2. Preparazione del Consiglio europeo dopo il referendum irlandese (19 e 20 giugno 2008) (discussione)
Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla preparazione del Consiglio europeo dopo il referendum irlandese.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Domani avrà inizio il secondo Consiglio europeo sotto la Presidenza slovena. Permettetemi di illustrare i principali argomenti che saranno oggetto di discussione fra i capi di Stato e di governo. Il primo dibattito verterà sicuramente sull’esame della situazione a seguito del referendum sul Trattato di Lisbona, tenutosi in Irlanda lo scorso giovedì. Vorrei ribadire fin da subito le parole del Presidente del Consiglio europeo Janez Janša: “La Presidenza è rammaricata e delusa della decisione presa dagli elettori irlandesi. Cionondimeno, è ovvio che rispetteremo la volontà espressa dal popolo irlandese”.
Una volta reso pubblico l’esito ufficiale del referendum, il Presidente del Consiglio europeo ha preso contatti con alcuni leader di quegli Stati membri che non hanno ancora completato il processo di ratifica. E’ rincuorante sapere che quei paesi intendono procedere con la ratifica. Come sottolineato dal Presidente del Consiglio europeo, il Trattato di Lisbona è vitale per l’Unione europea e per i suoi cittadini, poiché apporta maggiore efficienza, democrazia e trasparenza.
Il perdurare dei problemi e delle difficoltà che l’Unione si trova oggi ad affrontare è un dato di fatto. Così come è un dato fatto che l’esito negativo del referendum irlandese non ci aiuterà nella risoluzione di questi problemi. Al Consiglio europeo di domani, i capi di Stato e di governo delibereranno in merito alle modalità migliori per porre rimedio alla situazione. Si sforzeranno di elaborare una tabella di marcia per il prosieguo dei lavori. La Presidenza è convinta che si possa trovare con l’Irlanda una soluzione concertata e che l’Unione non vedrà ripetersi la situazione del 2005.
In sede di Consiglio europeo, ascolteremo innanzi tutto il Taoiseach, il Primo Ministro irlandese Brian Cowen, che ci spiegherà le circostanze legate al risultato del referendum e le ragioni alla base dell’esito finale.
Ovviamente, il Consiglio europeo non trascurerà le altre importanti sfide che ci si prospettano. L’UE continua a funzionare, pertanto, il secondo, cruciale argomento di discussione per i capi di Stato e di governo sarà la questione del rincaro dei beni alimentari e del petrolio. E’ indubbio che l’aumento del prezzo delle materie prime abbia contribuito all’impennata dell’inflazione relativa ai prezzi dei beni alimentari, nonché a quella complessiva all’interno dell’UE. Le famiglie a basso reddito sono state le più direttamente colpite da questo aumento dei prezzi.
A livello globale, sono i paesi in via di sviluppo a risentirne maggiormente, in quanto importatori netti di beni alimentari. E’ fondamentale che l’Unione europea prenda parte all’elaborazione di risposte adeguate e dimostri coesione nelle misure adottate per far fronte alle conseguenze dell’attuale situazione, tenendo conto non solo degli strati più poveri della popolazione europea, ma anche dei paesi in via di sviluppo. Pertanto, ci si aspetta che il Consiglio europeo sottoscriva i provvedimenti necessari all’interno dell’UE e a livello internazionale. Consentitemi di illustrarli brevemente.
L’Unione europea ha già adottato alcune misure per allentare la pressione sui prezzi dei beni alimentari, tramite la vendita di scorte d’intervento, la riduzione delle restituzioni all’esportazione, la rimozione dell’obbligo di messa a riposo per il 2008, l’aumento delle quote latte e la sospensione dei dazi sui cereali, aumentando così l’offerta e contribuendo a stabilizzare i mercati agricoli. Poiché le famiglie a basso reddito risultano essere le più colpite, è naturale che gli Stati membri si concentrino su misure a breve termine, mirate ad alleviare gli effetti dei rincari specificatamente su quei soggetti.
Il Consiglio europeo, tuttavia, deve ragionare sul lungo periodo. Non è plausibile aspettarsi che il prezzo dei beni alimentari e del petrolio si riallinei, a breve, ai livelli precedenti. Sono certo che la prossima Presidenza concluderà, in collaborazione con il Parlamento europeo, un opportuno accordo sulla verifica della PAC, che includerà misure atte a potenziare la produzione agricola e a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare.
Dobbiamo inoltre prestare attenzione alle politiche riguardanti i biocombustibili e trovare il modo di assicurarne la sostenibilità, sia all’interno dell’UE sia in altri paesi. Sarà importante promuovere lo sviluppo di biocombustibili di seconda generazione. Più in generale, è necessario sostenere l’innovazione e le attività di ricerca e sviluppo nel settore agricolo, per rafforzarne l’efficienza e la produttività. Fra le iniziative da perseguire a livello internazionale, il Consiglio europeo intende sottolineare il contributo dell’Unione agli sforzi globali volti a mitigare gli effetti dell’aumento dei prezzi su coloro che vivono in condizioni di povertà.
Le suddette iniziative comprenderanno un appello per un miglior coordinamento della risposta internazionale alla crisi causata dall’aumento del prezzo dei beni alimentari, in particolare a livello di Nazioni Unite e G8; sostegno alle politiche di libero commercio; tempestività nella risposta alle necessità umanitarie immediate e di breve periodo e infine promozione di un’assistenza mirata per potenziare l’agricoltura nei paesi in via di sviluppo. Oltre all’aumento dei beni alimentari, l’UE si trova ad affrontare anche l’impennata del prezzo del petrolio; il che richiede un adeguamento dell’economia europea. Proprio su questo tema, è previsto un dibattito speciale per oggi.
Per la Presidenza è altrettanto essenziale che il Consiglio europeo ponga in evidenza le misure adottate per migliorare la percezione europea dei Balcani occidentali. In particolare, vorrei sottolineare la conclusione di una serie di accordi di stabilizzazione e di associazione e l’avvio del dialogo sulla liberalizzazione dei visti con tutti i paesi della regione, nonché la presentazione di alcune tabelle di marcia. Inoltre, i capi di Stato e di governo porranno l’accento sull’importanza di coinvolgere tutti i paesi dei Balcani occidentali negli sforzi di cooperazione regionale e accoglieranno una serie di iniziative settoriali. La regione dei Balcani occidentali è cinta da Stati membri dell’UE, quindi ha urgenza di veder confermata la propria prospettiva europea e di ricevere assistenza nell’attuazione delle riforme. La Presidenza apprezza molto il sostegno del Parlamento europeo a questo riguardo.
Un altro punto fondamentale all’ordine del giorno saranno i progressi compiuti nel conseguimento degli Obiettivi del Millennio. Il 2008 è il punto intermedio nella tabella di marcia per il raggiungimento di questi obiettivi. In qualità di maggiore elargitore di aiuti allo sviluppo, l’Unione europea è consapevole delle proprie responsabilità e pronta a rivestire un ruolo attivo nell’esortare la comunità internazionale a impegnarsi per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio. Pertanto, il Consiglio europeo sottolineerà il ruolo chiave dell’UE nell’ambito delle conferenze internazionali, nonché i suoi impegni.
La terza tipologia di tematiche che verranno trattate dal Consiglio europeo riguarderanno l’ambito economico, sociale e ambientale. Innanzi tutto, desidero accennare un breve resoconto del lavoro svolto in relazione al pacchetto “clima-energia”. Ebbene, la Presidenza slovena ha raggiunto tutti gli obiettivi prefissati nell’ambito del pacchetto in questione. Di cruciale importanza sono state le decisioni politiche adottate durante la riunione di marzo del Consiglio europeo. Quest’ultimo prenderà atto, inoltre, dell’accordo raggiunto in materia di liberalizzazione del mercato dell’energia; questione che è stata discussa ieri in Parlamento.
Sulla base delle conclusioni di dicembre 2007, il Consiglio europeo esaminerà anche i progressi effettuati nell’ambito di dossier chiave in materia di migrazione, giustizia e terrorismo. Infine, i capi di Stato e di governo affronteranno le questioni riguardanti la politica europea di vicinato. Il “Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo”, forte dei precedenti successi che intende consolidare, conferirà ulteriore slancio alle relazioni dell’Unione con i paesi del Mediterraneo e fungerà da complemento alle relazioni bilaterali in corso, le quali proseguiranno nel quadro politico esistente. Si prevede che il Consiglio europeo accolga favorevolmente le recenti proposte per lo sviluppo di un partenariato orientale nell’ambito della politica europea di vicinato.
Ai margini del Vertice, i capi di Stato e di governo discuteranno la proposta della Commissione in merito all’adesione della Repubblica slovacca come sedicesimo Stato membro dell’Unione economica e monetaria, a partire dal 1° gennaio 2009. Permettetemi, quindi, di rivolgere delle congratulazioni speciali alla Repubblica slovacca.
In sintesi, le opinioni espresse e le discussioni tenute in questo Parlamento hanno contribuito in maniera sostanziale alla formulazione dell’agenda del Consiglio europeo. Il dibattito che sta per aprirsi, e che seguiremo da vicino, rappresenterà a sua volta un importante apporto alla discussione fra i capi di Stato e di governo, pertanto mi accingo ad ascoltarlo con grande interesse.
(Applausi)
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. − (EN) Signora Presidente, il Consiglio europeo che si aprirà domani affronterà un ordine del giorno importante, composto da svariate tematiche in merito alle quali i cittadini si aspettano un intervento dell’Europa.
(Alcuni deputati sulla destra dell’Emiciclo, con indosso magliette verdi, si alzano per esporre striscioni e cartelli che esortano al rispetto del “no” espresso dall’Irlanda. Il Presidente li invita a rimuovere i suddetti striscioni e cartelli.)
Tali questioni sono l’impennata del prezzo del petrolio e dei prodotti alimentari, il cambiamento climatico e la sicurezza energetica, nonché l’immigrazione e il diritto d’asilo, per citarne solo alcune.
Ma è ovvio che nella testa di tutti ci sarà il “no” dell’Irlanda. Questo “no” ha suscitato la delusione di chiunque fosse schierato a favore di un’Unione europea più forte, efficiente e responsabile. Il Trattato di Lisbona resta essenziale per aiutarci ad affrontare le sfide che si pongono all’Europa in questo frangente, ovvero: ottenere un’Unione più democratica, che conferisca maggiori poteri a questo Parlamento e riconosca il ruolo dei parlamenti nazionali nella politica europea; potenziare la capacità d’azione dell’Europa in ambiti quali l’immigrazione, l’energia, il cambiamento climatico, la sicurezza interna; e infine aumentare la coesione e l’efficienza europea su scala globale.
Queste problematiche sussistono, non sono svanite. In realtà, questo voto negativo non ha risolto i problemi che il Trattato si propone di risolvere.
Nel corso degli ultimi sei anni, abbiamo speso moltissime energie su tematiche istituzionali. Oggi che molteplici questioni di primaria importanza ci incalzano, non possiamo permettere che questa energia vada sprecata, anche perché il mondo non si ferma ad aspettare l’Europa.
Come ho detto settimana scorsa, la Commissione ha pieno rispetto per l’esito del referendum irlandese. Ma, dobbiamo mostrare lo stesso rispetto per tutte le ratifiche nazionali,
(Applausi)
che avvengano per via referendaria o parlamentare. Finora, il processo ha visto 19 decisioni democratiche: 18 a favore del Trattato di Lisbona, una contraria. Altri otto Stati membri devono ancora pronunciarsi.
Il governo irlandese ha espresso chiaramente il proprio rispetto per il diritto degli altri paesi a procedere con il processo di ratifica. Com’era ovvio, a mio avviso, poiché tutti i paesi sono uguali in Europa, tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione.
(Applausi)
Se da un lato è chiaro che il Trattato di Lisbona non possa entrare in vigore senza una ratifica unanime, dall’altro è altrettanto chiaro che il voto irlandese determina unicamente la posizione irlandese e non quella di altri paesi. Mi aspetto che gli Stati membri che non hanno ancora ratificato il Trattato di Lisbona continuino nel loro processo.
(Applausi)
Il Consiglio europeo offre a noi tutti la possibilità di ascoltare attentamente ciò che verrà dichiarato dal Primo Ministro Cowen. Dopodiché dovremo collaborare strettamente con il governo irlandese per contribuire alla risoluzione del problema. Voglio essere chiaro: l’Irlanda ha la responsabilità di partecipare alla ricerca di una soluzione. Con la firma del Trattato, i governi si sono assunti la responsabilità della ratifica. Ma permettetemi di essere altrettanto chiaro su un altro punto: in questo momento dobbiamo prendere sul serio il principio di solidarietà. Ventisette Stati membri hanno firmato il Trattato; dobbiamo compiere ogni sforzo per assicurarci che ventisette Stati membri trovino il modo di progredire. Tutti gli Stati membri hanno pari dignità; non devono sussistere dubbi in proposito.
Tutto questo richiederà tempo e impegno da parte degli irlandesi, ma anche da parte di tutti noi. Non credo ci si debba affrettare nel prendere una decisione prematura riguardo alla fase successiva. Dobbiamo prenderci tutto il tempo necessario per ricercare un consenso reale e capire cosa sia effettivamente possibile per l’Irlanda. D’altro canto, non possiamo metterci troppo. So che questo Parlamento desidera offrire agli elettori prospettive chiare, in occasione delle elezioni europee.
La Commissione europea è pronta a fornire il proprio contributo, così come questo Parlamento, ne sono sicuro, tuttavia non si può ignorare il fatto che i governi abbiano una specifica responsabilità, assunta con la firma del Trattato, nell’assicurarne la ratifica e nel promuovere il progetto europeo in seno all’opinione pubblica nazionale. In merito a quest’ultimo punto, consentitemi di fare un commento generale che ritengo possa essere utile al dibattito in corso: aver trattato per anni le Istituzioni europee come un provvidenziale capro espiatorio ha creato un terreno fertile per le campagne populiste.
(Applausi)
Come ho già avuto occasione di ripetere in precedenza, non è possibile scagliarsi contro Bruxelles o Strasburgo dal lunedì al sabato e pretendere che la domenica i cittadini votino in favore dell’Europa.
(Applausi)
Domani il Consiglio europeo sottolineerà anche che il voto negativo non deve indurre l’Unione europea nella trappola della nullafacenza istituzionale. Abbiamo compiuto progressi importanti negli ultimi due anni, frutto della determinazione nell’offrire politiche a tutela degli interessi dei cittadini europei. A fronte di una contingenza in cui il rincaro dei beni alimentari e del petrolio genera forti aspettative in merito a un intervento, non possiamo permetterci di abbandonare questo cammino. Ecco perché mi compiaccio della decisione del Primo Ministro Janez Janša e della Presidenza slovena di circoscrivere la discussione su Lisbona alla cena di giovedì sera, per dedicare il resto dei lavori del Consiglio europeo all’ampliamento della nostra agenda politica.
Oggigiorno, tutti risentiamo della pressione indotta dall’incremento dei prezzi dei prodotti alimentari e del combustibile, ma su alcuni, tali rincari gravano in maniera ancora maggiore. Questi costi, infatti, hanno un’incidenza superiore sul bilancio delle famiglie più povere, pertanto gli aumenti vengono percepiti maggiormente. Lo stesso dicasi per alcune attività economiche, in cui il combustibile ha un’incidenza critica.
In due comunicazioni riguardanti il prezzo dei prodotti alimentari e del petrolio, la Commissione ha condotto un’attenta analisi delle cause all’origine degli aumenti, nonché sulle categorie maggiormente colpite e su come sia possibile e necessario intervenire.
L’Unione europea deve dar prova di saper dispiegare l’intero ventaglio di misure attuabili sia a livello europeo sia nazionale. Dobbiamo adottare un approccio dinamico e creativo agli strumenti a nostra disposizione e valutare quali provvedimenti avranno un effetto concreto nel breve, medio e lungo periodo. Non dimentichiamo l’esperienza dei precedenti shock petroliferi, in cui l’Europa ha dimostrato di non aver imparato le lezioni a lungo termine. Speriamo che questa volta non succeda come in passato, quando, a seguito di ogni shock petrolifero, si è tornati a gestire gli affari come sempre. Mi auguro che questa volta avremo un’opportunità concreta di cambiare e modificare il paradigma del consumo energetico in Europa e nel mondo.
Allo scopo di alleviare i problemi legati ai rincari alimentari in Unione europea, avanzeremo una serie di proposte volte a estendere il nostro sistema di distribuzione di generi alimentari ai meno abbienti, prima di ricercare un incremento di due terzi nel budget relativo a questo specifico settore.
Inoltre, l’Unione europea dispone di strumenti che possono e devono essere impiegati: monitoraggio dei prezzi, utilizzo dei poteri concorrenziali in funzione di controllo della catena di approvvigionamento, potenziamento delle scorte e allineamento della PAC alle attuali realtà del mercato agricolo.
Quanto al prezzo del petrolio, saranno legittimati interventi immediati per alleviare le famiglie maggiormente colpite. Tuttavia, sarebbe inutile per i governi impiegare il denaro pubblico per compensare gli attuali rincari energetici, destinati, probabilmente, a perdurare. Dovremo inoltre analizzare i livelli a disposizione dell’Unione europea in ambiti quali la concorrenza e la tassazione. La Commissione avanzerà proposte per una maggiore trasparenza in merito alle scorte petrolifere d’emergenza e commerciali. Presenteremo inoltre delle proposte in materia di tassazione, volte a sostenere e agevolare il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio, soprattutto nel campo dell’efficienza energetica. Appoggeremo, infine, un meeting ad alto livello dei produttori e dei consumatori di petrolio e combustibili fossili.
In merito all’industria della pesca: proporremo un pacchetto di misure d’emergenza per risolvere i problemi legati alla difficile contingenza socioeconomica, consentendo agli Stati membri di fornire aiuti d’urgenza a breve termine; inoltre rivedremo le regole in materia di aiuti statali di piccola entità. A tal proposito, ho tre osservazioni da fare. Innanzi tutto, gli aiuti di Stato dovranno essere coordinati: è necessario evitare la corsa alle iniziative nazionali che non fanno che spostare i problemi altrove nell’Unione. In secondo luogo, dobbiamo concentrare i nostri interventi lenitivi sui segmenti della flotta maggiormente colpiti. Infine, è necessario trovare soluzioni strutturali al problema della sovraccapacità nell’industria della pesca.
La pressione cui devono far fronte oggi gli europei dimostra come gli obiettivi dell’Unione europea nel campo della sicurezza e dell’efficacia energetica, nonché dei cambiamenti climatici, siano cruciali per il benessere della società europea, ecco perché il loro raggiungimento è più urgente che mai. Mentre la domanda continua ad eccedere l’offerta di petrolio e gas, gli obiettivi concordati l’anno scorso forniscono un percorso pronto all’uso per la riduzione della vulnerabilità europea e della sofferenza economica indotta dalle future impennate dei prezzi. I principali aspetti del pacchetto di proposte che abbiamo avanzato e che si trova ora al vaglio del Parlamento costituiranno un contributo determinante.
L’idea di base è la seguente: molto probabilmente i prezzi dell’energia non torneranno mai più ai livelli precedenti, quindi si tratta di un problema strutturale. Possiamo e dobbiamo avere risposte a breve termine, soprattutto per le categorie più vulnerabili della società. Tuttavia, per un problema strutturale, occorre una risposta strutturale. Tale risposta è il nostro pacchetto di misure sul cambiamento climatico e le fonti di energia rinnovabile; è il fatto di affrancarci dalla dipendenza dai combustibili fossili, promuovendo le fonti di energia rinnovabile e facendo di più in termini di efficienza energetica. Questa è la linea di base che dovremmo seguire.
(Applausi)
Pertanto, mi auguro che a questo punto, tutti coloro che in Europa ancora dubitano di quanto sia importante modificare il nostro paradigma energetico, coloro che ancora nutrono dei dubbi sulla necessità di contrastare il cambiamento climatico, si rendano finalmente conto che, se non per queste ragioni, quantomeno per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e per aumentare la competitività della nostra economia, dovremo tener fede realmente ai nostri impegni riguardo al cambiamento climatico e alle fonti di energia rinnovabile.
La risposta strutturale alle problematiche strutturali che ci troviamo ad affrontare consiste, in sostanza, nel risparmiare e diversificare. Per risparmio intendo aumentare l’efficienza energetica laddove abbiamo un enorme potenziale inesplorato. La diversificazione, invece, riguarda sia le fonti sia l’origine geografica dell’energia. Entrambi gli elementi concorrono ad aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento. Dunque, l’adozione del nostro pacchetto sul cambiamento climatico e sulla sicurezza energetica è una questione estremamente urgente. Il compito del Consiglio europeo sarà quello di inviare un segnale in merito e predisporre ogni cosa per il raggiungimento di un accordo politico entro, speriamo, il prossimo dicembre.
Ritengo sia una responsabilità importante per il Consiglio europeo dimostrare che il “no” espresso in merito al Trattato di Lisbona non sarà una scusa per evitare di agire. Non deve tradursi in una paralisi per l’Europa. Dobbiamo dar prova di saper trovare la strada giusta per assicurare quell’Europa efficiente e democratica che è negli intenti del Trattato.
Permettetemi di concludere con un’osservazione di carattere più politico. Ritengo che tutti noi – ovvero i fautori del Trattato di Lisbona, questo Parlamento e la Commissione – non dovremmo scusarci per il fatto di sostenerlo, poiché la concorrenza là fuori è più forte che mai, sarà più agguerrita che mai. Ci serve un’Unione europea che funzioni meglio per i nostri cittadini, che sappia rispondere alle concrete sfide che si prospettano. Sono sfide che permarranno: i problemi legati alla sicurezza energetica, al terrorismo internazionale, alla competitività rafforzata delle potenze emergenti, all’immigrazione, sono tutte problematiche reali che dobbiamo affrontare in maniera più efficiente.
Quindi, non scarichiamo la colpa sull’Unione europea. Siamo onesti. E’ vero che molto spesso i referendum sull’Europa hanno dato esito negativo. Ma siamo franchi fino in fondo. Se sottoponessimo a referendum gran parte delle nostre politiche nazionali e delle nostre iniziative, siamo sicuri che il risultato sarebbe sempre favorevole? Perciò non incolpiamo sempre l’Unione o le Istituzioni europee. La verità è che, oggi, assumere decisioni a livello europeo, nazionale e regionale è diventato molto difficile.
Pertanto, occorre essere saggi, prudenti e seri in proposito. Non incolpiamo sempre l’Unione europea. Al contrario, dovremmo adoperarci per migliorarla: essere umili di fronte alle difficoltà, comprendere che cosa non va, apportare i miglioramenti del caso, senza mai venir meno all’impegno preso. A mio avviso, il modo migliore per riuscirci è evitare il pessimismo e non arretrare in una situazione di crisofilia, una crisi fine a se stessa. Il pessimismo non risolverà il problema. E’ vero, ci troviamo in seria difficoltà, ma dobbiamo superarla e non cadere in depressione.
Il miglior modo per dimostrare il nostro impegno verso il progetto – e a tale proposito, accolgo con entusiasmo le intenzioni della Presidenza francese – è lavorare concretamente sugli ambiti più importanti in cui l’Unione europea può produrre dei risultati e aiutare i nostri Stati membri a rispondere a quei problemi che sono, di fatto, la principale preoccupazione dei nostri cittadini. Mi auguro che non ci lasceremo demoralizzare e che sapremo mantenere la nostra linea. Quel che ci occorre sono marinai e condottieri che sappiamo navigare su mari calmi e in tempesta. Ritengo sia bene mantenere la rotta e proseguire con il nostro progetto, cosicché l’Europa risulti più necessaria che mai.
(Applausi)
Joseph Daul, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Presidente della Commissione, onorevoli colleghi, la maggioranza degli elettori irlandesi ha espresso la propria opposizione al Trattato di Lisbona. Il mio gruppo rispetta tale decisione, così come rispetta quella dei 18 Stati membri che si sono finora pronunciati a favore del Trattato e l’hanno ratificato.
L’Unione europea è fondata sulla libertà d’espressione e sulla democrazia. Dunque, in quanto democratici, auspichiamo che tutti gli Stati membri si pronuncino in merito alla ratifica del Trattato. Sarà solo alla fine di questo processo che il Consiglio europeo potrà decidere il percorso da seguire; in altre parole – per quanto sia rispettabile la decisione dell’Irlanda – nessuno Stato membro può impedire agli altri di esprimere liberamente la propria opinione.
Ci auguriamo che questa settimana il Consiglio europeo proceda a un’analisi calma, responsabile e costruttiva della situazione generata da questo voto. I membri PPE del mio gruppo auspicano che il Consiglio europeo esorti gli Stati membri che non l’hanno ancora fatto, a procedere con l’opportuna ratifica del Trattato.
Onorevoli colleghi, il popolo d’Irlanda si è pronunciato. Ha espresso i propri timori riguardo alla finalità dell’integrazione europea, alle modalità di gestione dell’Europa, al futuro della politica agricola, ai negoziati dell’OMC e alla politica fiscale. Il voto irlandese riflette le difficoltà di molti nel comprendere la complessità dell’Unione europea, la cui utilità non è sempre evidente. E’ l’espressione dei dubbi di moltissimi cittadini riguardo alla finalità stessa dell’integrazione europea. Perfino la motivazione che è stata mia e della mia generazione, ovvero la volontà di assicurare la pace nel nostro continente, non è più compresa dalle nuove generazioni.
Il “no” degli irlandesi è anche un’esortazione a definire meglio gli obiettivi dell’Europa e a spiegare meglio le ragioni che spingono a proseguire nell’integrazione. Il Parlamento europeo, che adotta spesso testi di difficile lettura, non può esimersi da questo esercizio. Ma votando “no” gli irlandesi hanno forse voluto dire che in materia di clima, energia, nuova distribuzione alimentare, sicurezza personale, migrazione o politica estera i nostri paesi sono autosufficienti e possono confrontarsi ad armi pari con Stati Uniti, Cina, India e Brasile? Non credo proprio. Votando “no” gli irlandesi hanno forse voluto dire che la solidarietà verso i paesi più poveri, di cui loro stessi hanno ampiamente e giustamente beneficiato nel corso degli ultimi decenni, è un valore decaduto, sostituito ormai dal principio secondo cui ognuno fa per sé? Ne dubito. E infine, votando “no” gli irlandesi hanno forse voluto voltare pagina in materia di integrazione europea ed esprimere il proprio dissenso riguardo all’adesione di un paese come la Croazia? Non credo proprio.
I membri PPE del mio gruppo sono convinti che il Trattato di Lisbona, che è stato oggetto di lunghi negoziati ed è stato firmato dai 27 Stati membri, rappresenti un progresso importante rispetto al Trattato di Nizza, poiché permette all’Europa di funzionare meglio, dotandola degli strumenti necessari per far sentire la propria voce sulla scena globale. Mi auguro una cosa soltanto: che il periodo di introspezione dell’Europa si concluda al più presto, poiché è arrivato il momento che i nostri paesi – permettetemi l’espressione – smettano di piangersi addosso e comincino a collaborare per superare i problemi e le sfide reali, quelle stesse sfide che dovrebbero spingerci all’azione e che provocano l’inquietudine profonda, talvolta la collera – come avremo modo di vedere ancora una volta giovedì a Bruxelles – di coloro che si vedono indeboliti o addirittura handicappati dall’attuale congiuntura.
Signor Presidente in carica del Consiglio, la mia richiesta è che domani, in sede di Consiglio, si tenga conto dei problemi reali, del benessere dei cittadini europei e che si affronti di petto la questione di tutti gli aumenti che preoccupano così tanto i nostri concittadini.
Nel contesto di questo acceso dibattito, i membri PPE del mio gruppo fanno appello alla calma e al raziocinio. Prestiamo ascolto agli irlandesi, impariamo dal voto che hanno espresso e trattiamo con il medesimo rispetto il popolo delle altre nazioni europee.
(Applausi)
Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, sono otto anni ormai che lavoriamo costantemente alla ratifica di questo o quel trattato. Ci stiamo sfiancando di ratifiche. Nel corso di questi otto anni, l’Unione europea ha attraversato un periodo di introspezione, concentrandosi sulle proprie riforme istituzionali, sebbene con scarso successo. La stessa Unione europea che impone ai paesi candidati di sottoporsi a processi di trasformazione sembra incapace di gestire il proprio. Che ne è della nostra credibilità in questo modo?
Signor Presidente della Commissione, lei ha giustamente affermato che le Istituzioni europee non devono essere sempre incolpate e che non dobbiamo permettere che vengano sempre utilizzate come capro espiatorio. Ha assolutamente ragione, ma di preciso, chi le starebbe usando come capro espiatorio? Nelle capitali europee, ci sono moltissime persone che prenderanno parte al Consiglio di giovedì e che immancabilmente, rientrando a casa da Bruxelles, se il Consiglio avrà avuto un esito positivo, dichiareranno: “E’ stato tutto merito nostro, dei capi di Stato e di governo”, mentre se il Consiglio sarà stato un insuccesso, sosterranno: “Tutta colpa loro, di quelli di Bruxelles!” La invito a ripetere in Consiglio quello che ha dichiarato qui oggi. Peraltro, in quest’Aula abbiamo discusso apertamente con lei, mentre i capi di Stato e di governo si riuniranno ancora una volta a porte chiuse, giovedì. Bisogna porre fine anche a questa prassi. Che gli Stati membri se ne assumano la responsabilità!
(Applausi)
Ci troviamo in una spirale discendente, una spirale negativa, molto pericolosa. Il processo di integrazione europeo è a rischio. Il popolo irlandese ha tenuto un referendum e noi dobbiamo rispettarne il risultato, tuttavia c’è un aspetto che mi allarma molto.
Ad eccezione del Sinn Féin – su cui non voglio sprecare parole in questa sede – tutti i partiti irlandesi, il PPE-DE, i liberali e il nostro stesso partito si erano espressi a favore del “sì” e tuttavia gli irlandesi hanno votato “no”. Questo è dunque un segnale d’allarme che riguarda tutti, compresi noi in quest’Aula: ci troviamo di fronte a una crisi di fiducia, una crisi di diffidenza nei confronti delle istituzioni nazionali e, tanto più, di quelle sovrannazionali. Non c’è bisogno che applaudiate. E’ opinabile, a mio avviso, che la sovranità irlandese sia rappresentata dall’ideologia del partito UKIP. Gli irlandesi possono fare a meno della vostra protezione. Permettetemi di essere molto chiaro: dobbiamo essere coesi di fronte a questa crisi di fiducia e considerarla con grande serietà.
Signor Presidente della Commissione, mi domandavo quando avrebbe finalmente speso qualche parola riguardo al suo Commissario McCreevy oggi.
(Applausi)
Il Commissario McCreevy è responsabile del mercato interno dell’Unione europea: quello stesso mercato interno che, a causa della mancanza di equità sociale che lo contraddistingue, è comprensibilmente considerato da un numero sempre maggiore di cittadini come una minaccia, anziché un’opportunità. Quello stesso uomo, responsabile per il mercato interno in seno alla sua Commissione, recatosi in Irlanda, ha dichiarato di non aver letto il Trattato di Lisbona e di aspettarsi che nemmeno gli elettori l’avrebbero fatto. Come è possibile che questo rafforzi la fiducia del pubblico?
(Applausi)
Mi consenta di dirle che la miglior misura socio-politica che possa proporre il 3 luglio nell’interesse dell’Europa è sollevare dall’incarico il Commissario McCreevy, poiché ha dato prova di non esserne all’altezza. E’ inammissibile, a mio avviso, che un Commissario per il mercato interno rappresenti un approccio alla politica tanto distorto. L’obiettivo del Commissario McCreevy è pervenire alla deregolamentazione del mercato interno fino al limite massimo, a qualunque costo e senza alcun ammortizzatore sociale a livello comunitario o di Stati membri: è questa la crisi percepita dai cittadini europei! Signor Presidente, è necessario che prenda provvedimenti riguardo a questo Commissario!
(Applausi)
Avrei anche apprezzato un suo commento in merito alla crisi dei mercati finanziari. Non l’ho ancora sentita pronunciarsi riguardo al tumulto del settore finanziario. Vorrei rivolgere un’osservazione anche all’onorevole Daul: ci sono 21 capi di governo nell’Unione europea, che fanno capo alla sua famiglia politica o ai liberali, e altrettanti membri della Commissione. Sono lieto di riconoscere che il gruppo PPE-DE in questo Parlamento ha dimostrato grande apertura mentale verso determinate misure di politica sociale. La esorto dunque a confrontarsi con i suoi capi di governo e con i suoi colleghi al Consiglio!
Ciò che occorre all’Europa è un’azione concertata nell’arena sociale. Il suo gruppo detiene la maggioranza in Europa, in seno al Consiglio, alla Commissione e anche in questo Parlamento. Per una volta, onorevole Daul, potrebbe dimostrare la responsabilità sociale alla quale ha appena fatto appello. La invito a farlo, per esempio, riguardo alla relazione del collega Poul Nyrup Rasmussen sul controllo dei mercati finanziari internazionali. La invito ad accompagnare con i fatti le sue altisonanti dichiarazioni sulla responsabilità sociale. Un caloroso benvenuto a lei, onorevole Daul!
(Applausi)
Troveremo il sistema per uscire da quest’impasse, ne sono certo. In un modo o nell’altro, riusciremo a far tornare a bordo gli irlandesi. Ma questo non ci aiuterà! Dobbiamo riconoscere che, un tempo, il movimento europeista aveva un’anima. Come ha ricordato l’onorevole Daul, questo avveniva nel dopoguerra, quando la mistica pacifista univa i popoli. Oggi è il movimento antieuropeista ad avere un’anima, un’anima estremamente attiva, come potete vedere. Hanno percorso tutta l’Irlanda, salendo scale, suonando campanelli, facendo propaganda e distribuendo volantini. Erano dappertutto. E dov’erano gli europeisti? Dov’è il movimento che promuove l’integrazione europea? Dov’è finita la passione che avevamo un tempo? Si è spostata sull’altro fronte, il fronte che critica l’Europa, alla destra dello spettro politico. Anima coloro che criticano l’Europa, per il semplice motivo che hanno paura. Ma in Europa, questo connubio di declino sociale e paura ha sempre aperto la strada al fascismo.
Pertanto esorto tutte le forze democratiche costruttive d’Europa a prendere sul serio questo movimento! Uniamo ancora una volta le forze per un solo obiettivo: ricordare a noi stessi che nessun progetto è mai stato più efficace ai fini della salvaguardia della pace in Europa e nel mondo di quel movimento transnazionale, interculturale e interreligioso, basato su un giusto equilibrio degli interessi sociali, che si chiama Unione europea. E’ un progetto per cui vale la pena battersi, poiché non possiamo permettere che queste persone abbiano la meglio.
(Applausi)
Graham Watson, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signora Presidente, durante il viaggio che lo porterà a Bruxelles domani, invito il Primo Ministro irlandese a riflettere sulle parole di una canzone del gruppo pop irlandese U2: “Where did it all go wrong?”, “Che cosa è andato storto?”
Anche gli altri capi di Stato e di governo dovrebbero domandarsi come mai, alla vigilia di una nuova Presidenza francese, siamo tornati al punto di partenza: da Nizza a Nizza.
E’ evidente che all’interno di ogni Stato membro c’è un’ampia maggioranza a favore dell’Unione europea. Quel che è molto meno evidente è che ci sia una maggioranza a sostegno di un’ulteriore integrazione. Non abbiamo affatto la certezza che un qualsivoglia trattato ottenga la maggioranza in uno qualsiasi dei paesi europei. La fiducia nelle Istituzioni sta venendo meno.
Pertanto è inutile che alcuni spiritosi a Berlino fischiettino un altro successo degli U2 “With or without you” (“Con o senza di te”), o che da Parigi si esortino gli irlandesi a votare di nuovo. Come sottolineava Brecht: non si può dissolvere il popolo. Tuttavia, poco meno di un milione di persone ha votato “no” e in uno scenario punteggiato di menzogne, i cittadini non sono convinti.
Perché? Innanzi tutto perché abbiamo fatto ben poco per persuaderli dei cambiamenti che andiamo caldeggiando. La Commissione ha approntato un Piano D per il dialogo, ma non esiste corrispettivo negli Stati membri. Certo, il Parlamento e la Commissione hanno il compito di spiegare l’Unione europea, ma anche i singoli governi nazionali, ogni giorno, non solo alla vigilia della ratifica dell’ennesimo trattato. Ed è una responsabilità che dev’essere condivisa anche dai partiti politici, non solo a livello europeo, ma all’interno di ciascuno Stato membro.
In secondo luogo, benché l’UE abbia generato grande ricchezza, tale ricchezza è oggi accumulata in maniera meno onesta e ripartita con minor equità. I nostri leader politici ed economici si scontrano con enormi questioni di natura etica. E, onorevole Schulz, mi dispiace che di questi tempi lei possa contare solo su cinque capi di Stato o di governo, tuttavia tali questioni valgono nei paesi guidati dai socialisti tanto quanto in qualsiasi altro paese!
(Applausi)
Infine, i cittadini europei non sono convinti perché, a dispetto di tutte le libertà per le merci e i capitali – e perfino per i servizi – la nostra Unione non è famosa per le libertà individuali. Complicazioni transfrontaliere in materia di diritto civile – custodia dei figli nei casi di divorzio, problemi con le proprietà all’estero – riempiono i sacchi postali indirizzati agli eurodeputati. L’assenza di tutele in caso di reati transfrontalieri e un approccio trascurato alla protezione dei dati rafforzano il malcontento. Troppo spesso le promesse teoriche dell’UE vengono disattese nella pratica.
Questo è il contesto in cui è necessario valutare la nostra risposta all’Irlanda. All’interno di quest’Aula, vogliamo il nuovo Trattato. Sappiamo che contribuirà a porre rimedio a questi malfunzionamenti. Ma al di là di questa foresta di vetro e metallo, tutto ciò appare molto meno chiaro.
Pertanto, il suggerimento del mio gruppo al Consiglio è il seguente. Cominciate sul serio a fare l’Europa: potenziando il commercio, contrastando il cambiamento climatico e l’aumento del prezzo dei beni alimentari e del petrolio. Lasciate che coloro che lo desiderano, procedano alla ratifica del Trattato. All’occorrenza, accontentatevi di Nizza. Servitevi della clausola passerella per accelerare il potenziale europeo di soluzione dei problemi. Dimenticate il Presidente a tempo pieno, finché non avrete stabilito le mansioni dello stagiaire semestrale. Avviate un’ampia campagna per ricordare ai cittadini perché esiste l’UE, illustrate loro come funziona e spiegate per quale motivo “The EU is good for you”, ovvero “L’UE ti fa bene”, come la proverbiale pinta di Guinness.
L’Europa significa troppo per troppe persone per lasciare che questa crisi l’arresti di colpo.
(Applausi)
Monica Frassoni, a nome del gruppo Verts/ALE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi abbiamo sempre detto che quello di cui l’Unione europea ha bisogno è di una Costituzione breve, con una carta dei diritti vincolanti, procedure decisionali democratiche, trasparenti, competenze limitate ma reali, risorse economiche conseguenti. Una Costituzione, cari colleghi, elaborata da questo Parlamento o da un’Assemblea costituente, da difendere con forza e convinzione, senza ipocrisie, da ratificare per via parlamentare o da un referendum europeo.
Io rispetto, rispetto molto la volontà degli irlandesi, ma nessuno mi convincerà mai che un referendum al quale hanno partecipato la metà degli elettori sia più democratico di una ratifica parlamentare. Se la maggioranza dei popoli e degli Stati votano sì, si va avanti, e coloro che votano no possono allegramente restare fuori e negoziare, come già diceva il trattato Spinelli nell’84, “un sistema di rapporti nuovi e meno stretti”.
Cosa è successo in questi anni? Gli Stati membri e la Commissione hanno scelto la via di un trattato complicato, contraddittorio, difficile da vendere, negoziato nell’ultima fase in segreto, in fretta, e reso ancora meno leggibile da eccezioni e protocolli, e hanno confermato l’obbligo di ratifica all’unanimità, in perfetta linea con il complesso spagnolo del cane e dell’ortolano, che non mangia né lascia mangiare.
Come se non bastasse l’Unione europea continua ad approvare politiche sbagliate, deboli, come la direttiva Jackson ieri, oggi la Weber, incapaci di dare una prospettiva positiva e di speranza, dove ogni cosa, dai diritti dei lavoratori a quelli dell’ambiente, a quelli dei migranti, trovano spazi sempre più ristretti, dove le lobby industriali hanno più voce dei cittadini, dove l’interesse europeo è introvabile, seppellito dagli urletti di questo o di quel governo, dove il diritto di scelta e le libertà individuali o l’arrivo di nuovi europei viene vissuto come un’insopportabile attacco all’identità di popoli che, come quello italiano e quello irlandese, hanno migranti sparsi in ogni parte del mondo.
E’ possibile e forse anche auspicabile che i paesi che devono ancora ratificare lo faranno. E’ possibile che il governo irlandese ci farà qualche proposta brillante. Ma la soluzione diplomatica non basta! La soluzione diplomatica non basta. Oggi occorre più che mai affermare alto e chiaro che l’Europa dei governi, dell’opacità e della non chiarezza è quella che ha perso; quella che ha rifiutato la Costituzione e che continua a fare politiche sbagliate, di conservazione, di chiusura nazionalista, di egoismo; quella che ha ucciso lo spirito della Convenzione europea del 2003 per arrivare a un accordo su un testo positivo ma minimo e senz’anima.
Tutto questo però non rende un’Europa unita più democratica e più capace di agire meno necessaria. Ciò di cui oggi c’è bisogno è di un’iniziativa che parta dalle forze politiche e da quegli Stati membri convinti della necessità di un’Europa più efficiente, più democratica, più coesa, dal momento che non è più necessario, non è più possibile, continuare con il trattato di Nizza. Un’iniziativa dove non ci sia spazio per coloro che non vogliono andare avanti.
Brian Crowley, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signora Presidente, vorrei ringraziare il Presidente in carica, il Presidente della Commissione e i miei colleghi per i loro interventi.
Ovviamente, ciò che è accaduto non era previsto. Il “no” dell’Irlanda rappresenta un’inversione di rotta da parte di un insieme di elettori all’interno dell’Unione, rispetto al progetto europeo. A fronte della diversità di coloro che si sono opposti al Trattato nel referendum tenutosi in Irlanda, in virtù dei diversi punti di vista – in molti casi sia politicamente sia ideologicamente contrapposti gli uni agli altri – è difficile estrapolare la ragione esatta per cui la popolazione ha votato “no”.
Ciò che richiediamo è che ci venga accordato del tempo per osservare e analizzare i risultati del referendum, al fine di individuare le possibilità e le modalità per proseguire nel percorso. Poiché questo voto – come ribadito anche dai fautori del “no” – non è un voto contro l’Europa, sebbene alcuni esponenti del fronte del “no” abbiano votato contro ogni singolo referendum europeo organizzato sin dall’adesione dell’Irlanda nel 1972. Essi sostengono che non si tratti di un voto contro l’Europa e neppure di un espediente per sminuirne l’operato. Tuttavia, il loro slogan durante la campagna referendaria era “votate no per un’Europa più forte”. A questo punto, forse i fautori del “no” potrebbero spiegarci a che tipo di Europa più forte aspirano, quali soluzioni vorrebbero avanzare in merito alle modalità di gestione delle sfide e delle difficoltà globali che ci si prospettano.
Oggi, agricoltori e autotrasportatori si sono riuniti a Bruxelles per protestare contro il rincaro del combustibile. In questo stesso periodo, l’anno scorso, un barile di petrolio costava 48 dollari; oggi ne costa 140. In questo stesso periodo, l’anno scorso, i beni alimentari ad Haiti erano accessibili anche agli strati di popolazione più poveri; oggi ci sono sommosse nelle strade a causa della penuria di cibo e delle difficoltà che questo comporta. Queste sono le sfide che dobbiamo affrontare a livello europeo; queste sono le problematiche a cui dobbiamo trovare una soluzione.
Non dimentichiamoci che non è la fine del mondo. Ci siamo già trovati in questa situazione: sia i francesi sia gli olandesi hanno detto “no” a un precedente Trattato e tuttavia, si è poi trovato un meccanismo per organizzarci e avanzare con il progetto europeo.
Non è il momento di recriminare o puntare il dito. Tuttavia, a dispetto di ciò che possono pensare alcuni contestatori all’interno di quest’Aula, è tempo di mostrare rispetto: rispetto non solo per gli elettori irlandesi, che hanno espresso democraticamente la loro opinione in merito a questo Trattato, ma anche per gli altri paesi e i loro diritti individuali in merito alle modalità operative e a come intendono ratificare il Trattato. Non spetta a noi imporre agli altri quali progressi possano o non possano essere compiuti.
Voglio dire a coloro che indossano una maglietta verde in quest’Aula che, oltre a mancare di rispetto a questo Parlamento e ai suoi deputati, essi non rappresentano in alcun modo il popolo irlandese o la nazione irlandese.
(Applausi)
Vorrei sottolineare che questi sciovinisti alla mia sinistra, che sostengono di difendere i diritti del popolo irlandese, sono gli stessi che sono apparsi alla televisione irlandese mentre celebravano il “no” dell’Irlanda in un pub di Bruxelles. Certo, sono stati consumati fiumi d’alcol, ma che rispetto hanno dimostrato per il popolo irlandese e per la nostra bandiera, che hanno utilizzato come tovaglia su cui appoggiare i loro boccali? Ecco cosa rappresenta questo gruppo; questo è tutto il rispetto che portano al popolo.
(Applausi)
Consentiteci di proseguire. Il progetto europeo vale la pena di essere salvato. Non è solo un progetto di pace e prosperità, ma anche di solidarietà. Diversi anni fa, Sean O’Casey, il poeta irlandese, scrisse in Giunone e il pavone: “Ho alzato spesso gli occhi al cielo, domandandomi: cos’è la luna e cosa le stelle?” Forse oggi, la nostra generazione dovrebbe porsi una domanda: qual è il vero significato dell’Unione europea e dove vogliamo andare?
(Applausi)
Francis Wurtz, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signora Presidente, signor Presidente della Commissione, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, il Consiglio europeo darebbe prova di saggezza nel trattenersi dal mostrare qualsivoglia forma di arroganza nei confronti del popolo irlandese, il quale non ha fatto altro che esercitare un diritto democratico sancito dalla propria Costituzione. Anziché esortare alla prosecuzione del processo di ratifica nel tentativo di isolare questa nuova pecora nera, sarebbe meglio dedicarci a una lucida analisi della situazione. Secondo il mio gruppo, il “no” irlandese, particolarmente forte presso i ceti popolari, la cui partecipazione al voto è stata, ricordiamolo, molto più massiccia che in passato, rivela l’aggravamento della crisi di legittimità dell’attuale modello europeo. Tale crisi, che era già all’origine del “no” francese e olandese e si è manifestata con modalità differenti altrove, è presente ovunque, in forma latente.
Ricordiamo la mobilitazione generale contro la direttiva Bolkestein; il dibattito suscitato dai processi Laval e Viking, soprattutto nei paesi scandinavi, o in Germania, dopo la sentenza Rüffert. A questo proposito, vorrei dire all’amico onorevole Martin Schulz che condivido pienamente quanto ha dichiarato in merito al Commissario McCreevy. Il problema è che tali decisioni – quelle che ho appena ricordato – non sono state prese dal Commissario McCreevy, bensì dalla Corte di giustizia, sulla base di articoli specifici (articoli 43 e 49 degli attuali Trattati, ripresi dal Trattato di Lisbona). Ricordiamoci, inoltre, della portata politica del grande sciopero presso gli stabilimenti Dacia, in Romania, contro l’Europa low cost. Guardate la rabbia degli agricoltori o delle piccole aziende ittiche, che si sentono strangolati. All’origine di tutte queste situazioni è, innanzi tutto l’attuale modello socioeconomico europeo, il quale, anziché dare sicurezza, rafforza la precarietà. Ecco, dunque, il problema numero uno.
Un altro fattore in causa è la modalità di funzionamento dell’Unione. Le decisioni vengono assunte lontano dal popolo e senza coinvolgerlo. Ci si accontenta di spiegare ai cittadini, anziché consultarli. La scelta deliberata di presentare il Trattato di Lisbona in una forma del tutto illeggibile per i non esperti del settore è, a questo proposito, una magnifica illustrazione di ciò che definirei “la sindrome della torre d’avorio”, la quale ha effetti devastanti sui nostri concittadini, soprattutto nelle nazioni meno popolose, che hanno l’impressione di essere sballottate in funzione degli interessi degli Stati più potenti.
Infine, in molti paesi, tra cui l’Irlanda, si stanno moltiplicando gli interrogativi sul ruolo dell’Europa sulla scena internazionale, dove ci si aspetta che faccia prevalere in maniera molto più risoluta la forza della politica rispetto alla politica della forza. Rifuggire tali interrogativi significherebbe soltanto esacerbare la crisi in Europa; gestirli in assoluta trasparenza, invece, sarebbe un primo passo per avvicinarci alla loro risoluzione.
Nigel Farage, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signora Presidente, dato che nessun altro l’ha detto, voglio farlo io: ben fatto, Irlanda!
(Applausi da alcuni banchi)
Eppure, prima che fosse comunicato il risultato ufficiale, il Presidente Barroso affermava, con aria più sfuggente e falsa che mai, nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles, che – a dispetto delle regole della casa – il Trattato non era morto e che l’Europa avrebbe proseguito il suo cammino. Francamente, l’ho trovato uno spettacolo penoso; un insulto alla democrazia. E’ perfettamente chiaro a tutti che il processo di ratifica, così come l’attuazione del Trattato, debbano arrestarsi ora.
Un tempo, a seguito del “no” francese e olandese, pensavo negaste la realtà, ma ora mi rendo conto che dietro a questo atteggiamento c’è un nuovo fenomeno: “l’euronazionalismo”, la mistica politica più pericolosa diffusasi in Europa dal 1945. Ignorate gli elettori, state distruggendo la democrazia e avete dimostrato che non vi fermerete davanti a nulla. Ebbene, interrogatevi: perché oggi la classe politica è così impopolare? Nel corso di questa giornata, Presidente Barroso, questo Parlamento eleggerà un nuovo Commissario per la giustizia ed è probabile che, da domani, un ex truffatore condannato assuma la carica di Commissario per la giustizia dell’Unione europea.
In realtà, non avete alcun bisogno dello UK Independence Party, state distruggendo da soli l’immagine dell’Unione europea agli occhi degli elettori. Complimenti a tutti!
(Applausi da alcuni banchi)
Ashley Mote (NI). - (EN) Signora Presidente, mi permetta di ricordare a questo Parlamento che lo Stato di diritto è più importante delle leggi stesse.
(Fragorose proteste)
Lisbona richiedeva l’unanimità. Ignorate questo e ignorerete l’intero Stato di diritto. Gli irlandesi non rappresentano solo il 10 per cento dell’UE, bensì il 100 per cento di coloro a cui è stato concesso di votare e tutti loro sono consapevoli, come del resto lo siamo anche noi, che anche altri avrebbero votato “no”, se gliene fosse stata data la possibilità.
(Proteste ancor più fragorose)
Lisbona era incomprensibile e gli irlandesi sapevano perché. Altri avrebbero votato “no” se gliene fosse stata data la possibilità. Insinuare ora che il processo debba continuare, architettare ingegnosi espedienti per risuscitare Lisbona in aperto contrasto con la volontà popolare è un atto di arroganza di proporzioni macroscopiche, ma del resto non è la prima volta che accade. Dopo il rifiuto del precedente Trattato, il ministro degli Esteri austriaco si presentò al cospetto di quest’Assemblea gloriandosi di 36 tra progetti e istituzioni intenzionati a proseguire, i quali, tuttavia, continuano a non avere alcuna legittimazione, dopo la mancata unanimità sulla ratifica del Trattato di Lisbona.
Ho un messaggio per voi da parte di Edmund Burke: “Il popolo è sovrano, non voi, ignorate questo e lo Stato di diritto e lo farete a vostro rischio e pericolo”.
(Applausi da alcuni banchi)
PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO Vicepresidente
José Manuel Barroso, Presidente della Commissione. − (FR) Signor Presidente, vorrei sottolineare, in quest’occasione, l’apprezzabile consenso riscontrato in quest’Aula riguardo alle future azioni da intraprendere. Noi tutti riteniamo, con solo qualche eccezione che non fa che aggiungere colore al dibattito, che sarebbe opportuno che tutti gli Stati membri completassero il loro processo di ratifica. Del resto è l’opinione espressa dal governo irlandese e dai deputati, nello specifico l’onorevole Crowley, il quale, da cittadino irlandese, ha dichiarato che tutti i paesi hanno lo stesso diritto di esprimere la propria opinione. Se potessimo dunque concludere questo processo, saremmo nella posizione di poter discutere la questione in maniera costruttiva con i nostri amici irlandesi, in uno spirito di solidarietà, poiché non può esistere unione senza solidarietà. Trovo che questo sia il processo per il consolidamento del consenso e mi auguro che venga ulteriormente rafforzato dal dibattito di domani e dopodomani in seno al Consiglio europeo. Comunque sia, è questa la posizione che la Commissione intende presentare al Consiglio europeo.
Allo stesso tempo, come è stato giustamente sottolineato dall’onorevole Watson e da altri, è importante non cadere nella paralisi, limitandosi ad analizzare soltanto la questione istituzionale. Il modo migliore per consolidare la legittimità democratica dell’Unione europea è fornire risultati concreti e dimostrare che lavoriamo per i nostri concittadini; il mondo non può certo aspettare che l’Europa assuma le sue decisioni istituzionali. Ci sono questioni urgenti come il cambiamento climatico, la sicurezza energetica e l’immigrazione, che necessitano di risposte da parte dell’Unione, anche all’interno dell’attuale quadro istituzionale.
Un altro punto, e qui mi rivolgo all’onorevole Martin Schulz, è evitare di trovare facili capri espiatori. Ovviamente anch’io ho trovato piuttosto infelici le dichiarazioni del collega Commissario McCreevy. Tuttavia, potrei citare altri commenti di esponenti politici nazionali che non sono stati particolarmente costruttivi nell’ambito di questo processo, o addirittura di deputati di questo Parlamento, che non sempre dicono le cose che si vorrebbero ascoltare.
Siamo realisti! D’altro canto, nella circoscrizione in cui ha fatto campagna il Commissario McCreevy ha vinto il “sì” e non credo che attaccare ora il Commissario irlandese sia il modo migliore per instaurare un dialogo costruttivo con i nostri amici irlandesi. Concentriamoci sugli aspetti positivi, senza cercare di trovare facili capri espiatori; non sarebbe giusto. Se agiamo in uno spirito di cooperazione con le nostre istituzioni, se ci concentriamo sui risultati che i cittadini si aspettano da noi, se creiamo l’atmosfera migliore per questo dialogo, sono convinto che si possa trovare una soluzione al problema. Si tratta di un problema serio, è vero, che tuttavia può essere risolto. Non certo con le recriminazioni, tanto meno con il pessimismo, la crisofilia o il disfattismo. Lo risolveremo cercando di rafforzare, per mezzo di risultati concreti, la nostra legittimità democratica, riconoscendo che tutti noi dobbiamo adoperarci, a livello di Istituzioni europee e di governi nazionali, e ammettendo che abbiamo una responsabilità condivisa nel mantenere vivo il nostro ideale, l’ideale europeo.
(Applausi)
Philip Bushill-Matthews (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, come sappiamo, l’UE si basa su quattro libertà: libertà di circolazione per le persone, le merci, i capitali e i servizi. La prima di queste libertà riguarda gli individui. Jean Monnet, illustrando la propria visione dell’Europa, ormai diversi anni fa, disse – i miei colleghi scuseranno il mio francese stentato – “Nous ne coalisons pas des États, nous unissons des hommes”.
L’UE è incentrata sulle persone, non sui politici, pertanto, non solo dev’essere gestita dal popolo, ma il popolo stesso deve vedere ed essere convinto che sia così. Lo scorso giovedì il popolo si è pronunciato e il verdetto è stato chiaro: la risposta è stata un semplice “no”.
Mi ricordo il contesto che fece da sfondo al primo Trattato costituzionale. C’era la consapevolezza che l’UE si stesse allontanando sempre più dai cittadini e si percepiva l’esigenza di fare qualcosa in proposito. L’impegno dichiarato fu quello di preparare un Trattato che avrebbe reso l’Unione più semplice, più trasparente, più vicina alla gente. Eppure, il prodotto del lavoro dei politici fu un Trattato ancora più complicato, oscuro e distaccato dal popolo. Di certo, i cittadini devono aver avuto la stessa impressione anche in merito a quest’ultimo Trattato.
La nostra risposta non può essere quella di continuare come se niente fosse accaduto. Se la percezione dei cittadini è quella di un’UE sempre più distante da loro, i politici non possono continuare imperterriti per la propria strada, se non vogliono aggravare ulteriormente la situazione. Oggi il nostro problema non dev’essere quello di discutere a che velocità si debba muovere l’UE, bensì in quale direzione. Prestate ascolto al popolo e ve la indicherà.
Procedere con la ratifica sarà solo l’ennesima riprova che i leader dell’UE non hanno imparato nulla e che i politici continuano a ritenersi superiori, convinti che sia il popolo a sbagliare.
Per definizione, il popolo ha sempre ragione. Si chiama democrazia. Noi vogliamo un’Unione europea incentrata sulla gente, che rispetti il concetto di democrazia. Pertanto, non dobbiamo ignorare il voto irlandese, ma ricostruire su di esso. Dobbiamo arrestare il processo di ratifica e cominciare a prestare ascolto al popolo.
(Applausi)
Per concludere: nel suo vigoroso ed elegante intervento, l’onorevole Martin Schulz ha detto che esiste una crisi di fiducia. Sono d’accordo con lui. Il popolo ha perso fiducia nei politici. Abbiamo ora la possibilità di riconoscerlo, di dimostrare che abbiamo ascoltato i cittadini e di riguadagnare e ricostruire la loro fiducia in noi. Non è sufficiente che tutti noi diventiamo grandi oratori; dobbiamo dimostrare di saper essere anche grandi ascoltatori.
(Applausi)
Poul Nyrup Rasmussen (PSE). - (DA) Signor Presidente, no, no, no! Ciò che è appena stato illustrato dall’onorevole collega non è democrazia. Democrazia è dire: “Rispettiamo le decisioni irlandesi, come quelle di qualsiasi altro Stato membro”. Pertanto, sottoscrivo le osservazioni avanzate dal Presidente della Commissione: in seno a questo Parlamento esiste un consenso in merito al processo, nel rispetto dell’Irlanda, ma anche di tutti gli altri Stati membri. Continuiamo nel processo; è questo ciò che dobbiamo fare oggi.
In secondo luogo, basta pause, vi prego! Basta periodi di “riflessione”. Smettiamola di indugiare. Concentriamoci sui problemi reali: ecco di cosa c’è bisogno.
Ovviamente, il Presidente Barroso deve difendere i suoi Commissari, compreso McCreevy. Le nostre critiche al Commissario McCreevy non solo personali. Quando il presidente del nostro gruppo parla del Commissario McCreevy, lo fa per via della sua politica, che è poi la politica del Presidente Barroso.
Il Presidente Barroso ha fatto diverse affermazioni sagge, ma parlando delle competenze concorrenti, non l’ho sentito dire nulla riguardo alla speculazione sui mercati finanziari a scapito dei prezzi dei beni alimentari; avrei apprezzato di sentirne parlare da lui, così come dal Commissario McCreevy. Non ho sentito il Presidente Barroso affermare, a proposito della situazione economica, che in Europa mancano i posti di lavoro. Avrei gradito sentirlo pronunciarsi in tal senso: a causa della crisi finanziaria, stiamo perdendo posti di lavoro. Mi piacerebbe che la Commissione presentasse un nuovo piano di rivitalizzazione economica – non teorico, bensì un’azione coordinata di investimento.
Infine, il Commissario McCreevy sta ora cercando di sostenere che gli unici responsabili dell’attuale crisi finanziaria sono gli istituti e le società finanziarie – Standard & Poors, FTSE eccetera – e che li disciplineremo. Ma si sa: ambasciator non porta pena. Ritengo che in questo consesso, il Presidente della Commissione dovrebbe dirci: sì, ci troviamo di fronte a una crisi finanziaria, e sì, sono d’accordo, ci occorre una regolamentazione universale migliore di quella di cui disponiamo, cosicché la nostra risposta possa tradursi in nuovi posti di lavoro e un clima migliore e non in più soldi e in un approccio ancora più focalizzato su come creare profitti dal nulla, anziché dalla produzione e dall’occupazione. Convinceteci di questo oggi e avrete trovato il messaggio concreto da trasmettere alla gente comune.
Marian Harkin (ALDE). - (EN) Signor Presidente, in quanto parlamentare irlandese, rappresento il 54 per cento di elettori che ha votato “no” e il 46 per cento che ha votato “sì”. Gli autentici democratici non badano solo al risultato, ma si sforzano di rappresentare l’insieme della popolazione.
Io rappresento uno Stato sovrano, ma non si può difendere la sovranità del proprio Stato – nel mio caso, l’Irlanda – a meno che non si difenda la sovranità di tutti gli Stati membri. In virtù di questo, se altri Stati membri decideranno di esercitare la propria sovranità e di ratificare, o meno, il Trattato di Lisbona, nessun autentico democratico che oggi si professi irlandese sarà legittimato a obiettare. L’Irlanda parla per l’Irlanda; la Slovenia per la Slovenia. Questa è vera democrazia e vera sovranità.
Una questione cruciale nel dibattito tenutosi in Irlanda riguardo a Lisbona era il principio di unanimità. Perché il Trattato di Lisbona venga ratificato, ci occorre l’unanimità. Tutti i 27 Stati membri devono concordare – il succo è questo. Questo è il primo vero test di unanimità nell’ambito del Trattato di Lisbona. Non possiamo fallire in questa prova ed è in questo che risiede la sfida. In quanto politici, abbiamo il compito di essere all’altezza di tale sfida, di ascoltare i nostri concittadini, di trovare soluzioni e di impegnarci concretamente nella costruzione di un’Europa migliore. Alcuni fautori del “no” in Irlanda hanno parlato di un accordo migliore. Siamo ottimisti e ricerchiamo un accordo migliore per tutti i cittadini. L’Irlanda ha bisogno di un po’ di tempo e di spazio per riflettere e adoperarsi per trovare delle soluzioni. Ma senz’altro in Irlanda non manca una disposizione positiva nei confronti dell’Europa.
Chi avrebbe potuto prevedere nel 1945, quando l’Europa era coperta di macerie, che nel 2008 avremmo celebrato 50 anni di pace? Che questo ci sia d’ispirazione. L’Europa è una realtà in divenire – difficile da costruire, certo, ma per la quale vale sempre, sempre la pena di impegnarsi. Ecco perché oggi siamo qui. I cittadini europei vogliono un’Unione che funzioni; così come i cittadini irlandesi. Di questo sono convinta al 100 per cento. Non deludiamoli.
Johannes Voggenhuber (Verts/ALE). - (DE) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, il messaggio che ricevo dai governi è che si tratta di un problema irlandese. Quando parlo con i cittadini, invece, il messaggio che ricevo è che si tratta di un problema europeo e di un conflitto con l’Europa. I governi ci dicono che è un conflitto diplomatico. I cittadini ci dicono che è un affronto alla loro sovranità; si sentono esclusi e profondamente frustrati. I governi ci dicono che questo “no” è incomprensibile, ma quando ascolto i cittadini, mi dicono che è il Trattato e l’intero processo a essere incomprensibile. I governi ci dicono che devono occuparsi dei reali problemi in agenda. I cittadini sostengono che sono anni, ormai, che cercano di richiamare l’attenzione sui reali problemi in agenda; e permettetemi di dire al Presidente della Commissione che i cittadini non intendono certo forze armate, polizia e sicurezza interna, bensì responsabilità sociale e una risposta europea alla globalizzazione. Intendono più democrazia e trasparenza.
Signor Presidente in carica, anziché chiedere al governo irlandese che cosa abbia indotto questo voto negativo, i governi dovrebbero domandarsi di chi sia davvero la colpa. I governi hanno ignorato le scritte sui muri dopo il “no” in Francia e nei Paesi Bassi. Si sono forse impegnati realmente per la soluzione di questi problemi concreti? In fase di revisione del Trattato, hanno fornito un’autentica risposta alle aspettative deluse? Forse gli appelli francesi a un nuovo ordine sociale e a una maggiore responsabilità ed equità sociale non sono stati abbastanza vigorosi? Forse la richiesta di maggiore democrazia non era abbastanza chiara? E voi che cosa avete fatto? Vi siete limitati a rimaneggiare il Trattato, creando un’illeggibile accozzaglia di note, riferimenti incrociati e sottintesi, e ora vi domandate perché i cittadini lo rifiutino.
Quest’affronto alla sovranità implica un grosso rischio. Non si tratta solo di un affronto al popolo irlandese; esiste, infatti, il pericolo che questo senso di frustrazione si diffonda e che l’intera popolazione europea dica: l’Irlanda ha votato per noi! La responsabilità di tutto questo è dei governi! E’ arrivato il momento di agire.
(Il Presidente toglie la parola all’oratore)
Konrad Szymański (UEN). - (PL) Signor Presidente, questa discussione è estremamente tesa. Vorrei invitare ad avere prudenza, grande prudenza, nel rilasciare dichiarazioni in merito all’esito del referendum irlandese. Puntare il dito contro l’Irlanda o addirittura insinuare che debba essere esclusa dall’Unione arreca più danno all’UE del risultato stesso del referendum. Purtroppo, l’onorevole Schulz, nella sua consueta concitazione, ha di fatto insinuato proprio questo. Non dobbiamo dimenticare che l’atteggiamento paternalistico assunto da Bruxelles ha irritato gli irlandesi e ha costituito una delle ragioni per cui l’Irlanda ha votato contro il Trattato.
Non è vero che l’Europa soffrirà senza il nuovo Trattato. L’Europa patirà a causa degli interessi contrastanti e dell’egoismo degli Stati membri. Questo non ha nulla a che fare con l’Irlanda. La politica estera europea risentirà dell’atteggiamento della Germania, per esempio, la quale aspira a stabilire buone relazioni bilaterali con la Russia, a scapito dei paesi dell’Europa centrale. Anche la Francia è colpevole di aver chiuso un occhio sulla politica neo-imperialistica della Russia nella regione, riempiendosi, tuttavia, la bocca di clichè riguardo a come l’Europa, Polonia compresa, debba prendere il comando. Il Trattato non dev’essere utilizzato come copertura per le nostre mancanze. E nemmeno la decisione del popolo irlandese deve servire a questo scopo.
