Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signora Presidente, accolgo favorevolmente la proposta di creare un’alleanza globale sul cambiamento climatico tra l’Unione europea, i paesi meno sviluppati e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo. L’adeguamento al cambiamento climatico probabilmente richiede costi dell’ordine di 80 milioni di dollari americani perché fondamentale sarebbe fermare la deforestazione che colpisce le foreste pluviali tropicali. I 60 milioni di euro che abbiamo stanziato a tal fine, meno dell’1 per cento, rappresentano nondimeno un importo significativo per i paesi più minacciati, sempre che vengano utilizzati in maniera efficace. L’alleanza offre una possibilità, a condizione che funga da punto di riferimento e centro metodologico per una gestione preventiva del rischio rispetto alle calamità naturali che i paesi più poveri subiranno a causa del cambiamento climatico. Il principale punto debole è la mancanza di coordinamento delle numerose attività. L’alleanza non dovrebbe sostituire l’assistenza umanitaria, ma contribuire a ridurre al minimo l’entità delle catastrofi previste fornendo sostegno attraverso programmi innovativi, rafforzando le strutture amministrative a livello nazionale e locale, nonché educando gli abitanti degli Stati insulari minacciati.
Bogdan Pęk (UEN). – (PL) Signora Presidente, ho votato contro perché ritengo che l’intero concetto di limitazione drastica delle emissioni di biossido di carbonio proposto dalla Commissione, dal Parlamento europeo e dal Consiglio europeo sia fondamentalmente sbagliato e non abbia una base giuridica appropriata. Inoltre, se una siffatta politica fosse attuata in Polonia, il mio paese perderebbe più di quanto complessivamente ha sinora ricevuto sotto forma di pagamenti diretti, sovvenzioni e concessioni indirette e altro avrebbe ancora da pagare. Ciò significa che la politica sarebbe disastrosa per le economie di molti paesi in via di sviluppo. Non sarebbe un buon esempio per il resto del pianeta che dovrebbe attuare tale principio a livello globale sulla base dei risultati conseguiti in Europa. Se tuttavia la politica fosse soltanto attuata in Europa, rappresenterebbe uno spreco del tutto inutile di 500 miliardi di euro.
Victor Boştinaru, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signora Presidente, la relazione fa riferimento al futuro della politica di coesione. E’ stato difficile trovare risposte pragmatiche valide per tutti i 27 Stati membri e i loro diversi sistemi di governo e partenariato. Il relatore è riuscito a formulare proposte estremamente concrete. In merito al governo, vorrei sottolineare due elementi. Dobbiamo responsabilizzare le autorità regionali e locali con una migliore e più efficiente condivisione di responsabilità. E’ anche della massima importanza affrontare la mancanza di competenze e capacità amministrativa di gestire fondi e progetti a livello regionale e locale. Quanto al partenariato, la relazione giustamente insiste sulla centralità di processi inclusivi e totale appropriazione. Dobbiamo coinvolgere il maggior numero di interessati possibile in tutte le fasi di elaborazione e attuazione delle politiche e, per farlo, ci occorrono standard minimi obbligatori.
Sono estremamente soddisfatto del modo in cui il relatore ha gestito tutti i nostri contributi e le nostre preoccupazioni e mi complimento nuovamente con lui per l’eccellente lavoro.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Signora Presidente, provenendo da un contesto di governo locale, ritengo che il principio del partenariato sia un elemento fondamentale della politica di coesione dell’Unione, come lo crede il collega Beaupuy. Ho pertanto votato a favore della relazione.
Un partenariato riuscito richiede un certo investimento all’inizio del processo, sebbene nel prosieguo vi possano essere risparmi in termini di tempo, denaro ed efficacia. La creazione di un programma Erasmus per i rappresentanti eletti locali contribuirebbe allo scambio di approcci collaudati e verificati nel campo dell’amministrazione degli affari pubblici in un quadro comunitario.
Mi rivolgo alle istituzioni responsabili, specialmente l’Europa dei 12, che comprende il mio paese, la Slovacchia, affinché nel periodo di programmazione 2007-2013 il principio del partenariato sia applicato diligentemente e si colga l’opportunità storica di eliminare le disparità tra regioni. I politici locali conoscono la propria area molto bene e sono in grado di individuare le soluzioni più efficaci ai problemi delle loro zone urbane e rurali, per cui chiedo agli Stati membri di procedere verso il decentramento del potere per attuare la politica di coesione dell’Unione europea passando dal livello centrale a quello regionale.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signora Presidente, come il resto del mondo dell’istruzione superiore, ho accolto con favore la seconda fase del programma Erasmus Mundus. Sono certo che nessuno ha bisogno di essere persuaso del fatto che l’integrazione di giovani intelligenti provenienti da diverse parti del mondo è fondamentale per costruire e mantenere la pace, non soltanto nel nostro continente, ma in tutto il mondo. Gli orizzonti degli studenti sono più ampi e imparano a guardare le cose da nuove prospettive. Tutto ciò accade grazie a contatti diretti, corsi in lingue straniere, familiarizzazione con diverse culture. Gli studenti diventano più aperti e tolleranti. E’ per questi motivi che sono fortemente a favore del nuovo concetto racchiuso nel documento sul programma Erasmus Mundus.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signora Presidente, ho votato contro la relazione De Sarnez perché per me è inaccettabile che il programma debba essere prorogato senza apportare sostanziali modifiche alla discriminazione operata nei confronti degli studenti europei rispetto alle controparti non europee che intendono avvalersi di borse di studio. Uno studente non europeo riceve una borsa annuale di 21 000 euro, mentre uno studente europeo che desidera studiare al di fuori dell’Unione europea con Erasmus Mundus può contare soltanto su 3 100 euro. Poiché un divario di questa portata non può essere giustificato o difeso in maniera oggettiva, tale discriminazione non può e di fatto non deve essere tollerata oltre.
Gyula Hegyi (PSE). – (HU) Signora Presidente, in veste di relatore o nella fattispecie di relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare per la relazione sull’uso contenuto dei microrganismi geneticamente modificati, desidero sottolineare nuovamente che il Parlamento europeo deve svolgere un ruolo maggiore nelle procedure di vigilanza. I cittadini europei temono un uso non trasparente degli OGM e un controllo del Parlamento significa apertura e trasparenza. La sfiducia può essere vinta soltanto con la massima franchezza. Anche nel caso dei microrganismi geneticamente modificati l’obiettivo dovrebbe essere rendere il coinvolgimento del Parlamento europeo obbligatorio per le questioni legate alla salute e alla sicurezza ambientale. Sono lieto che le mie proposte di emendamento in tal senso, unanimemente sostenute dalla commissione per l’ambiente, ora siano anche state adottate dal Parlamento europeo.
Carlo Casini (PPE-DE). – Signora Presidente, devo dire con più chiarezza perché mi sono opposto e trovo ingiusto che gli emendamenti presentati dal Partito popolare nella relazione Gebhardt siano stati dichiarati decaduti per effetto del voto di una cosa che riguardava un argomento completamente diverso.
Un conto è dire che si possono scegliere le leggi di tutti i paesi del mondo, salvo che non siano contrari ai diritti dell’uomo, altro conto è dire che si possono scegliere le leggi degli Stati membri dell’Unione europea. La cosa è diversa e quindi la decadenza degli emendamenti che chiedevano questo secondo aspetto mi sembra ingiusta.
Trovo invece giusto il limite – e spero che nel prosieguo della discussione su questo regolamento il mio argomento verrà accolto – che si cerchi di costruire uno spazio giuridico europeo, un’armonizzazione europea. Non ha senso applicare la legge cinese o di qualsiasi altro paese sperduto del Pacifico, in una materia così delicata come quelli dei rapporti matrimoniali, quando viceversa l’urgenza è quella di legare fra di loro i 27 paesi dell’Unione.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signora Presidente, purtroppo il divorzio appartiene al lato oscuro della civiltà europea e il numero dei cosiddetti divorzi internazionali sta aumentando. Sono sempre i figli a soffrirne maggiormente. I divorzi internazionali creano anche problemi per quel che riguarda il paese che ospiterà le procedure nel cui ambito si deciderà il futuro dei figli. Personalmente ho sostenuto la misura che prevede norme più chiare per le coppie internazionali che presentano istanza di divorzio in quanto sarà possibile per ambedue le parti, sulla base di un accordo, scegliere un tribunale appropriato e, in tal modo, la legge di uno Stato membro con il quale hanno un certo rapporto. Ciò è importante specialmente in una situazione in cui la coppia vive in un paese di cui nessuno dei due membri è cittadino. Le norme giuridiche possono variare notevolmente da uno Stato membro all’altro e, pertanto, è un ulteriore miglioramento il fatto che il Parlamento europeo abbia introdotto nella misura un ruolo per la Commissione affinché sviluppi un sistema di informazione pubblico in Internet che fornisca i particolari del caso. Va detto che i divorzi internazionali ora riguardano ogni anno 170 000 coppie e i relativi figli.
David Sumberg (PPE-DE). – (EN) Signora Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola. La delegazione dei conservatori al Parlamento europeo e io abbiamo votato contro la relazione Gebhardt. Prima di giungere al Parlamento, ho praticato la professione legale nel Regno Unito occupandomi occasionalmente di divorzi. Penso che questo rappresenterebbe un passo indietro. Spetta a ogni Stato nazione stabilire il diritto applicabile in materia.
Non vi è alcuna necessità che la Commissione europea o altri organi comunitari interferiscano. Tutti i nostri paesi hanno tradizioni diverse, diverse posizioni in merito al divorzio, diverse fedi, diverse religioni, diversi contesti ed è giusto e sacrosanto che ogni paese rispecchi questa diversità. Non dovremmo accettare l’imposizione di un organo superiore che ci dice come comportarci.
La ringrazio per l’opportunità offertami di intervenire in questo momento memorabile della mia carriera politica in cui posso affermare, senza tema di essere smentito, di aver parlato, se eccettuiamo lei, signora Presidente, a una Camera completamente e inesorabilmente vuota.
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. − Voto la relazione Angelika Niebler (A6-0367/2008) sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, dell’accordo di cooperazione scientifica e tecnologica con il governo della Nuova Zelanda, che è l’unico paese industrializzato non europeo con cui la Comunità europea non ha ancora stipulato un accordo in materia scientifica e tecnologica.
Attualmente la cooperazione tra la Comunità e la Nuova Zelanda si fonda su un accordo informale di cooperazione scientifica e tecnologica tra la Commissione e il governo della Nuova Zelanda, firmato ed entrato in vigore il 17 maggio 1991. Ma tale accordo non prevede un coordinamento istituzionalizzato delle attività di cooperazione, né contiene norme specifiche relative al trattamento e alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Grazie al mio recente viaggio in Nuova Zelanda, ho avuto modo di parlare con alcune della massime cariche di quel paese, le quali mi hanno ribadito l’interesse di rafforzare tale collaborazione mediante il programma quadro su: alimentazione, agricoltura e biotecnologie, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, salute, ambiente e mobilità dei ricercatori.
Tali settori corrispondono perfettamente a quelli che i servizi della Commissione considerano i più interessanti e promettenti, dal punto di vista dell’UE, ai fini di una futura collaborazione che consente, infatti, di avvalersi pienamente del potenziale di cooperazione di questo paese industrializzato.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. − (SV) I conservatori britannici sostengono la proposta della Commissione di istituire un programma speciale per aiutare i paesi poveri in via di sviluppo a prepararsi e adeguarsi alle conseguenze del cambiamento climatico. Siamo inoltre favorevoli al contenuto essenziale della relazione del Parlamento sulla proposta della Commissione e abbiamo pertanto scelto di votare a favore.
Siamo tuttavia contrari alla richiesta di incrementare il bilancio dagli attuali 60 milioni di euro a 2 miliardi di euro nel 2010 per finanziare l’alleanza globale per il cambiamento climatico, così come siamo contrari alla proposta di stanziare almeno il 25 per cento dei futuri proventi delle aste organizzate nel quadro del regime di scambio delle quote di emissione per finanziare tale incremento del bilancio.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il regolamento (CE) n. 639/2004 prevede una serie di deroghe al regime di entrata/uscita istituito dall’articolo 13 del regolamento (CE) n. 2371/2002 relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca.
Tuttavia, la tardiva adozione dello strumento giuridico della Commissione che consente agli Stati membri interessati di concedere aiuti di Stato e la capacità limitata dei cantieri navali hanno reso impossibile rispettare la scadenza per l’entrata nella flotta dei pescherecci che beneficiano di aiuti di Stato per il rinnovamento fino al 31 dicembre 2008, come indicato nel regolamento (CE) n. 639/2004.
Nella sua relazione il Parlamento europeo e specificamente la sua commissione per la pesca hanno difeso la proroga dei termini per gli aiuti di Stato per il rinnovamento e l’immatricolazione delle imbarcazioni, sia in riferimento al regolamento correntemente in vigore sia in relazione alla proposta presentata dalla Commissione europea, secondo cui la scadenza dovrebbe essere prorogata soltanto di un anno, in altre parole fino al 31 dicembre 2009.
La proroga degli aiuti di Stato per il rinnovamento delle flotte delle regioni ultraperiferiche fino al 31 dicembre 2009 e la possibilità di immatricolare imbarcazioni fino al 31 dicembre 2011 costituiscono un’assistenza fondamentale tenuto conto dei suddetti vincoli.
Ho pertanto votato a favore della relazione.
Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Dal 19 al 27 luglio mi sono recata in Nuova Zelanda come membro di una delegazione del Parlamento europeo costituita da 11 membri. Questo paese ricco e avanzato con uno spirito europeo si trova a più di 27 000 km dalla Slovacchia. I nostri incontri con gli studenti dell’istituto europeo presso l’università di Auckland e l’università di Canterbury a Christchurch sono stati ispiratori. Abbiamo parlato del settimo programma quadro della Comunità europea nel campo della ricerca, dello sviluppo tecnologico e delle attività dimostrative, nonché delle opportunità di cooperazione tra l’Unione europea e la Nuova Zelanda dell’ambito della ricerca e della scienza. E’ per questo che, nel quadro del processo di consultazione, sostengo la firma dell’accordo di cooperazione in campo scientifico e tecnologico tra la Comunità europea e la Nuova Zelanda ed è per questo che ho votato a favore della relazione della collega, l’onorevole Niebler.
La Nuova Zelanda è uno dei paesi meno inquinati al mondo, primato di cui va giustamente fiera. I neozelandesi sono guidati dallo slogan “verde, pulito e sicuro”. L’energia idroelettrica rappresenta i 2/3 della produzione di elettricità del paese. Per produrre elettricità si utilizzano anche massicci approvvigionamenti di acqua calda. Non esiste nucleare.
Credo fermamente che la reciproca collaborazione nella lotta al cambiamento climatico, nonché la ricerca di approcci comuni nel campo della scienza e dell’innovazione, possano essere proficue per ambedue le parti.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto a favore della relazione della collega Niebler, relativa alla conclusione dell’accordo di cooperazione scientifica e tecnologica tra la Comunità europea e il governo della Nuova Zelanda. Come infatti emerge dalla lettura della proposta di decisione del Consiglio, tale Stato è l’unico paese industrializzato non europeo con il quale la Comunità non ha ancora stipulato un accordo formale in materia scientifica e tecnologica. Pertanto, viste anche la crescente complessità del fenomeno di innovazione tecnologica e la rapidità del progresso scientifico, credo sia più che mai opportuno che la Comunità formalizzi l’accordo di cooperazione già esistente, in modo da rafforzare la collaborazione, specialmente in settori più che mai rilevanti quali la salute, le biotecnologie e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Ritengo che ciò consentirà alla Comunità di sfruttare pienamente il potenziale di cooperazione con la Nuova Zelanda sulla base dei principi di efficace protezione della proprietà intellettuale e di equa ripartizione dei diritti di proprietà intellettuale.
Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. − (PL) Ho votato a favore della relazione sul parere in merito alla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione di un memorandum di cooperazione tra l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile e la Comunità europea per quanto concerne i controlli/le ispezioni di sicurezza e le questioni connesse [COM(2008)0335 – C6-0320/2008 – 2008/0111(CNS)].
Il relatore, l’onorevole Costa, ha giustamente sottolineato che, secondo le finalità della politica comunitaria nel campo dell’aviazione civile il memorandum di cooperazione rafforzerà le relazioni tra la Comunità e l’ICAO. E’ particolarmente importante rammentare che l’attuazione del memorandum negoziato agevolerà un migliore uso delle risorse sempre limitate nel campo del monitoraggio e del rispetto dei regolamenti. L’applicazione della decisione dovrebbe comportare notevoli vantaggi per gli Stati membri.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il memorandum di cooperazione oggetto della presente relazione è volto a ridurre notevolmente le singole verifiche condotte dall’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (ICAO) negli Stati membri. A tal fine, l’ICAO valuterà il sistema di ispezione della sicurezza dell’aviazione della Commissione europea.
Pertanto, conformemente alle finalità della politica comunitaria in materia di aviazione civile, il memorandum di cooperazione rafforzerà il rapporto tra la Comunità e l’ICAO consentendo un uso migliore delle risorse limitate degli Stati membri nel campo del monitoraggio della compliance.
A oggi gli Stati membri hanno dovuto confrontarsi con due sistemi di monitoraggio della compliance aventi lo stesso obiettivo e, grossomodo, lo stesso ambito. Ancora una volta, lo scopo principale di questo intervento sarà l’uso più razionale delle risorse disponibili.
Infine, per garantire la gestione appropria delle informazioni classificate dell’Unione, l’ICAO è tenuta a rispettare le norme comunitarie e la Commissione è autorizzata a verificare in situ le misure di protezione introdotte dall’ICAO.
