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Resoconto integrale delle discussioni
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Mercoledì 3 settembre 2008 - Bruxelles Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Situazione in Georgia (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 3. Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele - Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (adeguamento delle direttive 76/768/CEE, 88/378/CEE, 1999/13/CE, 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE) - Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (adeguamento del regolamento (CE) n. 648/2004) (discussione)
 4. Omologazione dei veicoli a idrogeno (discussione)
 5. Dichiarazione della Presidenza
 6. Rafforzamento del ruolo dei giovani e della gioventù nelle politiche europee – Cooperazione d’urgenza per il ritrovamento di bambini smarriti (dichiarazioni scritte): vedasi processo verbale
 7. Turno di votazioni
  7.1. Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (A6-0140/2008, Amalia Sartori) (votazione)
  7.2. Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (adeguamento delle direttive 76/768/CEE, 88/378/CEE, 1999/13/CE, 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE) (A6-0142/2008, Amalia Sartori) (votazione)
  7.3. Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (adeguamento del regolamento (CE) n. 648/2004) (A6-0141/2008, Amalia Sartori) (votazione)
  7.4. Omologazione dei veicoli a idrogeno (A6-0201/2008, Anja Weisgerber) (votazione)
  7.5. Situazione in Georgia (votazione)
  7.6. Quadro comune di riferimento per il diritto contrattuale europeo (votazione)
  7.7. Progetto di raccomandazione alla Commissione nella denuncia 3453/2005/GG (A6-0289/2008, Proinsias De Rossa) (votazione)
  7.8. Parità tra donne e uomini - 2008 (A6-0325/2008, Iratxe García Pérez) (votazione)
  7.9. Clonazione di animali a scopi alimentari (votazione)
 8. Seduta solenne – Costa Rica
 9. Turno di votazioni (proseguimento)
  9.1. Impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini (A6-0199/2008, Eva-Britt Svensson) (votazione)
 10. Dichiarazioni di voto
 11. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 13. Valutazione delle sanzioni UE in quanto parte delle azioni e delle politiche dell’UE in materia di diritti dell’uomo (discussione)
 14. Millennio per lo sviluppo – Obiettivo 5: miglioramento della salute materna (discussione)
 15. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
 16. Commercio dei servizi (discussione)
 17. Codice di comportamento in materia di sistemi telematici di prenotazione (discussione)
 18. Politica europea dei porti (discussione)
 19. Trasporto di merci in Europa (discussione)
 20. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 21. Difesa dell’immunità parlamentare: vedasi processo verbale
 22. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 23. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. DIANA WALLIS
Vicepresidente

 
1. Apertura della seduta
  

(La seduta è aperta alle 9.00)

 

2. Situazione in Georgia (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

3. Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele - Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (adeguamento delle direttive 76/768/CEE, 88/378/CEE, 1999/13/CE, 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE) - Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (adeguamento del regolamento (CE) n. 648/2004) (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

– la relazione di Amalia Sartori a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del consiglio relativa alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006 [COM(2007)0355 − C6-0197/2007 − 2007/0121(COD)] (A6-0140/2008),

– la relazione di Amalia Sartori a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 76/768/CEE, 88/378/CEE, 1999/13/CE del Consiglio e le direttive 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE allo scopo di adeguarle al regolamento (CE) n. … relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006 [COM(2007)0611 – C6-0347/2007 – 2007/0212(COD)] (A6-0142/2008), e

– la relazione di Amalia Sartori a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 648/2004 per adeguarlo al regolamento (CE) n. … relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006 [COM(2007)0613 – C6-0349/2007 – 2007/0213(COD)] (A6-0141/2008).

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, a nome del mio collega, il Commissario Dimas, desidero innanzi tutto ringraziare la relatrice, l’onorevole Sartori, per l’accurato lavoro svolto in merito a questa difficile proposta. Il suo duro lavoro ha reso possibile un accordo in prima lettura con il Consiglio, di cui la Commissione è lieta. Ancora una volta, ci occupiamo di prodotti chimici e della protezione delle persone e dell’ambiente dai loro effetti potenzialmente pericolosi.

I prodotti chimici non costituiscono un problema meramente europeo, né un monopolio europeo. Vengono prodotti, commercializzati e utilizzati in tutto il mondo e i rischi associati all’utilizzo di prodotti chimici sono i medesimi, a prescindere dall’ubicazione. Va pertanto da sé il fatto che ci siamo sforzati di realizzare un sistema mondiale per descrivere ed etichettare tali rischi. La normativa che adotteremo oggi crea le basi per informazioni uniformi a livello globale in materia di ambiente, salute e sicurezza relative ai prodotti chimici potenzialmente pericolosi.

La protezione della salute e dell’ambiente diventerà trasparente e paragonabile in tutto il mondo solo quando verranno utilizzate norme di misurazione armonizzate volte a determinare ed etichettare i pericoli rappresentati dai prodotti chimici. Non dobbiamo sottovalutare neppure i vantaggi economici. Le imprese europee risparmieranno denaro, dato che non dovranno valutare le procedure relative ai rischi chimici applicate in paesi diversi secondo criteri e sistemi differenti. Gli utilizzatori professionali di prodotti chimici e i consumatori di tutto il mondo trarranno altresì vantaggi da tale armonizzazione. Le persone che utilizzano prodotti chimici non dovranno più familiarizzare con diversi sistemi al fine di conoscere il livello di minaccia che un prodotto chimico può implicare.

Il compromesso presentato dalla relatrice è equilibrato e tiene conto in particolare di questioni quali l’attuabilità e la chiarezza delle disposizioni. Sebbene gli emendamenti proposti dai colegislatori siano numerosi, non alterano in nessun modo significativo i principi di fondo o la struttura fondamentale della proposta originale della Commissione. La Commissione può pertanto essere concorde con tali proposte. Anche quando preparavamo la proposta, la Commissione si è preoccupata di lasciare inalterato l’attuale elevato livello di protezione della salute umana e dell’ambiente. Sono molto lieto che a tal riguardo il Parlamento e il Consiglio condividano la nostra visione di base. La collaborazione stretta e costruttiva tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione ha portato grande beneficio al processo negoziale, e come ho già detto, ciò significa che possiamo accettare tutti i compromessi proposti dall’onorevole Sartori.

 
  
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  Amalia Sartori, relatrice. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, come ha già avuto modo di ricordare il Commissario, negli ultimi mesi abbiamo avuto occasione di affrontare più volte il tema della classificazione, etichettatura e di imballaggio delle sostanze e delle miscele chimiche, noto con l’acronimo GHS, per quale sono relatrice.

Per questo motivo invece di ridiscutere i dettagli tecnici del dossier vorrei cominciare con il ringraziare i colleghi e i relatori ombra con i quali abbiamo lavorato su una base di grande collaborazione e trasparenza, istaurando un dialogo costruttivo ed estremamente soddisfacente. Vorrei in particolare ringraziare per l’appoggio e la fiducia dimostratami, che mi hanno permesso di avere i numeri per portare a buon fine i negoziati con il Consiglio e la Commissione.

Vorrei ringraziare anche i relatori delle commissioni competenti per parere, la collega Laperouze, relatrice per la commissione ITRE, e il collega Schwab, relatore per la commissione IMCO, coinvolta con procedura di cooperazione rafforzata. I pareri adottati da queste due commissioni hanno infatti completato e arricchito la proposta rendendola più efficace e semplice per gli utilizzatori finali: i consumatori, le imprese, le associazioni di categoria, le autorità di controllo e gli Stati membri. Vorrei quindi ricordare l’eccellente lavoro svolto dai funzionari del Parlamento e dei gruppi che ci hanno assistito così come quelli della Commissione e del Consiglio.

Negli ultimi mesi abbiamo lavorato tutti nella stessa direzione per cercare di ridurre al massimo gli emendamenti e convergere tutti verso particolari soluzioni di compromesso. Dopo due mesi di tavoli tecnici e triloghi con le altre istituzioni siamo arrivati ad un soddisfacente pacchetto di compromesso con il Consiglio approvato dal Coreper lo scorso 27 giugno e che, se il voto di oggi sarà positivo, ci permetterà di chiudere in prima lettura.

Con questa nuova legislazione infatti, da un lato, abbiamo la necessità di mantenere i nostri impegni assunti a livello internazionale e quindi garantire una coerenza di contenuti fra il GHS delle Nazioni Unite e la nostra legislazione e, dall’altro, dobbiamo rispettare le scadenze già predisposte proprio dalla nostra legislazione in REACH.

Con questo nuovo regolamento riusciremo al tempo stesso a tutelare meglio gli utilizzatori di quelle sostanze e a rendere le nostre imprese più competitive ed efficienti. Con queste nuove regole, uguali ovunque nel mondo, andiamo ad evitare che uno stesso prodotto sia considerato di paese in paese più o meno nocivo. Fino ad oggi non era così! Questo non è solo illogico, visto che la stessa sostanza presenta ovunque la stessa pericolosità, ma è anche estremamente rischioso quando questi prodotti vengono esportati da un paese all’altro e finiscono per essere utilizzati da persone che non hanno nozione della pericolosità del prodotto che utilizzano.

Io credo, quindi, non solo per gli utilizzatori ma anche per i lavoratori di questo comparto, soprattutto anche nelle numerosissime piccole e medie imprese, la proposta che noi facciamo possa essere una risposta utile per tutti i nostri cittadini e per tutti gli europei e non solo.

 
  
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  Anne Laperrouze, relatrice per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia.(FR) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Sartori, la nostra relatrice, e con i relatori ombra appartenenti ad altri gruppi. Penso che il lavoro che abbiamo svolto, sebbene non semplice con un testo di 2 000 pagine, abbia portato progressi effettivi.

Parlerò innanzitutto a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, per la quale sono stata relatrice per parere, e successivamente parlerò a nome del mio gruppo politico.

La commissione per l’industria ha adottato diversi emendamenti, di cui menzionerò brevemente quelli principali.

Si deve tener conto della situazione delle PMI, che hanno manifestato il loro interesse per questa questione nel corso della consultazione preparatoria della Commissione. Su 360 imprese, il 45 per cento, che occupa meno di 250 dipendenti, ha risposto alla consultazione on line tenuta dalla Commissione tra il 21 agosto e il 21 ottobre 2006.

La nostra commissione era ansiosa di sottolineare il fatto che, a parte fornire le informazioni necessarie, lo scopo del GHS è altresì la protezione dei consumatori e dell’ambiente. La nostra commissione ha esortato gli Stati membri a introdurre una procedura che aiuti tutti i fornitori, in particolare le PMI, di taluni settori della produzione, a determinare la corretta classificazione, etichettatura e imballaggio di tali sostanze e miscele.

La nostra commissione era altresì interessata alla coerenza con il REACH e ha pertanto presentato emendamenti relativi al tonnellaggio.

Da ultimo, essendo più di un semplice desiderio di evitare la duplicazione della normativa sull’imballaggio, la nostra decisione desiderava anticipare la possibilità di disaccordi sull’interpretazione delle prescrizioni del regolamento, in questo caso tra il fornitore e uno Stato membro, e la necessità di una procedura volta a garantire una classificazione armonizzata.

Passo ora al mio ruolo di relatore ombra per l’ALDE e sottolineerò alcuni dei principi guida del nostro approccio.

Accogliamo senza dubbio con favore la presente iniziativa. Un approccio globale è assolutamente coerente con l’obiettivo di proteggere la salute e l’ambiente in modo più efficace, permettendo al contempo la commercializzazione dei prodotti.

Trattandosi di un sistema globale, è importante che il futuro regolamento non introduca limitazioni alle imprese europee non applicate ai loro concorrenti internazionali. Sarebbe auspicabile che la proposta fosse coerente con il REACH in merito sia alle tempistiche che all’approccio basato sul tonnellaggio o a quanto indicato negli allegati, in particolare l’allegato VI.

In merito alle informazioni apposte sui prodotti finiti, dato che la Commissione europea ha scelto di includere la post-produzione, il principio guida deve essere quello della qualità e della pertinenza delle informazioni e non quello della quantità. Il nostro gruppo ha pensato che fosse importante riconoscere l’esistenza e il valore delle nostre fonti di informazione, in particolare le ONG e l’industria, ma altresì l’importanza di strumenti di comunicazione, quali Internet. La confidenzialità di talune informazioni deve altresì essere tutelata. Da ultimo, la presente normativa non deve generare un aumento dei test condotti sugli animali.

Data l’intensità del programma, ma altresì la complessità degli allegati, ricordo che i membri del Parlamento europeo hanno deciso di non modificarli, allo scopo di facilitare i negoziati. Si è trattata di una notevole concessione da parte del Parlamento. In questo caso abbiamo tuttavia notato che uno degli allegati solleva, per le industrie interessate, un grave problema relativo all’immediata conformità e attuazione.

L’allegato VI è costituito da un elenco di sostanze aventi classificazioni armonizzate a livello europeo. Un elenco simile è tuttavia già esistente e l’industria si avvale di tale elenco al fine di classificare ed etichettare le miscele. Ma quando ha avuto luogo il trasferimento, sono state apportate delle modifiche a tale elenco ed esso dovrà essere applicato non appena il GHS entrerà in vigore, benché, nel caso degli adattamenti tecnici, l’arco di tempo sia di almeno 18 mesi.

Molte PMI sono preoccupate da tale variazione. E’ fondamentale che giungiamo a un accordo con il Consiglio in prima lettura e che arrestiamo quanto prima la pubblicazione di disposizioni al fine di dare all’industria e agli utilizzatori il tempo di adattarsi al nuovo sistema e di renderlo operativo entro la fine del 2008.

Di conseguenza, chiedo alla Commissione di suggerire una soluzione che dia all’industria il tempo sufficiente a conformarsi con le prescrizioni del regolamento, senza comportare un impatto sproporzionato.

Dopo il trilogo, a parte il problema relativo all’allegato, a mio avviso il testo messo al voto sembra buono. Desidero solo sottolineare qualche punto saliente. Abbiamo parlato molto dei PBT, che non sono coperti dal GHS delle Nazioni Unite. Il Parlamento ha garantito l’impegno della Commissione europea a spingere per la loro classificazione a livello delle Nazioni Unite. Il Parlamento ha altresì assicurato la rimozione della divisione della categoria “irritanti per gli occhi” in sottocategorie, che avrebbe senza dubbio portato a un aumento dei test condotti sugli animali senza l’aggiunta di alcun valore effettivo. Possiamo altresì riferire che sono vietati i test condotti sull’uomo ai soli fini del presente regolamento e che il GHS dell’ONU è un processo dinamico; è stato individuato un meccanismo volto a fare in modo che i cambiamenti apportati al GHS dell’ONU siano tenuti in considerazione dal GHS europeo. La confidenzialità è tutelata in modo equilibrato.

E’ garantita la coerenza con il REACH e il Parlamento ha accettato una soglia zero per inventario e notifica, sebbene in origine auspicassimo una soglia di una tonnellata per talune categorie di prodotti. Tale soglia zero è stata accettata perché le sostanze e le miscele per scopi unicamente di R&S sono escluse dall’ambito di applicazione.

Penso che abbiamo svolto un buon lavoro e mi auguro che vi sia una votazione positiva e che il GHS sia applicato in modo adeguato.

 
  
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  Andreas Schwab, relatore per parere della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzitutto dire che il compromesso presentato dall’onorevole Sartori a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare ha soddisfatto enormemente la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. Riteniamo che, con la presente soluzione, abbiamo trovato un compromesso molto buono e una soluzione molto positiva, sia per le imprese chimiche del mercato interno europeo – la maggior parte delle quali opera a livello globale – che per i consumatori e che abbiamo altresì raggiunto un compromesso molto buono per i consumatori sensibili.

Ciò è stato possibile solo grazie alla cooperazione solida e amichevole tra i relatori. Desidero ringraziare in modo particolare l’onorevole Sartori per il modo in cui ha condotto i negoziati – ivi compreso il trilogo – dato che alla fine non vi è alcun dubbio in merito al fatto che sia stato difficile ottenere una soluzione che vada incontro alle aspettative di tutti.

Sono felice del risultato perché penso che, dal punto di vista del mercato interno e delle imprese – in particolare quelle di prodotti chimici, la cui esperienza a livello europeo in termini di REACH non è stata positiva al 100 per cento – il sistema generale armonizzato di classificazione ed etichettatura dei prodotti chimici (GHS), in quanto linea guida universale istituita dalle Nazioni Unite, possa essere attuato nel mercato interno europeo in modo affatto burocratico e con un orientamento pratico. Ciò porterà vantaggi competitivi diretti sul mercato interno europeo alle imprese attive in tale mercato, dato che l’etichettatura armonizzata costituisce un passo avanti significativo se paragonato al regolamento esistente, che ancora varia in alcune zone periferiche.

Signor Commissario, nelle discussioni del trilogo, abbiamo altresì discusso brevemente il fatto che la normativa sul trasporto di tali beni di consumo non è ancora stata armonizzata e che varrebbe pertanto la pena di considerare se nei prossimi mesi dobbiamo spostare la nostra attenzione sulla normativa relativa al trasporto di prodotti chimici.

In secondo luogo, non toccare gli allegati è stata la cosa giusta da fare – e qui desidero appoggiare l’onorevole Laperrouze del gruppo dell’Alleanza dei liberali e dei democratici per l’Europa, con cui abbiamo altresì collaborato in modo eccellente – perché questa mossa ci ha permesso di evitare discussioni che sarebbero diventate simili a quella riguardante il REACH. Anche se ciò ha significato il fatto che sono stati tralasciati taluni singoli punti che avremmo desiderato migliorare, con il senno di poi, è stata senza dubbio la strada giusta da percorrere.

Ciononostante, desidero dare il mio chiaro sostegno al desiderio dell’onorevole Laperrouze di creare una scadenza transitoria nell’allegato VI per le sostanze che sono state modificate in tale allegato, perché quando abbiamo avviato la consultazione, non potevamo prevedere che esse non sarebbero state coperte dalla soluzione su cui abbiamo deciso. Signor Commissario, apprezzerei davvero molto, se commentasse brevemente a tal riguardo nella sua risposta.

Gli utilizzatori di beni chimici di consumo non hanno, di regola, familiarità con la composizione di tali beni. Quando abbiamo discusso il GHS, abbiamo pertanto attribuito particolare importanza alla sua attuazione in modo che fosse pratico per i consumatori. Sebbene non sia stato possibile considerare nel dettaglio ciascun singolo caso, abbiamo trovato una soluzione – almeno per i beni di consumo più comuni, quali i detersivi e i detergenti – che rende consapevoli i consumatori delle quantità di prodotti chimici contenuti in tali prodotti, permettendo loro, al contempo, di utilizzarli in futuro allo stesso modo in cui lo hanno fatto in passato.

Posso forse portare un esempio: di solito era possibile solo l’utilizzo di detersivi liquidi per i piatti contenuti in bottiglie grandi da diversi litri. La tecnologia sempre più ecologica nella produzione e nell’utilizzo di tali prodotti ha permesso di ridurre sempre di più la quantità necessaria di detersivo liquido per i piatti, così che ora, i contenitori più grandi che si trovano in cucina sono solo da 300 o 500 ml.

Senza dubbio la concentrazione delle sostanze chimiche contenute in tali prodotti è aumentata. Ma tale soluzione è comunque compatibile con l’attuale GHS, perché sappiamo che le persone utilizzano questi prodotti ogni giorno e pertanto non abbiamo dovuto iperclassificarli.

Quanto detto copre tutti i punti inerenti il mercato interno. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Guido Sacconi, a nome del gruppo PSE. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, in un caso come questo, caso di cui siano tutti d’accordo, il nostro dibattito rischia di essere ripetitivo e io mi rimetterò solo a tre rapidissime sottolineature politiche, condividendo pienamente quanto è stato detto dai colleghi che mi hanno preceduto.

Il primo naturalmente è un apprezzamento per il lavoro molto tenace che la nostra relatrice ha portato avanti fin dall’inizio. Fin dai primi incontri ci ha manifestato una volontà politica decisa a chiudere il dossier in prima lettura – anzi ci ha quasi obbligato a farlo, ci ha tirato per i capelli, ma siamo stati tutti convinti di questa necessità. C’era da mettere in atto una normativa rapidamente per avere una tempestiva classificazione di tutte le sostanze e fare un passo sostanziale in avanti verso norme più stringenti per la protezione della salute dei consumatori e sono d’accordo dei lavoratori, dei lavoratori di molti settori che fanno uso di queste sostanze, soprattutto nelle realtà più difficili della minore impresa.

Secondo: abbiamo scongiurato un pericolo che c’era, serpeggiava e cioè quello di riaprire antiche discussioni archiviate con l’adozione di REACH, cosa a cui io tenevo particolarmente. A proposito di dimensione internazionale, credo sia un elemento di soddisfazione anche il fatto che REACH sia sempre più preso a riferimento a livello internazionale da altri paesi che lo stanno assumendo come modello per adeguare la propria legislazione.

In ogni caso, le disposizioni, che ci apprestiamo a votare e che fanno riferimento alla classificazione delle sostanze, vengono infatti adattate e integrate affinché corrispondano alla regolamentazione principale in materia di classificazione, etichettatura, imballaggio di sostanze e miscele senza aggiungere altri nuovi elementi.

C’è da dire infine, come tutti i colleghi sanno, che GHS non è la parola finale sul tema della classificazione ed etichettatura delle sostanze, si è discusso molto dei PDT. Non bisogna dimenticare che si tratta di un processo in corso, per il momento si implementa quello che già esiste, si classificano le sostanze per le quali in sede ONU è già stata condotta un’analisi del rischio. Quando nuovi risultati in materia di categoria di rischio, nuove analisi saranno prodotte, GHS sarà aggiornato di conseguenza ed è un processo quindi che continua.

 
  
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  Liam Aylward, a nome del gruppo UEN. – (GA) Signora Presidente, l’ambiente e la salute pubblica influiscono su ogni cittadino e la presente normativa è direttamente connessa a entrambi. Il Parlamento ha votato a favore del sistema REACH, che è ora in atto e che protegge la salute delle persone e l’ambiente dal pericolo rappresentato dai prodotti chimici. Lo scopo del REACH è quello di garantire che i produttori e gli importatori registrino, classifichino e autorizzino i prodotti chimici. Una parte essenziale del sistema consiste nel fornire informazioni al grande pubblico mediante l’etichettatura di tali prodotti chimici.

Posso solo lodare la presente normativa e il signor Commissario per aver conferito al sistema UE una classificazione equivalente a quella del GHS dell’ONU (Sistema generale armonizzato di classificazione ed etichettatura). Il grande pubblico sarà informato del pericolo causato dai prodotti chimici attraverso pittogrammi che indicheranno i rischi riguardanti esplosioni, incendi, cancro e avvelenamento. Vi saranno vantaggi per l’industria, dato che paesi di tutto il mondo accettano il sistema GHS. E il grande pubblico si fiderà maggiormente dei prodotti chimici che presentano simboli e un’etichettatura chiara e definita.

 
  
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  Carl Schlyter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (SV) Abbiamo parlato molto di prendere l’iniziativa sul cambiamento climatico, ma, se davvero avessimo avuto un approccio olistico all’ambiente, anche qui avremmo direttamente copiato la normativa ONU. Ora rimuoviamo la categoria cinque della tossicità acuta. Perché lo stiamo facendo? Beh, per la bizzarra ragione che altrimenti vi sarebbe un aumento nel numero di sostanze che dovrebbero essere classificate ed etichettate. Di conseguenza, il motivo non ha nulla a che fare con nessun tipo di logica ambientale o di logica sanitaria. No, non vogliamo copiare la categoria cinque perché significherebbe aumentare il numero di sostanze, nonostante il fatto che il punto dell’intera questione è avere uno standard generale comune, che renderebbe le cose più semplici per il commercio e, in questo caso anche per l’ambiente e per le informazioni destinate ai consumatori. Ho lottato per la reintroduzione della categoria cinque della tossicità acuta, ma purtroppo non ho avuto successo.

Un altro punto che appoggiavamo, e che in effetti siamo riusciti a far passare insieme al Consiglio, è stato evitare la proposta di una soglia ridotta di classificazione di 10 kg. Desidero ringraziare il Consiglio per aver mantenuto la propria posizione. Anche la Commissione ha apportato un contributo positivo. Se la proposta fosse passata, si sarebbe compromesso il REACH. Il REACH implicava valutare i prodotti chimici, scoprire se erano pericolosi e registrarli. Il REACH tuttavia valuta e registra solo i 30 000 prodotti chimici più comunemente utilizzati, quelli con il volume maggiore. I restanti 70 000 di cui facciamo uso verrebbero trattati nel quadro della presente normativa. Per tale ragione è molto positivo che ci siamo trattenuti e che non è stato imposto alcun limite inferiore in merito a quando i prodotti chimici debbano essere classificati. Se la proposta fosse passata, il REACH non avrebbe avuto un completamento nel GHS. Sono molto lieto che non sia stato questo il caso e pertanto posso dare il mio appoggio.

Sono altresì lieto che siamo riusciti a evitare un’inutile divisione in categorie per i test condotti sugli animali, ad esempio i test relativi agli irritanti degli occhi.

Con queste due vittorie in tasca, posso votare a favore della presente relazione. Tuttavia, desidero davvero enfatizzare il fatto che, sebbene non siamo riusciti, hic et nunc, a inserire i prodotti chimici PBT, che sono estremamente pericolosi, o un elenco prioritario per la valutazione, abbiamo per lo meno ottenuto un testo in cui si afferma che promuoveremo questo punto al livello dell’ONU e che esso verrà inserito nel sistema delle Nazioni Unite. Ora desidero davvero vedere la Commissione lavorare sodo al fine di raggiungere questo scopo, perché è molto importante, altrimenti la nostra politica in materia di prodotti chimici avrà fallito completamente. E’ di fondamentale importanza che ora tali sostanze vengano incorporate celermente nel sistema ONU, dato che qui non siamo riusciti a compiere il primo passo.

Cosa accade quindi per i consumatori? Non saranno neppure informati in modo adeguato sui pericoli dei prodotti chimici, il che è deludente. Ma otterranno almeno una norma decente e una protezione basilare per tutelarsi dai prodotti chimici pericolosi. Pertanto alla fine è stato un compromesso di cui nessuno è soddisfatto, il che forse è quanto accade normalmente.

 
  
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  Avril Doyle, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, i prodotti chimici costituiscono una componente naturale e importante dell’ambiente. Sebbene spesso non ci pensiamo, ogni giorno facciamo uso di prodotti chimici. Il mondo moderno non potrebbe funzionare senza. Mantengono freschi i nostri alimenti, pulito il nostro corpo, aiutano le nostre piante a crescere, forniscono carburante alle nostre automobili. Utilizzati e gestiti in modo corretto, i prodotti chimici ci rendono possibile una vita più lunga epiù sana.

Il regolamento proposto, che completa il REACH e allinea il sistema UE di classificazione, etichettatura e imballaggio di sostanze e miscele con il Sistema generale armonizzato dell’ONU, è un compromesso ragionevole ed equilibrato.

Se vogliamo sfruttare i vantaggi dei prodotti chimici a un costo ragionevole, allora dobbiamo accettare che vi saranno dei rischi. Dobbiamo pertanto trovare un equilibrio tra rischi e benefici e controllare i rischi dei prodotti chimici mediante un’etichettatura attenta, un regolamento che sia fondato sulla scienza, nonché tecnologie innovative. Dobbiamo altresì trovare un equilibrio tra un’attuazione adeguata degli obblighi internazionali dell’Unione europea sottoscritti in seno al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite in occasione del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, che si è tenuto a Johannesburg nel settembre 2002 e al contempo evitare oneri inutili a carico delle imprese mediante un’etichettatura poco pratica ed eccessivamente esigente.

In tal senso, ho presentato diversi emendamenti alla proposta. Penso che sia particolarmente importante garantire che la classificazione dei prodotti non porti a confusione tra i consumatori o gli addetti al settore sanitario. Troppe informazioni equivalgono a nessuna informazione. Ecco perché ho presentato un emendamento sull’imballaggio dei prodotti, ad esempio, dalle forme poco maneggevoli o che sono così piccoli che risulta tecnicamente impossibile applicare un’etichetta. In tali casi, le informazioni dell’etichettatura sui rischi devono essere fornite in qualche altro modo adeguato quali cartellini legati al prodotto.

Desidero ringraziare in particolare la relatrice, l’onorevole Sartori, per l’appoggio ai miei emendamenti e per l’eccellente lavoro svolto nella presente relazione.

Sebbene i regolamenti esistenti sull’identificazione e la comunicazione delle proprietà pericolose dei prodotti chimici siano simili sotto molti punti di vista, talune differenze sono sufficientemente significative da risultare in una classificazione diversa, in un’etichettatura e schede dati di sicurezza (SDS) distinte. Ci si augura che il Sistema generale armonizzato (GHS) fonderà tali classificazioni distinte in modo efficace. I vantaggi dell’utilizzo di prodotti chimici superano di gran lunga i rischi, il che è particolarmente vero dall’introduzione della registrazione, valutazione e autorizzazione della normativa in materia di prodotti chimici, nota come REACH.

Dobbiamo essere tutti consci del fatto che i prodotti chimici, attraverso i diversi passi dalla loro introduzione alla loro gestione, trasporto e utilizzo, possono comportare rischi potenziali per la salute umana e per l’ambiente. In tale contesto, ci si aspetta che l’accordo su un GHS UE-ONU costituisca un miglioramento per la protezione della salute umana e dell’ambiente e che offrirà altresì maggiore chiarezza alle imprese, in particolare quelle coinvolte nel commercio internazionale.

I rischi potenziali ma gestibili comportati dai prodotti chimici sottolineano la necessità di una nostra normativa su un approccio generale armonizzato all’imballaggio e all’etichettatura di prodotti chimici, ed è a tal riguardo che sono lieta che il 27 giugno il Consiglio e il Parlamento abbiano concordato su un testo e mi congratulo nuovamente con la nostra relatrice per il lavoro svolto in merito a questa pratica complessa ma di grande importanza.

 
  
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  Jens Holm, a nome del gruppo GUE/NGL. (SV) Coloro che lavorano nel settore della produzione di prodotti chimici saranno colpiti in modo particolarmente grave. Secondo uno studio finlandese, ogni giorno circa 32 milioni di cittadini dell’UE sono esposti a prodotti chimici cancerogeni sul posto di lavoro.

E’ nostro dovere vietare i prodotti chimici più pericolosi e, in generale, esercitare controllo su tutti i prodotti chimici. Questo era lo scopo effettivo della normativa REACH in materia di prodotti chimici, su cui abbiamo deciso lo scorso anno. Si può discutere in merito al risultato del REACH. Io stesso ho pensato che il risultato finale fosse stato attenuato e vanificato dalla pressione esercitata dall’industria, ma per lo meno è lì, la normativa in materia di prodotti chimici più ambiziosa.

Il GHS, il Sistema generale armonizzato di classificazione ed etichettatura di prodotti chimici, procede e completa il REACH. Il GHS ha lo scopo di fornire informazioni sui prodotti chimici ai lavoratori e ai consumatori. L’obiettivo è quello di classificare ed etichettare le migliaia di sostanze e miscele che ci circondano. Il GHS è in effetti una convenzione ONU che ora dobbiamo attuare a livello europeo. Una volta che il GHS sarà passato – purtroppo non prima del 2010 per le sostanze e non più tardi del 2015 per le miscele – tutti i prodotti chimici saranno più facili da identificare. Si tratta di migliori informazioni per i milioni di lavoratori che ogni giorno entrano in contatto con i prodotti chimici, per i consumatori che devono poter conoscere ciò che acquistano. Anche l’etichettatura contribuirà a migliorare la salute pubblica in generale e l’ambiente.

L’industria potrà godere di una normativa più coerente, che faciliterà il commercio internazionale. Si tratta di un grande passo avanti ed ecco perché noi, del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea /Sinistra verde nordica appoggiamo il presente compromesso.

E’ tuttavia un peccato che non ci siamo spinti tanto avanti quanto avremmo potuto. I prodotti chimici persistenti, bioaccumulativi e tossici, i PBT, non verranno etichettati. Il presente compromesso significa invece che la questione dei PBT verrà affrontata a livello ONU. Si tratta di un grave difetto dell’accordo. Perché non decidere che i prodotti chimici PBT devono avere lo stesso status di tutti gli altri ed essere altresì etichettati? Ora ci dobbiamo augurare che altri paesi esercitino pressione sulla questione dei PBT. Ritengo inoltre che sarà questo il caso sul lungo periodo.

Nonostante ciò, si tratta di un compromesso decente che porterà milioni di europei, lavoratori e consumatori, a ricevere più informazioni circa le decine di migliaia di prodotti chimici che ci circondano. Si tratta di una decisione fondamentale e importante per tutti coloro che sono affetti da cancro, allergie o malattie della pelle provocate dai prodotti chimici.

 
  
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  Graham Booth, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signora Presidente, con il regolamento REACH che inizia ora a far sentire il proprio peso sull’industria produttiva, in particolar modo sulle imprese più piccole, e con il marcato aumento del numero di esperimenti sugli animali, qui, sotto forma della relazione A6-0140/2008, arrivano alcune altre istruzioni dei fanatici del governo mondiale dell’UNESCO in merito a come classificare, etichettare e imballare i risultati dell’idea precedente.

Assetata di una dominazione globale antidemocratica, l’élite politica e commerciale, che costituisce l’Unione europea, si affretta ad attuare tali istruzioni, proprio come ha fatto per attuare il REACH. Hanno trasformato in una rafficadi garanzie le loro buone intenzioni, che per il momento potrebbero proteggere o deludere le loro cosiddette parti interessate, ma che non soddisferanno l’elevato numero di disoccupati che tali misure stanno già iniziando a produrre.

Un briciolo di riconoscimento per l’opinione pubblica cade dal tavolo del padrone sotto forma degli emendamenti 10, 12, 39 e 42, affinché, in talune circostanze, la riduzione degli esperimenti sugli animali sia anteposta all’osservanza alla lettera della normativa. Mi risulta che ciò sia dovuto alla pressione degli influenti gruppi ambientalisti da cui dipende molto del supporto dell’UE e, mettendo il benessere dei primati non umani davanti a quello dell’uomo, come espresso nell’emendamento n. 40, si è senza dubbio andati troppo oltre, al fine di placarli; ma trovare qualcosa che meriti un voto positivo nel processo oppressivo e ossessivo della normativa dell’UE è una rarità che vale la pena notare.

Per il resto, non vi è motivo per cui norme di sicurezza ragionevoli non debbano essere adottate volontariamente da Stati nazione democratici con magistrature indipendenti e un libero accesso del grande pubblico ai sistemi giudiziari. Le disposizioni sovranazionali possono sembrare una facile opzione, ma il potere centralizzato non responsabile a cui contribuiscono, una direttiva non autorizzata dopo l’altra non rappresenta solo una brutta sorpresa, ma anche il loro principale effetto deleterio.

La dichiarazione avanzata nel settimo considerando sul vantaggio competitivo che la presente normativa porterà all’industria e, come aggiunge l’emendamento n. 1, in particolare alle piccole e medie imprese, è semplicemente assurda. Come sempre, i grandi signori del mondo economico dell’UE beneficeranno del fallimento dei loro concorrenti più piccoli. Diventeranno pesci ancora più grossi in uno stagno ancora più piccolo o spariranno all’estero, lontano dal servilismo all’UE e dalle sue ridicole restrizioni, e i commercianti d’oltremare faranno affari molto più redditizi tra loro che non con noi. Il boom è finito. La recessione è iniziata e, sotto il peso della normativa dell’UE, quale l’A6-0140/2008, le nostre economie stanno andando a fondo come sassi.

Ogni minatore di questa miniera d’oro può dire al suo elettorato ciò che vuole nella sua lingua senza temere che essi captino ciò che i suoi colleghi stanno dicendo ai loro elettori in altri Stati. Non esiste un elettorato generale dell’UE e non ve ne può essere uno fintanto che, forse tra uno o due secoli, tutti non parlino un’unica lingua, e, finché quel tempo non sarà arrivato, la democrazia dell’UE sarà uno scherzo, e uno scherzo cupo e pericoloso per giunta. Perché dovreste occuparvi di questo o delle folli leggi controproducenti che approvate senza controllo? E perché me ne dovrei occupare io, dato che andrò in pensione alla fine del mese? Quando ho letto l’emendamento n. 28, mi sono reso conto del perché ne avevo abbastanza di tutte queste assurdità. In esso si afferma: “preparato, una miscela o soluzione composta di due o più sostanze; miscela e preparato sono sinonimi”. Beh, come sopravvivremmo senza questo Stato superassistenziale che ci spiega tali cose e come diamine sono sopravvissuto sino alla matura età di 68 anni, avendo passato gli anni della mia infanzia a mordere la vernice al piombo della struttura in legno della mia culla? Suppongo che i miei anticorpi si siano dati da fare all’epoca in cui disponevamo effettivamente di anticorpi.

Ogni pesante disposizione avvicina sempre di più l’UE al collasso. Me ne rallegro, ma deploro il danno che state infliggendo a 27 ex democrazie, un anno disastroso dopo l’altro.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signora Presidente, per me ha palesemente senso il fatto che, dato che i prodotti chimici vengono prodotti e commercializzati a livello globale, la descrizione dei rischi sul loro imballaggio non debba differire da paese a paese, perché altrimenti sarebbe pericoloso per i consumatori e svantaggioso per coloro che descrivono il rischio in modo accurato.

Noto tuttavia che al momento il sistema “generale armonizzato” non è molto generale. E’ più raro che globale. Mi chiedo se altri paesi seguiranno l’esempio dell’UE nell’abbracciare il sistema ONU e quale potrebbe essere l’impatto per le imprese europee se ciò non viene fatto.

Nell’attuare tali misure dobbiamo cercare un equilibrio. E’ innanzi tutto cruciale che non vi sia una classificazione eccessiva dei prodotti, che potrebbe confondere i consumatori e gli addetti al settore sanitario.

In secondo luogo, dobbiamo attuare tali obblighi internazionali senza imporre oneri inutili alle nostre imprese. Diverse imprese hanno espresso timori in merito al costo di attuazione. Vi saranno elevati investimenti nella formazione e nell’IT e costi di rimballaggio, che non dobbiamo sottovalutare, in particolare nel caso delle piccole imprese. Faccio eco alla preoccupazione secondo la quale le PMI potrebbero subirne le conseguenze, in particolare se commerciano oltremare, nel cui caso tali costi potrebbero essere ben superiori a quelli che sono in grado di sostenere.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE).(FI) Signora Presidente, la discussione sul recentissimo regolamento europeo sui prodotti chimici, REACH, è ancora nei nostri ricordi. E’ stato uno dei pacchetti normativi più difficili di questa legislatura. Il regolamento relativo alla classificazione, etichettatura e imballaggio di sostanze e miscele, che stiamo trattando ora, si basa parzialmente e completa il regolamento REACH, appena entrato in vigore. Ecco perché prima ha sollevato molte domande.

Il desiderio della Commissione di un accordo in prima lettura è sembrato inizialmente troppo ambizioso, dato che il Parlamento aveva precedentemente indicato il suo interesse per la normativa in materia di prodotti chimici. Posso pertanto solo ammirare il lavoro meritevole e la guida della mia collega, l’onorevole Sartori, in merito alla presente relazione tecnica, e come sia riuscita a evitare la tentazione di rivedere troppo il regolamento e, ad esempio, di incorporare negli allegati nuovi paragrafi e classificazioni di prodotti, il che avrebbe rallentato e persino impedito l’entrata in vigore del regolamento.

E’ probabile che la relazione, su cui abbiamo lavorato in sede di commissione, raggiunga gli obiettivi definiti per il regolamento, in particolare in merito all’armonizzazione e alla semplificazione della normativa. Il GHS e il REACH si completano a vicenda e non si limitano a facilitare il lavoro dei produttori e dei distributori di prodotti chimici. Un’etichettatura chiara e sicura, invece, potrà riconquistare la fiducia dei consumatori.

Quando è iniziato il lavoro della commissione, le persone erano preoccupate che il regolamento sul GHS avrebbe significato, ad esempio, che un elevato numero di detergenti avrebbero dovuto essere classificati come corrosivi. In tal modo, ad esempio, gli agenti per sturare le condutture e i detersivi liquidi per i piatti avrebbero avuto la stessa classificazione ed etichettatura sulla confezione, con la conseguenza che i consumatori non sarebbero stati in grado di distinguere tra prodotti pericolosi e detergenti più delicati. Ora, tuttavia, le classificazioni delle sostanze riflettono il loro potenziale pericolo attuale, come è lecito aspettarsi.

Lo scopo di questo sistema, basato su un accordo ONU, è che in tutto il mondo siano applicati gli stessi criteri alla classificazione e all’etichettatura di prodotti chimici e ai regolamenti sul trasporto, la vendita e l’utilizzo di prodotti chimici. Secondo l’accordo sarebbe operativo entro il 2008. Abbiamo ancora qualche mese per procedere.

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE).(EN) Signora Presidente, l’armonizzazione generale della classificazione, dell’etichettatura e dell’imballaggio delle sostanze e delle miscele deve essere accolta con favore e l’Unione europea deve svolgere un ruolo di guida nella protezione dei nostri cittadini dai prodotti chimici pericolosi. L’intera iniziativa arriva dalle Nazioni Unite e si tratta pertanto di un progetto globale. Il sistema generale armonizzato è un segnale promettente di una cooperazione globale sulle questioni ambientali. Ecco perché appoggio l’adozione del compromesso contenuto nella relazione Sartori.

Ho presentato più di 20 emendamenti al fine di garantire l’etichettatura adeguata e l’utilizzo sicuro dei prodotti chimici. Diciassette di tali emendamenti sono stati approvati dalla commissione ENVI. Tuttavia, la stessa commissione per l’ambiente ha altresì adottato diversi emendamenti della relatrice che indebolirebbero i diritti dei consumatori relativi all’informazione in merito ai rischi dei prodotti chimici contenuti nei prodotti.

Il gruppo socialista e io abbiamo votato contro tali proposte, poiché gli interessi dei consumatori per noi sono vitali. Sono soddisfatto del fatto che il nuovo compromesso non comprenda tali emendamenti contro i consumatori e propongo pertanto di accettarlo. Non sono totalmente felice del compromesso, ma non possiamo ritardare l’inserimento del GHS nella nostra normativa.

Esorto ad accettare il principio fondamentale che le imprese non debbano invocare la riservatezza degli affari quando immettono sul mercato prodotti chimici pericolosi. In merito ai rischi, i consumatori devono avere il diritto di ricevere tutte le informazioni necessarie.

Certo, il male è nei dettagli, pertanto vedremo come il GHS lavorerà in pratica, come i segnali di rischio saranno indicati sui prodotti dall’industria e se i consumatori capiranno i segnali e gli avvertimenti. Le informazioni devono essere chiare e facilmente comprensibili. Nel complesso, mi auguro che il GHS costituirà un buono strumento al fine di presentare i risultati del REACH al grande pubblico, affinché i consumatori si fidino molto di più dei prodotti chimici, il che aiuterà anche la nostra industria.

Il mio assistente Gergely Simon, che ha svolto molto lavoro in merito a questa e ad altre pratiche, lascerà il Parlamento nel prossimo futuro. Desidero ringraziarlo per il suo contributo ai nostri obiettivi comuni, vale a dire un’Europa più sicura dal punto di vista dei prodotti chimici.

 
  
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  Hiltrud Breyer (Verts/ALE).(DE) Signora Presidente, sappiamo tutti che i prodotti chimici vengono prodotti e commercializzati in tutto il mondo e che anche i pericoli e i rischi sono globali. Necessitiamo pertanto di linee guida sotto forma di classificazioni ed etichettature chiare da applicarsi a livello mondiale. Avrei gradito che l’Unione europea fosse il motore che aziona un’etichettatura molto chiara e una protezione del consumatore molto forte, ma qui ho sentito molti oratori dire che, piuttosto che essere il motore, l’UE deve restare seduta nella garitta del frenatore.

Posso convivere con il presente accordo politico, ma non ne sono molto felice. Sì, siamo riusciti a compiere un passo importante verso una maggiore sicurezza per le persone e per l’ambiente. Sono altresì lieta che, nonostante la relazione della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare in relazione ai valori soglia per l’etichettatura, che era decisamente troppo a tutela dell’industria – i volumi di dati utilizzati per la classificazione sono stati inseriti sull’etichetta – siamo riusciti a limitare i danni nei negoziati con il Consiglio e la Commissione. Sono lieta che non vi siano più valori soglia basati sul tonnellaggio per la necessità di etichettare e altresì che non siano più accettate scappatoie per l’industria e che il sistema di classificazione proposto reindirizzi l’attenzione verso alternative agli esperimenti sugli animali.

Avrei tuttavia gradito vedere un miglioramento dell’etichettatura di sostanze persistenti, bioaccumulative e tossiche e la creazione di una nuova categoria “tossicità acuta”, poiché ciò è estremamente topico e una questione su cui avremmo dovuto mostrare la volontà di agire. Credo che oggi abbiamo inviato un segnale importante per una maggiore sicurezza per le persone e l’ambiente, ma non possiamo adagiarci sugli allori. Ovviamente questo tema in futuro ci terrà occupati, dato che vi è molto spazio per migliorare.

 
  
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  Jean-Claude Martinez (NI). (FR) Signora Presidente, esistono già normative contabili globali, norme alimentari globali nel Codex Alimentarius, norme fiscali globali e modelli ONU di convenzione sulla doppia tassazione. Ora disporremo anche di norme globali per l’etichettatura, la classificazione, l’imballaggio e il tonnellaggio di sostanze chimiche.

La normativa globale del 2002 del Consiglio economico e sociale dell’ONU, il sistema generale armonizzato, verrà trasposto nel diritto comunitario.

Vi è senza dubbio un qualche valore per tutti nell’armonizzazione globale – per i consumatori, gli utilizzatori e le PMI – ma oltre a queste 2 000 pagine e procedure, allegati ed elenchi, la normativa dimostra che la standardizzazione europea non è sufficiente a trattare problemi globalizzati. I problemi globali necessitano di soluzioni globali, il che significa che il Primo Ministro britannico, Gordon Brown, ha ragione: tra il livello ONU e il livello globale, il livello europeo è sempre più antiquato, obsoleto e, in definitiva, inutile.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE).(CS) Onorevoli colleghi, non è più tollerabile che all’interno del mercato unico europeo siano in vigore diverse normative nazionali sul commercio, in particolare di sostanze pericolose. L’unificazione della classificazione e dell’etichettatura di prodotti chimici e miscele pericolose costituisce una buona notizia per i consumatori, dato che l’armonizzazione proposta migliora la protezione della loro salute e dell’ambiente. E’ altresì una buona notizia per la concorrenza dell’industria europea che questa complessa normativa, relativa al trasporto, alla fornitura e all’utilizzo di sostanze pericolose, sia applicata non solo nell’Unione europea, ma anche in altri paesi del mondo grazie alle raccomandazioni dell’ONU.

Il regolamento coincide con il REACH, ma introduce altresì classi e categorie pericolose. Le etichette conterranno istruzioni per il trattamento e simboli grafici e pittogrammi obbligatori, che saranno comprensibili per le persone di qualsiasi parte del mondo. Nuovi requisiti per l’imballaggio e la chiusura dei contenitori forniranno protezione ai bambini e forniranno altresì indicazioni per i non vedenti. Le critiche mettono in guardia circa gli elevati costi della rietichettatura, della creazione di “schede dati di sicurezza” e dell’introduzione di nuove tecnologie per l’imballaggio. Sono tuttavia convinta che queste spese sul breve periodo saranno inferiori rispetto ai risparmi sul lungo periodo in termini di costi associati all’abrogazione dell’attuale diversa etichettatura dei prodotti in base alla destinazione. Il tempo di attuazione, che è scaglionato sul periodo dal 2010 al 2015, è altresì sufficientemente attento ai bisogni dell’industria.

Apprezzo enormemente il fatto che l’onorevole Amalia Sartori sia riuscita a raggiungere un compromesso eccellente in seno al Parlamento e altresì con il Consiglio. Dopo molti mesi di discussioni sulle disposizioni della proposta della Commissione, è riuscita a conseguire un notevole miglioramento ed equilibrio e invito pertanto, domani, ad adottare in prima lettura la proposta. E’ un esempio dello splendido lavoro svolto dai relatori parlamentari con le squadre del Consiglio e della Commissione.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE).(PL) Signora Presidente, oggi discutiamo di un regolamento molto importante, derivante da un dibattito e successivamente da una decisione ONU. Nella presente discussione, coronata dall’adozione da parte del Consiglio economico e sociale di un sistema generale armonizzato di classificazione ed etichettatura dei prodotti chimici, tutti gli Stati membri, e non solo l’ONU, hanno avuto una parte molto attiva e significativa, in particolare l’Unione europea e altresì la Commissione. Ciò significa che il sistema che è stato definito laggiù è altresì il nostro sistema. E’ pertanto positivo che oggi adattiamo le nostre normative relative all’utilizzo di prodotti chimici al fine di conformarle a tale sistema e che al contempo garantiamo e ci auguriamo di garantire che i nostri cittadini – i cittadini dell’UE – siano protetti, così come il nostro ambiente, dalle conseguenze dell’utilizzo di sostanze pericolose, perché si ritiene che lo scopo di questa armonizzazione, classificazione ed etichettatura di sostanze pericolose sia un miglioramento del livello di protezione della salute e altresì dell’ambiente.

La chimica influisce sulle persone nello stesso modo in tutto il mondo. Quando si acquista un prodotto, non si è tenuti a sapere che cosa contenga. Si deve sapere, tuttavia, che si sta acquistando un prodotto sicuro. Si deve poter avere fiducia nel produttore e nel prodotto acquistato. Qui il nostro ruolo riguarda l’etichettatura, che ancora differisce in larga misura. Un prodotto etichettato come pericoloso in uno Stato è tossico in un altro e nocivo in un terzo. E’ impensabile che l’economia e il commercio di sostanze chimiche debbano funzionare in questo modo. Ecco perché sono lieta di accogliere con favore la nostra relazione e discussione di oggi. Credo che siamo impegnati in qualcosa di molto importante.

Desidero attirare la vostra attenzione su un’ultima questione e in particolare sulle conseguenze connesse alla necessità di fornire informazioni sull’etichettatura. Sto parlando delle informazioni che tutti coloro che gestiscono i rifiuti devono conoscere. I rifiuti dei prodotti chimici, che sono e continueranno a essere una questione di enorme importanza per l’ambiente, devono altresì essere inseriti in tale sezione, che chiude l’intero ciclo della gestione delle sostanze e dei prodotti chimici e, di conseguenza, dello smaltimento dei rifiuti di prodotti pericolosi. Esorto a fornire ai cittadini europei un buon prodotto ed esorto a offrire loro una sensazione di sicurezza a proposito delle sostanze chimiche.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, l’egregio lavoro della collega Sartori appare come esito legislativo ottimale per aggiornare e quindi meglio regolamentare parte del trattamento di sostanze chimiche. Lodevole è che la relazione non solo soddisfa il programma di armonizzazione delle Nazioni Unite, ma appare coerente, integrando le esigenze dei produttori e dei consumatori e, certo, direi anche dell’ambiente per quanto oggettivamente possibile.

Come al solito, alcuni colleghi non sono proprio soddisfatti ed ho l’impressione che questo sia dovuto ad una radicalizzazione ideologica nei confronti del progresso tecnologico e scientifico che troppo spesso in una supposta difesa dell’ambiente pretende di coercire l’uomo. Altrettanto, guarda caso, per motivi radicalmente opposti a quelli citati, fanno quegli Stati extraeuropei, Cina in testa, che in nome dell’assoluto primato dell’economia, pongono in essere condizioni di produzione, trasporto e stoccaggio di materiali chimici in grave spregio di tutto quanto si vuole qui giustamente proteggere.

Un fondamentale passo è quello che compie la relazione Sartori, armonizzando la classificazione delle sostanze, le norme di etichettatura e degli imballaggi delle sostanze e miscele pericolose. Questo contribuisce certamente a migliorare la sicurezza e prevenire i pericoli per la salute e la sicurezza dei consumatori, dei lavoratori e dell’ambiente.

Oggi può succedere che una stessa sostanza venga classificata in maniera profondamente diversa da Stato a Stato, in virtù del diverso sistema di classificazione vigente, con oscillazioni che per una medesima sostanza sono fortemente e rischiosamente diverse. Sostanze che in Europa vengono classificate come pericolose sono, ad esempio, in Cina etichettate senza particolari precauzioni.

Questo oltre a determinare ingiusti vantaggi competitivi rappresenta un serio pericolo per tutti i consumatori e ciò cari colleghi, troppo spesso criticoni, è ancor più vero proprio in un mercato purtroppo globale.

 
  
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  Åsa Westlund (PSE). - (SV) Signora Presidente, devo ammettere che prima di iniziare a lavorare su questioni ambientali, la mia conoscenza dei prodotti chimici era relativamente limitata. Tuttavia, più ho appreso e più sono diventata scettica circa l’utilizzo di un tale elevato quantitativo di prodotti chimici nella società odierna. Non molto tempo fa, ad esempio, ho letto che nel mio paese, la Svezia, il consumo di prodotti chimici utilizzati per le pulizie nelle famiglie è aumentato drasticamente. Nessuno conosce il reale effetto che ciò sta avendo sulla nostra salute. Ciò che sappiamo è che, oggigiorno, non solo in Svezia, ogni anno molti bambini vengono portati al pronto soccorso perché hanno ingerito prodotti chimici domestici dalla tossicità acuta, nonostante il fatto che oggi sui prodotti chimici sia apposta un’etichetta di avvertimento che dice come stanno le cose.

A causa della decisione che prenderemo più tardi oggi, tale avvertimento purtroppo scomparirà da molti prodotti. Unitamente ad altri colleghi, ho cercato di cambiare questo fatto e di garantire che tale etichettatura resti sui comuni prodotti domestici. Le cose non saranno più così. Deploro molto questo fatto, che comporta la perdita di importanti informazioni destinate ai consumatori.

Ciononostante, accolgo con favore il fatto che l’UE stia ora acquisendo una normativa sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio armonizzati, volta ad attuare il REACH ed elaborata sulla base del sistema internazionale volontario già esistente. Ciò rende le cose più semplici per i consumatori e similmente per le imprese. Oggi, una volta che avremo raggiunto tale decisione, sarà della massima importanza che tutte le autorità competenti a livello nazionale si assumano la responsabilità di trasmettere le informazioni circa il nuovo sistema di etichettatura non solo alle imprese, ma anche, più ampiamente, ai diversi gruppi di consumatori.

Desidero pertanto cogliere l’opportunità di esortare la Commissione e il signor Commissario Verheugen ad approfondire in che modo, e con quale successo, ciò viene effettivamente svolto e pertanto a farci sapere se i consumatori dell’Europa comprendono cosa significherà d’ora in avanti l’etichettatura.

 
  
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  Rovana Plumb (PSE).(RO) Signora Presidente, la presente proposta di regolamento, unitamente alle altre due, il regolamento sui detergenti e la decisione volta ad emendare la normativa a valle, rappresentano l’armonizzazione della normativa europea e mondiale sulla classificazione, etichettatura e imballaggio di prodotti chimici. La loro applicazione avrà effetti benefici sulla salute umana, sulla protezione dell’ambiente e sull’industria chimica e lo sviluppo del commercio secondo condizioni di sicurezza, e l’informazione dei consumatori è molto importante.

L’attuazione del GHS deve essere correlata all’applicazione della direttiva REACH per i produttori, circa 27 000 nell’Unione europea, di cui il 95 per cento sono PMI, e allo sviluppo del commercio con paesi non appartenenti all’UE, vale a dire il 25 per cento del volume dell’Unione europea. Chiedo alla Commissione di non abbandonare la proposta di applicare il nuovo regolamento nel corso dell’intero ciclo di gestione del prodotto, anche quando il prodotto diventa rifiuto.

Mi congratulo con la relatrice per il lavoro svolto.

 
  
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  Edit Herczog (PSE). - (HU) La ringrazio molto, signora Presidente. Innanzitutto, desidero congratularmi con la Commissione e con i relatori, perché sono riusciti a produrre una discussione costruttiva sulla proposta dell’ONU e sul progetto REACH che abbiamo adottato in precedenza, come si è visto nel corso dell’attività. Il più grande vantaggio è un’etichettatura standardizzata, dalla prospettiva della commissione per il mercato interno, dei consumatori e delle imprese. Non dimentichiamo che le sostanze chimiche non saranno più sicure grazie all’etichettatura! Un utilizzo più sicuro e scelte migliori da parte dei consumatori creano maggiore sicurezza, di conseguenza dobbiamo stabilire che questo progetto di normativa costituisce un passo avanti a tal proposito e deve essere accolto con favore. Desidero infine dire e attirare la vostra attenzione sul fatto che abbiamo unito le forze a sostegno dell’ONU come Unione europea e che ora dobbiamo fare tutto, in collaborazione con l’ONU, al fine di garantire che anche il resto del mondo l’adotti. Propongo ciò, affinché possiamo trovare sostenitori della nostra normativa sull’industria chimica nel resto del mondo, nel Consiglio economico transatlantico e in altri fora internazionali. Vi ringrazio molto per l’attenzione.

 
  
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  Alessandro Foglietta (UEN). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, voglio complimentarmi con la relatrice, la collega Sartori, con i colleghi relatori ombra, il Consiglio e la Commissione, per il raggiungimento dell’accordo sul pacchetto GHS in prima lettura.

Siamo riusciti a raggiungere un obiettivo che ci eravamo prefissi, ovvero far partire il nuovo sistema in tempo utile e compatibile con il regolamento REACH, assicurando al contempo un alto livello di protezione dell’ambiente e della salute, come anche l’esigenza commerciale delle imprese che potranno rivolgersi con più facilità ai mercati esteri.

Una volta in vigore il GHS, le imprese potranno agire secondo un sistema unico di classificazione delle sostanze armonizzato a livello internazione che, tra l’altro, consentirà di accedere con maggiore facilità alla legislazione delle sostanze presso l’Agenzia per la chimica. Con questo regolamento, che applica i criteri internazionali per la classificazione ed etichettatura delle sostanze e miscele pericolose nell’Unione europea, renderemo le imprese pronte ad aprirsi al mercato internazionale. Indubbi saranno anche i benefici per il consumatore che sarà messo in condizione di riconoscere facilmente sostanze pericolose, come ad esempio quelle tossiche, irritanti e corrosive.

Il sistema d’informazione di etichettatura GHS con pittogrammi uniformi e facilmente leggibili faciliterà l’individuazione dei rischi delle sostanze dei prodotti di uso giornaliero quali detersivi e saponi. Inoltre il GHS, che impone per molte sostanze particolari dispositivi di sicurezza di chiusura delle confezioni, contribuirà a proteggere i nostri bambini dai pericolosi incidenti domestici dovuti a ingestione accidentale di sostanze tossiche o corrosive.

Certo, GHS costerà un certo sforzo alle imprese, soprattutto alle medie e piccole, che dovranno prendere confidenza con il nuovo sistema. Il sistema infatti introdurrà nuove sette categorie di rischio e una nuova classificazione del sistema di trasporto. E’ per questo che sono particolarmente lieto dell’accordo raggiunto con il Consiglio che ha tenuto conto delle esigenze di sostegno, informazione e rodaggio, soprattutto per le piccole e medie imprese.

L’accordo ha anche tenuto conto della volontà espressa da tutti i gruppi del Parlamento della necessità di limitare al massimo i test sugli animali e l’eventuale duplicazione sugli stessi. Per tutti questi motivi il mio gruppo esprimerà voto favorevole all’approvazione del pacchetto presentato.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE). (SV) Desidero solo rispondere a ciò che il mio onorevole collega Booth ha affermato qui circa il movimento ambientalista che desidera proteggere le persone, ma non gli animali. Sembra che abbia frainteso questo punto. E’ una questione di classificazione. Nei testi a cui l’onorevole Booth fa riferimento si afferma che non si deve manipolare una miscela chimica unicamente a scopo di classificazione al fine di arrivare al di sotto di una certa soglia, che non deve essere permesso condurre numerose sperimentazioni sugli animali solo per evitare l’etichettatura. Ciò ci porterebbe a considerare le miscele chimiche che contengono sostanze pericolose, ma di generi diversi, e che pertanto non raggiungono precisamente la soglia per l’etichettatura. In tali casi lo scopo sarebbe pertanto quello di condurre sperimentazioni sugli animali solo al fine di evitare l’etichettatura. E’ per tale ragione che necessitiamo di tali testi.

Qui la salute animale e la salute dell’uomo vanno di pari passo. Si evita la sperimentazione sugli animali, ma le persone ottengono informazioni adeguate sui prodotti chimici così che possano intraprendere le azioni corrette al fine di tutelarsi. L’onorevole Booth ha veramente frainteso questo punto!

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARTINE ROURE
Vicepresidente

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. − (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, questo dibattito acceso e vivace ha dimostrato che stiamo trattando un tema importante e di vasta portata. Penso che oggi possiamo affermare che compiere questo passo conclude l’intenso lavoro normativo svolto in relazione all’industria dei prodotti chimici e la produzione e l’utilizzo di prodotti chimici in Europa – lavoro che ha richiesto molti anni.