(Applausi)
Bairbre de Brún (GUE/NGL). – (GA) Signor Presidente, il popolo d’Irlanda si è pronunciato. Il voto che gli irlandesi hanno espresso lo scorso giovedì contro il Trattato di Lisbona non era un voto contro l’Europa. Il posto dell’Irlanda è all’interno dell’Unione. L’Irlanda – sia l’Irlanda del Nord che l’EIRE – ha ricavato benefici sociali ed economici dalla propria adesione, malgrado alcune difficoltà.
La questione era: il Trattato di Lisbona è vantaggioso per l’Irlanda, per il resto d’Europa o per il mondo in via di sviluppo? Il testo è stato sottoposto all’esame della popolazione irlandese ed è stato rifiutato. Pertanto, il Trattato di Lisbona è finito. I cittadini irlandesi, come quelli francesi e olandesi prima di loro, vogliono un accordo migliore.
Oggi abbiamo la possibilità di riaprire il dibattito sul futuro dell’Europa. Dobbiamo cogliere quest’occasione.
Sarebbe inaccettabile che i leader europei cercassero degli espedienti per aggirare la volontà democraticamente espressa dal popolo. Il processo di ratifica deve arrestarsi, come è successo dopo il rifiuto della Costituzione europea. Ma in questo frangente, dobbiamo ascoltare i cittadini irlandesi; dobbiamo ascoltare la popolazione. In Irlanda sono emersi molti dei timori già sollevati in precedenza in Francia e nei Paesi Bassi. E’ necessario prestare ascolto a questi timori e darvi risposta.
Nel corso della campagna referendaria in Irlanda, sono emerse ripetutamente alcune questioni chiave: deficit democratico, perdita di potere dell’Irlanda sulla scena europea, neutralità e non-militarizzazione, diritti dei lavoratori e servizi pubblici, nonché l’impatto del Trattato sui paesi in via di sviluppo. Queste problematiche devono essere affrontate.
La risposta al voto irlandese, sarà dunque una prova democratica per il progetto europeo: sarà in grado di ascoltare il popolo, ne rispetterà la volontà democratica, o alienerà i cittadini, ignorando tutto questo?
A mio avviso, la democrazia deve prevalere. Dobbiamo ascoltare quanto ci è stato detto dai cittadini irlandesi. Dobbiamo rifiutare qualsiasi illazione volta ad accantonarli per proseguire senza di loro, a isolarli o a incolparli. E’ necessario ascoltare con molta calma e attenzione quanto ci è stato detto dal popolo irlandese e i problemi che ha sollevato in materia di neutralità, militarizzazione dell’UE e democrazia; dobbiamo prestare ascolto alla voce dell’Irlanda e di altre piccole nazioni europee in merito ai diritti dei lavoratori, ai servizi pubblici e all’Europa sociale.
Dobbiamo porci in ascolto. Dobbiamo cogliere l’occasione, ora, di confrontarci con il governo irlandese, di ascoltare il popolo irlandese e trovare una via per proseguire ed elaborare un testo che possa soddisfare tutti in futuro.
Kathy Sinnott (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, sono due i sentimenti principali che hanno caratterizzato la campagna referendaria. Il primo era una diffusa sensazione che i cittadini venissero ulteriormente privati del potere decisionale, a favore di una burocrazia lontana. Il secondo, forse ancora più radicato, era una perdita di valori. Più precisamente, una mutazione di tali valori.
L’Irlanda, che si era gloriata dei propri valori cristiani, stava diventando una nazione materialistica. Da venerdì, le critiche contro il mio paese si sono sprecate. E’ come se vi sentiste insultati. Quello che è successo, di fatto, è che l’Irlanda ha pronunciato un deciso “No, grazie” al Trattato di Lisbona.
Se la risposta alla volontà democratica del popolo dev’essere indignazione, come ho sentito negli ultimi cinque giorni, allora c’è qualcosa che non va. Non fatevi trarre in inganno: l’Irlanda è europeista. Solo riteniamo, diversamente da voi, a quanto pare, che il progetto abbia perso la propria direzione. Ha perso di vista la cosa più essenziale – la democrazia – e dimenticato l’unico popolo che conta – i suoi cittadini.
Dunque, prima di cercare di aggirare la nostra decisione democratica, ponetevi due interrogativi. Primo: siete davvero convinti che questo Trattato supererebbe l’esame referendario negli altri 26 paesi? E secondo: minacciare un paese per il fatto di essere democratico è forse un atto di democrazia?
(Applausi)
Frank Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, più si va avanti e più i mandarini europei si comportano come politici autistici, completamente estraniati dal mondo reale, dai cittadini, di cui tuttavia continuano a proclamarsi rappresentanti. Ora sostengono che la piccola Irlanda non abbia il diritto di opporsi a un Trattato europeo, che potrebbe essere presto ratificato da 26 dei 27 Stati membri. Che arroganza! Dopotutto, solo l’Irlanda ha detto “no”, perché solo all’Irlanda è stata concessa la possibilità di dire “no”. Tutti noi sappiamo che il mostro di Lisbona, nato dall’abortita Costituzione europea come Frankenstein, verrebbe massicciamente rifiutato dall’elettorato di quasi tutti gli altri Stati membri, se a quegli elettori fosse data la possibilità di votare. In nome della democrazia, il risultato di un’elezione democratica viene denigrato e accantonato. Siamo lanciati verso uno Stato euro-nazista e totalitario.
Alojz Peterle (PPE-DE). - (SL) La decisione del popolo irlandese è stata democratica e pertanto la rispettiamo; non c’è alcun bisogno di sollecitare noi democratici a dimostrare rispetto. Su questo non ci sono dubbi. Tuttavia, a nostro avviso, non è sufficiente rispettare tale decisione, bisogna anche essere consapevoli delle conseguenze e comprendere, nel contesto irlandese ed europeo, come mai la maggioranza dell’elettorato di uno dei più affermati Stati membri dell’Unione si sia opposta a un Trattato che l’anno scorso era stato firmato dai capi di Stato – compreso quello irlandese – o di governo, nell’intento di fornire un’efficace risposta congiunta alle nuove, difficili sfide che ci si prospettano, siano esse legate all’ambiente, all’energia, all’immigrazione o alla sanità.
Concordo sul fatto che ci occorra del tempo per riflettere, tuttavia questo non può inficiare il proseguimento del processo di ratifica. La ratifica non richiede ulteriori riflessioni e il processo dev’essere portato avanti. Questo interessa non solo l’Irlanda e l’attuale Unione europea nel suo complesso, ma anche il futuro dell’Europa, che non è ancora del tutto unificata. A questo proposito mi congratulo con la Presidenza slovena per tutti i proficui sforzi di avvicinamento dei paesi dei Balcani occidentali, e soprattutto per gli accordi di stabilizzazione e di associazione con la Serbia e la Bosnia-Erzegovina. Dobbiamo accogliere con entusiasmo ogni passo avanti compiuto in quell’area nello spirito della prospettiva europea ed estirpare ogni elemento che possa generare conflitti; obiettivo reso possibile dalla dimensione europea. Pertanto, raccomando di perseverare.
Mi auguro che la vittoria delle forze europeiste in Macedonia sproni il Consiglio a decidere di avviare i negoziati con quel paese, che è già un candidato e che ha già fatto parecchia anticamera. Spero inoltre che il nuovo governo macedone, al quale è stato conferito un mandato forte, sappia mettere a frutto questa nuova fiducia in una politica che promuova gli sviluppi verso un’apertura dei negoziati.
Jo Leinen (PSE). - (DE) Signor Presidente, ciò che mi aspetto dal Consiglio europeo di domani è una seria autocritica: autocritica per l’assoluta mancanza di comunicazione e informazione al pubblico in merito a questo nuovo Trattato europeo. E’ davvero sconcertante che i governi negozino trattati e organizzino addirittura elaborate cerimonie di apposizione delle firme, per poi tornarsene nelle rispettive capitali e non prenderli più in considerazione. E’ questa una delle principali cause della rabbia che ci siamo trovati ad affrontare in passato e che riscontriamo oggi in Irlanda.
(Applausi)
Vorrei che alcune lezioni venissero imparate: il Consiglio deve abbandonare una volta per tutte la sua tattica ostruzionista e avviare, congiuntamente alla Commissione e al Parlamento, una campagna di comunicazione o una strategia di pubbliche relazioni che ci permetta di prendere veramente a bordo i cittadini in questo viaggio verso l’Europa, anziché lasciarli ai margini della strada. Al momento, le Istituzioni europee si stanno comportando come una coppia di genitori che mette al mondo un figlio per poi abbandonarlo per strada e non pensarci più. Tutto ciò è semplicemente inaccettabile. Ora dobbiamo affrontarne le conseguenze, il che significa elaborare una politica di comunicazione e informazione comune, che sia parte integrante del processo democratico. E’ questo il fondamento della democrazia. In questo modo, i cittadini comprenderanno la vera essenza dell’Europa, sentendosi anch’essi parte del progetto.
Sarò lieto di ascoltare i messaggi inviati dalla popolazione irlandese, ma quando l’onorevole Sinnott ci spiega, come ha fatto ieri, che la maggioranza degli elettori di una determinata cittadina ha votato contro il Trattato di Lisbona perché nella cittadina in questione è in costruzione un inceneritore ed esiste una normativa europea che promuove l’incenerimento dei rifiuti, allora mi domando cos’abbia a che fare tutto questo con il Trattato di Lisbona. Abbiamo avuto modo di ascoltare svariate argomentazioni di questo genere e siamo franchi: non tutte sono pertinenti, né meritano considerazione.
E’ necessario studiare una formula nuova per la ratifica dei Trattati europei. Ogni paese dev’essere libero di esprimere la propria opinione e mi auguro che questo pomeriggio, la Camera dei Lord ratifichi il Trattato, inviando un chiaro segnale che il processo continua.
Andrew Duff (ALDE). - (EN) Signor Presidente, questo pomeriggio il parlamento britannico a Westminster completerà il processo di ratifica del Trattato di Lisbona. Sarà rincuorante scorrere i giornali domattina e leggere che finalmente il Regno Unito ha detto “sì” all’Europa. Sarà di grande aiuto per il ripristino dell’autorità morale e della credibilità politica della Gran Bretagna e sosterrà gli irlandesi nella ricerca di un nuovo consenso, all’insegna di meno libertas e più veritas.
E’ curioso che l’onorevole Farage e le sue truppe di destra in quest’Aula preferiscano lasciare che sia un referendum tenuto in un paese straniero a decidere a nome e al posto del sovrano parlamento britannico. Ciò non fa che confermare la mia convinzione che il plebiscito sia una forma di democrazia probabilmente adatta a circostanze rivoluzionarie, ma del tutto inadeguata a decisioni informate e deliberanti sulla complessa revisione di un trattato. Per questo motivo, il Parlamento europeo deve assistere il Consiglio nel tener fede ai contenuti del Trattato di Lisbona.
Ian Hudghton (Verts/ALE). - (EN) Signor Presidente, il Trattato di Lisbona è morto. Senza l’unanimità, si tratta semplicemente di una questione giuridica. Gli elettori, non solo in Irlanda, ma anche in Francia e nei Paesi Bassi, hanno detto “no” al testo del Trattato o al suo gemello.
Per riconquistare la fiducia dei nostri cittadini, dobbiamo fare molto più che non rietichettare e rinominare il testo di Lisbona e cercare poi di procedere. Il nuovo Trattato era troppo facilmente ridicolizzabile e, al contempo, era troppo complesso e oscuro da spiegare, tanto che avrebbe messo in difficoltà i fautori del “sì” in qualsiasi paese si fosse tenuto un referendum.
Numerose modifiche proposte nel Trattato erano positive, addirittura necessarie, e tuttavia espresse con un linguaggio talmente oscuro e indecifrabile da risultare pressoché incomprensibile ai più.
Spetta agli altri otto Stati membri decidere se e come procedere nel processo di ratifica, tuttavia ritengo sarebbe utile se il Regno Unito, per esempio, decidesse di procedere per via referendaria, per consentirci di constatare se disponiamo davvero dell’avallo popolare rispetto a tale ratifica.
Mario Borghezio (UEN). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, se il referendum irlandese non ha alcuna importanza e conseguenza perché lo si è fatto? Perché si è voluto dare questa possibilità plebiscitaria come abbiamo sentito dire?
Grave quando in un Parlamento si nega la possibilità e l’importanza ai popoli di esprimere in piena libertà come hanno fatto gli irlandesi! Questo voto è semplicemente una bella pietra tombale, con tanto di croce celtica sopra, sulla prospettiva del Superstato europeo che non piace ai nostri popoli. Non piace la svendita della sovranità politica e anche monetaria.
Beh, è una prospettiva che apre alle migliori speranze per noi che crediamo fortemente, come il popolo irlandese, nell’Europa dei popoli e delle regioni. Per questo anche noi in Padania chiediamo il referendum, anche se ormai evidentemente sul piano giuridico il trattato è disconosciuto, è fermato. Si è fermato a questa procedura incredibile di far procedere l’approvazione di un trattato che riguarda il futuro dei nostri popoli a colpi di voto parlamentare, escludendo i popoli e i cittadini.
Per fortuna, c’è un popolo libero che ha nel DNA il senso della propria libertà. Forse è perché se l’è conquistata combattendo che ha questa forza. E allora è ora di dire il significato vero di questo voto che è un basta agli eurocrati di Bruxelles che vogliono costruire un Superstato lontano dall’interesse e dall’anima dei cittadini. Noi padani ci sentiamo oggi tutti irlandesi.
Vladimír Železný (IND/DEM). - (CS) Signor Presidente, a seguito del referendum irlandese, l’onorevole Schulz, presidente del gruppo socialista, si permette di redarguire noi, cittadini di piccoli Stati membri, in particolare Irlanda e Repubblica ceca, con la tipica arrogante superbia tedesca. A suo parere, laddove questi piccoli paesi blocchino il processo di riforma comune, si è legittimati a domandar loro se vogliono restare all’interno dell’Unione oppure no. Le posso assicurare, signor Presidente (e può comunicarlo anche all’onorevole Schulz), che ora che gli irlandesi hanno ucciso questo prodotto malato della Presidenza tedesca chiamato Trattato di Lisbona, i cechi saranno ben lieti di seppellirlo, pur rimanendo uno Stato membro. Lo seppelliranno perché contiene la Carta, dunque, per la prima volta in 60 anni, riaprirebbe nel nostro paese la questione della restituzione dei Sudeti, spianando la strada a una revisione del giusto esito della Seconda guerra mondiale, piuttosto che dei cosiddetti decreti Beneš. Lo seppelliranno anche perché priverebbe i piccoli Stati membri del diritto di veto, aumentando, nel contempo, il potere di voto della Germania da 9 a 18 voti. L’onorevole Schulz farebbe meglio a domandarsi come sarebbe andata, se il Trattato di Lisbona fosse stato sottoposto alla prova referendaria in Germania. Le mie congratulazioni agli irlandesi e a tutti noi.
Jana Bobošíková (NI). - (CS) Onorevoli colleghi, ammettere che il Trattato di Lisbona è morto e che rappresentava soltanto un vicolo cieco è l’unica soluzione democratica e onesta. Domani, i capi di Stato dovranno finalmente riconoscere che la politica nelle democrazie non si decide pasteggiando a foie-gras in sale climatizzate, e smetterla di cercare di gestire la vita degli altri da Bruxelles. Il referendum irlandese ha dimostrato chiaramente che il popolo non è disposto a subire le decisioni imposte dall’alto, tanto meno l’arroganza dell’élite dei potenti dell’Unione. Il Consiglio deve rendere il processo decisionale accessibile al pubblico e smetterla di ingannare i cittadini. Non siamo capaci di imparare dalla nostra storia? Dopo i sanguinosi eventi che hanno segnato il Novecento, davvero l’élite politica vuole che i paesi più grandi assumano di nuovo le decisioni a nome di quelli più piccoli? Non è bastato ad alcuni Primi Ministri e Presidenti aver trascorso gran parte della propria vita in un regime totalitario?
Onorevoli colleghi, domani il Consiglio dovrà rispolverare le nozioni di base: perché è stata creata l’Unione e sulla base di quali valori. Dovrà attenersi alle normative e ai regolamenti e dichiarare senza indugio che proseguire nel processo di ratifica dell’ormai defunto Trattato di Lisbona costituisce un esercizio del tutto sterile.
Avril Doyle (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, se si aspetta che io possa far luce sulle motivazioni del voto irlandese riguardo al Trattato di Lisbona, ha riposto male le sue aspettative: non sono in grado di farlo. Ma sebbene profondamente amareggiata dal risultato, sono certa di una cosa: dobbiamo accettarlo, in quanto espressione democratica della volontà del popolo e come tale dobbiamo rispettarlo.
Che sorpresa voltarmi oggi e vedere un variegato stuolo di colleghi britannici di estrema destra, compresi l’onorevole Jim Allister e anche qualche galeotto inglese, che sfoggiano una maglia verde e reclamano rispetto per il voto irlandese.
(Proteste da alcuni membri del gruppo IND/DEM)
I libri di storia sarebbero stati scritti diversamente se i colleghi britannici avessero sempre mostrato questo rispetto per il voto irlandese! Le cose sarebbero state ben diverse! Quante vite sarebbero state risparmiate! Apprezzo questa dimostrazione di rispetto – sebbene molto tardiva. Tutti noi dobbiamo rispettare il voto irlandese.
(Proteste in sottofondo)
Ha avuto modo di esercitarsi a lungo dietro le sbarre; forse ora potrebbe fare silenzio per un attimo...
(Applausi)
Durante la campagna referendaria, una delle parlamentari irlandesi in quest’Assemblea, che è già intervenuta questa mattina, distribuiva volantini su cui era raffigurata una siringa. Forse quella stessa deputata potrebbe spiegare a questo Parlamento in che modo il Trattato di Lisbona promuove l’eutanasia, l’aborto, la prostituzione, la pressione fiscale sulle imprese; dove risiede il rischio per la neutralità irlandese? Mi aspetto la verità.
Il governo irlandese deve analizzare l’esito referendario con calma e stabilire con esattezza quali contenuti del testo del Trattato sono stati rigettati dal nostro elettorato; quindi dovrà fornire risposte accettabili non solo ai fautori del “no” in Irlanda, ma anche ai governi di tutti gli altri Stati membri e ai loro cittadini, i quali, a mio avviso, hanno il diritto di pronunciarsi ed esprimere la propria opinione. Anche a loro dobbiamo rispetto.
E’ necessaria una risposta ponderata ai sinceri timori dell’elettorato irlandese, ma non dobbiamo dare soddisfazione agli estremisti. Quando si saranno calmate le acque, spero che i miei colleghi concorderanno che un’Europa a due velocità non rappresenta certo una risposta, piuttosto l’inizio della fine della nostra Unione, ovvero del progetto di pace democratica meglio riuscito dei nostri tempi.
E’ sempre stato più facile infondere paura che speranza. Come disse una volta il famoso politico irlandese, esponente del nostro partito, James Dillon: “Non c’è verso che la verità regga il confronto con una bugia ben detta e ripetuta quanto basta”. E infatti così non è stato. Non siamo riusciti a distinguere la realtà dalla finzione, nella mente di un numero sufficiente di elettori, malgrado di valorosi sforzi del nostro responsabile per il referendum nazionale, Gay Mitchell, e dei miei colleghi. Spetta ora al nostro nuovo Taoiseach, il cui mandato ha conosciuto un inizio di cattivo auspicio, trovare una soluzione.
(Applausi)
Richard Corbett (PSE). - (EN) Signor Presidente, in effetti non possiamo limitarci ad ascoltare l’esito del voto irlandese, dobbiamo riflettere ed elaborarlo. Tuttavia, come è già stato detto, dobbiamo anche prestare ascolto agli altri 26 paesi, ai loro risultati e a qualsiasi timore possa essere espresso nel corso del loro processo di ratifica. Dopodiché, dovremo dimostrarci all’altezza dell’enorme sforzo volto a colmare il divario.
Se dovessimo ottenere 26 ratifiche a fronte di un solo rifiuto, non sarebbe irragionevole né antidemocratico chiedere all’unico paese che ha espresso un voto contrario di considerare la possibilità di modificare il pacchetto di riforme, rivederlo, spiegarlo meglio e magari cercare un nuovo compromesso, anziché bloccare l’intero processo di riforma. Non c’è nulla di irragionevole o antidemocratico in questo. Dopotutto, perfino alcuni fautori del “no” in Irlanda hanno riconosciuto che il loro reale intento era quello di rinegoziare il Trattato e cercare un accordo migliore.
Alcune persone – come confermato da fazioni di questo Parlamento – vogliono prestare ascolto unicamente alla risposta che più li aggrada, ovvero la risposta “no”. Io desidero ascoltare entrambe le tesi e cercare quindi una soluzione che sia accettabile per tutti i 27 paesi. E’ questa la sfida che dovremo essere all’altezza di raccogliere.
Marielle De Sarnez (ALDE). - (FR) Signor Presidente, è ovvio che il “no” espresso da un popolo in merito al futuro dell’Europa non è mai un evento di secondaria importanza e, come tale, non può e non deve essere ignorato. Al contrario, dobbiamo prendere atto di questo “no” e cercare di rispondervi.
A mio avviso, sono due le questioni che dobbiamo affrontare. La prima riguarda la democrazia. I cittadini si aspettano dall’Europa leggibilità, visibilità, comprensione, spiegazioni, insegnamento e sostegno. Tale aspetto riguarda tutti, non solo i governi nazionali, anche le Istituzioni europee, soprattutto la Commissione e il Consiglio. E questa è una prima questione.
La seconda riguarda il senso stesso dell’Europa, la sua anima, come diceva poc’anzi l’onorevole Schulz, la sua ragion d’essere. Perché abbiamo costruito l’Europa? Non si può certo ridurre tutto a una mera questione di mercato. Non abbiamo costruito l’Europa per la sola competitività; siamo uniti da valori comuni, da un progetto di società, da un modello di società economico, sociale, sostenibile, umano, un modello che merita di essere assunto, promosso e difeso. Ecco cosa si aspettano i nostri concittadini.
Dal Trattato di Roma, il mondo è cambiato moltissimo. Dobbiamo ripensare, rifondare il progetto europeo perché risponda alle crisi che ci troviamo ad affrontare ora – crisi finanziaria, dei prodotti alimentari, dell’energia – ma anche alle considerevoli sfide che ci si prospettano dinanzi. Come creare, come concepire una crescita futura qualitativamente migliore, più durevole e più equa? Come ridurre le disuguaglianze? Come raggiungere un nuovo equilibrio globale? Come ripensare la questione dei paesi in via di sviluppo e, più nello specifico, la loro autosufficienza?
Questo è l’insieme di domande a cui dobbiamo trovare una risposta. Oggi più che mai l’Europa deve tornare a fare politica.
Mogens Camre (UEN). – (DA) Signor Presidente, ecco cosa ha scritto un illustre e popolare uomo d’affari danese sul quotidiano Berlingske Tidende di ieri: “Gli europei sono pienamente a favore della cooperazione politica internazionale e della responsabilità globale. Quando i cittadini dell’UE dichiarano il loro appoggio alla democrazia su scala nazionale, sostengono ovviamente anche la democrazia a livello europeo, il che costituisce precisamente ciò che al momento non stanno ottenendo”. Ci sono state date ripetute assicurazioni che il Trattato di Lisbona non sarebbe potuto entrare in vigore se anche uno solo degli Stati membri l’avesse rifiutato, eppure che cosa ha scritto Hans-Gert Pöttering nella sua dichiarazione del 13 giugno?
(DE) “Il no al Trattato da parte di uno Stato membro non può significare che i processi di ratifica già completati in 18 Stati UE siano invalidi.”
(DA) Ai tempi dell’assolutismo, i re e gli imperatori si incontravano per concordare fra loro la spartizione del potere. Ebbene, quei tempi sono tornati. Il principe Pöttering, l’imperatore Barroso e i sovrani dei loro Stati vassalli hanno deciso che i cittadini d’Europa non contano. A ventisei paesi non è stato concesso di votare e l’unico che ha potuto esprimere un voto, l’Irlanda, ha scoperto che quel voto non vale nulla. L’Unione non rispecchia più il mandato popolare.
Hanne Dahl (IND/DEM). – (DA) Signor Presidente, venerdì scorso, gli irlandesi hanno votato contro il Trattato di Lisbona, un mero duplicato della Costituzione alla quale Francia e Paesi Bassi avevano già detto “no”. Ciononostante, il Presidente della Commissione sostiene che il processo di ratifica debba continuare. Ci è stato detto che lo scetticismo di un paese non può frenare lo sviluppo. Si vuol far credere che ci sia un attrito con il popolo irlandese, ma non è così. La distanza non è fra il popolo irlandese e l’Europa, bensì fra il popolo e i capi di Stato o di governo dell’Europa. La distanza non è tra alcuni paesi europei e il resto d’Europa. Francia, Paesi Bassi e Irlanda non vogliono frenare lo sviluppo, semplicemente auspicano uno sviluppo di diverso genere. Perché è così difficile da capire? Quanto all’onorevole Schulz, vorrei dirgli: “Vergogna”. Lei paragona quelli che definisce “antieuropeisti” ai fascisti, ma è proprio la sua retorica a essere fascista. Ha detto che gli antieuropeisti hanno fatto su e giù per le scale, facendo propaganda a destra e a manca. Non occorre molta consapevolezza storica per ricordare ciò che si diceva della popolazione di colore nel secolo scorso. E’ scandaloso! Vergogna!
Andreas Mölzer (NI). - (DE) Signor Presidente, il popolo irlandese ha detto “no” al Trattato e per tutta risposta, i grandi dell’UE hanno inferocito l’intera Irlanda convocando il Taoiseach al Consiglio europeo, perché rendesse conto della “cattiva condotta” dei suoi concittadini. Tutto ciò è infantile e indegno della visione europea dei padri fondatori. Atteggiamento ancora più miope è pretendere l’esclusione dell’Irlanda o cercare di far accettare il Trattato. Ripetere il voto fino a ottenere il risultato auspicato infliggerà un danno irreparabile all’immagine dell’Europa.
Abbiamo tenuto 290 referendum in Europa dal 1990, nessuno dei quali, tuttavia, riguardava questioni di fondamentale importanza come l’adesione della Turchia o l’introduzione dell’euro e ora non veniamo interpellati nemmeno su un testo tanto rilevante quanto il Trattato di Lisbona. Il concetto di democrazia promosso da Bruxelles – in cui i cittadini sono semplicemente tenuti ad avallare le decisioni dell’UE o a votare a favore dei partiti approvati dall’Unione – rievoca fortemente l’Unione Sovietica. Anziché risentirsi, l’UE dovrebbe accettare il “no” irlandese per ciò che rappresenta: l’opportunità di imboccare una nuova direzione, verso politiche orientate al popolo e ai cittadini d’Europa.
Elmar Brok (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, come cortesemente sottolineato dall’onorevole Martin Schulz, sono molti i capi di governo che appartengono al gruppo PPE-DE, e questo perché il PPE-DE è più vicino ai cittadini e, di conseguenza, vince più elezioni. Ciononostante, il punto cruciale è che una serie di indicatori ci esortano a trovare un equilibrio fra politica economica razionale e politica sociale.
Rispetto appieno l’esito del referendum irlandese. Ciò che non rispetto, invece, sono le campagne menzognere condotte da alcuni esponenti di sinistra e di destra, allo scopo di depistare la popolazione e indurla a opporsi a quest’Europa unificata: un’Europa unificata che rappresenta la realtà più riuscita nella storia di questo continente, una realtà di pace, libertà e prosperità.
(Applausi)
E’ necessario riconoscere che quest’Europa è particolarmente vantaggiosa per le piccole nazioni: siedono al tavolo con noi, reggono seggi all’interno di questo Parlamento e nulla può essere deciso in Europa senza il loro consenso, mentre in passato, le grandi nazioni potevano bistrattarle liberamente. La differenza è questa: nella nostra Europa, tutte le nazioni sono uguali ed è esattamente questo che lei, onorevole Farage, sta cercando di distruggere, con le sue nozioni da imperialismo britannico!
Abbiamo bisogno di questo Trattato perché il processo di allargamento funzioni in maniera efficace e perché si possa pervenire a una maggiore democrazia, colmando il deficit democratico e rafforzando i parlamenti nazionali. Abbiamo bisogno di questo Trattato per tutelare la clausola di sussidiarietà e per essere in grado di gestire le sfide del futuro, dalla crisi energetica al crimine organizzato, acquisendo le capacità necessarie per rispondere al rincaro dei beni alimentari e del petrolio e ad altre problematiche del genere. Tutto questo andrà distrutto se non ci dotiamo degli strumenti offerti dal Trattato di Lisbona, soprattutto in materia di diritti sociali e, più specificatamente, della Carta dei diritti fondamentali, nonché della “clausola sociale”, in virtù della quale si stabilisce che le tematiche sociali vengano prese in considerazione nel definire e nell’attuare qualsiasi politica.
Ventisei Stati membri possono ora ratificare il Trattato e ognuno di loro si è impegnato a farlo. E’ stato il Regno Unito a insegnarmi che in una democrazia rappresentativa, il Parlamento può pronunciarsi in nome del popolo e non permetterò all’UKIP di distruggere quello che ho imparato dal Regno Unito. Questi 26 Stati membri sono liberi di ratificare il Trattato per via parlamentare, e laddove tale processo giunga a una positiva conclusione, il popolo irlandese potrà rivedere la propria posizione. Ci aspettiamo che vengano avanzate proposte dall’Irlanda, volte a preservare la coesione della nostra Unione a 27, poiché io non voglio vedere un’Europa divisa, tanto meno un “nocciolo duro” europeo. Voglio un’Europa che si confermi un’unione di pari, con 27 paesi. Per questo motivo, sono a favore del Trattato di Lisbona.
Proinsias De Rossa (PSE). - (EN) Signor Presidente, io sono meno diplomatico di molti miei colleghi in quest’Aula. Il fatto è che, nel referendum irlandese, la verità è stata sconfitta dalle menzogne, pure e semplici menzogne, e dalle statistiche.
Il Trattato di Lisbona non è morto. Tuttavia, la scelta operata in Irlanda rappresenta la decisione sovrana del popolo irlandese. Solo i cittadini irlandesi possono modificare quella decisione sul Trattato.
Se questo accadrà o meno, dipenderà dalle discussioni che avranno inizio domani, fra il governo irlandese e gli altri 26 capi di Stato. Non abbiamo la bacchetta magica. Occorrerà del tempo per giungere a una conclusione.
Propongo una nuova scadenza per la ratifica di Lisbona. Trovo che fissarla prima delle elezioni europee sia un obiettivo ragionevole.
Se i cittadini irlandesi continueranno a non essere soddisfatti del Trattato in qualsiasi forma esso venga infine concordato tra noi e il resto d’Europa, allora l’Irlanda non avrà altra scelta che rinegoziare il proprio legame con l’Unione.
Quest’eventualità sarebbe disastrosa per il nostro paese. L’Europa ha ben poco da perdere perdendo l’Irlanda, ma l’Irlanda ha tutto da perdere se perde l’Europa.
Le problematiche globali che ci riguardano tutti, in questo mondo in costante mutamento e interconnesso, sono chiare: cambiamento climatico e demografico, migrazione e crisi energetica, fame e povertà che uccidono milioni di persone, insicurezza umana, crimine internazionale, il tutto aggravato da una crisi identitaria che interessa sostanzialmente tutti gli Stati dell’Unione. Nessuno Stato membro può pensare di risolvere tutto ciò abbassando le saracinesche e sperando che il problema svanisca.
Per concludere, mi permetto di invitare l’Europa a dar prova concreta di saper garantire condizioni di vita e di lavoro decenti. Questo rafforzerebbe la nostra unità e la nostra solidarietà, producendo una soluzione positiva alla crisi attuale.
(Applausi)
Gunnar Hökmark (PPE-DE). - (SV) Signor Presidente, vorrei invitarla a riflettere su un aspetto: se gli irlandesi avessero votato “sì”, qualcuno qui ritiene che su queste magliette verdi si sarebbe letto “Rispettate il voto irlandese”? La verità è che esse non rispettano gli irlandesi, né la democrazia. Rispettano soltanto un “no” e questo è alquanto bizzarro.
All’epoca dell’adesione della Svezia all’Unione europea, gli Stati membri erano 12. Parliamo del 1995. Oggi abbiamo 27 Stati membri. Un cambiamento importante e ritengo sia ben poco contestabile che l’Europa sia diventata di gran lunga migliore grazie a questo allargamento e a questo ampio sviluppo. Oggi, mentre discutiamo del referendum irlandese, possiamo affermare che coloro che ribadivano costantemente il proprio “no” avevano torto, mentre noi che peroravamo un futuro sviluppo dell’Unione europea avevamo ragione.
Dunque, procediamo con lo stesso approccio che ci ha consentito di perseguire simili obiettivi: con persistenza, lungimiranza, democrazia e rispetto per ogni Stato membro. Procediamo con un democratico processo di ratifica in ogni Stato dell’Unione, ma rispettiamo anche la decisione di ciascuno Stato, senza dimenticare la persistenza. Dobbiamo progredire nel mercato energetico, nel mercato interno e nelle modalità per ottenere risultati migliori in tutti i campi, ma dobbiamo anche comprendere che il Trattato di Nizza non è sufficiente, se vogliamo procedere con lo stesso sviluppo e le stesse prospettive che ci hanno permesso di ottenere così tanto. Allora procediamo, incarniamo l’Europa che dice “sì”. Ricordiamoci che i fautori del “no” non hanno ottenuto nulla in Europa.
(Applausi)
Borut Pahor (PSE). - (SL) Il dibattito non è nuovo. Affrontammo già una discussione simile quando gli elettori francesi e olandesi rifiutarono il Trattato costituzionale e in quel frangente, la Commissione e il Consiglio ci assicurarono che il processo di ratifica sarebbe continuato, salvo cedere entrambi, in seguito, insieme al nostro Parlamento, alla tentazione di arrestare quel processo di ratifica.
Oggi, malgrado il rispetto che portiamo alla decisione degli elettori irlandesi, vorrei schierarmi a favore della prosecuzione del processo di ratifica fino alla sua conclusione. Ritengo che in tal modo sarà più facile trovare soluzioni per accettare il Trattato di Lisbona, piuttosto che cedere di nuovo alla tentazione e bloccare il processo a causa di un solo referendum.
In secondo luogo, una cosa dev’essere assolutamente chiara a tutti noi: esiste un divario enorme nella percezione dell’importanza dell’Unione presso l’élite politica nazionale, l’UE stessa e la maggioranza dei nostri cittadini. In questa sede, dobbiamo domandarci se il Parlamento, il Consiglio e la Commissione europea possono fare di più per colmare questo divario comunicazionale e far sì che l’idea europea torni a ispirare le nostre popolazioni.
Nell’accogliere le indicazioni della Presidenza slovena per il Consiglio di domani, vorrei proporre un’ulteriore voce all’ordine del giorno: la discussione in merito a una nuova strategia di comunicazione per il dialogo tra i cittadini e l’Unione europea – non solo nell’ottica della ratifica del Trattato di Lisbona, ma anche in altri ambiti.
(Applausi)
Íñigo Méndez de Vigo (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, oggi si è parlato molto di rispetto in quest’Aula e non c’è alcun dubbio che si debba rispettare il risultato del referendum irlandese, in occasione del quale alcuni cittadini hanno votato “sì” e alcuni hanno votato “no”.
Concorderete tutti, credo, che anche gli altri paesi meritano rispetto, pertanto la ratifica deve proseguire. Ma oggi vorrei parlare di rispetto per la democrazia e affermare con chiarezza che l’approvazione popolare ha il medesimo valore dell’approvazione parlamentare; esattamente lo stesso. Non dimentichiamo la prima “r”, quella di “rispetto”.
La seconda “r” sta per “riflessione”. Dobbiamo esaminare le ragioni che hanno condotto al “no” in Irlanda e sforzarci di spiegare perché il Trattato di Lisbona è meglio degli attuali Trattati, avvalorando le nostre argomentazioni con fatti e cifre.
Dobbiamo far capire alla gente che – proprio come il cavallo irlandese vincitore dell’Epsom Derby di pochi giorni fa, New Approach – il Trattato di Lisbona costituisce un “nuovo approccio” di cui l’Europa ha bisogno per offrire un valore aggiunto alla propria popolazione.
Dopo la riflessione, viene la terza “r”: “risoluzione”. Dobbiamo trovare una soluzione e permettetemi di essere assolutamente franco in proposito: alcuni fautori del “no” hanno utilizzato un’argomentazione letale e ignobile: “Votate no e, in seguito, rinegozieremo il Trattato di Lisbona in modo che sia più vantaggioso per l’Irlanda”.
Desidero ribadire con forza in questa sede che l’Europa è una comunità di diritti, retta dalla sovrana volontà del popolo, pertanto le decisioni devono essere rispettate. All’interno del Parlamento europeo, abbiamo affermato chiaramente che il Trattato di Lisbona non verrà rinegoziato: gli europei, così come questa Assemblea, ritengono si tratti di un punto essenziale per il progresso dell’Europa. Chi di noi è a favore del Trattato desidera costruire su ciò che abbiamo.
La domanda che mi pongo è: che alternativa avanzano i fautori del “no? Vorrei che me lo spiegassero.
Bernard Poignant (PSE). - (FR) Signor Presidente, siamo al 18 giugno e, in quanto cittadino francese, sono profondamente colpito dall’appello di Londra: resistere, continuare, perseverare e non arrendersi mai. La parola “veto” è molto simile alla parola “voto”, ma non è possibile imporre un veto agli altri Stati, dunque bisogna proseguire. Detto questo, è il sesto “no” su nove referendum tenuti dopo il crollo del muro di Berlino; il che fa riflettere.
Si dice che l’Europa non sia abbastanza improntata sul sociale e che mai lo sarà. Che non sia abbastanza democratica; che rimarrà imperfetta. Che sia troppo burocratizzata; ci saranno sempre tecnici che verranno chiamati tecnocrati. Io ritengo che stia attraversando una terribile crisi identitaria. Tutto era più semplice in passato. Oggi è un po’ disorientata, fatica a riconoscere il proprio significato, la propria storia, il proprio destino; è a questo disagio che dobbiamo trovare una risposta. Per farlo, ci occorre grande leadership e, sotto questo punto di vista, siamo un po’ come degli orfani.
(Applausi)
Stefano Zappalà (PPE-DE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, per la verità mi pare che il Consiglio che si riunisce domani, il Consiglio europeo – l’ha detto prima il Presidente in carica, l’ha detto il Presidente Barroso – ha una serie di argomenti all’ordine del giorno e non soltanto il risultato del referendum in Irlanda.
Però è ovvio che questo argomento ha occupato quasi tutto il dibattito di questa mattina. E’ un fatto rilevante. Sono state dette e analizzate varie motivazioni per le quali i cittadini irlandesi hanno dato questa risposta, per la verità con un piccolo scarto rispetto ai sì.
Io credo che, tra le tante cose che sono state dette, bisogna in maniera concreta affrontare il tema sul perché di alcune risposte, queste irlandesi appunto, e poi su come procedere. Un esame concreto – ripeto sono state dette tante cose – credo che vada visto nel fatto che i cittadini europei non hanno informazioni. E’ colpa un po’ di tutti, è colpa un po’ nostra, colpa dei governi. In generale è stato detto – io concordo – che quando ci sono effetti positivi i meriti sono dei governi, quando ci sono effetti negativi o effetti criticabili la colpa è sempre dell’Europa. In effetti è proprio così.
Nessuno impone a nessuno però, signor Presidente, Presidente del Consiglio, Commissione, nessuno impone a nessuno di restare per forza in Europa. Bisogna rispettare, dal mio punto di vista, il risultato del referendum irlandese. Bisogna però rispettare anche la volontà di altri 26 Stati membri, a questo momento 18, fra non molto 26. Io credo che nessuno può essere costretto in un modo o in un altro a stare in una gabbia che non gli conviene. L’Europa deve andare avanti, l’Europa non si può fermare.
Domani, dal mio punto di vista – e concludo Presidente – il Consiglio europeo deve decidere in maniera netta una nuova strategia – e i capi di Stato e di governo possono farlo – una nuova strategia che chi ci vuole stare ci sta ma l’Europa deve progredire nell’interesse generale.
Gary Titley (PSE). - (EN) Signor Presidente, suppongo che l’ossessione del leader dell’UK Independence Party per i truffatori derivi dall’intimo legame del suo partito con la frode e gli impostori.
Per tornare al principale argomento di discussione: è chiaro che il Trattato di Lisbona non possa entrare in vigore il 1° gennaio come auspicato. Dovremo aspettare che il governo irlandese ci dica come ritiene che dovremmo procedere. Nel frattempo, però, altri Stati dovranno esercitare il loro diritto sovrano alla ratifica di questo Trattato. Lo Stato membro a cui appartengo concluderà il processo di ratifica quest’oggi, conformemente alla sua antica e rispettata tradizione parlamentare.
Intanto, la globalizzazione avanza rapidamente, con tutto il bagaglio di insicurezze che genera e che abbiamo visto manifestarsi nel referendum irlandese. L’UE è un processo politico ideato per affrontare queste problematiche, pertanto è questo che dovremmo impegnarci a fare: concentrarci sugli obiettivi del Millennio, sul cambiamento climatico, sulla migrazione. Quali azioni intraprendere? E’ per trovare una risposta a questo interrogativo che eviterò di eccedere nell’introspezione istituzionale fine a se stessa, per elaborare le misure adatte a migliorare le sorti dei nostri cittadini.
Tuttavia, ho una domanda da rivolgere alla Presidenza slovena: potreste spiegarmi quali sono le implicazioni del voto irlandese sull’adesione della Croazia all’Unione europea?
Jerzy Buzek (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, stiamo discutendo della preparazione del Consiglio europeo. Suppongo, ovviamente, che tutti i deputati intervenuti esprimano le ragioni di gruppi più o meno nutriti di europei. Tuttavia, è bene ricordare che se questo dibattito avesse avuto luogo mercoledì della scorsa settimana, sarebbe stato molto diverso. Di certo non avremmo discusso il problema del Trattato di Lisbona. Avremmo affrontato, invece, le difficoltà quotidiane della popolazione europea.
Nelle circostanze attuali, i cittadini dell’Unione europea non sono particolarmente preoccupati dal rifiuto del Trattato da parte dell’elettorato irlandese. Sono molto più angosciati dal prezzo della benzina alla stazione di servizio e dai vari problemi che emergono ogni giorno. Sarebbe sbagliato per la nostra discussione di oggi e per l’esito del summit, concentrarci unicamente sul Trattato di Lisbona.
Dobbiamo renderci conto che, in quanto politici, siamo attualmente chiamati ad affrontare due importanti questioni. Innanzi tutto, come rispondere alle aspettative quotidiane dei nostri cittadini e in secondo luogo, il Trattato di Lisbona e la sua attuazione. La seconda questione determinerà la nostra futura capacità di affrontare le preoccupazioni del popolo europeo. Pertanto, è necessario sforzarci di separare queste problematiche, discutendo non solo del Trattato di Lisbona, ma anche di questioni che interessano attualmente i nostri cittadini.
Dobbiamo spiegare ai cittadini per quale motivo l’adozione e l’attuazione del Trattato li agevolerà nella risoluzione dei loro problemi quotidiani. Dobbiamo spiegare perché le soluzioni istituzionali che avanziamo sono vantaggiose per l’Unione europea. Le disposizioni proposte si tradurranno in maggiore solidarietà e interessamento reciproco, oltre a un maggior rispetto per i valori di ogni singolo paese.
Jan Andersson (PSE). - (SV) Concordo pienamente nel dire che ogni Stato membro ha diritto a esprimere la propria opinione. Si tratta di un diritto democratico. Sono anche dell’avviso che, per molti aspetti, il Trattato di Lisbona sia migliore di quello attuale, per le prospettive di allargamento continuato e per la sua maggiore apertura, ma anche per i diritti che conferisce ai lavoratori.
In occasione della mia visita in Irlanda e dell’incontro che ho avuto con i rappresentanti sindacali durante la campagna, ho riscontrato una giustificata apprensione in merito all’attuale squilibrio nel rapporto tra il mercato e i diritti sociali. Anche in Irlanda si faceva riferimento alle sentenze della Corte europea di giustizia nei casi Laval e Rüffert. Le due ripercussioni più gravi sono che, innanzi tutto, a seguito delle sentenze, non vige più la parità di trattamento. Chi proviene da Stati membri con livelli di retribuzione più bassi deve accontentarsi dello stipendio minimo e non può aspirare a una paga equa. In secondo luogo, sono state poste restrizioni del tutto inaccettabili al diritto di sciopero.
Il Consiglio e la Commissione devono farsi carico di queste problematiche. E’ una questione di equilibrio tra Europa sociale e Europa di mercato. Se non ristabiliamo quest’equilibrio, i cittadini volteranno le spalle all’UE. Abbiamo tutti una corresponsabilità, tutte e tre le Istituzioni, e dobbiamo agire rapidamente.
Tunne Kelam (PPE-DE). - (ET) Signor Presidente, nessuno mette in dubbio il rispetto dovuto agli elettori irlandesi, ma dobbiamo mostrare altrettanto rispetto per le decisioni assunte da 18 parlamenti nazionali democraticamente eletti; non solo, anche per i restanti otto Stati membri che devono essere lasciati liberi di decidere in merito al Trattato di riforma. Con tutto il dovuto rispetto per il voto irlandese, l’UE dei 27 non può essere ostaggio politico dello sparuto numero di oppositori del Trattato di Lisbona. Non c’è alternativa alla riforma dell’Unione. Certo, l’Europa si può fermare, ma il mondo attorno a noi non si bloccherà per noi, e la vittima più grave di questo voto sarà la solidarietà europea: la nostra politica estera e di sicurezza comune, nonché la solidarietà energetica.
Esiste poi una questione etica da dirimere. Questo referendum costituisce un’esortazione ad assumere un impegno credibile verso i nostri valori principali. I nostri cittadini potranno anche non diventare mai pienamente informati sui dettagli dei Trattati, ma saranno sempre in grado di distinguere fra l’integrità e l’impegno concreto, da un lato, e le mezze verità e la Realpolitik, dall’altro. Anziché vivacchiare tra un’elezione nazionale e l’altra, anziché crogiolarci nella democrazia di consumo, tesa unicamente ad ottenere sempre più denaro dall’Europa, ci occorrono leader in grado di rivolgersi ai nostri cittadini dicendo: “Innanzi tutto, che cosa potete fare voi per l’Europa?” E credetemi, con dei leader del genere, troveremo cittadini disposti a sostenerci.
Libor Rouček (PSE). - (CS) Onorevoli colleghi, sei mesi fa, 27 capi di Stato o di governo si sono impegnati a ratificare il Trattato di riforma, apponendo la loro firma al documento. Desidero che questo venga ricordato al cospetto del Consiglio europeo, al Vertice di giovedì. Soprattutto, desidero che venga ricordato al Primo Ministro ceco, Mirek Topolánek, il dovere di procedere con la ratifica. Egli, al pari del Presidente ceco, sostiene che il Trattato di Lisbona sia morto e che non abbia più senso continuare nel processo di ratifica. Vorrei fare appello, in particolare, ai Primi Ministri che appartengono al gruppo del Partito popolare europeo, affinché ricordino al Primo Ministro ceco il suo dovere e la responsabilità a cui è chiamato un paese che sta per assumere la Presidenza. Poiché, infatti, la Repubblica ceca assumerà la Presidenza dell’Unione il 1° gennaio 2009, il capitolo conclusivo del processo di ratifica, la soluzione dell’intero problema del Trattato di Lisbona, poggerà esattamente sulle spalle del nostro paese. Ribadisco il mio auspicio che il Partito popolare europeo richiami il Primo Ministro ceco al proprio dovere.
Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE). - (RO) Il Consiglio europeo che stiamo preparando oggi sarà decisivo per il futuro dell’Europa. Uno dei paesi europei più prosperi, nonché un esempio di successo economico derivante dall’attuazione delle procedure di integrazione europee, ha detto “no” al Trattato di Lisbona. Al contempo, 18 paesi europei hanno adottato questo documento, molti di loro sono gli stessi 18 paesi che si erano pronunciati a favore anche del Trattato costituzionale europeo.
Sono rammaricata del risultato del referendum in Irlanda quanto molti degli oratori che mi hanno preceduta. Ciononostante, l’Unione europea deve portare avanti le riforme che le sono necessarie. Un’Europa a diverse velocità, come preconizzato da svariate procedure sin dal Trattato di Amsterdam, e con opzioni di esclusione ben definite, è l’unico modello che ci possa permettere di procedere in questo momento. L’opportunità di evolvere, concessa a suo tempo all’Irlanda, dev’essere offerta anche ai paesi che hanno aderito di recente all’UE, come la Romania. Di questi tempi, dobbiamo ricordare i valori che ci uniscono e ci forniscono una ragione per proseguire, e fare quadrato attorno ad essi.
Nel suo famoso discorso in favore degli Stati Uniti d’Europa, Sir Winston Churchill disse che, se l’Europa fosse stata unificata nella condivisione della sua eredità comune, non ci sarebbe stato limite alla felicità, alla prosperità e alla gloria del suo popolo. Io credo in questa visione e, allo stesso tempo, sono consapevole degli enormi sforzi che la sua realizzazione comporta. Tuttavia, questo non deve impedirci di proseguire.
Othmar Karas (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, ci occorrono progressi, non giustificazioni! Ciononostante, è bene affermare con chiarezza che sono i governi nazionali i maggiori responsabili dell’umore del pubblico nei confronti dell’UE all’interno dei nostri Stati membri. Una cosa dovrà scaturire dal summit europeo di domani e dopodomani: una scusa da parte dei capi di Stato e di governo ai cittadini dei loro Stati membri, per la mancanza di onestà in merito alle decisioni comunitarie, per non aver fornito al pubblico informazioni adeguate, per non aver comunicato con i cittadini e per la mancanza di coraggio e di integrità nell’assunzione delle proprie responsabilità nell’ambito delle decisioni europee.
La politica europea è politica interna e come tale dev’essere parte integrante della politica di informazione e di comunicazione dei governi. Utilizzare l’Unione europea come capro espiatorio per qualsiasi problema, anziché assumersi le proprie responsabilità, e poi chiedere ai cittadini, due settimane prima del referendum, di dare il loro assenso è disonesto, irresponsabile e falso. Onorevoli colleghi, urge un miglioramento.
Ioan Mircea Paşcu (PSE). - (RO) Signor Presidente, il “no” irlandese mostra che un esperimento di successo e senza precedenti nel contesto politico mondiale, l’UE, è in difficoltà. Tuttavia, per essere veramente indicativo della volontà di un popolo, qualsiasi referendum dev’essere preceduto da una campagna di informazione. Nel caso dell’Irlanda, è possibile misurare questa indicatività in base al grado di corrispondenza, o di totale estraneità, fra il Trattato di Lisbona e le argomentazioni addotte contro di esso.
La democrazia ci impone di tener conto del risultato irlandese e noi, ovviamente, non intendiamo venir meno a questo obbligo. D’altro canto, la democrazia non può essere esercitata a scapito dei diritti di altri, nello specifico di coloro che hanno già ratificato il Trattato di Lisbona e, fattore ancor più rilevante, non può essere strumentalizzata in modo tale che la minoranza imponga un ricatto alla maggioranza.
Il mio timore è che il “no” irlandese possa promuovere, anziché scoraggiare, le attuali tendenze alla rinazionalizzazione di alcune politiche comuni, prolungando il vuoto giuridico in cui è piombata l’UE dal rifiuto del Trattato costituzionale.
Concludo dicendo che, in quanto parlamentare proveniente da un ex paese comunista che ha compiuto grandi sforzi per essere ammesso all’Unione, detesterei vedere il comunismo sopravvivere all’Unione europea.
Mirosław Mariusz Piotrowski (UEN). - (PL) Signor Presidente, sembra che tutti gli accordi raggiunti a Lisbona siano sventurati. La strategia di Lisbona e il Trattato di Lisbona sono finiti entrambi con un fiasco.
La scorsa settimana, l’Irlanda ha rifiutato il Trattato di Lisbona con un referendum. Ciò ha sancito la morte di tale documento. L’imminente summit dovrà determinare se ci sono ancora speranze per resuscitare il Trattato. Il Parlamento europeo deve inviare un segnale chiaro della propria adesione alle regole democratiche, a dispetto del malcontento risentito da alcuni deputati in merito all’esito del referendum irlandese. Insultare e forzare il popolo irlandese è inammissibile. Un modo per esercitare una pressione accettabile sarebbe dar seguito al processo di ratifica del Trattato in altri paesi. I commenti estremi e irresponsabili che ventilano la possibilità di escludere dall’Unione quello che si vuol far apparire come un paese arrogante sono allarmanti.
Ci auguriamo che il Consiglio europeo consideri una formula nuova e più democratica per l’Unione europea.
Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE). - (FR) Signor Presidente, sappiamo tutti che la democrazia non è certo un lungo fiume calmo; tuttavia sappiamo anche che è il modello che abbiamo scelto per organizzare la nostra società. Per me, dunque, il “no” irlandese non è diverso dal “no” francese o neerlandese e, proprio come nel 2005, non abbiamo saputo spiegare perché l’Europa sia vantaggiosa per i nostri cittadini. Non abbiamo saputo rassicurarli in merito alla crisi ecologica che li ha colpiti gravemente. Tuttavia, non amo le speculazioni e ritengo si debba aspettare la fine delle ratifiche. Chiederei, però, al Consiglio di inviare dei segnali forti ai cittadini, che indichino un autentico desiderio di trasparenza e di rafforzamento della democrazia in relazione al pubblico. Chiedo al Consiglio di aprire le sue porte e faccio appello perché il Presidente della Commissione e del Consiglio stesso vengano nominati in concomitanza delle elezioni europee. Questo sarebbe senz’altro un segnale forte e non abbiamo bisogno della ratifica per realizzare questo tipo di cambiamento.
Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, ho ascoltato con molta attenzione questo acceso dibattito. E’ vero, gli irlandesi si sono pronunciati e hanno detto “no”. Tuttavia, uno dei miei timori più profondi è che coloro che hanno votato “no” l’abbiano fatto pensando di non correre alcun rischio, supponendo che forse avrebbe prevalso lo status quo. Oggi appare molto chiaramente da questo dibattito che altri paesi ritengono che il loro processo di ratifica per via parlamentare sia altrettanto valido e dunque meriti di essere portato a termine.
L’Irlanda, quindi, si troverà ad affrontare un dilemma se gli altri 26 paesi proseguiranno nella ratifica. Pertanto, è urgente che il nostro Taoiseach, Brian Cowen, presenti nei prossimi giorni una riflessione e magari anche delle proposte su come procedere.
Consentitemi di rivolgermi specificatamente all’onorevole Kathy Sinnott, la quale ha fatto campagna per il “no”, utilizzando, a mio avviso, delle argomentazioni spaventose. Vorrei dirle, a proposito del timore di una perdita di valori in Irlanda, che non possiamo certo incolpare l’Europa per la perdita di valori nel nostro paese. Siamo noi i responsabili, perciò smettiamola di giocare a scaricabarile con l’Unione europea e sforziamoci di guardare ai nostri valori materialistici in Irlanda e altrove.
Genowefa Grabowska (PSE). - (PL) Signor Presidente, sono fermamente convinta che il processo di ratifica del Trattato di Lisbona debba continuare. Per i paesi che l’hanno firmato, si tratta di un obbligo giuridico internazionale, conforme alla convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati.
Il Trattato offre l’opportunità di introdurre riforme essenziali per l’Unione. Ad esempio, renderà possibile la creazione di una politica energetica comune in Europa; la quale è estremamente importante per l’UE e anche per il mio paese, la Polonia. Garantirebbe la sicurezza energetica per tutti i miei concittadini. Io rappresento la Slesia, che conta una popolazione di cinque milioni di abitanti. Per la mia regione, tale politica costituirebbe un’opportunità di progresso e sviluppo, poiché la Slesia è ricca di risorse energetiche.
Pertanto mi domando: tutto questo verrà ostacolato dal “no” irlandese? Rispetto il risultato del referendum in Irlanda, tuttavia mi riesce difficile accettare che i voti di 109 964 cittadini irlandesi, ovvero la differenza fra i voti a favore e quelli contro, possano determinare il futuro del mio paese, della mia regione e, in sostanza, il destino dell’Unione europea. Non credo si possa permettere che questo accada.
Tobias Pflüger (GUE/NGL). - (DE) Signor Presidente, vorrei esprimere i miei ringraziamenti al popolo irlandese e anche al CAEUC, che ha fatto campagna in Irlanda contro il Trattato di Lisbona. Si contano ormai tre rifiuti al Trattato: uno in Francia, uno nei Paesi Bassi e quest’ultimo in Irlanda, relativo alla versione leggermente modificata del Trattato. Dobbiamo accettare seriamente quest’ultimo rifiuto. Mi tornano alla mente le parole di Bertolt Brecht, che disse: “In tal caso non sarebbe più facile per il governo sciogliere il popolo ed eleggerne un altro?” E’ così che interpreto una serie di dichiarazioni che sono state rilasciate qui. In Irlanda si è in effetti discusso dei contenuti del Trattato, del suo orientamento neoliberale, dell’enfasi sulla militarizzazione e, soprattutto, del suo carattere antidemocratico.
Dobbiamo dunque accettare questo voto. Il Trattato è morto e ora ne occorre uno diverso. Dal canto nostro, prenderemo senz’altro nota e documenteremo le dichiarazioni antidemocratiche che sono state rilasciate in questa sede.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) La parola pronunciata – e letta – con maggiore frequenza oggi in quest’Aula è stata “rispetto”. Spero mi consentirete di aggiungere che è necessario rispettare anche alcuni fatti, che vado a sottolineare.
Innanzi tutto: la ratifica di un nuovo Trattato sull’Unione europea rientra nella competenza esclusiva degli Stati membri. Esclusiva. Il Consiglio non ha alcun ruolo in questi processi e ancor meno la Presidenza.
Secondo fatto: ogni Stato membro attua tale processo conformemente alle proprie normative, formulate dallo Stato in totale autonomia e sovranità. Questo ci conduce forse al punto essenziale. Alcuni Stati membri hanno effettuato la ratifica, o intendono farlo, per via parlamentare, mentre uno è vincolato da un referendum. Ciò non significa che ci sia qualcosa di male nella ratifica parlamentare. Mi oppongo fermamente a chi asserisce che la ratifica parlamentare sia imperfetta o meno democratica di un referendum. Non è così. Non è così. Non è così. Non c’è assolutamente nulla di male nella ratifica parlamentare. Dal punto di vista dell’Unione europea è perfettamente equiparabile ad altri processi democratici.
Terzo fatto: ciascuno Stato membro parla per sé. Gli elettori irlandesi si sono pronunciati per l’Irlanda e per nessun altro Stato membro. Il che significa che qualsiasi altro Stato dell’Unione gode esattamente dello stesso diritto. Diciotto Stati hanno già ratificato il Trattato di Lisbona, gli altri non si sono ancora pronunciati ed è opinione della Presidenza che le ratifiche debbano continuare. I deputati che sostengono che il Trattato di Lisbona sia morto, che reclamano l’immediato arresto del processo di ratifica, stanno negando agli Stati membri il diritto di esprimersi, lo stesso diritto che difendono con tanta veemenza nel caso dell’Irlanda.
(Applausi)
Quarto fatto: ci siamo già trovati in questa situazione e abbiamo individuato una soluzione. Anche in questo caso, sapremo trovarne una, sulla base delle ragioni per cui quest’impasse si è venuta a creare, ma la Presidenza non intende discutere di questo, tanto meno lasciarsi trascinare in una speculazione volta a stabilire se il Trattato fosse troppo complesso, se ci siano stati problemi di comunicazione o se, come sottolineato dall’onorevole De Rossa, siano state dette un gran numero di menzogne. No, lasceremo che siano i nostri colleghi irlandesi ad analizzare le ragioni di questo risultato e a presentare proposte per una possibile via d’uscita. E troveremo una via d’uscita, di questo sono assolutamente certo. La troveremo. Il summit del Consiglio europeo di domani segna, appunto, l’inizio di questa nostra ricerca di una soluzione.
Ultimo fatto: l’ordine del giorno per la seduta di questa mattina non recava la discussione sul risultato del referendum irlandese, bensì la preparazione del Consiglio europeo. La Presidenza intende condurre la discussione in seno al Consiglio in questo modo, per affermare con chiarezza che l’Europa non si è bloccata, che continua a funzionare, e per questa ragione ci occuperemo di numerose altre tematiche in linea con l’ordine del giorno programmato.
Affronteremo il problema del prezzo dei beni alimentari e del petrolio, le tematiche economiche, sociali e ambientali, ci occuperemo delle sfide dello sviluppo internazionale e della questione dei Balcani occidentali. A questo proposito, vorrei anche rispondere all’onorevole Titley: non esistono implicazioni dirette per la politica di allargamento dell’Unione europea, la quale proseguirà, così come la politica europea di vicinato e altre politiche.
Grazie a tutti e soprattutto a coloro che hanno espresso le proprie opinioni in merito a questi altri argomenti. Confido che il Consiglio europeo progredirà con successo.
(Applausi)
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. − (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare i membri del Parlamento per i loro interessantissimi contributi. Di certo questa è la sede più appropriata per un dibattito sulla democrazia e il rispetto delle votazioni.
L’Irlanda ha votato “no” e come mai, allora, non è tutto finito? Perché l’UE non dichiara semplicemente: “Il Trattato è morto; passiamo oltre”? Perché alcune persone e alcuni Stati membri insistono nel portare avanti i loro processi di ratifica? Perché continuiamo a ritornare sulle ragioni che ci hanno spinti ad avviare tutto questo dibattito su un nuovo Trattato per l’Unione europea?
Spero mi permetterete di spendere qualche parola a riguardo, dato che, non dimentichiamolo, i leader europei hanno investito moltissimo capitale politico su questa procedura. Discutere le questioni e le problematiche soggiacenti all’esigenza di un nuovo Trattato, che definisse una nuova organizzazione per un’Unione europea così radicalmente cambiata in un periodo tanto breve, ha richiesto tempo e molta energia.
Lasciatemi citare tre ragioni per cui riteniamo sia necessario un nuovo Trattato.
Innanzi tutto, renderebbe giuridicamente vincolante la Carta dei diritti fondamentali. L’Europa non riguarda solo il mercato interno – come asserito da qualcuno in questa sede – ma anche i diritti delle persone e dei lavoratori.
La seconda ragione è rappresentata, ovviamente, dalla volontà di parlare con un’unica, solida voce nel mondo, di avere maggior peso sulla scena internazionale e di fare tutto ciò all’insegna dei nostri valori. Vorremmo farci valere nel contesto internazionale, combattere per uno sviluppo sostenibile, discutere il prezzo del petrolio, la prevenzione dei conflitti e altre importanti questioni. Ecco una delle ragioni all’origine della discussione su un nuovo Trattato.
La terza ragione è, certamente, il desiderio di rendere più democratica l’Unione europea. Molti hanno esortato al rispetto del “no” e dell’esito del referendum ed è ironico pensare che il Trattato conferirebbe, di fatto, maggiori poteri al Parlamento europeo eletto direttamente. Ciò si tradurrebbe in un maggior coinvolgimento dei parlamenti nazionali e sancirebbe, per il Consiglio, l’obbligo di deliberare pubblicamente, ponendo la cosiddetta iniziativa dei cittadini come uno degli elementi cardine nel capitolo sulla democrazia partecipativa: un innovativo progresso contenuto nel Trattato.
Il gruppo in maglietta, nei banchi là sopra, sfoggia la scritta: “Rispetto per il no”. A mio avviso, dimostrare questo rispetto significa anche comprendere i timori del popolo irlandese; capire perché ha votato “no”. I cittadini hanno dato una loro interpretazione, ma ritengo importante che il governo irlandese, con l’ausilio dei nostri sondaggi d’opinione Eurobarometro, possa comprendere meglio le preoccupazioni dell’elettorato e capire se è possibile fare qualcosa in merito.
Non è forse questa l’idea di democrazia? E’ questo l’approccio che ci permetterà di proseguire: comprendere le argomentazioni irlandesi, cooperare con gli altri Stati membri e ottenere il loro rispetto per i problemi che auspichiamo di poter risolvere insieme. Come a seguito del “no” ai referendum francese e olandese, abbiamo già eseguito un’indagine Eurobarometro, che ritengo ci aiuterà a capire meglio le difficoltà di qualsiasi referendum. Oltre a una serie di vantaggi, indire un referendum implica anche alcuni svantaggi – o meglio, da un punto di vista democratico, alcune sfide. Quando si presenta agli elettori un testo tanto ampio e complesso come un nuovo trattato internazionale, è ovvio che ci sia spazio per differenti interpretazioni dei risultati.
E’ necessario comprendere a fondo ciò che gli irlandesi hanno voluto esprimere, i loro timori e le loro aspettative. Dai risultati preliminari, ho potuto già dedurre che non è stato un “no” generale all’Europa. Si tratta anche di comprendere e rispettare il loro ruolo all’interno di un’Unione europea.
L’aspetto positivo di un referendum è costituito dall’esigenza di informare i cittadini, comunicare con loro, con tutte le difficoltà che questo comporta. Immagino che tutti voi comprendiate la necessità di individuare quali sono i margini di miglioramento in termini di comunicazione e informazione verso i cittadini. Ho sempre sostenuto che la comunicazione sia uno strumento al servizio della democrazia. Uno strumento che deve poggiare sul diritto dei cittadini a sapere cosa succede a livello europeo, che decisioni vengono assunte e in che modo la popolazione può esprimere la propria opinione. E’ necessario intensificare questi sforzi ed è anche per questo che la Commissione intende proseguire con il cosiddetto Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito, avviato un paio d’anni fa, che trae spunto dall’idea che i cittadini facciano proprie le politiche comunitarie...
Presidente. − Signora Commissario, colleghi, capisco che è un momento di confusione per l’ingresso in Aula di tanti colleghi deputati, ma pregherei quelli che entrano di non fermarsi a chiacchierare perché molti colleghi sono interessati ad ascoltare le conclusioni della signora Commissario.
Margot Wallström, Vicepresidente della Commissione. − (EN) Signor Presidente, quel che sto cercando di dire, in sintesi, è che dobbiamo indurre i cittadini a fare proprie le politiche dell’UE, rendendole comprensibili e pertinenti, e facendo sì che le Istituzioni europee risultino legittimate e affidabili agli occhi dei cittadini che rappresentano.
E’ necessario instaurare un dibattito ampio e permanente sul futuro dell’Unione europea tra le Istituzioni democratiche dell’UE e il pubblico, a livello nazionale e comunitario, ed emancipare i cittadini fornendo loro l’accesso alle informazioni, cosicché possano condurre un dibattito informato in merito all’Unione europea. A tal fine, abbiamo già proposto la creazione di un quadro di riferimento, come ricordato dall’onorevole Jo Leinen, che ringrazio. Ringrazio anche il Presidente in carica Lenarčič per aver cercato di trovare una soluzione in proposito.
