochi motivi di ottimismo. Inoltre, nella risoluzione si chiede anche il sostegno europeo per un’amministrazione democratica, l’istruzione e la sanità. Possiamo offrire noi stessi il nostro contributo.
Filip Kaczmarek, autore. − (PL) Signora Presidente, signor Commissario, siamo lieti di sentire della ripresa dei negoziati e dei colloqui di pace fra il Fronte di liberazione nazionale e il governo in Burundi. Non è il primo tentativo da parte dei ribelli e del governo di pervenire a un accordo. Speriamo che l’accordo farà cessare il conflitto sanguinoso.
Questo conflitto non solo ha provocato vittime innocenti, ma soprattutto sta destabilizzando il delicato equilibrio e intensificando le tensioni nel paese, che ha avuto risultati positivi a seguito dell’accordo di pace nel 2003. Dopo molti anni di conflitto in Burundi, il paese sta cercando di ricostruirsi e di ritornare sulla scena internazionale e ha ottenuto qualche successo.
E’ ancora più paradossale il fatto che il problema affrontato dal Burundi attualmente non dipende dal conflitto tribale tra hutu e tutsi, ma è stato causato da un’unica ala, molto radicale Hutu-FNL che non ha accettato l’accordo di pace e sta ancora cercando di lottare contro il governo di coalizione, di cui fanno parte anche gli hutu. La comunità internazionale dovrebbe dare il suo sostegno all’accordo di pace e far cessare il conflitto.
Marcin Libicki, autore. − (PL) Ancora una volta stiamo discutendo di crimini commessi in vari paesi del mondo e continueremo queste interminabili discussioni, fino a che l’Unione europea avrà una politica estera comune. Inoltre, una politica estera comune può essere efficace solo se l’Unione europea ha una forza militare. Il Trattato di Lisbona crea una sorta di ministro degli Esteri, ma non risolverà il problema dato che non ci sarà la forza militare.
A suo tempo, il Presidente Lech Kaczyński aveva affermato che l’Unione europea avrebbe dovuto avere il suo esercito. Di recente, anche il Presidente Sarkozy ha parlato di questo. Credo che la questione dovrebbe essere sull’agenda per un dibattito pubblico nell’Unione europea. Dovrebbero essere avanzate proposte specifiche per soluzioni politiche e, di conseguenza, soluzioni giuridiche. Senza forza militare non può esserci politica estera. Se l’integrità e la forza dell’UE sono importanti per noi, allora l’Unione europea deve avere il suo esercito per potere intervenire in situazioni come quella del Burundi.
Marios Matsakis, autore. − (EN) Signora Presidente, il Burundi versa in condizioni di instabilità da alcuni anni. Le scene di barbarie che si sono verificate negli anni ‘90 fra gli hutu e i tutsi rimarranno impresse per sempre nelle nostre menti e turberanno seriamente la nostra coscienza. Numerosi tentativi della comunità internazionale nonché di attori regionali non hanno favorito la pace e stabilità durevoli tanto sospirate nella regione, sebbene si debba ammettere che sono stati compiuti molti progressi.
I recenti scontri militari fra le forze di difesa nazionali e il Fronte di liberazione nazionale hanno provocato la perdita di vite innocenti e sono molto allarmanti. Entrambe le parti devono comprendere che devono risolvere le loro differenze al tavolo dei negoziati e non sui campi di battaglia. Devono comprendere che la violenza porta solo violenza. Il gruppo ribelle deve denunciare la violenza e deporre le armi, ma nello stesso tempo il governo del Burundi deve cessare di offrire l’impunità e di coprire i criminali nelle forze di sicurezza che compiono torture e detenzioni illegali.
Speriamo che alla fine possa prevalere il buon senso e che le principali parti coinvolte in questa brutale lotta interna nel Burundi riusciranno a risolvere le loro differenze pacificamente, a vantaggio della sicurezza e del benessere dei loro cittadini.