Ho pertanto votato a favore della relazione Costa.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, dichiaro il mio voto favorevole alla relazione del collega Costa sulla conclusione di un memorandum di cooperazione tra l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile e la Comunità europea in materia di controlli ed ispezioni di sicurezza. Credo che l’obbligo di sottostare a due sistemi di controllo di conformità che perseguono il medesimo obiettivo e coprono, in larga parte, lo stesso campo di applicazione, costituisca non solo un’inefficiente allocazione di risorse da parte degli organismi preposti ma anche, e soprattutto, un peso per gli Stati membri in termini di costi e di sfruttamento delle limitate risorse a loro disposizione. Accolgo dunque favorevolmente la proposta di una cooperazione tra ICAO e Commissione europea in tale materia.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione legislativa che approva la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità sulla base della relazione della collega britannica Wallis. La proposta nasce dal desiderio di consolidare il diritto comunitario definendo tale operazione, a mio parere impropriamente, codifica. E’ un desiderio encomiabile. Mi rammarico però per il fatto che, visto lo sviluppo e la complessità dei testi, la Commissione non abbia rivisto la propria posizione risalente al 1° aprile 1987 con cui ha istruito i propri servizi affinché procedano alla codifica di tutti gli atti legislativi entro la loro decima modifica sottolineando nel contempo che questa è una norma de minimis e, nell’interesse della chiarezza e della corretta comprensione della legislazione comunitaria, i suoi servizi devono adoperarsi al meglio per codificare i testi dei quali sono responsabili a intervalli possibilmente più brevi. Nello specifico, si codificano una serie di direttive risalenti al 1972, 1983, 1990, 2000 e 2005, unitamente ai testi che le emendano. Ritengo che la politica di consolidamento del diritto comunitario dovrebbe essere una delle priorità della Commissione europea.
Šarūnas Birutis (ALDE), per iscritto. – (LT) Dobbiamo sicuramente adoperarci per rendere il diritto comunitario più semplice e chiaro in maniera che risulti più comprensibile e accessibile per tutti i cittadini, che così acquisirebbero nuove opportunità di sfruttare specifici diritti che sono loro conferiti.
Tale obiettivo sarebbe irraggiungibile se molti regolamenti spesso radicalmente modificati in parte più volte restassero frammentati in vari atti, per cui parti sono rintracciabili nell’atto originale, parti negli atti successivamente emendati. Per reperire le norme in vigore in un determinato momento, occorre quindi un grande lavoro di ricerca e comparazione di vari atti giuridici.
Per questo, nel tentativo di rendere il diritto comunitario chiaro e trasparente, è importante codificare i regolamenti modificati più volte.
– Relazione Diana Wallis (A6-381/2008)
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione legislativa che approva la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai recipienti semplici a pressione sulla base della relazione della collega britannica Wallis. La proposta nasce dal desiderio di consolidare il diritto comunitario definendo tale operazione, a mio parere impropriamente, codifica. E’ un desiderio encomiabile. Mi rammarico però per il fatto che, visto lo sviluppo e la complessità dei testi, la Commissione non abbia rivisto la propria posizione risalente al 1° aprile 1987 con cui ha istruito i propri servizi affinché procedano alla codifica di tutti gli atti legislativi entro la loro decima modifica sottolineando nel contempo che questa è una norma de minimis e, nell’interesse della chiarezza e della corretta comprensione della legislazione comunitaria, i suoi servizi devono adoperarsi al meglio per codificare i testi dei quali sono responsabili a intervalli possibilmente più brevi. Nello specifico, si codificano una serie di direttive risalenti al 1987, 1990 e 1993, unitamente ai testi che le emendano. Ritengo che la politica di consolidamento del diritto comunitario dovrebbe essere una delle priorità della Commissione europea e che l’attuale situazione non sia corretta, soprattutto nei confronti degli Stati membri e degli europei.
Šarūnas Birutis (ALDE), per iscritto. – (LT) Gli Stati membri devono servirsi di tutti i mezzi necessari per garantire che i recipienti a pressione siano immessi sul mercato e utilizzati unicamente se sono sicuri per esseri umani, animali domestici o cose, oltre che adeguatamente installati, sottoposti a manutenzione e impiegati secondo l’uso previsto. I fabbricanti devono garantire che i recipienti siano conformi al tipo riportato nel certificato di esame CE del tipo e nella descrizione del processo di fabbricazione, devono etichettare i recipienti con il marchio CE e predisporre un certificato di conformità. Questa direttiva è applicabile ai recipienti semplici a pressione fabbricati in serie. Non vale invece per i recipienti appositamente progettati per uso nucleare, quelli destinati alla propulsione di navi e aeromobili e gli estintori.
La presente proposta è volta a codificare la direttiva 87/404/CEE del Consiglio del 25 giugno 1987 sull’armonizzazione delle leggi degli Stati membri in materia di recipienti semplici a pressione. La nuova direttiva modificherà vari atti i cui regolamenti sono stati incorporati al suo interno. La proposta non modifica il contenuto degli atti giuridici codificati. Essa riunisce soltanto tali atti compendiandoli a seguito delle modifiche necessarie per la codifica.
– Relazione Diana Wallis (A6-385/2008)
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione legislativa che approva la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul certificato protettivo supplementare per i medicinali sulla base della relazione della collega britannica Wallis. La proposta nasce dal desiderio di consolidare il diritto comunitario definendo tale operazione, a mio parere impropriamente, codifica. Mi rammarico per il fatto che, visto lo sviluppo e la complessità dei testi, la Commissione non abbia rivisto la propria posizione risalente al 1° aprile 1987 con cui ha istruito i propri servizi affinché procedano alla codifica di tutti gli atti legislativi entro la loro decima modifica sottolineando nel contempo che questa è una norma de minimis e, nell’interesse della chiarezza e della corretta comprensione della legislazione comunitaria, i suoi servizi devono adoperarsi al meglio per codificare i testi dei quali sono responsabili a intervalli possibilmente più brevi. Nello specifico si consolidano il regolamento del Consiglio del 1992 e i quattro testi che lo hanno modificato rispettivamente nel 1994, 2003, 2005 e 2006. Ritengo che la politica di consolidamento del diritto comunitario dovrebbe essere una delle priorità della Commissione europea e che l’attuale situazione non sia corretta, soprattutto nei confronti degli Stati membri e degli europei.
– Relazione Diana Wallis (A6-386/2008)
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione legislativa che approva, a seguito della procedura di consultazione, la proposta di regolamento del Consiglio relativo all’applicazione del protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi, allegato al trattato che istituisce la Comunità europea sulla base della relazione della collega britannica Wallis. La proposta nasce dal desiderio di consolidare il diritto comunitario definendo tale operazione, a mio parere impropriamente, codifica. Mi rammarico per il fatto che, visto lo sviluppo e la complessità dei testi, la Commissione non abbia rivisto la propria posizione risalente al 1° aprile 1987 con cui ha istruito i propri servizi affinché procedano alla codifica di tutti gli atti legislativi entro la loro decima modifica sottolineando nel contempo che questa è una norma de minimis e, nell’interesse della chiarezza e della corretta comprensione della legislazione comunitaria, i suoi servizi devono adoperarsi al meglio per codificare i testi dei quali sono responsabili a intervalli possibilmente più brevi. Nello specifico si consolidano il regolamento del Consiglio del 1992 e i cinque testi che lo hanno modificato rispettivamente nel 1990, 1992, 1994, 2003 e 2004. Ritengo che la politica di consolidamento del diritto comunitario dovrebbe essere una delle priorità della Commissione europea e che l’attuale situazione non sia corretta, soprattutto nei confronti degli Stati membri e degli europei.
– Relazione Diana Wallis (A6-379/2008)
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione legislativa che approva, a seguito della procedura di consultazione, la proposta di regolamento del Consiglio relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3 del trattato a talune categorie di accordi e pratiche concordate nel settore dei trasporti aerei sulla base della relazione della collega britannica Wallis. La proposta nasce dal desiderio di consolidare il diritto comunitario definendo tale operazione, a mio parere impropriamente, codifica. Mi rammarico per il fatto che, visto lo sviluppo e la complessità dei testi, la Commissione non abbia rivisto la propria posizione risalente al 1° aprile 1987 con cui ha istruito i propri servizi affinché procedano alla codifica di tutti gli atti legislativi entro la loro decima modifica sottolineando nel contempo che questa è una norma de minimis e, nell’interesse della chiarezza e della corretta comprensione della legislazione comunitaria, i suoi servizi devono adoperarsi al meglio per codificare i testi dei quali sono responsabili a intervalli possibilmente più brevi. Nello specifico si consolidano il regolamento del Consiglio del 1992 e i cinque testi che lo hanno modificato rispettivamente nel 1990, 1992, 1994, 2003 e 2004. Ritengo che la politica di consolidamento del diritto comunitario dovrebbe essere una delle priorità della Commissione europea e che l’attuale situazione non sia corretta, soprattutto nei confronti degli Stati membri e degli europei.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione legislativa che approva, salvo emendamenti, the proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000 recante applicazione della decisione 2000/597/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie della Comunità sulla base della relazione dell’eccellente collega francese, ex ministro, onorevole Lamassoure. Come la vasta maggioranza dei membri, ritengo che sia opportuno ricordare al Consiglio di aver chiesto alla Commissione di svolgere un’analisi approfondita e dettagliata di tutti gli aspetti della spesa e delle risorse dell’Unione europea e trasmettergli una relazione nel 2008/2009. Conformemente all’accordo istituzionale del 17 maggio 2006 riguardante la disciplina di bilancio e una corretta gestione finanziaria, sostengo il debito coinvolgimento del Parlamento in tutte le fasi dell’analisi. In tale contesto, tutti dovremmo ricordare che le attuali prospettive finanziarie per il 2007/2013 sono state approvate nel quadro di un compromesso politico volto a rivedere la rettifica del contributo britannico.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La relazione dell’onorevole Lamassoure sul sistema delle risorse proprie dell’Unione europea vuole essere chiaramente di natura ideologica. Vi è il rifiuto di entrare, e cito, “nei dettagli di un sistema… obsoleto, iniquo e privo di trasparenza”, la cui colpa principale, a giudizio del relatore, consiste nel fatto che spetta al Parlamento europeo decidere in merito.
Per fortuna! Dato che se si fosse ascoltata questa Assemblea già da tempo i contribuenti europei avrebbero dovuto subire un’imposta ulteriore prelevata direttamente da Bruxelles. Orbene, la libertà di accettare un’imposta (da parte dei cittadini o dei loro rappresentanti) è un principio fondamentale dello Stato di diritto, come la facoltà di prelevare è una prerogativa dello Stato.
Qui sta il problema. L’Unione europea non è uno Stato e non può in alcuna circostanza assumere tale ruolo per prelevare imposte. Ignorando il rifiuto della costituzione europea da parte di francesi, olandesi e irlandesi, l’Unione dimostra inoltre continuamente di preoccuparsi poco del libero consenso delle singole nazioni. Purtroppo, si preferisce la menzogna, la manipolazione o persino la coercizione.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, dichiaro il mio voto favorevole alla relazione del collega Lamassoure sulla proposta di regolamento del Consiglio relativa alle modifiche del sistema delle risorse proprie della Comunità. Ne condivido le motivazioni alla base e mi associo alla posizione del relatore, nel momento in cui egli ammette che la nuova decisione della Commissione, che pretende di aggiornare il regolamento attuativo sulle risorse proprie conformemente alla decisione del Consiglio del 7 giugno 2007, contribuirebbe ulteriormente, nella sua formulazione attuale, a complicare la procedura, prevedendo continue deroghe e condizioni speciali a taluni Stati membri.
Ritengo, pertanto, che il riesame generale del funzionamento del sistema delle risorse proprie, di necessaria attuazione, veda il coinvolgimento attivo del Parlamento europeo nella proposta di misure adeguate, volte ad un’effettiva maggior trasparenza.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Sulla base della relazione del collega belga Deprez, ho votato a favore della risoluzione legislativa che modifica la proposta di decisione quadro del Consiglio relativa al mandato europeo di ricerca delle prove diretto all’acquisizione di oggetti, documenti e dati da utilizzare nei procedimenti penali. Come un gran numero di colleghi, accolgo favorevolmente la proposta di decisione quadro del Consiglio che prevede l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento a un siffatto mandato. Tale mandato, in appresso definito mandato europeo di ricerca delle prove, agevolerà una cooperazione giuridica più rapida ed efficiente in campo penale e sostituirà l’attuale sistema di reciproca assistenza legale in essere in tale ambito, conformemente alle conclusioni del Consiglio europeo.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Oltre al fatto che nutriamo serie riserve in merito all’analisi di alcuni aspetti nella relazione del Parlamento europeo, non concordiamo con l’armonizzazione delle leggi e l’adozione di procedure comuni, specialmente per quanto concerne il mandato europeo di ricerca delle prove, iniziativa che rientra nella creazione di uno spazio europeo di applicazione del diritto penale.
La Commissione europea si è fatta conoscere per le innumerevoli proposte presentate in tema di sovranazionalizzazione della giustizia a livello comunitario mettendo così a repentaglio i principali aspetti della sovranità degli Stati membri e del loro dovere di tutelare i diritti dei loro cittadini.
Nell’attuale processo di consultazione, il Parlamento europeo difende la deduzione di prove transfrontaliera, che funziona analogamente al mandato di arresto europeo. La maggioranza del Parlamento vorrebbe sopprimere la “clausola di territorialità” accolta in sede di Consiglio (che in talune condizioni consentirebbe a uno Stato membro di rifiutare un mandato europeo di ricerca delle prove) aggredendo la sovranità degli Stati membri.
In sintesi, il Parlamento, “sempre più cattolico del Papa”, vorrebbe attuare un trattato proposto che è stato già respinto tre volte, soprattutto nel campo della giustizia e degli affari interni, creando questo “spazio europeo di applicazione del diritto penale” e, come afferma il relatore, “evitando di lasciare spazio ai diritti di veto nazionali”.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto favorevole nei confronti della relazione del Presidente della commissione LIBE, on. Deprez, a proposito della decisione quadro del Consiglio riguardante il mandato europeo di ricerca delle prove. Condivido l’obiettivo della relazione e la posizione che da essa emerge.
La facilitazione della raccolta transfrontaliera delle prove costituisce senza dubbio un passo importante verso la concretizzazione del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, fondamento di quella cooperazione giudiziaria il cui fine ultimo è proprio di rendere l’assistenza giudiziaria più rapida ed efficace per tutti gli Stati membri. Ritengo opportuno ribadire che al fine di garantire uno spazio penale europeo coerente e di far sì che la cooperazione giudiziaria in materia penale produca gli effetti auspicati, il quadro legislativo dovrebbe essere attuato dalla totalità degli Stati membri e gli strumenti dovrebbero semplificare l’assistenza tra le varie autorità giudiziarie nazionali, pur non omettendo la protezione dei dati personali.
Bernard Wojciechowski (IND/DEM), per iscritto. − (PL) Garantire la sicurezza dei cittadini degli Stati membri e un funzionamento rapido ed efficiente del sistema giudiziario dovrebbe essere prioritario per la Comunità, aspetto significativo nel quadro del drammatico sviluppo della criminalità organizzata, specialmente transfrontaliera. Particolare attenzione va dunque prestata a tutti gli strumenti giuridici che possono agevolare i procedimenti penali e contribuire alla condanna degli autori di reati.
Il mandato europeo di ricerca delle prove assicura il riconoscimento automatico delle sentenze giudiziarie pronunciate in un altro Stato membro. Ciò è alquanto problematico poiché comporta radicali modifiche dei procedimenti penali negli Stati membri. L’attuazione del mandato europeo di ricerca delle prove pone molte difficoltà in ragione della varietà delle procedure penali e delle diversità notevoli esistenti tra le leggi in materia di mandati. A mio parere, anziché interferire in ambiti tanto delicati come il diritto penale di un determinato paese, Commissione e Parlamento dovrebbero concentrarsi sull’ottenimento del massimo livello di collaborazione tra forze di polizia degli Stati membri. Tale obiettivo potrebbe essere conseguito attraverso organismi come Eurojust e l’Accademia europea di polizia.
Lena Ek (ALDE), per iscritto. − (SV) La politica della pesca portata avanti dall’Unione europea non si fonda, né si è mai fondata, su decisioni congiunte e ben ponderate. Le risorse ittiche in Europa sono diminuite drasticamente nel corso degli ultimi anni e sono state ben poche le azioni adottate per cambiare la situazione. La politica della pesca che l’Unione europea dovrebbe perseguire deve nascere da un approccio lungimirante in un’ottica a lungo termine.
Ciononostante la relazione dell’onorevole Busk rappresenta un cambiamento in positivo da svariati punti di vista. Tra le altre cose, nella motivazione si sottolinea come la ricostituzione degli stock di merluzzo bianco rivesta la massima importanza e si afferma che il metodo più efficace in questo senso sarebbe il divieto totale di pesca di questa specie. Questa misura, tuttavia, è stata poi accantonata. Sfortunatamente, gli emendamenti alla relazione non riflettono la preoccupazione espressa dall’onorevole Busk nella motivazione.