Porgo i miei ringraziamenti anche al Parlamento, per il suo sostegno allo sforzo di comunicare in maniera più efficace con i cittadini, poiché è necessario affrontare la questione con grande serietà, fornendo le risorse e il contesto necessari per operare in collaborazione anche con gli Stati membri e, ovviamente, per conferire la massima leggibilità ai nostri testi e alle nostre decisioni.
Abbiamo discusso del Trattato consolidato. Malgrado tempi estremamente dilatati, il Consiglio ha infine accettato e pubblicato un Trattato consolidato, il quale rappresenta senz’altro uno strumento per rivolgerci in maniera più efficace ai nostri cittadini.
Dobbiamo continuare a trarre conclusioni e ad imparare nuove lezioni anche dall’esempio irlandese, fatto salvo, tuttavia, il rispetto per il voto contrario. Il modo migliore per farlo è comprendere i timori dell’elettorato irlandese, ricercare insieme delle soluzioni e permettere agli altri Stati membri di esprimere il proprio parere. Mi auguro anche che questa discussione serva da spunto ai leader che si riuniranno domani e venerdì. Vi ringrazio di cuore per quest’ottimo e costruttivo dibattito.
(Applausi)
Presidente. − Ringrazio la signora Commissario.
La discussione è chiusa.
Do comunicazione all’Assemblea che l’on. Hans-Peter Martin ha chiesto la parola per fatto personale ai sensi dell’articolo 145 del regolamento. Secondo quanto previsto dall’articolo 145 del regolamento daremo la parola all’on. Martin al momento dell’approvazione del processo verbale di questa seduta.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Jim Allister (NI), per iscritto. – (EN) Mi congratulo vivamente con gli elettori della Repubblica d’Irlanda per aver rifiutato con forza la Costituzione riconfezionata. Così facendo, hanno messo a segno un colpo a favore di quei milioni di democratici in tutta Europa, privati del diritto di esprimersi, dal tentativo totalitaristico dell’élite comunitaria di imporre a noi tutti il Trattato di Lisbona. Resta da vedere, a questo punto, se l’élite avrà l’onestà e l’integrità di ammettere che il Trattato è morto. Lisbona aveva stabilito autonomamente il requisito per la propria sopravvivenza: la ratifica unanime. Ebbene, tale requisito è stato spettacolarmente disatteso. Al pari del suo predecessore, il Trattato costituzionale, il Trattato di Lisbona è naufragato sullo scoglio della democrazia. Anziché prendere atto della realtà, temo che Bruxelles ricorrerà all’ennesimo complotto per aggirare la volontà del popolo. Così facendo, perirete, infine, dello stesso destino. Dunque, risparmiatevi la fatica e ammettete che il Trattato è morto e che non ci sono speranze di risuscitarlo.
Costas Botopoulos (PSE), per iscritto. – (EL) In questo periodo di crisi e insicurezza istituzionale, sento di dover lodare il Trattato di Lisbona. Non so se entrerà mai in vigore, ma se si vuole evitare di scadere nel populismo, bisogna riconoscere che si tratta di un buon testo. Certo, non è stato progettato e discusso democraticamente quanto il Trattato costituzionale. Di certo non è un testo perfetto, non esistono testi perfetti. Di certo è troppo complesso, ma quale Trattato europeo non lo è? Chi sostiene di non comprenderlo mostra, di fatto, una mancanza di fiducia nei propri leader. In realtà, è un testo al servizio del progresso democratico in Europa. Renderebbe l’Europa più aperta, efficiente e socialmente sensibile. Un semplice esempio: se fosse stato in vigore, se la Carta dei diritti fondamentali fosse stata in vigore, la Corte di giustizia non avrebbe potuto emettere le sentenze Viking e Laval, così lesive per i lavoratori. Dunque, ci occorre più Europa, non meno Europa. Più democrazia. Più politica. In quanto socialisti, il mio gruppo ed io abbiamo ora il dovere di presentarci davanti ai cittadini e spiegare che tipo di Europa nuova e diversa auspichiamo.
Alexandra Dobolyi (PSE), per iscritto. – (HU) Io faccio parte di quel gruppo di persone che ritiene che l’Europa non sarà più la stessa dopo il “no” irlandese. Se c’è una cosa che non possiamo certo fare è ignorare l’esito del referendum in Irlanda. D’altro canto, sono anche una di quelle persone che ritengono che il processo di ratifica debba continuare; ogni Stato membro gode del medesimo diritto di pronunciarsi sul futuro comune dell’Europa.
Dobbiamo risolvere questo rompicapo, da una parte, ascoltando la voce dei cittadini irlandesi, e dall’altra, tenendo in dovuta considerazione la posizione di tutti gli altri Stati membri che desiderano proseguire sulla strada comune europea.
Si tratta, certo, di un’equazione difficile, pertanto dobbiamo cogliere ogni opportunità di analisi. Per riuscire nell’intento, ci occorrono tutti e 27 gli Stati membri. Ritengo che i ventisette debbano trovare una soluzione comune e assumere una decisione comune in merito al prossimo passo da compiere.
Come dichiarato dal Presidente Barroso: “Ventisette Stati membri hanno firmato il Trattato; dobbiamo compiere ogni sforzo per assicurarci che ventisette Stati membri trovino il modo di progredire”. Dobbiamo trovare una soluzione, un modo per superare lo stallo.
Titus Corlăţean (PSE), per iscritto. – (RO) Il processo europeo deve continuare.
Il voto espresso dai cittadini irlandesi per il rifiuto del Trattato di Lisbona dev’essere rispettato.
Nel contempo, è necessario tenere in considerazione gli interessi più ampi di tutti i cittadini dell’Unione, rendendo la struttura europea più efficiente e proseguendo con il processo di allargamento dell’UE.
I cittadini irlandesi non hanno solo diritti, ma anche obblighi nei confronti dell’UE. Devono essere consapevoli delle conseguenze che il loro rifiuto del Trattato di Lisbona comporta.
Pertanto, dovranno decidere con un nuovo referendum se intendono abbandonare l’UE, o restare in un’Unione basata sul Trattato di Lisbona.
L’arresto del processo europeo in nome della “sovranità inviolata” del popolo irlandese significa, di fatto, la cancellazione delle naturali aspirazioni dei cittadini di Croazia, Repubblica moldova eccetera ad aderire all’UE.
Così come l’Irlanda e i rappresentanti politici irlandesi hanno il diritto di battersi per le aspirazioni dei propri cittadini, anche la Romania ha il diritto di battersi per l’adesione della Repubblica moldova all’Unione europea.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Dopo il trionfante “no” nel referendum irlandese sul Trattato di Lisbona, i leader dell’Unione europea avrebbero dovuto riconoscere ciò che era ormai ovvio: che il Trattato di Lisbona è fallito. Sanno bene che basta la mancata ratifica del Trattato da parte di uno Stato membro perché il documento non entri in vigore. Le regole erano queste. E’ bene sottolineare, inoltre, che questo rifiuto fa seguito ad altri due risultati identici in Francia e nei Paesi Bassi in merito alla cosiddetta Costituzione europea, antesignana del Trattato di Lisbona.
Tuttavia, il Presidente della Commissione europea si è limitato a riconoscere che occorreranno tempo e fatica per risolvere il problema creato dal referendum irlandese. Nel tentativo di gettare la colpa sulle spalle dell’Irlanda, egli rifiuta di riconoscere che il problema deriva dalla profonda crisi di legittimità causata delle politiche neoliberali, militaristiche e federaliste che vengono perseguite.
Pertanto, questa settimana, il Consiglio europeo dovrà prendere una decisione fondamentale: abbandonare il processo di ratifica del Trattato di Lisbona, ormai senza speranza, oppure avviare una discussione sulle vere ragioni del malcontento popolare e apportare i necessari cambiamenti politici allo scopo di affrontare le crisi attuali; in altre parole promuovere una maggiore giustizia sociale, più sicurezza nel campo dell’occupazione corredata di diritti, combattere profitti e rincari speculativi e assegnare priorità alla lotta in favore dell’inclusione sociale.
Petru Filip (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Il recente voto irlandese è stato interpretato in vari modi all’interno dell’Unione europea e gli interventi che abbiamo ascoltato qui in Parlamento confermano le difficoltà che questo voto potrebbe produrre.
Vorrei fare brevemente riferimento ai problemi che il voto dei cittadini irlandesi potrebbe far insorgere nell’opinione pubblica dei paesi recentemente integrati nell’UE, soprattutto quelli dell’Europa dell’est. I cittadini di quei paesi avranno grosse difficoltà a comprendere la natura vincolante della ricezione, nel proprio ordinamento giuridico nazionale, delle normative europee che implicano sacrifici economici, nonché di una serie di politiche pubbliche che la popolazione considera fin troppo restrittive per il livello attuale dell’economia di quei paesi.
Quel che mi preme sottolineare in questa sede è che qualsiasi tentativo di introdurre trattamenti eccezionali nel contesto comunitario si rifletterà sicuramente sul voto politico del 2009, che potrebbe indurre alla radicalizzazione di un elettorato che ha votato con grande entusiasmo a favore dell’adesione di questi paesi all’UE.
Gyula Hegyi (PSE), per iscritto. – (HU) Il referendum irlandese può essere interpretato in vari modi. E’ una vittoria per la sovranità popolare: questo fatto è innegabile. D’altro canto, la maggioranza degli elettori non sapeva per cosa stesse votando, come dimostrato dal fatto che i fautori del “no” facevano riferimento a rimostranze storiche che sono state in effetti risolte dall’adesione all’Unione europea. Potremmo considerare un’ingiustizia il fatto che il 53 per cento degli elettori di un paese relativamente piccolo abbia la capacità di ostacolare altre ventisei nazioni desiderose di approfondire la loro cooperazione e di realizzare il sogno europeo. Una cosa, comunque, è certa: in futuro dovremo discutere l’integrazione con i cittadini dell’Unione in maniera più intelligente, persuasiva e immediatamente comprensibile. Per questa ragione, la commissione per la cultura e l’istruzione del Parlamento europeo sta avviando la stesura di una relazione dal titolo provvisorio Dialogo attivo con i cittadini sull’Europa, della quale sono stato incaricato. Chiedo ai colleghi di sostenere il nostro lavoro condividendo le loro idee; riuniamo i nostri pensieri, cosicché non solo riusciremo a capire e ad amare il concetto di integrazione e cooperazione, ma faremo in modo che imparino a comprenderlo e ad amarlo anche i cittadini d’Europa.
Mieczysław Edmund Janowski (UEN), per iscritto. – (PL) Oggi discutiamo il futuro dell’Unione europea, sulla scia delle emozioni suscitate dall’esito del referendum in Irlanda. Faccio appello a tutti gli interessati, deputati del Parlamento europeo e rappresentanti della Commissione e del Consiglio, perché si astengano dal redarguire i cittadini irlandesi e dal minacciarli con tutta una serie di ritorsioni, compresa l’esclusione dall’Unione. L’Unione esiste e il voto della nazione irlandese non è un voto contro l’Unione; questi sono i fatti. A parer mio, esprime unicamente la contrarietà al documento che prende il nome di Trattato di riforma di Lisbona. Il popolo irlandese ha rifiutato quel particolare tipo di riforma che gli era stato presentato.
E’ altamente probabile che se la stessa domanda fosse stata posta ai cittadini di altri paesi sotto forma di referendum, la risposta sarebbe stata esattamente la stessa. Dopotutto, il Trattato risulta incomprensibile perfino a un cittadino dell’Unione con un elevato livello di istruzione. Faremmo bene a domandarci se questo non sia un nuovo segnale che dovrebbe indurre la cosiddetta élite a tentare di colmare il considerevole divario che esiste attualmente fra i cittadini degli Stati membri e i leader dei gruppi politici, sia a livello nazionale sia di Unione.
Le pertinenti disposizioni del diritto internazionale sanciscono, di fatto, che laddove anche uno solo degli Stati parti dell’accordo non accetti l’accordo internazionale, quest’ultimo non è vincolante in tal forma. Questo è chiaro, a prescindere dalle nostre opinioni in merito al documento nel suo complesso. I cittadini irlandesi hanno scelto liberamente. Dobbiamo rispettare la loro decisione e ricercare soluzioni costruttive per il futuro dell’Europa. Come si dice: vox populi, vox dei.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. – (FI) Crisi! Crisi! Ecco di nuovo che si urla alla crisi dell’UE, perché gli irlandesi hanno rifiutato il Trattato di Lisbona in occasione del referendum tenutosi giovedì 12 giugno. Il Trattato può entrare in vigore soltanto se ratificato da tutti gli Stati membri. I leader europei richiedono nuove soluzioni, ma ben pochi ne sanno proporre.
I problemi sono perlomeno due. Il Trattato di Lisbona è talmente oscuro che è pressoché impossibile da capire. Sareste disposti a firmarlo? Per giunta, è ovvio che l’élite europea voglia procedere troppo in fretta.
Per i piccoli Stati membri è arrivato il momento di agire. Devono insistere affinché ogni Stato membro disponga di un Commissario. Era questa la volontà iniziale di Finlandia e molti altri paesi.
Se entrasse in vigore, il Trattato di Lisbona produrrebbe una situazione in cui ciascuno Stato membro si troverebbe, a turno, senza un Commissario per un terzo del tempo, a partire dal 2014. La formulazione del Trattato è talmente vaga che, in pratica, sembrerebbe che i piccoli Stati membri restino senza Commissario più a lungo di quelli grandi. Alcuni ritengono che l’Irlanda abbia rifiutato il Trattato in parte anche per la questione del Commissario.
Il Commissario della Finlandia riveste un’importanza speciale per i piccoli Stati membri, sebbene i Commissari siano tenuti a fare gli interessi dell’UE nel suo complesso. In Finlandia ogni regione si rallegra se può contare su un “proprio” ministro al governo.
I leader europei sono ora chiamati a riflettere attentamente su quale sia l’origine della crescente sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti dell’UE. L’Unione ha agito effettivamente nell’interesse di tutti i suoi cittadini nella maniera migliore possibile? Ha rafforzato la cooperazione in diversi ambiti, ampliandosi, forse, troppo velocemente?
Filip Kaczmarek (PPE-DE), per iscritto. – (PL) La decisione assunta dal popolo irlandese ha posto l’Europa in una situazione difficile, ma è anche la riprova che l’Europa si basa sulla democrazia attiva. Le sorti del Trattato di Lisbona non sono affatto scontate. Già in precedenza si sono verificate situazioni del genere. Nel 1993, dopo un esito negativo riguardo alla ratifica del Trattato sull’Unione europea, la Danimarca decise di indire un secondo referendum. Allo stesso modo, si tenne un secondo referendum in Irlanda a seguito del disastroso risultato relativo alla ratifica del Trattato di Nizza, nel 2001. Sono fermamente convinto che anche in questa occasione, sia necessario rispettare l’esito del referendum irlandese, in quanto decisione sovrana del popolo d’Irlanda. Tuttavia, l’Unione si basa sul rispetto per il diritto di ogni Stato membro a esprimere la propria volontà. E’ bene affermare con chiarezza che il rifiuto del Trattato non significa che i cittadini irlandesi siano contrari all’Unione.
L’imminente Consiglio europeo sarà un’opportunità per riflettere sulle cause e gli effetti della situazione che si è venuta a creare. Questo sforzo riflessivo non deve tradursi unicamente in un atteggiamento di condanna e censura dell’Irlanda. Il Consiglio, la Commissione e il Parlamento sono chiamati a esaminare che cosa sia possibile fare per aiutare gli europei a comprendere meglio il Trattato e le intenzioni dell’élite politica. Personalmente sono contrario alla riapertura dei negoziati sulla riforma del Trattato. L’Europa non deve diventare un’Europa a due o più velocità. Deve, al contrario, dar prova ai propri cittadini di costituire un progetto comune, all’insegna della solidarietà. Confido nella capacità del Consiglio di trovare una soluzione accettabile per quei paesi che hanno già ratificato il Trattato, per l’Irlanda e anche per quegli Stati membri che sono ancora indecisi sul da farsi.
Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. – (PL) L’esito del referendum irlandese sconvolge il processo di ratifica del Trattato di riforma. Tale referendum è servito anche a sottolineare quanta cura dobbiamo dedicare al nostro grande progetto europeo, volto a creare un’Europa caratterizzata dalla pace e dalla solidarietà, il cui principale obiettivo sia il benessere dei cittadini e rivestire un ruolo forte sulla scena politico-economica globale. Oggi abbiamo la prova di quanto sia alto il prezzo da pagare se trascuriamo il dialogo con le nostre società e non spieghiamo loro quale sia la vera essenza dell’integrazione.
Il processo di ratifica deve continuare e io sono convinto che l’Irlanda si sforzerà al massimo per risolvere la situazione. Concordo con quanto affermato dall’onorevole Schulz, leader del gruppo socialista al Parlamento europeo, ovvero che le modalità operative della Commissione e del Consiglio europeo siano una delle ragioni all’origine dell’attuale situazione. Ampliare le competenze del Parlamento europeo, in quanto istituzione democratica, fornirebbe un contributo maggiore alla semplificazione dell’Unione, rispetto alle dichiarazioni e ai programmi altisonanti, che non raggiungono né il cuore né la mente dei cittadini.
Marianne Mikko (PSE), per iscritto. – (ET) Onorevoli colleghi, il “no” di Dublino al Trattato di Lisbona è stato una sorpresa, poiché è proprio grazie al sostegno dell’UE che l’Irlanda è riuscita a costruire un’economia competitiva, a stabilizzare il mercato del lavoro e a creare una società del benessere. Gli irlandesi avevano la possibilità di votare per un’Unione europea più forte, più competitiva, più che mai al servizio degli interessi degli Stati membri.
Personalmente ritengo che sottoporre il Trattato di Lisbona alla prova referendaria sia risultato democratico, ma solo all’apparenza. Le problematiche interne, sulle quali l’UE non interviene, hanno creato inevitabilmente delle tensioni che necessitavano di trovare sfogo. E’ dunque facile creare un’apparente opportunità di esprimere la propria insoddisfazione, senza badare ai mezzi. Altro segnale della finta democraticità del referendum e delle tensioni alle quali avrebbe dato voce erano i sondaggi di opinione condotti prima del voto, dai quali è emerso con chiarezza che gli elettori intenzionati a votare “no” non erano a conoscenza degli effettivi contenuti, tanto meno della valenza, del Trattato di Lisbona.
Spetta ai politici irlandesi rispondere ai “perché?”. L’Irlanda è sempre stata uno dei più brillanti utenti delle sovvenzioni comunitarie. Gli irlandesi sono celebri per il loro europeismo. Risulta tanto più ironico, dunque, che a causa dell’Irlanda si debba arrestare la creazione di un futuro comune più solido.
L’Estonia ha ratificato il Trattato di Lisbona il giorno prima del referendum irlandese. Il che significa che, a differenza di Dublino, Tallinn ha contribuito alla costruzione di un futuro comune. Io sono un’accesa sostenitrice del processo di ratifica e sono convinta che l’Irlanda compirà un nuovo tentativo per garantire che i 500 milioni di cittadini d’Europa, compresi quelli irlandesi, portino il nome di europei con onore. Il debito di gratitudine di Dublino nei confronti dell’Europa è evidente.
Toomas Savi (ALDE), per iscritto. – (ET) Signor Presidente, sebbene il risultato del referendum irlandese abbia deluso profondamente l’Unione europea, non mi sembra il momento adatto per cedere al panico e cercare un capro espiatorio. Il Consiglio europeo si riunirà il 19 e il 20 giugno a Bruxelles. Innanzi tutto, è opportuno dedicarci all’ascolto delle spiegazioni del Taoiseach Brian Cowen e delle sue proposte su come procedere con l’Irlanda.
A mio avviso, i restanti otto Stati membri dovrebbero proseguire con il processo di ratifica come previsto, a prescindere dal “no” irlandese.
Il Trattato di Lisbona è indispensabile per un’efficace continuazione del progetto europeo. Sarebbe impensabile riavviare nuovi negoziati, dal momento che l’Unione europea è stata impegnata nei negoziati relativi al proprio futuro per gli ultimi nove anni. Il Trattato di Lisbona crea un’Unione europea più comprensibile, democratica ed efficiente e non possiamo arrenderci proprio ora.
Esko Seppänen (GUE/NGL), per iscritto. – (FI) Il significato letterale di democrazia è potere del popolo. Non può esistere democrazia senza popolo e non è bene che il popolo viva senza democrazia. In Irlanda, i cittadini hanno avuto la possibilità di votare in merito alla nuova Costituzione, il Trattato di Lisbona. Un atto di democrazia. E gli irlandesi hanno votato “no” a nome di tutte le altre nazioni, con il 53,4 per cento dei voti, contro il 46,6 per cento di “sì”. L’Irlanda non vuole che l’UE evolva verso una federazione, che si militarizzi, tanto meno che trasferisca ulteriori poteri ai grandi paesi.
L’idea della federazione è promossa da uomini e donne che sono poco democratici e non sanno perdere. Hanno cominciato a rianimare il corpo con la forza. Sostengono che si possa fare a meno dei paesi più piccoli, se non si conformano alla vera autorità degli Stati più grandi. In questo modo, perpetuano un’idea fallace della democrazia europea.
Gli irlandesi vengono additati per aver esercitato i loro poteri, ma nessuno deride gli ungheresi, il cui parlamento ha votato a favore dell’illeggibile Trattato, prima ancora che gli fosse sottoposto. La decisione del popolo irlandese è democrazia, quella del parlamento ungherese no.
Il desiderio di una Costituzione per l’UE non nasce dalle esigenze della popolazione, bensì dalla volontà di consolidare il potere dell’élite. Senza referendum sarebbe un colpo di stato – nei piccoli, così come nei grandi paesi.
Adrian Severin (PSE), per iscritto. – (EN) Mentre teniamo fuori dalla porta Stati come la Croazia, la Turchia, l’Ucraina e la Repubblica moldova, ansiosi di aderire all’UE, ci sforziamo di trattenere Stati che si interrogano sull’opportunità o meno di far parte di un’unione forte. E’ ingiusto, improduttivo e inammissibile che gli euroscettici vengano trattati meglio degli euroentusiasti.
Uguale rispetto per tutte le nazioni significa richiamare ciascuna alle proprie responsabilità. Cercare di raggirare e tentare qualcuno per mezzo di concessioni e protocolli illusori, al fine di alterare le sue decisioni senza però aver modificato le sue convinzioni sarebbe un’offesa e una mancanza di rispetto democratico.
E’ giusto che il popolo irlandese si prenda tutto il tempo che gli occorre per riflettere sul proprio futuro europeo. Forse il miglior contesto per una simile riflessione democratica sarebbero elezioni anticipate. Comunque sia, gli irlandesi dovrebbero utilizzare il proprio tempo e non quello degli altri. Pertanto, dovremmo considerare una posizione transitoria per l’Irlanda in seno all’UE, per consentire all’integrazione europea di progredire con un minor numero di Stati coinvolti.
Infine, attraverso un nuovo referendum, i cittadini irlandesi dovranno chiarire se vogliono rimanere nell’Unione europea basata sul Trattato di Lisbona, o se intendono rivestire il ruolo del “cavaliere solitario” davanti alle tempeste dell’ordine globale.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE), per iscritto. – (PL) Il rifiuto del Trattato di Lisbona da parte del popolo irlandese ha estinto ogni speranza di rapida riforma istituzionale dell’Unione europea. E’ la seconda volta che perdiamo un’occasione del genere. Il processo era già stato arrestato in passato dall’esito negativo dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi.
A mio avviso, i cittadini irlandesi non possono certo essere incolpati di ciò che è successo. Il fatto che abbiano votato contro il Trattato non significa che siano maldisposti verso l’Unione europea nel suo complesso. Il Trattato è stato rifiutato in Irlanda per le modalità inappropriate con cui le Istituzioni europee e i governi degli Stati membri hanno gestito la questione della ratifica e del coinvolgimento dei cittadini nel processo. Ho il sentore che se fosse stato indetto un referendum in tutti gli Stati membri, l’Irlanda non sarebbe stata la sola a dire “no”.
Una simile reazione al Trattato da parte dei cittadini è attribuibile alla disinformazione, più che alla malevolenza.
Riguardo alle sorti del Trattato di Lisbona, l’Unione dovrebbe intraprendere azioni simili a quelle avviate dopo il rifiuto del Trattato costituzionale da parte dei Paesi Bassi e della Francia.
Per fortuna, l’UE è ancora in grado di funzionare in maniera efficiente sulla base del Trattato di Nizza e degli altri Trattati in vigore. Il che significa che abbiamo il tempo per valutare con attenzione come rimediare agli errori commessi.
Marek Siwiec (PSE), per iscritto. – (PL) A fronte della decisione del popolo irlandese, così come espressa nel recente referendum, è ancora più importante per la Polonia finalizzare la ratifica del Trattato di Lisbona. Se il Presidente polacco condurrà il processo a uno stallo sulla base dell’argomentazione relativa alla firma finale, allineerà il nostro paese con quelli che sono contro al Trattato, in aperta opposizione alla stragrande maggioranza dei paesi che l’hanno accettato.
Questo non andrebbe certo a nostro vantaggio. In passato siamo ricorsi a minacce, si potrebbe addirittura parlare di ricatti, ma alla fine siamo pervenuti a un compromesso. Ebbene, dobbiamo accettare le conseguenze di un eventuale compromesso, soprattutto dopo l’esito del referendum irlandese. La Polonia ha di fatto l’opportunità di giocare un ruolo chiave nella creazione di un’Europa forte. La rapida finalizzazione della ratifica del Trattato non sarà un passaggio scontato, bensì un significativo gesto politico.
Ritengo si possa dare per scontato che presto o tardi, con o senza l’Irlanda, verrà data attuazione alla sostanza del Trattato. E’ quindi essenziale per noi trovarci dalla parte giusta al momento giusto.
Theodor Dumitru Stolojan (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Il Parlamento e le altre Istituzioni europee devono rispettare il voto espresso dalla popolazione irlandese in sede di referendum. Voglio essere molto chiaro su questo punto: i cittadini irlandesi non hanno votato contro l’Unione europea, ma contro il Trattato di Lisbona. Ci sono segnali evidenti che i contenuti e le ragioni di questo Trattato non sono stati compresi e che i timori del popolo irlandese in merito al sistema di tassazione e al mantenimento della neutralità siano stati fomentati da alcuni partiti politici.
Il Parlamento europeo deve inviare un segnale forte di sostegno al processo di ratifica negli altri Stati membri. Nel contempo, dobbiamo presentare alla popolazione e al governo irlandese soluzioni attuabili per superare quest’impasse. Dopotutto, il Trattato di Lisbona è un avanzamento necessario perché il sistema istituzionale europeo possa funzionare in maniera più efficiente, nel contesto globale sempre più difficile in cui ogni Stato membro si trova a operare: competitività economica, cambiamento climatico, rincari delle risorse naturali e molte altre problematiche che investono tutti noi.
Daniel Strož (GUE/NGL), per iscritto. – (CS) Il Trattato di Lisbona è un documento defunto, proprio come il progetto di Costituzione europea dopo essere stato rifiutato da francesi e olandesi. Sebbene il Presidente del Parlamento europeo, Hans Gert Pöttering, abbia dichiarato che l’obiettivo del Trattato è il raggiungimento di una maggiore democrazia, maggiore efficacia politica, nonché maggiore chiarezza e trasparenza e che il processo di ratifica debba continuare all’interno degli Stati membri che non l’hanno ancora completato, si tratta solo di vuote affermazioni.
Se si fossero indetti referendum anche in altri paesi, il “no” irlandese non sarebbe certo stato l’unico. Pensiamo al raggiro ordito dall’élite europea nel sottoporre a ratifica nient’altro che il progetto di Costituzione europea spolverato ed emendato! Oltre agli irlandesi, anche i francesi e gli olandesi avrebbero ribadito il loro “no”, come confermato dai pubblici sondaggi d’opinione condotti in quei paesi. Coloro che “reggono il timone” della politica europea dovrebbero rendersi conto, una volta per tutte, che la maggioranza dei cittadini rifiuta l’Unione come progetto militaristico e neoliberale, di fatto antisociale!
Il risultato del referendum irlandese non è un disastro per l’Europa, come alcuni vorrebbero farci credere, bensì l’opportunità di avviare un nuovo dibattito all’interno del quale, finalmente, possano trovare ampio spazio anche i cittadini comuni. Dopotutto, gli irlandesi non hanno votato contro l’Unione europea, ma contro i contenuti del Trattato di Lisbona che avrebbero distrutto gli standard sociali conquistati finora, trasformando l’Unione in un conglomerato militarista. La cosiddetta idea europea non è stata messa a repentaglio da coloro che rifiutano il Trattato di Lisbona, ma da coloro che oggi strillano “andiamo avanti”, o prefigurano l’introduzione di un’Europa a “due velocità”.
Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. – (FR) A partire da domani, il Consiglio europeo sarà chiamato a trarre le conclusioni del risultato del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona. Spetta all’Irlanda, per bocca del suo Taoiseach, fornire un’analisi del voto e confermare la propria volontà di veder progredire l’integrazione europea.
Mi auguro che i ventisette concordino nel proseguire con il processo di ratifica all’interno degli Stati membri che non si sono ancora pronunciati, allo scopo di conoscere, finalmente, l’esatta posizione di ciascuno in merito al testo.
La Presidenza slovena e in seguito quella francese devono sforzarsi di trovare insieme all’Irlanda una soluzione giuridicamente accettabile, in grado di porre fine, una volta per tutte, a più di quindici anni di sforzi tesi a riformare il funzionamento dell’Europa allargata.
Le responsabilità della Presidenza francese andranno senz’altro aumentando, tenuto conto del turbamento del contesto europeo e dell’impennata dei costi delle materie prime alimentari e dei combustibili.
I cittadini europei sono incerti. Il Consiglio europeo deve saper dimostrare che l’Europa contribuisce a soddisfare le loro aspettative, assumendo decisioni sulle tematiche di fondo. Pur non risolvendo immediatamente la questione istituzionale, quest’approccio è di certo il metodo migliore per dimostrare agli irlandesi che sono stati ascoltati.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE), per iscritto. – (HU) Il Trattato di Lisbona è stato rifiutato proprio dal paese che finora si è distinto maggiormente per la sua capacità di sfruttare appieno i vantaggi dell’integrazione europea. La profonda crisi di fiducia nella politica è indice anche di questo. A contribuire in maniera rilevante a questo fallimento è stata anche la scarsa comunicazione in termini di illustrazione dei benefici del Trattato di Lisbona. L’Irlanda non ha deciso in merito al Trattato; l’esito del referendum, infatti, è stato determinato da questioni di politica interna. L’istituto del referendum si è rivelato uno strumento inadatto alle decisioni su materie complesse come questa. Il Trattato di Lisbona non prevede solo una riforma istituzionale dell’Unione europea. Insieme alla Carta fondamentale dei diritti, infatti, il Trattato rende l’Europa un’autentica comunità politica, nonché una comunità di valori. Si tratta di un nuovo livello di sviluppo dell’integrazione europea in termini qualitativi.
Il referendum irlandese costituisce senz’altro un grave problema, ma spetta a noi evitare che l’Unione europea entri in crisi e rispondere in maniera rapida e decisa. Nelle circostanze attuali, l’errore più grande sarebbe rinegoziare l’accordo che ci ha richiesto così tanti sforzi, pertanto dobbiamo mantenere il Trattato di Lisbona così com’è. Quasi due terzi degli Stati membri hanno adottato il Trattato, compresa l’Ungheria, che è stata il primo paese. Il processo di ratifica deve proseguire. L’Irlanda deve decidere il prima possibile, se vuole continuare a far parte di un’accresciuta integrazione. Un solo paese non può intralciarne altri 26 determinati a proseguire.
Sono assolutamente fiducioso che il Consiglio europeo che si aprirà domani saprà trovare una via d’uscita da quest’impasse. I lavori per la costruzione dell’Europa devono continuare e per farlo ci occorre il Trattato di Lisbona.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. – (RO) Dopo il Trattato di Nizza, l’Unione europea necessita di un nuovo quadro istituzionale e il Trattato di Lisbona, per quanto meno ambizioso della Costituzione europea, è un buon testo.
18 Stati membri hanno ratificato il Trattato di Lisbona tramite i loro parlamenti nazionali. L’Irlanda ha scelto la ratifica per via referendaria e i suoi cittadini hanno rifiutato il Trattato. Anche nel 2001 l’Irlanda aveva votato contro il Trattato di Nizza, per poi ratificarlo l’anno seguente.
Il voto dei cittadini irlandesi indica che la popolazione di quel paese giudica complicato il processo comunitario di costruzione istituzionale. E’ nostro dovere spiegare ai cittadini europei la necessità di questo Trattato e le disposizioni in esso contenute. Il Trattato di Lisbona affronta la questione del cambiamento climatico, definisce l’economia europea come un’economia sociale di mercato, sottolinea l’esigenza di una politica energetica comune e, in particolare, conferisce valore giuridico alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il Trattato di riforma innalza il livello di democrazia, attribuendo maggiori poteri al Parlamento europeo e consentendo la bocciatura di un progetto legislativo, laddove la metà dei parlamenti nazionali lo giudicasse contrario al principio di sussidiarietà.
Il voto irlandese indica che occorre maggiore responsabilità e capacità di dialogo da parte nostra, che dobbiamo spiegare di più e meglio ai cittadini europei le disposizioni contenute in questo nuovo Trattato, nonché la ragioni che lo rendono necessario.
Witold Tomczak (IND/DEM), per iscritto. – (PL) Le nazioni europee che aspirano alla libertà e alla sovranità hanno oggi motivo di essere grate allo Stato irlandese. Un messaggio di libertà e speranza ci proviene, forte e chiaro, dalla piccola Irlanda. Che tale messaggio sia di monito ai nemici della democrazia, che non tengono conto della volontà del popolo e infrangono le regole del gioco precedentemente stabilite.
E’ sorta la questione di come procedere. Ritengo che anziché sognare di un irraggiungibile superstato europeo, dovremmo avviare un dibattito sui diritti delle nazioni. Innanzi tutto dovremmo concordare una carta relativa ai diritti delle nazioni, in base alla quale definire, poi, i principi dell’integrazione europea.
Onorevoli colleghi, voi siete gli architetti dell’Unione europea. Vi invito a cessare le manipolazioni e a consentire ai cittadini di determinare autonomamente il proprio destino, fornendo loro la verità. Faccio appello a voi perché diate modo alle nazioni di vivere all’interno di Stati sovrani, che decidano da sé come e con chi cooperare, nonché come e con chi integrarsi.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il clamoroso “no” del popolo irlandese ha reso inapplicabile il Trattato di Lisbona.
Tutto ciò rappresenta una significativa sconfitta per il Consiglio, la Commissione europea e il Parlamento europeo, nonché per i governi di centrodestra e centrosinistra degli Stati membri dell’Unione [partito Nuova Democrazia (ND) e PASOK in Grecia]. E’ una battuta d’arresto anche per i rappresentanti del capitalismo in generale, che hanno giocato un ruolo chiave nell’annullare il voto del popolo francese e neerlandese contro la Costituzione europea e nel sopprimere il crescente movimento di contestazione e rifiuto del Trattato di Lisbona all’interno dell’UE.
Queste stesse forze politiche sono quelle che costituiscono la grande alleanza in seno al Consiglio, alla Commissione e al Parlamento europeo: il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani) e dei Democratici europei, il gruppo socialista al Parlamento europeo, il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, il gruppo Verde/Alleanza libera europea e altri sostenitori del “monolito” europeo, con la partecipazione dei parlamentari di Nuova Democrazia e PASOK. Nella seduta plenaria del Parlamento del 20 febbraio 2008, hanno votato tutti contro la proposta di rispettare il verdetto del popolo irlandese e indire referendum sul Trattato di Lisbona negli Stati membri.
La politica oppressiva del Consiglio e della Commissione europea nel perseguire la ratifica del Trattato di Lisbona costituisce un gesto di dispotico disprezzo per la volontà dei cittadini irlandesi e per i popoli in generale.
PRESIDENZA DELL’ON. GÉRARD ONESTA Vicepresidente
3. Turno di votazioni
Presidente. - L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.
(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)
3.1. Approvazione della nuova attribuzione di competenze a Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione europea (votazione)
3.2. Approvazione della nomina di Antonio Tajani a membro della Commissione europea (votazione)
3.3. Persone scomparse a Cipro - Seguito dato alla risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2007 (A6-0139/2008, Ewa Klamt) (votazione)
3.4. Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente (A6-0339/2007, Manfred Weber) (votazione)
– Dopo la votazione sull’emendamento n.74
Konrad Szymański (UEN). - (PL) Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che alcuni deputati a sinistra dell’Aula stanno esponendo degli striscioni. Ci è stato comunicato questa mattina che l’esposizione di striscioni nell’emiciclo contravveniva alle nostre procedure.
Presidente. - In linea di principio, tutto ciò che non turba direttamente lo svolgimento dei lavori non dev’essere necessariamente impedito, tuttavia se il Parlamento reputa che questi striscioni nuociano ai lavori… Non mi sembra ci sia una maggioranza che si ritiene disturbata, pertanto continuiamo.
4. Benvenuto
Presidente. - In quanto Presidente, ho il piacere di porgere il benvenuto a una delegazione di 10 parlamentari dell’Assemblea legislativa del Sudan meridionale, guidata dal suo Presidente James Wani Igga, che è venuta fino a Strasburgo per visitare il Parlamento europeo.
(Applausi)
L’Assemblea legislativa del Sudan meridionale, di cui fa parte la delegazione, è stata istituita a seguito dell’Accordo di pace generale firmato nel 2005, al termine di una lunga e brutale guerra civile. L’Assemblea riveste un ruolo cruciale nel monitoraggio dell’attuazione del diritto e dell’Accordo di pace. A nome del Parlamento europeo, vorrei esprimere il nostro sostegno alla vostra Assemblea, che deve affrontare le sfide che si prospettano oggi per il Sudan, soprattutto in vista delle elezioni che si terranno l’anno prossimo. Ci auguriamo che la vostra visita vi aiuti a trovare una soluzione pacifica per il conflitto sudanese e che stimoli il dialogo politico fra il Parlamento europeo e la vostra Assemblea in merito al processo di ricostruzione a seguito del conflitto nel vostro paese. Vi porgo, dunque, il benvenuto al Parlamento europeo.
5. Seduta solenne - 2008, Anno europeo del dialogo interculturale
Presidente. – Onorevoli colleghi, a nome del Presidente del Parlamento europeo, ho l’onore e il piacere, in quest’Anno europeo del dialogo interculturale, di porgere il benvenuto in quest’Aula alla relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione e di credo, la dottoressa Asma Jahangir.
La nostra Assemblea attribuisce particolare importanza all’Anno del dialogo interculturale. Attraverso una serie di manifestazioni e di iniziative, il nostro Parlamento oofre un forum per lo scambio di idee fra cittadini di diverse culture e comunità, e fra cittadini di diverse religioni e credi.
Nel corso di quest’anno, abbiamo già invitato leader politici e religiosi di tutto il mondo a parlare con noi. Ci auguriamo che il nostro Parlamento servirà da forum anche per la comunicazione, la diffusione di un massaggio comune e la promozione di un dialogo libero e genuino e una migliore conoscenza reciproca.
Sono particolarmente lieta di invitare lei, dottoressa Jahangir, a rivolgersi alla plenaria su questioni di vitale importanza per la pace nel mondo e lo sviluppo.
Nell’ambito della nostra missione comune di promozione della democrazia e dei diritti umani, abbiamo osservato attentamente gli eventi nel suo paese, il Pakistan, e durante la sua ultima detenzione l’anno scorso, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione chiedendo la sua liberazione immediata. Soprattutto per questo motivo, siamo particolarmente lieti di averla qui con noi oggi.
Vi è un altro motivo per cui la sua visita è particolarmente significativa in questo momento. Quest’anno celebriamo il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Questa dichiarazione ha avviato una nuova era nel mondo appena uscito dalle tribolazioni della peggiore guerra della storia, una guerra che era iniziata in Europa. La dichiarazione ha stabilito il primo obbligo internazionale formale sulla dignità e l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, indipendentemente dal colore, dal credo o dall’origine. L’articolo 18 della dichiarazione dispone che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.”
Il suo compito quale relatrice speciale delle Nazioni Unite è individuare gli ostacoli esistenti o i possibili ostacoli futuri all’esercizio di questo diritto, e di proporre metodi e misure per contrastarli e superarli.
Nelle sue relazioni, lei sottolinea l’importanza del dialogo continuo e rafforzato con le comunità che aderiscono a diverse religioni o credi. E’ un dialogo che deve essere svolto a tutti i livelli, da tutti i gruppi sociali. In particolare, lei sottolinea l’importanza di una partecipazione diffusa da parte delle donne nel promuovere maggiore tolleranza, rispetto e comprensione reciproca.
In molte delle sue risoluzioni, il Parlamento europeo ha sottolineato il fatto che le donne svolgono un ruolo vitale nella promozione del dialogo e della pace, come è stato anche sottolineato nella conferenza che abbiamo organizzato in occasione della giornata internazionale delle donne. Lei personalmente ha partecipato a molte conferenze sulla promozione del dialogo, ad esempio nel contesto dell’Alleanza delle civiltà. E ha preso numerose iniziative per dare alle donne un ruolo più incisivo.
Ha anche sottolineato il ruolo dell’istruzione come fattore più importante per prevenire i conflitti. L’istruzione può insegnare il rispetto e l’accettazione del pluralismo e della diversità nel contesto della religione e del credo. Contribuisce quindi alla diffusione e all’attuazione dei diritti umani in tutte le società.
Ciò che lei chiede è conforme al motto dell’Anno europeo del dialogo interculturale, “Insieme nella diversità”. Dà completamento al ruolo leader assegnato alle attività tese alla promozione della conoscenza, del rispetto e della tolleranza dei diversi credi.
L’incontro di oggi è una grande occasione. Per coloro che desiderano proseguire la discussione con lei, domani mattina si terrà un incontro speciale, organizzato dalla sottocommissione per i diritti umani.
Dottoressa Jahangir, ho il grande piacere di invitarla adesso a rivolgersi al Parlamento europeo.
(Applausi)
Asma Jahangir, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o di credo. − (EN) Signora Presidente, onorevoli eurodeputati, cari amici, è un grande onore e un immenso piacere essere qui con voi oggi. Vorrei ringraziare calorosamente il Presidente, Hans-Gert Pöttering, per avermi invitata a rivolgermi al Parlamento europeo. Desidero ringraziarvi anche per il sostegno che mi avete offerto sia quale relatrice speciale delle Nazioni Unite, sia a titolo personale, quando ero detenuta lo scorso anno.
La vostra decisione di designare il 2008 quale Anno europeo del dialogo interculturale e di sviluppare varie iniziative correlate è tempestiva e molto importante. La storia dell’Europa è stata forgiata da numerosi episodi positivi di dialogo interculturale. Tuttavia, anche la mancanza di un dialogo costruttivo è evidente, ad esempio se pensiamo alle guerre religiose o alla ghettizzazione di certi credenti nel Medio Evo.
Nel mio discorso, vorrei condividere con voi alcuni pensieri, soprattutto per quanto riguarda il dialogo interreligioso, sulla base dell’esperienza che ho maturato negli ultimi quattro anni quale relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione o di credo. Vorrei soffermarmi su quattro questioni, essenzialmente: il cosa, il perché, il chi e il come del dialogo interculturale.
Iniziamo con la prima questione: che cosa intendiamo per dialogo interculturale? La terminologia sembra essere già di per sé ingannevole: il dialogo “interculturale” include anche il dialogo “interreligioso”? Di certo risponderei alla domanda in senso affermativo, dato che le religioni fanno parte della cultura. Nello stesso tempo, vanno affrontate adeguatamente anche le tensioni “intrareligiose”. Di conseguenza, il dialogo interculturale dovrebbe comprendere anche i credenti di diverse confessioni delle varie religioni e tenere conto delle loro idee.
Cosa ne è del dialogo fra credenti deisti, non deisti e atei? Tutti i credenti sono protetti dalla normativa internazionale sui diritti umani, e dal diritto di non professare alcuna religione o credo. A mio avviso, anche queste dimensioni dovrebbero essere incluse nelle iniziative di dialogo interculturale.
A livello delle Nazioni Unite, vi sono ulteriori termini, quali l’Alleanza delle civiltà o l’“Anno del ravvicinamento delle culture 2010”. Questi titoli evitano la parola “religione”, spesso controversa, ma sono destinati a promuovere il dialogo interreligioso e interculturale, la comprensione e la cooperazione per la pace.
Quindi, il “dialogo interculturale” potrebbe essere visto come un termine globale, che comprende le varie dimensioni indicate prima: dialogo interreligioso e approcci intrareligiosi, anche quando coinvolgono gli atei. Apprezzo molto il modo in cui il Parlamento europeo e il Consiglio hanno descritto gli obiettivi del dialogo interculturale nella decisione 1983/2006/CE, che ha istituito l’Anno europeo “per rafforzare il rispetto della diversità culturale e rispondere alle complesse esigenze delle nostre società e della coesistenza di identità culturali e credi diversi. È inoltre importante sottolineare il contributo delle varie culture al patrimonio e al modo di vivere degli Stati membri dell’UE e riconoscere che la cultura e il dialogo interculturale costituiscono gli strumenti per eccellenza per imparare a vivere insieme armoniosamente”.
Aspetto più importante, lo Stato deve attenersi alle politiche e sviluppare abilità di governance per includere diversi interessi. Sia il governo che la società civile hanno un proprio ruolo nella creazione di un ambiente in cui le persone di religioni e credi diversi possano interagire senza sforzi. In quanto tale, il concetto di dialogo interculturale deve essere ampliato.
Ciò mi porta alla seconda questione: perché il dialogo interculturale è importante? Sono convinta che il mantenimento di un dialogo interculturale sia della massima importanza per superare gli atteggiamenti settari e intransigenti e per favorire la tolleranza religiosa in tutto il mondo. Al di là dell’istruzione, il dialogo interreligioso costituisce uno degli strumenti principali per prevenire incomprensioni, conflitti e violazioni nel settore della libertà di religione o di credo. Se condotto con successo, il dialogo interculturale può infatti promuovere tolleranza, rispetto e comprensione.
Sebbene culture e religioni possano essere molto diverse, non è giustificato dire che, poiché sono diverse, non hanno uno status di uguaglianza. Molte persone, indipendentemente dalla loro religione o dal loro credo, aderiscono a valori universali, ma vi sono sempre quelli che tentano di dimostrare che la loro cultura, la loro religione, la loro lingua o la loro storia sono superiori a quelli dei loro vicini. Il mio predecessore quale relatore speciale delle Nazioni Unite, il professore Abdelfattah Amor, tunisino, ha già chiesto se vi è qualcosa che le persone non abbiano fatto nel corso della storia “nel nome della religione”. Tuttavia, le religioni condividono molti valori morali che potrebbero e dovrebbero consentire di arrivare a una concetto comune di rispetto.
Durante le mie visite nei vari paesi, ho osservato quanto possono essere vantaggiosi gli sforzi tesi al dialogo interreligioso. Nello stesso tempo, l’assenza di tale dialogo può essere un segnale di allarme precoce di future tensioni interreligiose e conflitti. E’ evidente che il dialogo da solo non risolve i problemi di base; può essere, piuttosto, un primo passo nella giusta direzione. Il dialogo interreligioso non dovrebbe essere soltanto un esercizio intellettuale e teologico, ma può anche attivare la maggioranza silente a cercare una strategia comune per l’armonia e la pace. Vi sono episodi di successo di dialogo interreligioso; tuttavia, gli sforzi locali raramente sono evidenziati dai media – a differenza dalle violenze interreligiose.
Vorrei condividere con voi due esperienze delle mie recenti missioni esplorative, che dimostrano che gli interlocutori non devono andare lontano per condurre un dialogo significativo. Durante la mia visita a Israele e nei territori occupati della Palestina, sono stata informata di vari incontri fra fedi nell’ambito dei quali i residenti israeliani e palestinesi si sono riuniti e non hanno consentito ai recenti eventi politici di ostacolare il loro dialogo. Una ONG ha riportato: “sia israeliani che palestinesi hanno parlato di frustrazione e di disperazione sugli atteggiamenti estremi di ciascuna società e della riluttanza della maggioranza di lavorare insieme in modo non violento per trovare soluzioni. Entrambe le parti hanno parlato della necessità che l’altra parte riconosca la propria violenza ed esprima rincrescimento”.
Inoltre, nell’Irlanda del Nord, ho osservato l’importanza del dialogo interreligioso nelle periferie: a Belfast vi sono molte iniziative a livello locale che riuniscono persone di diversi ambienti politici e religiosi, alcune delle quali vivono vicine, ma divise dalle cosiddette “linee della pace”.
Questo ci porta alla terza questione: chi dovrebbe essere coinvolto nel dialogo interculturale? Il Vertice del millennio sulla pace mondiale, tenutosi a New York nell’agosto 2000, ha riunito oltre 1 000 leader religiosi e spirituali. Nel loro impegno finale per la pace globale, hanno sottolineato che è possibile raggiungere una pace reale solo se le comunità riconoscono la diversità culturale e religiosa della famiglia umana in uno spirito di rispetto reciproco e di comprensione.
Gli incontri dei capi religiosi sono importanti, ma, nello stesso tempo, dovrebbe essere incoraggiato e promosso anche il dialogo interreligioso a livello della base. A mio avviso, se possibile, gli scambi di opinioni dovrebbero includere i credenti obiettivi sulla loro fede, nonché gli atei e i non deisti, così come i membri delle minoranze religiose. Qualsiasi dialogo trarrebbe un sostanziale vantaggio dalla partecipazione delle donne, che tendono a essere emarginate negli eventi più importanti di dialogo interreligioso. Le donne sono fra le principali vittime dell’intolleranza religiosa, eppure ho notato che i gruppi di donne fra le varie religioni sono stati efficaci difensori dei diritti umani in situazioni di tensioni fra comunità.
Talvolta può essere anche utile riunire persone che, pur condividendo la stessa fede, hanno opinioni diverse. Un buon esempio della mia recente visita nel Regno Unito è una tavola rotonda a Londra, che riguardava anche le legislazione contro la discriminazione per motivi di orientamento sessuale e le eccezioni legali per le organizzazioni riguardanti la religione o il credo. Quella discussione sarebbe stata completamente diversa senza la partecipazione dei membri del movimento cristiano delle lesbiche e degli omosessuali.
Anche gli artisti possono svolgere un ruolo importante nell’istruzione pubblica sulla tolleranza religiosa e nella costruzione di ponti fra le diverse comunità. Un buon esempio è la West-Eastern Divan Orchestra, composta da giovani musicisti israeliani, palestinesi, libanesi, siriani, giordani ed egiziani. Il suo fondatore e direttore, Daniel Barenboim, ha descritto l’idea umanitaria di questa orchestra nel modo seguente: “Non ci consideriamo un progetto politico, ma piuttosto un forum in cui i giovani di Israele e di tutti i paesi arabi possono esprimersi liberamente e apertamente, sentendo nello stesso tempo la narrativa degli altri. Non si tratta necessariamente di accettare la narrativa dell’altro, anche solo di concordare con essa, ma piuttosto dell’assoluta necessità di accettarne la legittimità”.
La mia visita più recente in India, tuttavia, ha anche mostrato quanto si sentano vulnerabili persino gli artisti rispetto alla pressione di massa sulle strade. L’industria delle arti visive lì ha svolto un ruolo importante nell’istruzione pubblica per quanto riguarda la tolleranza religiosa. Tuttavia, alcuni film di Bollywood sono stati effettivamente vietati da attori non statali attraverso intimidazioni. Purtroppo, i professionisti dell’industria delle arti audiovisive sembrano cercare sempre l’approvazione di custodi autonominatisi dei sentimenti religiosi prima di continuare un film che tocca questioni di interesse per le comunità. Questo dimostra quanto sia importante il contributo dell’artista per il dialogo interculturale – o almeno potrebbe essere. Anche i giornalisti e gli avvocati possono fare la differenza, specialmente quando le loro dichiarazioni e azioni trascendono le fila religiose. Vi sono innumerevoli esempi in cui le persone sono venute in soccorso le une verso le altre, superando tutti i confini religiosi.
Inoltre – e questo è un aspetto più importante – i politici dovrebbero intraprendere una discussione critica comune su come affrontare le nuove sfide in un mondo sempre più globalizzato. Tale discussione critica, alla fine, potrebbe portare ad azioni concrete per integrare la diversità, ad esempio nel contesto di progetti alloggiativi, nei piani di studio scolastici e nelle nomine a organi statutari.
Infine, vorrei sollevare la quarta questione: come è possibile condurre il dialogo intercultural con efficacia? Vi sono diversi livelli di dialogo interculturale: le organizzazioni internazionali e regionali come l’ONU, l’UE e l’OIC possono svolgere un ruolo per facilitare piattaforme di dialogo interculturale. Inoltre, attualmente le ONG stanno proponendo di portare avanti la cultura della pace attraverso il dialogo e la cooperazione fra individui e comunità di diverse religioni e credi durante un decennio dell’ONU di dialogo interreligioso e di cooperazione per la pace, possibilmente dal 2011 al 2020. Al riguardo, sembra essenziale avere una varietà di buone iniziative a livello globale, regionale, nazionale o locale. Vorrei sottolineare che è anche possibile usare strumenti di comunicazione vecchi, nuovi e creativi per stabilire il dialogo interculturale a basso costo, ad esempio attraverso programmi per amici di penna nelle scuole o chat in Internet su argomenti specifici, teatro di strada e spettacoli di pupazzi.
I programmi dell’UE per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita possono servire – e già lo fanno – da piattaforme perfette per il dialogo interculturale e interreligioso. I vari programmi sono infatti esempi di buone pratiche: Comenius mira a sviluppare la comprensione delle e fra le varie culture europee attraverso scambi e cooperazione fra scuole in diversi paesi; più di 1,5 milioni di studenti hanno già partecipato al programma di scambio dell’insegnamento superiore Erasmus; il programma Leonardo da Vinci finanzia la mobilità transazionale nell’istruzione e formazione professionale; il programma Grundtvig offre nuove opportunità di apprendimento, specialmente per gli adulti a rischio di esclusione sociale e ai lavoratori più anziani; e, infine, la rete Jean Monnet stimola l’insegnamento, la ricerca e la riflessione sull’integrazione europea nelle istituzioni di istruzione superiore in tutto il mondo. Vorrei sottolineare quanto sia importante per l’Unione europea raggiungere il mondo intero, specialmente nel quadro del dialogo interculturale.
Il ruolo delle istituzioni scolastiche è fondamentale. Esse potrebbero inculcare uno spirito di tolleranza o promuovere tensioni, anche in tenera età. Pertanto, l’attenzione va rivolta all’istruzione illuminata che insegni ai bambini a riconoscere le diversità esistenti. Vi è un importante potenziale di scambi scolastici volontari con altri paesi, sia in Europa che nel resto del mondo. Al riguardo, vorrei fare riferimento alla conferenza consultiva internazionale del 2001 sull’istruzione scolastica in relazione alla libertà di religione o di credo. Sulla tolleranza e la non discriminazione. Ha adottato per consenso il documento finale di Madrid, che ha raccomandato che gli insegnanti e gli studenti ricevano opportunità non remunerate di incontri e scambi con i loro omologhi di religioni o credi diversi.
La famiglia è un altro punto d’ingresso in cui l’apertura mentale può essere ostacolata o alimentata, e molto dipende dall’educazione individuale. Inoltre, i matrimoni misti – abbastanza naturalmente – offrono nuove prospettive e possono facilitare il dialogo interculturale o interreligioso. A mio avviso, è importante iniziare in tenera età a familiarizzare con gli approcci dei vicini o di altre religioni. Questo non comporta necessariamente viaggi su lunghe distanze, ma, ad esempio, si potrebbe procedere mettendo piede nella chiesa, nella moschea, nella sinagoga o nel tempio locale o in altri luoghi di culto e incontrarvi persone. La dimensione dei gruppi – specialmente per gli incontri fra fedi a livello locale – non dovrebbe essere troppo grande, per dare agli interlocutori l’opportunità di parlare e di conoscersi personalmente.
Tuttavia, vi sono molti rischi potenziali per il dialogo interculturale: se non viene condotto adeguatamente, può diventare un esercizio superficiale, vago e inefficace. Inoltre, il dialogo interculturale può anche essere usato come strumento per sottolineare gli aspetti negativi dell’“altro”. I partecipanti possono sentirsi tentati di convincere i loto interlocutori della superiorità della loro religione o cultura.
Per quanto riguarda la possibile sostanza del dialogo, vi è anche una questione fondamentale cui va data una risposta. I partecipanti dovrebbero porre domande anche sulle loro rispettive religioni e sui loro approcci teologici, o questo sarebbe pericoloso? Sarebbe positivo se gli interlocutori venissero a conoscenza di approcci simili, ma anche delle differenze. Tuttavia, queste differenze possono essere interpretate come questioni delicate o addirittura offensive. Basti pensare a una discussione su argomenti controversi quali: Chi è stato l’ultimo profeta? Dio aveva un figlio? I leader religiosi sono infallibili? Cosa si dovrebbe mangiare e cosa non si dovrebbe mangiare? Esiste la reincarnazione?
Un’alternativa attraente potrebbe essere cercare solo argomenti non controversi che non sono tutti relativi alla teologia, ad esempio discutere di preoccupazioni ambientali comuni. Ma questi argomenti possono essere difficili da trovare e potrebbero essere noiosi e, alla fine, un approccio siffatto svilirebbe lo scopo di un reale dialogo interculturale e interreligioso. Non credo che gioverebbe aggiungere un livello di “correttezza religiosa” all’esistente approccio di correttezza politica.
Talvolta si sente dire da diplomatici che non dobbiamo criticare le religioni se non la nostra. Tuttavia, vorrei chiedervi: il dialogo esclude la possibilità di criticare i dogmi di altre religioni? A mio avviso, in un vero dialogo, una delle opzioni dovrebbe consentire agli interlocutori, alla fine, di essere d’accordo o di dissentire, rispettando sempre ovviamente i pareri e gli approcci reciproci.
(Applausi)
Se qualcuno vuole criticare la religione della controparte, è consigliabile, ovviamente, che lo faccia in modo informato e soppesi le proprie parole attentamente. Inoltre, può essere utile se è già stata stabilita fra i vari gruppi la fiducia reciproca. Credo fermamente, tuttavia, che sarebbe sbagliato seguire l’approccio di proteggere la religione in sé piuttosto che i singoli o i gruppi di credenti, come affermato dalle norme internazionali sui diritti umani.
(Applausi)
In molte occasioni, ho espresso preoccupazioni che la criminalizzazione della cosiddetta diffamazione delle religioni può essere controproducente, dato che può creare un’atmosfera di intolleranza e di timore e può anche aumentare le possibilità di una reazione eccessiva. Le accuse di diffamazione della religione potrebbero soffocare le critiche legittime o anche le ricerche relative alle pratiche e alle leggi che sembrano in violazione dei diritti umani che sono sanciti dalla religione – o dei quali si considera almeno che dovrebbero esserlo.
Infine, credo che lo Stato di diritto e il funzionamento delle istituzioni democratiche siano prerequisiti per la creazione di un clima favorevole che conduca al dialogo reale e alla comprensione. Le persone devono avere fiducia nel sistema e quindi la diversità nelle istituzioni può contribuire a creare tale ambiente. Il dialogo interculturale non dovrebbe essere imposto o disegnato in modo paternalistico. Le politiche nazionali al riguardo dovrebbero dare spazio alla varietà di religioni d credi, creando opportunità naturali per l’interazione e la comprensione.
Queste sono le mie idee riguardo al cosa, al perché, al chi e al come del dialogo interculturale. Temo che, piuttosto che avere offerto, risposte globali, posso avere sollevato tutta una serie di questioni nuove.
Nelle mie osservazioni ho già fatto allusione al potenziale – ma anche alle possibili insidie – del dialogo interculturale. Sembra essenziale istituzionalizzare un dialogo interculturale a vari livelli nel formato giusto e con un’ampia selezione di partecipanti, consentendo sempre un reale scambio di opinioni. Penso che le dichiarazioni comuni dei leader religiosi siano importanti; tuttavia, vorrei cogliere quest’opportunità per sottolineare il ruolo vitale delle iniziative locali, degli incontri concreti e delle azioni comuni. Credo anche che sia meglio avere una guerra di parole che avere tensioni perché queste ultime sono durevoli. Quando i credenti medi deisti, ateisti e non deisti si riuniscono, alcuni di loro forse per la prima volta in assoluto, imparano – speriamo – molto gli uni dagli altri, anche se alla fine non concordano su questioni sostanziali.
I valori universali dovrebbero servire da ponte fra le diverse religioni e i diversi credi e io non accetto il fatto che i valori universali dei diritti umani possano essere e debbano essere subordinati a norme sociali o religiose.
(Applausi)
Questo può, in ultima analisi, portare anche al rafforzamento dei diritti umani universali, in termini sia di promozione sia di protezione dei diritti umani e delle libertà.
In conclusione, vorrei citare Boutros Boutros-Ghali, l’ex Segretario generale delle Nazioni Unite, che ha detto: “I diritti umani, visti da una prospettiva universale, ci spingono ad affrontare la più difficile di tutte le dialettiche: la dialettica dell’identità e della diversità, del “proprio” e “dell’altrui”. Ci insegnano nel modo più diretto che siamo, nello stesso tempo, uguali e diversi”.
(L’Assemblea, in piedi, applaude lungamente)
Presidente. – Dottoressa Jahangir, la ringrazio molto per il suo discorso. Abbiamo ascoltato con molta attenzione quello che lei ha detto, basato sul suo rispetto per i diritti umani e la sua ricchezza di esperienze, e abbiamo compreso qual è la natura del suo importante lavoro.
Mi auguro che la sua visita al Parlamento europeo ci offrirà l’opportunità di una più ampia cooperazione nella nostra missione comune per la democrazia, la pace e lo sviluppo.
Eluned Morgan, relatrice. − (EN) Signor Presidente, questa relazione è la prima di un pacchetto di misure relative ai mercati dell’energia nell’UE. Vi è stata molta cooperazione fra tutti i relatori e i relatori ombra su questo pacchetto e vorremmo inviare un messaggio al Consiglio, ovvero che intendiamo negoziarlo come pacchetto, non some serie di singole relazioni.
Vi è un aspetto della direttiva sull’energia elettrica che ha causato una certa divisione nell’Assemblea. Insolitamente, è una divisione su base nazionale, non di partito politico. Inviterei i colleghi, tuttavia, a considerare la relazione nel suo insieme. Essa prevede la lotta contro la povertà energetica, migliori diritti per i consumatori e misure tese a migliorare il funzionamento del mercato.
– Prima della votazione sull’emendamento n. 169
Anni Podimata (PSE). – (EL) Signor Presidente, vorrei chiedere, ai sensi dell’articolo 150, paragrafo 5, del Regolamento, che l’emendamento sia mantenuto nell’elenco di votazione, dato che è stato sostenuto da 40 deputati.
Presidente. - Lei avrebbe perfettamente ragione se l’emendamento non fosse decaduto a seguito della votazione precedente. Avrebbe potuto riprenderlo lei stessa, ma poiché è decaduto a causa della votazione precedente, purtroppo non può presentarlo personalmente.
6.2. Condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica (A6-0228/2008, Alejo Vidal-Quadras) (votazione)
– Prima della votazione sull’articolo 2 quinquies
Alejo Vidal-Quadras, relatore. − (ES) Signor Presidente, vorrei aggiungere quanto segue all’articolo 2 quinqiues. Lo leggo in inglese:
La rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione di energia elettrica raccoglie tutte le informazioni pertinenti relative all’attuazione dei codici di rete e le trasmette all’Agenzia affinché le valuti”.
(L’emendamento orale è accolto)
6.3. Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (A6-0226/2008, Giles Chichester) (votazione)
– Prima della votazione
Silvia-Adriana Ţicău (PSE). - (FR) Signor Presidente, vorrei chiedere un voto separato sull’emendamento n. 18 perché riguarda la sede dell’Agenzia. Chiedo un voto separato.
Giles Chichester, relatore. − (EN) Signor Presidente, mi oppongo a questa richiesta. La relazione è un pacchetto che è stato concordato fra i gruppi. Non credo sia opportuno presentare una richiesta dopo la scadenza e dispiegare il pacchetto in questo modo. Chiedo quindi ai colleghi di unirsi a me contro tale richiesta.
(Il Parlamento respinge la richiesta)
6.4. Protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili (A6-0081/2008, Francesco Ferrari) (votazione)
6.5. Adeguamento di determinati atti conformemente alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE - Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo (prima parte) (A6-0088/2008, József Szájer) (votazione)
– Prima della votazione
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Vorrei cogliere quest’opportunità per esprimere la mia soddisfazione a nome del Consiglio per i buoni risultati del lavoro a lungo termine e di ampia portata su questo fascicolo tecnico. E’ stato possibile concludere il fascicolo innanzitutto grazie alla cooperazione creativa di tutte e tre le istituzioni e vorrei ringraziare in modo particolare il relatore, l’onorevole József Szájer, per la sua cooperazione e il lavoro svolto.
Adesso che questa parte dell’adeguamento è stata conclusa, entrambi i rami legislativi, e specialmente il Parlamento europeo, potranno esercitare il controllo sui poteri esecutivi della Commissione su numerosi atti legislativi in settori importanti. Infine, vorrei che questo tipo di cooperazione creativa continuasse durante la futura Presidenza francese.
József Szájer, relatore. − (EN) Signor Presidente, a seguito del voto appena espresso, per la prima volta il Parlamento acquisisce il diritto reale di controllo e di veto sugli atti normativi esecutivi della Commissione europea su un piede di parità con il Consiglio.
Adottando i due pacchetti omnibus, compiano un enorme passo per eliminare il deficit democratico dell’Unione. Vorrei anche ricordare ai colleghi che il nostro nuovo potere di controllo sull’esecutivo dell’UE ci richiede più lavoro di prima. Il Parlamento deve prepararsi per il nuovo compito della procedura di comitatologia.
Ringrazio il Consiglio, e in modo particolare la Presidenza slovena, e la Commissione, soprattutto perché entrambi stanno cedendo diritti importanti e finora esclusivi al Parlamento, ed entrambi stanno perdendo poteri esclusivi. Vorrei ringraziare inoltre i nostri colleghi delle rispettive commissioni che comprendono l’importanza dei nuovi poteri del Parlamento europeo. Hanno agito con prontezza e flessibilità sul nuovo fascicolo. Il nostro voto di oggi contribuirà in misura significativa a un’Unione europea migliore, più democratica e più trasparente. Vi ringrazio per il vostro sostegno.
