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Procedura : 2006/0135(CNS)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A6-0361/2008

Discussioni :

PV 20/10/2008 - 14
CRE 20/10/2008 - 14

Votazioni :

PV 21/10/2008 - 8.26
CRE 21/10/2008 - 8.26
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2008)0502

Resoconto integrale delle discussioni
Lunedì 20 ottobre 2008 - Strasburgo Edizione GU

14. Legge applicabile in materia matrimoniale - Modifica del regolamento sulla competenza giurisdizionale e che introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale (discussione)
Video degli interventi
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

– la relazione (A6-0361/2008), presentata dall’onorevole Gebhardt, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, sulla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2201/2003 sulla competenza giurisdizionale e che introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale [COM(2006)0399 – C6-0305/2006 – 2006/0135(CNS)] e

– l’interrogazione orale (B6-0477/2008), presentata dagli onorevoli Gebhardt e Deprez, a nome della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, alla Commissione sul regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2201/2003 sulla competenza giurisdizionale e che introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale (O-0106/2008).

 
  
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  Evelyne Gebhardt, relatore.(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, oggi discutiamo di una tematica che è della massima importanza per i cittadini. La nostra Europa è un luogo gradevole dove le persone godono di una crescente mobilità. E’ un luogo dove un numero sempre maggiore di matrimoni coinvolgono cittadini di paesi diversi oppure le coppie si trasferiscono in un paese diverso, e questo è ovviamente positivo e rappresenta una delle conquiste dell’Unione europea. Purtroppo, però, c’è anche l’altro lato della medaglia, cioè che questi matrimoni spesso si concludono con una separazione e, poi, con il necessario divorzio.

La normativa attuale è talmente inadeguata sotto alcuni aspetti che per una coppia può risultare impossibile trovare un giudice o una legge competenti per il loro divorzio. Questa è, naturalmente, una situazione molto spiacevole per i cittadini, ed è pertanto nostro compito trovare una soluzione e una risposta, trattandosi di una questione che riguarda la vita di una persona, e la vita di una persona è della massima importanza.

Mi fa dunque piacere che la Commissione europea abbia affrontato questa problematica. Vorrei precisare subito che non vi potrà essere alcuna armonizzazione delle norme in materia perché ciò non è consentito. Il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea stabiliscono, infatti, con grande chiarezza che la normativa che disciplina questa materia è di competenza degli Stati membri.

Nondimeno dobbiamo garantire trasparenza e la possibilità che i cittadini possano ricorrere a tali norme. A ben guardare, la legislazione varia molto da un paese all’altro: a Malta, per esempio, il divorzio non è contemplato dalla legge, mentre in Svezia è possibile averlo nel giro di sei mesi; nei Paesi Bassi è ammesso il matrimonio tra omosessuali, in Polonia invece una cosa del genere sarebbe inconcepibile. Queste sono tutte questioni che dobbiamo sollevare e risolvere.

Come Parlamento europeo, in questo campo abbiamo fatto un buon lavoro e collaborato costruttivamente con la Commissione europea e anche con il Consiglio. La figura chiave è, in tale contesto, il Consiglio: spetta a lui decidere all’unanimità cosa succederà in questo ambito in futuro. Purtroppo, è proprio lì che c’è un problema adesso, ma ne parlerò dopo. La risposta propostaci dalla Commissione europea è molto positiva. In primo luogo, mira ad ampliare la gamma delle legislazioni che una coppia può scegliere di applicare al proprio caso di divorzio, purché vi sia accordo tra le parti. E’ però del tutto evidente che tale regola potrà essere effettivamente applicabile soltanto se avrà un collegamento reale con la vita, il luogo di residenza, il luogo di matrimonio o altri aspetti della vita della coppia.

Al riguardo sorge anche l’interrogativo di cosa succede se una coppia o uno solo dei partner vuole il divorzio e non c’è accordo sulla legge da applicare. In casi del genere, noi riteniamo che non vi possa essere una libertà di scelta così ampia, ma dobbiamo invece stabilire una norma fissa. Non possiamo accettare il forum shopping, non possiamo tollerare una situazione in cui il coniuge più forte sceglie la legge che gli è più favorevole mentre l’altro coniuge viene svantaggiato. Una simile situazione è inaccettabile. Per questo motivo abbiamo previsto due soluzioni diverse.

E’ evidente che in entrambi i casi va applicato un principio particolarmente importante: occorre garantire che ambedue i coniugi conoscano molto bene le conseguenze, sia sociali che giuridiche, della scelta di applicare una determinata legislazione. Tali conseguenze sono, per esempio, la custodia dei figli, l’assegno di mantenimento e altre questioni correlate. I coniugi devono essere consapevoli di tali implicazioni prima di decidere. Noi chiediamo che i giudici accertino che le parti siano effettivamente informate delle conseguenze della loro scelta.

E’ importante anche impedire l’applicazione di una legislazione in contrasto con i principi dell’Unione europea, ad esempio la legge islamica, il diritto cinese o altre norme. Anche su questo punto abbiamo trovato una formulazione chiara – soprattutto negli emendamenti nn. 25 e 30, che ho cercato poi di rafforzare con il mio emendamento n. 36 – la quale prevede che la legislazione scelta deve essere coerente con i principi fondamentali dell’Unione europea, perché altrimenti non può essere applicata. Per noi, questo è del tutto ovvio.

Il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei ha presentato una serie di emendamenti che, a mio giudizio, sono totalmente inaccettabili perché non solo pongono un limite assoluto a ciò che abbiamo già, ma anche violano il diritto internazionale vigente, ad esempio le norme della convenzione dell’Aia. Noi possiamo accettare una cosa del genere. Dobbiamo proseguire il dialogo e mi auguro che riusciremo a trovare una soluzione a questo problema entro domani. In ogni caso, sono molto grata all’onorevole Demetriou per aver collaborato con me in maniera molto costruttiva.

