Indice 
Resoconto integrale delle discussioni
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Lunedì 17 novembre 2008 - Strasburgo Edizione GU
1. Ripresa della sessione
 2. Benvenuto
 3. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 4. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 5. Verifica dei poteri: vedasi processo verbale
 6. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
 7. Firma di atti adottati in codecisione: vedasi processo verbale
 8. Rettifiche (articolo 204 bis del regolamento): vedasi processo verbale
 9. Richiesta di applicazione della procedura d’urgenza: vedasi processo verbale
 10. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 11. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
 12. Dichiarazioni scritte decadute: vedasi processo verbale
 13. Petizioni: vedasi processo verbale
 14. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
 15. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale
 16. Storno di stanziamenti: vedasi processo verbale
 17. Ordine dei lavori
 18. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
 19. Benvenuto
 20. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica (continuazione)
 21. Bilancio di un decennio di unione economica e monetaria e sfide future (discussione)
 22. Applicazione del principio della parità retributiva tra donne e uomini (discussione)
 23. Regime generale delle accise (discussione)
 24. Fondo di solidarietà dell’Unione europea: ostacoli alla riforma (discussione)
 25. Protezione dei consumatori in materia di credito e finanza (breve presentazione)
 26. Pagella dei mercati dei beni al consumo (breve presentazione)
 27. Promuovere la dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili (breve presentazione)
 28. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 29. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. PÖTTERING
Presidente

(La seduta inizia alle 17)

 
1. Ripresa della sessione
Video degli interventi
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  Presidente. – Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta giovedì, 23 ottobre 2008.

 

2. Benvenuto
Video degli interventi
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  Presidente. − Onorevoli colleghi, ieri e oggi la EuroMedScola ha concluso il proprio programma qui a Strasburgo. Per noi è stato un grande piacere accogliere oltre 250 giovani di età compresa tra sedici e diciotto anni provenienti da tutta l’area euromediterranea, cioè dall’Unione mediterranea, compresi i 27 Stati membri dell’Unione europea e i nostri partner in quella regione, per un totale di 37 paesi.

I partecipanti al programma hanno preso posto in tribuna d’onore. Negli ultimi due giorni hanno discusso una vasta gamma di argomenti, tra cui l’ambiente, l’immigrazione, la parità, il ruolo dei cittadini, l’istruzione e altri ancora. Questo è un esempio di cooperazione tra l’Unione europea e i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo.

Sono stati qui da noi anche alunni di scuole israeliane, palestinesi, dei paesi arabi e di tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Mi fa molto piacere dare il benvenuto ai nostri giovani amici che seguono i nostri lavori dalla tribuna. E’ stato un evento fantastico e sono molto lieto di aver avuto l’occasione d’incontrarvi. Rinnovo il nostro calorosissimo benvenuto al Parlamento europeo.

 

3. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Video degli interventi

4. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
Video degli interventi

5. Verifica dei poteri: vedasi processo verbale
Video degli interventi

6. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale
Video degli interventi

7. Firma di atti adottati in codecisione: vedasi processo verbale
Video degli interventi

8. Rettifiche (articolo 204 bis del regolamento): vedasi processo verbale
Video degli interventi

9. Richiesta di applicazione della procedura d’urgenza: vedasi processo verbale
Video degli interventi

10. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

11. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale

12. Dichiarazioni scritte decadute: vedasi processo verbale

13. Petizioni: vedasi processo verbale

14. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale

15. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale

16. Storno di stanziamenti: vedasi processo verbale

17. Ordine dei lavori
Video degli interventi
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  Presidente. – La versione definitiva del progetto di ordine del giorno, elaborata dalla Conferenza dei presidenti ai sensi degli articoli 130 e 131 del regolamento nella riunione di giovedì, 13 novembre 2008, è stata distribuita. Sono state proposte le seguenti modifiche.

Per quanto riguarda il mercoledì:

Il gruppo socialista al Parlamento europeo ha proposto che le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sulla situazione dell’industria automobilistica siano inserite nell’ordine del giorno di domani. Vi segnalo che, in caso di inserimento di questo punto, l’interrogazione orale sulla revisione della raccomandazione che stabilisce criteri minimi per le ispezioni ambientali negli Stati membri deve essere spostata a giovedì.

 
  
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  Hannes Swoboda, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, sono certo che tutti i presenti sanno che l’industria automobilistica dell’Unione europea si trova in una situazione molto difficile, in parte a causa della crisi che affligge l’industria automobilistica statunitense. Penso quindi che sarebbe perfettamente logico se la Commissione facesse una dichiarazione su come valuta questa crisi, su quali soluzioni ritiene possibili – per esempio, aiuti di stato -, su quali norme di concorrenza debbano essere rispettate e così via. Si tratta, a mio parere, di una questione importante.

Vorrei, tuttavia, aggiungere soltanto che non è nostra intenzione indebolire o rinviare gli obiettivi ambientali fissati per l’industria automobilistica. Continueremo a insistere sulla necessità di attuare e portare avanti tali obiettivi ambientali, ma allo stesso tempo dobbiamo anche avere la possibilità di discutere in questa sede delle difficoltà economiche dell’industria automobilistica con un rappresentante della Commissione. Questo tema è una delle nostre preoccupazioni e mi auguro che otterremo un ampio sostegno in proposito.

 
  
 

(Il Parlamento approva la proposta)

(L’ordine del giorno è approvato così modificato)(1)

 
  
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  Koenraad Dillen (NI). - (NL) Signor Presidente, ai sensi dell’articolo 7 del regolamento, in relazione all’ordine dei lavori deploro che la relazione Lehne sull’immunità dell’onorevole Vanhecke, la cui discussione era in programma per stasera, sia stata tolta dall’ordine del giorno della seduta di oggi. Non ci sarà, pertanto, alcuna discussione, diversamente da quanto previsto dalla versione originaria dell’ordine del giorno.

In secondo luogo, protesto per il fatto che l’onorevole Lehne, dopo la discussione della sua relazione in commissione, si è rifiutato di trasmetterla all’ interessato, dichiarando che il testo gli sarebbe stato consegnato dopo la discussione in plenaria. Proprio a questo tema, però, il canale VRT della televisione belga ha dedicato ampio spazio nelle sue trasmissioni di stasera, e quindi ci deve essere stata una fuga di notizie. Le chiedo pertanto di accertare come sia stato possibile che una relazione riservata, che nemmeno la persona direttamente interessata ha avuto il permesso di leggere, sia stata divulgata dalla televisione belga la sera stessa, rivelando quindi di non essere, dopo tutto, così riservata.

 
  
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  Presidente. – Prendo atto delle sue affermazioni. Non sono in grado di rassicurarla, né cercherò di farlo; le posso tuttavia dire che talvolta sono state rese pubbliche persino lettere scritte da me e trattate con la massima riservatezza dai miei collaboratori. Si tratta di una situazione che non è capitata soltanto a lei, ma è nondimeno deplorevole. Ne abbiamo preso buona nota e ce ne occuperemo.

 
  

(1) Per ulteriori modifiche all’ordine dei lavori: cfr. Processo verbale


18. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.

 
  
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  Nicodim Bulzesc (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, il 4 e 5 dicembre 2008 il Parlamento europeo discuterà una serie di proposte volte a modificare la direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra per il periodo 2013-2020.

La proposta prevede un enorme incremento degli scambi di tali quote già a partire dal 2013. Se oggi il 90 per cento delle autorizzazioni per l’emissione di gas serra è rilasciato gratuitamente agli impianti industriali, la nuova direttiva stabilisce che lo scambio totale sarà la norma dal 2013 in poi.

Nel caso della Romania, tale modifica avrà conseguenze gravissime sull’intera economia, e l’industria ne sarà colpita pesantemente. Molte industrie dovranno delocalizzare in paesi terzi dove la tutela del clima è meno severa, il che farà aumentare i prezzi e rallenterà i progetti di sviluppo delle infrastrutture romene. Per tale motivo chiedo che le industrie della Romania ricevano a titolo gratuito tutte le autorizzazioni loro spettanti per i certificati di emissione di CO2 per l’intero periodo considerato.

 
  
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  Miguel Angel Martínez Martínez (PSE).(ES) Signor Presidente, la notte scorsa, durante un’operazione congiunta ed estremamente tranquilla svolta in territorio francese, le forze di sicurezza francesi e spagnole hanno arrestato uno dei principali e, forse, dei più sanguinari capi dell’ETA, Txeroki, cui avevano dato la caccia per oltre sei anni per vari assassinii e attentati.

Pur con tutta la prudenza dovuta in casi del genere, ritengo che questa sia un’ottima notizia e sono certo che il Parlamento condividerà la nostra soddisfazione, che ci ricompensa del disgusto provato in altre occasioni, quando abbiamo dovuto parlare dei crimini compiuti da quella organizzazione.

Si è trattato di un duro colpo per l’organizzazione terrorista e dobbiamo congratularci con le forze di sicurezza e i governi e i popoli francesi e spagnoli per il successo dell’operazione. Dobbiamo complimentarci anche con noi stessi per l’esempio che abbiamo dato, dimostrando che la cooperazione internazionale è uno strumento essenziale della lotta contro il terrorismo.

Infine, signor Presidente, voglio aggiungere che i terroristi devono sapere che questo sarà il loro destino: saranno arrestati e consegnati ai tribunali e pagheranno con lunghe pene detentive per i crimini commessi, almeno per quelli che potranno essere provati.

 
  
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  Viktória Mohácsi (ALDE). (HU) La ringrazio, signor Presidente. Onorevoli colleghi, sono passati quasi dieci mesi da quando il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione con cui chiede alla Commissione europea di formulare una strategia per i rom. A parte un documento di lavoro ad uso interno, la Commissione non ha prodotto nulla di nuovo neppure per il vertice Unione europea-rom, che è stato definito “storico”.

Frattanto, in Kosovo i rom continuano a vivere in insediamenti che, essendo contaminati dal piombo, rappresentano un rischio per la loro stessa vita, mentre in Ungheria sono stati compiuti attentati con bombe incendiarie e altre armi da fuoco in nove insediamenti contro le case di famiglie rom. Il più recente e il più terribile di questi attentati è stato compiuto a Nagycsécs, dove due rom che stavano cercando di fuggire da una casa in fiamme sono stati uccisi crudelmente con fucili a pallettoni.

Secondo rapporti di organizzazioni civili, nello stesso periodo poco meno di 30 000 rom sono scappati in Italia nei mesi scorsi a causa della brutalità della polizia e dei sentimenti anti-rom. Tale situazione è viepiù aggravata dall’attuale crisi economica, che – senza dubbio alcuno – colpirà più duramente le classi sociali emarginate e indigenti e i rom. Voglio ricordare a tutti i politici responsabili che questo è un altro motivo per cui abbiamo bisogno di definire una strategia europea per i rom. Molte grazie.

 
  
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  Bogusław Rogalski (UEN).(PL) Signor Presidente, vorrei sollevare la questione del passante intorno alla città di Augustów, in Polonia. A causa della prolungata attesa di una pronuncia da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee, continuano a verificarsi incidenti stradali mortali che coinvolgono pedoni. Ogni anno, circa due milioni di veicoli commerciali attraversano il centro della città. Visti i numerosi progetti per la creazione di riserve nella regione di Podlasie, il congelamento da parte della Commissione europea di tutti gli investimenti in infrastrutture stradali in quella regione la priva di possibilità di sviluppo futuro.

Per effetto della decisione della Commissione europea, l’area si sta trasformando in uno skansen, ossia, secondo il modello di alcuni paesi occidentali, in un’attrattiva turistico-paesaggistica. Però, la mancanza del passante di Augustów, motivata con la volontà di tutelare l’ambiente a ogni costo, anche ignorando le esigenze delle persone, nega ai cittadini della Polonia nordorientale opportunità di sviluppo e di una vita dignitosa. La Commissione europea deve tener conto di tale realtà. Certo, la natura va protetta, ma non a spese degli esseri umani.

 
  
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  László Tőkés (Verts/ALE). (HU) Signor Presidente, “Amore voglio e non il sacrificio”: queste parole di Gesù riecheggiano nella nostra anima quando assistiamo alle violenze e crudeltà sfrenate di questo mondo. Il terrore e la violenza sono ancora più dolorosi quando vengono commessi nel nome della religiosità fondamentalista o dell’esclusivismo religioso.

Per tale motivo dobbiamo protestare contro la brutale esecuzione della tredicenne della Somalia meridionale che, dopo essere stata violentata da tre uomini, è stata lapidata a morte in esecuzione della sentenza di un tribunale islamico. E dobbiamo protestare anche contro la persecuzione della minoranza cristiana in Iraq, i cui appartenenti sono stati costretti dai militanti sciiti a fuggire a migliaia dalle proprie case a Mosul e nella regione circostante.

Nello spirito della nostra tradizione cristiana europea, della tolleranza religiosa e della fratellanza ecumenica, l’Unione europea deve far sentire la propria voce e passare all’azione per proteggere le vittime delle violenze e delle persecuzioni religiose.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) In Portogallo, i lavoratori stanno lottando per affermare i propri diritti in un gran numero di settori. Vogliamo esprimere la nostra solidarietà a tutti coloro che lottano; sosteniamo in particolare la coraggiosa battaglia degli insegnanti e l’impressionante manifestazione di Lisbona che l’8 novembre scorso ha portato in piazza 120 000 docenti provenienti da ogni angolo del paese. La manifestazione, la seconda per dimensioni in sei mesi, ha visto la partecipazione di quasi l’80 per cento di questo ceto di professionisti ed è stata seguita da altri eventi mirati a dimostrare che gli insegnanti sono determinati e continueranno a difendere la scuola pubblica e a lottare per la loro dignità e il rispetto del loro lavoro, che è essenziale per formare le giovani generazioni e assicurare lo sviluppo e il progresso del Portogallo, dove i livelli di apprendimento scolastico sono tra i peggiori nell’Unione europea.

Appoggiamo anche la lotta dei lavoratori della Pirites Alentejanas, di Aljustrel, contro la sospensione dell’attività estrattiva decisa dalla multinazionale sei mesi dopo la sua ripresa. La sospensione ha significato la disoccupazione per 600 persone, E’ necessario adottare con urgenza misure tese a evitare un peggioramento della disoccupazione in un’area già così svantaggiata, oltre che l’impoverimento del paese.

 
  
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  Georgios Georgiou (IND/DEM). - (EL) Signor Presidente, desidero comunicare al Parlamento che negli ultimi tre giorni, dal 14 al 16 novembre, un paese candidato all’adesione all’Unione europea ha occupato con un’unità navale la piattaforma continentale greca. Non è mia intenzione perorare la causa della Grecia. Anche la piattaforma continentale greca fa parte della piattaforma continentale europea e non mi pare che l’Europa si stia preoccupando di tutelare i propri diritti territoriali in quell’area.

Mi chiedo come un paese che si comporta in quel modo, con una presenza così sfacciata e con simili intenzioni, possa aderire all’Europa, e come noi possiamo pensare di accogliere in Europa quel paese asiatico, se si comporta in tale maniera.

 
  
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  Irena Belohorská (NI). – (SK) Nell’ottobre dell’anno scorso feci una dichiarazione scritta in cui mettevo in guardia dall’emergere di un’organizzazione di estrema destra denominata Guardia ungherese. Purtroppo, l’inerzia delle autorità ungheresi, unita alla nostra indifferenza a livello europeo, ha dato frutti, nel senso che quella forma di fascismo è stata ora esportata in Slovacchia.

Non restiamo inattivi di fronte alle provocazioni compiute nelle scorse due settimane. L’8 novembre, nella città slovacca di Kráľovsky Chlmec, 28 appartenenti all’organizzazione ungherese hanno marciato vestiti di uniformi di foggia fascista e hanno deposto una corona in memoria delle vittime di guerra, con la scritta provocatoria “Credo nella rinascita ungherese”. Sono inorridita che l’intervento delle autorità slovacche sia passato inosservato in Europa.

Com’è possibile che, proprio mentre l’Europa commemora il 70o anniversario della Notte dei cristalli, uno Stato membro possa tollerare sul proprio territorio l’esistenza di organizzazioni quali Nyilas, la Guardia ungherese, Jobbik o Hnutie 64? Possiamo veramente restare indifferenti davanti a quelli che sono veri e propri atti di disprezzo nei confronti dei milioni di vittime della Seconda guerra mondiale, o davanti al fatto che i fascisti possono marciare liberamente nelle città di uno dei nostri Stati membri?

 
  
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  Ján Hudacký (PPE-DE). – (SK) Il giorno in cui commemoriamo il 19o anniversario della Rivoluzione di velluto nell’ex Repubblica cecoslovacca, mi sia consentito esprimere il mio disagio per la politica dell’attuale governo slovacco, specialmente in campo economico, la quale presenta tratti molto simili a quelli del periodo antecedente il novembre 1989.

I tentativi di imporre una gestione completamente politica del settore privato e l’ingerenza normativa da parte dello Stato su così ampia scala, come sta facendo questo governo, sono inaccettabili in una sana economia di mercato. Le modifiche apportate alla legge sui prezzi e al diritto penale hanno aperto la strada a una nuova disciplina dei prezzi in vista del passaggio all’euro, che prevede pene detentive fino a tre anni per i piccoli commercianti e i fornitori di servizi.

In aggiunta alle misure sugli aumenti dei prezzi dell’energia, il governo se n’è venuto fuori con una serie di minacce e dichiarazioni di stampo populista per espropriare alcune società private operanti nel settore energetico; inoltre, con il pretesto del cosiddetto interesse economico generale, ha proposto norme severe, superficiali e di durata indeterminata contro enti privati.

Con la scusa di voler risolvere la crisi finanziaria e la recessione economica, le misure citate impediranno un’ulteriore, essenziale liberalizzazione, provocheranno distorsioni del mercato e scoraggeranno potenziali investitori.

 
  
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  Marek Siwiec (PSE). (PL) Signor Presidente, il 14 novembre si è tenuta a Poznań, come ogni anno, una marcia per la parità. Un gruppo di giovani colleghi, membri della Federazione dei giovani socialdemocratici, vi hanno preso parte, con lo slogan “Diversità sì, intolleranza no”. La marcia rientra in una più vasta campagna, in corso ormai da diversi mesi, che il gruppo socialista al Parlamento europeo sta organizzando in tutta Europa sul tema della tolleranza. Al termine della dimostrazione, il gruppo è stato attaccato da una dozzina di delinquenti che hanno picchiato i dimostranti e strappato gli striscioni con il simbolo del gruppo socialista al Parlamento europeo. Una delle vittime è stata ricoverata in ospedale. Mi aspetto che le autorità polacche identifichino e puniscano i responsabili dell’accaduto. Mi aspetto che la delinquenza politica, che mira a sostituirsi al dialogo, sia universalmente condannata da chi si occupa di politica.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN). - (PL) Signor Presidente, venerdì si è concluso il vertice Russia-UE di Nizza, frettolosamente convocato per consentire la partecipazione alla riunione del G20. L’Unione europea ha in effetti deciso di riaprire i negoziati con la Russia sul regime di partenariato, contravvenendo così alla propria decisione del 1o settembre scorso secondo cui non ci sarebbero state trattative con la Russia fintantoché le truppe russe non si fossero ritirate dai territori occupati della Georgia. Riguardo a questa vicenda, l’Unione europea si sta comportando come le persone anziane, che ricordano benissimo quello che hanno fatto cinquant’anni fa, quando sono stati firmati i trattati di Roma, ma non sanno più quello che hanno fatto due mesi fa, quando l’Unione ha rassicurato sé stessa e l’Europa su questa importante questione. Ora, invece, sta smentendo le sue stesse azioni, e quanto è stato deciso di comune accordo il 1o settembre viene accantonato.

In tale contesto, sorge l’interrogativo se i diritti umani, di cui spesso, come Parlamento europeo, ci facciamo paladini in tutto il mondo, valgano anche per paesi europei come Georgia e Russia, dato che in questa vicenda l’Unione europea si sta comportando come Ponzio Pilato.

 
  
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  Monica Frassoni (Verts/ALE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, forse anche voi avete sentito che non esiste più la crisi dei rifiuti in Campania. Ebbene, non è così: pochi giorni fa a Chiaiano, che è uno dei luoghi dove si doveva mettere una delle famose discariche di Berlusconi, sono state trovate 12.000 tonnellate di amianto e rifiuti tossici, che non si sa bene da dove vengono.

In questo momento, in Italia, c'è un decreto in vigore che sostanzialmente deroga a tutta la legislazione europea per quanto riguarda soprattutto la protezione della salute e la valutazione d'impatto e siamo in una situazione di segreto di Stato poiché queste zone sono state dichiarate inaccessibili a qualsiasi tipo di accesso per quanto riguarda l'informazione su quello che vi succede.

Noi abbiamo chiesto alla Commissione di intervenire, pensiamo che lo debba fare perché avere 10.000 tonnellate di amianto e di rifiuti tossici lì all'aria libera è un pericolo per tutti e ci auguriamo che il Commissario Dimas lo faccia e lo faccia pubblicamente.

 
  
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  Árpád Duka-Zólyomi (PPE-DE). (HU) Signor Presidente, è inaccettabile che le relazioni slovacco-ungheresi si sviluppino secondo un copione deciso dalle forze estremiste. Condanniamo recisamente coloro che vorrebbero rovinare i rapporti tra i popoli dei due paesi, perché sappiamo chi sono i responsabili di questa situazione. In Slovacchia il partito di governo, il Partito nazionale slovacco, sta alimentando il clima di tensione con le sue dichiarazioni in cui incita all’odio contro le minoranze, con i suoi accessi oltraggiosi e le frasi ingiuriose contro la nazione ungherese. In Ungheria, per contro, non sono le autorità governative bensì gruppi estremisti extra-parlamentari che non aspettano altro che poter ripagare con gli interessi simili attacchi. Questa è una differenza sostanziale.

Entrambi i gruppi vanno condannati. Uno dei motivi di questo invelenirsi delle relazioni tra i due popoli è il fatto che il gruppo socialista al Parlamento europeo ha chiuso un occhio sulle politiche della coalizione del partito slovacco SMER, alimentando così politiche estreme ed esplicitamente contrarie alle minoranze. Pertanto, la decisione del gruppo socialista di riammettere lo SMER tra i propri ranghi è stata sbagliata e ha lasciato completa libertà d’azione agli estremisti anti-ungheresi. Purtroppo, la coalizione al governo a Bratislava non crea occasioni per migliorare le relazioni slovacco-ungheresi. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Hannes Swoboda (PSE).(DE) Signor Presidente, non intendo entrare nei dettagli, credo però che l’onorevole Duka-Zólyomi – di cui sono buon amico – sappia benissimo che il gruppo socialista al Parlamento europeo è molto critico verso la coalizione di governo e in modo particolare verso il partito di Slota.

Ora, però, soprattutto dopo l’auspicato incontro dei due primi ministri, Fico e Gyurcsány, è giunto il momento di creare le condizioni affinché i due paesi possano risolvere i problemi insieme e in pace, senza dare spazio e risonanza agli estremisti. Su un punto siamo d’accordo: non si deve più permettere agli estremisti di continuare a spargere veleno. Questo vale sicuramente per il razzismo verbale di Slota, ma anche e specialmente per la Guardia ungherese. Invito entrambi i paesi e ambedue i primi ministri, nonché tutti i partiti presenti in quest’aula, a compiere ogni sforzo per ridurre gli estremisti al silenzio, impedire che continuino a bloccare le frontiere e garantire che le persone pacifiche che vogliono tutelare e assistere le minoranze possano far sentire la propria voce.

 

19. Benvenuto
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  Presidente. − Onorevoli colleghi, è con grande piacere che do il benvenuto a un gruppo di ex deputati del primo parlamento liberamente eletto della Repubblica democratica tedesca, presenti in tribuna d’onore.

Quel parlamento contribuì a scrivere la storia quando deliberò di riunificare la Germania e, poco dopo, si sciolse. La delegazione in visita è guidata dall’allora presidente della Volkskammer, la dottoressa Sabine Bergmann-Pohl. A nome del Parlamento europeo, vi porgo il nostro caloroso benvenuto.

(Applausi)

 

20. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica (continuazione)
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  Jim Higgins (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, il sistema eCall usato nei veicoli a motore rappresenta un importante passo avanti nell’aiutare i servizi di assistenza a raggiungere il luogo di un incidente quanto più velocemente possibile. L’apparecchio individua il punto esatto dell’incidente in modo che le squadre di soccorso, la polizia e i pompieri possano arrivare il prima possibile. Ciò è particolarmente importante nelle zone rurali e isolate, in specie nel caso di incidenti che coinvolgono un solo veicolo.

eCall fa parte ora della dotazione di base di tutte le automobili nuove in molti Stati membri dell’Unione. Purtroppo, non è disponibile nel mio paese, l’Irlanda, dove il numero di incidenti mortali rimane troppo alto. Credo che l’uso di questo sistema dovrebbe essere reso obbligatorio in tutti gli Stati membri.

Si tratta di salvare vite umane, e il sistema di cui stiamo parlando è senz’altro in grado di farlo. Per tale motivo chiedo alla Commissione di adoperarsi affinché tutti gli Stati membri impongano l’obbligo di installare il sistema in tutti i veicoli a motore di nuova costruzione.

 
  
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  Vladimír Maňka (PSE). – (SK) Secondo una ricerca dell’Istituto di sociologia dell’Accademia slovacca delle scienze, gli abitanti della Slovacchia di origine ungherese sono orgogliosi di essere cittadini della Repubblica slovacca. La pensa così oltre il 70 per cento delle persone, ossia la percentuale più elevata mai registrata nella storia della Repubblica slovacca.

Questo risultato lancia un chiaro segnale e smentisce le affermazioni di taluni politici che cercano di far credere all’Europa che la minoranza ungherese in Slovacchia sarebbe oggetto di discriminazioni. A livello di Parlamento europeo, alcuni colleghi, invece di sedersi al tavolo negoziale, per due anni hanno preferito adottare un metodo di comunicazione che radicalizza viepiù lo scenario politico nazionale.

Invito coloro che hanno a cuore la coesistenza pacifica di Ungheria e Slovacchia a sostenere gli sforzi dei due primi ministri, che si sono incontrati sabato per coordinare la lotta contro l’estremismo e condurre entrambi i paesi verso rapporti di buon vicinato.

Apprezzo che, due giorni dopo i colloqui, il primo ministro ungherese abbia adottato misure per modificare le norme di contrasto dell’estremismo. Questa sarà l’arma più potente per combattere coloro che oggi minacciano la democrazia in quella regione e ciononostante restano impuniti.

 
  
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  Eoin Ryan (UEN). - (EN) Signor Presidente, uno dei punti chiave del libro bianco dell’Unione europea sullo sport è l’eliminazione del razzismo, soprattutto dalle partite di calcio. Purtroppo, il razzismo ha fatto sentire la sua brutta voce nelle partite del campionato di calcio scozzese, e noi tutti ce ne rammarichiamo molto. Alcuni giocatori che hanno dichiarato di giocare per l’Irlanda sono stati oggetto di violenze razziali e contro di loro è stata suonata la “Famine Song”, che corrisponde a un gravissimo insulto, non soltanto per i giocatori ma per l’intero popolo irlandese.

Apprezzo l’intervento della federazione calcistica scozzese e anche dell’ex ministro degli Interni britannico John Reid. Ma il razzismo non può essere tollerato, indipendentemente da dove fa sentire la sua brutta voce, e credo che dobbiamo tutti reagire e dire che si tratta di un fenomeno totalmente inaccettabile, che non può esserci, da nessuna parte.

 
  
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  Milan Horáček (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, al vertice Russia-UE di Nizza, venerdì scorso, è stato deciso che i negoziati per un nuovo accordo di partenariato con la Russia proseguano il 2 dicembre, nonostante alcuni Stati membri abbiano espresso timori e determinate questioni, come nuove azioni in Georgia e in Caucaso, restino irrisolte.

Sto seguendo gli sviluppi in Russia con notevole preoccupazione. In modo alquanto misterioso, la Duma ha approvato l’estensione del mandato presidenziale a sei anni. I diritti umani continuano a essere calpestati, come dimostra il caso di Svetlana Bakhmina, un’ex dipendente di Mikhail Khodorkovsky, l’uomo d’affari condannato a cinque anni di carcere; le autorità continuano a rifiutarsi di rilasciarla in anticipo dal campo di prigionia in Siberia benché sia in avanzato stato di gravidanza. Durante i negoziati, l’Unione europea non deve cedere ai tentativi di ricatto della Russia in campo energetico e deve affrontare con chiarezza il tema delle violazioni dei diritti umani.

 
  
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  József Szájer (PPE-DE). - (HU) Signor Presidente, onorevoli colleghi, uno dei diritti più importanti dei cittadini europei è quello della libertà di circolazione. Un anno fa, quando abbiamo aperto le frontiere di Schengen, sono comparsi strani ostacoli a determinati confini dei nuovi Stati membri, ad esempio alla frontiera tra Austria e la Repubblica ceca, tra Ungheria e Slovacchia e tra Ungheria e Austria. Vicino alla mia città, le autorità austriache hanno collocato un cartello che dice “Vietato entrare in macchina” su una strada che altrimenti è liberamente accessibile alle automobili.

Di conseguenza, poiché secondo noi questo ostacolo irritante sta limitando uno dei principali diritti dei cittadini europei, ossia il diritto alla libertà di circolazione, gli onorevoli Karas, Járóka e io abbiamo simbolicamente coperto il segnale con la bandiera dell’Unione europea, in segno di protesta contro tale ostacolo, che è motivo di grave irritazione per la popolazione locale.

Oggi non dobbiamo più lottare contro la cortina di ferro, onorevoli colleghi, e in diverse occasioni ho portato qui in aula questo pezzo della vera cortina di ferro, prelevato vicino alla mia città; oggi dobbiamo lottare soltanto contro alcuni segnali di divieto d’accesso. Penso tuttavia che sia nostro dovere attivarci affinché anch’essi siano rimossi, nello spirito europeista.

In merito ai contrasti tra Ungheria e Slovacchia, voglio dire soltanto che chi protesta contro gli estremisti sarebbe credibile solamente se avesse fatto lo stesso quando Ján Slota, membro del partito di coalizione, faceva dichiarazioni contro gli ungheresi e chiedeva la loro espulsione dalla Slovacchia.

 
  
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  Kristian Vigenin (PSE). - (EN) Signor Presidente, quest’anno commemoriamo il 70o anniversario dei pogrom della Notte dei cristalli. Sembra che la memoria collettiva si stia indebolendo sempre di più, dato che assistiamo al risorgere di estremismi associati a razzismo, xenofobia, antisemitismo e nazionalismi aggressivi in tutto il mondo, comprese le democrazie europee.

Nella prospettiva delle elezioni europee dell’anno prossimo, il gruppo socialista al Parlamento europeo è convinto del fatto che i politici possano svolgere un ruolo positivo nella promozione complessiva del rispetto e della comprensione reciproci.