(Applausi)
6.6. Adeguamento di determinati atti alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE - Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo (terza parte) (A6-0086/2008, József Szájer) (votazione)
6.7. Contingenti tariffari comunitari autonomi sulle importazioni di alcuni prodotti della pesca nelle Isole Canarie. (A6-0213/2008, Gerardo Galeote) (votazione)
6.8. Statuto del Mediatore europeo (A6-0076/2008, Anneli Jäätteenmäki) (votazione)
– Prima della votazione sull’emendamento n. 8
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) La Presidenza desidera confermare, a nome del Consiglio, l’approvazione della modifica dello Statuto del Mediatore europeo, che è stata oggetto di votazione da parte di questa stimata Assemblea.
Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare il Parlamento europeo e la Commissione europea per la loro cooperazione creativa. Sulla base di questa cooperazione creativa, abbiamo raggiunto l’accordo sulla modifica dello Statuto in un periodo relativamente breve. Uno speciale ringraziamento a nome del Consiglio va alla relatrice, l’onorevole Jäätteenmäki, al presidente della commissione AFCO, l’onorevole Leinen, e all’onorevole Méndez de Vigo.
Il Consiglio accoglie con favore questo importante risultato. Crediamo infatti che la modifica dello Statuto farà aumentare la fiducia dei cittadini nell’adeguato funzionamento delle istituzioni europee e dell’Unione europea nel suo insieme.
PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS Vicepresidente
7. Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto orali
– Approvazione della nuova attribuzione delle competenze del Vicepresidente della Commissione Jacques Barrot (B6-0306/2008)
Urszula Gacek (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, ho sostenuto la candidatura del Commissario Barrot nella votazione di oggi. Il Commissario si è impegnato a adottare una posizione forte nei negoziati con gli Stati Uniti sul rilascio di visti gratuiti per viaggi turistici in favore dei cittadini di tutti i paesi dell’Unione europea. Inoltre, la proposta del Commissario sui problemi dei coloro che richiedono asilo nello spirito di solidarietà, e in particolare l’offerta di assistenza ai paesi come la Polonia che sono responsabili della sicurezza dei confini esterni dello spazio Schengen, mi ha convinta che il Commissario Barrot ha una solida padronanza dei problemi rientranti nella competenza della Direzione generale “Giustizia, Libertà e Sicurezza”.
Jean-Luc Bennahmias, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, vorrei scusarmi innanzi tutto per la mia assenza durante questo voto cruciale. Poiché il treno da Parigi a Strasburgo ha subito un’ora e un quarto di ritardo, doversi colleghi, come me, non hanno potuto votare per la direttiva e la risoluzione. Al pari del mio gruppo, avrei votato completamente contro la risoluzione e la direttiva.
Vorrei esprimere qui il mio più profondo disgusto. La dignità che regna in questo Parlamento e nell’Unione europea non è uguale a quella dei centri di permanenza temporanea nei quali si mettono decine, se non centinaia o migliaia di nostri concittadini provenienti dall’immigrazione o immigrati. Dietro tutto ciò vi è una specie di autodifesa da parte dell’Unione europea che, dal mio e dal nostro punto di vista, non è accettabile.
Oggi, ovviamente, dobbiamo gestire i flussi migratori, ma rispetto all’immigrazione economica, rispetto all’immigrazione climatica che non tarderà ad arrivare, non si può rispondere con azioni di difesa come quelle che sono state votate poco fa. Se l’Unione europea, il Parlamento europeo, la Commissione europea e il Consiglio europeo mettessero a disposizione gli aiuti allo sviluppo necessari, indispensabili, avremmo forse il diritto di reagire in questo modo, ma ancora non siamo a questo punto. Siamo allo 0,38 per cento de bilancio, invece che allo 0,42 per cento, mentre avevamo pianificato lo 0,7 per cento.
Ve lo dico oggi in tuta serietà: ho vergogna per la nostra Assemblea e ho vergogna per l’Unione europea che vogliamo costruire, che dovrebbe invece essere un’Unione europea ospitale, in grado di accogliere tutti i cittadini del mondo.
Sylvia-Yvonne Kaufmann, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, il compromesso raggiunto fra il relatore del Parlamento europeo, l’onorevole Weber, e i ministri dell’Interno sulla cosiddetta direttiva “rimpatrio” è un cattivo compromesso che getta dubbi sulla credibilità dell’Unione europea nel campo dei diritti umani. Il mio gruppo quindi respinge con forza la direttiva.
Quale colegislatore, il Parlamento europeo aveva il dovere giuridico e morale di lavorare per raggiungere norme accettabili, ma soprattutto compatibili con la dignità umana. Avrebbe dovuto esercitare questa responsabilità a pieno titolo e lottare per tali norme, Invece, una maggiorana in quest’Aula ha consentito al Consiglio di imporre le sue norme, solo affinché la direttiva possa essere portata avanti in prima lettura. Anche se la direttiva potrebbe migliorare la posizione giuridica in taluni Stati, forse perché il diritto nazionale non stabilisce un limite superiore sul periodo di permanenza, è il contesto generale a essere cruciale.
La direttiva legittima il trattenimento fino a 18 mesi per le persone il cui unico “reato” è cercare una vita migliore per se stessi e le loro famiglie in Europa. A nostro avviso, l’attuale pratica di espulsione non giustifica né scusa il trattamento dei bisognosi come criminali, adesso o in futuro. Invece di dare la loro benedizione all’attuale pratica – che viola i diritti umani di “cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente” anche a livello europeo, gli Stati membri dovrebbero cercare una soluzione duratura al problema dell’immigrazione.
Per il nostro gruppo, questo significa, soprattutto, stabilire alla fine una politica comune sull’immigrazione legale che salvaguardi i diritti umani dei migranti e offra prospettive alle persone bisognose che entrano in Europa, spesso rischiando la loro vita nel farlo.
Il Parlamento europeo ha perso l’opportunità di agire in base alla sua responsabilità e di resistere al Consiglio. Gli appelli urgenti di numerose organizzazioni per i diritti umani e delle chiese purtroppo sono stati ignorati.
Kinga Gál (PPE-DE). - (HU) Anch’io vorrei aggiungere una dichiarazione sul mio voto sulla relazione Weber. Quale membro di quest’Assemblea credo sia importante adottare questa relazione, che rappresenta un primo passo verso una politica dell’Unione europea sull’immigrazione. Nel contempo, quale avvocato per i diritti umani e i diritti delle minoranze, credo che il mio “sì” sia giustificato. La relazione Weber è il risultato di un difficile compromesso, nel corso del quale il Parlamento è stato in grado di garantire l’incorporazione nel testo di numerosi punti di vista umanitari e sui diritti umani. Nei settori in cui non vi è regolamentazione, questo rappresenta un progresso. Nei settori in cui esiste già una regolamentazione con un’ampia base, non può sminuire gli standard più elevati. Come accade con tutti i compromessi, vi sono punti deboli nel testo. Comprendo quindi le riserve espresse da organizzazioni religiose e da laici, concordo con loro che non possiamo consentire al linguaggio altisonante della legislazione di essere usato per eludere considerazioni umanitarie e i diritti umani. Non possiamo consentire che questo testo sia la fonte di nuove tragedie o divida famiglie; vi è già abbastanza sofferenza nelle vite degli immigrati che vengono da noi in cerca di un’esistenza più umana. Grazie.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione Weber, ma voglio dire che l’ho fatto con qualche riserva. La sinistra e l’estrema sinistra hanno protestato ferocemente contro la direttiva. L’hanno presentata come se i diritti umani dei clandestini fossero negati in maniera lampante dalla direttiva, mentre in realtà è proprio il contrario. Per la prima volta, ad esempio, la regolarizzazione dei clandestini da parte di una direttiva europea è considerata coma un’opzione politica accettabile. Inoltre, gli Stati membri sono obbligati a fornire il patrocinio legale gratuito ai clandestini che ne facciano richiesta.
E’ inaccettabile che si rivendichino diritti da una situazione di illegalità. Molti elementi della direttiva sono del resto del tutto facoltativi. Detto questo, la direttiva offre ad alcuni Stati la possibilità di trattenere i clandestini più a lungo in vista della loro espulsione. E’ positivo anche il divieto di reingresso per cinque anni nel resto dell’Europa dopo l’espulsione. Il problema dell’immigrazione richiede tuttavia misure molto più radicali rispetto a quanto sostenuto nella relazione, ma è un passo nella giusta direzione.
Frank Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, guardiamo alle cifre con calma. In circa cento anni la popolazione mondiale si sarà moltiplicata da 1 miliardo a 7 miliardi di persone sulla terra. Questa esplosione di popolazione non può continuare senza conseguenze per un continente europeo prospero che deve lottare inoltre contro un enorme deficit demografico. I problemi dell’immigrazione che conosciamo oggi sono particolarmente gravi, ma adesso sono ancora gestibili rispetto a cosa ci aspetterà nei decenni futuri. Da questo punto di vista, le misure contenute in questa presunta direttiva sui rimpatri sono realmente futili e sicuramente insufficienti. Sarà necessario molto più che una processione di Echternach di misure deboli per frenare i flussi illegali. Ma poiché è meglio un piccolo segnale per una politica di rimpatrio dei clandestini che nulla del tutto, ho votato senza entusiasmo a favore della relazione Weber.
Romano Maria La Russa (UEN). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi abbiamo compiuto, con il voto positivo alla relazione Weber, forse un passo decisivo per delineare un quadro completo di lotta alla clandestinità, in grado di dare risposta all’esigenza di sicurezza che moltissimi cittadini europei, spesso vittime dei crimini degli extracomunitari, ci chiedono.
Ho appurato, ho notato con piacere che il Parlamento europeo finalmente, garanzia di libertà e dei diritti di tutti gli uomini, si è espresso in favore di una politica comune per rispondere alle esigenze degli Stati membri nella lotta all’immigrazione clandestina. Si è chiarito che l’obiettivo non è solo quello di accertare i casi di illegalità, bensì anche quello di assicurare procedure di rimpatrio chiare, trasparenti e veloci. Non solo dunque decisioni repressive del fenomeno, come qualcuno avrebbe voluto far credere, quale il divieto …
(Il Presidente toglie la parola all’oratore)
Ignasi Guardans Cambó (ALDE). - (ES) Ho votato a favore di alcuni emendamenti – quattro, per essere precisi – che miravano a migliorare questa direttiva. Ma ala fine ho votato anche a favore della direttiva, sebbene questi emendamenti non siano stati approvati.
Credo che questa direttiva migliori sostanzialmente i diritti degli immigranti soggiornanti irregolarmente in numerosi paesi dell’Unione europea. E’ è un fatto che non si può negare: basta paragonare le legislazioni esistenti in questo momento nell’Unione.
Certo, non è la direttiva che alcuni di noi avrebbero redatto, se avessero avuto la possibilità di farlo. Ma devono esistere equilibri nel processo di codecisione fra la legittimità del Parlamento europeo e la legittimità dei parlamenti e dei governi nazionali.
Sono i parlamenti nazionali ad avere adesso una grande responsabilità in termini di attuazione della direttiva, proprio come la Commissione europea e la Corte di giustizia nel controllo della sua attuazione. Da oggi, le restrizioni ai diritti negli Stati membri sono soggette al diritto europeo. Non sono più decisioni nazionali.
Carlo Fatuzzo (PPE-DE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, vedo con piacere che ho sempre l’ammirazione di molti colleghi, che ringrazio naturalmente per avere aspettato di ascoltare perché ho votato a favore di questa relazione Weber.
Signor Presidente, io credo che siamo di fronte a qualcosa di non molto diverso dalle invasioni barbariche dell’Impero romano 2.000 e passa anni fa. Allora l’Impero romano venne invaso da truppe in armi e i romani si difesero con le armi ma soccombettero, come tutti sappiamo, con gravi disastri.
Oggi che in Europa arrivano abitanti che provengono da tutti gli altri Stati del mondo – certo, hanno ragione perché hanno fame, anche i barbari avevano fame e volevano cibarsi alle fontane di Roma – l’Europa ha il diritto di difendersi e di stabilire che chi vuole invadere i nostri territori deve essere riaccompagnato alle frontiere.
Jean-Claude Martinez (NI). – (FR) Signor Presidente, con 10 milioni di clandestini in Europa e 300 passeggeri per Boeing, occorrerebbe far decollare più di 30 000 Boeing per soddisfare le disposizioni della direttiva “rimpatrio”. Ciò significa il decollo di più di 1 000 Boeing da ciascuna delle 27 capitali europee per tre anni.
In termini di numeri, è una proposta pazza e surreale. Ma c’è ancora qualcosa di più folle. Dato che l’immigrazione è, di fatto, il riflesso sociale della globalizzazione economica in cui il capitalismo planetario mette in concorrenza i lavoratori, noi stiamo elaborando una direttiva per trattare il riflesso di un problema. Non so se si tratti di ipocrisia o di una barzelletta, ma è in ogni caso miopia. Sul pianeta, i nomadi si spostano perché vogliono mangiare, bere, curarsi, istruirsi. L’alimentazione e la sua crisi, l’acqua e la sua suddivisione, le pandemie e la loro diffusione fanno già parte di ciò che le nazioni hanno in comproprietà planetaria. Quanto più rapidamente tratteremo e gestiremo in termini politici i nostri problemi comuni, tanto più rapidamente tratteremo...
(Il Presidente toglie la parola all’oratore)
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, gli emigrazionisti hanno condotto una campagna di disinformazione contro questa direttiva sul rimpatrio dei clandestini che essi chiamano “direttiva della vergogna”. E’ solo una commedia politica ben organizzata fra sinistra e destra. La sinistra protesta per ottenere diritti supplementari per gli immigrati che ottiene, dando un’etichetta di rigidità fittizia.
In realtà, questo testo, così come modificato, protegge i diritti dei clandestini rimpatriabili e il loro trattenimento in Europa più di quanto non garantisce il loro rimpatrio. Il trattenimento in un centro chiuso è una soluzione finale estremamente restrittiva; la sua durata di 18 mesi è solo un limite massimo eccezionale. Gli Stati che hanno limiti legali inferiori li conserveranno. La scadenza per il rimpatrio volontario evita agli interessati l’interdizione dal territorio dell’Unione e gli Stati sono invitati a procedere, al minimo pretesto, a una regolarizzazione. In altre parole, la Francia, che ha la legislazione più lassista d’Europa, non sarà obbligata a modificarla e ancor meno a irrigidirla. Il Presidente Sarkozy potrà far credere il contrario, aiutato in questo dalle gesticolazioni della sinistra. E’ solo in ragione dei pochi aspetti positivi del documento che...
(Il Presidente toglie la parola all’oratore)
Daniel Hannan (NI). - (EN) Signor Presidente, abbiamo assistito a un magnifico simbolismo questa mattina. Uno dopo l’altro, gli oratori si sono alzati e hanno detto che avrebbero rispettato gli irlandesi. Poi, subito dopo, durante la votazione, abbiamo portato avanti questa relazione, che è il primo passo verso la creazione di una politica comune in materia di immigrazione e di asilo, che avrebbe dovuto essere una vasta parte del Trattato di Lisbona.
Se rispettassimo seriamente il voto degli irlandesi, lungi dal procedere con questa furtiva attuazione delle disposizioni di quel testo, dovremmo iniziare a modificare quelle parti che sono state presentate in previsione di un voto positivo, fra cui il servizio europeo di azione esterna e la Carta dei diritti fondamentali.
Il Commissario Wallström ha detto questa mattina che era importante scoprire perché le persone avevano votato no. Contro cosa avevano votato? ha chiesto. Vorrei aiutarla a questo proposito. Ipotizzo che hanno votato contro il Trattato di Lisbona. Il regalo era la scheda che chiedeva se volevano approvare il Trattato di Lisbona.
L’onorevole Cohn-Bendit ha detto che sarebbe sbagliato che un milione di persone decida il destino di mezzo miliardo di europei. Bene, sono lieto di concordare con lui. Date anche al mezzo milione i loro referendum. Pactio Olisipiensis censenda est!
Richard Seeber (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, ho respinto questa relazione perché non è efficace su tre punti. In primo luogo, non è stato possibile garantire l’adozione degli emendamenti nn. 170 e 171, che erano particolarmente importanti in termini di reti regionali e avrebbero creato esenzioni giustificate per motivi di dimensione.
In secondo luogo, neanche la terza soluzione è stata accettata. E’ importante avere prevedibilità nella pianificazione del settore energetico, ma purtroppo la Commissione ha prevalso con la sua legal unbundling (disaggregazione giuridica) e l’unbundling totale (disaggregazione totale). A mio avviso, è improbabile che procederemo nella giusta direzione.
In terzo luogo, non siamo riusciti a stabilire la responsabilità dell’industria nucleare in caso di incidenti. Per tutti questi motivi, il partito popolare austriaco (ÖVP) si è opposto alla relazione e non ha potuto votare a favore del pacchetto.
Tomáš Zatloukal (PPE-DE). - (CS) Ho votato a favore della relazione della collega Morgan perché concordo che è necessario garantire un approvvigionamento sicuro di gas e di elettricità, un mercato sostenibile di energia a basse emissioni di carbonio e una competitività globale. Il modo per raggiungere quest’obiettivo era una delle questioni discusse ieri qui in plenaria. Non vi sono prove chiare che la piena disaggregazione della proprietà porti automaticamente all’aumento degli investimenti e al miglioramento del rendimento di rete. Al riguardo, credo che vi sia ancora spazio di manovra nella ricerca di una soluzione vantaggiosa sia per i consumatori che per altre parti che potrebbero desiderare di entrare nel mercato. Per creare un mercato dell’elettricità paneuropeo, sono necessari una forte cooperazione regionale nel settore della trasmissione transfrontaliera e il coordinamento degli investimenti e delle attività operative. Di conseguenza, sostengo l’idea di rafforzare i meccanismi di coordinamento della cooperazione regionale.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, il mercato comune implica maggiore concorrenza e di conseguenza standard più elevati. I partecipanti al mercato sono quindi obbligati a procedere agli investimenti opportuni e a migliorare la capacità delle loro reti di distribuzione. Questo porta a forniture più sicure e a minori problemi con l’approvvigionamento energetico. La creazione di un mercato interno dell’energia è molto importante, dato che è possibile osservare che la domanda di energia aumenta costantemente. Il mercato interno dell’energia rappresenta un passo importante nella giusta direzione, ma non è ancora abbastanza per assicurare la sicurezza energetica all’Europa. Dobbiamo elaborare una politica energetica comune nello spirito di solidarietà. Dovrebbero essere creati meccanismi idonei, che consentano agli Stati membri di sostenersi reciprocamente in caso di crisi energetiche. E’ ancora più importante, tuttavia, che l’Europa inizi a parlare con una sola voce sulla politica energetica esterna. La sicurezza energetica può essere raggiunta solo attraverso una politica coerente, efficace e soprattutto comune.
Syed Kamall (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione Morgan. Ho pensato che contenesse alcuni elementi molto importanti. Abbiamo ovviamente bisogno di un’industria energetica molto più competitiva in Europa per garantire che tutti gli europei beneficino di una migliore concorrenza, di prezzi più bassi e di servizi di qualità migliore.
Ho accolto con favore in particolare il passaggio sulla generazione decentrata, specialmente dove dice ‘Occorre assicurare che l’energia sia restituita ai cittadini grazie al sostegno alla generazione locale e alla microgenerazione’. Quelli di noi che sostengono la democrazia diretta in un’agenda di localismo direbbero, “Perché fermarci all’energia?”. Perché non restituire più potere a tutta una serie di settori, non solo ai governi nazionali, ma anche alle comunità locali – le persone più vicine alla questione sulla quale si legifera? Qui sono con i colleghi Daniel Hannan e Chris Heaton-Harris, che sono anche membri di una grande organizzazione denominata Movimento per la democrazia diretta. Se credete davvero nel potere alle persone, dovremmo restituire loro il potere e chiedere loro cosa vogliono. Se realmente chiedete loro di esprimersi sul Trattato di Lisbona – come abbiamo fatto in Irlanda – direbbero “no”.
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, anch’io ho sostenuto la relazione Morgan perché sono convinto che dovremmo disaggregare completamente la proprietà in questo particolare settore, e l’esperienza degli Stati membri indica che la piena disaggregazione della proprietà porta favorisce l’aumento degli investimenti e il miglioramento del rendimento della rete.
Tuttavia, vorrei parlare anche della generazione locale, perché credo che sia un buon passo avanti, nella misura in cui i progetti locali sono sostenuti da persone locali e avvantaggiano l’area locale.
Nella regione che rappresento, nella circoscrizione di Daventry, abbiamo una serie di proposte su parchi eolici non voluti. Alcune sono state accantonate, altre stanno andando avanti, ma nessuna servirà all’area locale. Sono tutte basate su un certo tipo di nuova “agricoltura dei sussidi”, creata da una direttiva del governo britannico che stabilisce che dobbiamo percorrere questo cammino particolare delle energie rinnovabili e nient’altro. E’ un’impostazione miope su cosa dovremmo fare.
Di sicuro, se scenderemo alla più locale delle aree per produrre la nostra energia, dovremmo confidare che le persone localmente scelgano le soluzioni di cui hanno bisogno.
Richard Seeber, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, ho votato a favore di questa relazione. Credo sia sensato avere un mercato interno europeo nel settore energetico, quindi abbiamo bisogno di una rete di operatori del sistema di trasmissione. Tuttavia, dobbiamo garantire che quando si tratta dell’attuazione, creiamo genuinamente un terreno di gioco paritario, lasciando spazio nello stesso tempo alle esenzioni regionali. Deve essere possibile offrire sovvenzioni trasversali fra i vari settori energetici per garantire l’approvvigionamento energetico nelle regioni e nelle valli più remote dell’Europa e nelle isole. Possiamo presumere che la fornitura di energia in queste zone sia molto più costosa, e quindi finanziariamente meno attraente per le imprese; dobbiamo quindi poter raggiungere un equilibrio adeguato in materia.
Una breve osservazione per i colleghi britannici: da quando mi è dato di sapere, in Gran Bretagna si è tenuto un unico referendum, ovvero per l’adesione alla Comunità. Forse dovreste cambiare la vostra costituzione nazionale per consentire l’introduzione di questo strumento di democrazia diretta. E’ qualcosa che apprezzerei molto.
Syed Kamall (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, mi scuso per il ritardo nell’alzarmi per parlare. Stavo applaudendo all’oratore precedente che ha fatto una conclusione molto valida del suo discorso.
Le mie osservazioni sono rilevanti anche per la relazione Chichester, quindi penso che formulerò le mie osservazioni insieme, piuttosto che chiedere di parlare due volte separatamente. In un certo senso, questa relazione può mettere in evidenza uno dei potenziali difetti del pensiero degli eurocrati e delle persone che spesso siedono in quest’Aula, ovvero che, qualunque sia il problema, l’Europa deve essere la soluzione. Certo, accolgo con favore un’Agenzia dei regolatori europei in cui i regolatori nazionali lavorino insieme, ma non dimentichiamo che spessissimo i regolatori che sono nella condizione migliore per capire le circostanze locali sono i regolatori nazionali.
Non consentiamo a quest’organo di diventare un super-regolatore europeo. Facciamo in modo che il regolatore comprenda le sfumature locali e sia realmente responsabile nei confronti delle persone locali. Se fossimo responsabile nei confronti delle persone locali, queste avrebbero l’opportunità di votare contro la costituzione.
Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, sto già pensando al mio comunicato stampa e credo che inizierò parlando di un’“Aula stracolma” – sebbene forse dovrei parlare di “una cabina di interpretazione stracolma”. Apprezzo gli interpreti per essere rimasti, per avere saltato il pranzo e per avere ascoltato queste cose.
Sono un arbitro di calcio inglese e quindi temo ogni politico polacco in quest’Aula che voglia uccidere tale persona. Stavo pensando, tuttavia, dopo avere visto il calcio ieri sera – specialmente la partita Francia-Italia – che forse la squadra francese dovrebbe fare quello che fanno i signori della politica, ignorare completamente il risultato e passare comunque ai quarti di finale, perché è quello che faranno con il Trattato di Lisbona in questo luogo.
Il motivo – e lei, signor Presidente, potrebbe chiedersi come arriverò alla relazione, e lo faccio anch’io talvolta – per cui non abbiamo bisogno che il Trattato di Lisbona è dimostrato in questa relazione. L’UE non si fermerà senza questo trattato. Oggi, in questa sede, abbiamo votato con successo per un cambiamento sostanziale dell’organizzazione istituzionale – e non abbiamo avuto bisogno di un ulteriore trattato per farlo.
Dichiarazioni di voto scritte
– Approvazione della nuova attribuzione di competente del Vicepresidente della Commissione Jacques Barrot (B6-0306/2008)
Rareş-Lucian Niculescu (PPE-DE), per iscritto. − (RO) Apprezzo moltissimo la fermezza e la certezza con cui il Commissario Barrot si è impegnato a sostenere i diritti relativi alla cittadinanza europea e, in particolare, la libertà di circolazione in occasione della sua audizione lunedì.
I diritti e le libertà dei cittadini europei sono i successi più importanti dell’integrazione europea e non dovrebbero essere pregiudicati in nessuna circostanza, indipendentemente dai motivi che potrebbero essere invocati.
I cittadini del paese che rappresento in quest’Aula, la Romania, guardano attentamente e con preoccupazione alle discussioni sulla libertà di circolazione di alcuni Stati membri.
I cittadini rumeni all’estero che, per la maggior parte, sono corretti e lavoratori instancabili, arrecano benefici incontestabili alle economie dei paesi in cui lavorano.
Loro – e sono convinto che non sono i soli – si aspettano che la Commissione svolga un ruolo attivo e deciso nella difesa della piena libertà di circolazione.
Mi auguro con tutto il cuore che l’intero mandato del Commissario Barrot rimarrà sotto il segno dell’impegno a difendere i diritti dei cittadini europei.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Ci troviamo di fronte a un dramma umanitario in cui le famiglie non solo soffrono per il dolore dei loro parenti scomparsi, ma hanno anche dovuto convivere per decenni con l’agonia di non conoscere il loro destino.
Per questo motivo, ritengo sia importante che tutte le parti interessate continuino a cooperare costruttivamente in modo che le indagini sulla sorte di tutte le persone scomparse a Cipro possano essere prontamente portate a termine.
E’ fondamentale anche il ruolo svolto dal CPS (Comitato per le persone scomparse a Cipro) in termini di identificazione di qualsiasi resto umano ritrovato.
Dato che il contributo finanziario dell’UE al progetto CPS copre solo il periodo fino alla fine del 2008, sostengo l’attribuzione di ulteriori aiuti finanziari al CPS in modo che possa continuare le sue attività nel 2009. Questo contributo dovrebbe consentire anche di aumentare la sua capacità, in particolare sul campo, per arruolare più scienziati e finanziare più attrezzature se necessario.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Non siamo contrari a che il comitato cipriota ottenga ulteriori aiuti e contributi finanziari per il suo continuo lavoro, ma riteniamo che il denaro dovrebbe essere destinato alla Croce Rossa, che ha esperienza e competenza nel settore. Scegliamo quindi di votare a sfavore della proposta.
Ewa Klamt (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Quale relatrice, accolgo con favore l’enorme sostegno del Parlamento europeo alla risoluzione sulle persone scomparse a Cipro. E’ diritto di ogni parente delle persone scomparse conoscere il loro destino attraverso l’esumazione e l’identificazione dei resti. Localizzare i resti dei loro parenti, che sono scomparsi da decenni, e dare loro una degna sepoltura è l’unico modo per i ciprioti greci e turchi di chiudere questo doloroso capitolo delle loro vite, perché alla fine ricevono una certa conoscenza della sorte dei loro cari. Sono convinta che questo possa contribuire in misura significativa alle azioni positive verso la riunificazione di Cipro.
Grazie al finanziamento, l’UE sta già sostenendo attivamente il lavoro del Comitato per le persone scomparse (CPS) nei siti di esumazione, nei laboratori antropologici e con le famiglie interessate. E’ importante, in questo contesto, che il Comitato per le persone scomparse svolga tutte le indagini necessarie e le analisi mentre esistono ancora testimoni oculari che possono fornire informazioni su questo problema umanitario delle persone scomparse.
Ritengo quindi essenziale destinare un ulteriore importo di 2 milioni di euro nel bilancio generale dell’Unione europea per il 2009, e solleciterei il Consiglio e la Commissione europea a raggiungere un accordo su questo sostegno finanziario aggiuntivo.
Gerard Batten (IND/DEM), per iscritto. − (EN) Ho votato contro questa relazione perché rende più difficile per gli Stati rimpatriare gli immigrati clandestini. E una volta ottenuta la residenza negli Stati membri dell’UE, per quegli immigrati clandestini sarebbe più facile entrare in Gran Bretagna, aggiungendosi così al peso dell’immigrazione clandestina nel Regno Unito. La politica di immigrazione e di asilo dovrebbe essere decisa in ogni caso dagli Stati nazionali democratici, non dall’Unione europea.
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. − Grazie Presidente, ho votato contro la relazione Weber a seguito della bocciatura degli emendamenti del PSE.
Questa delicatissima materia senza dubbio va regolamentata, viste anche le interpretazioni arbitrarie che spesso hanno dato gli Stati. Tuttavia, la proposta attuale presenta delle falle abnormi. È inaccettabile, ad esempio, il trattamento che viene previsto per i minori non accompagnati, così come la mancata inclusione di garanzie per soggetti in difficoltà come le vittime della tratta, le donne incinte, gli anziani, i portatori di handicap.
Assurda è anche la previsione per cui il periodo di detenzione può essere aumentato se non vi è la cooperazione "amministrativa" dello Stato di origine. I rifugiati sudanesi, ad esempio, vedranno la loro situazione condizionata dall’efficienza degli uffici comunali di anagrafe. Avevamo bisogno di regole certe per garantire la sicurezza ai cittadini, non di norme vessatorie che offendono la dignità delle persone. Oggi l’Europa ha scritto una brutta pagina della sua storia.
Michael Cashman (PSE), per iscritto. − (EN) Il Partito laburista al Parlamento europeo (EPLP) si è astenuto sulla proposta legislativa per il fatto che il Regno Unito non è obbligato a seguire questa direttiva, dato che ha una possibilità di non partecipazione alle misure in materia di giustizia e affari interni per quanto riguarda l’immigrazione e l’asilo. Tuttavia, era molto importante riflettere attentamente sulla nostra responsabilità dato che avrebbe avuto un effetto diretto su quei paesi legalmente vincolati da questa direttiva.
La relazione Weber necessita di una serie di modifiche che avrebbero migliorato il progetto del relatore. Era importante che la relazione includesse gli emendamenti particolari raccomandati dal gruppo PSE. Poiché detti emendamenti non sono stati adottati, ci siamo astenuti dal votare questa relazione. Gli emendamenti erano:
l’emendamento n. 98 che garantiva la protezione dei minori non accompagnati;
l’emendamento n. 103 relativo alla durata e alle condizioni del trattenimento;
l’emendamento n. 95 sulla definizione del rischio di fuga.
In generale, l’EPLP ritiene che la relazione non migliori la capacità degli Stati dell’UE di trattare con efficacia, e con umanità, il rimpatrio di cittadini dei paesi terzi soggiornanti illegalmente nell’UE, ma ha invece aggiunto ulteriori pressioni su una questione già complicata e altamente emotiva.
Maria da Assunção Esteves (PPE-DE), per iscritto. − (PT) La direttiva sull’immigrazione clandestina pone un dilemma insopportabile. Da un lato, la mancanza di regole apre la porta a molti casi di pratiche inumane contro gli immigrati. Dall’altro, esiste uno scarso consenso positivo su questa direttiva, strutturata attorno a molti concetti vaghi e a riferimenti alla discrezionalità degli Stati membri. In altre parole, questa direttiva è debole. L’accordo di compromesso non raggiunge l’ambizione di un’Europa europea. Il Parlamento ha adesso il compito impossibile di scegliere fra il caos che porta alla barbarie e regole scarse o incomplete, senza avere fatto quel rumore che caratterizza un vero parlamento. Per cattiva sorte, non ci si può aspettare nulla di più dal Consiglio e la Commissione sta temporeggiando sulla creazione di un fondo di solidarietà europeo con i paesi di origine dell’immigrazione clandestina e con gli Stati membri dell’Europa del Sud direttamente colpiti dalla miseria. Ironia della sorte, esprimere oggi un voto sincero significa votare a occhi chiusi.
Nigel Farage (IND/DEM), per iscritto. − (EN) Abbiamo votato per respingere la relazione perché non vogliamo alcun tipo di politica comune europea dell’immigrazione. Riteniamo che dovrebbe spettare ai singoli Stati decidere chi debba essere espulso dal loro territorio e in quali circostanze.
Pur non votiamo quasi mai per qualsiasi legislazione, vorremmo sottolineare che abbiamo votato a favore dell’emendamento n. 75 che rigettava la proposta della Commissione di una politica comune in materia di espulsioni, ma non per i motivi/giustificazioni dati dal gruppo che ha presentato l’emendamento. Avevamo i nostri motivi per il rigetto.
Questo è indipendente dal fatto che la direttiva non si applica al Regno Unito. E’ il principio alla sua base che ha ispirato la nostra decisione di votare.
Patrick Gaubert (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Sono lieto che la relazione dell’onorevole Weber sulla direttiva “rimpatrio” sua stata adottata a grande maggioranza.
Questo voto è l’esempio stesso che il Parlamento europeo non ha ceduto alla campagna demagogica e populista condotta contro la proposta di direttiva, preferendo la via della responsabilità e del pragmatismo.
Il Parlamento europeo ha dato prova di maturità e di coscienza adottando un testo che consentirà in modo incontestabile di rafforzare il livello di protezione offerto a cittadini di paesi terzi soggiornanti in Stati membri in cui è tale protezione è più scarsa, ovvero inesistente.
Questo voto presenta il duplice merito di non rimettere in causa i dispositivi nazionali esistenti che offrono già garanzie sufficienti – è il caso, ad esempio, della Francia – e di portare gli Stati membri che hanno i sistemi più vincolanti e meno protettivi a un livello più umano.
Questo testo, che non riguarda i richiedenti l’asilo, è solo un punto di partenza verso l’inquadramento e l’armonizzazione di base delle regole in materia di immigrazione. Non deve quindi essere considerato isolatamente, ma come un elemento della politica globale dell’UE per favorire l’immigrazione legale di cui abbiamo bisogno.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la direttiva sul rimpatrio. Ero pronto a sostenere una direttiva che, lungi dall’essere perfetta, avrebbe fornito orientamenti utili per gli Stati dell’Unione europea che non hanno alcuna legislazione in materia di immigrazione, ovvero per quegli Stati la cui legislazione è troppo repressiva.
Poiché una maggioranza di destra e liberale ha rigettato i 10 emendamenti socialisti, fra cui quelli relativi a una migliore protezione dei minori, alla fine ho votato no con la maggior parte del mio gruppo politico. Resto persuaso che l’Europa, pur non potendo accogliere tutta la miseria del mondo, debba restare aperta a un’immigrazione positivamente inquadrata.
L’immigrazione clandestina, con la sua scia di drammi, di miserie, ma anche di criminalità legata a questi circuiti illegali, deve essere combattuta. Gli stranieri in situazione irregolare devono potere essere espulsi, ma nel quadro di procedure degne di uno Stato di diritto.
Ero pronto a sostenere una direttiva che, lungi dall’essere perfetta, avrebbe fornito orientamenti utili per i nove Stati dell’Unione europea che non hanno alcuna legislazione in materia di immigrazione, e per quegli Stati la cui legislazione è troppo repressiva
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Lo Junilistan ha un atteggiamento molto critico su questa relazione e sul compromesso sostenuto da alcuni partiti politici. Una politica nazionale sui rifugiati è una questione strettamente nazionale e deve essere decisa nel contesto della cultura giuridica del paese. Attraverso questa relazione, l’Europa compie un importante passo verso l’imposizione di una politica europea sull’immigrazione che colpisce duramente gli immigrati clandestini. Si prospetta il trattenimento arbitrario e sistematico di persone che non hanno commesso alcun crimine, ma hanno solo attraversato un confine internazionale. La relazione propone che le persone dovrebbero essere escluse totalmente dal territorio europeo per un periodo di cinque anni, indipendentemente dalla loro situazione, il che significa, di fatto, un’Europa fortezza.
L’UE dovrebbe essere un’unione di valori che ritiene sacri i diritti umani e i valori umani, ma questa proposta va contro tutto questo. Organizzazioni come l’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) e l’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati esistono già per difendere i diritti umani di persone vulnerabili e per formulare norme e standard accettabili per il trattamento delle persone.
Lo Junilistan respinge questa relazione e si augura che anche altri deputati facciano la stessa cosa.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Purtroppo, la proposta che abbiamo avanzato per rigettare quest’ignobile direttiva è stata a sua volta respinta dalla maggioranza di quest’Assemblea, a causa del gemellaggio fra i socialdemocratici e la destra.
Attraverso il nostro voto, abbiamo cercato di impedire che l’accordo del Consiglio andasse avanti dato che mira a creare una politica comunitaria sull’immigrazione che è restrittiva, selettiva e penalizzante e non rispettosa dei diritti umani degli immigrati.
I numerosi aspetti inaccettabili di questa direttiva includono la possibilità di detenere gli immigrati per un periodo massimo di 18 mesi; la detenzione di famiglie, anche con minori; l’espulsione di minori senza averli consegnati a un membro della loro famiglia o a un tutore legalmente nominato, e il divieto di rientrare nei paesi dell’UE per un periodo fino a cinque anni per un immigrato che sia stato espulso.
Se le istituzioni dell’UE intendono adottare misure sugli immigrati, dovrebbero suggerire agli Stati membri di ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie.
La dignità degli esseri umani non può essere messa in discussione,. I loro diritti devono essere protetti e riconosciuti, indipendentemente dalla situazione dei loro documenti. Non dobbiamo introdurre politiche che violino i diritti umani e criminalizzino uomini e donne che aspirano solo a un lavoro e, in molti casi, al diritto fondamentale alla vita.
Erna Hennicot-Schoepges (PPE-DE), per iscritto. – (FR) I diritti umani non sono negoziabili.
La privazione della libertà quale prevista in questo testo è un atto grave, anche se limitato nel tempo. Perché non si parla d’accoglienza di persone che arrivano sul territorio dell’Europa e di strutture di accoglienza in luogo di centri di permanenza? Sappiamo da decenni che i trafficanti hanno un interesse criminale nel traffico di persone e che spesso vi sono complici coinvolti nell’accoglienza della manodopera clandestina, mal pagata e costretta a cattive condizioni abitative.
Ritengo che sarebbero più urgenti azioni giuridiche contro i favoreggiatori e questi trafficanti di manodopera. Quando alle politiche di rimpatrio volontario, abbinare tali politiche a una politica di cooperazione mirata sarebbe un segnale migliore della detenzione di persone non colpevoli. Non siamo proprietari della Terra, non abbiamo il diritto di considerarci padroni del continente e anche gli Stati di diritto come i nostri non hanno il diritto di violare il diritto all’integrità della persona.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato contro la relazione Weber e deploro i termini della proposta direttiva sul rimpatrio. La direttiva consentirà agli Stati membri di detenere gli immigrati fino a 18 mesi, anche per motivi estranei al loro controllo. Questo non è il segno di una politica di immigrazione civile e non è all’altezza degli standard che ci aspetteremmo dall’UE.
Mikel Irujo Amezaga (Verts/ALE), per iscritto. − (ES) Ho votato a sfavore della relazione perché riguarda un tema molto delicato, dato che colpisce sempre più persone, e perché lo considera come un problema logistico piuttosto che umano. E’ intollerabile. Disposizioni come l’imposizione di un divieto di riammissione fino a 5 anni in tutto il territorio europeo, la possibilità di detenere famiglie e minori non accompagnati, di rimpatriare le persone attraverso zone di transito, la poca protezione per le persone vulnerabili all’allontanamento, il fatto che non vieta la detenzione dei richiedenti asilo o la scarsità di garanzie sostanziali in materia di ricorso delle decisioni di rimpatrio e di trattenimento, semplicemente non sono accettabili.
Inoltre, l’immigrazione è intimamente legata alla politica di sviluppo. L’UE deve attuare le misure e gli aiuti necessari perché si abbia un vero sviluppo nei paesi terzi. Gli immigrati e i clandestini non hanno scelto di esserlo, ma non possono permettersi di rimanere nelle loro terre dato che, in molti casi, non possono soddisfare le necessità di base. E questo, nel secolo XXI, è un fatto che dovrebbe farci vergognare.
Jaromír Kohlíček (GUE/NGL), per iscritto. − (CS) Il rimpatrio degli immigrati clandestini nel loro paese di origine è una questione altamente controversa. Un’interpretazione più estensiva della Convenzione europea del 1950 per la protezione dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, della Convenzione del 1951 delle Nazioni Unite relativa allo status di rifugiato, come modificata dal protocollo del 1967, e della Convenzione del 1989 delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo in larga misura vietano tali azioni. Quando tengo conto delle critiche delle commissioni (ad esempio la commissione LIBE), oltre ai testi summenzionati, devo dire che una direttiva che consente di detenere le persone per 18 mesi, nonché le condizioni osservate dai membri in visita nei centri di detenzione, rendono la polemica più ovvia. Qualsiasi persona che commetta un atto criminale dovrebbe essere punita, compresi quelli che impiegano i cittadini di paesi terzi, illegalmente e in condizioni di miseria. Non è assolutamente pensabile che il gruppo GUE/NGL possa sostenere questa direttiva.
Romano Maria La Russa (UEN), per iscritto. − Oggi abbiamo compiuto, forse, con il voto positivo alla relazione Weber, un passo decisivo per delineare un quadro completo di lotta alla clandestinità in grado di dare risposta all’esigenza di sicurezza che moltissimi cittadini europei, spesso vittime dei crimini degli extracomunitari, ci chiedono.
Noto con piacere che il Parlamento europeo, garanzia di libertà e dei diritti di tutti gli uomini, si è espresso in favore di una politica comune, per rispondere alle esigenze degli Stati membri nella lotta all’immigrazione clandestina. Si è chiarito che l’obiettivo non è solo quello di accertare i casi di illegalità, bensì anche quello di assicurare procedure di rimpatrio chiare, trasparenti e veloci.
Non solo decisioni repressive del fenomeno, quali il divieto di reingresso, ma anche di aiuto nei confronti dei minori. Misure, queste, che prevedono una scrupolosa attenzione al rispetto dei diritti umani nei centri di accoglienza. La clandestinità si combatte cercando soprattutto intese con gli Stati d’origine, i quali non possono più rimanere inerti di fronte ad una tragedia non più solo nazionale ma anche europea, e dando un segnale forte a coloro che si apprestano ad entrare illegalmente in Europa. Il nostro continente non è terra di conquista per alcuno e oltre i diritti vi sono i doveri da rispettare.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) Molto rumore dalla sinistra e dall’estrema sinistra per stigmatizzare la relazione Weber, traduzione parlamentare della direttiva rimpatri, che non è però all’altezza di ciò che occorre per la politica di immigrazione.
Si osa ricordare appena, tanto dovrebbe essere evidente, che attraversare illegalmente una frontiera senza visto o titolo di soggiorno è un illecito e deve essere sanzionato come tale.
Inoltre, facendo sparire deliberatamente i loro documenti o rifiutando di dire da dove provengono per non essere ricondotti nel loro paese d’origine, gli immigrati clandestini sono i soli responsabili della durata della detenzione, che alcuni giudicano, a torto, troppo lunga.
Parlare di rispetto dei diritti dell’uomo serve solo a mascherare la realtà: l’Europa è sommersa dall’immigrazione clandestina, essenzialmente incontrollabile, che si aggiunge a un’immigrazione legale che è incoraggiata dalle autorità sia nazionali sia europee.
La relazione Weber, per quanto sia insufficiente, va nella buona direzione. Spero che sia solo la prima tappa. I governi nazionali e il Parlamento europeo prenderanno alla fine coscienza dell’ampiezza del fenomeno? E’ già tardi...
Roselyne Lefrançois (PSE), per iscritto. – (FR) Il testo adottato oggi costituisce una totale rimessa in discussione del lavoro svolto nella commissione LIBE, che aveva permesso di migliorare nettamente la proposta della Commissione europea.
Questo cosiddetto compromesso non apporta, in effetti, alcun cambiamento suscettibile di migliorare il livello di protezione di queste persone negli Stati che praticano le politiche più inaccettabili. Innanzitutto, il campo d’applicazione è ristretto: i richiedenti asilo e le persone trattenute alle frontiere ne sono esclusi, sebbene rappresentino una quota importante degli immigrati clandestini. E soprattutto lascia agli Stati membri troppa autonomia su questioni essenziali come i diritti dei minori o la durata della detenzione. Quest’ultima potrà così essere estesa a 18 mesi, contro i sei che proponeva il PSE.
Provo vergogna che la nostra Assemblea abbia sostenuto a maggioranza la possibilità di chiudere per così lungo tempo persone il cui solo crimine è avere voluto cercare nei nostri paesi condizioni di vita migliori e che sono spesso in uno stato di grande vulnerabilità.
Da parte mia ho votato, in coscienza, contro questo testo. Perché, se sono necessarie regole minime comuni, queste devono essere stabilite nel quadro di un approccio responsabile e umano all’immigrazione clandestina e in nessun caso al prezzo di dimenticare i diritti fondamentali e i valori che si sono cari.
Marine Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) La direttiva molto mediatica “rimpatri”, proposta dalla Commissione di Bruxelles e stigmatizzata falsamente e a torto dalla sinistra e dall’estrema sinistra come “direttiva della vergogna”, contraria ai diritti dell’uomo, è stata appena votata, con loro grande dispiacere, dal Parlamento europeo.
Eppure questa direttiva, che dovrebbe organizzare il rimpatrio dei clandestini, non è per nulla repressiva Non criminalizza gli immigrati entrati clandestinamente sul territorio dell’Europa. Meglio, offre loro la scelta fra la legalizzazione o il rimpatrio volontario, tutto questo accompagnato da diritti e garanzie legati in difesa degli essenziali diritti umani.
Quid del diritto dei popoli a proteggersi e a non essere sommersi da un’immigrazione planetaria? Nulla.
L’Europa fortezza talmente biasimata da tutti i media francesi e altrove non esiste. E’ un fantasma creato per facilitare l’iter di legislazioni favorevoli all’immigrazione e agli immigrati, spesso sotto una parvenza di repressione.
Questa direttiva non è buona. E’ fumo negli occhi. Ha tuttavia il solo merito di costituire un passo verso una politica meno immigrazionista. Non deve fare dimenticare che ve ne sono altre in preparazione, come quella relativa alla “carta blu europea”, che garantisce un’immigrazione legale a fini di lavoro, e che ha per scopo dichiarato di favorire sempre più immigrazione in Europa.
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Ho votato a favore della relazione Weber perché credo che l’Unione europea possa combattere e prevenire l’immigrazione clandestina solo con regole comuni che siano severe, ma giuste. Questa direttiva sul rimpatrio è un inizio positivo di una politica europea comune sull’immigrazione.
L’Europa può aprirsi all’immigrazione legale solo se l’immigrazione clandestina è chiaramente definita e può essere affrontata con efficacia, sulla base di regole comuni.
A mio avviso, la direttiva tiene debito conto delle preoccupazioni umanitarie per quanto riguarda le espulsioni, in particolare mediante l’introduzione di un periodo massimo di trattenimento di sei mesi. Dato che nove Stati, fra cui il Lussemburgo, non avevano in precedenza un limite massimo di detenzione, si tratta di un importante passo avanti.
Le persone colpite dall’espulsione avranno adesso anche il diritto di un rimedio giudiziario dinanzi a un tribunale o giudice per ricorrere contro l’espulsione, compresa infine la Corte di giustizia, in ultima istanza. Garantisce inoltre il patrocinio legale gratuito per le persone che non hanno risorse sufficienti. Ciò metterà fine alla politica arbitraria di espulsione perseguita da alcuni Stati membri e rafforza lo Stato di diritto.
Desidero anche chiarire che un periodo massimo di detenzione di 18 mesi, che può essere imposto estendendo il periodo di sei mesi di ulteriori 12 mesi, può essere applicato solo in casi estremi ed eccezionali. E’ previsto solo se la persona pone una minaccia alla sicurezza pubblica o per impedire l’imminente rischio di fuga.
Ramona Nicole Mănescu (ALDE), per iscritto. − (RO) La proposta di direttiva, che abbiamo discusso ieri e votato oggi, affronta per la prima volta e in modo diretto la politica di immigrazione europea, stabilendo norme e procedure per l’espulsione degli immigrati soggiornanti clandestinamente nel territorio degli Stati membri. Oltre all’obiettivo dell’armonizzazione giuridica della situazione degli immigrati, la vera sfida di questa direttiva era trovare il compromesso che avrebbe soddisfatto i diritti umani e la libera circolazione delle persone e, nel contempo, avrebbe tenuto conto delle esigenze della sicurezza individuale e specialmente collettiva.
La maggior parte degli Stati membri ha subito il fenomeno dell’immigrazione e le azioni adottate dai governi sono state le più diverse, a seconda del flusso di immigrati. Per questo motivo, credo che la relazione dell’onorevole Weber regoli queste differenze fra le politiche di immigrazione degli Stati membri, tenendo conto dei principi di ogni sistema giuridico e imponendo regole e procedure di attuazione comuni. Posso dire che ho votato a favore di questa relazione proprio per il suo approccio integrato sull’immigrazione.
Misure quali il rimpatrio volontario nel paese di origine, la detenzione temporanea e l’attenzione speciale rivolta alla protezione dei minori non accompagnati, nonché l’accesso alla sanità e alla scuola, rappresentano non una violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, ma, al contrario, la prova che l’Unione europea ha compiuto un altro passo avanti verso la creazione di una politica comune in materia di immigrazione clandestina.
Vorrei congratularmi anche con il Consiglio e l’onorevole Weber per il compromesso negoziato.
Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) La guerra, la dittatura, la discriminazione, le catastrofi naturali e la povertà spingono le persone fuori dal’Africa e dall’Asia verso l’Europa. Per molti rifugiati non è una scelta per un miglioramento positivo, ma si tratta di sopravvivenza. Al Vertice di Tampere del 1999 si è cercato di ridurre il flusso di immigrati verso alcuni Stati membri dell’UE. E’ stato fatto non con un richiamo alla solidarietà reciproca di distribuire meglio gli immigrati sul territorio degli Stati dell’UE, ma solo ostacolando ancora più severamente l’accesso in Europa alle frontiere esterne. Negli anni scorsi si sono verificate situazioni sempre più terrificanti. Molte persone sono annegate in mare e, se raggiungono la terra, sono detenute per un periodo, costrette all’illegalità o rispedite con la forza verso un paese in cui non possono sopravvivere.
La relazione Weber e il tentativo di arrivare a un accordo con il Consiglio in prima lettura peggiorano ulteriormente la situazione. A ragione, quindi, emerge un’opposizione sempre più netta contro tale situazione. Se il testo viene comunque approvato, le persone possono essere detenute senza processo per sei mesi, i bambini possono essere espulsi facilmente e i rimpatriati hanno un divieto di rientro di cinque anni, indipendentemente dal fatto che la situazione nel loro paese di origine possa essere nel frattempo peggiorata.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) La maggior parte dei 42 milioni di rifugiati stimati nel 2007 erano migranti economici che sono caduti nella trappola tesa dai trafficanti e hanno rischiato le loro vite per raggiungere l’Eldorado. Questo non solo causa tragedie umane incalcolabili, ma mette sotto pressione i sistemi sociali dei paesi di destinazione e intasa i tribunali di casi disperati di richieste di asilo, rendendo la situazione più difficile per quelli che potrebbero presentare a ragione una richiesta di asilo.
In passato, alcuni Stati membri hanno attratto ulteriori milioni di clandestini con regolarizzazioni di massa o minitrattenimenti seguiti dall’automatica concessione del permesso di soggiorno. Sebbene le misure proposte dalla direttiva rimpatri siano troppo deboli, sono almeno un passo nella giusta direzione, specialmente se il periodo minimo di detenzione proposto è più severo rispetto a quello previsto attualmente da alcuni Stati membri. E’ questo il motivo per cui ho votato a favore della relazione.
Cristiana Muscardini (UEN), per iscritto. − Mi congratulo con i colleghi della commissione LIBE per il compromesso raggiunto con il Consiglio. È la prima volta che l’Unione riesce a darsi delle regole comuni per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi che soggiornano illegalmente sul suo territorio. È lodevole che l’obiettivo della direttiva, nell’assicurare procedure comuni e trasparenti di rimpatrio, sia quello di garantire un trattamento umano degli interessati e di migliorare la cooperazione sia fra autorità nazionali dei migranti che fra Stati membri, anche attraverso l’istituzione di un divieto di reingresso, valido in tutta l’Unione, che non superi i cinque anni.
Il rimpatrio volontario, la durata della custodia temporanea con la modulazione prevista per diversi casi, l’organizzazione dei centri di custodia, il divieto dei rimpatri collettivi, la tutela particolare da riservare ai minori e alle persone vulnerabili nell’adottare una decisione di rimpatrio e il mantenimento dell’unità dei nuclei familiari sono altrettanti capitoli che caratterizzano positivamente la proposta di direttiva, così come l’assistenza legale gratuita, se richiesta, per formalizzare il ricorso contro la decisione d’allontanamento.
Voto a favore del provvedimento, nella consapevolezza che con regole comuni e trasparenti le illegalità saranno meglio combattute e contribuiranno a dare maggiore sicurezza ai cittadini, ribadendo una volta di più che su problemi comuni, come quelli legati all’immigrazione, l’Europa deve comportarsi in modo univoco, che sancisca come accoglienza e legalità siano concetti inscindibili.
Robert Navarro (PSE), per iscritto. – (FR) Oggi, la maggioranza del Parlamento europeo ha adottato il progetto di direttiva “rimpatri”. In origine, la direttiva mirava a stabilire norme comuni sul trattamento degli immigranti clandestini e doveva rispondere alla situazione, spesso drammatica, incontrata nei circa 224 centri di detenzione sparsi in Europa. Un’iniziativa sensata, dato che si sa che, in alcuni paesi, non esiste alcuna regola o limite concernenti la detenzione degli stranieri in situazione di irregolarità. Al momento del voto in commissione, i socialisti avevano ottenuto progressi significativi per stabilire garanzie essenziali in materia di diritti umani, assenti dalla proposta iniziale. Sono state eliminate dal Consiglio e dal relatore del PPE, che preferivano un pacchetto repressivo nella speranza di scoraggiare persone già disperate. Il risultato è una direttiva che sancisce la criminalizzazione degli immigrati, ammassandoli in condizioni spaventose, per periodi di tempo interminabili e separando i minori dalle loro famiglie, mentre le cosiddette garanzie di patrocinio legale o di ricorso sono lasciate alla discrezionalità degli Stati membri. E’ semplicemente inaccettabile e contrario ai valori che l’Europa si fregia di rappresentare ed è il motivo per cui ho deciso di votare contro il testo.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La maggioranza conservatrice del Parlamento europeo ha ignorato ancora una volta la voce dei cittadini e il buon senso. Adottando la “direttiva della vergogna” nel tentativo di creare un’Europa fortezza, priva gli immigrati dei loro diritti umani di base e li condanna a una vita di illegalità. L’accordo di conciliazione scandaloso e inumano del Consiglio è contrario al quadro giuridico internazionale esistente. Le garanzie di una maggiore protezione per gli immigrati in Europa sono in completo contrasto con le tristi immagini dei centri “di accoglienza”.
L’Europa non può schermirsi dietro questa legislazione inaccettabile e chiudere le porte agli immigranti.
Il governo nuova democrazia (ND) e i suoi europarlamentari che hanno sostenuto attivamente la decisione di oggi ne sono largamente responsabili. Ciò che Karamanlis ha detto di fronte alle telecamere televisive quando ha visitato il centro di accoglienza per immigrati sull’isola di Samos alcuni giorni fa è smentito dalle azioni di Nuova democrazia.
Tobias Pflüger (GUE/NGL), per iscritto. − (DE) I motivi del mio voto contrario alla direttiva rimpatri sono i seguenti.
La direttiva negoziata dai ministri dell’Interno dell’UE non solo stabilisce un possibile periodo di 18 mesi di detenzione prima dell’espulsione per i cosiddetti “cittadini di paesi terzi soggiornanti clandestinamente”, ma prevede anche un divieto di reingresso di cinque anni per i rifugiati che sono stati espulsi. Come risultato della direttiva, circa 8 milioni di cittadini non comunitari che non hanno un valido permesso di soggiorno sono minacciati di detenzione e di espulsione verso i loro paesi di origine.
Inoltre, la direttiva consente la detenzione e il rimpatrio di minori non accompagnati, in chiara violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. E’ prevista l’espulsione degli immigrati nei paesi di transito che non sono i loro paesi di origine. Molte garanzie procedurali e molti diritti legali per gli immigrati di ricorrere contro l’espulsione sono scomparsi dal testo finale, il che potrebbe anche mettere a rischio i diritti degli immigrati che possono presentare domanda di asilo.
In breve, la direttiva crea una base per la stigmatizzazione e la criminalizzazione degli immigrati i quali, senza avere commesso alcun reato, saranno privati della loro libertà e tenuti in strutture di detenzione in condizioni disdicevoli per la dignità umana, La direttiva erode le norme sui diritti umani europee e internazionali, peggiorando ulteriormente le condizioni di vita degli immigrati. Questa nuova misura è in linea con la logica della politica di immigrazione e di asilo degli Stati membri dell’UE praticata fin dal 1990, che è nota per lo smantellamento permanente dei diritti degli immigrati. Adesso, quindi, è necessario opporsi all’attuazione della direttiva.
Lydie Polfer (ALDE), per iscritto. – (FR) La proposta di direttiva sull’espulsione degli immigrati di paesi terzi soggiornanti clandestinamente mira a dotare l’Unione europea di una politica comune di immigrazione, stabilendo criteri per la durata massima del periodo di trattenimento, favorendo il rimpatrio volontario e prevedendo un divieto di reingresso nell’Unione europea per le persone espulse.
Questo testo è un testo di compromesso e, come ogni compromesso, può essere migliorato. Così, la durata massima di detenzione di 6 mesi, che può essere prolungata di 12 mesi, è di gran lunga superiore alla durata di detenzione massima prevista nel mio paese, il Lussemburgo (3 mesi).
Per contro, il testo prevede alcune garanzie per le famiglie e i bambini, e precisa le condizioni di non respingimento verso il paese d’origine.
Trattandosi di una materia che rientra nel campo della codecisione, il Parlamento si trova su un piede di parità con il Consiglio dei ministri e un voto negativo comporterebbe ritardi pregiudizievoli in questa materia altamente delicata.
Ecco il motivo per cui, malgrado alcune riserve, ho votato per l’adozione della proposta di direttiva.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Uno spazio con confini esterni condivisi e nessuna frontiera interna deve armonizzare alcune norme in materia di ingresso, permanenza e uscita di cittadini di paesi terzi. Un’economia prospera e uno Stato del benessere con elevati livelli di protezione – in relazione ai paesi vicini – devono stabilire norme e condizioni per l’ingresso di cittadini di paesi terzi.
E’ quindi essenziale regolare e raggiungere una certa coerenza fra le norme di varie zone con un confine comune, tenendo a mente che l’immigrazione è un vantaggio per i paesi di destinazione e un beneficio potenziale per i paesi di origine, purché sia regolamentato e legale. Deve anche essere tenuto a mente che l’umanità che mostriamo accogliendo persone in difficoltà è un segno di civiltà al quale non possiamo rinunciare.
Sostengo l’essenza di questa relazione perché non ci spinge a ridurre le nostre garanzie, ma, di fatto, le impone, seppure in modo inadeguato, laddove sono assenti.
Infine, credo che nel dibattito si sia trascurato un elemento. La destinazione dell’immigrazione, almeno l’immigrazione intraeuropea, sta cambiando. Dato che i flussi migratori sono uno degli indicatori economici più rivelatori, questo punto meritava più attenzione.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Non che non pensi che il testo sia insufficiente su alcuni punti, riguardanti in particolare la detenzione dei minori e la salute, ma alla fine, dopo 3 anni di negoziati con il Consiglio, questo compromesso strappato ad alcuni Stati membri impone regole a quelli che non ne hanno e, aspetto fondamentale, non impedisce a nessun altro Stato di conservare o anche di introdurre normative più flessibili.
E non sostengo la caccia alle streghe che alcuni conducono di nuovo oggi contro quanti tentano di stabilire limiti all’immigrazione in Europa. No, l’Europa non è una fortezza: ogni anno quasi 2 milioni di immigrati ci raggiungono legalmente. No, la direttiva non impone la regola di detenzione di 18 mesi: il principio è di 6 mesi al massimo, con eccezioni molto rigide laddove, occorre ricordarlo, 9 paesi hanno una durata di detenzione illimitata! In Belgio, ad esempio, la durata di detenzione media è di 22 giorni.
Votare no oggi è un atteggiamento facile e mediatico, e in questo caso sono convinta che non verrebbe in aiuto ai diretti interessati, cioè gli emigrati, che vanno aiutati e talvolta fatti ragionare!
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto favorevole sulla relazione del collega Weber. L’Europa, finalmente, inizia ad affrontare il problema dell’immigrazione clandestina in modo responsabile ed efficace. La direttiva sui rimpatri è un primo passo verso una politica di contrasto serio nei confronti dell’immigrazione clandestina. Gli immigrati clandestini devono essere obbligati a lasciare l’Europa pur nel rispetto delle norme minime volte ad assicurare un trattamento umano degli interessati. Come noi abbiamo sempre sostenuto, l’immigrazione illegale è un gravissimo problema e la gestione va lasciata ai singoli Stati. Tuttavia, si tratta spesso di un problema europeo, per cui non si possono scaricare tutte le responsabilità e i costi su alcuni paesi, primi fra tutti l’Italia.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) L’eccessivo periodo di detenzione è uno dei motivi più importanti del mio voto. La possibilità di detenere adulti e persino bambini fino a 18 mesi va troppo oltre. Sicuramente perché vengono trattenuti anche nel caso in cui il loro paese di origine non collabori fornendo i documenti giusti. Senza loro colpa, spesso non possono ritornare. Né è una soluzione il fatto che persone soggiornanti illegalmente nel territorio possano essere rinviate nel paese di transito. Un divieto di reingresso di massimo cinque anni è incompatibile con l’idea che le persone in Europa devono ottenere protezione se necessario. Inoltre, questa misura darò adito al traffico illegale e al contrabbando. L’Unione ha urgente necessità di accordi su chi possa entrare, ma adesso si indirizza soprattutto ad accordi sull’espulsione. La proposta è unilaterale e molto squilibrata. Tali accordi sono sensati solo se offrono protezione giuridica alle persone prive di documenti validi. Purtroppo, questo compromesso non offre questa possibilità in misura sufficiente. Non renderei un servizio alla politica di integrazione europea votando a favore.
Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − (EN) La perdita dell’emendamento n. 98 relativo al trattamento dei minori non accompagnati, ovvero i bambini, e dell’emendamento n. 103 sulle condizioni, la durata e la legalità della detenzione degli immigrati, è profondamente scoraggiante per quelli di noi che credono nella dignità umana.
Daniel Strož (GUE/NGL), per iscritto. − (CS) A mio avviso, la proposta di risoluzione relativa a norme e procedure comuni negli Stati membri per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi soggiornanti clandestinamente non è un buon testo. Cerca di “risolvere”, attraverso metodi amministrativi e repressivi, un grave problema che richiede in realtà una soluzione politica, tesa a eliminare le cause dell’immigrazione clandestina. Il progetto di relazione presentato dall’onorevole Manfred Weber al Parlamento europeo in plenaria non contiene nulla se non (più o meno) modifiche cosmetiche che non vanno al cuore della questione.
Introdurre misure repressive contro i cosiddetti immigrati clandestini, come la cosiddetta permanenza temporanea, e tenerli in condizioni orrende, esistenti in alcuni centri di permanenza (secondo la commissione LIBE) costituiscono violazioni delle convenzioni internazionalmente riconosciute per la tutela dei diritti dell’uomo.
Inoltre, nella motivazione appare un problema fondamentale, che riguarda il concetto generale del documento. Sebbene offrano un’alternativa – la possibilità di garantire ai cosiddetti immigrati clandestini permessi di soggiorno legali –, sia la proposta della Commissione sia la relazione del Parlamento europeo sono basate su un’unica premessa: che gli immigrati clandestini devono lasciare l’Europa. Tenendo conto di tali fatti, raccomando di respingere la relazione.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. − (RO) L’Unione è costruita su valori comuni e protegge i diritti umani. Ho votato per gli emendamenti dei socialisti europei perché chiedevano agli Stati membri di rilasciare alle persone gravemente malate un permesso di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che desse loro il diritto di soggiorno.
Si tratta di beneficiare di un accesso adeguato a cure mediche, tranne nei casi in cui si può dimostrare che quelle persone possono ricevere un trattamento e cure mediche adeguate nel loro paese di origine. Ritengo inoltre essenziale che il cittadino del paese terzo in questione sia liberato immediatamente se la detenzione non è legale. I minori in custodia dovrebbero potere partecipare ad attività di intrattenimento, comprese attività di gioco e ricreative adeguate alla loro età, e avere accesso all’istruzione.
I bambini non accompagnati dovrebbero essere alloggiati in strutture con personale e attrezzature adeguati alle le esigenze delle persone della loro età. Il migliore interesse del bambino rappresenta un motivo essenziale nel contesto della presa in custodia dei minori in attesa di espulsione. Mi dispiace che questi emendamenti non siano stati adottati. Ritengo che, senza questi emendamenti, la relazione Weber non rispetti i valori europei e per questo motivo ho votato a sfavore.
Jeffrey Titford (IND/DEM), per iscritto. − (EN) Abbiamo votato per rigettare la relazione perché non vogliamo alcun tipo di politica europea comune in materia di immigrazione. Riteniamo che dovrebbe spettare ai singoli Stati decidere chi debba essere espulso dal loro territorio e in quali circostanze.
Pur non votando quasi mai per qualsiasi legislazione, vorremmo sottolineare che abbiamo votato a favore dell’emendamento n. 75, che respingeva la proposta della Commissione per una politica comune delle espulsioni, ma non per i motivi/giustificazione dati dal gruppo che ha presentato l’emendamento. Avevamo i nostri motivi per il rigetto.
Questo indipendentemente dal fatto che questa direttiva non si applica al Regno Unito. E’ il principio alla base che ha ispirato la nostra decisione di voto.
Konstantinos Droutsas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Per completare la predominanza dei mercati dell’UE dell’elettricità e del gas naturale con interessi capitalistici su larga scala, la Commissione sta preparando il terzo pacchetto legislativo composto da cinque proposte. L’obiettivo è trasformare un bene sociale in una merce di mercato e promuovere la ristrutturazione capitalista del settore energetico attraverso la privatizzazione di massa della produzione e della distribuzione dell’elettricità.
