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Procedura : 2008/2012(INL)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo del documento : A6-0389/2008

Testi presentati :

A6-0389/2008

Discussioni :

PV 17/11/2008 - 22
CRE 17/11/2008 - 22

Votazioni :

PV 18/11/2008 - 7.17
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2008)0544

Resoconto integrale delle discussioni
Lunedì 17 novembre 2008 - Strasburgo Edizione GU

22. Applicazione del principio della parità retributiva tra donne e uomini (discussione)
Video degli interventi
Processo verbale
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0389/2008), presentata dall’onorevole Bauer a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, recante raccomandazioni alla Commissione sull'applicazione del principio della parità retributiva tra donne e uomini [2008/2012(INI)].

 
  
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  Edit Bauer, relatore. – (SK) Il divario tra i generi non è nulla di nuovo. Da oltre cinquant’anni un articolo del trattato di Roma vieta la discriminazione tra i generi per quanto attiene ai livelli salariali, e dal 1975 è in vigore anche la direttiva n. 117, che impone agli Stati membri di applicare il principio della parità retributiva a parità di lavoro. E’, naturalmente, vero che non tutte le differenze di retribuzione sono dovute alla discriminazione. Ma la legge dei grandi numeri non è in grado di spiegare le persistenti differenze nella retribuzione oraria lorda.

Secondo Eurostat, tra il 1995 e il 2006 la differenza di retribuzione oraria è diminuita dal 17 al 15 per cento, e ciò in un periodo in cui la maggioranza dei laureati sono donne.

Quella tendenza può essere in declino, però non è scomparsa del tutto. Stando a uno studio condotto dalla Dublin Foundation nel 2007 in quattro paesi dell’Unione europea, il divario si sta in realtà allargando. Se il divario retributivo diminuisse alla velocità attuale e non crescesse nuovamente di tanto in tanto, ci vorrebbero settant’anni per raggiungere la parità retributiva.

Possiamo ammettere che le norme attualmente vigenti in materia non sono molto efficaci. I motivi del divario retributivo sono molteplici; sono sia di natura sistemica sia di natura individuale. La segregazione settoriale, verticale e orizzontale, la classificazione delle professioni, le condizioni per armonizzare vita privata e vita lavorativa, nonché gli stereotipi sono tutti fattori che contribuiscono in misura rilevante a mantenere il divario retributivo, che successivamente si trasforma in un divario pensionistico, e il risultato finale è che la povertà ha il volto di donna, come siamo soliti dire.

Il divario retributivo ha anche dimensioni individuali. Secondo uno studio della Commissione, queste dimensioni aumentano in relazione all’età, al periodo lavorativo e all’istruzione. Inoltre, le statistiche rivelano che tra i giovani le differenze sono minime; il divario compare dopo la nascita del primo figlio e dopo il ritorno della donna al lavoro alla fine del congedo di maternità.

Per quanto riguarda la crisi demografica che ci sta toccando, questo problema, oltre a essere un fattore importante ai fini della concorrenza in campo economico, solleva anche una profonda questione morale che non va trascurata.

Tale questione investe oggi ciò che il Parlamento europeo può fare per risolvere la situazione. Da un lato c’è un problema annoso, mentre dall’altro lato ci sono leggi alquanto inefficaci. Nel contempo, ovviamente, non dobbiamo perdere di vista il fatto che le cause del divario retributivo risiedono ben al di fuori dei limiti della legislazione.

Il Parlamento europeo, però, ha a disposizione un solo strumento: quello della legislazione. Tutti coloro che sono coinvolti in questa situazione hanno la loro parte di responsabilità; la nostra è di riuscire a lanciare un segnale chiaro per dire che vogliamo leggi migliori e più efficaci nell’interesse di una maggiore parità di condizioni sul mercato del lavoro.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. SIWIEC
Vicepresidente

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione accoglie con favore questa relazione d’iniziativa sul principio della parità retributiva tra donne e uomini. Mi congratulo con la relatrice per la qualità del suo lavoro.

La Commissione, al pari del Parlamento, ritiene che un divario retributivo del 15 per cento tra donne e uomini nell’Europa di oggi sia inaccettabile. Dobbiamo ovviamente vigilare e non dimenticare che questo indicatore mette a confronto differenze relative tra la retribuzione oraria lorda delle donne e degli uomini nell’intera economia, e dunque non misura una semplice discriminazione diretta bensì è un indicatore di tutti i fattori correlati e di tutti gli svantaggi che le donne subiscono da prima di entrare nel mercato del lavoro e poi nel corso della loro intera carriera professionale.

La comunicazione della Commissione del luglio 2007 constatava che il diritto comunitario è stato efficace quando si è trattato di eliminare la discriminazione diretta, ossia, in altri termini, la corresponsione alle donne di una retribuzione inferiore rispetto a quella dei loro colleghi maschi per lo stesso lavoro. E’ stato, invece, meno efficace nel garantire il rispetto del principio della parità retributiva per lavori di uguale valore.

Sulla base di una dettagliata analisi, la Commissione ha tratto la conclusione che dovrebbe essere possibile prendere in considerazione l’eventualità di emendare le norme comunitarie al fine di garantire soprattutto che i sistemi utilizzati per la determinazione delle retribuzioni escludano la discriminazione di genere sia di tipo diretto che di tipo indiretto.

La Commissione ha annunciato che nel 2008 esaminerà le norme comunitarie dal punto di vista delle loro implicazioni per il divario retributivo e che proporrà gli emendamenti necessari. L’analisi dettagliata di cui parlavo prima è tuttora in corso e non posso anticipare quali saranno i suoi risultati. Per garantire la qualità dell’analisi, la Commissione si è rivolta a consulenti specializzati esterni, ma fa anche ricorso alle ampie e dettagliate competenze e conoscenze degli organi nazionali responsabili della parità di genere.

I risultati preliminari dello studio saranno discussi durante un seminario nel primo trimestre del 2009, al quale è prevista la partecipazione di tutte le parti interessate, compresi Stati membri, esperti di diritto, organi nazionali competenti per l’uguaglianza di genere, parti sociali e società civile.

Decisivo sarà, in questo processo, l’atteggiamento del Parlamento. E’ significativo che uno degli enti legislatori partecipanti ha detto chiaramente che le leggi in questione devono essere modificate entro tempi brevi. E’ importante anche che le raccomandazioni concrete del Parlamento per gli emendamenti siano attinenti alle aree che i principali soggetti interessati hanno individuato come problematiche; tra esse ci sono la trasparenza della retribuzione e della valutazione del lavoro, nonché le sanzioni.

Concludo dicendo che condividiamo l’opinione del Parlamento secondo cui così marcate differenze retributive tra donne e uomini in Europa sono inaccettabili. La Commissione ritiene che questo sia il momento giusto per completare l’analisi e la valutazione e per pianificare i passi da compiere prossimamente, che porteranno a risultati più concreti.

 
  
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  Donata Gottardi, relatrice per parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali. − Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sono davvero orgogliosa del lavoro che si fa in questo Parlamento e della capacità di impiegare le competenze di proposizione legislativa già riconosciute.

La relazione che stiamo per votare tocca un punto fondamentale, un principio fondamentale dell'ordinamento europeo: il principio della parità retributiva tra lavoratrici e lavoratori. Non è solo un principio fondamentale, è anche il primo, quantomeno in ordine di tempo, tra i principi di parità. Sappiamo che era già contenuto nel trattato di Roma, sappiamo che è stato applicato fin dalle primissime sentenze della Corte di giustizia europea, che è regolato già da una direttiva del 1975 e che è stato riregolato al momento della sua rifusione nel 2006, che è oggetto di analisi e ricerche ricorrenti, come è stato ricordato adesso anche dal Commissario, e di costanti richiami alla sua applicazione.

Perché allora tornare ad occuparsene così diffusamente e profondamente oggi? Ci sono molti motivi: innanzitutto perché rifiutiamo di accettarne la disapplicazione diffusa, testimoniata appunto da tutti i dati statistici, e poi pensiamo che le troppe ingiustizie subite dalle donne, in tutti i paesi dell'Unione europea e in tutte le professioni, in tutti i livelli, in tutti i settori vadano assolutamente contrastate, e per farlo, appunto, non bastano di tutta evidenza gli strumenti di cui disponiamo, altrimenti in tutto questo tempo saremmo riuscite ad invertire davvero questa situazione.