Il PSE è impegnato a compiere un’opera di sensibilizzazione sul valore della diversità culturale e religiosa come fonte di reciproco arricchimento delle società. Noi evidenziamo sempre la necessità che le personalità pubbliche si astengano da dichiarazioni suscettibili di incoraggiare la stigmatizzazione di gruppi di persone. Desidero esprimere il mio sconcerto per il fatto che il Partito popolare europeo abbia scelto, e abbia tuttora, come principale partner in Bulgaria un partito il cui leader esprime giudizi positivi sulle capacità da statista di Stalin, Hitler e Mao, ritiene che la via per arrivare all’integrazione sia quella di imporre un elenco di nomi bulgari per ciascun neonato di origine etnica non bulgara, dice che in Bulgaria ci sono cittadini bulgari e in Turchia cittadini turchi, e che chi è turco se ne deve andare in Turchia.

Mi chiedo se lei, signor Presidente, o il Partito popolare europeo siate favorevoli a usare questo stesso approccio anche nei confronti dei turchi che vivono in Germania. Sottolineo l’importante ruolo dei partiti europei per una scelta accurata delle alleanze, perché, quando si scambia la qualità per la quantità, le prime vittime sono la credibilità del Partito popolare europeo, la stabilità dei sistemi politici nazionali e, naturalmente, le convinzioni dei comuni elettori di destra.

 
  
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  Presidente. – Onorevole Vigenin, dato che mi ha chiamato direttamente in causa, mi prendo la libertà di far presente che lunedì scorso, a Bruxelles, il Parlamento europeo ha tenuto una commemorazione molto commovente della Notte dei cristalli.

Per quanto riguarda la mia appartenenza di partito, voglio rilevare che agisco qui nella mia funzione di presidente, non in quanto membro di un partito, anche se, ovviamente, mi sento legato al mio partito. Dovrebbe tuttavia rivolgersi direttamente ai responsabili, perché non si tratta di una domanda che possa essere indirizzata al presidente.

 
  
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  Nicolae Vlad Popa (PPE-DE). - (RO) Accogliamo con favore, prima di tutto, il piano d’azione adottato alla recente riunione del G20, nonché gli speciali contributi del presidente Barroso e del presidente Sarkozy. Le decisioni finali riflettono la strategia discussa e adottata dagli Stati membri dell’Unione europea.

Va altresì valutato positivamente l’impegno assunto da tutti i partecipanti di collaborare per contrastare l’attuale crisi nel settore finanziario. In questo momento, alla gente non interessano le dispute, ma soltanto soluzioni concrete. L’interdipendenza crea canali a doppio senso attraverso i quali si possono diffondere, oltre alla crisi, anche le soluzioni per la ripresa economica.

Nel caso della Romania, la crescita della disoccupazione in qualsiasi paese dell’Unione europea fa aumentare del doppio il tasso di disoccupazione della nostra economia emergente. Ciò avviene perché, primo, chi lavora all’estero viene rispedito in patria e, secondo, perché diminuisce il numero dei posti offerti da imprese straniere, che stanno gradualmente riducendo le proprie attività.

Di questi tempi, la disoccupazione deve essere analizzata al livello dell’intera Unione europea, ma le soluzioni vanno attuate e finanziate a entrambe le estremità dei canali.

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE). - (HU) Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, vorrei sottoporre alla vostra attenzione il problema delle pressioni sul mercato del granoturco, che si fanno sentire specialmente nell’Europa centrale. In alcune regioni dell’Ungheria, raccolti eccezionali, condizioni sfavorevoli sul mercato internazionale e le fluttuazioni dei raccolti che sono abituali nell’Europa centrale hanno spinto i prezzi ben al di sotto del livello di intervento.

Dobbiamo agire in nome dei produttori e nell’interesse della stabilità del mercato. Nelle attuali circostanze, l’Ungheria non è in grado di acquistare le proprie eccedenze; ma ci sono anche altri modi per stabilizzare il mercato. In primo luogo, è necessario aumentare la quantità di intervento per quei paesi che non dispongono di porti marittimi. Sotto questo profilo, il sistema deve fungere da rete di salvataggio, com’era nelle intenzioni originarie.

In secondo luogo, per tutelare gli interessi dei paesi privi di porti marittimi, bisogna pubblicare inviti a presentare proposte per le esportazioni in paesi terzi. Infine, si devono aprire anche le speciali strutture di stoccaggio private. Adottando queste misure contribuiremo significativamente a evitare un peggioramento della situazione e aiuteremo i nostri coltivatori ad adattarsi a circostanze eccezionali. Vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Presidente. – La discussione su questo punto è chiusa.

 

21. Bilancio di un decennio di unione economica e monetaria e sfide future (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. - L’ordine del giorno reca la discussione sui primi dieci anni dell’unione economica e monetaria e sulle sfide future. A tale proposito, rivolgo al primo ministro e ministro delle Finanze del Lussemburgo, nonché presidente dell’eurogruppo Juncker un calorosissimo benvenuto qui al Parlamento europeo.

(Applausi)

E naturalmente, è per me un piacere accogliere anche il commissario competente Almunia.

 
  
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  Pervenche Berès, relatore. − (FR) Signor Presidente, signor Presidente dell’eurogruppo, signor Commissario, credo che questo sia un momento importante e che l’argomento di cui stiamo per discutere tocchi molto da vicino tutti i cittadini europei.

Penso, e tutti oggi ne sono convinti, che l’euro sia il nostro capitale più importante, il nostro investimento migliore. E’ giunto il momento di fare un bilancio, ma facendo il bilancio in un periodo di crisi dobbiamo chiaramente trovare gli strumenti per rimettere le cose in movimento. In quale situazione ci troveremmo adesso se non ci fosse l’euro? Senza l’euro, oggi l’Islanda sarebbe più o meno come l’Irlanda, o, piuttosto, l’Irlanda assomiglierebbe all’Islanda.

Abbiamo riaperto le discussioni in questo periodo di crisi perché tutti si sono resi conto del fatto che l’euro ha avuto un ruolo essenziale ai fini della nostra capacità di resistere agli eventi non soltanto in tempi normali ma anche in tempi di crisi.

Signor Commissario, la ringrazio per la sua capacità di previsione, perché quando lei venne qui a portarci questo documento, nel maggio 2008, nessuno comprese quanto esso si sarebbe rivelato utile e necessario, né in quale misura esso avrebbe sostenuto un lavoro di vitale importanza mirato a guardare al futuro e a metterci in grado di affrontare questa crisi sulla base di quel solido fondamento che è l’euro.

So tuttavia benissimo che, durante la sua discussione con i ministri dell’Economia e delle Finanze, essi avevano improvvisamente la mente altrove, improvvisamente pensavano ad altre questioni alle quali non stavano prestando attenzione: ai mercati finanziari. Lei deve ricordare loro che, per poter uscire in futuro dalla situazione di crisi in cui ci troviamo, dovranno assolutamente fare due cose.

Dovranno riequilibrare l’unione economica e monetaria. Abbiamo visto che ciò è stato fatto per gestire la crisi sui mercati finanziari, vediamo che ciò viene fatto oggi per gestire la crisi in corso nell’economia reale. La politica monetaria può fare molto, introducendo liquidità per aiutare i mercati a funzionare e abbassando i tassi per cercare di stimolare gli investimenti. Ma questo è tutto! Al di là di queste misure, diventa compito dei governi attivarsi per salvare le banche, scoprire i titoli tossici e, in futuro, stimolare l’attività economica all’interno dell’Unione europea.

E’ quindi ora che i ministri dell’Economia e delle Finanze applichino il trattato, che insegna loro a gestire la rispettiva politica economica come una politica di interesse comune. Su questa base, signor Commissario, rilanci la discussione al Consiglio Ecofin, esiga quel piano d’azione che ha proposto loro e si riallinei sulle nostre posizioni alle luce delle proposte, delle nostre proposte, che lei avrà approvato, di modo che, in futuro, l’euro possa effettivamente contribuire alla crescita e all’occupazione.

Sul punto della politica monetaria, rispettiamo, ovviamente, l’indipendenza della Banca centrale, però rispettiamo anche il trattato nel suo complesso, il cui articolo 105 prevede che la Banca centrale debba perseguire, oltre alla stabilità dei prezzi, anche gli altri obiettivi dell’Unione. C’è bisogno che lo ricordi? C’è bisogno che dica che, domani, possiamo aprire anche una nuova discussione? No, non ce n’è bisogno, e di questo, infatti, non si parla nella nostra relazione; non sarà tuttavia il caso di avviare una discussione sull’opportunità di inserire l’obiettivo della stabilità del mercato finanziario tra le finalità della politica monetaria? Giro a lei questa domanda.

E’ evidente che non miglioreremo l’operatività dell’unione economica e monetaria se non terremo in maggiore considerazione il rapporto tra l’economia reale e i mercati finanziari. Oggi paghiamo il prezzo di essercene dimenticati.

Per quanto riguarda l’allargamento, questa crisi sta riaprendo le condizioni della discussione, però credo che dobbiamo restare rigorosi. E’ più facile riformare prima di aderire all’euro che dopo, anche se si tratta di un compito molto arduo. Signor Commissario, l’idea chiave della sua relazione è che le differenze che sono emerse durante la gestione della zona euro sono motivo di preoccupazione e sono più grandi di quanto pensassimo inizialmente.

Pertanto, come Parlamento europeo la invitiamo a dotare l’Unione europea di strumenti che le consentano di mantenere la qualità della spesa pubblica, per vedere come reagiscono gli Stati membri e garantire che questa non sia una semplice discussione sulle soglie, in cui si può parlare soltanto di questioni generali ma non della qualità della spesa pubblica, che è di competenza dei ministri dell’Economia e delle Finanze.

Signor Commissario, nel piano d’azione che ci sta proponendo dovrebbe rivolgersi, a nostro parere, anche agli Stati membri e chiedere loro oggi di rivedere i propri piani. I programmi di riforma nazionali non tengono conto, attualmente, delle più recenti previsioni da lei fornite.

Se vogliamo prendere sul serio il coordinamento della politica economica comune, questi piani devono essere riesaminati alla luce delle previsioni di crescita che lei ci ha presentato e che sono state appoggiate e confermate dal Fondo monetario internazionale e dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici.

Infine, tra le proposte che stiamo formulando vorrei richiamare la vostra attenzione sulle questioni attinenti alla rappresentanza esterna della zona euro. Siamo rimasti passivi troppo a lungo. L’euro ci ha protetti; però, oltre che proteggerci, esso ci deve ora mettere in condizione di essere un attore rilevante sulla scena internazionale, di modo che non siamo più soltanto un elemento fluttuante in una discussione tra le altre grandi potenze in campo monetario. Noi siamo una grande potenza monetaria, dobbiamo accettare appieno le conseguenze di questo fatto, che è anche oggetto di una discussione coerente e concertata in seno al Consiglio dei ministri.

Come Parlamento europeo siamo più che disposti a fare la nostra parte in tale contesto, come lei ben sa.

 
  
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  Werner Langen, relatore. – (DE) Signor Presidente, do il benvenuto ai rappresentanti della zona euro, il primo ministro e il commissario per gli Affari economici e monetari. Facendo un bilancio complessivo, possiamo dire che, nei suoi primi dieci anni, l’euro è stato un assoluto successo. Non tutto è andato alla perfezione; però, soprattutto durante la recente crisi dei mercati finanziari, le istituzioni hanno dimostrato il proprio valore. Grazie alla cooperazione istituzionale all’interno della zona euro, è stato possibile adottare le decisioni rapidamente, attuarle prontamente e, soprattutto, presentarle come un modello per tutti i 27 Stati membri.

Abbiamo sottoposto una relazione che contiene 61 punti dettagliati, comprese una valutazione del passato e prospettive per il futuro. Vorrei ora approfondire certi aspetti riguardanti le previsioni per il futuro che l’onorevole Berès ha già citato. Al di là di tutte le risposte positive all’euro, rimane l’interrogativo su ciò che succederà adesso. La zona euro e la Banca centrale europea sono preparate ad affrontare le sfide future? Ci sarà senz’altro una sfida o un’altra che dovrà essere analizzata. Mi permetto di ricordarvi le differenze di sviluppo della competitività nella zona euro, perché il segreto sta nel fatto che, pur avendo una politica monetaria centrale, abbiamo politiche finanziarie e di bilancio locali. Il patto di stabilità e di crescita può fungere da interfaccia tra questi due livelli soltanto se gli Stati membri sono disposti a rispettarlo, ad accettarne le condizioni e a dar prova della necessaria disciplina. Il patto di stabilità e di crescita sta quindi affrontando la sua prima prova importante, nel senso che deve gestire la crisi finanziaria. Secondo me, esso ha la necessaria flessibilità, e anche se, in ogni caso, ci possono essere eccezioni temporanee in casi estremi, il patto in quanto tale non può tuttavia essere semplicemente accantonato.

L’altro interrogativo è ciò che accadrà in futuro riguardo al debito. Il pacchetto destinato ai mercati finanziari è stato preparato rapidamente, i governi sono passati all’azione e abbiamo dato prova – anche la Commissione lo ha fatto – di saper agire in tempi di crisi. Resta tuttavia da chiedersi se vogliamo adesso rinunciare ai principi che hanno contribuito alla stabilità dell’euro o se riusciremo a svilupparli e conservarli.

A ciò si aggiunge la miriade di proposte che abbiamo avanzato e che, a causa del poco tempo di parola che stranamente mi è stato concesso, non posso elencare e non elencherò. Il fatto è che, comunque, abbiamo bisogno di una rappresentanza esterna dell’euro più autorevole e unita, e in proposito condividiamo appieno la posizione del primo ministro lussemburghese e presidente dell’eurogruppo. Mi ha sorpreso che egli, nella sua veste di presidente dell’eurogruppo, non sia stato invitato al recentissimo vertice di Washington. Lo dico in tutta sincerità, perché questo fatto è nettamente in contrasto con tutti gli sviluppi positivi che ci sono stati. Naturalmente vogliamo che anche il Parlamento europeo sia coinvolto in maniera adeguata. All’ordine del giorno c’è un punto di cui abbiamo discusso a lungo, cioè se basti aumentare il coordinamento della politica finanziaria e di bilancio o se, come sostiene la Francia, ciò non sia sufficiente e si debba, invece, creare una forma istituzionale di un “governo dell’economia” – un’idea molto controversa in Germania. Qual è la strada giusta da percorrere? Per il mio gruppo, la risposta è chiara: non abbiamo bisogno di un governo dell’economia, abbiamo bisogno piuttosto di maggiore coordinamento, anche per quanto attiene al mix politico concordato. Ma è necessario anche che gli Stati membri diano prova della necessaria disciplina, perché in caso contrario l’euro potrebbe trovarsi in difficoltà sul lungo periodo – e nessuno lo vuole.

Ringrazio vivamente tutti coloro che hanno responsabilità in questo campo. Il Parlamento è pronto a collaborare strettamente; siamo certi che questa relazione ci consentirà di dare il tono giusto alle questioni in esame.

 
  
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  Joaquín Almunia, membro della Commissione. (ES) Signor Presidente, signor Presidente dell’eurogruppo, onorevoli deputati, devo prima di tutto ringraziare, a nome della Commissione, i due relatori, gli onorevoli Berès e Langen, e tutti coloro che hanno contribuito a questa eccellente relazione.

La qualità della relazione sul decimo anniversario dell’unione economica e monetaria merita ogni apprezzamento. La collaborazione tra i gruppi, a dimostrazione del grado elevato di coesione all’interno del Parlamento europeo, è anch’essa degna di nota. Questo è un ulteriore punto di forza, un altro elemento positivo dell’unione economica e monetaria, sia nel presente che nel futuro.

L’unione economica e monetaria esiste da un decennio. Tale constatazione è stata il punto d’avvio della nostra analisi, oltre che il punto di partenza della relazione della Commissione; è stata altresì all’origine della comunicazione della Commissione che ho avuto l’onore di illustrarvi il 7 maggio. Il decimo anniversario dell’unione economica e monetaria ricorre tuttavia in un momento caratterizzato da una situazione economica straordinariamente difficile e complessa, il che ci permette di analizzare l’unione economica e monetaria sotto il profilo dell’utilità dell’euro, la nostra moneta unica, il simbolo della nostra integrazione, ai fini del superamento di questa situazione, che rappresenta una novità assoluta per la nostra esperienza.

La conclusione che possiamo trarre è che i primi dieci anni dell’euro sono stati molto positivi, così come è positivo il giudizio sull’utilità dell’unione economica e monetaria per affrontare la situazione attuale. Stiamo vivendo tempi difficili, ma abbiamo a nostra disposizione uno strumento eccezionalmente utile per vanire a capo delle difficoltà presenti.

Le conclusioni dell’analisi presentate nella comunicazione che vi ho illustrata il 7 maggio e le conclusioni della vostra relazione devono essere tradotte in pratica, se vogliamo che questo strumento possa essere utilmente impiegato nella fase attuale. Sono d’accordo con i due relatori sul fatto che il coordinamento rappresenta un fattore decisivo.

Alla riunione di Washington dello scorso fine settimana si è parlato anche di coordinamento. Senza il coordinamento, non possiamo affrontare la situazione attuale in modo efficace. Nessuno può risolvere i propri problemi economici in una situazione come questa senza coordinare le diverse politiche economiche. Un tanto è emerso con evidenza qualche settimana fa, quando ci siamo trovati di fronte al rischio di un collasso del sistema finanziario. Ed è evidente anche che ora dobbiamo affrontare la prospettiva di una recessione nella maggior parte delle nostre economie, in un momento in cui, per la prima volta nella nostra vita, corriamo persino il rischio di deflazione.

Occorre coordinare le politiche di bilancio. Nella relazione sull’unione economica e monetaria si afferma la necessità di aumentare i controlli sui bilanci e di ampliare le modalità di coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio, come osservava prima l’onorevole Langen. Ma non dobbiamo perdere di vista la questione della sostenibilità, come ha ricordato l’onorevole Berès, la qualità delle finanze pubbliche e il fatto che con il patto di stabilità e di crescita abbiamo un sistema normativo che è stato rivisto nel 2005. Quella revisione si sta ora rivelando molto utile, perché in tempi di ripresa economica ci ha permesso di fare passi avanti sotto il profilo del consolidamento fiscale. L’area dell’euro ha concluso il 2007 quasi in pareggio, con un disavanzo dello 0,6-0,7 per cento per la prima volta nella sua storia; ma questo significa che ora abbiamo sufficiente flessibilità affinché la nostra politica fiscale possa realmente contribuire a sostenere la domanda, come dovrebbe fare anche la nostra politica monetaria.

Le conclusioni della nostra relazione sono particolarmente utili adesso, alla luce della necessità di collegare le politiche di bilancio con le riforme strutturali. In proposito, sono d’accordo con l’onorevole Berès: dobbiamo rivedere e adattare i programmi nazionali di Lisbona, i programmi di riforma nazionali, e dobbiamo rivedere anche i programmi di stabilità e convergenza degli Stati membri, adattandoli alla situazione attuale. Ne discuteremo nei mesi prossimi e per questo motivo la Commissione, come sapete, presenterà il 26 novembre un piano d’azione che comprende obiettivi, strumenti, politiche e impegni. Il piano segnalerà l’esigenza di adattare i programmi nazionali per unificare le politiche nazionali e portarle su un piano di convergenza e coerenza con la strategia, le politiche e gli strumenti europei. Concordo con lei e con la relazione laddove dice che occorre potenziare la dimensione esterna dell’euro e dell’unione economica e monetaria.

Come il presidente Juncker ben sa, noi dobbiamo avere una strategia nei confronti delle organizzazioni multilaterali e gli altri attori principali, per poter difendere i nostri interessi, ossia la nostra moneta e l’unione economica e monetaria, e, di conseguenza, per difendere anche gli interessi economici dell’Unione europea.

Questa strategia deve fondarsi su principi e priorità, ma anche su strumenti idonei a promuovere azioni che ci consentano di parlare con una voce sola, rafforzando così l’influenza di ciascun europeo e, in particolare, dell’area euro. Anche questa è una questione di governance. Approvo pienamente molti degli aspetti della governance che avete inserito nella vostra relazione e mi auguro che i ministri delle Finanze li apprezzeranno anch’essi, durante la riunione del Consiglio Ecofin e nell’eurogruppo.

Mi avvio a concludere. Nel suo intervento l’onorevole Berès ha detto che il commissario e la Commissione dovrebbero richiamare nuovamente l’attenzione dei ministri delle Finanze sulle conclusioni di questa relazione. Un personaggio di Molière dice che pensava di aver parlato in versi, ma in realtà aveva parlato in prosa senza rendersene conto. Credo che le discussioni che si stanno tenendo a livello di ministri nell’eurogruppo sotto la presidenza del primo ministro Juncker, nel Consiglio Ecofin e a Washington siano perfettamente in linea con le priorità e l’esigenza di coordinamento indicati nella relazione della Commissione e nella vostra relazione, anche se qualcuno probabilmente non ne è consapevole.

(Applausi)

 
  
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  Jean-Claude Juncker, presidente dell’eurogruppo. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevole Berès, onorevole Langen, onorevoli deputati, desidero anzitutto complimentarmi con i vostri due relatori per il documento che vi e ci hanno sottoposto, un testo che stiamo leggendo e discutendo. La relazione è corretta e talmente ampia che, ne sono certo, ci terrà molto occupati anche nei mesi a venire.

Condivido l’analisi illustrata nella relazione degli onorevoli Berès e Langen sulla valutazione del primo decennio della moneta unica. Non c’è nulla da aggiungere né da togliere rispetto a quanto i relatori scrivono nel loro documento. Inoltre, la relazione ha il sostegno della grande maggioranza del Parlamento, perlomeno sui punti sui quali la Commissione ha espresso il proprio parere. Rilevo che l’entusiasmo del Parlamento europeo per la moneta unica è molto più spiccato oggi di quanto lo fosse una dozzina di anni fa, o anche dieci anni fa, e non possiamo che esserne felici.

Per quanto riguarda le divergenze economiche, le discrepanze tra le riforme strutturali e le differenze nella gestione delle finanze pubbliche, vorrei osservare prima di tutto che non ho capito cosa la relazione intendesse esprimere laddove afferma che i risultati non sono pari alle aspettative che c’erano al momento dell’introduzione della moneta unica. Non ho notizia di alcuna relazione quantitativa sulle divergenze tra i singoli Stati membri della zona euro. Dato che una simile relazione non esiste, non può che trattarsi di un commento di circostanza, che non ho compreso. Condivido, invece, il parere che queste divergenze tendono, talvolta, ad aumentare; finora non hanno minacciato la coesione della zona euro, ma, se dovessero persistere, potrebbero tuttavia minarla a lungo termine.

Quanto al resto, sotto questo profilo dovremmo essere lieti che l’Europa – l’Unione europea in generale e l’eurogruppo in particolare -, che oggi si trova ad affrontare una delle peggiori crisi mai viste negli scorsi decenni, sia riuscita a gestirla con competenza, anche evitando di ripetere gli errori commessi in Europa negli anni settanta. Dire che non abbiamo rifatto gli stessi sbagli non è cosa da poco, perché dal punto di vista economico e politico questo fatto ci ha permesso di impedire che la crisi acuisse le divergenze all’interno dell’unione monetaria e contribuisse a minarne la coesione.

Il fatto è che, di fronte a una crisi di portata pari a quella che stiamo vivendo, e di fronte a una crisi che si sta viepiù allargando all’economia reale, è necessaria una risposta di politica economica forte e coordinata a livello europeo; inoltre, dobbiamo riflettere su quale sia il modo migliore per organizzarla tenendo conto, da un canto, del nostro quadro concettuale e normativo – mi riferisco al patto di stabilità e di crescita e alla strategia di Lisbona – e, dall’altro canto, della gravità della crisi, le cui conseguenze sono ben più pesanti di quanto avessimo immaginato ancora qualche mese fa.

La creazione della seconda più importante moneta al mondo comporta sicuramente vantaggi ma anche doveri, e il G20 di venerdì e sabato scorsi a Washington ci ha ricordato infatti gli obblighi nostri e di altri. Dobbiamo impiegare e sfruttare al meglio le tre settimane che ci separano dal Consiglio europeo di dicembre per affilare sapientemente la nostra strategia europea ed evitare risposte disparate a livello nazionale, le quali, ovviamente, rappresenterebbero per noi una minaccia. Mi commuove sentire gli inviti e i rinnovati appelli a un coordinamento della politica economica espressi perlopiù nell’idioma di Voltaire.

Vorrei che chi invoca il coordinamento delle politiche economiche desse prima di tutto e soprattutto il buon esempio, a dimostrazione della sincerità delle proprie parole. Rilevo che i governi degli Stati membri della zona euro si stanno buttando a capofitto, e a ragione, sui problemi che affliggono i rispettivi settori automobilistici. Vorrei che chi parla del settore automobilistico e chi parla continuamente del coordinamento delle politiche economiche coordinasse le proprie azioni nazionali quando si tratta di adottare iniziative in questo settore. Il resto è irrilevante. Coordinate per davvero e date prova, sulla scorta di esempi concreti, della sincerità delle vostre richieste.

(Applausi)

Per quanto riguarda la politica monetaria, conoscete bene la mia timidezza e sapete che non oserei mai profferire verbo in merito, se non per dire che continuo a credere che il ruolo svolto dalla Banca centrale europea negli ultimi mesi è stato assolutamente esemplare.

Integrazione e vigilanza dei mercati finanziari: questa è un’altra tematica che i relatori hanno preso in considerazione e affrontato nella loro relazione. Il G20 ha predisposto un ambizioso piano d’intervento che deve essere tradotto in azioni concrete dallo stesso G20 e, quindi, dall’Unione europea e da tutti i membri dell’eurogruppo. Ricorderete certamente che i paesi membri dell’eurogruppo e quelli dell’Unione europea sono stati i primi a chiedere che fossero tratte le debite lezioni dalla crisi che stiamo vivendo, e personalmente non intendo rinviare a una data successiva il capitolo che riserverò a questo episodio nelle mie memorie. Per quattro anni noi – intendo dire, i responsabili all’interno dell’eurogruppo – abbiamo continuato a ripetere ai ministri delle Finanze giapponesi e statunitensi e abbiamo continuato ad attirare l’attenzione dei nostri amici degli USA sia sui rischi del loro doppio disavanzo sia su quelli derivanti da una loro sistematica sottovalutazione, soprattutto nel settore immobiliare.

Per due anni, molti di noi – a livello di G7 e specialmente durante la presidenza tedesca del G7 – hanno chiesto, in tono anche un po’ sfacciato, una regolamentazione più ampia dei mercati finanziari. Non approvo che coloro che hanno respinto quella richiesta in passato diano oggi l’impressione di essere alla guida della reazione europea. I governi degli Stati Uniti e del Regno Unito hanno avuto tutto il tempo che volevano per accogliere le proposte dell’eurogruppo su una migliore regolamentazione dei mercati finanziari, ma non hanno voluto farlo. Pertanto, oggi non dovrebbero dare l’impressione di essere loro a guidare gli altri.

Sull’allargamento della zona euro non ho nulla di diverso da aggiungere a quanto detto dai relatori. Desidero soltanto sottolineare che appartenere alla zona euro rappresenta senz’altro un vantaggio, un’opportunità, ma comporta anche obblighi, alcuni dei quali dovranno essere adempiuti prima che l’adesione all’euro sia possibile.

Questo entusiasmo pienamente comprensibile per la nuova formazione del G7 crea, tuttavia, problemi per la rappresentanza esterna della zona euro. All’interno dell’eurogruppo abbiamo sempre invocato una maggiore presenza dell’Unione europea e dell’eurogruppo presso il G20, il Fondo monetario internazionale e il Fondo per la stabilità finanziaria. Come eurogruppo, siamo stati i primi a chiedere un seggio duraturo e permanente per la Commissione nel G20, cosa che non ha tuttavia fatto desistere il presidente della Commissione dal rivendicare per sé la presidenza dell’eurogruppo – con le conseguenze che vedremo più avanti. Noi riteniamo tuttavia che la Banca centrale europea e la Commissione dovrebbero essere rappresentate in seno al G20 su base duratura, e lo stesso vale per l’eurogruppo, che deve essere rappresentato dal suo presidente – il quale sta modestamente cercando di guidare il lavoro dei ministri delle Finanze, e in merito il presidente Sarkozy ha commentato che non erano all’altezza – o da qualcun altro. Non sto cercando di ottenere la presidenza dell’eurogruppo a livello di ministri delle Finanze per una mia brama, peraltro quasi inesauribile, di piaceri e di gloria; no, è per senso del dovere. Se altri ritengono di saper fare di meglio, si facciano avanti, però dovranno impegnarsi in questo compito nei prossimi anni con la stessa intensità da cui sembrano essere animati oggi.

Quanto al resto, in riferimento agli strumenti economici dell’unione economica e monetaria e alla gestione del nostro gruppo, credo che negli anni scorsi abbiamo compiuto progressi considerevoli; tuttavia, quando parliamo di politica dei cambi e di politica monetaria a livello internazionale, è inconcepibile che la seconda moneta più importante del mondo non sia rappresentata in termini politici e monetari da coloro che sono responsabili della gestione di questi due aspetti e queste due aree della nostra politica comune.

Se vogliamo che i ministri delle Finanze presenti nell’eurogruppo amministrino adeguatamente il lato economico dell’unione economica e monetaria, allora i vari capi di Stato e di governo devono dare ai rispettivi ministri delle Finanze le istruzioni necessarie. In Lussemburgo, come sapete, questo non costituisce affatto un problema.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La ringrazio molto, Presidente Juncker, non soltanto per la relazione ma anche per l’impegno che profonde in questo compito nella sua qualità di presidente dell’eurogruppo.

 
  
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  Jean-Pierre Audy, relatore per parere della commissione per il commercio internazionale. – (FR) Signor Presidente, signor Presidente dell’eurogruppo Juncker, signor Commissario, onorevoli colleghi, desidero complimentarmi con gli onorevoli Berès e Langen per la qualità della loro relazione e ringraziarli per avervi inserito gli emendamenti presentati dalla commissione per il commercio internazionale.

A dieci anni dalla sua istituzione, l’unione economica e monetaria va considerata un successo per la storia europea, e dobbiamo esserne fieri. Nessuno può contestare, e molti studi lo confermano, che esiste effettivamente un legame tra la politica monetaria e la politica commerciale e che, a tale riguardo, il ruolo positivo della stabilità monetaria è necessario per garantire una crescita sostenibile del commercio internazionale.

Il crescente impiego dell’euro come moneta internazionale va a beneficio degli Stati membri della zona euro perché permette alle aziende europee di abbassare il rischio di cambio e accrescere la loro competitività internazionale.

Ma, per quanto la Banca centrale europea, dando la priorità alla stabilità dei prezzi, abbia incrementato la fiducia nei confronti dell’euro, nessuno può ragionevolmente negare che l’inflazione sia una realtà globale e che, in un’economia aperta di mercato, questo fenomeno globale non possa essere affrontato solamente per mezzo della politica monetaria europea.

E’ palese che i tassi di cambio dell’euro sono stati troppo elevati troppo a lungo e hanno prodotto effetti negativi, se non altro ostacolando le esportazioni e promuovendo le importazioni nel mercato interno, al punto che molti produttori si sono detti preoccupati di tale stato di cose. Secondo uno studio che abbiamo fatto eseguire come commissione per il commercio internazionale, la politica degli alti tassi di cambio praticata dalla BCE ci è costata, negli anni scorsi, lo 0,5 per cento di crescita l’anno.