La proposta prevede una forte concorrenza, specialmente nel mercato dell’energia all’ingrosso. Opera una separazione completa delle reti (sistemi di trasmissione o sistemi di gestione della trasmissione) di fornitura e di produzione. In linea di principio, quindi, non vi sarà discriminazione fra i settori pubblico e privato, con il risultato che le compagnie pubbliche perderanno i loro vantaggi comparativi e i concorrenti che entrano nel mercato saranno tutelati.
In un momento di rapido aumento del prezzo internazionale del petrolio, i lavoratori ne subiscono gli effetti. L’UE sta favorendo gli interessi del capitale e sta salvaguardando e incrementano i suoi profitti.
Le vittime di questa politica sono i lavoratori del settore energetico e, più in generale, le classi lavoratrici. Dovranno fare fronte all’aumento dei prezzi e al declino dei servizi, come accade ogniqualvolta viene privatizzato il mercato dell’energia.
La mobilitazione di massa dei lavoratori e i clamorosi “no” ai referendum rivelano un crescente sdegno popolare contro questa politica e aprono la strada alla sua revoca.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) E’ interessante notare come, in questo terzo pacchetto per la liberalizzazione del settore dell’elettricità, siano usati ancora gli stessi argomenti, nonostante il fatto che abbiamo sempre meno controllo sulle azioni dei gruppi economici e finanziari che operano nel mercato, impongono le loro regole, aumentano i prezzi, licenziano i lavoratori, e omettono sempre più di soddisfare i loro obblighi di servizio pubblico.
E’ vero che, senza un effettivo mercato dell’elettricità e del gas, l’Unione europea avrà maggiore difficoltà a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento, la sostenibilità di un mercato energetico con poche risorse di carbone e la competitività globale, ma è anche vero che questo mercato sarà realizzabile solo se vi è un forte settore pubblico.
Tuttavia, ciò che viene proposto è esattamente il contrario. Si chiede più liberalizzazione e la distruzione di quello che rimane di questo settore pubblico in alcuni paesi. Poi, in un tentativo infruttuoso di occultare questo intento, si avanza la proposta di una carta per proteggere i consumatori. Aspetteremo di vedere come sarà applicata. In ogni caso, la questione di base è la liberalizzazione del settore, che è il motivo per cui alla fine votiamo contro la relazione.
Neena Gill (PSE), per iscritto. − (EN) Signor Presidente, ho parlato sulla relazione Morgan durante il dibattito, ma non ho avuto la possibilità di parlare dell’emendamento n. 159. Questo emendamento vieterebbe agli Stati membri di autorizzare la costruzione di nuove centrali elettriche che emettono più di 350 g di biossido di carbonio per kilowattora prodotta. Vorrei chiarire la posizione degli EPLP che hanno tutti ricevuto una serie di lettere su questo emendamento.
Pur apprezzando che il cambiamento climatico è reale e presente e che abbiamo l’obbligo di affrontarlo, abbiamo votato contro l’emendamento n. 159 perché escluderebbe lo sviluppo di tutte le nuove centrali elettriche alimentate a gas, petrolio e carbone. Questo sarebbe dannoso per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Europa e per il mantenimento delle luci accese in Europa.
Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la relazione Morgan e il pacchetto energia perché credo che percorrano una strada sbagliata. L’Agenzia proposta sarà un organo burocratico in più. Una rete dei regolatori nazionali con poteri più estesi sarebbe più efficace per garantire l’accesso dei piccoli produttori alle reti. L’“unbundling” è diventato una sorta di pozione magica, mentre l’esperienza dei paesi che praticano la disaggregazione non va per niente a favore di questa misura liberale. Il mercato dell’energia è un mercato globale. Non sono le cooperative che producono il biogas che potranno sostenere la concorrenza con Gazprom e gli Stati petroliferi, ma le grandi compagnie europee.
Małgorzata Handzlik (PPE-DE), per iscritto. − (PL) Votando per l’“unbundling” obbligatorio della proprietà delle imprese energetiche nell’Unione, il Parlamento ha compiuto un passo decisivo verso la creazione di un mercato comune dell’energia elettrica. Dividere queste società in imprese responsabili della produzione e imprese responsabili della sua trasmissione è l’unico modo per creare un mercato aperto e competitivo dove non vi sia conflitto di interessi.
Il consumatore dovrebbe essere il principale beneficiario dei cambiamenti proposti. La proposta adottata rafforza in larga misura i diritti dei consumatori. Fra l’altro, dà ai consumatori il diritto di recedere da un contratto con un fornitore di elettricità senza costi aggiuntivi. I consumatori hanno anche il diritto di cambiare il loro fornitore di energia in brevissimo tempo.
Va tenuto a mente che il mercato dell’elettricità è dominato attualmente da monopoli che abusano della loro posizione su mercati non competitivi. Credo che massimali di prezzo proteggeranno gli utenti di energia dallo sfruttamento da parte di imprese energetiche, ma impediranno a nuove entità di entrare nel mercato.
Chiaramente, la soluzione proposta non risolverà tutti i problemi relativi all’energia che attualmente stiamo affrontando, fra cui l’aumento del prezzo del petrolio. Tuttavia, queste soluzioni rappresentano passi opportuni verso lo sviluppo di un mercato più competitivo. Il dibattito deve continuare nel Consiglio. Purtroppo, tuttavia, è improbabile che tutte le proposte del Parlamento europeo saranno accettate. Come il relatore ha giustamente sottolineato, molti Stati membri vogliono proteggere i loro interessi nazionali.
Jacky Hénin (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Questo terzo pacchetto energia persevera dogmaticamente nella via della disaggregazione totale fra attività di produzione e reti di distribuzione dell’energia.
Mira a sottoporre l’intero settore energetico alle uniche leggi del libero mercato e della messa in concorrenza di tutti contro tutti.
Poiché le stesse cause producono gli stessi effetti, questo condurrà l’Unione a una catastrofe di un’ampiezza superiore a quella che ha conosciuto la California nel 2000.
Questa politica è cattiva per gli utenti, per i dipendenti del settore, per le PMI/PMII, per l’occupazione, per la sicurezza e per l’ambiente. Il mercato e il settore privato sono incapaci di rispondere ai fabbisogni energetici degli europei e alle sfide costituite dal riscaldamento climatico e dal dopo energia fossile. I loro obiettivi sono retribuire al massimo gli azionisti e non agire nell’interesse generale.
Abbiamo bisogno di una vera e propria Europa dell’energia, ma potrà essere costruita solo sulla base della cooperazione. Il settore energetico deve essere pilotato dall’azione pubblica coordinata dagli Stati membri e non da quella dei mercati finanziari. L’Unione deve agire affinché l’energia sia riconosciuta come un bene pubblico e non come una merce di mercato.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Sono stato deluso che l’emendamento del mio gruppo sulla responsabilità degli incidenti nucleari non sia stato adottato. Tuttavia, la relazione Morgan finale non è lodevole e accolgo con favore l’aggiunta di riferimenti alla carta sui diritti dei consumatori di energia. In generale, quindi, ho potuto votare a favore della relazione.
Tunne Kelam (PPE-DE), per iscritto. − (ET) Sostengo fermamente questi emendamenti perché rafforzano la libera concorrenza nell’Unione europea, contribuiscono a mantenere i prezzi a livelli ragionevoli e nel contempo consentono ai consumatori di esercitare la loro libertà di cambiare fornitore di elettricità ogniqualvolta lo desiderino. Inoltre, questo promuove la condivisione di elettricità transfrontaliera e protegge quindi anche gli Stati e i consumatori da improvvise mancanze di elettricità. Chiedo un’azione rapida in questo settore per eliminare la burocrazia inutile e gli oneri e consentire così alle compagnie elettriche dell’UE di agire liberamente nell’Unione per rafforzare la libera concorrenza e permettere ai consumatori di operare scelte consapevoli.
Roselyne Lefrançois (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro questa relazione che, sotto forma di regole comuni per il mercato interno dell’elettricità, propone lo smantellamento del patrimonio degli operatori storici europei.
La separazione delle attività di produzione e di distribuzione dell’elettricità non porterà, a mio avviso, alcuna garanzia supplementare in termini di efficienza, sicurezza o accessibilità della rete, in particolare nel contesto attuale di forte crescita della domanda globale di elettricità e di grande incertezza in relazione alle risorse.
Quest’ultimo fattore richiede sempre più investimenti strutturali per salvaguardare il nostro approvvigionamento e stimolare la ricerca e l’innovazione, una prospettiva che sembra largamente incompatibile con la logica della concorrenza forte e della redditività a breve termine che sta alla base della scelta della liberalizzazione totale del settore.
La “terza soluzione”, sostenuta dai socialisti francesi, ma che purtroppo non è stata accettata, sembrava una soluzione molto più ragionevole perché permetteva di mantenere l’integrità patrimoniale dei grandi gruppi energetici europei, affidando l’organizzazione della distribuzione dell’elettricità a grandi regolatori indipendenti.
Mi congratulo, tuttavia, per i progressi che comporta questa relazione in materia di protezione dei consumatori, e in particolare l’introduzione di regole per lottare contro la povertà energetica e per garantire la trasparenza e l’accessibilità delle informazioni per l’utente finale.
Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. – (NL) La fornitura di elettricità non è un commercio, ma un servizio di utilità. Il servizio deve essere reso ininterrottamente a ogni interessato, con un impatto quanto più basso possibile sull’ambiente. Questo requisito è in contrasto con i rischi del commercio internazionale da parte di imprese concorrenti. Anche in futuro, l’elettricità rimarrà un prodotto scarso e vulnerabile, di sicuro adesso che i combustibili fossili si stanno esaurendo e il riscaldamento della terra prosegue.
Per questo motivo è bene che, in molti Stati membri dell’UE, lo Stato o le autorità locali sono quelli che hanno creato le centrali elettriche e le reti di distribuzione. La privatizzazione di quel servizio non è auspicabile e ed è pericolosa. La loro vendita offre ai nuovi proprietari un monopolio sulla rete di trasmissione. Quella rete è una risorsa non redditizia fra produzione e vendita, ma si può abusare del suo possesso per imporre un elevato onere sugli utenti e sugli eventuali concorrenti. La fissazione dei prezzi dell’elettricità attraverso la borsa porta a prezzi al consumo di gran lunga superiori ai costi di produzione.
A ragione, quindi, negli Stati membri dell’UE si valuta come combattere quei pericoli. La situazione è molto diversa a seconda dello Stato membro interessato. É meglio che le questioni siano ben soppesate. Voto a favore della più grande libertà possibile per gli Stati membri, la terza soluzione di cui all’emendamento Glante, ma sono contrario a questa direttiva europea nel suo insieme.
Lydia Schenardi (NI), per iscritto. – (FR) Ovviamente, il reale obiettivo di questo terzo pacchetto energia non è la sicurezza dell’approvvigionamento, la qualità dei servizi forniti, prezzi abbordabili o la reale possibilità di scelta del fornitore da parte dei consumatori, bensì lo smantellamento definitivo di quello che resta dei vecchi monopoli pubblici dell’elettricità.
L’accanimento della Commissione e di molti dei parlamentari a volere imporre la “separazione patrimoniale”, ovvero la rinuncia forzata della proprietà della loro rete da parte degli operatori “storici” come EDF, è inaccettabile. Quello di cui sono accusati – restrizione dell’accesso alla rete per i concorrenti, limitazione volontaria degli investimenti nelle infrastrutture – non è assolutamente provato. Non è nemmeno chiaro come affidare la gestione della rete a un operatore unico diverso dal fornitore di elettricità possa garantire la pertinenza o l’adeguatezza degli investimenti, il non abuso di una posizione cruciale o la migliore gestione delle congestioni.
Ecco perché, pur avendo sempre difeso i privilegi esclusivi degli Stati membri in materia energetica, settore strategico di estrema importanza per essere lasciato agli eurocrati, sosteniamo come male minore la soluzione della “separazione effettiva” proposta, fra gli altri, dalla Francia e dalla Germania. E voteremo contro testi di cui disapproviamo sostanzialmente la filosofia.
José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Il mio voto sulla relazione non poteva che essere favorevole. Dire sì a tutti gli sforzi di liberalizzazione del mercato dell’elettricità è dire sì a un mercato più equo, più competitivo e più trasparente.
Tuttavia, non è solo la correttezza della relazione, che mette il consumatore al cuore della questione, che mi attira. Con l’aumento dei prezzi energetici e la mancanza di concorrenza nei mercati nazionali, vi è il pericolo di un aumento del numero di cittadini esclusi dall’accesso all’energia. Concordo quindi con le preoccupazioni sociali espresse perché, per la prima volta, è stato definito il concetto di “povertà energetica”, attirando l’attenzione sull’importanza che gli Stati membri elaborino piani nazionali che coprano tutti i cittadini.
Data l’attuale situazione nei mercati energetici nazionali dell’UE, è inaccettabile che una compagnia detenga la rete elettrica e sia nel contempo responsabile della trasmissione dell’elettricità, detenga quindi, di fatto, un monopolio, dato che può poi bloccare l’accesso al mercato per nuovi operatori che, in molti casi, sono più competitivi.
Questo documento, quindi, individua coraggiosamente la necessità di aumentare il livello di trasparenza e di concorrenza nel settore energetico, proteggendo con efficacia il consumatore dalle conseguenze di un mercato chiuso e inflessibile.
José Albino Silva Peneda (PPE-DE), per iscritto. − (PT) Il mio voto sulla relazione non poteva che essere favorevole. Dire sì a tutti gli sforzi di liberalizzazione del mercato dell’elettricità è dire sì a un mercato più equo, più competitivo e più trasparente.
Tuttavia, non è solo la correttezza della relazione, che mette il consumatore al cuore della questione, che mi attira. Con l’aumento dei prezzi energetici e la mancanza di concorrenza nei mercati nazionali, vi è il pericolo di un aumento del numero di cittadini esclusi dall’accesso all’energia. Concordo quindi con le preoccupazioni sociali espresse perché, per la prima volta, è stato definito il concetto di “povertà energetica”, attirando l’attenzione sull’importanza che gli Stati membri elaborino piani nazionali che coprano tutti i cittadini.
Data l’attuale situazione nei mercati energetici nazionali dell’UE, è inaccettabile che una compagnia detenga la rete elettrica e sia nel contempo responsabile della trasmissione dell’elettricità, detenga quindi di fatto un monopolio, dato che può poi bloccare l’accesso al mercato per nuovi operatori che, in molti casi, sono più competitivi.
Questo documento, quindi, individua coraggiosamente la necessità di aumentare il livello di trasparenza e di concorrenza nel settore energetico, proteggendo con efficacia il consumatore dalle conseguenze di un mercato chiuso e inflessibile.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Questa è un’altra parte del terzo pacchetto di misure tese a liberalizzare i mercati energetici dell’Unione europea, a seguito delle raccomandazioni adottate dal Parlamento europeo nel giugno 2007. Il relatore concorda con la previsione di poteri più forti e maggiormente indipendenti per i regolatori, più severi requisiti di trasparenza del mercato, un migliore quadro di cooperazione a livello europeo tra regolatori nazionali, oltre che tra operatori dei sistemi di trasmissione, l’enfasi posta sull’ulteriore sviluppo della capacità di interconnessione tra Stati membri e la proposta di disaggregazione della proprietà, considerata il metodo più efficace, ma non l’unico, per incoraggiare gli investimenti ed evitare discriminazioni dei confronti dei nuovi operatori.
In altre parole, l’Unione europea ha forzato la privatizzazione di un settore che è strategico per lo sviluppo economico e adesso cerca di compiere passi per trattare i gravi problemi creati dai gruppi economici che si sono impadroniti del settore. Ecco perché lo stesso relatore solleva alcune questioni sull’attuazione volontaria dei codici e delle regole, sostenendo che dovrebbero essere obbligatori.
Tuttavia, nessuno ammette che la soluzione reale avrebbe dovuto essere il mantenimento di un forte settore pubblico nel campo dell’energia, ed è questo il motivo per cui abbiamo votato contro la relazione.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Non è stato solo a motivo della pressione dalla Commissione che E.ON e RWE hanno svenduto i loro sistemi di trasmissione; a causa della disaggregazione, la funzione strategica dell’accesso alla rete, ovvero la chiusura a nuovi concorrenti, è andata per lo più perduta. In Europa sono estremamente necessari massicci investimenti in centrali elettriche e infrastrutture di sistema, alcune delle quali vecchie di decenni. Come ha dimostrato l’esperienza della radicale privatizzazione delle ferrovie britanniche, gli investitori hanno pochissimo interesse a migliorare l’infrastruttura. E’ possibile che le nuove disposizioni in materia di accesso alla rete previste avranno lo stesso effetto. Per quel motivo, ho votato contro la relazione Vidal-Quadras.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Il relatore ha elaborato una relazione molto buona e completa.
Credo che, nella sua forma attuale, la proposta del Parlamento europeo consentirà di proseguire i lavori sull’integrazione del mercato dell’Unione dell’energia. Confido che sarà possibile raggiungere un accordo su tali questioni transfrontaliere.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Questa è un’altra parte di questo pacchetto energia. Riguarda la creazione dell’Agenzia per la cooperazione dei regolatori dell’energia, che si inserisce in una strategia globale, definita dalla Commissione europea e dal Consiglio, tesa a liberalizzare e regolamentare il settore energetico, che tali istituzioni hanno definito “pacchetto energia”.
La strategia è sempre la stessa. Dapprima privatizzano il settore pubblico. Poi, quando sorgono i problemi, creano regolatori, nuove burocrazie e maggiore controllo per i poteri più importanti su cosa accade in ogni Stato membro.
Secondo il relatore (del gruppo PPE-DE), dobbiamo andare oltre le proposte della Commissione e dare all’Agenzia maggiore indipendenza e più poteri decisionali. L’imposizione di norme, codici, regole di mercato e anche decisioni da parte di autorità superiori, che servono gli interessi di gruppi economici, è un argomento ricorrente. L’Agenzia sarà un’istituzione sovranazionale con poteri in un settore strategico – ovvero l’energia – che incide su tutti i settori della società.
Le conseguenze dell’interferenza nella strategia politica e nell’economia di ogni Stato membro potrebbero essere gravi. In questo contesto rigettiamo la relazione.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) I mercati dell’energia stanno acquisendo una natura sempre più paneuropea e la proposta Agenzia per la cooperazione dei regolatori dell’energia svolgerà un ruolo importante durante lo sviluppo dei mercati. L’Agenzia dovrebbe avere poteri adeguati per svolgere i propri compiti e ho potuto sostenere la relazione che garantisce tali poteri e assicura nel contempo l’indipendenza dei regolatori nazionali.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Il relatore ha elaborato una relazione molto buona e completa.
Credo che, nella sua forma attuale, la proposta del Parlamento europeo consentirà di proseguire i lavori sull’integrazione del mercato dell’Unione dell’energia. Consentirà anche di rafforzare la competenza dell’Agenzia in tali questioni transfrontaliere. Ciò dovrebbe favorire una cooperazione effettiva fra gli Stati membri.
Adam Bielan (UEN), per iscritto. − (PL) Il numero di incidenti in cui sono coinvolti pedoni è aumentato del 5,7 per cento in Polonia lo scorso anno e il numero di incidenti in cui sono coinvolti ciclisti è aumentato di un notevole 16,8 per cento. Sostengo la relazione dell’onorevole Ferrari, e credo sia essenziale per rafforzare i requisiti di sicurezza. Tuttavia, dovremmo ricordare che il costo non deve essere sostenuto principalmente dai proprietari di veicoli.
Rappresento il Voivodato della Piccola Polonia, che ha il più basso tasso di incidenti nel paese, ovvero 7/100. Tuttavia, vi sono numerosi punti pericolosi a rischio di incidente come conseguenza dell’eccessiva densità di traffico e dell’inadeguatezza delle infrastrutture stradali.
Francesco Ferrari (ALDE), per iscritto. − (EN) Considero questa relazione un ulteriore passo positivo per aiutare i pedoni dell’UE nei casi numerosi casi di lesioni e decessi causati da collisioni con veicoli a motore. Infatti, ogni anno muoiono 40 000 cittadini.
Un miglioramento della progettazione dei veicoli e dei sistemi integrati nelle automobili, fra cui la zona deformabile ad assorbimento d’urto (“crumple zone”) per i pedoni per i pedoni nella parte frontale di un’automobile, sono passi positivi che devono essere incoraggiati. L’eliminazione dei “bull-bar” dai veicoli per i quali non sono necessari o non sono destinati – veicoli non agricoli, ad esempio – è un altro esempio di come l’UE possa essere coerente per quanto riguarda i miglioramenti favorevoli ai pedoni.
Sosterrò tali argomenti in questo voto e ritengo sia fondamentale fare di più nell’UE per migliorare la sicurezza dei pedoni.
Neena Gill (PSE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione perché sostengo lo sviluppo di sistemi di sicurezza passiva e attiva che riducano l’impatto di incidenti stradali in cui sono coinvolti pedoni e altri utenti della strada vulnerabili. Sebbene diversi fattori possano essere responsabili degli incidenti (velocità, errore umano), il veicolo stesso dovrebbe essere adattato per minimizzare l’impatto durante un incidente. Sostengo gli obblighi della relazione di stabilire requisiti minimi per la costruzione e il funzionamento di veicoli e di installare sistemi di protezione frontale.
Tuttavia, credo che nella relazione manchi la grande opportunità di cooperare con i paesi in via di sviluppo ed emergenti. Questo perché la maggior parte dei decessi su strada, circa il 70 per cento, ha luogo nei paesi in via di sviluppo. I pedoni rappresentano il 65 per cento delle morti e il 35 per cento dei pedoni uccisi sono bambini. Un paese come l’India da solo rappresenta un enorme 10 per cento del totale degli incidenti stradali.
L’UE deve scambiare e condividere con i paesi in via di sviluppo la sua esperienza in materia di raccolta di dati su incidenti stradali nonché di sviluppo di sistemi di sicurezza attiva e passiva. Vi è ampio spazio per un trasferimento di tecnologia dall’UE ai paesi in via di sviluppo che potrebbe ridurre gli incidenti stradali e il loro impatto sugli utenti della strada.
Genowefa Grabowska (PSE), per iscritto. − (PL) Vorrei sottolineare l’importanza di questa relazione e congratularmi con il relatore per il risultato. E’ un dato di fatto che ogni anno nell’Unione europea muoiono 8 000 utenti della strada. Le vittime sono principalmente pedoni e ciclisti. Rimangono lesionate altre 300 000 persone. Questo stato di cose comporta tragedie personali e ha anche notevoli conseguenze sociali ed economiche. Pertanto, le misure dell’Unione tese a garantire una migliore protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili contro lesioni riportate in collisioni con veicoli a motore dovrebbero essere particolarmente ben accette.
Dall’ottobre 2005 e in virtù delle disposizioni attualmente in vigore, alcuni veicoli devono superare una serie di test di rendimento basati sulle raccomandazioni del Centro comune di ricerca. Inoltre, l’Unione sta proponendo di imporre requisiti per test molto più severi per i veicoli a motore immessi sul mercato europeo dopo il 2010. Questa relazione fornisce un collegamento con misure di sicurezza attiva e passiva e anticipa la futura introduzione di sistemi anticollisione. Ad oggi, non vi à un sistema efficace sul mercato che offra protezione ai pedoni nel caso di collisione, ed è questo il motivo per cui la Commissione sta giustamente incoraggiando l’industria a sviluppare tale sistema. Concordo anche con il relatore che le possibilità tecniche di garantire norme di sicurezza passiva debbano essere costantemente monitorata, al pari delle possibilità relative a più severi requisiti di sicurezza.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ogni anno migliaia di pedoni e di ciclisti in Europa sono uccisi o feriti in incidenti stradali. La legislazione europea ha svolto un ruolo fondamentale nella riduzione delle morti violente e delle lesioni, ma è importante che le norme siano aggiornate. Le proposte in questo settore devono essere ben accette e di conseguenza ho votato a favore della relazione Ferrari.
Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. − (SK) Le statistiche sugli incidenti stradali nell’UE sono allarmanti. Si stima che ogni anno rimangano uccise 8 000 persone fra utenti della strada vulnerabili, pedoni e ciclisti, mentre ne rimangono ferite 300 000. Fino all’80 per cento degli incidenti stradali ha luogo nelle città e nei villaggi, dove il limite di velocità è fra i 40 e i 60 km/h. Questo indica che non solo la velocità, ma anche la qualità delle infrastrutture stradali e, in particolare, la sicurezza dei veicoli possono essere responsabili di incidenti stradali.
Gli inviti a usare i trasporti pubblici, a camminare a ad andare in bicicletta come alternative all’uso dei veicoli devono essere compensati da misure tese a ridurre il numero di lesioni subite. Attualmente, non esistono sul mercato sistemi per evitare le collisioni che possano effettivamente scorgere in tempo i pedoni o altri utenti vulnerabili della strada.
Ho accolto con favore e ho votato per la relazione dell’onorevole Francesco Ferrari, sulla proposta di regolamento sulla protezione dei pedoni e di altri utenti vulnerabili della strada. L’ambizione dell’industria automobilistica europea deve essere di vendere veicoli che siano non solo tecnicamente molto avanzati e puliti dal punto di vista ecologico, ma siano anche estremamente sicuri.
Per assicurare un elevato livello di sicurezza in tutti i casi, l’installazione obbligatoria di sistemi di assistenza attiva dei freni per tutti i nuovi veicoli a partire dal 2009, prevista dalla proposta della Commissione, non dovrebbe sostituire i sistemi di sicurezza passiva ad alto livello, ma dovrebbe invece integrarli.
Credo che questo regolamento contribuirà a migliorare la sicurezza per tutti gli utenti della strada.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. − (PT) la sicurezza stradale è una priorità della politica europea dei trasporti, una reale preoccupazione per i responsabili delle decisioni politiche e un pilastro per tutti i cittadini nella lotta contro le tragedie che, purtroppo, continuano a verificarsi troppo di frequente sulle strade d’Europa. La relazione Ferrari mira a rafforzare i requisiti comunitari in materia di sicurezza e quindi di migliorare la sicurezza dei pedoni. Non possiamo quindi esitare nella richiesta della massima attenzione e dei migliori strumenti disponibili per garantire la sicurezza nelle nostre strade. In particolare, è importantissimo che il lavoro legislativo continui a essere quanto più rigoroso possibile che le misure adottate siano debitamente monitorate e valutate per garantire che si proceda ai miglioramenti necessari in tempo utile a evitare nuove tragedie. Accogliamo con favore la relazione, il tentativo di trovare modi per recuperare il tempo perduto e assicurare che i sistemi di prevenzione proposti siano i più corretti e adeguati per le vittime di collisioni con veicoli a motore.
Infine, poiché talvolta il diavolo si nasconde nei dettagli, il nostro compito è assicurare, anche nei settori più tecnici, che la legislazione che elaboriamo offra sempre i migliori mezzi di protezione per i nostri cittadini.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto favorevole sulla relazione del collega Ferrari. Sono d’accordo con il fine della presente proposta di rafforzare i requisiti comunitari volti ad accrescere la sicurezza dei pedoni e degli altri utenti vulnerabili in caso di lesioni dovute all’urto con un veicolo a motore.
Ritengo che sia sul piano temporale che su quello tecnico di adattamento/adeguamento delle vetture si possa procedere in tempi brevi alla realizzazione e messa in opera dei dispositivi adeguati. In particolare, plaudo all’introduzione dell’obbligo di munire i veicoli di un sistema di assistenza alla frenata (BAS) che contribuirà a ridurre il numero di collisioni veicolo-pedone.
Brian Simpson (PSE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore questa relazione perché rafforza la legislazione esistente e tenta di nuovo di migliorare la sicurezza stradale, specialmente la sicurezza dei ciclisti e dei pedoni, Ogni anno 8 000 persone – pedoni e ciclisti – sono uccise e 300 000 ferite sulle strade dell’UE.
Moltissimi di questi incidenti possono essere evitati con una migliore formazione alla guida o con una migliore progettazione dei veicoli. L’introduzione di sistemi di assistenza alla frenata, di testi di rendimento più rigorosi, e un rapido periodo di attuazione dovrebbero tutti contribuire a ridurre la carneficina che si verifica ogni anno sulle nostre strade.
Sono particolarmente lieto di vedere che quei killer che noi conosciamo come “bull bar” dovranno superare gli stessi test di rendimento sui veicoli per i quali devono essere installati, sebbene a mio avviso la campagna contro i “bull bar”proceda con ostilità.
Mi congratulo con il relatore per la relazione e attendo con ansia una rapida conclusione con il Consiglio sulla materia.
David Sumberg (PPE-DE), per iscritto. − Desidero spiegare il mio voto sulla relazione dell’onorevole Francesco Ferrari sulla protezione dei pedoni e di altri utenti della strada vulnerabili.
Sebbene sostenga i validi obiettivi della relazione, perché tutti noi vogliamo ridurre la scioccante perdita di vite e le lesioni subite sulle nostre strade, credo che la relazione richieda un rapidissimo periodo di attuazione e non ritengo che questo sia possibile.
Sono stati proposti alcuni requisiti particolarmente radicali e quindi lì’onere sull’industria sarà eccessivo se le proposte fossero introdotte troppo velocemente.
In un periodo di recessione, dobbiamo ricordare che i nostri elettori devono proteggere i loro lavori e una legislazione troppo affrettata spesso può nuocere a questo obiettivo.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Ho votato a favore della relazione su una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei pedoni e degli altri utenti della strada vulnerabili (2007/0201).
Attualmente, non esistono sul mercato sistemi anticollisione in grado di identificare effettivamente i pedoni e altri utenti vulnerabili della strada e di soddisfare tutte le condizioni necessarie. Condivido l’idea del relatore che la priorità sia data all’introduzione di misure volte a ridurre il numero di feriti e, soprattutto, il numero di morti violente fra pedoni e altri utenti vulnerabili della strada. Va sottolineato che gli emendamenti presentati sono finalizzati a rafforzare le disposizioni del regolamento laddove possibile. Ho votato a favore della relazione perché credo sia importante monitorare non solo lo sviluppo della tecnologia per garantire la sicurezza attiva, ma anche prendere in considerazione la possibilità di introdurre disposizioni più severe per la sicurezza passiva, in relazione alla costruzione dei veicoli.
Bernard Wojciechowski (IND/DEM), per iscritto. − (PL) I pedoni e i ciclisti sono spesso coinvolti in incidenti stradali. La protezione delle loro vite costituisce un’importante sfida per l’industria automobilistica.
Il sistema elettronico di protezione dei pedoni (EPP) è una soluzione eccellente. Riduce la gravità delle conseguenze della collisione con un veicolo. Grazie a questo sistema, la parte frontale del veicolo assorbe la forza dell’urto, riducendo così la portata delle lesioni subite dalla vittima.
Un altro metodo di successo per garantire la sicurezza dei pedoni è un cofano attivo, che è stato installato nella C6. nel momento in cui il pedone è colpito, la copertura del motore si alza automaticamente. Grazie al sensore di rilevamento dell’impatto e al meccanismo detonante, il cofano si alza di 65 millimetri in 0,40 secondi. Un meccanismo separato mantiene il cofano in posizione sollevata nonostante la forza dell’impatto, assorbendo così l’energia creata. In caso di urto leggero, la protezione è fornita anche dalla parte dotata di paraurti.
Tutti i veicoli dovrebbero essere sottoposti ai test necessari al fine di migliorare la sicurezza sulle strade dell’Unione europea.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Questa relazione riguarda alcuni cambiamenti positivi alla procedura abituale fra Commissione europea e Parlamento europeo. L’articolo 5 bis della decisione 1999/468/CE modificata ha introdotto la nuova procedura regolamentare con scrutinio per misure di portata generale che mirano a modificare elementi non essenziali di uno strumento di base adottato in virtù dell’articolo 251 del trattato, fra l’altro cancellando alcuni di quegli elementi o integrando lo strumento con l’aggiunta di nuovi elementi non essenziali.
A seguito della valutazione della legislazione esistente e delle procedure in atto, la Commissione europea ha presentato questa proposta che copre 59 atti legislativi che devono essere adeguati alla nuova procedura di regolamentazione con scrutinio.
Nella sua decisione del 12 dicembre 2007, la Conferenza dei Presidenti ha designato la commissione giuridica quale commissione guida per trattare questo allineamento di comitatologia e le commissioni specializzate come commissioni consultive. La Conferenza dei presidenti delle commissioni ha concordato il 15 gennaio 2008 le modalità di cooperazione fra la commissione giuridica e le altre commissioni interessate. Questa relazione contiene quindi un numero limitato di cambiamenti, ricevuti sotto forma di lettere.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Galeote Quecedo sulla proposta di regolamento del Consiglio recante apertura e modalità di gestione di contingenti tariffari comunitari autonomi sulle importazioni di alcuni prodotti della pesca nelle Isole Canarie.
La relazione chiede di eliminare i contingenti tariffari comunitari sulle importazioni di alcuni prodotti della pesca nelle Isole Canarie per gli anni 2007-2013. Va osservato che le disposizioni colpite dalla proposta sono decadute il 31 dicembre 2006. La proposta relativa alla creazione di contingenti non tariffari e alle modalità di gestione di questi ultimi è conforme all’articolo 299, paragrafo 9, del Trattato sull’Unione europea, che prevede misure specifiche per assistere le regioni ultraperiferiche.
Ho quindi votato a favore della relazione perché ritengo che l’eccezionale situazione geografica delle Isole Canarie in relazione alla fonti di approvvigionamento di taluni prodotti della pesca, che sono essenziali per il consumo nazionale, comporti costi aggiuntivi per questo settore. Un modo per rimediare alle difficoltà naturali di questo tipo, dovute alla posizione geografica, è sospendere temporaneamente i dazi sulle importazioni dei prodotti in questione provenienti da paesi terzi.
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. − Grazie Presidente, ho votato a favore della relazione Jäätteenmäki relativa allo statuto del Mediatore europeo.
Come membro della commissione per le petizioni del Parlamento europeo, ho avuto modo di verificare che un numero ingente e crescente di cittadini si rivolge alle Istituzioni comunitarie invocando il mancato rispetto di norme UE da parte degli Stati membri.
Molto spesso le petizioni rivolte al Parlamento, ed esaminate dalla competente commissione, mancano dei requisiti di ammissibilità. E da qui mi ricollego ad un aspetto nodale: l’ufficio del Mediatore europeo deve lavorare di più e meglio sul versante della comunicazione esterna ai cittadini. Molto spesso l’esistenza stessa della figura del Mediatore è sconosciuta al cittadino comune, mentre potrebbe veramente costituire uno dei link più funzionali ed efficienti con le Istituzioni. Lo statuto che oggi votiamo offre nuovi strumenti per rendere più efficace l’azione del Mediatore. A noi parlamentari spetta il compito di monitorare i risultati conseguenti.
Lydie Polfer (ALDE), per iscritto. – (FR) La relazione di propria iniziativa dell’onorevole Jäätteenmäki relativa all’accesso del Mediatore europeo a informazioni, e alla necessità di avere regole più chiare, trova il mio sostegno perché fissa una normativa più chiara in questo settore.
Precisa che tutti gli organi e le istituzioni dell’Unione europea devono comunicare al Mediatore tutte le informazioni che egli possa richiedere, mentre finora un documento poteva essere rifiutato con il pretesto della riservatezza.
Inoltre, l’obbligo per i funzionari di testimoniare “su istruzione della loro amministrazione” sarà eliminato mentre il funzionario è tenuto a dire la verità in tuta onestà.
Lo scopo perseguito dalle proposte dell’onorevole Jäätteenmäki è aumentare la fiducia dei cittadini europei nell’azione del Mediatore europeo e le proposte meritano di essere attuate.
8. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
(La seduta, sospesa alle 13,30, è ripresa alle 15.00)
PRESIDENZA DELL’ON. MARTINE ROURE Vicepresidente
9. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
10. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
11. Misure contro l’aumento del prezzo del petrolio (discussione)
Presidente. - L’ordine del giorno reca la discussione sulle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulle misure contro l’aumento del prezzo del petrolio.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Il Consiglio è consapevole dell’impatto dell’aumento dei prezzi sui cittadini europei e del loro effetto negativo sull’intera economia europea. Per questo motivo, il Consiglio ha affrontato la questione nei recenti suoi incontri. Nel contesto dell’aumento del prezzo dei prodotti alimentari, la questione sarà discussa anche dai Capi di Stato e di governo durante la loro riunione che inizia domani. Le analisi dei motivi dell’aumento del prezzo del petrolio indicano complessi spostamenti strutturali nell’offerta e nella domanda di petrolio a livello di economia globale. E’ improbabile che la produzione di petrolio nel breve periodo tenga il ritmo della forte domanda sostenuta delle economie in via di sviluppo. Poiché i motivi dell’aumento del prezzo del petrolio sono stati ben presentati dalla Commissione europea nella relazione della scorsa settimana, non li discuterò nei dettagli.
L’Unione europea subisce gli effetti di tale cambiamento del prezzo del petrolio attraverso una maggiore inflazione, l’impennata delle bollette di consumi domestici, maggiori problemi nel settore agricolo e della pesca, nel settore dei trasporti e in diverse industrie. Sulla base dell’ipotesi che le cause dell’aumento del prezzo del petrolio sono di natura strutturale e che è probabile che tale tendenza continui in futuro, l’Unione deve trovare soluzioni a lungo termine. Oltre a incoraggiare la concorrenza nel mercato dell’energia e una migliore trasparenza nei mercati del petrolio, le misure devono incentrarsi in particolare a sostenere ulteriormente l’efficienza energetica e la diversificazione dell’offerta di energia.
Per quanto riguarda l’efficienza energetica, consentitemi di ricordare che il Consiglio europeo del marzo 2007 ha chiesto un aumento dell’efficienza energetica in modo da raggiungere l’obiettivo di risparmio del 20 per cento entro il 2020. La direttiva sull’efficienza degli usi finali di energia e sui servizi energetici adottata nel 2006 ha contribuito al raggiungimento di questo obiettivo. Ma non possiamo ottenere tutto attraverso la legislazione. I nuclei familiari e le imprese potrebbero dare un contributo significativo comportandosi in modo più razionale, che il Consiglio e il Parlamento potrebbero incoraggiare con l’attuale sensibilizzazione.
Le altre misure cruciali si riferiscono agli sforzi per la diversificazione dell’offerta energetica. Vorrei ricordare che al riguardo il Consiglio europeo di primavera dell’anno scorso ha adottato il piano d’azione per la politica energetica per l’Europa. Questo fissa un obiettivo vincolante di raggiungere una quota del 20 per cento di energie rinnovabili nel consumo globale europeo entro il 2020. Dico questo perché desidero sottolineare che l’Unione ha già adottato alcune misure che potrebbero ridurre la sensibilità dell’economia europea a un aumento del prezzo del petrolio. Le politiche attuali dovranno essere migliorate in futuro.
Quando ha discusso l’aumento del prezzo del petrolio nella sua recente riunione, il Consiglio ECOFIN, fra l’altro, ha ribadito l’accordo di Manchester adottato nel settembre 2005. Secondo questo accordo, gli interventi di politica fiscale e in altri settori dovrebbero essere evitati quando rispondono all’aumento del prezzo del petrolio, perché distorcono la concorrenza e impediscono il necessario adeguamento da parte degli operatori economici. Le misure che potrebbero alleviare l’impatto dell’elevato prezzo del petrolio sugli strati più poveri della popolazione dovrebbero rimanere a breve termine e mirate, e dovrebbero evitare effetti distorsivi. Anche l’aumento del prezzo dei carburanti è stato discusso la scorsa settimana dai ministri delle Finanze del G8, che rappresenta i paesi più industrializzati. Hanno sottolineato, fra l’altro, che l’aumento del prezzo del petrolio e dei prodotti alimentari è un problema globale, e che le soluzioni dovrebbero essere cercate a livello internazionale.
Vorrei anche menzionare che alla riunione del Consiglio “Affari generali e Relazioni esterne” di questa settimana, abbiamo approvato il programma dei 18 mesi delle tre Presidenze future. Il loro lavoro nel Consiglio includerà compiti che riguardano il modo di trattare efficacemente la questione dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e del petrolio.
Vorrei concludere dicendo che per affrontare i cambiamenti suddetti abbiamo bisogno di politiche coordinate, nell’UE e a livello internazionale. Dobbiamo essere attenti a non creare nuovi squilibri e problemi con queste politiche. Nell’affrontare queste questioni scottanti, dobbiamo anche puntare alla collaborazione costruttiva del Parlamento europeo, in particolare in sede di discussione delle necessarie proposte legislative.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, per me ogni giorno inizia con un controllo di routine del prezzo del petrolio e di recente le notizie sono andate più o meno in una direzione: il prezzo del petrolio sta diventando sempre più alto, Negli ultimi tre anni, il prezzo del petrolio in dollari USA si è più che triplicato. Per l’UE, con una quota del 37 per cento di consumo energetico proveniente dal petrolio, è facile comprendere l’impatto reale e potenziale dell’elevato prezzo del petrolio sulle nostre economie e sui cittadini.
Assistiamo a una diminuzione costante della nostra produzione – ed è tuttora notevole –, ma questa diminuzione si registra fin dalla fine degli anni ‘90. Un aumento continuo delle importazioni incrementa la nostra dipendenza e la somma che stiamo pagando per acquistare risorse energetiche sta aumentando costantemente.
Questo ha un effetto diretto sui nostri cittadini e sulle imprese. L’aumento del prezzo del petrolio crea inflazione e quell’impatto è già evidente. Il contributo dell’energia all’aumento dell’indice dei prezzi nel quarto trimestre del 2007 ha raggiunto una media dello 0,8 per cento nella zona euro. Questo comporta impatti diretti e tangibili sui nuclei familiari e su una serie di settori economici, non ultimi quelli che non possono trasferire il prezzo dell’energia sul consumatore finale.
L’aumento del prezzo dei carburanti per i motori e per il riscaldamento dei nuclei familiari fra l’aprile 2007 e l’aprile 2008 ha superato di gran lunga la crescita generale dei prezzi al consumo. Ad esempio, i prezzi dei carburanti per trasporto sono aumentati in media del 12,7 per cento rispetto alla media dell’inflazione del 3,6 per cento. I nostri cittadini più vulnerabili sono di nuovo quelli più colpiti.
Nel settembre 2005 vi parlavo già dell’aumento del prezzo del petrolio e ho presentato un piano strutturato su cinque punti. Da allora, abbiamo lavorato su un’intera serie di nuove proposte per iniziare a rispondere alla sfida dell’aumento del prezzo del petrolio in materia di efficienza energetica, automobili, qualità dei combustibili, energie rinnovabili. Come conseguenza di queste politiche, possiamo aspettarci una diminuzione graduale del consumo di petrolio nell’UE nei prossimi anni. Adesso, per gli ultimi tre anni si registra un consumo più o meno stabile e è iniziata la fase del passaggio a trasporti più puliti e più efficienti che usano fonti energetiche rinnovabili.
Dobbiamo fare di più e di certo non dovremmo sottovalutare i problemi derivanti dagli elevati prezzi dell’energia per i nostri cittadini, in particolare i nuclei familiari e le imprese più vulnerabili. Questa è già una buona base sui cui sviluppare ulteriormente la migliore risposta politica possibile alla sfida. Il fatto che il prezzo del petrolio abbia continuato ad aumentare non significa che le nostre politiche siano fallite. Sono convinto che senza i nostri ambiziosi obiettivi in materia di clima e di energia, la situazione sarebbe stata ancora più difficile. Ma, come risulta chiaramente dalle ultime tendenze, abbiamo bisogno di accelerare ulteriormente i nostri sforzi.
Vorrei soffermarmi adesso sui fattori a lungo termine che incidono sul mercato del petrolio. In parole semplici, stiamo lasciando l’epoca del petrolio economico e dell’energia economica in generale. La domanda globale di energia sta crescendo e l’Agenzia internazionale per l’energia stima che potrebbe aumentare di più del 50 per cento entro il 2030. In particolare, le economie emergenti stanno consumando sempre più energia.
D’altro canto, non è per nulla chiaro se vi sarà una produzione di petrolio sufficiente a soddisfare la domanda globale. Gli esperti dicono che geologicamente vi sono ancora risorse sotterranee sufficienti per i prossimi 40-50 anni. Come ha dichiarato l’Agenzia internazionale per l’energia, non è certo se i paesi produttori hanno l’abilità o la volontà di accelerare la produzione per soddisfare gli aumenti inevitabili e continui della domanda globale di petrolio.
L’epoca dell’energia economica è finita, in un momento in cui, a causa del cambiamento climatico, abbiamo in ogni caso l’obbligo assoluto per le generazioni future di passare a fonti energetiche pulite, senza carbonio, per il riscaldamento, l’elettricità e i trasporti. Questa è la sfida che affrontiamo. E’ necessaria una risposta chiara. Ma, prima di parlare delle misure a lungo e medio termine, vorrei menzionare alcune azioni a breve termine che alleggeriscono l’impatto sui consumatori.
Gli effetti sui gruppi più vulnerabili devono essere mitigati nel più breve tempo possibile, laddove necessario attraverso misure sociali. Il sostegno alle famiglie più povere può essere giustificato e necessario, ma deve essere mirato. Nel contempo, dovremmo essere molto cauti per quanto riguarda i cambiamenti dei regimi fiscali. L’esperienza ha dimostrato che tali misure, seppur politicamente molto attraenti, di fatto, rendono difficile la transizione nel più lungo periodo all’adeguamento all’aumento dei prezzi energetici e al risparmio di carbonio. E’ molto meglio mirare gli aiuti laddove sono realmente necessari.
In termini di ulteriore sviluppo dell’approccio a lungo termine dell’UE per affrontare la sfida, le nostre politiche energetiche esistenti sono considerate da molti come “guide mondiale”. La Commissione ha sempre insistito che il suo recente pacchetto climatico ed energetico conteneva gli obiettivi combinati di sostenibilità, sicurezza di approvvigionamento e competitività, un fatto questo che diviene più chiaro con il tempo.
Vorrei approfondire gli elementi più importanti di queste politiche, già in atto o sotto esame in quest’Aula: il progetto di direttiva che garantisce il 20 per cento di energie rinnovabili nel nostro consumo energetico finale entro il 2020; le nuove regole per ampliare e rafforzare il sistema dell’UE per lo scambio delle emissioni (ETS), affinché soddisfi il nostro obiettivo del 20 per cento di riduzione dei gas serra entro il 2020, e la definizione dell’ETS quale motore del cambiamento; la proposta di ridurre le emissioni di CO2 provenienti dalle automobili e la direttiva sulla qualità dei carburanti che obbligherà i fornitori di petrolio a ridurre progressivamente il loro consumo di CO2 e di energia nei prodotti che vendono; e, cosa più importante, il piano d’azione per l’efficienza energetica, che copre tutti i settori a tutti i livelli, dal partenariato internazionale per la cooperazione sull’efficienza energetica al patto dei sindaci a livello locale, a specifiche misure quali l’etichettatura dei prodotti di consumo o requisiti per l’efficienza energetica degli edifici.
Praticamente tutte le misure menzionate nel piano d’azione per l’efficienza energetica sono vantaggiose in termini di costi a 60 dollari statunitensi per barile di petrolio.
Questo rappresenta un inizio, ma dobbiamo fare di più. La Commissione continuerà quindi il lavoro a livello internazionale, in particolare il dialogo costruttivo fra i principali paesi produttori e consumatori di petrolio, quali l’incontro di Jeddah che si terrà questa settimana in Arabia Saudita o il dialogo UE-OPEC la prossima settimana. Esaminerà il funzionamento dei mercati del petrolio e dei prodotti petroliferi nell’Unione europea e avanzerà proposte per una possibile azione politica futura nella seconda revisione strategica sull’energia alla fine di quest’anno. Aiuterà i paesi in via di sviluppo importatori di petrolio a mitigare gli impatti a breve termine degli elevati prezzi dei carburanti e degli alimenti e a favorire miglioramenti strutturali nel loro rendimento energetico e l’uso di carburanti alternativi. Imprimerà maggiore slancio agli sforzi tesi all’efficienza energetica.
Questa rimarrà la ma più importante priorità. Significa avere una migliore legislazione interna all’UE. Significa anche spingere per un partenariato internazionale sull’efficienza energetica più efficace, che è stato adottato la scorsa settimana al G8 “Energia” in Giappone su iniziativa dell’Unione europea.
La legislazione esistente in materia di efficienza energetica e i miglioramenti che presenterò nei prossimi mesi sugli edifici, l’etichettatura e norme minime sui prodotti sono realmente importanti, ma devono essere viste solo come una delle numerose misure necessarie. La sfida reale è l’attuazione efficace di politiche sull’efficienza energetica a livello nazionale, regionale e locale nell’Unione europea. La Commissione svolgerà un ruolo di rilievo, aiutando gli Stati membri a soddisfare queste sfide.
Parlo dei biocarburanti perché spesso di discute della questione. Nel progetto di direttiva sulle energie rinnovabili, noi incorporiamo l’impegno del Consiglio europeo di garantire che il 10 per cento dei trasporti dell’UE siano azionati da carburante rinnovabile entro il 2020. Va osservato che questo 10 per cento può essere coperto da biocarburanti o da elettricità provenienti da fonti rinnovabili, o aumentando l’efficienza energetica della flotta.
Sono convinto che l’UE possa e debba produrre i biocarburanti che utilizza in modo sostenibile e responsabile, senza incidere sui livelli di produzione globale di alimenti. A tal fine si può agire in modo sostenibile usando terreni precedentemente messi a riposo nell’UE, migliorando i raccolti in modo sostenibile, investendo nella tecnologia per i biocarburanti di seconda generazione, e lavorando insieme con i paesi in via di sviluppo per garantire che i biocarburanti integrino la produzione di alimenti, senza sostituirla. Con tale approccio, lo sviluppo di carburanti alternativi puliti per il trasporto deve fare parte della risposta dell’UE alle sfide del prezzo del petrolio e del cambiamento climatico.
L’Unione europea dovrà proseguire i suoi sforzi internazionali e il suo dialogo con i partner principali. Il G8 della scorsa settimana e l’incontro di Jeddah sul prezzo del petrolio di questa settimana mostrano che la questione è in cima all’agenda politica. Dovremmo usare la credibilità che stiamo costruendo e guidare l’azione internazionale per sfruttare il potenziale dell’efficienza energetica e della produzione di energia pulita nel mondo, e consentire il funzionamento di mercati globali dei prodotti di consumo efficienti e affidabili.
Tuttavia, l’azione inizia a casa, e un nuovo impulso per l’energia rinnovabile e l’efficienza energetica è vantaggioso non solo per il clima, ma anche per la nostra economia.
Vi è un futuro energetico per noi tutti. Questo futuro molto probabilmente sarà strutturato su diversi modelli di produzione, consumo e comportamento. Come per il cambiamento climatico, è necessario agire adesso e la Commissione partecipa a pieno titolo.
Jean-Pierre Audy, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario Piebalgs, onorevoli colleghi, cerchiamo di avere una certa immaginazione. Tutte le idee, compresa quella del Presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy, che miramo a limitare l’aliquota massima di IVA, sono rispettabili e devono essere studiate. Io vorrei presentarvene un’altra.
Il petrolio è un combustibile fossile presente in quantità limitata e l’aumento del suo prezzo è irreversibile e durevole. Ma ciò che causa le difficoltà, al di là dell’aumento stesso, è la maniera brutale con cui le importanti variazioni del costo mondiale del barile di petrolio greggio incidono sulle nostre economie. Così, mi chiedo se l’Unione europea, senza nascondere le realtà legate all’aumento stesso, non potrebbe garantire una stabilità dei prezzi secondo una periodicità annuale, consentendo ai bilanci pubblici, in particolare quelli gestiti dagli Stati membri per la fiscalità e quelli delle collettività locali, e alle imprese nelle loro relazioni contrattuali legate al prezzo del petrolio e, più in generale, ai cittadini che hanno un loro bilancio domestico, di tenere meglio conto dei grandi cambiamenti relativi all’energia, senza subire la pressione quotidiana delle variazioni brutali del prezzo del petrolio greggio legate agli scmabi mondiali, alla speculazione e alla parità euro/dollaro.
E’ in questo contesto che propongo di studiare, signor Commissario, la creazione di uno strumento comunitario il cui scopo sarebbe garantire il prezzo del barile del petrolio greggio secondo il ciclo di bilancio abitualmente ammesso di un anno. Questo strumento potrebbe utilizzare tecniche finanziarie di acquisto/vendita di opzioni sul mercato mondiale ed essere utile alla lotta contro la speculazione.
Nel 2005, quando il prezzo era di 50 dollari al barile, avevo chiesto il suo parere, signor Commissario Piebalgs, e lei mi aveva risposto che l’idea era interessante, considerando però che la Commissione non era competente a regolare il prezzo del greggio, in particolare perché il mercato del petrolio è mondiale. Mi permetto di insistere perché un siffatto strumento comunitario, il cui funzionamento è un gioco da importo nullo nel lungo periodo e non necessita praticamente di alcun finanziamento, meriterebbe quanto meno di essere valutato, e ripeto, non per combattere le leggi del mercato che si impongono a noi, ma per regolare la brutalità della loro applicazione e assicurare un migliore impatto dell’aumento del petrolio greggio sulla catena dei prezzi nei settori interessati. La situazione della pesca, di cui discuteremo fra poco, è un esempio del tutto significativo.
Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, ho grande rispetto a livello personale per i due oratori del Consiglio e della Commissione. Tuttavia, credo che le proposte che abbiamo sentito oggi e negli ultimi giorni siano troppo poche e troppo tardive. Ad esempio, il documento della Commissione non fa menzione alcuna della parola “speculazione”. Non è che questo sia la causa principale dell’aumento dei prezzi, ma pubblicare un documento oggi, che non fa menzione della speculazione... Anche il G8 è più progressista della Commissione qui!
Per quanto riguarda i profitti sostanziali che, anch’essi, ovviamente, non sono menzionati, ho chiesto al Commissario diverse volte, dato che apparentemente non vi è alcun modo per introdurre meccanismi di controllo, ho chiesto a lui di garantire, attraverso accordi volontari, che alcuni di questi profitti siano investiti in misure di risparmio energetico, per lo sviluppo di energie alternative e per la ricerca. Questo punto è discusso attualmente in Francia, ad esempio. Tuttavia, oggi il Commissario non ha fatto alcun commento sull’argomento e non è stato fatto niente.
Sulla questione del risparmio energetico e la protezione dei consumatori, in linea di principio siamo d’accordo, ma le proposte della Commissione erano molto deboli. Sono stati necessari il Parlamento e la decisione di oggi, nel contesto della relazione Morgan, per creare un ampliamento sostanziale dei diritti dei consumatori, specialmente in relazione al risparmio energetico con contatori intelligenti, eccetera. Per quanto riguarda le misure sociali che il Commissario ha proposto, tutto quello che posso dire è che è stato evidente per qualche tempo che sono necessarie misure sociali.
Abbiamo discusso dell’Irlanda oggi. Voglio essere franco: i cittadini sono molto nervosi è quando non hanno riscontro da Bruxelles sulle loro preoccupazioni specifiche e reali. Che i cittadini interessati siano pescatori nel settore delle PMI o consumatori socialmente svantaggiati, vogliono ottenere un certo tipo di messaggio da Bruxelles che li aiuti ad affrontare la difficile situazione. Ci aspettiamo segnali chiari dalla Commissione e dal Consiglio in quest’Aula, specialmente nei prossimi giorni.
Marco Cappato, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, io non credo che bisogna seguire la strada proposta dal collega Audy. Non credo che sia il nostro compito quello di creare delle misure sul controllo dei prezzi. Credo che il Commissario abbia tracciato la linea di cui si può seriamente occupare l’Unione europea, cioè quella del nostro modello di sviluppo, delle energie rinnovabili e quindi semmai della necessità e dell’urgenza di rivedere gli obiettivi che sono stati fissati – del 20% sull’energia, del 10% sui trasporti – per farli ancora più ambiziosi, per occuparsene in tempi ancora più stretti.
Purtroppo, come per esempio le politiche sul gas, sulle quali abbiamo votato oggi, ci dimostrano, sono gli Stati nazionali a opporsi a una vera politica europea di concorrenza e di mix delle fonti energetiche. Questo è il problema. Allora esiste evidentemente una questione di speculazione che può essere affrontata. Per la verità, anche su questa materia gli Stati nazionali si rifiutano di consegnare all’Unione europea un vero potere di regole sui mercati finanziari, ma a questo punto non chiediamo all’Europa di trovare delle scorciatoie per risolvere i guai che le politiche nazionali hanno creato. Energie rinnovabili, piani strategici a lungo termine: questo è quello che chiediamo, più veloce di quanto non si sia programmato.
Claude Turmes, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signora Presidente, propongo tre misure.
La prima: tassare le speculazioni. E’ incredibile! Siamo schiacciati dai costi, mentre i profitti di Total, Eon, Exxon e degli speculatori non sono mai stati così grandi. Personalmente vorrei che Juncker, il Presidente di ECOFIN, traduca in atti le sue parole. Si può facilmente imporre una tassa su tali profitti a livello nazionale, ma coordinato a livello europeo, e questi proventi sono milioni di euro che serviranno al mio secondo punto.
Punto due: in ogni paese, con questi proventi, creeremo fondi per compensare i casi estremi, i casi estremi di certi pescatori, i casi estremi di alcuni camionisti e del gran numero di famiglie che oggi hanno difficoltà a pagare le bollette. Non sovvenzionando l’energia direttamente, ma aiutandoli ad avere soldi per pagarle e, soprattutto, collegandole con l’efficienza energetica. Sono i poveri a non avere i soldi per pagare il frigorifero che consuma meno. Ecco dove bisogna intervenire.
Terzo punto: quali leader politici dobbiamo essere franchi con i nostri cittadini. La crisi che stiamo attraversando non è una difficoltà di secondo piano sul petrolio. E’ una crisi strutturale. Abbiamo un modello economico che è stata concepito per un miliardo di persone della classe media di Stati Uniti, Giappone, Europa. Questo modello economico si sta estendendo a milioni di altre persone della classe media in Cina, India, Nigeria, Africa del Sud, Messico, Brasile. Questo modello economico ha un problema innato perché non integra le risorse e l’inquinamento dell’ambiente. Quindi, signor Commissario, occorre essere più ambiziosi sull’efficacia energetica e la domanda che voglio porre è la seguente: il Consiglio non dovrebbe chiedere alla Commissione di presentare un pacchetto di misure in settembre per una grande iniziativa europea di investimento nell’efficienza energetica?
Gintaras Didžiokas, a nome del gruppo UEN. – (LT) La politica dell’UE sulla tassazione dei prodotti energetici è stata introdotta nel 1993. A quel tempo, il prezzo di un barile di petrolio era di 16 dollari statunitensi. Oggi che il prezzo del petrolio ha raggiunto 140 dollari statunitensi, sorge la questione se l’attuale politica dell’UE sulla tassazione dei prodotti energetici possa essere giustificata. I cittadini e le imprese dell’UE stanno pagando per acquistare il carburante molto più che in altre parti del mondo.
Questo perché, oltre all’IVA, pagano le accise, di cui l’UE sta chiedendo in realtà un ulteriore aumento; stiamo affrontando una situazione realmente paradossale – più costoso diventa il carburante, più denaro i governi pretendono dai loro cittadini. L’ondata di scioperi che ha colpito l’Europa è una chiara dimostrazione del crescente malcontento della sua popolazione in una situazione in cui nessuna misura viene presa a livello di UE. Questo è un segnale molto chiaro. Come possiamo non riuscire a notarlo o ignorarlo?
La Commissione e il Consiglio non pensano che sia tempo che la politica dell’UE sulla tassazione dei prodotti energetici sia rivista, specialmente in relazione alle accise, all’IVA e ai dazi all’importazione? Come può la Commissione giustificare il rigido messaggio che sta inviando alle persone, ovvero che dovrebbero imparare a convivere con l’aumento continuo dei prezzi dei carburanti? La Commissione ha considerato la possibilità che l’aumento continuo dei prezzi dei carburanti potrebbe minare la fiducia dei cittadini nell’UE, dato che quest’ultima sembra interferire con i tentativi dei governi dei loro paesi di prendere misure drastiche? I fatti addotti per scusare le omissioni e la mancata volontà di agire per quanto riguarda la tassazione meritano ogni critica.
L’idea che, con la riduzione delle tasse, la situazione non migliorerebbe o addirittura peggiorerebbe non è un argomento valido. A livello mondiale, il petrolio e i prodotti petroliferi sono acquistati non solo dai paesi europei. Non vi è petrolio che sia per l’Europa o non sia per l’Europa. I prezzi del petrolio sono globali; è solo che l’Europa impone tasse più elevate sui prodotti petroliferi, che stanno pesando fortemente sulle spalle dei suoi cittadini,. I dazi alle importazioni limitano la concorrenza.
Forse i cambiamenti della politica di tassazione non risolverebbero tutti i problemi, ma ci consentirebbero di reagire più rapidamente agli sviluppi del mercato e faciliterebbero la sopravvivenza in tempi duri. Non è abbastanza importante? Non vi è dubbio che abbiamo bisogno di altre misure a lungo termine. Accolgo con favore l’introduzione di queste misure, ma è necessaria un’azione decisa. I cittadini dell’UE non hanno bisogno di belle parole. Hanno bisogno delle giuste decisioni che consentano una risposta celere ai problemi che potrebbero sorgere. La politica di tassazione, specialmente la politica in materia di IVA, non è stata dettata da Dio. Deve essere cambiata quando non è più in linea con la situazione reale.
Dimitrios Papadimoulis, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EL) Mi perdoni, signora Presidente, ma le posizioni assunte dal Consiglio e dalla Commissione sono state deludenti. Non vi era nulla se non parole e nemmeno un accenno a misure concrete. Non sorprendiamoci, allora, dei “no” ai referendum in Irlanda, Francia e nei Paesi Bassi. Non sorprendiamoci che in paesi come il Belgio, dove le dimostrazioni si verificano raramente, migliaia di persone siano sul piede di guerra.
Né il Presidente in carica del Consiglio né il Commissario hanno menzionato il profitto. Come dobbiamo agire al riguardo? Perché non imponete tasse? Perché non proponete una tassazione nazionale coordinata a livello di UE, dove una parte dei proventi sosterebbero le fonti rinnovabili di energia, energia pulita e programmi di risparmio energetico?
Inoltre, signori rappresentanti della Commissione e del Consiglio, l’aumento del prezzo del petrolio avvantaggia i fondi statali perché le tasse raccolte dagli Stati membri aumentano di conseguenza. Quindi, gli strati sociali più poveri sono colpiti maggiormente dall’inflazione e dagli elevati prezzi. L’inflazione per i poveri è del 40-50 per cento superiore rispetto all’indice generale di inflazione. Parte del maggiore reddito delle tasse degli Stati membri dovrebbe quindi essere restituito come aiuto diretto agli strati più vulnerabili della società. Dobbiamo agire, non indugiare nella retorica.
Nei vostri discorsi conclusivi, mi aspetto che ci spieghiate perché siete stati pronti a rigettare le proposte presentate dai governi di destra, come quella del Presidente Sarkozy, e non dei governi di sinistra. Pensate che il Presidente Sarkozy sia troppo comunista? Se qualcosa deve venire fuori da questa crisi di speculazione dei prezzi degli alimenti e del petrolio, è che l’ottuso neoliberalismo ha fatto il suo tempo. Stiamo aspettando che anche voi lo capiate.
Pervenche Berès (PSE). – (FR) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, apriamo oggi questo dibattito sulla base di una comunicazione che, in effetti, è una nota di circostanza della Commissione, trasformata in comunicazione di fronte all’emozione che suscita, nell’opinione pubblica, la realtà della situazione che vivono i nostri cittadini giorno dopo giorno.
Al G8, è stata sollevata la questione della speculazione sui mercati del petrolio. La realtà della situazione che viviamo, la conosciamo bene, se vogliamo andare al fondo delle cose, e Claude Turmes ha colto nel segno. La crisi petrolifera in cui ci dibattiamo e di fronte alla quale i nostri cittadini provano angoscia è uno degli elementi, uno dei segnali di questa seconda era della globalizzazione in cui siamo entrati, in cui gli squilibri mondiali nei quali ci troviamo hanno condotto a una deregolamentazione del sistema, che si manifesta innanzitutto con una crisi finanziaria negli Stati Uniti che si è propagata a una velocità incredibile sui nostri mercati e che si è trasformata in uno spostamento della bolla speculativa che ha colpito i mercati immobiliari verso il mercato delle merci, e in particolare il prezzo del petrolio, ma anche dei prodotti alimentari. Parallelamente, l’equilibrio fra offerta e domanda su questo mercato specifico ha fatto il resto.
Di fonte a questa situazione, l’Unione europea ha giustamente anticipato gli eventi l’anno scorso dotandosi di una strategia che definirei strategia dei quattro 20 per il 2020: 20 per cento in meno di consumo energetico, 20 per ceno in più di efficienza energetica, 20 per ceno in più di energie rinnovabili.
Ma come ogni volta, troviamo le stesse carenze Quando creiamo il mercato interno, dimentichiamo che, perché un mercato interno sia accettabile, è necessaria una dimensione sociale. Quando vogliamo realizzare un mercato europeo dei servizi, dimentichiamo che forse è necessario tenere conto della realtà dei diritti sociali degli Stati membri, e quando vogliamo dotare l’Unione europea di una strategia giusta in materia energetica per il lungo periodo, dimentichiamo che questo, per usare il linguaggio degli economisti, ha un costo di transizione e che alla domanda relativa a quali poteri di acquisto saranno i più colpiti, possiamo rispondere che saranno quelli delle categorie più modeste, quelle che sono più colpite dall’aumento del prezzo del petrolio.
Oggi vi sono diverse categorie di cui si parla molto, le professioni che sono le più esposte nel loro lavoro quotidiano – i pescatori, i trasportatori stradali –, ma dietro queste vi sono anche tutte quelle famiglie modeste che, nel loro bilancio quotidiano, sono le prime a essere colpite perché per quelle famiglie il bilancio per l’alloggio o il bilancio per i trasporti sono immediatamente colpiti dall’aumento del prezzo del petrolio, in proporzioni più importanti che rispetto alle tasche degli speculatori che si accaparrano i proventi dell’aumento del prezzo del petrolio.
Jelko Kacin (ALDE). - (SL) Il rapido aumento del costo dei carburanti sta frenando i trasporti in Europa e nel mondo. I trasportatori stanno dimostrando con rabbia, i pescatori chiedono compensazioni, e i trasporti diventano sempre più costosi. I costi stanno letteralmente fermando il trasporto di merci. La cosa più spaventosa è che, accanto a questi prezzi, il costo per la produzione di petrolio è in realtà minimo. I costi di produzione sono letteralmente trascurabili.