Il Consiglio deve risolvere un grave problema: deve prendere una decisione all’unanimità, ma attualmente uno Stato membro impedisce di fatto di arrivare a tale unanimità. Per questo motivo la nostra commissione ha presentato l’interrogazione orale al Consiglio e alla Commissione europea. Trovo alquanto deplorevole che il Consiglio non sia qui presente per rispondere alla nostra interrogazione. Il suo rappresentante se n’è appena andato. E’ cruciale che sappiamo cosa dobbiamo fare adesso, nell’interesse nostro come nell’interesse dei cittadini e del futuro dell’Unione europea.

La prima domanda che vogliamo rivolgere alla Commissione europea – e noto con piacere che lei è qui, signor Commissario – è la seguente: intendete ritirare la vostra proposta? La seconda è: intendete presentare al Consiglio una proposta per avviare una procedura di cooperazione rafforzata ai sensi dell’articolo 11 del trattato CE e in conformità degli articoli 43 e 45 del trattato? Avrei apprezzato che il Consiglio mi avesse fatto sapere se vuole veramente andare in tale direzione, perché è questa la questione di fondo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MORGANTINI
Vicepresidente

 
  
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  Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione.(FR) Signora Presidente, onorevoli deputati, cercherò anzi tutto di replicare alla relazione dell’onorevole Gebhardt e poi interverrò sull’interrogazione orale che, molto opportunamente, avete collegato alla relazione. Noto con piacere che è presente anche l’onorevole Deprez.

Le sono molto grato, onorevole Gebhardt, per la sua relazione, che è assolutamente notevole, e anche per l’ottimo livello di cooperazione con la Commissione su una materia così delicata e sensibile.

In effetti, la proposta Roma III non solo sta molto a cuore alla Commissione, ma è accolta con grande interesse anche da parte del Parlamento europeo. Credo che essa avrà un importante ruolo di stimolo della libertà di circolazione delle persone all’interno dell’Unione europea.

Signora Presidente, vorrei citare alcuni dei dati a nostra disposizione. Attualmente, nell’Unione europea si contraggono 2 200 000 matrimoni l’anno, 350 000 dei quali sono matrimoni internazionali – una cifra che è già molto elevata e che è chiaramente destinata ad aumentare. La proposta in discussione interessa all’incirca 170 000 divorzi l’anno, ossia circa il 19 per cento del totale annuo dei divorzi nell’Unione europea, pari a 875 000. Un quinto di tutti i divorzi: una quota non indifferente!

Ecco perché la Commissione condivide ampiamente la sua posizione, onorevole Gebhardt, sull’importanza della proposta Roma III, la quale fornisce maggiore prevedibilità e maggiore certezza del diritto alle coppie interessate. Come lei ha rilevato, in assenza di un quadro generale, succede che le coppie vadano a fare forum shopping, oppure che il coniuge più forte imponga la propria volontà.

La Commissione è dunque ampiamente favorevole alla proposta Roma III iniziale, pur con alcune riserve. La Commissione appoggia gli emendamenti del Parlamento volti a garantire che i coniugi possano fare una scelta informata e consapevole. La Commissione concorda pertanto con il Parlamento sulla necessità di inasprire le condizioni formali per la conclusione di contratti matrimoniali e di proteggere il coniuge più debole. Tuttavia bisogna tener conto anche delle differenze tra i regimi giuridici vigenti in proposito negli Stati membri: come da lei correttamente sottolineato, questa materia non è oggetto di armonizzazione.

Analogamente, la Commissione accoglie con favore le proposte del Parlamento tese a migliorare la conoscenza da parte dell’opinione pubblica delle leggi nazionali ed europee che disciplinano i contratti di matrimonio e divorzio. C’è però un punto su cui come Commissione non siamo d’accordo: non reputiamo necessario inserire un nuovo criterio per la competenza fondato sul luogo di celebrazione del matrimonio, perché il legame tra il posto in cui viene stipulato il matrimonio e la situazione della coppia al momento della separazione può essere molto tenue.

Nondimeno la Commissione accoglie l’emendamento del Parlamento che consente ai coniugi di scegliere il tribunale del luogo di celebrazione del matrimonio come ultima opzione qualora si dimostri impossibile ottenere il divorzio da un tribunale del luogo abituale di residenza. Ma riteniamo che questo sia più che altro un caso eccezionale.

La Commissione preferirebbe anche lasciare alla Corte di giustizia il compito di interpretare l’espressione “residenza abituale”. Essa compare già in alcuni testi e non è stata ancora definita formalmente; tuttavia non risulta che i giudici nazionali abbiano avuto grosse difficoltà nell’applicarla. Riteniamo che, al fine di rispettare la diversità dei regimi giuridici dei singoli Stati membri, possiamo rivolgerci con fiducia alla Corte di giustizia.

Inoltre, non riteniamo necessario limitare l’applicazione della proposta Roma III esclusivamente al diritto degli Stati membri. Questo è un punto importante perché i paesi membri vogliono continuare ad applicare le norme sul divorzio di paesi terzi che condividono i nostri valori democratici. Se, per esempio, una cittadina tedesca o francese sposa un cittadino svizzero, appare ragionevole che sia possibile applicare a quel matrimonio o a quel divorzio anche le norme che abbiamo stabilito per l’Unione.

Non dimenticate, però, che la Commissione concorda con il Parlamento sulla necessità che Roma III comprenda, ovviamente, una clausola di non discriminazione che consenta a qualsiasi giudice europeo di escludere l’applicazione di norme straniere incompatibili con il principio della parità tra i coniugi. E’ evidente che questa clausola ci permetterà di continuare ad applicare la nostra normativa, per esempio, ai matrimoni tra un cittadino svizzero e uno comunitario o tra un cittadino norvegese e uno comunitario.