Desidero che ciò sia molto chiaro, pensando alla metafora molto efficace utilizzata dall’onorevole Breyer. Chi sta al motore e chi siede alla garitta del frenatore? Una cosa è certa: per quanto riguarda la normativa sui prodotti chimici, l’Unione europea fa da motore per il mondo intero. Da nessun’altra parte esistono normative quali quelle che abbiamo introdotto, e da nessun’altra parte si fanno all’industria chimica richieste quali quelle che facciamo noi. Pertanto, la Commissione crede fermamente che, in relazione alla normativa orizzontale per questo settore, ora necessitiamo di qualche anno per portare a compimento ciò che abbiamo già deciso e che non dobbiamo imbarcarci immediatamente in altri grandi progetti. Ha i suoi buoni motivi, se la normativa REACH dispone di periodi di revisione e noi dobbiamo osservare molto strettamente i periodi decisi dal legislatore. Ciò significa che la Commissione presenterà sempre per tempo relazioni e suggerimenti. Per quanto concerne le principali iniziative orizzontali, desidero ripetere che la Commissione non intende avanzare alcuna proposta ulteriore nel prossimo futuro.

Posso altresì assicurarvi dell’efficacia globale di questo sistema. Tutte le informazioni che ho a disposizione dimostrano che in tutto il mondo, tutti coloro che sono coinvolti stanno senza dubbio lavorando duramente al fine di attuare il sistema su cui hanno deciso le Nazioni Unite. Siamo sicuramente all’avanguardia quando si tratta di vera e propria attuazione. Penso che molti grandi paesi hanno atteso precisamente quanto è accaduto qui oggi, perché essi desiderano fondare la loro stessa normativa e la loro attuazione su ciò che facciamo nell’Unione europea. Ora mi aspetto di vedere che tali procedure siano portate a compimento in molti altri paesi.

L’onorevole Schwab ha sollevato una domanda molto interessante – ovvero se dobbiamo disporre di scadenze transitorie per la conservazione dei valori di soglia dell’allegato 6, che sono stati cancellati conseguentemente al compromesso tra le parti. Posso solo dire che la Commissione non ha alcun problema riguardo alle scadenze transitorie. Personalmente, credo che esse siano essenziali e adeguate, ma che tale omissione nella normativa non si è verificata per caso. Rientra in un compromesso generale e, tenendo conto di tutte le circostanze, non penso che sarebbe stato appropriato che la Commissione permettesse che la questione delle scadenze transitorie per pochi prodotti causasse il fallimento del compromesso. Tuttavia, ci assicureremo che ciò che i legislatori desideravano sia raggiunto in modo adeguato.

Condivido le preoccupazioni di coloro che hanno dato voce ai loro timori circa la sperimentazione sugli animali. Mi auguro fortemente che la presente normativa non porti a un aumento del numero delle sperimentazioni sugli animali. E’ importante che la sperimentazione sui primati sia assolutamente vietata in relazione alla presente normativa. Desidero ribadire chiaramente che la Commissione investirà tutte le sue energie nel ridurre il più possibile la sperimentazione sugli animali. A mio avviso, ciò significa che dobbiamo continuare ad aumentare i nostri sforzi al fine di trovare metodi alternativi riconosciuti volti a sostituire la sperimentazione animale. Tutti coloro che hanno dei timori in proposito mi troveranno dalla loro parte.

Per concludere, desidero dire che credo che abbiamo dinanzi un atto legislativo che rappresenta una situazione vantaggiosa per tutti coloro che sono coinvolti. Sono molto grato a tutti coloro che vi hanno contribuito.

 
  
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  Amalia Sartori, relatrice. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono molto soddisfatta del dibattito che c’è stato. Ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti e ringrazio anche per le parole di conforto che hanno dato al lavoro che ho svolto, comunque insieme a loro, sia ai colleghi relatori ombra sia ai colleghi relatori delle commissioni ITRE e IMCO. Mi sembra che nella stragrande maggioranza dei colleghi intervenuti ci sia soddisfazione per il risultato raggiunto.

Io condivido l’opposizione di chi dice che anche il GHS è un processo che continua e quindi, d’altra parte, è una modalità di lavoro che noi abbiamo impostato; in questi casi è proprio quello e siamo consapevoli che il mondo continua a cambiare, a modificarsi ed è il motivo per il quale anche in questo regolamento così come in REACH, così come in altri, pensiamo soprattutto a dare anche delle regole di cornice molto puntuali e precise e lasciare che ci sia poi uno spazio di modificazione nel tempo in base ai quei criteri però predeterminati. Questo è anche quello che ho colto nell’intervento del Commissario che mi ha preceduta rispetto alla possibilità di accogliere anche parte del dibattito che c’è stato.

Noi siamo consapevoli che oggi approviamo un regolamento ampiamente condiviso, che aiuterà, che porterà benefici per i consumatori e per i lavoratori di questo settore, che sono la stragrande maggioranza della popolazione. Sappiamo che sono regole che servono come cornice e come punti di riferimento certi e intoccabili. Dopo di che c’è un mondo che continua a cambiare e facendo riferimento a queste regole sarà dalla Commissione trattato.

 
  
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  Presidente. – La discussione congiunta è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto.(RO) La proposta di decisione che dà attuazione al Sistema generale armonizzato di classificazione, etichettatura e imballaggio di prodotti chimici (GHS) rappresenta un passo importante nella protezione dell’ambiente, dei consumatori, che avranno maggior potere di scelta, così come delle imprese, che desiderano entrare nel mercato internazionale.

L’utilizzo armonizzato delle etichette e la descrizione uniforme dei pericoli generati dai prodotti chimici garantisce una maggiore fiducia dei consumatori in tali prodotti, facilitando altresì il commercio internazionale, dato che l’industria sarà in grado di applicare le medesime etichette per tutte le regioni verso cui esporta. Inoltre, il sistema armonizzato di classificazione delle sostanze costituisce un fattore essenziale al fine di garantire la libera circolazione dei beni nel mercato interno.

Ciononostante, dobbiamo assicurare che il presente regolamento non aumenti il numero delle sperimentazioni sugli animali vertebrati con lo scopo di armonizzare i criteri di classificazione, ma che siano condotte solo se non vi è alcuna soluzione alternativa che garantisca la medesima qualità.

Il Sistema generale armonizzato di classificazione deve consentire l’utilizzo di metodi che non implichino sperimentazioni sugli animali, anche qualora la loro convalida supponga un processo burocratico lungo e costoso. Dato che le sperimentazioni sugli animali non sono mai state convalidate ufficialmente, l’autenticazione di sperimentazioni alternative sembra un onere, ma si deve incoraggiare la ricerca in questo settore.

 
  
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  Richard Seeber (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Nel mondo moderno, sempre più di frequente, i consumatori entrano in contatto con diverse sostanze e a volte anche sostanze pericolose.

Quando si utilizzano taluni prodotti, ivi compresi quelli che molti utilizzano quotidianamente, le informazioni sulle sostanze che contengono sono vitali, se devono essere utilizzati in modo sicuro e in maniera tale da non mettere a rischio la salute. Quest’anno, il Sistema generale armonizzato di classificazione ed etichettatura di prodotti chimici (GHS), sviluppato nel 2002 a livello di ONU con un’attiva partecipazione dell’UE, deve essere attuato dagli Stati membri. Uno dei vantaggi principali di tale sistema è l’utilizzo di pittogrammi di pericolo universali. I consumatori e i commercianti possono pertanto notare immediatamente se un prodotto contiene talune sostanze che possono essere anche pericolose. Inoltre, il GHS introduce definizioni standardizzate, quali LD50 (dose letale 50), che indica chiaramente il pericolo associato alla sostanza. La Comunità e noi del Parlamento europeo ci siamo posti come obiettivo la riduzione della sperimentazione sugli animali a scopo di valutazione delle sostanze per quanto sia in nostro potere.

Le definizioni sono state inoltre indicate in modo più preciso e sono state elaborate linee guida più chiare per le autorità degli Stati membri. Un’attuazione riuscita del GHS rappresenta una pietra miliare importante nel rendere il mercato interno europeo una realtà, e porterà altresì vantaggi in termini di commercio internazionale.

 

4. Omologazione dei veicoli a idrogeno (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione di Anja Weisgerber, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’omologazione-tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno e che modifica la direttiva 2007/46/CE [COM(2007)0593 – C6-0342/2007 – 2007/0214(COD)] (A6-0201/2008).

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. − (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, ancora una volta parliamo dell’automobile del futuro – un argomento che questa settimana il Parlamento europeo ha già trattato in modo approfondito riguardo ad altri ambiti.

Oggi discutiamo di un’opportunità tecnica che potrebbe aiutarci a risolvere i problemi ambientali causati dai veicoli. Lo ripeto: è qualcosa che potrebbe aiutarci. Non sappiamo se il suo potenziale può essere attuato su vasta scala, ma dobbiamo trarre il massimo da questa opportunità. Questo è tutto ciò di cui si tratta.

Tutti noi ci troviamo d’accordo in merito al fatto che la mobilità sostenibile sarà una delle sfide fondamentali che dovremo affrontare negli anni a venire. Non vogliamo limitare il diritto dei cittadini europei alla mobilità individuale. D’altro canto, non vi può essere alcun dubbio in merito al fatto che il diritto alla mobilità individuale – detto chiaramente, il diritto di guidare l’automobile, di possedere e utilizzare un’automobile – deve essere esercitato in modo tale che non distrugga l’ambiente e ciò significa che necessitiamo di automobili che non danneggiano l’ambiente.

Un’osservazione en passant: non è solo a causa delle condizioni dell’ambiente che ciò è essenziale e urgente; sta diventando sempre più importante anche in termini economici. Il motore tradizionale a combustione interna è antiquato perché il consumo di carburante è così elevato. Dobbiamo fare tutto il possibile al fine di ridurre il consumo di combustibili fossili ovunque sia presente.

Dati questi presupposti, sorge la domanda se possiamo agevolare lo sviluppo di veicoli alimentati a idrogeno. Questa è l’idea che ha portato al suggerimento della Commissione, vale a dire un’omologazione tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno.

Desidero innanzi tutto ringraziare la relatrice, l’onorevole Weisgerber, per il lavoro costruttivo e riuscito svolto in merito alla presente proposta. Sono lieto che, grazie al suo lavoro, sia stato possibile un accordo in prima lettura.

A questo stadio, non sappiamo quale sia la tecnologia migliore per la mobilità sostenibile. Se si leggono i giornali e si guarda la televisione, ogni giorno ci si trova di fronte a una conclusione diversa. Mentre alcuni parlano di pile a combustibile, altri si entusiasmano per l’auto elettrica e altri ancora accennano a innovative batterie ad elevate prestazioni. Vi sono molte opzioni che competono con l’alimentazione a idrogeno; come minimo i motori elettrici e le pile a combustibile.

Il nostro compito è quello di stabilire chiaramente le normative di sicurezza necessarie alle tecnologie promettenti e di mantenere al contempo una rigida neutralità tecnologica. L’idrogeno può sostituirsi al carburante convenzionale e comportare una considerevole riduzione degli effetti dannosi sull’ambiente del traffico stradale. Desidero tuttavia aggiungere, tra parentesi, che tutte queste considerazioni hanno senso solo se possiamo produrre idrogeno in modo ecologico. Se l’idrogeno viene prodotto utilizzando energia sporca, allora non facciamo altro che spostare il problema.

Il regolamento proposto integrerà gli autoveicoli alimentati a idrogeno nel sistema di omologazione tipo dell’UE. In tal modo, gli autoveicoli alimentati a idrogeno verranno trattati come gli autoveicoli tradizionali, in quanto sarà sufficiente un’unica autorizzazione per l’intera Unione europea. Tale processo di autorizzazione è meno voluminoso e molto più accessibile. I produttori possono occuparsi di tutte le formalità in un unico punto di contatto, risparmiando considerevolmente. Ciò rende l’industria europea più competitiva e significa minori seccature amministrative.

L’idrogeno ha proprietà diverse rispetto ai carburanti convenzionali quali la benzina e il gasolio, pertanto la proposta rende prioritaria la determinazione dei necessari requisiti di sicurezza. In particolare, dobbiamo garantire che lo stoccaggio dell’idrogeno nel veicolo sia assolutamente sicuro. Il presente regolamento permetterà di far circolare per le strade dell’UE solo autoveicoli alimentati all’idrogeno sicuri quanto gli autoveicoli alimentati in modo convenzionale. Si spera che ciò aumenti anche la fiducia del grande pubblico nelle nuove tecnologie sconosciute. La proposta introduce anche un sistema per l’identificazione dei veicoli, così che siano facilmente riconoscibili per i servizi di soccorso.

Una stretta collaborazione tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione ha avuto un effetto positivo sul risultato dei negoziati, pertanto posso solo concordare in merito a tutte le modifiche proposte dalla vostra relatrice, l’onorevole Weisgerber.

 
  
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  Anja Weisgerber, relatrice. − (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, i combustibili fossili sono limitati. La domanda sta aumentando, facendo salire i prezzi – lo vediamo ogni giorno ai distributori di benzina. La prospettiva che in futuro il petrolio, il gas naturale e il carbone si esauriranno costituisce una ragione dell’aumento dei prezzi. Dobbiamo pertanto iniziare immediatamente a esaminare tecnologie che in futuro potrebbero sostituire i combustibili fossili.

Una di tali alternative – e il signor Commissario ha sottolineato molto giustamente che è solo una, che tuttavia è un’alternativa – è la tecnologia a idrogeno. Naturalmente, gli autoveicoli a idrogeno non sono ancora pronti per il mercato, ma sono in corso diversi progetti al fine di cambiare la situazione. Il progetto UE “autostrade” è stato appena completato, con una relazione incoraggiante.

A febbraio, i ministri UE della ricerca hanno istituito un partenariato pubblico-privato sul lungo periodo con l’obiettivo di far sì che la tecnologia a idrogeno e delle pile a combustibile sia pronta per il mercato tra il 2015 e il 2025. Si è pianificato di investire nei prossimi anni un totale di circa 940 milioni di euro in questo programma di ricerca, in cui le autorità pubbliche e gli investitori privati contribuiranno per metà ciascuno.

Osserviamo che si è definita la fase in cui gli autoveicoli a idrogeno debbano essere pronti per il mercato. Il fatto che il prezzo delle pile a combustibile sia ancora elevato non può essere utilizzato come argomentazione contro la tecnologia a idrogeno, dato che questa è la strada di tutte le tecnologie del futuro. La prima fotocamera digitale da 0,5 megapixel è stata sviluppata molti anni fa per la navigazione spaziale e il costo era di circa 10 milioni di euro, ma oggi quasi tutti ne posseggono una.

Il presente regolamento prevederà in futuro, per la prima volta, disposizioni tecniche armonizzate per l’approvazione di autoveicoli alimentati a idrogeno in tutta Europa. Sono essenziali criteri unificati se si deve promuovere questa tecnologia e mantenere un elevato livello di sicurezza e di protezione ambientale.

Gli autoveicoli alimentati a idrogeno al momento non sono inseriti nel sistema di omologazione tipo, pertanto gli Stati membri possono rilasciare singole autorizzazioni per questo genere di veicolo. Ciò viene fatto in alcuni Stati membri, ma in altri è totalmente sconosciuto. Rilasciando le autorizzazioni in questo modo, vi è il rischio che ciascuno Stato membro definisca le proprie condizioni di autorizzazione, disgregando il mercato interno. Ciò porterà a costi elevati per i produttori, così come a rischi per la sicurezza.

L’idrogeno costituisce uno dei vettori d’energia del futuro. Pertanto, il nostro compito, a cui stiamo adempiendo con l’adozione del presente regolamento, è di istituire le condizioni politiche quadro per l’utilizzo di questa tecnologia del futuro, creando criteri di approvazione unificati. Sono lieta che, tra le parti, siamo riusciti a giungere a un accordo in prima lettura e che la cooperazione con il Consiglio e la Commissione sia stata così positiva. I miei ringraziamenti per l’eccellente cooperazione vanno pertanto ai relatori ombra; desidero altresì citare per nome gli onorevoli Bulfon e Manders. Ciò è quanto ha reso possibile un accordo in prima lettura. La nostra attenzione era concentrata sulla questione dell’etichettatura degli autoveicoli alimentati a idrogeno.

Gli autoveicoli alimentati a idrogeno sono sicuri proprio come le automobili alimentate a gasolio o a benzina. Secondo il regolamento, esse dovranno superare test di sicurezza che sono severi proprio come quelli per tutti gli altri veicoli. Tuttavia, ha senso che i servizi di soccorso sappiano se si tratta di un veicolo a idrogeno quando arrivano sul luogo di un incidente, così che possano tener conto di taluni dettagli. Ciò non significa che gli autoveicoli alimentati a idrogeno debbano essere considerati in modo negativo perché, come ho detto, sono sicuri proprio quanto i veicoli alimentati con altri carburanti. Si tratta di un punto molto importante che desidero venga compreso oggi.

Suggeriamo pertanto che sugli autoveicoli a idrogeno siano apposte etichette discrete sui componenti che contengono idrogeno. Lavorando con la Commissione e il Consiglio, abbiamo apportato ulteriori miglioramenti al testo della Commissione e sostituito il termine “identificazione” con “etichetta”, poiché sul lungo periodo tale etichetta dovrebbe o potrebbe essere sostituita da un’identificazione elettronica, che implica un sistema intelligente di chiamata d’emergenza chiamato “eCall”.

Sono state sollevate altre domande. Alla fine forse tornerò brevemente alla questione delle stazioni di rifornimento di idrogeno, ma per il momento attendo con ansia la vivace discussione e sono desiderosa di ascoltare ciò che avete da dire.

 
  
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  Alojz Peterle, relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. – (SL) Desidero ringraziare la mia collega, l’onorevole Weisgerber per la sua eccellente relazione ed esprimere la mia soddisfazione in merito al fatto che abbiamo raggiunto con il Consiglio un così elevato grado di consenso così rapidamente. Il presente regolamento ci fa schierare con convinzione a favore delle nuove politiche in materia di energia e ambiente, che avranno senza dubbio un effetto positivo anche sulla salute pubblica. Concordo con il signor Commissario in merito al fatto che dobbiamo trarre il massimo vantaggio da questa opportunità. Il presente regolamento costituisce una delle mosse di apertura; fa parte della risposta alle attuali sfide in ambito energetico e ambientale, in cui l’idrogeno svolge un ruolo fondamentale. Non intendiamo solo l’idrogeno, ma anche l’idrogeno, e non solo gli singoli Stati membri, ma l’intera Unione europea.

E’ molto importante impegnarsi in dinamiche corrette al fine di fornire l’intero contesto di attuazione. Dobbiamo altresì tener conto di tutto ciò che i nostri cittadini stanno considerando, a partire dalle infrastrutture. Il dinamismo dello sviluppo, e in particolare il problema del rapido sviluppo delle nuove tecnologie, è molto importante in questa situazione di eccezionale domanda di energia. Vedo possibilità molto significative per le nuove tecnologie, nel senso che permettono che abbia luogo una produzione decentralizzata della produzione di idrogeno; inoltre, se viene coinvolta la tecnologia solare, è effettivamente possibile diffondere la produzione e ridurre la dipendenza dalle fonti di energia attualmente conosciute. E’ mia opinione che la Commissione potrebbe promuovere e accelerare con successo lo sviluppo in tale direzione.

 
  
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  Malcolm Harbour, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signora Presidente, desidero ringraziare sentitamente Anja Weisgerber, in quanto relatrice a nome della commissione e, certamente, in quanto membro del mio stesso gruppo, che, ancora una volta, penso, ha dimostrato la sua padronanza di pratiche tecniche complesse, avendo altresì lavorato in modo molto efficace su diverse pratiche sulle emissioni in qualità di relatrice per parere. Tuttavia sono lieto che ora abbia la sua relazione e mi congratulo con lei per il modo estremamente approfondito con cui ha affrontato questo compito importante. So quanto lavoro comporta, essendo stato io stesso relatore per la direttiva complessiva relativa all’omologazione tipo.

Desidero altresì ringraziare Günter Verheugen e la sua squadra in Commissione per essersi mossi in modo molto rapido e tempestivo al fine di offrirci questa importante proposta, che inserirà efficacemente gli specifici requisiti per gli autoveicoli a idrogeno nella direttiva originale relativa all’omologazione tipo. A tale proposito, penso che dimostri l’importanza di avere finalmente ottenuto questo quadro comune per l’omologazione tipo dei veicoli a motore, e di disporre della flessibilità per rispondere e inserire tali nuovi sviluppi.

A tale proposito, desidero solo sottolineare quanto è già stato affermato da diversi colleghi, ma in particolare dal mio punto di vista, avendo lavorato con la Commissione in qualità di membro di questo Parlamento sul gruppo Cars 21, che è stato formato al fine di mettere in atto una strategia normativa competitiva nel settore automobilistico per il XXI secolo – questo è ciò che significa Cars 21 – e questa è chiaramente una proposta per il XXI secolo. Tuttavia, la cosa importante è che fornisca all’industria produttiva – ma non solo ai grandi produttori, bensì alle numerose imprese coinvolte nello sviluppo di sistemi e componenti che contribuiranno a far avanzare gli autoveicoli alimentati a idrogeno – che fornisca loro un chiaro quadro normativo in cui lavorare ora. Non bisogna farli attendere. Si tratta di un vantaggio enorme e significa che dovremo disporre di un quadro per l’Europa – un quadro – il che significa che, se si rispettano tali requisiti, si può vendere il proprio autoveicolo dovunque.

Ma al momento questo non è sufficiente e sono lieto che Anja abbia inserito nella sua relazione una richiesta specifica rivolta alla Commissione al fine di affermare che vogliamo rendere i requisiti di sicurezza degli autoveicoli a idrogeno dei requisiti globali. In tutto il mondo le persone stanno lavorando a norme relative agli autoveicoli a idrogeno. E’ assolutamente il momento giusto per inserire tutto ciò nel gruppo di lavoro globale sugli autoveicoli, perché dobbiamo iniziare con l’intento di procedere e disporre di una serie di norme globali per gli autoveicoli a idrogeno. Al contempo, vogliamo che l’Europa sia leader nello sviluppo di tali tecnologie e possiamo ottenere entrambe le cose con questa proposta come base.

 
  
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  Wolfgang Bulfon, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, una procedura di autorizzazione unificata in tutta l’UE per gli autoveicoli alimentati a idrogeno supererebbe almeno una delle barriere allo sviluppo di forme di mobilità ecologiche. Esistono già diversi progetti promettenti nel settore del trasporto pubblico locale, il che significa che una produzione in serie di autovetture alimentate a idrogeno non è affatto lontana. Tuttavia, dobbiamo chiederci come si otterrà l’idrogeno. Se il risultato finale, in termini di CO2, è favorevole, dipende molto da come l’idrogeno verrà prodotto in futuro. Non è affatto utile se la sua produzione genera più CO2 rispetto a quella risparmiata grazie all’alimentazione a idrogeno. Al contempo, tuttavia, dobbiamo garantire che adeguate stazioni di rifornimento siano create e costruite, perché anche le automobili alimentate a idrogeno devono rifornirsi. Si tratta di una sfida in particolare per gli Stati membri.

Le chiare linee guida contenute nella presente relazione creano un quadro normativo che facilita l’ulteriore sviluppo di questa promettente tecnologia e di molte altre innovazioni. Il Presidente di quest’Assemblea, l’onorevole Pöttering, ha riportato la sua stessa esperienza in merito agli autoveicoli alimentati a idrogeno. Varrebbe la pena di considerare l’utilizzo della sua esperienza al fine di adattare di conseguenza il parco veicoli del Parlamento – per lo meno si tratta di un suggerimento meritevole di considerazione.

Infine, desidero ringraziare sentitamente l’onorevole Weisgerber per la sua cordiale cooperazione nell’Assemblea e nella produzione della presente relazione.

 
  
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  Vladko Todorov Panayotov, a nome del gruppo ALDE. – (BG) L’inserimento degli autoveicoli alimentati a idrogeno nel quadro normativo generale della Comunità europea è di importanza straordinaria, perché le procedure obbligatorie attuali sull’omologazione tipo non garantiscono che veicoli di qualità identica possano essere immessi sull’intero mercato dell’Unione europea.

L’adozione di un regolamento dell’Unione europea garantirebbe che tutti gli autoveicoli alimentati a idrogeno immessi sul mercato fossero prodotti, testati e identificati conformemente a una norma comune e che il loro livello di sicurezza fosse almeno il medesimo rispetto ai veicoli a motore convenzionali. La normativa comune garantirebbe altresì un allineamento degli sforzi volti a introdurre l’idrogeno come carburante in modo sostenibile in termini energetici, così che l’equilibrio ambientale comune dall’introduzione dell’idrogeno come carburante nel caso dei veicoli a motore risulterebbe positiva. Il regolamento transeuropeo dovrebbe altresì disporre requisiti comuni in merito al monitoraggio di tali veicoli a motore e alle infrastrutture necessarie – le stazioni di rifornimento.

L’adozione di un regolamento dell’Unione europea garantirebbe inoltre l’applicazione di norme comune in merito alla produzione e allo sfruttamento di autoveicoli alimentati a idrogeno prodotti in paesi terzi – gli Stati Uniti, la comunità economica dell’Asia – e contribuirebbe a difendere gli interessi dell’Europa.

Desidero sottolineare che, di fronte alla mancanza di azione a livello di Unione europea, gli Stati membri adotterebbero norme differenti in merito ai veicoli alimentati a idrogeno, che porteranno a una situazione sfavorevole riguardante il mercato comune, risparmiando sui costi come conseguenza di una produzione su larga scala e di ritardi nello sviluppo dei veicoli.

Al momento, quando un’approvazione, e soltanto una, sarà sufficiente per ciascun tipo di veicolo, così che possa essere immesso sul mercato dell’Unione europea, gli Stati membri dell’UE dovranno sviluppare veicoli alimentati a idrogeno. L’approvazione accelererà l’introduzione di questa tecnologia ecologica per alimentare i veicoli, il che, a propria volta, farà sì che i vantaggi ambientali riconducibili all’utilizzo di autoveicoli alimentati a idrogeno siano ben presto visibili.

Da ultimo, ma non per importanza, gli investimenti nella produzione di veicoli alimentati a idrogeno, dei materiali per la loro produzione e dei mezzi per il loro controllo riceverebbero maggior impulso, il che contribuirebbe a una più rapida introduzione della tecnologia a idrogeno nei paesi dell’Unione europea.

 
  
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  Leopold Józef Rutowicz, a nome del gruppo UEN.(PL) Signora Presidente, signor Commissario, l’introduzione di autoveicoli alimentati a idrogeno avranno un impatto sulla protezione della salute e dell’ambiente e sull’effetto serra ed è di importanza politica ed economica, data la scarsità di combustibili tradizionali a base di idrocarburi. Il passo principale da compiere ai fini della loro introduzione è l’istituzione di una direttiva relativa all’omologazione tipo di autoveicoli a motore alimentati a idrogeno. Ho due commenti da fare in merito al progetto di direttiva e agli emendamenti.

Innanzi tutto, il progetto esclude la necessità di controllare le istruzioni per la manutenzione e l’utilizzo quando viene eseguita un’omologazione tipo. L’idrogeno utilizzato come combustibile, con il suo valore energetico molto elevato, è un prodotto particolarmente pericoloso e gli utilizzatori dei veicoli lo affronteranno per la prima volta.

In secondo luogo, la definizione nel progetto di una data di riesame a un anno di distanza dalla sua istituzione, onde riflettere sul suo funzionamento e sulle norme internazionali stabilite in quest’area.

Il gruppo dell’Unione per l’Europa delle nazioni appoggia l’introduzione della direttiva. Ringrazio l’onorevole Weisgerber per quest’efficiente relazione.

 
  
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  Jaromír Kohlíček, a nome del gruppo GUE/NGL. – (CS) Onorevoli colleghi, leggendo la motivazione del regolamento in discussione, sono rimasto spiacevolmente sorpreso. Da un lato, l’idrogeno consente lo stoccaggio di energia e, dall’altro, in pratica elimina una percentuale significativa di emissioni. La direttiva, tuttavia, dispone una categorizzazione secondo i sistemi tradizionali. Detto in parole povere, ciò implica l’utilizzo di idrogeno mediante combustione.

A parte il problema della combustione di una miscela di idrogeno e metano, questione che conosco molto bene fin dal mio studio sulla combustione, per i motori normali sarebbe altresì necessario utilizzare l’urea al fine di ottenere prodotti di combustione puliti conformemente all’Euro 5 e 6 per l’eliminazione degli ossidi di azoto.

Uno degli obiettivi dell’Unione europea è estendere l’utilizzo dell’idrogeno ai trasporti nel prossimo futuro con una drastica crescita entro il 2020. E’ vero che i problemi tecnici associati allo stoccaggio e alla gestione dell’idrogeno necessitano di normative unificate chiare, ivi compresa l’etichettatura dei sistemi che funzionano con l’idrogeno. In proposito, concordo pienamente con la relatrice. Desidero altresì sottolineare che molti paesi vietano il parcheggio in luoghi chiusi di veicoli con contenitori a pressione, in particolare nei parcheggi sotterranei. Un’etichettatura semplice è fondamentale anche per questo.

Le pile a idrogeno costituiscono uno dei promettenti sistemi sperimentali per l’alimentazione dei veicoli. Molte città dell’Unione europea hanno fatto funzionare gli autobus per lungo tempo mediante questa fonte di energia. Credo che il regolamento in discussione disporrà l’unificazione dei requisiti fondamentali dei dispositivi degli autoveicoli a motore alimentati a idrogeno. Mi auguro che fornisca un quadro migliore per un ulteriore rapido sviluppo e una verifica operativa delle diverse componenti dei sistemi dei veicoli a idrogeno. Dovrebbe accelerare considerevolmente l’utilizzo pratico in particolare delle pile a idrogeno, ma l’idrogeno non deve essere utilizzato ampiamente in “sistemi tradizionali”, in altre parole nei motori a combustione, in quanto ciò a mio avviso non ha senso. A questa condizione, raccomando caldamente l’approvazione del documento a nome del gruppo GUE/NGL.

 
  
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  Andreas Schwab (PPE-DE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la relazione dell’onorevole Weisgerber costituisce un esempio perfetto del modo in cui la politica europea si adatta ai mercati in mutamento e si muove rapidamente al fine di creare norme proattive e basi giuridiche per le innovazioni tecnologiche. Il Consiglio intende trattare la standardizzazione nel corso di pochi mesi e trarre conclusioni in proposito. In tale discussione, le domande relative a quanto rapidamente le norme rispondano al progresso tecnologico, a quanto rapidamente i legislatori rispondano al progresso tecnologico e a quanto rapidamente le norme si adeguano alla realtà economica svolgeranno ancora una volta un ruolo. Credo che la presente relazione sull’omologazione tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno renderà l’Europa pioniera di una piattaforma normativa unificata per lo sviluppo di autoveicoli alimentati a idrogeno.

E’ una valida osservazione il fatto che non sia ancora stato determinato se, alla fine, l’utilizzo dell’idrogeno come carburante per i veicoli sarà conforme al principio di sostenibilità e se sarà ecologicamente sostenibile, ma non può neanche essere escluso. Pertanto, credo che, con la presente relazione, stiamo creando una buona base per approfondire la ricerca per i principali istituti di ricerca del mercato interno europeo e in particolare per le imprese più importanti. Questo assume notevole significato dato il contesto della discussione sulla politica in materia di CO2 per i veicoli e il desiderio di conseguire una maggiore diversità tra le varie tecnologie, al fine, da ultimo, di stabilire con certezza quale tecnologia del veicolo e del motore sia migliore per l’ambiente e per le persone.

Dal punto di vista del mercato interno, penso che dobbiamo accogliere con particolare favore la presente relazione, poiché un mercato interno davvero integrato può essere realizzato solo mediante l’armonizzazione dell’omologazione tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno nei diversi Stati membri per ottenere il massimo dagli effetti delle sinergie di questo mercato. Come è stato sottolineato in precedenza, qualsiasi omologazione tipo mondiale naturalmente deve fondarsi su questa base. Auspichiamo di riuscire a mettere tutto a posto. Vi auguro ogni successo!

 
  
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  Arlene McCarthy (PSE).(EN) Signora Presidente, desidero ringraziare la nostra relatrice, l’onorevole Weisgerber, e i relatori ombra per aver prodotto la presente relazione e negoziato un accordo molto buono con il Consiglio e la Commissione, mantenendo al contempo le priorità del Parlamento. In un momento in cui i prezzi della benzina in Europa sono raddoppiati e i cittadini europei e di tutto il mondo sono sempre più preoccupati degli effetti del cambiamento climatico, è palese che necessitiamo di nuove speranze per i carburanti del futuro.

La presente normativa a livello europeo sulle automobili alimentate a idrogeno può preparare la strada per una produzione completa di tali vetture e fornire agli automobilisti europei un’alternativa reale in un futuro non troppo lontano. Le vendite di veicoli alimentati con carburanti alternativi, ad esempio, solo nel Regno Unito sono aumentate da solo qualche centinaia nel 2000 a più di 16 000 lo scorso anno. Le vendite di automobili elettriche e di altre alternative sono aumentate, ma le automobili a idrogeno sono solo allo stadio di partenza della produzione su vasta scala. Penso che questa nuova normativa stimolerà lo sviluppo di questi veicoli, garantendo al contempo che siano affidabili e sicuri. Grazie alla normativa, si prevede ora che la produzione di massa in Europa inizierà entro il 2015 con circa il 5 per cento del parco veicoli dell’UE che entro il 2025dovrà essere alimentato a idrogeno.

I vantaggi ambientali degli autoveicoli a idrogeno dipenderanno dalla fonte di energia impiegata per la sua produzione; potranno fronteggiare direttamente l’inquinamento dell’aria causato dalla benzina e ridurranno la nostra dipendenza dal petrolio, ma contribuiranno ad affrontare il riscaldamento globale solo se l’idrogeno viene prodotto in modo sostenibile. Ecco perché appoggio fermamente gli emendamenti negoziati dell’onorevole Weisgerber al fine di garantire che la produzione del carburante a idrogeno sia sostenibile e, per quanto possibile, da energia rinnovabile.

E’ importante sottolineare che gli autoveicoli alimentati a idrogeno possono essere sicuri quanto quelli alimentati a benzina e, in caso di incidente, le squadre di emergenza devono sapere cosa stanno affrontando. Ecco perché l’onorevole Weisgerber ha garantito che i veicoli saranno prontamente identificabili dai servizi di emergenza. La presente normativa fa solo ciò che l’Unione europea può fare in un solido mercato interno. Garantisce un mercato di dimensioni europee di beni con norme comuni ed elevati requisiti di sicurezza. E’ questo mercato che è in grado di produrre autoveicoli a idrogeno del futuro e sono convinto che oggi la presente normativa, quando la voteremo, sia cruciale al fine di conseguire questo obiettivo.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE).(LT) La proposta della Commissione sull’omologazione tipo degli autoveicoli a motore alimentati a idrogeno sia molto importante al fine di risolvere i problemi relativi alla ricerca di carburanti alternativi per i veicoli, alla protezione ambientale, al cambiamento climatico e alla salute delle persone. Desidero attirare la vostra attenzione su alcune questioni che sono di enorme importanza nello sviluppo degli autoveicoli alimentati a idrogeno.

Innanzi tutto, il problema principale dei veicoli alimentati a idrogeno non sta nel processo stesso di produzione del veicolo, bensì nel rifornimento. A oggi, in tutta Europa, vi sono solo circa 40 stazioni di rifornimento di idrogeno. Ve ne sono due in Francia, ad esempio, e una in Spagna, mentre sono assenti nei nuovi Stati membri che hanno aderito all’Unione europea nel 2004 e nel 2007. Negli Stati Uniti, solo in California il numero è notevole. Ecco perché concordo con l’oratore sulla necessità di creare una rete standardizzata di stazioni di servizio di idrogeno in tutta l’UE il prima possibile. Senza infrastrutture adeguate, gli autoveicoli alimentati a idrogeno resteranno unitari.

In secondo luogo, l’idrogeno è semplicemente un vettore di energia, non una fonte di energia ed ecco perché è importante che il carburante a idrogeno sia prodotto in modo stabile ed ecologico. Dobbiamo essere più attivi nel condurre ricerche scientifiche che porterebbero a evitare l’utilizzo di carburanti fossili e a suggerire metodi alternativi per scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno. Uno di tali metodi potrebbe essere la fotolisi, sebbene qui sia ancora necessario condurre ricerche scientifiche approfondite. Inoltre, una produzione non inquinante dell’idrogeno consentirebbe di utilizzarlo in settori diversi dal trasporto.

In terzo luogo, concordo riguardo alla proposta della Commissione di utilizzare miscele di gas naturale e idrogeno, ma solo come combustibile di transizione e solo in paesi che dispongono di una buona infrastruttura di gas naturale ben sviluppate. Desidero altresì sottolineare che gli Stati Uniti e il Canada fanno da guida nel settore dello sviluppo e della produzione di autoveicoli alimentati a idrogeno, mentre il Giappone sta recuperando terreno, e noi non dobbiamo restare ulteriormente indietro.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE-DE).(PL) Signora Presidente, un futuro con autoveicoli alimentati a idrogeno è una prospettiva entusiasmante. Sebbene debba ancora passare molto tempo prima che questa tecnologia sia ampliamente applicata, è tuttavia di importanza eccezionale che vengano armonizzate ora le norme sull’omologazione tipo.

L’obiettivo principale del regolamento che esaminiamo oggi è quello di introdurre criteri europei per l’omologazione tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno, al fine di garantire un adeguato funzionamento del mercato. Al momento, i diversi criteri di omologazione tipo nei singoli Stati europei stanno ostacolando il funzionamento di questo mercato, causando un aumento inutile dei costi di produzione, minacciando la sicurezza e – aspetto che non dobbiamo dimenticare – costituendo una barriera significativa dello sviluppo della tecnologia a idrogeno dell’UE. In particolare, non dobbiamo permetterci di ignorare questo punto perché le speranze di sostituire il petrolio nel settore dei trasporti dipendono specificatamente dall’idrogeno, unitamente ai biocarburanti e all’energia elettrica. La cosa più importante, tuttavia, è forse che il processo di combustione dell’idrogeno non dà luogo a biossido di carbonio, una sostanza che è ancora dannosa per l’ambiente, bensì ad acqua, con l’ovvia conseguenza di limitare l’inquinamento dell’aria e di ridurre le emissioni di CO2, cosa a cui stiamo dedicando moltissimi sforzi, non da ultimo nel quadro del forum del Parlamento europeo.

Chiaramente, il conseguimento di tutti questi obiettivi dipenderà dalla diffusione di tali tecnologie, che – come ha giustamente sottolineato la relatrice, con la quale mi congratulo per l’ottima relazione – dipende, tra l’altro, dall’esistenza di una rete di stazioni di rifornimento di idrogeno. Tali stazioni devono essere create al contempo in tutti gli Stati membri al fine di mettere in condizione ciascun consumatore europeo di avervi accesso. Mi auguro altresì che i produttori di veicoli risponderanno all’aumento della domanda dei consumatori di autoveicoli alimentati a idrogeno, affinché un mercato comune in questo settore possa funzionare in modo adeguato.

 
  
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  Matthias Groote (PSE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevole relatrice, onorevoli colleghi, ritengo che questo costituisca un buon esempio di come la politica possa intraprendere azioni, dato che in futuro saranno disponibili le autorizzazioni per l’omologazione tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno, anche se la tecnologia in sé non è ancora disponibile.

Parliamo molto di ridurre il CO2 prodotto dai veicoli, in particolar modo gli autocarri. Questo potrebbe essere un modo per ridurre le emissioni di CO2, ma è importante – e parlo in qualità di membro della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, per la quale sono stato relatore ombra – che produciamo l’idrogeno mediante energie rinnovabile. Questo offre altresì la possibilità di stoccare energia da fonti rinnovabili, che potremmo poi utilizzare per i veicoli, il che costituirebbe una buona direzione da prendere. E’ quanto su cui dobbiamo concentrarci in futuro.

Tuttavia, è altresì importante creare un’infrastruttura di stazioni di rifornimento. Osserviamo, ad esempio, che l’infrastruttura per i veicoli CNG è ancora molto discontinua. I veicoli sono disponibili, ma i consumatori, gli automobilisti, sono restii ad acquistarli perché non è garantita la disponibilità del carburante. Dobbiamo concentrarci su questo punto nel corso delle discussioni future.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE).(PL) Signora Presidente, desidero cogliere questa opportunità per congratularmi con la relatrice, nonché con la commissione, per un’iniziativa volta a individuare nuove fonti di alimentazione dei veicoli e fonti dalle quali si può ottenere energia.

Vi sono tre obiettivi importanti: innanzi tutto, il nostro continuo rifuggire dalla dipendenza dal petrolio. Il secondo obiettivo riguarda le emissioni di CO2. Infine, il terzo obiettivo – e questo è importante – è quello di stabilizzare e abbassare i costi dell’utilizzo del veicolo per coloro che ne fanno uso.

A mio avviso, il documento in discussione copre tre aree, che sono: la prima – l’etichettatura degli autoveicoli alimentati a idrogeno; la seconda – i requisiti delle stazioni di rifornimento (la loro ubicazione e introduzione) e, infine, la terza area, che reputo importante, della sicurezza del funzionamento dei veicoli a idrogeno. Il presente regolamento stabilisce innanzi tutto un quadro giuridico che statuisce come dobbiamo utilizzare questa energia e in secondo luogo fornisce i requisiti delle infrastrutture, garantendo essenzialmente che siano rispettate le condizioni ex ante fondamentali per lo sviluppo della nuova tecnologia.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE).(RO) Nel settore dei trasporti si devono compiere sforzi costanti verso l’introduzione nel mercato di veicoli a combustibili alternativi, il che contribuisce al significativo miglioramento della qualità dell’aria nell’ambiente urbano.

Sono necessarie norme comuni per l’omologazione dei motori alimentati a idrogeno al fine di garantire l’utilizzo sicuro dell’idrogeno per la propulsione del veicolo. L’utilizzo dell’idrogeno come carburante, o come cellule a combustione o come motori a combustione interna, non genera emissioni di carbonio o di gas a effetto serra. L’omologazione tipo di autoveicoli a motore alimentati a idrogeno si fonda sull’indicazione e il rispetto dei requisiti tecnici dei componenti basati sull’idrogeno.

Tenendo conto delle caratteristiche dell’idrogeno, i veicoli necessitano di un trattamento specifico da parte dei servizi di soccorso. Sottolineo la necessità che gli Stati membri investano nell’infrastruttura essenziale per lo stoccaggio e per la distribuzione di combustibili alternativi, senza i quali il numero dei veicoli meno inquinanti non può aumentare in modo significativo.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE).(PL) Signora Presidente, dato che desideravo restare entro il limite di tempo, vale a dire un minuto, non sono riuscito a formulare una riflessione importante, che volevo sottolineare quale vantaggio della soluzione. Si tratta del fatto che stiamo suggerendo una soluzione proposta molto in anticipo sui tempi, creando condizioni per la modernità. Questo può altresì significare un incentivo a cercare ancor più tecnologie e per tale ragione desidero esprimere la mia gratitudine sia al Commissario Verheugen che alla Commissione.

 
  
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  Günter Verheugen, Vicepresidente della Commissione. − (DE) Signora Presidente, onorevoli deputati, sono molto lieto di vedere che il presente dibattito ha dimostrato un ampio consenso sotto molti aspetti: innanzi tutto, un ampio consenso in merito al fatto che la tecnologia a idrogeno costituisce un modo potenziale interessante di contribuire a risolvere i nostri problemi energetici; in secondo luogo, il consenso in merito al fatto che la tecnologia a idrogeno costituisce un’opzione potenzialmente interessante per il traffico stradale; e terzo, un consenso molto ampio in merito al fatto che, certamente, in generale la tecnologia a idrogeno ha senso solo se l’effetto ecologico complessivo risulta positivo – vale a dire, se l’idrogeno viene prodotto da fonti di energia pulite. Si tratta di un risultato di grande rilievo.

Desidero anche comunicarvi che nel Settimo programma quadro di ricerca la Commissione ha attribuito particolare importanza allo sviluppo della tecnologia a idrogeno. Sono stati resi disponibili 800 milioni di euro per la ricerca sulla tecnologia a idrogeno, e non solo per i veicoli, in un’iniziativa tecnologica congiunta. Desidero evitare di dare l’impressione che stiamo spendendo 800 milioni di euro per permettere la ricerca sull’idrogeno come una tecnologia della combustione. Questa è solo una parte del progetto che, in generale, riguarda la creazione di principi chiari riguardo a quanto l’idrogeno può effettivamente contribuire alla drastica riduzione delle emissioni di CO2 della nostra società.

Insieme al Presidente del Parlamento, l’onorevole Pöttering, per un breve periodo ho avuto la possibilità di guidare un veicolo alimentato a idrogeno. La mia impressione è stata che i problemi tecnici connessi all’utilizzo dell’idrogeno nei veicoli siano stati fondamentalmente risolti. La tecnologia c’è. Si può fare. Quello che manca in assoluto – ed è stato menzionato già diverse volte – è l’infrastruttura.

Posso immaginare che, una volta che la presente proposta sarà stata accolta e che l’industria sarà stata incoraggiata, allora dovremo trattare la questione, che l’onorevole Bulfon ha sollevato anche in questo dibattito. Si tratta della questione che forse coloro che dispongono di un ampio parco veicoli utilizzati principalmente a livello locale, quali i parlamenti, tra cui quest’Assemblea, i parlamenti nazionali, i governi e la Commissione europea, debbano o meno dare il buon esempio non appena possibile e, attraverso le loro politiche degli approvvigionamento, agevolare l’immissione sul mercato di veicoli di questo tipo. Al momento si tratta solo di un’illusione, ma è qualcosa su cui dovremo riflettere quando arriverà il momento.

Desidero ringraziare nuovamente la relatrice per il lavoro davvero eccellente svolto, così come tutti gli oratori dei gruppi e delle commissioni, che hanno dimostrato che qui abbiamo una visione comune di quale potrebbe essere il futuro dei veicoli in Europa.

 
  
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  Anja Weisgerber, relatrice. − (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, grazie per i vostri interventi molto interessanti. Desidero altresì ringraziare i relatori ombra, la Commissione, i rappresentanti del Consiglio e il personale per la loro eccezionale cooperazione, che è stata la chiave per conseguire in prima lettura questa unità politica.

Come abbiamo visto, l’idrogeno è una tecnologia del futuro. L’idrogeno può essere parte della risposta alle sfide poste dal cambiamento climatico e alla necessità di ridurre le emissioni. E’ un’alternativa pulita ai combustibili fossili e l’utilizzo dell’idrogeno come vettore energetico – come è stato affermato, è senza dubbio un vettore energetico – è assolutamente sostenibile se prodotto da energie rinnovabili o energia nucleare. Questa è la direzione che dobbiamo prendere nei prossimi anni.

Mi affascina l’idea di avere un ciclo dell’idrogeno completamente che non presenti pericoli e in cui l’idrogeno alla fine sia prodotto da energie rinnovabili e poi vaporizzato. E’ davvero affascinante. Ho appoggiato questa tecnologia molto prima di venire al Parlamento europeo e sono anche da tempo impegnato a livello personale su questo tema.

Oggi abbiamo definito dei punti che vanno nella giusta direzione. Abbiamo creato i presupposti necessari al fine di poter finalmente disporre di normative unificate relative all’omologazione tipo. Abbiamo altresì mostrato la strada a una normativa internazionale relativa all’omologazione tipo e definito il futuro orientamento della ricerca e dello sviluppo.

La tecnologia è già qui, come ha giustamente affermato il Commissario Verheugen. Ora dobbiamo affrontare le altre questioni relative all’infrastruttura. La questione dell’infrastruttura di stazioni di servizio verrà gestita da un partenariato pubblico-privato. Forse allora scopriremo che non ci vorrà molto prima che i veicoli alimentati a idrogeno circoleranno per le nostre strade, e non solo come prototipi.

Grazie ancora per la positiva cooperazione.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà oggi.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Le riserve di materie prime per la produzione di combustibili tradizionali a base di idrocarburi sono in continua diminuzione e pertanto il tema della ricerca e sviluppo di nuovi sistemi alternativi di alimentazione nell’industria dei veicoli a motore è estremamente urgente.

Il Settimo programma quadro dell’UE ha stanziato 800 milioni di euro per la ricerca sulla tecnologia a idrogeno. Sulla base della ricerca, l’idrogeno sembra essere l’alternativa ideale ai combustibili fossili tradizionali. L’utilizzo dell’idrogeno come carburante del futuro per gli autoveicoli offre una soluzione che è eccezionalmente favorevole all’ambiente. Produce zero emissioni di composti del carbonio e di gas a effetto serra. I primi prototipi di automobile sono già stati testati con successo nello Spazio economico europeo.

Affinché il mercato interno sia in grado di funzionare nonché di fornire un elevato grado di sicurezza per la protezione della popolazione e dell’ambiente, vi è la necessità di stabilire a livello europeo norme per la progettazione di autoveicoli a motore alimentati a idrogeno. Norme di omologazione unificate in tutta l’UE costituiscono il prerequisito minimo per immettere sul mercato gli autoveicoli alimentati a idrogeno. La riuscita introduzione delle nuove tecnologie dipende anche dalla tempestiva costruzione di una rete adeguata di stazioni di rifornimento di idrogeno.

Credo che la discussione di oggi rafforzerà la fiducia dei consumatori europei nell’utilizzo delle nuove tecnologie nell’industria dei veicoli a motore e aumenterà la quota di tali veicoli sul mercato europeo.

Sono convinta che solo un’UE tecnicamente ben preparata potrà avere successo nella concorrenza con gli USA, il Giappone e la Corea dove vi è stata un’attività considerevole in questo settore. Date tali premesse, penso che la presente iniziativa sia molto positiva.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 11.00, è ripresa alle 11.30)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. GÉRARD ONESTA
Vicepresidente

 

5. Dichiarazione della Presidenza
Video degli interventi
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  Presidente. – A nome del Parlamento europeo, desidero inviare un messaggio di solidarietà alle vittime dell’uragano Gustav che si è abbattuto sui Caraibi.

Quasi 100 persone hanno perso la vita nella Repubblica dominicana, ad Haiti, in Giamaica, nelle Isole Cayman e a Cuba e sono in migliaia a trovarsi ora senza casa. Ancora una volta, i cittadini di questi paesi in via di sviluppo, con cui manteniamo stretti legami attraverso l’accordo di Cotonou – il gruppo dei paesi ACP – stanno subendo la devastazione di un altro disastro naturale abbattutosi su tali regioni.

L’Unione europea sta monitorando da vicino la situazione nei paesi colpiti e sta inviando aiuti umanitari. Il Parlamento europeo monitorerà senza dubbio da vicino la fornitura di assistenza umanitaria ai paesi della regione, in particolare attraverso il lavoro della sua commissione per lo sviluppo e dell’assemblea parlamentare congiunta UE-ACP.

 

6. Rafforzamento del ruolo dei giovani e della gioventù nelle politiche europee – Cooperazione d’urgenza per il ritrovamento di bambini smarriti (dichiarazioni scritte): vedasi processo verbale
Video degli interventi

7. Turno di votazioni
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)

 

7.1. Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (A6-0140/2008, Amalia Sartori) (votazione)

7.2. Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (adeguamento delle direttive 76/768/CEE, 88/378/CEE, 1999/13/CE, 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE) (A6-0142/2008, Amalia Sartori) (votazione)

7.3. Classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele (adeguamento del regolamento (CE) n. 648/2004) (A6-0141/2008, Amalia Sartori) (votazione)

7.4. Omologazione dei veicoli a idrogeno (A6-0201/2008, Anja Weisgerber) (votazione)

7.5. Situazione in Georgia (votazione)
  

– Prima della votazione sul paragrafo 19

 
  
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  Elmar Brok, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, quando abbiamo redatto la risoluzione, abbiamo utilizzato il testo precedente, la cui formulazione non esprime del tutto il fatto che nel frattempo il Consiglio europeo si è riunito. Vi suggerirei pertanto che la seconda parte del testo reciti: “pertanto accoglie con favore la decisione del Consiglio europeo di inviare”. Il nostro attuale testo dice che esortiamo il Consiglio a farlo, ma quest’ultimo lo ha già fatto. Dobbiamo pertanto correggere la formulazione di conseguenza.

 
  
  

(Il Parlamento approva l’emendamento orale)

– Prima della votazione sulla risoluzione

 
  
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  Martin Schulz, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, ieri il mio gruppo ha tenuto un’accesa discussione in merito alla presente risoluzione di compromesso. Su taluni punti fondamentali, si discosta dal testo a cui noi, come gruppo socialista del Parlamento europeo, abbiamo contribuito in origine. Con ciò non intendo in alcun modo mettere in questione i negoziati o minimizzare il successo dei negoziatori nel giungere a una risoluzione di compromesso con gli altri gruppi, tuttavia vi è un elemento che non possiamo approvare, ma che svolge un ruolo fondamentale nella nostra risoluzione.

Sebbene tale elemento, che nominerò tra un momento, non è più inserito nel testo, il nostro gruppo ha deciso di votare a favore della risoluzione di compromesso perché crediamo che sia importante che il Parlamento europeo invii un unico segnale. Desidero tuttavia chiarire qui che avremmo apprezzato molto vedere limitato l’atteggiamento aggressivo del presidente Saakashvili e altresì, all’inizio del conflitto, un solido appiglio su un totalmente inadeguato…

(Proteste a destra e applausi a sinistra)

Ci sarebbe piaciuto vedere che cosa è accaduto all’inizio inserito nella presente risoluzione, se non altro per chiarire che proprio le persone, che qui ora protestano così rumorosamente sono le stesse che desiderano intensificare i conflitti anziché ridurli.

(Applausi a sinistra e proteste a destra)

 
  
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  Presidente. – Comprenderà senza dubbio che a questo punto della votazione non ho alcuna intenzione di riaprire una discussione. Il gruppo socialista al Parlamento europeo ha pensato che valesse la pena spiegare il suo voto finale con tale osservazione e penso che tutti abbiano compreso che cosa riguardasse. Non è necessario riaprire una discussione. Procederemo pertanto alla votazione sulla proposta comune di risoluzione.

 

7.6. Quadro comune di riferimento per il diritto contrattuale europeo (votazione)

7.7. Progetto di raccomandazione alla Commissione nella denuncia 3453/2005/GG (A6-0289/2008, Proinsias De Rossa) (votazione)

7.8. Parità tra donne e uomini - 2008 (A6-0325/2008, Iratxe García Pérez) (votazione)
  

Prima della votazione sull’emendamento n. 5:

 
  
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  Iratxe García Pérez, relatrice. (ES) Signor Presidente, sulla lista di voto del mio gruppo, il gruppo socialista al Parlamento europeo, avevamo proposto di votare a favore dell’emendamento n. 5, qualora gli autori dell’emendamento avessero accettato che si trattava di un’aggiunta, ma elle conversazioni con loro, non hanno accolto la proposta. Desideriamo pertanto che il paragrafo resti come si presentava in origine nella relazione e non voteremo a favore dell’emendamento n. 5, se non si concorda sul fatto che è un aggiunta.

 
  
  

(Il gruppo GUE/NGL, autore dell’emendamento, è d’accordo)

 

7.9. Clonazione di animali a scopi alimentari (votazione)
  

(La seduta, sospesa alle 11.55, è ripresa alle 12.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. HANS-GERT PÖTTERING
Presidente

 

8. Seduta solenne – Costa Rica
Video degli interventi
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  Presidente. Bienvenido al Parlamento Europeo, Presidente Arias! Presidente della Repubblica di Costa Rica, onorevoli colleghi, a nome del Parlamento europeo, desidero darle un caloroso benvenuto, Presidente Arias.

La sua visita costituisce una pietra miliare nelle relazioni tra il Parlamento europeo, l’Unione europea, Costa Rica e l’America latina.

Óscar Arias, lei è già stato Presidente della Costa Rica, dal 1986 al 1990, e nel 2006 è stato rieletto per un mandato di quattro anni. E’ conosciuto come uno dei vincitori del Premio Nobel per la pace, assegnatole nel 1987 in riconoscimento degli enormi sforzi compiuti nella ricerca di percorsi che portano alla pace in America centrale.

Gli sforzi del Presidente Arias nel suo ruolo di mediatore internazionale hanno dato i loro frutti con l’accordo di pace di Esquipulas, che il 7 agosto 1987 è stato sottoscritto dai presidenti di tutti i paesi dell’America centrale. L’Unione europea ha appoggiato tali sforzi in modo incondizionato.

Il Presidente della Costa Rica costituisce pertanto un modello di ruolo per le persone di tutto il mondo. Una volta ha affermato che è vitale avere valori, principi e ideali e lottare per essi. Presidente Arias, lei si è impegnato su questo punto per molti anni e i cittadini della Costa Rica hanno reso onore ai risultati di tale lavoro rieleggendola due anni fa.

Nel mio discorso pronunciato in occasione del Vertice UE-America latina e Caraibi (ALC), che si è tenuto a Lima, in Perù, nel maggio di quest’anno, ho sottolineato l’importanza fondamentale dell’integrazione regionale per il XXI secolo. Come espresso sinteticamente da Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione europea, si tratta di “costruire l’unione tra le persone, non la cooperazione tra gli Stati”. Presidente Arias, anche lei ha sottoscritto questo ideale e ha lavorato attivamente al fine di realizzarlo.

Dal punto di vista del Parlamento europeo, è auspicabile concludere un accordo di associazione tra l’America centrale e l’Unione europea nel prossimo futuro – e ho detto ciò anche a Lima – e desidero aggiungere, dato che ne abbiamo discusso nel dettaglio proprio ora in occasione del nostro incontro: quando scoppia la guerra da qualche parte, vengono rese disponibili enormi somme di denaro in dollari e in euro o in qualsiasi altra valuta, ma quando è necessario un sostegno al fine di istituire relazioni pacifiche, i paesi discutono per somme di denaro molto inferiori. Dobbiamo offrire alla pace una possibilità.

(Applausi)

Oggi è questo il nostro messaggio alle altre Istituzioni europee.

Presidente Arias, desidero dire, per concludere, che riteniamo che lei e il suo paese continuerete a svolgere un ruolo cruciale nel portare a una conclusione positiva tali negoziati.

A nome di tutti i membri del Parlamento europeo, desidero porgerle nuovamente il benvenuto. Mi auguro che la sua visita ci offrirà l’opportunità di rafforzare i legami di amicizia tra Europa, Costa Rica e America latina.

Onorevoli colleghi, permettetemi di aggiungere una piccola cosa “in confidenza”: è meraviglioso che il presidente della Costa Rica si trovi qui; ed è una coincidenza molto piacevole – in via eccezionale, oggi mi è permesso di dire l’età di una persona – che il membro della Commissione europea responsabile della politica estera, il Commissario Ferrero-Waldner, festeggi oggi il suo 60° compleanno. Si tratta di un’altra circostanza felice, nonché una buona ragione per augurarle cento di questi giorni.

(Applausi)

 
  
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  Óscar Rafael Arias Sánchez, Presidente della Repubblica di Costa Rica. – (ES) Signor Presidente, vi saluto a nome di una piccola repubblica americana, in cui ogni giorno poco più di 4,5 milioni di persone hanno il coraggio di vivere e di sognare; in cui è stato possibile l’ideale di una società senza l’esercito e in cui celebreremo presto 110 anni di democrazia. Vi saluto a nome di una piccola repubblica americana che nel corso della seconda metà del XX secolo è stata circondata dalle più terribili dittature, senza mai subire essa stessa l’oppressione, che ha rifiutato di essere una pedina nella guerra fredda e che si è trattenuta dall’utilizzare le armi per raggiungere la pace. Vi saluto a nome della Repubblica di Costa Rica.

Signor Presidente, onorevoli deputati:

Due eventi mi hanno preceduto oggi, separati da secoli e decenni, ma sono connessi al presente tanto quanto l’alba di questa mattina. Proprio questo giorno, 225 anni fa, si è conclusa la Guerra d’indipendenza americana con la firma del Trattato di Parigi, la prima ondata del movimento indipendentista che ha attraversato praticamente l’intero continente americano. Inoltre 69 anni fa oggi iniziava la Seconda guerra mondiale con la dichiarazione di guerra di Francia e Regno Unito alla Germania e la comparsa del blocco degli Alleati, che comprendevano gran parte dell’America. Menziono questi eventi dato che salgo su questo podio, simbolo di comunione tra diversi popoli, e lo faccio con la consapevolezza del bagaglio storico che porto sulle spalle e che anche voi portate nel passato di ciascuna delle nazioni che rappresentate. Non siamo venuti qui per stabilire relazioni tra i nostri due continenti, ma per riconoscere che tali relazioni esistono da lungo tempo e che qualsiasi tentativo volto a migliorarle deve iniziare con un tentativo di comprenderle nel loro complesso.

Con la franchezza che deve prevalere tra amici, devo riconoscere che la nostra storia comune ha origine nella dominazione di una civiltà da parte di un’altra. L’America ha conosciuto l’Europa innanzi tutto attraverso il suo potere piuttosto che attraverso le sue idee. La paura ha caratterizzato la conquista e l’indignazione ha caratterizzato la colonizzazione. Ciononostante, non possiamo mancare di ammirare questa cultura millenaria. A dispetto delle battaglie che abbiamo combattuto, è innegabile che l’Europa abbia acceso il lume della ragione nella nostra terra e che abbia istillato in noi un attaccamento alle migliori cause di umanità, cause che non abbiamo abbandonato quando abbiamo ottenuto l’indipendenza.