John Bowis, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, nella mia mente vedo un bel paese. Vedo persone lottare per emergere dagli strascichi delle atrocità della guerra civile. Vedo quei memoriali alla violenza. Vedo persone povere lottare per sopravvivere. Vedo Bujumbura chiusa di notte, perché si cerca di tornare prima del coprifuoco a causa della violenza. Vedo problemi sanitari, la malaria, problemi respiratori e di igiene. Vedo i campi di rifugiati, persone che ritornano, non sapendo dove erano le loro case, persone tornare dalla Tanzania e persone provenire dal Kivu nel Congo.
E adesso di nuovo vediamo la violenza, il FNL viola gli accordi. Sentiamo accuse di tortura e di trattamenti brutali. Il Burundi ha bisogno del nostro aiuto. Ha anche bisogno di autocontrollo per non dovere mai più scivolare nella scarpata dell’intolleranza e della disumanità.
Glyn Ford, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signora Presidente, deploriamo i recenti scontri fra le forze nazionali di difesa e il Fronte di liberazione nazionale nel Burundi. Chiediamo a entrambe le parti di rispettare il cessate il fuoco del 7 settembre scorso e in particolare chiediamo che il leader del FNL, Agathon Rwasa, si impegni appieno nel processo di pace. Chiediamo alla Commissione di fornire risorse per facilitare il reintegro delle forze FNL nella società, per contribuire ad assistere i rifugiati e in particolare smobilitare i bambini soldati che si trovano in questo paese.
Dobbiamo chiedere al governo del Burundi di rispettare lo Stato di diritto, far cessare il clima di impunità e assicurare i colpevoli alla giustizia. Questo è quello che ci aspettiamo dalla Commissione e dal governo.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). – (FI) Signora Presidente, come abbiamo sentito, la guerra in Burundi, che è andata avanti per 14 anni, ha causato un enorme numero di sfollati all’interno del paese, carenza di cibo e terribili violenze, anche da parte di quelli che dovrebbero proteggere la popolazione.
Sebbene gli ultimi scontri armati abbiano ancora una volta frustrato la necessità di armonia e hanno fatto dubitare se vi sia sufficiente fede e volontà politica fra le parti per i colloqui di pace, sembra che siano stati compiuti passi importanti nella giusta direzione. Come conseguenza di lunghi e difficili negoziati fra le diverse parti, le truppe ribelli hanno concordato di rilasciare un considerevole numero di bambini soldati dall’inizio di maggio.
Il Burundi necessita urgentemente dell’aiuto degli Stati membri dell’UE per la sua crisi umanitaria, come richiesto nella risoluzione e io quindi invito tutti a sostenerla.
Ewa Tomaszewska (UEN). - (PL) Signora Presidente, la crescente tensione in Burundi, la guerra civile fra gruppi etnici e la violenza dovrebbero essere fermate immediatamente. Centinaia di morti e di feriti sono il prezzo pagato da civili inermi per questo conflitto. E’ essenziale che il cessate il fuoco sia rispettato e che siano coinvolte le forze di pace. Il sostegno finanziario che l’Unione europea deve dare al Burundi deve essere monitorato con attenzione e mirato primariamente a scopi umanitari, in particolare per la sanità, la sicurezza e l’istruzione dei bambini.
Louis Michel, Membro della Commissione. – (FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, innanzi tutto, l’Unione europea aveva chiesto la ripresa del dialogo fra le parti – il solo modo per avanzare verso la riconciliazione e la pace – che è un’attesa fondamentale del popolo burundese. La Commissione europea si rallegra quindi del ritorno, lo scorso 16 maggio, di una delegazione del PALIPEHUTU-FNL a Bujumbura e io mi auguro che il dialogo possa riprendere attivamente.
Preferisco lasciare da parte la risposta che avevo preparato perché ho sentito un certo numero di osservazioni e mi sembra mio dovere ricordare alcune realtà.
Vorrei dirvi– per essere breve e non ripetere gli eccellenti interventi che ho sentito, in particolare quelli degli onorevoli Hutchinson, Kaczmarek e Bowis – in primo luogo, che la situazione odierna del Burundi non ha niente a che vedere con il problema etnico e ipotizzare che è una crisi etnica significa aprire un nuovo fronte estremamente pericoloso. Sono propenso quindi a condividere il punto di vista dell’onorevole Hutchinson, anche se deploro un po’ che questo dibattito abbia luogo qui e adesso. E’ un momento poco opportuno, e credo che occorra dare ormai la possibilità al dialogo politico. E parlare come ha fatto lei, onorevole Meijer, di una causa etnica è un’approssimazione estremamente pericolosa.