Riprendo adesso la questione di come fare perché la proposta Roma III abbia successo. In proposito, ringrazio nuovamente gli onorevoli Gebhardt e Deprez per la loro interrogazione orale, che mi porta ad affrontare il tema dei progressi compiuti dalla proposta di regolamento Roma III. E’ chiaro che condivido la vostra deplorazione per il blocco in seno al Consiglio sui negoziati concernenti questa proposta. Lo scorso luglio i ministri della Giustizia hanno discusso della possibilità di rafforzare la cooperazione e, alla fine di luglio, nove Stati membri, cioè oltre un terzo dei paesi membri interessati dall’adozione del regolamento Roma III, hanno presentato alla Commissione una domanda di cooperazione rafforzata. E’ quindi palese che la Commissione deve valutare la richiesta di cooperazione rafforzata; ma comprenderete che, se vogliamo portare la questione a buon fine, dovremo valutare con attenzione l’intero contesto.

Vorrei ora rispondere alle tre domande poste alla Commissione. Prima di tutto, vi posso dire che non abbiamo l’intenzione di ritirare la nostra proposta iniziale; potremo tuttavia farlo, per emendarla, nel caso in cui decidiamo di sottoporre al Consiglio una proposta di cooperazione rafforzata nel quadro di Roma III, nell’interesse della trasparenza del diritto. Tale ipotesi, però, potrebbe verificarsi soltanto se avremo effettivamente la possibilità di avviare una cooperazione rafforzata. In ogni caso, il ritiro della proposta iniziale non è all’ordine del giorno.

Desidero cogliere questa occasione per ricapitolare brevemente la procedura prevista dal meccanismo di cooperazione rafforzata. Bisogna prima di tutto che almeno otto Stati membri presentino domanda alla Commissione, come è avvenuto in questo caso. Se la domanda soddisfa gli altri criteri previsti dal trattato sull’Unione europea – se è conforme alle norme sul mercato interno – la Commissione la può sottoporre al Consiglio. Qualora decida di non farlo, deve motivare tale sua decisione. La cooperazione rafforzata deve poi essere autorizzata dal Consiglio previa consultazione o con l’assenso del Parlamento, a seconda dei casi.

La domanda di cooperazione rafforzata solleva, ovviamente, determinate questioni sia sotto il profilo giuridico che sotto quello politico. Dobbiamo tener conto della necessità di proseguire la nostra azione comune nel campo del diritto di famiglia in modo quanto più vicino possibile ai cittadini, e di conciliare questa necessità con il rischio di frammentazione dello spazio europeo di giustizia che potrebbe derivare da una pluralità di accordi di cooperazione rafforzata. Prima di fare una dichiarazione, vorrei naturalmente ascoltare i pareri degli onorevoli deputati e voglio sicuramente che gli Stati membri chiariscano la loro posizione.

In ogni caso, posso garantire al Parlamento europeo che è mia intenzione – non solo mia intenzione ma anche mio desiderio – compiere progressi nel campo della cooperazione in materia civile in Europa. Il diritto di famiglia non deve essere il parente povero del diritto civile – cosa che, peraltro, sarebbe alquanto paradossale, considerato che le tematiche di cui si occupa sono quelle più vicine alla vita quotidiana delle persone. Per fortuna abbiamo compiuto passi avanti per quanto riguarda il riconoscimento delle sentenze di divorzio, la responsabilità genitoriale e i diritti di incontrare i figli.

In merito vorrei aggiungere che, ora che abbiamo i testi, nella mia qualità di commissario dovrò garantire, con il vostro aiuto, il rispetto delle norme. Penso in particolare ai diritti di custodia e di incontrare i figli, riguardo ai quali in Europa c’è attualmente una situazione non del tutto soddisfacente.

In sintesi, ce la faremo a presentare una proposta legislativa sul diritto applicabile alle materie di cui stiamo parlando. Vorrei aggiungere anche che, nel contempo, stiamo preparando un testo di legge sui regimi matrimoniali che potrebbe essere adottato all’inizio del 2010.

Signora Presidente, questa è la situazione attuale in riferimento alle questioni in discussione. Non posso, ovviamente, anticipare il risultato della consultazione che avvieremo molto presto con gli Stati membri. Posso tuttavia dirvi che è volontà della Commissione fare progressi reali; allo stesso tempo vi posso garantire ancora una volta che siamo in grado di portare la maggioranza degli Stati membri dalla nostra parte. Vi ho così illustrato sinteticamente la mia posizione, ma anch’io, come lei e il Parlamento, mi auguro che la situazione evolva. Ascolterò comunque con attenzione i vostri interventi.

 
  
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  Carlo Casini, relatore per parere della commissione giuridica. Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, la proposta di regolamento in questione è stata oggetto di un esame approfondito nella commissione giuridica della quale io ho l'onore di essere il relatore.

I suggerimenti del parere approvato all'unanimità in quella sede hanno trovato però solo in parte accoglimento in seno alla commissione libertà pubbliche. Devo, comunque, dire che abbiamo cercato insieme di razionalizzare al massimo la proposta iniziale del Consiglio, inserendo elementi di certezza giuridica.

Gli emendamenti di compromesso approvati dalle due commissioni, grazie anche al lavoro della collega onorevole Gebhardt, che ringrazio, sono stati apprezzati e hanno permesso di rafforzare i principi a cui noi ci siamo riferiti nell'intento di avviare questo regolamento. A questo proposito le autorità di uno Stato che non prevede il divorzio e che non riconosca quel tipo di matrimonio non saranno obbligati a pronunciare lo scioglimento.

C'è però rimasto un punto di dissenso – che è quello che è già emerso dall'intervento della signora Gebhardt – e in sostanza si tratta di questo: ammessa la scelta della legge, che è cosa nuovissima nel mondo del diritto, perché normalmente la legge non si può scegliere, si può scegliere il giudice, ma non la legge, e quindi è un fatto estremamente nuovo. Ammesso questo, a quale legge vogliamo fare riferimento? Alla legge di uno dei 27 Stati dell'Unione europea o alla legge di qualsiasi paese del mondo? È vero che c'è un limite. Il limite è quello già stabilito dell'ordine pubblico e della non applicabilità in uno Stato di una legge che prevede un matrimonio non considerato esistente nello Stato.