Queste sono state le cause che mi hanno portato in Europa 21 anni fa, nel corso della mia prima amministrazione quale Presidente della Costa Rica. A quel tempo sono venuto a chiedere che la forza di questo continente contribuisse alla ricerca della pace in America centrale, in cui cinque nazioni stavano lottando tra la vita e la morte nel mezzo di una guerra civile. Gli spargimenti di sangue stavano dividendo i nostri popoli e mettevano i fratelli gli uni contro gli altri. In un crudele esperimento, i poteri dell’epoca ci hanno utilizzati come un terreno di prova al fine di dimostrare la loro potenza: hanno fatto entrare le armi e noi abbiamo subito i morti. Secondo le stime, il numero dei morti è salito a 350 000. Su base proporzionale, ciò equivale a quasi 4 milioni di cittadini americani morti nella guerra in Iraq. E’ stato solo con il raggiungimento della pace che abbiamo potuto garantire un futuro per la nostra regione.

All’epoca, l’Europa era la risposta alle nostre preghiere. Il sostegno morale di questo continente ha legittimato i nostri sforzi volti a individuare una soluzione diplomatica ai conflitti, una soluzione dell’America centrale ai problemi dell’America centrale. Gli aiuti internazionali che ci avete fornito a quell’epoca sono stati ampi e generosi e sono stati il simbolo di un sincero desiderio dell’Europa di contribuire al progresso delle nazioni dell’America centrale.

Ora, 21 anni dopo, torno in Europa e, come Fray Luis de León quando è uscito da quattro anni di prigione, mi sento tenuto a iniziare con “Come dicevamo ieri…”, perché sotto molti aspetti dobbiamo ricominciare da dove abbiamo lasciato. Le relazioni tra l’Europa e l’America centrale, così vicine in tempo di guerra, sono diventate distanti in tempo di pace. Gli aiuti dell’Europa all’America centrale, che sono stati così grandi in un periodo di oppressione, sono diventati più moderati in un periodo di libertà. Non avremmo mai immaginato che superando la soglia della pace, saremmo entrati nel regno dell’oblio. Desidero pensare che questo sia il momento di dimostrare che gli amici che ci hanno sostenuti nei nostri giorni più bui saranno in grado di farlo anche nei nostri giorni più radiosi, precisamente perché ora stiamo vivendo giorni radiosi.

Oggi desidero proporre tre linee d’azione, attraverso le quali potremmo rafforzare i nostri legami e lottare, gomito a gomito, al fine di costruire le utopie che voi stessi ci avete insegnato a perseguire: la firma dell’accordo di associazione UE-America centrale, il Consenso di Costa Rica e “la pace con la natura”.

Son ben consapevole che in quest’Assemblea vi sono tutti i generi di opinioni riguardo al libero scambio. Tuttavia, so anche che tali opinioni sono espresse dalla prospettiva dall’alto di coloro che hanno la grande fortuna di vivere in una nazione sviluppata. Oggi desidero fornirvi la prospettiva dal basso delle pianure. Per un paese come il mio, uno dei più piccoli del pianeta, non è possibile produrre tutto ciò che consuma. Siamo destinati a essere i fenici dell’era moderna. Nell’epoca della globalizzazione, il dilemma che i paesi in via di sviluppo hanno di fronte è tanto crudo quanto semplice: se non possiamo esportare di più e più beni e servizi, finiremo con l’esportare sempre più persone.

E’ palese che l’Europa debba occuparsi degli interessi del popolo europeo. E’ altresì palese, tuttavia, che gli interessi del popolo europeo, e di qualsiasi razza del mondo, siano sempre più determinati dal destino comune dell’umanità. Nessuna nazione può andare avanti indifferente, mentre al di là dei suoi confini dilagano fame, ignoranza, violenza e malattia. Mentre le disparità tra le nostre nazioni restano così notevoli, una diaspora globale continuerà a portare migliaia di vite umane attraverso oceani, fiumi e muri di città a cercare le opportunità che non sono stati in grado di trovare nei loro stessi paesi.

L’accordo di associazione tra l’America centrale e l’Unione europea, che potrebbe essere il primo accordo tra regioni concluso dall’Unione europea, costituisce l’opportunità più vicina, più palese e più immediata che l’Europa ha al fine di rivitalizzare la sua presenza in America latina. Dalla creazione del mercato comune dell’America centrale, poche iniziative hanno avuto un potenziale maggiore per accelerare la crescita economica negli dell’America centrale, al fine di modernizzare le nostre istituzioni e fornire nuove opportunità a quelle persone dell’America centrale che ancora vivono in povertà. Per l’Europa, giungere a questo accordo significherebbe assumere la posizione di guida che ha perso e occupare il posto vacante sul fronte della lotta per lo sviluppo della nostra America latina. Ieri eravamo alleati per la pace, oggi possiamo essere partner nello sviluppo.

Tuttavia, l’America centrale e l’Europa presentano ancora differenze colossali che sono da considerare. La prima è costituita dalla diversità tra i nostri due modelli di integrazione: l’Europa deve accettare che l’integrazione centroamericana si è verificato nel modo permesso dal nostro sviluppo istituzionale. Ora siamo la regione maggiormente integrata del mondo sviluppato e pensiamo pertanto che non sia giusto che ci vengano imposte condizioni riguardo alla nostra integrazione al fine di far progredire i negoziati; condizioni che sono difficili da rispettare per l’America centrale e che, inoltre, non sono imposte ad altre regioni del pianeta.

La seconda differenza tra le nostre regioni, e forse la più importante, è la diversità tra i nostri livelli di sviluppo: è fondamentale che la componente commerciale dell’accordo conceda un trattamento asimmetrico a favore dell’America centrale e soprattutto che eviti la terribile pratica di mantenere le barriere nei settori in cui è proprio l’America centrale ad avere vantaggi comparativi. Se giungiamo a un accordo sulla base di tali presupposti, l’Europa compirebbe un balzo enorme a vantaggio del popolo centroamericano, ma anche dell’Europa, perché in un periodo di crisi internazionale, l’Europa potrebbe trarre enormi benefici da un’economia che nel corso degli ultimi cinque anni è cresciuta a un tasso quasi doppio rispetto a quello dell’economia europea.

L’Europa può iniziare a svolgere un nuovo ruolo di guida nel mondo in via di sviluppo, ma prima deve garantire che questo ruolo di guida andrà senza dubbio a vantaggio dello sviluppo. Goethe ha detto che: “Niente è più dannoso per una nuova verità che un vecchio errore”. Non possiamo entrare in una nuova fase di cooperazione internazionale portando al contempo i fardelli del passato, in particolare il fardello di una spesa militare che è di per sé veramente offensiva per i quasi 200 milioni di persone latinoamericane che languono in povertà. E’ tempo che la comunità finanziaria internazionale impari a separare il grano dal fieno, e a riconoscere, con le prove sotto gli occhi, quali spese si traducono in una migliore qualità della vita per gli esseri umani e quali no.

Non è un distintivo di onore che nel 2007 la spesa militare dell’America latina ammontasse a 36 miliardi di dollari, in una regione che, con la sola eccezione della Colombia, attualmente non sta vivendo un conflitto armato. Con il denaro che viene speso per un singolo caccia Sukhoi Su-30k si potrebbero acquistare circa 200 000 laptop MIT Media Lab XO per i nostri studenti. Con il denaro speso per un solo elicottero Black Hawk si potrebbe pagare una borsa di studio di 100 dollari al mese a 5 000 giovani latinoamericani. Le nazioni sviluppate del pianeta non devono appoggiare, con aiuti e risorse, la decisione di coloro che preferiscono equipaggiare i loro soldati piuttosto che istruire i loro bambini. Ecco perché, onorevoli deputati, il mio governo ha annunciato il Consenso di Costa Rica, un’iniziativa volta a creare meccanismi per la cancellazione del debito e il sostegno, mediante risorse finanziarie, dei paesi in via di sviluppo che investono maggiormente in protezione ambientale, istruzione, sanità e alloggi per i loro popoli e in minor misura in armi e soldati. Mi auguro ancora che un giorno, con il vostro sostegno, il Consenso di Costa Rica diventi realtà.

Mi auguro altresì che saremo in grado di adottare un piano che sia strettamente connesso al Consenso: il Trattato sul trasferimento di armi che la Costa Rica ha proposto in seno alle Nazioni Unite e che vieta ai paesi di trasferire armi a Stati, gruppi o individui, qualora vi sia una ragione sufficiente di credere che tali armi verranno utilizzate per violare i diritti umani e il diritto internazionale. Non so quanto tempo ancora saremo in grado di sopravvivere senza renderci conto che uccidere molte persone, poco a poco, ogni giorno, è riprovevole proprio quanto uccidere molte persone in un giorno solo. Il potere distruttivo di 640 milioni di armi piccole e leggere che vi sono nel mondo, il 74 per cento delle quali sono in mano a civili, si è rivelato essere più letale di quello delle bombe nucleari e costituisce una delle principali forze motrici alla base dell’insicurezza pubblica a livello sia nazionale che internazionale. La paura di morire non deve essere la chiave in cui è scritto il futuro del nostro popolo. Oggi possiamo fare qualcosa al fine di garantire che non sia così.

Vi è ancora solo una cosa che desidero aggiungere e che riguarda la violenza e la distruzione, ma non solo contro gli esseri umani, bensì contro tutte le forme di vita. Ogni foresta che abbattiamo, ogni tonnellata di biossido di carbonio che emettiamo nell’aria, ogni fiume che inquiniamo, ci porta sempre più vicino alle porte dell’estinzione della nostra specie, sulla cui soglia, come all’ingresso dell’inferno di Dante, dovremo lasciare ogni speranza. Mi rifiuto di essere testimone oculare di un’umanità che attraversa quelle porte.

Sessant’anni fa, l’ex Presidente della Costa Rica, José Figueres, ebbe l’idea di abolire l’esercito nazionale e pertanto di dichiarare la pace al mondo. Abbiamo ora preso la decisione di dichiarare “la pace con la natura”. Ci siamo ripromessi di essere un paese neutrale in termini di emissioni di carbonio a partire dal 2021, quando celebreremo i 200 anni dell’indipendenza. Lo scorso anno siamo diventati il paese con il maggior numero di alberi pro capite e per chilometro quadrato del pianeta, piantando 5 milioni di alberi. Nel 2008 ne pianteremo altri 7 milioni. Stiamo guidando una crociata internazionale contro il riscaldamento globale e oggi sono a chiedervi umilmente di unirvi a noi.

Il riscaldamento globale ha reso possibile la crescita degli ulivi sulle coste dell’Inghilterra, il che costituisce davvero un segnale allarmante per la comunità scientifica. Diversamente dall’episodio biblico, questa volta la colomba non porterà un ramoscello d’ulivo come segno di pace, ma come segno di pericolo. Oggi chiedo di inviare questa colomba nel più lontano angolo del pianeta, così che possa ritornare portando la volontà di tutte le nazioni del mondo di cambiare. Solamente insieme saremo in grado di formare una nuova alleanza, questa volta non tra Dio e l’uomo, bensì tra l’uomo e il Creato di Dio.

Signor Presidente:

Il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges era solito definirsi un europeo esiliato, alludendo agli antenati europei di gran parte della popolazione del nostro continente americano. Dopo secoli di mescolanze e interscambi di razze, qui probabilmente vi sono anche molti americani esiliati. Ci ha esiliato la sorte geografica di un oceano e la sorte storica di un pendolo che ci unisce e ci separa in base alle circostanze. Credo che sia tempo di lasciare questo pendolo fisso sull’unione, al fine di seguire ancora una volta la direzione presa dai venti 180 milioni di anni fa, precedentemente rispetto alla comparsa della prima faglia sul pianeta, quando l’Europa era unita all’America, e sarebbe stato possibile camminare da Parigi e New York.

Siamo tutti membri di un’unica specie, che è ancora capace di cogliere i fiori migliori dal giardino della vita. I nostri sogni costituiscono un patrimonio comune e le nostre decisioni hanno un impatto sulle vite degli altri, che ci piaccia o no. Penso che questo, lungi dall’essere una minaccia, rappresenti senza dubbio una meravigliosa opportunità. Credo, come ha affermato il più grande poeta costaricano, Jorge Debravo, che sia “meraviglioso, soprattutto, sapere che abbiamo il potere di far vivere le cose più lontane che tocchiamo, di allargare lo sguardo e di non vedere alcun ostacolo, perché tutte le cose che vediamo diventano, insieme a noi, infinite”. Non ho alcun dubbio in merito al fatto che saremo in grado di utilizzare questo potere infinito per il bene di tutti, sia europei che americani, e che seguiremo fianco a fianco la stella di un domani di maggiore giustizia e libertà.

(L’Assemblea, in piedi, applaude lungamente)

 
  
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  Presidente. − Presidente Arias, a nome del Parlamento europeo, desidero ringraziarla sentitamente per questo straordinario ed eccellente discorso. Le sue parole esprimono che lei e il suo paese rappresentate democrazia e libertà; lavora contro la violenza, contro il terrorismo, contro la dittatura. Quando dice che la Costa Rica è un piccolo paese, io desidero sottolineare che la popolazione di un paese o la sua area geografica non costituiscono i principali fattori. Ciò che importa è lo spirito di un paese e del suo presidente. Chiunque abbia ascoltato il suo discorso sa che il Presidente Arias e la Costa Rica rappresentano libertà e democrazia. Ciò rende la Costa Rica un grande paese nel mondo.

(Applausi)

Lei è un uomo di pace, ed è per questo che nel 1987 le è stato conferito il Premio Nobel per la pace, dopo il quale, comunque, lei non si è ritirato; sono passati 21 anni e ora lei sostiene la pace tra le persone e la pace con la natura. Il Parlamento europeo è al suo fianco nel difendere questi principi.

Desidero altresì dare un caloroso benvenuto ai ministri del suo governo, che l’accompagnano – il ministro per le Relazioni estere, Stagno Ugarte, e il ministro per il Commercio estero, Ruiz Gutiérrez, che si trovano anch’essi in quest’Aula, insieme a molti cittadini della Costa Rica, che vivono qui a Bruxelles e in Belgio. Siate orgogliosi del vostro paese! Non in senso nazionalista, perché allora anche i paesi retti da dittature e che sono governati dalla violenza potrebbero essere orgogliosi del loro paese, ma siate orgogliosi del vostro, della Costa Rica, perché difendete i valori giusti: democrazia, libertà e pace.

Ancora molte grazie. Muchas gracias, Presidente Arias!

(Applausi)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. GÉRARD ONESTA
Vicepresidente

 

9. Turno di votazioni (proseguimento)
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  Presidente. – Continuiamo con il turno di votazioni.

 

9.1. Impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini (A6-0199/2008, Eva-Britt Svensson) (votazione)

10. Dichiarazioni di voto
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Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

– Situazione in Georgia (B6-0402/2008)

 
  
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  Michl Ebner (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione e desidero ringraziare in particolare l’onorevole Brok per gli sforzi compiuti al fine di ottenere un ampio consenso in proposito.

Ritengo che, sebbene sia vitale per il dialogo con la Russia, dobbiamo assicurarci di non diventare completamente o prevalentemente dipendenti dalla Russia per quanto attiene la politica energetica, perché ciò diminuisce seriamente il nostro potenziale di tenere discussioni. Non si deve dimenticare che la risposta militare della Georgia si ricollega a una lunga storia di provocazioni ad opera delle forze separatiste, che di recente sono diventate molto intense e che la Russia ha utilizzato tale misura di autodifesa come ragione dell’invasione. Ciononostante, dobbiamo far sì che diventi la nostra prima priorità al fine di giungere a una soluzione pacifica di questo conflitto e auguro un rapido successo a tutti coloro che sono coinvolti così che anche Crimea, Lettonia, Lituania e Kazakistan non prendano la stessa direzione dell’Ossezia meridionale.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE).(LT) I politici europei stanno ora rompendo un lungo silenzio e descrivono come sproporzionate le azioni della Russia in Georgia. No, questo è un caso di diritti dei russi in altri paesi protetti mediante un’aggressione militare. Alcuni paesi dell’UE che hanno bloccato le prospettive di Georgia e Ucraina di aderire alla NATO hanno messo la Russia in condizione di perseguire la sua politica aggressiva di annessione di territori. La maggior parte dei paesi dell’UE dipendono dalle importazioni di energia dalla Russia; temono che il rubinetto del gas venga chiuso. Ciò permette alla Russia di iniziare a dettare le sue condizioni all’UE nel suo complesso in modo veramente sproporzionato. Ho votato a favore della risoluzione, sebbene pensi che la posizione sia della Commissione che del Parlamento in merito alle future relazioni con la Russia non sia stata definita in modo sufficientemente chiaro.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE-DE).(SK) Penso che dobbiamo porre fine all’accordo sulla liberalizzazione dei visti, ritirare le unità russe di pace e sostituirle con unità internazionali e, terzo, interrompere le discussioni sul partenariato e la cooperazione con la Russia. Penso inoltre che l’Europa debba adottare una posizione chiara e compatta in merito alla situazione in Georgia e che non debba chiudere un occhio sulla brutale ingerenza della Russia nella sovranità e nell’integrità di uno Stato vicino.

Mosca ha violato accordi internazionali quando, all’inizio di agosto, le sue truppe hanno attraversato i confini della Georgia, che essa stessa aveva riconosciuto in passato. Le truppe russe non solo sono entrate nel territorio dell’Ossezia meridionale, ma sono avanzate ulteriormente all’interno del paese stesso.

Condanno assolutamente il riconoscimento della Russia della dichiarazione di indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale. Non dobbiamo dimenticare che, mentre alcuni celebrano l’indipendenza, la Georgia porta il lutto per gli innocenti che hanno perso la vita e la casa con l’invasione delle truppe russe. Sono convinto che l’Europa debba esercitare pressione e, in quanto parte della comunità internazionale, spingere per l’integrità territoriale della Georgia.

La Repubblica slovacca ha aderito al principio dell’integrità territoriale nel caso del Kosovo e ancora non riconosce la sua separazione dalla Serbia. Nello stesso spirito, non riconosco l’indipendenza delle regioni georgiane e dell’Ossezia meridionale.

 
  
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  Toomas Savi (ALDE).(EN) Signor Presidente, quale uno degli autori della proposta di risoluzione sulla situazione in Georgia, ho votato a favore dell’emendamento 1, invitando il Comitato olimpico internazionale a valutare seriamente se è ancora valida la sua decisione di assegnare i Giochi olimpici invernali del 2014 a Sochi alla luce dei recenti eventi verificatisi nelle strette vicinanze delle future sedi olimpiche. Sarebbe molto irresponsabile qualora il CIO mettesse in pericolo le vite degli atleti olimpici tenendo i giochi in una regione così imprevedibile.

Non serve che vi ricordi che, il 5 settembre 1972, a Monaco, sono stati massacrati 11 atleti olimpici. Mi trovavo lì come medico per la squadra olimpica sovietica e ricordo l’impatto di quei tragici eventi sullo spirito olimpico. Tali eventi non devono verificarsi mai più.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, nutro molto rispetto per l’onorevole Schulz, ma la sua dichiarazione di oggi è stata inaccettabile. Prima, questa mattina, il Presidente Medvedev ha descritto il Presidente democraticamente eletto della Georgia, il Presidente Saakashvili, come un “cadavere politico”. Persino da un punto di vista democratico, questo sarebbe oltraggioso, ma quando si considera che il Presidente Medvedev rappresenta un regime che ha visto assassinare il predecessore al suo predecessore, Zviad Gamsakhurdia, che ha visto assassinare il presidente delle Cecenia e che ora ha visto assassinare un attivista dell’Ingushezia per i diritti civili, allora equivale quasi a una minaccia fisica.

Qui non si tratta del fatto che il Presidente Saakashvili ci piaccia o meno; si tratta dell’obbligo di appoggiare i rappresentati eletti del popolo georgiano, che sono diventati vittime di un’azione imperialistica e su cui è stato fatto un tentativo di strangolamento. Credo pertanto che sia vitale che, in seguito alla nostra risoluzione, che accolgo con favore, compiamo un passo ulteriore e dislochiamo truppe europee per ristabilire la pace in Georgia. Non abbiamo bisogno di un mandato delle Nazioni Unite o dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, dato che la Georgia è una nazione sovrana e ci ha chiesto una presenza europea. Dobbiamo altresì garantire che questo paese possa sopravvivere e continuare in pace, perché avendo truppe russe come contingente di pace, come l’ONU e l’OSCE hanno organizzato, è come dare al piromane il ruolo del capo dei vigili del fuoco.

 
  
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  Bogdan Pęk (UEN).(PL) Signor Presidente, la presente risoluzione sulla Georgia è importante e vi ho votato a favore, sebbene ritenga che l’Unione europea, che si è trovata di fronte a una prova importante come risultato degli eventi in Georgia, l’abbia fallita. La ragione principale del suo fallimento, a mio avviso, è perché qui sono coinvolti alcuni interessi tedeschi importanti, in particolare gli interessi della sinistra tedesca e del Cancelliere Schröder. L’onorevole Schulz li ha espressi qui oggi senza mezzi termini.

L’Unione europea deve comprendere che il gasdotto baltico può essere la causa di ciò che effettivamente equivale a un ricatto di Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia, nonché della Bielorussia. Ci si deve disfare di questo gasdotto e l’Unione europea, nonostante le sue dichiarazioni, deve finalmente prendere una posizione in merito a una politica energetica comune che non ha in nessun caso spazio per il gasdotto baltico, anche se ciò va contro ad alcuni interessi tedeschi. I tedeschi devono scendere a patti col fatto che o stanno forgiando un’Unione europea unita e le loro dichiarazioni sono sincere o stanno agendo in modo ipocrita e anteponendo i propri interessi a quelli dell’UE.

 
  
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  Milan Horáček (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione, ma un po’ a malincuore. La guerra tra la Russia e la Georgia ha evidenziato differenze nel trattare la crisi. In Georgia vi sono diversi problemi irrisolti, ma la Russia si sta comportando secondo la tradizione instaurata da tempo dei dittatori semiasiatici, con imbrogli, provocazioni e brutalità belliche. Si tratta di un pericolo non solo per l’Ucraina, ma anche per noi.

La nostra forza sono i diritti umani, la democrazia, lo Stato di diritto e la libertà per il cui ottenimento tutti noi abbiamo lottato duramente – libertà dalla dipendenza e dalla schiavitù. Questi valori necessitano urgentemente di essere difesi attraverso una politica estera e di sicurezza comune.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la delegazione dei conservatori britannici ha appoggiato la proposta di risoluzione sulla Georgia, che è in generale equilibrata. Abbiamo tuttavia delle obiezioni al paragrafo 19, in cui si richiede una missione militare della PESD in Georgia – sebbene non vediamo nulla di controverso in una presenza di osservatori civili dell’UE.

Analogamente, il paragrafo 30, in cui si afferma che il Trattato di Lisbona aiuterebbe la posizione dell’UE relativamente alla gestione della crisi, è, a nostro avviso, infondato. Appoggiamo una politica esterna di sicurezza comune sull’energia nel quadro della PESC in merito alle importazioni di petrolio e gas russo, ma non vediamo quale differenza avrebbe comportato il Trattato di Lisbona nella gestione di questa crisi. Non si tratta della debolezza globale dell’UE nell’ambito degli affari esteri, ma della prepotenza russa e del revanscismo nel Caucaso meridionale.

 
  
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  Richard Falbr (PSE).(CS) Mi sono astenuto, perché la risposta alla domanda: “E’ vero che i georgiani hanno attaccato una città nel sonno con i lanciarazzi?” è “sì”.

 
  
  

– Diritto contrattuale europeo (B6-0374/2008)

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signor Presidente, ci atteniamo alla domanda che l’onorevole Lehne desidera porre alla Commissione. In effetti, pensiamo che i problemi del diritto contrattuale in Europa debbano rispondere a due necessità fondamentali, che vanno di pari passo. La prima è la necessità di chiarezza e di semplicità, la seconda è la necessità di sicurezza. Siamo lieti che il relatore abbia tenuto conto del notevole lavoro compiuto dalla Société de législation comparée e ci auguriamo che esso venga svolto facendo riferimento alla nostra eredità comune, il diritto romano. Le norme sull’autonomia contrattuale, le norme sulla validità, sui vizi del consenso e sulla pubblicità sono state fissate nella nostra civiltà sin dai tempi antichi. E’ ad esse che dobbiamo fare riferimento; a questa eredità giuridica comune della nostra civiltà.

Ci auguriamo altresì che, affinché le transazioni siano sicure, l’unificazione delle norme sul conflitto di leggi debba precedere l’unificazione delle norme di diritto sostanziale. I contratti stipulati tra soggetti di luoghi diversi, e in particolar modo la difficile questione della presentazione dell’offerta, o la pollicitazione, e l’accettazione, le procedure, i tempi e le prove possono essere tutti unificati senza dover necessariamente unificare le norme di diritto sostanziale delle nostre diverse normative.

 
  
  

– Relazione: Proinsias De Rossa (A6-0289/2008)

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, alcuni giorni fa in un’isoletta della Sardegna, alcuni indipendentisti del Partito indipendentista sardo con metodi pacifici e intenti ecologici hanno proclamato la repubblica dal nome poetico e di assonanza polinesiana “Repubblica di Maluventu”. Al Presidente è già pervenuta la carta ispirata alla Carta dell’ONU e al sacrosanto principio di autodeterminazione dei popoli, la segnalo alla sua attenzione. L’Europa è sempre solidale con chi si batte per la libertà con metodi pacifici e democratici! Viva la battaglia del popolo sardo per la sua autodeterminazione!

 
  
  

– Relazione: Iratxe García Pérez (A6-0325/2008)

 
  
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  Frank Vanhecke (NI). (NL) Non ho votato a favore della relazione García Pérez nonostante la mia convinzione che le donne e gli uomini siano senza dubbio uguali e debbano certamente ricevere pari retribuzione per lo stesso lavoro. Dimentichiamo ancora troppo spesso che la parità di genere costituisce uno degli inequivocabili successi dell’Europa di oggi, del mondo europeo, del mondo occidentale, e che questo principio non è affatto stabilito in nessun altra parte del mondo. Non dobbiamo mai dimenticarlo.

Questo, tuttavia, costituisce solo un aspetto della presente relazione. La relazione è altresì ricolma di molti altri punti con cui fondamentalmente non mi trovo concorde. Un esempio è costituito dall’appoggio alle perenni quote elettorali per le donne, come se le donne fossero creature inutili incapaci di ottenere una posizione da sole sulla base delle loro capacità. Un altro punto è il costante appoggio all’aborto: mi domando che cosa ci faccia nella presente relazione.

E’ stato per tutte queste ragioni e per molte altre che non ho votato a favore della relazione García Pérez.

 
  
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  Christopher Heaton-Harris (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, per qualche strana ragione oggi ho interrotto la tendenza di una vita in questo Parlamento non votando contro una relazione della commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere – mi sono astenuto.

In passato, ho costantemente votato non a favore di queste relazione perché di solito sono assolutamente piene di spazzatura. Ma, in quanto uomo sposato padre di due figlie, cerco di leggere ogni parola contenuta in questi testi e indovinare cosa significano effettivamente.

Nutro qualche preoccupazione circa la commissione da cui proviene questa roba – non penso che qui abbiamo davvero bisogno di una commissione per le donne dato che disponiamo di una commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Vi sono alcune espressioni nella presente relazione – la “femminilizzazione della povertà”, ad esempio – che non significano assolutamente nulla ma che suonano in modo eccezionale per la brigata PC che sta là fuori.

Mi domando che cosa penserebbe questa commissione, diciamo, di coloro che rompono il soffitto di vetro: ad esempio, una madre di cinque figli, il cui minore ha la sindrome di Down e la maggiore potrebbe essere incinta di cinque mesi – come nel caso del potenziale vicepresidente degli Stati Uniti, Sarah Palin? Penso che alla commissione non piacerebbe il fatto che sia passata attraverso il soffitto di vetro. Ma in merito alla presente relazione mi sono astenuto.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN).(PL) Signor Presidente, sebbene sia una sostenitrice della parità di diritti, non ho votato a favore della risoluzione sulla parità tra le donne e gli uomini. La presente risoluzione comprendeva alcuni punti criptoabortisti e viola pertanto in questo ambito il principio di sussidiarietà. Il fatto che l’emendamento 2 – un emendamento che rimuove tali punti – sia stato respinto nella votazione rende necessario respingere l’intera risoluzione. E’ una vergogna che il Parlamento europeo possa violare con tale leggerezza i principi fondamentali secondo i quali funziona l’Unione europea.

 
  
  

– Clonazione di animali (B6-0373/2008)

 
  
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  Hynek Fajmon (PPE-DE).(CS) Signor Presidente, non ho votato a favore del divieto sulla clonazione. Un divieto sulla clonazione costituisce un attacco alla libertà della ricerca scientifica e alla libertà d’impresa. Limitare tali libertà non gioverà affatto all’Unione europea, ma porterà a un ulteriore fuga di cervelli verso gli Stati Uniti d’America e altri paesi del mondo in cui non esistono tali divieti. Un divieto sul commercio di tali prodotti porterà poi a ulteriori controversie commerciali in seno all’Organizzazione mondiale del commercio. Non vogliamo tali sviluppi.

La salute e altri rischi della clonazione devono essere valutati in modo adeguato secondo i processi e le procedure applicabili e i risultati devono essere comunicati al grande pubblico. Nel corso del primo semestre di quest’anno, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha condotto una consultazione scientifica in merito a questo tema, i cui risultati non forniscono alcuna ragione per vietare la clonazione.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, non ho votato a favore della risoluzione sul divieto degli animali clonati nella nostra catena alimentare, a causa della mancanza di rigore scientifico a sostegno del nostro approccio in parlamento. Che si tratti di un voto legislativo, di una risoluzione su un’interrogazione parlamentare o di una relazione d’iniziativa, le decisioni prese dal Parlamento europeo e le votazioni della plenaria sono seriamente sminuite se non si reggono su un controllo scientifico rivisto tra pari. La credibilità e l’integrità del nostro lavoro, pertanto, sono legittimamente messe in dubbio.

 
  
  

– Relazione: Eva-Britt Svensson (A6-0199/2008)

 
  
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  Ivo Strejček (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, non ho votato a favore della relazione Svensson e sono grato di avere l’opportunità di spiegarne il motivo.

Le mie ragioni sono le seguenti. Innanzi tutto, nessun consumatore sa tutto, né tutto sa ogni legislatore. Ecco perché la pubblicità costituisce una parte vitale del commercio e degli scambi. In secondo luogo, ogni pubblicità (sfortunatamente o fortunatamente) deve essere appariscente, attraente, sensazionale e vistosa. Questo è il risultato del fatto che ci sono sempre almeno alcuni produttori che vendono lo stesso prodotto e ciascuno di loro desidera vendere solo il proprio. Terzo, il tentativo dell’onorevole Svensson è attento a tali principi e cerca di migliorare le forze del mercato con passi legislativi artificiali, che danneggeranno e distorceranno le naturali forze del mercato derivanti dalla relazione tra domanda e offerta. Ecco perché non ho votato a favore.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI). (NL) Signor Presidente, se dovessi riassumere le mie ragioni per non votare a favore della relazione Svensson, potrei dire molto semplicemente che, a mio avviso, la presente relazione è del tutto assurda. E’ l’ennesima relazione in cui quest’Assemblea – che dopotutto si ritiene ufficialmente essere che difenda la libertà dei cittadini europei – richiede limitazioni della libertà e censura. Senza dubbio, diverse disposizioni della relazione Svensson, quali il paragrafo 14 sulla censura, direttamente tratte da Fahrenheit 451, un libro che ritrae un mondo in cui i libri sono vietati ed è soppresso il pensiero critico.

Sono in ogni caso molto critico nei confronti di questo Parlamento europeo, tuttavia esso deve badare di non fare di se stesso uno zimbello senza speranze e di diventare una sorta di clone del Soviet Supremo.

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Signor Presidente, desidero congratularmi con l’onorevole Svensson. La sua relazione è uno dei testi più incoraggianti, interventista e politicamente corretto di tutto questo mandato parlamentare. La relatrice sembra davvero convinta che la pubblicità e il marketing costituiscano un’enorme cospirazione volta a contribuire, fin dai primi anni di socializzazione del bambino, a una discriminazione di genere che consolida il perpetuarsi delle ineguaglianze tra uomo e donna lungo tutto l’arco della vita. Questa non è farina del mio sacco: la maggior parte di questa frase è stata presa parola per parola dal considerando M del testo.

La relazione sostiene senza dubbio una maggiore normativa e l’istituzione di enti specificamente coinvolti nel controllo del rispetto di tutte queste nuove norme. Direi jobs for the boys, se quest’espressione non fosse così terribilmente insensibile dal punto di vista del genere. Il paragrafo 14 del testo è il colmo, appoggiando l’eliminazione di ciò che chiama “messaggi che contengono stereotipi di genere” dai testi scolastici, dai giocattoli, dai videogiochi, da Internet e dalla pubblicità. Censura, in altre parole. Non so se il termine “testi scolastici” sia riferisca anche alla letteratura, ma, se è questo il caso, possiamo iniziare immediatamente a bruciare le opere di Shakespeare per le strade.

 
  
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  Christopher Heaton-Harris (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, sono tornato a un comportamento del passato per questa relazione e non ho votato a favore. Desidero specificare alcune delle ragioni per cui l’ho fatto.

Nutro enorme rispetto per la relatrice, l’onorevole Svensson, che ha svolto molto lavoro in questo ambito e costituisce uno dei modelli di ruolo femminile più forti che questo Parlamento potrebbe proporre. Tuttavia, taluni punti della relazione – alcuni dei quali sono stati bocciati – vanno al di là di ogni immaginazione. Nel paragrafo 9 vi era il controllo del pensiero di genere. Nel paragrafo 13 vi era la sfida ai ruoli di genere tradizionali e nel paragrafo 14 qualcosa che si avvicinava a un’avversione per le nuove immagini su Internet.

Le forme maschili e femminili sono sempre state utilizzate in pubblicità. Le forme maschili tendono a essere più belle della mia e le forme femminili tendono a essere più belle, diciamo, di quella di alcuni membri di quest’Assemblea. Questa è pubblicità per voi. Anche la Commissione europea – se guardate il suo sito web, o qualsiasi pubblicità affigga sui suoi edifici – utilizza immagini di uomini e donne che sono leggermente più belli della media.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

– Relazione Amalia Sartori (A6-0140/2008)

 
  
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  Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. (SV) Abbiamo scelto di votare a favore della relazione, perché il suo scopo è la generale armonizzazione della classificazione, dell’etichettatura e dell’imballaggio dei prodotti chimici. Ciò può contribuire a una gestione più sicura dei prodotti chimici, migliorando l’ambiente e la salute.

Avremmo tuttavia desiderato vedere l’etichettatura dei prodotti chimici nella categoria cinque.

Tali prodotti chimici si trovano spesso nelle case e costituiscono una causa importante dell’avvelenamento dei bambini.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) L’apertura a livello internazionale del dibattito sulle sostanze chimiche e il ruolo che esse svolgono nelle nostre vite risale al 1980, prima in seno all’Organizzazione internazionale del lavoro e successivamente in seno alle Nazioni Unite, che hanno adottato il GHS (Sistema generale armonizzato di classificazione ed etichettatura di prodotti chimici) nel dicembre 2002, con una revisione del 2005.

Tali decisioni hanno avuto un impatto a livello comunitario con l’adozione di diversi documenti.

In questo momento, ciò di cui ci stiamo occupando è meramente la proposta di regolamento relativo alla classificazione e all’etichettatura delle sostanze e delle miscele, mediante il quale l’Unione europea ha l’obiettivo di attuare i criteri internazionali concordati dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite per la classificazione e l’etichettatura di sostanze e miscele pericolose, altresì noti come il Sistema generale armonizzato (GHS).

Utilizzando tale sistema, l’obiettivo è concentrarsi sulla protezione della salute umana e dell’ambiente senza ostacolare la circolazione di sostanze e miscele, definendo una classificazione e criteri d’informazione, tra cui i requisiti per l’etichettatura e le schede dati di sicurezza. Ciò si ricollega all’appoggio della sicurezza nel trasporto di beni pericolosi e alla prevenzione di sicurezza per i consumatori, i lavoratori e l’ambiente. Abbiamo pertanto votato a favore di tali relazioni.

 
  
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  Marian Zlotea (PPE-DE), per iscritto. (RO) I prodotti chimici vengono prodotti e commercializzati a livello globale e il rischio che comportano è il medesimo in tutto il mondo. Sostanze considerate pericolose in un paese, in un altro possono avere un regime differente. Nei diversi paesi non devono essere previste descrizioni differenti dello stesso prodotto.

Oltre alla necessità di informazione, l’obiettivo principale del GHS (Sistema generale armonizzato) è la protezione del consumatore. La nuova normativa nell’ambito della classificazione, etichettatura e imballaggio di sostanze e miscele offrirà una maggiore protezione della salute umana e dell’ambiente. Credo che siano stati raggiunti dei compromessi, che contengono buone soluzioni per la salute dei consumatori. Gli utilizzatori professionali di prodotti chimici e i consumatori di tutto il mondo possono trarre vantaggio da un’armonizzazione generale.

In seguito all’applicazione della presente relazione, la protezione delle persone che utilizzano tali sostanze pericolose aumenterà e le imprese saranno più efficienti, riducendo il numero degli incidenti. L’utilizzo di tali sostanze pericolose sarà più sicuro e fornirà agli utilizzatori informazioni corrette, complete e accurate, garantendo una migliore protezione dei consumatori.

 
  
  

– Relazioni: Amalia Sartori (A6-0140/2008) (A6-0141/2008) (A6-0142/2008)

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Le relazioni Sartori affrontano questioni significative, importanti per tutti i nostri cittadini. I prodotti chimici sono prodotti e commercializzati a livello globale e i loro rischi restano i medesimi a prescindere da dove vengono utilizzati; di conseguenza, è appropriato che la classificazione e l’etichettatura di sostanze pericolose siano armonizzate in modo adeguato. Il pacchetto concordato oggi rappresenta un compromesso ragionevole raggiunto tra i gruppi politici e le istituzioni e ho pertanto potuto appoggiarlo.

 
  
  

– Relazione: Anja Weisgerber (A6-0201/2008)

 
  
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  Sylwester Chruszcz (NI), per iscritto. (PL) La relazione legalizza la produzione di autoveicoli alimentati a idrogeno. Si tratta di uno dei rari documenti che assume un approccio ponderato al problema dei combustibili alternativi per i veicoli. E’ particolarmente lodevole nella misura in cui si tratta di una tecnologia completamente innovativa, che è completamente innocua per l’ambiente, in quanto i gas di combustione sono costituiti da acqua. Non ho alcun dubbio in merito al fatto che il documento si ispiri al produttore del veicolo utilizzato da Hans-Gert Pöttering, ma ho deliberatamente votato a favore.

 
  
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  Hanne Dahl (IND/DEM), per iscritto. (DA) Il JuniBevægelsen sta valutando le cellule a combustibile che utilizzano l’idrogeno come vettore energetico basato su energia rinnovabile, quali l’energia solare, eolica e del moto ondoso, come sistema per il trasporto, poiché si tratta di un combustibile pulito, ad esempio non produce inquinamento da particolato e al contempo il combustibile può essere prodotto utilizzando energia rinnovabile. Tuttavia, in generale, gli autoveicoli alimentati a idrogeno hanno un’efficienza energetica molto bassa del 20 per cento dalla fonte alle ruote, il che è ampiamente surclassato dai veicoli elettrici alimentati da batterie al litio controllati da computer, che hanno un livello di efficienza energetica dell’80-90 per cento. Al contempo, milioni di batterie potrebbero risolvere il problema dello stoccaggio dell’energia rinnovabile. Pertanto, desideriamo lavorare affinché la Commissione compia passi avanti nel promuovere questa alternativa.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. (EN) La presente relazione permette di colmare il divario del mercato interno relativo ai veicoli a idrogeno, tenendo presente gli imperativi della protezione del consumatore.

I veicoli a idrogeno devono essere inseriti con urgenza nel quadro UE dell’omologazione tipo, promuovendo di conseguenza la ricerca e lo sviluppo di questa tecnologia ecologica in tutto il mercato interno.

Inoltre, sono state stabilite specifiche tecniche al fine di garantire l’affidabilità e la sicurezza dei componenti e dei sistemi a idrogeno, così come la chiara identificazione degli autoveicoli alimentati a idrogeno mediante l’etichettatura, che sarebbe importante qualora si verificasse un’emergenza.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione Weisgerber. Il potenziale dell’idrogeno come forma pulita di energia è stato riconosciuto da tempo e le tecnologie in questo ambito vengono migliorate costantemente. Ciononostante l’energia a idrogeno può essere veramente efficace come energia verde e pulita solo se l’idrogeno proviene da fonti sostenibili e, preferibilmente, rinnovabili e questo fatto è stato sottolineato nella relazione finale.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. − (DE) Voto a favore della relazione dell’onorevole Weisgerber relativo all’omologazione-tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno.

Promuovere combustibili alternativi ecologici nell’UE costituisce un passo importante che di questi tempi deve essere assolutamente appoggiato. Gli autoveicoli alimentati a idrogeno si prestano a tale scopo, ma devono garantire un elevato livello di sicurezza e di protezione ambientale. Al fine di garantire che sia così, sono urgentemente necessarie condizioni unificate per l’omologazione tipo nell’Unione europea. Senza regolamenti a livello europeo sulla classificazione degli autoveicoli alimentati a idrogeno vi è un rischio che le singole autorizzazioni rilasciate dagli Stati membri distorcano la concorrenza e che le imprese trovino che investire nei veicoli a idrogeno non sia più redditizio.

Un sistema di omologazione tipo unificato offre ai cittadini la protezione di una direttiva a livello europeo e promuove un aumento del numero di veicoli sicuri in termini ambientali, il che è molto importante.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la relazione di Anja Weisgerber concernente l’omologazione tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno. Il testo costituisce un passo positivo nel contribuire a stimolare l’industria a intensificare gli sforzi di ricerca e sviluppo. Incoraggiare l’immissione sul mercato interno degli autoveicoli alimentati a idrogeno contribuirà in modo considerevole a conseguire gli obiettivi dell’Europa relativi al cambiamento climatico. Ho votato a favore delle raccomandazioni della relazione.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Non vi è alcun dubbio in merito al fatto che l’energia a idrogeno costituisca una tecnologia avente un potenziale futuro, ma non è affatto giunta a maturazione. Non solo i costi di acquisto sono ancora troppo elevati per essere finanziati, ma la produzione e lo stoccaggio dell’idrogeno sono costosi. Inoltre, anche se le automobili stesse non producono emissioni nocive, non è ancora chiaro il metodo di produzione dell’idrogeno in modo tale che utilizzi la minor energia possibile e non generi CO2.

Per concludere, non sappiamo altresì ancora se i veicoli elettrici o alimentati a pile a combustibile diventeranno la norma, ma è in ogni caso importante che appoggiamo tecnologie alternative al fine di ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Di conseguenza, ho votato a favore della relazione Weisgerber.

 
  
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  Eluned Morgan (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della presente relazione in quanto questa normativa preparerà la strada per una produzione su vasta scala di tali veicoli e fornirà agli automobilisti europei una reale alternativa nel prossimo futuro. Questa nuova normativa contribuirà ad accrescere lo sviluppo di tali veicoli, garantendo al contempo la loro affidabilità e sicurezza, e le misure inserite nella presente relazione garantiranno che si possano raggiungere i massimi vantaggi ambientali derivanti dagli autoveicoli alimentati a idrogeno.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto. (RO) Costruire motori d’automobile basati sull’idrogeno rappresenta una garanzia per lo sviluppo in futuro di mezzi di trasporto ecologici e per la protezione della salute pubblica. Al fine di ottenere vantaggi ambientali connessi all’utilizzo di veicoli basati sull’idrogeno, quest’ultimo deve essere prodotto in modo sostenibile, migliorando preventivamente il rumore e la qualità dell’aria.

Questo regolamento garantirà che i sistemi basati sull’idrogeno siano sicuri quanto le tecnologie di propulsione convenzionali, contribuendo alla stimolazione dell’industria per la costruzione di questo tipo di veicoli. Occorre creare un quadro adeguato al fine di accelerare l’immissione sul mercato di veicoli con tecnologie di propulsione innovative, così che l’industria dei trasporti contribuisca in modo significativo e un futuro più pulito e più sicuro.

Tenendo in considerazione i problemi globali causati dal cambiamento climatico e la mancanza di fonti di energia, i veicoli a idrogeno devono essere promossi a livello internazionale, in particolar modo nei paesi in via di sviluppo, così come negli USA, al fine di garantire una migliore protezione ambientale contro il riscaldamento globale.

Per questa ragione, ho votato a favore della presente proposta di regolamento, che rappresenta un primo passo verso un’Europa più pulita.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. (EN) Dati i problemi attuali e futuri che colpiscono i veicoli a motore alimentati a petrolio, è chiaro che lo sviluppo di alternative è fondamentale. L’approvazione di specifiche in merito a ciò costituisce un solido passo avanti. La relazione tra il consumo aggregato di petrolio attraverso l’utilizzo dell’automobile a motore e l’aumento delle patologie respiratorie, così come i concomitanti aumenti dell’inquinamento, comporta che la progettazione della “prossima generazione” di veicoli deve riflettere tutto ciò.

Chiaramente, l’aspetto della generazione dell’idrogeno attraverso l’utilizzo dell’energia elettrica solleva considerazioni più ampie, compreso come collocare l’energia per la produzione della corrente elettrica originale. Tuttavia, la presente relazione contribuisce a far procedere, e nella giusta direzione, la discussione e l’industria alla base dell’automobile del futuro.

 
  
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  Bernard Wojciechowski (IND/DEM), per iscritto. (PL) L’idrogeno è universalmente noto come il combustibile più “pulito” e più accettabile dal punto di vista ambientale, dato che la sua combustione in aria o ossigeno produce sono acqua.

Nonostante i significativi problemi associati allo stoccaggio dell’idrogeno e al metterlo in cisterne di combustibile, il lavoro incessante condotto dai centri di ricerca di tutto il mondo indica che questo è il combustibile del futuro. In quanto tale, l’idrogeno ci fornirà una fonte di energia rinnovabile e sicura in termini ambientali.

L’introduzione di criteri UE di omologazione tipo per gli autoveicoli alimentati a idrogeno è fondamentale per l’adeguato funzionamento di un mercato unico e per garantire un elevato livello di sicurezza e di protezione dell’ambiente naturale.

 
  
  

– Situazione in Georgia (B6-0402/2008)

 
  
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  Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. – Voto a favore di questa risoluzione, auspicando un rapido e pacifico epilogo di questa gravissima crisi. Ritengo necessario ribadire due aspetti: da un lato, è intoccabile il principio di inviolabilità dell’integrità territoriale dei vari Stati e, d’altro canto, va sottolineata la necessità di un assoluto rispetto per i diritti delle minoranze presenti.

Certo, dopo la vicenda Kosovo, la voce della comunità internazionale è senza dubbio più flebile e sostanzialmente meno credibile, ma vanno intensificati gli sforzi diplomatici per giungere ad una soluzione credibile e concreta. Ma mentre le cancellerie di tutto il mondo sono al lavoro, è urgente intervenire per fronteggiare la dilagante crisi umanitaria legata alla presenza di un crescente numero di profughi. L’Unione Europea deve farsi promotrice di una task force che allevi le sofferenze di centinaia di migliaia di persone che sono in difficoltà.

Sono in contatto con la referente internazionale Unicef che conferma l’assoluta gravità della situazione: spero che la Commissione Europea, come accaduto in altre situazioni, faccia la sua parte.

 
  
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  Giorgos Dimitrakopoulos (PPE-DE), per iscritto.(EL) I membri del Parlamento europeo appartenenti al partito Nuova democrazia (ND) hanno deciso di astenersi dalla votazione finale sulla risoluzione relativa alla situazione in Georgia. E’ stata presa tale decisione perché il progetto finale di risoluzione, che è stato messo al voto, è stato formulato in modo tale che è stato rimosso il senso di equilibrio presente nei precedenti progetti di risoluzione.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. (EN) Voterò a favore della presente risoluzione comune, perché è importante che l’Unione invii un messaggio forte alla leadership della Russia. Ciononostante, manca di criticare in modo adeguato e di attribuire responsabilità al ruolo della leadership georgiana nel provocare la crisi. Per quanto mi riguarda, sotto l’attuale leadership, la Georgia non è assolutamente sulla strada per aderire alla NATO nel prossimo futuro.

La mia seconda osservazione consiste nel fatto che la crisi rafforza e potenzia la necessità di una politica estera e di sicurezza comune europea. Prima questo aspetto del Trattato di Lisbona sarà attuato e meglio sarà.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) La situazione in Georgia e la posizione assunta in merito costituiscono questioni di politica estera. L’opinione del Junilistan è che né il Parlamento europeo, né qualsiasi altra istituzione dell’UE debbano rilasciare una dichiarazione in merito a tali questioni, perché la politica estera deve essere perseguita a livello nazionale, non dall’Unione europea.

Non sorprende affatto che il Parlamento europeo stia traendo il massimo dall’opportunità di fare propaganda a favore di una politica estera e di sicurezza comune più forte e che, ancor peggio, dell’attuazione del Trattato di Lisbona. Qui oggi possiamo già vedere che i diversi Stati membri hanno opinioni diverse in merito alla questione della Georgia. Di conseguenza, non è auspicabile che l’UE parli con una sola voce, perché tale voce dovrà parlare contro le opinioni di molti Stati membri. I numerosi riferimenti alla NATO sono altresì molto problematici, dato che vi sono paesi che sono membri dell’UE, ma non della NATO.

La situazione in Georgia è molto grave, in particolare in considerazione di tutte le vittime civili del conflitto. Tuttavia, l’UE non deve perseguire una politica estera e pertanto abbiamo votato “no” in merito alla presente risoluzione.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La risoluzione approvata in Parlamento dalla maggioranza, in merito alla quale noi non abbiamo votato a favore, è parte integrante della campagna antirussa di coloro che utilizzano questa linea d’azione al fine di cercare di coprire le loro stesse enormi responsabilità per il peggioramento della situazione internazionale e di fornire un pretesto per nuovi pericolosi passi nell’aumento degli scontri.

Tra gli altri aspetti, la risoluzione nasconde il fatto che alla radice dell’attuale situazione internazionale e della situazione nel Caucaso vi sono la nuova corsa agli armamenti e la militarizzazione delle relazioni internazionali sostenute dagli USA e dalla NATO (con la sua idea strategica offensiva e il suo allargamento ai confini della Russia), la collocazione di nuove basi e missili USA in Europa e la crescente militarizzazione di questo continente, l’aggressione e lo smembramento della Jugoslavia e il riconoscimento dell’indipendenza della provincia serba del Kosovo al di fuori del diritto internazionale, gli attacchi e l’occupazione di Afghanistan e Iraq, vale a dire, l’imperialismo (e le contraddizioni intercapitaliste).

Alcuni di coloro che ora richiedono il rispetto del diritto internazionale, dell’integrità territoriale, della sovranità e dell’indipendenza degli Stati sono proprio le stesse persone, che hanno sostenuto e appoggiato l’aggressione contro la Jugoslavia o l’Iraq. Che ipocrisia!

La strada verso la pace e la salvaguardia del futuro dell’umanità risiede nel rispetto dei principi formulati nell’articolo 7, paragrafo 1, 2 e 3 della costituzione portoghese.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Sono soddisfatto che l’emendamento del mio gruppo abbia avuto successo. Abbiamo chiesto che le autorità russe e georgiane fornissero informazioni in quanto alla posizione delle bombe a grappolo sganciate nel corso delle ostilità, così da accelerare le attività di eliminazione degli ordigni esplosivi.

Il Parlamento ha condannato l’utilizzo della forza e crede che i conflitti nel Caucaso non possano essere risolti con la violenza. La rapidità della rimozione degli ordigni esplosivi eviterà morti tra i civili in futuro.

 
  
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  Ona Juknevičienė (ALDE), per iscritto.(LT) Ho votato a favore degli emendamenti nn. 2 e 5, dato che a mio avviso la Russia sta pretendendo il ripristino dei confini territoriali dell’ex Unione sovietica mediante l’impiego di diversi mezzi. Con le sue azioni in Georgia, ancora una volta la Russia ha dimostrato la sua prontezza a invadere e occupare il territorio di uno Stato sovrano con la pretesa di difendere i diritti dei suoi cittadini, a mio avviso, nella sua risoluzione, l’UE deve chiaramente dimostrare la gratuità dei piani espansionistici della Russia, soprattutto in merito ai paesi del Baltico.

Non votando a favore della clausola 2 del paragrafo 27, desidero dire che l’UE non può e non ha il diritto di decidere se la Georgia sia ancora in fase di adesione della NATO. Siamo solamente in grado di affermare che, il 3 marzo 2008, la NATO ha confermato la possibilità che la Georgia aderisca a questa organizzazione; tuttavia, la decisione spetta allo stato sovrano della Georgia.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE-DE), per iscritto. (PL) Onorevoli colleghi, ho votato a favore della risoluzione sulla situazione in Georgia. L’ho fatto non perché si tratta di una risoluzione ideale; non vi è alcun dubbio a mio avviso che la nostra risoluzione potrebbe essere migliore. Ho esitato in merito al fatto di appoggiare il progetto di risoluzione.

I miei dubbi sono stati sollevati dall’onorevole Schulz proprio prima della votazione. Ha espresso il suo rammarico per il fatto che la risoluzione abbia mancato di criticare il presidente georgiano. Questa rilevante dichiarazione mi ha convinto che la risoluzione avrebbe potuto essere molto peggiore e che avrebbe potuto essere distrutta dal gruppo di pressione a favore della Russia del Parlamento europeo. In ciò che ha detto, l’onorevole Schulz ha sottovalutato l’unità del Parlamento rispetto alla crisi nel Caucaso. E’ ora chiaro che sarebbe stato meglio se il Parlamento europeo avesse tenuto prima una sessione parlamentare sul tema della Georgia. E’ vergognoso che non abbiamo presentato la nostra posizione nel corso di una seduta del Consiglio. E’ vergognoso che non abbiamo avanzato le nostre prescrizioni e le nostre opinioni dinanzi ai leader riuniti degli Stati membri.

 
  
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  Carl Lang e Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (EN) Signor Presidente, assumendo una posizione inequivocabile contro la Russia e impegnando l’Europa nella risoluzione del conflitto, il Consiglio europeo e la maggioranza del Parlamento stanno avviando un processo pericoloso tanto quanto quello che ha fatto precipitare il continente nella Prima guerra mondiale.

Tale processo è il risultato degli allargamenti a est mal preparati, che ci portano più vicini alle zone di conflitto dei Balcani e del Caucaso. Quali saranno allora le conseguenze dell’adesione della Turchia, quali saranno i confini dell’Iraq e dell’Iran? Inoltre, riconoscendo l’indipendenza della provincia serba del Kosovo, i nostri governi hanno aperto un vaso di Pandora, mettendo in dubbio l’integrità territoriale non solo della Georgia, ma della maggior parte dei paesi europei, sia a est che a ovest.

Qualora, come desiderato dai Socialisti, dai Liberali, dai Verdi e dal PPE, la Georgia diventasse un membro della NATO e aderisse a un’Unione europea governata dal Trattato di Lisbona, le nostre nazioni entrerebbero in conflitto con la Russia.

L’Europa di Bruxelles significa guerra. Più che mai, di fronte a una Cina più potente e alla minaccia islamica, è tempo di costruire un’altra Europa, l’Europa degli Stati sovrani, unita con la Russia attraverso i legami di civiltà costituiti dal nostro retaggio greco e cristiano.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la rapida azione intrapresa dalla presidenza francese nel lavorare verso una soluzione per il conflitto tra Georgia e Russia. Se da un lato si possono muovere critiche all’impegno militare di Tbilisi nell’Ossezia meridionale, dall’altro l’azione di risposta intrapresa dalla Russia è sia sproporzionata che una palese violazione dell’integrità territoriale della Georgia.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto.(NL) Vi sono tutte le ragioni di fornire aiuti umanitari al popolo della Georgia e altresì di condannare l’intervento militare nella regione non in conflitto e l’utilizzo di bombe a grappolo da parte della Russia. Gli aspetti della presente risoluzione che respingono sono il suo schierarsi con la Georgia e il suo tentativo di punire e isolare la Russia e di circondarla con la NATO al fine di riconoscere l’indipendenza dell’Abkhazia e l’Ossezia meridionale.

Davvero molti dei paesi europei di oggi si sono in effetti creati staccandosi da un altro paese, rilasciando una dichiarazione di indipendenza unilaterale e ottenendo infine il riconoscimento da parte di altri paesi. La maggior parte dei paesi europei sono nati dopo il 1830, in particolar modo in ondate successive al 1918 e al 1991. Il Kosovo ha costituito l’esempio più recente. Non vi è assolutamente alcuna ragione per dichiarare eccezionale la genesi del Kosovo o di fingere che questa sarà l’ultima volta che un paese verrà creato.

Non è mai l’ultima volta. Fintanto che esistono regioni in cui la maggioranza degli abitanti considerano il governo al potere inutile o persino minaccioso, percependolo come una dominazione straniera, continueranno a formarsi nuovi paesi. Ci esorto a riconoscere che gli abitanti dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale non desiderano essere subordinati alla Georgia.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) La Russia è importante per l’UE non solo in quanto fornitore di energia, ma anche come contrappeso alla determinazione dell’America a dominare del mondo. Per tali ragioni, ma altresì al fine di evitare di mettere a rischio la sua credibilità, è importante che l’UE giochi un ruolo neutrale in qualità di mediatore tra Georgia e Russia.

Vi sono comunità russe molto ampie in molti Stati dell’ex Unione sovietica, come l’Ucraina, il che rende più facile capire perché il Cremlino pensa di avere una responsabilità particolare nei confronti di questi gruppi di persone russe. L’UE potrebbe aiutare a negoziare una soluzione che sarebbe accettabile per tutte le parti e, ad esempio, parlare a sostegno di generosi diritti delle minoranze etniche per i Russi nell’era post-sovietica, che si inserirebbero negli obiettivi relativi ai diritti umani dell’Unione europea spesso citati. Tenendo a mente ciò, allora, appoggio la posizione risultante dal vertice speciale e sono contro l’atteggiamento da “vassalli” degli Stati Uniti presente in questa relazione, ed ecco perché non ho votato a favore.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto.(EL) La risoluzione comune difende la politica UE, che sfrutta la crisi nel Caucaso. Si tratta di un tentativo di intensificare l’intervento e la presenza dell’UE in questa regione fondamentale. Mascherata da mediatrice di pace, propone una serie di misure volte ad agevolare il suo consolidamento e il suo intervento nel Caucaso. La risoluzione è provocatoria, poiché non condanna il brutale attacco operato dal governo Euro-NATO della Georgia e l’assassinio di migliaia di civili. Al contrario, offre qualsiasi aiuto possibile alla politica della Georgia e alla sua adesione alla NATO. La condanna del movimento separatista dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia è una risibile ipocrisia, per non dire di peggio, alla luce dello smembramento della Jugoslavia e della recente decisione dell’UE in merito al Kosovo.

In mezzo alla rete di conflitti e rivalità tra l’UE, gli Stati Uniti e la Russia, la risoluzione del Parlamento europeo è quasi identica alla politica USA, poiché assume una posizione unilaterale contro la Russia al fine di ottenere una migliore posizione negoziale per una quota dei mercati euroasiatici e risorse che generano ricchezza.

L’aggravamento del conflitto e delle rivalità ad opera degli imperialisti e il tentativo della Russia di promuovere la sua posizione nella piramide imperialista crea nuovi pericoli per le popolazioni del Caucaso e della regione più ampia. La risposta delle persone può e deve essere l’unione nella lotta antimperialistica.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto.(EL) Come tutto il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica all’unisono, non ho votato a favore della risoluzione sulla situazione nel Caucaso, poiché vede la crisi attraverso le lenti deformanti di una politica e di un opportunismo a favore di Bush. L’aspetto peggiore e maggiormente provocatorio della risoluzione è il fatto che evita la minima critica alla linea di azione opportunistica intrapresa dal Primo Ministro georgiano Saakashvili, che ha innescato la crisi in modo tale da contrariare i suoi protettori americani. La posizione assunta dalla maggioranza in seno al Parlamento europeo si oppone direttamente a quella assunta sei mesi fa dalle stesse forze politiche in merito alla questione del Kosovo.

Non si può ottenere stabilità nella regione del Caucaso attraverso una politica in cui si fa da spalla agli Stati Uniti, che chiude un occhio sul reale stato di cose e che persegue una politica di due pesi e due misure.