E perché pensiamo che occorra prendere sul serio i divari retributivi e soprattutto non considerarli un semplice accidente nel percorso lavorativo delle donne. E allora, cosa chiediamo: chiediamo alla Commissione una specifica, un'apposita direttiva sui differenziali retributivi di genere, ma non ci limitiamo a questo, non ci limitiamo a chiedere una direttiva, inviamo alla Commissione precise raccomandazioni. Abbiamo costruito un ponte per traghettare verso un cambiamento reale e pensiamo che questo ponte possa essere ben saldo se poggiato su ben otto piloni.

Innanzitutto, vogliamo disporre di una definizione di discriminazione retributiva, non ci basta guardare solo alla retribuzione lorda oraria, perché questa ci parlerebbe di una discriminazione diretta e questa discriminazione diretta effettivamente è già stata superata. E non è un caso, se poi tutte le indagini guardano oltre, si spingono verso il lavoro a tempo parziale, si spingono a considerare le segregazioni dirette, indirette, le discriminazioni e le segregazioni orizzontali e verticali.

Chiediamo dati comparabili, effettivi, coerenti e completi. Si incontrano troppo spesso dati manipolati o coperti, agevolati da sistemi di classificazione del personale, da un'organizzazione del lavoro rivolti al passato e contrassegnati da stereotipi. Pensiamo che gli organismi di parità possano svolgere un ruolo determinante duplice nella lotta alle discriminazioni, nella sensibilizzazione e nella formazione rivolta agli stessi attori giudiziari e alle parti sociali.

Puntiamo a introdurre specifiche sanzioni, sapendo però che occorrono anche azioni e misure di prevenzione, occorrono azioni positive e occorre l'integrazione, quindi il mainstreaming. Spero che in plenaria accoglieremo il testo nella sua completezza, perché quanto più preciso e dettagliato è il lavoro che consegniamo alla Commissione, tanto più guadagneremo in efficace tempestività. Ed è questo l'augurio: non basta dire o scrivere parità retributiva, vogliamo renderla effettiva.

 
  
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  Anna Záborská, a nome del gruppo PPE-DE. – (SK) Desidero esprimere i miei più sinceri complimenti all’onorevole Bauer per il testo che ci ha proposto. Come lei stessa ha detto, il tema di cui stiamo discutendo è tanto vecchio quanto i trattati di Roma. In cinquant’anni, ben poco è cambiato.

La questione della parità di retribuzione a parità di lavoro tra donne e uomini si riaffaccia con notevole regolarità soprattutto in periodi preelettorali. Se la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere propone sanzioni a carico delle imprese che non rispettano un principio fondamentale della remunerazione, vengono sollevate obiezioni motivate con il principio di sussidiarietà, come se questo giustificasse la disparità.

La settimana scorsa ho partecipato alla conferenza ministeriale a Lilla. Ho apprezzato il tentativo della presidenza francese di discutere di questo argomento, ma dagli Stati membri sono venute ben poche risposte costruttive finalizzare alla ricerca di soluzioni. I dati statistici dimostrano che le disparità retributive a scapito delle donne cominciano perlopiù dopo la nascita del primo figlio.

Le politiche nazionali ed europee tese a conseguire un equilibrio tra le responsabilità familiari e le ambizioni professionali non dovrebbero permettere l’insorgere di nuove differenze tra i dipendenti con responsabilità familiari e quelli non coniugati o senza figli e che non hanno quindi simili responsabilità. Questa è prima di tutto e soprattutto una questione connessa con il modello sociale al quale miriamo.

Propongo di coalizzarci con le imprese industriali. Se i dirigenti di quelle imprese non sono disponibili a lavorare in stretta collaborazione con noi per promuovere la parità retributiva, la nostra relazione finirà chiusa in un cassetto.

 
  
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  Lissy Gröner, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, mi sorprende che le donne abbiano ancora così tanta pazienza nei nostri confronti. Sono cinquant’anni che parliamo di disparità retributiva e non c’è stato alcun cambiamento significativo. Le cifre parlano da sé: 15 per cento di stipendio in meno per lo stesso lavoro. Questo fatto priva le donne di una retribuzione equa perché, se consideriamo la questione dalla prospettiva opposta, concludiamo che le donne sono costrette a lavorare una volta e un quarto di più degli uomini per guadagnare gli stessi soldi. A che punto siamo nell’Unione europea?

Gli Stati membri devono fare di più a tale riguardo, e sono grata al commissario Špidla per aver accolto qui in aula le nostre proposte e aver dimostrato la volontà di attivarsi in campo legislativo. E’ evidente che non ci sono alternative. In Germania, uno dei paesi più grandi dell’Unione europea, il differenziale retributivo nel settore privato è del 23 per cento – una situazione inaccettabile, che ci colloca agli ultimi posti della graduatoria comunitaria.

Sappiamo benissimo che la Francia e i paesi scandinavi hanno adottato misure positive. E’ così che bisogna fare. Noi invitiamo le parti sociali a passare all’azione, e il gruppo socialista al Parlamento europeo chiede trasparenza nelle imprese affinché le indennità aggiuntive siano indicate con chiarezza e possano essere conteggiate nelle valutazioni ufficiali, in modo da tenerle sotto controllo. Regolari audizioni su questioni retributive possono mettere in luce i successi ma anche i fallimenti nella lotta contro la discriminazione salariale.

A mio parere, in Germania sarà inevitabile approvare una legge per il settore privato. Dobbiamo esercitare maggiore pressione sugli Stati membri affinché introducano uno stipendio minimo obbligatorio, al fine di garantire alle donne la certezza di avere una retribuzione che permetta loro di sostentarsi, perché questa è la migliore difesa dalla povertà in età avanzata.

Ad ogni modo, per mantenere la chiarezza su questo punto nella relazione Bauer, invito il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei a ritirare i propri emendamenti, che cancellerebbero queste disposizioni e annacquerebbero ulteriormente il testo. Manteniamo la chiarezza di formulazione della relazione nella sua versione attuale.

 
  
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  Siiri Oviir, a nome del gruppo ALDE. (ET) Signor Commissario, signor Presidente, onorevoli colleghi, la relatrice onorevole Bauer ha affermato che la povertà ha il volto di donna. Devo ribadire che già nel 1957 l’articolo 119 del trattato di Roma sanciva il principio secondo cui uomini e donne devono ricevere uguale retribuzione per uguale lavoro. Oggi, invece, nel 2008, le donne dell’Unione europea guadagnano in media il 15 per cento in meno degli uomini e nel mio paese, l’Estonia, persino il 25 per cento in meno.

La disparità retributiva influenza in misura significativa la posizione della donna nella vita economica e sociale, sia durante che dopo il periodo di attività lavorativa. Essa inoltre aumenta il rischio delle donne di finire in povertà, soprattutto nelle famiglie monoparentali. Non di rado la disparità retributiva comporta differenze tra le pensioni degli uomini e quelle delle donne. Le pensionate sole sono spesso a rischio di povertà.

Per tali motivi, sono favorevole alla posizione sostenuta nella relazione, cioè che la Commissione europea presenti una proposta legislativa per sottoporre a valutazione la legislazione vigente sotto il profilo dei principi della parità retributiva per uomini e donne entro il 31 dicembre 2009. Abbiamo approvato troppe norme e atteso troppo a lungo, ma i risultati non sono molto buoni.

Come il tempo ha dimostrato, questo problema non può essere risolto soltanto a colpi di diritto comunitario. Per contribuire a risolvere il problema, sarebbe molto importante riconoscergli la priorità nei piani politici d’azione. Solo una proficua combinazione di politiche, che comprenda norme migliori e più efficaci e individui i soggetti responsabili, permetterà di trovare una soluzione positiva al problema.

Desidero ringraziare la relatrice per aver messo in evidenza, nel suo documento, aspetti molto importanti, e vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Hiltrud Breyer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, è proprio vero che, cinquant’anni dopo la firma dei trattati di Roma, abbiamo fatto pochi progressi nel campo della parità per le donne sul mercato del lavoro. Le cifre delineano un quadro allarmante: l’80 per cento dei lavoratori a tempo parziale sono donne e solo il 57 per cento delle donne hanno un lavoro, rispetto al 72 per cento degli uomini. La disparità retributiva è pertanto rimasta stabile dal 2003 e ha registrato una variazione di solo l’1 per cento dal 2000. Queste sono cifre allarmanti, che noi tutti qui deploriamo. Abbiamo anche citato il fatto che le donne sono doppiamente svantaggiate perché la disparità retributiva si traduce in differenze dei diritti pensionistici e degli standard sociali; inoltre, abbiamo anche un sistema fiscale e sociale che continua a penalizzare le donne perché, ad esempio, le coppie non sposate e le famiglie a doppio reddito sono tuttora svantaggiate in molti regimi fiscali, tra cui quello tedesco.