Io credo che se veramente noi vogliamo la certezza del diritto, la mia obiezione è tecnica, se vogliamo veramente lo shopping riguardo alla scelta del diritto applicabile, se vogliamo veramente rispettare il codice più debole – perché non dimentichiamoci che occorre il consenso per scegliere la legge e che anche il consenso è sottoponibile a forti pressioni – se veramente vogliamo ricostruire uno spazio giuridico europeo allora, secondo me, è bene per tutti questi emendamenti, è bene che si limitino le scelte della legge soltanto alle leggi dei 27 Stati dell'Unione europea.

In questo senso abbiamo presentato vari emendamenti, ma in sostanza si tratta di uno solo, e siccome si tratta di un emendamento tecnico che non cambia il nostro giudizio complessivo sulla proposta, noi pensiamo di appellarci alla razionalità di tutti i colleghi affinché questo emendamento sia approvato.

 
  
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  Panayiotis Demetriou, a nome del gruppo PPE-DE. – (EL) Signora Presidente, innanzi tutto ringrazio la relatrice per la lunga collaborazione, che ha portato alla relazione di cui stiamo discutendo oggi. Ricordo che ci sono state molte riunioni nelle quali abbiamo esaminato tutto il materiale a disposizione.

Il diritto di famiglia è una materia seria e l’aspetto specifico di cui ci stiamo occupando in riferimento al divorzio, cioè la giurisdizione e la scelta della legislazione, è ed è sempre stato uno degli aspetti più seri del diritto di famiglia.

Vorrei osservare che la nostra politica è mirata a sostenere la famiglia come istituzione, non a incoraggiare lo scioglimento dei matrimoni. Ma il divorzio è diventato ormai un fenomeno sociale e dobbiamo affrontarlo nella realtà. Non vogliamo facilitarlo; però, quando un matrimonio arriva al capolinea, dobbiamo essere in grado di indicare vie legittime per porvi fine, in maniera tale che nessuna delle parti debba sopportare da sola tutto il dolore e la colpa.

Personalmente non credo che esista un modo facile per scegliere il diritto applicabile al divorzio; potremmo tuttavia essere più chiari sotto il profilo della politica pubblica e dei diritti umani e conferire ai tribunali il potere discrezionale di rifiutare l’applicazione di norme non conformi alle consuetudini, ai diritti umani e alla politica pubblica dell’Europa.

Per quanto attiene alla cooperazione rafforzata, sono del parere che la Commissione – e mi congratulo con lei, signor Commissario, per la posizione che ha assunto oggi – dovrebbe portare questa questione ancora più avanti, in modo da arrivare, se possibile, a una situazione in cui la cooperazione rafforzata è considerata accettabile.

 
  
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  Inger Segelström, a nome del gruppo PSE.(SV) Signora Presidente, prima di tutto ringrazio l’onorevole Gebhardt per il costruttivo lavoro che ha compiuto ed esprimo il mio profondo dispiacere per il fatto che non è stato possibile trovare una posizione che riflettesse quella mia e quella della Svezia. Pertanto, non ho potuto votare a favore della relazione né in commissione né in plenaria. In quanto socialdemocratica svedese, ritengo che questa proposta rappresenti un passo indietro sul piano della parità tra uomini e donne. In futuro, quindi, anche tali questioni dovrebbero essere risolte a livello nazionale.

Penso che sarebbe bastato prevedere che il divorzio può essere concesso soltanto quando tra le parti sussiste pieno accordo. Con questa proposta, diventa ora possibile imporre alla parte più debole, che è quasi sempre la donna, soluzioni scelte dall’uomo, o perché lui agisce per primo o perché esercita coercizioni. I tribunali possono così vedersi costretti ad applicare leggi che noi non approviamo – norme che comportano abusi e riflettono una visione antiquata e obsoleta della donna, del matrimonio e del divorzio. Secondo me, la rapidità con cui si arriva a una sentenza di divorzio è meno importante del principio di parità e della sicurezza della donna. Persisterò quindi nel mio impegno e continuerò a votare contro questa proposta finché non troveremo una soluzione diversa.

 
  
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  Sophia in 't Veld, a nome del gruppo ALDE. – (NL) Signora Presidente, prima di parlare del tema in discussione vorrei proporre che in futuro chiediamo a tutte le presidenze del Consiglio di portare qui in aula un manichino di cera o una bambola gonfiabile, dato che il Consiglio è spesso assente dalle discussioni di questo tipo e a me piacerebbe avere qualcuno a cui rivolgere. La prego di trasmettere formalmente tale mia richiesta alla presidenza. Mi par di capire che i colleghi la condividano.

Desidero in primo luogo complimentarmi e, anche a nome del mio gruppo, esprimere sostegno alla relatrice, che nel corso dell’ultimo anno ha fatto un ottimo lavoro. Rendiamo onore al merito.

Signora Presidente, l’Unione europea ovviamente non si occupa di etica coniugale; si occupa invece di garantire i diritti dei suoi cittadini in qualsiasi luogo e con chiunque essi decidano di sposarsi. In effetti, non è affar nostro con chi un cittadino comunitario decide di sposarsi; quello che dobbiamo fare, però, è tutelare i suoi diritti. Sotto questo profilo, è veramente un peccato che gli Stati membri non siano riusciti a trovare un accordo.

Vorrei dire ai colleghi svedesi, di cui ho molta stima, che mi pare che siano incorsi in un grandissimo equivoco. Credo che i diritti umani, e in particolare quelli delle donne, vengano rafforzati, non indeboliti, da questa proposta. Invero, mi fa piacere che nel XXI secolo le persone possano decidere autonomamente cosa fare nella propria vita – anche di divorziare.

Inoltre, al pari della relatrice vorrei dire che anche il mio gruppo voterà contro gli emendamenti presentati dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei, e che nemmeno io condivido le valutazioni dell’onorevole Casini.

E’ anche una questione di principio, perché ritengo che dovremmo decidere da soli ciò che vogliamo per i nostri cittadini, senza temere che la legge islamica abbia il sopravvento. La proposta in esame contiene sufficienti garanzie, come pure l’emendamento integrativo presentato dal gruppo socialista al Parlamento europeo, che sosterremo e che è stato oggetto di discussioni precedenti.