 
  
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  Ioan Mircea Paşcu (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore dell’emendamento n. 2, perché ritengo sia inammissibile che i confini possano essere modificati con il pretesto di “preoccuparsi” per le minoranze dei paesi vicini. Ho altresì votato per dire che alla Georgia è stata promessa l’adesione alla NATO in occasione del Vertice di Bucarest e che si trova sulla strada giusta per le seguenti ragioni:

a. E’ vero: alla Georgia è stato assicurato che sarebbe diventata membro della NATO e che è ufficialmente iscritta nel Final Communiqué del Vertice NATO di Bucarest,

b. almeno un importante leader europeo ha affermato – nel contesto della recente guerra con la Russia – che la vocazione della Georgia per la NATO sarebbe stata soddisfatta,

c. l’UE è tenuta a garantire la sicurezza, l’indipendenza e l’integrità territoriale della Georgia in virtù dell’accordo di partenariato concluso dall’UE con la Georgia nel quadro della politica europea di vicinato e il fatto che non può farlo – perché non è strutturata per questo – significa che la sola istituzione che può sopperirvi è la NATO, di cui sono altresì membri la maggioranza dei paesi dell’UE.

 
  
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  Béatrice Patrie (PSE), per iscritto. – (FR) Sebbene non perfetta, la risoluzione adottata dal Parlamento europeo merita di essere appoggiata in quanto conferma l’unità dimostrata dall’Europa in merito alla risoluzione relativa alla situazione in Georgia.

Questa complessa crisi costituisce una prova di quanto sia urgente per l’UE lo sviluppo di un’adeguata strategia regionale nei confronti del Caucaso e della Russia. Di conseguenza, si consiglierebbe bene all’UE di proporre l’idea di tenere una conferenza internazionale come quella di Helsinki, da cui è nata l’OSCE nel 1975.

Per i tempi a venire, è necessario far sì che la relazione giustificata riguardante i negoziati sul potenziamento del partenariato tra l’UE e la Russia smetta di non menzionare la necessità di costruire un dialogo equilibrato con il paese comprendendo tutte le questioni di interesse comune, tra cui i valori democratici e la dimensione energetica.

A questo proposito, è un peccato che il Parlamento europeo non stia chiedendo chiaramente una revisione della nostra strategia energetica che, altre all’annunciata diversificazione delle fonti di approvvigionamento , deve altresì fornire lo sviluppo di energie rinnovabili e del risparmio energetico.

 
  
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  Gilles Savary (PSE), per iscritto.(FR) Mi sono astenuto dal votare la risoluzione del Parlamento europeo relativa agli eventi in Ossezia meridionale e in Abkhazia dato che il Parlamento ha assunto una posizione di parte e squilibrata nei confronti della dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo da una Serbia normalizzata e democratizzata.

Il Parlamento non ha considerato appropriato approvare una risoluzione simile in merito al Kosovo in nome degli stessi principi di rispetto del diritto internazionale e dell’integrità dei confini nazionali che invoca oggi per denunciare il riconoscimento dell’indipendenza dell’Ossezia e dell’Abkhazia da parte di Mosca. Tutti noi sappiamo perché: non volevamo criticare i paesi dell’Occidente – che sono stati celeri nel riconoscere la dichiarazione di indipendenza unilaterale e illegittima del Kosovo – per gli aspetti per i quali oggi critichiamo molto opportunamente la Russia.

Sebbene le iniziative militari del governo georgiano, come quelle della Russia, debbano essere condannate fermamente e debbano lasciare spazio a una risoluzione diplomatica e a una mediazione internazionale, l’Unione europea non può permettersi di applicare due pesi e due misure ai molti “conflitti congelati” del periodo successivo alla guerra fredda.

Non vi sarebbe nulla di peggio per la sicurezza del nostro continente che l’Europa confondesse alleanze e fedeltà con la politica “che induce crimini” del governo Bush in questa regione del pianeta, come ha fatto in altre zone.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (PPE-DE), per iscritto. (EN) Mentre la risoluzione esprime molte opinioni che sono in grado di appoggiare – in particolare, l’approccio allo status finale dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia, e la richiesta di ritirare del tutto le truppe russe dalla Georgia – essa contiene altresì molti elementi inutili.

L’UE potrebbe svolgere un ruolo utile nel fornire osservatori civili e nell’assistenza umanitaria. Tuttavia, non deve cercare di sfruttare la crisi in Georgia per i suoi fini richiedendo un potenziamento della politica di difesa e di sicurezza dell’UE, mettendo osservatori sotto una rubrica della PESD o appoggiando il Trattato di Lisbona respinto. Inoltre, è stato deludente il fatto che nella votazione sia stata rimossa la frase: “La Georgia è alla fine ancora sulla strada verso l’adesione all’Alleanza (NATO)”. Mi sono pertanto astenuto in merito alla presente risoluzione.

 
  
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  Glenis Willmott (PSE), per iscritto. (EN) Il partito laburista del Parlamento europeo accoglie con favore la presente risoluzione, che mostra un’unità chiara e solida tra gli Stati membri dell’UE in seno al Consiglio e al Parlamento europeo in merito a tale questione fondamentale. Portiamo il lutto per le tragiche perdite di vite umane verificatesi nel corso di questo conflitto e condanniamo le violente azioni di entrambe le parti. Appoggiamo le mosse volte a sostenere una pace duratura, la fornitura di aiuti umanitari alle vittime e gli sforzi per la ricostruzione.

Abbiamo suggerito di astenerci dal voto in merito alla seconda parte del paragrafo 27, dato che siamo certi che si tratta di una risoluzione volta a risolvere la situazione in Georgia. Discutere la futura adesione a un’organizzazione esterna, quale la NATO, distrarrebbe solamente da questo punto importante.

Appoggiamo senza riserve l’invito della risoluzione di garantire una soluzione duratura del conflitto sulla base dell’accordo di sei punti mediato dall’UE, ed esortiamo la Russia ad agire in modo decisivo al fine di rispettare le condizioni concordate di questo piano di cessate il fuoco, permettendo pertanto la ripresa dei negoziati sull’accordo di partenariato UE-Russia.

 
  
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  Vladimír Železný (IND/DEM), per iscritto. − (CS) Mi sono astenuto dalla votazione sulla risoluzione del Parlamento europeo relativa alla situazione in Georgia, non perché desideri mettere in dubbio la legittimità della posizione georgiana, ma, al contrario, perché avrei approvato i passi aggressivi e inadeguati compiuti dalla Russia. Come di recente è stato spesso il caso, alcuni membri eurofederalisti hanno sfruttato ancora una volta il conflitto in Georgia e la risoluzione associata al fine di richiedere una rapida ratifica del Trattato di Lisbona. E’ stato questo comportamento inadeguato che ha determinato la mia astensione.

 
  
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  Marian Zlotea (PPE-DE), per iscritto. (EN) Il Consiglio europeo straordinario del 1° settembre ha dimostrato e affermato l’unità dell’UE, il che rappresenta un progresso rispetto al 2003, quando la situazione in Iraq ha generato questioni in merito all’unità dell’UE.

L’Europa deve continuare a esprimere la propria solidarietà e determinazione riguardo al rispetto della Russia delle leggi e delle norme internazionali. La risoluzione che abbiamo votato oggi sottolinea che il partenariato tra l’Europa e la Russia deve basarsi sul rispetto reciproco delle regole fondamentali della cooperazione europea.

La Russia continua a violare talune condizioni degli accordi di cessate il fuoco, comportamento che deve essere trattato con una pressione economica e politica unita volta a incoraggiare la Russia a ritirare completamente tutte le truppe dal territorio georgiano e a ridurre la loro presenza militare nell’Ossezia meridionale e in Abkhazia.

E’ cruciale che siano intraprese azioni immediate volte a garantire la continua fornitura di assistenza alle vittime sfollate di questo conflitto. Tali inquietanti eventi perpetrati dalla Russia devono essere trattati con una determinazione europea compatta. Al fine di proteggersi da sfide future di questo genere, l’Europa deve trovare fonti di energia alternative e potenziare la politica europea di sicurezza e di difesa come disposto nel Trattato di Lisbona.

 
  
  

– Diritto contrattuale europeo (B6-0374/2008)

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della risoluzione della commissione per gli affari legali. Il quadro comune di riferimento costituirà un importante sviluppo giuridico e ancora non sappiamo quale forma assumerà. E’ vitale che questo Parlamento e le parti interessate di tutti i paesi e i sistemi giuridici siano pienamente informati in merito a tutti gli sviluppi futuri.

 
  
  

– Relazione: Proinsias De Rossa (A6-0289/2008)

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. (EN) Nonostante il titolo complesso, la presente relazione riguarda una denuncia di cattiva amministrazione del 2001 da parte della Commissione in relazione alla mancata adeguata attuazione della direttiva sull’orario di lavoro da parte del governo tedesco. Il caso è stato rimesso al Parlamento europeo tramite una relazione speciale del Mediatore europeo.

Presentare una relazione speciale al Parlamento europeo costituisce l’unico passo sostanziale che il Mediatore può compiere nel cercare una risposta soddisfacente a nome di un cittadino. La mia relazione, a nome della commissione per le petizioni, appoggia la conclusione del Mediatore che il mancato trattamento da parte della Commissione della denuncia del richiedente per quasi otto anni costituisce un caso di cattiva amministrazione.

La relazione non si occupa del contenuto stesso della direttiva sull’orario di lavoro e pertanto un emendamento che cercava di sollevare il contenuto della direttiva è stato contestato come irrilevante per la presente relazione.

 
  
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  Konstantinos Droutsas (GUE/NGL), per iscritto.(EL) La relazione sul rifiuto della Commissione di esaminare la denuncia di un medico tedesco riguardo alla violazione della normativa sul lavoro in merito all’orario di lavoro da parte dello Stato tedesco evidenzia la natura classista dell’UE. La Commissione reagisce con grande rapidità quando sono in gioco gli interessi di capitale; obbliga gli Stati membri a rispettare il diritto comunitario, ma quando i lavoratori denunciano una violazione dei loro diritti, la Commissione ignora le loro denunce.

La posizione provocatoria della Commissione è una conseguenza naturale della politica antipopolare dell’UE, che promuove un ritorno a condizioni di impiego medievale per la classe lavoratrice, al fine di salvaguardare la redditività dei monopoli europei. In tale contesto, lo scorso luglio il Consiglio dei ministri per l’Occupazione ha adottato un emendamento alla direttiva sull’orario di lavoro dell’UE. Questa farsa contro la forza lavoro separa il concetto di orario di lavoro in orario attivo e inattivo – quest’ultimo non è considerato orario di lavoro retribuito – e fornisce ai datori di lavoro il diritto di occupare i loro lavoratori fino a 13 ore al giorno, 65 ore alla settimana, non corrispondendo loro alcuno straordinario di sorta.

I diritti della classe lavoratrice e dei dipendenti non sono garantiti mediante una denuncia alla Commissione, bensì mobilitando e intensificando la lotta di classe contro il capitale e l’UE al fine di capovolgere questa politica.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) La Junilistan ritiene che le ore di lavoro debbano essere regolate a livello nazionale. La presente relazione non deve pertanto essere sviscerata in seno al Parlamento europeo, anche se ufficialmente affronta il trattamento della Commissione di un caso di violazione.

Il principio di sussidiarietà, lodato in qualsiasi occasione cerimoniale immaginabile, qui è fondamentale. Quando la maggioranza del Parlamento europeo entra nei dettagli, è esattamente il contrario; nulla può in effetti essere lasciato agli Stati membri. La direttiva sull’orario di lavoro costituisce di per sé una palese violazione del principio di sussidiarietà. I paesi dispongono di strutture imprenditoriali diverse. Alcuni dispongono di un’industria di trasformazione pesante, altri di un’industria leggera, altre ancora dispongono di molte industrie stagionali e turistiche e il settore pubblico è strutturato in modi diversi. E’ pertanto completamente inappropriato cercare di regolare le ore lavorative in tutta l’UE, né vi è alcuna ragione di farlo. Coloro che argomentano a favore di ciò affermano che altrimenti nell’UE si verificherebbero problemi di dumping sociale. Si tratta di un’accusa estremamente grave contro i paesi che abbiamo accettato come membri dell’UE, che rispettano tutti i criteri di Copenhagen e che sono tutti Stati governati dal diritto e in cui vi è il libero diritto di unirsi in un sindacato.

La presente relazione costituisce ancora un altro tentativo dell’UE di interferire nella questione delle ore lavorative, che è responsabilità degli Stati membri. Abbiamo votato no, riferendoci al principio di sussidiarietà.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Ho potuto appoggiare la relazione De Rossa e mi auguro che la Commissione comprenda appieno le raccomandazioni del Mediatore in relazione allo Stato di diritto e al principio di buona amministrazione.

 
  
  

– Relazione: Iratxe García Pérez (A6-0325/2008)

 
  
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  Richard James Ashworth (PPE-DE), per iscritto. (EN) Io e i colleghi conservatori britannici siamo pienamente a favore del principio di pari opportunità per le donne e gli uomini. Ci troviamo d’accordo su alcuni aspetti della presente relazione, quali: la necessità di compiere maggiori progressi nel trattare il divario retributivo tra le donne e gli uomini; la promozione dell’imprenditoria tra le donne; l’importanza di politiche a livello nazionale che cerchino di promuovere un miglior equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. Come ha affermato il nostro ministro ombra per le donne: “Un approccio conservatore alla parità di genere si baserà sulla fede nelle pari opportunità e nella parità di trattamento giuridico, commerciale, sociale e politico”.

Ci preoccupano tuttavia taluni aspetti della relazione, quali: la richiesta di nuove basi giuridiche nel diritto dell’UE e la richiesta di una decisione sulla “piena comunitarizzazione di politiche”. Non possiamo altresì appoggiare la creazione di un Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, come disposto nella relazione; tali questioni devono essere perseguite dai singoli Stati membri.

Per tali ragioni, abbiamo deciso di astenerci in merito alla presente relazione.

 
  
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  Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo basata sulla relazione della mia collega spagnola, l’onorevole García Pérez, sulla parità tra le donne e gli uomini. Dobbiamo vegliare più che mai sulla duplice dimensione del tema: da un lato, garantire la parità in tutti gli ambiti politici (integrazione della dimensione di genere) e, dall’altro, introdurre misure mirate volte a ridurre la discriminazione contro le donne, tra cui campagne di sensibilizzazione, scambio di migliori pratiche, dialogo con i cittadini e iniziative di partenariato pubblico-privato. Tutti i temi sono importanti: pari retribuzione, partecipazione al processo decisionale, in particolare le decisioni pubbliche, conciliazione di vita privata e vita professionale e violenza contro le donne. La parità di genere costituisce una causa importante, per la quale è già stato fatto molto, ma che deve riceverla piena attenzione delle forze politiche umaniste per compiere progressi e deve essere discussa dovunque, anche nel dialogo interculturale.

 
  
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  Koenraad Dillen, Carl Lang e Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) A volte vi sono coincidenze fortunate, forse persino divertenti. Cogliamo senza dubbio l’opportunità offertaci dalla presente relazione annuale sulla parità tra le donne e gli uomini e dalla sua concomitanza con la Presidenza francese dell’Unione europea al fine di sottolineare un punto marginale, ma divertente, che è al peggio una mancanza di tatto e al meglio è una perfetta applicazione del principio di uguaglianza tra le donne e gli uomini, il che significa la non discriminazione tra i due sessi.

Qualche giorno fa, in occasione dell’inizio della Presidenza di Sarkozy, che ha ricevuto molta attenzione da parte dei mezzi d’informazione, sono stati offerti dei doni ai deputati europei. Nel portadocumenti donato, vi era in particolare una cravatta.

Dei 785 membri del Parlamento europeo, quasi un terzo è costituito da donne. Non avevano anch’esse il diritto a un piccolo dono personalizzato o dobbiamo concludere da questo che anche le donne devono indossare la cravatta?

Sembra che accada ancora che, quando si svolgono grandi dibattiti sul ruolo e la posizione delle donne nella vita politica, un comportamento villano ha molto spesso la meglio sulla galanteria.

 
  
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  Konstantinos Droutsas (GUE/NGL), per iscritto.(EL) Non possiamo votare a favore della relazione sulla parità tra le donne e gli uomini – 2008, perché cerca di persuadere le donne che ripiegare su rapporti di lavoro flessibile e che la riduzione e la commercializzazione di qualsiasi vantaggio sociale resti per la famiglia della classe lavoratrice siano necessariamente un male, così che le donne si adatteranno alla politica UE di conciliazione degli obblighi famigliari e degli impegni professionali.

Le valide scoperte sul divario retributivo tra le donne e gli uomini non vengono affrontate, per non dire eliminate; invece, vi sono mere esortazioni o l’istituzione della giornata internazionale della parità retributiva. Le misure proposte al fine di combattere gli stereotipi di genere e a favore della pari rappresentanza nel processo decisionale, dell’eliminazione di qualsiasi genere di violenza basata sul genere e così via costituiscono una mossa nella giusta direzione, ma resteranno delle pie illusioni fintanto che perdura la causa prima responsabile di tali condizioni e che le mantiene, vale a dire il sistema capitalista, che genera e aggrava la discriminazione e la disuguaglianza.

Una vera parità impone una lotta per un cambiamento nell’equilibrio di potere. Una tale politica favorisce i lavoratori e l’abolizione della strategia UE. Vi deve altresì essere una lotta contro l’arricchimento del capitale e l’assenza di responsabilità dei datori di lavoro. Nessuna misura sarà efficace a meno che il movimento popolare di ciascun paese non venga rafforzato e siano stabiliti obiettivi per un cambiamento sostanziale, proprio fino al livello in cui viene esercitato il potere.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole García Pérez sulla parità tra le donne e gli uomini – 2008, dato che ritengo che ridurre le disparità tra le donne e gli uomini sia fondamentale al fine di istituire una società più giusta così come di essere un fattore determinante per la crescita economica, la prosperità e la competitività dell’Unione europea.

Desidero ribadire la proposta del relatore, che cerca di rafforzare le normativa europea in materia di parità di genere. Nonostante le azioni condotte in questo settore, non sono stati compiuti progressi significativi a livello europeo, in particolare in merito al divario retributivo tra le donne e gli uomini, alla partecipazione delle donne nel processo decisionale, alla lotta alla violenza contro le donne, all’accesso all’istruzione e alla formazione permanente o persino alla conciliazione della vita professionale, familiare e personale.

Mi rammarico tuttavia che sia stato approvato l’emendamento n. 1, rimuovendo in tal modo l’importante riferimento alla necessità che la Commissione e il Consiglio creino una chiara base giuridica per combattere tutte le forme di violenza contro le donne.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La presente relazione sottolinea importanti aspetti riguardanti i tipi di discriminazione che persistono nella società, concentrandosi in particolar modo sull’ambito relativo a lavoro, retribuzione, povertà, pensioni e riforme. Introduce altresì le questioni della violenza contro le donne e della tratta, le questioni dell’istruzione e della formazione, la mancanza di strutture sociali e l’accesso a servizi per la cura dell’infanzia e delle persone a carico e la promozione della salute sessuale e riproduttiva delle donne.

Vi sono ancora, tuttavia, alcune controindicazioni, come è il caso delle azioni proposte nell’ambito dell’occupazione, in cui è stata respinta una proposta che abbiamo avanzato, nonostante il fatto che ne sia stata approvata un’altra, che salvaguarda importanti aspetti per le donne. Mi riferisco alla seguente proposta che ora fa parte della risoluzione finale del Parlamento europeo: “[…] sollecita […] gli Stati membri ad adottare misure efficaci che garantiscano il rispetto delle norme sociali e un lavoro tutelato da diritti nei diversi settori d’attività, assicurando in tal modo una retribuzione dignitosa ai lavoratori e, in particolare, alle donne, il diritto alla sicurezza e alla salute sul lavoro, alla protezione sociale e alla libertà sindacale e contribuendo ad eliminare la discriminazione tra donne e uomini sul posto di lavoro”.

Da qui, il nostro voto a favore, sebbene deploriamo che siano state respinte altre proposte positive.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) La Junilistan prende con fermezza le distanze da qualsiasi forma di discriminazione. L’UE è un’unione di valori e gli Stati membri devono trattare tutti i gruppi della società allo stesso modo ed equamente.

La relazione contiene tuttavia una proposta da cui prendiamo fortemente le distanze, vale a dire quella secondo cui il Parlamento europeo deve esortare la Commissione e il Consiglio a prendere una decisione sulla piena comunitarizzazione di politiche sull’immigrazione e l’asilo. I rispettivi Stati membri devono occuparsi di tali questioni.

In generale, la relazione contiene molte opinioni in merito a come si debba raggiungere l’uguaglianza. Le misure proposte comprendono misure politiche relative al mercato del lavoro, campagne di informazione, dialogo con i cittadini, quote, colmare il divario retributivo, misure volte a combattere la segregazione lavorativa nel settore dell’istruzione e miglioramenti delle strutture a sostegno della maternità per le donne che esercitano un’attività autonoma. La relazione accoglie altresì con favore la creazione dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere ed esorta le Istituzioni comunitarie e gli Stati membri a introdurre una giornata internazionale della parità retributiva.

La parità tra le donne e gli uomini deve costituire un obiettivo per tutti gli Stati membri. Le misure politiche utilizzate al fine di conseguire tali obiettivi devono tuttavia essere determinate a livello nazionale. Il coordinamento internazionale, che è auspicabile, deve svolgersi a livello globale, preferibilmente in seno all’ONU. Abbiamo pertanto scelto di votare no in merito alla presente relazione.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE), per iscritto. (EN) In generale, sono molto a favore della maggior parte di quanto è contenuto nella presente relazione. Il paragrafo 9 mi pone tuttavia un problema. Credo che il testo di tale paragrafo debba essere puntualizzato affermando la necessità di rispettare i processi legislativi nazionali quando si considera la questione dell’aborto.

In merito a tale questione, l’Irlanda ha un protocollo al Trattato di Maastricht e inoltre la sfera dell’aborto non è di competenza dell’UE. Sta a ciascuno Stato membro decidere la propria normativa in questo settore e il Parlamento deve pertanto rispettare il principio di sussidiarietà. Purtroppo, il testo non è chiaro in merito a tale questione.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La relazione García Perez affronta molte questioni importanti relative alla parità di genere, alla giustizia sociale e ai diritti fondamentali. Una questione che preoccupa sempre più in tutta Europa è quella della tratta di esseri umani, che coinvolge vittime provenienti sia dall’interno che dall’esterno dell’UE. La lotta a una criminnalità organizzata seria di questa natura necessita di un approccio transfrontaliero che coinvolge più agenzie ed è chiaro che l’UE ha un ruolo fondamentale da svolgere in questo settore.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Sebbene siano stati compiuti alcuni progressi in merito alla questione della parità di genere in Europa, siamo lontani dalla piena parità. La relazione sottolinea diversi settori che richiedono l’attenzione della Commissione, quali la qualità del posto di lavoro e la necessità di migliori strumenti per affrontare la violenza contro le donne. Desidero altresì appoggiare la richiesta che gli Stati membri ratifichino con urgenza la Convenzione del Consiglio d’Europa sull’azione contro il traffico di esseri umani. Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Iratxe García Pérez “Parità delle donne e degli uomini – 2008”.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la relazione sulla parità degli uomini e delle donne – 2008 e appoggio gran parte dei suoi contenuti.

Mi sono tuttavia astenuta dalla votazione finale, perché è stato respinto l’emendamento n. 2. A mio avviso, la formulazione di tale emendamento era migliore rispetto a quella del paragrafo originale.

 
  
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  Eluned Morgan (PSE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della presente relazione che ha lo scopo di affrontare la disuguaglianza di genere. E’ palese che le donne non hanno le stesse opportunità degli uomini di fare carriera. Le madri che lavorano non saranno mai in grado di equilibrare vita famigliare e vita professionale in assenza di più forti diritti parentali sia per gli uomini che per le donne.

Ecco perché appoggio pienamente le richieste di aumentare la durata del congedo parentale, e di aumentare in particolare gli incentivi per i padri a prendere un congedo parentale, e condizioni di lavoro flessibili. E’ solo con questo genere di diritti che saremo in grado di affrontare la disuguaglianza di genere. Le donne non otterranno mai una vera parità finché gli uomini non si assumeranno la loro giusta parte di responsabilità nella cura dei figli e nella gestione della casa, proprio come fa il mio meraviglioso marito. Cucina, fa la spesa, ma non è tanto bravo a fare il letto!

 
  
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  Rovana Plumb (PSE), per iscritto. (RO) In qualità di relatrice ombra del gruppo PSE della commissione per l’occupazione e gli affari sociali, ho votato a favore della presente relazione perché penso che essa sia molto importante per quanto concerne le proposte volte a garantire parità di trattamento delle donne e degli uomini in merito al mercato del lavoro. In tale contesto, desidero sottolineare l’importanza del paragrafo 42 della relazione, in cui si richiede alla Commissione e agli Stati membri di mettere a punto una serie di indicatori quantitativi e qualitativi, nonché statistiche basate sul genere da utilizzarsi al fine di monitorare l’applicazione della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione.

Tenendo conto del fatto che uno dei fattori decisivi per l’aumento dell’occupazione è costituito dalla conciliazione della vita professionale e di quella familiare, desidero altresì menzionare il paragrafo 34, in cui si richiede alla Commissione di accogliere e diffondere le migliori pratiche riguardanti un equilibrio fra vita professionale e vita privata.

 
  
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  Lydia Schenardi (NI), per iscritto. – (FR) Il Parlamento europeo deve pensare che i suoi membri soffrano della malattia di Alzheimer! Ogni anno, più o meno contemporaneamente, fanno la loro comparsa due diverse relazioni: una sui diritti umani nell’UE e l’altra sulla parità delle donne e degli uomini.

Se il contenuto della prima relazione può variare leggermente da un anno all’altro, è certo che la stessa cosa non vale per la seconda.

Per crederci, tutto quello che dovete fare è leggere le relazioni precedenti: la relazione Kauppi del 2007 o la relazione Estrela del 2006 sulla parità tra le donne e gli uomini; elencano le stesse sfide da raccogliere, riferiscono dell’esistenza delle medesime disparità e formulano le stesse raccomandazioni. Ne concludiamo che non vi è stato alcun cambiamento? No, perché sono stati compiuti progressi in ambito occupazionale e in quello della partecipazione delle donne al processo decisionale a livello locale, nazionale ed europeo.

E’E’ solo che noi eurocrati, sollecitati dai gruppi di pressione femminili – e penso in modo particolare alla potente lobby europea delle donne – non siamo soddisfatti dei progressi; vogliono e sono a favore di una parità ancora maggiore, di una somiglianza ancora maggiore tra le donne e gli uomini, sino a un punto assurdo.

Dobbiamo continuare con questa parità forzata, ottenuta attraverso quote obbligatorie, discriminatorie e mirate alle minoranze?

Non credo. La guerra dei sessi non deve avere luogo.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. (SV) La relazione dell’onorevole García Pérez sulla parità tra le donne e gli uomini – 2008 era fondamentalmente buona. Comprendeva molto punti importanti, non da ultimo l’opportunità per le donne (e gli uomini!) di combinare vita lavorativa e vita familiare e l’importanza di generose indennità parentali.

Sarei stato in grado di convivere con un certo quantitativo di aria fritta e ripetizione. Ciò che è stato più difficile è stato il paragrafo 4, che cerca di creare una chiara base giuridica a livello UE al fine di combattere “tutte le forme di violenza contro le donne”. Non vi è nulla di sbagliato in tale ambizione e, avesse riguardato la tratta di esseri umani, che attraversa i confini, non vi sarebbe stato alcun problema. Tuttavia, qui l’obiettivo è “la piena comunitarizzazione di politiche” in un settore che è innanzitutto una questione nazionale e questo è quello che più preoccupa.

La ragione per cui alla fine mi sono astenuto, tuttavia, è stata la seconda frase del paragrafo 6, che incoraggia l’utilizzo delle quote. Si tratta di qualcosa che preferirei non vedere a livello nazionale e che non venisse introdotto come un diktat da Bruxelles.

 
  
  

– Relazione: Eva-Britt Svensson (A6-0199/2008)

 
  
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  Richard James Ashworth (PPE-DE), per iscritto. (EN) Io e mie colleghi conservatori britannici appoggiamo appieno il principio della parità di opportunità tra le donne e gli uomini. Appoggiamo il principio fondamentale come evidenziato nel paragrafo 1 della relazione: “insiste sull’importanza di dare alle donne e agli uomini le stesse possibilità di svilupparsi come individui a prescindere dal sesso di appartenenza”.

Crediamo, tuttavia, che la presente relazione sia eccessivamente rigorosa e oppressiva nel suo approccio e nelle sue conclusioni. Non riteniamo che l’UE debba avere maggiori poteri in questo ambito. Spetta ai singoli Stati membri decidere in merito a tali questioni.

Respingiamo l’approccio sottolineato nel considerando I, in cui si afferma: “considerando che la pubblicità e i media che presentano stereotipi di genere possono essere considerati come parte di tale fenomeno”. Tali affermazioni non fanno procedere una discussione sana sulla parità. Parimenti, non possiamo appoggiare il pensiero alla base, inter alia, dei considerando F e G. Le richieste di “tolleranza zero” menzionata nella relazione sono troppo vaghe e, se seguite, potrebbero portare a una cattiva normativa

Per tale ragione, abbiamo deciso di non votare a favore della presente relazione.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione Svensson sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini, Dato che concordo sulla necessità di sviluppare un “codice di condotta” per la pubblicità che sia applicabile in tutti gli Stati membri e che garantisca il rispetto del principio di parità tra le donne e gli uomini e che combatta l’utilizzo di stereotipi di genere.

Credo che le comunicazioni pubblicitarie e di marketing costituiscano pericolosi veicoli di stereotipi di genere e che danno luogo a limitazioni della libertà, sia per le donne che per gli uomini, nei loro diversi ruoli e dimensioni nel corso di tutta la loro vita, avendo un impatto negativo sul loro ruolo nella società.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La presente relazione di un membro svedese del Parlamento europeo, l’onorevole Svensson, del nostro gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, ci ha permesso di assumere una posizione ampiamente concreta sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini

Come menzionato dalla relatrice, lo scopo della pubblicità è proprio quello di influenzare ciascuno di noi – le donne come gli uomini. Senza dubbio, le scelte che compiamo nel corso della nostra vita sono influenzate da un’intera serie di fattori, tra cui la classe sociale alla quale apparteniamo, il nostro genere, le immagini e i concetti di genere e i ruoli di genere che sono sempre presenti intorno a noi attraverso l’istruzione, i mezzi d’informazione e la pubblicità.

Per questa ragione, è importante continuare a combattere gli stereotipi di genere che persistono nelle nostre società, nonostante i programmi comunitari volti a promuovere la parità di genere.

Come menzionato nella relazione, il sistema scolastico ha un ruolo fondamentale da svolgere nello sviluppo delle facoltà critiche dei bambini in merito alle immagini e ai mezzi d’informazione in generale, al fine di evitare gli effetti disastrosi del ripresentarsi di stereotipi di genere nel marketing e nella pubblicità.

Eppure, sono altresì necessarie azioni concrete volte a promuovere le migliori pratiche nella pubblicità, esempi delle quali sono presentati nella risoluzione del Parlamento europeo che è stata ora approvata.

 
  
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  Petru Filip (PPE-DE), per iscritto. (RO) Ho deciso che l’astensione costituisce la posizione che esprime nel modo migliore il contenuto eterogeneo della relazione. Detto in modo più chiaro, stiamo discutendo un problema reale a cui è già stata fornita una risposta, a mio avviso, secondo termini inadeguati. Non è sufficiente affermare che “si devono eliminare gli stereotipi di genere”.

Non credo che si tratti della questione di “aggiudicare premi agli esperti dei mezzi di comunicazione di massa e della pubblicità per il rispetto della parità di genere”, come suggeriscono taluni articoli della relazione (9 e 27), ma dobbiamo piuttosto redigere precisi regolamenti e programmi comunitari che renderebbero tali ricompense inutili. Dato che le diverse forme di pubblicità che caratterizzano la vita quotidiana costituiscono delle realtà con un impatto socioculturale profondo e immediato, tale attività necessita di un quadro giuridico unificato e coerente.

Per tale ragione, una serie descrittiva di riferimenti a tale importante questione attuale (come la relazione Britt-Svensson) non è riuscita a esprimersi con argomentazioni convincenti e a determinare un voto favorevole e non ha risposto in modo chiaro e applicato alle soluzioni considerate.

 
  
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  Ona Juknevičienė (ALDE), per iscritto. (EN) Credo che la pubblicità costituisca uno strumento potente che dà forma a identità, valori, convinzioni e atteggiamenti e che ha un impatto innegabile sul comportamento del grande pubblico. D’altro canto, una pubblicità incontrollata può avere effetti contrari all’autostima della donna – nel caso delle pubblicità di servizi sessuali nei giornali – e in particolare delle adolescenti e di coloro che sono soggette a disordini alimentari.

Dobbiamo garantire la protezione dei nostri bambini da influenze dannose e, a tal proposito, il ruolo delle scuole e dell’istruzione non deve essere sottovalutato. Appoggio altresì la proposta secondo cui la Commissione e gli Stati membri debbano sviluppare un “codice di condotta” per la pubblicità fondato sul principio della parità tra le donne e gli uomini.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. (FI) Non ho votato a favore della relazione dell’onorevole Svensson in linea con la visione del mio gruppo.

Ho fatto ciò perché, sebbene la relazione sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini contenga numerose buone idee che appoggio senza riserve, tra cui insegnare ai bambini a utilizzare le loro facoltà critiche quando si tratta dei mezzi di comunicazione e insegnare alle persone a mettere in discussione gli stereotipi sessuali, ho pensato che in generale andasse troppo oltre. Le proposte di istituire un codice di condotta a livello UE e un organo preposto al monitoraggio presso cui le persone possano presentare denunce circa gli stereotipi sessuali presenti nella pubblicità e nel marketing rappresentano solo una sorta di politica paternalistica che genera ostilità nei confronti dell’UE.

Il marketing e la pubblicità costituiscono una parte importante delle comunicazioni e se i prodotti dei produttori devono competere sul mercato, la pubblicità deve ovviamente fare uso di mezzi che catturino l’attenzione delle persone. Penso che stabilire norme per il marketing e la pubblicità sia, tuttavia, un’azione da intraprendere a livello nazionale e che le critiche mosse ai mezzi di comunicazione e alla sana messa in discussione degli stereotipi sessuali inizi con l’istruzione e l’educazione.

 
  
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  Roselyne Lefrançois (PSE), per iscritto. – (FR) Sono lieta che sia stata adottata la presente relazione, che evidenzia il ruolo svolto dal marketing e dalla pubblicità nella comparsa e nella perpetuazione di stereotipi di genere e che propone diverse vie volte a combatterli.

Lo sviluppo di azioni di sensibilizzazione, ad esempio, mi sembrano rappresentare una misura utile, in particolare in merito ai bambini, che costituiscono un gruppo particolarmente vulnerabile. L’esposizione sin dalla più tenera età agli stereotipi di genere proposti dai mezzi di comunicazione apporta un enorme contributo alla perpetuazione nel corso di tutta la vita di disparità tra le donne e gli uomini, da qui l’importanza di sviluppare le facoltà critiche dei bambini in merito alle immagini e ai mezzi di comunicazione in generale.

Concordo altresì con l’idea che il marketing e la pubblicità abbiano un’enorme responsabilità in merito all’aumento del numero di persone che soffrono di disturbi alimentari e che debbano di conseguenza essere più accorti nello scegliere modelli di ruolo femminili.

E’ tuttavia un peccato che non sia stata appoggiata da una maggioranza la proposta volta a integrare espressamente la lotta agli stereotipi di genere nei codici di buona pratica esistenti e futuri, attribuendo responsabilità a coloro che lavorano nei settori interessati al fine di garantire che gli impegni siano rispettati.

 
  
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  Jörg Leichtfried (PSE), per iscritto. − (DE) Voto a favore della relazione dell’onorevole Svensson sulla pubblicità, che continua a essere discriminatoria.

Nonostante la misure adottate contro gli stereotipi di genere, questi continuano a essere un serio problema nella società. Le pubblicità, in particolare, tendono a perpetuare stereotipi vecchi e stanchi di uomini e di donne. In particolare, i bambini e i giovani si identificano con i personaggi delle pubblicità e assorbono i clichés che propongono. Lo si deve evitare, affinché la generazione più giovane possa trattare in modo più concreto la questione della parità di genere. A mio avviso, programmi specifici di formazione sulla parità di genere costituirebbero un buon punto di partenza e si deve fare, soprattutto, qualcosa in merito agli stereotipi onnipresenti nei testi scolastici.

Riassumendo, si può dire che nella loro vita quotidiana tutti i cittadini si trovano di fronte alla pubblicità, che deve pertanto presentare buoni modelli di ruolo. La relazione prepara la strada verso il raggiungimento dell’obiettivo che è stato fissato.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) In Parlamento abbiamo la cattiva abitudine di produrre relazioni d’iniziativa in merito a questioni futili e in merito a questioni che dovrebbero davvero essere trattate con la sussidiarietà. In altre parole, l’UE deve evitare di intromettersi in questioni che ricadono sotto la sovranità degli Stati membri e che vengono meglio risolte a livello nazionale.

Nello stato in cui è stata votata da una maggioranza della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, la relazione è inaccettabile.

Desidero sottolineare che siamo senza dubbio preoccupati degli stereotipi di genere trasmessi da alcune pubblicità.

Siamo senza dubbio contro la pubblicità di servizi sessuali, che rafforzano gli stereotipi delle donne viste come oggetti.

Desideriamo certamente proteggere i bambini da pubblicità che incitano alla violenza e al sessismo, tra le altre cose.

Siamo senza dubbio consapevoli dell’importanza di codici etici e di condotta, ma non sta alla Commissione imporli agli Stati membri.

La pubblicità deve rispettare i valori che ci sono cari, ma deve essere in grado di esistere e svolgere il suo ruolo nell’economia di mercato senza essere accusata di tutti i mali, il che corrisponde al tenore della presente relazione.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. (SV) La proposta di risoluzione contiene molte idee e auspici diversi. Desideriamo tuttavia sottolineare che il Parlamento europeo non può risolvere alcun problema in questo ambito, né una normativa a livello UE costituisce la strada giusta da percorrere.

Infine, pensiamo che sia mediante la formazione di opinione e il dibattito negli Stati membri che possiamo riuscire a eliminare la pubblicità di servizi sessuali dai quotidiani. Le minacce di boicottaggio da parte dei consumatori possono obbligare i quotidiani a rifiutare tali pubblicità e a obbligare gli hotel a eliminare il servizio porno. Questo richiede, tuttavia, la creazione di un’opinione dal basso. Non attraverso misure a livello UE.

Dopo un certo esame di coscienza, abbiamo votato a favore della relazione nella sua interezza. Desideriamo tuttavia sottolineare che lo abbiamo fatto, perché pensiamo che molti dei valori e richieste che contiene sono fondamentali, ma le nostre opinioni differiscono in merito ai mezzi per raggiungerli.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la relazione dell’onorevole Eva-Britt Svensson sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini. Il carattere globale della pubblicità moderna richiede uno sforzo europeo concertato al fine di incoraggiare chi fa pubblicità ad allontanarsi dagli stereotipi di genere. Le pratiche autoregolamentate del Regno Unito sono già molto rigorose e mi auguro che altri Stati membri saranno aperti ad abbracciare misure simili. Ho pertanto votato a favore della relazione.

 
  
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  Rovana Plumb (PSE), per iscritto. (RO) Ho votato la presente relazione perché rende molto bene il momento di intervento richiesto al fine di ridurre l’impatto negativo del marketing e della pubblicità sulla parità delle donne e degli uomini, vale a dire: i primi anni della socializzazione di un bambino.

La formazione di stereotipi e pregiudizi in età precoce contribuiscono in modo decisivo alla discriminazione di genere, con un effetto diretto sull’accentuazione delle disparità tra le donne e gli uomini nel corso di tutta la loro vita.

Difficilmente si può impedire l’esplosione dell’informazione tra i bambini. Uno studio condotto all’inizio di quest’anno, in Romania, dimostra che i maggiori consumatori di pubblicità sono i bambini di 6 anni di età.

Accolgo con favore l’idea di istituire una specifica sezione per le questioni relative alla parità di genere in seno agli organi nazionali preposti al monitoraggio dei mezzi di comunicazione di massa degli Stati membri, è tuttavia di estrema importanza che essi svolgano un doppio ruolo: il controllo regolare e sistematico delle immagini di genere nei mass media, così come il monitoraggio coercitivo dei loro mezzi d’informazione. In assenza di coercibilità, le nostre iniziative si riveleranno inutili.

 
  
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  Teresa Riera Madurell (PSE), per iscritto. (ES) Ho votato a favore di una valida relazione su una questione fondamentale: la pubblicità e il marketing, che hanno un potere enormi per quanto attiene l’avere un’influenza decisiva su stereotipi sessisti.

Tutte le Istituzioni europee devono creare meccanismi volti a garantire un utilizzo positivo di tali strumenti al fine di promuovere la parità di trattamento delle donne e degli uomini e di trasmettere un’immagine della donna che sia in linea con la realtà.

Vale la pena di menzionare in modo particolare l’impegno assunto da tutte le autorità pubbliche al fine di eliminare la violenza contro le donne e in merito al ruolo che la pubblicità e il marketing debbano svolgere in tale processo.

Si deve riconoscere che molti professionisti sono impegnati in questo senso, ma la presente relazione sottolinea il fatto che vi è ancora davvero molto da fare; dobbiamo pertanto istituire meccanismi che garantiscano il rispetto di tali condizioni e la disponibilità delle risorse al fine di fornire una risposta efficace alle denunce.

Il nuovo Istituto europeo per le questioni di genere deve disporre di risorse per monitorare da vicino le immagini e il linguaggio e al fine di eliminare le immagini violente e quelle che alludono sottilmente alle donne come oggetti che può essere controllati e posseduti e che sono pertanto suscettibili di attacchi.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. (SV) La relazione dell’onorevole Svensson ha causato un gran mal di testa prima della votazione. Nella sua stesura originale, la relazione era piena di grandi generalizzazioni e – a mio avviso – di esagerazioni. Oscillava ampiamente tra mezzi di comunicazione e pubblicità, codici di comportamento e normativa proposta, autoregolamentazione e nuove agenzie.

La relazione che è rimasta dopo tutte le votazioni, tuttavia, era completamente diversa. Le peggiori esagerazioni sono sparite, lasciando un problema espresso in modo piuttosto ragionevole, secondo il quale la pubblicità a volte, ma non sempre, implica caricature e stereotipi di genere. Non penso che sia minimamente problematico manifestare preoccupazione per l’impressione che può essere data ai bambini e alle giovani donne, in particolare mediante immagini di donne estremamente magre. La relazione non è stata interamente esente da sfumature socialiste, ma il problema è reale, non ideologico. Pertanto alla fine ho votato a favore.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Non voto a favore della presente relazione di iniziativa, perché interferisce troppo con la libertà di opinione e sa di censura perentoria. Tutte le questioni di legittimità e di etica in relazione alla pubblicità sono già regolate a livello nazionale. L’UE non occupa la posizione per cercare di controllare la diversità della libertà di opinione e della libertà nella pubblicità. Purtroppo, si tratta solo di una relazione di iniziativa.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. − (SK) Ho votato a favore dell’adozione della presente risoluzione.

E’ il risultato della cooperazione in seno alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere e altresì il risultato dei compromessi volti a fornire un più ampio supporto. L’obiettivo della presente relazione era quello di utilizzare il diritto al fine di governare tutti gli aspetti della vita, sebbene abbia talune caratteristiche centralizzate. D’altro canto, tuttavia, sono certa che, se i membri del Parlamento europeo sono in grado di intervenire al fine di promuovere e appoggiare il bene comune, allora abbiamo il dovere morale di farlo. Siamo obbligati a chiedere di vietare le immagini sessiste, che degradano la dignità delle donne. Fa parte della presente strategia anche la richiesta che i giovani siano guidati e diretti rispetto ai mezzi di comunicazione.

La relazione fa altresì riferimento alla protezione dei bambini, su cui la pubblicità con sfumature violente e sessuali ha un grave impatto e crea illusioni irrealistiche, In ogni caso, dobbiamo essere vigili. Nessuna direttiva europea può modificare la natura degli uomini e delle donne. Prima che possiamo richiedere l’eliminazione degli stereotipi di genere, dobbiamo disporre di sociologi e psicologi che intraprendano un’analisi approfondita in merito a come questo influirà sulle generazioni future.

Le analisi di esperti indipendenti spesso non vengono pubblicate, dato che contraddicono le opinioni politiche. Le leggi della natura non possono essere modificate mediante una risoluzione parlamentare. Al contrario, se il Parlamento desidera ottenere rispetto, deve tenere in maggior conto le leggi della natura.

La relazione sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini non si avvicina affatto all’essere una buona relazione, ma presenta diversi problemi, che il Parlamento preferirebbe evitare.

 
  
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  Vladimír Železný (IND/DEM), per iscritto. − (CS) Non ho votato a favore della relazione e della maggior parte degli emendamenti presentati, che sono volti, in modo pianificato e unificato, utilizzando sei completi ambiti prioritari, a realizzare la parità tra le donne e gli uomini nella pubblicità e a trattare il modo in cui la pubblicità appoggia e rafforza taluni tipi di stereotipo discriminante, che hanno un effetto negativo sulla parità tra le donne e gli uomini.

Non ho votato a favore, perché la presente relazione costituisce una seria minaccia e, per di più, una pericolosa interferenza in un ambito in cui prevalgono le culture marcatamente diverse e specifiche dei vari Stati membri. Ciò che viene considerato imbarazzante o inaccettabile in un paese può essere visto come buffo o divertente in un altro. Senza dubbio, un tentativo di imporre un regolamento a livello europeo relativo alla rappresentazione dei due generi in pubblicità creerebbe una qualche sorta di stereotipo sterile e omogeneo. La presente relazione avanza proposte di azione complete che vanno molto al di là delle competenze dell’UE. Gli Stati membri dispongono di organi autoregolatori, come l’Advertising Council, attraverso i quali le industrie pubblicitarie nazionali creano e adeguano gradualmente i modelli accettabili per le attività pubblicitarie.

La pubblicità, in considerazione delle sue specifiche caratteristiche nazionali, costituisce un’area adatta all’autoregolamentazione, riflettendo in modo molto più sensibile le tradizioni culturali, gli usi e i modelli nazionali. Non si dovrebbe mai optare per una regolamentazione esterna unificata e omogenea, che fondamentalmente potrebbe danneggiare la pubblicità, in quanto settore decisamente legittimato e fondamentale delle economie nazionali.

 
  
  

– Clonazione di animali (B6-0373/2008)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La presente risoluzione segue un importante dibattito sulla clonazione di animali a scopi di approvvigionamento alimentare e sulle sue possibili implicazioni per la diversità genetica del patrimonio zootecnico, la sicurezza alimentare, la salute e il benessere degli animali e l’ambiente. E’ chiaro che al momento vi sono ancora molti dubbi e pochi studi aventi conclusioni chiare e precise in merito alle sue implicazioni, ponendo pertanto una grave minaccia all’immagine della produzione agricola dei paesi dell’Unione europea.

Ecco perché il Parlamento europeo, in seguito a una proposta della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, ha deciso di esortare la Commissione europea a presentare proposte che proibiscano la clonazione di animali a scopo di approvvigionamenti alimentari, l’allevamento di animali clonati o della loro progenie, l’immissione sul mercato di carni o prodotti caseari derivati da animali clonati o dalla loro progenie e l’importazione di animali clonati o della loro progenie e di carni e prodotti lattiero-caseari derivati da animali clonati o dalla loro progenie.

A questo stadio, la proposta ci sembra valida e tiene conto del principio di precauzione e abbiamo pertanto votato a favore.

 
  
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  Petru Filip (PPE-DE), per iscritto. (RO) Il mio voto “a favore” si basa sulle seguenti ragioni pratiche e di dottrina. Innanzitutto, qualsiasi tipo di clonazione, o umana o animale, viola la dottrina e il principio cristiani su cui si fonda la dottrina del Partito popolare europeo.

Dal punto di vista etico, vi sono ancora questioni controverse da discutere e da chiarire completamente. Riguardo agli aspetti pratici, non possiamo ancora quantificare esattamente gli effetti della clonazione.

Inoltre, vi è altresì la questione dell’incapacità di controllare l’accesso e di seguire tali prodotti di origine animale una volta che entrano nel sistema commerciale. Per tale ragione, credo che al momento la decisione migliore sia vietare la clonazione di animali a scopi di approvvigionamento alimentare.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Data l’incertezza scientifica e le questioni etiche implicate, appoggio appieno le richieste che la Commissione avanzi proposte volte a cercare di vietare la clonazione di animali a scopi di approvvigionamento alimentare.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. (EN) Penso che la clonazione di animali a scopi di approvvigionamento alimentare porti con sé diversi rischi, sia per la salute umana che per il benessere animale. Non sono convinto che abbracciare questo tipo di tecnologia a scopi alimentari vada a beneficio dei cittadini europei. Ho pertanto votato a favore di richiedere un divieto sulla clonazione di animali per l’approvvigionamento alimentare.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la discussione sulla clonazione di animali. Mi sono astenuta dalla votazione finale sulla risoluzione relativa alla clonazione di animali a scopi di approvvigionamento alimentare, perché nutro qualche preoccupazione in merito a un divieto assoluto come proposto nella presente risoluzione.

A oggi sono state sollevate preoccupazioni in merito alle implicazioni della clonazione sul benessere animale ed esse vanno affrontate. Non sembrano presentarsi questioni riguardo alla sicurezza alimentare.

Tuttavia, ciò di cui necessitiamo sono informazioni e pareri più accurati e scientifici prima di prendere la decisione di imporre un divieto. Ecco perché attendo con interesse le proposte della Commissione in questo ambito, tenendo conto delle raccomandazioni dell’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e dell’EGE (Gruppo europeo di etica nel campo della scienza e delle nuove tecnologie).

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Solo 12 anni fa, una nuova tecnologia, che è apparentemente associata con elevati tassi di mortalità e una sofferenza considerevole, ha sbalordito il mondo con la clonazione della pecora Dolly. Il settore commerciale si sta già fregando le mani, sognando il maiale clonato “sano” arricchito con acidi grassi Omega 3. Si sostiene che questa crudeltà nei confronti degli animali avvantaggerà anche i maiali, che si presume siano più sani grazie alla clonazione. Certo, anche gli allevatori ne beneficeranno, perché vengono ridotte le loro perdite finanziarie.

Tutto questo somiglia in modo inquietante ai molti e diversi tentativi compiuti nella tecnologia genetica, attraverso i quali numerosi agricoltori sono portati alla rovina, perché il seme non era riutilizzabile e non potevano permettersene altri. Ricorda altresì la morte repentina e innaturale di intere mandrie dopo che gli animali erano stati alimentati con mangimi geneticamente modificati.

Le conseguenze a lungo termine della radiazione radioattiva e della tecnologia genetica non sono ancora state accertate sufficientemente nel dettaglio ed è impossibile stimare gli effetti della clonazione, senza considerare gli incroci. Che cosa accadrebbe qualora un animale clonato venisse alimentato con mangimi genetici? Quali effetti avrebbe sull’uomo? Frankestein è vicino! Ecco perché questa volta voto “no”.

 
  
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  James Nicholson (PPE-DE), per iscritto. (EN) Al momento la clonazione di animali a scopi alimentari costituisce una questione topica. Parlando in generale, non sono contro la clonazione per quanto attiene la ricerca scientifica e lo sviluppo dell’allevamento. Tuttavia, per quanto concerne il benessere animale e la sicurezza alimentare, mi oppongo assolutamente all’immissione degli animali clonati nella catena alimentare.

La ricerca e l’esperienze passate hanno dimostrato che gli animali clonati sono più predisposti alle malattia e hanno una ridotta aspettativa di vita. Sebbene non desideri ostacolare la scienza, è chiaro che non siamo ancora pienamente consapevoli di tutte le conseguenze e le implicazioni della clonazione, in termini sia di benessere animale che di consumo umano.

E’ per tale ragione che si devono attuare controlli e criteri chiari al fine di garantire che sia impedito agli animali clonati di entrare nella catena alimentare. Sebbene mi renda conto che si tratta di un argomento sensibile, credo che dobbiamo eccedere con la cautela. La qualità dei prodotti, il benessere animale e gli interessi ambientali devono continuare a essere la nostra priorità per quanto attiene la produzione alimentare.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI) , per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto favorevole nei confronti della risoluzione proposta dal collega Parish. Sulla clonazione di animali a scopi di approvvigionamento alimentare. Condivido le motivazioni che ne sono alla base e le preoccupazioni che essa solleva.

E’ vero che in passato le innovazioni più “rivoluzionarie” sono state accolte con sospetto e hanno prodotto benefici solamente nel medio-lungo periodo; è altrettanto vero che l’oggetto di tale risoluzione potrebbe rientrare in questa categoria. Tuttavia, è necessario tenere in seria considerazione i pericoli derivanti dalla clonazione di animali a scopi alimentari su tre fronti principali: la sicurezza alimentare, la salute degli animali clonati e la diversità genetico-zootecnica degli stessi. Tali aspetti sono ovviamente interconnessi. Plaudo, dunque, all’iniziativa e confido nell’adozione di misure volte a preservare tanto la nostra salute, attraverso il mantenimento dell’alta qualità del cibo di cui ci nutriamo, quanto la salute degli animali.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. − (SK) Ho votato a favore della presente risoluzione. I consumatori degli Stati membri dell’UE devono essere protetti dagli effetti negativi sulla salute, che potrebbero essere potenzialmente causati da prodotti clonati per scopi alimentari. E’ il principio di prudenza che deve essere applicato in modo adeguato. Il Parlamento sottolinea i molti vantaggi di un’agricoltura di elevata qualità che appoggio.

Nonostante ciò, sono sorpresa da un triste fatto: il Parlamento non ha votato a favore della clonazione di animali, ma appoggia la clonazione umana ai fini della ricerca, che implica esperimenti su cellule staminali embrionali. Il Settimo programma quadro per la ricerca già finanzia tali progetti per la clonazione di esseri umani. Stiamo distruggendo la vita umana ai fini della ricerca.

Tali esperimenti sono anche finanziati con il denaro dei contribuenti, anche in Stati in cui la normativa considera la clonazione un crimine. Sembra che i legislatori europei siano più preoccupati della clonazione di animali per scopi di approvvigionamento alimentare che della protezione dell’uomo dalla ricerca scientifica.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 13.10, è ripresa alle 15.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ALEJO VIDAL-QUADRAS
Vicepresidente

 

11. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
Video degli interventi

12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Video degli interventi

13. Valutazione delle sanzioni UE in quanto parte delle azioni e delle politiche dell’UE in materia di diritti dell’uomo (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Hélène Flautre, a nome della commissione per gli affari esteri, sulla valutazione delle sanzioni UE in quanto parte delle azioni e delle politiche della UE in materia di diritti dell’uomo [2008/2031(INI)] (A6-0309/2008).

 
  
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  Hélène Flautre, relatrice. − (FR) Signor Presidente, il ministro russo per gli Affari esteri Lavrov ha accusato il Ministro Kouchner di avere una “immaginazione malata” quando ha parlato di sanzioni contro la Russia. E’ su questa “immaginazione” che mi è stato chiesto di lavorare nel corso della presente relazione. Desidero ringraziare la Commissione e il Consiglio, che si sono dimostrati assolutamente utili e disponibili.

Che cosa riguarda in realtà la discussione di oggi sulle sanzioni? Riguarda essenzialmente due punti: il primo è una critica dell’utilizzo delle sanzioni al fine di punire sulla scena internazionale sporchi vili mascalzoni, vale a dire chiunque cerchi di bloccare i miei interessi strategici: sanzioni politicizzate con due pesi e due misure. La seconda critica considera il fatto che le sanzioni non sono efficaci, fondamentalmente perché hanno effetti perversi, le persone le eludono sempre e pertanto esse non devono essere utilizzate. Lo scopo della presente relazione non è richiedere maggiori sanzioni, o sanzioni più dure, o che le sanzioni siano abbandonate. Per noi è fondamentale individuare quali condizioni rendono efficaci le sanzioni e lo scopo della presente relazione è effettivamente quello di esaminarle da ogni prospettiva.

Efficaci in relazione a che cosa? In relazione a ciò che stanno cercando di conseguire. In merito alle violazioni dei diritti umani o del diritto internazionale o umanitario, ciò a cui dobbiamo mirare è un cambiamento nel comportamento di coloro a cui sono mirate. Questo è il punto fondamentale. Le sanzioni non sono né una punizione né l’applicazione di una sorta di codice penale europeo da utilizzare a livello internazionale. Le sanzioni costituiscono uno strumento politicamente delicato da gestire e molto esigente da attuare, e cercano di conseguire un cambiamento nelle prassi e nel comportamento.

Molto restia a sanzioni totali, attualmente l’UE mantiene 31 regimi di sanzioni contro paesi terzi o entità, per la maggior parte embarghi sulle armi e sanzioni mirate ideate per avere il massimo impatto sulle entità il cui comportamento intendono influenzare, limitando al contempo per quanto possibile qualsiasi effetto umanitario dannoso. Si tratta in apparenza di qualcosa di positivo, ma a questo stadio non posso dirvi di più. L’UE continua ad agire senza mai aver condotto alcuna valutazione d’impatto generale. Restiamo pertanto piuttosto impotenti nel valutare la capacità delle nostre sanzioni di risolvere crisi e promuovere i diritti umani,

Lo scopo della presente relazione è pertanto quello di parlare a favore di una politica europea di sanzioni più trasparente, più coerente e pertanto più credibile.

Il primo compito fondamentale è intraprendere un esercizio di valutazione. Il secondo è l’adozione di un metodo rigoroso, attraverso studi preventivi sulle specifiche situazioni che richiedono sanzioni al fine di determinare la risposta migliore a indurre un cambiamento.

Nel corso degli ultimi giorni, sono state esaminate le misure a disposizione dell’UE atte a influenzare, ad esempio, le autorità russe. I punti positivi delle conclusioni sono che l’obiettivo definito è chiaro e che può essere valutato praticamente. E’ il rispetto dei sei punti dell’accordo. E in qualsiasi circostanza è fondamentale che sia così. E’ essenziale includere criteri chiari, che devono continuare a essere fino alla fine – e ciò a volte significa per lungo tempo – condizioni necessarie e sufficienti da rispettare per togliere le sanzioni. Tali criteri pertanto devono essere realistici e oggettivamente misurabili.

Sebbene l’embargo sulle armi imposto alla Cina dopo Tiananmen sia perfettamente legittimo, non dobbiamo sorprenderci se non sta avendo alcun effetto positivo, dato che l’Unione europea non ha fatto dipendere l’eliminazione dell’embargo da nessuna particolare richiesta.

Troppo spesso, la politica di sanzioni è vaga e flessibile, condizionata dalle contingenze politiche degli Stati membri più influenti o dall’importanza commerciale o geopolitica dell’entità mirata. Ecco perché, al fine di fornire credibilità alla politica dell’UE, propongo la creazione di una rete di esperti indipendenti responsabili di aiutare la Commissione nel difficile lavoro che svolge, in circostanze incredibili, dato che non dispone di quasi nessuna risorsa per farlo.

Non fraintendiamoci. Non sto parlando di togliere al Consiglio le sue prerogative di impulso politico o il diritto di proposta alla Commissione; sto semplicemente parlando di offrire la garanzia di una decisione informata.

Non è tuttavia tutto. Le sanzioni costituiscono uno strumento. Sono uno dei molti strumenti – mi riferisco alle prime due relazioni della sottocommissione per i diritti dell’uomo – una politica completa e integrata deve essere sviluppata; non vi possono essere sanzioni efficaci senza una strategia in materia di diritti umani per il paese in questione. Le sanzioni devono essere discusse a tutti i livelli e i meccanismi di monitoraggio, ad esempio la clausola dei “diritti umani” devono essere utilizzati appieno.

Tutte le sanzioni contro un paese devono essere accompagnate da un sostegno visibile, e pertanto politico, ma anche concreto ai difensori dei diritti umani nel paesi. Ciò costituisce anche uno dei punti fondamentali della relazione.

Per concludere, la presente relazione ritiene inoltre che qualsiasi danno volontario e irreversibile all’ambiente generi violazioni dei diritti umani e pertanto chiede il suo inserimento tra la ragioni per applicare sanzioni. Ricorda che le sanzioni dell’UE non sono solo contro paesi terzi, ma anche contro entità fisiche e giuridiche, quali mercenari e senza dubbio multinazionali, che sfidano il diritto internazionale operando quasi con impunità. In breve, la presente relazione cerca di rispondere alla natura attuale delle crisi mondiali.

 
  
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  Jean-Pierre Jouyet, Presidente in carica del Consiglio. − (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevole Flautre, onorevoli deputati, innanzi tutto desidero esprimere la nostra gratitudine per il lavoro svolto dalle commissioni parlamentari e in particolare dall’onorevole Flautre, in qualità di presidente della sottocommissione per i diritti dell’uomo.