La Commissione ha detto che arriveranno proposte legislative; va bene, ma perché così tardi? Perché sono passati così tanti anni, durante questa legislatura, senza che fosse avanzata alcuna proposta? Come Parlamento abbiamo già chiesto proposte; sulle quote, abbiamo detto che ci dovrebbero essere requisiti giuridici. Alcuni Stati membri, come la Svezia, hanno fissato obiettivi da raggiungere entro un determinato periodo di tempo. Perché non profittiamo dei requisiti di genere per incoraggiare gli Stati membri a impegnarsi per cancellare questo vergognoso divario retributivo? La Germania, come è già stato rilevato, è purtroppo al terzultimo posto, con un deplorevole divario retributivo del 23 per cento. Dobbiamo inoltre dire con chiarezza che un salario minimo obbligatorio porterà cambiamenti soprattutto nei settori in cui sono impiegate in maggioranza donne. Tuttavia, dobbiamo anche avere il coraggio di mettere in chiaro che…

(Il presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) La svalutazione del lavoro a causa di bassi livelli salariali continua a essere uno degli strumenti cui il capitalismo ricorre più di frequente per sfruttare viepiù i lavoratori. Tale fenomeno interessa specialmente le lavoratrici e comporta quindi anche una svalutazione della maternità.

E’ inaccettabile che, oltre trent’anni dopo l’approvazione di una direttiva sulla parità di retribuzione tra uomini e donne, la discriminazione resti a un livello elevato, in particolare la discriminazione indiretta, che deriva dalla mancanza di stabilità del lavoro e tocca soprattutto le donne e i giovani. In alcuni paesi, tra cui il Portogallo, la disoccupazione è molto alta e le differenze retributive tra uomini e donne in media sono cresciute, arrivando a superare il 25 per cento nel settore privato. Ciò significa che la povertà continua ad avere un volto di donna, anche tra i pensionati.

La Commissione europea e gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per aumentare il valore del lavoro, superare le differenze salariali ed eliminare gli stereotipi legati ai lavori e ai settori che discriminano sempre le donne. Le professioni e i settori a prevalente presenza femminile, come la vendita al dettaglio, i servizi e alcuni comparti industriali, meritano una maggiore considerazione.

L’esperienza dimostra che l’aumento della disoccupazione indebolisce i diritti delle donne, incrementa lo sfruttamento dei lavoratori e accresce la discriminazione.

Insistiamo quindi affinché sia attuata una politica nuova, che dia la priorità ai lavori con diritti riconosciuti, alla lotta contro la discriminazione e alla tutela della maternità e paternità come valori sociali fondamentali.

Per tali motivi appoggiamo la relazione, alla quale abbiamo proposto alcuni emendamenti per sottolineare che le contrattazioni e negoziazioni collettive possono svolgere un ruolo importante per contrastare la discriminazione delle donne, anche per quanto riguarda l’occupazione, la retribuzione, le condizioni di lavoro, la progressione di carriera e la formazione professionale.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, la proposta di relazione sulla parità retributiva tra donne e uomini prevede giustamente alcune disposizioni a sostegno della parità di retribuzione per lavori di pari valore. L’uguaglianza di retribuzione è necessaria, così come lo è una remunerazione adeguata dei lavori svolti in prevalenza da donne a causa delle loro predisposizioni psichiche e fisiche.

L’effetto delle norme che sono state sancite in una miriade di documenti assurdamente reiterati dipende senz’altro da una loro efficace applicazione nei singoli Stati membri. L’applicazione, però, può rivelarsi molto difficile nel settore privato, che è predominante e nel quale la maggioranza dei dirigenti sono interessati più di tutto ai profitti delle loro imprese, non hanno alcun rispetto dei principi etici e morali e allo stesso tempo impediscono l’intervento dei sindacati, che potrebbero difendere i lavoratori e partecipare alle contrattazioni salariali. Il problema della disparità retributiva è quindi un elemento di discriminazione contro i più deboli.

Non occorre essere studiosi o esperti per rendersi conto del fatto che la discriminazione è più di tutto il risultato dell’ideologia materialistica di sinistra, della mancata attuazione di principi etici, dell’assenza di uno sviluppo personale, dell’egoismo, dell’avidità, del voler profittare dei deboli e dei poveri, e non solo dal punto di vista salariale ma anche dal punto di vista di una pratica che si sta diffondendo nell’Unione europea, persino nei suoi paesi più poveri e più deboli, e consiste nella discriminazione dei cattolici e delle persone con opinioni diverse giudicate non politicamente corrette.

 
  
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  Gabriele Stauner (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il fatto che le donne siano tuttora pagate meno degli uomini per lo stesso lavoro è un triste capitolo in questa nostra Comunità europea.

Invero, ciò è del tutto incomprensibile, perché sotto il profilo giuridico la situazione è perfettamente chiara. Dalla fondazione della Comunità, nel 1957, come è già stato ricordato più volte, questo principio è sancito nei trattati di Roma come un diritto direttamente applicabile. In altri termini, qualsiasi donna può rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia delle Comunità europee per chiedere l’attuazione di tale diritto; questo è il massimo grado di tutela giuridica offerta dall’Unione europea. Nondimeno, sul piano dell’attuazione abbiamo mancato l’obiettivo, mediamente, in misura pari al 20 per cento. E’ quindi essenziale, come proposto dalla Commissione, applicare il principio per mezzo della legislazione secondaria.

Ciò detto, questa situazione rivela una volta di più che esiste una differenza tra la legge e la vita reale. Spesso, le persone che dipendono dal loro lavoro e dal loro stipendio – e molte di esse sono donne – semplicemente non osano rivendicare i propri diritti fondamentali, per timore di perdere il lavoro. Quindi, non possiamo limitarci soltanto a chiedere nuovamente che sia accertata la responsabilità delle imprese, perché è una semplice questione di decenza che le donne non siano trattate peggio degli uomini dal punto di vista retributivo. E quando non bastano le parole, ci vogliono i fatti; sono pertanto favorevole a sanzioni severe e consistenti contro chi viola la legge. Spetta in particolare agli Stati membri prendere finalmente sul serio questo problema e denunciare e punire, ad esempio attraverso le norme sugli appalti pubblici, le imprese che non si attengono a tale principio.

Solo una parola di critica nei confronti della Commissione: forse, in questo caso il processo è stato troppo lento e avete riservato troppa attenzione alle imprese. Mi congratulo con l’onorevole Bauer per la sua relazione.

 
  
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  Teresa Riera Madurell (PSE). - (ES) Signor Presidente, signor Commissario, anch’io desidero complimentarmi con la relatrice per il lavoro che ha svolto. Si tratta di una relazione di grande rilevanza, dato che il divario retributivo nell’Unione europea è una realtà che va eliminata. E’ intollerabile che le donne guadagnino il 15 per cento in meno degli uomini e che nel settore privato questa differenza possa arrivare al 25 per cento.

Il divario retributivo è difficile da contrastare perché deriva da una discriminazione indiretta: i lavori più precari e la maggior parte dei lavori a tempo parziale sono svolti da donne.

Cosa dobbiamo fare? In linea di principio, dobbiamo promuovere le politiche per le pari opportunità che mirano ad armonizzare gli impegni lavorativi con la vita familiare, nonché le politiche volte a ridurre il numero dei posti di lavoro meno retribuiti, che sono perlopiù appannaggio delle donne, e a retribuirli meglio.

Quindi, tra le raccomandazioni formulate nella relazione, che sono tutte molto importanti, vorrei evidenziare la richiesta di emendare la direttiva sull’applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne nel campo dell’occupazione e del lavoro inserendo riferimenti al divario retributivo, come pure la richiesta di emendare l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, perché è lì che le differenze sono maggiori.

 
  
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  Marco Cappato (ALDE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei dire al Commissario Špidla che, oltre a prendere in considerazione le ottime proposte di questo rapporto della onorevole Bauer, nel caso si possa procedere a una normativa a livello di Unione europea contro le discriminazioni salariali, credo che a giusto titolo vadano incluse le discriminazioni che riguardano la pensione, anche in una forma più sottile, indiretta, ma particolarmente odiosa in un paese come l'Italia.