Vorrei dire inoltre, in replica alle osservazioni dell’onorevole Casini, che è veramente molto spiacevole constatare come le stesse argomentazioni usate per escludere l’applicabilità di determinati regimi giuridici – ad esempio, la legge islamica – siano utilizzate, o vi si faccia riferimento, nell’Unione europea anche per non riconoscere pienamente matrimoni legali contratti all’interno dell’Unione stessa, semplicemente a causa dell’orientamento sessuale dei coniugi. A mio parere, questa è un’assoluta anomalia.

Ribadisco che secondo me è veramente un peccato che gli Stati membri non siano riusciti a trovare un accordo.

Se ho ben compreso, la Commissione fa affidamento, per il momento, su una soluzione europea. Me ne compiaccio vivamente. Mi rendo conto che si tratta di una scelta estremamente complicata: se questo problema non è stato risolto a dispetto della spinta fortissima da parte del presidente Sarkozy, deve essere proprio difficile darvi soluzione.

In conclusione posso soltanto esprimere l’auspicio che, se si riuscirà, nonostante tutto, a realizzare una cooperazione rafforzata, tutti i 26 Stati membri che hanno trovato l’accordo, compreso il mio, agiscano di conseguenza.

 
  
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  Kathalijne Maria Buitenweg, a nome del gruppo Verts/ALE. (NL) Signora Presidente, secondo uno studio della Commissione pubblicato questa settimana, i pendolari di lungo raggio soffrono spesso di emicranie, carenza di sonno e scarsità di relazioni umane. Ne consegue che in tutti questi contesti internazionali, compreso il nostro, c’è probabilmente un alto tasso di divorzi. Comunque sia, le cifre citate dal commissario Barrot ancora un attimo fa fanno pensare che le relazioni personali internazionali siano molto più soggette di quelle nazionali a concludersi con un divorzio.

Ma la formalizzazione di questi divorzi è molto più complicata, mentre il loro impatto è fortissimo perché uno dei coniugi è invariabilmente residente in un paese straniero dove non può contare su una rete di sicurezza sociale o di cui non conosce abbastanza bene la situazione, e pertanto diventa difficile trovare un accordo equo.

Per tale motivo esprimo il mio apprezzamento per il lavoro della relatrice, l’onorevole Gebhardt; credo che sia stata molto coscienziosa e abbia garantito che fossero rafforzati in particolare i diritti delle persone più deboli o meno informate e che ciascun coniuge sappia molto bene quali sono i suoi diritti e ciò che è meglio per lui o per lei.

Al riguardo, reputo importante che il sito web contenga non soltanto un prospetto delle spese e dei modi per divorziare rapidamente, ma anche, per esempio, indicazioni sulle possibili opzioni per i genitori. Personalmente ritengo che i diritti dei bambini debbano essere sempre salvaguardati, ma che questo dipenda dai genitori. Devono essere i genitori, non il governo, a decidere cosa è bene per i figli, cos’è nel loro interesse; in tale contesto, dovrebbe essere possibile trovare una soluzione praticabile che preveda preferibilmente l’affidamento congiunto dei figli a entrambi i genitori. In ogni caso, si dovrebbe sempre trovare un accordo. Non tutti gli oneri devono ricadere sulle spalle della donna, e pertanto si dovrebbe arrivare a un accordo che stabilisca come entrambi i genitori affrontano tale questione.

Anch’io trovo sconcertante l’osservazione della collega svedese. Se una donna vuole liberarsi di un marito, è sicuramente terribile se lui non è d’accordo.

Concludo dicendo alla relatrice che nei Paesi Bassi non esiste il matrimonio omosessuale. Da noi c’è un solo tipo di matrimonio, indipendentemente dal sesso dei coniugi. C’è un solo matrimonio, e quindi è l’Unione europea, non i Paesi Bassi, a fare una distinzione nei matrimoni contratti secondo le norme olandesi

 
  
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  Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL. (SV) Signora Presidente, la proposta mira a garantire che le persone che divorziano possano effettivamente esercitare i propri diritti e ottenere le informazioni di cui hanno bisogno. Ma il diritto all’informazione e alla conoscenza non dipende dalle norme comuni, le quali, di per sé, non aumentano la conoscenza né migliorano le informazioni di cui dispongono le persone.

Secondo la legislazione del mio paese, la Svezia, per divorziare è sufficiente inviare una notifica di divorzio, a meno che non si abbiano figli piccoli, mentre in altri paesi dell’Unione europea il divorzio è assolutamente vietato. Se c’è qualcosa che dimostra la necessità di legiferare in questo campo è proprio l’esistenza di una situazione del genere. Il trattato di Lisbona assegna sicuramente taluni aspetti del diritto civile e del diritto di famiglia a un livello di competenza sovrannazionale, però oggi come oggi il trattato di Lisbona non c’è ancora. Mi chiedo perché la Commissione stia presentando proposte in un ambito che finora è stato di competenza nazionale. Il mio gruppo non voterà a favore della proposta. Penso inoltre che la collega del gruppo socialista al Parlamento europeo, l’onorevole Segelström, abbia citato un caso estremamente significativo.

 
  
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  Johannes Blokland, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signora Presidente, il diritto privato internazionale è incentrato su due domande. La prima è: qual è il tribunale competente? La seconda è: quale diritto deve essere applicato dal tribunale?

Secondo me è comprensibile che la prima domanda sia esaminata a livello europeo, perché in tal modo si garantisce che ciascun cittadino europeo possa sottoporre il proprio caso a un tribunale.

La seconda domanda è pertinente a un’area che è abitualmente affrontata – e così deve essere – a livello di singolo Stato membro. Le diverse legislazioni nazionali vigenti sono improntate a molti principi di validità nazionale, i quali vanno rispettati.