Si tratta di un lavoro importante, in primo luogo perché la relazione tra il ricorso a misure restrittive e i diritti umani costituisce una questione di rilievo, che di recente ha nuovamente attratto l’attenzione dei diversi attori della scena internazionale – come ha accennato, onorevole Flautre. Penso che valga la pena di affermare che, nel quadro della politica estera e di sicurezza comune, uno degli obiettivi delle misure restrittive continua a essere l’istituzione della democrazia e dello Stato di diritto, così come il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Tuttavia, è giusto esaminare, come stiamo facendo e come avete fatto nella vostra relazione, il possibile impatto di tali misure sui diritti fondamentali di quegli individui che sono soggetti ad esse. Ecco perché, onorevoli deputati, il Consiglio ha elaborato un documento di riflessione sulle misure restrittive, intitolato “Principi di base sul ricorso a misure restrittive”, che menziona l’attenzione da prestare, cito, al “pieno rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto […] rispettando pienamente gli obblighi previsti dal diritto internazionale”. Ovviamente questo impegno resta al centro delle nostre priorità.

Non si deve dimenticare che il ricorso a misure restrittive non si limita alla politica in materia di diritti umani. Si tratta di uno dei molti strumenti disponibili alla politica estera e di sicurezza e vi sono altri obiettivi, a parte la difesa e i diritti umani, che riguardano il mantenimento della pace, il potenziamento della sicurezza internazionale, la protezione degli interessi fondamentali e il rafforzamento della sicurezza dell’UE, o semplicemente la promozione della cooperazione internazionale.

Le sanzioni devono pertanto – come è stato sottolineato – far parte di un approccio integrato e completo al paese, che debba comprendere in parallelo il dialogo politico, incentivi, condizionalità e altri strumenti di politica estera e, da questo punto di vista, sono lieto che la relazione converga con l’idea del Consiglio, che tutti i suoi strumenti, comprese le misure restrittive, debbano essere impiegati con flessibilità.

Comprenderete che non è facile eseguire un’analisi comparativa esaminando i diversi regimi di sanzioni e utilizzando come unico criterio le situazione dei diritti umani in ogni paese. E’ importante non togliere un regime di misure restrittive dal suo contesto e, quando si attuano tali misure, credere che tutto sia automatico in tale attuazione.

Quando si applicano misure restrittive come parte della lotta al terrorismo, le misure devono innanzitutto essere volte a prevenire azioni di terrorismo, in particolare tutto ciò che potrebbe contribuire al finanziamento di tali azioni. Gli elenchi sono ben noti; sono pubblicati, così come le misure a cui portano.

Una delle condizioni per la continuazione di tale sistema poggia su due pilastri: il primo è che tali misure devono essere credibili, il che significa che si deve prestare molta attenzione nell’aggiornare tali elenchi, così che essi rispecchino la realtà. Il secondo è il rispetto per lo Stato di diritto e, di conseguenza, di diversi principi fondamentali: la trasparenza delle procedure, la possibilità di intraprendere un’azione legale e il diritto alla difesa.

In questo dibattito − sono spiacente di dilungarmi, ma questo punto è particolarmente attuale – dobbiamo naturalmente prendere atto della sentenza che la Corte di giustizia ha pronunciato questa mattina, che, a partire dal 3 dicembre, cancella gli effetti di un regolamento comunitario che congela i fondi in applicazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, contro due ricorrenti, perché non hanno potuto venire a conoscenza dei motivi per cui erano stati inseriti nell’elenco dei terroristi. Ciò che riscontriamo è che la Corte non sta impedendo al Consiglio di adottare nuove misure per congelare i fondi a patto che gli interessati possano accedere alle informazioni relative ai motivi per cui sono stati oggetto di tali misure, o nel momento in cui viene presa la misura o quanto prima dopo l’adozione della decisione.

Abbiamo altresì preso nota del fatto che la sentenza della Corte di giustizia specifica che non è messa in dubbio la supremazia delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e che è pertanto su tale base che i regolamenti verranno modificati prima del 3 dicembre, avendo prima informato il Parlamento.

La relazione dell’onorevole Flautre tratta in modo più specifico il meccanismo di valutazione delle sanzioni, chiedendo al Consiglio una valutazione o una valutazione d’impatto della politica di sanzioni dell’UE. Desidero sottolineare che il Consiglio è pronto a farlo e, in particolare, a garantire che le esperienze siano scambiate e che vengano sviluppate le migliori pratiche nazionali per l’applicazione di misure restrittive. L’esperienza acquisita nella progettazione e dell’attuazione di misure in contesti diversi alimenta in continuazione ogni dibattito politico che teniamo in seno al Consiglio, il quale altresì conduce discussioni approfondite sulla pertinenza, la natura, e l’efficacia anticipata delle sanzioni, facendo affidamento sulle relazioni dei capi di missione dell’Unione europea e sulle osservazioni inviate dagli Stati membri.

In merito alla natura delle sanzioni, siamo pertanto lieti che le nostre opinioni convergano con quelle contenute nella relazione e in particolare in merito al fatto che le sanzioni mirate siano da preferirsi a quelle generalizzate. Abbiamo preso nota del fatto che la relazione invita il Consiglio e la Commissione ad assumere un approccio misto – che potrebbe essere riassunto come un approccio del bastone e della carota – che senza dubbio riteniamo sia l’approccio da adottare.

Concordiamo altresì con l’analisi della relazione dell’importanza della cooperazione internazionale, che è ciò che rafforza la credibilità. Attribuiamo priorità particolare all’azione intrapresa nel quadro delle Nazioni Unite. Assicuriamo che in Consiglio, sulla base delle risoluzioni delle Nazioni Unite e delle misure decise in seno al Consiglio di sicurezza, vi è un allineamento con i paesi più vicini all’Unione europea. Assicuriamo altresì che la questione delle sanzioni venga affrontata nelle riunioni di dialogo politico e nelle consultazioni sui diritti umani, che teniamo con diversi paesi obiettivo.

In fine, in questo progetto di relazione, il Parlamento europeo esprime il desiderio di essere coinvolto in tutte le fasi del processo che porta alla progettazione, attuazione e revisione delle misure restrittive. Il Consiglio è pienamente consapevole di ciò ed è lieto del profondo interesse dimostrato dal Parlamento europeo nella politica di sanzioni dell’UE. Ecco perché il Consiglio è particolarmente ansioso di garantire che il Parlamento venga informato regolarmente in merito agli eventi che toccano questo ambito.

Per concludere, desidero plaudire alla commissione competente del Parlamento europeo e incoraggiarla a trarre il massimo dai contatti parlamentari che intrattiene con paesi terzi al fine di migliorare la comprensione del regime di sanzioni dell’Unione europea e di esplorare le possibilità per un’azione coordinata volta a promuovere i diritti umani. E’ per tali ragioni che sono così lieto della relazione che l’onorevole Flautre ci ha appena presentato.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (FR) Signor Presidente, Presidente in carica del Consiglio, onorevole Flautre, onorevoli colleghi, la Commissione era interessata a leggere la relazione sull’applicazione delle sanzioni e sulla valutazione delle sanzioni in materia di diritti umani. Le sanzioni costituiscono uno degli strumenti più efficaci dell’Unione europea per promuovere il rispetto dei diritti umani nei paesi terzi ed esse sono state applicate per questo scopo in particolare in Bielorussia, Cina, Myanmar, Uzbekistan, ex Jugoslavia e Zimbabwe, per citare solo qualcuno degli esempi più rappresentativi.

La Commissione è lieta che si tenga questa discussione sull’attuazione e la valutazione di questo strumento importante per la politica estera e di sicurezza comune. Come ha affermato il Presidente – sebbene con piena consapevolezza che la politica ha diversi obiettivi – qualsiasi decisione di applicare sanzioni nel quadro della PESC deve essere presa dopo aver valutato e soppesato diversi interessi oggettivi. Ecco perché si deve condurre una valutazione della coerenza della politica di sanzioni, non solo per esaminare la situazione dei paesi terzi in materia di diritti umani, ma anche al fine di tener conto degli altri obiettivi e criteri della PESC.

L’applicazione di sanzioni sistematiche, unilaterali e, si potrebbe dire, automatiche nei confronti di qualsiasi paese, i cui politici non rispettano appieno i diritti umani, non sembra auspicabile. L’Unione europea deve tener conto dell’impatto sulle relazioni con paesi che sono il bersaglio delle sanzioni, dato che esse sono economiche tanto quanto politiche. Ciononostante, non dobbiamo tener conto solo dell’impatto sulle nostre relazioni diplomatiche, ma anche valutare l’impatto sulle attività internazionale dei nostri operatori economici. In generale, le sanzioni devono essere mirate e incidere solo sui leader dei paesi interessati, risparmiando le popolazioni che già soffrono a causa del mancato rispetto dei diritti umani. Inoltre, quando vengono concordate le sanzioni, dobbiamo anche decidere i criteri che verranno impiegati per revocarle – la “strategia di uscita” – mantenendo al contempo un minimo di flessibilità per i casi in cui i paesi terzi interessati rispettano la maggior parte dei criteri, ma non tutti.

Desidero anche sottolineare che lo scopo delle sanzioni non è quello di sostituire i procedimenti giudiziari contro coloro che sono responsabili di violazioni dei diritti umani. Tali crimini rientrano tra le competenze delle corti, compreso il Tribunale penale internazionale. Tuttavia, le sanzioni hanno lo scopo di apportare cambiamenti politici nei paesi terzi, ad esempio la promozione del rispetto di diritti umani nel sistema giuridico dello Stato in questione. Perseguono pertanto un obiettivo di cambiamento e possono essere revocate quando cambiano le politiche del paese interessato. L’Unione europea, ad esempio ha applicato sanzioni all’ex Jugoslavia a sostegno del Tribunale penale internazionale.

Crediamo che sia importante promuovere il rispetto di diritti umani in paesi terzi e manteniamo un controllo continuo su ciò che viene applicato nei paesi terzi. In ogni caso, sarebbe necessario identificare tra tutti gli strumenti possibili quelli che saranno naturalmente i più efficaci. Un’analisi approfondita dell’applicazione delle sanzioni al fine di promuovere politiche che rispettino i diritti umani ci sembrano di conseguenza una politica utile e desidero pertanto ringraziarla, onorevole Flautre, per aver preso l’iniziativa.

 
  
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  Renate Weber, relatrice per parere della commissione per lo sviluppo.(EN) Signor Presidente, in qualità di relatore per parere della commissione per lo sviluppo su questa relazione, desidero affermare che l’Unione europea debba fare uso di questo notevole strumento di politica estera con saggezza e prudenza. A prescindere dalle circostanze o dal tipo di sanzioni applicate, vi è sempre la possibilità di effetti collaterali negativi che potrebbero generare situazioni spiacevoli.

Credo fermamente che le sanzioni debbano essere applicate solo quando fallisce la persuasione diplomatica e, affinché siano efficaci, l’UE deve sempre disporre di una valutazione completa della situazione, di una strategia coerente e di una valutazione accurata dei risultati. Al fine di difendere la propria credibilità ed evitare l’accusa di utilizzare due pesi e due misure, l’UE deve essere in grado di giustificare l’adozione o la non adozione di sanzioni primariamente sulla base di ragioni relative ai diritti umani e di argomentazioni legate all’efficacia. Penso che sia fondamentale che, imponendo sanzioni, l’Unione europea riveli i suoi punti di forza e non di debolezza.

 
  
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  Jas Gawronski, a nome del gruppo PPE-DE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo a nome del mio gruppo sulla relazione Flautre ribadendo qui quanto già espresso in commissione: un giudizio complessivamente positivo sul testo, soprattutto dopo alcune modifiche e, oserei dire, alcuni miglioramenti, apportati grazie ai nostri emendamenti che sono stati accettati dalla collega Flautre e qui le do atto di questa sua apertura.

Questo rapporto aggiunge nuovi interessanti elementi, nuovi approcci alla materia, (vedasi il tema ambientale come ragione sufficiente per adottare misure restrittive). Il mio gruppo ha voluto sottolineare l’importanza di stabilire condizioni chiare, obiettivi raggiungibili e parametri di riferimento adeguati quando si applichino tali sanzioni. Oltre a ciò, per renderli più efficaci ha cercato di sottolineare che le stesse debbano essere il più possibile mirate – l’ha sottolineato poco fa il Commissario Ferrero-Waldner – queste sanzioni non coinvolgano per esempio i civili, non portino a misure indiscriminate che provochino l’isolamento della popolazione. In un paragrafo della relazione si richiedeva che le sanzioni ONU fossero da preferire alle sanzioni dell’Unione europea.

Ecco su questo punto sarebbe stato probabilmente necessario un chiarimento per sostenere che questa priorità non impedisca all’Unione europea di adottare delle sanzioni proprie, sanzioni proprie in alcune situazioni particolari dove queste misure fossero risultate più dirette, più facilmente applicabili in termini di tempo, di specificità e di vicinanza geografica, in base ad un principio di sussidiarietà.

Con un emendamento di compromesso trasversale si stabilisce poi che nel quadro della lotta al terrorismo, i servizi segreti, custodi delle ormai famose liste nere di cui ultimamente si è proprio parlato qui in Parlamento, devono poter agire nella dovuta discrezione, necessaria al buon funzionamento del sistema; del resto si chiamano servizi segreti perché devono poter agire in segreto – ma non impunemente, non in violazione delle leggi internazionali.

Certo, ci deve essere una valutazione politica da parte dell’Unione europea in materia di sanzioni e le azioni da noi intraprese devono avere un impatto sostanziale in mancanza del quale bisogna rivedere le modalità delle sanzioni stesse. Ma nella relazione si vorrebbe istituire delle reti di esperti indipendenti per valutarle, per valutare queste sanzioni, ne ha parlato nel suo intervento la collega Flautre.

Il nostro gruppo preferisce che sia il Consiglio stesso a prendere le dovute decisioni, in quanto più competente e legittimato rispetto ad esperti esterni al sistema non controllati dai governi. Ed è in questo spirito che noi proponiamo che si voti contro la parte del nuovo emendamento che verrà proposto domani in Aula dai Verdi, dal PSE e dal gruppo ALDE, per il paragrafo 70, dove ricompare appunto tale richiesta. Valutando nel complesso positivamente il lavoro svolto, il mio gruppo, grazie Presidente, voterà a favore del rapporto Flautre e a lei vanno i nostri complimenti.

 
  
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  Maria-Eleni Koppa, a nome del gruppo PSE.(EL) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Flautre e congratularmi con lei per l’eccellente lavoro svolto. Tuttavia, devo al contempo esprimere il mio disappunto e quello del mio gruppo in merito al fatto che la relazione sia stata alterata in modo significativo nel corso della votazione sugli emendamenti in seno alla commissione pertinente.

Le sanzioni costituiscono un mezzo ulteriore di cui disponiamo al fine di proteggere i diritti umani in tutto il mondo. La cosa fondamentale, tuttavia, è che queste stesse sanzioni non costituiscano una violazione dei diritti umani: nel tentare di risolvere un’ingiustizia non dobbiamo rispondere con un’ingiustizia ancora maggiore.

Dobbiamo altresì prestare attenzione a misure economiche meglio orientate che rispettino il diritto umanitario internazionale. Per tale ragione, attribuisco grande importanza al premunirsi nella relazione di un meccanismo che consente la revisione giudiziaria nel corso dell’applicazione delle sanzioni e altresì all’idea della relatrice di creare una rete di esperti che presenteranno proposte al Consiglio in merito alle misure restrittive più adeguate.

Le precedenti pratiche, quali gli embarghi sui medicinali e gli altri beni di prima necessità, influiscono sulla popolazione in modo indiscriminato, in particolare sui bambini. Possono solo essere condannate in quanto inaccettabili.

Analogamente, le decisioni delle istituzioni giudiziarie competenti devono essere rafforzate. Il Consiglio e la Commissione devono fondamentalmente rivedere la procedura per l’inserimento nella lista nera del terrorismo dell’UE, affinché siano rispettati i diritti fondamentali degli individui o delle organizzazioni inclusi nella lista nera e sia difesa la credibilità dell’UE come difensore dei diritti umani in tutto il mondo.

E’ particolarmente importante che garantiamo l’efficacia delle sanzioni e che arriviamo a una comprensione condivisa di tale questione in seno all’UE, nonché che assicuriamo la cooperazione con le altre organizzazioni internazionali, quali l’Unione africana e l’ASEAN, che sono spesso più vicine alle aree problematiche.

Tuttavia, oltre ad adottare e ad applicare le sanzioni, vi devono essere disposizioni specifiche in merito alla revoca delle sanzioni. Vi è la necessità di un monitoraggio continuo e di definire termini, così che l’obiettivo delle sanzioni possa essere meglio compreso e possa essere concluso quando lo scopo viene raggiunto. Tale approccio accresce l’efficacia delle sanzioni e dà credibilità alla nostra politica.

Da ultimo, desidero sottolineare che inizialmente pensavo che non vi dovesse essere alcun riferimento a paesi specifici. Tuttavia, dato che è stata operata la scelta di menzionare alcuni paesi nel testo, credo che sia fondamentale che non dimentichiamo la Palestina. A tal proposito, vi è un’indicativa incoerenza nella politica europea. Essa appoggia la diffusione della democrazia nel mondo, ma ha scelto di imporre sanzioni UE contro il governo palestinese, che è venuto in essere attraverso dimostrabili elezioni libere e democratiche.

Le sanzioni non costituiscono un mezzo per cambiare il mondo, ma possono essere uno strumento importante per obbligare i paesi che violano il diritto internazionale e i diritti umani a modificare la loro politica. E’ sufficiente che le sanzioni siano mirate, giustificate e soggette a una revisione e valutazione costante.

 
  
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  Marco Cappato, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, grazie alla relatrice per il lavoro che è stato realizzato. Credo che la proposta di trovare dei criteri più omogenei sulla politica delle sanzioni sia una proposta che arriva anche in modo tempestivo. Voglio sottolineare in particolare un elemento concreto che è contenuto nella relazione al paragrafo 6 e riguarda i crimini, le devastazioni di tipo ambientale. Si propone che anche questo tipo di azione volontaria possa essere sottoposta a sanzioni e credo che dovrebbe essere presa in seria considerazione questa proposta.

Per il resto il limite della politica delle sanzioni certo è spesso l’incoerenza, ma è soprattutto collegato al limite della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea: più esiste ed è forte e coerente quella politica, più può essere forte e coerente un regime di sanzioni. Il problema nostro, come Unione europea, è che siamo spesso troppo timidi o è così difficile trovare il consenso necessario trasversale tra i paesi membri per arrivare a sollevare delle sanzioni che ci troviamo incapaci e impotenti di reagire. Mi permetto di approfittare della presenza della Presidenza francese per ricordare come di fronte ad un regime come la Birmania è chiaro che escludere l’energia dal novero delle sanzioni rende quelle sanzioni molto poco efficaci.

In più, c’è la questione dei diritti umani e della democrazia che dovrebbero essere la priorità della politica internazionale e quindi anche la priorità delle politiche in materia di sanzioni. Così non è! Così non è a partire da un problema che è menzionato nella relazione Flautre ai paragrafi 18 e 19, quello degli accordi di cooperazione dove noi abbiamo delle clausole, delle regole che impongono il rispetto dei diritti umani, sono clausole che impegnano l’Unione europea. Queste clausole sono sistematicamente ignorate.

Allora, prima ancora di arrivare a delle sanzioni, bisogna trovare dei meccanismi per rendere queste clausole efficaci. Se ne stanno trattando di nuove, negoziando di nuove con il Vietnam e con altri paesi asiatici. Dobbiamo trovare dei meccanismi graduali magari per evitare, termino presidente, di arrivare alla sanzione, ma lo possiamo fare soltanto se rispettiamo la legalità, le clausole, gli accordi scritti che la nostra Unione firma.

 
  
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  Konrad Szymański, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, non è un caso che il termine “sanzioni” resti indefinito nel diritto internazionale. Si tratta di uno strumento di pressione che è difficile da cogliere in modo preciso. Di conseguenza, le ambiziose proposte della relatrice di armonizzare i principi di utilizzo delle sanzioni sono ancora più difficili da realizzare. Potrebbero altresì essere controproducenti.

Le sanzioni costituiscono uno strumento indispensabile della politica estera dell’UE. In considerazione delle ampie competenze dell’UE nel controllo del commercio e delle frontiere, esse sono di importanza considerevole per l’attuazione di obiettivi nella sfera sia della sicurezza che della difesa dei diritti umani. Ecco perché le sanzioni rientrano nella nostra gamma di strumenti di politica estera ed ecco perché non siamo riluttanti ad applicarle in modo alquanto libero e, a volte, inadeguato. Invece di sottoporre le sanzioni a una qualche sorta di rigida serie di regole, dobbiamo, in nome dell’efficacia del nostro impatto sulla politica mondiale, lasciare la loro applicazione a un’accorta valutazione politica. Con tale riserva generale, il nostro gruppo politico appoggia la relazione.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda, a nome del gruppo Verts/ALE.(ES) Signor Presidente, due pesi e due misure, nonché la mancanza di strumenti specifici di valutazione e controllo che tendano a caratterizzare la politica estera dell’Unione europea per quanto attiene le sanzioni costituiscono ora una delle più gravi minacce alla credibilità europea.

In numerose occasioni, tali sanzioni o misure restrittive, come sono altresì chiamate, si basano più su simpatie e antipatie particolari che su una strategia chiara, coerente e convincente, il cui obiettivo deve essere non solo quello di garantire la sicurezza dell’Unione europea, come stabilito negli obiettivi della PESC, ma anche di migliorare la situazione dei diritti umani, le libertà fondamentali, lo Stato di diritto e il buon governo nel mondo, come disposto all’articolo 11 del Trattato dell’Unione europea.

Questo impone che le valutazioni e gli studi dell’impatto del sistema di sanzioni siano intrapresi immediatamente al fine di dotarci di una politica che sia non solo legittimata, ma anche efficace in termini di sistemi di sanzioni.

In breve, è l’obiettivo della relazione Flautre. Le basi della relazione, come è emerso dal lavoro della sottocommissione per i diritti dell’uomo, sono ragionevolmente buone e dispongono di alcuni elementi che reputo essenziali. Ad esempio, insistono sul fatto che il Consiglio, adottando i succitati principi di base sul ricorso a misure restrittive, si è impegnato a farlo come parte di un approccio completo, che deve dare spazio a strumenti quali la clausola relativa ai diritti umani e alla democrazia, il sistema di preferenze generalizzate e gli aiuti allo sviluppo.

Ribadisce inoltre la richiesta al Consiglio dell’Unione europea di adottare immediatamente una posizione comune in merito al controllo delle esportazioni di armi, che renderà l’attuale codice di condotta in questo settore giuridicamente vincolante, come in passato abbiamo più volte approvato in quest’Aula.

Tuttavia, dalla relazione sono stati esclusi alcuni aspetti che reputo fondamentali e mi auguro che possano essere inseriti nella discussione e della votazione in plenaria di domani.

Innanzi tutto, per quanto attiene alle liste nere, nel contesto della lotta al terrorismo, occorre riesaminarle affinché siano rispettati i diritti umani e le garanzie giuridiche fondamentali di coloro che vi figurano.

In secondo luogo, come è altresì già stato detto, sono a favore del fatto che la Commissione istituisca una rete di esperti indipendenti responsabili di proporre al Consiglio le misure restrittive più appropriate in base alla situazione, elaborando regolari relazioni sullo sviluppo della situazione in base ai criteri e agli obiettivi stabiliti e, se del caso, suggerendo miglioramenti nell’applicazione delle sanzioni.

 
  
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  Vittorio Agnoletto, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, do atto alla collega Flautre di avere condotto un buon lavoro, ma questo è stato, almeno in parte, stravolto in commissione affari esteri durante il voto e ciò ha indotto il gruppo socialista e quello Verde ad astenersi, mentre sono stati solo i Popolari e Liberali ad approvare il testo sostanzialmente modificato, proprio perché l’approvazione di una serie di loro emendamenti ne ha cambiato l’equilibrio politico e ricordo che il nostro gruppo GUE ha votato contro in commissione.

Come gruppo prendiamo atto che i 13 emendamenti presentati, anche se approvati, non sono in grado di cambiare la linea politica globale del rapporto e dunque, pur votando a favore della maggioranza degli emendamenti, il nostro voto finale rimane critico.

Il problema – crediamo – è che le relazioni internazionali devono essere fondate sul dialogo e il rispetto reciproco, pure nella differenza delle posizioni di opinioni. Le sanzioni come tali devono essere l’ultima scelta a disposizione degli Stati e delle organizzazioni internazionali, mentre il rapporto le esalta quale strumento principe della politica estera dell’Unione.

Crediamo, inoltre, che vada data priorità alle cosiddette misure positive di incentivazione. Uno Stato deve essere premiato se si impegna a promuovere e a rispettare i diritti umani, con la sottoscrizione di accordi specifici in campo economico, commerciale e finanziario. Il rapporto invece insiste sulle misure negative, peraltro, guarda caso, sempre contro i soliti paesi come ad esempio, Cuba: esempi che dimostrano come la politica di sanzioni è fallita.

Insomma, più cooperazione e meno punizioni unilaterali. Neanche l’Unione europea ha il monopolio dei diritti, come dimostra la maniera insopportabile con la quale trattiamo i migranti e i rom. Forse dovremmo autosanzionare noi stessi!

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, la relatrice ritiene che sia importante che la politica di sanzioni europea sia prima valuta e poi valutata nuovamente (si veda il paragrafo 11). Un’azione europea sotto forma di sanzioni può senza dubbio avere un valore positivo se porta un effettivo miglioramento nella situazione dei diritti umani nel paese partner interessato. Pertanto, una valutazione approfondita è senza dubbio importante al fine di esaminare l’efficacia della politica in materia di sanzioni.

Il Consiglio e la Commissione devono tuttavia avviare una discussione seria sul ricorso alla politica in materia di sanzioni. Dopotutto, come l’onorevole Flautre ha già giustamente sottolineato, è difficile imporre sanzioni efficaci in assenza di un quadro chiaro. Mi sono chiesto se sono possibili sanzioni unanimi in considerazione dei diversi Stati membri dell’Unione – qui vengono subito in mente il caso di Cuba e altresì quello dello Zimbabwe. Considerando la possibilità, peraltro appoggiata dall’onorevole Flautre, di valutare nuovamente la politica in materia di sanzioni, non è certo che tale politica sia in effetti uno strumento appropriato.

In breve, al fine di migliorare la sicurezza e la situazione dei diritti umani nei paesi partner dell’Unione europea, è importante che dedichiamo qualche pensiero allo strumento corretto. Ad esempio, gravi violazioni della libertà di religione in Cina e in India potrebbero indurre l’Unione europea a intraprendere una vera azione ufficiale? Attualmente, ripensare l’azione europea in questo tipo di caso è più appropriato che non un’affrettata rivalutazione della politica in materia di sanzioni.

A parte ciò, mi auguro di appoggiare la relazione Flautre, a patto che non vengano adottati alcuni emendamenti.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI). (NL) Signor Presidente, desidero iniziare con alcune parole di critica. Penso che sia piuttosto cinico fare continui riferimenti, in una relazione sui diritti umani, alla necessità di applicare diverse disposizioni del Trattato di Lisbona. Come tutti noi sappiamo, in Irlanda il Trattato è stato respinto in un referendum democratico e la ragione per cui è stato respinto solo in Irlanda è che nessun altro paese ha concesso ai cittadini il diritto umano di esprimere la loro opinione democratica in merito a tale Trattato. Inoltre, Lisbona era una mera copia di una Costituzione europea che era già stata ridotta in polvere in consultazioni referendarie in Francia e nei Paesi Bassi. Iniziamo pertanto a rispettare i diritti umani dei nostri stessi elettori e a non fare sistematicamente riferimento a un Trattato che è stato respinto e che è giuridicamente defunto.

Una seconda critica è che la presente relazione è intrisa di buone intenzioni, ma la realtà è molto diversa. Abbiamo appena visto la fine dei Giochi olimpici in Cina, in cui tutti i nostri sostenitori democratici europei si sono uniti nello stare fianco a fianco con un regime comunista in una replica della Germania nazista del 1936. In tali circostanze, per noi può essere opportuno osservare un paio di mesi di silenzio pieno di vergogna – sebbene io non ammetta che la relazione, nella sua forma attuale, possa essere descritta come notevolmente equilibrata secondo gli standard di quest’Assemblea, e critichi giustamente un elevato numero di questioni, quali la situazione a Cuba e nello Zimbabwe. Tuttavia, le manca un serio avvertimento in merito all’islamizzazione mondiale, che pone una minaccia a tutte le libertà che formano proprio le basi della nostra società.

Infine, un’ulteriore obiezione relativa a una questione vicina al mio cuore. Nei nostri stessi paesi europei, in particolare nel mio, il Belgio, si vedono sempre più leggi che costringono al silenzio, limitando la libertà di espressione e introducendo persino pene detentive per opinioni che costituiscono un’offesa, in particolare in questioni relative a immigrazione e islamizzazione. Ritengo che questo costituisca uno sviluppo particolarmente preoccupante e penso che, a tale proposito, dobbiamo lottare con i denti e con le unghie – anche in quest’Assemblea, quando discutiamo di diritti umani – onde difendere la libertà di espressione anche nei nostri stessi Stati membri dell’UE.

Queste sono state tre osservazioni critiche in merito a una relazione che, per il resto, non è certamente la peggiore che abbiamo visto qui e che appoggeremo a patto che domani non vengano adottati emendamenti inaccettabili.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(LT) E’E’ ovvio che le opinioni sull’impatto politico delle sanzioni varia enormemente. Vi sono casi in cui le sanzioni su un regime al potere sono causa di sofferenza per persone innocenti, incoraggiando indirettamente un’economia sommersa e il mercato nero. In alcuni casi, si può verificare il pericolo di violazioni dei diritti umani, a causa dell’inserimento in liste nere dei nomi delle persone. La credibilità delle sanzioni è ulteriormente compromessa dal fatto che vengono imposte utilizzando due pesi e due misure, in base all’importanza strategica del partner dell’UE. L’esempio più recente è il fallimento dell’UE nell’imporre alla Russia qualsiasi sanzione, sebbene la Russia abbia violato norme di diritto internazionale, invadendo il territorio di un paese sovrano – la Georgia – con il pretesto di difendere i suoi cittadini. Le sanzioni, tuttavia, continuano ancora a essere una delle armi dell’arsenale dell’UE. A mio avviso, le sanzioni sono, e devono restare, parte integrante della politica estera e di sicurezza comune o, per essere più precisi, un mezzo per sostenere i diritti umani e la democrazia.

Comprensibilmente, l’UE sta cercando di far uso del “metodo del bastone e della carota” e di evitare di dover imporre sanzioni. Tuttavia, andrebbero imposte, se necessario, ed è molto importante che le sanzioni svolgano un ruolo più ampio e più coerente nella strategia intesa a proteggere i diritti umani.

La relatrice, l’onorevole Flautre, ha menzionato l’embargo sulle armi imposto alla Cina sull’onda del massacro di piazza Tiananmen. Vi sono suggerimenti al fine di revocare l’embargo; tuttavia, onorevoli colleghi, a oggi non abbiamo ricevuto alcuna spiegazione riguardo alla carneficina di piazza Tiananmen, che ha scioccato il mondo libero, né alcuna scusa in proposito. Perché allora tale sanzione dovrebbe essere revocata? Desidero sottolineare che, quanto all’imposizione delle sanzioni, l’Unione europea deve cooperare più strettamente con altri paesi e organizzazioni internazionali e coordinare la sua politica e le sue azioni con l’intenzione di rendere le sanzioni più efficaci.

 
  
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  Libor Rouček (PSE).(CS) Onorevoli colleghi, le sanzioni sono parte integrante della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea nel sostenere l’osservanza dei diritti umani e nel preservare la democrazia e la sovranità. Sebbene l’Unione europea ricorra a molte sanzioni diverse da almeno 20 anni, nessuno studio o valutazione degli impatti della politica di sanzioni dell’UE è mai stato intrapreso. Accolgo pertanto con favore la relazione dell’onorevole Hélène Flautre in quanto costituisce un contributo importante in questo settore. Accolgo altresì con favore le sue numerose conclusioni.

Sono anch’io dell’avviso che sia fondamentale potenziare le competenze e le capacità critiche dell’Unione europea nella valutazione delle sanzioni. A tal proposito, la ratifica del Trattato di Lisbona e la creazione del servizio estero europeo fornirebbe una buona opportunità. Le sanzioni, se utilizzate, devono far parte di un concetto globale di politica estera, in altre parole, non devono essere utilizzate in modo isolato, da sole, senza considerare altri strumenti di politica estera e senza cooperazione con altri attori del sistema internazionale. Le sanzioni devono altresì essere accompagnate da misure e da stimoli concreti volti ad appoggiare i diritti umani e a sostenere la società civile e la democrazia. Infine, le sanzioni non devono essere connesse agli aiuti umanitari. Le sanzioni devono essere dirette a persone vere e proprie, ad esempio con l’intenzione di limitarne i movimenti o di confiscarne i beni, e non contro le vittime del loro comportamento malvagio.

 
  
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  Janusz Onyszkiewicz (ALDE).(PL) Signor Presidente, le sanzioni costituiscono uno strumento importante in politica estera. Senza dubbio esse hanno portato alla fine dell’apartheid nella Repubblica del Sudafrica. In effetti sono io stesso un beneficiario delle sanzioni, in quanto nel 1983, come risultato di un’amnistia forzata da sanzioni, sono stato rilasciato dal carcere, sebbene purtroppo non per lungo tempo.

Spesso, tuttavia, esse falliscono, come si può vedere negli esempi dello Zimbabwe e di Cuba. Le sanzioni economiche spesso vengono utilizzate al fine di giustificare le difficoltà che primariamente costituiscono il risultato di un governo dittatoriale incompetente.

Esiste, tuttavia, un tipo di sanzione che non genera tali opportunità di propaganda. Si tratta di un divieto sull’ingresso nell’Unione europea. Non può, tuttavia, abbracciare solo i rappresentanti delle più alte autorità, come nel caso della Bielorussia, ad esempio; deve anche comprendere gli individui di medio livello dell’apparato di repressione e di violazione dei diritti umani. Le persone comuni, allora, vedranno che le misure adottate non sono mirate a loro, bensì all’apparato del potere dittatoriale.

 
  
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  Ģirts Valdis Kristovskis (UEN).(LV) Desidero elogiare i tentativi dell’onorevole Flautre di potenziare le capacità dell’Unione europea e di aumentare la sua autorità. Non nutro alcun dubbio in merito al fatto che le sanzioni debbano essere applicate con flessibilità, ma al contempo la relatrice sottolinea anche l’inammissibilità di due pesi e due misure. La mancanza di coerenza minaccia la credibilità delle sanzioni e delle politiche dell’Europa. L’Unione europea si compromette se introduce un regime di sanzioni e se successivamente lo viola, come nel caso riguardante Robert Mugabe. Non di rado l’Unione europea minaccia i paesi terzi in modo diverso. Ciò comporta le sue conseguenze. La posizione acquiescente dell’UE in merito alla questione della Georgia ha generato in Russia una vera esplosione di entusiasmo. A loro avviso, l’aggressione militare costituisce lo strumento migliore per proteggere i diritti umani. Senza dubbio, in tutto il mondo hanno il predominio di valori diversi. La mancanza di mordente della PESC costituisce una prova del fatto che l’UE è guidata da interessi commerciali. Quando valutiamo ciò in termini pratici, le cose devono stare proprio così. Purtroppo, ciò accresce il senso di impunità da parte di taluni poteri maggiori e la loro consapevolezza che possono violare diritti internazionali. In futuro, i due pesi e due misure di oggi genereranno ancor più problemi.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL). (NL) Signor Presidente, le sanzioni costituivano uno strumento adeguato a porre gradualmente fine alle peggiori forme di dominazione coloniale e all’apartheid in Sudafrica e in Rhodesia meridionale. In passato, erano sempre gli oppositori al cambiamento che respingevano le sanzioni e che soprattutto richiamavano l’attenzione sugli effetti collaterali negativi. D’altro canto, i rappresentati dei poveri e degli oppressi di quei paesi sottolineavano che accettavano gli svantaggi del boicottaggio come prezzo che dovevano pagare per la loro liberazione.

Il prolungato boicottaggio economico del terribile regime di Saddam Hussein in Iraq ci ha insegnato che tali boicottaggi a volte possono risultare nell’isolamento degli abitanti del paese in questione e della loro paura del mondo esterno, il che li porta ad appoggiare il loro governo. Senza dubbio, un boicottaggio non contribuisce ad aprire un varco agli auspici del mondo esterno contro l’opinione pubblica interna, ma è, e continua a essere, un mezzo adeguato per sostenere l’opinione pubblica soffocata e la lotta per apportare miglioramenti in un paese. Se operiamo una netta distinzione lungo tali linee, le sanzioni continueranno a essere uno strumento utile per portare maggiore uguaglianza e democrazia.

 
  
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  Kinga Gál (PPE-DE). - (HU) Grazie per avermi concesso la parola, signor Presidente. Penso che la valutazione delle misure e delle sanzioni dell’Unione, che fanno parte delle politiche dell’UE, sia estremamente importante nella sfera dei diritti umani, in particolare in tempi così tesi, il che attualmente si riferisce alla crisi georgiana, che è stata preceduta dalla questione del Tibet, nonché dello Zimbabwe. Desidero pertanto congratularmi con l’onorevole Flautre per la sua relazione. Questa politica di sanzioni si basa su principi ben definiti di diritti umani e diritto internazionale, che sono rafforzati da numerosi documenti dell’ONU e dell’Unione.

I problemi emergono non a livello dei principi, bensì a livello della loro applicazione nella pratica, in cui stiamo affrontando una mancanza di coerenza, efficacia ed equilibrio. L’applicazione sistematica dei criteri relativi ai diritti umani è fondamentale per la conservazione della credibilità dell’Unione. Trovo che la coerenza sia scarsa, dato che è spesso vittima di quotidiani interessi politici. Un’azione unificata è semplicemente altrettanto cruciale. Non ha senso che disponiamo di norme comuni, se vi sono scostamenti rilevanti tra i diversi Stati membri nella loro applicazione pratica. Ad esempio, mentre l’UE ha difeso la protezione dei diritti umani nel caso del Tibet, l’Unione comprende uno Stato membro che espelle i rifugiati tibetani. Negli interessi dell’efficacia politica, dobbiamo costruire una politica di sanzioni che sia trasparente, unificata e che abbia obiettivi ben definiti. Oltre a un’azione unificata, è altresì importante una reazione rapida o persino immediata. Possiamo osservare che le discussioni diplomatiche si fanno gioco non solo della nostra politica di sanzioni, ma anche dell’intera Unione. Tuttavia, tutto questo conseguirà il suo unico obiettivo, se sarà accompagnato da misure concrete a sostegno della società civile in questione. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Corina Creţu (PSE).(RO) Mi auguro che la presente relazione svolgerà un ruolo importante nel potenziamento della politica europea relativa all’applicazione di sanzioni comunitarie.

Credo che sia essenziale avere in futuro più coesione tra gli Stati membri, sia durante il processo decisionale in merito alle sanzioni, che in relazione alla loro corretta applicazione. Se vogliamo che l’Unione europea sia una presenza forte e rispettata sulla scena internazionale e che le sue azioni, anche relativamente alle sanzioni, abbiamo il maggiore impatto possibile, è essenziale dimostrare grande solidarietà ed evitare l’utilizzo di unità di misura diverse.

E’E’ fondamentale che le sanzioni influiscano il meno possibile sulla popolazione dei paesi le cui regioni politiche sono soggette a sanzioni. Non facciamo soffrire queste persone doppiamente, fintanto che sono ancora vittime di regimi oppressivi o di governi corrotti. Sono lieta che anche la signora Commissario abbia evidenziato questo aspetto.

Da ultimo, ma non per importanza, desidero sollevare la questione dell’opportunità delle sanzioni. All’inizio di questa settimana, ci siamo trovati di fronte a un caso specifico: la crisi georgiana e la posizione dei 27 Stati membri nei confronti della Russia. I risultati del vertice di lunedì scatenano accesi dibattiti, in particolare a causa della discrepanza tra il tono fermo e quasi veemente dell’atteggiamento espresso e la titubanza a ricorrere a sanzioni.

Ritengo che, fino a quando si può ancora porre rimedio alle cose e il dialogo può prevenire il deterioramento della situazione, le sanzioni debbano restare l’ultima misura cui ricorrere.

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó (ALDE).(ES) Signor Presidente, le idee sollevate nella presente relazione sulla questione delle sanzioni sono accolte con grande favore. E’ ovvio che la questione necessita di qualche idea seria: troppe volte le sanzioni si sono rivelate completamente inutili e, in molti casi, del tutto ingiuste; troppe volte hanno danneggiato i più deboli della società.

Perché i pescatori della Mauritania devono pagare per il fatto che, improvvisamente, vi è stato un colpo nel loro paese? Che senso ha? Le sanzioni devono pertanto essere riviste e analizzate: sia il concetto in sé che la sua applicazione.

Inoltre, quando vengono imposte troppo di frequente e in modo incoerente, come fa l’Unione europea, perdono di credibilità e lo stesso accade all’Unione europea. Una cosa è tenere conto dei nostri interessi e un’altra è che ciò sia il barometro per imporre sanzioni o meno.

E’ fondamentale monitorare in particolare l’efficacia di tali misure; è essenziale che promuoviamo metodi di sanzioni intelligenti, affinché colpiscano direttamente e personalmente coloro che sono responsabili di violazioni dei diritti umani. Stiamo imparando da quello che gli Stati Uniti hanno fatto in Corea del Nord e dal congelamento dei conti correnti a Macao. Stiamo studiando questo esempio, che ha ricevuto una pubblicità molto scarsa, ma che è stato molto più efficace rispetto alle numerose conferenze stampa tenute contro un governo in particolare.

Appoggio pertanto la presente relazione, ma la Commissione e il Consiglio hanno ancora del lavoro da svolgere, al fine di monitorare veramente ciò che viene fatto, perché viene fatto e come viene fatto.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. LUIGI COCILOVO
Vicepresidente

 
  
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  Eoin Ryan (UEN). - (EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare la relatrice e assicurarle che appoggeremo la sua relazione.

L’Unione europea ha ragione ad avere a disposizione una serie di severi strumenti politici ed economici, che possono essere utilizzati contro i regimi di tutto il mondo, che violano i diritti umani del loro popolo. L’Unione europea, tuttavia, deve essere molto cauta quando si tratta di imporre sanzioni politiche ed economiche.

L’UE è il maggior contribuente agli aiuti allo sviluppo all’estero, ma deve agire con saggezza e prudenza quando si tratta di sanzioni. L’effetto delle sanzioni nello Zimbabwe, in Sudan e in Birmania, per nominare solo tre paesi, è stato molto nocivo per la gente comune di quei paesi. Pertanto, dobbiamo cercare di garantire che non colpisca i più poveri e i più oppressi di tali paesi, ma che attacchi e persegua le persone che li guidano.

Alcuni oratori hanno citato Cuba. Non riesco a capire perché imponiamo sanzioni a Cuba. Cuba deve essere riportata al commercio normale: in 10 anni, Cuba sarebbe un paese radicalmente diverso, se lo facessimo anziché mantenere queste ridicole sanzioni.

Dobbiamo fare attenzione, come ho detto, quando imponiamo sanzioni e quando imponiamo sanzioni economiche e politiche, che queste siano mirate a coloro che sono al potere. Dobbiamo mirare ai loro affari finanziari all’estero o alla loro situazione di viaggio. Le sanzioni possono essere utili, ma sono limitate, in particolar modo se vengono utilizzate solo dai paesi dell’Unione europea. Le sanzioni ONU sono molto più forti e possono essere molto più efficaci.

Appoggio la presente relazioni, ma penso che le sanzioni siano limitate. Possono essere efficaci, ma dobbiamo altresì usare prudenza e saggezza quando le attuiamo.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, con il pretesto dei diritti umani, la relazione in discussione propone l’utilizzo più efficace dell’arma inaccettabile e disumana delle sanzioni e degli embarghi al fine di imporre le politiche dell’UE mediante l’esortazione e la pressione su paesi, popoli e governi, che si alzano in piedi di fronte alla barbarie capitalista.

Le sanzioni intelligentemente mirate che vengono proposte, insieme al finanziamento di organizzazioni non governative come mercenari dell’UE, costituiscono il più sfrontato intervento aperto negli affari interni di un paese, il che viola persino i principi fondamentali di ciò che resta del diritto internazionale.

In pratica la relazione adotta la politica di embargo applicata dagli Stati Uniti contro Cuba nel quadro dell’Helms-Burton Act, che, tra l’altro, obbliga anche le imprese di paesi terzi che commerciano con gli Stati Uniti a rispettare le sanzioni che impongono.

La legge e l’embargo sono stati ripetutamente condannati dalla stragrande maggioranza dei membri dell’ONU nelle Assemblee generali. Corrisponde all’esportazione del diritto nazionale, il che costituisce un abuso e la negazione dei principi internazionali e della Carta delle Nazioni Unite.

Appellarsi all’ONU e fare riferimento ai diritti umani è una foglia di fico che copre l’aggressiva politica imperialista dell’UE. E’ incredibilmente ipocrita. Vi chiediamo: perché non adottate nessuna misura contro la Russia? Non dobbiamo certo essere d’accordo in proposito. Perché non adottate misure contro la Cina? Non dobbiamo certo essere d’accordo con l’adozione da parte vostra di tali misure. La spiegazione è che lì avete interessi economici. Coloro che introducono la clausola dei diritti umani della relazione Agnoletto hanno molto di cui rendere conto, perché hanno fornito all’UE un alibi e un pretesto per le sue politiche criminali contro le persone.

Coloro che tra di noi sono competenti e sufficientemente responsabili per risolvere i loro problemi sono, crediamo, le persone stesse. Non hanno bisogno di protettori autonominati, men che meno dell’UE.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, il ricorso alle sanzioni deve diventare una parte reale ed efficace della politica estera dell’UE nella sfera dei diritti umani. Le conclusioni inserite nella relazione dell’onorevole Flautre hanno buone intenzioni. La politica di due pesi e due misure utilizzata finora deve essere modificata. Ha senso espandere l’applicazione della clausola relativa a diritti umani e democrazia al fine di coprire tutti gli accordi commerciali conclusi dall’UE con paesi terzi. Al contempo, è importante applicare sanzioni politiche ed economiche, con queste ultime intese a colpire più duramente i settori che costituiscono una strategica fonte di introiti per i governi. Quando applichiamo le sanzioni, dobbiamo altresì sostenere la società civili e le organizzazioni non governative del paese in questione.

Ho l’impressione, tuttavia, che l’adozione di risoluzioni non sia una soluzione sufficiente. Esempi in cui singoli Stati membri sono stati guidati dai loro stessi interessi specifici e hanno violato la solidarietà dell’UE forniscono la prova migliore di questo. Senza una volontà politica sincera da parte di tutti gli Stati membri dell’UE, le risoluzioni resteranno solamente carta. La posizione delle autorità dell’UE in merito alle azioni della Russia in Georgia costituirà una misura del superamento o meno della prova da parte della politica estera dell’UE. Non è più sufficiente annunciare semplicemente principi e richieste pertinenti; è decisamente tempo che inizino a essere applicati. Questo è precisamente ciò di cui tratta la presente relazione e per questo desidero esprimere i miei sentiti ringraziamenti all’onorevole Flautre.

 
  
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  Katrin Saks (PSE). - (ET) A mio avviso, uno dei temi più importanti della presente relazione è la definizione di criteri.

Quando imponiamo sanzioni dobbiamo altresì stabilire i criteri relativi a come, quando e secondo quali condizioni tali sanzioni devono essere revocate. Senza tali criteri le sanzioni stesse sono inutili.

Prendete come esempio Andijan. Per la prima volta il regime di sanzioni incorporava un meccanismo politico di misure concrete, il che significa che vi è stato un periodo di sei mesi prima che le sanzioni venissero applicate e l’Uzbekistan ha avuto l’alternativa di rispettare o meno i nostri criteri e il tempo per farlo.

E’E’ positivo che sia stato applicato il meccanismo concreto, ma anch’esso dovrebbe essere regolato da criteri: finché vi sono sviluppi molto positivi nel massacro di Andijan le sanzioni non verranno revocate.

Ciò mi porta al prossimo punto importante sollevato nella relazione, vale a dire l’istituzione di un gruppo indipendente di esperti sulle sanzioni, che valuterebbero i tipi di sanzioni e quando debbano essere imposte.

Si deve altresì considerare il significato simbolico delle sanzioni, cosa di cui ho fatto l’esperienza in Uzbekistan. E’ difficile da quantificare. Nonostante laggiù l’effetto non sia stato considerevole, ad esempio il sistema dei visti (gli ufficiali, soprattutto coloro contro i quali era stato imposto, se ne sono andati) e l’embargo sulle armi (lì non venivano fornite armi) hanno avuto un enorme valore simbolico. Questa è stata l’opinione espressa da tutti, dal tassista al ministro.

 
  
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  Toomas Savi (ALDE). - (EN) Signor Presidente, la politica estera dell’Unione europea è stata pioniera di un positivo modello di condizionalità – il “metodo della carota” – attuandolo con successo in relazione ai suoi paesi candidati.

Purtroppo, premiare i progressi nella sfera dei diritti umani nei paesi in via di sviluppo non si è sempre rivelato essere la misura più efficace al fine di incoraggiarli ad andare avanti, dato che nell’arena internazionale sono comparsi nuovi attori che praticano il dumping politico. La politica della Cina in Africa, ad esempio, non fa alcun riferimento ai diritti umani o alla democrazia. Ma invece di fare marcia indietro sui valori fondamentali dell’UE, non dobbiamo avere timore di applicare il “metodo del bastone”, ove necessario, al fine di dimostrare che, quando non vengono rispettati taluni requisiti fondamentali, vi saranno anche conseguenze terribili, che si consiglia saggiamente ai terzi di evitare.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN).(PL) Signor Presidente, l’utilizzo di due pesi e due misure nella sfera della violazione dei diritti umani è disastroso per l’UE. Ormai da lungo tempo, e anche di recente nel contesto dell’aggressione della Russia contro la Georgia, abbiamo affrontato una situazione in cui è stata applicata una speciale tariffa leggera per i paesi che, nonostante fossero dittatoriali o semidittatoriali, sono ricchi o grandi e per i paesi che violano i diritti umani, ma che sono meno importanti da un punto di vista europeo o per gli affari americani.

Non dobbiamo abbandonare lo strumento delle sanzioni contro i paesi che violano i diritti umani e dei cittadini e che mostrano disprezzo per le norme europee in questo settore. Tale strumento non deve, tuttavia, essere sminuito – dobbiamo usarlo con flessibilità. In questo contesto non dobbiamo respingere la minaccia del possibile ricorso a sanzioni contro la Russia per la guerra nel Caucaso.

Per concludere, sono molto lieto che intendiamo riconoscere il danno inflitto consapevolmente all’ambiente come violazione dei diritti umani. In tale contesto, i colleghi di Finlandia, Svezia e Stati baltici stanno parlando delle potenziali drammatiche conseguenze ambientali sul fondale del Mar Baltico causate dall’investimento nel gasdotto Nord Stream.

 
  
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  Maria da Assunção Esteves (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, l’Europa necessita di un enorme cambiamento al fine di prendere sul serio i diritti. Sanzioni rapide ed efficaci devono essere connesse a una risposta strutturale e sistemica. L’Europa necessita di maggiore unità. Quando prendiamo decisioni, il mito dei confini fa ancora sentire la sua presenza al tavolo. Seduti intorno ad esso vi sono anche nostalgie post-coloniali e interessi attuali. Eppure i diritti umani necessitano dell’autorità europea e di un’inclusione più intensiva ed estensiva. Una nuova Europa non è un’Europa in cui ognuno decide cosa vuole e come lo vuole. Una nuova Europa è un corpo unico e nei diritti umani non ha solamente uno scopo, ma proprio lo strumento per la sua geopolitica.

Il cammino è semplice: un centro politico europeo forte, un Parlamento europeo dotato di potere decisionale, responsabilità condivise negli accordi diplomatici con gli Stati membri nella difesa dei diritti umani, con la Commissione che guida questo compito, delegazioni della Commissione europea in paesi terzi più politiche e meno burocratiche, pressione sull’Organizzazione mondiale del commercio al fine di cercare la dignità democratica dei suoi membri, la promozione di strutture organizzative identiche a quelle dell’Unione, un dialogo intenso con l’Unione africana e l’Unione delle nazioni sudamericane e altri gruppi regionali, pressione sulla riforma delle Nazioni Unite con l’Unione europea che svolga un ruolo fondamentale, creazione di una strategia interna contro la dipendenza, centrata su una politica energetica unica e una politica di difesa coerente.

Onorevoli colleghi, ci occorre una rivoluzione politica nell’ambito dei diritti umani.

 
  
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  Vural Öger (PSE).(DE) Signor Presidente, il dibattito attuale sulle possibili sanzioni contro la Russia in reazione al conflitto nel Caucaso dimostrano ancora una volta quanto a volte le sanzioni vengono gestite in modo irresponsabile. E’ discutibile se sono legittime come strumento a scopo generale e non differenziato e non è chiaro quando e come la loro efficacia sia in effetti garantita.

E’ particolarmente importante valutare l’efficacia delle sanzioni dell’UE in modo corretto; non devono essere ingannevoli, anzi, devono essere fatte su misura. I regimi repressivi sono spesso responsabili. Quali criteri di valutazione vengono applicati resta una questione centrale, nonostante tutti gli sforzi. Quando le sanzioni portano effettivamente a un cambiamento nel comportamento? Invece di imporre sanzioni ad hoc, desidero una strategia UE che risulti in una politica in materia di sanzioni coerente e sostenibile. Qui, tuttavia, vi dovrebbe essere un consenso sulle loro condizioni di utilizzo ottimali. Ad oggi manca ancora una strategia di sanzioni efficace.

La presente relazione, tuttavia, costituisce un passo nella giusta direzione. Il Parlamento europeo è attualmente l’agente più importante per promuovere i diritti umani. Le sanzioni UE non devono essere uno strumento politico aggressivo, ma devono esservi nell’interesse delle persone. Le sanzioni che puniscono la popolazione civile sono controproducenti e non colgono il punto effettivo.

 
  
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  Ramona Nicole Mănescu (ALDE).(RO) Le sanzioni rappresentano uno degli strumenti cui l’Unione può ricorrere al fine di attuare la sua politica in materia di diritti umani.

Ciononostante, come ha sottolineato anche la relatrice, l’assenza di uno studio riguardante l’impatto della politica di sanzioni disposta dall’Unione europea rende difficile la valutazione degli effetti e dell’efficacia di questa politica sul posto e, di conseguenza, indica una mancanza di trasparenza, coerenza e persino di legittimità di sanzioni comunitarie.

Fintanto che l’Unione europea non si esprime con una sola voce nella sua politica di sicurezza comune, è molto difficile per noi imporre sanzioni comunitarie efficienti e sistematiche. E’ deplorevole che l’Unione e gli Stati membri non abbiano utilizzato le sanzioni in modo sistematico; ecco perché ritengo, signor Presidente, che sia necessaria la creazione di una strategia coerente per la politica di sanzioni, al fine di rispettare i diritti umani, una strategia che terrebbe conto degli accordi e delle clausole già sottoscritte, evitando due pesi e due misuri e contribuendo di conseguenza a incrementare la credibilità dell’Unione.

Mi congratulo con l’onorevole Flautre per la presente relazione.

 
  
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  Genowefa Grabowska (PSE).(PL) Signor Presidente, nel diritto internazionale vi è un principio latino che dice: “par in parem non habet imperium”. Ciò significa che uno Stato non può giudicare un altro Stato o imporgli sanzioni, ma questo riguarda il passato, questa è storia. La società internazionale, guidata dal buon senso e dal razionalismo, ha completato un’immane inversione di marcia. Le sanzioni primitive che gli Stati erano soliti utilizzare l’uno contro l’altro conformemente al principio di ritorsione, che segue il principio biblico, tratto dall’Antico Testamento, di “occhio per occhio, dente per dente”, è stato sostituito dall’eccellente meccanismo delle sanzioni collettive e organizzate, mediante il quale le procedure decidono in merito a chi può ricorrere a tale meccanismo, quando e come. Sono lieta che l’Unione europea stia elaborando un meccanismo sempre più raffinato al fine di tener conto della situazione e del livello di responsabilità.

Vi sono due aspetti che desidero evidenziare. Sono a favore di sanzioni sagge e intelligenti che vengono applicate in modo assennato, tuttavia sono contro quelle che vengono chiamate sanzioni preventive. A mio avviso, le sanzioni preventive costituiscono un abuso. In secondo luogo, desidero sollecitare una maggiore attenzione da parte nostra nei confronti della società, dei nostri cittadini, informandoli del fatto che le sanzioni non costituiscono una punizione primitiva, bensì una reazione naturale e sana a una grave violazione del diritto e che servono a difendere la democrazia.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, desidero tornare su un tema che è stato affrontata da diversi onorevoli colleghi. Le sanzioni non devono essere mirate in modo errato. In particolare esse non devono nuocere ai più poveri tra i poveri. Qui abbiamo un elemento che si sviluppa da diverso tempo, ma dobbiamo continuare su questa strada. In passato abbiamo sempre osservato che i regimi corrotti sprezzanti dei diritti umani molto spesso hanno il relativo indizio di ingenti somme di denaro pubblico convertite di norma in capitale privato e successivamente messe in attesa da qualche parte su conti straordinari finché il rispettivo membro del regime non è in grado di ritirare e godere di questo denaro.

Questo implica analogamente che cerchiamo di trovare una cooperazione a livello mondiale, come nell’approccio che abbiamo creato al Tribunale penale internazionale. Qui l’Unione europea può svolgere un ruolo importante nel garantire che i risultati di questa politica non arrivino dove non vogliamo.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE). - (HU) Signor Presidente, desidero congratularmi con l’onorevole Flautre per la sua eccellente relazione equilibrata. Posso individuare tre casi in cui l’Unione europea applica due pesi e due misure. Da un lato, vi sono due pesi e due misure quando consideriamo due paesi piccoli, di cui uno si oppone a noi ed è ostile e l’altro di dichiara essere a favore dell’Occidente e a favore dell’Europa. Osserviamo due pesi e due misure tra paesi piccoli e grandi potenze, la Russia e la Cina, perché ciò accade quando entrano in gioco interessi economici. E esiste un terzo caso in cui vi sono due pesi e due misure, che solleva la questione della nostra credibilità e se l’Unione europea abbia o meno il diritto di criticare paesi terzi in merito ai diritti umani e ai diritti delle minoranze, quando vi sono alcuni paesi dell’Unione, in cui diverse centinaia di migliaia di persone non hanno una nazionalità, come due degli Stati baltici, o quando vi è un potere guida nell’Unione europea la cui costituzione respinge ancora il riconoscimento di lingue regionali. Vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Zsolt László Becsey (PPE-DE). - (HU) Signor Presidente, desidero unirmi a coloro che hanno attirato l’attenzione sui due pesi e due misure e sulla mancanza di coerenza e voglio attirare l’attenzione dell’onorevole Flautre sul paragrafo 22 della relazione, riguardante l’avvaloramento delle relazioni del paese e la legalità delle sanzioni e di una politica di sanzioni. Nel settembre 2004, quest’Assemblea ha preso la decisione di inviare una missione di accertamento dei fatti in Vojvodina, la regione settentrionale della Serbia, il che non è solo una questione di diritti umani, ma anche una questione di solidarietà, dato che vi sono molti ungheresi, e anche romeni e tedeschi, che vivono laggiù, che vi sono finiti attraverso i tumulti della storia. Laggiù, abbiamo esaminato la grave situazione dei diritti umani. E in tale decisione si affermava che la sottocommissione per i diritti dell’uomo avrebbe indagato, cosa che non è avvenuta, anche a distanza di tre anni e mezzo. Desidero pertanto chiedere che la sottocommissione indaghi in merito a questa grave situazione conformemente alla decisione, perché sarà solo allora che il Parlamento sarà in grado di attirare l’attenzione del Consiglio e della Commissione sulla situazione attuale e di assumere un ruolo nella politica in materia di sanzioni.

 
  
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  Jean-Pierre Jouyet, Presidente in carica del Counsiglio. − (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, desidero iniziare rispondendo all’onorevole Flautre e all’onorevole Romeva I Rueda e a coloro che hanno parlato della necessità di procedere a una stima, a una valutazione e a valutazioni di impatto. Mi sembra indubbiamente molto importante e il Consiglio condivide la preoccupazione del Parlamento di poter prendere tali decisioni in merito alle sanzioni, nonché di aggiornarle, sulla base delle migliori informazioni possibili. Le misure esistenti vengono rivalutate regolarmente in base alle valutazioni di impatto e il Consiglio basa le sue decisioni il più spesso possibile sulle relazioni dei capi missione nel paese, che si trovano in una posizione migliore per valutarne l’efficacia.

Il Consiglio ha altresì sviluppato in modo considerevole le sue consultazioni con le organizzazioni non governative locali e internazionali e oggi il Parlamento ha dimostrato di avere un ruolo molto importante dal svolgere in tale valutazione.