E riguarda la discriminazione sull'età pensionabile, una questione della quale la Commissione europea si è già interessata, e credo che dobbiamo dargliene atto. Già dal 2004 la Commissione europea aveva sottolineato al governo italiano come fosse inaccettabile un'età pensionabile diversificata: 60 anni per le donne, 65 anni per gli uomini, l'età diciamo ordinaria più comune. Bene, abbiamo come radicali con Emma Bonino, in ogni modo cercato di sottolineare all'opinione pubblica, al governo, all'opposizione e ai partiti, come questa struttura fosse da eliminare. Non è stato fatto.

Grazie alla Commissione europea, la Corte di giustizia finalmente il 13 novembre ha statuito sull'illegittimità, sulla violazione dei trattati delle regole comunitarie di questa discriminazione. La cosa più grave è il tipo di ragionamento che l'Italia ha presentato in difesa di questa discriminazione, dicendo che era giustificata con l'obiettivo di eliminare le discriminazioni che esistono contro le donne nel contesto socioculturale - cioè esiste una discriminazione sul mercato del lavoro - per rimediare a questa discriminazione se ne crea un'altra, facendole andare in pensione prima degli uomini. Anche questa misura in particolare, credo bisogna intervenire, perché a livello europeo possa essere eliminata.

 
  
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  Eva-Britt Svensson (GUE/NGL). - (SV) Signor Presidente, voglio prima di tutto ringraziare l’onorevole Bauer per la sua importante e costruttiva relazione, che appoggio pienamente. In secondo luogo, un collega ha affermato poco fa che le donne sono deboli. Vorrei dire che le donne non sono affatto deboli per loro natura; sono piuttosto le strutture patriarcali della società a renderle tali.

La direttiva europea sulla parità di retribuzione è in vigore da trent’anni. Ciononostante, le donne continuano a non avere lo stesso valore degli uomini – né in termini di retribuzione né in termini di influenza – né nella società né sul posto di lavoro. Pur essendo, di solito, più istruite, le donne guadagnano in media il 15 per cento in meno per lo stesso lavoro o per un lavoro simile. E’ quindi evidente che non basterà migliorare la legislazione vigente per risolvere il problema della discriminazione retributiva. Le differenze salariali tra donne e uomini non sono altro, a ben guardare, che un’ulteriore dimostrazione della perdurante discriminazione delle donne in tutti gli ambiti. Non solo riceviamo un salario inferiore a parità di lavoro; molto spesso siamo anche costrette ad accettare lavori atipici o lavori a tempo parziale o simili. La discriminazione retributiva perseguita le donne durante tutta la vita, perché non di rado percepiamo pensioni più basse e godiamo di condizioni meno favorevoli quando invecchiamo.

Un’azione comune per mettere fine a questa discriminazione contro le donne non è più rinviabile.

 
  
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  Godfrey Bloom (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, purtroppo la maggior parte dei politici sono vittima di un malinteso di fondo per quanto attiene alle cause del divario retributivo esistente tra i generi. La premessa di base, per quanto sbagliata, perpetua il mito secondo cui l’occupazione è un fenomeno guidato dalla domanda e regolato dai datori di lavoro. Non è così. Chi sostiene che tutte le donne dovrebbero ricevere la stessa paga degli uomini sulla base di presunte somiglianze nella descrizione delle mansioni lavorative non si rende conto del fatto che nessun individuo è un’entità economica.

Se, a dispetto di una legislazione già sovrabbondante in materia di lavoro, peraltro redatta di solito da persone con scarsa o nulla esperienza imprenditoriale, il divario retributivo persiste tuttora è per un motivo molto semplice: l’occupazione dipende dalla domanda e dall’offerta; riguarda le scelte dello stile di vita; è spesso basata su priorità, sull’ambizione di andare in pensione presto, sul desiderio di vivere in determinate zone di un paese o di una città; è soggetta alle pressioni legate agli hobby o agli sport praticati, o a una combinazione di questi fattori. Il datore di lavoro e il dipendente concludono un accordo di reciproca soddisfazione, allo stesso modo del venditore e del compratore di una merce qualsiasi.

La Equality and Human Rights Commission del Regno Unito dà lavoro sostanzialmente più a donne che a uomini e la retribuzione media dei suoi dipendenti è superiore a quella delle dipendenti. Anche secondo me la legislazione passata ha avuto un impatto limitato su queste dinamiche. Sì, tanto vale approvare leggi contrarie a...

(Il presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Signor Presidente, signor Commissario, mi fa molto piacere che questa discussione “al femminile” si svolga sotto la sua presidenza.

Apprezzo l’impegno profuso dalla relatrice onorevole Bauer per formulare in modo equilibrato la proposta di raccomandazione alla Commissione e migliorare il quadro giuridico comunitario, soprattutto in vista di una sua efficace applicazione.

A causa di trasposizioni, applicazioni e interpretazioni divergenti a livello nazionale, la direttiva che sancisce il principio della parità retributiva tra uomini e donne non è riuscita a eliminare il divario retributivo tra i generi, che dipende prevalentemente dai livelli di segregazione professionale.

Apprezzo che la relatrice abbia sottolineato, nel suo documento, che la maternità non dovrebbe essere penalizzante per le donne che hanno deciso di interrompere la loro carriera professionale per accudire i figli. In tutti gli Stati membri i genitori dovrebbero ricevere, per un periodo minimo di un anno dopo la nascita del figlio, aiuti volti a garantire lo stesso reddito netto che percepivano prima dell’inizio del congedo di maternità; allo stesso tempo, queste previdenze dovrebbero essere collegate a un sistema retributivo che tenga conto del numero di anni di lavoro ai fini della determinazione dei livelli salariali. La maternità dovrebbe avvantaggiare, non penalizzare le donne.

Altrettanto importante è l’istruzione, perché può contribuire a eliminare gli stereotipi di genere e a migliorare la retribuzione dei pochi posti e incarichi retribuiti che non sono ancora occupati da donne.

Gli Stati membri devono fare un’ampia campagna d’informazione allo scopo di sensibilizzare i datori di lavoro e i dipendenti sull’esistenza di potenziali differenze retributive nel mercato del lavoro dell’Unione europea. Allo stesso tempo, i datori di lavoro e i dipendenti devono essere informati sulle misure fondamentali che sono state adottate al fine di garantire che i datori di lavoro vengano sanzionati qualora violino il principio della parità di stipendio a parità di lavoro.

Grazie alla raccomandazione formulata dal Parlamento europeo in questa relazione, per la quale mi congratulo con la sua autrice, l’onorevole Bauer, ritengo che la Commissione europea, di concerto con il nostro Parlamento e gli Stati membri, redigerà norme capaci di garantire effettivamente la parità retributiva tra uomini e donne.

 
  
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  Gabriela Creţu (PSE).(RO) Onorevoli colleghi, la relazione in esame è forse il nostro documento più serio sul tema del divario retributivo. In particolare, le raccomandazioni che lo accompagnano costituiscono un passo avanti nell’applicazione, da lungo attesa, del principio della parità retributiva per lavori di pari valore. Mi congratulo con coloro che hanno contribuito alla redazione del documento. Finora il lavoro è stato valutato sulla base della tradizione e della capacità di negoziare. Quando dico “negoziare”, penso al coinvolgimento di sindacati potenti, in grado di far accettare ai governi e ai datori di lavoro retribuzioni adeguate. Entrambi questi criteri hanno penalizzato le donne.

C’è bisogno di un sistema non discriminatorio di valutazione del lavoro e di un nuovo modo di classificare le professioni. Invitiamo gli Stati membri e la Commissione ad adottare finalmente misure specifiche a favore della parità di genere. Ci auguriamo che lo facciano pubblicamente, sostenendo alla fine di questo mese a Parigi la clausola più favorevole alle donne europee. Ma non dobbiamo farci illusioni: anche quando il nuovo sistema sarà stato definito e messo in pratica, si riferirà soltanto al lavoro retribuito, mentre i lavori domestici e il lavoro nero continueranno a essere svolti prevalentemente da donne e senza alcun divario retributivo, dato che per questi lavori le donne la retribuzione non la ricevono proprio.