Ma la proposta della Commissione mira anche ad armonizzare queste norme tra loro contrastanti. La relazione dell’onorevole Gebhardt riprende gran parte dei contenuti della proposta della Commissione e non cerca di depennare il capitolo II A. Per questo motivo, voterò contro la relazione e contro la proposta. Chiedo pertanto al Consiglio che respinga anch’esso la proposta della Commissione.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (PSE) . – (RO) Desidero prima di tutto ringraziare la relatrice, l’onorevole Gebhardt, per l’eccellente lavoro che ha compiuto. Per quanto riguarda la proposta di regolamento, è gratificante vedere che viene creato un quadro giuridico chiaro e completo, comprendente sia le norme sulla giurisdizione, sul riconoscimento e sull’esecuzione di sentenze in campo matrimoniale sia le norme sul diritto applicabile, lasciando alle parti un certo grado di autonomia.

La proposta della Commissione offre alle parti l’opportunità di scegliere di comune accordo la giurisdizione competente e il diritto applicabile. Il fatto che i coniugi possano esercitare questo diritto durante la procedura di divorzio eleva ulteriormente il grado di autonomia delle parti, mettendole in condizione di scegliere liberamente, in conformità di determinati criteri opzionali. Dobbiamo garantire che la scelta fatta dalle parti sia informata, in altri termini che entrambi i coniugi siano stati debitamente messi a conoscenza delle implicazioni pratiche della loro scelta. In merito, è importante valutare quale sia il modo migliore per garantire un’esauriente informazione delle parti prima della firma dell’atto. Analogamente, deve essere assicurato l’accesso alle informazioni, a prescindere dalla situazione finanziaria di ciascun coniuge.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM). - (EN) Signora Presidente, al dottor Johnson fu chiesto una volta quale consiglio avrebbe dato a una giovane coppia intenzionata a sposarsi, e la sua risposta fu: “Non fatelo”. Inoltre, egli descrisse il suo secondo matrimonio come “il trionfo della speranza sull’esperienza”.

Questa relazione è destinata a suscitare reazioni simili a quelle del dottor Johnson. Quale consiglio daremmo a paesi intenzionati a lasciare che sia l’Unione europea a fissare le loro norme in materia di divorzio? La risposta è ovvia: non fatelo. In caso contrario, visti tutti i precedenti di legislazione comunitaria incompetente e dannosa, assisteremmo di certo al trionfo della speranza sull’esperienza, per non dir di peggio. Sorprende che questa sembri essere anche la conclusione cui è pervenuto il Consiglio. Il Consiglio è contrario alle proposte avanzate dalla Commissione e si ha l’impressione che, molto saggiamente, si stia allontanando dall’orlo del precipizio, dando ascolto al vecchio adagio “sposarsi in fretta, pentirsi con comodo”. Non sarà affatto piacevole quando la Commissione ci proporrà di armonizzare i matrimoni omosessuali e la legge islamica!

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Viviamo in un’epoca in cui i confini stanno scomparendo e i nostri cittadini possono muoversi e sposarsi liberamente. Eppure, finora siamo stati incapaci di semplificare la vita a coloro che hanno deciso di andare ciascuno per la propria strada. Un esempio dei problemi connessi con la mancanza in Europa di norme uniformi in materia di divorzio sono i matrimoni tra cittadini polacchi e tedeschi. Dal 1990 ne sono stati registrati all’incirca 100 000; molti di essi non hanno retto alla prova del tempo.

L’anno scorso sono venuti al Parlamento europeo molti polacchi che non possono più avere contatti con i propri figli a causa di sentenze delle autorità tedesche competenti per i minori. Accuse di rapimento e il divieto di parlare la lingua polacca sono soltanto due esempi dell’umiliante trattamento riservato a quei genitori e ai loro figli. In risposta alle violazioni dei diritti umani commesse dalle citate autorità, è stata costituita un’associazione polacca di genitori contrari alla discriminazione dei minori in Germania. Se riusciremo a inserire nella legge sul divorzio i cambiamenti proposti, potremo aiutare molti dei nostri cittadini a concludere in termini civili un periodo molto particolare della loro vita. Inoltre, ed è questo l’aspetto più importante, non lasceremo che i figli siano separati da uno dei genitori.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE). (PT) Signora Presidente, Commissario Barrot, nella commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni ho avuto modo di seguire il lavoro che è stato compiuto per arrivare a questa relazione da parte dell’onorevole Gebhardt e anche dal mio collega di gruppo, l’onorevole Demetriou. L’onorevole Gebhardt ha fatto presente come l’accresciuta mobilità stia causando, oltre che un aumento del numero dei matrimoni, anche un aumento del numero dei divorzi. Le differenze tra le legislazioni nazionali causano incertezza del diritto e, soprattutto, una disparità di opportunità, dato che il coniuge più informato può adire il tribunale che applica la legge più favorevole ai suoi interessi. Sono quindi favorevole a questa iniziativa, che giudico estremamente importante perché stabilisce un quadro giuridico chiaro e completo in materia di giurisdizione, riconoscimento e applicazione delle sentenze di divorzio.

Devo dire che, a mio parere, qualsiasi cosa capace di attenuare un conflitto non necessario non solo garantisce maggiore giustizia al cittadino ma anche e soprattutto crea maggiore fiducia tra le parti in causa, oltre a creare quello spazio di libertà, sicurezza e giustizia che noi tutti auspichiamo.

 
  
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  Konrad Szymański (UEN).(PL) Per quanto ne so, nessuno dei trattati contiene disposizioni in base alle quali il diritto matrimoniale, cioè il diritto di famiglia, debba essere deciso a livello comunitario. Credo pertanto che la proposta della Commissione sia un classico esempio di una certa iperattività, che è perfettamente inutile e servirà soltanto a ingenerare confusione sulla natura delle reali competenze dell’Unione europea.

Penso che la proposta costituisca una deliberata invasione di campo, propedeutica a ulteriori interventi sul diritto matrimoniale e sulla sua armonizzazione. Tutto questo attivismo non è assolutamente necessario, dato che il diritto privato internazionale vigente è in grado di gestire molto bene i problemi matrimoniali e, di conseguenza, anche i casi di divorzio a livello internazionale.

 
  
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  Ljudmila Novak (PPE-DE). - (SL) Vorrei poter dire che il numero dei divorzi in Europa sta scendendo. Purtroppo non è così, motivo per cui dobbiamo affrontare il problema di come migliorare la posizione di quelli che costituiscono l’anello più vulnerabile della catena: i figli.