E’altrettanto vero, tuttavia, che le sanzioni costituiscono uno strumento che deve restare di natura politica. Non dobbiamo avere una strategia da un punto di vista della metodologia, ma non possiamo imprigionarci, né possiamo dare al processo una natura automatica – qui desidero solo dire il più chiaramente e responsabilmente possibile – pertanto vi saranno sempre delle differenze nella nostra valutazione. Anche in risposta all’onorevole Koppa, il cui intervento è stato molto sofisticato, le sanzioni restano uno strumento politico; non costituiscono l’unico strumento per promuovere i diritti umani. Vi sono altri due strumenti che stigmatizzano i paesi a cui sono diretti in minor misura, ma che rappresentano uno strumento per promuovere i diritti umani e sono le condizionalità disposte nella politica di allargamento del Processo di associazione e di stabilizzazione con i Balcani e la Politica di vicinato, nonché le clausole relative ai diritti umani obbligatorie in tutti gli accordi sottoscritti dall’Unione europea con paesi terzi o con gruppi di paesi, la violazione dei quali può portare alla sospensione di tali accordi.

Desidero rassicurare l’onorevole Koppa in merito al fatto che non vi è alcun embargo sui prodotti farmaceutici, bensì un sistema di controllo in cui tali prodotti hanno doppi utilizzi e sono pertanto soggetti a un regime di non proliferazione. Il Consiglio condivide l’idea di molti che le sanzioni debbano restare mirate e non debbano colpire le popolazioni civili.

Anche gli onorevoli Cappato e Gawronski hanno sollevato una questione importante e diversi oratori sono tornati sulla questione del danno ambientale. Al momento, i danni all’ambiente non figurano tra gli obiettivi della politica estera e di sicurezza comune, pertanto è vero che da questo punto di vista non vengono presi in considerazione e dobbiamo riflettere se inserire o meno i danni all’ambiente ove essi costituiscono una minaccia o per la sicurezza internazionale o per i diritti delle persone, per i diritti umani. Si tratta di una discussione che dobbiamo avviare. Desidero altresì dire all’onorevole Cappato che, nei casi menzionati, le sanzioni sono già state utilizzate dall’Unione europea, il che è accaduto in diverse circostanze.

Desideravo solo riflettere su alcuni casi che diversi di voi hanno menzionato: eventi recenti, ovviamente. In merito alla guerra tra Russia e Georgia, desidero affermare qui molto chiaramente che le sanzioni non possono raggiungere il loro scopo, se la conseguenza è quella di interrompere ogni contatto con il paese interessato, in questo caso la Russia. Infine, dobbiamo altresì riflettere se imporre sanzioni in questo caso sia nell’interesse della Georgia o meno. Desidero chiedere a tutti voi di pensarci.

Riprendo anche quanto è stato detto circa il processo di definizione di criteri. E’ stato menzionato dall’onorevole Saks. Si tratta di una questione molto importante, in particolare in merito all’Uzbekistan; è vero, essendo stato io lì per una conferenza sull’Asia centrale e la presenza dell’Unione europea in Asia centrale. Quando mi trovavo nel paese ho incontrato anche Mutabar Tadjibaeva, una prigioniera politica, che ora è stata rilasciata; ci auguriamo che la sua salute migliori e che possa ricevere cure adeguate, ma ho altresì potuto notare che una buona politica di definizione dei criteri significava che si potevano compiere progressi e che vi era impegno da parte delle autorità nel rispettare appieno i criteri definiti dall’Unione europea. Si dà il caso che torneremo nel paese in ottobre.

In merito a Cuba e a coloro che l’hanno menzionata, desidero ricordarvi che le sanzioni contro Cuba sono state revocate nel giugno 2008, il che non ci impedisce dal continuare a monitorare in modo rigoroso gli sviluppi relativi ai diritti umani nel paese.

Questi erano i chiarimenti che desideravo fare al termine di questo dibattito estremamente dettagliato e ricco, che dimostra la necessità del coinvolgimento del Parlamento.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, penso che questa sia stata una discussione molto utile, che ha sottolineato diverse questioni molto importanti su cui dobbiamo riflettere, quando optiamo per le sanzioni, perché esse costituiscono solo uno dei nostri strumenti di politica estera. Dobbiamo applicarle sempre, dopo un’accurata riflessione generale, unitamente ad altri strumenti, tra cui il lavoro di sviluppo e la riforma politica ed economica nei paesi terzi. Con tutti questi strumenti, desideriamo conseguire una cosa: sostenere e promuovere i diritti umani.

La relazione dell’onorevole Flautre dimostra chiaramente che dobbiamo raffinare ulteriormente questo strumento e assicurare che il nostro sistema di sanzioni sia di per sé pienamente in linea con il diritto internazionale e che non violi i diritti umani fondamentali che tutti noi sottoscriviamo. Credo che le nostre corti – come la Corte di giustizia europea ha senza dubbio fatto oggi – contribuiscano in modo sostanziale a sviluppare il nostro sistema di sanzioni, salvaguardando al contempo principi fondamentali come lo Stato di diritto e il diritto alla difesa. Ancora, dobbiamo promuovere i diritti umani e risparmiare il resto della popolazione, non punirlo, economicamente o in altro modo.

Questo è molto importante. Ripeterò, pertanto, che dobbiamo rivolgere le sanzioni contro coloro che sono responsabili di violazioni dei diritti umani e – come affermato dall’onorevole Rack – optare ad esempio per il congelamento dei conti correnti e per i divieti sui visti al fine di privare di qualsiasi possibilità concreta quei leader e coloro che sono responsabili di violazioni di diritti umani

Diversi oratori, senza dubbio la stessa onorevole Flautre, hanno altresì richiesto un’adeguata valutazione delle sanzioni UE e hanno suggerito lo sviluppo di una certa metodologia. Penso che Jean-Pierre Jouyet abbia già riferito brevemente in merito al lavoro svolto a questo riguardo in seno al Consiglio, che desidero appoggiare, e in particolare penso che dobbiamo migliorare molto in merito alla valutazione ex ante prima di imporre sanzioni. Qui potrei altresì offrire nuovamente i servizi delle nostre delegazioni, perché sono in loco e hanno una conoscenza molto buona di ciò che accade; lì, i contributi della società civile e delle organizzazioni per i diritti umani sono certamente molto utili.

In merito alla coerenza, desidero dire che le sanzioni costituiscono uno strumento importante, ma che debbano essere completate da un approccio proattivo nel nostro lavoro di sviluppo: sostegno alle istituzioni per i diritti umani, riforma politica, promozione della società civile. La Birmania/Myanmar costituisce un buon esempio; vi sono le sanzioni, mantenendo al contempo aperta la possibilità di lavorare con ONG e organizzazioni per i diritti umani. Penso che questo sia un modo valido di procedere.

 
  
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  Hélène Flautre, relatrice. − (FR) Signor Presidente, sono lieta che si sia tenuta la presente discussione e che ciascuno di voi, e il Presidente in carica del Consiglio e la Commissione vi abbiano contribuito.

Credo che attraverso la presente discussione stia emergendo qualcosa che somiglia a una filosofia comune. Ho sentito molte richieste per una politica più coerente, per una politica più credibile, che eviti due pesi e due misure, e mi sembra che queste siano questioni di cui dobbiamo continuare a lavorare. Ho imparato molto nello scrivere la presente relazione, attraverso le discussioni con diverse persone. Credo veramente che vi sia ancora molto lavoro da fare e che la base di questo lavoro futuro sia e debba essere una valutazione completa ed esaustiva dell’attuale politica di sanzioni, perché, quando si pone la questione – e lo vediamo oggi in Russia – immediatamente le cose diventano molto calde e i media si mettono immediatamente sul chi vive. Necessitiamo pertanto di una filosofia molto solida e dobbiamo essere davvero in linea e d’accordo riguardo alle nostre procedure e alla nostra politica.

Penso che per fare ciò – torno alla questione della rete di esperti – non sia questione di utilizzare competenze tecniche per sostituire decisioni politiche assennate, ma di garantire che tali decisioni assennate siano fondate per quanto possibile su informazioni oggettive. Quando ci si impegna in una politica di sanzioni, dobbiamo capirne le intenzioni e rispettare ciò che molti di voi hanno chiamato “criteri assolutamente oggettivi”, che permettono di misurare l’efficacia effettiva delle sanzioni.

Credo che stiamo compiendo davvero progressi concreti. Vi è ancora qualche punto da chiarire – tutti voi ve ne sarete resi conto da molti degli interventi – e queste sono state le ragioni della mia astensione in seno alla commissione per gli affari esteri. Penso, onorevoli colleghi, che non possiamo sottovalutare i requisiti per il pieno rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale nel redigere liste nere, nell’inserire o eliminare nomi di persone da tali liste. La sentenza della Corte di giustizia di cui ha appena parlato, Presidente Jouyet, ci incoraggia appieno a perseguire tutto ciò.

Onorevoli colleghi, vi invito ad adottare, non una relazione perfetta, ma una relazione molto decorosa di cui possiamo andare orgogliosi e che costituirà un buon strumento di lavoro.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 4 settembre 2008.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Desislav Chukolov (NI), per iscritto. – (BG) Onorevole Pöttering, onorevole Flautre, la maggior parte di voi si è trovata in contrasto o in un momento o l’altro della vostra carriera politica. Avete familiarità con questa esperienza – chi è in carica finge che non esistete quando lo denunciate per i suoi furti e loschi affari. In Bulgaria, tuttavia, sono attualmente al potere eredi di terroristi e indiscussi fascisti.

Queste sono le parti che costituiscono la coalizione tripartitica in Bulgaria: individui senza Dio, che hanno bombardato le chiese al fine di far colpo sul Comintern, quale è il partito socialista bulgaro (BSP); un partito creato attorno all’erede di Boris III, che ha coinvolto la Bulgaria nella Seconda guerra mondiale e che non ha mancato di baciarsi con Hitler – questi sono i ladri del Movimento nazionale Simeon II (SNM) – e, infine, il partito musulmano anticostituzionale del movimento per i diritti e le libertà (MRF), formato da terroristi che hanno fatto esplodere carrozze ferroviarie destinate alle madri con figli proprio circa vent’anni fa.

Il 30 luglio 2008 tali persone in carica hanno malmenato il mio collega Dimitar Stoyanov. Un esame medico ha accertato 34 ferite subite dai criminali in uniforme di polizia.

Nel contesto dell’efficace politica UE per l’applicazione di sanzioni in casi di grave violazione dei diritti umani, di cui parla nella sua relazione, insisto sul fatto che questo Parlamento e ciascuno dei suoi membri esprimano un’opinione relativamente a questo incidente vergognoso per tutti noi e condannino severamente la mafia che governa il mio paese.

 
  
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  Urszula Gacek (PPE-DE), per iscritto.(EN) Il sistema di giustizia penale serve a punire, dissuadere e riabilitare il colpevole. Allo stesso modo, le sanzioni servono ampiamente lo stesso scopo. I nostri sistemi di giustizia penale possono punire, ma si può mettere in dubbio quanto successo abbiano nel dissuadere e riabilitare. Parimenti, le sanzioni spesso hanno un impatto sulla dissuasione e riabilitazione delle nazioni che violano il diritto internazionale e che violano i diritti umani.

La ricerca basata sull’efficacia di più di 100 casi di sanzioni economiche dalla Prima guerra mondiale dimostra che sono probabilmente più efficaci se: il cambiamento che richiediamo è modesto; le nazioni grandi e potenti o i gruppi di nazioni agiscono contro una nazione più piccola; la nazione obiettivo dipende veramente dal commercio con i paesi che impongono le sanzioni; le sanzioni vengono imposte rapidamente e i danni per l’impositore delle sanzioni sono limitati.

Quando l’UE impone sanzioni, esse devono essere precise e ben mirate. Le misure da considerare comprendono: congelamento di beni finanziari, il divieto sulle transazioni, limitazioni agli investimenti; restrizioni commerciali su beni specifici; limitazioni diplomatiche e limitazioni culturali e sportive.

E’ fondamentale che l’UE riveda la sua politica di sanzioni, non solo con l’obiettivo di conseguire i cambiamenti desiderati nei paesi trasgressori, ma anche di garantire la sua stessa credibilità.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Il Parlamento europeo, fingendosi l’ONU, pretende di istituire il regno dei diritti umani in tutto il mondo. Sarebbe meglio se tenesse in ordine la sua Aula.

In Francia, Belgio, Germania e Austria, migliaia di cittadini, ivi compresi docenti, pubblicisti e rappresentanti eletti scelti dai loro connazionali, vengono processati, condannati, rimossi dal loro impiego, incarcerati e accusati di razzismo per aver criticato l’immigrazione, accusati di xenofobia per aver difeso una legittima preferenza nazionale, accusati di revisionismo per aver criticato le verità “ufficiali”, ma in mutamento, della storia contemporanea, accusati di omofobia per aver espresso una legittima preferenza per le famiglie naturali, che sono le uniche in grado di trasmettere la vita.

Questa persecuzione politica e giudiziaria si estende persino agli avvocati. In Germania, Sylvia Stolz è stata arrestata per aver difeso l’opinione del suo cliente in tribunale. In Francia, il consiglio dell’associazione dell’ordine degli avvocati di Parigi, respingendo come membro onorario l’avvocato in pensione Eric Delcroix invece di prenderne la difesa, si è disonorato.

Giudici come Estoup a Versailles, Schir a Lione e Cotte a Parigi competono per vedere tali leggi arbitrarie applicate in modo estensive indipendentemente da qualsiasi principio a difesa della libertà. Ma soprattutto, alcuni dei responsabili di questa normativa liberticida siedono in questo Parlamento. E’ innanzi tutto a loro che deve essere diretta la nostra indignazione.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE-DE), per iscritto. – (EN) L’Unione europea si fonda su valori, quali la democrazia e il rispetto dei diritti umani. Proteggere e parlare a favore di essi costituisce il cuore di qualsiasi politica elaborata in seno all’Unione europea.

I diritti umani sono stati promossi nella politica estera dell’UE. Ciononostante, troppo spesso l’UE non parla con una sola voce e manca della capacità di reagire con rapidità ed efficacia riguardo a pesanti violazioni dei diritti umani.

Le sanzioni fanno parte della politica in materia di diritti umani, eppure non vengono applicate in modo equo. L’UE non deve chiudere un occhio e fare eccezioni per paesi grandi, quali la Russia e la Cina, il che in effetti corrisponde a scambiare i diritti umani con vantaggi economici.

Le relazioni economiche con paesi terzi devono essere considerate con accortezza nei casi di continue violazioni dei diritti umani, che devono essere rispettati mediante le sanzioni e il congelamento di altri accordi.

Esorto pertanto con fermezza la Commissione e il Consiglio a reagire con determinazione, unità e forza. Inoltre, esorto l’UE ad applicare in modo equo la politica in materia di diritti umani e a imporre sanzioni su ciascuno Stato in cui vengono provate massicce violazioni dei diritti umani.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. – (FI) Signor Presidente, desidero ringraziare la relatrice, l’onorevole Flautre, per la valida relazione equilibrata, la cui insistenza sulla valutazione ulteriore delle sanzioni UE e sulla ricerca come parte di una più ampia politica in materia di diritti umani dell’UE è semplicemente giusta ed appropriata. Fintanto che ci mancano informazioni basate su una ricerca su larga scala, la discussione sull’efficacia o l’inefficacia delle sanzioni resterà un esercizio sterile.

Le sanzioni possono essere importanti nella politica in materia di diritti umani in due modi complementari. Da un lato, vi è un messaggio morale dalla comunità europea di valori e, in quanto tale, un segnale di valore. Dall’altro, esse possono avere un impatto tangibile sullo sviluppo dello Stato obiettivo. Entrambi tali aspetti sono stati senza dubbio importanti in casi in cui sono stati raggiunti risultati effettivamente duraturi, ad esempio nello smantellamento della politica di apartheid in Sudafrica.

Tuttavia, è probabilmente ovvio che le sanzioni da sole non possano raggiungere risultati come questo. Perché effettivamente cambi in modo permanente la situazione politica e dei diritti umani di un paese, è necessario il coordinamento e l’utilizzo completo degli strumenti della politica in materia di diritti umani. Prima il Parlamento ha sottolineato quanto sia importante disporre di un’assemblea più efficace per una politica in materia di diritti umani.

Al fine di evitare catastrofi umane, dobbiamo esaminare la possibilità di sanzioni più mirate, che mirino, in particolare, ai leader e ai gruppi di un paese che violano i diritti umani. Dobbiamo guardarci, in particolare, dalla sorta di misure disastrose che distruggono le possibilità di crescita delle piccole e medie imprese.

Qui la mia domanda è quali criteri debbano essere utilizzati al fine di imporre sanzioni. E’ deplorevole il fatto che troppo spesso, dietro alla valutazione di sanzioni, si possa intravedere una preoccupazione in merito a quanto esse possano essere appropriate, il che dipende dagli interessi commerciali dell’Unione.

 

14. Millennio per lo sviluppo – Obiettivo 5: miglioramento della salute materna (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione nell’ambito del Millennio per lo sviluppo, sull’Obiettivo 5, migliorare la salute materna.

 
  
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  Jean-Pierre Jouyet, Presidente in carica del Consiglio. − (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, come il Parlamento europeo, il Consiglio attribuisce grande importanza al raggiungimento di tutti gli Obiettivi di sviluppo del Millennio nel mondo entro il 2015 e in particolare quello volto a ridurre il tasso di mortalità materna di tre quarti tra il 1990 e il 2015.

A tale riguardo, l’Unione europea ricorda che progressi duraturi in questo settore impongono il rispetto e la promozione dei diritti delle donne e delle ragazze, garantendo loro accesso ai servizi sanitari, in particolare in merito alla salute sessuale, e proteggendole dal virus dell’AIDS. Le tre Istituzioni dell’UE hanno chiarito il loro desiderio collettivo di migliorare la salute materna nei paesi in via di sviluppo, in particolare attraverso la sottoscrizione, il 20 dicembre 2005, del Consenso europeo sullo sviluppo, che inserisce la salute materna tra le priorità della politica per lo sviluppo dell’UE. Ora disponiamo degli strumenti finanziari necessari al fine di attuare questo obiettivo, in particolare nel quadro del partenariato tra l’Unione europea e l’Africa in merito agli Obiettivi del Millennio. Com’è noto, relativamente alla salute, vi sono ancora sfide considerevoli a cui far fronte. Esse sono state menzionate nella relazione annuale delle Nazioni Unite. Ogni anno muoiono ancora 500 000 donne, che non possono essere curate, per complicazioni in gravidanza o nel parto. A questo stadio, tali decessi non possono essere evitati, se non compiamo alcun passo avanti. Nell’Africa subsahariana, la probilità che una donna muoia per cause legate alla maternità è di 1 a 16 rispetto a quella dei paesi sviluppati che è di 1 a 3 800. Pertanto, in considerazione delle proporzioni di tali sfide, in considerazione di questa situazione assolutamente inaccettabile, il Consiglio ha preso la decisione di accelerare e potenziare la sua azione. In giugno, ha adottato un programma d’azione. In tale Programma si afferma che l’UE appoggerà con urgenza il raggiungimento dell’obbiettivo definito nel 2005 relativamente all’accesso universale alla salute riproduttiva e come pietra miliare per il 2010 di salvare ogni anno – com’è noto – la vita di 4 milioni di bambini in più, 2 milioni dei quali in Africa, e di avere ogni anno 35 milioni di nascite in più assistite da personale sanitario qualificato, di cui 13 milioni in Africa. Se vogliamo ridurre la mortalità materna di tre quarti entro il 2015, significa che entro il 2010, ogni anno dovranno essere assistite da personale sanitario qualificato 21 milioni di nascite in più.

L’UE fornirà sostegno al fine di raggiungere l’obiettivo entro il 2010 di 50 milioni di donne in più che dispongano di contraccettivi moderni e, più in generale, che abbiano accesso alla pianificazione familiare. Nel programma, attuato dal Consiglio, si afferma anche che l’UE contribuirà a colmare il divario finanziario al fine di raggiungere tali obiettivi entro il 2010. Vi posso dire che oggi l’Organizzazione mondiale della sanità stima che il divario finanziario sia superiore a 13 miliardi di euro.

Se – e la signora Commissario ci dirà se è questo il caso – la Commissione europea ritiene che, al fine di colmare il divario finanziario, dobbiamo incrementare il sostegno dell’UE di 8 miliardi di euro entro il 2010, di cui 6 milioni di euro sarebbero destinati all’Africa, è fondamentale che sia i paesi partner che i donatori siano parti interessate nell’affrontare le sfide che abbiamo dinanzi.

In tale contesto, la Presidenza è pertanto convinta che potenziare i sistemi sanitari dei paesi in via di sviluppo resti una priorità fondamentale degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Sono in programma diverse azioni concrete, che elencherò: la Presidenza e la Commissione stanno preparando un documento congiunto sulla copertura dei rischi sanitari; i ministri per lo sviluppo si riuniranno nel corso dell’incontro informale, che si terrà il 29 e 30 settembre, in merito alle conclusioni dell’incontro del Consiglio di novembre e alle future presidenze per l’accesso universale all’assistenza sanitaria; e, infine, il Consiglio esaminerà la relazione della Commissione sul programma d’azione dell’UE per affrontare la critica carenza di operatori sanitari nei paesi in via di sviluppo – e ho preso nota di quanto sia cruciale questo compito.

Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, potete essere certi che il Consiglio continuerà ad agire e a fare tutto ciò che è in suo potere affinché l’Unione europea continui a migliorare la salute materna nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, oggi il diritto alla salute è probabilmente il diritto fondamentale con la maggiori disparità nel mondo. Coloro che si trovano in condizioni di maggiore necessità, esposti a un rischio maggiore di malattia e di morte prematura, hanno il minor accesso all’assistenza sanitaria – spesso nessun accesso. Questo pone enormi sfide all’Unione europea e alla comunità mondiale nel suo complesso.

L’Unione europea è profondamente impegnata nell’attuazione degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM), compreso l’OSM 5 sulla salute materna, che è il tema che discutiamo oggi.

Siamo consapevoli che l’aumento graduale della salute sessuale e riproduttiva e del finanziamento della sanità in generale richiedono un approccio molto più coerente e multisettoriale, comprendendo altresì altri OSM. Non si possono raggiungere risultati in ambito sanitario senza investimenti adeguati nei sistemi che forniscono una sanità migliore. Si deve inserire la politica sanitaria in una più ampia pianificazione per lo sviluppo economico e sociale. I paesi necessitano di aiuti prevedibili sul lungo periodo da parte dei donatori esterni. I donatori devono vedere una chiara connessione tra il finanziamento e i risultati e sono enormemente necessari i meccanismi per ritenere responsabili tutti i partner delle loro prestazioni rispetto agli accordi internazionali.

Le persone povere – donne, uomini e bambini – che vivono in paesi in via di sviluppo si scontrano con un’ampia serie di problemi correlati relativi alla salute sessuale e riproduttiva, tra cui: HIV/AIDS, malattie sessualmente trasmissibili, gravidanze non pianificate o indesiderate, complicazioni incontrate in gravidanza o nel parto, mutilazioni o asportazioni genitali, infertilità, abuso sessuale, aborti non sicuri e cancro alla cervice. Insieme, tali condizioni sono responsabili di grande sofferenza e morti premature. Esacerbate dalla povertà e dalla posizione secondaria delle donne nella società, sono fondamentalmente dovute alla mancanza di accesso ad adeguati servizi sanitari, alla mancanza di informazione e all’offerta insufficiente di professionisti qualificati e di forniture di prodotti per la salute riproduttiva.

Pertanto, un miglioramento della salute materna e una riduzione della mortalità materna sono state preoccupazioni fondamentali del lavoro della Commissione europea in ambito sanitario e dello sviluppo. Tuttavia, nonostante i nostri sforzi e gli obiettivi OSM, l’OSM 5 è forse l’obiettivo maggiormente lontano dall’essere raggiunto – in particolare, come è già stato detto, in Africa. Ciò è molto grave, tanto più perché la maggior parte delle morti materne si verificano a casa, molto lontano dai servizi sanitari, e spesso non vengono registrate. Pertanto il dato attuale relativo alla mortalità materna potrebbe essere persino maggiore a mezzo milione all’anno, secondo le statistiche, di cui siamo a conoscenza.

Da un punto di vista politico, vi è un’altra questione che è causa di preoccupazione. Si tratta della tendenza in aumento a non rendere prioritarie nei programmi le politiche relative ai diritti e alla salute sessuale e riproduttiva, a causa del tema sensibile dell’aborto. Facendo così, dimentichiamo la posizione discriminatoria in cui si trovano le donne in molti dei nostri paesi partner, dove non hanno voce in capitolo in merito al numero di figli che desiderano avere o sono obbligate ad avere rapporti sessuali, a volte persino con un partner che probabilmente è affetto da HIV. Non dimentichiamo le molte vittime di stupri, le giovani ragazze e donne che, oltre alle ferite e ai traumi riportati, spesso vengono respinte dai parenti e dalla comunità.

Stiamo pertanto programmando, nel quadro del X Fondo europeo per lo sviluppo e del bilancio della Commissione, aiuto diretto alla sanità in 31 paesi in via di sviluppo. Molti di questi paesi hanno un tasso di mortalità materna molto elevato e sistemi sanitari molto deboli.

A tale proposito, il sostegno di bilancio connesso ai risultati in ambito sanitario diventa un altro importante strumento volto ad affrontare la mortalità materna. Al fine di rendere maggiormente prevedibili tali aiuti, la Commissione sta introducendo in diversi paesi partner una nuova modalità finanziaria chiamata “contrattazione in materia di OSM”, nel cui quadro il sostegno di bilancio verrà fornito in un più lungo periodo di tempo e sarà connesso con i risultati concordati, che contribuiscono al raggiungimento degli OSM. Questo permetterà ai governi di appoggiare i costi ricorrenti del sistema sanitario, quali i salari degli operatori sanitari. E’ fondamentale al fine di aumentare l’accesso all’assistenza sanitaria di base, compresi parti sicuri e progressi verso l’OSM 5.

Sappiamo tuttavia che ciò che al momento si sta facendo a sostegno della salute materna non è sufficiente e che sono necessari ulteriori sforzi al fine di cambiare la situazione attuale. Ecco perché, il 24 giugno 2008, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il Programma d’azione dell’UE sugli OSM, mediante il quale la Commissione e gli Stati membri si impegnano ad incrementare il loro sostegno alla sanità mediante gli ulteriori 8 miliardi di euro, che sono stati menzionati, e 6 miliardi di euro in Africa, entro il 2010.

In merito all’OSM 5, il programma d’azione sugli OSM ha menzionato due importanti obiettivi da conseguire entro il 2010: innanzi tutto, 21 milioni di parti in più assistiti da operatori sanitari qualificati e, in secondo luogo, 50 milioni di donne in più che hanno accesso a contraccettivi moderni in Africa.

Noi, la Commissione – ma anche gli Stati membri – dovremo ora farlo accadere insieme. Abbiamo preso l’impegno e siamo determinati a migliorare la situazione delle donne dei paesi poveri che partoriscono, che penso sia la cosa più naturale del mondo. Sono lieta di poterlo dire, oggi in qualità di Commissario per le relazioni esterne al posto del Commissario Louis Michel, perché, come donna, mi sento molto solidale.

(Applausi)

 
  
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  Filip Kaczmarek, a nome del gruppo PPE-DE.(PL) Signor Presidente, signora Commissario, l’Obiettivo 5 di sviluppo del Millennio è un obiettivo molto importante, che tocca non solo la qualità della vita, ma anche la vita stessa, il suo inizio e la sua continuazione. L’importanza dell’Obiettivo 5 di sviluppo del Millennio è tanto maggiore in quanto la sua riuscita attuazione non costa molto in termini monetari. Esistono programmi e progetti che vengono già attuati in tutto il mondo, che hanno ridotto in modo significativo la mortalità perinatale, e il loro costo non è stato particolarmente elevato. Nonostante ciò, in alcune regioni le dinamiche del conseguimento dell’Obiettivo 5 sono state scarse o molto scarse. Dal 2000, inoltre, in alcune regioni, in particolare nell’Africa subsahariana, non vi è stato alcun miglioramento. Si tratta di un fenomeno estremamente preoccupante, dato che significa che l’attuazione del’Obiettivo 5 di sviluppo del Millennio su scala globale è seriamente minacciato.

Purtroppo, in alcuni paesi sviluppati osserviamo ancora una tendenza a ideologizzare il problema e concentrarsi di una questione molto controversa, vale a dire quella dei diritti riproduttivi, argomento oggi già menzionato. Tuttavia, una delle cause di decesso più importanti tra le madri sono gli aborti condotti in modo pericoloso. Comunque lo esaminiate, è logico che limitare il numero di aborti porterebbe a un drastico calo nella mortalità tra le madri. Certamente, allora, sarebbe più semplice limitare il numero degli aborti che non aumentare il numero di quelli che si potrebbero chiamare aborti “sicuri”.

E’E’ pertanto difficile concordare con l’affermazione che la salute riproduttiva debba costituire una priorità nella politica per lo sviluppo. E’ importante, ma certamente la priorità deve continuare a essere la lotta alla povertà (concordo con la signora Commissario), migliorando la posizione delle donne e tenendo fede alle promesse fatte dai paesi sviluppati. Questa scelta di priorità è molto importante, perché una scelta scarsa potrebbe portare ad azioni che potrebbero essere sfavorevoli. Ad esempio, includiamo l’esempio dello scambio di esperienza e migliori pratiche nelle risoluzioni come standard, ma se l’obiettivo è inadeguato, uno scambio di esperienza e migliori pratiche potrebbero essere inefficace e assolutamente nocivo.

Vale altresì la pena di ricordare che imporre i nostri standard e regole ad altri paesi e società è moralmente ambivalente. In questioni di etica, i paesi che beneficiano dei nostri aiuti devono prendere le proprie decisioni in merito a ciò che è buono e accettabile. Non dobbiamo, ad esempio, affermare che l’aborto è una buona soluzione. Ciò sarebbe incoerente e costituirebbe un’interferenza ingiustificata: incoerente, perché noi stessi desideriamo aumentare il tasso di nascite in Europa, promuovendo al contempo la sua limitazione in altri paesi; interferenza ingiustificata, perché nessuno ci ha autorizzati a influenzare decisioni in merito a questioni di etica in altri Stati.

A mio avviso, pertanto, ci dobbiamo concentrare su ciò che non è controverso, in particolare dato che vi sono moltissimi aspetti che non sono controversi e su cui siamo tutti d’accordo: istruzione, potenziamento della posizione delle donne, protezione della maternità, buona nutrizione, accesso a un’assistenza medica e a cure ostetriche qualificate. Si tratta di ambiti su cui possiamo concentrarci congiuntamente e di conseguenza facilitare il conseguimento dell’Obiettivo 5 del Millennio.

 
  
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  Alain Hutchinson, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario – alla quale oggi porgo gli auguri di buon compleanno – non ho intenzione di fare riferimento al testo che avevo programmato di leggervi qui, a nome del mio gruppo, perché credo che ci troviamo nel mezzo di una discussione importante.

Notando il mancato conseguimento di questo Obiettivo del Millennio, il quinto, che è molto importante perché riguarda le donne e la loro sofferenza durante la gravidanza, dobbiamo abbandonare l’atteggiamento e l’analisi estremamente ipocrite che compiamo a livello europeo, si conosce, si osserva e si può dimostrare la situazione in Africa, sul posto, in villaggi, nelle campagne e nella boscaglia. Mi ha molto allarmato ciò che ha appena detto il nostro onorevole collega Kaczmarek ed ecco perché non ho intenzione di leggere quanto avevo preparato. Non possiamo sostenere che l’aborto costituisca un rimedio miracoloso per tutti i problemi delle donne che devono partorire. Assolutamente no. Dobbiamo dedicare i mezzi necessari al fine di garantire che tali donne possano avere tutto ciò di cui necessitano: un’istruzione, un’adeguata pianificazione familiare, contraccezione e, ove necessario, l’interruzione volontaria della gravidanza secondo condizioni adeguate – ma non abbiamo intenzione di fare di tutto a tale scopo. E’ estremamente difficile dire le cose chiaramente in Parlamento, perché vi sono alcune persone che, in nome della moralità e a volte in nome del conservatorismo, continuano a impedirci di adottare misure adeguate, misure efficaci, a vantaggio delle donne dei paesi interessati.

 
  
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  Beniamino Donnici, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo lavorato alla proposta congiunta di risoluzione sulla mortalità materna, tenendo conto che l’obiettivo n. 5 “La riduzione della mortalità materna del 75% entro il 2015” è ben lontano dall’essere raggiunto e richiede una forte iniziativa, una forte e concreta iniziativa della Comunità internazione, di cui l’Europa dei diritti e dei valori non può che farsi interprete e garante.

Abbiamo qui preso atto delle rassicuranti dichiarazioni del signor Jouyet e della signora Ferrero, ma occorre passare rapidamente dalle dichiarazioni ai fatti. Del resto la mortalità materna, insieme a quella infantile, è l’indicatore più importante del livello di sviluppo umano ed è inaccettabile, come stato detto, che ancora oggi più di mezzo milione di donne muore ogni anno per il parto a causa della gravidanza.

Come ricordato da tutti, la maggior parte di queste donne vive in Africa subsahariana, dove si registra un decesso ogni minuto e, come è stato detto, il raffronto con le donne che vivono in occidente per lo stesso rischio è di 1 su 3.700. Queste cifre sono rese ancora più drammatiche dagli incoraggianti progressi raggiunti negli stessi anni da alcuni paesi a reddito medio in Asia orientale, Sud-Est asiatico, Nordamerica, America Latina e Nordafrica, a dimostrazione che questa ripugnante situazione può essere superata.

La risoluzione risulta perciò, a nostro avviso, tempestiva, articolata e completa e individua strategie idonee ad affrontare questa vera e propria emergenza sanitaria globale, riconoscendo che l’accesso ad un livello adeguato di assistenza sanitaria è un diritto umano fondamentale.

Concludendo auspico che l’apprezzabile compromesso raggiunto tra i gruppi su un tema così lacerante possa trovare la più larga convergenza dell’Assemblea e che l’approvazione della risoluzione congiunta solleciti tutte le nostre istituzioni e ogni paese ad azioni concrete ed investimenti adeguati per infrastrutture e trasporti, presidi sanitari, formazione degli operatori, educazione, prevenzione e politiche di emancipazione della donna, per raggiungere nel 2015 questo obiettivo importante di civiltà.

 
  
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  Ewa Tomaszewska, a nome del gruppo UEN.(PL) Signor Presidente, la mortalità durante il periodo perinatale contunua a essere un fenomeno molto allarmante, nonché un fenomeno non giustificato dallo stato della conoscenza medica. In un momento di collasso demografico, migliorare la condizione della salute delle donne in stato interessante costituisce un problema ancora più serio.

Vale la pena di ricordare quale grave mutilazione è l’aborto per una donna. Non possiamo ammettere il dilemma: se sei d’accordo sull’uccisione del tuo bambino, avrai una possibilità di sopravvivere. Una riduzione del 75 per cento della mortalità perinatale entro il 2015, rispetto al 1990, impone un miglioramento generale dello stato di salute delle donne e un aumento del denaro speso nell’assistenza sanitaria e nell’istruzione volta alla prevenzione.

Nell’Africa subsahariana e meridionale, e altresì in Asia, la situazione non si trova nella sua condizione peggiore. Lì, ogni hanno mezzo milione di donne pagano con la vita il loro desiderio di avere figli. Nel caso delle donne affette da HIV e da malaria, oltre ai pericoli per la salute della madre, vi è altresì il pericolo che i figli vengano infettati. Si deve sottolineare che qui uno degli importanti fattori negativi è la povertà e i mezzi finanziari dovrebbero essere indirizzati al fine di risolvere tale problema. Questa situazione indica in modo molto specifico il valore della solidarietà tra le persone. Riconoscendo la salute delle donne – la salute delle future mamme – come una priorità e la mobilitazione di forze internazionali al fine di migliorare l’assistenza sanitaria per le donne in stato interessante costituiscono una sfida importante.

 
  
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  Kathalijne Maria Buitenweg, a nome del gruppo Verts/ALE. – (NL) Signor Presidente, sono parlamentare ormai da nove anni e, nel corso di questo periodo, ho avuto due figli, che ora hanno due e quasi otto anni. Certamente, le gravidanze sono sempre piene di ansie – ci si chiede sempre se il bambino nascerà perfettamente sano – ma, in tutta onestà, posso dire che nel corso di nessuna di tali gravidanze mi sono mai chiesta sei io stessa sarei sopravvissuta. Si tratta di un lusso enorme!

I dati sono già stati citati. In Europa, muoiono meno di 1 donna su 3 800 per cause legate alla gravidanza, ma questo dato è molto più elevato in alcuni paesi africani: 1 su 16. Si è menzionato il dato di 1 su 7 per la Nigeria. Una delle ragioni di ciò è costituita dagli aborti non sicuri. Mi piacerebbe che non fossero una realtà, ma ciò richiederebbe cambiamenti, quali la fornitura di contraccettivi o controllo da parte degli uomini. Ulteriori ragioni sono la mancanza di assistenza medica o i ritardi nel fornire tale assistenza e troppe gravidanze, una dopo l’altra, e a un’età troppo giovane.

Le ampie differenze tra la situazione in Europa e in moltissimi di questi altri paesi dimostrano che gli investimenti hanno successo. E’ palese: gli investimenti nell’assistenza sanitaria riducono la mortalità materna. Eppure troppo poco accade a tale riguardo. Nel 1987, morivano circa mezzo milione di donne all’anno nel corso della gravidanza o nel parto e nel 2008 tale dato è rimasto invariato – risultato molto deludente. Non nascondo il mio cinismo. La mia opinione è che si debba prestare maggiore attenzione alla lotta all’AIDS, perché ciò causa la morte anche degli uomini. Sono tuttavia incoraggiata da quanto avevano da dire il Commissario Ferrero-Waldner, nonché il Presidente in carica del Consiglio e desidero ringraziare sentitamente la signora Commissario per il suo discorso.

Vi è un legame chiaro tra la mortalità materna e l’autodeterminazione. Secondo recenti ricerche, circa 200 milioni di donne nei paesi in via di sviluppo desidererebbero enormemente avere meno figli, ma la metà di esse non ha accesso a contraccettivi e a informazioni sessuali. Questo si traduce in 52 milioni di gravidanze indesiderate all’anno e si tratta di qualcosa di cui ci dobbiamo preoccupare. Secondo Kofi Annan, la lotta contro la fame e la povertà è destinata a fallire sin dall’inizio, se la comunità internazionale non riesce a rafforzare i diritti delle donne. Noi, l’Unione europea, ci troviamo in una posizione unica al fine di potenziare la richiesta di pari diritti per le donne in tutto il mondo. Vogliamo questo, ma in effetti rifuggiamo dalle nostre vere responsabilità.

Desidero pertanto chiedere un inviato europeo per i diritti delle donne. Ciò è già stato accolto con favore dalla maggioranza di quest’Assemblea e desidero altresì chiedere l’appoggio della signora Commissario. Si tratterà di un’eccellente diplomatica che può alzare la voce a nome dell’UE o mediare in casi di violenza contro le donne, che presenterà proposte al Consiglio dei ministri e alla Commissione europea e che sarà responsabile di fronte al Parlamento europeo. E’ una forza trainante quello di cui necessitiamo, qualcuno che garantisca che tutte le nostre proposte tengano conto dei diritti delle donne, dato che ciò è così importante.

Signor Presidente, ho già presentato questa proposta a un rappresentante della Presidenza francese, che ha affermato di ritenerla interessante. Desidero chiedere al Presidente in carica che cosa ha intenzione di fare in proposito. Ho qui la proposta, anche in francese e in tedesco. La trasmetterò a lui e mi auguro sinceramente che venga introdotta questo inviato per i diritti delle donne, dato che necessitiamo davvero di questa forza trainante al fine di realizzare tali cambiamenti.

 
  
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  Feleknas Uca, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, le statistiche attuali dimostrano che, in generale, l’OSM 5 è ben lontano dall’essere realizzato e la mortalità materna è persino in aumento in Africa e nell’Asia meridionale.

Ogni anno muoiono 536 000 donne a causa di una gravidanza o di un parto. Di questi decessi, il 99 per cento si verifica nei paesi in via di sviluppo. In Africa, una donna su 16 muore durante la gravidanza o il parto. Nei paesi industrializzati vi sono probabilità notevolmente inferiori che ciò accada. Le cause di morte più frequenti sono emorragie, infezioni e aborti illegali. Circa 68 000 donne muoiono ogni anno come conseguenza di aborti insicuri e milioni di donne subiscono lesioni o altri danni per la salute che durano tutta la vita. In effetti, il 97 per cento di tutti gli aborti non sicuri vengono eseguiti nei paesi in via di sviluppo.

Ogni minuto da qualche parte del mondo muore una donna come conseguenza di una gravidanza o di un parto. Abbiamo l’obbligo morale e l’opportunità di evitare tutto ciò. Nei paesi in via di sviluppo, in particolare nelle zone rurali, le donne necessitano con urgenza di un accesso universale all’assistenza sanitaria generale, all’assistenza medica e informazioni su parto e gravidanza.

Richiedo anche una pianificazione familiare, compreso l’accesso a contraccettivi efficaci e ad aborti sicuri. Il miglioramento della salute riproduttiva e l’abolizione di qualsiasi genere di discriminazione contro le donne sono fondamentali e condizioni estremamente importanti al fine di conseguire gli Obiettivi di sviluppo del Millennio entro il 2015.

 
  
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  Nils Lundgren, a nome del gruppo IND/DEM. (SV) Signor Presidente, la dichiarazione dell’ONU sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio merita davvero tutto il sostegno da parte di noi ricchi europei. E’ sia una tragedia che uno scandalo che così tante persone vivano in questo mondo in condizioni di povertà estrema, che così tante donne muoiano durante la gravidanza o il parto, che così tanti bambini appena nati muoiano alla nascita, che così tante persone non abbiano accesso a una contraccezione sicura e che così tante persone siano affette da HIV/AIDS e che non abbiano accesso a farmaci antiretrovirali.

La ragione di questa terribile situazione non è la mancanza di risorse, di tecnologia o di conoscenze mediche. Sappiamo che tali questioni possono essere risolte. Ciò è chiaramente dimostrato dal fatto che molti paesi le hanno risolte molto tempo fa. Ciò di cui si tratta è ottenere che i paesi poveri modifichino le loro istituzioni sociali al fine di rendere veramente possibile uno sviluppo in questi settori. Sono stati compiuti progressi in diversi paesi poveri, ad esempio in Egitto e in Bangladesh.

Gli Stati membri dell’ONU hanno intrapreso un lavoro verso il raggiungimento di tali obiettivi in seguito a un’attenta analisi e ad approfonditi dibattiti politici. Tuttavia, queste sono questioni globali e competono al livello dell’ONU.

Allora perché compaiono qui nell’UE? Le questioni globali devono essere affrontate a livello globale, in seno all’UNU, di cui sono membri tutti i paesi dell’UE. L’UE deve trattare quelle questioni che sono comuni ai suoi Stati membri, ad esempio le questioni transfrontaliere in seno all’UE. Ciò che l’UE può e deve fare al fine di ridurre la povertà, e in tal modo la mortalità materna, è abolire la sua politica agricola quanto prima.

 
  
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  Irena Belohorská (NI).(SK) Ho lavorato per tre anni come ostetrica in Africa, pertanto questo problema significa molto per me. Inoltre, durante il periodo che ho passato al Consiglio d’Europa, sono stata relatrice per una relazione sulla maternità, nella quale si è scoperto che, nei paesi in via di sviluppo e altresì in Europa, alla donne non veniva fornita una protezione di base nel corso della gravidanza.

Esistono molte convenzioni e dichiarazioni, che siano dell’ONU o dell’OIL, relative alla protezione giuridica delle donne e della loro salute, che non viene osservata e che spesso non viene ratificata. In merito alle cure di base nei paesi in via di sviluppo, l’intero sistema dell’assistenza sanitaria è molto debole. Solo il 10 per cento della popolazione africana ha accesso a servizi di assistenza sanitaria. La mortalità materna è pertanto molto elevata. In Africa, vi è una mancanza di professionisti e medici qualificati e l’AIDS costituisce ancora una causa di mortalità materna. Nonostante le proteste del grande pubblico a livello mondiale, viene ancora praticata la circoncisione femminile.

In Asia, il problema della maternità si imbatte in ostacoli religiosi e di casta. Qui è necessario un supporto generale agli investimenti al fine di incrementare l’assistenza sanitaria e in particolare l’assistenza alle madri e al neonato, ma sappiamo che anche la mortalità infantile è molto elevata. Invece di grandi obiettivi, proponiamo cautela e monitoraggio delle risorse che forniamo.

Se i finanziamenti europei devono servire uno scopo, gli obiettivi devono essere chiari, comprensibili e concentrati su un limitato numero di oggettivi, ma andranno a buon fine solo se li monitoriamo in modo adeguato.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, dal 2000 non vi sono stati progressi in merito all’Obiettivo di sviluppo del Millennio (OSM) 5 relativamente alla salute materna, in particolare nell’Africa subsahariana e in Asia meridionale, e prima del 2000 i progressi erano praticamente inesistenti.

Nel settembre 2000, i leader mondiali hanno adottato la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, impegnando i loro paesi a ridurre la povertà estrema entro il 2015 attraverso gli obiettivi degli OSM. I dati relativi alla salute materna, che costituisce uno degli otto OSM, oggi sono gli stessi di 20 anni fa. Più di mezzo milione di donne muoiono ogni anno durante la gravidanza o il parto, il che corrisponde a un decesso ogni minuto. Di tali morti, il 99 per cento si verifica nei paesi in via di sviluppo. In alcune regioni dell’Africa, il tasso di mortalità materna è di 1 su 16. Nei paesi meno sviluppati, solo 28 donne su 100 sono assistite da persone addestrate durante il parto. L’obiettivo dell’OSM 5 è quello di ridurre il rapporto delle donne che muoiono di parto di tre quarti tra il 1990 e il 2015.

Esorto il Consiglio e la Commissione, prima dell’incontro di alto livello delle Nazioni Unite sugli OSM che si terrà questo settembre a New York, a rendere prioritaria l’azione volta a conseguire gli obiettivi degli OSM e a rispettare in particolare l’OSM 5. Mi recherò a New York presso l’ONU alla fine di questo mese quale membro della delegazione della commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo e intendo sottolineare l’importanza del rinnovo degli impegni degli Stati membri dell’UE al fine di conseguire gli OSM entro il 2015.

Ora che siamo a metà strada riguardo agli OSM, è decisivo che gli Stati membri dell’UE continuino a progredire verso lo 0,7 per cento del RNL entro il 2015. Dato il fatto che vi è stato un drastico calo nei dati relativi agli aiuti dell’UE che sono passati dallo 0,41 per cento del RNL nel 2006 allo 0,38 per cento nel 2007 – una diminuzione di 1,5 milioni di euro – esorto gli Stati membri dell’UE a trattenersi dal tirarsi indietro sugli impegni relativi ai finanziamenti. Coloro che non sono ancora in linea devono aumentare i loro sforzi. Esorto la Presidenza del Consiglio ad assumere la guida e a fare da esempio, garantendo che siano disponibili finanziamenti adeguati e prevedibili e altresì di incrementare progressivamente i loro sforzi, così che possano essere salvate delle vite.

 
  
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  Glenys Kinnock (PSE).(EN) Signor Presidente, in primo luogo ringrazio senz’altro la signora Commissario per la sua dichiarazione forte e coraggiosa, che è stata apprezzata moltissimo.

Desidero altresì dire all’onorevole Kaczmarek che deve essere conscio del fatto che il 19 per cento delle morti materne sono causate da aborti non sicuri. Senza dubbio si tratta di un punto da affrontare con serietà senza alcuna pretesa che possa essere trattato in altro modo.

Non appena ci concentriamo sui diritti relativi alla salute riproduttiva e sessuale, sentiamo che dall’altro lato si hanno problemi con il vocabolario utilizzato in questa risoluzione. Apparentemente, non piace neppure che venga utilizzata la parola “diritti”; non piace che venga utilizzata la parola “servizi”. Tale semantica non va giù molto bene, temo, con le migliaia e migliaia di bambini sofferenti orfani di madre nel mondo in via di sviluppo, o con quei bambini le cui madri sono morte in agonia, perché non c’erano anestetici, o con una madre morta dissanguata, perché non c’è il filo per i punti di sutura, o una madre morta, perché non ci sono tre centesimi per acquistare il solfato di magnesio che la salverebbe dalla morte per emorragia. Dite loro che il vocabolario utilizzato in questa risoluzione conta. Cercate di dire loro che tutto costa troppo. Quelle vite sono preziose e nessuna donna dovrebbe morire donando la vita.

Dobbiamo altresì tener conto del fatto che alcune persone dicono che la realtà è che le donne hanno uno status basso e un valore basso e pertanto che non possiamo cambiare le cosa; non ha assolutamente senso. Dobbiamo cambiare le cose. Dobbiamo affrontare il genere di misoginia che porta a questa sofferenza e a questo dolore.

Richiediamo altresì un cambiamento da parte della Presidenza. Richiediamo un’azione da parte della Presidenza in merito agli impegni che ha preso relativamente agli OSM. Abbiamo apprezzato le belle parole della Presidenza dell’Unione europea, ma dobbiamo vedere più azione.

Rispettare l’OSM 5 significa costruire sistemi sanitari e garantire che affrontiamo in termini finanziari il fatto che a livello globale il 40 per cento delle donne partorisce senza alcuna assistenza qualificata. Contiamo sulla Presidenza affinché assuma la guida. Ad esempio, in Francia, tra il 2006 e il 2007, gli aiuti destinati all’Africa sono effettivamente diminuiti. La Francia è in ritardo in merito ai suoi impegni e noi dobbiamo sapere che la Presidenza rifletterà sulla richiesta d’azione e prenderà il genere di impegni che sono necessari prima del 2010.

La Presidenza dichiarerà se verranno presi quegli impegni di bilancio? Manterrà quella promessa? Sappiamo che vi è la necessità di combattere la mortalità materna. Sappiamo quanto costa. Sappiamo anche, purtroppo, quali costi comporta non farlo.

 
  
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  Toomas Savi (ALDE).(EN) Signor Presidente, la condanna dell’utilizzo di contraccettivi e la prevenzione dell’aborto legale è stato uno dei crimini più malevoli commessi contro l’umanità, dato che taluni contraccettivi forniscono anche protezione da malattie sessualmente trasmissibili, quali l’HIV. Migliorano altresì la salute materna, quando abbinata a una sufficiente educazione sessuale. L’aborto legale previene bambini indesiderati dall’essere condannati alla povertà, alla fame e alla malattia. Negando alle donne la libertà di scelta, ci allontaniamo dal rispetto degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Al fine di migliorare la salute materna nei paesi in via di sviluppo, l’Unione europea deve condannare la global gag rule degli USA, così come il divieto sull’utilizzo di contraccettivi appoggiato da alcune chiese.

 
  
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  Carlo Casini (PPE-DE). – Signor Presidente, signor Commissario, signor rappresentante del Consiglio, onorevoli colleghi, è assolutamente doveroso operare perché la popolazione femminile possa realizzare la sua funzione materna nelle migliori condizioni di salute, è ovvio; perciò merita adesione l’auspicio formulato in questo senso dalla proposta di risoluzione sulla quale stiamo discutendo.

Però non posso nascondere il disagio che deriva dall’uso improprio, a livello internazionale, dell’espressione “servizi di salute riproduttiva”: vogliamo i servizi di salute riproduttiva, ma non possiamo accettare che vi sia incluso l’aborto volontario, così da trasformarlo da drammatica soppressione di esseri umani all’alba della loro esistenza in un servizio sociale.

Quale che sia la diversa l’opinione di ciascuno di noi sulla legalizzazione dell’aborto, credo che in un documento sulla salute materna non dovrebbe essere dimenticato che la maternità riguarda due soggetti, non uno solo. Trovo perciò apprezzabile che nella risoluzione di compromesso in effetti si richiamino sia la dichiarazione che la Convenzione sui diritti del fanciullo, che riconoscono il nome di fanciullo anche al nascituro prima della nascita e chiedono speciali servizi sia alla madre che a lui.

Riterrei perciò opportuno che nei documenti volti a garantire la sicurezza della maternità venissero sempre richiamati, oltre agli atri strumenti che sono stati già detti, anche gli strumenti diretti a preferire la nascita all’aborto. Si tratti dell’aiuto solidaristico, economico, sociale, psicologico e dell’educazione al rispetto della vita. Viceversa, laddove ci si limita e si insiste soltanto sull’uso della contraccezione, magari includendovi anche l’aborto non si ottengono i risultati sperati.

Ci sono paesi in Europa, come la Francia e l’Inghilterra, dove è sicuro che la contraccezione è molto più diffusa che in altri paesi, e dove, viceversa, l’abortività è in continua crescita, come è stato denunciato anche ufficialmente. Ho voluto soltanto chiedere ai colleghi di fare un minimo di meditazione su queste mie osservazioni.

 
  
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  Anne Van Lancker (PSE). (NL) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica, desidero ringraziare molto sentitamente il Commissario per la sua dichiarazione molto forte. E’ vero che la mortalità materna illustra la disuguaglianza più dolorosa tra le donne del nord e del sud. E’ chiaro che diversi nostri onorevoli colleghi di questo Emiciclo ancora non ci sono ancora arrivati. Onorevole Casini, ogni hanno 50 milioni di donne hanno gravidanze indesiderate, perché non hanno accesso a contraccettivi; 42 milioni di tali donne hanno un aborto non sicuro; 80 000 delle quali muoiono. Questa è la dura realtà. La grande maggioranza di queste donne vivono nell’Africa subsahariana; l’Occidente pertanto non ha assolutamente alcuna ragione di fare una predica a queste donne.

E’E’ una vergogna, dato che la mortalità materna è completamente prevenibile, se viene dato accesso alle donne all’assistenza sanitaria e alla salute sessuale e riproduttiva. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il costo per la fornitura di un’assistenza sanitaria di base è di 34 euro per persona all’anno. E’ fattibile – se, in cima agli impegni dei paesi in via di sviluppo stessi, l’Unione europea spendesse il 15 per cento degli aiuti per lo sviluppo nell’assistenza sanitaria, compresa la salute sessuale e riproduttiva. Questa, tuttavia, è proprio la vera causa del problema. Nel corso degli ultimi anni, si è verificata una continua diminuzione degli investimenti degli Stati membri nell’assistenza sanitaria. Dal 1994, i bilanci per la pianificazione familiare si sono quasi dimezzati. Anche nel Fondo europeo per lo sviluppo viene speso appena il 4 per cento nell’assistenza sanitaria, rispetto al 30 per cento nelle infrastrutture e nel sostegno di bilancio. E’ chiaramente tempo, pertanto, che le parole del Consiglio e le promesse della Commissione diventino progetti chiari, ad esempio al fine di collegare il sostegno di bilancio a risultati chiari in merito all’Obiettivo 5 di sviluppo del Millennio e a salvare la vita delle donne in Africa.

 
  
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  Sophia in 't Veld (ALDE). (NL) Signor Presidente, sarò franca: trovo difficile fare un discorso coerente qui dopo aver ascoltato quanto è stato detto dai signori che si trovano dall’altro lato dell’Aula. Si tratta di qualcosa che maltratta in modo particolare i miei più profondi sentimenti, anche come donna, dato che riguarda anche me e le altre donne di quest’Assemblea. Dopo tutto, ciò di cui stiamo parlando non è un problema medico, né finanziario (sebbene sia grata delle garanzie riguardanti l’aumento dei finanziamenti); si tratta di un problema sociale. Si tratta di un problema riguardante l’atteggiamento della società nei confronti delle donne; una società che ancora considera le donne di tutto il mondo come cittadini di seconda classe.

A essere franca, trovo incredibile che questi due onorevoli deputati possano dire quanto hanno detto, sapendo che ogni hanno ciò costa la vita di mezzo milione di donne. Supera la nostra capacità di comprensione. Non esiste nessuna donna che desideri un aborto – nessuna! Se non ha a nessun’altra scelta, tuttavia, deve per lo meno poterlo fare in modo sicuro e legale. Questo è un diritto della donna. Per inciso, sono lieta che ciò abbia il sostegno del Consiglio d’Europa. Se manchiamo di riconoscere tale diritto, qui stiamo tutti piangendo solo lacrime di coccodrillo. Mi appello pertanto a tutti coloro che sono presenti in quest’Aula affinché votino a favore degli emendamenti che condannano la global gag rule degli Stati Uniti, nonché il divieto del Vaticano sui profilattici – lo menzionerò soltanto – dato che questi due elementi sono direttamente responsabili di milioni di morti e devono, credo, essere condannati da quest’Assemblea.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, le nostre politiche sulla salute materna nel mondo in via di sviluppo stanno fallendo. Lo sappiamo dalla discussione di oggi, perché non è stato compiuto alcun progresso nel diminuire l’orrore delle donne che muoiono durante la gravidanza e il parto. In Irlanda, se una donna muore di parto vi è un grido di protesta e un’indagine medica completa, perché questa situazione è rara. Sono lieta che le cose stiano così, ma è ancora scioccante. Che una donna su sedici muoia di parto nel mondo in via di sviluppo è una statistica spaventosa e, mentre noi discutiamo qui nelle nostre regioni confortevoli, vi sono donne incinte, in villaggi africani, che sanno che la loro vita è a rischio e che potrebbero non sopravvivere per vedere la nascita del loro bambino e senza dubbio per nutrire i loro altri figli.

La salute materna rientra nella salute generale, il che comprende l’accesso al cibo e la questione della sicurezza alimentare è importante. Ma posso affrontare un’altra questione che qui non è ancora stata sollevata? Ringrazio la signora Commissario per le sue osservazioni in merito alla necessità di addestrare operatori sanitari. Ne deve essere addestrato un elevato numero, ma – siamo onesti – il mondo sviluppato sta rubando gli operatori addestrati dall’Africa perché curino noi qui, sia negli USA che nell’UE, e dobbiamo essere onesti in proposito. Ci possiamo permettere di retribuirli e loro desiderano venire a lavorare, ma stiamo derubando quei paesi dei loro stessi cittadini che hanno una formazione. Gradirei che magari affrontasse questo aspetto nelle sue osservazioni conclusive.

Vi sono dolore, sofferenza e morte insite in tale questione che dibattiamo qui. Ho menzionato i bambini che vengono abbandonati. In India, proprio prima di Natale, come parte della delegazione in India, siamo stati testimoni di un progetto molto utile finanziato dall’UE, in cui alle donne dei villaggi – poiché non vi sono medici e infermieri addestrati – viene fornita una formazione di base al fine di contribuire nella sfera della mortalità infantile. Questo programma di proporzioni molto ridotte ha riportato enormi successi, perché lavora dal basso verso l’alto. Forse dobbiamo replicare quel tipo di programma al fine di affrontare le morti materne, sebbene sappiamo che necessitiamo di tutti quegli operatori molto qualificati e ben addestrati.

 
  
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  Neena Gill (PSE).(EN) Signor Presidente, sono lieta che questo Parlamento stia tenendo una discussione sull’OSM 5, perché, mentre parlo, proprio in questo momento, una donna sta perdendo la vita per donare la vita da qualche parte del mondo. Scioccante com’è, i progressi su questo OSM sono stati trascurabili, come abbiamo sentito, ed è l’unico OSM in cui non vi sono miglioramenti – e in alcune regioni la situazione è peggiorata.

Alcuni sosterrebbero che tale questione ha ricevuto così poca attenzione, perché colpisce le donne e perché il 99 per cento delle morti si verifica nei paesi in via di sviluppo. Si tratta di una delle maggiori questioni di disuguaglianza sociale nel mondo e credo che l’UE – sebbene riconosca l’impegno personale del Commissario – è stata molto lenta nell’affrontarlo.

Desidero pertanto chiedere alla Commissione e al Consiglio che cosa intendono fare al fine di garantire che vi sia un aumento dei finanziamenti volti ad assicurare che questa linea di bilancio non venga ridotta. Quando si esamina la rubrica 4, in cui le crisi sul breve periodo e i disastri naturali tendono ad avere la precedenza, dobbiamo assicurare che sia resa prioritaria non solo internamente in seno all’Unione, ma altresì a livello internazionale. Desidero chiedere alla Commissione e agli Stati membri di esaminare la realizzazione di tali programmi mediante un controllo rinnovato, al fine di garantire che gli otto programmi non siano soffocati dalla scarsa qualità dei servizi, dalla corruzione, dalla mancanza di responsabilità, il che è la ragione per cui in alcuni paesi il programma non ha compiuto progressi. Programmi ben studiati sono quello che serve.

Come ha sottolineato l’onorevole McGuinness, abbiamo osservato in India un progetto, con finanziamenti molto limitati, per fornire telefoni cellulari e una formazione di appena due giorni per una persona di collegamento che potesse riconoscere i segnali di pericolo in gravidanza e post-parto, il che, insieme all’istruzione, a un livello di igiene personale molto di base e solo alla necessità di bollire l’acqua hanno significato la differenza tra la vita e la morte. Pertanto, in quest’anno che l’ONU ha chiamato l’Anno d’azione per gli OSM, non possiamo essere soddisfatti ancora per molto e dobbiamo assicurarci di eliminare il tragico divario tra il mondo ricco e il mondo povero.