 
  
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  Věra Flasarová (GUE/NGL). – (CS) Signor Commissario, onorevoli colleghi, ritengo che la relazione dell’onorevole Bauer sia un grande successo. La disparità retributiva tra uomini e donne è una delle forme più ostinate di discriminazione contro le donne. Come ha detto l’onorevole Bauer, mancano dati statistici affidabili sui posti di lavoro sia a livello nazionale sia a livello comunitario. Anch’io mi sono occupata di questa tematica nei numerosi libri e articoli che ho pubblicato negli scorsi anni. La minore retribuzione per le donne che fanno lo stesso lavoro e hanno la stessa qualifica e la stessa produttività dipende, purtroppo, da stereotipi fortemente consolidati su chi dovrebbe mantenere la famiglia.

Il compito di sostentare la famiglia è tradizionalmente affidato agli uomini, e finora tutte le strutture occupazionali, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, sono state più o meno conniventi. E’ profondamente radicata l’opinione che l’uomo debba mantenere con il proprio stipendio non solo sé stesso ma anche la propria famiglia, mentre lo stipendio della donna è visto soltanto come un “di più”, un’aggiunta al bilancio familiare.

Per incredibile che possa sembrare, questa illusione è così saldamente radicata che neppure l’attuazione delle pari opportunità sul posto di lavoro è garanzia di un progresso culturale, al contrario: dobbiamo purtroppo trovare modi per imporre la parità a suon di leggi. Sono perciò senz’altro favorevole all’inserimento nell’articolo 29 della direttiva 2006/54 di precise istruzioni sull’applicazione dei principi di parità.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, signor Commissario, la relazione dell’onorevole Bauer non necessita di ulteriori commenti da parte nostra, dato che indica già chiaramente quale strada dobbiamo percorrere per eliminare un fenomeno di cui la società dovrebbe vergognarsi e che perpetua un ciclo di ingiustizie; un fenomeno per cui i figli vedono la madre fare lo stesso lavoro del padre ma a uno stipendio inferiore, le lavoratrici vedono i loro colleghi maschi lavorare come loro ma ricevere una retribuzione superiore.

La società, quindi, tollera questo fenomeno e lo riproduce, mentre le donne dovrebbero disporre di strumenti legislativi che consentano loro di correggere le situazioni in cui si trovano, se e quando ciò è necessario, e i poteri dello Stato dovrebbero introdurre misure adeguate che tengano conto dei periodi dedicati alla famiglia e dei periodi di disoccupazione e di malattia e prevedano una tassazione equa per compensare l’ingiusta retribuzione delle donne per il lavoro che svolgono, un lavoro che andrebbe giudicato non solo in base al tempo dedicatogli ma anche in base alla sua qualità e agli elementi aggiuntivi che una donna apporta alla propria attività professionale.

Rinnovo, signor Commissario, l’invito lanciatole dall’onorevole Cappato affinché, come Commissione, rivediate la vostra posizione sulle controversie con alcuni Stati membri riguardo all’età pensionabile per uomini e donne; il paese interessato da tali controversie è stato portato davanti alla Corte di giustizia europea. Le controversie riguardano modifiche dell’età pensionabile per tutte le donne, a prescindere dal fatto che siano madri oppure no; ma certamente per le lavoratrici madri è ancora più importante che si tenga conto del tempo complessivo, soprattutto quando si chiede che il calcolo dell’anzianità di lavoro comprenda l’intero ciclo di vita.

(Il presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). - (PL) Signor Presidente, nell’Unione europea le donne guadagnano in media dal 15 al 25 per cento in meno degli uomini. Inoltre, il sistema retributivo che stabilisce i livelli salariali sulla base degli anni di servizio è sfavorevole per le donne, che spesso devono interrompere la carriera per dedicarsi alla famiglia. L’educazione dei figli, cambiamenti del posto di lavoro e orari di lavoro ridotti mettono le donne in una condizione di costante ritardo strutturale. Il principio della parità di retribuzione a parità di lavoro non può essere distorto da un approccio fondato su stereotipi ai ruoli sociali e di genere che in passato hanno influenzato pesantemente le scelte professionali e formative delle persone, mentre il congedo per maternità o per motivi familiari non può fungere da pretesto per discriminare le donne sul mercato del lavoro.

La direttiva sull’attuazione delle pari opportunità e della parità di trattamento di donne e uomini nel settore dell’occupazione e del lavoro è un elemento irrevocabile dell’acquis communautaire, e gli Stati membri la devono implementare quanto prima possibile. L’obiettivo di ridurre il divario retributivo deve trovare piena attuazione nelle norme in materia di occupazione; inoltre, attraverso audizioni regolari sulla parità retributiva e la minaccia di sanzioni si dovrebbe porre fine a ogni genere di discriminazione, soprattutto a quella fondata sul genere.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE). - (NL) Signor Presidente, sono grata all’onorevole Bauer per la sua ottima relazione. C’è da non crederci che oggi discutiamo di un argomento che è all’ordine del giorno addirittura dal 1957, quando la parità di trattamento tra uomini e donne, la parità di retribuzione tra uomini e donne sono state sancite nei trattati. Sono trent’anni che abbiamo norme e leggi europee; la Commissione europea ha predisposto un piano d’intervento per il periodo 2006-2010 e uno degli obiettivi chiave, previsto anche dalla strategia di Lisbona, consiste nel ridurre il divario retributivo tra uomini e donne.

Ciononostante, esso non si sta riducendo. Sabato scorso, The Times riportava infatti la notizia che nel Regno Unito il differenziale salariale tra uomini e donne è cresciuto al 21,7 per cento nel settore privato e al 13,8 per cento nel settore pubblico. Né si vedono segnali di miglioramento in altri Stati membri, compreso il mio: nella relazione sulle questioni di genere relativa ai Paesi Bassi, il World Economic Forum rivela che essi si collocano soltanto all’88o posto per quanto riguarda la parità di retribuzione a parità di lavoro.

E’ quindi necessario passare all’azione. Venerdì i ministri francese, ceco e svedese hanno adottato un piano d’azione. Ma di quanti altri piani d’azione ci sarà bisogno? Nella sua risoluzione, l’onorevole Bauer propone un gran numero di raccomandazioni, il che va benissimo; a mio modo di vedere, però, ci sono due priorità. In primo luogo, dobbiamo garantire che la parità di trattamento sia tradotta in pratica e sia oggetto di controlli ancora più severi – parità retributiva per uomini e donne come fondamento di tutti i nostri sistemi di previdenza sociale. In secondo luogo, e credo veramente che questo punto debba essere portato alla sua attenzione, tra uomini e donne esiste anche un divario pensionistico. La popolazione sta invecchiando, e se le donne non hanno una pensione, la situazione sarà molto triste. E’ su questo che ci dovremo concentrare in futuro.

 
  
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  Marusya Ivanova Lyubcheva (PSE). – (BG) Mi fa piacere che stiamo discutendo di questa relazione. E’ intollerabile che ci siano tuttora sperequazioni salariali tra uomini e donne. Ma non dobbiamo restringere la nostra discussione alla questione della parità di salario a parità di lavoro; dobbiamo assumere un’ottica più ampia. La natura individuale del lavoro sta alla base di tutte le attività, ed è importante sia trovare una maniera oggettiva di determinarne il valore secondo regole, criteri e indicatori chiari che permettano una maggiore obiettività, sia eliminare la discriminazione per mezzo di misure legislative chiare. Uno strumento importante è quello di valutare gli impieghi e i lavori e stabilirne il prezzo. La bassa remunerazione di alcuni impieghi li rende poco appetibili, con il risultato che di solito gli uomini li evitano mentre le donne li prendono. Modificare questa realtà significherebbe contribuire a una maggiore indipendenza economica delle donne. La scarsa remunerazione, ad esempio, dei servizi forniti da infermiere o insegnanti non è accettabile perchè non corrisponde affatto alla loro importanza per lo sviluppo della società. In questo campo anche la Commissione e gli Stati membri hanno obblighi da adempiere.

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE-DE). - (SL) Onorevoli colleghi, vorrei dire anzitutto che, personalmente, ritengo alquanto inaccettabile che le donne guadagnino in media il 15 per cento in meno degli uomini e che nel settore privato questa differenza sia addirittura del 25 per cento. Al riguardo desidero sottolineare che anche nel mio paese, la Slovenia, le donne non sono meno istruite degli uomini, e quindi è necessario darsi da fare. Probabilmente molti si chiedono perché sia necessario agire a livello europeo e perché il compito di trovare una soluzione a questo problema non possa essere lasciato agli Stati membri. Uno dei motivi è che ci vuole troppo tempo per ridurre queste differenze, e un altro motivo è che nella maggior parte degli Stati membri troppo poche donne sono impegnate in politica perché si presti la dovuta attenzione ai problemi legati al genere.