In secondo luogo, l’onorevole Hutchinson ha messo il dito sulla realtà seguente: la comunità internazionale, assorta com’è, e questo vale per la Banca mondiale – ne ho parlato con Bob Zoellick –, vale per la Commissione, assorta nelle sue procedure che le impediscono, quando un paese è immerso nella democrazia formale, di mettere a disposizione le risorse per mostrare che vi è un dividendo per la pace, è uno dei motivi per i quali il Burundi stenta a decollare di nuovo, come è il caso, ad esempio, in Liberia, come è il caso nella RDC, come è il caso nei paesi che si definiscono paesi post-conflitto. Siamo chiusi nelle nostre procedure, non abbiano flessibilità e non possiamo quindi offrire una risposta rapida alle esigenze di ricostruzione di questi Stati, perché in effetti è quello il vero problema del Burundi.
Non commenterò, com’è ovvio, l’intervento che invoca la creazione di forze militari europee – non dico che è un altro dibattito – ma è evidentemente un dibattito che esula alquanto dal quadro della presente discussione. Continuiamo a sostenere in modo attivo, sia politicamente che finanziariamente, il Burundi nei suoi sforzi di consolidamento della pace e di riassetto socioeconomico. Vorrei ricordare che l’importo della nostra cooperazione per il periodo 2008-2013 ammonta oggi a 188 milioni di euro e che qualcuno ha suggerito al momento della revisione intermedia di aumentare ancora tali risorse. A questo proposito, voglio dirvi che la regola è che non si potranno aumentare le risorse se non a condizione che il Burundi abbia assorbito correttamente tutti gli aiuti iniziali. Questa è la regola e spero che il paese sarà in grado di beneficiare di questa valutazione intermedia.
La stratégia adottata per questo nuovo periodo riguarda un aumento del nostro sostegno di bilancio nonché la definizione di due settori di focalizzazione, ovvero la riabilitazione e lo sviluppo rurale, che è ovviamente importante per garantire la sopravvivenza delle popolazioni, e il sostegno al settore della salute. I nostri sforzi per aiutare questo paese nel suo riassetto socioeconomico hanno l’obiettivo di mostrare alla popolazione i risultati dei dividenti della pace in quanto fattore di miglioramento delle loro condizioni. Il Burundi è stato scelto come paese pilota per l’attuazione delle conclusioni del Consiglio del novembre 2007, questo è stato detto e me ne rallegro. Abbiamo inoltre deciso, con il PAM, di condurre un’operazione pilota in Burundi, in particolare per quanto riguarda l’istruzione e la messa a disposizione di mense scolastiche per i bambini, perché è evidente che quando si offrono pasti ai bambini, vi è un ritorno naturale verso la scuola. E noi realizzeremo anche uno studio pilota che includerà il Burundi.
Inoltre, a breve mi recherò in Burundi, perché la Commissione è estremamente coinvolta in tutti questi sforzi di mediazione. Aggiungo che, quando ero ministro degli Affari esteri, ho partecipato direttamente ai negoziati di Arusha con il Presidente Mandela, quindi è un argomento che conosco abbastanza bene e posso dirle, onorevole Meijer, che la costituzione burundese, le leggi burundesi, il parlamento burundese e le camere burundesi offrono tutte le soluzioni istituzionali perché il problema etnico sia tenuto completamente sotto controllo. Quindi, non è una questione etnica, è una questione di malessere all’interno di un gruppo etnico, non con l’altro gruppo, ed è ovviamente un altro problema rispetto a quello del FNL che adesso deve venire al tavolo ei negoziati, trasformarsi in partito politico vero e proprio e partecipare al riassetto e alla ricostruzione dello Stato.
(Applausi)
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà al termine delle discussioni.