 
  
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  Edite Estrela (PSE).(PT) Signor Presidente, signora Commissario, ho gradito ascoltarla. La sua diagnosi era corretta e ha avanzato misure concrete. Abbiamo bisogno di programmi d’azione, di aiuti finanziari e di una valutazione dei risultati. Pertanto, più azione e meno discorsi lunghi e noiosi. Necessitiamo altresì di recuperare il tempo perso, dato che ogni anno, nei paesi in via di sviluppo, migliaia e migliaia di donne muoiono a causa della mancanza di informazioni e della mancanza di accesso alla salute sessuale e riproduttiva. Le statistiche non sono meramente dei numeri, esse sono tragedie familiari, sono bambini che rimangono orfani, sono persone che muoiono e che avrebbero potuto essere salvate. Pensarci, sapere che ciò accade nel mondo non ci tiene svegli di notte?

La salute sessuale e riproduttiva deve essere una priorità. E’ deplorevole che qualcuno cerchi di ridurre la salute sessuale e riproduttiva solo all’aborto. E’ tuttavia importante che l’aborto sia legale e sicuro, così come eccezionale, dato che questo è l’unico modo per combattere l’aborto illegale. Tutte le donne di tutti i continenti hanno il diritto di accedere alla salute sessuale e riproduttiva. Senza il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, non vi è alcuna parità di genere. La Commissione e il Consiglio devono adottare misure adeguate.

 
  
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  Françoise Castex (PSE). (FR) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, il fallimento del quinto OSM influisce su tutti noi, in quanto incarna il nostro fallimento a procedere con l’emancipazione delle donne in tutto il mondo. Siamo d’accordo in merito al fatto che debba diventare un obiettivo politico maggiore, perché pesa altresì sulle nostre coscienze. Tuttavia, dobbiamo altresì avere il coraggio di dire che migliaia di donne sono vittime anche di ignoranza, abbandono e disinformazione. Abbandono, perché la maggioranza dei 500 000 casi di mortalità materna potrebbero essere evitati mediante la prevenzione e l’assistenza sanitaria di base. Distribuire zanzariere, ad esempio, potrebbe prevenire casi letali di malaria per migliaia di donne. Ignoranza, in quanto troppo spesso viene ancora impedito alle ragazze e alle donne di acquisire un’istruzione di base, che le metterebbe semplicemente in condizione di leggere e comprendere semplici raccomandazioni igienico-sanitarie. Da ultimo, la disinformazione: una certa idea conservatrice della religione e della tradizione, che mantiene ancora le donne in una condizione di dipendenza intollerabile, il matrimonio in età molto giovane, gravidanze in stretta successione e tabù sulla contraccezione femminile. Stiamo di conseguenza intraprendendo azioni; reti di rappresentanti parlamentari per le popolazioni in via di sviluppo, di Europa e Africa, stanno cooperando nel quadro dell’UNFPA. Parliamo a favore della salute, della riproduzione, del controllo delle donne sulla loro fertilità e, oltre al necessario sostegno finanziario a tal fine, dobbiamo modificare gli atteggiamenti e la posizione delle donne. Si tratta di un obiettivo politico fondamentale per lo sviluppo di tutti questi paesi.

 
  
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  Marusya Ivanova Lyubcheva (PSE).(BG) Mi congratulo per quanto da lei espresso, signora Commissario. Vi sono molti problemi connessi a quello della salute delle madri. Da un lato, si tratta del sistema dell’assistenza sociale, dall’altro si tratta dei sistemi sociali, connessi alle cure per la maternità in generale. Le condizioni di salute, mentale e fisica, non solo delle madri ma anche dei figli, dipende dal modo in cui vengono sincronizzati questi due sistemi. In terzo luogo, la maternità è costantemente correlata ai problemi demografici di ciascun paese ed è universalmente noto che si tratta di un problema grave.

Parte dei problemi della salute delle madri è connessa ai finanziamenti. I paesi devono essere esortati ad accantonare fondi sufficienti per quelli che non possono ricevere aiuti così che possa essere ridotto il tasso di mortalità tra le neomadri e i neonati e si possa applicare la profilassi necessaria, perché ogni vita è un dono, e si deve provvedere a un numero massimo di servizi sanitari e sociali per le donne.

La protezione della maternità dipende altresì dalla remunerazione per personale medico nei reparti maternità. Si tratta di un problema che esiste in molti paesi, ivi compresi quelli dell’Unione europea, nonché di un problema che deve essere risolto.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE).(LT) Il Parlamento europeo ha avviato discussioni sull’incentivo della Commissione ad attrarre specialisti altamente qualificati da paesi terzi verso il mercato del lavoro dell’UE – la cosiddetta blue card. E’ stato chiesto agli Stati membri di non far defluire i lavoratori qualificati dai settori sensibili dei paesi in via di sviluppo – istruzione e assistenza sanitaria – sebbene alcuni Stati membri, compreso il Regno Unito, non siano pronti a farlo. Parlate di dare con una mano e togliere con l’altra! Se facciamo defluire gli specialisti dal settore dell’assistenza sanitaria, carente di personale com’è, la salute delle donne, la salute di tutti i membri della società in generale, sarà messa a rischio e in una condizione ancora peggiore. Suggerisco di assicurare che gli atti giuridici che adottiamo non si contraddicano tra loro e che le nostre politiche siano coerenti con i nostri principi.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE).(EN) Signor Presidente, intervengo in questo dibattito innanzi tutto per ringraziare il Consiglio per il suo piano d’azione di giugno, ma più in particolare per accogliere con favore la dichiarazione molto schietta del Commissario Ferrero-Waldner.

E’E’ scioccante e scandaloso che questo Obiettivo di sviluppo del Millennio stia fallendo e che dal 2000 non abbiamo compiuto alcun progresso, così come nel corso degli ultimi 20 anni. Milioni di donne sono morte e dieci milioni di bambini sono rimasti orfani inutilmente.

Sappiamo che cosa causa tali morti e sappiamo come prevenirle. Disponiamo delle risorse e senza dubbio della conoscenza per prevenirle e ancora non viene fatto. Perché? Perché stiamo fallendo? Mi sembra che stiamo permettendo agli obiettori di coscienza di bloccare i progressi in merito a tali questioni. Dobbiamo mettere da parte gli obiettori di coscienza – coloro che riducono costantemente tale questione alla questione dell’aborto e alla fornitura di profilattici. Perché chiunque consideri un profilattico come una qualche sorta di strumento negativo sbalordisce la mente e turba la ragione!

Desidero esortare coloro che si trovano nella posizione di prendere decisioni e di perseguire decisioni a ignorare gli obiettori di coscienza e di procedere.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, solo una piccola riflessione in merito a tale questione che presenta aspetti politici, psicologici, fisici e morali e che è pertanto molto complicata. Desidero obiettare, quando l’onorevole Kinnock afferma che a questa parte non piace neppure il termine “servizio”. Vi sono così tanti “servizi”, ma tra di essi ve ne è anche uno che è molto controverso: l’aborto. Penso che il lato alla mia destra desideri coprirlo con una semantica molto gradevole, usando termini come “salute riproduttiva”. Penso che conosciate la posizione della maggioranza di quel lato dell’Aula, ma ci sono così tanti altri “servizi” che desiderate approvare, utilizzare e appoggiare per quanto finanziariamente possibile, e ciò diminuirà, mi auguro, il rapporto dei morti in quei momenti diversi, che abbiamo discusso oggi. Quest’accusa, pertanto non è molto appropriata, sebbene sappiamo che esistono alcuni problemi morali connessi a solo un “servizio”.

 
  
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  Catherine Stihler (PSE).(EN) Signor Presidente, penso che il fatto che ogni minuto muore una donna partorendo – una delle cose più naturali del mondo, come ha affermato la signora Commissario – è scioccante e scandaloso. Parimenti, il fatto che stiamo fallendo nel conseguire questo Obiettivo di sviluppo del Millennio ed è altresì vergognoso che stiamo voltando le spalle alle donne e ai bambini più vulnerabili di questo mondo.

Desidero chiedere sia alla Presidenza francese che alla Commissione di riferire all’Assemblea quanto verrà deciso a New York alla fine di questo mese e che nel corso delle prossime settimane rendano personalmente prioritario assicurare un cambiamento, non solo a livello degli Stati membri, ma anche a livello internazionale, al fine di portare questo tema in una posizione più elevata dell’agenda politica.

 
  
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  Jean-Pierre Jouyet, Presidente in carica del Consiglio. − (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, non ho intenzione di tornare nuovamente su quanto ha affermato la signora Commissario con così tanta emozione, sebbene condivida appieno le sue convinzioni in merito allo scandalo che abbiamo di fronte. Per tale ragione, il Consiglio ha sviluppato un programma d’azione. E’ vero che interviene troppo tardi, ma questo programma è ambizioso. Non ho intenzione di tornarci sopra nuovamente.

La Presidenza, per quanto la riguarda, darà la priorità alla promozione e alla difesa dei diritti delle donne, per essere molto chiari a tal riguardo. Il nostro programma comprende, in particolare, la preparazione di linee guida per combattere la violenza contro le donne, che serviranno da azioni dell’Unione europea sugli scenari internazionali e, alla fine di questo mese, in occasione di incontri di alto livello in seno alle Nazioni Unite sui bisogni dell’Africa in materia di sviluppo nel quadro degli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Disponiamo altresì dell’iniziativa sulle donne e i conflitti armati, volta a tener meglio conto della specifica situazione delle donne in cui l’Unione europea sta attuando politiche di sicurezza e difesa esterna, prendendo l’iniziativa, in quanto Presidenza, di una nuova risoluzione nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con i Paesi Bassi sulla violenza contro le donne. Dato che ho menzionato la nostra posizione nazionale, sebbene sia qui a rappresentare il Consiglio, desidero dire che tutti gli Stati membri sono i benvenuti ad associarsi a tale risoluzione nel quadro delle Nazioni Unite. Infine, nel dicembre 2008, si terrà un forum per le organizzazioni non governative sulla situazione delle donne.

In merito alla salute materna e a tutto ciò che avete detto, posso solo condividere l’impegno e l’indignazione di coloro che sono intervenuti, in particolare in merito ai legami con il virus dell’HIV, e dire che nel 2007 l’UE finanzierà il Fondo mondiale contro l’AIDS nell’ordine di 91 milioni di euro e ciò in qualità di primo donatore di questo fondo per quell’anno.

Per quanto concerne le osservazioni dell’onorevole Kinnock, che, in quanto europea impegnata, senza dubbio non può confondere la Presidenza del Consiglio con uno Stato nazione – o altrimenti non è chi io creda che sia – desidero dire che in merito agli impegni di bilancio dell’Unione europea, le somme fornite dalla Francia verranno incrementate nel 2008. Per essere precisi, la somma stanziata per la sanità è cresciuta tra il 2006 e il 2008, passando da 820 milioni di euro e 930 milioni di euro. Non penso che questo sia il luogo per combattere le nostre solite battaglie.

A livello più personale, avendo ascoltato il vostro dibattito, devo dire che la Presidenza esaminerà molto attentamente la proposta avanzata dall’onorevole Buitenweg e che mi ha presentato. Che, per la Presidenza, la lotta contro la povertà va di pari passo con il miglioramento della situazione delle donne e con il rispetto dei diritti delle donne, dappertutto. Che l’intervento comincia quando la salute delle donne è sistematicamente in causa e che bisogna disporre delle risorse necessarie, di tutte le risorse necessarie, secondo condizioni legali e sicure, per mettere fine a questo scandalo; di conseguenza, non dobbiamo rinunciare a nessuna di tali risorse, a prescindere dalle nostre convinzioni.

Dobbiamo andare nella direzione del progresso per mettere fine a quello che è un vero e proprio scandalo riguardante la situazione delle donne, in particolare nei paesi più poveri. Di conseguenza, dobbiamo giungere a un accordo, ripeto, a prescindere dalle nostre convinzioni. Da parte sua, la Presidenza ha deciso essa stessa di agire, in particolare in Africa, avvalendosi di tutte le risorse a sua disposizione.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, abbiamo ascoltato dichiarazioni molto importanti. Si tratta di una questione emotiva in merito alla quale vi sono punti di vista diversi. Credo che dobbiamo tornare al Programma d’azione della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo, tenutasi a Il Cairo, che indica chiaramente rispetto per i quadri giuridici nazionali. Respingiamo in ogni caso l’aborto coercitivo, la sterilizzazione forzata, l’infanticidio e altri abusi dei diritti umani, che chiaramente non sono in linea con tale politica.

Al contempo, è altresì molto importante comprendere che il parto è esente da complicazioni. Come affermato dall’onorevole Buitenweg, è un lusso nei nostri paesi, ma tale lusso non è presente in altri paesi. Il principio di scelta volontaria deve pertanto guidare tale programma d’azione, che cerca di fornire un accesso universale a una gamma completa di metodi di pianificazione familiare sicuri e affidabili – che, certamente, costituisce la priorità – e a servizi per la salute riproduttiva, che non siano contro la legge.

L’obiettivo deve essere assistere i singoli e le coppie nell’operare scelte e nel conseguire i loro obiettivi riproduttivi, fornendo loro l’opportunità di esercitare appieno il diritto di avere figli per scelta personale. Questo è quanto dobbiamo realizzare.

In nessun caso l’aborto verrà promosso come metodo di pianificazione familiare. I governi sono impegnati ad affrontare l’impatto sanitario degli aborti non sicuri come questione relativa alla salute pubblica – poiché essi si verificano e abbiamo sentito a quante donne causano la morte – e a limitare il ricorso all’aborto attraverso servizi di pianificazione familiare migliorati. Quando l’aborto non è contro la legge, deve essere sicuro e deve far parte del servizio per la salute riproduttiva generale. Questa è la cosa più importante.

D’altro canto, è vero che i sistemi di assistenza sanitarie devono essere migliori, dato che sono deboli, e stiamo ora esaminando il potenziamento di tali sistemi mediante la formazione professionale di più personale sanitario e attraverso un sistema di assicurazione sanitaria, che costituisce un’iniziativa della Presidenza francese.

E’ vero che negli ultimi anni molto denaro è stato destinato, ad esempio, alla lotta all’HIV/AIDS, ma purtroppo in Africa sempre più donne vengono infettate dall’HIV-AIDS: oggi una ragazza su quattro di età compresa tra i 16 e i 24 anni è positiva all’HIV . Ciò è terribile. La Commissione è consapevole di ciò e incoraggia iniziative attraverso il Fondo mondiale a essere più orientato alle donne e a essere più sensibile dal punto di vista del genere.

Infine, la questione della migrazione potrebbe andare nella direzione sbagliata. Questa cosiddetta “fuga di cervelli” costituisce una delle questioni che dovremo affrontare quando ci occupiamo della migrazione nel suo complesso. Presenta un lato sia positivo che negativo e dobbiamo trovare il giusto equilibrio.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MANUEL ANTÓNIO DOS SANTOS
Vicepresidente

 
  
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  Presidente. − Comunico di aver ricevuto sei proposte di risoluzione(1) ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento.

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì 4 settembre 2008.

Dichiarazioni scritte (articolo 142)

 
  
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  Cristian Silviu Buşoi (ALDE), per iscritto.(RO) L’UE è impegnata a conseguire gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, quali la riduzione del 75 per cento del tasso di mortalità materna entro il 2015.

Sebbene, in generale, i paesi dell’UE non siano sulla strada giusta, si registrano lenti progressi nell’ambito della salute materna. Le iniziative della Commissione europea volte a stanziare fondi per la riforma dei sistemi sanitari al fine di migliorare la qualità dei servizi prenatali e postnatali, così come l’accesso a tali servizi, il sostegno alla ricerca nell’ambito della medicina riproduttiva e la formazione di personale medico sono state favorevoli al conseguimento dell’Obiettivo 5.

Anche la Carta sull’aumento delle prestazioni dei sistemi sanitari, adottata a Tallin, nel giugno 2008, costituisce un progresso importante. Ciononostante, vi sono paesi sviluppati, quali la Francia, la Gran Bretagna o i Paesi Bassi, con un tasso di mortalità molto basso, per i quali appare difficile una riduzione del 75 per cento entro il 2015, dato che l’evoluzione è più lenta che in altri paesi in cui vi è un tasso di mortalità materna più elevato. Inoltre, esistono ancora disparità in merito ai progressi compiuti negli Stati dell’UE e persino nelle regioni di diversi paesi.

Pertanto, al fine di riuscire a conseguire l’obiettivo fissato per il 2015, è necessaria la rapida modernizzazione dei sistemi sanitari europei, con enfasi particolare sulla ricerca volta a migliorare i servizi prenatali e postnatali, così come un’istruzione sanitaria più efficiente e la pianificazione familiare.

 
  
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  Monica Maria Iacob-Ridzi (PPE-DE), per iscritto. – (RO) L’UE è un fermo sostenitore degli Obiettivi di sviluppo del Millennio adottati dalle Nazioni Unite, che hanno stabilito gli obiettivi da conseguire entro il 2015 in merito a pace, sicurezza, sviluppo, governance e diritti umani.

Tra gli otto obiettivi, si deve prestare particolare attenzione al miglioramento della salute materna, dato che più di mezzo milione di donne, soprattutto in Africa e in Asia, muoiono durante la gravidanza o il parto.

La causa principale che porta all’aumento del tasso di mortalità a livello mondiale è l’assenza di personale qualificato che fornisca assistenza materna sia nel corso della gravidanza che del parto. Si deve porre rimedio a tale situazione investendo ingenti fondi nei paesi sottosviluppati, sia nella formazione di personale specializzato, che in apparecchiature mediche. Gli obiettivi per la Romania, in merito al miglioramento della salute materna, consistono nella riduzione del tasso di mortalità a 10 morti materne su 100 000 parti entro il 2015 e nel garantire un accesso universale ai servizi sanitari.

Attualmente, la Romania ha una crescita naturale negativa, con un tasso di mortalità del 12 per cento. Mediante l’assistenza sociale e i programmi d’informazione, i servizi per le madri e i bambini, così come mediante un sostegno finanziario aggiuntivo da parte dell’UE, il tasso delle nascite deve ritornare alla sua tendenza ascendente e la Romania deve restare nella strategia demografica dell’Unione europea.

 
  

(1) Vedasi processo verbale.


15. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B6-0457/2008).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte alla Commissione.

 
  
  

Prima parte

 
  
  

Annuncio l’interrogazione n. 35 dell’onorevole Stavros Arnaoutakis (H-0546/08)

Oggetto: Crisi alimentari nell’UE e protezione dei consumatori europei

Dopo le ripetute crisi alimentari in Europa, è giunta la Commissione a misure concrete per la protezione efficace dei consumatori?

 
  
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  Androula Vasiliou, Membro della Commissione. (EL) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziare l’onorevole Arnaoutakis per la sua interrogazione in merito alla questione sempre attuale della sicurezza alimentare.

La Commissione dispone di molti modi per garantire che i consumatori e i cittadini europei siano protetti da una possibile crisi alimentare. Innanzi tutto, la Commissione garantisce che le autorità competenti di tutti i 27 Stati membri siano prontamente e simultaneamente avvisati mediante il sistema di allarme rapido per i prodotti alimentari (RASFF).

In secondo luogo, l’Ufficio alimentare e veterinario (FVO) della Commissione conduce ispezioni sistematiche negli Stati membri e in paesi terzi.

Terzo, la Commissione esamina con attenzione tutte le informazioni ricevute dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), dai mezzi di informazione internazionali e da altre fonti.

Ove necessario, e in particolare quando alimenti o mangimi possono minacciare seriamente la salute pubblica e tale rischio non possa essere affrontato in modo efficace a livello degli Stati membri, la Commissione adotta le misure necessarie e livello UE.

Ad esempio, nel caso dell’olio di girasole ucraino contaminato da oli minerali, il 23 aprile 2008 il RASFF ha ricevuto dalle autorità francesi competenti una notifica, che è stata ricevuta da tutti gli Stati membri. Attraverso il RASFF, la Commissione ha notificato in una sola volta questo incidente a tutti gli altri Stati membri e il 10 giugno 2008 ha emesso la decisione 2008/433/CE che subordina a particolari condizioni l’importazione di olio di girasole originario dell’Ucraina, o proveniente da tale paese, a causa del rischio di contaminazione da oli minerali. Sono state altresì avviate indagini al fine di individuare la fonte della contaminazione.

Inoltre il sistema di tracciabilità disposto nel regolamento (CE) n. 178/2002, meglio noto come il regolamento riguardante i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, rende possibile eseguire ritiri o richiami accurati e mirati di prodotti, nonché valutare i rischi ed evitare un inutile sconvolgimento del commercio.

La Commissione controlla altresì sistematicamente la capacità delle autorità di ispezione competenti degli Stati membri al fine di garantire il rispetto nella normativa in materia alimentare, sia all’interno che all’esterno dell’UE.

In Malesia, ad esempio, l’Ufficio alimentare e veterinario della Commissione ha identificato problemi significativi in relazione al rispetto dei requisiti per l’esportazione dei prodotti della pesca. Nell’UE, la Commissione ha reagito immediatamente, vietando l’importazione di pesce dalla Malesia. Si tratta di uno dei molti esempi di come la Commissione riesce a proteggere con efficacia il consumatore e a prevenire una crisi alimentare.

La Commissione ritiene pertanto che la sua normativa esistente fornisca i meccanismi necessari per una gestione efficace delle crisi alimentari e un’efficace protezione del consumatore.

A tal fine, tuttavia, ci occupiamo al contempo di garantire un miglioramento costante dei canali di comunicazione e cooperazione con gli Stati membri. Ad esempio, forniamo nuovi orientamenti sull’utilizzo del RASFF, che la Commissione adotterà a breve.

 
  
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  Stavros Arnaoutakis, autore. (EL) Signora Commissario, la ringrazio per la sua relazione. Oggi i consumatori europei stanno vivendo una mancanza di fiducia. Alla loro fiducia è stato dato uno scossone.

Abbiamo pertanto bisogno di vedere, da parte della Commissione, quali azioni devono essere intraprese al fine di informare i consumatori. Senza dubbio, può fare molto giustamente tutto ciò che ha detto di fare e meritare congratulazioni. Tuttavia, in Grecia, ad esempio, avevamo l’olio di girasole ucraino, parte del quale è stato consumato da metà della popolazione greca. Come possono essere protetti i consumatori, e quali azioni intende intraprendere?

 
  
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  Androula Vasiliou, Membro della Commissione. (EL) Desidero sottolineare che la crescente agitazione che tale questione sta causando e gli avvertimenti forniti mediante il RASFF dimostrano che il sistema funziona davvero.

Nel caso della Grecia e dell’olio di girasole ucraino, il 23 aprile 2008 è stato senza dubbio emesso un allarme generale in merito al fatto che questo olio di girasole contaminato si trovava sul mercato UE. Il 5 maggio 2008, quando le autorità svizzere hanno rilasciato uno specifico allarme qui al nostro centro in merito al fatto che tale olio di girasole era in viaggio verso la Grecia, l’Italia e la Turchia, tra le altre destinazioni, le autorità greche hanno compiuto le indagini necessarie e hanno iniziato a fornirci le informazioni e a ritirare i prodotti.

Desidero tuttavia sottolineare che non dobbiamo confondere le misure che la Commissione europea ha l’autorità di adottare, e che adotta, con gli obblighi degli Stati membri, dato che si tratta di affari interni.

Certo, mi chiederà se vengono eseguiti controlli. Sì, è così. Il servizio dell’FVO, che esegue visite periodiche nei vari Stati membri, controlla che i dipartimenti siano funzionanti, identifica qualsiasi carenza e la evidenzia agli Stati membri. Naturalmente, ciò accade sia in Grecia che in altri paesi.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE).(EN) Signora Commissario, l’UE ha compiuto un lavoro eccellente in questo sistema “dai campi alla tavola”, in cui i consumatori devono avere fiducia, ma, come punto secondario, per quanto riguarda la protezione dei produttori dell’UE? Non credo che applichiamo lo stesso rigore sui prodotti alimentari importati di quello che applichiamo a livello interno. Ad esempio, all’esterno permettiamo l’utilizzo di sostanze che vietiamo all’interno dell’Unione europea e con la normativa sui nuovi prodotti per la protezione delle piante lo faremo sempre di più nella produzione di cereali. Posso chiederle, signora Commissario, di affrontare questa preoccupazione specifica, perché in Europa potremmo consumare alimenti che in effetti non si potrebbero produrre nell’Unione europea.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE).(LT) Desidero chiedere: che cos’è una crisi alimentare? La comparsa di un prodotto alimentare non sicuro sul mercato dell’UE potrebbe essere considerata una crisi alimentare? In tal caso, potremmo parlare di una crisi del giocattolo, dato che si sa che vengono venduti giocattoli che non rispettano i requisiti di sicurezza, così come un’intera gamma di altri prodotti non sicuri. Come possiamo definire una crisi alimentare? Può essere definita come un inarrestabile aumento dei prezzi dei prodotti alimentari che colpisce tutti i consumatori?

 
  
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  Androula Vassiliou, Membro della Commissione. (EN) Desidero iniziare dalla seconda domanda e dire che non possiamo chiamare crisi alimentare la scoperta sul mercato di un prodotto difettoso. Potrebbe essere una crisi alimentare, qualora permettessimo a tale bene di circolare liberamente all’interno dell’Unione europea. Allora potremmo avere una crisi, perché potremmo mettere in pericolo la salute dei nostri cittadini.

Ma con il sistema che abbiamo in vigore e che applichiamo in modo molto attento e pericoloso, cerchiamo di evitare tali crisi. Siamo riusciti a evitare crisi alimentari in numerose occasioni (e anche di recente).

In merito ai controlli sulle merci e sui generi alimentari prodotti al di fuori dell’Unione europea, devo dire che richiediamo ai nostri partner commerciali che applichino esattamente gli stessi controlli che applichiamo agli alimenti che producono internamente.

Ecco perché, ad esempio, ho citato la Malesia, dove inviamo il nostro FVO, che ha riscontrato che il sistema non funzionava affatto in modo adeguato, e abbiamo vietato l’importazione di pesce da tale paese. Lo stesso è stato fatto nel caso della carne di manzo proveniente dal Brasile e, in molte altre occasioni, dal Bangladesh.

Chiediamo pertanto ai nostri partner che, se desiderano esportare verso l’Unione europea, si attengano alle norme di igiene che applichiamo all’interno dell’Unione.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 36 dell’onorevole Bilyana Ilieva Raeva (H-0548/08)

Oggetto: Sicurezza stradale

Il numero di persone che rimangono uccise o ferite negli incidenti stradali rappresenta un importante problema di carattere umanitario, sanitario, ecologico, finanziario, sociale e demografico. Inoltre, gli oneri pecuniari determinati da questa tragedia sortiscono molteplici effetti negativi sulla qualità della vita, sullo sviluppo sostenibile e sul riscaldamento globale.

In questo contesto è opportuno elaborare politiche che incoraggino gli sforzi degli Stati membri a mantenere il livello delle vittime degli incidenti nel trasporto al di sotto della media dell’UE.

In che modo intende la Commissione avviare provvedimenti più risoluti, quali ad esempio normative comunitarie per ampliare gli standard comuni esistenti, in particolare introducendo un indicatore comune europeo affinché la soglia prevista per gli incidenti stradali sia rigorosamente rispettata da tutti gli Stati membri?

In che modo procederebbe la Commissione per mettere a punto un approccio uniforme per la supervisione, il controllo e gli interventi sanzionatori sul territorio dell’UE? E’ possibile ritenere che, in futuro, una politica comune della sicurezza stradale dell’Unione europea condurrà anche a una politica comune della polizia stradale, che migliorerà la qualità del controllo e del monitoraggio della sicurezza stradale?

 
  
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  Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. − (FR) Signor Presidente, poiché il Commissario Tajani è stato trattenuto da un incontro del Consiglio dei ministri, sono lieto di rispondere all’onorevole Raeva, in particolare perché il tema a cui si riferisce la sua interrogazione costituisce una questione con cui ho avuto molto a che fare in prima persona e che sento molto vicina al mio cuore.

Nel 2001, l’Unione europea si è data come obiettivo quello di dimezzare il numero delle vittime di incidenti stradali entro il 2010. Questo obiettivo è stato riconosciuto dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Nel 2003, è stato oggetto di un programma d’azione europeo per la sicurezza stradale, che definiva 60 misure volte a incoraggiare gli utenti della strada a comportarsi in modo più assennato, avvalendosi dei progressi tecnici, al fine di rendere i veicoli più sicuri, migliorando le infrastrutture stradali, rendendo più sicuri i trasporti commerciali, migliorando la cura delle vittime e sviluppando l’analisi dei dati relativi agli incidenti. Al fine di monitorare i cambiamenti nella situazione della sicurezza stradale, la Commissione ha istituito diversi indicatori di prestazione: il numero di vittime per milione di abitanti; il tasso di utilizzo della cintura di sicurezza e del casco; il numero e la percentuale delle persone sotto gli effetti dell’alcol coinvolti in incidenti stradali; il numero e la percentuale delle persone che superano il limite di velocità.

Nell’ambito della normativa comunitaria, desidero menzionare la nuova direttiva sulla patente di guida, adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio in data 20 dicembre 2006. Tale direttiva era volta a migliorare la sicurezza stradale per gli utenti della strada giovani e la libera circolazione dei cittadini all’interno dell’Unione europea. Disponiamo altresì di una direttiva sulla sicurezza delle infrastrutture stradali, adottata dopo l’accordo in prima lettura nel giugno del 2008. Abbiamo poi la proposta di direttiva sul controllo delle infrazioni al codice della strada, presentata dalla Commissione nel 2008 e attualmente in fase negoziale in seno al Parlamento europeo e al Consiglio.

La Commissione sta altresì tentando di incoraggiare il più possibile lo scambio di buone pratiche relative alla sicurezza stradale tra gli Stati membri. Come parte dell’invito a presentare proposte, partecipa al finanziamento di campagne per la sicurezza stradale e di progetti innovativi in questo ambito, che comprendono diversi Stati membri.

Analogamente, la Commissione sta fornendo sostegno finanziario al programma di ricerca per progetti che probabilmente miglioreranno la conoscenza in specifici settori e origineranno proposte legislative future su basi scientifiche affidabili. Il progetto DRUID (Driving under the influence of Drugs, Alcohol and Medicines) ne costituisce un esempio, mentre la lotta alla guida sotto gli effetti di sostanze psicoattive sta diventando una priorità nei nuovi Stati membri. Infine, onorevole Raeva, un nuovo programma d’azione europeo per il periodo 2010-2020 è attualmente in fase di elaborazione. Tale programma di azione sarà oggetto di una consultazione pubblica all’inizio del 2009 per attraversare poi la procedura di adozione da parte della Commissione.

Queste erano le informazioni che il Commissario Tajani desiderava fornire in risposta alla sua interrogazione.

 
  
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  Bilyana Ilieva Raeva, autore. (BG) Signor Commissario, sono estremamente lieta di congratularmi con lei per gli sforzi compiuti sino a oggi nella sua recente funzione di Commissario responsabile per i trasporti nell’Unione europea, carica che ha ricoperto nel corso degli ultimi anni. La ringrazio altresì sentitamente per la presentazione della sintesi relativa alla politica europea comune per la sicurezza stradale.

E’E’ precisamente in questo senso che desidero chiedere: “Di fronte all’esistenza di indicatori, di fronte all’esistenza definita di un’iniziativa molto seria da parte della Commissione europea riguardante la sicurezza stradale in Europa, com’è il controllo dell’esecuzione di tali indicatori forniti e in che modo viene veramente garantito che in Europa avremo una riduzione di casi letali di almeno il 50 per cento?”Perché per un paese come la Bulgaria questo indicatore è troppo elevato. In Europa occorrono assolutamente sanzioni nel caso di violazione di tali requisiti.

 
  
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  Jacques Barrot, Vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevole parlamentare, la supervisione, i controlli e le pene per le infrazioni ovviamente rientrano tra le competenze degli Stati membri.

Desidero tuttavia ricordarle che il 21 ottobre 2003 la Commissione ha adottato una raccomandazione sull’applicazione nell’ambito della sicurezza stradale, che definisce le migliori pratiche per il controllo delle infrazioni al codice della strada e desidero menzionare in modo particolare che abbiamo l’opportunità, con la Giornata europea della sicurezza stradale, di valutare ciascuno Stato membro. Tale valutazione evidenzia il primato di alcuni Stati membri e la debolezza di altri. Credo che la Giornata europea per la sicurezza stradale costituisca un modo eccellente di fare veramente luce sulle prestazioni dei diversi Stati membri.

E’ vero, e lei ha ragione a sottolinearlo, non abbiamo raggiunto le prestazioni che ci eravamo augurati. Nutriamo molte preoccupazioni in merito all’obiettivo, che era quello di dimezzare il numero delle vittime entro il 2010. Può essere che nel prossimo programma pluriennale, che coprirà un periodo di 10 anni, possiamo aumentare ulteriormente le restrizioni sugli Stati membri.

Desidero altresì cogliere l’opportunità, signor Presidente, per ricordare l’importanza che attribuiamo al voto su questa direttiva, che permetterà di punire gli automobilisti che hanno commesso un’infrazione in uno Stato membro diverso dal proprio. L’impunità dei conducenti che non obbediscono alle regole, quando si trovano in uno Stato membro diverso dal proprio è attualmente troppo elevata e penso che questo sarà un buon modo per far sì che i cittadini europei si comportino in modo migliore sulla strada.

La ringrazio per aver posto questa interrogazione. So che anche il mio successore, il Commissario Tajani, è molto impegnato nella questione della sicurezza stradale e posso dirvi che tutti i vostri suggerimenti e azioni ci aiuteranno a porre fine a questa terribile piaga.

 
  
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  Presidente. − Poiché l’autore non è presente, l’interrogazione n. 37 decade.

 
  
  

Seconda parte

 
  
  

Annuncio l’interrogazione n. 38 dell’onorevole Emmanouil Angelakas (H-0525/08)

Oggetto: Informazione-educazione di giovani consumatori

E’ un dato di fatto che una parte significativa degli acquisti di beni e servizi è effettuata da consumatori giovani e adolescenti, che vengono bombardati da campagne pubblicitarie spesso ingannevoli che promuovono articoli scolastici, giocattoli, vestiti, alimenti, bevande, materiale audiovisivo, ecc.

Oltre all’Europa Diary, già in funzione, intende la Commissione realizzare una campagna paneuropea di informazione-educazione dei giovani consumatori che ruoti intorno a questioni che li riguardano, e in che modo e con che mezzi intende organizzare detta iniziativa? Per quanto concerne più in particolare l’osservatorio dei consumatori (“consumer scoreboard”), in che modo e con quali modalità intende la Commissione trattare i dati ottenuti riguardo ai giovani consumatori e come conta di far pervenire loro le relative informazioni?

 
  
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  Meglena Kuneva, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, la Commissione accoglie con favore le preoccupazioni espresse dall’onorevole deputato e desidera attirare la sua attenzione sul fatto che le norme comunitarie esistenti in materia di diritti del consumatore già offrono ai giovani una protezione considerevole. Ad esempio, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali (PCS) ha lo scopo di proteggere i consumatori, ivi compresi i giovani, da pratiche che nuocciono ai loro interessi economici, quali la pubblicità ingannevole o le pratiche aggressive. I consumatori vulnerabili, tra gli altri i cittadini più giovani, vengono presi in considerazione in modo particolare quando si valutano pratiche commerciali sleali. La direttiva comprende altresì una lista nera di pratiche commerciali che sono proibite in ogni caso in tutta l’UE. Ad esempio, è vietato in tutta l’Unione europea l’inserimento in pubblicità di esortazioni dirette rivolte ai bambini affinché acquistino prodotti

Nel settembre 2008, la Commissione lancerà una campagna di comunicazione su web in merito alla direttiva PCS. Si tratta di una direttiva molto nuova che sarà altresì mirata ai giovani. La campagna farà altresì uso di siti web dedicati, che comprenderanno animazioni, illustrazioni e quiz, al fine di spiegare le norme della PCS in modo più interessante e interattivo. Al fine di attirare l’attenzione dei consumatori, verranno disseminati banner e annunci pubblicitari fasulli in diversi importanti siti web di consumatori. Vi saranno portali per specifiche categorie di consumatori, quali i giovani, comunità virtuali, siti web musicali e blog. Le informazioni verranno fatte circolare in Internet per un periodo di un mese e, sebbene sia difficile prevedere per quanto tempo tali dati verranno ospitati dai siti web partner, ci aspettiamo che le informazioni saranno disponibili su web per almeno qualche mese.

Il sito web dedicato alle PCS, in fase di creazione, sarà accessibile ai consumatori per una durata indeterminata. Per il tempo a venire, la Commissione non ha intenzione di lanciare una speciale campagna paneuropea al fine di formare e informare i giovani consumatori. Tuttavia, oltre allo Europe Diary, sta altresì sviluppando uno strumento educativo per i consumatori basato sul web chiamato Dolceta, che contiene uno modulo di insegnamento mirato agli insegnati della scuola primaria e secondaria.

In merito all’osservatorio dei consumatori (”consumer scoreboard”), allo stadio attuale, i nostri dati non fanno distinzioni tra gruppi diversi di consumatori. Per l’osservatorio non è possibile affrontare nel dettaglio tutti i mercati o tutti i diversi tipi di consumatore. Tuttavia, ove disponiamo di dati specifici che coprono i giovani consumatori, ad esempio gli studenti, quali gli studi dell’Eurobarometro, pubblicheremo i dati relativi a tale gruppo.

 
  
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  Emmanouil Angelakas, autore. (EL) Signor Presidente, signora Commissario, la ringrazio per la sua risposta completa e dettagliata. Quanto è rassicurante e gratificante che tale campagna venga lanciata on line ora, in questo mese di settembre.

Desidero solo porre una domanda supplementare: sta pensando la Commissione di proibire gli spot televisivi diretti ai bambini, come è accaduto in taluni Stati membri, in cui sono stati vietati taluni spot televisivi rivolti ai bambini dopo un certo orario – le 22.00 o le 23.00, credo – prima del quale i bambini guardano la televisione?

 
  
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  Meglena Kuneva, Membro della Commissione. (EN) Questa informazione è ben nota anche nella mia DG, ma effettivamente ciò rientra maggiormente nell’ambito di competenza della mia collega, il Commissario Viviane Reding, perché è altresì connesso alla libertà di informazione che rientra ampiamente nell’ambito delle attività della sua DG.

Quello che posso dirle è che disponiamo della direttiva “Televisione senza frontiere”, che affronta tali questioni e che nella direttiva sulle pratiche commerciali sleali abbiamo una lista nera. La ragione per cui disponiamo di uno strumento quale una lista nera è che, qualora sia necessario e qualora disponessimo di prove sufficienti, possiamo aggiungere una pratica alla lista nera quando concordiamo che si tratta di qualcosa a cui dobbiamo mirare e che dobbiamo vietare in tutta l’Europa. Certamente, tale azione deve basarsi su prove. Siamo pertanto pienamente consapevoli del problema.

Non fa direttamente parte delle pratiche commerciali sleali (PCS), ma siamo pronti ad esaminarlo, qualora vi sia una pratica che potremmo crediamo meriti di essere inserita in una lista nera o grigia e il Commissario Reding sta facendo del suo meglio al fine di essere certa che la direttiva “Televisione senza frontiere” affronti questioni come queste.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE).(LT) Il 55 per cento degli spot televisivi su prodotti alimentari commercializzano prodotti alimentari dannosi per la salute. L’80 per cento dei bambini chiede ai genitori proprio le stesse marche di prodotti per la colazione che hanno visto negli spot . La mia domanda è: deve l’Unione europea spostare l’attenzione dalle pubblicità, che vengono commissionate dai produttori? Possiamo trovare il modo per incoraggiare i loro produttori a produrre e successivamente a pubblicizzare prodotti alimentari più sani?

 
  
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  Meglena Kuneva, Membro della Commissione. (EN) Credo che i produttori possano essere indotti a produrre alimenti sani attraverso strumenti di mercato. Se vi è una domanda da parte del mercato, essi risponderanno a questa domanda. Possiamo dire ciò che i produttori devono produrre, ma questo non è esattamente il modo in cui la Commissione deve affrontare il problema. Quello che possiamo fare è rendere disponibili al 100 per cento le informazioni in un modo molto comprensibile. La Commissione sta lavorando con impegno in proposito in modo da disporre di informazioni adeguate in merito ai prodotti connessi all’alimentazione.

Si sostiene che alcune pubblicità sono false o espongono i bambini a pericoli. Se, ad esempio, si afferma che un prodotto può curare o può, tutto d’un tratto, ringiovanire una persona di 10 anni (il che certamente non è possibile), allora rientra nella mia sfera di competenza e potrei affrontare la situazione mediante la direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Altrimenti, quando si parla del lato salutare dei prodotti alimentari, devo ricordarle nuovamente che tale aspetto rientra nel portafoglio del Commissario Vassiliou, la quale sta svolgendo un lavoro eccellente affinché simili prodotti alimentari siano dotati di un’etichettatura adeguata attraverso la quale i consumatori possano operare le loro scelte. Questo è quanto cui stiamo mirando: avere consumatori ben informati e, attraverso una campagna educativa in cui anche la mia DG è estremamente coinvolta, possiamo migliorare la consapevolezza del mercato.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 39 dell’onorevole Marie Panayotopoulos-Cassiotou (H-0530/08)

Oggetto: Protezione dei consumatori e istruzione

E’ noto che le politiche dell’istruzione rientrano nelle competenze degli Stati membri. Ciononostante, i prodotti connessi con l’apprendimento, la formazione e la formazione lungo tutto l’arco della vita sono oggetto di commercio, in particolare transfrontaliero e, pertanto, riguardano i consumatori. Per tale ragione, può la Commissione dire come è elaborata la politica europea per la protezione dei consumatori per quanto riguarda la qualità e i prezzi?

 
  
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  Meglena Kuneva, Membro della Commissione. (EN) La Commissione non ha il potere di stabilire i prezzi o di definire la qualità dei prodotti connessi all’apprendimento. Ciononostante, trovo questa interrogazione davvero molto rilevante. Nel quadro del diritto UE, i consumatori sono tuttavia protetti contro pratiche ingannevoli o aggressive quando acquistano prodotti connessi all’apprendimento.

Secondo la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, di cui ho appena parlato, i commercianti non devono ingannare i consumatori con informazioni false o ingannevoli relative, ad esempio, ai vantaggi di un prodotto, ai risultati da aspettarsi dal suo utilizzo o ai risultati delle prove o dei controlli eseguiti.

La direttiva comprende anche una lista nera di pratiche vietate in ogni caso: sostenere che un prodotto è stato approvato o appoggiato da un organo pubblico o privato (come ad esempio dichiarare che un libro connesso all’apprendimento è stato approvato dal ministro per l’istruzione quando non è così) è assolutamente vietato in tutta l’UE.

I commercianti, inoltre, devono fornire ai consumatori tutte le informazioni di cui necessitano affinché operino una scelta informata. La Commissione, ad esempio, ha ricevuto un reclamo relativo a corsi acquistabili su siti web di lingua inglese, che venivano poi forniti in un’altra lingua. Omettere di informare il consumatore della lingua utilizzata per i corsi può essere considerata una pratica ingannevole. Sta tuttavia alle autorità e ai tribunali nazionali incaricati dell’applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali di determinare, soggette ali principi di libertà di circolazione racchiusi nel Trattato CE, quali informazioni sono pertinenti caso per caso, in linea con il diritto europeo.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou, autore. (EL) Ringrazio la signora Commissario per la risposta. La distorsione dei prezzi in relazione alla qualità dei prodotti costituisce una questione di interesse per i consumatori. Non parlo di imporre il prezzo, bensì di definire la relazione tra prezzo e prodotto in base alla concorrenza e altresì del trasporto dei prodotti connessi all’istruzione da uno Stato membro all’altro, e alla protezione transfrontaliera dei consumatori.

Dispone di qualche informazione in merito alla protezione transfrontaliera quando i prodotti connessi all’istruzione vengono trasferiti da uno Stato membro a un altro?

 
  
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  Meglena Kuneva, Membro della Commissione. (EN) In merito ai problemi transfrontalieri relativi ai materiali di insegnamento, disponiamo di centri europei dei consumatori, il cui lavoro si basa sul regolamento della cooperazione dei consumatori, che costituiscono buoni ambasciatori dei diritti dei consumatori in tutta Europa.

Nel caso di una controversia transfrontaliera tra un consumatore e il fornitore di un servizio, un libro o materiale connessi all’istruzione, il consumatore può recarsi a un centro per i consumatori. Se il consumatore non può risolvere direttamente la questione, il centro per i consumatori del suo paese può aiutarlo a ottenere una soluzione soddisfacente nel paese d’origine dei servizi o materiali educativi.

Non ho con me il registro completo di tutti diversi casi ed esperienze verificatisi nei diversi Stati membri, ma posso dirle che tali centri europei dei consumatori si incontrano diverse volte l’anno. Consistono già in una rete molto buona e valorizzata e la maggior parte dei centri è molto attiva e in grado di risolvere le questioni sollevate dai consumatori.

Dato che l’interrogazione si riferiva al settore dell’istruzione, si potrebbero chiedere informazioni ai centri in merito a come essi hanno risolto tali questioni. Tuttavia, il principio fondamentale è lo stesso, e questo regolamento sta funzionando molto bene.

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Sarei interessato a sapere come stanno effettivamente le cose in merito all’apprendimento on line. In merito ai reclami, sarebbe possibile per la Commissione creare un homepage che mostri quali istituzioni che offrono apprendimento a distanza sono associati a problemi, così che qui vi sia maggiore trasparenza?

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) Si verifica in continuazione il problema di moltissime persone in Europa che pongono la domanda: dov’è il valore aggiunto europeo? Ora, l’Unione europea non è certamente responsabile per questioni connesse all’istruzione, ma siamo responsabili delle questioni relative alla garanzia della qualità e alla protezione del consumatore. Conveniamo anche a tal riguardo. Qui non sarebbe possibile trattare molto attentamente le scuole e forse persino i livelli bassi di istruzione, in quanto destinatari nel contesto dell’attività generale di informazione della Commissione? Mediante progetti e concorsi possiamo mostrare in che modo l’Europa fornisce qui valore aggiunto europeo. Potremmo forse – e in relazione all’interrogazione precedente – pertanto portare questo tema all’attenzione dei giovanissimi.

 
  
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  Meglena Kuneva, Membro della Commissione. (EN) Riconosco appieno e con piacere il valore dei suoi suggerimenti e del suo contributo. Aprendo un po’ di più l’ambito della mia risposta, desidero dire che ci troviamo nella fase di completamento del mercato interno, che costituisce davvero un fondamento dell’Unione. Tuttavia, ad oggi, il mercato è stato molto orientato alle imprese e all’avere per queste ultime le condizioni corrette, com’è giusto che sia stato. Ora, tuttavia, dobbiamo completare il mercato interno mediante una seconda fase, in cui i consumatori si sentano dovunque parimenti ben accolti e ben protetti. Si tratta della politica dei consumatori per il XXI secolo.

Sono molto lieta di riferirvi che, nella strategia per i consumatori 2007-2015, l’istruzione volta a conferire potere ai consumatori costituisce il primo pilastro assolutamente fondamentale della strategia per i consumatori. Ora non posso dirvi di più, ma disponiamo di strumenti quali Diary Europe, che è precisamente mirato agli adolescenti, e disponiamo di Dolceta, che costituisce un completamento all’istruzione degli insegnanti, ma confidiamo molto negli sforzi degli Stati membri.

Dobbiamo vedere tale politica dal punto di vista della sussidiarietà. Vi sono paesi che sono pronti a investire di più nell’istruzione dei consumatori e ad appoggiare gli sforzi generali della Commissione. Ho scritto a tutti i ministri pertinenti chiedendo il loro appoggio, perché ci troviamo in uno stadio davvero cruciale in merito all’avere un mercato dei consumatori ben performante allo stesso modo in tutta l’Europa.

In futuro, parleremo di più in merito a come si sentono i consumatori in questo mercato interno. Si tratta di un’osservazione davvero fondamentale. Un’altra è che dobbiamo affrontare maggiormente e in modo più ampio i reclami dei consumatori . In seno alla Commissione europea non disponiamo di una base comune per i reclami dei consumatori. Come voi, riceviamo molti reclami, alcune delle quali vengono inviati dal Parlamento alla Commissione, delle vostri circoscrizioni elettorali, ma ciò su cui dobbiamo costruire è come affrontare tali censure. La Commissione non può ripetere gli sforzi di un Mediatore o di uno Stato membro, ma se vi è un problema persistente in un settore o un altro della politica per i consumatori, dobbiamo affrontarlo, anche mediante una normativa.

Vi sono buoni esempi che dimostrano che i reclami dei consumatori potrebbero davvero riorientare la tendenza della politica per i consumatori. Ciò che stiamo cercando di fare ora è raccogliere questo tipo di informazioni, utilizzando il quadro di valutazione del mercato dei consumatori. La prima edizione del quadro di valutazione del mercato dei consumatori ha avuto luogo all’inizio di quest’anno. Disponiamo di un indicatore speciale: i reclami dei consumatori. Compariamo gli Stati membri al fine di osservare il numero di reclami che stanno affrontando e in quali tipi di settori. Attendo con ansia le informazioni dagli Stati membri per la prossima edizione del quadro di valutazione comparativa del mercato dei consumatori all’inizio del prossimo anno. Pertanto, passo dopo passo, ci dirigiamo verso un mercato interno per i cittadini.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 40 dell’onorevole Giovanna Corda (H-0545/08)

Oggetto: Reclami dei consumatori in merito al commercio elettronico on-line

I risultati di una recente inchiesta dei Centri Europei dei consumatori (CEC) hanno evidenziato un alto numero di controversie di cui sono vittime i consumatori che realizzano acquisti on-line (nel 2007, 2 583 controversie e 8 834 reclami).

Di fronte allo sviluppo esponenziale del commercio elettronico, non ritiene la Commissione di dover avviare campagne di sensibilizzazione al fine di mettere in guardia i consumatori dai rischi collegati a tale nuova forma di commercio? Non ritiene inoltre di dover attuare procedure urgenti ed efficaci al fine di risolvere tali controversie transfrontaliere, segnatamente nei casi (più numerosi) di mancata consegna o di consegna di prodotti non conformi?

 
  
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  Meglena Kuneva, Membro della Commissione. (EN) La presente interrogazione riguarda Internet, che costituisce una questione molto importante. Internet rappresenta un’opportunità enorme per i consumatori. Fornisce loro accesso a migliori informazioni ed estende le dimensioni del mercato in cui operano, fornendo accesso a più fornitori e a una scelta più vasta.

Già 150 milioni di cittadini dell’UE – un terzo della nostra popolazione – fa spese in rete. La rapida crescita del numero di cittadini dell’UE che acquistano on line non corrisponde tuttavia alla crescita del numero di coloro che lo fanno a livello transfrontaliero.

Ciò dimostra che la Commissione ha ragione ad affrontare la questione, che è connessa alla fiducia del consumatore in un’ampia gamma di misure d’informazione. Va menzionata la guida digitale on line dell’utente, che la Commissione sta preparando. Verrà pubblicata on line entro la fine del 2008, Come seguito della guida, si potrebbe considerare la stesura di orientamenti su come attuare la normativa sulle pratiche commerciali sleali in merito alle pratiche commerciali sleali che emergono on line.

Un altro strumento di cui abbiamo già parlato è Dolceta, che è orientato verso l’istruzione dei consumatori, ad esempio in merito alla vendita a distanza e al risarcimento dei consumatori. Istruire i giovani consumatori, che sono particolarmente attivi on line, è fondamentale. Il Diario dei consumatori, quest’anno con una distribuzione record di 2,8 milioni di copie (e questa informazione potrebbe essere interessante anche per l’onorevole Angelakas) in più di 18 000 scuole, comprende informazioni sull’utilizzo di Internet e sul risarcimento transfrontaliero.

La strategia della politica per i consumatori 2007-2013 prevede azioni connesse all’informazione dei consumatori come parte delle sue priorità – consumatori meglio informati e meglio istruiti. Gli strumenti principali, che l’Unione europea utilizza al fine di informare i cittadini e le parti interessate riguardo alla politica per i consumatori in questo quadro, sono costituiti da un sito web, la newsletter Consumer Voice e le campagne di sensibilizzazione. Quest’ultima comprende l’e-commerce come tema più importante per le campagne in diversi Stati membri di più recente adesione.

In merito alla seconda domanda, che riguarda l’applicazione e il risarcimento, la Commissione crede fermamente che, al fine di far funzionare il mercato interno, i consumatori europei debbano avere fiducia nel fatto che possano vedere rispettati i loro diritti e ottenere un risarcimento in tutta l’Unione europea. I reclami relativi all’e-commerce, ivi compresi i reclami relativi a prodotti non consegnati o alla consegna di prodotti non soddisfacenti, possono essere affrontati nel quadro dell’attuale quadro UE in materia di risarcimento, che abbiamo già istituito per i consumatori europei. Tale quadro comprende la rete dei CEC, le due raccomandazioni della Commissioni sulla risoluzione alternativa delle controversie, la direttiva in materia di mediazione di recente adozione e il regolamento che istituisce una procedura europea per i reclami di minore entità.

La Commissione sta altresì considerando se è necessaria un’iniziativa UE sul risarcimento collettivo dei consumatori e, qualora lo sia, quale tipo di iniziativa dovrebbe essere. Sono pienamente convinta che lo schermo sia un nuovo mercato.

 
  
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  Giovanna Corda, autore. − (FR) Signor Presidente, signora Commissario, ha già parzialmente risposto alla domanda che ero intenzionata a porre, riguardo ai problemi riscontrati all’acquisto.

Le procedure sono lunghe, complicate e costose. Il danno subito è particolarmente grande in quanto spesso colpisce i più svantaggiati tra noi.

Dato che vi è un vuoto giuridico, pensa che i centri europei dei consumatori dispongano dei mezzi per impegnarsi in tali procedure, magari collettivamente, ma anche individualmente, al posto dei consumatori lesi?

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE).(DE) Si tratta semplicemente della questione che siamo preoccupati in merito alle future possibilità di pubblicizzare i reclami in modo trasparente. Se le operazioni transfrontaliere vengono ripetute, i tribunali e i pubblici ministeri di acquistano altresì accesso. Crede che qui sia possibile istituire una banca dati?

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (PSE).(LT) Signora Presidente, nel suo discorso ha fatto riferimento in modo molto convincente all’espansione dell’e-commerce e sono assolutamente certo che tale espansione si sta verificando molto più rapidamente negli Stati UE di meno recente adesione. Desidero chiedere che cosa si sta facendo al fine di incoraggiare l’e-commerce negli Stati membri che hanno aderito all’UE nel XXI secolo, come i diritti dei consumatori vengono protetti e quali misure vengono sviluppate al fine di livellare tale proporzione. Un’altra cosa, relativamente agli abusi: i casi di abuso sono più frequenti nei vecchi Stati membri o nei nuovi?

 
  
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  Meglena Kuneva, Membro della Commissione. (EN) Il suggerimento che i Centri europei dei consumatori vadano in tribunale a nome dei consumatori è un’idea che discuteremo nella nostra comunicazione sul risarcimento collettivo prima della fine dell’anno. Ad oggi, la mia preoccupazione è stata quella di tenere aperta la nostra mente e di avere una diversità di opinioni prima di arrivare a una proposta finale.

Dobbiamo veramente vedere il quadro nel suo complesso e utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione, ivi compresa la direttiva sulle ingiunzioni, che è altresì uno degli strumenti che possiamo utilizzare in Europa a livello transfrontaliero.

Concordo appieno in merito alla banca dati, che appoggio fermamente. Ne abbiamo bisogno al fine di elaborare una normativa e politiche migliori.

E’E’ mia ferma convinzione che dobbiamo basarci sulle prove ogni qual volta che proponiamo una normativa o intraprendiamo le nostre azioni comune di applicazione.

Continuerò con le azioni di applicazione in tutti i 27 paesi membri contemporaneamente – le cosiddette “ondate” su questioni quali i biglietti aerei o le suonerie. I siti web sono di solito clienti molto buoni in questo genere di azioni di applicazione transfrontaliere.

Ogni paese è diverso. Dobbiamo avere una penetrazione della banda larga e dobbiamo avere più di una data percentuale della popolazione che utilizza qualsivoglia genere di strumento che impiegano per godere dell’e-commerce, che di solito è Internet. Credo anche che possiamo accrescere tale penetrazione attraverso una politica di coesione, una politica regionale e il Fondo di coesione. I nuovi Stati membri disporranno di un’opportunità unica per mettersi in pari rapidamente e a volte per evitare alcuni dei nostri precedenti errori. Devono procedere velocemente.

Se si dispone di una buona normativa mirata, che è pienamente armonizzata in tutti gli Stati membri, essa avrà un impatto notevole sull’aumento sia della fiducia dei consumatori che sul livello delle prestazioni dei consumatori in tutti gli Stati membri. L’e-commerce costituisce uno degli strumenti per fare affari migliori e per avere una scelta maggiore. Non si tratta di un mero strumento di mercato, ma anche di uno strumento democratico molto importante.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 42 dell’onorevole Colm Burke (H-0537/08)

Oggetto: Quadro di valutazione del mercato interno

La piena attuazione della normativa in materia di mercato interno va a vantaggio dei consumatori e dell’industria di tutta l’Unione europea. Il quadro di valutazione del mercato interno è uno strumento efficace per mettere in evidenza le prestazioni relative degli Stati membri nell’attuazione di tale normativa. Di conseguenza, in che modo propone la Commissione di comunicare completamente i risultati di tale quadro di valutazione ai consumatori e all’industria?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, ringrazio l’onorevole deputato per le sue osservazioni positive in merito al quadro di valutazione del mercato interno. Concordo in merito al fatto che i risultati del quadro di valutazione devono essere ampiamente comunicati. Tutte le edizioni del quadro di valutazione sono disponibili sul sito web Europa. Le versioni cartacee sono state inviate alle rappresentanze permanenti degli Stati membri e agli uffici di rappresentanza della Commissione presenti nelle capitali dei 27 Stati membri. Inoltre, sono state fatte circolare altre copie nelle altre istituzioni dell’UE così come nelle amministrazioni nazionali. In seguito alla pubblicazione di ciascun quadro di valutazione, è stato rilasciato un comunicato stampa in 21 lingue e i risultati sono stati comunicati durante una conferenza stampa al fine di garantire che siano facilmente accessibili ai mezzi d’informazione nazionale.

 
  
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  Colm Burke, autore. (EN) La ringrazio, signor Commissario, per aver affrontato la presente interrogazione. Accolgo con favore il lavoro che è stato svolto in questo ambito, che è connesso all’intera questione della percezione dell’Unione europea negli Stati membri.

In Irlanda, abbiamo avuto un problema particolare nel corso della discussione sul Trattato di Lisbona dato che, ogni qual volta che si presenta qualcosa di negativo, tendiamo a incolpare l’Unione europea. Posso portare solo un esempio tipico di un ambito in cui non abbiamo alcun ritorno: quello di uno Stato membro che manca di agire in merito a una direttiva dell’Unione europea. A Wicklow, nella mia zona di Cromane, circa otto anni fa vi è stato un caso in cui non erano disponibili i finanziamenti europei, nel quadro di una direttiva, per il governo irlandese, ma non è stata intrapresa alcuna azione e in conseguenza di ciò, 50 famiglie ora non sono in grado di svolgere il loro usuale lavoro di raccolta di mitili. I giornali locali hanno incolpato l’Unione europea. Non abbiamo alcun risarcimento…

(Il Presidente toglie la parola all’oratore)

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. (EN) Disponiamo di una serie di strumenti per la trasposizione tardiva di direttive, che viene innanzi tutto trattata dal quadro di valutazione dell’UE. Se gli Stati membri continuano a essere in ritardo nella trasposizione, allora disponiamo certamente della sanzione ultima che consiste nell’approfondire il caso. Tuttavia, cerchiamo di evitare tutto ciò, facendo quanto segue: se uno Stato membro ha difficoltà nel trasporre una direttiva, organizziamo incontri con esso, teniamo seminari e cerchiamo di affrontare le questioni e le difficoltà specifiche che potrebbe incontrare. Facciamo pertanto del nostro meglio al fine di cercare di fare in modo che la trasposizione sia effettuata il più rapidamente possibile.

Concordo con l’onorevole Burke quando afferma che ciò è vero non solo in Irlanda, ma anche in altri paesi dell’UE. Vi è una tendenza marcata da parte di tutti i governi a prendersi il merito per le cose buone che accadono, sebbene possano essere ispirate dall’Europa o da un’idea originata in Europa. Sono certo che anche coloro tra noi, che hanno servito nel parlamento o nel governo irlandese, sono stati spesso colpevoli di ciò. Tuttavia, quando vi è qualcosa di negativo che ha un qualsiasi tipo di orientamento europeo, allora diamo senza dubbio la colpa all’Europa. Concordo pertanto con l’onorevole Burke in merito al fatto che vi dovrebbe essere maggiore positività circa le cose buone che facciamo qui in Europa.