Disgraziatamente, i figli sono le vittime principali, soprattutto nei paesi in cui i procedimenti giudiziari sono più lenti. Il mio paese, la Slovenia, è un esempio di un paese nel quale i bambini soffrono molto prima che i tribunali decidano con quale genitore andranno a vivere. Questa situazione è anche la causa di gravi tragedie familiari e ha pesanti conseguenze psicologiche su molti bambini.

Conosco direttamente alcuni di questi casi e spero che la direttiva comune potrà contribuire a migliorare la situazione nei singoli Stati membri.

 
  
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  Dumitru Oprea (PPE-DE). - (RO) Nei paesi ex comunisti, il matrimonio era un modo cui le ragazze ricorrevano per sfuggire alla condizione di oppressione in cui si trovavano. Talvolta si sposavano per amore, nella maggior parte dei casi, invece, per soldi. Quella realtà, però, ha portato a casi di rapimento e di torture fisiche e psicologiche, nonché alla distruzione di esseri umani. Per effetto di tutta questa situazione, i bambini nati da quei matrimoni soffrono più di tutti. L’ignoranza della legge è usata come pretesto, ma è del tutto sbagliato. In casi come questi, dobbiamo considerare la possibilità di raccomandare che, una volta che il matrimonio è finito, prevalga un clima di amore, comprensione e amicizia e che i termini del divorzio siano stabiliti con chiarezza, nell’interesse dei figli nati dal matrimonio.

 
  
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  Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione. (FR) Signora Presidente, ringrazio tutti gli oratori. Posso confermare all’onorevole Segelström che ho avviato colloqui con le autorità svedesi, ma abbiamo tuttora grande difficoltà a comprendere la posizione del suo paese. Come ha detto l’onorevole Gebhardt, la proposta di regolamento Roma III mira effettivamente a tutelare il coniuge più debole in caso di risoluzione del contratto di matrimonio. E’ proprio questo lo spirito che lo anima, e in tal senso è vero che non siamo riusciti a capire che, nel caso di una coppia di cui uno dei coniugi è cittadino svedese, occorre tener conto anche del fatto che, in assenza di norme, prevale la legge del più forte, e quindi è forse bene proseguire il dialogo. Da qui nascono le nostre difficoltà di comprensione. Ad ogni modo, ancora una volta prendiamo atto della posizione sua e di quella della sua collega svedese.

Incidentalmente, desidero ovviare ad alcuni malintesi. Taluni hanno detto che queste materie non sono di nostra competenza bensì di esclusiva competenza nazionale. Vedete, ci troviamo di fronte a un paradosso. Uno Stato membro non può esercitare la sua competenza nazionale su questioni concernenti due persone qualora solo una di esse sia cittadina di quello Stato membro. E’ logico che l’Unione europea debba sicuramente cercare di organizzare un po’ meglio tali situazioni, tanto più che, a differenza di quanto qui sostenuto, il diritto privato internazionale non ha alcuna soluzione reale a questo tipo di problemi, e anche che abbiamo uno spazio in cui c’è libertà di circolazione – uno spazio che naturalmente è destinato a comportare sempre più problemi. Se questa riflessione è motivo di preoccupazione per la Commissione, così come lo è per il Parlamento, affrontare tale problema significa per noi non esprimere una forma di delusione, bensì dare risposta alle aspettative di un numero crescente di coppie che vogliono evitare di ritrovarsi in una situazione altamente conflittuale in caso di disaccordi o di rottura del matrimonio. E’ qui che sta il problema! Per amor di verità, non posso permettere che si dica che il Consiglio ha detto di no. Non ha detto di no, ha espresso pareri diversi! Ma, in tutto questo, vi sono nove Stati membri che chiedono la cooperazione rafforzata. Ecco cosa volevo dirvi in conclusione. Vi ricordo che la proposta Roma III contiene una clausola antidiscriminazione che consente di non applicare leggi straniere che non garantirebbero parità di trattamento tra i coniugi. Un tanto è chiaro. Qui non stiamo parlando della legge islamica, stiamo parlando del principio di parità di trattamento tra uomini e donne, e il testo rafforza l’integrazione delle donne che vivono in questa nostra Europa comune dando la priorità alla legge del paese di residenza abituale. Quelle donne potranno così chiedere a un giudice di applicare al loro caso la legge europea qualora essa sia più conforme alla parità dei diritti. Credo che sia questo l’aspetto da tenere a mente.

Detto ciò, la discussione è stata interessante e sono grato a tutti gli oratori. Desidero inoltre ringraziare gli onorevoli Gebhardt e Deprez per aver deliberatamente colto questa occasione per accertare se, alla vigilia di una nuova tornata di consultazioni con gli Stati membri, ci stiamo impegnando in un esercizio di cooperazione rafforzata. Dato che la discussione si sta avviando alla conclusione, ringrazio vivamente il Parlamento europeo, perché credo che la grande maggioranza dei deputati vogliano effettivamente che proseguiamo su questa strada, compiendo tutti gli sforzi necessari per ottenere un consenso quanto più ampio possibile. Ringrazio il Parlamento.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. SIWIEC
Vicepresidente

 
  
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  Evelyne Gebhardt, relatore.(DE) Signor Presidente, ringrazio tutti gli oratori. Voglio ribadire ancora una volta che abbiamo ulteriormente rafforzato le disposizioni suggerite dalla Commissione e già previste nella proposta Roma III, laddove si stabilisce molto chiaramente – come, per esempio, nell’emendamento n. 25 – che “se la legge designata […] non riconosce la separazione o il divorzio o lo fa in modo discriminatorio per uno dei coniugi, si applica la legge del foro”.