Il trasporto di persone è l’essenza della libera circolazione delle persone ed è una condizione preliminare per la libera circolazione delle merci. I costi del carburante costituiscono una seria minaccia innanzitutto per il trasporto aereo, che è il più vulnerabile ai costi. Questo vale in particolare per i vettori a basso costo, che hanno consentito a nuovi gruppi di cittadini di scoprire l’Europa e il mondo. La crisi per i vettori a basso costo, che potrebbe verificarsi quest’autunno, non colpirà solo il turismo, colpirà l’industria dell’aviazione, l’industria finanziaria e di conseguenza l’intera economia.
In tali circostanze, l’Unione europea deve mostrare che comprende le sfide e che sa rispondere a livello operativo. In tali circostanze, attraverso un’azione adeguatamente coordinata possiamo migliorare la posizione delle istituzioni dell’Unione europea e calmare la situazione nei mercati. Un momento di crisi finanziaria ed economica è un’opportunità per l’Unione europea di dimostrare che è un contesto utile, necessario ed efficace per le nostre economie e, in particolare, che le istituzioni europeo sono lo strumento giusto ed efficace per le nostre economie.
Charles Tannock (PPE-DE). - (EN) Signora Presidente, l’elevato prezzo del petrolio e del gas rimarrà tale e dubito molto che rivedremo di nuovo il prezzo al di sotto di 80 dollari statunitensi al barile. L’Occidente è stato colto di sorpresa e ha sottovalutato l’aumento dei consumi in Cina e India, i sotto investimenti nelle tecnologie dell’esplorazione e dell’estrazione, l’inabilità – o mancanza di volontà, forse – dell’Arabia Saudita di aprire i suoi pozzi quale produttore influente, e i rischi geopolitici di paesi come Venezuela, Nigeria o Iraq.
Qual è la risposta a mio avviso? Dobbiamo ovviamente consumare di meno, investire nelle energie rinnovabili e nelle nuove tecnologie come le automobili a celle di idrogeno e guardare se i biocarburanti, a livello del loro impatto globale, sono buoni o cattivi sotto il profilo delle emissioni globali e dell’inflazione alimentare per il mondo in via di sviluppo.
Coloro che in quest’Aula, in particolare a sinistra, credono che dipenda tutto dalla speculazione hanno torto perché non si può ammassare il petrolio fisico in grandi quantità come speculatore e trarre profitto. Solo gli Stati Uniti d’America hanno la struttura per farlo.
Infine, accolgo con favore la decisione dell’Italia di costruire un reattore nucleare che, mi auguro, sarà seguita da altri Stati membri dell’UE.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). - (HU) Dovremo fare i conti con il fatto che il prezzo del petrolio rimarrà elevato nel lungo periodo. L’Unione europea e gli Stati membri devono prepararsi per tutte le eventualità. Come ha detto il Commissario Piebalgs, dobbiamo investire molto di più nello sviluppo di tecnologie a basso consumo ed ecologiche, nelle energie rinnovabili e nella creazione di impianti di biogas, come dichiarato nella relazione che ho elaborato in veste di relatore. Sono importanti anche gli sforzi incentrati sul risparmio energetico, fra cui il miglioramento dell’isolamento domestico, ad esempio. Non abbiamo soluzioni magiche e non possiamo trattenere l’energia ai nostri confini; nel contempo, tuttavia, dobbiamo anche cercare soluzioni a breve termine. Vorrei chiedere alla Commissione europea di consentire agli Stati membri, inclusa l’Ungheria, di ridurre temporaneamente le accise sul diesel, perché gli Stati Uniti hanno un enorme vantaggio competitivo al riguardo. Grazie per la vostra attenzione.
Danutė Budreikaitė (ALDE). – (LT) Una soluzione genuina al problema può essere raggiunta, senza dubbio, solo con misure a lungo termine. Tuttavia, alcuni potrebbero non essere in grado di sopravvivere talmente a lungo da vedere i risultati di tali misure. Per quanto riguarda le misure a breve termine, la sola proposta è stata quella di dare aiuti alle famiglie povere. Tuttavia, se il commercio, il sistema dei trasporti, i pescatori, le piccole e medie imprese e l’agricoltura falliscono, le misure a breve termine sarebbero necessarie per moltissime persone.
Le accise sono state introdotte per i carburanti, il petrolio minerale, nel 1992. Nel 2004 le tasse sono state applicate all’intero sistema energetico. Ciò significa forse che la tassazione non ha alcuna influenza? La tassazione ha un enorme impatto e a mio avviso è molto importante consentire una riduzione delle accise fino all’attuazione di misure a lungo termine.
Un’altra cosa – non si è menzionato l’idrogeno come fonte nuova (o rinnovabile). Si sa che la Cina e il Canada lo usano per azionare le automobili, mentre il Giappone lo usa per riscaldare gli edifici.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL). – (PT) Data l’impennata dei prezzi del petrolio e tenendo a mente i suoi effetti devastanti sulle persone e sulle imprese, i trasporti, la pesca, l’agricoltura e l’industria, non si può dimenticare che le grandi compagnie petrolifere hanno registrato un aumento massiccio dei loro profitti, sostanzialmente come risultato della pratica della speculazione dei prezzi che è basata sulla valutazione speculativa di stock di petrolio acquistati a buon mercato.
Sono quindi necessarie misure per combattere questa scandalosa speculazione, in particolare la proposta che abbiamo presentato per introdurre una tassa in ciascuno Stato membro che si applicherà solo ai guadagni speculativi derivanti dall’effetto stock e che li trasformeranno in proventi statali. Questi proventi devono poi essere distribuiti fra i settori economici più colpiti in ciascuno Stato membro.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). - (PL) Signora Presidente, l’Europa e il mondo intero si trovano adesso in una situazione in cui il prezzo del petrolio può determinare non solo la crescita economica, ma anche l’ampiezza della crisi che sta iniziando a farsi sentire nel mercato dei prodotti alimentari e nel settore della pesca. E’ probabile che nel settore dei trasporti sorgeranno dei problemi molto presto.
Quale azione è richiesta? Nel lungo periodo, dovrebbe essere sviluppata una politica energetica stabile con un’ampia base. Vi è stato un acceso dibattito sull’argomento nell’Unione e in quest’Aula. Nel breve periodo, gli aiuti dovrebbero essere diretti a settori specifici. A titolo d’esempio, posso menzionare gli aiuti mirati agli agricoltori, ai pescatori e ai trasportatori. Gli aiuti dovrebbero essere resi disponibili già nel secondo semestre di quest’anno. Vorrei sottolineare che mi riferisco a aiuti specifici mirati in un tempo specifico dell’anno. Si dovrebbe anche agire per limitare la speculazione e le pratiche monopolistiche.
Infine, dovremmo riconoscere che è necessaria una revisione della politica fiscale, sia a livello di Unione che di singoli Stati membri.
José Ribeiro e Castro (PPE-DE). – (PT) Vorrei congratularmi con il Commissario per la sua dichiarazione, che sottolinea l’importanza dell’energia nucleare e la sua assoluta trasparenza.
I numeri non ingannano: i prezzi del petrolio e del gas continueranno a salire, la pressione creata dal consumo mondiale di energia continuerà ad aumentare; il nostro fabbisogno energetico continuerà a crescere, eppure nello stesso tempo non possiamo non rispettare le nostre responsabilità, in particolare l’urgente necessità di lottare contro le emissioni di CO2.
Di conseguenza, l’energia nucleare deve essere sull’agenda e noi non possiamo evitarlo. Non possiamo escludere ogni fonte significativa di energia dal mix energetico, in particolare laddove questa è pulita e sicura. Ovviamente, abbiamo bisogno delle energie rinnovabili, ma non è abbastanza. Sì, abbiamo bisogno dell’efficienza energetica, ma non è abbastanza. Sì, abbiamo bisogno di buoni biocarburanti, ma non è abbastanza.
Dobbiamo quindi fare una scelta: o l’energia nucleare è cattiva e dobbiamo bandirla oppure, se non è bandita perché è sicura e perché la tecnologia e la scienza hanno compiuto progressi, ognuno deve beneficiare della sua produzione.
Dobbiamo avere un piano per il futuro o finiremo con l’andare dalla padella nella brace e poi al disastro totale.
Theodor Dumitru Stolojan (PPE-DE). - (RO) Gli effetti dell’aumento del prezzo del petrolio e del gas naturale sono già avvertiti in tutte le attività economiche e nei programmi sociali e raggiungeranno i massimi livelli il prossimo inverno. A ragione, la Commissione europea discute di soluzioni strutturali tese a risparmiare e a diversificare l’energia. Tuttavia, nell’economia europea occorrono cambiamenti fondamentali; infatti, stiamo discutendo di una nuova struttura tecnologica della struttura europea, che deve essere ottenuta nel medio e lungo termine. Per questo motivo, penso che la Commissione europea debba rivedere e riesaminare la previsione finanziaria per il 2007-2013 per aumentare gli sforzi a favore di nuove tecnologie e investimenti in campo energetico.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Ho menzionato, nel mio discorso di apertura, i risultati di organi competenti secondo cui le cause dell’elevato prezzo del petrolio sono strutturali per natura. Si tratta di un risultato importante.
In questo dibattito, l’influenza della speculazione è stata citata diverse volte. Non desidero negarla né minimizzarla, ma vorrei sottolineare che la speculazione in sé non porta all’aumento dei prezzi energetici, a meno che non esistano motivi strutturali. E ve ne sono. Ciò richiede misure a più lungo termine.
L’era dell’energia economica, almeno quella delle fonti fossili, è probabilmente finita da lungo tempo. Questo, a sua volta, richiede un’azione a lungo termine dell’Unione europea, che ho già menzionato e che andrà in due direzioni. La prima: aumentare l’efficienza energetica e in questo modo ridurre il nostro consumo, fra l’altro. A sua volta sarà ridotta la dipendenza dell’Europa e dell’economia europea dall’energia importata da fonti fossili. La seconda direzione: la diversificazione e, specialmente, un’azione verso fonti di energia rinnovabili. Qui concordo con l’onorevole Papadimoulis, che si deve investire di più in fonti energetiche rinnovabili, ma sono incoraggiati più grandi investimenti proprio agli elevati prezzi dei combustibili fossili. Se quei prezzi tornano a essere economici, se li rendiamo economici con un abile colpo di mano, ridurremo il motivo per finanziare e investire in fonti rinnovabili.
Indipendentemente dal fatto che esiste un ampio consenso sulla necessità di adottare misure a lungo termine, non possiamo di certo dimenticare i problemi a breve termine che stiamo affrontando. Sono stati menzionati e io li ribadirei ancora una volta. L’elevato prezzo del petrolio è un problema particolare per gli strati più poveri della nostra Unione, è un problema particolare per i pescatori – e un dibattito su questo argomento sarà tenuto nel prossimo punto all’ordine del giorno – ed è un problema particolare per i trasportatori. Qui, ovviamente, ha senso studiare, considerare e adottare misure appropriate.
Fra queste misure non escluderemmo ovviamente la revisione della tassazione nell’Unione europea. Posso dire che il Consiglio esprimerà l’aspettativa di ricevere proposte dalla Commissione europea sulla questione, ovvero la tassazione dei prodotti energetici.
Consentitemi di concludere con il pensiero seguente. Credo che questo dibattito sia stato tenuto in un momento molto opportuno; il giorno prima dell’inizio dell’incontro del Consiglio europeo, nel quale uno dei punti principali di discussone sarà l’elevato prezzo del petrolio.
Andris Piebalgs, Membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, è stato un dibattito affascinante e mi dispiace davvero che il tempo sia trascorso così rapidamente.
Così come mi impone il mio lavoro, sono stato nei luoghi in cui si produce il petrolio: il Mar Caspio, il mare di Barents. l’Arabia Saudita. Credo che uno dei nostri errori sia pensare che è facile produrre. Costa miliardi e in ambienti molto difficili. I costi sforano, si procurano danni locali all’ambiente e le persone sono scontente di una serie di progetti. E’ molto chiaro quindi che, se parliamo di questioni petrolifere, non dovremmo cercare i responsabili, ma dovremmo cercare di trovare risposte adeguate nell’Unione europea. Se crediamo che questo stesso approccio potrebbe giovare a tutti, dovremmo seguirlo.
Non esistono sono misure magiche. L’efficienza energetica è la misura numero uno. Senza di essa, il mondo avrà prezzi molto più elevati. E’ chiarissimo.
(Brusii dai banchi)
Bene, stiamo facendo molto. L’energia rinnovabile e le fonti alternative come il nucleare sono importanti anche per alleviare il problema. Sono necessari investimenti nella nuova tecnologia, e per il settore è fondamentale affrontare misure strutturali, non solo sovvenzioni: sovvenzione è prendere da una tasca per mettere in un’altra tasca. Ad esempio, per quanto riguarda il dibattito di stasera sulla pesca, chiederei perché i pescatori non possono trasferire l’aumento del prezzo del carburante sul prezzo del pesce, perché questa è la questione fondamentale: cosa accade, cosa lo impedisce? Ciò significa che dovremmo affrontare misure settoriali.
A livello globale, credo che sia molto chiaro cosa stiamo cercando di fare, per cercare di eliminare la politica OPEC di bloccare le forniture al mercato, di non consentire, in molti casi, alle compagnie occidentali di recarsi nei loro luoghi con la tecnologia e la conoscenza utili per la produzione del petrolio e quindi creare un’offerta migliore. Le nazioni industrializzate dovrebbero avere un ruolo guida nell’efficienza energetica e la mia proposta di partenariato internazionale è stata adottata dal G8. Ma poiché tutti si aspettavano che il prezzo del petrolio sarebbe sceso a 9 dollari statunitensi al barile, il mondo era in ritardo, e adesso sappiamo che dovremmo seguire questa politica.
Per quanto riguarda la protezione dei consumatori, credo che la Commissione sia stata sempre molto coerente al riguardo. Ho molti casi di infrazione, dove i paesi non hanno nemmeno informato la Commissione, come è loro dovere, degli obblighi del servizio pubblico, significando che i documenti giuridici adottati dopo la proposta della Commissione contengono tutti gli elementi necessari e dovrebbero essere attuati.
Credo che la risposta della Commissione e quella del Consiglio siano equilibrate e giuste. Ogni elemento del mercato ha il suo ruolo. So che nessuno ama difendere gli speculatori, ma qual è il ruolo futuro del mercato? Indica dove potrebbe andare il prezzo e consente di effettuare investimenti. Bene, potrei dire, “tassiamo tutti di più” – possiamo aumentare le tasse del 100 per cento per tutti, ma significherà che perderemo l’incentivo a investire. Cerchiamo invece di prevedere incentivi per gli investimenti, consentiamo modi positivi per fare investimenti. Ecco ciò che dobbiamo fare.
(Brusii dai banchi)
Che siano le compagnie dell’Arabia Saudita, Saudi Aramco, che dovremmo tassare, oppure Gazprom, non possiamo tassarle perché hanno una legislazione nazionale in materia fiscale. Per quanto riguarda le compagnie europee, non abbiamo oggi compagine che lucrano un enorme profitto attivo a causa del petrolio e del gas.
(Brusii dai banchi)
Hanno anche dovuto investire in altri progetti e se conoscete di queste compagnie, dovreste menzionarle. Se conoscete queste compagnie che hanno questa vita così bella ...
(Brusii dai banchi)
E.ON non lavora nel petrolio. Eni lavora nel settore petrolifero, ma investe miliardi in progetti, ad esempio per South Stream, per i progetti in Kashagan – investe miliardi – e in Libia. Ogni compagnia ha un suo ruolo nel mercato.
Signora Presidente, è un dibattito fantastico. Sono lieto che avremo la possibilità di tornare sull’argomento perché non vi sono risposte semplici. Ma io credo che la nostra proposta sia bilanciata e sia quella giusta.
Presidente. - La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Ivo Belet (PPE-DE), per iscritto. – (NL) L’elevato prezzo del petrolio fa male a tutti noi, ma i gruppi di popolazione più vulnerabili con un reddito basso saranno colpiti di sicuro più duramente. Il Vertice europeo deve inviare domani un segnale forte che le misure a favore dei più deboli della società sono realmente giustificate e necessarie.
Una riduzione dell’IVA o delle accise non è una soluzione ovvia, questo è comprensibile, perché potrebbe spingere i produttori di petrolio a imporre prezzi ancora più elevati.
Ma forse possiamo agire in modo diverso. Forse dobbiamo procedere ad uno spostamento dei prelievi, di modo che i biglietti aerei, in particolare, siano più costosi (dall’autunno, ad esempio), attraverso un’imposta, e che i relativi proventi siano utilizzati per alleggerire le fatture del riscaldamento per le persone che hanno redditi bassi e medi.
Il surplus potrebbe essere destinato a fornire premi per isolare le case. E’ la soluzione relativamente più economica e più efficiente.
Investire nell’energia rinnovabile e nel risparmio energetico: ecco il nostro compito, di sicuro nel medio periodo. Ma nel frattempo dobbiamo trovare soluzioni quelli che versano nelle situazioni più difficili. L’Europa non può rimanere sorda nei loro confronti.
James Nicholson (PPE-DE), per iscritto. – (EN) Il recente aumento esponenziale del prezzo del petrolio e il conseguente indebolimento dei prezzi dei combustibili stanno avendo un impatto estremamente negativo sulle imprese e sulle industrie dell’UE, Certo, questa situazione ha gravi conseguenze anche per il consumatore medio. I cittadini avvertono la morsa dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dei combustibili e del ridotto potere d’acquisto.
Concordo con la Commissione che dobbiamo puntare a ridurre il nostro consumo e la dipendenza dal petrolio e incentrare i nostri sforzi sulla promozione dell’efficienza energetica e sullo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili.
Tuttavia, questa è una soluzione a lungo termine. Per il momento, vanno compiuti passi pratici e tangibili per alleviare la pressione su gruppi quali gli agricoltori, i pescatori e i membri della società che sono più vulnerabili a questi aumenti dei prezzi. Anche se le misure a breve termine, come i tagli fiscali, esulano dalla competenza dell’UE, l’Unione deve assumere un ruolo guida e incoraggiare i governi nazionali ad attuare soluzioni. L’attuale situazione è insostenibile e devono essere compiuti sforzi per affrontarla.
12. La crisi del settore della pesca in seguito all’aumento del prezzo del gasolio (discussione)
Presidente. - L’ordine del giorno reca:
– l’interrogazione orale dell’onorevole Philippe Morillon, a nome della commissione per la pesca, al Consiglio, sulla crisi del settore della pesca in seguito all’aumento del prezzo del gasolio (O-0063/2008 – B6-0162/2008), e
– l’interrogazione orale dell’onorevole Philippe Morillon, a nome della commissione per la pesca, alla Commissione, sulla crisi del settore della pesca in seguito all’aumento del prezzo del gasolio (O-0064/2008 – B6-0163/2008).
Philippe Morillon, autore. – (FR) Signora Presidente, concederò al Commissario Borg il tempo di accomodarsi. La presente interrogazione orale è stata sollecitata dalla richiesta unanime di quei gruppi in seno alla commissione che ho l’onore di presiedere e mi fa piacere che venga dopo una discussione straordinariamente ricca, che ha affrontato molte questioni di carattere generale.
Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, mio padre nacque più di un secolo fa in un villaggio vicino a Saint Malo, che ho conosciuto nella mia giovinezza come un luogo pieno di vita dedito essenzialmente all’agricoltura e alla pesca. Oggi questo villaggio sta morendo di un cancro causato dalla proliferazione di cellule morte che sono le seconde case e la graduale scomparsa di tutte le attività che permettevano di vivere per più delle sole sei settimane di vacanza.
Non si tratta di un fenomeno isolato, ma di una situazione che si può osservare lungo praticamente l’intera costa dell’Europa e che ha indotto il Commissario Borg, al quale rendo omaggio, a proporre la politica marittima integrata, che dovrebbe consentirci di ristabilire, preservare e rivitalizzare le comunità che vivono sulle coste europee. Se questa decisione ha significato trasformare la DG PESCA in DG MARE non vuol dire necessariamente che l’Unione europea sia determinata a vedere sparire quelle risorse che i nostri pescatori hanno continuato a sfruttare nei mari e negli oceani.
Perché l’Unione europea ha solo due politiche comuni, ossia la politica agricola comune e la politica comune della pesca? Quando ci si interroga su questo punto, la risposta è semplice: per permettere al nostro continente di continuare a ottenere sufficienti quantità di prodotti alimentari dallo sfruttamento del suolo e dalla pesca nei mari. E’ pertanto in questi settori in cui l’impatto del massiccio aumento dei prezzi del petrolio potrebbero tradursi in conseguenze catastrofiche, e in particolare, ovviamente, nel settore della pesca. Questa professione, già pesantemente scossa dalla riduzione delle risorse, oggi è sostanzialmente minacciata di estinzione e questo spiega – benché non giustifichi – le violente manifestazioni di disperazione cui si sono lasciati andare alcuni dei suoi rappresentanti e che ancora continuano in certi posti.
Questo è il motivo per cui sono lieto, signor Commissario, che la sua commissione esecutiva abbia proposto alcune misure intese all’immediato salvataggio delle industrie maggiormente minacciate, autorizzando, in particolare, gli Stati membri a concedere una speciale esenzione temporanea dalle norme imposte per l’attuazione del Fondo europeo per la pesca in conformità di procedure che verranno discusse, signor Presidente in carica del Consiglio, il 24 giugno a Lussemburgo in occasione del prossimo Consiglio dei ministri dell’Agricoltura e della Pesca.
Non perdiamo di vista il fatto che l’Unione europea – e il pianeta in generale – deve riuscire a continuare a sfruttare mari e oceani per ottenere le risorse alimentari di cui ha bisogno. Non servirà a nulla preservare e proteggere le risorse ittiche se non ci sono più pescatori per catturarle. Questo è un elemento che, a mio avviso, giustifica le proposte dettagliate che copriranno non solo il breve periodo, ma anche il medio e il lungo periodo, proposte su cui siamo impegnati insieme, signor Commissario, in seno alla commissione per la pesca, proposte che saranno ulteriormente elaborate dagli altri miei colleghi e nel progetto di risoluzione che sarà messo ai voti domani.
PRESIDENZA DELL’ON. MAREK SIWIEC Vicepresidente
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Innanzi tutto desidero ringraziare l’onorevole deputato del Parlamento europeo, Philippe Morillon, per l’interrogazione posta a nome della commissione per la pesca. Mi permetto di sottolineare subito che la Presidenza slovena non ignora la portata del problema legato all’aumento dei prezzi dei combustibili e il loro impatto negativo sulla pesca nell’UE.
Vi posso comunicare che ieri il Presidente del Consiglio “Agricoltura e pesca”, il Ministro Iztok Jarc, si è incontrato con alcuni omologhi a Venezia, onde discutere dell’argomento. Insieme hanno valutato ed elaborato una serie di proposte volte a migliorare l’attuale situazione difficile del settore della pesca dell’UE, e che saranno dibattute nei prossimi giorni. Vorrei tuttavia far presente che tale realtà non si limita al solo comparto della pesca. Gli alti prezzi del carburante sono dannosi per tutte le attività in generale, tra cui l’agricoltura, i trasporti e la produzione.
La crisi ha innescato una serie di situazioni in tutti i settori. Si tratta quindi di una questione a carattere orizzontale, che comprende elementi che riguardano la politica di concorrenza, gli aiuti di Stato e le misure fiscali. Sono la gravità del problema e il suo impatto negativo sul settore della pesca dell’UE che hanno indotto la Presidenza slovena a inserire all’ordine del giorno del Consiglio “Agricoltura e pesca” in programma per la prossima settimana, come ha già ricordato l’onorevole Morillon.
Per i ministri rappresenterà un’occasione per esporre le rispettive opinioni in merito all’attuale situazione e per uno scambio di idee con il Commissario Borg sulle soluzioni più opportune. Inoltre, la Presidenza ha deciso di cambiare il tema della riunione informale dei direttori della pesca che si svolgerà in Slovenia alla fine del mese, affinché anche i direttori della pesca possano confrontarsi su questo tema scottante. Tutto questo avviene dopo che il Consiglio ha affrontato di recente nell’ambito delle sue numerose riunioni delle diverse aree la questione dell’aumento dei prezzi dell’energia, di cui abbiamo discusso con il precedente punto previsto all’ordine del giorno.
Permettetemi di illustrare più in dettaglio le conclusioni del Consiglio ECOFIN. Rispetto ai prezzi del petrolio, il Consiglio ha espresso preoccupazione per la loro continua ascesa, e ha esplorato eventuali soluzioni per affrontare le relative conseguenze socioeconomiche. Ha sottolineato la necessità di promuovere l’efficienza energetica e di fonti alternative di energia, aumentare la trasparenza dei mercati petroliferi, rafforzare la concorrenza sui mercati dell’energia e incoraggiare il dialogo con i paesi produttori di petrolio.
Nella stessa riunione, il Consiglio ha anche incoraggiato la Commissione a riesaminare ulteriormente i mercati collegati ai prodotti e a considerare possibili risposte politiche volte a limitare la volatilità dei prezzi. Come già evidenziato dalla Presidenza nel dibattito di questa mattina, il tema verrà trattato anche nel corso del Vertice del Consiglio europeo, che inizia domani.
Joe Borg, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, desidero ringraziare il presidente della commissione per la pesca, l’onorevole Morillon, per la sua domanda, che mi offre l’opportunità di parlare della crisi dei carburanti.
Desidero sottolineare sin dall’inizio che sono lieto di constatare che le ottime relazioni tra la Commissione e la commissione per la pesca del Parlamento europeo si vanno rafforzando.
Tornando alla questione specifica, sono consapevole delle difficoltà che deve affrontare il settore della pesca a causa dell’aumento vertiginoso del prezzo del carburante, un aumento che rappresenta una crisi strutturale e duratura e assume una dimensione molto particolare – sarei tentato di dire persino unica nel suo genere – per quanto attiene alla pesca. Permettetemi di spiegare il perché.
Da molti anni la flotta dell’UE è preda di un circolo vizioso della sovraccapacità, della pesca eccessiva e della redditività in declino. Allo stesso tempo, i pescatori non hanno potuto trarre beneficio da forniture ridotte e aumenti dei prezzi al dettaglio per i prodotti della pesca. Di conseguenza, in molti segmenti i margini sono ridotti all’osso, il che rende il settore più vulnerabile di altri a una drastica impennata dei costi, come abbiamo visto nel caso del petrolio.
La Commissione comprende la necessità di un’azione coordinata a livello dell’UE onde evitare una crisi pesante per il settore, e garantire che il problema non è semplicemente rinviato ma preso in considerazione seriamente. Questo significa non solo offrire la possibilità di un aiuto d’emergenza, ma anche impegnarsi ad affrontare definitivamente la questione basilare della sovraccapacità, che sta minando tutti i nostri tentativi di riportare il settore a una condizione sostenibile e redditizia.
Per queste ragioni, come ha evidenziato l’onorevole Morillon, il Collegio ha approvato ieri in linea di principio il contenuto di un pacchetto di misure di emergenza, intese a far fronte alle immediate difficoltà socioeconomiche scatenate dal drammatico aumento del prezzo del petrolio e a esaminare i problemi strutturali di base della flotta europea. Credo che sia essenziale concentrare gli aiuti sulle flotte che più dipendono dal carburante e di conseguenza sono le più interessate dall’attuale problema della sovraccapacità.
Proponiamo quindi che gli Stati membri introducano piani di adeguamento per la flotta (FAS), nel cui quadro verranno eliminate le restrizioni all’accesso ai premi di arresto permanente – ossia la demolizione. Per i pescherecci coperti da questi piani di adeguamento per la flotta sarebbero disponibili altri aiuti per l’arresto temporaneo e sarebbe prevista l’erogazione di un aiuto per il disarmo parziale in caso di sostituzione di un vecchio peschereccio con un peschereccio nuovo più piccolo e a più alta efficienza energetica. Sarebbero anche disposizioni per consentire riduzioni temporanee dei contributi socioprevidenziali dei lavoratori.
Più nello specifico, gli aiuti all’arresto temporaneo sarebbero disponibili per tutti i pescherecci per un periodo massimo di tre mesi per tutto il resto del 2008, a condizione che i pescherecci in questione siano inclusi in un piano di ristrutturazione. Tali aiuti saranno adattati in modo da garantire il sostegno alla ricostituzione degli stock e/o condizioni di commercializzazione, laddove possibile.
In base ad un’analisi economica più approfondita la Commissione valuterà se sia opportuno modificare il regime de minimis nel settore della pesca autorizzando la concessione di un massimale di 30 000 EUR per tre anni per nave anziché per impresa, all’interno di un massimale di 100 000 EUR per impresa.
Sono previste anche alcune iniziative specifiche volte a promuovere il valore del pesce nei punti di prima vendita, e la Commissione ha in programma di riservare altri 20-25 milioni di euro del bilancio della PCP per finanziare progetti ad hoc in questo ambito, che vanno ad aggiungersi ai fondi disponibili a titolo del FEP. Dovrebbero inoltre essere introdotte misure finalizzate a incoraggiare il passaggio a tecnologie a risparmio energetico, ad attutire l’impatto socioeconomico della crisi, e a facilitare una riprogrammazione e l’erogazione dei fondi FEP.
Il pacchetto di misure consisterà principalmente in deroghe temporanee alle norme del FEP, al fine di favorire un più rapido adeguamento della flotta comunitaria all’attuale situazione e dare un sollievo temporaneo che consenta di attenuare l’impatto socioeconomico nella fase di transizione.
Presenterò il pacchetto in questione al Consiglio dei ministri della Pesca il 24 giugno a Lussemburgo nell’intento di adottare una proposta formale in materia entro luglio. Considerata la situazione eccezionale che deve affrontare il settore della pesca, confido di poter contare sull’appoggio del Consiglio e del Parlamento al fine di adottare tali misure il più rapidamente possibile.
Carmen Fraga Estévez, a nome del gruppo PPE-DE. – (ES) Signor Presidente, il gruppo del Partito popolare europeo ha sollecitato il presente dibattito in quanto ritiene che la nostra Istituzione non possa continuare a mostrare indifferenza alla luce della gravità della crisi.
Penso che avessimo ragione, dato che solo ieri, e per la prima volta, la Commissione ha annunciato una serie di misure che questo Parlamento chiedeva da anni, alcune delle quali sono identiche a quelle contenute nella proposta di risoluzione comune.
Come indicato in quest’ultima, il prezzo del carburante utilizzato dai pescatori è aumentato di oltre il 300 per cento negli ultimi cinque anni e di oltre il 38 per cento da gennaio, mentre i prezzi sono rimasti gli stessi da 20 anni, con diminuzioni in alcuni casi che raggiungono il 25 per cento a seguito dei massicci ingressi di importazioni, spesso costituite da prodotti della pesca illegale.
Il mio gruppo ha sottolineato che non c’è alcun settore che possa sopravvivere in queste condizioni ed è il motivo per cui ha voluto riunire tutti oggi, compresi il Consiglio e la Commissione, al fine di saperne di più in merito a questo settore e di discutere del pacchetto di misure.
Siamo particolarmente soddisfatti che le misure contemplino almeno un aumento degli aiuti de minimis che così passano a 100 000 euro, sebbene preferiremmo venissero assegnati per nave anziché per impresa, come richiesto da questo parlamento e come definito nella risoluzione comune.
Siamo totalmente a favore delle riduzioni dei costi sociali e dell’annuncio di una maggiore flessibilità del Fondo europeo per la pesca (FEP) affinché tutti coloro che lo desiderano possano scegliere di ristrutturare le proprie imprese, sostituire i motori con altri più efficienti o ricevere aiuti addizionali, come ha indicato lei, per l’arresto temporaneo.
Nondimeno riteniamo, signor Commissario, che ci sia un altro insieme di misure che meriterebbe la stessa attenzione e lo stesso livello di sviluppo al pari di quelle intese alla ristrutturazione del settore: mi riferisco alle misure orientate al mercato, quali la riforma dell’OCM, che consentono ai pescatori di svolgere un ruolo più incisivo nella definizione dei prezzi, misure più specifiche concernenti l’etichettatura e, soprattutto, misure che dimostrino la chiara volontà del Consiglio e della Commissione di contrastare la pesca illegale.
Accogliamo pertanto con favore alcune delle misure che sono un passo nella giusta direzione, ma dobbiamo chiederci se avremmo potuto evitare al settore di trovarsi in una situazione così critica se fossimo intervenuti molto prima.
Rosa Miguélez Ramos, a nome del gruppo PSE. – (ES) Signor Presidente, anch’io sono soddisfatta, e accolgo con favore, le misure annunciate dalla Commissione. Sembra che in alcuni casi vadano persino oltre rispetto a quanto richiesto dal Parlamento nella proposta di risoluzione. Il fatto che siamo riusciti a trovare uno spazio per una discussione su questo tema nel corso di una sessione così fitta di appuntamenti, indica quale importanza quest’Aula riservi alla problematica.
Penso che in questi tempi in qualche modo instabili gli europei dovrebbero affrontare la crisi insieme ricorrendo a un meccanismo efficace ed equo, che potrebbe assumere la forma della tanto richiesta maggiore flessibilità del Fondo europeo per la pesca (FEP) che ci consentirebbe di adottare misure urgenti a livello comunitario.
Le soluzioni su piano nazionale come quelle proposte da alcuni Stati membri non porterebbero altro che squilibri.
Ci auguriamo, signor Commissario, che alla riunione del Consiglio dei ministri in programma il prossimo lunedì la Commissione riesca a concentrarsi su queste problematiche e a raggiungere un accordo con il Consiglio dei ministri su come utilizzare il FEP per aiutare i segmenti della flotta più colpiti.
Sembra altresì urgente esaminare una volta per tutte il meccanismo di fissazione dei prezzi.
Elspeth Attwooll, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, dobbiamo sottolineare il fatto che una percentuale molto elevata dei nostri pescatori è dedita a piccole attività, con un diritto di pesca limitato. Per esercitare tale diritto devono investire in imbarcazioni, attrezzi di pesca e dispositivi di sicurezza, il che può comportare la restituzione di prestiti elevati. Devono anche pagare le licenze e, in alcuni casi, devono farlo anche per il contingente. Devono poi accollarsi notevoli costi di gestione, quali contributi, riparazioni e, ovviamente, carburante.
Le norme relative a contingenti e giorni in mare possono costringerli a percorrere lunghe distanze per riuscire a trovare catture commerciabili. Soprattutto in caso di cattivo tempo, potrebbero non riuscire nel loro intento. Anche quando la pesca ha esito positivo, ancora non hanno controllo sul prezzo del pesce catturato e nella maggior parte dei casi dipendono da quanto si può ricavare alle aste. In questo modo, semplicemente, non hanno possibilità di compensare gli aumenti dei costi.
La risoluzione indica vari strumenti pratici di assistenza attraverso la regola de minimis e la sua revisione verso l’alto. Esorto tutti gli Stati membri a sfruttare le opportunità offerte dalla regola, onde mantenere condizioni paritarie.
Sono anche urgenti azioni volte a frenare la pesca INN, non solo per contribuire a mantenere il prezzo del pesce catturato legalmente, ma anche ai fini della conservazione degli stock. Lo stesso dicasi riguardo al miglioramento dei requisiti di etichettatura. Tra le altre misure suggerite figura la ristrutturazione, ma al di là di quello che è l’aspetto dell’efficienza energetica e delle fonti di energia alternative, servono anche prospettive ambientali. Con la loro adozione possiamo portare vantaggi ai nostri tormentati pescatori e anche al nostro pianeta minacciato.
Marie-Hélène Aubert, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, come ha sottolineato, questa crisi strutturale è profonda e duratura. Pertanto richiede soluzioni che a loro volta siano durature, non solo per il settore della pesca ma per tutti i settori interessati.
E’ anche opportuno ammettere che l’attuale crisi è esattamente il risultato della cecità rispetto alla dipendenza del settore della pesca dal carburante – e a buon prezzo – e allo slancio sfrenato verso una sorta di corsa agli armamenti, con navi sempre più potenti che possono coprire distanze sempre maggiori e riportare quantità di pesce sempre più consistenti. Anche questi sono alcuni degli aspetti che dobbiamo affrontare.
Il problema del carburante costoso è imprescindibile da tutte le altre questioni che riguardano il settore della pesca – gestione degli stock ittici, politiche in materia di prezzi, commercio mondiale, controllo della pesca illegale – ed è difficile trattate l’argomento separandolo dal resto.
Le sovvenzioni e gli aiuti che la Commissione propone di fornire, e che mi sembrano vadano nella giusta direzione, saranno accettabili – soprattutto per quanto riguarda l’opinione pubblica – solo se subordinati a un radicale rioerientamento delle politiche della pesca e delle pratiche adottate nel settore. Da parte nostra, deploriamo che la risoluzione di compromesso comune non ponga infatti condizioni alla concessione degli aiuti e delle sovvenzioni a questo rioreintamento nonché alla necessità di porre fine alla sovraccapacità delle flotte e di muoversi verso una migliore gestione degli stock ittici e una protezione più adeguata degli ecosistemi marini. Inoltre, questa è proprio la condizioni dalla quale dipende la redditività economica e sociale della pesca. Infine, gradiremmo vedere gli Stati membri che si assumono in toto le proprie responsabilità e abbandonano la pratica demagogica di promettere denaro di cui non dispongono senza proporre alcuna prospettiva sostenibile per il settore della pesca.
Pedro Guerreiro, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Svolgiamo il presente dibattito, perché i pescatori, tra cui quelli portoghesi, si sono mobilitati per chiedere misure, proposte qualche tempo fa, in risposta all’aumento del prezzo del carburante, sia benzina che gasolio, e alla crisi socioeconomica del settore, considerato l’atteggiamento di indifferenza, soprattutto da parte dell’Unione europea.
Il nostro gruppo ha presentato la propria proposta di risoluzione in cui indica una serie di proposte, alcune delle quali adottate in precedenza dal Parlamento europeo, e illustra nuove misure volte a rispondere alle esigenze del settore.
Queste misure garantiscono sostegno alle navi alimentate a benzina, analogamente a quanto avviene con il gasolio, stabiliscono un livello massimo di prezzo o uno sconto aggiuntivo per il carburante, ossia 40 centesimi al litro, migliorano i prezzi al punto di prima vendita senza alcuna ripercussione sui prezzi al consumatore finale, assicurano che i costi di produzione siano considerati in quanto variabili in sede di fissazione dei prezzi indicativi e garnatiscono un reddito equo per gli equipaggi.
L’aumento dei prezzi del carburante e il processo di formazione dei prezzi del pesce al punto di prima vendita richiedono l’adozione di decisioni in risposta a questi problemi, che sono i due principali fattori al centro del peggioramento della crisi del settore.
Jeffrey Titford, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, i pesanti aumenti del prezzo del carburante di cui stiamo discutendo oggi possono rappresentare la famosa goccia che fa traboccare il vaso per molti pescatori britannici. Sono già distrutti dalle normative infinite e dai tagli dei contingenti eruttati da queste istituzioni e che mettono in ginocchio il loro settore.
Ora sono nella spiacevole posizione di non poter andare in mare per catturare i miseri quantitativi di pesce che sono ancora autorizzati a sbarcare, perché il costo del carburante rende il tutto non redditizio ancor prima di cominciare. Il governo britannico li ha abbandonati da molti anni e ha reiterato questo atteggiamento rispetto alle sovvenzioni per il carburante per aiutarli ad attraversare l’attuale crisi.
Alcuni pescatori della mia zona sono stati costretti a tentare un riesame giuridico della loro situazione, perché secondo la PCP a loro dovrebbe essere garantita la possibilità di vivere della pesca.
Il partito dell’Indipendenza del Regno Unito ritiene che la PCP sia un totale disastro che la Gran Bretagna dovrebbe abbandonare al fine di riacquisire il controllo delle proprie acque mentre ha ancora qualche pescatore.
Struan Stevenson (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, mi fa molto piacere che il Commissario oggi abbia affrontato la crisi di vaste proporzioni che colpisce il settore, aggravata dal vertiginoso aumento del costo del gasolio. Come ha giustamente sottolineato l’onorevole Titford – e di rado sono d’accordo con lui, ma in questo caso non posso farne a meno, in alcune nazioni di pesca l’enorme costo del carburante si è aggiunto ai problemi della diminuzione dei contingenti e della caduta dei prezzi del pesce. La situazione è talmente negativa che oggi nel Regno Unito alcuni membri di equipaggio guadagnano meno di 100 GBP la settimana, il che costringe centinaia di loro a lasciare il settore proprio nel momento in cui abbiamo più bisogno che i giovani entrino nel settore. Molti pescherecci, come tutti in quest’Aula sappiamo, non possono più permettersi di uscire in mare; perdono denaro a ogni viaggio. Pescatori infuriati bloccano i porti, conducenti di automezzi pesanti scioperano e si rifiutano di trasportare il carico: questo significa che i mercati del pesce vengono gettati nel più completo scompiglio nel periodo più produttivo dell’anno.
Mi sento tuttavia fortemente incoraggiato dalle disposizioni e dalle proposte illustrateci questo pomeriggio dal Commissario Borg. Gli Stati membri che hanno avanzato proposte per piani di adeguamento delle flotte o intese a una totale ristrutturazione del settore della pesca possono ricevere aiuti a titolo del Fondo europeo per la pesca, e ciò dovrebbe contribuire ad alleviare la crisi acuta che colpisce attualmente il settore.
Mi vergogno profondamente che il governo britannico rifiuti di accettare questi aiuti, rifiuti di applicare a tal fine gli aiuti cofinanziati. E’ terribile che i nostri pescatori finiscano per pescare nelle stesse acque le stesse specie che cattureranno anche i pescatori di altre nazioni vicine che riceveranno questi aiuti. E’ una situazione che distorce ulteriormente il mercato.
Dobbiamo pertanto sostenere la creazione di una flotta più piccola e più efficiente in termini di carburante che risponda più adeguatamente alle possibilità di pesca. Ritengo che le proposte della Commissione consentiranno di realizzare questo obiettivo.
Paulo Casaca (PSE). – (PT) Credo che, in questa crisi, dobbiamo comprendere che l’aumento dei prezzi del carburante è il catalizzatore di una situazione che è ben lungi dall’essere sana e che già suscita alcune grosse preoccupazioni.
Si tratta anche – e credo che lo si debba sottolineare – di una crisi di dimensioni europee, quindi non è corretto cercare di rispondere a livello nazionale.
Terzo, desidero congratularmi con il Commissario e la Commissione per il piano presentato. Ritengo che siano previste misure opportune, anche se possono non spingersi tanto in là, ma comunque contribuiranno a risolvere il problema alla base e nonché i fattori strutturali che ne sono la causa.
Mi auguro che continueremo lungo questo cammino che reputo quello giusto.
Jacky Hénin (GUE/NGL). – (FR) Signor Presidente, ogni porto di pesca dell’Unione europea chiede con urgenza due cose: il gasolio a un prezzo standard a livello europeo di 40 centesimi al litro e una gestione concertata delle quote.
Queste richieste legittime sono di importanza capitale per il settore della pesca e per i posti di lavoro che offre. L’impennata dei prezzi del petrolio e la conservazione degli stock ittici sono problemi concreti. Il libero mercato si dimostra incapace di controllare l’impatto dell’aumento dei prezzi del carburante. Gonfie di profitti, le compagnie petrolifere rispondono speculando sulla crescente domanda relativa ai loro prodotti nelle nazioni emergenti, nella speranza di rompere gli argini. Riducendo le imposte sul carburante, che continuano ad aumentare, e tassando i colossali profitti delle società petrolifere potremmo soddisfare facilmente le richieste dei pescatori senza ricorrere a sovvenzioni, particolarmente aleatorie.
Inoltre, i pescatori non accetteranno più di essere trattati come delinquenti del mare da una Commissione che copre le vere canaglie che solo le bandiere di convenienza e i cartelli del settore della pesca. Nessuno è più interessato dei pescatori alla conservazione degli stock marini. Il sistema deve essere completamente riformato e la Commissione dovrebbe lavorare democraticamente con i lavoratori qualificati del settore della pesca anziché imporre una dittatura basata sulle regole dei suoi pseudo-esperti.
Ioannis Gklavakis (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, do il benvenuto al Commissario e al Presidente in carica del Consiglio.
Negli ultimi cinque anni, la pesca ha subito le conseguenze dell’aumento dei prezzi del carburante, che dal 2004 sono aumentati del 240 per cento. La Commissione e il Parlamento europeo stanno adottando misure per superare il problema, ma la situazione finora non è migliorata. Al contrario, è peggiorata.
Dall’inizio del 2008 abbiamo assistito a un aumento del 40 per cento nella regione. Molti pescatori – francesi, italiani, portoghesi, greci e spagnoli – hanno cominciato a lasciare ormeggiate le loro navi. Perché? Perché il costo dell’attività di pesca è più elevato del prezzo che riescono a ottenere per il pesce catturato.
Sono molto preoccupato perché temo che un gruppo sociale molto importante andrà in rovina. Difende le tradizioni, e mi riferisco ai nostri pescatori. Dobbiamo salvarli evitando la catastrofe. Appoggio l’idea proposta dai miei colleghi di intensificare tutte le misure volte a contrastare la pesca illegale e i problemi ad essa collegati. Desidero tuttavia aggiungere un punto molto importante. Occorre attivare il Fondo europeo per la pesca al fine di garantire le risorse, e grazie a questo denaro aiuteremo i nostri pescatori a sopravvivere. In caso contrario, dovremo affrontare una crisi.
Stavros Arnaoutakis (PSE). – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sulla scia degli aumenti incontrollati del prezzo del carburante si assiste sempre più a veementi proteste e segni di disperazione da parte dei pescatori di molti Stati membri. Non possiamo più rimanere osservatori passivi di queste vigorose rimostranze. E’ essenziale che l’UE adotti misure immediate volte ad alleviare la situazione di coloro che esercitano questa attività. Subiscono difficoltà senza avere altra alternativa o strumenti per risolvere la situazione.
Se l’UE non offre soluzioni immediate, dovremo affrontare un problema politico concernente l’efficacia dell’Unione nel trattare emergenze quale questa in cui ci troviamo. Questo spostamento di responsabilità dalla Commissione agli Stati membri e viceversa deve finire una volta per tutte. In ogni caso, qualcuno deve assumersi la responsabilità e l’iniziativa, e conformemente alla nostra visione europea, che è il lavoro dell’UE. Politiche europee, signor Commissario! Ritengo che le sue proposte siano un passo nella giusta direzione.
Cornelis Visser (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, il settore della pesca sta vivendo un dramma a causa degli elevati costi del carburante. Solo nel 2008 il prezzo del gasolio è aumentato di oltre il 38 per cento. Al momento non ci sono segni che indichino la fine di questa tendenza in salita. Nel mio paese, i Paesi Bassi, circa 15 unità della flotta dei pescherecci a traino sono già state disarmate, perché ogni uscita per la pesca comporta una perdita. Tuttavia, non è solo la vertiginosa crescita dei prezzi a essere responsabile della tragica situazione, ma lo è in parte anche l’importazione di massicci quantitativi di pesce dall’esterno dell’Unione europea a prezzi bassi. Nei Paesi Bassi vengono importati grandi volumi di limande e passere del Giappone vendute talvolta come sogliole e passere di mare. Questo comporta una concorrenza sleale rispetto alle sogliole e alle passere di mare catturate dai pescatori olandesi. Si dovrebbero effettuare più controlli sull’uso dei nomi di queste specie ittiche.
Anche la flotta olandese deve modificare degli aspetti. Le navi esistenti sono eccessivamente grandi e dipendono troppo dai combustibili fossili. Infatti, occorrerebbe sostituirle tutte con pescherecci più piccoli e multifunzione che impiegano metodi di pesca sostenibili.
Purtroppo la Commissione ha rilasciato solo permessi temporanei per cinque navi che usano sistemi a impulsi elettrici per la pesca della passera. Vorremmo vedere qualcosa di più.
Il settore ha bisogno di risorse finanziarie per sopravvivere e si deve intervenire in questo senso a breve termine. Accolgo positivamente le proposte del Commissario. Si potrebbero considerare anche riduzioni di emissioni di CO2 nel settore della pesca. Sarebbe opportuno esaminare ancora un po’ tale aspetto. La flotta di pesca olandese è responsabile dell’1 per cento delle emissioni di CO2 complessive. Vogliamo ridurlo del 20 per cento. Se si osserva il prezzo del CO2 a 25 euro la tonnellata, ci sono margini in questo ambito. Soprattutto se si pensa che con la ristrutturazione quella flotta scompare, la riduzione delle emissioni di CO2 è totale. Potremmo procedere al calcolo sulla base di una diminuzione di sette anni. Mi auguro che la Commissione approfondirà queste proposte. Il Parlamento le sosterrà di certo, ma forse voi potete anche tirare fuori qualcosa da questo.
Avril Doyle (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, la politica comune della pesca ha miseramente fallito e ha contribuito al forte declino degli stock ittici europei. Non è adatta allo scopo.
Il recente aumento dei prezzi del carburante marino – un aumento di oltre il 240 per cento su livelli del 2004, secondo la Commissione, di oltre il 30 per cento negli ultimi mesi – ha solo esacerbato la devastazione già ben documentata delle nostre attività della pesca e del settore stesso in Europa.
Tutti concordiamo sul fatto che occorra adottare certe misure urgenti a breve termine a livello di UE e di Stati membri intese ad alleviare la situazione di pescatori, comandanti e relativi equipaggi – ad esempio livelli adeguati di aiuti di Stato, eventuale riduzione delle imposte sul carburante oltre un determinato prezzo, sostegno finanziario volto a bloccare le importazioni di prodotti della pesca illegale e maggiore controllo di queste ultime, solo per nominarne alcune – noi, in quanto decisori politici, dobbiamo anche guardare al futuro. E’ ora che consideriamo nuove opzioni nell’ambito di piani di ristrutturazione a medio e lungo termine, nonché di concedere le necessarie sovvenzioni al disarmo onde conformare la capacità delle flotte alle risorse disponibili.
Cosa dire di un approccio basato sul mercato con un sistema di scambio di contingenti che prosegue la pratica del dispotismo della regolamentazione, che al contempo ha decimato il settore della pesca e accelerato il grave declino degli stock ittici? L’attuale PCP incentiva in modo perverso la pratica immorale e insostenibile di rigettare le catture accessorie e il novellame in quanto è illegale sbarcarli. Ne abbiamo trattato di recente nella relazione Schlyter. Il problema è acuito dalle importazioni illegali, dalla pesca non dichiarata e non regolamentata, come discusso all’ultima sessione.
Secondo alcuni esperti, come Thorvaldur Gylfason, docente di economia presso l’Università d’Islanda, una politica commerciale basata su canoni, fissati da un’autorità indipendente, renderebbe prezioso ogni chilogrammo di pesce sostenibile, il che fungerebbe da deterrente per i rigetti o per lo sbarco illegale. La Commissione e il Consiglio non pensano che un sistema di scambio di quote, fondato su una ratio economica e ambientale con una gestione basata sugli ecosistemi, potrebbe, da un lato, preservare le preziose risorse marine per le generazioni presenti e future mentre, dall’altro lato, offrirebbe un minimo sollievo ai pescatori produttivi ed efficienti che invocano la riforma?
Sì, ci occorrono misure di emergenza a breve termine per affrontare l’attuale crisi del carburante marino, insieme a piani di ristrutturazione a medio e lungo termine, basati su una ratio ambientale ed economica, anziché trattare da criminali i nostri pescatori più produttivi ed efficienti che a letto, insonni, si chiedono, come ha riportato un portavoce dei pescatori irlandesi: “Se ne andrà via prima la barca o la casa?”
Daniel Varela Suanzes-Carpegna (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, su iniziativa del mio gruppo, e con il sostegno di tutti, ci stiamo confrontando sulla grave crisi del settore della pesca separando il problema dalla crisi generale dei carburanti, perché se anche il prezzo dei carburanti ha acuito la situazione, si tratta solo della goccia che fa traboccare il vaso.
La crisi è molto più profonda e deve essere affrontata con urgenza. Al fine di salvare il settore la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri devono adottare, di comune accordo, un programma che soddisfi i seguenti 10 requisiti che ho dedotto dalla discussione finora svolta.
Uno: maggiori controlli sulle importazioni illegali. Due: maggiori controlli sulle importazioni legali, Tre. riforma dell’OCM con maggiore attenzione al problema dei prezzi ai pescatori nei punti di prima vendita. Quattro: riorientamento degli aiuti a titolo del Fondo europeo per la pesca. Cinque: riprogrammazione dei programmi operativi nazionali. Sei: pagamento e aumento dell’importo degli aiuti de minimis per nave; purtroppo, sembra che la Commissione lo abbia compreso ma la proposta deve essere migliorata, perché non è esattamente quello che vogliamo. Sette: adozione degli aiuti fiscali. Otto: adozione degli aiuti sociali. Nove: più trasparenza e garanzie al consumatore, etichettatura e tracciabilità. Dieci: campagne promozionali per i consumatori e sostegno settoriale.
Questi 10 requisiti si possono sintetizzare in due soli: aumento dei pagamenti e degli aiuti ai nostri pescatori e sanzioni per i trasgressori.
Signor Commissario, signor Presidente del Consiglio, o interveniamo in questo modo ora o dovremo letteralmente farci carico del settore della pesca dell’Unione europea. So che il Commissario Borg non ignora queste problematiche, ma ritengo che dobbiamo contribuire a migliorare la proposta in questione. Mi auguro che il Consiglio farà la stessa cosa la prossima settimana e che approfitteremo della Presidenza francese, che promuove questa riforma, per attuarla in toto.
Dobbiamo sfruttare le opportunità a disposizione perché la rapidità è essenziale.
Duarte Freitas (PPE-DE). – (PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il futuro della pesca deve fra fronte a due minacce: da un lato, la sostenibilità delle risorse e, dall’altro, la sopravvivenza dei pescatori. Dobbiamo pertanto garantire il futuro in due modi: innanzi tutto, limitando la pesca e, poi, aiutando i pescatori a sopravvivere e a pescare meglio.
Sembra che finalmente la Commissione sia consapevole di questi problemi e che alcuni governi, come il governo portoghese che ha completamente ignorato la questione, stiano iniziando a rendersi conto del disastro.
Sarebbe opportuno osservare che in alcuni paesi, ad esempio il Portogallo, l’85 per cento della flotta è artigianale e quasi la metà delle navi è alimentata a benzina. Ne consegue che occorre considerare anche questo aspetto e definire misure che si possano applicare allo stesso modo a tutti, affinché i governi non abbiano scuse.
Dovremmo anche pensare di estendere a questo ambito parte del sostegno previsto per la marina mercantile, ad esempio in relazione ai contributi integrati di previdenza sociale. Questo perché le misure strutturali non serviranno a nulla e non avranno futuro se non garantiamo un domani ai pescatori. Questa è la posta in gioco.
Chris Davies (ALDE). - (EN) Signor Presidente, l’aumento dei prezzi del carburante riguarda tutti. Perché allora il settore della pesca viene preso di mira per un trattamento speciale? Perché semplicemente non sovvenzioniamo chiunque?
I pescatori costieri locali subiranno in misura inferiore le conseguenze dell’aumento dei prezzi rispetto agli operatori d’alto mare, che ne risentiranno al massimo. Questi ultimi gestiscono navi enormi, coprono grandi distanze, impiegano relativamente pochi addetti ma catturano enormi quantitativi di pesce, causando l’estinzione di massa delle risorse alieutiche nei mari.
La nostra risposta all’aumento dei prezzi dl carburante dovrebbe essere quella di liberare il mercato e far sì che le leggi della domanda e dell’offerta sortiscano i loro effetti. L’ultima cosa da fare è erogare sovvenzioni che contribuiranno all’estinzione delle risorse ittiche – è la politica della follia. Una volta che tutto il pesce sarà sparito dovremmo ricordarci che abbiamo fatto del nostro meglio affinché ciò accadesse.
Seán Ó Neachtain (UEN). – (GA) Signor Presidente, accolto con favore il pacchetto proposto dalla Commissione. Desidero tuttavia sottolineare – essendo io irlandese – che l’Irlanda non ha mai ricevuto la sua quota adeguata dalla politica comune della pesca e questo ha trovato espressione nel voto della scorsa settimana.
E’ ormai ora che l’Unione europea dimostri che può fornire assistenza al settore della pesca in questo periodo di necessità, in quanto il comparto in questione sta effettivamente versando in condizioni difficili. Sono i pescatori artigianali i più poveri al riguardo.
L’Irlanda ha l’11 per cento dei mari europei ma meno del 4 per cento dei contingenti. La politica non funziona. Tuttavia, è importante ora che l’Unione europea si unisca e dimostri che può correre in aiuto dei pescatori in periodi di necessità. Chiedo di fare tutto il possibile al fine di promuovere il presente pacchetto e che possa essere visto in funzione.
Jim Allister (NI). - (EN) Signor Presidente, ci sono molti aspetti del pacchetto della Commissione che meritano un’accoglienza positiva, ma per me la questione chiave è la distribuzione. Come si possono fissare livelli comuni di distribuzione tra i vari Stati membri dell’UE, con alcuni, come il mio, il Regno Unito, sempre restio ad adottare qualsiasi passo di assistenza finanziaria, anche quando si è autorizzati?
Potrei chiedere oggi al Commissario di non essere neutrale al riguardo, ma di chiedere espressamente a tutti gli Stati membri di intraprendere quanto è oro permesso a titolo del suo pacchetto e di non rimanere più lì con le mani in mano?
Altrimenti continueremo ad avere una politica comune ancora meno comune, che acuisce le disparità e porta maggiore disastro per il settore.
Per quanto attiene a quel punto – perché alcuni amano passare la palla tra governi nazionali e la Commissione – potrebbe il Commissario individuare all’interno del nuovo pacchetto quali sono esattamente le misure che dipendono interamente dai contributi degli Stati membri e quali, se ce ne sono, ne sono esenti?
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). - (PL) Signor Presidente, la pesca è un settore molto specifico della nostra economia. Le entità economiche presenti al suo interno sono frammentate e ampiamente disseminate. Spesso si tratta di imprese locali a conduzione familiare. La loro capacità è limitata e quindi non sono in grado di aumentare la produzione e, di conseguenza, di ricavare un reddito accettabile nonostante costi più elevati. Si potrebbe obiettare che se i costi sono aumentati allora potrebbe dovrebbe salire il prezzo del pesce, ma c’è un limite a tale processo. Quanto è disposto a pagare il consumatore? Chi ha ragione in tutto questo?
Propongo di prevedere specifici pagamenti per il carburante da concedere ai pescatori onde aiutarli ad affrontare la difficile situazione che stanno attraversando in questo momento. Questi pagamenti sarebbero collegati al prezzo del gasolio. I pescatori e le loro famiglie non hanno la possibilità di ricavare altri redditi da attività diverse. In sintesi, occorre un nuovo approccio riguardo alla politica della pesca.
Colm Burke (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, nel luglio 2007 mi sono recato a Castletownbere nel West Cork, che è la parte sudoccidentale dell’Irlanda, e mi sono incontrato con una comunità di pescatori locale. All’epoca si trovavano in pesanti difficoltà. Da allora i prezzi del petrolio sono aumentati vertiginosamente. Infatti, negli ultimi cinque anni il petrolio è aumentato in Irlanda di oltre il 300 per cento. Al tempo stesso, il costo del pesce o il prezzo che ne ricavano non è salito.
Non si tratta solo di coloro che lavorano su pescherecci da traino e di proprietari di pescherecci da traino, si tratta delle comunità costiere. Sono loro a essere interessate e questo è estremamente importante.
Accolgo con favore le proposte della Commissione, ma penso anche che dovrebbero essercene altre su come affrontare l’intera questione delle catture accessorie rigettate, e ritengo che non sia stata considerata e che occorra farlo immediatamente.
Dobbiamo rendere il settore più efficiente e più redditizio, ma dobbiamo anche far sì che le persone possano vivere di tale comparto: non solo coloro che sono coinvolti nell’industria, ma anche la gente che vive nelle comunità costiere.
José Ribeiro e Castro (PPE-DE). – (PT) Vorrei chiedere di sentire buone notizie sulla pesca artigianale e sulla pesca costiera in Portogallo anche il 24 giugno.
come ha già sottolineato il mio collega Duarte Freitas, abbiamo sentito parlare molto di gasolio, del sostegno al gasolio, ma l’85 per cento delle navi in Portogallo opera nel segmento della pesca artigianale e oltre la metà è alimentata a benzina. Si tratta di piccole imbarcazioni con motori fuoribordo. Non ricevono alcun aiuto per quanto riguarda la benzina e sono state completamente dimenticate. Per la benzina usata nel settore della pesca è quindi essenziale elaborare un analogo piano equivalente a quello per il gasolio.
Venerdì scorso sono andato a pescare con pescatori di Esposende e posso testimoniare gli enormi sacrifici che compiono. La Commissione non raggiungerà questi addetti a meno che il 24 giugno non adotti misure a favore della pesca artigianale.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Nella mia dichiarazione conclusiva vorrei anche far presente che il Consiglio è consapevole della difficile posizione del settore della pesca nell’Unione europea, ma occorre distinguere due aspetti: uno è quello delle caratteristiche specifiche del settore, e l’altro riguarda i prezzi alti del carburante, che, come già evidenziato, sta interessando molti, praticamente tutti i settori, compresa, ovviamente, la pesca.
Il Consiglio è stato molto attivo nel cercare soluzioni: sono in corso intense consultazioni che culmineranno la prossima settimana alla riunione del Consiglio “Agricoltura e pesca”, mentre vengono esplorate misure a breve, medio e lungo termine laddove l’obiettivo è salvaguardare la pesca europea, superare l’attuale fase difficile e preservare sia la pesca costiera che quella pelagica.
Posso garantirvi di avere seguito con estrema attenzione la discussione e che il presidente del consiglio “Agricoltura e Pesca” verrà informato dettagliatamente in merito alle opinioni espresse qui oggi, tra cui le vostre prime reazioni alle proposte e ai piani presentati dal Commissario.
Joe Borg, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare tutti per i commenti, per i vari punti sollevati e anche per la generale manifestazione di sostegno a favore del pacchetto che la Commissione intende proporre.
Vorrei far presente che questa non è la fine dell’intero processo, ma solo l’inizio. Dobbiamo ancora far passare le proposte in questione attraverso il Consiglio e il Parlamento e mi permetto di ribadire che abbiamo bisogno del vostro totale appoggio per realizzare tali proposte il prima possibile, soprattutto in quelle parti che richiedono un emendamento legislativo.
Quanto ho esposto rappresenta, a mio avviso, i limiti della flessibilità nell’affrontare la crisi a breve termine, in vista di attuare un piano di ristrutturazione a medio e lungo termine, al fine di recuperare la sostenibilità delle risorse e la redditività del settore. Convengo che queste misure non andrebbero viste isolate ma anche nel contesto delle discussioni in corso concernenti la pesca INN, i rigetti, l’etichettatura ecologica e vari altri sistemi che siamo in procinto di adottare.
Per quanto riguarda la pesca INN, ad esempio, mi auguro che giovedì della prossima settimana il Consiglio prenda una decisione sulla proposta di regolamento per lottare efficacemente contro questo genere di pesca, a cui il Parlamento europeo ha offerto il proprio sostegno incondizionato.
Vorrei fare presente all’onorevole Davies che non proponiamo di destinare denaro al problema, ma di fornire assistenza in vista di un processo di ristrutturazione – come ho detto, volto a riacquisire una pesca sostenibile e redditizia. Desidero invitare l’onorevole Davies a esaminare cosa intendiamo proporre e, qualora abbia specifiche osservazioni da formulare, sarò lieto di accoglierle. Sì, ci impegneremo onde consentire ai meccanismi adeguati di mercato di funzionare anziché continuare a permettere a pochi operatori giganteschi di dominare il mercato fissando i prezzi del pesce.
In risposta alle affermazioni dall’onorevole Allister, il pacchetto rende più interessante per gli Stati membri adottare quanto disponibile a titolo del Fondo europeo per la pesca, e pertanto auspichiamo che gli Stati membri si impegni a fondo. Affronteremo questo aspetto nell’ambito del Consiglio della prossima settimana al fine di attuare con efficacia le misure che proponiamo.
Mi soffermerò brevemente sulle misure previste.
Innanzi tutto, stiamo considerando le misure di emergenza, con cui offriamo assistenza per il fermo temporaneo dei pescherecci (e anche questo va nella direzione della sostenibilità) per un periodo massimo di tre mesi in aggiunta a quanto già previsto a titolo del Fondo europeo per la pesca e non collegato esclusivamente a ragioni biologiche. Tale misura può finanziare i costi dell’equipaggio e i costi fissi delle navi; si applicherà solo in casi in cui c’è un impegno esplicito a includere le imprese che ne beneficeranno in un piano di ristrutturazione entro un periodo di sei mesi.
Un secondo provvedimento riguarda l’aumento dell’intensità degli aiuti nel quadro del FEP per attrezzature a risparmio energetico. La Commissione propone di diminuire il tasso di partecipazione finanziaria privata obbligatoria e di portarlo al 40 per cento del suo attuale livello.
Proponiamo anche di ampliare alcune misure socioeconomiche ammissibili nel quadro del FES. Riguardo agli aiuti de minimis, stiamo cercando di elaborare disposizioni di modo che se, a un’analisi economica, la nostra proposta si dimostra realizzabile, estenderemmo gli aiuti de minimis a 30 000 euro per nave anziché per impresa, all’interno di un massimale di 100 000 euro per impresa.
Le misure a lungo termine si riferiscono ai premi a titolo del FEP per l’arresto definitivo delle flotte in ristrutturazione, e ci consentirebbero di levare ogni limitazione all’accesso ai premi per l’arresto definitivo, nonché ad aiuti supplementari per l’arresto temporaneo, affinché oltre i primi tre mesi che ho menzionato, proporremo di aggiungere altri tre mesi durante il periodo di ristrutturazione, laddove le navi dovranno essere necessariamente disarmate a causa del processo di ristrutturazione. Questo si applicherebbe fino al 1° gennaio 2010, e saranno concessi tre mesi supplementari se la ristrutturazione va oltre tale data. In questo modo sarebbe concesso un massimo di sei mesi oltre i tre mesi accordati come aiuto di emergenza.
Stiamo anche valutando di aumentare l’intensità degli aiuti per i piani di ammodernamento. Attualmente la partecipazione finanziaria privata è del 60 per cento per la sostituzione degli attrezzi da pesca e dell’80 per cento per la sostituzione del motore. Proponiamo di ridurre la partecipazione privata finanziaria al 40 per cento. Abbiamo deciso in questo senso perché capiamo che il settore privato – gli imprenditori privati, i pescatori – non sono in una posizione che consente loro di cofinanziare in misura significativa lavori di ristrutturazione pagando di tasca propria. Stiamo cercando di facilitare il più possibile ai pescatori il fatto di affrontare una ristrutturazione fornendo la quota maggiore delle spese che emergeranno.