Una minoranza è in grado di richiamare l’attenzione sui propri problemi in modo credibile se, in una data istituzione, come un parlamento o un governo, può contare su almeno il 30 per cento del totale. E ci sono molti paesi europei nei quali la rappresentanza femminile in politica è inferiore al 30 per cento. La percentuale media di donne nei governi e nei parlamenti degli Stati membri è inferiore al 30 per cento. Nel Parlamento europeo le donne rappresentano il 31 per cento dei deputati, con una quota, dunque, un po’ superiore alla massa critica di cui abbiamo bisogno per dare un’efficace visibilità ai problemi legati al genere. Ecco perché dobbiamo agire a partire da qui.

Un altro interrogativo che mi sono posta è se le misure proposte siano troppo rivoluzionarie e se siano in contrasto con il principio di sussidiarietà. In proposito concordo con la relatrice laddove dice che la legislazione non è abbastanza efficace e che potrebbe e dovrebbe essere rafforzata. Le nostre proposte devono essere audaci e devono rappresentare un valido punto di partenza per la definizione di politiche concrete. Appoggio la proposta della relatrice secondo cui la Commissione dovrebbe preparare entro il 31 dicembre del prossimo anno una nuova proposta legislativa sulle norme vigenti in materia di parità di retribuzione per uomini e donne. Concludo congratulandomi con la relatrice per l’accurato documento che ci ha sottoposto.

 
  
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  Iratxe García Pérez (PSE).(ES) Signor Presidente, due mesi fa abbiamo discusso, in questa stessa aula, la relazione annuale sulla parità tra donne e uomini. Uno degli aspetti più preoccupanti sottolineato in quella occasione è ora l’argomento della discussione odierna, ossia il divario retributivo tra uomini e donne.

Trovo inquietante che, dal 2003 a oggi, non siamo riusciti a ridurre questo divario, pari al 15 per cento. Ciò significa che una donna deve lavorare 52 giorni in più all’anno rispetto a un uomo per avere lo stesso stipendio.

Si tratta di una situazione assolutamente inaccettabile nell’Unione europea; quindi, senza alcuna ombra di dubbio, dobbiamo sia adottare norme più stringenti sia concludere accordi più forti con i datori di lavoro per cercare di eliminare il divario retributivo.

Tra breve, però, ci dovremo occupare anche di un’altra questione problematica in tale contesto. Il mese prossimo, infatti, discuteremo della direttiva sull’orario di lavoro, che potrebbe rivelarsi anch’essa un fattore preoccupante sotto il profilo della conciliazione tra impegni familiari e attività lavorativa, che è sicuramente un aspetto molto delicato della tematica del lavoro. Attendiamo perciò con ansia la discussione al riguardo.

 
  
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  Rumiana Jeleva (PPE-DE). - (BG) Mi congratulo con l’onorevole Bauer per l’eccellente lavoro che ha compiuto elaborando le raccomandazioni sulla parità retributiva tra uomini e donne. So che ha profuso un grande impegno per redigere questo documento, che prende in considerazione, quanto più possibile, la situazione reale. Auspico che le raccomandazioni formulate nella relazione siano messe in pratica.

Nel mio paese, la Bulgaria, il divario retributivo tra uomini e donne è compreso tra il 25 e il 30 per cento, e anche se la situazione complessiva dell’Unione europea registra un differenziale inferiore, resta comunque il fatto che le donne sono pagate meno degli uomini. Perché? Uno dei motivi risiede nella struttura salariale di alcuni impieghi con un’alta percentuale di lavoratrici donne. Un altro motivo consiste nel fatto che nessuno si sente responsabile di questa situazione e, pertanto, nessuno si sente responsabile di risolverla. Gli stereotipi e i pregiudizi, tuttora profondamente radicati, sulla distribuzione del lavoro tra i generi non solo rappresentano un ostacolo, ma spesso sono usati anche come pretesto per ignorare i problemi.

Cosa possiamo fare in tali circostanze? In primo luogo, come constata la relazione, è imperativo che gli Stati membri si adeguino alla legislazione vigente. Le polizie nazionali devono promuovere l’applicazione delle pari opportunità e della parità retributiva. In secondo luogo, la trasparenza nell’opera di valutazione e nella fissazione dei livelli salariali deve diventare un aspetto integrante, e non semplicemente formale, del lavoro nelle imprese. Infine, incoraggiare il dialogo interno e buone comunicazioni tra la dirigenza e i dipendenti, soprattutto nelle piccole e medie imprese, deve diventare parte di una cultura realmente nuova sia nelle singole società europee sia nell’Europa nel suo complesso.

Rinnovo all’onorevole Bauer le mie congratulazioni per la competente presentazione dei problemi e delle soluzioni che ha delineato. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, la ringrazio per questa discussione. Vorrei sollevare una questione sulla quale poi potrebbe intervenire la Commissione. Stiamo parlando della parità di retribuzione a parità di lavoro, e tutti vogliamo e desideriamo che ciò avvenga. Qual è la posizione della Commissione riguardo all’attuale situazione occupazionale? Ho il timore che, con tutti i posti di lavoro che vengono cancellati nei paesi dell’Unione europea, le condizioni per affrontare tale questione peggiorino, invece di migliorare, perché la gente vuole soltanto avere uno stipendio, anche se esso è inferiore al valore reale del suo lavoro. Mi piacerebbe che la Commissione replicasse a questa osservazione.

Voglio poi parlare di un aspetto della discriminazione che sicuramente esiste tra uomini e donne: le grandi differenze tra le condizioni di lavoro nel settore pubblico e quelle nel settore privato. I lavoratori dei due settori hanno diritti pensionistici e previdenziali diversi, e talvolta le differenze non dipendono semplicemente dal genere. So bene, comunque, che la relazione in discussione riguarda le discriminazioni di genere, e mi preoccupa molto che, stante l’attuale situazione, il problema possa acuirsi invece di migliorare.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE).(RO) Signor Presidente, signor Commissario, tra le retribuzioni delle donne e quelle degli uomini che fanno lo stesso lavoro c’è una differenza del 15 per cento. A livello manageriale, la percentuale sale al 20 e persino al 30 per cento, come nel caso dei dirigenti di piccole e medie imprese.

Il 28 per cento delle ricercatrici nell’industria e solo il 34 per cento delle donne che lavorano nell’industria hanno più di un figlio.

Signor Commissario, la percentuale media annua sulla cui base è calcolata l’indennità per i congedi di maternità registra una perdita finanziaria durante tali periodi, nonostante l’importanza dei congedi di maternità dal punto di vista del benessere sociale. Le lavoratrici madri non devono essere penalizzate per aver avuto figli e averli accuditi nei primi mesi di vita.

Credo inoltre che l’indennità di maternità debba essere riconosciuta non soltanto alle donne che hanno lavorato nei dodici mesi precedenti la nascita del figlio. Non credo che sia colpa del bambino se sua madre ha lavorato o no durante quel periodo di tempo, ma soprattutto credo che non ci debbano essere discriminazioni tra i bambini sin dalla loro nascita.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). - (LT) Non posso che ripetere che già nel 1974 furono approvati testi che obbligavano gli Stati membri a dare agli uomini e alle donne la stessa retribuzione per lo stesso lavoro. Nonostante siano passati più di trent’anni, la situazione non è cambiata. Inoltre, nel mio paese, la Lituania, è stata avviata la riforma del sistema pensionistico. Una parte dei contributi versati dai lavoratori al fondo pensionistico statale viene ora trasferita a fondi di risparmio pensionistico privati. In pochi anni è diventato evidente che, per ricevere da questi fondi lo stesso importo annuale degli uomini, le donne devono versare il 35 per cento di contributi in più, perché vivono più a lungo. Inoltre, uscire da questi fondi è come uscire dalla schiavitù, nel senso che è impossibile, e già questo è, di per sé, una violazione dei diritti umani e della libertà di scelta. Oltre alla Lituania, solo la Bulgaria usa tale sistema fondato sul genere.