E’ per questo che deploro che la Commissione non abbia eseguito un’analisi più precisa del ruolo internazionale dell’euro e delle sue ripercussioni sul mercato interno sotto il profilo del commercio internazionale.

Le politiche monetarie portate avanti da alcuni dei partner dell’Unione europea allo scopo di provocare una sottovalutazione della loro moneta minano il commercio in maniera iniqua e potrebbero essere considerate una barriera non tariffaria al commercio internazionale. E’ in tale contesto che proponiamo di valutare la fattibilità di un organismo di regolamentazione delle differenze monetarie, sulla falsariga di quello che gli Stati sono riusciti a creare in ambito commerciale con l’Organizzazione mondiale del commercio.

Questo organismo, che rientrerebbe nell’ambito del Fondo monetario internazionale, potrebbe contribuire a stabilizzare il sistema monetario internazionale, a ridurre il rischio di abusi e a ridare ai mercati globali la fiducia di cui hanno bisogno.

Appoggio la proposta della Commissione di definire posizioni comuni europee in campo monetario al fine di ottenere, a lungo termine, un seggio per la zona euro nelle istituzioni e nei forum finanziari internazionali.

Deploro, infine, che la relazione non accolga l’idea di un governo dell’economia. Presidente Juncker, qui non si tratta di sincerità; si tratta di una proposta politica volta a organizzare i nostri strumenti comunitari.

Nei tempi andati, i governi avrebbero risolto i problemi più gravi sulla scena internazionale scatenando una guerra militare. Oggi combattiamo una guerra economica e sociale e la gente, pur non morendo, è però senza lavoro, e noi non sappiamo più chi sia il vero nemico.

Alla luce di tutto ciò, cerchiamo di non essere ingenui e lavoriamo con grande impegno per dare attuazione a una governance europea in campo economico e sociale, la quale da sola non basterà, ma è nondimeno una condizione necessaria per il successo di un’economia sociale di mercato europea.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. MAURO
Vicepresidente

 
  
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  Karsten Friedrich Hoppenstedt, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio vivamente il relatore per le sue osservazioni sul futuro dell’euro e su tutti gli ambiti politici collegati, e voglio dire che in commissione egli si è conquistato un ampio sostegno.

Sono grato anche agli altri oratori intervenuti in discussione, in particolare al presidente Juncker, che è stato il volto dell’Europa alla riunione del Fondo monetario internazionale di Washington, dove ha fatto un ottimo lavoro. Siamo stati orgogliosi di lui e vorrei dirgli soltanto di non lasciarsi scoraggiare dalle discussioni malevole e di continuare il suo lavoro, che ha prodotto grandi risultati.

Dieci anni fa ho avuto l’onore di parlare dell’euro a nome del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei, e in quella occasione dissi che l’euro sarebbe diventato una moneta forte, a dispetto dei commenti negativi, tra cui quelli del futuro cancelliere Schröder, il quale sosteneva all’epoca che l’euro era un bambino nato prematuro e malaticcio. Noi abbiamo confutato tale visione – e anche, mi pare, con un certo successo.

Dopo tutto, l’euro è stato messo al mondo dopo molti anni di cure, consistite in una dieta e in una severa e coerente politica salutista, che è stata un successo. Non intendo raccontare nuovamente tutta la storia. L’allora presidente in carica del Consiglio Brown affermò molto apertamente che il Parlamento europeo aveva svolto un ruolo importante nello storico processo che aveva portato all’unione monetaria. Altri protagonisti espressero il loro parere, tra gli altri Jacques Santer e Wilfried Maartens, che all’epoca descrisse i paesi della zona euro – dapprima undici, poi quindici e poi sedici – come i pionieri di un’Europa coraggiosa.

Credo che in Europa abbiamo bisogno di coraggio per affrontare il futuro, portare avanti il nostro lavoro con altrettanto successo e continuare ad affermarci validamente con la nostra moneta nel mondo delle altre grandi potenze – Stati Uniti, Asia e altre potenze mondiali. Le attuali riserve monetarie in euro a livello globale sono la miglior prova possibile del successo dell’euro e della zona euro.

 
  
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  Elisa Ferreira, a nome del gruppo PSE.(PT) Voglio congratularmi non soltanto con i relatori ma anche con la Commissione per aver preso l’iniziativa di preparare questo documento che ripercorre i primi dieci anni dell’unione economica e monetaria. Si tratta di un testo di valore strategico e questa analisi è stata d’importanza vitale.

Come già rilevato oggi qui in aula, l’euro è un successo innegabile: da Lisbona a Helsinki, da Dublino a Bratislava l’euro ha dimostrato di essere forte e solido, anche nelle attuali, gravi turbolenze. E’ chiaramente essenziale allargare i suoi confini.

Di questi tempi, però, la solidità del progetto europeo è messa quotidianamente alla prova sotto molti altri aspetti. Come già osservato, l’euro è cruciale per il funzionamento del sistema finanziario. Ma persino nel testo della Commissione si trae chiaramente la conclusione di fondo che né la crescita dell’economia reale né la convergenza sociale o spaziale hanno tenuto il passo di questo successo, anzi: la Commissione conclude che le disparità sono drasticamente cresciute nel primo decennio di vita della moneta unica.

Queste disparità toccano alcune regioni del mio paese, soprattutto nel Portogallo settentrionale, ma anche altre regioni di altri Stati membri. La politica monetaria unica e, in particolare, i tassi di cambio molto elevati hanno avuto un impatto maggiore sulle regioni più esposte alla concorrenza internazionale e anche su quelle che esportano di più.

Oggi, la crisi conseguente alla deregolamentazione dei mercati finanziari sta colpendo gravemente l’economia reale e aggrava ancora di più la situazione di molti cittadini in varie regioni. Le regioni esposte alla concorrenza internazionale, quelle che dipendono dalle piccole e medie imprese e quelle nelle quali l’accesso al credito è molto importante stanno diventando vittima di tale processo e sono persino a rischio di depressione.

Il successo dell’euro dipende dalla fiducia che i cittadini europei ripongono in esso. I paesi europei più forti hanno già adottato misure per stimolare le loro economie nazionali; possiamo citare, in particolare, le iniziative a favore dell’industria automobilistica. Ma l’Europa è più di questo; l’Europa deve essere molto di più che la somma, più o meno coordinata, delle politiche nazionali. E’ giunto il momento di fare dell’euro uno degli strumenti fondamentali per garantire una moneta robusta e anche un’economia reale robusta. L’euro deve essere accompagnato da meccanismi idonei ad assicurare l’ottenimento di quello che è, a ben guardare, il fulcro del progetto sociale, cioè la realizzazione della convergenza sociale e regionale.

Ora la discussione sul coordinamento delle politiche economiche nell’area euro è indubbiamente più importante e più urgente. Ma coordinare le politiche nazionali non basta; occorre fare di più. E’ limitante avere una strategia di Lisbona che è soltanto la somma di iniziative nazionali, e un patto di stabilità e di crescita che esercita pressioni diverse sui singoli paesi che lo applicano e vi sono assoggettati – senza dimenticare i ridotti bilanci disponibili.

Le crisi creano opportunità. L’unione monetaria potrà essere mantenuta soltanto se ci sarà convergenza tra i livelli di benessere dei singoli Stati membri e dei loro cittadini, indipendentemente da dove si è nati. In quale altro modo possiamo mobilitare la gente affinché appoggi la moneta unica? La Commissione deve essere all’altezza della sua stessa diagnosi, ed è per questo che attendiamo con ansia le proposte concrete che sottoporrà il 26 novembre a noi e ai cittadini europei.

E’ essenziale che questa crisi porti a una nuova fase dell’Unione, nella quale il consolidamento e il rafforzamento del sistema finanziario siano accompagnati da una prosperità reale, fondata sulla coesione e su un concetto di cittadinanza anche di natura economica.

 
  
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  Wolf Klinz, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, stiamo vivendo la più grave crisi finanziaria da decenni a questa parte, e la Banca centrale europea e l’euro hanno per il momento superato a pieni voti questa crisi, che è stata per loro la prova del nove. La banca centrale europea è intervenuta con fermezza e prontezza per affrontare la crisi e ha svolto il proprio compito meglio di alcune altre banche centrali. Ha quindi fornito una dimostrazione convincente delle proprie capacità di gestire una crisi in tempi difficili. L’euro, dal canto suo, ha dato prova di essere una moneta forte, che ha aiutato a mantenere stabile la zona euro ed è riuscito persino a dare una mano, sotto forma di misure mirate, a certi paesi non appartenenti alla zona euro.

La richiesta di un governo europeo dell’economia non riconosce che molto è già stato fatto e viene fatto attualmente per coordinare e armonizzare le politiche dei singoli Stati membri. Le conquiste ottenute in questo campo le dobbiamo, non da ultimo, a lei, Presidente Juncker, e vorrei quindi cogliere questa occasione per rivolgerle un ringraziamento affatto particolare.

I paesi fuori dalla zona euro, come Danimarca e Ungheria, stanno dolorosamente sperimentando quanto possa costare il fatto di non appartenere all’eurogruppo e di non essere tutelati dall’ombrello protettivo dell’euro. I paesi che in passato si sono detti contrari all’adozione della moneta unica, come Danimarca e Svezia, stanno ora cambiando idea e valutano l’ipotesi di aderire alla zona euro tra qualche anno.

La crisi finanziaria dimostra anche quanto strettamente siano intrecciati tra loro i sistemi finanziari, e quanto siano vulnerabili. E’ quindi nel nostro stesso interesse che i paesi che non lo hanno ancora fatto aderiscano alla zona euro quanto prima possibile, e che i paesi che avevano scelto di non aderirvi cambino idea, ma non al prezzo di concessioni non in linea con i criteri di adesione. L’unione economica e monetaria europea è una zona stabile, con criteri di adesione chiari, che non devono essere annacquati. L’unico cambiamento che varrebbe la pena di prendere in esame sarebbe quello di non usare come riferimento per il tasso d’inflazione i tre paesi migliori dell’Unione europea, bensì di considerare la zona euro nel suo complesso, dato che ora siamo un club più grande, con sedici membri.

Essendo stato rivisto pochi anni fa, il patto di stabilità e di crescita dispone di sufficiente flessibilità per poter rispondere adeguatamente, in tempi di squilibrio economico, a sfide come quelle della crisi in atto. Sarebbe pertanto un errore cercare di indebolirlo e di ridefinirne i requisiti.

La crisi rivela in tutta evidenza che disavanzi eccessivi come quelli registrati negli Stati Uniti non sono sostenibili a lungo termine, che lo sviluppo economico basato su un ricorso massiccio al credito non funziona e che pertanto non esistono alternative a misure volte a consolidare coerentemente i bilanci. Siamo fiduciosi che, diversamente da quanto si sta dicendo sui mercati finanziari e viene spacciato sui media, la crisi finanziaria finirà per rafforzare, non per indebolire, l’unione monetaria.

 
  
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  Eoin Ryan, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto congratularmi con gli onorevoli Berès e Langen per l’impegno con cui hanno preparato questa importantissima relazione. La relazione è eccellente e meritevole di considerazione.

Quando la commissione si è occupata di questo tema per la prima volta, il clima economico era molto diverso: negli Stati Uniti era scoppiata la crisi dei mutui subprime, però credo che allora nessuno avesse previsto le ripercussioni e le dimensioni delle conseguenze che la crisi avrebbe avuto sui mercati finanziari di tutto il mondo.

Con il peggiorare della situazione finanziaria, il tono delle nostre discussioni nella commissione per i problemi economici e monetari è andato cambiando. La crisi attuale è di portata globale e per superarla abbiamo bisogno di una risposta coordinata a livello globale; pertanto sono senz’altro favorevole all’iniziativa adottata nel corso del fine settimana e ai suoi risultati. Resta ancora molto da fare, ma ritengo che si tratti nondimeno di un ottimo inizio.

Per l’Irlanda, la stabilità portata dall’euro, soprattutto sotto il profilo dei tassi d’interesse e dei tassi di cambio con le altre monete, è un fattore chiave che ci permette di uscire dalle turbolenze, se non indenni, quanto meno ancora saldi sulle nostre gambe.

Se c’è ancora qualcuno, in Irlanda o da qualche altra parte nella zona euro o in Europa, che dubita dei vantaggi dell’adesione all’euro, bene, provi un po’ a guardare la situazione nell’Europa nord-occidentale e prenda nota di quanto sta succedendo in Islanda.

Se gli irlandesi avessero dato ascolto a quelli che erano contrari non solo al trattato di Lisbona ma anche ai trattati di Maastricht e Nizza, dove sarebbe adesso l’Irlanda? Saremmo fuori, non saremmo nella zona euro e subiremmo pesantissimi contraccolpi economici perché non avremmo la stabilità che l’euro ha dato al nostro paese.

Non mi aspetto una risposta dai partiti come il Sinn Féin che sono sempre stati fermamente contrari all’Europa e ai passi che abbiamo compiuto; credo però che sia venuto per loro il momento di farsi avanti e dire esattamente cosa pensano e quale sia la loro posizione sull’intera questione dell’Europa e del futuro della nostra economia.

 
  
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  Pierre Jonckheer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, signor Presidente dell’eurogruppo, signor Commissario, a nome del mio gruppo desidero anch’io ringraziare gli onorevoli Berès e Langen per l’importante relazione che ci hanno presentato. Nei suoi 62 paragrafi e nelle sue 14 dense pagine, la relazione ci offre molti spunti di riflessione. Colgo l’occasione della presenza del presidente dell’eurogruppo e del commissario per condividere con loro, sempre a nome del mio gruppo, diverse osservazioni che, a nostro giudizio, meritano di essere esaminate più in profondità rispetto a quanto faccia la relazione.

La prima osservazione riguarda la politica dei tassi di cambio dell’euro. Confesso di continuare a non capire se esista realmente una politica dei tassi di cambio dell’euro nei confronti delle altre monete internazionali, e se, al G20 o in altre sedi, si discuta del modo in cui i consistenti disavanzi degli Stati Uniti continueranno a essere finanziati.

La seconda osservazione riguarda la questione del coordinamento. Credo che l’euro sia un successo, soprattutto dal punto di vista politico, perché conferisce all’Unione europea lo status di potenza politica. Ma credo anche che il suo coordinamento non stia funzionando molto bene, per almeno tre ragioni.

La prima è la tassazione. Sapete come la pensa il gruppo Verde/Alleanza libera europea al riguardo: siamo favorevoli alla concorrenza fiscale all’interno dell’Unione, purché sia leale. Crediamo che la nostra azione sia del tutto carente quando si tratta di combattere i paradisi fiscali, anche quelli dentro l’Unione europea, e crediamo che la nostra azione sia del tutto carente anche quando si tratta di estendere la direttiva sui redditi da risparmio.

Sul punto del coordinamento della politica di bilancio – e questa è la seconda ragione – rilevo che gli Stati membri si stanno tutti imbarcando in piani di “rinascita”. Il ministro Strauss-Kahn sostiene, per esempio, che a livello europeo è necessario impegnare l’1 per cento del PIL dell’Unione – un valore che corrisponde in pratica all’intero bilancio comunitario di un anno. Qual è la nostra posizione a tale proposito? Penso che gli sforzi di coordinamento non stiano andando nel verso giusto e penso anche che le risposte che date in riferimento al patto di stabilità e di crescita non siano né sufficienti né all’altezza della sfida che ci attende.

Infine, la terza ragione per cui il coordinamento mi sembra essere scarso e insufficiente è la politica salariale portata avanti nei diversi paesi dell’Unione europea. A ben guardare, la Germania ha ottenuto risultati così buoni negli scorsi dieci anni perché ha praticato una politica salariale che, considerate le dimensioni dell’economia tedesca, è all’origine dello slancio complessivo della zona euro. Credo che ciò costituisca un problema sotto il profilo della domanda interna e dei livelli salariali di una serie di categorie professionali, per non parlare dell’incertezza sull’occupazione.

Su questi tre punti, signor Presidente dell’eurogruppo, mi aspetto da lei e dal Consiglio dei ministri delle Finanze, che lei rappresenta, maggiori ambizioni per il futuro, dato che stiamo parlando anche delle sfide a venire.

 
  
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  Sahra Wagenknecht, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dieci anni dopo l’introduzione dell’unione monetaria l’Europa si trova in una grave crisi: le banche sono al collasso o sono tenute a galla con iniezioni di miliardi a carico dei bilanci nazionali, il mercato sta crollando e milioni di persone temono per il proprio posto di lavoro e per il proprio futuro.

Non è solo il mercato ad aver fallito; anche la politica prevalente sembra incapace di imparare dagli errori commessi. Noi riteniamo che siano stati compiuti gravi errori al momento della costituzione dell’unione economica e monetaria. Uno di essi è stata la separazione strutturale tra la politica monetaria e la politica fiscale: non è possibile creare una moneta unica senza contemporaneamente armonizzare, perlomeno a grandi linee, la politica fiscale e la politica di spesa. Mi pare che gli squilibri economici all’interno della zona euro siano cresciuti enormemente. Ciò di cui abbiamo bisogno adesso è, in effetti, un migliore coordinamento della politica economica e specialmente di quella fiscale; abbiamo bisogno di misure efficaci per contrastare il dumping fiscale e dobbiamo anche chiudere i paradisi fiscali e imporre finalmente nuovi controlli sui movimenti di capitale.

Il secondo grave errore è, secondo noi, la struttura del patto di stabilità e di crescita. In tempi come questi, chiunque pensi che il consolidamento di bilancio sia essenziale è in tutta evidenza fuori dal mondo: nulla sarebbe più disastroso che rispondere a questa crisi economica, al punto in cui siamo, con banali programmi di risparmio. Il patto di stabilità ha chiaramente dimostrato di aver fallito e al suo posto ci dovrebbe essere una strategia europea integrata per la solidarietà e lo sviluppo sostenibile. A nostro parere, abbiamo bisogno di un’offensiva nel campo degli investimenti per rinnovare le infrastrutture pubbliche e migliorare le condizioni di vita dei gruppi socialmente svantaggiati in Europa.

Il terzo errore è, secondo noi, la struttura della stessa Banca centrale europea, che non è soggetta ad alcun controllo democratico e ha come unico obiettivo la stabilità dei prezzi. Proponiamo l’introduzione di un sistema di controllo democratico della Banca centrale europea e chiediamo anche una modifica del mandato della BCE nel settore della politica monetaria, in modo tale che, in futuro, alla crescita e all’occupazione sia riconosciuto almeno lo stesso peso attribuito alla stabilità dei prezzi.

La crisi attuale rappresenta anche un’occasione per attuare un’ampia riforma dell’architettura monetaria e finanziaria dell’Europa – un’occasione che non va sprecata.

 
  
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  Nils Lundgren, a nome del gruppo IND/DEM. (SV) Signor Presidente, se in Europa avessimo un quadro comune di riferimento per la letteratura, potrei cominciare il mio intervento citando un grande poeta svedese che, tradotto liberamente, così ci ammonisce: la voce dell’adulazione ti culla nel sonno, ascolta talvolta la voce della verità. Nell’originale, il verso è alessandrino con una cesura. Entrambi i relatori giungono alla conclusione che l’unione monetaria è stata un successo e in tal modo contribuiscono a creare un mito dell’euro che non ha radici nel pensiero critico occidentale.

La verità sull’euro è affatto diversa. Innanzi tutto, i suoi primi dieci anni di vita hanno comportato costi enormi sotto forma di minore crescita e maggiore disoccupazione. Secondo, finora l’unione monetaria non è stata messa alla prova in tempi difficili. Studi dimostrano che le conseguenze sul volume del commercio estero potrebbero essere notevoli, forse addirittura nell’ordine del 3-4 per cento del prodotto nazionale lordo. D’altronde, è tuttavia evidente che il guadagno in termini socio-economici di questa crescita degli scambi commerciali è piuttosto modesto, pari, forse, al 3-5 per mille del prodotto nazionale lordo – un risultato davvero straordinario. Questo trascurabile aumento di ricchezza è stato ottenuto a spese dei paesi della zona euro che non sono stati in grado di attuare una politica monetaria e finanziaria autonoma. La Germania è entrata nell’unione monetaria con una moneta molto sopravvalutata e ha convissuto con un alto tasso d’interesse e una politica finanziaria troppo restrittiva.

I costi sono stati elevati; dobbiamo quindi chiederci come si intenda andare avanti. E’ stata messa in giro la storia che i paesi della zona euro hanno serrato i ranghi e condotto la battaglia contro la crisi finanziaria. Come tutti sanno, questo è un mito. E’ stato il Regno Unito, che non appartiene all’unione monetaria, con Gordon Brown a prendere l’iniziativa; la zona euro si è limitata a seguirlo.

 
  
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  Roger Helmer (NI). - (EN) Signor Presidente, permettetemi di complimentarmi con l’onorevole Lundgren per le sue osservazioni e di contestare le affermazioni dell’onorevole Ryan del gruppo "Unione per l'Europa delle nazioni", il quale ha sostenuto che la stabilità apportata dall’euro è stata di grandissimo beneficio per l’Irlanda. Se egli avesse seguito la recente storia economica di quel paese, saprebbe che la mancanza di flessibilità della politica monetaria dell’euro è stata la concausa di una forte inflazione, soprattutto nel mercato edilizio, e che la bolla speculativa nel settore edilizio irlandese è stata molto più grave di quanto lo sarebbe stata se l’Irlanda avesse potuto avere il controllo della propria politica monetaria.

Con l’euro ci sono stati promessi grandi benefici: condizioni più favorevoli per viaggiare, crescita ed efficienza, e anche maggiore facilità dei trasferimenti di danaro tra gli Stati membri. Ma tutto questo non è avvenuto. Sì, certo, viaggiare è diventato più semplice, però la crescita e l’efficienza non si sono viste, e credo che anche in futuro sarà quasi altrettanto difficile e costoso che in passato trasferire danaro tra i paesi aderenti alla zona euro.

Quelli tra noi che dubitavano del progetto dell’euro sono stati vendicati. Adesso abbiamo il tasso d’interesse sbagliato per la maggior parte dei paesi per la maggior parte del tempo. L’Italia ha vissuto la peggiore crisi di competitività, con i costi unitari del lavoro aumentati del 40 per cento rispetto alla Germania. Ci è stato detto che l’euro è un grande successo perché è una moneta forte. Bene, proviamo ad andare a chiedere a qualche esportatore della zona euro cosa ne pensa della forza dell’euro: l’euro forte li sta penalizzando enormemente.

La vera prova del successo di una moneta è il grado di fiducia sul mercato, che si misura, in questo caso, con il bond spread tra i paesi aderenti all’euro. L’ultima volta che ho controllato, la differenza di rendimento dei titoli pubblici tra la Grecia e la Germania era superiore a 150 punti base. Un simile divario non è sostenibile ed è sintomo di una totale mancanza di fiducia nell’euro da parte dei mercati. Il problema che ci dobbiamo porre non è quanto l’euro potrà durare, bensì quale Stato membro lo abbandonerà per primo.

 
  
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  Ján Hudacký (PPE-DE). – (SK) Signor Presidente, signor Commissario, desidero ringraziare i due relatori per il testo equilibrato che ci hanno presentato.

In riferimento alla relazione, desidero parlare innanzi tutto delle attuali difficoltà nella zona euro. Nonostante dieci anni di risultati positivi ottenuti grazie alla sua gestione, la zona euro si trova ad affrontare sfide nuove nella sua ricerca di risposte e reazioni alla crisi finanziaria e alla conseguente recessione economica.

Vorrei dare il mio contributo al riguardo ricordando alcuni degli interventi non sistemici di regolazione compiuti sul mercato dai governi di alcuni Stati membri con la scusa di risolvere questa nuova situazione.

Devo rilevare con una certa sorpresa che i governi degli Stati membri sono spesso indotti a compiere determinati interventi inutili nel settore finanziario da alcune affermazioni fatte da certi rappresentanti dell’Unione europea, e che tali interventi spesso sono in grado di risolvere soltanto gli aspetti marginali della situazione.

Questa considerazione vale, ad esempio, per il rispetto delle condizioni del patto di stabilità e di crescita, e in proposito taluni governi stanno già avvisando che non si atterranno al deficit programmato per le rispettive finanze pubbliche e seguiranno l’incoraggiamento in tal senso dell’Unione europea.

L’acquisizione da parte dei governi di alcuni Stati membri di istituzioni finanziarie in crisi creerà un pericoloso precedente per l’espropriazione delle imprese private di qualsiasi settore che non sono disposte ad adattarsi a interventi normativi e discriminatori non sistemici eseguiti, per esempio, nell’ottica di contrastare l’inflazione.

In merito agli interventi finanziari su ampia scala a favore di alcuni comparti dell’economia, come il settore automobilistico, viene da chiedersi se essi comportino un’eccessiva distorsione del mercato e se siano discriminatori nei confronti di altri settori.

Senza un coordinamento chiaro e attento e senza norme precise a livello di Unione europea o di zona euro, sarà difficile gestire questi processi molto impegnativi.

In tale contesto, sollecito i rappresentanti della Commissione europea, della Banca centrale europea e di altre istituzioni comunitarie importanti ad assumere una posizione meditata e coordinata quando ricercano una soluzione ottimale in questi tempi difficili, con l’intera Europa colpita dalla recessione economica.

A breve termine, un eccesso di regolazione e di interventi da parte governativa sul mercato libero può arrestare temporaneamente un ulteriore collasso economico dell’Unione europea, ma a medio termine non potranno sicuramente dare l’atteso stimolo agli investimenti.

 
  
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  Antolín Sánchez Presedo (PSE).(ES) Signor Presidente, Commissario Almunia, onorevoli colleghi, l’unione economica e monetaria ha conferito al processo d’integrazione europeo una nuova dimensione. La sua governance si fonda su due pilastri asimmetrici: l’unione monetaria, per sua natura federale, e il coordinamento economico, per sua natura intergovernativo. Entrambi devono assicurare la stabilità, la crescita, la correttezza e la sostenibilità che i nostri cittadini chiedono.

Il bilancio di dieci anni di zona euro è positivo, e lo dimostra il fatto che la moneta unica viene considerata sempre più come un rifugio e un porto sicuro per gli Stati membri. Dobbiamo tuttavia progredire e ampliarne l’ambito di applicazione, e lo dobbiamo fare per affrontare le sfide poste dalla globalizzazione, dal cambiamento climatico e dall’invecchiamento della popolazione, come pure dall’attuale crisi finanziaria, che ci impone di migliorare le nostre azioni. E lo dobbiamo fare anche per scacciare lo spettro della recessione che ora si sta affacciando per la prima volta.

L’euro non può fungere semplicemente da ancora di salvezza; deve essere anche un motore capace di sostenere la crescita. La zona euro e l’unione economica e monetaria devono poter rispondere a queste sfide.

Mi congratulo con i relatori per l’eccellente lavoro che hanno svolto e desidero in particolare ringraziarli per aver accolto due delle mie proposte. La prima è di introdurre nella definizione della nostra politica monetaria, insieme con il pilastro economico e quello monetario, l’esigenza di un’analisi finanziaria per elaborare correttamente questa politica, la cui definizione deve tener conto del trasferimento della politica monetaria, dello sviluppo del credito e dei beni finanziari, delle caratteristiche dei prodotti nuovi e della concentrazione di rischi e liquidità.

In secondo luogo, dobbiamo prendere in considerazione le divergenze tra gli Stati membri, che cresceranno con l’avanzare dei processi di allargamento. In molti casi, una politica monetaria uguale per tutti non potrà tener conto delle situazioni dei singoli paesi e dovrà pertanto essere adattata mediante l’introduzione di facilità finanziarie a favore di quei paesi che possono subire effetti di contrazione a causa di una politica “a taglia unica”, visto che gli effetti espansivi possono essere facilmente corretti con manovre di politica fiscale.

 
  
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  Margarita Starkevičiūtė (ALDE). - (LT) E’ stato detto che qualsiasi crisi mette in luce tutti i punti forti e i punti deboli delle strutture dell’economia e delle istituzioni. Devo riconoscere che in passato avevo ben pochi dubbi sul fatto che una maggiore attenzione ai paesi della zona euro avrebbe creato le condizioni per l’emergere di un’Europa a due velocità e che le economie in via di sviluppo, come quella lituana, avrebbero incontrato ostacoli nell’aderire alla zona euro. Ma quanto sta accadendo sui mercati finanziari ha cambiato il mio atteggiamento verso il ruolo e l’influenza dell’eurogruppo nell’Unione europea.

E’ evidente che la zona euro ha superato la prima forte ondata della crisi finanziaria. E’ chiaro che è possibile arrestare il calo dell’economia attraverso una politica economica meglio coordinata tra gli Stati membri e in grado di accelerare l’integrazione e l’espansione del mercato interno. I paesi che sono rimasti fuori dalla zona euro sono quelli che hanno sofferto di più. Abbiamo sofferto e subito la crisi finanziaria principalmente a causa del ritiro dei capitali che è in atto. E’ per tale motivo, e non perché siamo contrari all’integrazione, che talvolta ci opponiamo fermamente a decisioni che faciliterebbero il movimento dei capitali nei paesi dell’Unione europea. Essendo economista di professione, so che i processi di integrazione stimolano la crescita economica. Ma vorremmo che la zona euro diventasse veramente una scogliera in grado di opporsi ai marosi della crisi finanziaria, una roccia su cui salire per trovare riparo dai venti gelidi.

Cosa occorre fare perché la forza della zona euro diventi la forza dell’intera Unione europea? Dovremmo sicuramente evitare di proporre una gran quantità di misure nuove. Signor Commissario, oggi ho letto le risoluzioni adottate dal Parlamento europeo in materia di politica economica. Sarebbe stato vantaggioso per noi se almeno una parte di quelle proposte fosse già stata messa in pratica. Le proposte sono molto numerose e mi sembra che ci sia bisogno di pensare ad altre. Quello che dobbiamo fare ora è consolidare le proposte esistenti.

Attualmente si discute se, per uscire dalla recessione economica, si debba ricorrere a un maggiore intervento da parte dello Stato o piuttosto a una politica più liberista. Vorrei dire che andrebbero attuate entrambe queste strategie economiche. Più che altro, è evidente che abbiamo bisogno di una rete di sicurezza sociale con forme di sostegno e sostentamento da parte dello Stato, per aiutare chi ha perso il lavoro a causa della crisi o della ristrutturazione a dare un nuovo senso alla propria vita. Dall’altro canto, abbiamo bisogno di riforme liberiste affinché il processo di integrazione si rafforzi e crei opportunità per la crescita delle imprese nell’Unione europea. E qui la zona euro ha un ruolo importante da svolgere.

Concludo associandomi ai colleghi nel dirle, signor Presidente dell’eurogruppo, che apprezziamo la sua opera e sappiamo quanto sia complessa la situazione; ma può contare quanto meno sul sostegno del Parlamento europeo.