Gli emendamenti proposti sono troppo labili perché rivestano un effettivo significato. E’ davvero un peccato che si preveda la possibilità di sottoporre a revisione un regolamento di per sé già inadeguato sullo sforzo di pesca solo dopo che si sia registrato un significativo aumento degli stock di merluzzo bianco. E’ più ragionevole suggerire, invece, di dedicarsi alla ricostituzione degli stock in misura maggiore rispetto a quanto non si faccia oggi. Solo a quel punto si potrà parlare di una possibile revisione. La relazione, pertanto, trasmette segnali completamente sbagliati. Sostiene infatti che il problema verrà risolto presto e che solo allora dovremmo avviare il processo di revisione del sistema, quando invece si dovrebbe procedere in senso inverso. Voto pertanto contro la relazione.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. − (EN) Non ho appoggiato la relazione Busk. Sappiamo tutti quanto sia importante la ricostituzione degli stock di merluzzo bianco che, come è evidente, può costituire un pescato accessorio durante le battute di pesca dirette ad altre specie. Ciononostante, la proposta che esaminiamo oggi, volta a ridurre l’attività di pesca in generale nella zona che va dalla Cornovaglia all’estuario del Severn, è drastica ed eccessiva. In quanto parlamentare europeo eletto nella regione in questione, non sono ancora convinto – ma potrei eventualmente cambiare idea con maggiori prove – della necessità di spingersi così oltre e a questo ritmo.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’obiettivo di questa relazione consiste nel “ripulire” la strategia europea per la preservazione degli stock di merluzzo bianco.
Dal novembre del 2000, quando il Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare (CIEM) ha attirato l’attenzione sul grave rischio di crollo degli stock di merluzzo bianco nel Mare del Nord e al largo della costa occidentale della Scozia, nonché in occasione della riunione del Consiglio del dicembre 2000, i ministri della Pesca e la Commissione hanno espresso preoccupazione per questa allarmante situazione.
Date le variegate condizioni in cui versa la pesca nelle diverse regioni europee, questa relazione del Parlamento è volta a garantire una maggiore flessibilità d’azione, tenendo conto delle situazioni diverse che caratterizzano l’industria della pesca e delle riserve ittiche nelle varie zone in cui si applicano i piani di ricostituzione per questa specie.
Garantire un maggiore coinvolgimento dei Consigli consultivi regionali (CCR) competenti e degli Stati membri in una gestione più efficace degli stock di merluzzo bianco rappresenta una delle priorità di questa relazione. Un riferimento esplicito ai CCR e agli Stati membri nel regolamento dimostrerebbe in modo chiaro la serietà delle istituzioni europee nel coinvolgimento di questi interlocutori nello sviluppo futuro di sistemi di gestione della pesca.
Ho votato a favore di questa relazione.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La situazione del merluzzo bianco è estremamente seria e richiede un’azione immediata e decisa. Le proposte della Commissione, tuttavia, sono inadeguate e presentano carenze da numerosi punti di vista.
E’ altresì interessante notare come il Parlamento abbia stabilito improvvisamente la necessità di gestire la questione a livello nazionale. E’ evidente il tentativo di indebolire la proposta della Commissione a vantaggio del settore. Si tratta chiaramente di un appiglio.
Abbiamo votato contro la relazione per i motivi sopra appena esposti.
Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. − (PL) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 423/2004 per quanto riguarda la ricostituzione degli stock di merluzzo bianco e del regolamento (CEE) n. 2847/93.
Secondo il Comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca, gli stock di merluzzo bianco nel Mare del Nord versano in gravi condizioni. Vengono pescati troppi pesci e, in particolare, troppo novellame. In tal modo si impedisce la ricostituzione delle specie.
Il relatore, l’onorevole Busk, ha sottolineato la necessità di monitorare e controllare il rispetto delle norme. E’ inoltre propenso ad accogliere la visione della Commissione sulla necessità di sottoporre a revisione le catture, di semplificare il sistema di gestione e di ridurre i rigetti in mare. Non possiamo vietare la pesca date le inevitabili conseguenze sul piano socio-economico, ma è necessaria un’azione immediata per implementare il piano di ricostituzione degli stock di merluzzo bianco.
James Nicholson (PPE-DE), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore lo sforzo profuso per affrontare i problemi correlati al piano di ricostituzione del merluzzo bianco del 2004, che si è dimostrato chiaramente inefficace. Nonostante svariate misure, gli stock di merluzzo bianco hanno mostrato ben pochi segni di ricostituzione.
L’aspetto più importante sottolineato in questa proposta è la necessità di ridurre i rigetti in mare. A fronte dell’attuale situazione di disavanzo alimentare e visto il periodo estremamente difficile che stanno attraversando i pescatori, questa pratica può essere definita solo come una vera e propria assurdità e un grave spreco.
La quota per i totali ammissibili di cattura è molto limitata e i pescatori sono obbligati a rigettare in mare considerevoli quantità di pesce, sebbene il contributo di questa pratica ai fini della ricostituzione degli stock sia nullo.
Dobbiamo ovviamente continuare ad adottare provvedimenti volti a tutelare i nostri stock di merluzzo bianco, senza dimenticare il quadro generale. I cambiamenti climatici e l’impatto del surriscaldamento globale potrebbero avere una responsabilità maggiore nella diminuzione delle risorse ittiche rispetto ai pescatori, che cercano solo di guadagnarsi da vivere.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Sulla base della relazione del mio collega finlandese, l’onorevole Virrankoski, ho votato a favore di una risoluzione atta ad approvare, senza emendamenti, il progetto di bilancio rettificativo n. 7/2008 dell’Unione europea per quanto concerne l’uso del Fondo di solidarietà dell’Unione europea in ragione di 12,8 milioni di euro in stanziamenti d’impegno e di pagamento. Questo importo è destinato ad aiuti a favore delle popolazioni dei dipartimenti d’oltremare francesi della Guadalupa e della Martinica, che hanno subito notevoli danni a seguito dell’uragano Dean nell’agosto del 2007. Il progetto di bilancio rettificativo in oggetto è del tutto neutro dal punto di vista del bilancio, dato che prevede una riduzione corrispondente degli stanziamenti di pagamento sulla linea di bilancio 13.04.02 relativa al Fondo di coesione. E’ importante osservare come questo progetto di bilancio rettificativo sia il primo dedicato esclusivamente al Fondo di solidarietà dell’Unione europea, come richiesto dal Parlamento europeo.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Sulla base della relazione del mio esimio collega tedesco, l’onorevole Böge, ho votato a favore della risoluzione finalizzata all’approvazione, senza emendamenti, della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilizzazione del Fondo di solidarietà nell’intento di aiutare la Francia, i cui dipartimenti d’oltremare della Martinica e della Guadalupa sono stati colpiti dall’uragano Dean nel 2007. Verrà quindi stanziata la somma di 12,8 milioni di euro sotto forma di stanziamenti d’impegno e di pagamento nell’ambito del Fondo di solidarietà per la Francia, per il tramite di un progetto di bilancio rettificativo 2008. La predetta somma rappresenta il 2,5 per cento dell’importo dei danni diretti, stimato in 511,2 milioni di euro.
Šarūnas Birutis (ALDE), per iscritto. – (LT) Il Fondo di solidarietà e altre misure specifiche non corrispondono a un importo particolarmente ingente rispetto al bilancio dell’Unione europea, essendo destinati, in ultima analisi, ad aiuti a zone disastrate e alle popolazioni colpite da catastrofi naturali. Appoggio la decisione di stanziare un aiuto tratto dal Fondo di solidarietà a favore della Francia, in particolare delle regioni colpite dall’uragano Dean nell’agosto 2007, quali la Martinica e la Guadalupa. In casi come questi dobbiamo mostrare solidarietà.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La Francia ha presentato domanda di mobilizzazione del Fondo di solidarietà a seguito dell’uragano Dean, che ha colpito la Martinica e la Guadalupa nell’agosto 2007. La Commissione ha pertanto proposto lo stanziamento di un totale di 12 780 000 euro tratti dal Fondo per venire in aiuto alla Francia.
Junilistan guarda con favore alla solidarietà nazionale e internazionale e alle iniziative di assistenza intraprese per venire in aiuto a paesi colpiti da catastrofi naturali.
Tuttavia, in primo luogo, abbiamo imparato dall’esperienza maturata in precedenza che l’Unione europea non è in grado di gestire aiuti umanitari di emergenza in maniera efficiente con i fondi europei. In secondo luogo, stiamo parlando di un contributo pari a una frazione di una percentuale del prodotto interno lordo francese. E’ irragionevole pensare che l’Unione europea debba intervenire e cofinanziare progetti che uno Stato membro ricco dovrebbe essere in grado di gestire da solo.
Abbiamo pertanto deciso di votare contro la relazione nel suo complesso.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La Commissione propone di mobilizzare il Fondo di solidarietà dell’Unione europea a favore della Francia.
L’accordo interistituzionale consente la mobilizzazione di questo fondo entro il tetto massimo annuale di 1 miliardo di euro. Nel corso del 2008 è stato mobilizzato un importo globale pari a 260 411 197 euro a favore del Regno Unito (162 387 985 euro), della Grecia (89 769 009 euro) e della Slovenia (8 254 203 euro).
La Francia ha presentato domanda di assistenza dal fondo a seguito dell’uragano Dean, che ha colpito la Martinica e la Guadalupa nell’agosto 2007. La Commissione propone di mobilizzare il Fondo di solidarietà dell’Unione europea per un importo totale di 12 780 000 euro, da destinarsi a partire dagli stanziamenti di pagamento non utilizzati nel Fondo di coesione.
Tuttavia, come nei casi precedenti, bisogna porsi una domanda piuttosto ovvia: com’è possibile che i fondi europei vengano messi a disposizione solo ora, dopo oltre un anno dal disastro che ha colpito le popolazioni di queste isole? Chiaramente c’è qualcosa che non va…
Non deve sfuggire il fatto che abbiamo presentato alcune proposte per accelerare le procedure di mobilizzazione del fondo e per garantire che i disastri regionali possano ancora rientrare nel suo ambito di applicazione. Le nostre proposte sono finalizzate a riconoscere la natura specifica delle catastrofi naturali nella regione del Mediterraneo, quali siccità e incendi, all’interno del fondo in questione.
Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Emendamento n. 134.
Ci opponiamo fermamente all’aborto coercitivo, alla sterilizzazione forzata e all’infanticidio e concordiamo nell’affermare che si tratta di abusi dei diritti dell’uomo.
Ci siamo astenuti dalla votazione su questo emendamento poiché i fondi europei non sono mai stati utilizzati in questo modo. L’emendamento inoltre non chiarisce l’importanza delle attività di sviluppo svolte a livello internazionale da organizzazioni credibili per sostenere le donne nella gestione della fertilità e, in particolare, in ambiti quali l’educazione riproduttiva, i servizi sanitari in materia di salute riproduttiva e la pianificazione familiare, nonché le campagne per i diritti delle donne di accedere ai servizi sanitari.
Emendamenti nn. 130, 131, 132, 133.
Per quanto ci esprimiamo a favore di questi emendamenti, data l’importanza del tema affrontato, riteniamo che sarebbe più adeguato creare una linea di bilancio distinta per i diritti dei bambini, che dovrebbe interessare anche le problematiche trattate in questi emendamenti.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Gli effetti delle catastrofi naturali sono molteplici e, in generale, devastanti. Oltre alla sofferenza umana, non possiamo dimenticare gli effetti sull’economia, che proiettano indietro di anni lo sviluppo dei paesi colpiti, come in questo caso. Le infrastrutture essenziali vengono distrutte e possono essere ricostruite solo con grande difficoltà e ricorrendo ai fondi propri dei singoli paesi.
L’auspicata costituzione del Fondo di solidarietà dovrebbe accelerare le opere di ricostruzione di questo tipo, offrendo un aiuto finanziario selettivo, che dovrà essere oggetto di un attento monitoraggio nei luoghi in cui verrà utilizzato. Le regioni colpite necessitano sicuramente di un’assistenza rapida, ma non dobbiamo tralasciare di approntare un monitoraggio affidabile degli investimenti effettuati in questi progetti. Dal mio punto di vista, si dovrebbe prestare maggiore attenzione, e per questo mi astengo dal votare questa relazione.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto favorevole alla relazione dell'onorevole collega Böge sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilizzazione del Fondo di solidarietà dell'UE, richiesta dalla Francia, per sopperire alla situazione di emergenza causata dall'uragano "Dean" in Martinica e Guadalupa nell'agosto 2007. Condivido il parere del relatore e mi associo al parere della commissione per lo sviluppo regionale, ritenendo che, in tal caso, l'utilizzo del fondo sia perfettamente in linea con le disposizioni dell'Accordo interistituzionale del 17 Maggio 2006.
Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Il nostro Parlamento ha appena approvato l’aiuto di 12,78 milioni di euro, proposto dalla Commissione europea a favore della Martinica e della Guadalupa, volto a coprire una parte degli esborsi per gli aiuti di emergenza dell’estate scorsa a seguito dell’uragano Dean.
Questo sostegno finanziario sarà ben accetto, in particolare considerando che la Martinica e la Guadalupa continuano a risentire delle conseguenze del disastro, in particolare per quanto concerne la disponibilità di alloggi e i settori della banana e della canna da zucchero.
Il Fondo di solidarietà, utilizzato in questo caso a titolo di deroga rispetto alle disposizioni generali, riveste una particolare importanza per le regioni più remote, date le molteplici minacce a cui sono costantemente esposte le loro popolazioni; le isole caraibiche sono state appunto colpite, proprio la settimana scorsa, dall’uragano Omar.
Sin dalla creazione del fondo nel 2002, mi sono impegnata per garantire che anche i dipartimenti d’oltremare potessero beneficiare di questi aiuti. L’esperienza maturata dal governo francese nella presentazione delle sue richieste, congiuntamente alla comprensione mostrata dalla Commissione, dal Parlamento europeo e dal Consiglio, ci riassicurano in merito alla capacità dell’Europa di sostenere le popolazioni dei territori d’oltremare in caso di crisi di considerevole portata.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Sulla base della relazione dell’onorevole Böge, ho votato a favore della risoluzione finalizzata all’approvazione della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilizzazione, nell’ambito del bilancio generale dell’Unione europea per il 2008, della somma di 10,8 milioni di euro in stanziamenti d’impegno e di pagamento ricorrendo al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, nell’intento di aiutare il settore automobilistico in Spagna e il settore tessile in Lituania. Nel caso della Spagna (a favore della quale si propone di stanziare 10,5 milioni di euro), la richiesta riguarda 1 589 esuberi, di cui 1 521 hanno interessato la Delphi Automotive Systems España, a Puerto Real, nella provincia di Cadice, in Andalusia. Si tratta di uno stabilimento di produzione di componenti automobilistici rientrante nella società Delphi Automotive Systems Holding Inc., la cui casa madre si trova a Troy, Michigan (Stati Uniti). Nel caso della Lituania (a favore della quale si propone lo stanziamento di 0,3 milioni di euro), la richiesta riguarda la perdita di 1 089 posti di lavoro a seguito della liquidazione di una società tessile, la Alytaus Tekstilė, su un periodo di riferimento di quattro mesi.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La Spagna ha presentato una richiesta relativa a 1 589 esuberi, 1 521 dei quali hanno interessato la Delphi Automotive Systems España e 68 suoi fornitori. E’ stato richiesto un contributo pari a 10 471 778 euro, per coprire una parte dei costi relativi alle misure di assistenza del valore totale di quasi 20,94 milioni di euro.
La Lituania ha presentato domanda per 1 089 esuberi a seguito della chiusura della Alytaus Tekstile, un’azienda di produzione tessile. L’importo richiesto è di 298 994 euro a fronte di un costo totale di circa 0,06 milioni di euro.
Come già sottolineato, il fondo non può essere utilizzato come “cuscinetto” temporaneo per costi socio-economici inaccettabili derivanti da provvedimenti di delocalizzazione aziendale e dai relativi esuberi o dovuti all’impossibilità di modificare politiche che causano fenomeni quali lo sfruttamento dei lavoratori, insicurezza e disoccupazione. E’ essenziale impedire e sanzionare la pratica della delocalizzazione e mettere fine alla politica di liberalizzazione del commercio mondiale portata avanti dall’Unione europea.
Gli aiuti di Stato devono essere concessi subordinatamente ad impegni a lungo termine in materia occupazionale e di sviluppo regionale. Se possono essere utilizzati per incoraggiare una delocalizzazione, gli aiuti non devono essere concessi.
Dobbiamo rafforzare il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione delle società e nei processi decisionali relativi alla gestione strutturale delle aziende.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi esprimo in favore della relazione del collega Böge sulla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione in seguito alle richieste avanzate da Spagna e Lituania nel febbraio e maggio 2008. Ritengo opportuno che il Fondo venga mobilitato, dal momento che tali paesi hanno dovuto sostenere ingenti spese in forma di misure di sostegno ai lavoratori. Visto che il Fondo si prepone proprio di fornire un sostegno supplementare ai lavoratori che si trovano minacciati dal nuovo contesto competitivo e dalle modalità commerciali nel commercio mondiale odierno, credo che in tal caso la richiesta di mobilitazione del fondo possa essere senza dubbio approvata.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. − (RO) Ho votato a favore del progetto di risoluzione volto a impedire l’introduzione dello screening dei passeggeri inteso come misura atta ad incrementare il livello di sicurezza nell’aviazione civile. La sicurezza dei passeggeri è di vitale importanza, ma i provvedimenti adottati non dovrebbero tradursi in una violazione dei diritti fondamentali dei cittadini. L’introduzione del body scanning, nella forma in cui viene proposto oggi, non garantisce il rispetto del diritto alla privacy.