Dopo aver studiato questi casi, invito la Commissione a prendere l’iniziativa e proporre decisioni in merito.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signor Commissario, onorevoli colleghi, il fatto che le donne dell’Unione europea debbano lavorare quasi due mesi in più per avere la stessa retribuzione degli uomini è un fatto oltremodo allarmante. Anche se l’Europa sta morendo, l’unica cosa che possiamo fare è constatare che la discriminazione salariale contro le donne e le famiglie con prole arriva al 25 per cento, sebbene il numero delle donne con un’istruzione sia superiore a quello degli uomini, con un rapporto di 60:40. L’onorevole Bauer rileva che nelle cosiddette professioni maschili il lavoro delle donne è di norma sottovalutato, senza che ci sia alcun motivo oggettivo. Ma se il motivo di tale sottovalutazione è il fatto che le donne possono dedicare al lavoro meno anni rispetto agli uomini perché devono occuparsi della famiglie, allora è nostro dovere prenderlo in seria considerazione. La famiglia non deve essere uno svantaggio.

L’onorevole Bauer sta smuovendo le acque e le sue argomentazioni a sostegno di una revisione delle norme antidiscriminazione sono convincenti. Anch’io appoggio la proposta di far partecipare agli appalti pubblici e ai progetti finanziati con fondi comunitari le sole imprese che possono dimostrare di praticare una politica salariale non discriminatoria. Credo che sia questo il modo per cambiare gli stereotipi di genere dei datori di lavoro, soprattutto nel settore privato. Ringrazio la relatrice per l’alta professionalità della sua relazione.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE). - (PL) Signor Presidente, è naturale che nella discussione su questo importante argomento siano intervenuti soltanto due uomini. Nel caso dell’onorevole Bloom, le sue osservazioni erano così prettamente maschili che è difficile condividerle.

Ci stiamo tuttavia occupando di una relazione molto importante, una relazione dalla quale apprendiamo che il lavoro ha un grande valore, che il lavoro deve essere retribuito in maniera congrua e che la retribuzione dev’essere differenziata sulla base di criteri quali la natura del lavoro, l’efficienza della sua esecuzione e la capacità di creare valore aggiunto, ma non sulla base del genere. Tuttavia le cose stanno cambiando anche negli Stati membri; in proposito, mi sia consentito citare il caso del mio paese, dove solo di recente è stata introdotta una norma, ispirata dalla parità di trattamento tra i generi, che consente al padre di prendere il congedo per paternità. Ciò dimostra che è in atto un processo di convergenza e che siamo sulla strada giusta.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN). - (PL) Signor Presidente, le donne non ricevono la stessa retribuzione per lo stesso lavoro, ma se sono pagate meno è anche perché sono occupate in settori dove i livelli salariali sono più bassi e fanno lavori temporanei, di minore qualità. Un risultato della disparità retributiva è la disparità anche in termini di previdenza sociale, soprattutto di diritti pensionistici. Sia la minore retribuzione a parità di lavoro, sia il minor tempo che le donne possono dedicare al lavoro a causa delle responsabilità della maternità sono la causa della povertà che le affligge quando raggiungono l’età pensionabile. Ecco perché la disuguaglianza retributiva colpisce le donne doppiamente.

Vorrei far presente che la legge, di solito, vieta la discriminazione, ma nella pratica la discriminazione continua a esserci. La cosa principale da fare è dunque dare attuazione alla legge.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE). - (PL) Non ci sono ragioni per discriminare le donne sotto il profilo retributivo, e questa non è una tematica di cui si possa discutere. Tre brevi osservazioni: per motivi economici, la retribuzione dovrebbe corrispondere al risultato del lavoro sulla base del servizio fornito, indipendentemente da chi lo fa. Secondo punto: che piaccia o no, l’Europa sta invecchiando. Forse dovremmo riconoscere un bonus alle donne che fanno lo stesso lavoro degli uomini e contemporaneamente decidono di avere figli e allevarli, contribuendo così a mantenere il livello della popolazione. Terzo punto: un buon esempio a questo proposito sono le istituzioni accademiche, o quanto meno quelle di mia conoscenza, dove le opportunità sono uguali per tutti e la retribuzione dipende soltanto dai risultati ottenuti. Forse potremmo applicare questo modello anche ad altri settori.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE). (PL) Signor Presidente, mi aggiungo alle voci maschili intervenute nella discussione, che purtroppo sono state molto poche, ma hanno nondimeno riconosciuto l’importanza di discutere pubblicamente e di inserire nell’agenda politica una questione così importante come la retribuzione e la parità retributiva tra uomini e donne, che è una delle garanzie più rilevanti e uno dei diritti garantiti dalle legislazioni nazionali e dal diritto comunitario.

Posso dire che, come tutti, non ritengo che i livelli salariali debbano essere condizionati dal genere. Possono dipendere dal grado di istruzione e dall’esperienza, ma in nessun caso dal genere. Ho l’impressione che il diritto nazionale e quello comunitario in tale materia siano abbastanza soddisfacenti e, in taluni casi, anche molto validi, ma mi preoccupa il fatto che le leggi non siano attuate, non siano messe in pratica perché non esiste una prassi in tal senso. La Corte di giustizia europea ha affermato più e più volte che queste norme non sono applicate. Quindi il punto non è approvare altre leggi, bensì garantire che quelle esistenti siano rispettate.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, i divari retributivi denunciati in questa sede sono ancora più difficili da comprendere se si pensa che le giovani donne di oggi vantano risultati scolastici migliori degli uomini in tutti gli Stati membri, e che la maggioranza dei laureati sono donne.

Vorrei ad ogni modo sottolineare che esiste una solida base legislativa già dal 1975 e in particolare dal 2006, e che grazie ad essa tra il 1975 e il 1980 ho potuto incoraggiare le donne del mio paese che erano discriminate a far causa ai loro datori di lavoro, specialmente nel settore pubblico. Grazie a ciò, le donne hanno ricevuto centinaia di milioni di franchi lussemburghesi – la valuta in corso all’epoca – con effetto retroattivo.

Prima e più di tutto, quindi, dobbiamo applicare le buone norme vigenti, nonché migliorarle approvando le ottime raccomandazioni formulate dalla relatrice.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Onorevoli deputati, desidero esprimere la mia gratitudine per questa discussione, che ha affrontato una questione che è semplicemente inaccettabile. Non esiste alcun motivo, né reale né sostenibile, perché debba persistere una situazione nella quale le donne continuano a essere pagate mediamente meno degli uomini. Nella discussione avete citato un’amplissima gamma di approcci e tematiche che sono correlati con il divario retributivo, e mi pare che dalla discussione sia emersa con chiarezza la complessità della questione.

Vorrei affermare che questo tema è sull’agenda politica europea perché la Commissione se ne è occupata poco tempo fa in alcuni suoi documenti, e anche perché la Commissione sta procedendo a una specifica revisione potenziale delle norme attuali, oltre che, ovviamente, perché il Parlamento ha sollevato la questione grazie alla relazione dell’onorevole Bauer, alla quale rinnovo il mio apprezzamento. Ma un altro motivo è il fatto che, a Lilla, la troika dell’Unione europea non ha semplicemente annunciato bensì ha adottato un piano d’azione che inserisce questo punto nell’agenda di tre presidenze consecutive, cioè delle presidenze francese, ceca e svedese.

Onorevoli deputati, vorrei dire anche che, durante la discussione di Lilla, ai singoli Stati membri sono state sottoposte, oltre al piano d’azione, una serie di azioni concrete in questo campo, alcune delle quali, devo riconoscere, erano molto decise e, a mio parere, in grado di produrre risultati.

Onorevoli deputati, vi ringrazio nuovamente per avermi dato la possibilità di intervenire e per aver organizzato questa discussione. La Commissione è assolutamente disponibile a collaborare con il Parlamento in questa materia al fine di arrivare a una graduale eliminazione di una situazione ingiusta e insostenibile.

 
  
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  Edit Bauer, relatore. – (SK) Onorevoli colleghi, vi ringrazio per l’interessante discussione. Consentitemi alcune osservazioni. Primo: le norme da sole non bastano per risolvere questo problema. Come è già stato rilevato, ci sono molti motivi per adottare nuove leggi, ma ovviamente non è possibile risolvere alcuni problemi economici per mezzo della legislazione.