 
  
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  Dariusz Maciej Grabowski (UEN). - (PL) Signor Presidente, i primi dieci anni dell’unione economica e monetaria dovrebbero essere esaminati e valutati in una prospettiva internazionale. La domanda che dovremmo porci è dove l’Unione europea si è dimostrata più vantaggiosa rispetto ai suoi principali concorrenti a livello mondiale, cioè gli Stati Uniti e l’Asia. Una prospettiva del genere rivela chiaramente che il bilancio della zona euro si chiude in rosso. L’Unione europea si è sviluppata più lentamente rispetto ai suoi concorrenti. La crescita dei posti di lavoro e, in particolare, la crescita della produttività del lavoro sono state inferiori che negli Stati Uniti, per non parlare dell’Asia. Ciò significa che la moneta unica non sta svolgendo il suo ruolo primario.

Un altro aspetto è il futuro della zona euro: i documenti della Banca centrale europea e le autorità dell’Unione mettono sempre più in evidenza la necessità di usare l’euro come uno strumento per imporre agli Stati membri politiche economiche uniformi, soprattutto in ambito fiscale e di bilancio. Questa dichiarazione preoccupa i paesi più arretrati, specialmente i nuovi Stati membri. Come possono svilupparsi e superare il divario che li divide da quelli vecchi se sono costretti a praticare una politica che rallenta la crescita economica in tutti i paesi membri?

La principale critica rivolta alla Banca centrale europea è che, nel suo tentativo di fare dell’euro una moneta mondiale, ignora i problemi economici delle regioni e degli Stati membri meno sviluppati, ed è altresì incapace di tener conto degli aspetti sociali, quali la struttura demografica e la mobilità dei cittadini.

La posizione delle autorità comunitarie è ancor meno accettabile se si considera che, per molti anni, Germania e Francia non hanno soddisfatto i severi requisiti di Maastricht perché sapevano che ciò era nel loro interesse nazionale. Inoltre, i due paesi non sono mai stati né puniti né chiamati a render conto delle loro inadempienze. Pertanto, quello che, a mio parere, dobbiamo fare è non proseguire con l’attuale dottrina economica della zona euro; c’è bisogno invece di un cambiamento radicale che non solo ci aiuti a contrastare la crisi finanziaria in atto ma, soprattutto, permetta a tutti gli Stati membri dell’Unione di dare libero corso alle proprie energie e quindi di svilupparsi economicamente.

 
  
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  Kyriacos Τriantaphyllides (GUE/NGL). - (EL) Signor Presidente, la proposta della Commissione europea sul primo decennio dell’unione economica e monetaria contiene una serie di contraddizioni. Mira a chiudere un ciclo di deregolamentazione del mercato, mentre nell’economia reale i prezzi dei beni e dei servizi non sono mai stati così alti e la disoccupazione nella zona euro salirà, secondo le previsioni, all’8,6 per cento nel 2009 e al 9 per cento nel 2010.

I fatti dimostrano che il divario tra ricchi e poveri non è affatto diminuito. La crisi economica e finanziaria globale è direttamente collegata a restrizioni dello Stato e della politica di deregolamentazione. Inoltre, mentre abbiamo conferma dell’iniqua distribuzione della ricchezza, la Commissione si esprime a favore dell’applicazione anche in futuro e dell’effetto livellatore del patto di stabilità e di crescita, nonché di un ruolo più forte del Fondo monetario internazionale.

Questo approccio fa piazza pulita delle peculiarità delle economie dei singoli Stati membri ed è in contrasto con la filosofia di tassi di crescita diversi nei diversi paesi membri.

 
  
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  Hanne Dahl (IND/DEM). - (DA) Signor Presidente, quest’anno festeggiamo il decimo anniversario dell’introduzione dell’euro in molti Stati membri dell’Unione europea. Per due volte, dopo lunghe e approfondite discussioni, la Danimarca si è detta contraria all’adozione della moneta unica, ma è giunto il momento di fare un bilancio e riconsiderare la questione. Dobbiamo valutare molto criticamente la nostra moneta unica. Da luglio il valore dell’euro è sceso del 30 per cento rispetto al dollaro, dopo l’inizio della crisi finanziaria. Gli investitori non hanno fiducia nell’euro. Perché? In parte, la risposta è ovvia: molti indizi fanno ritenere che la politica monetaria perseguita all’interno dell’Unione europea, e mirata soltanto alla lotta contro l’inflazione, non sia la politica giusta. La politica finanziaria molto rigida che gli Stati membri sono costretti a praticare in base al patto di stabilità non è quella più adatta di questi tempi. Il basso tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro è il risultato dell’assenza di fiducia nella politica economica dei paesi che usano l’euro. Possiamo aggiungere che la crisi finanziaria rivela anche qualcos’altro, cioè che lo standard unico dell’euro non va bene. Sempre più economisti sono del parere che si dovrebbe seguire una politica finanziaria espansiva. Se vogliamo usare l’euro come uno strumento, abbiamo bisogno di molte più politiche economiche individuali di quante ne consenta l’euro. Un euro “a taglia unica” non potrà mai andar bene per tutti: ci sarà sempre qualcuno al quale starà stretto.

In conclusione devo dire all’onorevole Klinz – secondo il quale noi danesi vorremmo aderire all’euro e avremmo una moneta debole – che l’economia danese è solida come la roccia e che abbiamo gestito la crisi finanziaria meglio della media dei paesi euro.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signor Presidente, in occasione del decimo anniversario dell’unione economica e monetaria c’è ben poco da festeggiare. Stiamo cercando disperatamente di applicare una serie di misure di salvataggio per evitare che si apra uno squarcio nella diga e il nostro sistema finanziario sia invaso dalle acque, e l’unica cosa che riusciamo a fare è mettere qualche piccola toppa sulle falle. Le banche hanno incassato miliardi di fondi pubblici e nel contempo hanno distribuito bonus e profitti, mentre il cittadino medio è stato preso in giro tante e tante volte: le sue tasse sono finite nel gioco alla roulette delle banche ed è stato ripagato con la minaccia di perdere il posto di lavoro e, in certi casi, addirittura i propri risparmi e il fondo pensionistico.

Nel bel mezzo di questo disastro, si stanno levando voci per dire che dobbiamo una buona volta fare qualcosa per evitare che le imprese europee finiscano nelle mani di proprietari non europei, ad esempio cinesi. La svendita dell’Europa è cominciata anni fa, con operazioni di leasing transfrontaliere e altre macchinazioni del genere. Come se tutto ciò non bastasse, l’unione economica e monetaria è in gravi difficoltà a causa della crescita esponenziale del debito della Grecia e della negligenza dell’Italia dopo l’adesione all’euro.

Dobbiamo pertanto assicurare che i nuovi membri non ripetano gli errori già fatti con l’euro e che i soldi pubblici – cioè, i soldi dei cittadini – non possano più essere usati per rischiosi giochi finanziari. Abbiamo bisogno non soltanto di severi controlli a livello comunitario su strutture finanziarie ritenute dubbie, ma anche di un contributo di solidarietà da parte di chi ha tratto vantaggio dalle speculazioni. Soprattutto, l’Unione deve rinunciare, in via di principio, al capitalismo selvaggio e proteggere invece i suoi cittadini dall’avidità sfrenata e dagli effetti negativi della globalizzazione incontrollata.

 
  
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  Othmar Karas (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, Presidente Juncker, onorevoli colleghi, mi sembra che l’onorevole Mölzer non abbia colto il nocciolo della questione, perché nulla di ciò che ha detto ha a che fare con l’euro.

L’euro e l’allargamento sono i successi più evidenti degli ultimi dieci anni. Non dobbiamo però dimenticare che questi successi non sarebbero mai stati possibili senza i criteri di Maastricht, il patto di stabilità e di crescita e la Banca centrale europea, e neppure senza la volontà politica e la disponibilità ad assumere responsabilità a livello europeo. Ora stiamo parlando di cooperazione e coordinamento. E’ vero che abbiamo bisogno di maggiore cooperazione e maggiore coordinamento, ma ciò sarà possibile soltanto se ci fideremo di più l’uno dell’altro. E più cooperazione e più coordinamento sono necessari anche per un più forte ruolo dell’Europa nelle pratiche economiche.

Nel corso di varie crisi, la Banca centrale europea, la Federal Reserve e la Banca del Giappone hanno aiutato a proteggere l’Europa dalle crisi monetarie. Voglio pertanto sottolineare una volta di più che non vi può essere alcun vertice senza la presenza di rappresentanti della zona euro e della Banca centrale europea. La crisi finanziaria ha rivelato che l’euro ci ha permesso di restare indenni da speculazioni valutarie e di impedire che esse si verificassero all’interno della zona euro. Le reazioni in Danimarca, nel Regno Unito, in Svezia e in Ungheria ci fanno capire molto bene ciò che l’euro ha fatto per noi.

Concludo, signor Presidente, dicendo che anche noi vogliamo che l’Unione europea sia rappresentata presso il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e in altre sedi dell’economia finanziaria globale, in linea con la sua forza. Invitiamo tutti coloro che adesso chiedono a gran voce l’adozione di norme globali a fare in Europa e nei loro Stati membri quello che pretendono dagli altri.

 
  
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  Olle Schmidt (ALDE). - (SV) Signor Presidente, signor Commissario, Presidente Juncker, desidero congratularmi vivamente con un maturo decenne e ringraziare entrambi i relatori per l’eccellente relazione.

Gli scorsi mesi hanno dimostrato, ovviamente, la forza dell’euro. Dieci anni fa pochi credevano che l’euro sarebbe stato un successo così formidabile. Alcuni paesi, compreso il mio, hanno atteso con ansia fuori dalla porta. Taluni critici hanno probabilmente pensato che l’euro non avrebbe superato l’esame, come ha testé osservato l’onorevole Lundgren, ma lui e gli altri profeti di sventura avevano torto. Dopo mesi di incertezza finanziaria è chiaro che soltanto la cooperazione in campo economico, con l’euro come asse portante, può dare quella sicurezza di cui gli attuali sistemi economici globali hanno bisogno. Proprio il fatto che siano state misure comuni a determinare un miglioramento del mercato dimostra la forza della cooperazione nell’ambito dell’euro.

L’euro dovrebbe essere la moneta di tutta l’Europa. Se vogliamo che questa idea diventi realtà, non dobbiamo inasprire ancora di più i già severi criteri di convergenza. Credo pertanto che sia sbagliato fare dell’adesione all’euro una sorta di iscrizione a un circolo esclusivo con requisiti d’ingresso più selettivi, come richiesto in uno degli emendamenti.

Permettetemi di intervenire brevemente sulla posizione della Svezia al di fuori della zona euro. Per la Svezia, che ha un solo piede nell’Unione europea, non facendo ancora parte della zona euro, i vantaggi e gli svantaggi sono adesso più chiari che mai – e spero lo siano anche per l’onorevole Lundgren. Durante la precedente crisi finanziaria che colpì la Svezia nel 1992, non potemmo fare nient’altro che lasciar crollare il corso della corona. Le lezioni imparate a quell’epoca sono state all’origine della nostra decisione di diventare parte della famiglia europea. Nel corso dell’anno passato, la corona svedese ha perso valore nei confronti dell’euro. Ora che si comincia a intervenire sulla crisi finanziaria, la Svezia si ritrova a essere esclusa sia dalla protezione offerta dall’euro sia dalle risoluzioni adottate e richieste da chi gestisce la crisi all’interno dell’eurogruppo. E’ in questi momenti che paesi piccoli come la Svezia dovrebbero rendersi conto del valore della moneta unica. La stabilità data dall’euro rende possibile quella prospettiva di lungo raggio che è importante per un paese così dipendente dalle esportazioni com’è la Svezia. E’ vero che la Svezia può vantare un buono sviluppo economico; però l’adesione all’euro avrebbe reso più stabile la nostra politica monetaria e creato maggiore occupazione, un’economia più solida ed esportazioni più forti.

I partiti svedesi dovrebbero dunque prepararsi a riconsiderare le loro posizioni passive nei confronti dell’adozione dell’euro come moneta del nostro paese, affinché esso diventi membro a pieno titolo dell’Unione europea. E’ giunto il momento che la Svezia affronti seriamente la questione di un nuovo referendum. Per parte mia, mi auguro che adotti l’euro entro cinque anni.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). - (PL) Signor Presidente, vorrei attirare la vostra attenzione su due punti affrontati durante questa discussione che, a mio parere, gettano un’ombra sul funzionamento dell’unione economica e monetaria. Primo, la crescita è più rapida nei paesi non aderenti alla zona euro che in quelli che ne fanno parte. Nel periodo 2002-2007 i vecchi Stati membri fuori dalla zona euro – Regno Unito, Svezia e Danimarca – sono cresciuti molto più velocemente dei paesi dell’euro. Nei tre paesi citati, il prodotto interno lordo è cresciuto a un tasso doppio rispetto alla media della zona euro e i tassi di disoccupazione erano notevolmente inferiori. Le differenze tra i paesi della zona euro e i nuovi Stati membri sono ancora più evidenti.

Secondo, esiste una disparità di trattamento tra i paesi che vogliono aderire all’unione economica e monetaria e quelli che ne fanno già parte. I candidati all’unione monetaria devono soddisfare severi criteri di tipo fiscale e monetario per due anni prima di poter adottare la moneta unica, mentre i due paesi più grandi dell’Unione europea – Germania e Francia -, che fanno parte della zona euro, hanno superato il limite massimo previsto per il disavanzo di bilancio per tutti e quattro gli anni dal 2002 al 2005. Si è reso necessario modificare il patto di stabilità e di crescita per evitare che questi due paesi dovessero pagare diversi miliardi di euro di sanzioni per mancato adempimento.

 
  
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  Jens Holm (GUE/NGL). - (SV) La relazione elogia l’unione economica e monetaria. Personalmente non capisco cosa ci sia tanto da celebrare. La zona euro è in recessione e la disoccupazione aumenta drasticamente. Molti dei grandi paesi aderenti all’UEM non soddisfano più i requisiti economici di base previsti per l’adesione: già solo questo fatto dimostra tutta la rigidità del progetto.

Cinque anni fa il popolo svedese votò contro l’adesione all’unione economica e monetaria. Nondimeno, in varie circostanze la Commissione ha detto che la Svezia, prima o dopo, dovrà entrare nell’UEM. Colgo dunque questa occasione per chiedere alla Commissione se vuole precisare una volta per tutte quella sua affermazione. La Svezia deve aderire all’UEM?

L’unione economica e monetaria ha bisogno di una riforma radicale che preveda anche l’obiettivo della lotta contro la disoccupazione e una maggiore flessibilità economica. Queste due decisioni rappresenterebbero dei passi importanti nella giusta direzione.

 
  
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  Zsolt László Becsey (PPE-DE). - (HU) La ringrazio, signor Presidente. Penso che l’introduzione dell’euro rappresenti un successo, dato che la disoccupazione è diminuita e l’occupazione è aumentata, grazie alla stabilità che sta dietro alla moneta unica. Un’ulteriore prova è venuta dalla crisi attuale, perché i paesi che usano questa forte valuta pregiata semplicemente non possono avere problemi nella bilancia dei pagamenti, mentre altri paesi – come l’Ungheria – li hanno.

Tuttavia la zona euro non è riuscita a realizzare la convergenza, a dispetto del sostegno del Fondo di coesione, e ciò che dovremmo analizzare adesso sono appunto le ragioni di questo fatto. La zona euro è come un potente magnete che attrae capitali, e propongo quindi che, nell’esaminare quanto è accaduto, prendiamo in considerazione non soltanto il prodotto interno lordo ma anche il reddito nazionale lordo.

Mi fa piacere che la relazione preveda l’adozione di misure contro gli Stati membri che hanno fornito continuamente previsioni errate, ottimistiche – come sappiamo da quanto è successo in Ungheria nel 2006 – e credo che ciò sia realmente necessario.

Ritengo importante conservare il prestigio connesso con l’appartenenza all’Unione europea. Da un lato, i paesi che non fanno parte dell’Unione non dovrebbero aderire all’euro, perché ciò comporterebbe l’impossibilità da parte nostra di giustificare gli sforzi enormi compiuti da certi paesi per diventare membri.

Gli strumenti della Banca centrale europea dovrebbero essere impiegati, specialmente nella crisi attuale, a favore di tutti gli Stati membri, in particolare per quanto attiene alla liquidità, senza egoismi. In tal modo, dimostreremo qual è il significato dello scudo protettivo dell’Unione europea e dell’appartenenza al mercato interno, che costituisce una sfida importante, soprattutto per gli Stati membri meno sviluppati. Analogamente, però, dovremmo tener conto di tutto questo anche quando si decide la composizione del comitato esecutivo della BCE.

Ma la considerazione più importante riguarda la rappresentanza esterna della zona euro. Essa è necessaria, però il relativo mandato dovrebbe essere conferito con il coinvolgimento di tutti gli Stati membri. La rappresentanza esterna della zona euro non dev’essere un circolo esclusivo, visto che l’Unione europea è un’entità unificata.

In conclusione voglio dire che gli Stati membri devono entrare nella zona euro quanto prima possibile, a condizioni severe ma comprensibili e accettabili. Accolgo quindi con piacere il ragionevole suggerimento dell’onorevole Klinz di limitare la possibilità di aderire all’euro ai soli Stati membri dell’Unione europea. Vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Vladimír Maňka (PSE). – (SK) A seguito della crisi finanziaria delle scorse settimane, i cittadini europei hanno constatato che gli Stati membri che aderiscono all’euro sono meglio equipaggiati per affrontare perturbazioni di grandi dimensioni. E lo hanno constatato anche gli abitanti del mio paese, la Slovacchia, che aderirà all’euro il prossimo 1o gennaio.

Gli investitori e gli speculatori finanziari dei mercati valutari ci considerano già membri della zona euro. Non è più redditizio speculare con la nostra moneta, dato che abbiamo fissato un tasso fisso di conversione. Nel contempo, le valute dei nostri vicini si stanno deprezzando e presentano un livello di rischio che gli speculatori reputano eccessivo e non intendono assumersi, a causa della crisi sui mercati finanziari. Alcune monete sono scese al livello più basso mai registrato da anni a questa parte.

Adottare l’euro significa, per un’economia piccola e aperta, proteggere gli imprenditori e i cittadini da fluttuazioni del tasso di cambio. Anche gli abitanti del paese con il tasso di occupazione più alto, cioè la Danimarca, che per lungo tempo ha registrato uno dei livelli di competitività più elevati e il più alto standard di vita al mondo, si sono resi conto del fatto che, se appartenessero alla zona euro, godrebbero di tassi di cambio più favorevoli e potrebbero affrontare meglio i problemi globali di questi tempi. Lo stesso vale per la Svezia, ovviamente, e oggi lo abbiamo già detto. Forse questo è il momento giusto perché i due paesi riconsiderino la possibilità di aderire alla zona euro.

Prima un collega del mio paese ha espresso critiche nei confronti del governo slovacco, che sta predisponendo misure volte a rafforzare il quadro normativo e di vigilanza. Al collega vorrei rammentare una recente risoluzione del Parlamento europeo nella quale si invitava la Commissione a proporre misure di rafforzamento del quadro normativo e di vigilanza nell’intera Unione. Non esistono alternative, ed è per questo che la maggioranza dei deputati al Parlamento europeo, appartenenti a gruppi diversi, hanno votato a favore di quella risoluzione.

Concludo congratulandomi con entrambi i relatori per l’ottimo documento che ci hanno presentato.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). - (LT) L’unione economica e monetaria compie dieci anni. E’ un anniversario importante ma anche un’occasione per valutare come sono cambiate l’Unione europea e la situazione economica, finanziaria e politica globale e se i criteri di Maastricht sono adatti alle attuali sfide globali.

Il patto di stabilità e di crescita è stato rivisto nel 2005, forse perché i suoi requisiti non erano stati soddisfatti dai paesi più grandi della zona euro.

In dieci anni praticamente nessuno dei paesi della zona euro ha attuato tutti i criteri di Maastricht.

Sappiamo che l’obiettivo fissato dalla Banca centrale europea per il tasso d’inflazione è il 2 per cento. Se dovessimo valutare il conseguimento di questo obiettivo oggi, constateremmo che esso non è stato raggiunto da nessun paese dell’Unione: lo scorso settembre, i tassi d’inflazione degli Stati dell’UE andavano dal 2,8 per cento dei Paesi Bassi al 14,7 della Lettonia, mentre il criterio di Maastricht per la stabilità dei prezzi è del 4,5 per cento.

Se i paesi aderenti alla zona euro non ce la fanno a rispettare il criterio della stabilità dei prezzi, come si può parlare di stabilità dell’inflazione? Abbiamo cominciato a parlare di stabilità dell’inflazione nel 2006, quando la zona euro ha cominciato ad allargarsi. Adesso stiamo parlando di requisiti nuovi esclusivamente per i nuovi candidati alla zona euro? Quali sono le prospettive di un allargamento della zona euro?

Invito la Commissione europea e la Banca centrale europea a rivedere ancora una volta i principi e la gestione dell’unione economica e monetaria e i criteri di Maastricht, nonché a chiedersi se essi siano messi in pratica nell’attuale situazione economica e finanziaria globale, e anche ciò che il futuro riserva all’unione economica e monetaria e ai candidati alla zona euro.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (UEN). - (PL) Signor Presidente, Presidente Juncker, non ha proprio fortuna, dato che questa discussione sui successi della zona euro è contestuale all’annuncio di Eurostat secondo cui nei paesi che hanno la moneta unica starebbe per iniziare una grave recessione. Tale annuncio dovrebbe indurla a un po’ di autocritica, piuttosto che a elogi sperticati del successo dell’euro. Gli autori della relazione lodano il calo della disoccupazione, che nel corso di nove anni è stato, va riconosciuto, di poco superiore all’1,5 per cento; secondo le attuali previsioni, però, l’anno prossimo la disoccupazione aumenterà notevolmente nella zona euro. L’altra faccia della medaglia è meno piacevole, e la relazione lo sottolinea: un tasso di crescita assai insoddisfacente e un forte calo della produttività, passata dall’1,5 per cento negli anni novanta allo 0,75 per cento nel decennio scorso.

E’ chiaro che l’euro non è né una panacea per i mali dell’economia né uno strumento capace, per sua natura, di apportare una crescita economica più veloce e una maggiore prosperità rispetto ai paesi dell’Unione europea non aderenti all’euro, cioè Svezia, Danimarca e Regno Unito.

 
  
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  Margaritis Schinas (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, non può esserci alcun dubbio sul fatto che la nascita dell’unione economica e monetaria e dell’euro è uno degli eventi salienti nella sessantennale storia dell’integrazione europea.

Questa è la prima volta in Europa e nel mondo che c’è stato un passaggio così strutturato a una moneta unita, senza guerre, senza spargimenti di sangue, sulla base del consenso e grazie alla volontà politica di paesi indipendenti che congiuntamente e democraticamente hanno deciso di incamminarsi sulla strada della stabilità monetaria. E’ stata una strada impervia, ma che ha permesso di soddisfare entrambe le componenti dell’Europa: sia i paesi che erano abituati alla stabilità finanziaria e hanno continuato a perseguire le stesse politiche di contrasto dell’inflazione, sia quelli che, dopo decenni di assenza di disciplina finanziaria, hanno trovato per la prima volta nell’euro un’oasi nella quale hanno potuto razionalizzare e ristrutturare i loro dati economici fondamentali.

Questo è quanto è successo in passato. Oggi, tuttavia, ci troviamo in una fase molto difficile, in un momento cruciale in cui dobbiamo occuparci della “E” di UEM. Finora, la “M”, ossia la sua componente monetaria, ci ha aiutati ad arrivare al punto in cui siamo, ma temo che d’ora in poi, senza un approccio europeo unico, coeso e coerente alla dimensione economica, assisteremo al capovolgimento di molte delle nostre conquiste.

Restano quindi ancora aperte due questioni rilevanti per il futuro: dobbiamo introdurre regole di coordinamento della governance economica europea capaci anche di immunizzare il sistema globale al di là e al di sopra degli eccessi e dell’anarchia che hanno causato la crisi attuale, e, secondo, dobbiamo denunciare tutti quelli che assecondano i cittadini dal punto di vista economico nell’intento di profittare della crisi per mettere in dubbio queste conquiste così importanti.

 
  
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  Manuel António dos Santos (PSE).(PT) Devo anzitutto congratularmi con i relatori per l’ottimo testo. Solo i pochi immemori o i tanti totalmente privi di comprensione possono pensare che l’euro e la relativa politica monetaria non siano stati un enorme successo per l’umanità e un grande successo per l’economia europea. Basta pensare al gran numero di posti di lavoro che sono stati creati in Europa sotto il regno dell’euro per comprenderne l’importanza. Né si può negare l’importanza del fatto che, in una situazione di crisi nella quale l’economia europea, grazie ai suoi strumenti, sta reagendo meglio di altre economie regionali, coloro che ancora poco tempo fa erano scettici nei riguardi della politica monetaria comune e dell’euro adesso stanno ansiosamente chiedendo di potervi partecipare e persino di entrare nella zona euro.

Ma questo non è tutto e non significa che io sia soddisfatto di come l’Unione europea ha affrontato le questioni del consolidamento finanziario e della stabilità finanziaria. In quest’aula ho già avuto modo di dire in numerose occasioni che sono favorevole alla stabilità finanziaria e al patto di stabilità e di crescita, ma ritengo che esso non sia stato sempre vantaggioso per l’economia reale. Né il patto né la politica monetaria sono stati veramente vantaggiosi per l’economia reale. Non di rado l’economia reale ha sofferto di gravissimi problemi a causa di un’applicazione troppo convenzionale delle regole del patto.

Non ho mai incontrato un economista né letto un manuale di economia che sostenessero che due, tre e sessanta, cioè i numeri magici del patto di stabilità e di crescita per inflazione, deficit e tasso d’indebitamento, sono stati comprovati scientificamente. Non ho mai conosciuto nessuno né, in particolare, un economista o uno studioso di teorie economiche che abbia detto una volta che è esiziale accanirsi a mantenere questo tipo di configurazione. La Commissione e gli ambienti più conservatori d’Europa sono fermamente convinti della necessità di avere bilanci in equilibrio o pari a zero. Si tratta di un’idea del tutto assurda. Con qualsiasi tasso di crescita, un bilancio in pari significa la cancellazione totale del debito in futuro, il che non è equo né dal punto di vista sociale né in termini intergenerazionali e non trova alcuna giustificazione né nella realtà né nell’economia reale.

 
  
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  Jim Higgins (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, la relazione Berès-Langen è eccellente perché ci presenta la storia dell’unione economica e monetaria negli ultimi dieci anni e ci dice come l’Unione dovrebbe continuare a funzionare in futuro. L’euro è stato un successo strepitoso: è la seconda moneta più importante al mondo; nei primi dieci anni, l’inflazione è stata ampiamente in linea con l’obiettivo del 2 per cento fissato dalla Banca centrale europea; inoltre, l’euro ha facilitato i viaggi, il commercio e l’occupazione e, cosa più importante di tutto, rappresenta un ulteriore passo verso il consolidamento dell’Unione europea.

L’annuncio della settimana scorsa che la zona euro si trova in una fase di recessione significa che sarà necessario compiere azioni urgenti sia nell’UE che a livello globale; ma, se c’è una cosa che non dobbiamo fare, è dare all’euro la colpa della crisi attuale. Le regole del patto di stabilità e di crescita, se da un canto sono bene intenzionate laddove stabiliscono orientamenti per l’indebitamento massimo degli Stati membri, dall’altro non hanno previsto – e nessuno avrebbe potuto farlo – l’attuale crisi economica mondiale. A mio parere, questa crisi richiede flessibilità perché, a meno che la stretta creditizia degli istituti finanziari non sia allentata, è senz’altro probabile che la crisi si aggravi ulteriormente e che vadano perduti sempre più posti di lavoro.

Voglio elogiare il presidente Barroso e il presidente Sarkozy per il modo in cui hanno rappresentato l’Unione europea ai colloqui del G20 la settimana scorsa a Washington. Penso che abbiano reso un ottimo servizio a noi e anche all’Europa.

Infine, dobbiamo capire come siamo finiti in questa crisi e quali ne sono le cause. Dobbiamo imparare la lezione e fare in modo che una cosa del genere non accada mai più. Se questo significa attuare riforme – riforma delle istituzioni, riforma del Fondo monetario internazionale -, facciamolo. Se questo significa analizzare le modalità operative della Banca centrale europea, facciamolo. Al punto in cui siamo, procediamo a un’analisi scientifica e, di qualunque genere sia la crisi che l’Europa sta vivendo – non sappiamo quanto sia grave, dove ci porterà né quali saranno le sue conseguenze -, studiamola in maniera scientifica e mettiamo in atto soluzioni.

 
  
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  Dariusz Rosati (PSE). - (PL) Signor Presidente, signor Commissario, Presidente Juncker, condivido il giudizio secondo cui la moneta unica è stata un grande successo europeo. Per molti anni abbiamo avuto prezzi e tassi d’inflazione bassi, abbiamo avuto tassi d’interesse bassi, prezzi trasparenti tra i singoli paesi e stabilità macroeconomica – e proprio questo è un successo straordinario per quei paesi che in passato hanno avuto problemi di inflazione e di deficit di bilancio. Sono anch’io del parere che tutto ciò rappresenti un successo.

Vorrei commentare quanto detto pochi minuti fa dal collega polacco. Egli ha sostenuto che nella zona euro la disoccupazione sta crescendo e c’è una crisi finanziaria. Purtroppo è uscito dall’aula, ma se fosse rimasto avrebbe potuto ascoltare qualche parola di saggezza. Egli ignora che, senza l’euro, l’Europa si troverebbe in condizioni ben peggiori di quelle attuali, come si capisce facilmente guardando la situazione di paesi come l’Islanda e l’Ungheria, che stanno affrontando enormi difficoltà economiche. Se appartenessero alla zona euro, la loro situazione sarebbe decisamente migliore.

Voglio dire inoltre che il successo a lungo termine di qualsiasi moneta dipenderà da fattori reali, dallo sviluppo economico di lungo periodo, che però manca in Europa. Dobbiamo osservare che nelle scorse settimane il dollaro statunitense si è rafforzato nei confronti dell’euro, e ciò dimostra che persino in una situazione di crisi gli investitori, o perlomeno la maggior parte di essi, ritengono che il dollaro sia un porto sicuro per i loro investimenti. Per tale motivo dobbiamo creare una base per la crescita a lungo termine in Europa, che rafforzerà la moneta europea. Ma per farlo c’è bisogno di riforme, c’è bisogno di uno slancio economico e di tassi di produttività più elevati.

In secondo luogo, credo che dovremmo rivedere i criteri di convergenza nominali e adeguarli alle nuove condizioni; penso in particolare ai criteri dell’inflazione e del metodo di calcolo dei parametri di riferimento, per consentire ai nuovi Stati membri che hanno economie molto dinamiche di aderire alla zona euro.

 
  
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  Paolo Bartolozzi (PPE-DE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio anche il Presidente dell'Eurogruppo e il Commissario nonché i due relatori di questa relazione, perché sono convinto che l'introduzione dell'euro ha dato ai cittadini la possibilità di meglio gestire i propri bilanci familiari, facendo loro realizzare risparmi nella spesa per l'acquisto di beni e servizi e non solo.

Come è stato detto, si è registrato un contenimento del tasso di inflazione che si è attestato in media intorno al 2% e si sono creati in questi dieci anni circa 16 milioni di posti di lavoro, si è contenuto il deficit dei bilanci pubblici che nel 2007 - come è stato ricordato dal Commissario - si è aggirato intorno allo 0,6% del PIL a fronte di un 4% negli anni '80 e '90.