Quando uno Stato membro manca di agire in un settore particolare, intraprendiamo l’azione adeguata, ma cerchiamo di evitare queste cose, se possibile, incoraggiando gli Stati membri a mettere tutto a posto il più rapidamente possibile.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 43 dell’onorevole Jim Higgins (H-0539/08)

Oggetto: Settore bancario nelle zone di frontiera

Può la Commissione far sapere se intende indagare sulla questione dei costi supplementari imposti su bancomat, carte di credito e di debito utilizzati nelle zone di frontiera, soprattutto alla luce del fatto che molte banche eseguono transazioni su entrambi i lati della frontiera fra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. (EN) Gli utilizzatori di carte di credito e di debito nelle zone di frontiera possono affrontare tre categorie di costi associati ai pagamenti con carta. Essi sono: costi ordinari connessi all’utilizzo della carta, a prescindere dalla posizione geografica o dallo Stato membro; costi per il cambio di valuta, qualora il pagamento venga eseguito tra Stati membri che utilizzano valute diverse, ad esempio l’euro e la sterlina; e terzo, i costi nel punto vendita di prelievo di contanti presso un bancomat.

Esaminando la prima categoria, vale a dire i costi ordinari per gli utilizzatori di carte, regolati a livello europeo per quanto riguarda i pagamenti in euro: conformemente al regolamento (CE) n. 2560/2001 relativo ai pagamenti transfrontalieri in euro, quando viene eseguito un pagamento transfrontaliero in euro tra due Stati membri, i costi imposti per tale pagamento devono essere gli stessi imposti per un pagamento corrispondente in euro all’interno dello Stato membro in cui la carta viene rilasciata. Al contempo, i pagamenti mediante carte connesse a conti non in euro, ad esempio conti in sterline, non sono soggetti al presente regolamento.

Quando viene eseguito un pagamento in euro tra uno Stato membro appartenente all’eurozona, come l’Irlanda, e uno Stato membro che non appartiene all’eurozona, come il Regno Unito, potrebbero essere applicati costi supplementari per il cambio di valuta per i pagamenti con carta. La direttiva sui servizi di pagamento regola le condizioni secondo cui verrà offerto il cambio di valuta. Tuttavia, gli Stati membri devono ancora attuarla.

Infine, i pagamenti con carta possono anche essere soggetti a una maggiorazione presso il punto di vendita o a una tariffa aggiuntiva per il ritiro presso bancomat privati. La questione della maggiorazione o dell’offerta di uno sconto su di un dato strumento di pagamento è, secondo la normativa europea, lasciato a discrezione dell’operatore. Al contempo, nulla impedisce agli Stati membri di vietare o limitare tali maggiorazioni. Questo è confermato esplicitamente nella già citata direttiva sui servizi di pagamento nel mercato interno.

La Commissione non dispone pertanto di alcuna base giuridica per un intervento nella questione dei costi supplementari sui servizi di pagamento transfrontalieri nel Regno Unito e in Irlanda. La Commissione ritiene, tuttavia, che la concorrenza su entrambi i lati del confine

 
  
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  Jim Higgins, autore. (EN) Come me, il signor Commissario è assolutamente ben informato in merito alla situazione irlandese, in cui 18 000 lavoratori attraversano ogni giorno il confine, da una giurisdizione all’altra, e in cui 5 200 studenti e 1,7 milioni di persone o vanno in vacanza o fanno spese passando dall’altro lato del confine.

So che il signor Commissario ha affermato che tocca ai governi nazionali e che le banche non sono soggette al regolamento (CE) n. 2560/2001, ma senza dubbio dovrebbe essere possibile introdurre regolamenti volti a vietare tali maggiorazioni. Abbiamo avuto un esempio molto buono in cui la sua collega, il Commissario Vivien Reding, Commissario per la società dell’informazione e i mezzi di comunicazione, ha assunto una dura posizione in merito alle compagnie di telefonia mobile – possiamo vedere il risultato a vantaggio del consumatore. Sembra sbagliato che si permetta che ciò continui, in particolare quando vi sono banche sorelle su entrambi i lati del confine.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. (EN) La questione dei costi aggiuntivi e supplementari sui servizi transfrontalieri, e concordo con l’onorevole Higgins, ha generato rabbia in regioni specifiche.

Spetta tuttavia alle autorità nazionali affrontare tale questione perché – e ciò è stato confermato esplicitamente nella direttiva sui servizi di pagamento di recente adozione – le autorità nazionali, nel compromesso che abbiamo raggiunto, desideravano che tale questione fosse lasciata ad essi. Pertanto le autorità nazionali degli Stati membri interessati possono affrontare tale questione, se lo desiderano, tuttavia in quello stadio particolare non vi era una maggioranza di Stati membri a favore di un’azione a livello UE. Lì è dove è rimasta la questione in quel momento specifico. Come tutte le cose nella vita politica ed economica, forse questo in futuro cambierà.

Pertanto, tanto recentemente quanto la discussione sulla direttiva sui servizi di pagamento, non vi era una maggioranza tra gli Stati membri al fine di intraprendere azioni, ma chi sa quali proposte verranno avanzate in futuro – forse emergerà una maggioranza.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 44 dell’onorevole Dimitrios Papadimoulis (H-0553/08)

Oggetto: Vendita dell’OTE e rifiuto di offerta pubblica di acquisto

Il parlamento greco ha ratificato con legge l’accordo tra l’OTE e la Deutsche Telekom senza tenere conto delle disposizioni sulla tutela degli azionisti di minoranza di cui nella direttiva 2004/25/CE(1). Per giustificare il rifiuto di offerta pubblica di acquisto si è invocato l’articolo 8, lettera g), della legge 3461/2006, che esonera dall’obbligo di offerta pubblica le imprese cui si applica una procedura di privatizzazione.

Considerato che prima dell’accordo lo Stato greco possedeva solo il 28% dell’OTE, ritiene la Commissione che l’OTE sia un’impresa statale? A partire da quale percentuale di partecipazione pubblica un’impresa è considerata statale? La deroga alla legge di cui sopra consente di tutelare i diritti degli azionisti di minoranza? Sono rispettati su scala comunitaria i principi di chiarezza e trasparenza nei casi di offerte pubbliche di acquisto? Negli Stati membri, i titolari di azioni di imprese a partecipazione statale hanno meno diritti rispetto a quelli di altre imprese cui lo Stato non partecipa?

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. (EN) Desidero innanzi tutto sottolineare che la protezione degli interessi degli azionisti di minoranza nelle imprese quotate costituisce uno degli obiettivi fondamentali delle norme comunitarie in materia di offerte pubbliche di acquisto. Nel caso di una modifica di controllo in un’impresa quotata, a tutti gli azionisti deve essere offerta parità di trattamento e gli azionisti di minoranza devono essere tutelati. La Commissione è molto attaccata a questo principio fondamentale.

Gli azionisti di minoranza in imprese statali quotate hanno diritto esattamente agli stessi diritti degli azionisti di minoranza delle imprese di proprietà di parti private. Tale principio normalmente implica che le persone che acquisiscono il controllo di un’impresa quotata debbano lanciare un’offerta di acquisto obbligatoria sul capitale degli azionisti di minoranza. Tuttavia, le norme comunitarie permettono agli Stati membri di derogare alla regola dell’offerta di acquisto obbligatoria al fine di tener conto di circostanze determinate a livello nazionale.

La Grecia ha fatto uso di tale discrezione. La sua normativa nazionale prevede che la norma relativa all’offerta di acquisto obbligatoria non sia applicabile in talune situazione. Ciò comprende, in particolare, il caso in cui è in corso il processo di privatizzazione di un’impresa. Tale eccezione è di natura generale, ma, come normalmente accade, gli aspetti negativi si trovano nel dettaglio.

La Commissione non contesta il fatto che la società greca delle telecomunicazioni, OTE, riguardo alla quale pone una domanda l’onorevole deputato, fosse un’impresa statale. Sebbene lo Stato possedesse solo il 28 per cento dell’impresa, essa era controllata appieno dal governo. La vera domanda in questione qui è: quanto può durare un processo di privatizzazione? Nel caso dell’OTE, il processo di privatizzazione sembra essere lungo. In effetti, sembra essere senza dubbio molto lungo. Il processo, che è apparentemente ancora in corso, è iniziato 12 anni fa. Per quanto tempo un’impresa può essere tenuta fuori dal campo di applicazione della norma relativa all’offerta di acquisto obbligatoria della direttiva concernente le offerte pubbliche di acquisto? Il supervisore greco, la Commissione greca di vigilanza sul mercato dei capitali, ha deciso che l’OTE sta ancora attraversando un processo di privatizzazione e che, di conseguenza, non era necessaria alcuna offerta di acquisto obbligatoria.

In conclusione, quando gli Stati membri derogano alla norma relativa all’offerta di acquisto obbligatoria, devono tuttavia rispettare il principio generale di protezione degli azionisti di minoranza e garantire che beneficino di un trattamento pari a quello degli azionisti di maggioranza. Devo ancora vedere come le autorità greche garantiranno tale protezione in questo caso. Ho pertanto chiesto ai miei servizi di chiedere se tale protezione è stata realizzata e di esaminare se in questo caso le autorità greche hanno rispettato le norme della direttiva concernente le offerte pubbliche di acquisto.

 
  
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  Dimitrios Papadimoulis, autore. (EL) Signor Commissario, proprio questo è il problema. Non riesco a capire che cosa abbiate cercato nel corso di tutti questi mesi. Le autorità greche stanno contravvenendo agli articoli 3 e 5 della direttiva 25/2004/CE; respingono la parità di trattamento e l’offerta di acquisto pubblica su basi risibili che un’impresa, l’OTE (società greca delle telecomunicazioni), di cui lo Stato possiede il 28 per cento, è un’impresa statale.

La Commissione continuerà a infrangere la legge, contravvenendo alla direttiva sulla parità di trattamento e sulla tutela dei piccoli azionisti? Forse, Commissario McCreevy, non ha letto la direttiva 25/2004/CE, proprio come non ha letto il Trattato di Lisbona.

 
  
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  Charlie McCreevy, Membro della Commissione. (EN) Come ho indicato, stiamo esaminando il diritto greco e la sua compatibilità con le regole del mercato interno, in particolare in merito alla libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento e, se necessario, il caso potrebbe ulteriormente procedere.

In tale indagine, diversi servizi della Commissione mantengono un coordinamento stretto al fine di garantire che vi sia un’analisi completa della situazione. Posso assicurare all’onorevole deputato che, quando avremo concluso la nostra indagine, intraprenderemo in quel momento l’azione adeguata, se – e solo se – la nostra indagine prova che sia il caso che le autorità greche rispondano. Questo è il modo adeguato e legale in cui risolviamo le nostre questioni con ciascuno Stato membro e ora, che trattiamo con le autorità greche, non è diverso.

Quando l’indagine sarà stata completata, prenderemo in quel momento le decisioni adeguate e procederemo, qualora si reputi necessario farlo a quello stadio specifico.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 48 dell’onorevole Georgios Papastamkos (H-0526/08)

Oggetto: Sinergia per il Mar Nero

E’ trascorso un anno dalla messa in atto della Sinergia per il Mar Nero. Ritiene la Commissione che sia stato adottato un ampio approccio strategico di coesione riguardo alla regione? Lo sviluppo di collegamenti marini e di trasporti e collegamenti terrestri, come anche la cooperazione nel settore energetico con la promozione, in parallelo, dello sviluppo sostenibile costituiscono in questo caso specifico gli assi principali delle iniziative dell’UE? In che modo intende la Commissione sfruttare la presenza di Stati membri (Grecia, Bulgaria, Romania) nella regione?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Il primo anno di attuazione della Sinergia per il Mar Nero, la Commissione ha adottato una relazione in data 19 giugno 2008. Essa descrive i risultati in un’ampia varietà di settori e formula proposte volte a sviluppare la Sinergia in un processo di cooperazione regionale. Quest’ultimo comprende la definizione di obiettivi misurabili sul lungo periodo, nonché la selezione di paesi od organizzazioni guida per coordinare le azioni, al fine di conseguire tali obiettivi, e la creazione di partenariati settoriali volti a cofinanziare i progetti necessari.

Come la Commissione ha affermato in precedenza, le politiche bilaterali applicate nella regione – principalmente le politiche europee di vicinato – forniscono il quadro strategico e la Sinergia per il Mar Nero le completa a livello regionale. La politica di vicinato è a livello bilaterale e si tratta del primo completamento regionale.

I settori menzionati nella sua interrogazione figurano tra i principali impegni dell’agenda della Commissione. Si tratta di proposte volte a stabilire partenariati nel Mar Nero in diversi settori, compresi i trasporti e l’ambiente, e gli Stati membri presenti nella regione sono particolarmente attivi nel promuovere tali iniziative.

Il coordinamento tra la Commissione e i tre Stati membri è stato potenziato sia nello sviluppo della Strategia, che nel lavoro con l’Organizzazione della cooperazione economica del Mar Nero (CEMN).

Ulteriori progressi della Sinergia richiedono il coinvolgimento attivo di un numero crescente di Stati membri e di partner del Mar Nero e a tal riguardo gli Stati membri del Mar Nero possono svolgere, e lo fanno, un ruolo fondamentale.

 
  
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  Georgios Papastamkos, autore. (EL) La ringrazio per la risposta, signora Commissario, la Sinergia per il Mar Nero senza dubbio porta la sua impronta personale, ma lei è altresì conscio del fatto che attualmente l’Organizzazione della cooperazione economica del Mar Nero (CEMN) costituisce una struttura istituzionale matura per l’organizzazione regionale; la sua cooperazione si sta senza dubbio intensificando ed estendendo. Ciò accade in particolare perché qui si incontrano l’Europa e l’Asia e lo fanno a molti livelli.

Desidero sapere una cosa: oltre a tale iniziativa della Sinergia per il Mar Nero, la Commissione intende pianificare la struttura di relazioni interregionali tra l’UE e i paesi del Mar Nero in un più stretto quadro istituzionale, così che emerga una forma istituzionalmente salvaguardata di cooperazione interregionale?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Riguardo alla Sinergia per il Mar Nero, l’idea era quella di avere i partner orientali – tutti i nostri partner orientali – più la Turchia e la Russia e, dato che essi fanno già parte di tale cooperazione economica del Mar Nero, abbiamo pensato che fosse il modo giusto.

Ma lei saprà anche che il Consiglio europeo ci ha chiesto di avere anche uno specifico partenariato orientale, su cui lavoreremo – senza dubbio io e i miei servizi proporremmo, in tardo autunno, qualcosa di più specifico solo con i partner orientali, senza la Turchia e la Russia. Ma desidero ribadire che il 13 e 14 febbraio mi trovavo a Kiev, dove si è tenuto il primo incontro ministeriale. Deve comprendere che si trattava del lancio della conferenza. Certamente ci vuole sempre tempo perché i progetti siano finalizzati e per compiere progressi effettivi.

Ricorderà da quanto siamo impegnati dedicato sul processo di Barcellona e sa con quanta lentezza cose si sviluppano, pertanto penso che da un lato vi sia ancora spazio per la cooperazione nel Mar Nero, ma vi sarà anche questo più ristretto ambito del partenariato orientale.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 49 dell’onorevole Robert Evans (H-0533/08)

Oggetto: Missioni di osservazione elettorale dell’UE

La Commissione spende ingenti somme per missioni di osservazione elettorale in tutto il mondo, svolgendo un ruolo estremamente prezioso in alcuni dei paesi dalle situazioni più difficili.

Come valuta la Commissione tali missioni nel lungo periodo? Com’è possibile sostenere e aiutare meglio tali paesi a porre rimedio alle carenze rilevate nel corso di una consultazione elettorale al fine di assisterli nei preparativi per le elezioni successive?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Concorderei in merito al fatto che le missioni di osservazione elettorale (MOE)in tutto il mondo rappresentano denaro ben speso. Nel corso degli ultimi otto anni, gli osservatori dell’UE hanno riferito su elezioni cruciali, contribuendo in tal modo a ridurre i conflitti in merito ai risultati elettorali o evidenziando aree che necessitano urgenti riforme elettorali e politiche. In quanto tali, si tratta di risultati che hanno un impatto nel lungo periodo.

Oggi l’Unione europea è ampiamente vista come uno dei più credibili osservatori elettorali internazionali. So che l’onorevole Evans è tornato non molto tempo fa dalle elezioni in Sri Lanka. Penso che anch’egli abbia le sue idee riguardo a quello che ha funzionato e forse in merito a ciò che dovrà essere fatto in futuro. La Commissione continuerà ulteriormente a rendere prioritarie le MOE-UE e fintanto che sarò in carica, cercherò di farlo.

Detto ciò, tuttavia, le osservazioni elettorali non sono e non possono essere azioni che si reggono da sole. L’osservazione elettorale non costituisce di per sé un obiettivo, ma deve altresì contribuire ad affrontare le carenze presenti nel quadro elettorale, nonché a innescare una riforma istituzionale e democratica sul lungo periodo.

Le relazioni delle MOE costituiscono un punto d’ingresso fondamentale al fine di affrontare le carenze presenti nel quadro elettorale. Esse hanno per definizione una prospettiva sul lungo periodo. Le raccomandazioni delle MOE di solito identificano possibilità per un cambiamento elettorale, ad esempio nel quadro normativo o nella gestione delle elezioni. Esse si inseriscono sempre più in una più ampia strategia di supporto elettorale, incrementando in tal modo l’impatto sul lungo periodo.

In riferimento ad altre recenti MOE, posso confermare che, ad esempio in Ruanda, in Cambogia o nello Yemen, abbiamo fornito supporto alle rispettive commissioni elettorali. Tali progetti sono poi risultati direttamente da precedenti MOE-UE, che avevano identificato diverse carenze nel quadro elettorale. Ma, nel medesimo contesto, nel corso degli ultimi anni, la Commissione ha altresì incrementato in modo sostanziale i contributi finanziari destinati all’assistenza elettorale, costruendo di conseguenza sulle raccomandazioni delle MOE-UE. Attualmente ammontano a 400 milioni di euro dal 2000, si tratta per tanto di una cifra molto buona.

Molto lavoro prezioso, che definisce il periodo in cui operare una riforma elettorale in seguito a una MOE-UE, viene altresì svolto da delegazioni della Commissione europea nel paese e certamente da parte degli osservatori capo, quando rientrano dal paese per presentare la loro relazione finale.

Infine, dato che le riforme elettorali sono spesso molto politiche per natura, esse spesso non si verificano facilmente e richiedono diversi attori e un coinvolgimento continuo. Credo che, oltre all’osservatore capo, il Parlamento possa svolgere, e molto spesso lo fa, un ruolo rilevante, occupandosi della riforma elettorale che dà seguito a una MOE.

Desidero pertanto incoraggiare anche le delegazioni permanenti del PE in un paese a essere più coinvolte nella questione, affrontando quindi le carenze presenti nel quadro elettorale nel contesto di un più ampio cambiamento istituzionale e democratico. Questo è stato il contenuto di un primo seminario tra la Commissione e il Parlamento e ve ne sarà un altro verso la fine dell’anno, credo che sarà in dicembre, tra la Commissione e il Parlamento.

 
  
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  Robert Evans, autore. − (EN) La ringrazio, signora Commissario, e concordo con lei sul fatto che le osservazioni elettorali costituiscono parte del lavoro più utile svolto dall’Unione europea. Si tratta di un lavoro di alto profilo in quei paesi e quasi senza eccezione si tratta di denaro ben speso. Sono stato molto orgoglioso di partecipare a diverse missioni di osservazione elettorale nel corso degli anni, più di recente in Pakistan. Mi trovavo effettivamente in Sri Lanka per una visita di delegazione.

Mi domando tuttavia se posso provocare leggermente la signora Commissario su un punto: nel corso dei quattro o forse cinque anni tra una missione di osservazione elettorale e la successiva, l’UE offre effettivamente aiuti e suggerimenti specifici al fine di affrontare le carenze o i settori in cui pensiamo che sia necessario apportare miglioramenti e per i quali possiamo offrire idee, sostegno e forse un contributo finanziario, al fine di garantire che i paesi non ripetano in un’elezione gli errori che potrebbero aver commesso in precedenza?

 
  
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  Martin Callanan (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, anch’io concordo con l’onorevole Evans in merito al valore delle missioni di osservazione elettorale. Anch’io mi sono sentito onorato di essere stato nominato osservatore capo dalla signora Commissario per le recenti elezioni in Cambogia. Penso che le missioni – così come tutte le missioni di osservazione elettorale – si siano rivelate essere un aiuto molto utile per le autorità cambogiane nella condurre le loro missioni elettorali.

La mia richiesta alla signora Commissario è che esamini le risorse di cui dispone per fare ancora di più di queste missioni in futuro, se possibile, perché anch’io concordo in merito al fatto che siano misure estremamente preziose che attirano l’attenzione. Sono altamente apprezzate dai paesi in cui hanno luogo e altresì dai capi di Stato nelle diverse missioni.

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Innanzi tutto, desidero solo dire che le raccomandazioni per il lungo periodo e per le prossime elezioni costituiscono proprio il settore su cui tutti noi dovremo lavorare di più insieme.

Questo perché alcuni paesi, al contrario di altri, hanno accolto tali raccomandazioni che devono rientrare maggiormente nelle nostre relazioni per paese e nella valutazione da parte delle delegazioni e delle delegazioni del Parlamento europeo.

In risposta alla seconda domanda, qualora vi fosse un bilancio molto più cospicuo, allora andremmo in molti altri paesi, ma sono tenuta a operare una selezione. Tento di fare una selezione secondo il bilancio, che deve coprire Africa, Asia, America latina e, a condizione che veniamo invitati, i paesi del Maghreb e i paesi arabi, in cui penso che dovremmo andare più spesso, poiché a causa della nostra – in teoria – oggettività, godiamo di una reputazione molto buona.

 
  
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  Presidente. − Annuncio l’

interrogazione n. 50 dell’onorevole David Martin (H-0543/08)

Oggetto: Israele trattiene il denaro del contribuente palestinese

Che misure intende prendere la Commissione per indurre Israele a smettere di trattenere il denaro del contribuente palestinese?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) Ritengo che l’onorevole deputato si riferisca ai ritardi nel trasferimento mensile dei proventi doganali che Israele raccoglie per conto dell’autorità palestinese. L’ultimo ritardo risale al mese di giugno ed è seguito quasi immediatamente all’invio di una lettera da parte del Primo Ministro palestinese Fayyad, in cui obiettava alle discussioni in corso sull’ulteriore sviluppo delle relazioni tra l’UE e Israele.

All’epoca, i ritardi nel trasferimento dei proventi doganali e fiscali avevano raggiunto i massimi livelli e io stessa ho sollevato tale questione con il ministro degli Esteri.

Ho chiesto a Israele di eseguire il pagamento, che era dovuto ai palestinesi e, infine, devo, e posso, dire che il trasferimento è stato fatto con una settimana di ritardo rispetto al solito.

Da allora, non è stato riferito alla Commissione nessun altro caso di ritardi nel trasferimento delle entrate fiscali.

 
  
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  David Martin, autore. − (EN) Ringrazio la signora Commissario per la risposta e per il fatto che abbia intrapreso un’azione. L’azione è venuta successivamente alla presentazione della mia interrogazione. Comprenderà che vi sono lunghi ritardi tra la presentazione delle interrogazioni e le relative risposte.

Tuttavia, desidero rafforzare il punto relativo al fatto che questo denaro è denaro palestinese. In nessun caso si tratta di denaro israeliano che può essere trattenuto. Tenerlo per sé equivale a un furto, se non del denaro, degli interessi. Esso viene utilizzato regolarmente come un ricatto contro i palestinesi e mi auguro che la Commissione continuerà a premere su Israele affinché trasferisca tale denaro non appena è dovuto ai palestinesi, anziché utilizzarlo come ancora un altro strumento politico.

 
  
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  Reinhard Rack (PPE-DE).(DE) E’ positivo che in apparenza si sia potuto risolvere questo problema in modo pronto e rapido. Solo una domanda: a quell’epoca in quante occasioni abbiamo avuto il problema dell’autorità palestinese che utilizzava il denaro in un modo che presumibilmente entrava in conflitto con le intenzioni dei donatori. Anche questi problemi sono stati risolti nel frattempo?

 
  
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  Benita Ferrero-Waldner, Membro della Commissione. − (EN) In risposta alla prima osservazione, negli ultimi anni vi sono senza dubbio stati lunghi ritardi in merito al denaro palestinese – e concordo con lei riguardo al fatto che si tratta di denaro palestinese – ma ho sempre cercato quando era necessario – e molto spesso i palestinesi mi hanno chiesto di farlo – di intervenire personalmente al fine di fare in modo che il denaro venisse sbloccato. Ciò poteva richiedere molto tempo e ci sono stati periodi in cui è stato davvero molto difficile, ma ho sempre tentato. Sono d’accordo con lei in merito al fatto che anche questo sia da farsi in futuro.

(DE) Onorevole Rack, posso garantirle che la modalità mediante la quale inviamo il nostro denaro ai palestinesi – prima attraverso ciò che veniva chiamato TIM, il meccanismo internazionale temporaneo, e ora attraverso il meccanismo finanziario PEGASE – è studiata al fine di fornirci pieno controllo. Ritengo che anche questa fosse la sostanza.

Per inciso, ora anche gli israeliani hanno utilizzato questo conto unico del Tesoro al fine di trasferire il denaro israeliano. Con Salam Fayyad sia come ministro delle Finanze che come Primo Ministro, disponiamo qui anche di qualcuno che gode della fiducia della comunità internazionale. Tuttavia, abbiamo condotto i nostri accertamenti in generale e dedico grande attenzione a tale questione, per quanto sia in grado di fare a livello personale. Qui la mia delegazione ha istituito il suo proprio sistema e la sua propria squadra affinché non si verifichi alcuna irregolarità.

 
  
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  Presidente. − Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 19.10, è ripresa alle 21.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MARIO MAURO
Vicepresidente

 
  

(1) GU L 142 del 30.4.2004, pag. 12.


16. Commercio dei servizi (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione di Syed Kamall, a nome della commissione per il commercio internazionale, sul commercio dei servizi (2008/2004(INI)) (A6-0283/2008).

 
  
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  Syed Kamall, relatore. − (EN) Signor Presidente, desidero innanzitutto rendere onore ai relatori ombra e ai loro consiglieri di gruppo per l’utile contributo apportato alla presente relazione. Penso che abbiamo svolto alcuni dibattiti molto interessanti e non ci siamo sempre trovati d’accordo. Tuttavia siamo per lo meno riusciti a condurre le discussioni con estrema civiltà.

Desidero altresì ringraziare il segretariato della commissione per il commercio internazionale per il suo contributo e, mentre ringrazio, desidero menzionare i funzionari della DG Commercio per i loro utili consigli e suggerimenti.

Chiaramente l’Unione europea, in quanto maggiore esportatore di servizi, ha un grande interesse nell’apertura di nuovi mercati per i servizi. Tuttavia, il mio interesse personale in tale tema si concentra maggiormente su come si possono utilizzare i servizi come strumento per aiutare i più poveri a uscire dalla povertà.

Prima di fare ciò, tuttavia, desidero ricordare a tutti noi l’importanza dei servizi. I servizi rappresentano circa il 75 per cento (vi sono alcune discussioni/disaccordi in merito alle cifre esatte) del PIL dell’UE rispetto a solo il circa il 2 per cento dell’agricoltura. In Africa, i servizi costituiscono il 52 per cento del PIL e in crescita rispetto al 16 per cento dell’agricoltura. Pertanto, date queste cifre, è una vera vergogna che sia stata posta così tanta enfasi sull’agricoltura nel Doha Round per lo sviluppo, quando è veramente l’apertura del commercio e dei servizi che promette di far uscire dalla povertà così tante persone. Ecco perché ero pronto ad accogliere emendamenti in cui si afferma che i negoziati sul commercio e i servizi non servirebbero solo gli interessi dell’UE, ma la crescita economica dei paesi più poveri.

Non dobbiamo dimenticare che cosa significa sviluppo in effetti: si tratta di far uscire le persone dalla povertà e possiamo riuscirci incoraggiando gli imprenditori a creare benessere e posti di lavoro.

In molti dei paesi più poveri, gli imprenditori mi dicono che hanno un disperato bisogno che la povertà venga affrontata. Tuttavia, ciò di cui necessitano davvero sono servizi bancari al fine di ottenere un prestito più vantaggioso per poter espandere la loro attività, occupare più persone e creare un benessere maggiore a livello locale; servizi assicurativi, assicurandosi, quando la loro vita o la loro attività sono rovinate e qualcosa va male, di avere qualcosa a cui ricorrere; servizi legali, dando attuazione a quei contratti sottoscritti con i partner; e servizi di comunicazione, conoscendo le migliori pratiche dei mercati locali, decidendo quando andare verso i mercati locali ed entrare effettivamente nei mercati locali.

Dobbiamo tuttavia riconoscere tutti che dove i governi per nessuna responsabilità personale non sono in grado di fornire servizi di base, quali sanità, istruzione e acqua ai cittadini più poveri, allora gli imprenditori devono svolgere il ruolo di colmare quei vuoti nella fornitura di servizi.

Purtroppo, il commercio dei servizi ammonta solo a circa il 25 per cento del commercio mondiale, ma dispone del potenziale per creare benessere e occupazione molto maggiori. Ma torniamo ad alcuni dei punti controversi della relazione.

Uno dei punti di dibattito è stato sui cosiddetti “servizi di interesse economico generale”, tuttavia dobbiamo ricordare che paesi diversi li definiscono in modi diversi. Alcuni paesi ritengono che sanità, istruzione e acqua debbano essere forniti solo dallo Stato. Altri si sono rivolti ad attori non statali. In Etiopia, Nigeria, Kenya e Uganda, più del 40 per cento delle persone nel quintile economico più basso riceve l’assistenza sanitaria da fornitori privati. Dobbiamo senza dubbio incoraggiare maggiori investimenti in tali settori.

Riguardo all’istruzione, esorto i miei colleghi a esaminare il lavoro del professor James Trooley dell’Università di Newcastle, che ha iniziato la sua ricerca presso l’Istitut of education di Londra con la convinzione che l’istruzione privata fosse in effetti un abominio. Ha tuttavia ben presto scoperto, forse stranamente, che le scuole private potevano fornire ai poveri un’istruzione migliore. Quando è stato condotto uno studio sulle scuole statali dell’India, alcune sono state semplicemente chiuse. In alcune, gli insegnanti non si sono presentati e, in un caso, un insegnante si è fatto preparare il tè dai suoi studenti per tutto il giorno. Pertanto i poveri che lavoravano hanno abbandonato il luogo. Hanno risparmiato per pagare un’istruzione privata, non in una torre di acciaio e vetro, bensì di solito in una semplice stanza sopra a un negozio. Queste scuole sovvenzionavano poi l’istruzione gratuita per i poveri non lavoratori.

Cosa c’è di sbagliato, chiedo, nell’incoraggiare il commercio di tali servizi quando ciò è di aiuto per i più poveri? Ora sento alcuni membri di quest’Assemblea che credono che solo lo Stato possa fornire tali servizi e che debba farlo su base monopolisitca. E persino dove c’è una mancanza dello Stato o dove lo Stato raccoglie proventi insufficienti a fornire tali servizi, non credono che si debba permettere agli attori non statali di colmare i vuoti. Preferirebbero vedere le persone più povere non avere accesso all’acqua? Preferirebbero vedere le persone più povere non avere accesso all’istruzione? Preferirebbero vedere le persone più povere non avere accesso all’assistenza sanitaria, piuttosto che rivolgersi a un fornitore privato?

Il successivo punto di contrasto riguardava la sovranità. Ora, concordo con coloro che dicono che non dobbiamo far mandare giù a forza ai nostri partner negoziali l’apertura del commercio e dei servizi. Tuttavia dobbiamo senza dubbio concordare sul fatto che quando un paese decide di liberalizzare ciò che potremmo considerare essere un servizio di interesse economico generale, non abbiamo alcun diritto di dire loro di non liberalizzare i loro mercati.

Devo dire, tuttavia, che alcuni dei miei colleghi mi hanno deluso: alcuni membri di quest’Assemblea ritengono che dobbiamo effettivamente dire ai paesi in via di sviluppo di chiudere i loro mercati. Non dovrebbe essere il privato contro lo Stato. Non dovrebbe essere la questione di fornitori locali contro quelli stranieri. Dovrebbe essere riguardo a quello che funziona. Credo invece che dobbiamo cooperare al fine di abbattere le barriere che condannano i poveri.

Dobbiamo cooperare per porre fine ai monopoli di Stato, che lasciano molti dei più poveri senza servizi essenziali e dobbiamo essere sempre amici di quegli imprenditori, che desiderano affrontare la povertà globale, creando benessere e occupazione, attraverso maggiori investimenti nei servizi.

 
  
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  Peter Mandelson, Membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, sono grato al Parlamento europeo per la presente relazione. Come essa riflette, i servizi equivalgono alla quota maggiore del PIL dei paesi sviluppati. La liberalizzazione del commercio dei servizi è pertanto di importanza fondamentale per la nostra crescita economica, così come per quella dei paesi in via di sviluppo, dove i servizi non sono sufficientemente avanzati.

Condivido ampiamente le idee che vengono espresse nella presente relazione. Esse sono in linea con la nostra strategia europea globale, che è costruita su di un’ambiziosa agenda multilaterale e su di una serie di accordi bilaterali creati ad arte con attenzione. Siamo impegnati appieno nella dimensione dello sviluppo del ciclo commerciale multilaterale e, come affermato nella relazione, consideriamo positivo un accordo multilaterale sui servizi, sia per gli interessi dell’UE che per quelli dei paesi più poveri.

Accolgo con favore l’incoraggiamento della relazione per un ambizioso livello di impegni nei negoziati in corso e imminenti per accordi bilaterali e regionali. Prendiamo attentamente nota delle raccomandazioni della relazione per i diversi negoziati in corso che generalmente toccano i settori che la nostra industria dei servizi considera di importanza.

Permettetemi di fare una riflessione generale sul negoziato degli accordi relativi ai servizi, che è applicabile agli accordi sia bilaterali che multilaterali. Non vi sono preparativi semplici per i negoziati relativi ai servizi, alcuna formula facile che può essere applicata in tutti i settori dei servizi e in tutti i paesi. Tali negoziati implicano l’affrontare la serie complessa e spesso dettagliata dei quadri normativi di paesi in aree tanto diverse quanto quelle riflesse nell’ultima sezione della vostra relazione – dai servizi finanziari all’assistenza sanitaria o all’istruzione. Dobbiamo farlo in un modo non intrusivo che mantenga il diritto dei paesi terzi di regolare internamente come desiderano i diversi settori dei servizi, aprendoli al contempo a offerte esterne, qualora venga favorita la concorrenza. Non vi deve essere alcuna discriminazione.

Riconosciamo che alcuni settori dei servizi incidono per una quota maggiore sul PIL rispetto ad altri e che, entro tali limiti, la liberalizzazione del loro commercio potrebbe avere un impatto maggiore sul nostro benessere generale. Tuttavia, nel rendere prioritario qualsiasi dato settore, dobbiamo altresì tener conto, tra gli altri fattori, della relativa specializzazione dei nostri paesi e regioni dell’UE nei diversi settori.

Desidero infine fare una riflessione sul processo multilaterale. La relazione accoglie con favore l’annuncio di una conferenza di scambio di intenti sui servizi come parte dei negoziati ministeriali dell’OMC. Abbiamo effettivamente spinto moltissimo per questo evento, che si è svolto a Ginevra a luglio. E’ stato un successo relativo. Non abbiamo ascoltato tutti i segnali che avremmo voluto, ma ne abbiamo ascoltati un numero sufficiente per affermare che i membri l’OMC e diversi nei nostri paesi obiettivo hanno compreso l’importanza che attribuiamo a un risultato soddisfacente dell’accesso al mercato nel settore dei servizi.

Non ho una sfera di cristallo per vedere come andranno i colloqui multilaterali in seno all’OMC rispetto al punto in cui li abbiamo lasciati a luglio. Ci troviamo nella situazione in cui una questione – il meccanismo di salvaguardia speciale in agricoltura per i paesi in via di sviluppo – ha fornito la causa immediata di fallimento, anche se vi sono anche altre questioni che necessitano di essere risolte. Pertanto, il sostegno per l’accordo relativo alle modalità generali nel suo complesso è molto fragile e non si tratta solo della questione che gli USA e l’India risolvano le loro differenze in agricoltura. Mi sento come se avessimo nelle nostre mani un vaso sottilissimo, dal valore inestimabile e di superba fattura, ma che ora lo dobbiamo portare via da qui attraversando un pavimento molto scivoloso. Una mossa falsa e tutto potrebbe rompersi in mille pezzi. Dobbiamo pertanto fare attenzione alle mosse che compiamo. Non possiamo restare immobili, ma parimenti e difficile avanzare.

Siamo pronti a impegnarci nuovamente a qualsiasi livello sia utile al fine di garantire di non perdere quanto abbiamo conseguito e che resti sul tavolo. Tuttavia vi deve essere un impegno politico sincero da parte di altri a partecipare al processo negoziale. In tale contesto, i progressi compiuti in occasione della conferenza di scambio di intenti sui servizi non verranno persi. I segnali fatti gettano un po’ di luce sulla flessibilità che i nostri partner commerciali fondamentali hanno nel settore dei servizi e questa è un’informazione importante.

Il contributo migliore che noi tutti possiamo apportare nelle circostanze attuali di fallimento dei negoziati di Ginevra è di essere realisticamente positivi e di spiegare quanto sia grande l’opportunità che potremmo perdere, se falliamo tutti insieme. La vostra relazione, pertanto, è tempestiva, poiché invia un messaggio chiaro ed equilibrato in merito all’importanza che la liberalizzazione del commercio in uno dei settori chiave di un accordo dell’OMC – i servizi – avrebbe, sia per noi che per i nostri partner. Attendo con ansia di continuare la cooperazione e il dialogo con il Parlamento, sia in questo settore che in altri della politica commerciale.

 
  
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  Olle Schmidt, relatore per parere della commissione per gli affari economici e monetari. – (SV) Signor Presidente, oggi il commercio dei servizi è divenuto una necessità per tutte le economie. Per qualsiasi paese è impossibile conseguire il successo economico con un’infrastruttura dei servizi costosa e inefficace. Dedidero pertanto esprimere i miei sentiti ringraziamenti all’onorevole Kamall per un’eccellente e importante relazione.

I produttori e gli esportatori di prodotti tessili, pomodori e altre merci non saranno competitivi, se non hanno accesso a un efficiente sistema bancario, a efficienti compagnie di assicurazione, a società di contabilità, a sistemi per le telecomunicazioni e i trasporti.

L’opinione della commissione per gli affari economici e monetari evidenzia che l’accesso a servizi finanziari, quali i microcrediti, l’accesso a servizi bancari di base e ai trasferimenti bancari internazionali sono necessari affinché gli individui dei paesi in via di sviluppo si impegnino in attività economiche di base e avviino imprese.

La Commissione sostiene inoltre che la particolare natura del settore finanziario richiede soluzioni ponderate in un mondo globalizzato. Si tratta altresì dell’aspetto di cui ha parlato lo stesso Commissario Mandelson. Se i nostri partner negoziali, in primis i paesi in via di sviluppo, dicono di no alla possibilità di aprire i mercati dei servizi, ciò pregiudicherà le loro opportunità di sviluppo economico.

A coloro tra voi, qui in quest’Assemblea, che nutrono dubbi, dico: osservate come si sono sviluppati i vostri stessi paesi! Lo sviluppo del commercio di beni è andato di pari passo con lo sviluppo del commercio dei servizi. A vantaggio, signor Presidente, di tutti i cittadini!

 
  
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  Zbigniew Zaleski, a nome del gruppo PPE-DE. – (EN) Signor Presidente, dietro all’approccio socialista alla non liberalizzazione di tale mercato vi è il timore che, se il servizio passa in mani private, lo Stato perderà potere su di esso e qualcosa andrà male. Cinquant’anni di comunismo hanno dimostrato che le cose non stanno così. Servizi competitivi nel turismo, nella finanza e nei trasporti – al fine di rendere i beni disponibili – e nell’istruzione e nella formazione professionale costituiscono una grande sfida e una speranza per aiutare i paesi poveri a svilupparsi.

Come vedo tale aiuto allo sviluppo, se paragoniamo il mercato dei beni – merci tangibili – e dei servizi? I servizi sono le persone che svolgono attività. Offrono l’opportunità di trasferire conoscenza. Non si tratta di fornire del pesce, bensì canne da pesca, come eravamo soliti dire in quest’Aula. Per di più, offre l’opportunità di diffondere iniziativa personale, innovazione e un maggiore coinvolgimento in diverse attività. Inoltre, il mercato dei servizi è maggiormente in grado di adattarsi alle richieste culturali, è più flessibile e può adattarsi più facilmente alle esigenze delle normative locali, che dovrebbero essere osservate in qualsiasi paese. Grazie a questo, può diminuire la disoccupazione. A livello sociale, può realizzare un maggior coinvolgimento delle persone di diversi retroterra e classi sociali.

Stiamo parlando di acqua, istruzione e salute, e perché no? I cinquant’anni di comunismo e i recenti cambiamenti nel mio paese dimostrano che la liberalizzazione è una forza positiva piuttosto che negativa e l’appoggio fermamente.

 
  
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  Françoise Castex, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero innanzi tutto ringraziare il relatore per la qualità della sua relazione. Ci è stata offerta l’opportunità per un nuovo dibattito approfondito sul commercio dei servizi. Siamo stati in grado di definire le convergenze e identificare alcuni punti di discussione. Vedremo se essi costituiranno gravi divergenze alla fine del dibattito e al momento della votazione.

Che si tratti del mercato interno o del commercio esterno, concordiamo in merito al fatto che il mercato dei servizi incide per la quota maggiore nella creazione di benessere e per un quarto del commercio mondiale. E’ senza dubbio possibile che tale settore economico disponga ancora di un potenziale di crescita per l’Unione europea. E’ pertanto legittimo inserire il mercato dei servizi in negoziati commerciali bilaterali e multilaterali. Tuttavia, dovremo definire i principi e i termini del mercato per il commercio dei servizi.

Il primo punto che il mio gruppo desidera sottolineare è che deve essere operata una distinzione tra il mercato dei servizi e il mercato dei beni. I servizi non sono come i beni, per diverse ragioni. Innanzitutto i servizi non sono della stessa natura; alcuni sono connessi ai bisogni e ai diritti fondamentali. Crediamo moltissimo nella necessità di operare una distinzione tra i servizi commerciali e quelli non commerciali, a prescindere che riguardino l’assistenza sanitaria o l’istruzione. Si deve pensare a servizi vitali, quali l’acqua e l’energia, come se avessero uno status particolare.

I servizi non sono come i prodotti perché il loro commercio spesso implica molto direttamente il lavoro umano e non solo il commercio virtuale di una tecnologia. Sebbene creino potenzialmente posti di lavoro, costituiscono altresì il settore in cui riscontriamo l’occupazione più informale e una maggiore precarietà. Sono pertanto lieta che la relazione ricordi che le norme del commercio devono rispettare le norme occupazionali elaborate dall’ILO. Nei nostri obiettivi per lo sviluppo dobbiamo altresì lottare contro la precarietà e la povertà.

Infine, non abbiamo perso di vista gli obiettivi di Doha e il commercio internazionale come vettore di sviluppo. Tale concetto ci impegna a tener conto dei diversi interessi degli Stati membri e dei paesi in via di sviluppo quando negoziamo programmi di impegno e accordi di partenariato economico. L’Unione europea deve tener conto delle fasi di sviluppo, dei ritmi e dei desideri dei paesi quando apre i mercati dei servizi, in particolare quando liberalizza taluni dei suoi servizi. Penso in particolare ai servizi finanziari. E’ fuori questione esercitare pressione sui paesi terzi in merito al loro modo di concepire e regolare i loro servizi. La sovranità di tali paesi deve essere rispettata quando si tratta di questioni sensibili quanto i servizi pubblici e i servizi finanziari.

Non so se giungeremo a un consenso totale in merito a tale questione. E’ possibile che sia un tema che divide la destra dalla sinistra di questo Parlamento.

 
  
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  Ignasi Guardans Cambó, a nome del gruppo ALDE.(ES) Signor Presidente, la presente relazione sottolinea chiaramente l’importanza dei servizi nelle nostre economie e l’importanza della loro graduale liberalizzazione.

La verità è che per questo relatore ombra è stato interessante seguire il presente dibattito, che ha confermato perché alcuni di noi siedono al centro di quest’Aula e non a un’estremità o all’altra, perché alcuni di noi siedono qui al centro.

Che cosa ci differenzia davvero, per dirlo in modo cordiale, dalle persone che continuano a mantenere un’idea rigida riguardo a ciò che sono i servizi, a ciò che può o non può essere privatizzato, dalle persone che sono ancora allergiche all’idea che alcuni servizi possono essere forniti in modo molto efficiente dal settore privato, spesso più efficientemente rispetto al settore pubblico, spesso persino a prescindere da quanto è sviluppato il paese, dalle persone che desiderano ancora obbligare lo Stato a farsi carico di gran parte di questo peso nei paesi meno sviluppati, come se la risposta a tutti i loro problemi fosse a carico dello Stato, senza tener conto del fatto che lo Stato che porta questo enorme peso è spesso ciò che sta dietro all’enorme potere che la corruzione ha in quei paesi?

Qualche nota, qualche motivo di sfiducia nei confronti della libera concorrenza, della libera impresa e della possibilità che i cittadini ricevano servizi attraverso la società stessa mediante l’economia libera.

Ciò è quanto abbiamo ascoltato nel corso del presente dibattito. Tuttavia, desidero altresì chiarire, ed ecco perché ci troviamo al centro, anche che non concordiamo completamente con la sensazione, che a volte abbiamo, che il relatore – sebbene successivamente sia stato generoso nell’accettare emendamenti provenienti da altri gruppi – non abbia veramente, o a volte possa non aver avuto, una sensibilità sufficiente per valutare che cosa significa l’interesse generale, per comprendere che non tutto è soggetto alle regole del mercato, per comprendere che gli Stati membri devono senza dubbio avere e conservare la libertà di proteggere taluni servizi al di fuori del mercato puro, in una forma regolata o fornendo tali servizi solamente attraverso il settore pubblico.

Quali sono tali servizi? Non lo possiamo dire. Anche in Europa non siamo unanimi circa quale sia l’interesse generale: vi sono soluzioni differenti per attribuire un peso ai settori pubblici e privati in quanto a raccolta dei rifiuti, istruzione, acqua, servizi funebri, cimiteri, trasporti pubblici e servizio postale persino all’interno dell’Europa. Tuttavia, si deve comprendere che istruzione, sanità e così via hanno una dimensione che non può essere sottomessa meramente e rigidamente all’impresa privata.

Ci esorto pertanto a promuovere la liberalizzazione dei servizi; a comprendere che facendo così miglioriamo i servizi che i cittadini ricevono. E’ importante che l’Unione europea prenda l’iniziativa in proposito in tutti i suoi accordi commerciali, in particolare quando osserviamo il collasso – che non sappiamo se sia temporaneo o permanente – del Doha Round, e del quadro multilaterale nel suo complesso in questo settore.

L’Unione europea pertanto ha una responsabilità considerevole nel richiedere tale aumento, nel forzare praticamente la liberalizzazione dei servizi, anche nei paesi meno sviluppati, ma senza dubbio rispettando la loro libertà e comprendendo che ciò deve essere accompagnato – e concludo qui, signor Presidente – da una normativa molto forte. In molti casi la liberalizzazione deve essere accompagnata da una normativa, e regole chiare, rispettando la libertà e l’autonomia di ciascuno degli Stati membri di decidere in merito a ciò che, per loro, a causa della tradizione, della realtà della popolazione, o della realtà delle circostanze, deve continuare a far parte del settore pubblico.

 
  
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  Cristiana Muscardini, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome del gruppo UEN, mi congratulo con il relatore Kamall per l’ottima qualità del lavoro svolto. Il settore dei servizi – come egli stesso ha ricordato – è comunque la voce più importante in quasi tutto il mondo, anche in Africa e Asia è la voce più importante del PIL. Ma è questo settore strategico che deve dare più crescita economica, specialmente ai paesi che soffrono ancora di mancato sviluppo,

La relazione ha il merito di rimarcare la rilevante crescita del commercio dei servizi quale veicolo di maggiore benessere stabilità, proprio per i paesi che devono ancora svilupparsi. Lo scambio di servizi è anche un trasferimento di conoscenze, tra paesi e cittadini, e la libertà di tali scambi, in un sistema però di regole condivise e rispettate, è pertanto fondamentale per qualsiasi strategia di crescita. Ma nessuno deve pretendere di voler esportare o importare modelli ad altri: ogni paese in via di sviluppo deve i tempi più adeguati alle proprie capacità di crescita!

Perciò alla nuova strada della liberalizzazione deve dato corso tenendo conto che i governi si devono adeguare alle esigenze dei cittadini e non – come purtroppo qualche volta è capitato in Africa – quando non sono in grado di dare i servizi primari come l’acqua o l’energia, non devono poi vendere queste possibilità di offrire servizi a compagnie economiche legate a governi di altri paesi, perché vi è evidentemente il rischio poi di problemi economici e politici e di sicurezza, anche a livello internazionale.

Il fallimento di Doha ha purtroppo penalizzato tutti, l’Unione europea, i paesi industrializzati, ma soprattutto – noi riteniamo – i paesi più poveri. Perciò il nostro auspicio, con questa relazione, è che si possa dare ancora una volta un forte segnale per ripartire verso lo sviluppo armonico dell’intera società.

 
  
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  Caroline Lucas, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, desidero iniziare ringraziando il relatore per la sua apertura e cooperazione. Tuttavia, avendo detto ciò, il nostro gruppo non sarà in grado di appoggiare la presente relazione nella votazione di domani, in parte senza dubbio a causa di tale assunto secondo cui il commercio dei servizi è fondamentalmente esattamente identico al commercio dei beni. Come già affermato dall’onorevole Castex, semplicemente non è così. Non possiamo concordare in proposito, non da meno perché il commercio dei servizi richiede quasi sempre modifiche della legislazione nazionale o dei regolamenti di attuazione, che spesso fanno proprio al quote del tessuto sociale di una società, in particolare se riguarda servizi sociali da cui dipendono le persone.

Essa va altresì contro l’evidenza che gli stessi membri dell’OMC distinguono sempre più tra il commercio dei beni e il commercio dei servizi. In occasione dell’ultimo incontro ministeriale dell’OMC di appena qualche mese fa, a luglio a Ginevra, un gruppo di paesi dell’America latina ha persino fatto circolare una proposta volta a rimuovere completamente dall’OMC l’assistenza sanitaria, l’istruzione, l’acqua, le telecomunicazioni e l’energia, precisamente in base al fatto che si tratta di servizi essenzialmente pubblici e che sono diritti umani, che non devono essere trattati come beni commerciabili. Infine, la relazione cita in modo molto selettivo alcuni esempi nazionali positivi di liberalizzazione e di servizi di base, ma non fa affatto riferimento a moltissimi esempi devastanti che avrebbero parimenti potuto essere stati citati e anche dei quali dobbiamo essere coscienti.

La questione su cui desidero concentrarmi è il problema della liberalizzazione dei servizi finanziari. Nessuna questione quest’anno ha dominato maggiormente i titoli dei giornali della crisi finanziaria globale. Si concorda ampiamente che sia stata facilitata dalla mancanza di una regolamentazione adeguata dei mercati finanziari. Eppure, nei negoziati dell’OMC sui servizi, i paesi più ricchi cercano un’ulteriore deregolamentazione e liberalizzazione dei mercati finanziari e senza dubbio la presente relazione appoggia interamente tale proposta. Mi sembra un po’ ironico che il direttore dell’OMC, Pascal Lamy, abbia richiesto una conclusione dell’agenda dell’OMC come soluzione alla crisi finanziaria globale, quando le sue politiche attuali contribuirebbero molto più probabilmente, attraverso qualsiasi stima obiettiva, a un’ulteriore instabilità finanziaria.

Sono delusa dal fatto che tutti i nostri emendamenti che avrebbero richiesto per lo meno una pausa nell’ulteriore liberalizzazione dei servizi finanziari fino a quando il forum per la stabilità finanziaria non abbia emesso le sue raccomandazioni circa talune nuove normative di base, quali i requisiti di capitale e la liquidità transfrontaliera – si trattava solo di una richiesta molto pacata di attendere tali raccomandazioni – siano stati effettivamente respinti. Per tale ragione abbiamo presentato nuovamente tali emendamenti e senza dubbio chiederemo il vostro appoggio.

 
  
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  Helmuth Markov, a nome del gruppo GUE/NGL.(DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, il consenso della relazione consiste nella convinzione comune che un sistema multilaterale di standard e normative sia necessario e importante, che il commercio e lo sviluppo non debbano mostrare alcuna contraddizione e che l’Unione europea abbia una responsabilità particolare, dato il suo peso economico nel dare forma alle relazioni economiche internazionali.

Tuttavia, esistono differenze fondamentali nell’approccio. In verità, è importante essenzialmente migliorare in tutto il mondo l’accesso, la qualità e la scelta dei servizi, in particolare nei paesi in via di sviluppo. Ciò, tuttavia, non può essere realizzato con un concetto generale di concorrenza, liberalizzazione e privatizzazione, in particolare nei settori pubblici (acqua, sanità, istruzione, energia e trasporto di persone).

La strada giusta per accrescere lo sviluppo sostenibile globale è costituita in misura molto minore dalla strategia di deregolamentazione, che la Commissione sta perseguendo nei negoziati multilaterali e sempre più anche in quelli bilaterali, perché essa mira principalmente all’accesso mondiale delle imprese europee che operano a livello transnazionale e si concentra troppo poco sulle piccole e medie imprese.

Un’ulteriore osservazione: l’Unione europea desidera concludere accordi di libero scambio, che si applicano anche agli investimenti stranieri, con paesi quali Cina, Corea, India e i paesi ACP e dell’ASEAN. La Germania, al contrario, attualmente sta introducendo una legge mediante la quale la proporzione delle azioni straniere con diritto di voto in un’impresa tedesca possono essere limitate a un massimo del 25 per cento. Quando la Bolivia ha pensato che una proporzione molto maggiore di capitale straniero nella sua produzione di gas naturale dovesse essere limitata, l’Europa ha protestato veementemente.

Il mio gruppo è convinto che ciascun paese debba decidere per sé quando, secondo quali regole e in che misura desidera aprirsi alla concorrenza mondiale. Il Presidente Arias oggi ha detto: abbiamo bisogno di un approccio asimmetrico. Questo è il punto fondamentale.

 
  
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  Georgios Papastamkos (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, come il relatore e il Commissario Mandelson hanno affermato, i servizi costituiscono uno dei settori più dinamici sia nell’economia europea che in quella globale. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che vi sono opportunità considerevoli al fine di potenziare il commercio internazionale dei servizi, con i vantaggi che ciò porterebbe, sia per le imprese che, ancora di più, per i consumatori.

In termini di scambi delle esportazioni, il settore dei servizi risulta particolarmente importante per i paesi in via di sviluppo. La progressiva apertura dei loro mercati, sulla base del principio del trattamento differenziato, può contribuire al trasferimento di tecnologia e di know-how e a un miglioramento delle loro infrastrutture.

Gli obiettivi primari dell’UE sono il consolidamento vincolante almeno dello status quo relativo all’accesso ai mercati e alla loro liberalizzazione ulteriore. Ciò che è necessario, a mio avviso, è una riduzione degli ostacoli incontrati dalle imprese europee e la garanzia di una maggiore trasparenza e prevedibilità dei mercati stranieri.

A oggi, il livello delle offerte e l’andamento generale dei negoziati dell’OMC sono stati deludenti nel settore dei servizi. I negoziati bilaterali o interregionali su ambiziosi accordi di libero scambio stanno diventando un’aggiunta necessaria al quadro multilaterale, in particolare dato il fallimento dei negoziati di luglio.

Nei negoziati relativi a un’ulteriore apertura dei mercati, sarà necessario assicurare che il diritto normativo dell’UE stessa e dei suoi partner commerciali, in particolare nei settori dei servizi pubblici e dei servizi di interesse generale.

 
  
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  Carlos Carnero González (PSE).(ES) Signor Presidente, desidero dire agli onorevoli Zaleski e Guardans che, come sanno, esiste un famoso quadro di Goya intitolato “Il sonno della ragione genera mostri”, e a volte il sonno della liberalizzazione, con le rigide regole del mercato, può generare inefficienza e disuguaglianza. Quando parliamo dei servizi, dobbiamo tenerlo ben presente.

Immaginiamo, ad esempio, un paese povero in cui l’istruzione non funziona bene, dove si decide che arrivino attori esterni al fine di fornire presumibilmente ai bambini di quel paese un’istruzione di qualità. Come possiamo essere certi che quelle imprese private non lo faranno con l’obiettivo di diventare un monopolio, o un oligopolio, o di fissare prezzi non accessibili ai consumatori, in questo caso gli allievi, e finiscano inoltre con il fornire un’istruzione di scarsa qualità? Chi ce lo può assicurare? Perché potrebbe accadere. In tal caso non ci troveremmo in una situazione di libera concorrenza, bensì in una situazione di una concorrenza in mani private completamente regolata.

Dobbiamo pertanto pronunciare un sì molto chiaro alla privatizzazione del commercio dei servizi, distinguendo al contempo i servizi pubblici e i servizi di interesse economico generale, garantendo che i criteri e le norme relative all’accessibilità e alla qualità siano rispettate e che, certamente, i criteri sociali siano chiaramente presenti.

Rafforzare le economie significa rafforzare gli Stati membri – coloro che sono aperti alle regole del mercato, ma senza mettere i cittadini unicamente al servizio di coloro che sono maggiormente capaci di applicarle.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski (UEN).(PL) Signor Presidente, signor Commissario, desidero esprimere il mio apprezzamento all’onorevole Kamall per la sua ottima relazione. Complimenti!

Va sottolineato che l’accesso al mercato e il libero scambio dei servizi sono di importanza fondamentale per la crescita economica e la riduzione della disoccupazione. I nostri Stati e le nostre regioni beneficiano di questa soluzione. Tale beneficio coinvolge altresì partner esterni all’UE, in particolare i paesi poveri. I negoziati nel quadro dell’agenda di Doha devono portare alla comparsa di pacchetti armonizzati di servizi, ivi compresi i servizi finanziari, in relazione ai quali l’UE è maggiormente aperta e trasparente.

Tale apertura deve, tuttavia, in stretta relazione con la mutualità e il rispetto. In tale contesto dobbiamo altresì gettare uno sguardo su quelli che sono noti come “paradisi fiscali”. Le normative adottate devono tener presente la necessità di incoraggiare la concorrenza, abbassando di conseguenza i prezzi e aumentando la qualità dei servizi, d’altro canto combattendo al contempo la corruzione e la monopolizzazione del mercato.

Qui desidero sottolineare che il commercio dei servizi comprende sempre più spesso le alte teconologie, le TI, i beni culturali e così via. I servizi forniti via Internet necessitano di un’attenzione speciale. I diritti di proprietà intellettuale e la protezione dei dati personali devono essere garantiti e vi deve essere protezione contro truffe, commercio di pornografia e altre azioni criminali. Una società che invecchia e i disabili impongono crescenti volumi di assistenza medica e sanitaria. Dobbiamo pertanto provvedere a un numero crescente di immigrati che lavorino in tali ambiti. L’attuale situazione politica deve altresì attirare l’attenzione sull’energia e i servizi di comunicazione.

Abbiamo sentito che ovunque nel mondo i servizi svolgono un ruolo molto importante nel PIL. Il commercio mondiale dei servizi rivela una tendenza in crescita, che già ammonta a un quarto dei servizi. Ci auguriamo, pertanto, di poter riuscire a creare un sistema di regole chiare e giuste che garantiscano che tutte le parti siano trattate in modo equo. Ciò non sarà facile, ma allora, chi ha detto che dobbiamo avere solo compiti facili a cui far fronte?

 
  
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  Jens Holm (GUE/NGL). (SV) L’onorevole Kamall richiede un’apertura di vasta portata dei mercati dei servizi nei paesi in via di sviluppo. Purtroppo, ciò è assolutamente in linea con l’attuale politica commerciale dell’UE. L’onorevole Kamall, ad esempio, desidera che ciò che al momento nei paesi in via di sviluppo viene eseguito da imprese locali o dal settore pubblico entri in concorrenza con le imprese multinazionali europee.

Si tratta di una politica che è già stata provata in Europa. Il mio paese, la Svezia, è stato uno dei primi paesi a deregolamentare i suoi mercati dei servizi energetici, di energia elettrica, ferroviari e postali. Vediamo oggi i risultati: prezzi più elevati, manutenzione maggiormente scarsa e spesso anche un servizio più scarso. Pochi monopoli ora possono trarre profitti senza precedenti da ciò che in precedenza era di proprietà comune.

E’ questo il modello di sviluppo che dobbiamo vendere al mondo in via di sviluppo? No! Fortunatamente, ci sono paesi che fanno le cose in modo diverso! La Norvegia, che è indipendente dall’UE, ha ritirato tutte le richieste che rientrano nel GATS al fine di liberalizzare i settori dei servizi dei paesi poveri. In generale, la Norvegia ha alzato la voce contro la politica del laissez-faire, che l’UE persegue in seno all’OMC. Il che fa sperare. L’UE deve mettere prima i bisogni dei paesi poveri, invece di richiedere deregolamentazione e privatizzazione.

 
  
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  Daniel Varela Suanzes-Carpegna (PPE-DE).(ES) Signor Presidente, desidero congratularmi con il mio