Ritengo necessario eseguire degli studi per stabilire gli effetti di questo sistema sulla salute umana, nonché una valutazione del suo impatto per determinare l’opportunità di adottarlo. Ritengo inoltre estremamente importanti le procedure da approntare per la gestione delle immagini risultanti dalla scansione. In quest’ottica, il garante europeo della protezione dei dati dovrebbe formulare ed emettere un parere, in modo tale che venga adottata ogni misura necessaria per tutelare la sicurezza dei passeggeri nel rispetto delle normative che disciplinano i dati personali.
Attendiamo con interesse ulteriori informazioni dalla Commissione europea in merito alle misure che abbiamo in mente per migliorare la sicurezza nell’aviazione civile. Oggi ho votato a favore della risoluzione dato che i diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione europea devono essere tutelati.
Bernard Wojciechowski (IND/DEM), per iscritto. − (PL) La globalizzazione ha delle ripercussioni positive per la crescita economica e l’occupazione, ma può altresì sortire conseguenze negative per i lavoratori più a rischio e meno qualificati in alcuni settori. Queste conseguenze negative possono interessare tutti gli Stati membri, indipendentemente dalle loro dimensioni o dalla data di ingresso nell’Unione europea.
I fondi strutturali dell’Unione europea sostengono i cambiamenti pianificati e la loro gestione nell’ambito di azioni quali l’apprendimento continuo in un’ottica a lungo termine. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione offre invece un supporto personalizzato una tantum per un limitato periodo ed è finalizzato a sostenere i lavoratori in esubero a seguito di variazioni del mercato. L’Unione europea dovrebbe prestare particolare attenzione a questo fondo.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione che segue la comunicazione della Commissione per dar vita a un’alleanza mondiale contro il cambiamento climatico tra l'Unione europea e i paesi poveri in via di sviluppo maggiormente esposti, in base alla relazione di iniziativa del mio collega svedese, l’onorevole Wijkman. E’ ormai appurato che i paesi meno avanzati (PMA) e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS) saranno i primi a subire l’impatto del cambiamento climatico e ne risulteranno le maggiori vittime poiché sono i paesi che dispongono di meno risorse per prepararsi a questi sviluppi e alle modifiche che interesseranno il loro stile di vita. Il cambiamento climatico, pertanto, rischia di ritardare ulteriormente il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) in molti di questi paesi. Accolgo con favore la proposta della Commissione di costituire l’alleanza mondiale contro il cambiamento climatico (GCCA) tra l’Unione europea e i paesi poveri in via di sviluppo maggiormente esposti, in particolare i paesi meno avanzati, i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP). Come la stragrande maggioranza dei miei onorevoli colleghi, considero la somma di 60 milioni di euro stanziata per questa iniziativa decisamente insufficiente.
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. –Voto a favore della relazione di Anders Wijkman sulla necessità di un'alleanza mondiale contro il cambiamento climatico tra l'UE, i paesi meno avanzati (PMA) e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS), perché reputo sia improcrastinabile rafforzare l'azione esterna dell'UE in merito alle sfide comuni del cambiamento climatico e della riduzione della povertà, quale passo verso l'attuazione del piano d'azione dell'UE sui cambiamenti climatici e lo sviluppo (2004), basato sulla maggiore consapevolezza del fatto che il cambiamento climatico deve trasformare il modo di concepire l'aiuto allo sviluppo.
Come membro della commissione sviluppo sono particolarmente sensibile a tale decisione che ha il potenziale per integrare i negoziati internazionali sul cambiamento climatico di Poznan 2008 e Copenaghen 2009. Va superata la diffidenza tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo che ha rappresentato uno dei principali ostacoli che si sono frapposti a un accordo sul cambiamento climatico per il periodo successivo al 2012.
Šarūnas Birutis (ALDE), per iscritto. – (LT) I paesi in via di sviluppo hanno contribuito meno, rispetto agli altri, al fenomeno dei cambiamenti climatici, eppure risentono maggiormente delle sue conseguenze e saranno meno in grado di gestirle. I paesi industrializzati sono storicamente responsabili del cambiamento climatico e hanno il dovere morale di contribuire agli sforzi profusi dai paesi in via di sviluppo per adattarsi alle sue conseguenze.
La revisione del 2007 del Piano d’azione dell’Unione europea sui cambiamenti climatici e lo sviluppo mette in luce come le azioni intraprese finora per integrare il cambiamento climatico nella politica per lo sviluppo dell’Unione europea non siano state sufficienti, evidenziando la particolare lentezza con cui procede ogni attività in tal senso. Sono a favore dell’iniziativa della Commissione per istituire un’alleanza mondiale contro il cambiamento climatico; tuttavia, i 60 milioni di euro stanziati a tal fine sono assolutamente insufficienti. E’ pertanto importante che la Commissione preveda un finanziamento a lungo termine, destinando per lo meno 2 miliardi di euro fino al 2010 e 5 miliardi di euro fino al 2020. Al momento i paesi in via di sviluppo non dispongono assolutamente dei fondi necessari per adattarsi al cambiamento climatico: aiutandoli, aiuteremo anche noi stessi.
Marie-Arlette Carlotti (PSE), per iscritto. – (FR) Sì, abbiamo il dovere di aiutare i paesi in via di sviluppo e, in particolare, i paesi meno avanzati (PMA) e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SIDS) a limitare l’impatto del surriscaldamento globale, dal momento che saranno le prime vittime di questo fenomeno, pur non essendone responsabili.
Al momento l’Africa è il “continente dimenticato” dei negoziati sul clima.
Questa ambizione deve riflettersi in un impegno finanziario adeguato alla posta in gioco.
E’ questo il problema.
Il budget di 60 milioni di euro disposto dalla Commissione europea non è sufficiente.
L’obiettivo di finanziamento a lungo termine dovrebbe aggirarsi almeno intorno ai 2 miliardi di euro entro il 2010 e tra i 5 e i 10 miliardi di euro entro il 2020.
Per finanziare questo incremento, la Commissione e gli Stati membri devono utilizzare almeno il 25 per cento delle entrate del sistema di scambio di quote di emissioni dell’Unione.
Chiediamo inoltre opportune misure relative agli aiuti finanziari, all’assistenza tecnica e al trasferimento di tecnologie al fine di incentivare l’uso di tecnologie a ridotta emissione di gas serra.
Infine, devono essere sbloccate nuove forme di finanziamento.
Se, per l’ennesima volta, si mobilizzeranno i crediti allo sviluppo e il Fondo europeo di sviluppo, l’alleanza in questione non sarà altro se non una mera finzione.
Konstantinos Droutsas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) L’Unione europea sta esagerando gli attuali pericoli derivanti dal cambiamento climatico causati da uno sfruttamento irresponsabile delle risorse naturali da parte delle grandi imprese, non nell’intento di promuovere l’adozione di misure sostanziali volte a contrastarli, ma per spaventare le persone, per migliorare la propria posizione nella competizione con altri imperialisti e per trovare una soluzione in termini di sovra-accumulo di capitale, assicurandosi utili ancora maggiori dai monopoli.
La relazione del Parlamento europeo per dar vita a un’alleanza mondiale contro il cambiamento climatico tra l'Unione europea e i paesi poveri in via di sviluppo è un chiaro esempio di ingerenza negli affari interni di tali paesi da numerosi punti di vista, dall’organizzazione economica alla società passando per i meccanismi amministrativi. La relazione, inoltre, offre una ricompensa insufficiente sotto il profilo finanziario alla plutocrazia di questi paesi o minaccia di intervenire militarmente, in virtù di una politica preventiva, in risposta alle minacce per la sicurezza o ai conflitti generati dalla problematica, appoggiando quindi la relazione Solana su questi temi.
Nella relazione viene proposto un ruolo più attivo per le aziende attraverso partenariati pubblico-privati, in particolare in settori quali l’acqua, la salute pubblica e la fornitura energetica, nonché l’introduzione di imposte ecologiche. Accoglie inoltre con favore il sistema di scambio di quote di emissioni, che va a tutto vantaggio delle aziende ed è pagato dai lavoratori, dall’ambiente e dall’adattamento dei paesi in via di sviluppo alla ristrutturazione capitalistica del commercio, dell’agricoltura e della sicurezza.
La gente non accetterà i piani imperialistici dell’Unione europea ed esigerà un ambiente migliore e sano.
Hélène Goudin and Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La relazione riguarda la proposta della Commissione di dar vita a un'alleanza mondiale contro il cambiamento climatico. Sfortunatamente gli intenti di base della relazione si alternano ad affermazioni che Junilistan non può appoggiare, tra cui la richiesta di unire l’impegno ambientale dell’Unione europea a una politica estera e di sicurezza comune e le proposte dettagliate relative alle modalità con cui l’Unione europea dovrebbe effettuare investimenti ambientali in paesi terzi.
In base ad alcune dichiarazioni contenute nella relazione, l’alleanza mondiale contro il cambiamento climatico potrebbe anche essere vista come un tentativo da parte dell’Unione europea di estendere i propri poteri in ambito forestale e marittimo. Questo metodo, atto a sfruttare determinate tematiche per costruire lo Stato europeo, incontra tutta la nostra opposizione.
Junilistan è nettamente a favore di una cooperazione europea a fronte di problemi ambientali transfrontalieri. Tuttavia, la lotta alla povertà e l’adozione di azioni volte ad affrontare problemi ambientali a livello globale sono ambiti che dovrebbero essere gestiti al livello delle Nazioni Unite. Dopo un’attenta considerazione, Junilistan ha pertanto deciso di votare contro la relazione.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) I cambiamenti climatici che investono il nostro pianeta non sono dovuti solo al suo sviluppo naturale, ma anche a una politica dei paesi industrializzati improntata all’intensificazione dello sfruttamento delle risorse naturali. Questa tendenza ha potenziato il fenomeno del cambiamento climatico portandolo ad un livello che, ora, sta causando seri problemi all’umanità.
Se si vuole intraprendere un’azione responsabile, finalizzata a far fronte alle conseguenze di questo grave spreco delle risorse naturali, è necessario porre fine alle politiche capitalistiche che ne sono la causa.
Tuttavia l’approccio privilegiato in generale – e che vede l’Unione europea in prima linea – si fonda su una responsabilità comune di tutti i paesi. In quest’ottica i paesi in via di sviluppo si vedono imporre dei limiti nell’uso sovrano delle proprie risorse naturali, chiaramente in linea con l’intento delle grandi multinazionali di sfruttarle a proprio vantaggio.
Oltre ad altri aspetti, il testo adottato dal Parlamento europeo non solo contiene una serie di contraddizioni, ma ignora completamente questi temi fondamentali. Perora invece la causa di “una politica di sicurezza preventiva o in risposta alle minacce per la sicurezza o ai conflitti generati dalla problematica del clima”, utilizzando il cambiamento climatico come mezzo per definire e militarizzare le relazioni internazionali.
La relazione, che si fonda sul principio “chi consuma paga”, si dichiara inoltre a favore della creazione di imposte “ecologiche” (in opposizione a un sistema fiscale basato sul reddito) che aprono la porta alla privatizzazione dei servizi pubblici e allo sfruttamento privato di risorse fondamentali come l’acqua.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il cambiamento climatico è un tema che si rivela interessante da discutere quando si tratta di trovare delle soluzioni. In questo contesto dobbiamo lasciarci guidare da un rifiuto dei dogmi e della sventatezza.
Invece di adottare un approccio fatalista, che vede nella crescita demografica mondiale, nell’aumento dei consumi e, inevitabilmente, nel miglioramento delle condizioni di vita per milioni di esseri umani un potenziale disastro ambientale, dovremmo sfruttare gli strumenti offerti dalla scienza moderna e gli enormi progressi di cui godiamo tutti per individuare le risposte giuste in grado di evitare il rischio di effetti collaterali indesiderati (come accade spesso con le decisioni adottate in tutta fretta per il desiderio di agire rapidamente, senza una corretta comprensione della situazione a cui si deve reagire).
Tuttavia, indipendentemente dall’approccio adottato – o dagli approcci, dato che non possiamo prescindere da risposte molteplici – dobbiamo riconoscere che alcuni paesi non sono in grado di reagire come altri. Si tratta di paesi che si trovano in determinate fasi di sviluppo, che non dispongono delle risorse necessarie per attivarsi e si trovano quindi in una situazione estremamente vulnerabile. Dobbiamo pensare a questi paesi e alle loro popolazioni, nell’intento di ridurre l’impatto negativo del cambiamento climatico e di aiutarli ad adattarsi: sono questi i temi che devono stare al centro della nostra politica.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. –Signora Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio voto favorevole alla relazione del collega Wijkman riguardo alla creazione di un'alleanza mondiale contro il cambiamento climatico. La tematica relativa al clima è all'ordine del giorno da alcuni anni: molto è stato fatto ma ancora non basta. L'obiettivo è rafforzare l'azione esterna dell'UE in merito al cambiamento climatico: pertanto, bisogna promuovere il dialogo politico tra UE e PVS, per agevolare l'integrazione delle considerazioni legate al cambiamento climatico nei piani di riduzione della povertà a livello locale e nazionale.
Sottoscrivo tale iniziativa, che tuttavia dovrà affrontare diverse sfide prima di affermarsi, come la mancanza di coordinamento a livello mondiale, la carenza di finanziamenti, ecc. Concordo inoltre con il relatore, quando si parla di investire nello sviluppo di modelli innovativi di partenariato pubblico-privato (PPP), in cui l'Europa crede molto. Essi sono il futuro dell'UE a livello nazionale, regionale e locale.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. − (NL) E’ ormai ovvio da tempo che il riscaldamento globale sta colpendo soprattutto i paesi meno avanzati (PMA), mentre proprio questi paesi hanno contribuito in misura minore all’insorgenza del fenomeno. La loro vulnerabilità li trascinerà ancora di più nell’abisso della povertà. Accolgo quindi con favore il fatto che l’onorevole Wijkman abbia messo in evidenza questo aspetto con così tanta empatia.
L’idea è costituire un’alleanza per contrastare il cambiamento climatico, ma la Commissione non sta accantonando fondi a sufficienza per attivarsi in questo senso. I costi derivanti dai cambiamenti climatici potrebbero raggiungere gli 80 miliardi di euro, mentre il budget concesso dalla Commissione è pari a 60 milioni di euro: un importo insufficiente per consentire ai paesi meno avanzati di prepararsi al cambiamento climatico. Spetta ora all’alleanza reperire o sbloccare maggiori fondi e questo significa che i singoli Stati membri dell’Unione dovranno assumersi le proprie responsabilità, ovvero devono accantonare importi superiori rispetto a quanto non facciano al momento.
Il Parlamento europeo propone di destinare all’alleanza almeno il 25 per cento delle entrate europee derivanti dal sistema di scambio di quote di emissioni.
Sembra che l’Unione, alla luce del cambiamento climatico, stia iniziando a concepire diversamente la cooperazione allo sviluppo: un cambiamento di rotta che accogliamo con favore. Per tale motivo, quindi, appoggerò la relazione.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. − (RO) Ho votato a favore della relazione per dar vita a un’alleanza mondiale contro il cambiamento climatico tra l'Unione europea e i paesi poveri in via di sviluppo dal momento che questi paesi sono maggiormente esposti al fenomeno.
La revisione del 2007 del Piano d’azione dell’Unione europea sui cambiamenti climatici e lo sviluppo, sopraccitata, mostra come i progressi compiuti per inserire a pieno titolo il cambiamento climatico nelle politiche per lo sviluppo dell’Unione europea siano stati insufficienti e decisamente troppo lenti.
Sebbene l’Unione europea si sia posta l’obiettivo di diventare leader nella lotta contro il cambiamento climatico, il budget europeo non riflette la precedenza attribuita a queste politiche. Il meccanismo di sviluppo pulito è stato finora poco adeguato per coprire le necessità di investimento dei paesi più poveri nelle tecnologie pulite.
La relazione chiede all’Unione europea di porre il cambiamento climatico al centro della propria politica di cooperazione allo sviluppo e invita la Commissione a fornire informazioni dettagliate sui meccanismi finanziari esistenti per il cambiamento climatico e lo sviluppo a livello nazionale e internazionale. La Commissione dovrebbe proporre con urgenza i provvedimenti necessari per potenziare i finanziamenti europei per il cambiamento climatico e lo sviluppo, garantendo il miglior coordinamento possibile e la massima complementarietà con le iniziative esistenti.
Bernard Wojciechowski (IND/DEM), per iscritto. − (PL) La tutela dell’ambiente naturale dovrebbe rappresentare, senza ombra di dubbio, una priorità per ogni Stato membro e per l’Unione nel suo insieme. Quanto meglio si possa dire, però, a proposito dell’iniziativa volta a dar vita a un’alleanza mondiale contro il cambiamento climatico è che è del tutto inutile. Spendere i soldi dei contribuenti per l’ennesimo, dispendioso organo politico sicuramente non aiuterà a migliorare le condizioni dell’ambiente naturale. Non farà altro che creare ulteriori cariche lucrative per i burocrati di Bruxelles. I paesi in via di sviluppo causano molto meno inquinamento e le loro emissioni di biossido di carbonio sono insignificanti rispetto a quelle dei colossi dell’economia.
Vorrei ricordare che gli Stati Uniti d’America sono da anni tra i maggiori produttori di sostanze tossiche al mondo e non hanno ancora ratificato il Protocollo di Kyoto. Sono convinto che istituire un’alleanza che veda coinvolti l’Unione europea e i paesi in via di sviluppo non contribuirà per nulla alla riduzione del livello di inquinamento. Potrebbero invece rivelarsi cruciali altri tipi di azioni, come ad esempio i colloqui con i leader politici dei predetti paesi, dal momento che sono loro a causare il maggiore degrado per l’ambiente naturale.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione sulla governance e il partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale adottata sulla base della relazione di iniziativa del mio collega francese, l’onorevole Beaupuy. Sono pienamente d’accordo con l’idea secondo cui, per motivi di semplificazione ed efficienza, si deve valutare la fattibilità di fondere i diversi fondi comunitari nel quadro della futura politica di coesione successiva al 2013.