L'euro ha acquistato inoltre un prestigio internazionale ed è diventato moneta appetita anche per i paesi extracomunitari e nonostante le recenti turbolenze finanziarie che hanno inferto colpi molto duri al sistema finanziario e bancario globale, l'euro ha attenuato sicuramente l'impatto devastante di questa crisi finanziaria di portata planetaria, ma oggi c'è il rischio che il rallentamento globale della domanda continuerà a indebolire le esportazioni e a vanificare il vantaggio del tasso di sconto dell'euro, minato dalla svalutazione del dollaro.

Ovviamente degli aggiustamenti anche importanti nella struttura portante dell'euro debbono essere rivisti, mettendo gli Stati membri con un PIL inferiore alla media in condizione di recuperare lo svantaggio. Ben venga quindi una road map dell'UEM che meglio analizzi le divergenze economiche, dia impulso alle riforme strutturali, vigili sulle finanze pubbliche e sui mercati finanziari accelerando la loro integrazione. Tutto ciò può e deve realizzarsi a mano a mano che si uscirà, e speriamo al più presto, da questa situazione di instabilità che pesa tuttora non solo sulle scelte urgenti che i governi nazionali devono mettere in atto, ma anche sul disorientamento in cui versano i risparmiatori, cui occorre dare fiducia per rimettere in moto investimenti, consumi e migliorare il quadro generale entro il quale operare con maggiore tranquillità. In altre parole la responsabilità deve essere collettiva, ma si chiede alle autorità preposte uno sforzo incisivo per giudicare le riforme da sostenere con una rigorosa governance e con una autorevole leadership politica.

 
  
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  Sirpa Pietikäinen (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, desidero prima di tutto congratularmi con i due relatori, gli onorevoli Berès e Langen, per la loro relazione così equilibrata, che affronta l’argomento analizzandolo da una prospettiva ampia. In secondo luogo, penso che quando si è cominciato a lavorare alla relazione nessuno pensava quanto essa sarebbe stata attuale. Credo che questo sia una prova della capacità dell’Unione europea di dare risposta a sfide globali, di garantire la competitività e di creare stabilità.

Senza l'unione monetaria, sia i paesi dell’euro che gli altri sarebbero stati molto più vulnerabili a questa crisi finanziaria. Nel corso degli ultimi dieci anni, la Banca centrale europea ha svolto un ruolo molto positivo e assicurato una politica economica e monetaria molto stabile, grazie alla quale abbiamo potuto rispondere alla crisi in maniera tempestiva e adottare misure fattive non solo nell’Unione europea ma anche in un contesto mondiale in riferimento alla riforma dell’architettura finanziaria globale di cui si parla.

Penso che quella attuale sia più di una crisi di natura finanziaria; è una crisi che investe il processo decisionale e le regole stesse del gioco. Ciò di cui abbiamo bisogno adesso è un ruolo più stabile dell’Europa e della Banca centrale europea nel campo della vigilanza. Abbiamo bisogno di norme meglio armonizzate per tutti i diversi tipi di strumenti finanziari. Abbiamo bisogno di trasparenza attraverso procedure adeguate e, più di tutto, è necessario che gli europei siano molto perseveranti e uniti nel portare avanti tali politiche in ambito globale. Dobbiamo essere uniti perché i mercati sono cresciuti al di là delle capacità d’intervento degli Stati nazionali e c’è bisogno di azioni coerenti a livello nazionale, europeo e globale.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) L’euro sarà il migliore stimolo agli investimenti per gli investitori stranieri anche nell’Europa centrale. Pertanto, il governo del primo ministro Fico avrà il compito di trarre il massimo vantaggio dall’introduzione dell’euro in Slovacchia il 1o gennaio 2009.

La sostenibilità dell’inflazione e del deficit dei conti pubblici della Slovacchia sarà esaminata molto da vicino e l’attuale governo slovacco dovrà dunque proseguire le riforme avviate dal governo precedente, sotto la guida di Mikuláš Dzurinda. In caso contrario, la Slovacchia potrebbe trovarsi in difficoltà nel garantire un basso tasso d’inflazione dopo l’adesione alla zona euro.

Credo che il governo slovacco prenderà sul serio le raccomandazioni dei relatori del Parlamento europeo e non accollerà al paese nuovi debiti. Non deve immischiarsi nella riforma pensionistica cercando di accaparrarsi i fondi dei risparmiatori privati per ottenere un miglioramento a breve termine del deficit della finanza pubblica; non deve approvare leggi che siano in contrasto con le regole del mercato e deve contribuire a migliorare le condizioni in cui operano gli imprenditori.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE). - (RO) Signor Presidente, signor Commissario, la forza dell’Unione europea deriva dai circa 490 milioni di cittadini europei. La zona euro è un pilastro di stabilità per l’Europa e per l’intera economia mondiale. Nella zona euro sono stati creati, soltanto negli ultimi dieci anni, 16 milioni di posti di lavoro. In futuro, l’Unione dovrà reagire alle sfide poste dai cambiamenti demografici e climatici. L’invecchiamento della popolazione comporterà notevoli problemi di carattere sociale, economico e di bilancio. Credo che sia necessario difendere la libera circolazione di beni, persone, capitali e servizi, soprattutto nel contesto attuale, caratterizzato dalla crisi finanziaria e dalla recessione economica.

L’eliminazione degli ostacoli che impediscono la libera circolazione dei lavoratori assicura condizioni di lavoro adeguate e corrette a tutti i lavoratori europei e offre uno strumento efficace per combattere il dumping sociale e l’evasione fiscale. Invito la Commissione europea e i membri dell’eurogruppo a prendere, insieme con i governi degli Stati membri, i provvedimenti necessari per cancellare le restrizioni imposte ai lavoratori romeni e bulgari. La zona euro deve dare l’esempio per quanto riguarda l’economia sociale di mercato.

 
  
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  Vittorio Prodi (ALDE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio il Commissario Almunia per la sua presenza e il Presidente Juncker per l'opera da loro svolta per mettere a punto questo strumento che è così importante. L'euro è una realtà forte che ci ha protetto in questa crisi.

Allora dobbiamo andare avanti perché accanto alla politica monetaria che ha funzionato ci sia una politica economica, dell'intero Eurogruppo, ma possibilmente anche dell'Unione, proprio perché in questo momento abbiamo bisogno di intraprendere un programma d'emergenza per le difficoltà economiche che sono previste.

Allora io credo che sia necessario intraprendere un impegno forte, un programma d'urto per la infrastrutturazione energetica dell'Unione e per il risparmio energetico. Questo credo che dobbiamo farlo nel più breve tempo possibile.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, permettetemi di illustrarvi le mie considerazioni elencandole per punti.

La causa centrale del fallimento sistemico cui stiamo assistendo è l’omogeneità dei mercati, e se operatori veramente bravi come il presidente Juncker e il commissario Almunia non riescono a ridare eterogeneità ai mercati, ci limitiamo semplicemente a rimandare il fallimento completo a data da destinarsi. I mercati omogenei stanno al cuore del problema.

Secondo punto: in Irlanda alcuni avevano predetto che l’euro sarebbe stato una sorta di veicolo senza freni, senza volante e senza fari. Mai una previsione è stata così sbagliata! Dove sarebbe oggi l’Irlanda se non esistessero l’euro e la Banca centrale europea? Perché non ne rivendichiamo il merito con maggiore fermezza? Questa è una cosa che potrebbe aiutarci nel portare avanti il processo di ratifica del trattato di Lisbona.

Infine, vorrei fare un paragone con le vaccinazioni: i genitori hanno senz’altro il diritto di decidere se far vaccinare o meno i loro figli, ma se tutti i genitori si rifiutassero di farli vaccinare, scoppierebbero epidemie.

Voglio aggiungere solo questo: nessun uomo è un’isola. La Gran Bretagna può anche essere un’isola, ma è ora che riveda la questione dell’adesione all’euro, perché non possiamo andare ciascuno per la sua strada.

 
  
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  Gerard Batten (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, è sempre stato un’assurdità economica il fatto che una serie di economie nazionali dalle prestazioni differenti condividessero gli stessi tassi d’interesse e di cambio. Inoltre, la Banca centrale europea ha come compito precipuo e come obbligo giuridico tenere sotto controllo l’inflazione, che, nel contesto della crisi economica che si sta sviluppando, è l’ultimo dei nostri problemi.

Queste sono le linee di frattura che finiranno per fare a pezzi la moneta unica europea. Ma gli eurofili del Regno Unito vanno sostenendo che il calo del tasso di cambio della sterlina ci offre l’opportunità di aderire all’euro. Se possedessero solo poche conoscenze basilari di economia, costoro saprebbero che questo è esattamente il motivo per cui la Gran Bretagna non dovrebbe adottare l’euro.

La capacità della sterlina di trovare il proprio valore nei confronti delle monete degli altri paesi sarà un fattore d’importanza essenziale che aiuterà la Gran Bretagna a resistere alla tempesta economica che si sta profilando. Il Regno Unito ha tanto bisogno della moneta unica europea quanto un uomo che sta affogando ha bisogno di una camicia di forza.

 
  
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  Dragoş Florin David (PPE-DE). - (RO) Signor Presidente, signor Commissario, vorrei anzitutto complimentarmi con i due relatori, gli onorevoli Berès e Langen. Dieci anni non sono né tanti né pochi, ma hanno evidentemente fornito un rilevante contributo al consolidamento del mercato interno e, di questi tempi, alla creazione di uno scudo protettivo dalle speculazioni finanziarie. Credo che una regolamentazione più severa del settore finanziario e bancario, unita a stimoli agli investimenti nella ricerca e nello sviluppo, alla promozione della competitività e dell’educazione dei cittadini in campo finanziario, possa rappresentare una soluzione molto più efficace in questi tempi di crisi.

Penso che gli Stati membri dell’Unione europea debbano dar prova di solidarietà economica e finanziaria in un periodo in cui gli interventi nel settore finanziario e bancario da soli non sono sufficienti a stabilizzare la crisi economica, se non superficialmente. Spero, signor Commissario, che gli effetti della crisi non si ripercuoteranno sulle previsioni di bilancio per il periodo 2007-2013, dato che i fondi europei potrebbero riuscire a ottenere i risultati sperati contribuendo allo sviluppo sostenibile dell’Unione.

 
  
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  Christopher Beazley (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, sul tema dell’adesione alla zona euro da parte della Gran Bretagna, mi pare di poter dire che quest’ultima è sempre stata riluttante ad aderire a qualsiasi accordo europeo sin dall’inizio. Ha imparato ben presto a pentirsi delle proprie decisioni, e quindi di solito presentiamo domanda di adesione nel momento peggiore. Se fossimo stati tra i membri fondatori della zona euro – e avremmo dovuto esserci – oggi ci ritroveremmo in una posizione molto più forte. Mi attendo che il prossimo governo conservatore presenti domanda di adesione alla zona euro entro tempi molto brevi.

(Applausi)

 
  
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  Kurt Joachim Lauk (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, vorrei fare soltanto due osservazioni. Primo, l’euro ha superato l’esame. Senza la moneta unica, in questa crisi finanziaria probabilmente non saremmo stati al riparo da speculazioni a danno delle intere economie europee. Sotto questo profilo, dunque, l’euro ha superato la prova. Se, nella crisi attuale, non ci fosse stato l’euro, è probabile che oggi dovremmo far fronte a gravi difficoltà – ove non a un vero e proprio disastro.

A mio parere, due fattori saranno assolutamente cruciali in futuro. L’euro può rimanere stabile e guadagnare terreno nei confronti del dollaro come valuta pregiata a livello mondiale se saranno garantiti due dati: primo, la Banca centrale europea, che ha dato prova delle proprie capacità durante la crisi, deve restare indipendente, come è già stato rilevato, e, secondo, il patto di stabilità e di crescita deve essere ampliato. E’ già estremamente utile nella sua forma attuale, ma deve anche essere applicato e protetto.

 
  
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  Joaquín Almunia, membro della Commissione. – (ES) Signor Presidente, ringrazio tutti gli onorevoli deputati che sono intervenuti nella discussione. Credo che da essa possiamo trarre la conclusione che esistono un amplissimo consenso sulla relazione in esame e anche un sostegno molto vasto per la prosecuzione del progetto dell’unione economica e monetaria come pure per la moneta unica. Non lo dico per ribadire le motivazioni citate da quelli tra noi che hanno appoggiato la creazione dell’UEM dieci anni fa, bensì alla luce delle analisi di ciò che è accaduto in questo decennio e di ciò che dobbiamo fare ora, in questi tempi così difficili dal punto di vista economico.

E’ evidente che i problemi attuali non possono essere attribuiti all’euro. Sappiamo tutti che le cause di questa crisi profondissima non risiedono né qui in Europa né nella zona euro. E’ nondimeno vero che ne stiamo pagando il prezzo, al pari di altri paesi industrializzati, delle economie emergenti e dei paesi in via di sviluppo, e questo avviene perché, in un’economia globale, lo sganciamento non è possibile. Però l’unione economica e monetaria ci offre, quanto meno, gli strumenti per affrontare i problemi in maniera più efficace. Riteniamo che riusciremo a superare la crisi più velocemente lavorando insieme che andando ciascuno per la propria strada.

Concordo con tutti coloro – e sono stati numerosi – che hanno detto che la Banca centrale europea è un’istituzione che, dalla sua fondazione, ha più che ripagato la fiducia riposta in essa con il trattato di Maastricht. Credo che la Banca abbia svolto la propria funzione in modo eccellente e che il suo lavoro meriti sostegno perché è un elemento essenziale dell’unione economica e monetaria.

Concordo altresì con tutti quelli che hanno affermato che occorre mantenere il patto di stabilità e di crescita così com’è adesso, dopo la revisione del 2005, per poter sfruttare la flessibilità introdotta quell’anno e discuterne in questa sede in varie occasioni. La flessibilità prevista dal patto ci permetterà di mantenere la disciplina di bilancio e di rispettarne le regole, nonché di ancorare gli obiettivi di sostenibilità dei nostri conti pubblici. Allo stesso tempo, però, ci consentirà di usare la nostra politica fiscale in una situazione che richiede una politica attiva dal punto di vista degli strumenti della tassazione e della politica fiscale.

Per essere efficace, lo stimolo fiscale dev’essere coordinato. Il nostro quadro di disciplina di bilancio facilita tale coordinamento, ma pone anche limiti per evitare che il coordinamento dello stimolo fiscale possa mettere a repentaglio la sostenibilità dei nostri conti pubblici. In terzo luogo – e molti oratori hanno citato questo punto durante la discussione – dobbiamo indubbiamente rafforzare la voce dell’euro per difenderne la stabilità nelle relazioni bilaterali e multilaterali con chi detiene la nostra moneta, chi rappresenta altre valute e, in particolare, con le altre monete dei principali attori dell’economia globale.

Sostanzialmente, questa crisi deriva dagli squilibri macroeconomici che avrebbero dovuto essere affrontati ma che non è stato possibile eliminare per via della mancanza di efficaci meccanismi di risoluzione degli squilibri globali. Ne abbiamo discusso a Washington e dobbiamo continuare a parlarne, ma lo potremo fare, come europei, se daremo all’euro il nostro totale appoggio politico e lo doteremo dei necessari meccanismi di governance, per tutelare i nostri interessi come meritano attraverso il tasso di cambio della nostra moneta. Credo che questa sia la strada giusta da percorrere, come sostiene anche la relazione, come ha detto il presidente dell’eurogruppo, come concordato dalla Commissione e come riconosceranno nei mesi prossimi, con sempre maggiore convinzione, i leader degli Stati membri.

Tutto ciò richiede coordinamento, purché, però, si tratti del giusto tipo di coordinamento. Ciò non significa mettere in dubbio l’indipendenza della Banca centrale europea, né coordinare in maniera artificiosa le decisioni di politica economica, che devono continuare a essere adottate tenendo conto della situazione di ciascun paese. Questo non è un vero coordinamento. Il coordinamento che serve è quello che è sempre stato alla base del pilastro economico dell’unione economica e monetaria, ossia un coordinamento funzionale agli obiettivi dell’UEM per quanto attiene sia alle politiche macroeconomiche sia al doveroso collegamento tra esse e le politiche strutturali.

Quando come Commissione parliamo di coordinamento, ci riferiamo a quest’ultimo tipo. Ho la sensazione che, nelle attuali circostanze, l’incombente rischio di recessione dimostri quanto tale coordinamento sia prioritario e che l’unione economica e monetaria ci fornisce gli strumenti necessari per realizzarlo.

 
  
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  Jean-Claude Juncker, presidente dell’eurogruppo. − (FR) Signor Presidente, sarò brevissimo, dato che la maggior parte di coloro che hanno cercato di orientare questa discussione non sono più presenti in aula e, dunque, non c’è più la necessità di rispondere loro.

Quanto al resto, devo dire che sono rimasto impressionato dall’ampio consenso emerso dalle discussioni del Parlamento, perché siamo quasi tutti concordi nel dire che l’euro è stato un successo. Mi fa piacere rilevare che lo afferma chi appartiene alla zona euro, e mi fa piacere rilevare che lo sostiene anche chi vorrebbe che il proprio paese vi aderisse. Constato altresì che coloro che hanno sempre affermato che tutto ciò che facciamo è assolutamente stupido mantengono questa loro posizione, che non può essere definita con termini diversi da quelli che loro usano nei nostri confronti. Pertanto, non c’è nulla di nuovo qui in Parlamento, se non un certo tocco di ansietà – per usare un eufemismo – che si è infiltrato, nonostante tutto, nelle nostre discussioni a causa della crisi finanziaria ed economica in cui ci troviamo al momento.

Al riguardo vorrei dire due cose, in risposta alle osservazioni di alcuni oratori. Nessuno in Europa invoca in maniera radicale un consolidamento eccessivo di bilancio. Nessuno. Abbiamo un patto di stabilità e di crescita rivisto. Alcuni deputati non erano d’accordo con le modifiche che gli abbiamo apportato; oggi sono proprio loro i primi a lodare la saggezza delle decisioni prese nel marzo 2005, quando abbiamo interpretato il patto di stabilità e di crescita secondo una prospettiva più prettamente economica, una prospettiva che dà oggi agli Stati membri e ai loro bilanci un certo sollievo, anche se stiamo entrando in una fase che, pur essendo di recessione, rende meno immediato il consolidamento delle finanze pubbliche.

Gli Stati membri che negli scorsi anni sono stati virtuosi sotto il profilo del consolidamento del bilancio dispongono adesso di sufficienti margini di manovra nei loro conti pubblici per reagire all’attuale crisi economica, che comprende gli aspetti strutturali di cui ci stiamo occupando. Gli Stati membri che sono stati invece meno virtuosi incontrano maggiori difficoltà nel liberare le risorse di bilancio che li metterebbero in condizione di reagire alla crisi attuale.

In tutta la zona euro, tuttavia, abbiamo il dovere di reagire a questa crisi in termini di politica economica. Non basta parlare di stabilità di bilancio. E’ evidente che la zona euro deve dare una risposta forte e coordinata alla crisi economica. Abbiamo quindi alcune settimane di tempo per raccogliere tutti gli elementi che ci servono per analizzare la situazione e passare all’azione, formulando, quindi, una risposta forte e concreta. Ma, ovviamente, tutti coloro che chiedono un maggiore coordinamento delle politiche economiche devono adoperarsi in tal senso cercando di non anticipare decisioni di politica economica di cui non abbiano preventivamente informato i loro colleghi dell’eurogruppo.

E’ facile, per il Parlamento, invocare il coordinamento delle politiche economiche. Vi propongo di redigere, come da vostro regolamento, un testo di intergruppo nel quale tutti i gruppi più grandi, parlando a nome del Parlamento europeo, invitano l’eurogruppo e i governi nazionali a smetterla di annunciare misure di politica economica prima di averne riferito ai colleghi dell’eurogruppo.

Sollecitate i vostri governi – certo, è facile chiederlo qui in questa sede -, sollecitate i vostri governi a rispettare il principio del coordinamento delle politiche economiche. Preparate una risoluzione d’intergruppo e poi vediamo cosa succede. Entro due, tre, quattro mesi si capirà se i governi – e in molti casi i partiti politici cui voi appartenete fanno parte dei governi ai quali vi rivolgete – avranno dato seguito alle vostre richieste. Questo sarebbe un comportamento credibile, ragionevole, logico, razionale e coerente.

Quello che voglio dire è, dunque, che abbiamo bisogno di una risposta economica forte e coordinata a quella che sta diventando sempre più una crisi economica. Riguardo, poi, alla politica salariale, noi non diremo tutto quello che vogliamo dire, bensì tutto quello che merita di essere detto.

Avete ragione nel sostenere che i governi socialisti dei verdi in Germania hanno attuato una politica salariale che ha ridotto il potere d’acquisto dei lavoratori tedeschi. Da allora la situazione è migliorata. Lo stesso si può dire anche della Francia, il cui governo dell’epoca – tra il 1998 e il 2002-2003 – non era reazionario, al contrario, per quanto mi era parso di capire. Naturalmente, una certa dose di autocritica non potrebbe che arricchire notevolmente le osservazioni di certe persone.

Quanto al resto, in relazione alla tassazione dei risparmi siamo di tre anni in anticipo rispetto al calendario che avevamo concordato. Lei fa benissimo, onorevole Jonckheer, a chiedere l’ampliamento della gamma dei prodotti finanziari che devono rientrare nell’ambito di applicazione di questa direttiva. Per quanto riguarda, invece, i paradisi fiscali, ne potrà parlare nella sua lingua con il suo governo, e scoprirete che c’è del lavoro da fare.

 
  
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  Pervenche Berès, relatore. − (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, grazie per questa discussione. Credo che essa rappresenti un valido contributo da parte del Parlamento europeo a quello che ci aspettiamo che voi mettiate in pratica d’ora in avanti, signor Commissario, signor Presidente dell’eurogruppo, sulla base di un piano d’azione.

Presidente Juncker, lei ci ha detto “Se solo i gruppi trovassero un accordo!”; orbene, i gruppi stanno per trovare un accordo: domani voteranno a favore del paragrafo 61, lettere d) e g), nel quale chiedono esattamente ciò che lei li sta invitando a chiedere. Può quindi darlo per scontato domani, quando si incontrerà con i ministri dell’Economia e delle Finanze.

Lei ci ha detto anche che non c’è una relazione sulla divergenza. Può anche darsi che non ci sia una relazione molto precisa in merito, ma una cosa è certa: la convergenza delle situazioni economiche all’interno della zona euro, che ci aspettavamo, non c’è stata, e l’onorevole Ferreira le ha fornito un esempio concreto.

Signor Presidente dell’eurogruppo, non posso condividere neppure la sua posizione sulle contraddizioni tra gli Stati membri. Non voglio avere nulla a che fare con chi chiede il coordinamento quando gli fa comodo, per poi rifiutarlo e invocare la sovranità nazionale quando non gli fa più comodo. Le questioni del coordinamento della politica economica sono questioni di interesse comune, e la situazione in cui ci troviamo al momento è inaccettabile: gli Stati Uniti sono già riusciti ad attuare due piani Paulson, mentre l’Europa, stando alle sue parole, avrebbe bisogno ancora di qualche settimana per trovare qualcosa da dire ai cittadini europei, che attendono le nostre risposte. Dobbiamo tutti unire le nostre forze, e oggi la Commissione ha a propria disposizione gli strumenti necessari per compiere passi avanti sulla base delle proposte del Parlamento europeo. Mi auguro che saremo ascoltati e appoggiati.

 
  
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  Werner Langen, relatore. – (DE) Signor Presidente, desidero cominciare là dove ha concluso il primo ministro. Credo che la flessibilità dimostrata dalla zona euro e dai 27 Stati membri nelle scorse settimane costituisca un ottimo punto di partenza. Adesso occorre svilupparla ulteriormente e non dubito che, se l’esperienza che lei ha fatto valere in proposito è accettata anche dagli Stati membri, saremo sulla giusta strada.

Ringrazio tutti per i loro contributi. L’onorevole Hoppenstedt ha citato la prima discussione sull’euro, quando la moneta unica venne paragonata a un bambino prematuro. Oggi, a dieci anni di distanza, l’euro è diventato un ragazzone grande e grosso – per me l’euro è maschile, mentre il marco era femminile, secondo le regole della lingua tedesca – che ha ottenuto buoni voti alla scuola elementare e ora si appresta a frequentare le medie. Resta da vedere se continuerà a superare gli ostacoli che incontrerà, ma sono piuttosto ottimista sulla sua capacità di farlo. Quando sento l’onorevole Beazley dire che nel Regno Unito persino i conservatori stanno considerando seriamente la possibilità di aderire all’euro, bene, trovo che questa sia una prospettiva affatto nuova. Tutto ciò che posso dire in merito è, ovviamente, che nemmeno il Regno Unito potrà aderire all’euro a titolo gratuito, ma dovrà adempiere i propri obblighi di coordinamento e regolamentazione dei mercati finanziari e soddisfare un minimo necessario in termini di armonizzazione.

In tale ottica, siamo sulla strada giusta. Ringrazio la Commissione, in particolare il commissario Almunia, e il presidente dell’eurogruppo per la loro eccellente collaborazione. Vi prenderemo in parola per quanto riguarda i vostri suggerimenti. Vogliamo collaborare con voi.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì, 18 novembre 2008, alle 12.

 

22. Applicazione del principio della parità retributiva tra donne e uomini (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0389/2008), presentata dall’onorevole Bauer a nome della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, recante raccomandazioni alla Commissione sull'applicazione del principio della parità retributiva tra donne e uomini [2008/2012(INI)].

 
  
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  Edit Bauer, relatore. – (SK) Il divario tra i generi non è nulla di nuovo. Da oltre cinquant’anni un articolo del trattato di Roma vieta la discriminazione tra i generi per quanto attiene ai livelli salariali, e dal 1975 è in vigore anche la direttiva n. 117, che impone agli Stati membri di applicare il principio della parità retributiva a parità di lavoro. E’, naturalmente, vero che non tutte le differenze di retribuzione sono dovute alla discriminazione. Ma la legge dei grandi numeri non è in grado di spiegare le persistenti differenze nella retribuzione oraria lorda.

Secondo Eurostat, tra il 1995 e il 2006 la differenza di retribuzione oraria è diminuita dal 17 al 15 per cento, e ciò in un periodo in cui la maggioranza dei laureati sono donne.

Quella tendenza può essere in declino, però non è scomparsa del tutto. Stando a uno studio condotto dalla Dublin Foundation nel 2007 in quattro paesi dell’Unione europea, il divario si sta in realtà allargando. Se il divario retributivo diminuisse alla velocità attuale e non crescesse nuovamente di tanto in tanto, ci vorrebbero settant’anni per raggiungere la parità retributiva.

Possiamo ammettere che le norme attualmente vigenti in materia non sono molto efficaci. I motivi del divario retributivo sono molteplici; sono sia di natura sistemica sia di natura individuale. La segregazione settoriale, verticale e orizzontale, la classificazione delle professioni, le condizioni per armonizzare vita privata e vita lavorativa, nonché gli stereotipi sono tutti fattori che contribuiscono in misura rilevante a mantenere il divario retributivo, che successivamente si trasforma in un divario pensionistico, e il risultato finale è che la povertà ha il volto di donna, come siamo soliti dire.

Il divario retributivo ha anche dimensioni individuali. Secondo uno studio della Commissione, queste dimensioni aumentano in relazione all’età, al periodo lavorativo e all’istruzione. Inoltre, le statistiche rivelano che tra i giovani le differenze sono minime; il divario compare dopo la nascita del primo figlio e dopo il ritorno della donna al lavoro alla fine del congedo di maternità.

Per quanto riguarda la crisi demografica che ci sta toccando, questo problema, oltre a essere un fattore importante ai fini della concorrenza in campo economico, solleva anche una profonda questione morale che non va trascurata.

Tale questione investe oggi ciò che il Parlamento europeo può fare per risolvere la situazione. Da un lato c’è un problema annoso, mentre dall’altro lato ci sono leggi alquanto inefficaci. Nel contempo, ovviamente, non dobbiamo perdere di vista il fatto che le cause del divario retributivo risiedono ben al di fuori dei limiti della legislazione.

Il Parlamento europeo, però, ha a disposizione un solo strumento: quello della legislazione. Tutti coloro che sono coinvolti in questa situazione hanno la loro parte di responsabilità; la nostra è di riuscire a lanciare un segnale chiaro per dire che vogliamo leggi migliori e più efficaci nell’interesse di una maggiore parità di condizioni sul mercato del lavoro.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. SIWIEC
Vicepresidente

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, la Commissione accoglie con favore questa relazione d’iniziativa sul principio della parità retributiva tra donne e uomini. Mi congratulo con la relatrice per la qualità del suo lavoro.

La Commissione, al pari del Parlamento, ritiene che un divario retributivo del 15 per cento tra donne e uomini nell’Europa di oggi sia inaccettabile. Dobbiamo ovviamente vigilare e non dimenticare che questo indicatore mette a confronto differenze relative tra la retribuzione oraria lorda delle donne e degli uomini nell’intera economia, e dunque non misura una semplice discriminazione diretta bensì è un indicatore di tutti i fattori correlati e di tutti gli svantaggi che le donne subiscono da prima di entrare nel mercato del lavoro e poi nel corso della loro intera carriera professionale.

La comunicazione della Commissione del luglio 2007 constatava che il diritto comunitario è stato efficace quando si è trattato di eliminare la discriminazione diretta, ossia, in altri termini, la corresponsione alle donne di una retribuzione inferiore rispetto a quella dei loro colleghi maschi per lo stesso lavoro. E’ stato, invece, meno efficace nel garantire il rispetto del principio della parità retributiva per lavori di uguale valore.

Sulla base di una dettagliata analisi, la Commissione ha tratto la conclusione che dovrebbe essere possibile prendere in considerazione l’eventualità di emendare le norme comunitarie al fine di garantire soprattutto che i sistemi utilizzati per la determinazione delle retribuzioni escludano la discriminazione di genere sia di tipo diretto che di tipo indiretto.

La Commissione ha annunciato che nel 2008 esaminerà le norme comunitarie dal punto di vista delle loro implicazioni per il divario retributivo e che proporrà gli emendamenti necessari. L’analisi dettagliata di cui parlavo prima è tuttora in corso e non posso anticipare quali saranno i suoi risultati. Per garantire la qualità dell’analisi, la Commissione si è rivolta a consulenti specializzati esterni, ma fa anche ricorso alle ampie e dettagliate competenze e conoscenze degli organi nazionali responsabili della parità di genere.

I risultati preliminari dello studio saranno discussi durante un seminario nel primo trimestre del 2009, al quale è prevista la partecipazione di tutte le parti interessate, compresi Stati membri, esperti di diritto, organi nazionali competenti per l’uguaglianza di genere, parti sociali e società civile.

Decisivo sarà, in questo processo, l’atteggiamento del Parlamento. E’ significativo che uno degli enti legislatori partecipanti ha detto chiaramente che le leggi in questione devono essere modificate entro tempi brevi. E’ importante anche che le raccomandazioni concrete del Parlamento per gli emendamenti siano attinenti alle aree che i principali soggetti interessati hanno individuato come problematiche; tra esse ci sono la trasparenza della retribuzione e della valutazione del lavoro, nonché le sanzioni.