Anch’io penso che dovremmo senz’ombra di dubbio applicare meglio la normativa attuale. La lunga storia delle norme vigenti in materia ci rivela tuttavia chiaramente che esse non sono molto efficaci nella loro forma corrente. Legislazione a parte, non disponiamo di nessun altro strumento; ciò vuol dire che il nostro compito è evidentemente quello di contribuire a garantire che la legislazione vigente aiuti a risolvere questo annoso problema in modo tale da rendere più equo il mercato del lavoro.

Concludo con un’osservazione finale. Molti colleghi hanno sottolineato che il persistere di simili differenze è inaccettabile sotto il profilo dei diritti umani. Per parte mia desidero, invece, evidenziare un altro aspetto della questione, cioè i requisiti della concorrenza economica, perché la parità di retribuzione a parità di lavoro è prevista dal trattato di Roma come un requisito di una concorrenza economica equa. Credo che questa sia la risposta migliore ai colleghi che hanno affermato che il mercato del lavoro funziona secondo criteri diversi.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì, 18 novembre 2008.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. (EN) Il quadro giuridico comunitario in materia di parità retributiva tra uomini e donne è molto ampio. Il problema è la sua attuazione.

Siamo concordi sul fatto che la discriminazione salariale fondata sul genere è vietata dalla legislazione vigente, mentre la discriminazione indiretta resta un problema attuale. Nella maggior parte dei casi, la discriminazione indiretta è la conseguenza della segregazione economica, e in queste circostanze la normativa vigente è applicata solo in parte. La valutazione del quadro legislativo rivela l’esistenza di alcune differenze normative per quanto attiene alla disparità retributiva di genere (DRG).

Sebbene la legislazione vigente abbia, sostanzialmente, il medesimo ambito di applicazione, le direttive esistenti presentano differenze fondamentali:

a) nel 1975 la DRG era considerata una questione che riguardava la concorrenza economica, una “parte integrante della costituzione e del funzionamento del mercato comune”, mentre

b) la direttiva del 2006 si fonda sul principio della “parità di trattamento e delle pari opportunità”.

I dati rivelano che esiste tuttora un divario retributivo tra uomini e donne. Secondo le cifre più recenti, c’è una differenza del 15 per cento tra la retribuzione oraria lorda degli uomini e quella delle donne. Nel settore privato, la differenza è maggiore e arriva al 25 per cento.

La DRG era di solito motivata con le diversità di tipo individuale, quali l’età, l’istruzione e l’esperienza. La realtà dimostra, invece, che queste differenze hanno un ruolo relativamente secondario ai fini del persistere della DRG.

 
  
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  Petru Filip (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra donne e uomini è un argomento che presenta connotazioni sue proprie nei paesi dell’Europa orientale che hanno aderito di recente all’Unione europea. I parametri usati per valutare la prestazione professionale continuano a essere orientati prevalentemente in senso maschile. Quest’ottica non è facile da cambiare nell’ex area comunista, dove, per effetto degli sforzi propagandistici del regime, la mentalità collettiva è stata plasmata secondo un modello di parità completamente artificioso. La mancanza di coerenza con la parità originaria promossa dalla propaganda dei regimi comunisti è riuscita a minare gli sforzi attualmente in corso per favorire la parità di trattamento tra donne e uomini.

Considerate queste premesse, ritengo che qualsiasi sforzo venga intrapreso oggigiorno per promuovere il principio della parità di genere debba essere focalizzato in termini più ampi sull’aspetto dell’istruzione, per offrire ai cittadini comunitari modelli di sistemi realistici di trattamento non discriminatorio. Per dare attuazione a questo principio in tutta l’Unione, è necessario che le istituzioni europee propongano qualcosa di più che una Giornata europea per la parità retributiva.

 
  
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  Zita Gurmai (PSE), per iscritto. – (HU) Non è un caso che uno degli elementi principali del piano d’azione 2006-2010 per la parità tra uomini e donne sia lo sforzo di eliminare il divario retributivo tra i sessi. Il problema della disparità salariale tra uomini e donne va al di là del principio fondamentale della parità di stipendio a parità di lavoro. La differenza di retribuzione rispecchia le gravi disuguaglianze esistenti sul mercato del lavoro, che riguardano più di tutti le donne e sono anche sintomatiche del grave deficit democratico che affligge l’Europa.

Per risolvere il problema è necessario adottare provvedimenti complessi, che non possono essere realizzati senza la necessaria determinazione politica. La normativa esistente va perfezionata e la sua attuazione concreta va promossa e monitorata.

Il vero principio delle pari opportunità può essere messo in pratica soltanto se ciascuno Stato membro dà prova della decisiva volontà politica e compie passi costruttivi per far cessare il divario retributivo tra i sessi. E’ inaccettabile che molti Stati membri continuino a non riservare un’attenzione speciale al divario salariale tra i generi, né nei dibattici pubblici né nei programmi politici.

Altrettanto indispensabile è dare il via a un dibattito sociale e organizzare campagne educative. Insisto nel sostenere che, per risolvere il problema, è necessario preparare un pacchetto di misure politiche che in ogni caso devono tener conto delle differenze nazionali e delle prassi reali e comprovate.

Abbiamo bisogno di dati statistici più precisi e dettagliati per poter accertare come stanno veramente le cose e per seguire da vicino gli sviluppi. Occorre analizzare le cause delle differenze salariali, e le informazioni così ottenute dovrebbero essere usate per far luce sulla discriminazione, per porvi rimedio e per prevenirla in futuro.

 
  
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  Lívia Járóka (PPE-DE), per iscritto. (EN) Mi congratulo con l’onorevole Bauer per il duro lavoro che ha compiuto sottoponendo alla Commissione europea raccomandazioni di importanza vitale sull’applicazione del principio della parità salariale. Il divario retributivo ha un forte impatto sullo status delle donne nella vita economica e sociale e rappresenta un ostacolo all’indipendenza economica su un grado di parità.

In Europa sono numerosi i settori nei quali le donne subiscono il divario retributivo fondato esclusivamente sul genere. Le donne si scontrano con le differenze di paga oraria tanto negli Stati membri nuovi quanto in quelli vecchi. Le differenze si possono riscontrare osservando la distribuzione del reddito tra uomini e donne: in Europa, solo il 20 per cento delle donne, a fronte del 40 per cento degli uomini, sono nella fascia di reddito più alta e, quindi, al massimo livello della scala salariale. Un altro esempio eclatante di disparità retributiva è la segregazione settoriale di genere, dato che la metà dei posti di lavoro in tre settori sono dominati dagli uomini.

Infine, l’eccessiva presenza di donne – 30 per cento – tra i lavoratori a tempo parziale ha effetti negativi sui contributi di lavoro. Queste cifre sono ancora peggiori nel caso delle donne di determinate origini etniche, come le donne rom. Mentre il quadro giuridico comunitario in materia di parità retributiva è molto ampio, nell’Unione europea le donne sono tuttora retribuite meno degli uomini, anche se hanno competenze e livelli d’istruzione simili. Ciò dimostra che migliorare e rendere le leggi più efficaci è l’obiettivo principale da raggiungere.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. (EN) Il divario retributivo di genere nell’Unione europea è a un livello allarmante. Ci sono state alcune iniziative per abbassarlo, ma il ritmo a cui il divario si sta riducendo è decisamente troppo lento. Il Parlamento ha chiesto più volte alla Commissione di adottare iniziative. La relazione sul divario retributivo di genere delinea in modo specifico molti modi in cui l’Unione potrebbe occuparsi di questo problema.

E’ importante definire più chiaramente e più nei particolari concetti quali “divario pensionistico”, “discriminazione retributiva diretta” e “discriminazione retributiva indiretta”, per poter disporre di strumenti più adatti ad affrontare il divario retributivo di genere.

Attualmente ci mancano i dati statistici accurati necessari per poter valutare la situazione. Gli Stati membri e la Commissione dovrebbero migliorare le loro statistiche, ma anche le imprese private dovrebbero fare altrettanto. Le imprese dovrebbero avere l’obbligo di tenere regolari audizioni sulle retribuzioni e di rendere ampiamente disponibili i relativi risultati.

Un altro modo in cui possiamo contribuire a risolvere il problema è inserire un riferimento specifico alla discriminazione salariale nell’articolo 26 (prevenzione della discriminazione) della direttiva 2006/54/CE.

E’ semplicemente inaccettabile che le donne dell’Unione europea guadagnino in media il 15 per cento in meno degli uomini. In quanto organo esecutivo, abbiamo il dovere di fare qualcosa per porre rimedio a questa ingiustizia.

 
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