Petru Filip (PPE-DE), per iscritto. − (RO) Accolgo con favore l’iniziativa di stilare una relazione dedicata al tema dell’efficienza della governance a livello locale e regionale, nonché l’importanza del concetto di partenariato tra quattro o più livelli di potere: locale, regionale, nazionale ed europeo. Dagli incontri con i rappresentanti degli enti locali eletti direttamente dal popolo, nella maggior parte dei casi emergono differenze nelle modalità con cui le politiche europee vengono gestite tra diversi livelli di autorità.
Senza l’istituzione di una politica di vero partenariato tra tutti questi organi, scevra dall’affiliazione a ogni fede politica che minerebbe il principio di sussidiarietà, gli sforzi profusi dal Parlamento e dalle altre istituzioni europee non raggiungeranno i risultati concreti auspicati e non saranno efficaci. Conosciamo benissimo i conflitti, senza però comprendere le rivalità che si vengono a creare tra i rappresentanti di diversi partiti politici al potere nei vari livelli dell’amministrazione, e che, nella maggior parte dei casi, vanno a svantaggio dei cittadini, i quali si vedono privati dei benefici di progetti europei decisi al Parlamento europeo. Per tale motivo ho votato a favore della relazione, nella speranza che le politiche regionali si vedano attribuire l’importanza che meritano.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La relazione presentata dall’onorevole Beaupuy è particolarmente istruttiva. Tratta il tema della governance della politica strutturale e ci insegna che, al di là di un riequilibrio tra i livelli di sviluppo di tutte le regioni dell’Unione europea, il vero obiettivo della politica regionale condotta da Bruxelles consiste nel cambiare radicalmente l’organizzazione territoriale degli Stati membri e, quindi, le loro strutture amministrative e politiche.
In realtà non è niente di nuovo. In Europa, oggi, si fa di tutto per aggirare o distruggere gli Stati nazione: dall’alto, attribuendo competenze al super Stato europeo, e dal basso, promuovendo, contrariamente alle tradizioni di alcuni Stati membri e contro le frontiere naturali o i confini rappresentati dall’identità delle province – per un costo di miliardi di euro – la “regione” intesa come livello privilegiato di organizzazione infranazionale o la costituzione di spazi infranazionali transfrontalieri. L’“approccio integrato” alla legislazione europea lodato dal relatore, che consiste nel tener conto di questo livello in tutte le politiche europee con un impatto territoriale, economico e sociale, si muove in questa direzione.
Al di là delle manipolazioni elettorali, è sicuramente in quest’ottica che deve essere analizzata la riforma amministrativa proposta dal presidente Sarkozy.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La relazione si esprime a favore di una maggiore cooperazione tra le amministrazioni nazionali. Tuttavia è importante ricordare che le migliori forme di governance vengono testate e si distinguono dalle forme meno adatte nell’ambito di una competizione istituzionale. La diversità delle forme di amministrazione che si riscontra in Europa e lo scambio di esperienze tra i diversi organi rappresentano probabilmente un buon esempio in tal senso.
La relazione è piena delle migliori intenzioni, ma mancano proposte concrete sulle modalità da approntare per migliorare le politiche strutturali nell’intento di correggere le gravi carenze riscontrate nei meccanismi di controllo degli aspetti economici. Vale la pena ricordare che le politiche strutturali dell’Unione europea rappresentano la voce di spesa più corposa nel periodo 2007-2013 e che la Corte dei conti europea, nella sua relazione per l’esercizio fiscale 2006, dichiara che almeno il 12 per cento degli esborsi sostenuti per le politiche strutturali non avrebbe dovuto mai essere stanziato.
La relazione contiene inoltre alcuni riferimenti al trattato di Lisbona che è stato rigettato nell’ambito di processi democratici. Appellarsi al trattato di Lisbona, pertanto, è espressione di un’arroganza’inaccettabile. Il futuro del trattato è, al momento della redazione di questo intervento, talmente incerto che si dovrebbe evitare ogni appello al suo contenuto. Per i motivi di cui sopra, Junilistan ha scelto di votare contro la relazione nella sua globalità.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Ovviamente non mettiamo in dubbio il nostro sostegno a favore della partecipazione – essenziale – degli enti locali e regionali o di altre autorità pubbliche, delle organizzazioni socio-economiche e del pubblico in generale alla definizione degli obiettivi e dei programmi, nonché all’implementazione e al controllo dell’uso dei fondi strutturali europei in ogni Stato membro, dato che ci siamo sempre espressi a favore.
Tuttavia, non possiamo consentire che, appellandosi a questa legittima aspirazione, vengano perseguiti altri obiettivi come, ad esempio, la fusione all’interno della “futura politica di coesione successiva al 2013” dei vari fondi comunitari (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo, Fondo di coesione e Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale). Questa proposta potrebbe mettere a repentaglio quello che dovrebbe essere l’obiettivo centrale del bilancio europeo, vale a dire la sua funzione di ridistribuzione della ricchezza tra i paesi beneficiari dei fondi di coesione e i paesi cosiddetti “ricchi”, in particolare perché eliminerebbe fondi destinati esclusivamente ai primi (oltre a mettere a repentaglio il finanziamento europeo di politiche comuni come quella relativa all’agricoltura e alla pesca).
Non possiamo essere d’accordo nemmeno con la proposta di incentivare l’istituzione di “partenariati pubblico-privati”. Si tratta infatti di strumenti utilizzati per privatizzare i servizi pubblici, essenziali e strategici per i cittadini e per lo sviluppo socio-economico di ogni Stato membro.
Ramona Nicole Mănescu (ALDE), per iscritto. − (RO) La relazione presentata dall’onorevole Beaupuy individua una governance efficace a livello di due sistemi complementari: il sistema istituzionale, che dispone la ripartizione di poteri e budget tra lo Stato e gli enti locali e regionali, e il sistema del partenariato, che mette insieme i vari organismi pubblici e privati interessati da uno stesso tema in un dato territorio.
Il partenariato può offrire un valore aggiunto all’implementazione della politica di coesione grazie a diversi fattori, quali una maggiore legittimazione, un livello di coordinamento superiore, la garanzia di trasparenza e un miglior assorbimento dei fondi. Il coinvolgimento di partner potrebbe contribuire allo sviluppo di una struttura istituzionale a livello di settore e territoriale. Non dobbiamo trascurare il fatto che i partner hanno le abilità e risorse necessarie per potenziare l’efficacia del programma, rendendo più efficiente il processo di selezione dei progetti.
Al fine di legittimare il processo decisionale e controbilanciare qualsiasi ingerenza politica nell’ambito delle consultazioni pubbliche nel corso della fase preparatoria dei programmi operativi, è estremamente importante coinvolgere gli enti locali e regionali nonché la società civile. In tal modo si potrà contare su una più ampia gamma di competenze e si contribuirà a migliorare lo sviluppo, il monitoraggio e la valutazione del programma.
Dobbiamo renderci conto che i nuovi Stati membri non sono ancora pronti per applicare il principio del partenariato. Il loro grado di preparazione potrebbe quindi migliorare gradualmente a seguito di una pressione a livello sopranazionale e subnazionale.
Sulla base delle argomentazioni formulate per il tramite degli emendamenti che abbiamo presentato e che sono stati accettati e integrati dall’onorevole Beaupuy nel testo finale, ho appoggiato questa relazione.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. –Signora Presidente, onorevoli colleghi, comunico il mio voto favorevole alla relazione del collega Beaupuy sulle governance e partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale. E' palese che il successo di ogni sviluppo regionale non dipende solamente dai risultati che si conseguono, ma anche dal modo in cui si ottengono tali risultati, ovvero la governance. E' necessario, pertanto, perfezionare meccanismi che migliorino i sistemi di governance senza che le diverse politiche si ostacolino.
Sostengo la posizione del relatore, che è a favore dell'istituto del partenariato: i nuovi metodi di governance non si devono sostituire alle istituzioni pubbliche, ma debbono cooperare con esse. Inoltre plaudo al progetto di riorganizzare i rapporti della governance con i fondi comunitari, con le diverse dimensioni territoriali nonché ovviamente con l'Unione europea. La gestione di progetto, mutuata dal mondo dell'industria, potrà essere un ottimo strumento per rendere operativa la nuova governance, uno dei veri motori dello sviluppo particolare del sistema europeo.
Ole Christensen, Dan Jørgensen, Poul Nyrup Rasmussen, Christel Schaldemose e Britta Thomsen (PSE), per iscritto. − (DA) I deputati danesi del gruppo socialista al Parlamento europeo hanno votato a favore della relazione sul miglioramento dei processi normativi, ma desiderano sottolineare che il processo di riduzione degli oneri amministrativi può avvenire solo a livello politico. Siamo favorevoli all’obiettivo di eliminare i costi amministrativi inutili; tuttavia alcuni oneri possono risultare fortemente necessari dal punto di vista sociale, sebbene si abbia l’impressione che essi ostacolino la crescita e l’innovazione delle imprese. A nostro avviso, la riduzione degli oneri amministrativi richiede un approccio equilibrato.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Se dobbiamo discutere sulla necessità di “legiferare meglio” prima di affrontare i contenuti della legislazione comunitaria, dovremmo allora chiederci quante di queste norme sono effettivamente necessarie. E’ vero che istituire un mercato comune e creare uniformità tra paesi con storie e tradizioni diverse, che spesso si palesano nei dettagli legislativi, fa emergere l’esigenza di armonizzare, e questo richiede forse una strategia più attiva nel processo normativo.
Tali affermazioni non tuttavia equivalgono a riconoscere che si debba in primis legiferare, e che sia necessario farlo a livello europeo. Sebbene io sia convinto che l’UE sia spesso l’ambito d’azione ideale, va ricordato che il principio di sussidiarietà è fondamentale e che spesso viene messo da parte in nome di una falsa efficienza e di risultati inutili.
Se desideriamo che l’Unione europea sia in grado di soddisfare le esigenze in nome delle quali è giustificato un processo decisionale a livello comunitario, dovremmo evitare con coerenza e saggezza di sommergere l’UE di progetti e poteri legislativi che possono trovare un’efficace definizione a livello nazionale. Questo pensiero si ritrova spesso nei trattati, ma sfortunatamente Bruxelles è meno sensibile all’argomento, con conseguenze inevitabili, anche in termini di tentazioni burocratiche.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, comunico il mio voto favorevole alla relazione Medina Ortega, la quale riguarda il protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. L'Unione europea deve ispirarsi a criteri di chiarezza ed efficacia, secondo il quadro regolamentare. Considerando che il miglioramento delle procedure normative può aiutare a raggiungere tali obiettivi, e considerando che i principi di sussidiarietà e proporzionalità sono due cardini sui quali la Comunità si fonda, in special modo quando essa non ha competenza normativa esclusiva in una determinata materia, sono d'accordo con gli sforzi profusi dalla Commissione affinché la legislazione comunitaria si basi sulla qualità, semplificando l'acquis comunitario, e non sulla quantità.
Inoltre guardo anche io con sospetto alle procedure di autoregolamentazione e coregolamentazione, inseribili tra le cause dell'attuale crisi finanziaria dei mercati: i regolamenti rappresentano tuttora la forma più semplice per conseguire gli obiettivi dell'Unione e apportare certezza giuridica alle imprese e ai cittadini.
Carl Lang e Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) La Commissione ha da poco pubblicato la sua 24a relazione annuale sul controllo dell’applicazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri. E’ legittimo chiedersi se vi siano differenze o siano stati compiuti progressi rispetto alla relazione precedente. Apparentemente no. Come sempre, in Europa sono gli Stati membri a prendere l’insufficienza. Quale soluzione propone la relatrice? Maggiore fermezza nei confronti degli Stati membri, portare più casi dinnanzi alla Corte di giustizia, se necessario, e maggiore risolutezza nell’esecuzione delle sentenze emesse dalla Corte. In breve: maggiori poteri di coercizione e repressione per le istituzioni europee nei confronti degli Stati membri.
Ora l’ordine giuridico comunitario, già istituito attraverso trattati che prevalgono sui diritti nazionali, vuole essere sempre più opprimente e distruttivo nei confronti dei suddetti diritti degli Stati membri. Ci opponiamo fermamente a che ciò avvenga, poiché l’infeudamento dei diritti nazionali e delle specificità giuridiche comporterà sicuramente l’asservimento degli Stati membri in un progetto europeista e federalista.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, voto favorevolmente la relazione della collega Geringer de Oedenberg sul controllo dell'applicazione del diritto comunitario. I dati sono elementi oggettivi, che possono essere interpretati ma non possono essere discussi: il considerevole aumento dei casi di infrazione, del mancato rispetto delle sentenze della Corte, del mancato recepimento delle direttive entro i termini fissati ribadiscono l'esigenza di un maggior controllo, da parte della Commissione, nei confronti dei singoli Stati membri.
Inoltre sono convinto che la cooperazione tra Parlamento europeo e parlamenti nazionali dovrebbe essere maggiore, al fine di promuovere e rafforzare appunto l'applicazione del diritto comunitario a livello nazionale, regionale, locale. Inoltre approvo l'inclusione nel testo del problema della gestione dei Fondi strutturali: bisogna ricordare agli Stati membri che, per usufruire dei Fondi nell'ambito del quadro finanziario 2007-2013, devono adeguare la propria legislazione alle normative europee, soprattutto per quanto riguarda la tutela ambientale, in modo da promuovere in maniera adeguata lo sviluppo economico e sociale a livello regionale.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Durante la seduta odierna del Parlamento europeo ho votato a favore della relazione annuale presentata dalla commissione per gli affari giuridici sul controllo dell’applicazione del diritto comunitario nel 2006.
Il documento elaborato dalla relatrice, l’onorevole Geringer de Oedenberg, contiene riferimenti all’incapacità di rispettare i termini per la trasposizione delle direttive e alla cooperazione insoddisfacente tra i sistemi giudiziari degli Stati membri e la Corte di giustizia europea, nonché critiche ai metodi di gestione delle denunce.
Desta particolare preoccupazione la riluttanza dei tribunali nazionali ad applicare il principio del primato del diritto comunitario e a trarre vantaggio dal procedimento pregiudiziale.
La relazione rileva poi un incremento dei casi di infrazione derivanti dal mancato rispetto da parte degli Stati membri delle sentenze della Corte di giustizia e dei termini di trasposizione delle norme.
Alla luce di quanto detto, emerge l’urgente necessità di una maggiore cooperazione tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali, e un maggiore controllo dell’applicazione del diritto comunitario a livello nazionale e regionale. Tali iniziative avvicineranno l’Unione europea ai suoi cittadini e ne rafforzeranno la legittimità democratica.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione su una strategia per la futura attuazione degli aspetti istituzionali delle agenzie di regolazione, basandomi sulla relazione elaborata su iniziativa dell’ottimo collega e amico, l’onorevole Papastamkos, già ministro del governo greco. E’ deplorevole che gli sforzi compiuti dal Parlamento e dalla Commissione europea per fissare un inquadramento giuridicamente vincolante delle agenzie di regolazione europee siano risultati vani. Condivido l’opinione della maggior parte dei miei onorevoli colleghi che lamentano l’assenza di una strategia generale per la creazione di agenzie nell’Unione europea. Si rende urgente quanto necessaria la collaborazione del Consiglio e della Commissione con il Parlamento europeo per definire un quadro chiaro, comune e coerente relativo alla posizione futura delle suddette agenzie nello schema della governance europea, e prevedere il controllo parlamentare sulla costituzione e il funzionamento delle agenzie di regolazione.
Šarūnas Birutis (ALDE), per iscritto. – (LT) Di recente il numero delle agenzie di regolazione è cresciuto considerevolmente, sia a livello europeo che nazionale. Tra questi due livelli esistono punti in comune e differenze. La varietà di agenzie in termini di struttura e funzionamento a entrambi i livelli solleva questioni relative alla regolamentazione, alla corretta gestione e ai rapporti con le istituzioni, in termini di centralizzazione e decentramento.
Nella maggior parte dei casi le agenzie di regolazione europee sono servizi decentrati o indipendenti; e quando si discute di finanziamento e attività correlate a tali agenzie è quindi necessario esigere un elevato livello di trasparenza e di controllo democratico. In assenza di istituzioni di regolazione o esecutive con diritti esclusivi, la proliferazione delle agenzie nei principali settori dell’attività sociale potrebbe altrimenti danneggiare le istituzioni rappresentative dell’Unione europea, soppiantarle e accrescere fortemente la burocrazia.
L’applicazione del controllo parlamentare sulla struttura e sui lavori delle agenzie di regolazione deve corrispondere al principio democratico classico, che esige una maggiore responsabilità politica di tutte le istituzioni con poteri esecutivi.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) L’Unione europea dispone di 29 agenzie, vere e proprie micro-istituzioni europee che costano più di un miliardo di euro e la cui utilità è tutta da provare. Ha quindi ragione il relatore a chiedere maggiore trasparenza e senso di responsabilità nella gestione di queste agenzie, un effettivo controllo politico sulle attività svolte, la valutazione delle agenzie già esistenti e la sospensione della creazione di nuove, e un’analisi dei costi e dei benefici prima di adottare qualsiasi decisione al riguardo.