Concludo dicendo che condividiamo l’opinione del Parlamento secondo cui così marcate differenze retributive tra donne e uomini in Europa sono inaccettabili. La Commissione ritiene che questo sia il momento giusto per completare l’analisi e la valutazione e per pianificare i passi da compiere prossimamente, che porteranno a risultati più concreti.

 
  
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  Donata Gottardi, relatrice per parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali. − Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sono davvero orgogliosa del lavoro che si fa in questo Parlamento e della capacità di impiegare le competenze di proposizione legislativa già riconosciute.

La relazione che stiamo per votare tocca un punto fondamentale, un principio fondamentale dell'ordinamento europeo: il principio della parità retributiva tra lavoratrici e lavoratori. Non è solo un principio fondamentale, è anche il primo, quantomeno in ordine di tempo, tra i principi di parità. Sappiamo che era già contenuto nel trattato di Roma, sappiamo che è stato applicato fin dalle primissime sentenze della Corte di giustizia europea, che è regolato già da una direttiva del 1975 e che è stato riregolato al momento della sua rifusione nel 2006, che è oggetto di analisi e ricerche ricorrenti, come è stato ricordato adesso anche dal Commissario, e di costanti richiami alla sua applicazione.

Perché allora tornare ad occuparsene così diffusamente e profondamente oggi? Ci sono molti motivi: innanzitutto perché rifiutiamo di accettarne la disapplicazione diffusa, testimoniata appunto da tutti i dati statistici, e poi pensiamo che le troppe ingiustizie subite dalle donne, in tutti i paesi dell'Unione europea e in tutte le professioni, in tutti i livelli, in tutti i settori vadano assolutamente contrastate, e per farlo, appunto, non bastano di tutta evidenza gli strumenti di cui disponiamo, altrimenti in tutto questo tempo saremmo riuscite ad invertire davvero questa situazione.

E perché pensiamo che occorra prendere sul serio i divari retributivi e soprattutto non considerarli un semplice accidente nel percorso lavorativo delle donne. E allora, cosa chiediamo: chiediamo alla Commissione una specifica, un'apposita direttiva sui differenziali retributivi di genere, ma non ci limitiamo a questo, non ci limitiamo a chiedere una direttiva, inviamo alla Commissione precise raccomandazioni. Abbiamo costruito un ponte per traghettare verso un cambiamento reale e pensiamo che questo ponte possa essere ben saldo se poggiato su ben otto piloni.

Innanzitutto, vogliamo disporre di una definizione di discriminazione retributiva, non ci basta guardare solo alla retribuzione lorda oraria, perché questa ci parlerebbe di una discriminazione diretta e questa discriminazione diretta effettivamente è già stata superata. E non è un caso, se poi tutte le indagini guardano oltre, si spingono verso il lavoro a tempo parziale, si spingono a considerare le segregazioni dirette, indirette, le discriminazioni e le segregazioni orizzontali e verticali.

Chiediamo dati comparabili, effettivi, coerenti e completi. Si incontrano troppo spesso dati manipolati o coperti, agevolati da sistemi di classificazione del personale, da un'organizzazione del lavoro rivolti al passato e contrassegnati da stereotipi. Pensiamo che gli organismi di parità possano svolgere un ruolo determinante duplice nella lotta alle discriminazioni, nella sensibilizzazione e nella formazione rivolta agli stessi attori giudiziari e alle parti sociali.

Puntiamo a introdurre specifiche sanzioni, sapendo però che occorrono anche azioni e misure di prevenzione, occorrono azioni positive e occorre l'integrazione, quindi il mainstreaming. Spero che in plenaria accoglieremo il testo nella sua completezza, perché quanto più preciso e dettagliato è il lavoro che consegniamo alla Commissione, tanto più guadagneremo in efficace tempestività. Ed è questo l'augurio: non basta dire o scrivere parità retributiva, vogliamo renderla effettiva.

 
  
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  Anna Záborská, a nome del gruppo PPE-DE. – (SK) Desidero esprimere i miei più sinceri complimenti all’onorevole Bauer per il testo che ci ha proposto. Come lei stessa ha detto, il tema di cui stiamo discutendo è tanto vecchio quanto i trattati di Roma. In cinquant’anni, ben poco è cambiato.

La questione della parità di retribuzione a parità di lavoro tra donne e uomini si riaffaccia con notevole regolarità soprattutto in periodi preelettorali. Se la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere propone sanzioni a carico delle imprese che non rispettano un principio fondamentale della remunerazione, vengono sollevate obiezioni motivate con il principio di sussidiarietà, come se questo giustificasse la disparità.

La settimana scorsa ho partecipato alla conferenza ministeriale a Lilla. Ho apprezzato il tentativo della presidenza francese di discutere di questo argomento, ma dagli Stati membri sono venute ben poche risposte costruttive finalizzare alla ricerca di soluzioni. I dati statistici dimostrano che le disparità retributive a scapito delle donne cominciano perlopiù dopo la nascita del primo figlio.

Le politiche nazionali ed europee tese a conseguire un equilibrio tra le responsabilità familiari e le ambizioni professionali non dovrebbero permettere l’insorgere di nuove differenze tra i dipendenti con responsabilità familiari e quelli non coniugati o senza figli e che non hanno quindi simili responsabilità. Questa è prima di tutto e soprattutto una questione connessa con il modello sociale al quale miriamo.

Propongo di coalizzarci con le imprese industriali. Se i dirigenti di quelle imprese non sono disponibili a lavorare in stretta collaborazione con noi per promuovere la parità retributiva, la nostra relazione finirà chiusa in un cassetto.

 
  
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  Lissy Gröner, a nome del gruppo PSE. – (DE) Signor Presidente, mi sorprende che le donne abbiano ancora così tanta pazienza nei nostri confronti. Sono cinquant’anni che parliamo di disparità retributiva e non c’è stato alcun cambiamento significativo. Le cifre parlano da sé: 15 per cento di stipendio in meno per lo stesso lavoro. Questo fatto priva le donne di una retribuzione equa perché, se consideriamo la questione dalla prospettiva opposta, concludiamo che le donne sono costrette a lavorare una volta e un quarto di più degli uomini per guadagnare gli stessi soldi. A che punto siamo nell’Unione europea?

Gli Stati membri devono fare di più a tale riguardo, e sono grata al commissario Špidla per aver accolto qui in aula le nostre proposte e aver dimostrato la volontà di attivarsi in campo legislativo. E’ evidente che non ci sono alternative. In Germania, uno dei paesi più grandi dell’Unione europea, il differenziale retributivo nel settore privato è del 23 per cento – una situazione inaccettabile, che ci colloca agli ultimi posti della graduatoria comunitaria.

Sappiamo benissimo che la Francia e i paesi scandinavi hanno adottato misure positive. E’ così che bisogna fare. Noi invitiamo le parti sociali a passare all’azione, e il gruppo socialista al Parlamento europeo chiede trasparenza nelle imprese affinché le indennità aggiuntive siano indicate con chiarezza e possano essere conteggiate nelle valutazioni ufficiali, in modo da tenerle sotto controllo. Regolari audizioni su questioni retributive possono mettere in luce i successi ma anche i fallimenti nella lotta contro la discriminazione salariale.

A mio parere, in Germania sarà inevitabile approvare una legge per il settore privato. Dobbiamo esercitare maggiore pressione sugli Stati membri affinché introducano uno stipendio minimo obbligatorio, al fine di garantire alle donne la certezza di avere una retribuzione che permetta loro di sostentarsi, perché questa è la migliore difesa dalla povertà in età avanzata.

Ad ogni modo, per mantenere la chiarezza su questo punto nella relazione Bauer, invito il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei a ritirare i propri emendamenti, che cancellerebbero queste disposizioni e annacquerebbero ulteriormente il testo. Manteniamo la chiarezza di formulazione della relazione nella sua versione attuale.

 
  
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  Siiri Oviir, a nome del gruppo ALDE. (ET) Signor Commissario, signor Presidente, onorevoli colleghi, la relatrice onorevole Bauer ha affermato che la povertà ha il volto di donna. Devo ribadire che già nel 1957 l’articolo 119 del trattato di Roma sanciva il principio secondo cui uomini e donne devono ricevere uguale retribuzione per uguale lavoro. Oggi, invece, nel 2008, le donne dell’Unione europea guadagnano in media il 15 per cento in meno degli uomini e nel mio paese, l’Estonia, persino il 25 per cento in meno.

La disparità retributiva influenza in misura significativa la posizione della donna nella vita economica e sociale, sia durante che dopo il periodo di attività lavorativa. Essa inoltre aumenta il rischio delle donne di finire in povertà, soprattutto nelle famiglie monoparentali. Non di rado la disparità retributiva comporta differenze tra le pensioni degli uomini e quelle delle donne. Le pensionate sole sono spesso a rischio di povertà.

Per tali motivi, sono favorevole alla posizione sostenuta nella relazione, cioè che la Commissione europea presenti una proposta legislativa per sottoporre a valutazione la legislazione vigente sotto il profilo dei principi della parità retributiva per uomini e donne entro il 31 dicembre 2009. Abbiamo approvato troppe norme e atteso troppo a lungo, ma i risultati non sono molto buoni.

Come il tempo ha dimostrato, questo problema non può essere risolto soltanto a colpi di diritto comunitario. Per contribuire a risolvere il problema, sarebbe molto importante riconoscergli la priorità nei piani politici d’azione. Solo una proficua combinazione di politiche, che comprenda norme migliori e più efficaci e individui i soggetti responsabili, permetterà di trovare una soluzione positiva al problema.

Desidero ringraziare la relatrice per aver messo in evidenza, nel suo documento, aspetti molto importanti, e vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Hiltrud Breyer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, è proprio vero che, cinquant’anni dopo la firma dei trattati di Roma, abbiamo fatto pochi progressi nel campo della parità per le donne sul mercato del lavoro. Le cifre delineano un quadro allarmante: l’80 per cento dei lavoratori a tempo parziale sono donne e solo il 57 per cento delle donne hanno un lavoro, rispetto al 72 per cento degli uomini. La disparità retributiva è pertanto rimasta stabile dal 2003 e ha registrato una variazione di solo l’1 per cento dal 2000. Queste sono cifre allarmanti, che noi tutti qui deploriamo. Abbiamo anche citato il fatto che le donne sono doppiamente svantaggiate perché la disparità retributiva si traduce in differenze dei diritti pensionistici e degli standard sociali; inoltre, abbiamo anche un sistema fiscale e sociale che continua a penalizzare le donne perché, ad esempio, le coppie non sposate e le famiglie a doppio reddito sono tuttora svantaggiate in molti regimi fiscali, tra cui quello tedesco.

La Commissione ha detto che arriveranno proposte legislative; va bene, ma perché così tardi? Perché sono passati così tanti anni, durante questa legislatura, senza che fosse avanzata alcuna proposta? Come Parlamento abbiamo già chiesto proposte; sulle quote, abbiamo detto che ci dovrebbero essere requisiti giuridici. Alcuni Stati membri, come la Svezia, hanno fissato obiettivi da raggiungere entro un determinato periodo di tempo. Perché non profittiamo dei requisiti di genere per incoraggiare gli Stati membri a impegnarsi per cancellare questo vergognoso divario retributivo? La Germania, come è già stato rilevato, è purtroppo al terzultimo posto, con un deplorevole divario retributivo del 23 per cento. Dobbiamo inoltre dire con chiarezza che un salario minimo obbligatorio porterà cambiamenti soprattutto nei settori in cui sono impiegate in maggioranza donne. Tuttavia, dobbiamo anche avere il coraggio di mettere in chiaro che…

(Il presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Ilda Figueiredo, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) La svalutazione del lavoro a causa di bassi livelli salariali continua a essere uno degli strumenti cui il capitalismo ricorre più di frequente per sfruttare viepiù i lavoratori. Tale fenomeno interessa specialmente le lavoratrici e comporta quindi anche una svalutazione della maternità.

E’ inaccettabile che, oltre trent’anni dopo l’approvazione di una direttiva sulla parità di retribuzione tra uomini e donne, la discriminazione resti a un livello elevato, in particolare la discriminazione indiretta, che deriva dalla mancanza di stabilità del lavoro e tocca soprattutto le donne e i giovani. In alcuni paesi, tra cui il Portogallo, la disoccupazione è molto alta e le differenze retributive tra uomini e donne in media sono cresciute, arrivando a superare il 25 per cento nel settore privato. Ciò significa che la povertà continua ad avere un volto di donna, anche tra i pensionati.

La Commissione europea e gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per aumentare il valore del lavoro, superare le differenze salariali ed eliminare gli stereotipi legati ai lavori e ai settori che discriminano sempre le donne. Le professioni e i settori a prevalente presenza femminile, come la vendita al dettaglio, i servizi e alcuni comparti industriali, meritano una maggiore considerazione.

L’esperienza dimostra che l’aumento della disoccupazione indebolisce i diritti delle donne, incrementa lo sfruttamento dei lavoratori e accresce la discriminazione.

Insistiamo quindi affinché sia attuata una politica nuova, che dia la priorità ai lavori con diritti riconosciuti, alla lotta contro la discriminazione e alla tutela della maternità e paternità come valori sociali fondamentali.

Per tali motivi appoggiamo la relazione, alla quale abbiamo proposto alcuni emendamenti per sottolineare che le contrattazioni e negoziazioni collettive possono svolgere un ruolo importante per contrastare la discriminazione delle donne, anche per quanto riguarda l’occupazione, la retribuzione, le condizioni di lavoro, la progressione di carriera e la formazione professionale.

 
  
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  Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, la proposta di relazione sulla parità retributiva tra donne e uomini prevede giustamente alcune disposizioni a sostegno della parità di retribuzione per lavori di pari valore. L’uguaglianza di retribuzione è necessaria, così come lo è una remunerazione adeguata dei lavori svolti in prevalenza da donne a causa delle loro predisposizioni psichiche e fisiche.

L’effetto delle norme che sono state sancite in una miriade di documenti assurdamente reiterati dipende senz’altro da una loro efficace applicazione nei singoli Stati membri. L’applicazione, però, può rivelarsi molto difficile nel settore privato, che è predominante e nel quale la maggioranza dei dirigenti sono interessati più di tutto ai profitti delle loro imprese, non hanno alcun rispetto dei principi etici e morali e allo stesso tempo impediscono l’intervento dei sindacati, che potrebbero difendere i lavoratori e partecipare alle contrattazioni salariali. Il problema della disparità retributiva è quindi un elemento di discriminazione contro i più deboli.

Non occorre essere studiosi o esperti per rendersi conto del fatto che la discriminazione è più di tutto il risultato dell’ideologia materialistica di sinistra, della mancata attuazione di principi etici, dell’assenza di uno sviluppo personale, dell’egoismo, dell’avidità, del voler profittare dei deboli e dei poveri, e non solo dal punto di vista salariale ma anche dal punto di vista di una pratica che si sta diffondendo nell’Unione europea, persino nei suoi paesi più poveri e più deboli, e consiste nella discriminazione dei cattolici e delle persone con opinioni diverse giudicate non politicamente corrette.

 
  
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  Gabriele Stauner (PPE-DE). (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il fatto che le donne siano tuttora pagate meno degli uomini per lo stesso lavoro è un triste capitolo in questa nostra Comunità europea.

Invero, ciò è del tutto incomprensibile, perché sotto il profilo giuridico la situazione è perfettamente chiara. Dalla fondazione della Comunità, nel 1957, come è già stato ricordato più volte, questo principio è sancito nei trattati di Roma come un diritto direttamente applicabile. In altri termini, qualsiasi donna può rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia delle Comunità europee per chiedere l’attuazione di tale diritto; questo è il massimo grado di tutela giuridica offerta dall’Unione europea. Nondimeno, sul piano dell’attuazione abbiamo mancato l’obiettivo, mediamente, in misura pari al 20 per cento. E’ quindi essenziale, come proposto dalla Commissione, applicare il principio per mezzo della legislazione secondaria.

Ciò detto, questa situazione rivela una volta di più che esiste una differenza tra la legge e la vita reale. Spesso, le persone che dipendono dal loro lavoro e dal loro stipendio – e molte di esse sono donne – semplicemente non osano rivendicare i propri diritti fondamentali, per timore di perdere il lavoro. Quindi, non possiamo limitarci soltanto a chiedere nuovamente che sia accertata la responsabilità delle imprese, perché è una semplice questione di decenza che le donne non siano trattate peggio degli uomini dal punto di vista retributivo. E quando non bastano le parole, ci vogliono i fatti; sono pertanto favorevole a sanzioni severe e consistenti contro chi viola la legge. Spetta in particolare agli Stati membri prendere finalmente sul serio questo problema e denunciare e punire, ad esempio attraverso le norme sugli appalti pubblici, le imprese che non si attengono a tale principio.

Solo una parola di critica nei confronti della Commissione: forse, in questo caso il processo è stato troppo lento e avete riservato troppa attenzione alle imprese. Mi congratulo con l’onorevole Bauer per la sua relazione.

 
  
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  Teresa Riera Madurell (PSE). - (ES) Signor Presidente, signor Commissario, anch’io desidero complimentarmi con la relatrice per il lavoro che ha svolto. Si tratta di una relazione di grande rilevanza, dato che il divario retributivo nell’Unione europea è una realtà che va eliminata. E’ intollerabile che le donne guadagnino il 15 per cento in meno degli uomini e che nel settore privato questa differenza possa arrivare al 25 per cento.

Il divario retributivo è difficile da contrastare perché deriva da una discriminazione indiretta: i lavori più precari e la maggior parte dei lavori a tempo parziale sono svolti da donne.

Cosa dobbiamo fare? In linea di principio, dobbiamo promuovere le politiche per le pari opportunità che mirano ad armonizzare gli impegni lavorativi con la vita familiare, nonché le politiche volte a ridurre il numero dei posti di lavoro meno retribuiti, che sono perlopiù appannaggio delle donne, e a retribuirli meglio.

Quindi, tra le raccomandazioni formulate nella relazione, che sono tutte molto importanti, vorrei evidenziare la richiesta di emendare la direttiva sull’applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne nel campo dell’occupazione e del lavoro inserendo riferimenti al divario retributivo, come pure la richiesta di emendare l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, perché è lì che le differenze sono maggiori.

 
  
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  Marco Cappato (ALDE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei dire al Commissario Špidla che, oltre a prendere in considerazione le ottime proposte di questo rapporto della onorevole Bauer, nel caso si possa procedere a una normativa a livello di Unione europea contro le discriminazioni salariali, credo che a giusto titolo vadano incluse le discriminazioni che riguardano la pensione, anche in una forma più sottile, indiretta, ma particolarmente odiosa in un paese come l'Italia.

E riguarda la discriminazione sull'età pensionabile, una questione della quale la Commissione europea si è già interessata, e credo che dobbiamo dargliene atto. Già dal 2004 la Commissione europea aveva sottolineato al governo italiano come fosse inaccettabile un'età pensionabile diversificata: 60 anni per le donne, 65 anni per gli uomini, l'età diciamo ordinaria più comune. Bene, abbiamo come radicali con Emma Bonino, in ogni modo cercato di sottolineare all'opinione pubblica, al governo, all'opposizione e ai partiti, come questa struttura fosse da eliminare. Non è stato fatto.

Grazie alla Commissione europea, la Corte di giustizia finalmente il 13 novembre ha statuito sull'illegittimità, sulla violazione dei trattati delle regole comunitarie di questa discriminazione. La cosa più grave è il tipo di ragionamento che l'Italia ha presentato in difesa di questa discriminazione, dicendo che era giustificata con l'obiettivo di eliminare le discriminazioni che esistono contro le donne nel contesto socioculturale - cioè esiste una discriminazione sul mercato del lavoro - per rimediare a questa discriminazione se ne crea un'altra, facendole andare in pensione prima degli uomini. Anche questa misura in particolare, credo bisogna intervenire, perché a livello europeo possa essere eliminata.

 
  
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  Eva-Britt Svensson (GUE/NGL). - (SV) Signor Presidente, voglio prima di tutto ringraziare l’onorevole Bauer per la sua importante e costruttiva relazione, che appoggio pienamente. In secondo luogo, un collega ha affermato poco fa che le donne sono deboli. Vorrei dire che le donne non sono affatto deboli per loro natura; sono piuttosto le strutture patriarcali della società a renderle tali.

La direttiva europea sulla parità di retribuzione è in vigore da trent’anni. Ciononostante, le donne continuano a non avere lo stesso valore degli uomini – né in termini di retribuzione né in termini di influenza – né nella società né sul posto di lavoro. Pur essendo, di solito, più istruite, le donne guadagnano in media il 15 per cento in meno per lo stesso lavoro o per un lavoro simile. E’ quindi evidente che non basterà migliorare la legislazione vigente per risolvere il problema della discriminazione retributiva. Le differenze salariali tra donne e uomini non sono altro, a ben guardare, che un’ulteriore dimostrazione della perdurante discriminazione delle donne in tutti gli ambiti. Non solo riceviamo un salario inferiore a parità di lavoro; molto spesso siamo anche costrette ad accettare lavori atipici o lavori a tempo parziale o simili. La discriminazione retributiva perseguita le donne durante tutta la vita, perché non di rado percepiamo pensioni più basse e godiamo di condizioni meno favorevoli quando invecchiamo.

Un’azione comune per mettere fine a questa discriminazione contro le donne non è più rinviabile.

 
  
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  Godfrey Bloom (IND/DEM). - (EN) Signor Presidente, purtroppo la maggior parte dei politici sono vittima di un malinteso di fondo per quanto attiene alle cause del divario retributivo esistente tra i generi. La premessa di base, per quanto sbagliata, perpetua il mito secondo cui l’occupazione è un fenomeno guidato dalla domanda e regolato dai datori di lavoro. Non è così. Chi sostiene che tutte le donne dovrebbero ricevere la stessa paga degli uomini sulla base di presunte somiglianze nella descrizione delle mansioni lavorative non si rende conto del fatto che nessun individuo è un’entità economica.

Se, a dispetto di una legislazione già sovrabbondante in materia di lavoro, peraltro redatta di solito da persone con scarsa o nulla esperienza imprenditoriale, il divario retributivo persiste tuttora è per un motivo molto semplice: l’occupazione dipende dalla domanda e dall’offerta; riguarda le scelte dello stile di vita; è spesso basata su priorità, sull’ambizione di andare in pensione presto, sul desiderio di vivere in determinate zone di un paese o di una città; è soggetta alle pressioni legate agli hobby o agli sport praticati, o a una combinazione di questi fattori. Il datore di lavoro e il dipendente concludono un accordo di reciproca soddisfazione, allo stesso modo del venditore e del compratore di una merce qualsiasi.

La Equality and Human Rights Commission del Regno Unito dà lavoro sostanzialmente più a donne che a uomini e la retribuzione media dei suoi dipendenti è superiore a quella delle dipendenti. Anche secondo me la legislazione passata ha avuto un impatto limitato su queste dinamiche. Sì, tanto vale approvare leggi contrarie a...

(Il presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Signor Presidente, signor Commissario, mi fa molto piacere che questa discussione “al femminile” si svolga sotto la sua presidenza.

Apprezzo l’impegno profuso dalla relatrice onorevole Bauer per formulare in modo equilibrato la proposta di raccomandazione alla Commissione e migliorare il quadro giuridico comunitario, soprattutto in vista di una sua efficace applicazione.

A causa di trasposizioni, applicazioni e interpretazioni divergenti a livello nazionale, la direttiva che sancisce il principio della parità retributiva tra uomini e donne non è riuscita a eliminare il divario retributivo tra i generi, che dipende prevalentemente dai livelli di segregazione professionale.

Apprezzo che la relatrice abbia sottolineato, nel suo documento, che la maternità non dovrebbe essere penalizzante per le donne che hanno deciso di interrompere la loro carriera professionale per accudire i figli. In tutti gli Stati membri i genitori dovrebbero ricevere, per un periodo minimo di un anno dopo la nascita del figlio, aiuti volti a garantire lo stesso reddito netto che percepivano prima dell’inizio del congedo di maternità; allo stesso tempo, queste previdenze dovrebbero essere collegate a un sistema retributivo che tenga conto del numero di anni di lavoro ai fini della determinazione dei livelli salariali. La maternità dovrebbe avvantaggiare, non penalizzare le donne.

Altrettanto importante è l’istruzione, perché può contribuire a eliminare gli stereotipi di genere e a migliorare la retribuzione dei pochi posti e incarichi retribuiti che non sono ancora occupati da donne.

Gli Stati membri devono fare un’ampia campagna d’informazione allo scopo di sensibilizzare i datori di lavoro e i dipendenti sull’esistenza di potenziali differenze retributive nel mercato del lavoro dell’Unione europea. Allo stesso tempo, i datori di lavoro e i dipendenti devono essere informati sulle misure fondamentali che sono state adottate al fine di garantire che i datori di lavoro vengano sanzionati qualora violino il principio della parità di stipendio a parità di lavoro.

Grazie alla raccomandazione formulata dal Parlamento europeo in questa relazione, per la quale mi congratulo con la sua autrice, l’onorevole Bauer, ritengo che la Commissione europea, di concerto con il nostro Parlamento e gli Stati membri, redigerà norme capaci di garantire effettivamente la parità retributiva tra uomini e donne.

 
  
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  Gabriela Creţu (PSE).(RO) Onorevoli colleghi, la relazione in esame è forse il nostro documento più serio sul tema del divario retributivo. In particolare, le raccomandazioni che lo accompagnano costituiscono un passo avanti nell’applicazione, da lungo attesa, del principio della parità retributiva per lavori di pari valore. Mi congratulo con coloro che hanno contribuito alla redazione del documento. Finora il lavoro è stato valutato sulla base della tradizione e della capacità di negoziare. Quando dico “negoziare”, penso al coinvolgimento di sindacati potenti, in grado di far accettare ai governi e ai datori di lavoro retribuzioni adeguate. Entrambi questi criteri hanno penalizzato le donne.

C’è bisogno di un sistema non discriminatorio di valutazione del lavoro e di un nuovo modo di classificare le professioni. Invitiamo gli Stati membri e la Commissione ad adottare finalmente misure specifiche a favore della parità di genere. Ci auguriamo che lo facciano pubblicamente, sostenendo alla fine di questo mese a Parigi la clausola più favorevole alle donne europee. Ma non dobbiamo farci illusioni: anche quando il nuovo sistema sarà stato definito e messo in pratica, si riferirà soltanto al lavoro retribuito, mentre i lavori domestici e il lavoro nero continueranno a essere svolti prevalentemente da donne e senza alcun divario retributivo, dato che per questi lavori le donne la retribuzione non la ricevono proprio.

 
  
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  Věra Flasarová (GUE/NGL). – (CS) Signor Commissario, onorevoli colleghi, ritengo che la relazione dell’onorevole Bauer sia un grande successo. La disparità retributiva tra uomini e donne è una delle forme più ostinate di discriminazione contro le donne. Come ha detto l’onorevole Bauer, mancano dati statistici affidabili sui posti di lavoro sia a livello nazionale sia a livello comunitario. Anch’io mi sono occupata di questa tematica nei numerosi libri e articoli che ho pubblicato negli scorsi anni. La minore retribuzione per le donne che fanno lo stesso lavoro e hanno la stessa qualifica e la stessa produttività dipende, purtroppo, da stereotipi fortemente consolidati su chi dovrebbe mantenere la famiglia.

Il compito di sostentare la famiglia è tradizionalmente affidato agli uomini, e finora tutte le strutture occupazionali, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, sono state più o meno conniventi. E’ profondamente radicata l’opinione che l’uomo debba mantenere con il proprio stipendio non solo sé stesso ma anche la propria famiglia, mentre lo stipendio della donna è visto soltanto come un “di più”, un’aggiunta al bilancio familiare.

Per incredibile che possa sembrare, questa illusione è così saldamente radicata che neppure l’attuazione delle pari opportunità sul posto di lavoro è garanzia di un progresso culturale, al contrario: dobbiamo purtroppo trovare modi per imporre la parità a suon di leggi. Sono perciò senz’altro favorevole all’inserimento nell’articolo 29 della direttiva 2006/54 di precise istruzioni sull’applicazione dei principi di parità.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, signor Commissario, la relazione dell’onorevole Bauer non necessita di ulteriori commenti da parte nostra, dato che indica già chiaramente quale strada dobbiamo percorrere per eliminare un fenomeno di cui la società dovrebbe vergognarsi e che perpetua un ciclo di ingiustizie; un fenomeno per cui i figli vedono la madre fare lo stesso lavoro del padre ma a uno stipendio inferiore, le lavoratrici vedono i loro colleghi maschi lavorare come loro ma ricevere una retribuzione superiore.

La società, quindi, tollera questo fenomeno e lo riproduce, mentre le donne dovrebbero disporre di strumenti legislativi che consentano loro di correggere le situazioni in cui si trovano, se e quando ciò è necessario, e i poteri dello Stato dovrebbero introdurre misure adeguate che tengano conto dei periodi dedicati alla famiglia e dei periodi di disoccupazione e di malattia e prevedano una tassazione equa per compensare l’ingiusta retribuzione delle donne per il lavoro che svolgono, un lavoro che andrebbe giudicato non solo in base al tempo dedicatogli ma anche in base alla sua qualità e agli elementi aggiuntivi che una donna apporta alla propria attività professionale.

Rinnovo, signor Commissario, l’invito lanciatole dall’onorevole Cappato affinché, come Commissione, rivediate la vostra posizione sulle controversie con alcuni Stati membri riguardo all’età pensionabile per uomini e donne; il paese interessato da tali controversie è stato portato davanti alla Corte di giustizia europea. Le controversie riguardano modifiche dell’età pensionabile per tutte le donne, a prescindere dal fatto che siano madri oppure no; ma certamente per le lavoratrici madri è ancora più importante che si tenga conto del tempo complessivo, soprattutto quando si chiede che il calcolo dell’anzianità di lavoro comprenda l’intero ciclo di vita.

(Il presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (PSE). - (PL) Signor Presidente, nell’Unione europea le donne guadagnano in media dal 15 al 25 per cento in meno degli uomini. Inoltre, il sistema retributivo che stabilisce i livelli salariali sulla base degli anni di servizio è sfavorevole per le donne, che spesso devono interrompere la carriera per dedicarsi alla famiglia. L’educazione dei figli, cambiamenti del posto di lavoro e orari di lavoro ridotti mettono le donne in una condizione di costante ritardo strutturale. Il principio della parità di retribuzione a parità di lavoro non può essere distorto da un approccio fondato su stereotipi ai ruoli sociali e di genere che in passato hanno influenzato pesantemente le scelte professionali e formative delle persone, mentre il congedo per maternità o per motivi familiari non può fungere da pretesto per discriminare le donne sul mercato del lavoro.