Stiamo anche prevedendo di erogare aiuti per il disarmo parziale. In altre parole, se c’è un gruppo di navi che rappresenta, diciamo, 100 000 tonnellate, e si decide di disarmarne 50 000 o 60 000 tonnellate, lasciando 40 000 tonnellate in forza delle quali si vogliono costruire nuove navi, per la quota parzialmente disarmata – per le 50 000 o 60 000 tonnellate – verranno riconosciuti aiuti per il disarmo. Ovviamente, questo significa che la dimensione della flotta verrà ridotta. Si avrà una flotta più nuova, ma questo vorrà dire che la compensazione versata corrisponderà al volume di riduzione.
Proponiamo anche aiuti sociali sotto forma di sgravio degli oneri contributivi. In altre parole, offriamo la possibilità di esenzione per i contributi a carico dei pescatori, e non per i contributi a carico delle imprese presso le quali sono impiegati, a condizione che la retribuzione dei pescatori non subisca riduzione e che i pescatori continuino a beneficiare delle prestazioni sociali previste dai regimi esistenti.
Per quanto attiene alle misure di mercato – un punto sollevato dall’onorevole Fraga – vorrei sottolineare che le nostre proposte ne prevedono varie: rafforzamento della posizione contrattuale dei pescatori rispetto all’industria di trasformazione e ai distributori unendo le forze con organizzazioni di categoria o associazioni locali di commercializzazione più grandi; introduzione di un sistema di controllo dei prezzi per comprendere meglio i fattori che determinano i prezzi di mercato; rafforzamento della chiarezza in materia di approvvigionamenti per prodotti di origine UE per l’industria; promozione delle iniziative a favore della qualità riguardanti ad esempio l’etichettatura, una migliore manipolazione e una migliore trasformazione; promozione dell’informazione dei consumatori; sanità e nutrizione; pesca responsabile; audit/valutazione del mercato; elaborazione di strumenti di analisi della catena del valore e dei prezzi; monitoraggio per garantire il rispetto delle disposizioni in materia di etichettatura e per contrastare la pesca INN.
Mettiamo anche a disposizione a titolo dei nostri fondi – da altri fondi per la pesca –, per il primo anno, 20-25 milioni di euro al fine di avviare altri specifici progetti in cooperazione con il settore nell’area del controllo del mercato, dell’etichettatura, e così via. Siamo disposti a riaprire le discussioni con gli Stati membri – anche se le abbiamo appena concluse – sugli attuali programmi operativi nell’ottica di garantire che il Fondo europeo per la pesca sia destinato maggiormente a questi programmi di ristrutturazione. Stiamo elaborando misure volte a facilitare l’impiego del Fondo europeo per la pesca. Per esempio – solo per citare un altro punto – è stato proposto di raddoppiare l’importo del prefinanziamento versato dalla Commissione dopo l’adozione dei programmi operativi, portandolo cioè dal 7 per cento al 14 per cento del contributo totale del FEP.
Due ultime osservazioni. L’onorevole Fraga ha affermato che avremmo potuto fare di più. Vorrei solo aggiungere una sfumatura a tale asserzione; avremmo potuto agire diversamente prima. Avremmo potuto evitare di incentivare e incoraggiare la sovraccapacità e non gettare prezioso denaro pubblico in ingiustificati aumenti giganteschi di capacità al di là di quanto i nostri stock ittici possano sostenere ragionevolmente.
Per quanto attiene ai commenti dell’onorevole Doyle – che la PCP ha miseramente fallito – mi limito a far presente che non sono d’accordo. E’ a causa della PCP che possiamo presentare proposte di soluzioni comuni come stiamo facendo ora, anziché assistere a una gara tra i singoli Stati membri che caracollano nella direzione della totale distruzione della pesca.
Presidente. − Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1), ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del Regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 19 giugno 2008.
Dichiarazioni scritte (articolo 142)
Sylwester Chruszcz (NI), per iscritto. – (PL) La presente discussione è molto importante sia per gli Stati costieri che per i consumatori. Come hanno sottolineato gli oratori precedenti, tutti abbiamo vissuto nell’illusione che il prezzo del petrolio non sarebbe mai aumentato. Ovviamente, questa situazione è emersa quale risultato di tanti anni di negligenza e mancanza di immaginazione da parte delle istituzioni competenti. Al giorno d’oggi, il solo fatto di far uscire in mare i pescherecci è diventato antieconomico. Il prezzo del pesce non compensa gli investimenti. Molti pescatori potrebbero trovarsi costretti ad abbandonare la professione, il che sbilancerebbe l’intero settore economico. Mi sembra che si sia prestata scarsa attenzione alle richieste avanzate in passato dai pescatori. E’ stato solo con il profilarsi di questa ultima crisi che le coscienze di molti si sono svegliate, anche se il settore ha iniziato a versare in difficoltà molti anni fa. Non è ancora stato svolto un ampio dibattito onesto in merito al settore. Dobbiamo risolvere questa profonda crisi immediatamente e impegnarci per garantire il futuro del settore della pesca.
Sebastiano (Nello) Musumeci (UEN), per iscritto. – In quattro anni il prezzo del gasolio in Italia è aumentato del 240% a causa della forte speculazione delle compagnie petrolifere. Ciò impedisce alla flotta peschereccia, in particolare quella artigianale, non solo di svolgere la propria attività ma addirittura di recuperare gli elevati costi di gestione. Le marinerie europee sono al collasso e il caro gasolio erode i pochi margini economici a disposizione dei pescatori.
La Francia e l’Italia hanno annunciato un’iniziativa in comune per ottenere dall’Unione europea risorse aggiuntive. In particolare, l’idea è di raddoppiare la soglia nazionale degli aiuti de minimis al settore. Si tratterebbe, comunque, di una misura insufficiente per ovviare alle gravi difficoltà in cui si trova il settore della pesca, peraltro già provato da una crisi.
Il commissario europeo per la Pesca, Joe Borg, ritiene che degli aiuti rapidi siano possibili ma sostiene anche che, a lungo termine, la soluzione della crisi del settore risieda nella ristrutturazione della flotta: più piccola e meno consumatrice di energia.
Se la proposta di utilizzare imbarcazioni meno divoratrici di gasolio è condivisibile, permane comunque l’urgenza di trovare soluzioni eque che aiutino i pescatori a superare la grave crisi e che sottraggano numerose famiglie al rischio di uno spaventoso impoverimento.
13. Preparazione del Vertice UE/Russia (26 e 27 giugno 2008) (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla preparazione del Vertice UR-Russia (26 e 27 giugno 2008).
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) E’ un vero piacere per me illustrare i preparativi per il ventunesimo Vertice UE-Russia che si svolgerà alla fine del mese, il 26 e il 27 giugno, a Khanty-Mansiisk, città della Siberia occidentale.
La Presidenza ritiene che l’imminente Vertice sia la giusta occasione per entrambi gli interlocutori di aprire un nuovo capitolo nelle relazioni reciproche. In particolare, dovremmo essere preparati a sfruttare il potenziale slancio positivo che la recente elezione del Presidente russo Medvedev dà alle relazioni UE-Russia.
Obiettivo principe del Vertice è ovviamente il lancio dei negoziati sul nuovo accordo quadro con la Russia. Siamo molto lieti che il Consiglio del 26 maggio abbia adottato il mandato negoziale UE per il nuovo accordo. Negli ultimi mesi, la Presidenza, insieme alla Commissione, si è impegnata a fondo ai massimi livelli nel tentativo di ovviare ai restanti ostacoli da parte dell’UE.
Con l’avvio di negoziati su un nuovo accordo, l’UE farà tutto il possibile per rafforzare ulteriormente la propria cooperazione con la Russia in aree di comune interesse, affrontando con maggiore efficacia le tematiche in cui le nostre posizioni divergono. come di consueto, il Vertice offrirà un’opportunità di fare il punto sullo stato di avanzamento dei quattro spazi comuni. Permettetemi di tracciarne brevemente le loro principali caratteristiche.
Per quanto riguarda il primo spazio comune, lo spazio economico, il Vertice solleciterà il meccanismo di allarme rapido nel campo dell’energia, nell’ottica di sfruttare appieno tutte le possibilità che offre. Riaffermeremo l’importanza capitale di norme stabili e prevedibili per gli investimenti esteri in Russia. Inoltre, l’UE intende insistere affinché i negoziati formali su un accordo di libero scambio profondo e globale inizino non appena la Russia abbia completato il suo processo di adesione all’OMC.
Quanto all’annoso problema delle tasse di sorvolo, l’UE continuerà a esercitare pressione affinché si firmi l’attuale accordo.
Nel quadro del secondo, lo spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, l’UE deve manifestare la propria preoccupazione per la situazione relativa al rispetto dei diritti umani, alla democrazia e allo Stato di diritto in Russia, in particolare nel contesto delle recenti elezioni. Mi permetto di aggiungere che tale preoccupazione è condivisa dalla Presidenza e dal Parlamento europeo. Il Vertice offrirà altresì l’opportunità di valutare lo stato di avanzamento degli accordi in merito al rilascio facilitato dei visti e alla riammissione.
Nell’ambito del terzo, lo spazio comune di sicurezza esterna, l’UE sottolineerà la necessità di intraprendere azioni più concrete al fine di consolidare la cooperazione nel vicinato comune. Soprattutto, cercheremo di porre in rilievo che la Russia deve sforzarsi al massimo per trovare una soluzione al conflitto nella regione trasnistriana e in Georgia. Al tempo stesso, accoglieremmo positivamente la partecipazione della Russia all’operazione EUFOR in Ciad, e concordiamo sul fatto di potenziare la cooperazione nel quadro della politica europea di sicurezza e difesa.
Per quanto attiene il quadro, lo spazio comune di ricerca, istruzione e cultura, il Vertice esprimerà il proprio favore riguardo al primo Consiglio permanente di partenariato sulla ricerca, svoltosi a maggio in Slovenia. Infine, il Vertice offrirà l’occasione di affrontare questioni internazionali, quali i conflitti congelati, il Medio Oriente, l’Iran, l’Afghanistan e altri ancora.
Onorevoli deputati, permettetemi di concludere con quanto segue. Il Vertice si concentrerà in particolare sugli sforzi di entrambi gli interlocutori volti a garantire lo stabile sviluppo democratico di paesi dello spazio comune di vicinato. La cooperazione concreta tra l’UE e la Russia nell’ambito del vicinato comune è essenziale onde affrontare problemi di reciproco interesse e reciproca preoccupazione, e in particolare i conflitti congelati.
Con questo concludo e mi accingo ad ascoltare con interesse la vostra discussione.
(Applausi)
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, con un nuovo Presidente russo in carica, come è stato ricordato poc’anzi, e anche con il nostro mandato finalmente inteso a negoziare un nuovo accordo con la Russia penso che abbiamo l’opportunità di ridefinire questo partenariato fondamentale con il nostro maggiore vicino sulla base di alcuni interessi comuni. Far funzionare le relazioni UE-Russia è una delle sfide più importanti della politica estera europea: lo sappiamo tutti.
Il lancio di negoziati sarà il fulcro del primo Vertice UE-Russia con il Presidente Medvedev in calendario alla fine di giugno a Khanty-Mansiysk. Subito dopo, i negoziatori inizieranno la prima sessione della loro missione.
Il nuovo accordo tra l’UE e la Russia ci dà la possibilità di aggiornare il quadro giuridico alla base delle nostre relazioni, in modo da riflettere i sostanziali cambiamenti occorsi sia in Russia che nell’Unione europea, perché abbiamo modificato molti aspetti da quando l’attuale accordo di cooperazione e partenariato è stato negoziato negli anni ‘90. Ritengo che contribuirà anche a sbloccare il potenziale delle nostre relazioni, che è enorme, e a perseguire gli interessi dei nostri Stati membri con molto più vigore.
I tratti peculiari dovrebbero essere: cooperazione politica orientata ai risultati, profonda integrazione economica, condizioni paritarie per le nostre relazioni in materia di energia che contemplino almeno i principi del trattato sulla Carta dell’energia e relazioni sempre più strette nel campo della libertà, della sicurezza e della giustizia, nonché una graduale apertura reciproca dei nostri sistemi educativi e scientifici.
Al tempo stesso, dobbiamo proseguire nella cooperazione con la Russia nel quadro dei quattro spazi comuni, che il Presidente in carica del Consiglio ha menzionato or ora, e nell’attuazione delle rispettive tabelle di marcia; è previsto un ampio ventaglio di azioni che danno espressione concreta al partenariato strategico.
Il nuovo accordo dovrebbe anche fornire il quadro giuridico per i futuri sviluppi.
Il Vertice offrirà l’opportunità di ascoltare direttamente quali sono per il Presidente Medvedev le priorità della Russia nei confronti dell’Unione europea. Penso che dobbiamo prestare attenzione a quanto ha affermato, per esempio, in un’importante intervista al Financial Times in cui ha dichiarato che vuole più Stato di diritto in Russia e anche una maggiore modernizzazione dell’economia del paese. Ovviamente, lo giudicheremo dalle sue azioni.
Inizialmente, si assisterà ovviamente a una forte continuità delle politiche in Russia, ma il nuovo Presidente ha sottolineato il proprio impegno nei confronti dello Stato di diritto e della modernizzazione dell’economia russa e penso che dovremmo incoraggiarlo a far sì che le sue parole corrispondano a una precisa azione, e che a questa si dia corso immediatamente.
Perseguiamo i nostri interessi comuni con la Russia, nondimeno dobbiamo mantenere una posizione netta e determinata riguardo alla democrazia e ai diritti umani. Continueremo a ricordare alla Russia gli impegni assunti da entrambi, ad esempio, con il Consiglio d’Europa e anche con l’OSCE.
Spesso siamo partner vicini alla Russia quando si tratta di affrontare sfide internazionali, per esempio quali membri del Quartetto del Medio Oriente – è altamente probabile che ci incontreremo di nuovo la prossima settimana a Berlino – ma dobbiamo vedere, come ha affermato il nostro collega, una Russia che sviluppa un’agenda positiva con gli altri suoi vicini; pertanto effettivamente temiamo che le recenti mosse russe in Georgia possano minare la stabilità nella regione. Quindi, durante la mia visita a Mosca di una decina di giorni fa, ho avuto una lunga conversazione con il ministro degli Esteri Lavrov, nel corso della quale ho affrontato questa questione importante.
Dobbiamo instaurare gradualmente con la Russia un dialogo ad alto livello che non sia aggressivo e copra tutti gli aspetti della risoluzione del conflitto, tra cui i meccanismi di pace e di mantenimento della pace, in quanto la Russia chiaramente rimarrà un attore fondamentale in qualsiasi sforzo di pace concernente i conflitti congelati.
D’altro canto, è logico che Tbilisi sia seriamente preoccupata in merito al mantenimento della propria integrità territoriale e nel confronto al Vertice sui conflitti congelati sottolineeremo di certo con fermezza che la sovranità e l’integrità territoriali di Georgia e Ucraina devono essere rispettate, ma credo che dobbiamo al contempo essere pragmatici, realistici e avere un approccio inclusivo dalla parte georgiana.
Nei miei contatti regolari con Georgia e Russia, esorto infatti al pragmatismo e a porre fine alle condizioni di reciproca esclusione: questa situazione non funzionerà.
In conclusione, il Vertice UE-Russia è un’opportunità per avviare relazioni costruttive con la nuova amministrazione, difendendo i nostri valori e promuovendo i nostri comuni interessi. Attendo con ansia il vostro contributo e la discussione in Aula.
(Applausi)
Charles Tannock, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, le relazioni UE-Russia si annoverano tra le sfide più impegnative dell’UE e in quest’Aula circolano opinioni molto diverse se brandire il grosso bastone e affrontare l’orso o parlare in modo pacato adottando un misto di carota e bastone nel trattato con la Russia sotto il suo nuovo Presidente Medvedev, che in russo significa piuttosto a proposito “orso”.
Nondimeno, dobbiamo concedergli il beneficio del dubbio su quanto efficacemente affermato in merito al miglioramento dello Stato di diritto, i diritti umani e la lotta contro la corruzione – con un maggiore impegno dell’UE nell’ambito del partenariato strategico e del nuovo accordo di partenariato e cooperazione con quello che è tuttora il paese più grande al mondo, che ora fa scatena rinnovata fiducia grazie alla sua economia da trilioni di dollari trainata da minerali e risorse.
Tra le priorità del vertice devono figurare la sicurezza energetica, in quanto partner commerciale affidabile per petrolio e gas, ma anche, considerata l’imminente adesione della Russia all’OMC, la certezza giuridica per le società occidentali attive nel settore delle risorse naturali riguardo ai loro investimenti diretti esteri in Russia.
Si deve esercitare pressione sulla Russia affinché rispetti la sovranità e l’integrità territoriale dei suoi vicini e in seno all’ONU contribuisca a risolvere i problemi nel Medio Oriente e la questione della proliferazione nucleare in Iran e nella Corea del Nord.
La Russia svolge un ruolo chiave nei Balcani occidentali, non ultimo per quanto attiene alla risoluzione della questione del Kosovo, non dovrebbe temere l’espansione della NATO intesa a includere Ucraina e Georgia e potrebbe persino rivelarsi preziosa per migliorare il clima politico repressivo nella vicina Bielorussia.
Ci sono molti temi da affrontare al Vertice di Khanty-Mansiysk. Auguriamoci che il nuovo duo Putin-Medvedev si presenti mosso da autentico spirito di riconciliazione con l’Unione europea e non nella speranza che il “no” in Irlanda sia sinonimo di fine di un fronte comune dell’UE per i 27 Stati membri rispetto alla Russia.
Jan Marinus Wiersma, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, vorrei replicare a quanto affermato dal Presidente in carica del Consiglio e dalla signora Commissario. Anche noi speriamo, con un nuovo Presidente in Russia e, finalmente, un mandato negoziale per la definizione di un nuovo accordo contrattuale con la Russia, di avviare un periodo più positivo di cooperazione con i russi.
Negli ultimi dieci anni abbiamo visto crescere enormemente l’interdipendenza tra l’Unione europea e la Russia. Per questo motivo, ritengo sia saggio confrontarsi con il paese forti di un preciso mandato volto a definire più concretamente il lavoro che intendiamo svolgere nelle quattro aree degli spazi comuni che stiamo sviluppando negli anni recenti. Ovviamente, vogliamo anche sfruttare le nuove possibilità per continuare – e magari intensificare – a essere partner sulla scena internazionale.
Dobbiamo anche impegnarci per creare un quadro sicuro e trasparente relativo alle relazioni nel campo energetico, tra cui, com’è ovvio, il commercio, ma dobbiamo migliorare l’ambiente degli investimenti Russia, laddove l’ammissione e l’ingresso nell’OMC potrebbe rivelarsi molto utile.
Ritengo altresì che dobbiamo collaborare onde impegnarci sui problemi nel campo del vicinato condiviso. Abbiamo già parlato della Transnistria e del Caucaso, ma dobbiamo anche esplorare eventuali canali per pervenire a un compromesso nel prossimo futuro in merito alla questione del Kosovo.
Dobbiamo anche creare necessari meccanismi per affrontare con efficacia il problema delle violazioni dei diritti umani e anche – per usare un’espressione più positiva per contribuire a promuovere lo Stato di diritto in Russia.
Due commenti finali. Desidero sottolineare, come abbiamo fatto tante volte in precedenza, che, per far sì che questi negoziati sortiscano risultati da parte nostra, dobbiamo parlare con una voce. Vorrei anche aggiungere – e l’ho fatto presente prima – che dobbiamo anche mantenere un atteggiamento in qualche modo pragmatico. La nostra influenza è limitata: la Russia non è un paese candidato; non vuol aderire all’Unione europea; segue il proprio corso. Vuole cooperare e non integrarsi. Penso che negli anni a venire dovremmo tenerne conto nelle nostre consultazioni e nei colloqui con loro.
Janusz Onyszkiewicz, a nome del gruppo ALDE. – (PL) Il prossimo Vertice UE-Russia sarà la prima occasione per i leader degli Stati membri dell’UE di incontrare le nuove autorità russe nominate dopo le recenti elezioni. Il vertice sarà pertanto un’eccellente opportunità per ottenere maggiori ragguagli in merito alla direzione della politica russa, e sulla sua eventuale attuazione.
Alcune informazioni su come potrebbe presentarsi questa politica si possono, come dire, cogliere dal discorso che il Presidente Medvedev ha pronunciato a Berlino. Conteneva una serie di riferimenti che facevano ben sperare in merito alla lotta alla corruzione e al governo conformemente allo Stato di diritto. Il problema è che il Presidente Putin, predecessore di Medvedev, ha affermato praticamente lo stesso all’inizio del proprio mandato, ma tutti sappiamo quale corso abbiano preso le cose e come si presenti l’attuale situazione. Il suddetto discorso dipingeva anche una visione del mondo che differiva da quella che avremmo desiderato sentire. Nella visione del mondo illustrata dal Presidente Medvedev, l’Unione europea, o, per meglio dire, gli Stati membri dell’Unione europea sono ridotti al ruolo di semplici partner economici della Russia, che auspica per sé un’attività politica in un’area sostanzialmente più vasta che spazia da Vancouver a Vladivostok.
C’è un secondo aspetto che vale la pena citare. E’ molto più specifico, ma urgente, e riguarda le relazioni tra la Russia e la Georgia. A seguito di un accordo raggiunto nel 1994, in Abkhazia sono di istanza truppe russe inviate dalla Comunità di Stati indipendenti, un’associazione di paesi post-sovietici. L’Abkhazia è parte della Georgia. Ci sono non pochi elementi che indicano che tali contingenti non svolgono il ruolo di forze di mantenimento della pace e che in realtà partecipano al conflitto tra i separatisti abkhazi e il governo della Georgia, come dimostra l’abbattimento di un velivolo georgiano teleguidato per intervento di un aereo russo. Sulla base di una recente decisione adottata unilateralmente dalle sole autorità russe, queste forze sono state notevolmente aumentate.
Sarebbe non poco diversa la situazione se l’Unione europea partecipasse al processo di risoluzione del conflitto, agendo quale entità affidabile e coscienziosa.
Rebecca Harms, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, sono lievemente irritata che negli interventi sentiti finora sui negoziati e le prossime discussioni, si sia detto così poco sul fatto che all’Europa manca una posizione unitaria o unanime su molte questioni che emergeranno in quelli che, a mio avviso, sono colloqui importanti con il Presidente Medvedev. Questo riguarda in particolare l’intera area della politica energetica. Ritengo si tratti di un problema grave: parliamo molto spesso della nostra dipendenza dalle importazioni di petrolio e gas dalla Russia, ma non abbiamo ideato una strategia comune al riguardo. Per contro, i grandi Stati membri, singoli Stati membri, perseguono le proprie strategie in questo ambito e rispetto agli acconti con la Russia non è stata elaborata alcuna strategia europea autenticamente unita in merito alla sicurezza dell’approvvigionamento.
Lo stesso discorso vale per un’area molto sensibile. Accolgo positivamente il fatto che, oltre alla questione della Georgia, siano stati menzionati anche gli altri conflitti, così quando parliamo di Georgia, comprendiamo Abkhazia e Ossezia. C’è un altro punto che pensavo fosse stato omesso dalle dichiarazioni introduttive del Consiglio e della Commissione, ossia alcuni commenti su come dovremmo affrontare con la Russia questi conflitti congelati a seguito della decisione sul Kosovo. In quanto Parlamento, ci occorrono più informazioni al riguardo, e in qualità di membro della delegazione recatasi di recente a Mosca, sono particolarmente interessata riguardo al destino riservato in Russia alle organizzazioni non governative, in quanto subiscono le conseguenze di un’orribile legge, penso che si dovrebbe inserire in agenda anche questo tema.
Adam Bielan, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, da qualche tempo a questa parte conosciamo la preoccupante tendenza della società russa Gazprom di raccogliere ex leader dei paesi dell’Unione europea. L’esempio più lampante di questa propensione è il caso dell’ex Cancelliere tedesco Schröder. Quest’ultimo ha innanzi tutto firmato un accorto con la Russia relativo alla costruzione del gasdotto Nord Stream, e poi ha assunto un incarico in seno al consiglio di amministrazione della società stessa. Si stanno riproponendo situazioni analoghe nel sud dell’Europa, relativamente alla prossima impresa della Gazprom, ossia il gasdotto South Stream. Vorrei far presente che nessuna società energetica occidentale vanta legami così stretti con il proprio Stato di origine come la Gazprom con il Cremlino. Nel caso dei piani di tale società, dobbiamo scontrarci con freddi calcoli politici; i normali principi di mercato semplicemente non si applicano.
E’ ora che l’Unione comprenda questa realtà e intervenga per prevenire una situazione in un cui una società sponsorizzata dallo Stato possa usare gasdotti al fine di esercitare pressione politica. Il controllo dell’energia da parte della Russia si tradurrà inevitabilmente in un ulteriore aumento nel costo dell’energia in Europa. La Russia riuscirà anche a ottenere persino maggiori concessioni politiche in cambio di forniture di gas e petrolio.
E’ chiaro che l’Unione europea deve costruire solide relazioni con la Russia. Onde farlo effettivamente, tuttavia, deve dimostrare unità, un’unità che ci manca al momento. Mi auguro in tutta onestà che il prossimo Vertice UE-Russia sia un’opportunità per dimostrare la solidarietà dell’Unione europea rispetto all’egemonia della Russia nel settore dell’energia.
Vladimír Remek, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli colleghi, sono lieto di constatare che gli ostacoli utilizzati da alcuni Stati membri per impedire l’avvio dei colloqui con la Russia sul nuovo accordo di partenariato e cooperazione siano finalmente stati superati. Dopo 18 mesi, alla vigilia del vertice, la Commissione ha infine ricevuto il mandato per negoziare con la Russia. Potrebbe essere vantaggioso per entrambi gli interlocutori, ma non siamo troppo ottimisti. Se le nostre discussioni su problemi complessi come, ad esempio, la cooperazione in materia di energia, il cambiamento climatico o questioni legate alla sicurezza vengono condotte da posizioni irremovibili, da cui ci attacchiamo con veemenza con varie (spesso irreali) richieste, culminando poi in ultimatum, non andremo da nessuna parte. Per contro, tra noi ci sono alcuni che non lo comprendono ancora. Il risultato logico quindi può essere una situazione di stallo come negli scacchi. Quello che occorre, tuttavia, è un nuovo livello di relazioni, adatto al XXI secolo, e abbiamo la possibilità di raggiungerlo. Ritengo che serviremo nel modo migliore gli interessi dei cittadini dell’UE approfittando di queste circostanze.
Bernard Wojciechowski, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, “la Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”, affermò Churchill una volta. L’Unione europea si è accordata su quello che vuole dalla Russia. La domanda è, quanto rapidamente?
La politica in materia di energia rende la Germania sorda alle richieste di polacchi e lituani, Nord Stream, Depal – sembra che tutte le condutture dalla Russia portino ai capi dei capi dei paesi dell’Europa centrale. Non è una chimera, come sosteneva l’uomo della perestroika, MikhailGorbaciov. The Economist ammette che il gasdotto è stato deciso in segreto. Le richieste della Lituania riguardo a termini più precisi nel settore dell’energia sembrano quindi pertinenti. Molti eurocrati fumavano di rabbia a causa di questo, rafforzando l’idea dei paesi post-comunisti nevrotici.
D’altro canto, il ministro tedesco dell’Economia dichiara minaccioso che il suo paese non permetterà cje la Commissione dell’UE imponga decisioni da dietro le quinte a Bruxelles. Senza dubbio non intendeva i diritti umani, suppongo.
L’iniziativa del “partenariato orientale” lanciata dalla Polonia e dalla Svezia può essere un’ottima idea. Il coraggio è positivo, ma i cervelli sono meglio.
Il partenariato tra l’UE e la Russia è difficile. Non porterà ad alcun risultato senza la Polonia, che è il vicino naturale della Russia via terra, acqua e aria. E’ un aspetto che ovviamente tutte le parti devono prendere in considerazione, soprattutto oggi che il Trattato di Lisbona è stato abbattuto e i mattoni che cadono possono danneggiare qualsiasi cosa trovino sul loro passaggio. Le buone relazioni sono tentativi inutili se interferiscono con le nazioni sovrane.
“Ma forse c’è una chiave; e la chiave è l’interesse nazionale della Russia”, aggiunse Churchill. L’opinione che “nulla è impossibile in Russia, se non la riforma” non sembra più vera. A prescindere dall’approccio, l’UE deve cooperare con la Russia, e viceversa.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come l’onorevole Wojciechowski, l’oratore precedente, ha affermato, le relazioni con la Russia sono estremamente delicate e avvolte nell’ambiguità. Comprendo l’atteggiamento dei nostri colleghi del’Europa centrale e orientale e degli Stati baltici in particolare, che hanno subito pesantemente la dominazione russa nella forma del controllo sovietico nonché un sistema crudele e oppressivo, che ora è opportunamente scomparso. Ritengo che dobbiamo cogliere questa opportunità onde instaurare relazioni più amichevoli con il grande popolo russo che è indubbiamente un popolo europeo e, in qualche modo, anche la sentinella dell’Europa. La Russia deve confrontarsi con i nostri stessi problemi: deve affrontare la questione del calo delle nascite, e gli immensi spazi aperti della Siberia potrebbero rivelarsi una prospettiva attraente per il miliardo e mezzo di cinesi che ritengono che sia stato sottratto loro una parte del proprio territorio.
Penso che l’incomprensione che può esistere e persistere con la Russia, e che si spera sarà chiarita al Vertice UE-Russia il 4 novembre, sia anche in parte imputabile a noi. Abbiamo attaccato il carro a quello della politica americana e ci siamo reintegrati nell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico – mi riferisco alla Francia in questo caso – che era una risposta al Patto di Varsavia. Una volta scomparso il Patto di Varsavia, credo che nella Russia siano legittimamente sorti alcuni sospetti riguardo alle nostre intenzioni e mi piacerebbe vedere queste incomprensioni chiarite da entrambe le parti.
Elmar Brok (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, dato che alcuni nostri colleghi che si sono opposti al Trattato di Lisbona hanno chiesto di adottare una politica uniforme nei confronti della Russia, permettetemi di rinfrescarvi la memoria: a Mosca hanno stappato bottiglie di champagne dopo il risultato del voto irlandese, perché è stato ritenuto l’ennesima prova della debolezza dell’Europa, consentendo alla Russia di tornare alla situazione abituale con i singoli paesi.
Mi fa piacere che ora si possa negoziare l’accordo id partenariato e cooperazione, in cui affrontiamo una serie di questioni critiche quali la sicurezza energetica. E’ il Trattato di Lisbona che ci conferirà la competenza per occuparci di questa tematica, insieme al rispetto dei diritti umani.
Sono sicuro che al pari del Cancelliere Merkel, la Presidenza slovena rappresenterà gli interessi dell’Europa e che la stessa Angela Merkel, a Sochi, difenderà i diritti umani e gli interessi politici. Non ho dubbi che sarà un successo, e dobbiamo ricordare al presidente Medvedev quello che lui stesso ha affermato, ossia che i paesi vanno valutati in base allo sviluppo della democrazia e dello Stato di diritto. Dovremmo prendere seriamente le sue dichiarazioni.
Dovremmo tuttavia anche spiegare che abbiamo interessi comuni con la Russia, non solo in termini di questioni legate all’energia, ambito in cui dobbiamo ottenere la sicurezza dell’approvvigionamento. In fin dei conti, la Russia è un membro del Consiglio di sicurezza. Come possiamo fermare la proliferazione delle armi di distruzione di massa se non con la Russia al nostro fianco, o addentrarci in questioni come l’Iran, il Medio Oriente e in varie altre aree? Dobbiamo chiarirlo. Al tempo stesso, tuttavia, la Russia non dovrebbe garantirsi un potere eccessivo tramite Gazprom. I russi devono essere soggetti alle stesse regole sulla concorrenza di tutti gli altri.
Consentitemi un’ultima osservazione: se cerchiamo di affermare i nostri comuni interessi con la Russia tramite un partenariato strategico, deve essere chiaro che non c’è più margine per una politica del “vicino estero” e per le sfere di influenza. In un’Europa di Stati indipendenti, ogni paese deve avere, in conformità dell’accordo di Helsinki, il diritto di aderire o meno a un’alleanza, come ritiene opportuno. Nessun altro paese ha un diritto di veto sulle decisioni indipendenti adottate da un altro paese europeo. Anche questo deve essere chiarito molto bene.
Hannes Swoboda (PSE). - (DE) Signor Presidente, in quest’Aula ci sono molti colleghi che vengono da paesi che hanno avuto una pessima esperienza con l’Unione Sovietica. La signora Commissario e io siamo entrambi di un paese che ha vissuto esperienze negative e positive con la defunta Unione Sovietica. La Russia di oggi è in qualche modo una reminiscenza della vecchia URSS. Nondimeno, è una nuova Russia e ha un nuovo potenziale.
La missione ora consiste nell’investire tutte le nostre forze per riuscire a ottenere una nuova Russia che non ci ricordi più l’Unione Sovietica del passato. A tale scopo sono necessarie due cose: una posizione netta e inequivocabile e una volontà a impegnarsi nel dialogo con questa nuova Russia. Per quanto riguarda il problema del Kosovo, ad esempio, la nostra posizione diverge da quella della Russia, ma dobbiamo ancora confrontarci e quindi possiamo risolvere i problemi. La politica di vicinato è un altro esempio: abbiamo un’offerta diversa da proporre ai paesi vicini, laddove la Russia spesso adotta un atteggiamento imperialista verso il “vicino estero”.
Se vogliamo aiutare questi paesi, dobbiamo offrire un chiaro sostegno a paesi quali la Georgia, ad esempio, ma dobbiamo anche parlare alla Russia delle possibili vie per pervenire a una soluzione pacifica di questi conflitti, che si tratti di Abkhazia o di Ossezia meridionale.
Per quanto attiene alle questioni dell’energia, dobbiamo garantirci di ricevere le nostre risorse; abbiamo bisogno di un gasdotto Nabucco, per esempio, in modo da poter contare su una posizione contrattuale più forte nei confronti della Russia. Dobbiamo tuttavia negoziare con la Russia in merito all’energia e ad altre questioni. Il mio gruppo e io pertanto non escludiamo l’eventualità che siano necessarie entrambe le cose – una posizione chiara e inequivocabile e una politica indipendente – e, malgrado questa posizione forte, sviluppare negoziati e consultazioni con la Russia. Mi auguro che ci sia possibile realizzare il nostro obiettivo.
PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS Vicepresidente
Henrik Lax (ALDE). - (SV) La questione dell’energia sarà un tema importante al vertice. L’UE ha bisogno del gas della Russia, e la Russia ha bisogno delle entrate delle esportazioni per l’Europa. Il vertice può rivelarsi cruciale per decidere se il gasdotto Nord Stream, che dalla Russia dovrebbe raggiungere la Germania attraverso il Baltico, diventerà una realtà.
Il progetto in questione può provocare gravi sconvolgimenti al vulnerabile ecosistema del Mar Baltico, ma la minaccia più pesante che incombe sul progetto stesso è la mancanza di fiducia tra la Russia e i paesi intorno al Baltico. Affinché il gasdotto diventi una realtà concreta, è necessario che le due controparti, Russia e Germania, adottino precise misure volte a costruire la fiducia. La Russia deve, inter alia, ratificare la Convenzione di Espoo che regolamenta la suddivisione delle responsabilità in progetti transnazionali suscettibili di avere un impatto ambientale nei paesi vicini, e la Russia deve sospendere qualsiasi partecipazione della marina o dell’esercito russi alle consultazioni relative alla costruzione del gasdotto. Non sarà mai autorizzato, perlomeno, non nelle acque territoriali della Finlandia. La Germania, da parte sua, deve prima di tutto riconoscere che il progetto riguarda tutti gli Stati membri dell’UE intorno al Mar Baltico e che si tratta di una questione comune dell’UE. Sempre la Germania deve inoltre dimostrare di essere solidale con la Polonia e i tre Stati baltici e convincerli che il progetto non comporterà nei loro confronti alcuna discriminazione nei loro approvvigionamenti di energia. La Germania deve rispettare la risoluzione che stiamo dibattendo, secondo cui l’UE deve essere unita nella propria azione rispetto alla Russia nei progetti su larga scala in materia di energia. Il gasdotto non deve compromettere il mercato interno dell’UE. E’ l’UE e non la Gazprom in Russia che deve stabilire le norme per il commercio dell’energia nel mercato interno.
Ģirts Valdis Kristovskis (UEN). – (LV) Onorevoli colleghi, l’intervento del Commissario Ferrero-Waldner ci induce a supporre che la risoluzione del Parlemento un esempio illustre di correttezza politica; forse perfino qualcosa di simile a un inchino nei confronti del nuovo Presidente della Russia Medvedev. Dovremmo tuttavia tenere presente il fatto che il primo Ministro Putin – il Presidente e Vladimir Putin – sono davvero la stessa persona, e che sta conducendo una politica del tipo divide et impera rivolta direttamente agli Stati membri dell’UE. In queste circostanze, è molto importante che l’accordo di partenariato sortisca risultati positivi. L’Unione europea non dovrebbe rivelare alcuna debolezza. Nei colloqui deve dimostrare l’unità degli Stati membri e la sua solidarietà come una forza. Deve ridurre l’incoerenza manifestata a oggi dalla Russia e promuovere un mercato integrato e il libero accesso alle infrastrutture e agli investimenti in Russia. Deve chiedere che la Russia esprima la volontà di rispettare i requisiti dell’Organizzazione mondiale del commercio. Dobbiamo consolidare la posizione unificata dell’Unione europea sulle questioni strategiche in relazione a paesi con regimi antidemocratici. L’Unione europea deve confermare di essere una roccaforte della democrazia e di valori comuni.
Sylwester Chruszcz (NI). - (PL) Signor Presidente, l’incontro in Siberia tra i rappresentanti dell’Unione europea e la Russia dovrebbe essere un appuntamento tra amici alla ricerca di un’autentica comprensione. Se vogliamo migliorare le nostre relazioni, dobbiamo trattare i nostri partner seriamente. Ho sentito affermare in Aula che l’Unione europea vuole insegnare alla Russia le regole della democrazia. Tuttavia, a Bruxelles c’è un deficit democratico. E proprio in questo Emiciclo ho anche sentito mettere in dubbio i risultati del referendum irlandese.
In quest’Aula è anche stato affermato che i membri sono preoccupati per la situazione in Georgia. Non è il colmo dell’ipocrisia? Un giorno si viola l’integrità territoriale della Serbia con il riconoscimento del Kosovo, e quello dopo al popolo dell’Abkhazia si nega la possibilità d’indipendenza e si racconta che al paese si applica un diverso insieme di norme. Onorevoli colleghi, dovete comprendere che fu Stalin a sopraffare l’Abkhazia e ad annetterla alla Georgia. Non possiamo oggi intrometterci in un mondo che non capiamo. Ritegno che se dobbiamo trattare con i russi, dobbiamo comprenderne non solo la storia ma anche la mentalità. Ovviamente, la Russia è al momento ben governata. La vita migliora per il popolo russo, e il paese sta diventando uno Stato democratico. Non è assolutamente giustificato il tono didattico adottato dai funzionari dell’Unione. Tutto quello che si ottiene è un ghigno irritato di Mosca.
Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE). – (NL) Signor Presidente, signora Commissario, è solo confrontandoci che evitiamo le incomprensioni. Sono in programma intense discussioni perché, con l’apertura dei colloqui sull’accordo di partenariato e cooperazione, ci accingiamo ad avviare il dialogo con la Federazione russa. E’ positivo che ora i negoziati stiano per cominciare. Negli ultimi 10 anni sono cambiate moltissime cose, sia in Russia che nell’Unione europea, ma dipendiamo anche più che mai dall’altro. E’ per questo motivo che sono necessari per entrambe le parti validi accordi vincolanti sull’energia, ma anche sul cambiamento climatico. Signor Presidente, in sede di definizione di questi accordi non dobbiamo dimenticare certi punti fondamentali. Sebbene alcuni Stati membri possano dubitarne, ora più che mai dobbiamo impegnarci a fondo per difendere i valori comunitari, per rafforzare lo Stato di diritto, lottare contro la corruzione e sottolineare l’indipendenza del dibattito sociale nella Russia stessa.
Signor Presidente, i negoziati non saranno facili. Un nuovo accordo non deve essere enciclopedico, per quanto mi riguarda, ma deve contenere una serie di elementi assolutamente essenziali e vincolanti per entrambe le parti.
Signor Presidente, non possiamo aspettare fino a quando l’accordo non sarà sul tavolo, perché ci devono giungere voci positive dal Cremlino ora in merito ad alcune altre questioni: la Cecenia, il caso di TNK contro BP e l’Abkhazia. Vorrei sentire dal Presidente che cosa intende lui esattamente con azione comune.
Kristian Vigenin (PSE). - (BG) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto sottolineare che il mondo oggi è un luogo molto diverso e che la giustapposizione di blocchi è un ricordo del passato. Anche la Russia è cambiata molto. La Russia del giugno 2008 è molto diversa dalla Russia del 2000, ad esempio. L’Unione europea deve affrontare la sfida di costruire e sviluppare un nuovo genere di relazioni senza termini di paragone nel passato. Dobbiamo sviluppare queste relazioni comprendendo chiaramente che ci sono molti aspetti che ci uniscono e molti che ci dividono. Ci sono molti problemi che possiamo risolvere solo in cooperazione con la Russia, tra cui figurano anche tematiche globali quali il cambiamento climatico, la lotta contro la fame e le pandemie, il terrorismo. Ve ne sono altri che sono di carattere regionale eppure hanno un enorme significato per l’Unione europea: sicurezza energetica, legami commerciali ed economici, relazioni con vicini comuni. Ci sono anche questioni che ci dividono: diritti umani, libertà di parola, cosa intendiamo per democrazia e sistemi democratici. Ma dobbiamo essere sufficientemente pragmatici e sviluppare il dialogo non scontrandoci ma concentrandoci sugli obiettivi comuni.
E’ un dato di fatto che negli ultimi anni si sia fatta strada la diffidenza, ma ora abbiamo l’opportunità di avviare un dialogo con il nuovo inquilino del Cremlino. Vorrei richiamare l’attenzione sul ruolo della Russia nei Balcani occidentali. Ritengo che ci occorra un autentico dialogo attivo onde coinvolgere la Russia nella ricerca di soluzioni ai problemi della regione, persuaderle a sostenere gli sforzi dell’Unione europea volti a garantire stabilità a lungo termine, tra cui attraverso la missione EULEX in Kosovo. Vorrei che il prossimo vertice affrontasse anche la questione del ruolo della Russia nella regione del Mar Nero e che stabilisse che spetta a noi decidere se applicare o meno la politica del divide et impera.
István Szent-Iványi (ALDE). - (HU) Signor Presidente, signora Commissario, nel suo discorso d’insediamento il Presidente Medvedev ha dichiarato la propria lealtà alla democrazia, affermando che reputava il ripristino dello Stato di diritto la usa missione principe. Se queste non sono solo parole vuote ed effettivamente riesce a realizzare tale obiettivo, allora si profila realmente la possibilità che le relazioni con la Russia possano essere sostanzialmente migliorate. Le nostre aspettative sono modeste, ma siamo aperti e ottimisti. Avere la Russia quale solido partner affidabile che contribuisce a risolvere i conflitti giunti a un’impasse e a prevenire la proliferazione nucleare è nel nostro interesse fondamentale. Consideriamo la Russia un partner, ma anche il paese deve decidere ci reputa un partner o un insieme di nemici da far ribellare uno contro l’altro e aizzare. Accogliamo con favore l’intenzione di instaurare un nuovo accordo di partenariato UE-Russia; tale accordo dovrebbe essere esteso in modo da contemplare le problematiche legate all’energia e da contenere anche i principi fondamentali della carta per l’energia. L’Europa deve assumere una posizione unita e determinata nel quadro dei negoziati se vuole ottenere risultati concreti.
Penso sia un segno positivo che il vertice si tenga nella capitale di Khanty-Mansi, dove, in concomitanza, si svolgerà anche il congresso mondiale dei popoli ugro-finnici. Mi auguro che non si tratti solo di un gesto irripetibile da parte della Russia nei confronti dei popoli ugro-finnici, ma che corrisponda a una vera intenzione di migliorare la situazione e di garantire i diritti di tali popolazioni. A questo punto, desidero esortare il Commissario Ferrero-Waldner e la Commissione ad accelerare i lavori relativi all’attuazione della “azione preparatoria” volta ad assistere i popoli ugro-finnici, perché ci sembra che le carenze in quest’area siano di proporzioni enormi. Grazie.
Inese Vaidere (UEN). – (LV) Onorevoli colleghi, il minisero russo degli Affari esteri ha elaborato una strategia globale su come impiegare i propri concittadini nell’Unione europea, in particolare negli Stati baltici, con l’obiettivo di rafforzare l’influenza economica e politica della Russia. Il Presidente Medvedev ha firmato di recente un decreto che abolisce i visti d’ingresso in Russia per i cittadini di paesi terzi di Lettonia ed Estonia, che in sostanza li riconosce quali cittadini russi. Pertanto, questi cittadini di paesi terzi, che per ottenere la cittadinanza devono semplicemente imparare un po’ della lingua del posto, acquisiranno privilegi molto maggiori rispetto ai cittadini e avranno nientemeno che un incentivo a ottenere la cittadinanza. Questo gesto – al pari di chiedere di concedere loro il diritto di voto nelle elezioni governative locali – è un autentico ostacolo all’integrazione dei cittadini di paesi terzi. La “democrazia guidata” della Russia ha annunciato sempre maggiori restrizioni alla libertà di stampa, di espressione e di assemblea. I veri democratici della Russia hanno chiesto il nostro sostegno in varie occasioni, rivolgendosi alla sottocommissione per i diritti umani e all’epoca della visita a Mosca. Il pragmatismo pianificato della risoluzione ci ha tuttavia consentito di dimenticare i nostri principi, anche se nella pratica tutte la crescita economica in Russia si basa sui nostri pagamenti di risorse di energia.
Jana Bobošíková (NI). - (CS) Onorevoli colleghi, l’Unione europea – con questa espressione intendo il Consiglio – deve definire con precisione la sua idea di relazioni con la Russia. Dovrebbe essere chiaro se i negoziati concernenti, ad esempio, gli approvvigionamenti di gas, il Kosovo, la libertà di parola e i diritti umani verranno condotti separatamente dai singoli Stati membri o se esiste una possibilità di raggiungere un’intesa, perlomeno a livello base, su alcuni interessi comuni. Ritengo che sia negli interessi dei cittadini che l’Unione parli con una voce sola quando tratta con la Russia. Purtroppo non è così. Dobbiamo insistere affinché in Russia si instauri un clima politico e imprenditoriale più stabile, che preveda meno barriere alle importazioni e conceda maggiore spazio agli investitori dell’Unione. Questo sarebbe di ceto agevolata dall’adesione della Russia all’Organizzazione mondiale del commercio. Ovviamente, tutti noi dovremmo insistere con forza sul rispetto dei diritti umani e delle libertà quali elementi di un simile partenariato. L’Unione, che è una forte entità caratterizzata dalla diversità, e la Russia, che è una superpotenza, dovrebbero smettere di comportarsi come due città collegate da nient’altro se non una strada stretta e un gasdotto. Entrambe dovrebbero aspirare a una maggiore integrazione economica reciproca e il partenariato dovrebbe essere un matrimonio di convenienza, non d’amore.
Tunne Kelam (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, nell’accogliere le parole del Presidente Medvedev sull’importanza dei diritti civili e dello Stato di diritto, l’UE dovrebbe assolutamente chiarire che la credibilità delle sue dichiarazioni si può misurare solo dimostrando, innanzi tutto, rispetto totale dei verdetti della Corte europea dei diritti umani e contribuendo alla riforma di tale istituzione.
Il punto di partenza più importante se si aspira a instituire relazioni migliori è l’unità tra gli Stati membri dell’UE. Sottolineiamo in particolare la necessità di dare priorità ai benefici a lungo termine di una risoluzione comune rispetto ai possibili vantaggio a breve termine di accordi bilaterali su singole questioni.
Tali priorità sono particolarmente rilevanti nel campo dell’economia e dell’energia, dove i principi di trasparenza e reciprocità possono essere l’unica base per una cooperazione sul lungo periodo, insieme alla parità di accesso ai mercati, alle infrastrutture e agli investimenti.
Reino Paasilinna (PSE). - (FI) Signor Presidente, signora Commissario, ho qui dinanzi a me uno studio condotto quest’anno sugli uomini d’affari russi. Fatto sorprendente, le loro riflessioni sono simili alle nostre. Quale genere di Russia vorrebbero vedere entro il 2020? Tra il 50 per cento e il 70 per cento di loro desidera che i russi siano liberi; al secondo posto, istruiti, al terzo posto, integrati; al quarto, rispettosi della legge e al quinto posto, in buona salute. Non c’è la benché minima cattiva intenzione qui. Solo il 30 per cento di questi uomini d’affari sperava di essere ricco. Pertanto, non c’è più alcuno strascico delle oligarchie che noi tutti ricordiamo.
L’intenzione della Russia è di avviare un processo di modernizzazione, e questo obiettivo accomuna i leader del paese e i cittadini. Le preoccupazioni degli imprenditori interpellati ci sono note: il 70 per cento di loro ritiene che l’invecchiamento della popolazione sia un grosso problema, esattamente come noi. Per quanto riguarda la corruzione agli alti livelli, qui il tasso è inferiore, ma lì è molto comune. Oltre il 50 per cento reputa fondamentale l’indipendenza del sistema giudiziario e i diritti civili. Anche gli scarsi livelli di istruzione sono motivo di preoccupazione. Possiamo dare un esempio e fornire assistenza laddove le infrastrutture sono inadeguate e la burocrazia rigida. Per questo ritengo che abbiamo un’opportunità, ora che dipendiamo dalla Russia per l’energia, di offrire la nostra competenza per il processo di modernizzazione del paese, che è l’obiettivo della Russia stessa.
Christopher Beazley (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, il Commissario Ferrero-Waldner ha parlato dell’importanza di instaurare relazioni corrette tra l’UE e la Russia.
Un ambito che mi sembra particolarmente importante è la questione della società civile. Prevede la possibilità di avviare alcuni programmi o progetti specifici che potremmo cominciare a considerare in termini di scambi universitari, scambi culturali e artistici, e se così, quali?
Credo che sia opportuno ribadire la nostra delusione in questo contesto. Gli uffici del British Council a San Pietroburgo e a Ekaterinburg sono stati chiusi, in contrasto con qualsiasi normale pratica diplomatica.
Vale altresì la pena riflettere sulla relazione in merito all’energia. In quanto buon cliente, vantiamo una posizione forte. La Gazprom non chiaramente riuscita a convincere questo Parlamento, in sede di commissione per gli affari esteri, commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, e commissione per le petizioni. Devono pensarci di nuovo. Ci occorre una buona relazione dove non facciamo la parte degli ingenui, dove non ci basiamo su pii desideri e dove i nostri partner e colleghi russi non siano sospettosi, non si sentano minacciati o debbano mostrarsi aggressivi.
Adrian Severin (PSE). - (EN) Signor Presidente, il prossimo Vertice Unione europea-Russia si svolgerà tra una Federazione russa in ascesa – anche solo temporaneamente – e un’UE non solo colpita dal “no” irlandese sul Trattato di Lisbona ma anche dalla mancanza di una chiara visione su come uscire da questa crisi.
La Russia stessa è motivo di divergenza nell’Unione europea. In effetti, ci ha divisi tra ideologisti e pragmatici; tra geostrateghi pronti allo scontro e conciliatoristi; tra vecchi combattenti della guerra fredda e nuovi opportunisti utilitaristi.
Per un altro verso, un grosso problema è che la Russia non ha una politica concernente l’Unione europea, ma preferisce trattare separatamente con ciascun membro dell’Unione. Non riusciremo a cambiare questa situazione fino a quando non avremo introdotto una reale politica europea comune nei confronti della Russia. Dobbiamo dire alla Russia che, nell’ottica di fare buoni affari con noi e di beneficiare della reciproca apertura dei mercati, occorre un’interoperabilità istituzionale e politica che garantisca la separazione tra politiche economiche e strategie geopolitiche.
Occorre quindi uno spazio comune di giustizia, libertà e sicurezza caratterizzato da trasparenza, responsabilità e apertura.
Francisco José Millán Mon (PPE-DE). - (ES) Signor Presidente, la relazione tra l’Unione europea e la Russia deve essere costruttiva, ma anche esigente. Come noi, è membro del Consiglio d’Europa e ne deve quindi rispettare i principi e i valori.
Accolgo on favore il fatto che di recente il Presidente Medvedev abbia sottolineato l’importanza dei diritti umani e dello Stato di diritto.
L’Unione europea e la Russia hanno il potenziale per instaurare una relazione forte e ora noi dobbiamo affrontare la sfida di negoziare il nuovo accordo di cooperazione e di partenariato che ci consentirà di accelerare gli sviluppi nell’ambito dei cosiddetti “quattro spazi comuni”.
Desidero sottolineare l’importanza di uno di tali spazi, quello relativo alle relazioni economiche. Oltre la metà degli scambi della Russia avviene con l’Unione. La creazione di un mercato integrato, con regole trasparenti e non discriminatorie, migliorerà e diversificherà le relazioni economiche e commerciali tra la Russia e l’Unione europea. Un altro aspetto essenziale è una maggiore certezza giuridica in Russia.
Onorevoli colleghi, Mosca è un protagonista fondamentale sulla scena internazionale. Membro permanente del Consiglio di sicurezza, la sua cooperazione è cruciale per raggiungere la pace e la stabilità in Europa e nel mondo.
Per quanto attiene all’UE, i 27 Stati membri devono adottare un fronte unito nelle loro relazioni con la Russia. Tutti gli analisti, tra cui l’ultimo, Mark Leonard, con un interessante studio, sottolineano che l’assenza di una posizione comune danneggia l’Unione…
(Il Presidente toglie la parola all’oratore)
Csaba Sándor Tabajdi (PSE). - (HU) Signor Presidente, l’imminente vertice sblocca l’impasse che perdurava da oltre un anno e mezzo, e speriamo che porti sviluppi concreti nelle relazioni tra l’Unione europea e la Russia. L’Unione europea ha bisogno della Russia, ma non inganniamoci, la Russia ha bisogno almeno altrettanto dell’Europa, come partner economico e come consumatore di energia. Dipendiamo gli uni dagli altri non solo nel campo dell’energia ma anche in molti altri. Per questo motivo, credo che i timori di un aumento dell’influenza della Russia siano esagerati, sebbene sembrino giustificati, se si analizzano molte dichiarazioni pronunciate dalla leadership russa. Negli interessi del futuro sviluppo delle relazioni strategiche tra l’UE e la Russia, è di capitale importanza istituire quanto prima un regime che preveda la reciproca esenzione dall’obbligo del visto; questo è un passo cruciale per la crescita delle relazioni UE-Russia. In conclusione, quale presidente dal forum ugro-finnico presso il Parlamento europeo, vorrei ribadire la richiesta avanzata dal mio collega Szent-Iványi ai capi di Stato dell’UE presenti al vertice: sostenere i popoli ugro-finnici. Grazie per la vostra attenzione.
Bernd Posselt (PPE-DE). - (DE) Signor presidente, anch’io ritengo che il gasdotto tra la Germania e la Russia si debba costruire solo se gli altri Stati membri dell’UE interessati sono d’accordo. Tuttavia, quegli Stati membri non dovrebbero poi negoziare con un’altra grande potenza, vale a dire gli USA, riguardo a missili o visti. L’Europa potrà assumere una posizione risoluta nei confronti di USA e Russia solo se finalmente adotta un fronte unito.
Vorrei dire una cosa con molta chiarezza: è nostro compito dire ai russi che nei loro interessi fondamentali costruire un buon partenariato con l’Europa. Tuttavia, questo significa che non posso parlare a nome di altri paesi che nel passato la Russia ha occupato, come l’Ucraina o la Georgia. Questi paesi sono Stati sovrani e hanno la facoltà di prendere decisioni riguardo al loro stesso destino.
Il Presidente Medvedev ha affermato a Berlino che vuole vedere miglioramenti nelle relazioni. Se così è, può iniziare su due fronti, di cui il primo è quello dello Stato di diritto, che significa intervenire nella questione dei detenuti della Yukos. Il secondo fronte è un ambito molto importante: Presidente Medvedev, per favore, la smetta di bloccare la più grande missione di pace nella storia dell’UE, ossia la missione del Kosovo!
Andrzej Jan Szejna (PSE). - (PL) Signor Presidente, la complessa relazione tra l’Unione europea e la Russia richiede un’azione diplomatica coesiva e gestita con perizia. Il prossimo vertice tra l’Unione europea e la Russia ha suscitato grosse apprensioni, in quanto in quella sede verranno negoziati accordi di grande importanza sia per l’Unione europea che per la Russia. Tra le varie questioni, l’Unione deve sforzarsi di garantire sicurezza energetica per l’Europa. In un’epoca in cui prezzi dei carburanti e dell’energia hanno un’ascesa inarrestabile, la sicurezza in materia di energia è di significato strategico non solo per l’economia dell’intera Unione europea ma anche per le economie nazionali dei rispettivi Stati membri.
Alla vigilia del Vertice UE-Russia, dobbiamo comprendere quanto sia importante che in futuro l’Unione parli con una voce sola sulla scena internazionale. A tale proposito, è un peccato che l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona sia incerta. Quest’ultimo contiene disposizioni che farebbero dell’Unione europea un partner forte nelle relazioni internazionali. Sono lieto che l’Unione abbia sostenuto la Polonia nella sua controversia con la Russia sulle esportazioni dei nostri prodotti. Confido nel fatto che nei prossimi anni la Polonia sviluppi una relazione positiva tra le Russia e l’Unione europea.
Josef Zieleniec (PPE-DE). - (CS) Questo vertice UE-Russia sarà il primo del Presidente russo Dmitri Medvedev. L’Unione dovrebbe approfittare dell’inizio del suo mandato e mirare a un reciproco spostamento verso un partenariato pragmatico, realistico e strategico. In effetti, sul lungo periodo questo partenariato è più importante per la Russia stessa. La priorità del Presidente Medvedev è il rispetto dello Stato di diritto 8come afferma lui stesso) e la modernizzazione dell’economia. Al fine di conseguire questo obiettivo, lui ha bisogno dell’Europa. Anche nel settore delle relazioni internazionali e commerciali, la Russia ha bisogno di un partner più stabile e affidabile rispetto alla Cina o all’Iran. L’Unione europea non rappresenta una minaccia per la Russia. Al contrario, l’Unione può aiutare la Russia a mantenere il suo status di attore chiave che il paese altrimenti rischierebbe di perdere gradualmente a causa di elementi legati alla sua economia unilaterale e alla democrazia. Un partenariato strategico, tuttavia, può essere costruito solo sulla base di una dialogo simmetrico tra pari. In tale contesto, la Russia deve mostrare la via, cessare i suoi meschini tentativi di dividere l’Europa e minacciare l’Unione come un’entità culturale. Le schermaglie miopi e le provocazioni posticipano inutilmente la creazione di un autentico partenariato con l’UE. Nelle discussioni sul nuovo accordo di partenariato e di cooperazione tra l’UE e la Russia, l’attenzione dovrebbe essere su questioni che sono importanti nel lungo periodo.
Zita Pleštinská (PPE-DE). - (SK) Il partenariato strategico UE-Russia è un fattore importante nell’area della diversificazione e della sicurezza delle importazioni di fonti di energia nell’UE. Al tempo stesso, dobbiamo ricordarci che questa cooperazione è importante per la Russia tanto quanto per l’UE, dal momento che il 60 per cento del greggio russo è destinato all’UE.
Credo che i leader europei debbano continuare a ribadire alla Russia che il paese non deve usare le proprie forniture di energia come uno strumento di repressione politica, nei confronti degli Stati membri dell’UE o dei paesi dell’ex Unione Sovietica, in particolare l’Ucraina.
Al momento i negoziati condotti dagli Stati membri sulle forniture di gas e petrolio russi sono bilaterali. In occasione della visita per la Duma di Stato della Federazione russa nell’aprile 2007, ho potuto constatare di persona che anche la Russia è estremamente interessata a trattare con l’UE nel suo complesso in merito alla questione dell’energia.
Infine, vorrei far presente che temo, al pari del mio collega Elmar Brok, che a seguito del risultato negativo del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona la posizione dell’UE in quanto partner strategico possa risultate indebolita, dato che il Trattato di Lisbona è il documento in cui sono sancite le competenze dell’UE nell’area dela politica comune in materia di energia.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE). - (FI) Signor Presidente, mi auguro che riusciremo a concludere in tempi ristretti l’accordo di cooperazione tra l’Unione europea e la Russia. E’ importante che l’UE e la Russia possano basarsi su relazioni schiette, praticabili e oneste. Il partenariato deve essere sano e vantaggioso per entrambe le parti.
Nonostante il suo approccio pragmatico, l’UE non deve dimenticare, e non l’ha fatto, la questione dei diritti umani, e deve tendere, a questo riguardo, a un dialogo attivo con la Russia.
La sicurezza in campo energetico è un aspetto importante che interessa tutta l’Europa, e quando parliamo di energia di norma parliamo anche di Russia e di cooperazione tra l’UE e la Russia. L’UE è ben determinata a mantenere la propria sicurezza dell’approvvigionamento, riducendo al contempo la propria dipendenza dall’energia esterna. E’ auspicabile che il confronto al vertice sia aperto, franco e, soprattutto, proficuo.
Milan Horáček (Verts/ALE). - (DE) Signor Presidente, durante l’intervento dell’onorevole Swoboda, mi sono ricordato che svoboda è la parola russa per “libertà” e ho pensato che la libertà è qualcosa di cui, ovviamente, abbiamo bisogno tutti. I diritti umani e la libertà sono i principali pilastri dell’UE e devono sostenere anche il nostro dialogo con la Russia.
Proprio perché questo prossimo dialogo si svolgerà in Siberia, mi viene in mente che anche Chita – la struttura di detenzione dove sono rinchiusi i carcerati della Yukos, Mikhail Khodorkovsky e Platon Lebedev – si trova in Siberia. Vorrei pertanto esortarvi a fare tutto il possibile al fine di garantire che vengano rilasciati, ma anche a incoraggiare la Russia a rendere la libertà di opinione e la libertà di stampa una realtà e a non ostacolare il lavoro delle ONG, in quanto tutti questi aspetti sono estremamente importanti per il nostro comune futuro europeo.
Hanna Foltyn-Kubicka (UEN). - (PL) Signor Presidente, siamo una Comunità che rispetta lo Stato di diritto in quanto una delle fondamenta sui cui abbiamo costruito la nostra identità. Dovremmo aspettarci lo stesso dai nostri partner politici ed economici. Chiedo ai rappresentanti dell’Unione europea di sollevare in occasione del vertice la questione del pieno rispetto da parte della Russia delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Questa Corte non è stata istituita per fungere da istituzione farsa, le cui sentenze vengono rispettate sono da coloro che commettono reati minori e talvolta discutibili violazioni dei diritti umani. E’ stata creata al fine di garantire che torturatori, stupratori e assassini venissero dissuasi dal perpetrare altri reati perché consapevoli che le adeguate sentenze sarebbero state attuate nei loro confronti.
La Federazione russa deve pertanto collaborare a stretto contatto con la Corte e ne deve rispettare le sentenze. Chiaramente, un paese che non onora gli accordi non può essere trattato come un partner affidabile. Le azioni della Russia sono in netto contrasto con le sue dichiarazioni in cui asserisce di essere un fornitore affidabile di fonti di energia. Questa è una delle affermazioni che i diplomatici russi amano pronunciare. Se la Russia intende dimostrarsi affidabile come nel caso della Cecenia, di Anna Politovskaya o di Aleksandr Litvinenko, l’Unione europea passerà alla storia come l’istituzione più ingenua che sia mai esistita.
Gerard Batten (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, sollevo una questione a nome di Marina Litvinenko, il cui marito, Aleksandr Litvinenko, è stato assassinato a Londra nel dicembre 2006. L’arma del delitto è stato il polonio-210, una sostanza radioattiva prodotta per il 97 per cento nell’impianto nucleare di Avangard, in Russia. L’omicidio ha tutte le caratteristiche di un assassinio altamente sofisticato, del genere di quelli compiuti dai servizi segreti russi. Il principale sospettato, Andrei Lugovoi, è un membro del parlamento russo e, in conformità della costituzione russa, non può essere estradato.
Se mi è permesso, mi rivolgo direttamente al Commissario Ferrero-Waldner: la signora Litvinenko chiede che, in occasione del vertice, il Consiglio e la Commissione portino all’attenzione del Presidente Medvedev la questione dell’omicidio di Aleksandr Litvinenko. Marina Litvinenko vuole che l’assassinio del marito venga risolto e i colpevoli assicurati alla giustizia. Il vertice è un’opportunità ideale per far avanzare il processo. Vi prego di aiutarla.
(Applausi)
Vytautas Landsbergis (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, proseguo sulla scia delle osservazioni del precedente oratore. Il governo russo dovrebbe fare tutto quanto in suo potere per dimostrare di non aver ordinato l’assassinio terroristico di un cittadino britannico – che significa anche un cittadino europeo –, ossia Aleksandr Litvinenko. Poiché il governo russo non è riuscito a dimostrare di non averlo commissionato e rifiuta persino di cooperare a dover con le autorità investigative britanniche, il coinvolgimento ufficiale della Russia nell’omicidio è politicamente comprovato.
La nuova Russia, come dicono molti, si comporta ripetutamente come uno Stato terrorista e al vertice di Khanty-Mansiysk l’UE deve chiedere al Presidente Medvedev di porre fine a tali pratiche.
Contro le madri di Beslan, che tentano di scoprire chi ha ordinato l’attacco alla scuola e l’uso di bazooka e mitragliatrici pesanti contro chiunque presente tra quelle mura, compresi i loro figli, non dovrebbe essere stato avviato alcun procedimento. L’UE deve almeno sostenere coloro che sono più deboli di se stessa, del governo britannico e delle madri di Beslan.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Sarò molto breve, considerata l’ora tarda. Penso sia stato l’onorevole Severin ad affermare che – lo citerò in inglese – “Russia is a divisive issue in the European Union”. Nondimeno, ritengo che nel corso del dibattito odierno siano emersi soprattutto due elementi che sono oggetto di un consenso molto ampio, davvero molto ampio.
Innanzi tutto, occorrono buone relazioni tra l’Unione europea e la Federazione russa. Posso solo essere d’accordo su questa affermazione, ovviamente. La Federazione russa, com’è stato detto più volte, è una potenza mondiale, uno dei protagonisti chiave sulla scia internazionale, come ha affermato l’onorevole Millán Mon, ed è inoltre il nostro vicino. In breve, siamo condannati a coesistere con la Federazione russa, e questa coesistenza sarà di alto livello solo se basata su partenariato e cooperazione. Questa Presidenza è determinata a coltivare un dialogo volto a promuovere il partenariato e la cooperazione, un dialogo che includa tutte le questioni di interesse per entrambe le parti, tra cui quelle su cui divergiamo e di cui ho accennato nel mio intervento introduttivo.