Tuttavia, il vero problema è rappresentato dall’esistenza stessa di tali agenzie, che aumentano la burocrazia europea e che hanno funzioni di regolazione o esecutive tali da interferire con le attività svolte dalle autorità nazionali, fino a complicarle. Anche a loro proliferazione e la loro diffusione in tutta Europa costituiscono un problema, poiché i posti presso questi enti vengono offerti in cambio di voti. Inoltre, il 40 per cento di queste agenzie sono istituite ai sensi dell’articolo 308 del trattato, il famoso articolo che consente di aumentare le competenze di Bruxelles se non diversamente stabilito da leggi e normative vigenti.
Questa relazione non risolve nulla e quindi non possiamo approvarla. Tuttavia, poiché tenta di dare una parvenza di ordine alla confusione attuale, non possiamo nemmeno respingerla e di conseguenza ci asteniamo dal voto.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) E’ interessante che al punto 5 della proposta di relazione venga sottolineata l'assenza di una strategia generale per la creazione di agenzie europee. Attualmente le nuove agenzie vengono istituite caso per caso, creando un intricato mosaico di agenzie di regolazione ed esecutive e di altri enti comunitari.
È ancor più interessante osservare che la maggioranza degli eurodeputati ha sempre promosso la creazione di nuove agenzie e solo ora ci si accorge che si è persa la visione d’insieme.
Junilistan sostiene gli aspetti principali della relazione, ma non condivide il modo in cui il Parlamento europeo sta cercando di includere nuovi elementi relativi al funzionamento delle agenzie di regolazione, quali la presentazione al Parlamento di relazioni annuali e l’eventualità che i direttori delle agenzie si presentino davanti alla commissione parlamentare competente prima di essere nominati. Rimaniamo piuttosto scettici in merito a queste proposte. Innanzi tutto è giusto che la responsabilità per la governance di queste agenzie spetti alla Commissione europea e, in secondo luogo, le discussioni tra partiti politici potrebbero influenzare la nomina dei direttori delle agenzie, che dovrebbero invece essere semplici funzionari.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Egregio Presidente, onorevoli colleghi, comunico il mio voto favorevole alla relazione presentata dal collega Papastamkos, riguardante la strategia per la futura attuazione degli aspetti istituzionali delle agenzie di regolazione. Concordo con il progetto della Commissione di istituire un gruppo di lavoro interistituzionale che sia incaricato di definire le funzioni delle agenzie di regolazione, nonché le rispettive competenze di ciascun organo dell'Unione europea in relazione alle sopra menzionate agenzie.
Tale proposta però deve essere un punto di partenza e non di arrivo, in quanto i propositi sono ben diversi dalla creazione di un gruppo interistituzionale. Infatti, l’approccio, per quanto possibile comune, proposto sul fronte della struttura e del funzionamento delle agenzie in questione, aspira a ridurre le lungaggini burocratiche al fine di permettere a tali organi di svolgere in maniera corretta ed efficace il loro ruolo normativo, rendendo in tal modo possibile il loro monitoraggio, nonché di soddisfare, pur in maniera parziale, l’esigenza di controllo (revisione contabile) e di responsabilizzazione che si impone per un ruolo così importante.
– Proposta di risoluzione: accusa e processo di Joseph Kony dinnanzi al Tribunale penale internazionale (B6-0536/2008)
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Joseph Kony e l'Esercito di resistenza del Signore sono colpevoli di crimini raccapriccianti commessi nell'ultimo ventennio, motivo per cui la Corte penale internazionale vuole ora sottoporlo a giudizio.
Il conflitto nella regione dei Grandi laghi, in Uganda e in Sudan si protrae e continua a mietere vittime civili. Spetta sicuramente alla comunità internazionale fermare questa terribile tragedia.
In linea generale Junilistan valuta negativamente le risoluzioni che riguardano la politica estera. Tuttavia, poiché questa particolare risoluzione si riferisce a un'organizzazione e al suo leader, oggi accusati dalla Corte penale internazionale di crimini contro l'umanità, abbiamo deciso di sostenerla.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, esprimo in questa sede il mio voto favorevole riguardo alla proposta di risoluzione sull'accusa e processo di Joseph Kony dinanzi al Tribunale internazionale. E' assolutamente inaccettabile che da più di 3 anni si stia tentando, invano, di arrestare un criminale internazionale come Kony, autore e mandante di reati come omicidi, genocidi, stupri, saccheggi, istigazioni allo stupro ecc.: tutto questo non è possibile a causa della continua reticenza del Governo ugandese a collaborare alla cattura di questo criminale, per il quale la CPI ha emesso un mandato di cattura internazionale.
Sottolineo il fatto che l'Uganda ha firmato lo Statuto di Roma, secondo il quale ogni membro si impegna porre fine alle impunità per i crimini più gravi, fonte di maggiore preoccupazione per la comunità internazionale, e a contribuire alla prevenzione di tali crimini. Inoltre manifesto la mia preoccupazione in merito alla totale mancanza di un chiaro impegno volto ad evitare la deviazione degli aiuti internazionali (soprattutto dal governo del Sudan) verso il LRA, l'esercito guidato da Kony, che in tal modo può facilmente finanziarsi.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione legislativa che modifica la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione comunitaria per il miglioramento della qualità nell’istruzione superiore e la promozione della comprensione interculturale mediante la cooperazione con i paesi terzi (Erasmus Mundus) (2009-2013), sulla base della relazione dell'onorevole De Sarnez. Sono favorevole agli emendamenti di compromesso volti a garantire l'eccellenza accademica, una rappresentanza geografica equilibrata, informazioni al pubblico su questo programma e la necessità di eliminare tutti gli ostacoli amministrativi e giuridici nei programmi di scambio tra l'Unione europea e i paesi terzi (problema dei visti). Ritengo inoltre che sia necessario avviare iniziative nell’ambito del programma per garantire che gli studenti, i dottorandi, i ricercatori post dottorato e universitari provenienti dai paesi terzi meno sviluppati (ACP, ovvero paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, in particolare) tornino nel loro paese di origine una volta concluso il loro soggiorno, per evitare il cosiddetto fenomeno della “fuga di cervelli”. Plaudo infine al requisito dell'apprendimento di almeno due lingue europee, della lotta contro la discriminazione e la promozione del rispetto della parità tra uomini e donne.
Ole Christensen, Dan Jørgensen, Poul Nyrup Rasmussen, Christel Schaldemose e Britta Thomsen (PSE), per iscritto. − (DA) I deputati danesi del gruppo socialista al Parlamento europeo hanno votato contro la relazione sul programma Erasmus Mundus II, non perché ci opponiamo al programma, ma perché le frasi riferite al finanziamento rischiano di creare una situazione per cui gli studenti danesi dovrebbero pagare per accedere a questo programma. In linea di principio siamo favorevoli all'obiettivo dei programmi Erasmus Mundus.
I deputati danesi del gruppo socialista al Parlamento europeo hanno votato a favore della relazione sul miglioramento dei processi normativi, ma desiderano sottolineare che il processo di riduzione degli oneri amministrativi può avvenire solo a livello politico. Siamo favorevoli all'obiettivo di eliminare i costi amministrativi inutili; tuttavia alcuni oneri possono risultare fortemente necessari dal punto di vista sociale, sebbene si abbia l'impressione che essi ostacolino la crescita e l'innovazione delle imprese. A nostro avviso, la riduzione degli oneri amministrativi richiede un approccio equilibrato.
Konstantinos Droutsas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) In conseguenza della politica anti-popolare della strategia di Lisbona, l'Unione europea sta utilizzando il programma Erasmus Mundus (2009-2013) per la modernizzazione borghese delle università negli Stati membri, conformandosi alle esigenze del capitale, fino a causare una fuga di cervelli dai paesi terzi e accelerare lo sfruttamento dei lavoratori, aumentando in questo modo la redditività dei monopoli europei.
In questo modo, si rafforzano i criteri economici privati per la valutazione delle università e dei centri di ricerca e si parificano gli istituti pubblici e privati. Questo programma crea dei “consorzi” dell'istruzione in nome dell'eccellenza e impone agli studenti dei costi per frequentare i corsi, precludendo ai giovani provenienti da famiglie operaie l’accesso all'istruzione superiore e agli studi post lauream.
Le dichiarazioni demagogiche dell'Unione europea sulla volontà di evitare una fuga di cervelli dai paesi meno sviluppati non possono celare il vero obiettivo: l'orribile sfruttamento della forza lavoro proveniente da questi paesi e l'applicazione di drastiche restrizioni al diritto dei giovani di disporre di un’istruzione statale gratuita di alto livello, che valga anche per tutti i figli delle famiglie proletarie.
Per tali ragioni, il gruppo parlamentare del partito comunista greco ha votato contro questa iniziativa legislativa.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione De Sarnez sul programma Erasmus Mundus (2009-2013) perché considero questo nuovo programma fondamentale per fare dell'Unione europea un centro di eccellenza dell'apprendimento a livello mondiale.
Attraverso forme di collaborazione tra i vari istituti europei, il programma migliorerà la capacità di risposta alla crescente domanda di mobilità degli studenti e promuoverà la qualità dell'istruzione superiore nell'UE e il dialogo tra le diverse culture. Vorrei poi sottolineare gli importanti elementi innovativi proposti nella relazione, come ad esempio l’estensione dei programmi di dottorato, l'inserimento di borse di studio e la promozione della partecipazione attiva delle imprese e dei centri di ricerca.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questo è un importante programma volto a sostenere gli studenti provenienti da paesi terzi che desiderano studiare nell'Unione europea, sebbene le limitazioni di budget possano creare difficoltà a chi non è in grado di sostenere i costi per la frequenza dei corsi universitari. Di conseguenza, sebbene abbiamo votato a favore della relazione, ci rammarichiamo del fatto che siano state respinte le proposte presentate dal nostro gruppo, poiché esse miravano proprio a dare un contributo positivo per la risoluzione del problema.
Tuttavia, siamo lieti di constatare che sono state adottate le proposte per migliorare la mobilità degli studenti e per sottolineare il fatto che il programma non deve essere utilizzato per attirare nell’Unione europea persone altamente qualificate provenienti da paesi terzi, a scapito del loro paese di origine. Abbiamo ribadito l’esigenza che, nel valutare il programma, la Commissione europea tenga conto delle conseguenze potenziali di una fuga di cervelli e della situazione economica e sociale dei soggetti interessati.
Dobbiamo garantire che i partecipanti ai corsi di master, i dottorandi, i ricercatori e i docenti universitari dei paesi terzi meno sviluppati possano fare rientro nel loro paese di origine, una volta concluso il periodo di studio, evitando così eventuali fughe di cervelli.
Neena Gill (PSE), per iscritto. − (EN) Signora Presidente, ho votato a favore di questa relazione e auspico che il programma Erasmus Mundus, nel suo prolungamento al 2013, continui a rappresentare un significativo ponte interculturale.
I benefici di questo programma per l’istruzione superiore sono evidenti: non solo l'Unione europea trarrà beneficio dall’ospitare studenti intelligenti e ambiziosi provenienti da paesi terzi, che miglioreranno la ricerca e l’innovazione europee; ma gli studenti europei potranno migliorare le proprie capacità linguistiche e aumentare le proprie potenzialità occupazionali sia nel loro paese sia all'estero.
Ritengo poi che questo programma giunga con particolare tempismo nell'Anno europeo del dialogo interculturale. Creare legami con paesi terzi attraverso l’istruzione consente di migliorare la comprensione e la comunicazione tra culture, lingue e religioni diverse. Questo è esattamente il tipo di programma che il Parlamento europeo deve sostenere e lo accolgo con entusiasmo.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Abbiamo deciso di votare contro questa relazione della commissione per la cultura e l’istruzione. Non votiamo contro l'idea del programma Erasmus Mundus in sé, ma contro il risultato di alcune delle dettagliate proposte avanzate dalla commissione e dalla Commissione europea.
Non condividiamo l'idea di un visto ad hoc per il programma, sommariamente descritto nella proposta. I singoli Stati membri dell'Unione europea hanno diritto di emettere visti e auspichiamo che assumano un atteggiamento generoso quando si tratta di emetterne a favore di studenti interessati al programma Erasmus Mundus. A nostro avviso non è possibile gestire questi visti a livello europeo.
Respingiamo inoltre l'idea che l'Unione europea fornisca sostegno finanziario a un’associazione di studenti che abbiano conseguito un master e un dottorato Erasmus Mundus. Le associazioni studentesche dovrebbero svilupparsi indipendentemente dalle esigenze e dagli sforzi personali dei singoli membri; non possono essere create dall'alto dalle istituzioni europee.
Małgorzata Handzlik (PPE-DE), per iscritto. − (PL) L’attuale programma Erasmus Mundus si occupa di cooperazione e mobilità nel settore dell’istruzione superiore, per promuovere il ruolo dell’Unione europea quale centro di eccellenza per l’apprendimento su scala mondiale. Esso incrementa le possibilità ora previste nel quadro del programma Erasmus e apre la collaborazione nel campo dell'istruzione a paesi non appartenenti all'Unione europea.
L’istruzione svolge un ruolo fondamentale nella vita dei giovani. Le esperienze internazionali sono sempre più apprezzate dagli studenti stessi e dai futuri datori di lavoro. La conoscenza di lingue e culture, delle specificità di un paese, oltre alla capacità di muoversi in un ambiente internazionale, sono solo alcuni dei numerosi benefici derivanti dalla partecipazione a questo programma. La promozione della mobilità è un altro aspetto di rilievo incluso tra gli obiettivi del programma, che acquistano particolare rilevanza nell'era della globalizzazione, a fronte della crescente importanza dei contatti con i paesi terzi. Dovremmo accogliere favorevolmente il fatto che gli studenti europei e quelli provenienti da paesi terzi continueranno ad avere la possibilità di vivere questo tipo di esperienza.
Sono lieta che il programma oggetto della votazione odierna contenga proposte per risolvere la questione dei visti, che complica inutilmente l'organizzazione del viaggio. La soluzione proposta dovrebbe riguardare anche la portata delle informazioni disponibili; gli studenti devono disporre di tutte le informazioni di cui hanno bisogno con giusto anticipo per organizzare agevolmente il loro soggiorno. A questo proposito potrebbe essere particolarmente utile il sostegno attraverso le rappresentanze della Commissione europea nei paesi terzi.
Ona Juknevičienė (ALDE), per iscritto. – (LT) Oggi abbiamo votato la nuova versione 2009-2013 del programma Erasmus Mundus. L’attuale programma è stato avviato nel 2004 e più di quattromila cittadini dell'Unione europea e di paesi terzi se ne sono avvalsi con successo. Erasmus Mundus si è dimostrato uno strumento affidabile nel settore dell'istruzione superiore, soprattutto nell'ambito dei corsi di master. Il nuovo programma si prefigge di promuovere l'istruzione superiore in Europa, offrire maggiori e migliori opportunità di carriera ai giovani e creare le condizioni per una cooperazione internazionale più strutturata tra gli istituti superiori, garantendo una maggiore mobilità degli studenti provenienti dall'Unione europea e dai paesi terzi. Nei prossimi cinque anni le università europee e dei paesi terzi riceveranno uno stanziamento di oltre 950 milioni di euro per aderire al programma e istituire borse di studio. A questo si aggiungerà un programma per gli studi post lauream, per il quale gli studenti riceveranno ulteriori stanziamenti. Durante la votazione ho appoggiato gli emendamenti elaborati dalla commissione competente, che rendono più chiare le disposizioni contenute nel documento, salvaguardano le scelte e i diritti degli studenti e consentono di rafforzare la cooperazione tra università.
Carl Lang e Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) In base a questa relazione, l’obiettivo di promuovere l'immigrazione economica su vasta scala, già sancito l'11 gennaio 2005 dalla Commissione europea nel suo Libro verde sull’approccio dell’Unione europea alla gestione della migrazione economica, è oggi di massima attualità.
Per il programma Erasmus Mundus II sono stati stanziati ben 950 milioni di euro per il periodo 2009-2013. Il programma ha l’obiettivo di attirare studenti e insegnanti stranieri nell'area geografica dell'Unione europea e i fondi ad esso destinati superano di circa 654 milioni di euro gli stanziamenti della prima versione del programma.
Con il pretesto, di per sé lodevole, di invitare studenti provenienti da paesi terzi ad effettuare un periodo di studio in Europa, offrendo loro dottorati o diplomi di master di alto livello, in realtà si sta aprendo la strada ad un nuovo flusso di immigrazione legale. Di fatto gli stranieri potranno accedere più facilmente all'Europa, in particolare grazie alle procedure semplificate per ottenere visti, borse di studio e tariffe agevolate.
Lungi dal favorire gli studenti europei e promuovere la ricerca europea e l'eccellenza di cui abbiamo bisogno, l’Unione europea favorisce ancora una volta gli stranieri e mostra la sua propensione all'immigrazione su vasta scala.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Il programma Erasmus Mundus II è simile al programma di scambi Erasmus per gli studenti europei, ma è incentrato sugli scambi con i paesi terzi. Il suo scopo è attirare in Europa studenti stranieri qualificati.
Sono fondamentalmente favorevole agli scambi interculturali, in particolare a livello scientifico; tuttavia, nutro seri dubbi circa l'efficacia e soprattutto l'utilità di questo programma per gli Stati membri dell’Unione europea. In un periodo in cui alcuni Stati membri impongono ai cittadini residenti il numero chiuso per numerosi corsi universitari, dovremmo agire con cautela quando si tratta di qualifiche superiori.
Il passaggio al modello di Bologna, che ha interessato l'intero sistema universitario europeo, ha reso piuttosto difficile per gli studenti con un diploma di master trovare un posto come dottore di ricerca. Aumentare la concorrenza tra studenti europei mi sembra controproducente. Sarà poi difficile controllare eventuali violazioni alla normativa sull'immigrazione relativa a questo programma; per questo ho votato contro la relazione.
Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN), per iscritto. − (PL) Il programma Erasmus Mundus ha già svolto un ruolo importante nell’istruzione di ragazzi e di adulti. L’esperienza acquisita indica tuttavia la necessità di affrontare le sfide con una certa cautela. Cambiamenti radicali indebiti, quali ad esempio le modifiche delle condizioni riguardanti le tasse universitarie, potrebbero mettere a repentaglio l’equilibrio di questo efficace sistema d’istruzione. Cambiamenti di questo tipo potrebbero inoltre andare contro determinati principi sull’autonomia delle istituzioni accademiche. E’ quindi necessario capire se sia meglio lasciare le decisioni al consorzio Erasmus Mundus o dettare dall’alto le condizioni di gestione del programma.
Personalmente ritengo che, laddove esistano prassi consolidate e gli enti locali abbiano potere decisionale in merito, sia necessario rispettare lo status quo e non imporre nulla di nuovo per decreto. Questo è particolarmente importante considerando che viviamo in regioni notevolmente diverse, alcune più sviluppate, altre meno, ma ognuna con le proprie tradizioni e condizioni economiche diverse dalle altre.
Vorrei cogliere l’occasione per sottolineare che il Parlamento ha l’abitudine infondata di fare riferimento a documenti non ancora vincolanti, come la Costituzione europea – respinta in un referendum – il trattato di Lisbona e la relativa Carta dei diritti fondamentali. La legislazione non può basarsi su elementi non ancora in vigore.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, trasmetto il mio voto favorevole alla relazione De Sarnez concernente il programma Erasmus Mundus (2009-2013). I giovani sono il nostro futuro, non è una semplice frase di circostanza: il programma Erasmus Mundus persegue una logica di eccellenza e promozione dell'integrazione interculturale, mediante la cooperazione con i paesi terzi, affinché le nuove generazioni possano lavorare per un mondo migliore. Concretamente, il nuovo programma Erasmus Mundus mette l'accento sulla possibilità di frequentare master e dottorati, sulla creazione di partenariati con istituti d'istruzione di paesi terzi e sulla ricerca di specifiche attività di comunicazione e informazione.
Plaudo a tale iniziativa, e tengo inoltre a sottolineare la proposta della collega De Sarnez, che si auspica che l'apprendimento di almeno due lingue straniere diventi una priorità: le lingue, infatti, sono il primo veicolo di integrazione culturale.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. − (NL) Il programma Erasmus Mundus II è molto simile al suo predecessore, sebbene siano state apportate importanti modifiche. Tra i cambiamenti più rilevanti vorrei citare una rappresentazione geografica più equilibrata e tutelata nei programmi Erasmus Mundus, che può essere offerta dai consorzi universitari di almeno tre paesi europei, oltre ad una maggiore attenzione alle popolazioni vulnerabili.
L’ammissione ai corsi di formazione deve basarsi su criteri qualitativi; garantendo al contempo la parità tra i sessi e un migliore accesso per i gruppi svantaggiati.
Nel concedere borse di studio a studenti europei o provenienti da paesi terzi, le istituzioni che offrono i corsi devono rispettare i principi delle pari opportunità e di non-discriminazione.
Al tempo stesso, Erasmus Mundus II deve contribuire allo sviluppo sostenibile dell’istruzione superiore in Europa e nei paesi terzi e in tal senso la Commissione deve fare tutto il possibile per evitare eventuali fughe di cervelli.
I verdi garantiranno l’effettiva attuazione delle modifiche. La valutazione del programma Erasmus Mundus deve infine far rilevare migliori condizioni di accesso ai corsi previsti per i gruppi vulnerabili.
Il gruppo Verde/Alleanza libera europea sostiene questa relazione, a patto che siano rispettate le suddette condizioni.
Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. − (PL) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri (rifusione) [COM(2007)0737 – C6-0442/2007 – 2007/0257(COD)].
Come l’onorevole Szájer, sono incline a riconoscere i principi e le linee guida fornite dalla Conferenza dei presidenti, che rispettano appieno la legge. Condivido pienamente anche il suggerimento di apportare modifiche tecniche alla decisione della Conferenza dei presidenti.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati (rifusione), proprio sulla base della relazione dell’onorevole Szájer. Sono spiacente che, a fronte degli sviluppi e della complessità delle leggi e dei regolamenti in materia, dal 1° aprile 1987 la Commissione non abbia ancora modificato la sua posizione di fornire indicazioni ai suoi servizi per procedere alla codificazione dei documenti legislativi al più tardi entro la decima procedura di emendamento, sottolineando nel contempo che si tratta di una minima norma secondarie e che i servizi giuridici sono tenuti a codificare le leggi e i regolamenti di loro competenza anche a intervalli più brevi. Nella fattispecie, stiamo procedendo alla rifusione della direttiva del 1990 e delle norme ad essa correlate, già emendate quattro volte (nel 1994, 1998, 2001 e 2003). Inizialmente la direttiva 90/219/CEE era destinata alla codificazione, mentre in ultimo viene sottoposta a rifusione per poter introdurre le modifiche necessarie all’adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo introdotta nel 2006. Ritengo che la politica di consolidamento della politica comunitaria dovrebbe essere prioritaria per la Commissione europea e che l’attuale situazione non è conforme alla norma, soprattutto per quanto riguarda gli Stati membri e i cittadini.
Dumitru Oprea (PPE-DE), per iscritto. − (RO) Sebbene i progressi e l’efficienza conseguita nella produzione agricola, colturale e animale sono inconcepibili senza le grandi scoperte compiute in campo genetico, dobbiamo elaborare misure ottimali di bioprotezione per l’utilizzo di microrganismi geneticamente modificati in condizioni circoscritte, al fine di rispettare il principio cautelativo per la tutela della salute pubblica e dell’ambiente.
Senza le scoperte di Mendel, seguite da quelle di Morgan, Crick e Watson oggi l’umanità vivrebbe sicuramente in condizioni peggiori e più difficili. Tuttavia, è evidente che le procedure per ottenere, testare, utilizzare e commercializzare gli organismi geneticamente modificati (OGM), siano essi piante, animali o microrganismi, devono essere soggette in tutti i paesi a particolari schemi di regolamentazione, autorizzazione e amministrazione, in base ai quali elaborare un quadro giuridico e istituzionale mirato ad eliminare o ridurre il rischio di eventuali effetti negativi.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, comunico il mio voto favorevole alla relazione Ryan riguardante le statistiche comunitarie degli scambi di beni tra Stati membri. La legislazione comunitaria è volta a ridurre la burocrazia inutile ed eccessiva e, di conseguenza, l'ambito delle statistiche relative agli scambi di beni tra Stati membri non può non essere toccato.
Eurostat ha istituito un gruppo di lavoro che possa valutare come semplificare e modernizzare le dichiarazioni intracomunitarie relative a tali scambi; inoltre è allo studio un sistema unico di sviluppo e catalogazione dei flussi commerciali di beni all'interno del mercato comune. Concordo con questa iniziativa, ma auspico, insieme al collega Ryan, che la Commissione migliori tale proposta, specificando adeguatamente quali misure debbano essere prese per introdurre tale meccanismo del flusso unico. A tal fine si può ricorrere ai progetti pilota, in modo da valutare a pieno il valore e la fattibilità di questa iniziativa.
Eoin Ryan (UEN), per iscritto. − (GA) Il 90 per cento delle attività imprenditoriali irlandesi è costituito da piccole e medie imprese (PMI), come in tutto il territorio dell’Unione europea. In Irlanda, che cito perché ne conosco meglio la realtà locale, circa 250 000 imprese sono PMI che occupano circa 800 000 persone. La maggior parte delle imprese (circa il 90 per cento) ha meno di 10 dipendenti e nella metà dei casi si tratta di aziende individuali. Il tempo assume quindi grande valore eppure queste imprese si trovano a dover investire molto tempo nella semplice compilazione di moduli.
Non vi sorprenderà quindi il mio sostegno a favore della mia stessa relazione sulla quale è stato raggiunto un compromesso grazie alla collaborazione tra il Consiglio e i miei onorevoli colleghi della commissione per i problemi economici e monetari. Tuttavia ho voluto fornire questa spiegazione di voto per sottolinearne l’importanza. Le disposizioni previste nella relazione solleveranno più di 200 000 piccole e medie imprese dall’onere di compilare moduli riguardanti lo scambio di beni, risparmiando così del tempo a vantaggio dell’attività e dell’impresa in generale.
Bernard Wojciechowski (IND/DEM), per iscritto. − (PL) Intrastat è un sistema unico, comune a tutti i paesi dell’Unione europea, che mira a ridurre la burocrazia e le normative inutili. E’ un sistema flessibile e consente quindi di tenere conto delle specifiche esigenze e delle soluzioni relative a singoli Stati membri.
Un altro aspetto importante è che sia il sistema Intrastat sia il sistema delle statistiche internazionali sugli scambi commerciali si basano sulle raccomandazioni per un sistema delle statistiche internazionali relativo agli scambi di beni sviluppato dall’Ufficio statistiche dell’ONU. Questo consente di ottenere informazioni complete e del tutto comparabili sugli scambi internazionali di beni.
La raccolta di dati statistici attualmente in corso su importanti questioni economiche è assolutamente necessaria e gli Stati membri dovrebbero impegnarsi al massimo per modernizzare e migliorare questo sistema.
John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. − (EN) Malta è l’unico Stato dell’Unione europea in cui il divorzio non è ammesso. In Europa ci sono solo 3 paesi che non prevedono il divorzio: il Vaticano, Andorra e Malta.
Quest’ultima consente tuttavia di registrare un divorzio ottenuto altrove, a condizione che la persona interessata sia residente o domiciliata nel paese in cui ottiene il divorzio.
Conformemente al regolamento Bruxelles II (regolamento del Consiglio (CE) n. 2201/2003), attualmente una persona può ottenere il divorzio se cittadino di qualsiasi Stato membro dove ha vissuto abitualmente per almeno sei mesi. Qualsiasi altra persona può richiedere il divorzio se ha risieduto nello Stato membro a cui si rivolge in modo continuativo per almeno un anno nel periodo immediatamente precedente la richiesta di divorzio.
E’ lodevole che sia stato preso in considerazione un nuovo articolo riguardante quei paesi che non prevedono leggi in materia di divorzio, come Malta.
A Malta il divorzio è già stato riconosciuto attraverso il sistema della registrazione nei casi previsti da apposite norme; non si tratta quindi di applicare il principio del divorzio, che è peraltro già vigente in determinate circostanze. La questione verte sull’eventualità che il divorzio vada a costituire un capitolo a sé stante del nostro sistema giuridico, anche qualora non si producano le circostanze particolari di cui sopra.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione legislativa che approva, previa modifica, la proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento del 2003 limitatamente alla competenza giurisdizionale e introduce norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale, sulla base della relazione dell’onorevole Gebhardt. A fronte di una maggiore mobilità dei cittadini sul territorio dell’Unione europea, si registra un aumento del numero delle coppie internazionali, ovvero coppie di coniugi con nazionalità diversa o residenti di due diversi Stati membri o in uno Stato membro di cui almeno uno dei due coniugi non è cittadino. A fronte dell’elevato tasso di divorzi nell’UE, è diventato imprescindibile introdurre norme sulla legge applicabile e le competenze in materia matrimoniale che, di anno in anno, interessano un numero crescente di cittadini. E’ necessario proseguire questo processo, precisando che i trattati prevedono l’istituzione graduale di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia e provvedimenti volti a incrementare la compatibilità delle normative applicabili negli Stati membri in ambiti dove emergono conflitti di leggi e competenze.
Lena Ek (ALDE), per iscritto. − (SV) La relazione dell’onorevole Gebhardt chiarisce la competenza dei tribunali nazionali in materia matrimoniale sul territorio dell’Unione europea e quale sia la legge applicabile. Lo scopo è evitare il rischio che uno dei coniugi si precipiti a chiedere il divorzio affinché il caso sia gestito dalla giurisdizione di un determinato paese che tutela gli interessi del coniuge in questione. L’obiettivo è di per sé lodevole, ma, a mio avviso, nel regolamento gli svantaggi sono superiori ai vantaggi.
La Svezia ha una delle normative più liberali del mondo in materia matrimoniale e dovremmo esserne fieri. Il pericolo associato alla proposta originaria è che potrebbe comportare l’obbligo per i tribunali svedesi di emettere delle decisioni in base alle leggi maltesi, irlandesi, tedesche o iraniane quando un coniuge presenta un’istanza di divorzio. Sul lungo periodo, si creerebbero restrizioni al diritto incondizionato svedese di chiedere ed ottenere il divorzio – un argomento su cui non potrei mai ammettere compromessi. Inizialmente volevo votare contro la relazione, ma nel corso della votazione è stato approvato un emendamento orale, che di fatto è connesso al principio giuridico dell’ordine pubblico. Sono sempre del parere che sia necessario mantenere il modello svedese, ma per promuovere il miglioramento, ho deciso di astenermi.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Gebhardt sulla legge applicabile in materia matrimoniale. Tenendo presente la maggiore mobilità dei cittadini nell’Unione europea e l’eterogeneità delle leggi applicabili nei vari Stati membri in caso di divorzio, sono favorevole alla possibilità per coniugi di nazionalità diverse o residenti in Stati membri diversi di scegliere quale legge applicare al loro caso di divorzio.
Tuttavia, ritengo essenziale garantire che ciascun coniuge sia adeguatamente informato, affinché siano entrambi consapevoli delle conseguenze giuridiche e sociali derivanti dalla scelta della legge applicabile.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La nuova legislazione proposta riguarda il divorzio di “coppie internazionali”, ovvero coppie formate da coniugi con cittadinanza diversa o residenti in Stati diversi.
Si tratta di stabilire le regole relative alla giurisdizione competente e alla legge applicabile per compensare l’insicurezza giuridica largamente diffusa in questo ambito. Attualmente, la legge applicabile è determinata in base alle leggi nazionali sui conflitti di competenza, nonostante la forte disparità esistente tra i vari Stati membri, e la complessità di tali leggi. La maggior parte degli Stati membri stabilisce la legge applicabile in base a criteri di riavvicinamento o di residenza (lex loci); altri Stati membri applicano sistematicamente la propria normativa interna (lex fori) che, naturalmente, può comportare l’applicazione di una legge solo vagamente attinente alla situazione dei coniugi, determinando però una maggiore incertezza giuridica.
Questo nuovo regolamento propone l’armonizzazione delle norme di conflitto, a cui noi siamo favorevoli, poiché dovrebbe aumentare la prevedibilità in quella che rimane una situazione drammatica, soprattutto nell’interesse della sicurezza a cui hanno diritto i figli, che troppo spesso sono le vittime innocenti della separazione dei propri genitori.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Noi membri di Junilistan siamo fortemente delusi dal constatare con quanto ardore il relatore si presta a perorare una causa che è stata recentemente respinta dal Consiglio. Di fatto, malgrado le sue carenze, l’attuale regolamento Bruxelles IIa è un atto giuridico di gran lunga migliore di quello proposto dalla relatrice. Privare i coniugi della libertà di scegliere il tribunale e la giurisdizione è una proposta formulata dalla Commissione e, più specificatamente, dall’atteggiamento arrogante della relatrice nei confronti delle attuali prassi in vigore in tutti gli Stati membri.
Non solo respingiamo questa relazione mal elaborata, ma invitiamo tutti i membri di questo Parlamento a difendere la libertà di scelta dei coniugi che affrontano una causa di divorzio: l’ultima cosa di cui hanno bisogno in un momento tanto difficile sono regole europee complesse.
Marian Harkin (ALDE), per iscritto. − (EN) L’Irlanda ha deciso di dissociarsi dall’approvazione e dall’adozione di questo regolamento poiché non siamo favorevoli ad estendere la giurisdizione ai tribunali irlandesi per garantire un divorzio ad una persona proveniente da un altro paese dell’Unione europea in base a leggi sostanzialmente diverse, in vigore nel paese di origine del o della richiedente.
In caso di attuazione di un simile provvedimento da parte dell’Irlanda, i cittadini europei residenti nel paese potrebbero ottenere un divorzio presso i tribunali irlandesi in base a presupposti fondamentalmente diversi e meno gravosi rispetto a quelli previsti dalla Costituzione irlandese e ammessi dal referendum sul divorzio del 1995, come ad esempio il periodo di separazione di 4 anni. In questi casi, inoltre, non si applicherebbe l’attuale requisito costituzionale vigente per le giurisdizioni irlandesi, secondo cui il divorzio viene concesso solo qualora si provveda adeguatamente alle parti in causa e ai figli a carico. Malgrado alcuni aspetti positivi della relazione mi sono astenuta dal votare, in linea con la posizione dell’Irlanda.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. − (FI) Signora Presidente, ho votato contro la relazione sul matrimonio dell’onorevole Gebhardt, poiché reputo importante che in futuro, nei casi in cui l’applicazione di una legge di un paese straniero si trovi in forte conflitto con le premesse fondamentali della legge finlandese, queste ultime vengano comunque applicate delle giurisdizioni finlandesi.
Esprimo poi tutta la mia preoccupazione per le valutazioni proposte riguardo alla colpevolezza nei casi di divorzio. In Finlandia abbiamo rinunciato a svolgere indagini sull’infedeltà o altre questioni similari da circa vent’anni. Reintrodurle sarebbe un enorme passo indietro e un ritorno al passato.