La direttiva sull’attuazione delle pari opportunità e della parità di trattamento di donne e uomini nel settore dell’occupazione e del lavoro è un elemento irrevocabile dell’acquis communautaire, e gli Stati membri la devono implementare quanto prima possibile. L’obiettivo di ridurre il divario retributivo deve trovare piena attuazione nelle norme in materia di occupazione; inoltre, attraverso audizioni regolari sulla parità retributiva e la minaccia di sanzioni si dovrebbe porre fine a ogni genere di discriminazione, soprattutto a quella fondata sul genere.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten (PPE-DE). - (NL) Signor Presidente, sono grata all’onorevole Bauer per la sua ottima relazione. C’è da non crederci che oggi discutiamo di un argomento che è all’ordine del giorno addirittura dal 1957, quando la parità di trattamento tra uomini e donne, la parità di retribuzione tra uomini e donne sono state sancite nei trattati. Sono trent’anni che abbiamo norme e leggi europee; la Commissione europea ha predisposto un piano d’intervento per il periodo 2006-2010 e uno degli obiettivi chiave, previsto anche dalla strategia di Lisbona, consiste nel ridurre il divario retributivo tra uomini e donne.

Ciononostante, esso non si sta riducendo. Sabato scorso, The Times riportava infatti la notizia che nel Regno Unito il differenziale salariale tra uomini e donne è cresciuto al 21,7 per cento nel settore privato e al 13,8 per cento nel settore pubblico. Né si vedono segnali di miglioramento in altri Stati membri, compreso il mio: nella relazione sulle questioni di genere relativa ai Paesi Bassi, il World Economic Forum rivela che essi si collocano soltanto all’88o posto per quanto riguarda la parità di retribuzione a parità di lavoro.

E’ quindi necessario passare all’azione. Venerdì i ministri francese, ceco e svedese hanno adottato un piano d’azione. Ma di quanti altri piani d’azione ci sarà bisogno? Nella sua risoluzione, l’onorevole Bauer propone un gran numero di raccomandazioni, il che va benissimo; a mio modo di vedere, però, ci sono due priorità. In primo luogo, dobbiamo garantire che la parità di trattamento sia tradotta in pratica e sia oggetto di controlli ancora più severi – parità retributiva per uomini e donne come fondamento di tutti i nostri sistemi di previdenza sociale. In secondo luogo, e credo veramente che questo punto debba essere portato alla sua attenzione, tra uomini e donne esiste anche un divario pensionistico. La popolazione sta invecchiando, e se le donne non hanno una pensione, la situazione sarà molto triste. E’ su questo che ci dovremo concentrare in futuro.

 
  
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  Marusya Ivanova Lyubcheva (PSE). – (BG) Mi fa piacere che stiamo discutendo di questa relazione. E’ intollerabile che ci siano tuttora sperequazioni salariali tra uomini e donne. Ma non dobbiamo restringere la nostra discussione alla questione della parità di salario a parità di lavoro; dobbiamo assumere un’ottica più ampia. La natura individuale del lavoro sta alla base di tutte le attività, ed è importante sia trovare una maniera oggettiva di determinarne il valore secondo regole, criteri e indicatori chiari che permettano una maggiore obiettività, sia eliminare la discriminazione per mezzo di misure legislative chiare. Uno strumento importante è quello di valutare gli impieghi e i lavori e stabilirne il prezzo. La bassa remunerazione di alcuni impieghi li rende poco appetibili, con il risultato che di solito gli uomini li evitano mentre le donne li prendono. Modificare questa realtà significherebbe contribuire a una maggiore indipendenza economica delle donne. La scarsa remunerazione, ad esempio, dei servizi forniti da infermiere o insegnanti non è accettabile perchè non corrisponde affatto alla loro importanza per lo sviluppo della società. In questo campo anche la Commissione e gli Stati membri hanno obblighi da adempiere.

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE-DE). - (SL) Onorevoli colleghi, vorrei dire anzitutto che, personalmente, ritengo alquanto inaccettabile che le donne guadagnino in media il 15 per cento in meno degli uomini e che nel settore privato questa differenza sia addirittura del 25 per cento. Al riguardo desidero sottolineare che anche nel mio paese, la Slovenia, le donne non sono meno istruite degli uomini, e quindi è necessario darsi da fare. Probabilmente molti si chiedono perché sia necessario agire a livello europeo e perché il compito di trovare una soluzione a questo problema non possa essere lasciato agli Stati membri. Uno dei motivi è che ci vuole troppo tempo per ridurre queste differenze, e un altro motivo è che nella maggior parte degli Stati membri troppo poche donne sono impegnate in politica perché si presti la dovuta attenzione ai problemi legati al genere.

Una minoranza è in grado di richiamare l’attenzione sui propri problemi in modo credibile se, in una data istituzione, come un parlamento o un governo, può contare su almeno il 30 per cento del totale. E ci sono molti paesi europei nei quali la rappresentanza femminile in politica è inferiore al 30 per cento. La percentuale media di donne nei governi e nei parlamenti degli Stati membri è inferiore al 30 per cento. Nel Parlamento europeo le donne rappresentano il 31 per cento dei deputati, con una quota, dunque, un po’ superiore alla massa critica di cui abbiamo bisogno per dare un’efficace visibilità ai problemi legati al genere. Ecco perché dobbiamo agire a partire da qui.

Un altro interrogativo che mi sono posta è se le misure proposte siano troppo rivoluzionarie e se siano in contrasto con il principio di sussidiarietà. In proposito concordo con la relatrice laddove dice che la legislazione non è abbastanza efficace e che potrebbe e dovrebbe essere rafforzata. Le nostre proposte devono essere audaci e devono rappresentare un valido punto di partenza per la definizione di politiche concrete. Appoggio la proposta della relatrice secondo cui la Commissione dovrebbe preparare entro il 31 dicembre del prossimo anno una nuova proposta legislativa sulle norme vigenti in materia di parità di retribuzione per uomini e donne. Concludo congratulandomi con la relatrice per l’accurato documento che ci ha sottoposto.

 
  
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  Iratxe García Pérez (PSE).(ES) Signor Presidente, due mesi fa abbiamo discusso, in questa stessa aula, la relazione annuale sulla parità tra donne e uomini. Uno degli aspetti più preoccupanti sottolineato in quella occasione è ora l’argomento della discussione odierna, ossia il divario retributivo tra uomini e donne.

Trovo inquietante che, dal 2003 a oggi, non siamo riusciti a ridurre questo divario, pari al 15 per cento. Ciò significa che una donna deve lavorare 52 giorni in più all’anno rispetto a un uomo per avere lo stesso stipendio.

Si tratta di una situazione assolutamente inaccettabile nell’Unione europea; quindi, senza alcuna ombra di dubbio, dobbiamo sia adottare norme più stringenti sia concludere accordi più forti con i datori di lavoro per cercare di eliminare il divario retributivo.

Tra breve, però, ci dovremo occupare anche di un’altra questione problematica in tale contesto. Il mese prossimo, infatti, discuteremo della direttiva sull’orario di lavoro, che potrebbe rivelarsi anch’essa un fattore preoccupante sotto il profilo della conciliazione tra impegni familiari e attività lavorativa, che è sicuramente un aspetto molto delicato della tematica del lavoro. Attendiamo perciò con ansia la discussione al riguardo.

 
  
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  Rumiana Jeleva (PPE-DE). - (BG) Mi congratulo con l’onorevole Bauer per l’eccellente lavoro che ha compiuto elaborando le raccomandazioni sulla parità retributiva tra uomini e donne. So che ha profuso un grande impegno per redigere questo documento, che prende in considerazione, quanto più possibile, la situazione reale. Auspico che le raccomandazioni formulate nella relazione siano messe in pratica.

Nel mio paese, la Bulgaria, il divario retributivo tra uomini e donne è compreso tra il 25 e il 30 per cento, e anche se la situazione complessiva dell’Unione europea registra un differenziale inferiore, resta comunque il fatto che le donne sono pagate meno degli uomini. Perché? Uno dei motivi risiede nella struttura salariale di alcuni impieghi con un’alta percentuale di lavoratrici donne. Un altro motivo consiste nel fatto che nessuno si sente responsabile di questa situazione e, pertanto, nessuno si sente responsabile di risolverla. Gli stereotipi e i pregiudizi, tuttora profondamente radicati, sulla distribuzione del lavoro tra i generi non solo rappresentano un ostacolo, ma spesso sono usati anche come pretesto per ignorare i problemi.

Cosa possiamo fare in tali circostanze? In primo luogo, come constata la relazione, è imperativo che gli Stati membri si adeguino alla legislazione vigente. Le polizie nazionali devono promuovere l’applicazione delle pari opportunità e della parità retributiva. In secondo luogo, la trasparenza nell’opera di valutazione e nella fissazione dei livelli salariali deve diventare un aspetto integrante, e non semplicemente formale, del lavoro nelle imprese. Infine, incoraggiare il dialogo interno e buone comunicazioni tra la dirigenza e i dipendenti, soprattutto nelle piccole e medie imprese, deve diventare parte di una cultura realmente nuova sia nelle singole società europee sia nell’Europa nel suo complesso.

Rinnovo all’onorevole Bauer le mie congratulazioni per la competente presentazione dei problemi e delle soluzioni che ha delineato. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, la ringrazio per questa discussione. Vorrei sollevare una questione sulla quale poi potrebbe intervenire la Commissione. Stiamo parlando della parità di retribuzione a parità di lavoro, e tutti vogliamo e desideriamo che ciò avvenga. Qual è la posizione della Commissione riguardo all’attuale situazione occupazionale? Ho il timore che, con tutti i posti di lavoro che vengono cancellati nei paesi dell’Unione europea, le condizioni per affrontare tale questione peggiorino, invece di migliorare, perché la gente vuole soltanto avere uno stipendio, anche se esso è inferiore al valore reale del suo lavoro. Mi piacerebbe che la Commissione replicasse a questa osservazione.

Voglio poi parlare di un aspetto della discriminazione che sicuramente esiste tra uomini e donne: le grandi differenze tra le condizioni di lavoro nel settore pubblico e quelle nel settore privato. I lavoratori dei due settori hanno diritti pensionistici e previdenziali diversi, e talvolta le differenze non dipendono semplicemente dal genere. So bene, comunque, che la relazione in discussione riguarda le discriminazioni di genere, e mi preoccupa molto che, stante l’attuale situazione, il problema possa acuirsi invece di migliorare.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE).(RO) Signor Presidente, signor Commissario, tra le retribuzioni delle donne e quelle degli uomini che fanno lo stesso lavoro c’è una differenza del 15 per cento. A livello manageriale, la percentuale sale al 20 e persino al 30 per cento, come nel caso dei dirigenti di piccole e medie imprese.

Il 28 per cento delle ricercatrici nell’industria e solo il 34 per cento delle donne che lavorano nell’industria hanno più di un figlio.

Signor Commissario, la percentuale media annua sulla cui base è calcolata l’indennità per i congedi di maternità registra una perdita finanziaria durante tali periodi, nonostante l’importanza dei congedi di maternità dal punto di vista del benessere sociale. Le lavoratrici madri non devono essere penalizzate per aver avuto figli e averli accuditi nei primi mesi di vita.

Credo inoltre che l’indennità di maternità debba essere riconosciuta non soltanto alle donne che hanno lavorato nei dodici mesi precedenti la nascita del figlio. Non credo che sia colpa del bambino se sua madre ha lavorato o no durante quel periodo di tempo, ma soprattutto credo che non ci debbano essere discriminazioni tra i bambini sin dalla loro nascita.

 
  
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  Danutė Budreikaitė (ALDE). - (LT) Non posso che ripetere che già nel 1974 furono approvati testi che obbligavano gli Stati membri a dare agli uomini e alle donne la stessa retribuzione per lo stesso lavoro. Nonostante siano passati più di trent’anni, la situazione non è cambiata. Inoltre, nel mio paese, la Lituania, è stata avviata la riforma del sistema pensionistico. Una parte dei contributi versati dai lavoratori al fondo pensionistico statale viene ora trasferita a fondi di risparmio pensionistico privati. In pochi anni è diventato evidente che, per ricevere da questi fondi lo stesso importo annuale degli uomini, le donne devono versare il 35 per cento di contributi in più, perché vivono più a lungo. Inoltre, uscire da questi fondi è come uscire dalla schiavitù, nel senso che è impossibile, e già questo è, di per sé, una violazione dei diritti umani e della libertà di scelta. Oltre alla Lituania, solo la Bulgaria usa tale sistema fondato sul genere.

Dopo aver studiato questi casi, invito la Commissione a prendere l’iniziativa e proporre decisioni in merito.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signor Commissario, onorevoli colleghi, il fatto che le donne dell’Unione europea debbano lavorare quasi due mesi in più per avere la stessa retribuzione degli uomini è un fatto oltremodo allarmante. Anche se l’Europa sta morendo, l’unica cosa che possiamo fare è constatare che la discriminazione salariale contro le donne e le famiglie con prole arriva al 25 per cento, sebbene il numero delle donne con un’istruzione sia superiore a quello degli uomini, con un rapporto di 60:40. L’onorevole Bauer rileva che nelle cosiddette professioni maschili il lavoro delle donne è di norma sottovalutato, senza che ci sia alcun motivo oggettivo. Ma se il motivo di tale sottovalutazione è il fatto che le donne possono dedicare al lavoro meno anni rispetto agli uomini perché devono occuparsi della famiglie, allora è nostro dovere prenderlo in seria considerazione. La famiglia non deve essere uno svantaggio.

L’onorevole Bauer sta smuovendo le acque e le sue argomentazioni a sostegno di una revisione delle norme antidiscriminazione sono convincenti. Anch’io appoggio la proposta di far partecipare agli appalti pubblici e ai progetti finanziati con fondi comunitari le sole imprese che possono dimostrare di praticare una politica salariale non discriminatoria. Credo che sia questo il modo per cambiare gli stereotipi di genere dei datori di lavoro, soprattutto nel settore privato. Ringrazio la relatrice per l’alta professionalità della sua relazione.

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE). - (PL) Signor Presidente, è naturale che nella discussione su questo importante argomento siano intervenuti soltanto due uomini. Nel caso dell’onorevole Bloom, le sue osservazioni erano così prettamente maschili che è difficile condividerle.

Ci stiamo tuttavia occupando di una relazione molto importante, una relazione dalla quale apprendiamo che il lavoro ha un grande valore, che il lavoro deve essere retribuito in maniera congrua e che la retribuzione dev’essere differenziata sulla base di criteri quali la natura del lavoro, l’efficienza della sua esecuzione e la capacità di creare valore aggiunto, ma non sulla base del genere. Tuttavia le cose stanno cambiando anche negli Stati membri; in proposito, mi sia consentito citare il caso del mio paese, dove solo di recente è stata introdotta una norma, ispirata dalla parità di trattamento tra i generi, che consente al padre di prendere il congedo per paternità. Ciò dimostra che è in atto un processo di convergenza e che siamo sulla strada giusta.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN). - (PL) Signor Presidente, le donne non ricevono la stessa retribuzione per lo stesso lavoro, ma se sono pagate meno è anche perché sono occupate in settori dove i livelli salariali sono più bassi e fanno lavori temporanei, di minore qualità. Un risultato della disparità retributiva è la disparità anche in termini di previdenza sociale, soprattutto di diritti pensionistici. Sia la minore retribuzione a parità di lavoro, sia il minor tempo che le donne possono dedicare al lavoro a causa delle responsabilità della maternità sono la causa della povertà che le affligge quando raggiungono l’età pensionabile. Ecco perché la disuguaglianza retributiva colpisce le donne doppiamente.

Vorrei far presente che la legge, di solito, vieta la discriminazione, ma nella pratica la discriminazione continua a esserci. La cosa principale da fare è dunque dare attuazione alla legge.

 
  
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  Zbigniew Zaleski (PPE-DE). - (PL) Non ci sono ragioni per discriminare le donne sotto il profilo retributivo, e questa non è una tematica di cui si possa discutere. Tre brevi osservazioni: per motivi economici, la retribuzione dovrebbe corrispondere al risultato del lavoro sulla base del servizio fornito, indipendentemente da chi lo fa. Secondo punto: che piaccia o no, l’Europa sta invecchiando. Forse dovremmo riconoscere un bonus alle donne che fanno lo stesso lavoro degli uomini e contemporaneamente decidono di avere figli e allevarli, contribuendo così a mantenere il livello della popolazione. Terzo punto: un buon esempio a questo proposito sono le istituzioni accademiche, o quanto meno quelle di mia conoscenza, dove le opportunità sono uguali per tutti e la retribuzione dipende soltanto dai risultati ottenuti. Forse potremmo applicare questo modello anche ad altri settori.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE). (PL) Signor Presidente, mi aggiungo alle voci maschili intervenute nella discussione, che purtroppo sono state molto poche, ma hanno nondimeno riconosciuto l’importanza di discutere pubblicamente e di inserire nell’agenda politica una questione così importante come la retribuzione e la parità retributiva tra uomini e donne, che è una delle garanzie più rilevanti e uno dei diritti garantiti dalle legislazioni nazionali e dal diritto comunitario.

Posso dire che, come tutti, non ritengo che i livelli salariali debbano essere condizionati dal genere. Possono dipendere dal grado di istruzione e dall’esperienza, ma in nessun caso dal genere. Ho l’impressione che il diritto nazionale e quello comunitario in tale materia siano abbastanza soddisfacenti e, in taluni casi, anche molto validi, ma mi preoccupa il fatto che le leggi non siano attuate, non siano messe in pratica perché non esiste una prassi in tal senso. La Corte di giustizia europea ha affermato più e più volte che queste norme non sono applicate. Quindi il punto non è approvare altre leggi, bensì garantire che quelle esistenti siano rispettate.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE). – (FR) Signor Presidente, i divari retributivi denunciati in questa sede sono ancora più difficili da comprendere se si pensa che le giovani donne di oggi vantano risultati scolastici migliori degli uomini in tutti gli Stati membri, e che la maggioranza dei laureati sono donne.

Vorrei ad ogni modo sottolineare che esiste una solida base legislativa già dal 1975 e in particolare dal 2006, e che grazie ad essa tra il 1975 e il 1980 ho potuto incoraggiare le donne del mio paese che erano discriminate a far causa ai loro datori di lavoro, specialmente nel settore pubblico. Grazie a ciò, le donne hanno ricevuto centinaia di milioni di franchi lussemburghesi – la valuta in corso all’epoca – con effetto retroattivo.

Prima e più di tutto, quindi, dobbiamo applicare le buone norme vigenti, nonché migliorarle approvando le ottime raccomandazioni formulate dalla relatrice.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. – (CS) Onorevoli deputati, desidero esprimere la mia gratitudine per questa discussione, che ha affrontato una questione che è semplicemente inaccettabile. Non esiste alcun motivo, né reale né sostenibile, perché debba persistere una situazione nella quale le donne continuano a essere pagate mediamente meno degli uomini. Nella discussione avete citato un’amplissima gamma di approcci e tematiche che sono correlati con il divario retributivo, e mi pare che dalla discussione sia emersa con chiarezza la complessità della questione.

Vorrei affermare che questo tema è sull’agenda politica europea perché la Commissione se ne è occupata poco tempo fa in alcuni suoi documenti, e anche perché la Commissione sta procedendo a una specifica revisione potenziale delle norme attuali, oltre che, ovviamente, perché il Parlamento ha sollevato la questione grazie alla relazione dell’onorevole Bauer, alla quale rinnovo il mio apprezzamento. Ma un altro motivo è il fatto che, a Lilla, la troika dell’Unione europea non ha semplicemente annunciato bensì ha adottato un piano d’azione che inserisce questo punto nell’agenda di tre presidenze consecutive, cioè delle presidenze francese, ceca e svedese.

Onorevoli deputati, vorrei dire anche che, durante la discussione di Lilla, ai singoli Stati membri sono state sottoposte, oltre al piano d’azione, una serie di azioni concrete in questo campo, alcune delle quali, devo riconoscere, erano molto decise e, a mio parere, in grado di produrre risultati.

Onorevoli deputati, vi ringrazio nuovamente per avermi dato la possibilità di intervenire e per aver organizzato questa discussione. La Commissione è assolutamente disponibile a collaborare con il Parlamento in questa materia al fine di arrivare a una graduale eliminazione di una situazione ingiusta e insostenibile.

 
  
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  Edit Bauer, relatore. – (SK) Onorevoli colleghi, vi ringrazio per l’interessante discussione. Consentitemi alcune osservazioni. Primo: le norme da sole non bastano per risolvere questo problema. Come è già stato rilevato, ci sono molti motivi per adottare nuove leggi, ma ovviamente non è possibile risolvere alcuni problemi economici per mezzo della legislazione.

Anch’io penso che dovremmo senz’ombra di dubbio applicare meglio la normativa attuale. La lunga storia delle norme vigenti in materia ci rivela tuttavia chiaramente che esse non sono molto efficaci nella loro forma corrente. Legislazione a parte, non disponiamo di nessun altro strumento; ciò vuol dire che il nostro compito è evidentemente quello di contribuire a garantire che la legislazione vigente aiuti a risolvere questo annoso problema in modo tale da rendere più equo il mercato del lavoro.

Concludo con un’osservazione finale. Molti colleghi hanno sottolineato che il persistere di simili differenze è inaccettabile sotto il profilo dei diritti umani. Per parte mia desidero, invece, evidenziare un altro aspetto della questione, cioè i requisiti della concorrenza economica, perché la parità di retribuzione a parità di lavoro è prevista dal trattato di Roma come un requisito di una concorrenza economica equa. Credo che questa sia la risposta migliore ai colleghi che hanno affermato che il mercato del lavoro funziona secondo criteri diversi.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì, 18 novembre 2008.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. (EN) Il quadro giuridico comunitario in materia di parità retributiva tra uomini e donne è molto ampio. Il problema è la sua attuazione.

Siamo concordi sul fatto che la discriminazione salariale fondata sul genere è vietata dalla legislazione vigente, mentre la discriminazione indiretta resta un problema attuale. Nella maggior parte dei casi, la discriminazione indiretta è la conseguenza della segregazione economica, e in queste circostanze la normativa vigente è applicata solo in parte. La valutazione del quadro legislativo rivela l’esistenza di alcune differenze normative per quanto attiene alla disparità retributiva di genere (DRG).

Sebbene la legislazione vigente abbia, sostanzialmente, il medesimo ambito di applicazione, le direttive esistenti presentano differenze fondamentali:

a) nel 1975 la DRG era considerata una questione che riguardava la concorrenza economica, una “parte integrante della costituzione e del funzionamento del mercato comune”, mentre

b) la direttiva del 2006 si fonda sul principio della “parità di trattamento e delle pari opportunità”.

I dati rivelano che esiste tuttora un divario retributivo tra uomini e donne. Secondo le cifre più recenti, c’è una differenza del 15 per cento tra la retribuzione oraria lorda degli uomini e quella delle donne. Nel settore privato, la differenza è maggiore e arriva al 25 per cento.

La DRG era di solito motivata con le diversità di tipo individuale, quali l’età, l’istruzione e l’esperienza. La realtà dimostra, invece, che queste differenze hanno un ruolo relativamente secondario ai fini del persistere della DRG.

 
  
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  Petru Filip (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra donne e uomini è un argomento che presenta connotazioni sue proprie nei paesi dell’Europa orientale che hanno aderito di recente all’Unione europea. I parametri usati per valutare la prestazione professionale continuano a essere orientati prevalentemente in senso maschile. Quest’ottica non è facile da cambiare nell’ex area comunista, dove, per effetto degli sforzi propagandistici del regime, la mentalità collettiva è stata plasmata secondo un modello di parità completamente artificioso. La mancanza di coerenza con la parità originaria promossa dalla propaganda dei regimi comunisti è riuscita a minare gli sforzi attualmente in corso per favorire la parità di trattamento tra donne e uomini.

Considerate queste premesse, ritengo che qualsiasi sforzo venga intrapreso oggigiorno per promuovere il principio della parità di genere debba essere focalizzato in termini più ampi sull’aspetto dell’istruzione, per offrire ai cittadini comunitari modelli di sistemi realistici di trattamento non discriminatorio. Per dare attuazione a questo principio in tutta l’Unione, è necessario che le istituzioni europee propongano qualcosa di più che una Giornata europea per la parità retributiva.

 
  
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  Zita Gurmai (PSE), per iscritto. – (HU) Non è un caso che uno degli elementi principali del piano d’azione 2006-2010 per la parità tra uomini e donne sia lo sforzo di eliminare il divario retributivo tra i sessi. Il problema della disparità salariale tra uomini e donne va al di là del principio fondamentale della parità di stipendio a parità di lavoro. La differenza di retribuzione rispecchia le gravi disuguaglianze esistenti sul mercato del lavoro, che riguardano più di tutti le donne e sono anche sintomatiche del grave deficit democratico che affligge l’Europa.

Per risolvere il problema è necessario adottare provvedimenti complessi, che non possono essere realizzati senza la necessaria determinazione politica. La normativa esistente va perfezionata e la sua attuazione concreta va promossa e monitorata.

Il vero principio delle pari opportunità può essere messo in pratica soltanto se ciascuno Stato membro dà prova della decisiva volontà politica e compie passi costruttivi per far cessare il divario retributivo tra i sessi. E’ inaccettabile che molti Stati membri continuino a non riservare un’attenzione speciale al divario salariale tra i generi, né nei dibattici pubblici né nei programmi politici.

Altrettanto indispensabile è dare il via a un dibattito sociale e organizzare campagne educative. Insisto nel sostenere che, per risolvere il problema, è necessario preparare un pacchetto di misure politiche che in ogni caso devono tener conto delle differenze nazionali e delle prassi reali e comprovate.

Abbiamo bisogno di dati statistici più precisi e dettagliati per poter accertare come stanno veramente le cose e per seguire da vicino gli sviluppi. Occorre analizzare le cause delle differenze salariali, e le informazioni così ottenute dovrebbero essere usate per far luce sulla discriminazione, per porvi rimedio e per prevenirla in futuro.

 
  
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  Lívia Járóka (PPE-DE), per iscritto. (EN) Mi congratulo con l’onorevole Bauer per il duro lavoro che ha compiuto sottoponendo alla Commissione europea raccomandazioni di importanza vitale sull’applicazione del principio della parità salariale. Il divario retributivo ha un forte impatto sullo status delle donne nella vita economica e sociale e rappresenta un ostacolo all’indipendenza economica su un grado di parità.

In Europa sono numerosi i settori nei quali le donne subiscono il divario retributivo fondato esclusivamente sul genere. Le donne si scontrano con le differenze di paga oraria tanto negli Stati membri nuovi quanto in quelli vecchi. Le differenze si possono riscontrare osservando la distribuzione del reddito tra uomini e donne: in Europa, solo il 20 per cento delle donne, a fronte del 40 per cento degli uomini, sono nella fascia di reddito più alta e, quindi, al massimo livello della scala salariale. Un altro esempio eclatante di disparità retributiva è la segregazione settoriale di genere, dato che la metà dei posti di lavoro in tre settori sono dominati dagli uomini.

Infine, l’eccessiva presenza di donne – 30 per cento – tra i lavoratori a tempo parziale ha effetti negativi sui contributi di lavoro. Queste cifre sono ancora peggiori nel caso delle donne di determinate origini etniche, come le donne rom. Mentre il quadro giuridico comunitario in materia di parità retributiva è molto ampio, nell’Unione europea le donne sono tuttora retribuite meno degli uomini, anche se hanno competenze e livelli d’istruzione simili. Ciò dimostra che migliorare e rendere le leggi più efficaci è l’obiettivo principale da raggiungere.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. (EN) Il divario retributivo di genere nell’Unione europea è a un livello allarmante. Ci sono state alcune iniziative per abbassarlo, ma il ritmo a cui il divario si sta riducendo è decisamente troppo lento. Il Parlamento ha chiesto più volte alla Commissione di adottare iniziative. La relazione sul divario retributivo di genere delinea in modo specifico molti modi in cui l’Unione potrebbe occuparsi di questo problema.

E’ importante definire più chiaramente e più nei particolari concetti quali “divario pensionistico”, “discriminazione retributiva diretta” e “discriminazione retributiva indiretta”, per poter disporre di strumenti più adatti ad affrontare il divario retributivo di genere.

Attualmente ci mancano i dati statistici accurati necessari per poter valutare la situazione. Gli Stati membri e la Commissione dovrebbero migliorare le loro statistiche, ma anche le imprese private dovrebbero fare altrettanto. Le imprese dovrebbero avere l’obbligo di tenere regolari audizioni sulle retribuzioni e di rendere ampiamente disponibili i relativi risultati.

Un altro modo in cui possiamo contribuire a risolvere il problema è inserire un riferimento specifico alla discriminazione salariale nell’articolo 26 (prevenzione della discriminazione) della direttiva 2006/54/CE.

E’ semplicemente inaccettabile che le donne dell’Unione europea guadagnino in media il 15 per cento in meno degli uomini. In quanto organo esecutivo, abbiamo il dovere di fare qualcosa per porre rimedio a questa ingiustizia.

 

23. Regime generale delle accise (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0417/2008), presentata dall’onorevole Astrid Lulling, a nome della commissione per i problemi economici e monetari, sulla proposta di direttiva del Consiglio relativa al regime generale delle accise [COM(2008)0078 – C6-0099/2008 – 2008/0051(CNS)].

 
  
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  Astrid Lulling, relatore. − (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, questa proposta di direttiva, volta a sostituire la direttiva del 1992, mira soprattutto a introdurre il 1o aprile 2009, in conformità della legislazione, il sistema di controllo elettronico dei movimenti di merci soggetti ad accisa, il famoso EMCS.

Si tratta pertanto di un provvedimento tecnico, ma nel contempo anche di una misura volta a ridurre la burocrazia e le frodi e a promuovere la rapidità.

A eccezione di alcuni emendamenti che ho presentato e che sono stati accolti, tesi a rendere più coerente il funzionamento del nuovo sistema, siamo concordi su questa parte della proposta della Commissione europea.

Nel suo parere, la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia ha ulteriormente appesantito, e di molto, la relazione della commissione per i problemi economici e monetati copiando gran parte degli emendamenti negoziati in seno al Consiglio. Di fatto, con questa mossa non si ottiene nulla di concreto per quanto ci riguarda.

La discussione politica avviene altrove e concerne le condizioni per la circolazione e la tassazione di merci soggette ad accise, in particolare alcol e tabacco acquistati da consumatori privati. Per una volta, la Commissione europea è stata abbastanza saggia da sottoporre un testo fondato sulla giurisprudenza recente, cioè su sentenze che autorizzano gli europei a trasportare senza restrizioni quantitative merci soggette ad accise acquistate in uno Stato membro diverso da quello di residenza, purché tali merci siano state comperate per finalità di consumo privato.

La mia proposta e la mia posizione in qualità di relatrice sono inequivocabili: sono completamente favorevole al testo della Commissione, che è chiaro, preciso e basato sui principi che regolano il mercato interno. Ma alcuni colleghi, in particolare socialisti e liberali, si sono sentiti obbligati a presentare emendamenti che, imponendo nuovamente limiti indicativi, reintrodurrebbero le tasse alle frontiere, come quelle in vigore fino al 1992.

Il fatto è che quelli che, in teoria, sono limiti indicativi diventano, nella pratica, restrizioni quantitative. A causa delle assenze, e profittando dell’ignoranza di taluni colleghi, i presentatori di questi emendamenti hanno potuto contare in commissione su una maggioranza favorevole. Il mio gruppo ha preso all’unanimità la decisione di presentare emendamenti volti a ripristinare le proposte iniziali della Commissione europea. Né, per correttezza, avremmo potuto fare altrimenti. Noi non vogliamo il ritorno delle frontiere e di prassi come quelle che erano diffuse prima dell’istituzione del mercato interno.