L’altro elemento importante di questo consenso molto ampio, che ho percepito qui in Aula, è l’importanza attribuita dagli eurodeputati alla posizione comune dell’Unione europea. Non potrei essere maggiormente d’accordo in questo caso. L’ambito in cui questo è emerso più frequentemente con particolare rilievo è il settore dell’energia. Il fatto è che nessun singolo Stato membri potrebbe raggiungere in colloqui distinti con fornitori del calibro della Federazione russa un accordo interessante come quello che può concludere l’Unione quale entità unica. E’ quindi ora che la politica comune in materia di energia nasca davvero.
In questo contesto, si è fatto riferimento anche alle condutture di gas e petrolio. Posso solo aggiungere questo: se nell’Unione europea fossimo stati finora in grado di creare un mercato interno dell’energia davvero adeguato, sarebbe del tutto trascurabile dove passano certi gasdotto o oleodotti.
Permettetemi di concludere con la seguente osservazione: la Presidenza slovena è lieta che il proprio semestre termini con il Vertice UE-Federazione russa, un appuntamento che questa volta, a causa di determinate circostanze, un nuovo presidente in Russia e il mandato che siamo infine riusciti a ottenere dopo estenuanti negoziati, si presenta molto promettente, e mi auguro che queste aspettative non vadano deluse.
Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, ritengo che la chiave nelle nostre relazioni sia la reciproca interdipendenza, menzionata da molti oratori qui. Da una parte, è nei nostri interessi avere valide relazioni con la Russia, un partner strategico e un vicino, come ha giustamente sottolineato il nostro Presidente. Tuttavia, è anche importante che la Russia si comporti da partner nella soluzione dei problemi e non nel porli, e questa è l’altra parte.
Ho seguito con molta attenzione e ho preso nota di tutti i vostri commenti. Non potrò rispondere a tutte le domande e le osservazioni ora, ma permettetemi alcune riflessioni di carattere generale e più specifico.
Innanzi tutto, la Russia oggi è un partner molto importante nel settore dell’energia e, a seguito dell’assegnazione del mandato negoziale per la conclusione di un nuovo accoro, abbiamo già una posizione comune dell’UE sull’energia, perché disponiamo di un mandato comune. Non è stato facile ottenerlo, ma ora lo abbiamo ed il quadro dei nostri negoziati. Pertanto, è stato fondamentale ottenerlo. Come ho detto in precedenza, vogliamo incorporare i principi della Carta per l’energia nel nuovo accordo. Le relazioni UE-Russia si basano su questo – non è una via a senso unico. Siamo un importante mercato e una fonte di investimenti, esattamente come la Russia è un fornitore essenziale per noi. Pertanto, di nuovo, riemerge questa interdipendenza lì e dobbiamo avere gli stessi principi: reciprocità, trasparenza e non discriminazione.
Uno degli obiettivi della politica dell’Unione europea in materia di energia è diversificare i percorsi di approvvigionamento e fonti di energia nell’ottica di rafforzare la concorrenza e la sicurezza nel mercato UE dell’energia. Non si tratta di una politica antirussi. Ritengo che la Russia rimarrà un nostro fornitore chiave, ma qualsiasi consumatore sensato suddivide i rischi, soprattutto nel caso di aumenti vertiginosi dei prezzi dell’energia. Data la nostra crescente interdipendenza dalle importazioni, soprattutto di gas, è verosimile che cresca il volume di gas russo che intendiamo comprare, pertanto ci occorre una chiara politica di diversificazione.
Vorrei adesso passare alla questione degli scambi in generale. E’ molto importante che la Russia diventi un membro dell’OMC; è importante non solo per la Russia stessa anche per noi. Continueremo, pertanto, a impegnarci a fondo a Ginevra e a lavorare sul piano bilaterale per pervenire a un accordo. Penso che la Russia abbia bisogno di aderire all’OMC per modernizzare la propria economia, e con questo Presidente ritengo che sia possibile, come lo era anche con il Presidente Putin, che ha sostenuto in prima persona tale aspetto.
Vorrei accennare rapidamente alle questioni delle ONG e del rispetto dei diritti umani: siamo regolarmente in contatto con ONG russe e diamo voce alle loro preoccupazioni nei nostri colloqui con le autorità russe. Siamo disposti a sollevare casi specifici, laddove necessario, e continuiamo a sostenerle finanziariamente attraverso il nostro strumento europeo per la democrazia e i diritti umani.
Sulla questione dei diritti umani in generale: abbiamo avuto consultazioni al riguardo con i russi. Abbiamo di fatto affrontato casi specifici, ci siamo occupati di difensori dei diritti umani e talvolta di casi giudiziari. Siamo preoccupati in particolare per la situazione nel Caucaso settentrionale. Ho solo cinque minuti e potrei parlare a lungo del Caucaso settentrionale, della Georgia, dell’Abkhazia, dell’Ossezia meridionale e anche di Nagorno-Karabakh e della Moldavia, quindi non pensiate che ignorassimo le problematiche. Tutto questo sarà ed è molto importante.
Volevo anche accennare alla questione del British Council: l’UE ha sostenuto il governo del Regno Unito nella sua controversia con la Russia riguardo al caso degli uffici del British Council di San Pietroburgo e Ekaterinburg. Penso che ora abbiamo un buon dialogo con la Russia sulla cooperazione culturale, che mi auguro offrirà l’opportunità di porre in rilievo il valore di questi contatti. Considereremo, ovviamente, se non si possa intervenire in qualche modo.
Riguardo alle minoranze ugro-finniche, sapete bene, che siamo impegnati nella realizzazione dell’azione preparatoria per 2,5 milioni di euro, che il Parlamento ha iscritto nel bilancio di quest’anno e contempliamo in tale contesto l’attuazione della convenzione sulle minoranze del Consiglio d’Europa, di cui è una parte anche la Russia. Penso che dovrebbe coprire anche le minoranze nazionali in Russia.
Sugli scambi universitari, vorrei solo far presente che promuoviamo tali scambi con la Russia attraverso, da un lato, l’Erasmus Mundus e i programmi Tempus. Nei prossimi anni rafforzeremo la nostra cooperazione nell’ambito di tali programmi. Inoltre, la Russia ha anche dimostrato grande interesse nell’eventuale partecipazione al Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo, che forse in futuro risulterà un segno importante per SIGMA. Abbiamo un istituto di studi europei e noi, sia la Russia che l’Unione europea, potremmo approfondire l’attività con questa struttura e persino raddoppiare il nostro contributo.
Un’ultima riflessione generale prima di concludere: l’avvio ufficiale di questo nuovo accordo è, come penso concorderanno tutti qui, un’occasione di estrema importanza ed è un’opportunità. il potenziale è enorme e convengo con la Presidenza che sarà un’occasione davvero fondamentale.
Sappiamo che i negoziati non saranno facili. Devono essere di ampio respiro e poiché lo sono – perché abbiano un mandato di portata immensa – saranno in qualche modo complessi e non termineranno in tempi brevi. Tuttavia, questo solido mandato dimostra anche che siamo forti di un’unità qui. L’unità del mandato è concreta. E’ stato difficile ottenerlo, ma ora che ne disponiamo, andiamo avanti e vi esorto a sostenerci in questo.
Infine, come tutti sappiamo, le relazioni devono essere strategiche. Facciamo quindi un passo indietro rispetto ai fastidi quotidiani e alle notizie dalle microspie e guardiamo all’ampio contesto storico dell’Europa e della Russia, nonché ai tanti interessi che condividiamo. Dobbiamo trovare un modo di gestire le nostre divergenze e, al contempo, mantenere aperta una porta al dialogo. Abbiamo l’opportunità di farlo. Dobbiamo coglierla e insieme sono sicura che costruiremo un solido partenariato.
Presidente. − Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 19 giugno 2008.
Dichiarazioni scritte (articolo142)
Ramona Nicole Mănescu (ALDE), per iscritto. – (RO) Il Vertice UE-Russia che si terrà il 26 e 27 giugno a Khanty-Mansiik, in Siberia, segnerà un duplice inizio: da una parte, è il primo contatto che l’Unione europea ha con il nuovo Presidente russo Medvedev e, dall’altra, è previsto il negoziato relativo a un nuovo accordo di partenariato, che dovrebbe istituire il quadro per lo sviluppo delle relazioni tra l’Unione europea e la Russia.
Poiché il 40 per cento del gas naturale importato dalle società europee viene dalla Russia, quest’ultima deve facilitare gli investimenti dell’UE adottando una legislazione trasparente e aprendo il suo sistema di condutture, consentendo alle imprese europee di acquistare gas direttamente dai produttori dell’Asia centrale.
L’Unione europea non deve rimanere indifferente al destino di coloro che vivono in regioni di conflitto; insieme con la Russia e gli altri attori coinvolti, dobbiamo trovare un modo di risolvere i conflitti “congelati”, nonché il conflitto in Moldavia e nel Caucaso.
Mi auguro che l’accordo di partenariato offra le condizioni adatte per lo sviluppo delle relazioni tra l’Unione europea e la Russia; nondimeno, non dobbiamo dimenticare che il nostro obiettivo non è firmare un accordo di partenariato, ma farvi includere clausole che possano portare alla democrazia, alla sicurezza e a un livello di vita più elevato in Europa, dal Caucaso all’Atlantico.
Katrin Saks (PSE), per iscritto. – (ET) Signor Presidente, tra circa una settimana a Khanty-Mansiysk si svolgerà il vertice regolare tra l’Unione europea e la Russia, seguito dal quinto congresso mondiale dei popoli ugro-finnici in programma nello stesso luogo. Tra i popoli ugro-finnici si annoverano gli abitanti originari di questa regione, i Khanty e Mansi, pastori di renne cha hanno dato il nome al posto, collocato fra le zone paludose della Siberia e la tundra.
A questo congresso mondiale parteciperà anche una delegazione di cinque membri dell’Unione europea; gli ungheresi, i finlandesi e gli estoni appartengono ai popoli ugro-finnici e la loro terra d’origine è in Siberia. Spero che riusciremo in questo modo a richiamare l’attenzione sulle piccole nazioni la cui lingua rischia di scomparire e la cui cultura millenaria viene sostituita da eventi collettivi.
L’Unione europea deve restare fedele ai propri valori e difenderli, e non farsi abbagliare in una regione che è la fonte della maggior parte delle risorse di energia della Russia. I fiumi di petrolio lì hanno portato a un conflitto tra lo stile di vita tradizionale dei nativi e il bisogno sempre maggiore di petrolio dell’umanità.
14. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
Presidente. − L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0161/2008).
Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte al Consiglio.
Annuncio l’interrogazione n. 1 dell’onorevole Robert Evans (H-0342/08)
Oggetto: Passeggeri con mobilità ridotta
Quali azioni e quali controlli sta eseguendo il Consiglio per garantire che le disposizioni definite dall’interrogante nella relazione sui diritti delle persone con mobilità ridotta che viaggiano in aereo(1), entrata in vigore la scorsa estate, siano attuate correttamente in tutti gli Stati membri?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Le norme riguardanti la protezione e la prestazione di assistenza nel trasporto aereo a persone con disabilità e a quelle con mobilità ridotta sono definite dal regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai diritti delle persone con disabilità e delle persone a mobilità ridotta nel trasporto aereo. La normativa è stata adottata nel 2006; alcune parti sono già applicate dal luglio 2007, mentre il resto verrà applicato a partire dal luglio di quest’anno.
Desidero sottolineare che la verifica dell’adeguata attuazione del regolamento in questione è responsabilità della Commissione europea, che può prendere misure appropriate, tra cui rimedi giuridici volti a garantire la corretta applicazione del diritto comunitario in questo ambito. Per questo motivo, il Consiglio semplicemente non è competente a rispondere alla presente domanda.
Nondimeno, vorrei evidenziare che l’Unione europea è consapevole dell’importanza del settore della protezione e della garanzia di assistenza alle persone disabili e a quello con mobilità ridotta. Come si evincere dalla pratica, il regolamento che ho citato viene già applicato e rappresenta uno strumento importante per i soggetti disabili e per quelli con mobilità ridotta in viaggio.
Robert Evans (PSE). - (EN) Ringrazio la Presidenza, ma ovviamente conosco la normativa perché era il relatore che ne ha guidato l’iter in quest’Aula.
Sono infatti le agenzie nazionali che sono responsabili. Non conosco la situazione in tutti i paesi, ma nel Regno Unito è l’autorità preposta all’aviazione civile che se ne occupa. Pertanto, queste sono agenzie nazionali e la responsabilità è dei governi nazionali, che è il motivo per cui ho posto la domanda al Consiglio.
In una settimana in cui l’Europa si batte chiaramente per convincere tutto il suo mezzo miliardo di cittadini dell’autentico valore dell’Unione europea, questa è un’iniziativa pregevole. E’ una normativa molto importante intesa a sostenere le persone disabili e i passeggeri con mobilità ridotta, pertanto esorto il signor Ministro a tornare in sede di Consiglio e a comunicare a tutti i suoi 26 colleghi del Consiglio “Trasporti” nonché ai membri che devono applicare questa legislazione.
Emanuel Jardim Fernandes (PSE). – (PT) Sulla scia della domanda posta dal mio collega, onorevole Robert Evans, vorrei chiedere al Consiglio se è disposto a rafforzare i diritti dei passeggeri con mobilità ridotta nel settore marittimo. Sollevo questo interrogativo perché la Commissione ha in passato sostenuto questa possibilità, ad esempio nella comunicazione del 2005 sui diritti dei passeggeri, e il Parlamento se ne sta occupando, in particolare nell’ambito delle competenze e delle discussioni sul pacchetto Erika III.
Jörg Leichtfried (PSE). - (DE) Ho una domanda per il signor Ministro. Ho sentito che riguardo al trattamento riservato dalle compagnie aeree ai passeggeri con mobilità ridotta, esistono in realtà delle diversità e che le cosiddette società low cost lasciano un po’ a desiderare rispetto ad altri vettori. Sarei interessato a sapere se il Consiglio può per caso portare esempi concreti al riguardo, o se si tratta semplicemente di percezioni a livello personale della situazione.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Risponderò alla domanda supplementare dell’onorevole Fernandes: ovviamente non posso escludere la possibilità che si introduca qualcosa di analogo per le persone disabili e le persone con mobilità ridotta che viaggiano per mare. Di certo è una questione che deve essere valutata innanzi tutto dalla Commissione, che deve poi elaborare una proposta. E’ tuttavia un’idea che senz’altro merita di essere presa in considerazione. Questa è la mia risposta spontanea.
L’onorevole ha menzionato le compagnie economiche. Desidero sottolineare che il regolamento che ho citato e che si riferisce a come facilitare il viaggio aereo di persone disabili e di persone con mobilità ridotta riguarda tutte i vettori, senza alcuna distinzione. Le violazioni saranno ovviamente trattate a condizioni paritarie, a prescindere che si tratti di compagnie economiche o di altro genere.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 2 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0346/08)
Oggetto: Politica immigratoria comune e lavoro illegale
Come valuta la Presidenza del Consiglio europeo i progressi compiuti nel corso del suo mandato semestrale in materia di politica immigratoria comune al fine di contrastare il lavoro illegale?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Riguardo alla politica in materia di immigrazione e al lavoro legale, nel corso di questo mandato, ossia durante la Presidenza slovena, la Presidenza ha proseguito i negoziati nel Consiglio e con il Parlamento europeo riguardo a un progetto di direttiva che introduca sanzioni contro i datori di lavoro di cittadini di paesi terzi residenti illegalmente nell’Unione europea.
La direttiva in oggetto vieta l’impiego di cittadini di paesi terzi che risiedono illegalmente nell’Unione, e questo è ovviamente uno dei modi di contrastare l’immigrazione illegale. A tal fine la direttiva stabilisce sanzioni minime comuni nonché misure che gli Stati membri devono applicare nei confronti dei datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi che si trovano illegalmente nel territorio degli Stati membri.
Durante questo periodo gli organi competenti del Consiglio hanno continuato a esaminare la proposta e instaurato stretti contatti con il Parlamento europeo nell’ottica di far pervenire le due istituzioni a una posizione comune. Il lavoro non è ancora terminato, ma posso affermare che la Presidenza è soddisfatta degli sviluppi registrati finora.
Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). – (EL) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, la ringrazio per la risposta fornita. Sappiamo tuttavia che i cittadini di paesi terzi che entrano nel territorio europeo senza sostegno o documentazione legale di fatto lavorano per vari datori di lavoro dopo essere usciti dal carcere. In questo modo si guadagnano il prezzo del biglietto per viaggiare verso paesi europei dove si vedranno riconosciuto il loro diritto di residenza. Come affrontiamo l’occupazione illegale quando è parzialmente giustificata e salvaguardata?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Una volta adottata la direttiva in questione, sarà indubbiamente possibile intervenire in questi casi, e mi auguro che questo avvenga quanto prima. in ogni caso, questo implica un’azione rivolta a persone che impiegano coloro che si trovano illegalmente sul territorio degli Stati membri dell’Unione europea, e questo sarà logicamente in contrasto con la lettera della direttiva, se e quando sarà adottata. Ribadisco, il Consiglio auspica che ciò avvenga il prima possibile, e riteniamo anche che in questi sei mesi siano stati compiuti notevoli progressi.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 3 dell’onorevole Marian Harkin (H-0350/08)
Oggetto: Sicurezza dei pazienti
Visto che per molti decenni l’Unione europea ha svolto un ruolo attivo nel garantire la mobilità dei lavoratori, concorda il Consiglio sul fatto che la sicurezza dei pazienti rappresenta una questione rilevante che non è stata però affrontata adeguatamente dalle direttive europee? In particolare, concorda il Consiglio sul fatto che, per garantire la sicurezza dei pazienti su tutto il territorio dell’Unione europea, è necessario provvedere allo scambio di informazioni tra gli Stati membri e tra i loro organismi di regolamentazione per gli operatori sanitari?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Desidero ringraziare sinceramente l’onorevole Harkin per la domanda posta. E’ un tema importante, come confermato dal programma della Presidenza di 18 mesi elaborato insieme a Germania e Portogallo e in cui abbiamo sottolineato che la sicurezza dei pazienti è un settore importante.
A tal fine, il gruppo di lavoro per la sicurezza dei pazienti presso il gruppo ad alto livello sui servizi sanitari e assistenza medica ha elaborato una relazione sul miglioramento della sicurezza dei pazienti nell’Unione europea. Nel contesto di queste raccomandazioni, una delle principali aree individuate è quella dell’istruzione e della formazione degli operatori sanitari.
Le raccomandazioni indicano anche la necessità di promuovere un’educazione multidisciplinare sulla sicurezza dei pazienti a tutti i livelli di istruzione degli addetti nel settore sanitario. Il gruppo di lavoro ha anche raccomandato per conseguire l’obiettivo della sicurezza dei pazienti di ricorrere a una rete ombrello unica, conosciuta col nome di EUNetPass, che sosterrà gli Stati membri e permetterà di collaborare a livello di Unione europea nel settore della sicurezza dei pazienti.
La Commissione ha finanziato due progetti a livello europeo, che dovrebbero contribuire a una comprensione più adeguata della situazione nonché alla formulazione di orientamenti più adeguati per il futuro lavoro nell’ambito della sicurezza dei pazienti. Si tratta dei progetti MARQuIS – Methods of Assessing Response to Quality Improvement Strategies (metodi di valutazione risposte alle strategie di migliormento della qualità) – e SIMPATIE – Safety Improvement for Patients in Europe (Miglioramenti nella sicurezza dei pazienti in Europa).
La sicurezza dei pazienti figurava anche all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di giugno. Questo mese, il 10 giugno, il Consiglio ha adottato decisioni nell’area della resistenza antimicrobica, in cui sostiene lo sviluppo delle strategie volte a un uso responsabile degli agenti antimicrobici. La diffusione di batteri resistenti a trattamenti antimicrobici è una conseguenza estremamente comune di un uso inappropriato nell’intero sistema di assistenza sanitaria.
Anche le attività concernenti la prevenzione della comparsa di patogeni resistenti sono importanti. Tra queste attività figurano la creazione di un sistema efficace di controllo tra Stati membri e, inoltre, una migliore informazione in materia da parte degli operatori sanitari.
All’ultima riunione dei ministri della Sanità, nella suddetta sessione di giugno, la Commissione ha fornito informazioni in merito al pacchetto nell’area della sicurezza dei pazienti. Si tratta del pacchetto sulla sicurezza dei pazienti e a tale proposito la Commissione ha comunicato che intende presentare entro la fine del 2008 una relazione speciale sula sicurezza dei pazienti e una proposta di raccomandazione sulla sicurezza dei pazienti e sulla prevenzione e sul controllo delle infezioni. Non appena questi documenti saranno disponibili, lo Stato membro che deterrà la Presidenza informerà ovviamente il Consiglio.
Infine, vorrei anche citare la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul riconoscimento delle qualifiche professionali, che disciplina con molta precisione il settore delle qualifiche professionali degli operatori sanitari onde proteggere i cittadini dell’Unione europea e definisce l’ambito di cooperazione tra gli Stati membri in questo campo.
Marian Harkin (ALDE). - (EN) Ringrazio il Presidente in carica del Consiglio per la risposta. Sono lieta di apprendere dei progressi compiuti negli ultimi sei mesi, in particolare con il gruppo di lavoro sulla sicurezza dei pazienti.
La mia particolare preoccupazione qui era che, se da un lato abbiamo la mobilità degli addetti all’assistenza sanitaria, dall’altra non disponiamo di una struttura riconosciuta a livello di UE che offra collaborazione formale tra gli organismi di regolamentazione degli operatori sanitari e i servizi sanitari.
Non ne conviene il signor Ministro che ci occorre introdurre, a livello di UE, una struttura riconosciuta che fornisca collaborazione formale tra queste autorità di regolamentazione? In assenza di coerenze e di una struttura, le singole autorità non possono garantire la sicurezza dei pazienti; vorrei quindi sentire il suo parere in merito.
Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Vorrei solo aggiungere una riflessione: abbiamo anche la mobilità dei pazienti nell’Unione europea, persone vanno in vacanza e devono subire operazioni – con alcuni terribili conseguenze.
Come si può affrontare questa situazione affinché le persone, innanzi tutto, sia consapevoli dei problemi e che poi questi ultimi vengono evitati grazie all’intervento di operatori sanitari adeguatamente qualificati seguiti nell’intero sistema?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Per quanto riguarda l’organizzazione a livello UE ho menzionato la rete EUNetPass, una delle raccomandazioni formulate dal gruppo di lavoro per la sicurezza dei pazienti citato poc’anzi, e in particolare questa rete EUNetPass dovrebbe essere una delle probabilmente numerose alternative, comunque un modo per conseguire l’obiettivo della sicurezza dei pazienti.
Quindi in che cosa consiste questa rete? E’ una rete per lo scambio di informazioni, offre sostegno alle raccomandazioni sulla sicurezza dei pazienti in veri modi ed è principalmente una piattaforma di cooperazione e attività in rete tra Stati membri e organizzazioni internazionali nell’area della sicurezza dei pazienti. La rete sviluppa una cultura positiva della sicurezza, prevede l’educazione e la formazione degli operatori sanitari e introduce meccanismi di informazione e apprendimento tramite esempi. E’, tuttavia, uno dei modi ed è ovviamente possibile inserirne del tipo da lei citato.
President. − Annuncio l’
interrogazione n. 4 dell’onorevole Bernd Posselt (H-0352/08)
Oggetto: Sussidiarietà e adesione all’UE
In diversi Stati membri, ma soprattutto nei paesi candidati all’adesione, le forze politiche e i mezzi di comunicazione affermano continuamente che l’introduzione dei cosiddetti “matrimoni di coppie dello stesso sesso” o di unioni registrate, così come la liberalizzazione delle leggi sull’aborto e sull’eutanasia, siano necessarie sulla base del diritto e dell’acquis comunitario.
Può il Consiglio spiegare chiaramente se e fino a che punto tali affermazioni corrispondano alla realtà o se tutte queste questioni siano unicamente di competenza nazionale o rientrino nel principio di sussidiarietà?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Desidero far presente che la Comunità – e ritengo che l’onorevole Posselt ne sia a conoscenza – non ha la competenza per imporre agli Stati membri un requisito che preveda l’obbligo per loro di introdurre nella rispettiva legislazione nazionale i “matrimoni di coppie dello stesso sesso” o le “unioni registrate”. La Comunità può semplicemente adottare disposizioni che disciplinino la cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, ad esempio disposizioni sulle sentenze dei giudici riconosciute o applicate da uno Stato ma adottate in un altro.
La Comunità può anche adottare disposizioni sulla risoluzione di conflitti di leggi in situazioni aventi a oggetto elementi transfrontalieri. L’attuale diposizione comunitaria – ossia il regolamento Bruxelles IIa - non si riferisce a norme sulle unioni di coppie dello stesso sesso. Come sappiamo, gli Stati membri hanno soluzioni legislative molto diverse per quanto attiene ai diritti e agli obblighi derivanti da unioni di coppie dello stesso sesso: alcuni prevedono unioni di questo genere e altri non hanno previsto alcuna disciplina legislativa al riguardo.
Poiché il diritto comunitario non prevede l’introduzione dei matrimoni di coppie dello stesso o delle unioni registrate, sarebbe difficile per gli Stati membri raggiungere un’intesa sulla modifica di disposizioni esistenti nell’ottica di includere le unioni di coppie dello stesso sesso. Desidero altresì sottolineare che la Comunità non ha la competenza a regolamentare questioni attinenti ad aborto ed eutanasia.
Bernd Posselt (PPE-DE). – (DE) Ringrazio il Consiglio per l’importante chiarimento, in quanto l’argomento è ampiamente emerso anche in Irlanda. Vorrei solo porre una breve e puntuale domanda supplementare riguardo alla Croazia. E’ vero che i paesi candidati non devono modificare la propria legislazione in merito a questi argomenti ma continuano a essere sovrani in quanto questa non è un’area di competenza dell’UE rispetto ai paesi candidati?
Marian Harkin (ALDE). - (EN) Ringrazio il Consiglio per la risposta e convengo che tutti questi aspetti – matrimoni di coppie dello stesso sesso, unioni registrate e così via, dovrebbero essere di competenza esclusiva degli Stati membri. Tuttavia, uno dei punti emersi durante il dibattito in Irlanda su Lisbona è stata la questione della Carta dei diritti fondamentali. Voglio solo chiedere al signor Ministro cosa pensa riguardo alla Carta dei diritti fondamentali allegato al Trattato di Lisbona. All’epoca si è sostenuto in Irlanda che questa Carta avrebbe potuto agevolare l’introduzione dei matrimoni di coppie dello stesso sesso, dell’aborto, dell’eutanasia e così via. Vorrei solo sapere dal signor Ministro se ha un’idea in merito.
Gay Mitchell (PPE-DE). - (EN) La mia domanda è allineata a quella dell’onorevole Marian Harkin. Uno dei membri di quest’Assemblea ha distribuito un opuscolo affermando che se il Trattato di riforma di Lisbona fosse passato in Irlanda, sarebbero stati introdotti l’eutanasia e l’aborto – un opuscolo che conteneva una siringa, non so se rendo l’idea! Lo stesso deputato ha avuto l’audacia di alzarsi oggi in quest’Aula e di parlare di verità e onestà.
Gradirei che il signor Ministro dicesse chiaramente a quest’Aula che, nel caso in cui il Trattato di Lisbona venisse adottato, è ovvio che non introdurrebbe né aborto né eutanasia in nessuno Stato membro.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. – (SL) Ringrazio molto per queste domande aggiuntive. Innanzi tutto per quanto riguarda l’interrogativo dell’onorevole Posselt, ossia se tutto questo significa che i paesi candidati – che sia la Croazia o un altro – non devono modificare la propria legislazione in merito a matrimoni di coppie dello stesso sesso, aborto o eutanasia, la risposta è SÌ. Non devono. Non devono in quanto non si tratta di una questione che ricade nella sfera di competenza della Comunità. Pertanto, in questi casi la legislazione dei paesi candidati non è oggetto di esame poiché non è di competenza della Comunità cui vuole aderire il richiedente.
Per quanto attiene la Carte dei diritti fondamentali, la mia risposta alle domande aggiuntive dell’onorevole Harkin e dell’onorevole Mitchell è la seguente:
Il Trattato di Lisbona contiene un articolo che disciplina la natura giuridicamente vincolante della Carta dei diritti fondamentali, che è un documento separato. Tuttavia, posso nondimeno confermare pubblicamente, qui e adesso, che l’attuazione de Trattato di Lisbona non imporrebbe ad alcuno Stato membro il benché minimo requisito riguardo a questione quali l’aborto, l’eutanasia e i matrimoni di coppie dello stesso sesso. Questi sono temi che non rientrano nella sfera di competenza della Comunità e l’attuazione del Trattato di Lisbona non cambierebbe la situazione. Questi temi, aspetti e ambiti rimarrebbero di responsabilità dei singoli Stati membri.
Presidente. − Annuncio l’
interrogazione n. 5 dell’onorevole Dimitrios Papadimoulis (H-0358/08)
Oggetto: Crisi alimentare mondiale
L’impennata dei prezzi di beni alimentari di base come il grano, il riso, il mais, ecc., ha provocato una crisi alimentare e agitazioni sociali in numerosi paesi in via di sviluppo mentre anche in Europa si registra un aumento drammatico dei prezzi dei prodotti alimentari.
A quali cause imputa il Consiglio l’aumento drammatico dei prezzi internazionali dei beni alimentari di base? Quali misure intende adottare per incoraggiare la produzione di prodotti di base o, eventualmente, per scoraggiare quella di altri prodotti (per esempio, i biocarburanti)?
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Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Il Consiglio è pienamente consapevole dell’importanza della questione dei prezzi dei prodotti agricoli e alimentari sui mercati mondiali. La Presidenza ritiene che occorra un approccio integrato per risolvere il problema, un approccio che coinvolga tutti i settori pertinenti onde garantire un’efficace risposta politica a lungo termine da parte dell’Unione europea. Per quanto attiene ai vari aspetti della questione, di recenti nelle pertinenti formazioni del Consiglio abbiamo organizzato varie discussioni volte a contribuire a tali soluzioni integrate.
Ad esempio, il 19 maggio il Consiglio ha tenuto una discussione dettagliata sui fattori che incidono sulla capacità del settore agricolo di garantire un adeguato approvvigionamento alimentare. Qui ha sottolineato la necessità di studiare le tendenze sul lungo periodo nell’offerta e nella domanda. Il dibattito, volto a contribuire a una risposta politica comune e orientata in modo sostenibile da parte dell’Unione europea, ha affrontato tutti i principali aspetti che sono importanti per il settore agricolo e per la politica agricola comune.
Il Consiglio ha già adottato una decisione su varie misure atte a mitigare la pressione sui prezzi dei prodotti alimentari sui mercati dell’Unione europea. Tali misure dovrebbero anche influire positivamente sui mercati internazionali. Il consiglio ha inoltre adottato una serie di misure rapide quali l’abolizione dell’obbligo di messa a riposo per il 2008, l’aumento delle quote latte e la sospensione temporanea dei dazi d’importazione per il grano.
Nel contesto della verifica dello stato di salute della politica agricola comune, il Consiglio ha anche considerato altri interventi, tra cui, ad esempio, la soppressione permanente del requisito di messa a riposo obbligatoria, il graduale ritiro del sistema delle quote latte, l’eliminazione degli attuali premi per impianti di produzione energia e loro sostituzione per promuovere la produzione di biocombustibili di seconda generazione – in altre parole biocombustibili ricavati da prodotti secondari e non in concorrenza con la produzione alimentare.
Alla fine di maggio il Consiglio si è concentrato sulle proporzioni assunte dallo sviluppo di questa problematica e ha stabilito che tali circostanze, le attuali circostanze, gravano pesantemente sui paesi in via di sviluppo, e in particolare sui segmenti sociali più deboli di quei paesi.
Nel corso della riunione del 3 giugno il Consiglio ha anche studiato le conseguenze finanziarie e le possibili soluzioni nell’ambito degli alti prezzi dei prodotti alimentari. Ha richiamato l’attenzione sulle misure a breve termine che ha già adottato, in particolare in agricoltura e ha sottolineato l’importanza di rafforzare l’orientamento al mercato del settore agricolo, garantire la produzione sostenibile di biocombustibili e aumentare la crescita della produttività e medio e lungo termine dell’agricoltura in Europa e nei paesi in via di sviluppo.
L’incontro del Consiglio europeo che inizierà domani si occuperà anche delle conseguenze politiche di queste impennate dei prezzi alimentari. In breve, se posso concludere, la domanda posta dall’onorevole è stata regolarmente sull’agenda del Consiglio negli ultimi mesi e nelle ultime settimane.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, lei ha letto ad alta voce un testo diplomatico intriso delle solite affermazioni generalizzate e del linguaggio ingessato dei diplomatici. Le chiedo: alla conferenza del Vertice di domani, quanto a vere e proprie belle parole, adotterà misure specifiche e quali sarebbero per quanto attiene a norme e regolamenti volte a ridurre la speculazioni su carburante e prodotti alimentari? Sosterrà i redditi sociali più bassi? Riesaminerà la costante politica di flessione imposta all’agricoltura? Infine, pensa che il “no” irlandese di qualche giorno fa non sia collegato ai prezzi elevati e alla vita quotidiana?
Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Questo è un tema globale e quello che facciamo nell’ambito della verifica dello stato di salute dell’agricoltura in Europa è importante, ma minimo. Qualche genere di dialogo abbiamo con gli USA, dove il 25 per cento del granoturco è divorato dalle automobili anziché dal bestiame? Si tratta senz’altro di un argomento di enormi proporzioni che deve essere affrontato.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Vorrei spiegare all’onorevole Papadimoulis non adotta misure specifiche. Il Consiglio europeo fornisce una serie di orientamenti per intervenire. Le misure specifiche vengono adottate a livello di Consiglio e in questo il Consiglio è attivo e funzionale. Ho menzionato ed elencato una serie di provvedimenti che il Consiglio ha già adottato. Ho anche elencato una serie di misure che il Consiglio dovrebbe affrontare ma di cui non si è ancora occupato. Pertanto non posso accettare l’accusa che queste sono soltanto parole, perché parlavo di misure specifiche già adottate e di quelle che saranno affrontate a livello di Consiglio, principalmente nel Consiglio “Agricoltura” e anche nel Consiglio ECOFIN.
La questione degli Stati Uniti d’America e del loro metodo di ottenere biocarburanti rientra, ovviamente, nel quadro di un dialogo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. Quello dei biocarburanti è anche uno di quei temi di cui ci si occupa regolarmente. Le posizioni divergono, certo, e coprono un ampio spettro. Il fatto è che dobbiamo tenere conto che i combustibili fossili sono un’alternativa ai biocarburanti. Pertanto, ora da questa prospettiva dobbiamo valutare quale soluzione è più problematica e quale non lo è.
L’Unione europea è consapevole della potenziale influenza della produzione di biocarburanti sui prezzi dei prodotti alimentari. per questo motivo il Consiglio ha di recente adottato misure volte a promuovere l’uso e la produzione di biocarburanti di seconda generazione, in altre parole quei biocarburanti la cui produzione non è in concorrenza con la produzione alimentare.
Al tempo stesso, proseguono i lavori intesi a elaborare criteri sostenibili per la produzione di biocarburanti e una volta adottati verranno applicati sia ai biocarburanti prodotti nell’Unione che a quelli importati.
President. − Annuncio l’
interrogazione n. 6 dell’onorevole Jim Higgins (H-0359/08)
Oggetto: Progressi compiuti nella sicurezza stradale
L’attuale Presidenza del Consiglio ha tra i suoi obiettivi principali quello di promuovere la sicurezza stradale a livello di Consiglio. Pertanto, visto che l’attuale Presidenza sta giungendo al termine, potrebbe il Consiglio indicare i settori in cui sono stati realizzati maggiori passi avanti e quelli in cui i progressi sono stati meno consistenti specificandone il motivo?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Nel contesto della normativa sulla sicurezza stradale la Presidenza slovena ha proseguito nella lettura delle proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio sul miglioramento della sicurezza delle infrastrutture stradali. Ha anche organizzato una serie di incontri tecnici con il relatore del Parlamento europeo, nell’ottica di raggiungere un accordo con il Parlamento stesso il prossimo mese in sede di prima lettura.
Tra gli interventi della Presidenza slovena volti a rafforzare la sicurezza stradale, vorrei citare il lavoro svolto rispetto alla proposta di regolamento sulla protezione dei pedoni e di altri utenti della strada vulnerabili. La proposta in questione indica miglioramenti per le sezioni anteriori delle automobili, che i costruttori devono installare affinché in una potenziale collisione tra un veicolo e un pedone i danni di quest’ultimo sia ridotti al minimo.
La Presidenza slovena ha iniziato una lettura della proposta in questione nell’ambito degli organi di lavoro del Consiglio e ha avuto incontri positivi con il relatore del Parlamento europeo. Nel contesto delle azioni volte a rafforzare la sicurezza stradale potremmo inserire gli sviluppi legati all’adozione del pacchetto sul trasporto su strada. Vorrei sottolineare che il 13 giugno 2008 il Consiglio “Trasporti” ha raggiunto un’intesa politica su tale pacchetto.
Riguardo a questo pacchetto vorrei evidenziare in particolare la proposta di regolamento sulle norme comuni per la professione di operatore nel settore dei trasporti. Ci sembra molto importante che la proposta in oggetto indichi un elenco dei reati più gravi nel campo del trasporto su strada. nel caso in cui un operatore dei trasporti commetta uno di questi reati, tale fatto può comportare il ritiro della licenza per svolgere l’attività. Speciali registri nazionali, che saranno introdotti con questo regolamento, faciliteranno il controllo di tali operatori che così diventerà più efficace, un risultato che senz’altro avrà effetti positivi sulla sicurezza stradale.
desidero ricordare anche la proposta di regolamento sulle norme di accesso al mercato, che fa sempre parte cdel pacchetto. La proposta prevede una riduzione nel numero di viaggi con veicoli merci vuoti, un livello più elevato di formazione professionale per i conducenti, la razionalizzazione del mercato, il miglioramento della qualità dei servizi e in questo modo anche un effetto indiretto sul rafforzamento della sicurezza stradale.
Questo mese la Presidenza ha anche iniziato la lettura della proposta di direttiva per agevolare l’ applicazione transfrontaliera della normativa in materia di sicurezza stradale; la proposta è stata presentatra dalla Commissione nel mese di aprile di quest’anno.
Considerato il tempo a disposizione e il numero di proposte della Commissione nell’area della sicurezza stradale – il numero di proposte attualmente in fase di lettura da parte del Consiglio – riteniamo che siano stati compiuti notevoli passi avanti nel settore della sicurezza stradale. Ovviamente, una valutazione completa dei risultati sarà possibile solo dopo la scadenza del nostro mandato.
Jim Higgins (PPE-DE). – (GA) Signor Presidente, elogio la Presidenza slovena per l’attenzione rivolta alla sicurezza stradale. Ha rafforzato notevolmente la consapevolezza delle relative autorità negli Stati membri riguardo alla necessità di compiere vari passi verso l’adozione di una politica pratica nell’ottica di ridurre gli incidenti stradali, il numero di incidenti mortali e anche il numero di soggetti colpiti sulle nostre strade.
Accolto con favore, ad esempio, la relazione Ferrari adottata oggi in Parlamento che offre maggiore protezione a pedoni e ciclisti. Desidero chiedere al Consiglio, possiamo fare qualcos’altro – e intervenire ulteriormente – per migliorare la sicurezza stradale?
Reinhard Rack (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente in carica del Consiglio, vorrei allacciarmi a questa domanda. Questa settimana, sulla nostra agenda sono state presenti alcune relazioni concernenti la sicurezza stradale: è stata citata la relazione Ferrai, e domani abbiamo la relazione Gurmai nonché la relazione Markov questa sera. Dal punto di vista della Presidenza, il risultato del nostro lavoro è soddisfacente oppure la Presidenza avrebbe preferito di più?
Gay Mitchell (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, vorrei chiedere al signor Minsitro se condivide il fatto che, laddove esistono test sufficienti e avanzati per verificare la guida in stato di ebbrezza, gli stessi test avanzati non siano previsti per la guida sotto gli effetti di droghe illegali? Potrebbe cercare di assicurare che c’è un rinnovato interesse nei confronti di questo particolare tema, perché sembra stia diventando una pratica comune?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) La domanda dell’onorevole Higgins è: Cos’altro possiamo fare? Quello che innanzi tutto possono fare sia il consiglio che il Parlamento è accelerare i processi già in corso e adottare le decisioni già predisposte, ovviamente ancora entro questa legislatura del Parlamento europeo. Il primo punto a figurare in agenda, si spera in luglio, sarà la suddetta direttiva sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali. Ci sono comunque ancora più misure che ho elencato e che hanno già intrapreso l’iter, e vorrei vedere che la valida cooperazione tra il Parlamento europeo e il Consiglio porti a una rapida soluzione.
La domanda posta dall’onorevole Rack, richiede, credo, più di una risposta politica. Non saremo soddisfatti se le persone continuano a morire sulle strade dell’Unione europea. E mentre ciò avviene, dobbiamo cercare nuove misure, ulteriori interventi volti a ridurre il numero di morti e feriti, laddove il risultato ideale è zero.
Gli stupefacenti sono un problema analogo a quello dell’alcol. Ritengo che si debba riservare loro lo stesso trattamento dell’alcol. Quello che entra in gioco è la capacità di condurre una vettura, e credo che gli Stati membri non dovrebbero operare alcuna distinzione tra un tipo di droga o un altro che è legale, ciò che in sostanza è l’alcol.
Presidente. − L’interrogazione n. 7 è irricevibile.
Annuncio l’interrogazione n. 8 dell’onorevole Jörg Leichtfried (H-0365/08)
Oggetto: Nuovo sistema di pedaggio in Slovenia
La Slovenia ha introdotto un nuovo sistema di pedaggio con decorrenza 1˚ luglio 2008. Esso prevede che per un semplice viaggio in auto attraverso la Slovenia, che finora costava circa 7 euro, gli utenti debbano acquistare comunque un bollino semestrale di 35 euro (con una quintuplicazione del precedente importo di pedaggio) oppure un bollino annuale di 55 euro. Ciò risulta discriminatorio e in evidente contrasto con i principi comunitari.
È a conoscenza il Consiglio di tali aumenti? Quali azioni intende intraprendere al riguardo e come si è giunti a tanto?
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Devo ribadire che sono qui presente in Aula quale rappresentante del Consiglio e il Consiglio non ha affrontato la questione sollevata dall’onorevole Leichtfried. Tuttavia, come ho già detto, penso nel corso della seduta precedente del Parlamento europeo, quando mi è stata posta una domanda analoga, considerato il fatto che conosco molto bene la realtà del paese in questione, posso rispondere, ma non vorrei rischiare di essere accusato di trascendere i limiti delle competenze che mi spettano qui dinanzi a voi.
Pertanto proviamo, e permettetemi qualche spiegazione aggiuntiva. Il nuovo sistema di pedaggio stradale in Slovenia, che entrerà in vigore il 1° luglio, e che prevede l’acquisto di bollini, si riferisce solo a veicoli con una massa massima a carico autorizzata inferiore alle tre tonnellate e mezza. In altre parole, si tratta di una categoria di veicoli per i quali la normativa comunitaria in vigore sui pedaggi stradali non precede alcuna regola comune, come nel caso dei veicoli la cui massa massima a carico autorizzata supera le tre tonnellate e mezza. Pertanto, il sistema di pedaggio stradale introdotto dalla Slovenia non rientra nel campo di applicazione della legislazione comunitaria che ho citato.
Un punto forse persino più importante: il metodo dei bollini per il pagamento dei pedaggi stradali introdotto dalla Slovenia è temporaneo. Sarà applicato solo per il periodo transitorio fino all’applicazione dei pedaggi stradali elettronici o satellitari, che dovrebbero essere operativi nel 2009, prima per i veicoli merci e poi per quelli privati.
Spero che prenda la mia risposta, onorevole Leichtfried, quale gesto e desiderio di offrire una spiegazione, che non cambia tuttavia il fatto che qui io sono in altre veste e non in quanto rappresentante della Slovenia.
Jörg Leichtfried (PSE). - (DE) Ovviamente abbiamo interpretazioni diverse della legge. A mio avviso, il sistema discrimina i cittadini dell’UE che provengono dall’esterno della Slovenia. Vorrei chiedere al signor Ministro se esiste la possibilità che la Commissione europea avvii una procedura d’infrazione nei confronti della Slovenia. I primi passi, ritengo, sono già stati compiuti. La domanda che le rivolgo è la seguente: in quanto Presidente in carica del Consiglio, consiglierebbe alla Slovenia di applicare un bollino da dieci giorni, magari, al fine di ripristinare la pace ed evitare l’eventualità di una procedura d’infrazione?
Reinhard Rack (PPE-DE). - (DE) Signor Ministro, l’ultima volta ha fatto presente, riguardo a questo argomento, che stiamo parlando di un insieme temporaneo di norme. Di solito, si applicherebbero per uno, due o tre mesi. Quello che sta avvenendo qui si estende su un periodo di alcuni anni ed è una chiara discriminazione nei confronti di chi non è sloveno e pertanto di altri cittadini dell’UE. Il Commissario Tajani ha espressamente confermato ieri sera che è già pronta una lettera della DG Trasporti intesa a chiarire questo problema della discriminazione.
Non pensa che sia ora di adottare qualche rapida misura affinché i turisti abbiano la possibilità di guidare attraverso la Slovenia a prezzi ragionevoli quest’estate? E’ un paese che a tutti piacerebbe visitare.
Janez Lenarčič, Presidente in carica del Consiglio. − (SL) Al momento non è stabilito che si delinei un caso di discriminazione. Se invece si deciderà in questo senso, si presenterà un’altra situazione e io non intendo speculare su questo. Attualmente non sembra, tuttavia, che le accuse di discriminazione siano giustificate, dal momento che il sistema di bollini è identico per i cittadini della Slovenia e per chiunque altro. Tuttavia, mi piacerebbe davvero concludere la questione, e sottolineo che sono qui in quanto rappresentante del Consiglio e il Consiglio non ha deliberato in merito. La prego di prendere la risposta come un gesto di buona volontà da parte mia di entrare, comunque, nel merito della discussione e di cercare di fornire spiegazioni in buona fede.
Presidente. − Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).
Desidero aggiungere una parola prima di sospendere la seduta. E’ l’ultima volta che il Ministro Janez Lenarčič è presente qui in Aula in veste di Presidente in carica del Consiglio. Parteciperà ovviamente alla seduta straordinaria di Bruxelles, ma accompagnerà il Primo Ministro del suo paese e quindi non interverrà in qualità di Presidente in carica del Consiglio. Desidero ringraziare il Ministro Janez Lenarčič e la Presidenza slovena per la cooperazione con il parlamento europeo, in particolare durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio da me presieduto.
So inoltre che in luglio il Ministro Janez Lenarčič assumerà un incarico di alto livello all’interno di un’organizzazione internazionale attiva nel settore dei diritti umani con sede a Varsavia. Desidero porgergli i miei complimenti e le mie congratulazioni e augurargli successo. Penso che occupando quella posizione avrà l’opportunità di lavorare di nuovo con il Parlamento europeo in varie occasioni e in particolare nell’ambito del controllo delle elezioni, dato che tale organizzazione è collegata all’OSCE. Pertanto porgo i miei migliori auguri per il futuro al Ministro Lenarčič e lo ringrazio nuovamente per la sua partecipazione qui, la sua disponibilità a rispondere e per la qualità delle risposte fornite.
Con questo si conclude il Tempo delle interrogazioni.
(La seduta, sospesa, alle 19.00, è ripresa alle 21.00)
15. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
16. Trasporto interno di merci pericolose (discussione)
Presidente. − L’ordine del giorno reca la raccomandazione per la seconda lettura della commissione per i trasporti e il turismo relativa alla posizione comune definita dal Consiglio in vista dell’adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al trasporto interno di merci pericolose [(06920/3/2008 – C6-0160/2008 – 2006/0278(COD)] (Relatore: Bogusław Liberadzki) (A6-0227/2008).
Bogusław Liberadzki, relatore. − (PL) Signor Presidente, desidero cogliere l’occasione per porgere il benvenuto al Commissario Tajani in quest’Aula, oggi presente nella sua nuova veste. Ho votato a suo favore, singor Commissario, e sono sicuro di aver fatto bene.
La direttiva relativa al trasporto interno di merci pericolose aggiorna le quattro direttive esistenti e le quattro decisioni della Commissione sul trasporto di merci pericolose unificandole in un solo testo legislativo. Include nel suo campo di applicazione il trasporto di merci pericolose per vie navigabili interne, che finora non era disciplinato dalla legislazione dell’UE. La proposta integra altresì nel diritto comunitario le norme internazionali per il trasporto di merci pericolose, estendendone il campo di applicazione ai trasporti nazionali. L’obiettivo della proposta è quello di assicurare un elevato livello di sicurezza, migliorando al tempo stesso il trasporto intermodale delle merci pericolose.
Desidero ricordare che in prima lettura il Parlamento ha approvato in tutto 42 emendamenti. Sostanzialmente, la relazione esonera gli Stati membri che non dispongono di un sistema ferroviario dall’obbligo di recepire e attuare la direttiva. Gli emendamenti hanno inoltre introdotto un periodo transitorio di due anni per l’applicazione delle disposizioni della direttiva. Inoltre è stata prevista la possibilità per gli Stati membri di stabilire requisiti specifici per il trasporto nazionale e internazionale di merci pericolose all’interno del loro territorio, per tener conto della natura specifica di veicoli, vagoni ferroviari e imbarcazioni destinate alla navigazione interna. Gli Stati membri possono anche prevedere determinate rotte o modalità specifiche di trasporto e stabilire norme speciali per il trasporto di merci pericolose su treni passeggeri sul loro territorio.
Il Consiglio e la Commissione hanno accolto questi emendamenti. Il Consiglio ha ritenuto opportuno introdurne altri due. In primo luogo, è proposto un paragrafo all’articolo 1, che consente agli Stati membri di disciplinare o vietare, per ragioni rigorosamente diverse dalla sicurezza, il trasporto di merci pericolose all’interno del loro territorio. In secondo luogo, il Consiglio ha aggiunto un paragrafo all’articolo 8, che prevede che la Commissione fornisca sostegno finanziario agli Stati membri per la traduzione dell’accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose su strada, del regolamento sul trasporto internazionale ferroviario di merci pericolose, dell’accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose per vie navigabili interne.
Nelle mie vesti di relatore, sostegno entrambe le proposte del Consiglio e ne chiedo l’adozione. Infine, desidero esprimere la mia soddisfazione nel vedere l’approccio efficace, efficiente e conciliante della Commissione e del Consiglio.
Antonio Tajani, Membro della Commissione. − Signor Presidente, onorevoli deputati, prima di intervenire in merito alla direttiva di cui è relatore l’on. Liberadzki, vorrei ringraziare il Parlamento che quest’oggi mi ha dato la sua fiducia come Commissario europeo incaricato della responsabilità dei trasporti. È un ringraziamento che faccio ai pochi parlamentari presenti, ma anch’io tante volte mancavo alle riunioni serali. Grazie per la fiducia che mi avete dato, grazie per la partecipazione soprattutto ai parlamentari della commissione trasporti.
Devo dire che sono un po’ emozionato. Parlo per la prima volta cambiando non di tanto la posizione in quest’Aula – ho cambiato quattro posti – però certamente è un grande onore per me essere qui e credo che sia importante per questo Parlamento avere un parlamentare europeo – perché tale mi ritengo sempre nel cuore – a sedere sul banco dei Commissari.
Mi scusi, signor Presidente, per questa digressione, ma ho ritenuto giusto, prima di iniziare l’intervento, ringraziare ancora una volta il Parlamento per quello che mi ha dato in questi anni e per la fiducia che mi ha voluto affidare e confermare stamane.
(FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, purtroppo il mio contributo al presente dibattito sarà breve. In prima lettura di questo testo alcuni emendamenti sono stati approvati dal Parlamento e sostenuti dal Consiglio nella sua posizione comune. Il presente testo, che permette di adottare la proposta in seconda lettura, aggiunge solo vari dettagli tecnici. La commissione per i trasporti e il turismo li ha appoggiati all’unanimità e la Commissione è assolutamente d’accordo al loro riguardo. I punti da introdurre in seconda lettura metteranno la nota conclusiva alla proposta relativa al trasporto di merci pericolose. Il testo è quindi stato reso molto più chiaro nei suo particolari, un risultato che approvo.
Vorrei anche cogliere questa occasione per esprimere i miei particolari ringraziamenti all’onorevole Liberadzki, il relatore, per l’efficienza con cui ha condotto il lavoro in merito alla presente proposta. Lo ringrazio anche per la fiducia accordatami oggi e mi auguro di poter collaborare con lui e, in realtà, con tutti i membri di quest’Assemblea da oggi fino al termine del mandato parlamentare.
Renate Sommer, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, desidero iniziare ringraziando il relatore per il lavoro svolto e la sua costante disponibilità a discutere la questione.
La proposta di direttiva relativa al trasporto interno di merci integra nel diritto comunitario le norme internazionali per il trasporto di merci pericolose, estendendone il campo di applicazione ai trasporti nazionali. Aggiorna le quattro direttive esistenti e le quattro decisioni della Commissione sul trasporto di merci pericolose unificandole in un solo testo legislativo semplificato. E’ un ottimo esempio di normativa europea che riduce effettivamente la burocrazia e contempla il principio del legiferare meglio.
La regolamentazione del trasporto di merci pericolose è importante per il nostro sistema di trasporti. Il volume totale di merci pericolo trasportate nell’Unione è di circa 110 miliardi di tonnellata-km/anno, ed è essenziale che il trasporto sia sicuro, sia per la sicurezza del traffico che per motivi ambientali. Le disposizioni garantiscono un elevato livello di sicurezza nel trasporto internazionale e nazionale attraverso l’applicazione di regole armonizzate, che avranno un effetto positivo sul mercato internazionale dei trasporti. Al tempo stesso le regole uniformi facilitano le cose agli operatori del settore e promuovono l’intermodalità. I processo di trasporto multimodali sono incoraggiati.
Quello che è particolarmente positivo, dal mio punto di vista, è l’estensione del campo di applicazione al trasporto su vie navigabili interne. In future, si applicheranno disposizioni di sicurezza uniformi a tutte le vie navigabili interne dell’UE, un’impostazione che migliorerà le condizioni di lavoro a bordo e rafforzerà la sicurezza dei trasporti. Ne deriveranno anche vantaggi in termini di protezione ambientale e riduzione dei costi. E’ probabile che questo aumenti le opportunità e le prospettive di mercato per il trasporto su vie navigabili interne, che a propria volta alleggerirà il carico sulle nostre strade e, ancora, contribuirà a proteggere l’ambiente.
La posizione comune del Consiglio, adottata senza emendamenti dalla commissione per i trasporti e il turismo, contiene due emendamenti alla posizione in prima lettura del Parlamento. In primo luogo, la posizione comune introduce una disposizione che consente agli Stati membri di disciplinare o vietare, per ragioni rigorosamente diverse dalla sicurezza, il trasporto di merci pericolose all’interno del loro territorio. La disposizione è di natura esclusivamente dichiarativa e intesa a fornire una spiegazione. Abbiamo dibattuto ampiamente al riguardo.
In secondo luogo, la posizione comune prevede che la Commissione fornisca sostegno finanziario agli Stati membri per la traduzione dell’accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose su strada (ADR), del regolamento sul trasporto internazionale ferroviario di merci pericolose (RID), dell’accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose per vie navigabili interne (ADN) e delle relative modifiche nelle rispettive lingue ufficiali. Devo ammettere che all’inizio ero un po’ scettica su questo emendamento. La Commissione europea mi ha tuttavia garantito che questo approccio è essenziale al fine di garantire la qualità della traduzione e facilitare quindi la corretta applicazione delle disposizioni. E’ anche poco oneroso, debbo per inciso.
In breve, quindi, tutti gli emendamenti sono accettabili dal nostro punto di vista, il che significa che ora possiamo finalmente portare a conclusione questo importante tema in generale non controverso.
Nathalie Griesbeck, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, ora tocca a me ringraziarle questa senza. Questo è in qualche modo il suo battesimo del fuoco e, parlando da francese, posso dire che apprezzo in particolare il fatto che all’audizione di lunedì sera e questa sera lei si sia espresso correttamente in francese. E’ stato un vero piacere. Desidero anche ringraziare il mio collega, onorevole Liberadzki, per le discussioni che ha condotto in seno alla commissione per i trasporti e il turismo in fase di esame della proposta di direttiva relativa al trasporto interno di merci pericolose.
Come appena spiegato, il Parlamento ha già espresso la propria posizione in merito alla presente proposta di direttiva nel settembre 2007 e anch’io accolgo con favore il fatto che sia stato raggiunto l’accordo con il Consiglio e la Commissione, che da ultimo significa che la discussione di questa sera su questo testo è, sotto molti apsetti, una pura formalità. Tuttavia, vorrei sfruttare questa opportunità, perché siamo, per così dire, tra amici, per sottolineare che secondo me questo testo rappresenta un notevole pass avanti verso un controllo migliore del trasporto di merci pericolose entro i nostri confini e anche che il problema del trasporto delle merci, e in particolare di quelle pericolose, è una grossa preoccupazione per i nostri cittadini e un aspetto importante dello sviluppo sostenibile.
Il volume di merci pericolose attualmente trasportato all’interno dell’Unione europea costituisce il 10 per cento di tutte le merci in transito, il che è in effetti una quota elevata. Corrisponde a 110 miliari di tonnellate per chilometro l’anno, di cui il 58 per cento trasportato su gomma, che è una percentuale enorme, il 25 per cento per ferrovia e il 17 per cento per vie interne navigabili.
La presente direttiva, che mira ad aggiornare le disposizioni esistenti, ha anche e soprattutto, in questi tempi difficili, il merito di unificare quattro direttive in un solo testo legislativo. Questo rappresenta un chiaro passo verso una maggiore trasparenza ed è molto importante che i cittadini d’Europa ritengano le nostre decisioni intelligibili.
Infine, anch’io sono lieta che nella direttiva sia stato incluso anche il trasporto per vie navigabili interne. Occorre riservare molta maggiore attenzione alle merci in movimento su vie navigabili, perché si tratta di un modo di trasporto rispettoso dell’ambiente che può anche fornire una risposta alla costante richiesta di un riequilibrio del sistema di trasporti europeo. Combinare le direttive in un unico testo legislativo comporterà inoltre maggiore chiarezza e trasparenza delle regole che si applicano all’attuale situazione in cui auspichiamo e imploriamo una più elevata intermodalità dei trasporti. Approvo questa evoluzione, soprattutto per coloro che lavorano nel settore dei trasporti, in un momento in cui l’attività dell’Unione europea non è sempre sufficientemente spiegata e, purtroppo, talvolta non è compresa dai nostri cittadini.
Eva Lichtenberger, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, non è esattamente un’Aula gremita. Avrei pensato che fosse un argomento abbastanza importante da attirare più pubblico. La seconda lettura sulla direttiva relativa al trasporto interno di merci pericolose mi induce, ancora una volta, a richiamare l’attenzione su un problema rilevante, ossia che qualsiasi direttiva è valida solo nella misura del suo controllo.
Si è registrato un leggero aumento nel volume delle merci pericolose trasportate con tutti i modi di trasporto. Purtroppo, si è anche osservato una maggiore negligenza, secondo gli ispettori, in particolare della dichiarazione delle merci. Una dichiarazione mendace di una merce pericolosa che viene trasportata può avere effetti letteralmente mortali in caso di incidente. Ad esempio, se i vigili del fuoco non sono in grado di stabilire quale agente di estinzione occorre per la merce trasportata, questo può avere conseguenze fatali. A Innsbuck, che è quasi la mia città natale, si è evitata una catastrofe per un pelo soltanto perché il chimico della zona prestava anche servizio part-time come pompiere. Vi esorto, quindi, a tenere ben presente il problema del controllo delle ispezioni. E’ un aspetto fondamentale; davvero, è la questione più importante, e rivolgo lo stesso appello anche agli Stati membri.
Reputo che comprendere il trasporto per vie navigabili interne sia un miglioramento. Un incidente che coinvolga il trasporto di sostanze chimiche per fiume può avere conseguenze fatali che si ripercuotono sull’ambiente per un periodo estremamente lungo.
Ritengo che sia importante mantenere e rafforzare le disposizioni che prescrivono determinate rotte per il trasporto di merci pericolose. Quando si è in presenza di pendii scoscesi e pendenze, magari combinati con volumi di traffico molto intensi in certi periodi dell’anno e all’inizio delle vacanze, è essenziale fare attenzione contro i principali rischi. Secondo me sarebbe opportuno e corretto estendere il requisito relativo alla scorta a merci particolarmente pericolose, quali le sostanze corrosive o esplosive. Dobbiamo compiere ulteriori passi avanti in questo ambito perché anche altri utenti dei trasporti potrebbero essere messi a rischio e potrebbero sorgere problemi in caso di incidente. Purtroppo, dalle ispezioni emerge spesso anche che le condizioni dei veicoli usati non sono particolarmente buone.
Desidero pertanto concludere con un appello rivolto all’Assemblea: le ispezioni e i controlli sono necessari per salvaguardare l’efficacia della presente direttiva.
Jaromír Kohlíček, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Desidero dare il benvenuto al nuovo Commissario. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le merci pericolose deve essere trasportare sul territorio dell’Unione europea, esattamente come le merci comuni, che ci piaccia o no. Oggi, le merci pericolose rappresentano circa l’8 per cento del traffico merci complessivo ed è positivo che la relazione in oggetto miri a fondere insieme la quattro direttive esistenti, in conformità degli accordi internazionali applicabili. L’armonizzazione del trasporto di merci, in particolare per quanto attiene al trasporto multimodale, è assolutamente cruciale nonché un passo logico che dovrebbe ripercuotersi positivamente sul mercato interno dell’UE. Si può realizzare in modo ottimale l’obiettivo della sicurezza del trasporto unendo le regolamentazioni, che devono definire con precisione l’indicazione delle merci e classificare quelle trasportate secondo il grado di pericolo presentato.
Reputo necessaria questa direttiva tecnica e concordo con la mia collega, l’onorevole Lichtenberger, sul fatto che occorra esaminarla con attenzione al fine di garantire che il contenuto corrisponda alla descrizione. Il Consiglio ha accolto tutti gli emendamenti adottati dal Parlamento in prima lettura. La posizione comune ne introduce solo due: uno che prevedere il sostegno finanziario agli Stati membri per la traduzione della direttiva nelle rispettive lingue ufficiali e uno che consente agli Stati membri di decidere se attuare o meno in casi specifici i requisiti dell’allegato III. La direttiva contribuisce a fornire una chiara interpretazione della normativa e la semplifica per il trasporto su ferrovia, strada e per vie navigabili interne. Penso che il trasporto su strada sia spesso la modalità più pericolosa, piuttosto che quello per vie navigabili interne. Il gruppo GUE/NGL voterà quindi a favore della proposta di direttiva.
Robert Evans (PSE). - (EN) Signor Presidente, innanzi tutto desidero ringrazia il mio amico e collega Bogusław Liberadzki per il suo lavoro su questo importante fascicolo. Ringrazio anche il nostro nuovo Commissario al suo debutto questa sera. Sarò onesto con il Commissario Tajani: oggi non ho votato per lui. Non ho votato contro di lui, non mi sono astenuto, semplicemente non ho partecipato alla votazione. Vorrei che il Commissario Tajani comprendesse che non era nulla di personale, era più una protesta contro il sistema e contro le procedure italiane.
Nondimeno, rispetto la sua nomina e sono sicuro che nei mesi a venire si prodigherà al massimo onde convincere me e altri dei suoi grandi meriti e delle sue qualità nonché delle competenze nel ruolo che svolge in quest’Aula.
Negli ultimi giorni penso che gli elettori irlandesi ci abbiano dimostrato che non tutti gli europei sono consapevoli o comunque hanno chiaro in mente il ruolo e i benefici dell’Unione europea, della cooperazione europea e perché innanzi tutto sono necessarie le norme a livello europeo.
Ritengo tuttavia che tutte queste persone, persone che hanno anche votato “no”, si aspetteranno che i rispettivi governi nazionali e, in realtà, l’Unione europea si occupino di loro. Questo particolare argomento forse non è in cima all’elenco di quelli che vengono loro in mente, ma il trasporto interno di merci pericolose è un problema serio, una grande responsabilità di cui dobbiamo occuparci tutti.
Solo ora, con questa direttiva, abbiamo effettivamente normative a livello europeo che coprono il trasporto di merci pericolose nel loro trasferimento da un paese a un altro, passando attraverso il continente.
L’onorevole Liberadzki aveva perfettamente ragione a evidenziare che in molti paesi non esistono regolamentazioni interne o nazionali. Pertanto la presente relazione darà la responsabilità ai governi nazionali. Ma ogni normativa è valida solo nella misura in cui è applicata. Quindi, nella sua ricerca per conquistare la mia fiducia, mi auguro che il Commissario Tajani, nello svolgimento della sua funzione, farà tutto il possibile per incoraggiare gli Stati membri a garantire che la normativa sia adeguatamente controllata, applicata e modificata se del caso, e che si intervenga con azioni forti contro coloro che contravvengono a questa direttiva.
Silvia-Adriana Ţicău, a nome del gruppo PSE. – (RO) Signor Presidente, signor Commissario, anch’io desidero congratularmi con lei e augurarle successo nella sua attività e la informo che ci aspettiamo molto da lei.
Mi congratulo con il nostro collega Liberadzki per la relazione, che fa parte del processo di semplificazione della normativa e infatti unifica e aggiorna il testo di quattro direttive in uno unico. La precedente legislazione europea non contemplava il trasporto navale di merci pericolose, disciplinato da regole definite da vari accordi multilaterali cui aderivano gli Stati membri.
Pertanto, è importante il fatto che disporremo di norme comunitarie con disposizioni comuni per tutti gli Stati membri, per il trasporto di merci pericolose e per tutte le modalità. La presenza di queste regole consente il trasferimento di merci pericolose da una modalità di trasporto a un’altra. Oltre alle disposizioni della direttiva, gli Stati membri possono introdurre nella legislazione nazionale specifici requisiti relativamente a veicoli, vagoni ferroviari e imbarcazioni destinate alla navigazione interna.
Gli emendamenti proposti dal Consiglio introducono due nuovi elementi: il primo prevede e consente agli Stati membri di disciplinare o vietare, per ragioni rigorosamente diverse dalla sicurezza, il trasporto di merci pericolose all’interno del loro territorio. Il secondo emendamento impone la responsabilità della Commissione di fornire sostegno finanziario agli Stati membri per la traduzione nelle rispettive lingue ufficiali degli accordi europei per