Ciò significa che, nei casi citati, in Svezia, per esempio, la giurisdizione è dello Stato svedese. Abbiamo previsto molto chiaramente che, in casi del genere, ci deve essere una risposta precisa. Invero, sarebbe impossibile mettere questo concetto nero su bianco con maggiore chiarezza, e proprio per tale motivo non capisco dove stia il problema. Dovremo tuttavia sforzarci di farlo, e sono grata al commissario Barrot per aver espresso le sue opinioni così nettamente e manifestato la volontà di discuterne ancora con i politici svedesi – perché personalmente non so cosa pensare.

A ben guardare, questo regolamento tende a migliorare ulteriormente tutte le disposizioni vigenti. Trovare una risposta positiva è molto importane per me come donna da sempre impegnata nel campo della politica per le donne, perché di solito sono le donne il coniuge più debole. Dobbiamo darci da fare affinché sia possibile definire una buona posizione.

Spero anche che, nello spirito di compromesso che abbiamo sempre cercato di realizzare, e in proposito sono molto grata all’onorevole Demetriou, riusciremo infine a convincere l’onorevole Casini del fatto che questo testo rappresenta una buona posizione e che ha una base solida anche nell’emendamento n. 38. Con questo emendamento precisiamo una volta di più – anche se il testo lo prevede già – che, ovviamente, negli Stati membri è possibile applicare esclusivamente le leggi che sono conformi ai principi dell’Unione europea e della Carta dei diritti fondamentali, sebbene tale affermazione sia, a nostro giudizio, lapalissiana. E’ esclusa l’applicazione di qualsiasi altra legge e nessun tribunale dell’Unione applicherà mai norme che non siano conformi a quei principi. Trovo che una cosa del genere sarebbe del tutto inconcepibile – e, ovviamente, lo abbiamo detto con chiarezza.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà giovedì.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE), per iscritto.(PL) L’accresciuta mobilità sociale ha determinato un maggior numero di matrimoni misti e anche di divorzi. Spesso sono sorte difficoltà quanto alla scelta del diritto applicabile qualora i coniugi siano originari di due Stati membri diversi oppure uno di essi sia cittadino di un paese terzo. Ecco perché l’armonizzazione delle norme sui matrimoni misti è così urgente e necessaria, dato che serve per evitare discriminazioni durante la procedura di divorzio.

La scelta della giurisdizione dovrebbe avvenire alla luce di informazioni complete, alle quali entrambi i coniugi abbiano potuto avere accesso, sugli aspetti più importanti del diritto nazionale e della legislazione comunitaria. I coniugi dovrebbero altresì essere informati delle procedure previste per il divorzio e la separazione. La possibilità di scegliere la giurisdizione e il diritto adeguati non dovrebbe violare i diritti e la parità di opportunità di ciascun coniuge. Di conseguenza, la scelta del diritto di un determinato paese deve essere una scelta tra il diritto dello Stato in cui è stato celebrato il matrimonio, il diritto dello Stato in cui i coniugi avevano la residenza abituale negli ultimi tre anni e il diritto del paese di provenienza.

Inoltre, nei casi in cui vi sia il rischio di discriminazione di uno dei coniugi, reputo opportuno applicare il cosiddetto principio “della legge del foro”, cioè il diritto vigente nello Stato in cui si trova il tribunale. Un esempio in tal senso potrebbero essere istanze di separazione o divorzio presentate nell’Unione europea da donne originarie di paesi terzi nei quali il divorzio non è riconosciuto. In situazioni del genere, il fatto di poter ottenere la separazione o il divorzio diventa il simbolo, per quella persona, della sua indipendenza in quanto essere umano, e dovrebbe prevalere sulle argomentazioni a favore dell’applicazione del diritto nazionale.

 
  
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  Gyula Hegyi (PSE), per iscritto. – (HU) L’opinione pubblica ungherese è agitata, di quando in quando, da casi di bambini figli di un genitore ungherese che vengono portati all’estero dall’altro genitore, di cittadinanza diversa. L’opinione pubblica parteggia in prima istanza con la madre cui sono stati tolti i figli, ma è dispiaciuta anche per il padre che ne viene privato qualora essi finiscano in ambienti estranei e inidonei. Nell’Unione europea vi è un numero crescente di matrimoni misti, ma le norme che disciplinano lo scioglimento del matrimonio e l’affidamento dei figli sono spesso confuse e ambigue. Finora la legislazione comunitaria si è limitata a fissare il quadro per le controversie, tra cui la questione della giurisdizione, ossia di quale tribunale sia competente a giudicare sui casi di divorzio o di affidamento dei figli. Non ha, invece, fornito soluzioni per quanto attiene al diritto applicabile in campo matrimoniale, cioè non ha stabilito di quale paese debbano essere le norme che i tribunali applicano nei procedimenti. Le grandi differenze esistenti tra le legislazioni dei singoli Stati membri hanno quindi originato incertezza del diritto, spesso costringendo le parti in causa ad avviare i procedimenti quanto più velocemente possibile in modo da poter applicare le norme più favorevoli. Il regolamento in corso di preparazione ha lo scopo di ovviare a tale situazione innanzi tutto favorendo un accordo tra le parti. L’ipotesi dell’accordo può essere praticabile in caso di divorzio consensuale, ma sapendo come stiano spesso le cose in realtà, temo che ben pochi contenziosi potranno essere risolti in questo modo. La soluzione giusta sarebbe quella di riuscire, a più lungo termine, a fissare una serie uniforme di regole europee per disciplinare la custodia dei bambini.

 
  
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  Antonio Masip Hidalgo (PSE), per iscritto.(ES) In questo caso siamo favorevoli al meccanismo di cooperazione rafforzata perché esso garantirà maggiore sicurezza e stabilità giuridica, evitando il forum shopping e portando avanti l’integrazione europea.

Inoltre, il nuovo sistema è utile perché prevede che il primo diritto applicabile debba essere quello del luogo di residenza abituale dei coniugi. Nel caso della Spagna, questo nuovo criterio si sostituisce a quello che prevede l’applicazione in primo luogo del diritto del paese di cui i coniugi sono entrambi cittadini. Considerato il numero di coppie di immigrati che vivono in Spagna, il criterio nuovo risulta essere più facile da applicare sia per i tribunali sia per i cittadini che vogliono giustizia.

 
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