Ona Juknevičienė (ALDE), per iscritto. – (LT) L’Unione europea allargata registra un aumento del numero delle famiglie internazionali, in cui i coniugi sono di nazionalità differente. Sfortunatamente, nell’UE cresce anche il numero dei matrimoni che si conclude con un divorzio, e spesso il procedimento di divorzio è complicato e richiede molto tempo. Questo perché fino ad oggi i cittadini hanno avuto scarse possibilità di scegliere la giurisdizione a cui sottoporre la propria causa. Dopo aver preso la decisione di separarsi, i coniugi potevano solo rivolgersi ad un tribunale del loro paese di residenza, non potendo quindi scegliere di ricorrere alle leggi di altri Stati membri. Ad esempio, per divorziare, una donna lituana sposata con un tedesco e residente in Germania, poteva rivolgersi unicamente ad un tribunale tedesco e la causa di divorzio doveva svolgersi secondo le leggi tedesche. Una volta adottato il regolamento, dal 1° marzo 2009 tali restrizioni saranno superate. Le famiglie che dovranno affrontare una causa di divorzio potranno scegliere la giurisdizione del paese di residenza oppure la legge del paese di cui sono cittadini. Al momento della votazione mi sono espressa a favore degli emendamenti, secondo cui la legge applicata nei casi di divorzio non deve essere in conflitto con i principi basilari della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Questo è molto importante, considerato il nostro impegno per evitare la discriminazione sessuale nelle decisioni sui casi di divorzio.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. − (FI) Ho votato a favore della relazione Gebhardt, perché considero importante la proposta della Commissione di standardizzare le norme sul conflitto di leggi nei divorzi tra coppie internazionali. Il divorzio è una vicenda traumatica sia per i coniugi che per i loro figli. Per questo motivo serve la massima chiarezza nei confronti delle parti coinvolte in merito alla procedura da applicare e alle effettive disposizioni di legge.
La situazione attuale non garantisce la necessaria certezza giuridica, poiché ai sensi del regolamento Bruxelles IIa i coniugi possono scegliere tra una serie di tribunali competenti e la giurisdizione viene stabilita in base alle norme sul conflitto di leggi nello Stato membro in cui si trova il foro competente. Il forum shopping e la “corsa in tribunale” di un coniuge per ottenere un risultato a suo vantaggio sono gravi effetti collaterali di questa situazione.
Credo che il diritto dei coniugi di scegliere consensualmente il foro e la giurisdizione competente sarebbe di aiuto anche per comprendere le conseguenze di entrambe le alternative. Per questo motivo è fondamentale facilitare l’accesso alle informazioni sul contenuto e sui procedimenti, come sancito dall’emendamento n. 2. Altrettanto importante è l’emendamento n. 1, sulla tutela degli interessi dei figli nella scelta della legge applicabile.
Sono altresì favorevole all’emendamento n. 37, presentato dal mio gruppo, secondo cui deve essere scelta la legge dello Stato membro in cui la coppia ha contratto il matrimonio. E’ un principio logico e renderebbe ancora più facile la comprensione delle disposizioni di legge da applicare.
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) In linea generale in Europa vi sono troppi divorzi, soprattutto nel mio paese, ed è in aumento il numero dei divorzi tra coppie miste, ovvero coppie formate da coniugi di diversa nazionalità.
Poiché la libera circolazione delle persone è un dato di fatto dell’integrazione europea, è fondamentale istituire un quadro giuridico chiaro al riguardo.
Sono consapevole delle forti disparità esistenti tra le normative nazionali in materia di divorzio e comprendo appieno i pericoli derivanti da un eventuale “turismo” del divorzio, qualora i coniugi potessero scegliere la giurisdizione più vantaggiosa per uno dei due o quella più vincolante per l’altro.
Avrei votato a favore di questa relazione perché il regolamento proposto avrebbe corretto i punti deboli, consentendo ai coniugi residenti in Stati membri diversi di scegliere consensualmente e con piena conoscenza dei fatti la giurisdizione preferibile per la propria causa.
Sfortunatamente, durante la votazione, un emendamento orale appena adottato ha provocato una tale confusione da rendere necessario il rinvio dell’intera relazione alla commissione competente. Poiché così non è stato, ho preferito astenermi dalla votazione finale.
La questione è troppo delicata per essere votata in una situazione di confusione.
Mairead McGuinness (PPE-DE), per iscritto. − (EN) Non ho votato questa relazione poiché l’Irlanda ha scelto di non partecipare all’approvazione e all’applicazione del regolamento proposto e non ha svolto un ruolo attivo nei negoziati in sede di Consiglio.
L’Irlanda non era favorevole ad estendere ai tribunali irlandesi la giurisdizione per concedere il divorzio ad un cittadino europeo in base ad una legge sostanzialmente diversa da quella irlandese, in vigore nel paese di origine del/della richiedente.
In caso di attuazione del provvedimento, i cittadini europei residenti in Irlanda potrebbero ottenere un divorzio presso le giurisdizioni irlandesi in base a presupposti fondamentalmente diversi e meno gravosi rispetto a quelli previsti dalla costituzione irlandese e ammessi dal referendum sul divorzio del 1995.
Poiché l’Irlanda non ha partecipato all’approvazione e all’applicazione di questo regolamento, ho deciso di non votare questa relazione.
Miroslav Mikolášik (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Accolgo favorevolmente la relazione dell’onorevole Gebhardt sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento delle decisioni e le norme sulla legge applicabile in materia matrimoniale. Credo fermamente che sia importante elaborare un quadro giuridico chiaro, esauriente e flessibile in questa delicata sfera del diritto.
Nella votazione odierna ho votato a favore dell’introduzione del diritto di scegliere il tribunale adatto per un procedimento di divorzio. Ho sostenuto una proposta in base alla quale una coppia cosiddetta internazionale sarà in grado di scegliere la giurisdizione del luogo di residenza abituale o del paese dove è stato contratto il matrimonio.
Sono pienamente d’accordo sull’esigenza di garantire ad entrambi i coniugi un accesso adeguato alle informazioni, indipendentemente dalla loro situazione finanziaria o dal rispettivo livello di istruzione. Entrambe le parti devono essere informate in modo esauriente e preciso sul diritto di decidere nei procedimenti di divorzio e sulle conseguenze della loro scelta. Questo vale soprattutto per le coppie internazionali, poiché le leggi degli Stati membri, le procedure di divorzio e le condizioni di gestione degli stessi possono essere fortemente diverse.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Per le questioni relative ai matrimoni transfrontalieri è importante che esista una situazione giuridica uniforme in Europa. La certezza giuridica per i cittadini in ambiti del diritto quali il matrimonio ed il divorzio, che spesso implicano forti cariche emotive, acquista sempre maggior rilievo nell’elaborazione delle politiche comunitarie.
In un mondo in cui le distanze si annullano sempre più rapidamente, norme come quelle già vigenti nel diritto civile nella fattispecie, la libertà di scegliere la giurisdizione e la legge da applicare, sono importanti per la mobilità degli interessati. Questo regolamento prevede poi un accesso facilitato per i destinatari finali ad un ambito del diritto di famiglia oltre alla corretta informazione delle parti in causa circa le conseguenze giuridiche della loro scelta. Per questi motivi ho votato a favore della relazione.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE-DE), per iscritto. − (RO) Ho votato a favore di questa relazione pensando agli oltre 150 000 uomini e donne dell’Unione europea che ogni anno si trovano a dover affrontare una causa di divorzio transfrontaliera. Tra questi vi sono molti cittadini romeni che si sono sposati all’estero. Ho votato a favore di questa relazione perché sono fermamente convinto che abbiamo il dovere di favorire l’eliminazione di tutte le difficoltà e gli ostacoli burocratici a fronte dei quali l’opinione pubblica sostiene che l’Unione europea è l’inferno dei cittadini e il paradiso degli avvocati.
Credo poi che abbiamo il dovere, nei confronti dei nostri elettori, di eliminare una serie di ulteriori problemi che creano difficoltà ai cittadini europei; per citare due esempi basti pensare alle problematiche correlate all’assistenza sanitaria fornita ai cittadini europei in un paese diverso da quello di origine e all’equipollenza dei titoli di studio.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, voto favorevolmente il lavoro presentato dalla collega Gebhardt, relativo alla legge applicabile in materia matrimoniale. E' lodevole l'obiettivo di istituire un quadro giuridico chiaro e completo, che comprenda leggi relative alla competenza giurisdizionale, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale, oltre che le norme sulla legge applicabile.
Lo scenario attuale, infatti, prevede che, a causa dei conflitti tra norme nazionali e comunitarie, un qualsiasi divorzio "internazionale" possa generare i più disparati problemi di diritto. Inoltre si rileva il rischio della "corsa in tribunale", che premia il coniuge che vuole adire per primo l'autorità competente, ricorrendo alla legge che tutela meglio i suoi interessi.
Questo non è assolutamente accettabile, e quindi accolgo con piacere tale relazione, atta a conferire ai coniugi notevoli responsabilità, soprattutto per quanto riguarda la scelta informata, la scelta dell'autorità giurisdizionale e infine quella della legge applicabile.
Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. − (SV) Poiché sono favorevole all’Unione europea, è mia abitudine cogliere il valore aggiunto della legislazione europea poiché spesso, con il contributo di molti, è possibile trovare soluzioni migliori a determinati problemi. Questa relazione è una spiacevole eccezione che conferma la regola. Abbiamo tutti i motivi per essere fieri della legislazione che offre ai cittadini la possibilità di seguire strade diverse, se è quel che desiderano, e abbiamo quindi tutti i motivi per salvaguardare il sistema attualmente in vigore in Svezia. Al pari del governo svedese, sono quindi del parere che la proposta di armonizzazione della Commissione stia andando nella direzione sbagliata se, ad esempio, si ritiene necessario considerare le prassi di Malta. Al Vaticano non è concesso di porre dei limiti sottoforma di una politica nazionale attiva per la parità. Il Parlamento europeo ha una visione diversa ed ho quindi voluto votare contro la relazione. L’emendamento è stato iscritto nel processo verbale.
Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Ho votato contro questa proposta perché ritengo che sia irresponsabile da parte dell’Unione europea interferire in questioni che esulano dalla sua competenza, come nel caso del diritto di famiglia. Il Consiglio dei ministri dovrebbe riflettere attentamente prima di accettare le proposte del Parlamento o della Commissione. Un ristretto numero di casi difficili non dovrebbe essere sfruttato dall’Unione europea per procurarsi nuovi poteri. Non è questo il modo per realizzare l’integrazione europea.
Inoltre, il Parlamento europeo nel suo parere fa riferimento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Si tratta di una manipolazione inaccettabile da parte del Parlamento, poiché la suddetta Carta dei diritti fondamentali dell’UE non è un documento giuridicamente vincolante ma un compromesso politico. L’articolo 9 della Carta europea dei diritti fondamentali sancisce che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. Poiché il diritto di famiglia è di competenza dei singoli Stati membri, perché avremmo bisogno di una serie di regolamenti paralleli in materia di divorzio a livello europeo? Questo dà adito a manipolazioni e non è quindi chiaro quale direzione stia prendendo il regolamento; la Commissione si sta dimostrando incapace di eliminare i punti di incertezza e per questo propongo che il Consiglio dei ministri respinga il provvedimento.
Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. − (PL) Si registra un aumento del numero di coppie che si sposano nell’Unione europea e in cui i coniugi sono cittadini di paesi appartenenti o meno all’UE.
Di conseguenza, emerge sempre più spesso la questione della scelta della legge applicabile o della giurisdizione competente per un determinato caso.
L’Unione europea ha bisogno di misure efficaci per la risoluzione dei conflitti per stabilire la competenza giurisdizionale.
Il numero dei divorzi è in aumento, così come i casi di discriminazione nelle cause di divorzio o di separazione legale. Il coniuge meglio informato prende l’iniziativa e si rivolge alla giurisdizione la cui legge tutela meglio i suoi interessi, pregiudicando così la competenza del sistema giuridico coinvolto.
Nel caso di matrimoni in cui uno dei coniugi sia residente in un paese esterno all’Unione europea, potrebbe risultare difficile trovare un organo giurisdizionale disposto a riconoscere un divorzio concesso in un paese non comunitario.
La relazione votata oggi mira a garantire ad entrambi i coniugi l’accesso a informazioni affidabili sui procedimenti di divorzio e di separazione e sugli aspetti principali del diritto comunitario e nazionale in materia. Nella scelta della legge applicabile è stato giustamente ritenuto essenziale prendere in considerazione gli interessi dei figli, in tutti i casi.
Lena Ek (ALDE), per iscritto. − (SV) La politica della pesca perseguita dall’Unione europea non è, né è mai stata, fondata su decisioni congiunte e ben strutturate. Negli ultimi anni le riserve ittiche europee si sono ridotte drasticamente e si sta facendo molto poco per rimediare a questa situazione. Al contrario, l’Unione europea offre aiuti in cambio di diritti di pesca in paesi del Terzo mondo, andando ad esaurire anche le riserve ittiche di questi mari lontani. La popolazione locale lungo le coste sarà privata dei mezzi di sussistenza e si ritroverà a dipendere dagli aiuti, che tra l’altro raramente rappresentano un indennizzo adeguato o compensano il mancato reddito.
La politica della pesca che l’Unione europea dovrebbe perseguire deve essere permeata da riflessioni lungimiranti e di ampio respiro. Tale processo non lascia spazio agli stanziamenti per migliorare e modernizzare le flotte pescherecce, il cui obiettivo ultimo è aumentare la capacità di pesca. Sosterrei invece con piacere eventuali provvedimenti a sostegno delle popolazioni vulnerabili delle regioni costiere povere: la loro unica fonte di reddito è la pesca e vivono situazioni di grande sofferenza a fronte della riduzione delle riserve di pesce, spesso diretta conseguenza dell’incauta politica della pesca europea. Le proposte della relazione Guerreiro, tuttavia, non includono iniziative di questo genere ed ho quindi votato contro la relazione.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il regolamento (CE) n. 639/2004 relativo alla gestione delle flotte pescherecce registrate nelle regioni ultraperiferiche della Comunità fornisce una serie di deroghe al regime di entrata/uscita previsto all'articolo 13 del regolamento (CE) n. 2371/2002 relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche nell'ambito della politica comune della pesca.
A causa del ritardo nell'adozione dello strumento giuridico della Commissione che autorizza gli Stati membri interessati a concedere aiuti pubblici, nonché della capacità limitata dei cantieri navali, risulta tuttavia impossibile rispettare il termine del 31 dicembre 2008 per la registrazione nella flotta dei pescherecci che beneficiano di aiuti di Stato per il rinnovo, secondo quanto stabilito dal regolamento (CE) n. 639/2004.
Nella sua relazione, la commissione per la pesca difende la proroga del termine per gli aiuti pubblici per il rinnovo e la registrazione dei pescherecci, sia in riferimento al regolamento attualmente in vigore, sia in riferimento alla proposta avanzata dalla Commissione europea, in base alla quale il termine dovrebbe essere prorogato solo di un anno, e quindi fino al 31 dicembre 2009.
L’estensione degli aiuti pubblici per il rinnovo delle flotte nelle regioni ultraperiferiche al 31 dicembre 2009 e la possibilità di registrare i pescherecci fino al 31 dicembre 2011 rappresentano forme vitali di assistenza che tengono conto delle suddette limitazioni.
Ho quindi votato a favore della relazione Guerreiro.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il sostegno al rinnovo e all’ammodernamento delle flotte pescherecce nelle regioni ultraperiferiche è molto importante, visto il carattere strategico della pesca nelle suddette regioni. La relazione oggetto della votazione odierna vuole estendere di oltre un anno il periodo per il finanziamento del rinnovo e dell’ammodernamento delle flotte pescherecce nelle regioni ultraperiferiche.
E’ giustificato tenere conto della situazione particolare, a livello strutturale, sociale ed economico, di tali regioni per quanto riguarda la gestione delle flotte pescherecce locali. Bisogna quindi adeguare le disposizioni sulla gestione dei piani di entrata/uscita e sul ritiro obbligatorio di capacità, alle esigenze delle regioni in questione, come pure le condizioni di accesso agli aiuti pubblici per l'ammodernamento e il rinnovo delle flotte pescherecce.
In breve, il sostegno al rinnovo e all’ammodernamento delle flotte pescherecce nelle regioni ultraperiferiche deve proseguire, soprattutto per le flotte di ridotte dimensioni, poiché in queste regioni sono formate da pescherecci perlopiù obsoleti, a volte in mare da oltre 30 anni. Tali azioni sono considerate indispensabili per migliorare le condizioni di conservazione del pesce e le condizioni di lavoro e sicurezza degli addetti alla pesca.
Luca Romagnoli (NI), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, comunico il mio voto favorevole in merito alla relazione sulla gestione delle flotte da pesca registrate nelle regioni ultraperiferiche, presentata dal collega Guerreiro. Concordo, infatti, con la posizione della Commissione, schierata da sempre a favore dell'integrazione europea, quale che sia il campo di riferimento; ma, in tal caso, bisogna eliminare qualsiasi vincolo temporale, affinché tali regioni abbiano il tempo necessario per rinnovarsi e ammodernarsi adeguatamente, in modo da affrontare al meglio la concorrenza nel mercato interno.
E' chiaro che la continuità del sostegno a questo rinnovamento è ritenuta dal sottoscritto una condicio sine qua non, senza la quale le condizioni di lavoro, sicurezza e conservazione del pesce non potrebbero essere adeguatamente assicurate. Per cui mi compiaccio di tale iniziativa, volta a ristrutturare totalmente le flotte delle regioni ultraperiferiche (RUP) per affrontare le nuove sfide europee in materia di pesca.