Al contrario: vogliamo soluzioni adatte ai nostri tempi, comprese quelle connesse con il commercio elettronico. Il nostro messaggio al Consiglio deve essere chiaro: non proponete ai nostri concittadini passi indietro nell’acquis communautaire.

Altrettanto incomprensibile appare l’atteggiamento di certi socialisti e liberali che vogliono abolire gli ultimi negozi duty-free sopravvissuti ai confini terrestri dell’Unione europea. Anche la Commissione lo vuole, purtroppo, sebbene quei negozi non perturbino in alcun modo il funzionamento del mercato interno. Per contro, la loro chiusura significherebbe la perdita di migliaia di posti di lavoro, specialmente lungo le frontiere della Grecia. Abbiamo scelto proprio il momento giusto per fare simili proposte!

Ma il peggio deve ancora venire. L’accidentale maggioranza della commissione per i problemi economici e monetari ha persino respinto il mio emendamento che mirava a garantire la possibilità di fare acquisti nei negozi duty-free ai viaggiatori la cui destinazione finale sia un paese terzo, per tener conto della situazione dei voli di collegamento.

Perché, se mi sto recando in aereo a Singapore da Lussemburgo via Francoforte o Parigi, non posso fare acquisti al duty-free dell’aeroporto di partenza? Devo dire, signor Presidente, che la situazione è molto deprimente. Le comunico che ho sei minuti a disposizione, ma non li userò tutti. Confido, ora, nel buon senso della maggior parte dei nostri colleghi – ed è un peccato che non siano qui -, che spero adotteranno una soluzione che è anche nell’interesse dei consumatori e non introduce nuove tasse né nuove barriere burocratiche.

Coloro che hanno votato contro le nostre ragionevoli proposte domani si troveranno in difficoltà a spiegare i motivi di questo passo indietro ai loro connazionali. Se i cittadini vorranno denunciare l’impostazione retrograda di quei deputati, potranno contare su di me e sui miei colleghi.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS
Vicepresidente

 
  
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  László Kovács, membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, consentitemi anzitutto di ringraziare la relatrice onorevole Lulling e la commissione per i problemi economici e monetari per la relazione e la celerità con cui si sono occupate di questa proposta, che fornisce la base giuridica per l’informatizzazione delle procedure relative al sistema delle accise a far data dall’aprile 2010.

Gli Stati membri e la Commissione hanno investito molto in questo sistema, denominato Excise Movement Control System, in sigla EMCS. Esso sostituisce con un nuovo sistema computerizzato l’attuale sistema di controllo della circolazione delle merci basato su documenti cartacei.

Il maggior ricorso alle reti transeuropee per la comunicazione tra i commercianti e le autorità competenti per le accise, e tra le stesse autorità, consentirà di ridurre i tempi necessari per lo scarico della responsabilità fiscale dei movimenti di merci soggette ad accisa.

In tal modo le autorità responsabili delle accise avranno a disposizione uno strumento essenziale per poter affrontare efficacemente i casi di frode e, quindi, per tutelare i commerci legali. Nel contempo miglioreranno anche i servizi ai contribuenti, che beneficeranno di una maggiore certezza del diritto e di scambi di informazioni in tempo reale con le autorità fiscali dei rispettivi paesi.

In aggiunta a queste nuove disposizioni, la direttiva proposta riorganizzerà completamente e aggiornerà la vecchia direttiva orizzontale sulle accise del 1992. La proposta semplificherà e ammodernerà le procedure per le accise allo scopo di ridurre i relativi obblighi a carico dei commercianti, in particolare di quelli con attività transfrontaliere, senza tuttavia compromettere i controlli.

E’ evidente che, avendo la Commissione proposto per le accise un quadro giuridico nuovo e aggiornato, si è reso necessario ridiscutere alcuni degli aspetti più prettamente politici di questa normativa.

Mi riferisco a questioni quali i negozi duty-free sulla terraferma, la posizione degli aeroporti di transito e il mantenimento di livelli indicativi per distinguere i movimenti di merci soggette ad accise a fini commerciali dai movimenti di merci per uso personale.

Molti emendamenti presentati dal Parlamento sono già conformi al testo dell’orientamento generale concordato nella riunione del Consiglio Ecofin del 4 novembre 2008, o vanno nella stessa direzione, e possono essere accolti anche dalla Commissione.

Confido pertanto in un’adozione rapida della proposta e in una puntuale applicazione dell’EMCS.

 
  
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  Manuel António dos Santos, relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia.(PT) Nel primo dei due minuti di parola che mi sono concessi desidero evidenziare i principi più importanti del mio parere, che è stato adottato all’unanimità dalla commissione per l’industria, la ricerca e l’energia.

Tali principi sono i seguenti: aumentare l’efficienza della produzione e distribuzione di beni e servizi, principalmente riducendo la burocrazia; migliorare le norme vigenti e adeguarle alle circostanze attuali, specialmente per facilitare alle amministrazioni nazionali l’attuazione delle procedure di controllo basate sul rischio; semplificare le procedure e aumentare la trasparenza del commercio intra-comunitario, garantendo maggiore certezza del diritto e norme eque. Infine, il sistema di raccolta e rimborso dei dazi non dovrebbe dare adito a criteri discriminatori e si dovrebbe evitare una doppia tassazione.

Questi sono stati i principi ispiratori del parere che ho presentato alla commissione per i problemi economici e monetari a nome della commissione per l’industria. Voglio ribadire che in quest’ultima il parere è stato accolto da un ampio consenso.

Ecco perché nel mio secondo minuto di parola devo dire, in quanto appartenente al gruppo socialista al Parlamento europeo, che non comprendo l’osservazione dell’onorevole Lulling secondo cui il gruppo socialista e il gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa – e soltanto loro – avrebbero introdotto limiti quantitativi. Non sono stati soltanto il gruppo socialista e il gruppo ALDE, bensì tutti quanti, perlomeno nella commissione per l’industria, visto che il mio parere è stato approvato all’unanimità, come ho già ricordato.

Ritengo che sia assolutamente straordinario che non siano stati inseriti limiti quantitativi, perché sappiamo che questo tipo di imposte ha finalità diverse. La prima è, ovviamente, quella di ottenere un gettito fiscale, ma c’è anche la finalità di tutelare la salute pubblica. Peraltro, ciascun paese attribuisce, naturalmente, un diverso grado d’importanza a ciascuno di questi due obiettivi.

Penso dunque che la soluzione che abbiamo trovato, cioè fissare limiti quantitativi, sia equa ed equilibrata e non avvantaggi in misura eccessiva nessun paese in particolare. Questa soluzione, inoltre, non penalizza nessuno dei paesi che hanno, com’è ovvio, una posizione diversa da quella del paese rappresentato dall’onorevole Lulling, che io naturalmente rispetto. Ma i desideri di quel paese non possono ovviamente essere privilegiati rispetto ai desideri complessivi degli altri Stati membri dell’Unione europea.

Concludo con un commento finale di soli dieci secondi: il gruppo socialista appoggia, naturalmente, il mercato interno e la sua espansione e non crede che le proposte adottate dalla commissione per l’industria o dalla commissione per i problemi economici possano metterlo in pericolo.

 
  
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  Bill Newton Dunn, relatore per parere della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori. − (EN) Signor Presidente, il Parlamento difende i singoli e le piccole organizzazioni, le piccole imprese, a differenza dei governi, che vogliono cancellare le cose sgradevoli. La commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori è convinta del fatto che dovremmo permettere ai negozi posti ai confini terrestri esterni dell’Unione di continuare a esistere. Dovrebbero essere presidiati meglio – così come, del resto, dovrebbe essere migliorata parecchio l’intera attività di vigilanza sulla criminalità che passa attraverso le frontiere europee -, ma questo non è un motivo per abolirli.

In secondo luogo, per quanto attiene ai viaggi aerei e via mare, la commissione per il mercato interno ritiene fermamente che, tenendo conto della destinazione finale e non della destinazione di transito, ai viaggiatori dovrebbe essere permesso di acquistare beni esentasse, perché in tal modo si aiuterebbero i piccoli aeroporti regionali a procurarsi entrate. Tale proposta può non essere gradita ai governi, ma noi la sosteniamo con grande fermezza.

Il terzo e ultimo punto che volevo sollevare – ed è assai deplorevole che la Commissione non lo abbia incluso nelle sue consultazioni del 2006 su questa normativa – è la proposta di revocare queste esenzioni. Perché non l’ha inclusa? Perché, prima di proporla, non ha effettuato una valutazione del suo impatto?

 
  
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  Zsolt László Becsey, a nome del gruppo PPE-DE.(HU) Grazie, signor Presidente. Mi congratulo sia con la Commissione che con i relatori per il lavoro che hanno compiuto, e credo che questo sistema di aggiornamento elettronico avrà un effetto tempestivo e molto positivo.

Vorrei fare due osservazioni. In primo luogo, permettiamo al mercato interno di funzionare. Se il sistema di registrazione delle imposte e lo scambio di informazioni funzionano bene, credo che i movimenti per uso personale da parte di privati cittadini non arrecheranno gravi danni. Se qualcuno, avendo acquistato beni per uso personale, paga l’accisa da qualche parte, i prezzi all’ingrosso e, in parte, le differenti aliquote IVA saranno in ogni caso in competizione tra loro.

Non è necessario porre limiti a tutto, ed è perfettamente inutile mandare messaggi negativi al fine di proteggere le casse pubbliche dei paesi dove il livello dei prezzi è elevato. Sarebbe molto strano, specialmente nell’area Schengen, se ci dovessimo preoccupare di ispezioni doganali o di polizia, dato che sappiamo che esistono molti altri metodi per controllare il contenuto degli autocarri più grandi. Non vedo pertanto l’utilità di un elenco indicativo.

Come mia seconda osservazione vorrei dire che anch’io sostengo il diritto dei cittadini che escono dal mercato interno di acquistare queste merci nel momento in cui lasciano il mercato interno. Per quanto riguarda i viaggi via terra, non penso che nascerebbe un contrabbando di vaste proporzioni, né che gli Stati membri confinanti subirebbero grandi perdite, dato che i prezzi nei paesi terzi confinanti sono molto più bassi che negli Stati membri dell’Unione europea. Non credo, quindi, che ci sarebbe un’esportazione di merci in scala industriale.

Presumo che queste stesse considerazioni valgano anche per gli aeroporti, dato che non è possibile portare nel bagaglio consegnato o nel bagaglio a mano quantità di merce talmente grandi da costringerci a vietare il trasporto di questi beni per uso personale in paesi terzi, non appartenenti all’unione doganale. La ringrazio molto, signor Presidente, per avermi dato l’opportunità di intervenire.

 
  
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  Elisa Ferreira, a nome del gruppo PSE.(PT) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, vorrei iniziare complimentandomi con la relatrice principale, l’onorevole Lulling, e con i relatori ombra, gli onorevoli Hamon e Schmidt. Per cause indipendenti dalla sua volontà, l’onorevole Hamon non può essere qui oggi; pertanto, mi proverò a illustrare la sua posizione, che è la posizione del nostro gruppo, su una questione che merita tutta la nostra attenzione. Infatti, la tassazione sotto forma di accise è un tema molto delicato.

Quando si parla di accise, non dobbiamo dimenticare che esse vengono imposte su servizi e beni di consumo ben precisi: tabacco, alcol e prodotti energetici.

La proposta della Commissione emenda un testo che risale al 1992. Da allora, il mercato interno di questi prodotti è cambiato moltissimo. Va altresì rilevato che il nuovo sistema elettronico per la gestione e il controllo delle transazioni rappresenta un gradito cambiamento, che dovrebbe semplificare il funzionamento del sistema sia per gli operatori che per le autorità fiscali, come ha testé detto il Commissario.

Per quanto riguarda gli aspetti tecnici – compresi i limiti temporali per la trasmissione dei documenti, le norme per la costituzione di garanzie finanziarie da parte degli operatori e altro ancora – la proposta della Commissione e la relazione della relatrice principale meritano ogni apprezzamento e vanno accolte, perché rappresentano progressi reali e utili.

Ma, in merito a queste accise, il contenuto politico non dovrebbe arrestarsi di fronte agli aspetti tecnici, come ha detto l’onorevole dos Santos. Le merci interessate dalla proposta sono delicate e la loro vendita non dovrebbe essere soggetta soltanto al gioco della concorrenza. A tale proposito, vorrei concentrarmi su due esempi molto chiari: i limiti orientativi per il trasporto personale di queste merci e le norme applicabili alle vendite in Internet.

Su questi due punti siamo decisamente in disaccordo con la relatrice.

Riguardo all’alcol, al tabacco e anche ai carburanti, le differenze di tassazione tra gli Stati membri sono enormi e, di conseguenza, anche i prezzi variano molto. Basti pensare che nell’Unione europea il prezzo di un pacchetto di tabacco oscilla tra uno e sette euro, proprio a causa delle forti differenze di tassazione.

Di norma, le imposte vanno pagate nel paese di consumo, tranne nel caso delle merci trasportate all’interno dell’Unione europea. Secondo le regole vigenti, è necessario rispettare determinati limiti quantitativi, perché altrimenti è lecito presumere che le merci siano trasportate a fini commerciali.

La proposta della Commissione mira ad abolire tali limiti quantitativi, e su questo punto specifico è d’accordo anche la nostra relatrice, l’onorevole Lulling. Non era tuttavia questo l’intendimento della commissione per i problemi economici e monetari. Al contrario: noi abbiamo deciso di abbassare i limiti, seguendo le iniziative dei relatori ombra, gli onorevoli Hamon e Schmidt, e anche mie.

La liberalizzazione permette effettivamente ad alcuni consumatori di acquistare le merci in questione a prezzi più bassi. Questo però non va bene se tale pratica può penalizzare le finanze pubbliche degli Stati membri o gli obiettivi di salute pubblica che gli Stati membri hanno il diritto di salvaguardare. Né può andar bene nel caso in cui a beneficiarne sia il mercato grigio – cosa che dovremmo tutti evitare.

Pertanto, l’accordo finale raggiunto in commissione prevedeva di mantenere i limiti a un livello ragionevole, cioè 400 sigarette o 45 litri di vino per persona. Sono queste le quantità ritenute congrue con il consumo personale. Quindi, i viaggiatori che acquistano questi beni in quantità inferiori ai limiti che ho appena citato non saranno interessati dalle norme in discussione.

Per gli stessi motivi siamo contrari all’emendamento n. 68 presentato dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei, in cui si propone di tassare le vendite a distanza, soprattutto quelle tramite Internet, nel paese del venditore e non in quello del consumatore. Tale proposta costituisce un ingiustificato rovesciamento del principio generale della tassazione. Questo emendamento aprirebbe inoltre la porta a un mercato grigio di vaste dimensioni e pertanto va assolutamente respinto.

Infine, devo citare ancora la questione dei negozi duty-free. Il principio riconosciuto a livello internazionale è che questi negozi possono stare soltanto nei porti e negli aeroporti, in modo da garantire un controllo ottimale e prevenire qualsiasi rischio di frodi o abusi. Dobbiamo perciò concedere alle persone un periodo di tempo sufficiente per adeguarsi, ed è per tale motivo che proponiamo, a nome del gruppo socialista al Parlamento europeo, di prevedere un periodo di transizione per quegli Stati membri in cui ci sono ancora negozi duty-free, onde consentire loro di adattarsi un po’ alla volta alla nuova situazione. Proponiamo quindi di fissare una data lontana, il 1o gennaio 2017, per permettere una graduale convergenza verso la norma di validità comune.

Crediamo che tale tipo di approccio sia quello giusto. E’ un approccio che è emerso dal consenso, non un consenso totale ma comunque un consenso maggioritario in seno alla commissione per i problemi economici e monetari. Mi auguro che il nostro approccio sia approvato anche nella votazione in plenaria di domani.

 
  
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  Olle Schmidt, a nome del gruppo ALDE. (SV) Signor Presidente, signor Commissario, onorevole Lulling, ci troviamo nuovamente ad affrontare questo argomento. Non è di certo la prima volta che l’onorevole Lulling e io siamo in disaccordo sulle caratteristiche che il regime delle accise dovrebbe avere in Europa. Ma è probabilmente la prima volta che ho l’impressione di essere io quello che può contare su una maggioranza. E’ pericoloso anticipare gli eventi, ma staremo in ogni modo a vedere come andrà a finire.

Sulla questione del nuovo sistema tecnico, l’EMCS, siamo pienamente concordi. E’ sul punto delicato delle quote d’importazione che le nostre posizioni divergono profondamente.

Approvando l’approccio proposto dalla commissione, il Parlamento esprimerà sia il proprio impegno a favore della libertà di circolazione in Europa sia il proprio impegno di promuovere una ragionevole politica sanitaria pubblica. Come sempre succede quando si tratta di questioni di carattere fiscale, è necessario trovare un punto di equilibrio tra ciò che dovrebbe restare di competenza degli Stati membri e ciò che è considerato di nostra comune responsabilità. Accogliendo la proposta della commissione, il Parlamento europeo stabilirà che tabacco e alcol non sono uguali alle altre merci, proprio come è stato detto poco fa in quest’aula, e vanno pertanto sottoposti a un trattamento diverso. Ovviamente, in ciò non vi è nulla di rivoluzionario, come molti vanno sostenendo da lungo tempo.

Decidendo di dimezzare i livelli indicativi di importazione e mantenendo, allo stesso tempo, il principio del limite, diamo agli Stati membri ampia facoltà di praticare una loro propria politica, mentre, nel contempo, la legislazione comunitaria faciliterà alle imprese e ai singoli le attività commerciali transfrontaliere. In parole più semplici, ciò significa che la Svezia avrà la possibilità dare la priorità alle questioni di sanità pubblica, mentre il Lussemburgo dell’onorevole Lulling potrà continuare la sua politica fondata su pacchetti fiscali a bassa tassazione. Il mercato interno non può essere costruito avendo come modello il cosiddetto “turismo dell’alcol”.

L’alcolismo e le sue conseguenze non sono un problema soltanto della Svezia, come talvolta sento dire. Di recente, è stata invocata l’adozione di misure coercitive per contrastare l’alcolismo nel Regno Unito, e forse anche i deputati britannici dovrebbero tenerne conto. Credo che sia ormai urgente che il Parlamento europeo adotti una posizione più ragionevole su tali questioni e dia agli Stati membri l’opportunità di attivarsi a favore della salute pubblica.

 
  
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  Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk, a nome del gruppo UEN. (PL) Signor Presidente, signor Commissario, parlando a nome del gruppo "Unione per l'Europa delle nazioni" desidero attirare la vostra attenzione su tre punti. Primo, i cambiamenti in ambito fiscale a livello di Unione europea dovrebbero andare in direzione di un incremento della produzione e distribuzione di beni e servizi, soprattutto riducendo gli oneri burocratici ma anche facilitando alle amministrazioni nazionali l’applicazione di procedure di controllo basate su analisi del rischio.

In secondo luogo, le soluzioni proposte nella direttiva soddisfano questi requisiti. La semplificazione delle procedure amministrative e l’introduzione di un sistema elettronico per lo scambio d’informazioni si trasformeranno, per le autorità fiscali degli Stati membri, in uno strumento capace di potenziare e gestire meglio i controlli. In terzo luogo, dobbiamo appoggiare la soluzione proposta dalla relatrice di includere nell’ambito di applicazione della direttiva le vendite a distanza di beni soggetti ad accise e anche, nell’accordo sull’esenzione, l’applicazione di garanzie limitate per chi soddisfa i requisiti di buona condotta e fa uso regolare del sistema delle garanzie.

 
  
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  Trevor Colman, a nome del gruppo IND/DEM. – (EN) Signor Presidente, la proposta della Commissione sulla procedura 2008/0051(CNS) prevede, all’articolo 10, che “gli Stati membri possano […] consentire che l’accisa su prodotti soggetti ad accisa immessi in consumo sia oggetto di rimborso”. Su questa base, l’onorevole Lulling ci dice che, per quanto attiene alle condizioni di rimborso dell’accisa, la proposta prevede come principio di validità generale che spetti agli Stati membri stabilire dette condizioni.

Ma lo stesso articolo 10 così prosegue: “a condizione che tale rimborso [...] non dia luogo ad esenzioni diverse da quelle di cui all’articolo 11”. L’articolo 11, dal canto suo, fa riferimento a esenzioni per motivi riguardanti relazioni diplomatiche, per finalità di finanziamento di organizzazioni internazionali, per aiuti alle forze armate della NATO e in caso di accordi speciali con paesi non appartenenti all’Unione europea. Tutti questi casi di esenzione, però, e credo sarete d’accordo con me, sono alquanto specifici, diversamente da quanto asserito dall’onorevole Lulling, e quindi non conformi al principio generale secondo cui spetta agli Stati membri stabilire le condizioni del rimborso.

Questa proposta non contiene alcuna esenzione per gli Stati membri; per tale motivo invito i colleghi a votare a favore dell’emendamento n. 54, che cerca di porre rimedio a un errore madornale della proposta.

 
  
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  Margaritis Schinas (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, abbiamo nuovamente a che fare con un’altra eccentrica proposta della Commissione. Praticando quella che non può essere definita altrimenti che una “politica del rullo compressore”, la Commissione propone di abolire tutti i negozi duty-free posti ai confini terrestri tra l’Unione europea e paesi terzi.

Il grande interrogativo è: perché? Perché, signor Commissario, avete avuto questa idea e, dopo averla avuta, non l’avete sottoposta alla consultazione che avete organizzato nel 2006? E perché non l’avete inclusa in una valutazione d’impatto che eravate tenuti ad eseguire nel quadro del nuovo principio di legiferare meglio?

Deve dunque spiegarci perché dovremmo andare a dire a centinaia di lavoratori che perderanno il loro posto, soprattutto in questi tempi difficili. Ci deve spiegare quale sarà l’impatto di tutto questo sul mercato interno, che è talmente grande da costringervi a eliminare, di punto in bianco, tutti i negozi ai confini terrestri con paesi terzi, negozi che, come nel caso del mio paese, la Grecia, lavorano benissimo e senza alcun problema di frodi e senza conseguenze per il mercato interno. Il parlamento e i gruppi che condividono questa opinione devono anche assumersi la responsabilità politica di spiegare ai lavoratori perché mai vogliamo abolire questi negozi che hanno tanto successo.

Per quanto mi riguarda – come hanno detto molto chiaramente sia l’onorevole Lulling sia la commissione per il mercato interno nella sua relazione – non abbiamo ricevuto una risposta convincente, e questo ci fa ritenere che, da parte della Commissione, si sia trattato di un capriccio. Non ci è stata data una risposta convincente.

Lancio pertanto un ultimo, estremo appello: domani votiamo a favore degli emendamenti nn. 63, 64 e 65 per evitare che questa politica del rullo compressore possa abbattersi ancora una volta su tutto quello che funziona bene nell’Unione europea.

 
  
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  Katerina Batzeli (PSE). - (EL) Signor Presidente, signor Commissario, farò una proposta precisa per il regime di esenzione dei negozi duty-free alle frontiere terrestri.

Signor Commissario, la Commissione sta introducendo per questi negozi un’esenzione generale che costituisce una discriminazione nei loro confronti e ha pesanti conseguenze sul loro funzionamento; si tratta, peraltro, di negozi che lavorano molto bene e forniscono un importante contributo alle comunità nazionali e all’occupazione a livello locale.

In Stati membri come la Grecia, che hanno lunghi confini terrestri con paesi terzi, i duty-free hanno lavorato senza problemi e con profitto per molto tempo. Per quanto riguarda le accuse di sistematica violazione del criterio di acquisto per uso personale o di abusi sistematici ed evasione fiscale, queste questioni sono chiaramente oggetto di controlli da parte delle autorità nazionali. Ritengo che permettere ai negozi duty-free di continuare a fare il proprio lavoro ai confini terrestri sarebbe una soluzione conforme anche alle stesse proposte della Commissione, mentre il controllo delle loro modalità di funzionamento e la lotta contro l’evasione fiscale sarebbe di competenza, come nel caso di tutti gli altri negozi, dei porti e degli aeroporti.

Ritengo pertanto che dovremmo votare a favore degli emendamenti nn. 57, 63, 64 e 65 e, nell’ipotesi peggiore, dell’emendamento n. 69, che proroga il periodo di operatività di tali negozi fino al 2012.

 
  
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  Colm Burke (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, accolgo con favore la relazione sul regime generale delle accise. Vorrei sottolineare i progressi compiuti nel campo delle accise sugli acquisti. La proposta originaria, se attuata, avrebbe consentito ai viaggiatori di acquistare prodotti in esenzione doganale soltanto nell’aeroporto finale di partenza prima di lasciare l’Unione europea. In pratica, ciò avrebbe significato che, se una persona si recava da Cork, in Irlanda, a Dubai via Parigi, avrebbe potuto effettuare tali acquisti soltanto a Parigi. La conseguenza sarebbe stato un drastico taglio della redditività degli aeroporti regionali irlandesi, dato che attualmente per molti di essi le attività commerciali costituiscono una parte molto rilevante delle entrate, oltre alla sicura perdita di posti di lavoro. Ma questa proposta è stata modificata e quindi mi congratulo con la relatrice per essersi attivata al fine di dare risposta alle nostre preoccupazioni.

Si è trattato di un fatto molto positivo in un momento in cui il governo irlandese ha introdotto una nuova tassa aeroportuale che discriminerà gli aeroporti regionali, più piccoli e in gravi difficoltà, a vantaggio dell’aeroporto di Dublino, già congestionato. In tale ottica, invito la Commissione ad accertare la legittimità di questa misura sotto il profilo delle norme comunitarie in materia di concorrenza. Accolgo con favore la relazione dell’onorevole Lulling e della Commissione.

 
  
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  Peter Skinner (PSE). - (EN) Signor Presidente, forse, se fossi l’onorevole Lulling e vivessi in Lussemburgo, sarei anch’io così fermamente contrario ai limiti indicativi.

Purtroppo per lei, vivo su un’isola dove il contrabbando è ancora molto attivo e dove gran parte dell’alcol e del tabacco che la gente pensa di poter usare a fini personali viene poi di fatto rivenduto a condizioni commerciali ad altre persone. Temo che qualsiasi cosa faremo per cancellare i limiti indicativi rappresenterà un segnale e un messaggio ai contrabbandieri che praticano la rivendita di alcol e sigarette.

I limiti indicativi possono anche non sembrare una guida sicura per i consumatori, però sono una guida sicura per i bambini, perché spesso sono proprio i giovani a comprare l’alcol e le sigarette vendute dai distillatori di frodo e dai contrabbandieri, che li trasportano nelle regioni del sud-est del mio paese e li vendono per strada, nei vicoli e nei quartieri per pochi spiccioli, anche una o due sigarette alla volta, ma abbastanza per avviare i ragazzini al vizio.

Ed è appunto questo tipo di commercio che va controllato, e può essere controllato soltanto fissando limiti indicativi, per poter arrivare alla fonte del problema, cioè alle persone che praticano questa forma di contrabbando cercando di gabbare la polizia e i doganieri.

Ecco perché credo che sia necessario mantenere i limiti indicativi. In tal modo, come ho detto, non porremo fine all’integrazione dei singoli mercati, ma diffonderemo invece un’idea migliore di coesione sociale e di comportamento sociale, che è stata peraltro invocata dalle autorità doganali, fiscali e di polizia del Regno Unito, perché così diamo un orientamento giusto su ciò che le persone si aspettano di poter portare a casa per uso personale.

Il tabacco si conserva per solo sei mesi; quindi, quando si scoprono autocarri pieni zeppi di pacchetti di sigarette, ci si deve chiedere se esse siano realmente destinate all’uso personale o se andranno da qualche altra parte, per essere rivendute, magari, spesso, ai bambini.

 
  
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  Gabriela Creţu (PSE). – (RO) Onorevoli colleghi, il regime delle accise e i sistemi di tassazione elettronici in generale sembrano essere questioni di natura tecnica, però sono anche finalizzati a determinati e potenti obiettivi di natura politica. Tuttavia, per poterli utilizzare dobbiamo tener conto delle specifiche situazioni degli Stati membri, oltre che di teorie astratte. Allo stesso tempo, dobbiamo restare coerenti con i principi più generali delle politiche che applichiamo; ad esempio, con il principio della parità di trattamento.

La relazione in esame potrebbe soddisfare entrambe condizioni se venisse accolta una proposta. Mi riferisco nello specifico all’emendamento n. 69, sul mantenimento fino al 2017 dei negozi duty-free nei posti di controllo doganali dell’Unione europea diversi dai porti e dagli aeroporti. Se approvato, l’emendamento eliminerebbe la discriminazione tra chi viaggia via mare o in aereo e chi viaggia via terra, una discriminazione del tutto ingiustificata non solo sotto il profilo economico e teorico ma anche in una prospettiva pratica. Allo stesso tempo, il mantenimento di questi negozi comporterebbe un certo vantaggio per chi vive nelle regioni di confine, come è già stato osservato. Di solito si tratta di persone economicamente svantaggiate a causa della loro condizione periferica, e l’eventuale perdita del posto di lavoro le penalizzerebbe ancora di più.

Onorevoli colleghi, ci sono validi motivi perché come Parlamento approviamo questo emendamento durante la votazione di domani. Rispetto all’enorme spesa che siamo pronti a sostenere, senza alcuna obiezione, per salvare le società, questa esenzione comporterebbe ripercussioni finanziarie di piccola entità.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, la libera circolazione delle persone e dei beni è una delle grandi conquiste dell’Unione europea, però non funziona bene nel caso delle merci soggette a livelli elevati di imposte sul consumo, diversi da uno Stato membro all’altro. I pareri divergenti della Commissione europea, della commissione del Parlamento, della Corte di giustizia europea e dei relatori sulle politiche quantitative hanno rivelato che non riusciremo a trovare una soluzione valida fintantoché queste differenze di tassazione permarranno. Mi preoccupa che la Commissione non abbia effettuato una valutazione d’impatto per metterci in condizione di accertare l’importanza economica del mercato parallelo e l’importanza sociale, che limita i nostri concittadini e che forse noi tutti riconosciamo. Vorrei che questa discussione portasse al coordinamento delle politiche di tassazione sul consumo di alcol e tabacco, e ciò per motivi di salute, oltre che per altre ragioni. E’ un dato di fatto che i paesi con livelli di tassazione elevati non possono vantare risultati concreti nella lotta contro l’alcolismo.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (PSE). – (RO) Signor Presidente, signor Commissario, il capitolo 4 contiene le disposizioni e le procedure di base che sono applicate come parte del sistema di controllo dei movimenti soggetti ad accise, l’EMCS. L’aspetto nuovo è l’introduzione della documentazione amministrativa e di sistema in formato elettronico.

Per garantire un funzionamento efficiente del sistema computerizzato, gli Stati membri dovrebbero inserire nelle loro applicazioni nazionali un set di dati e una struttura uniformi, per mettere a disposizione degli operatori economici un’interfaccia affidabile.

Il periodo di transizione previsto per l’adozione dell’EMCS, in sospensione di accise, va fissato tenendo nel debito conto la fattibilità dell’introduzione del sistema computerizzato in ciascuno Stato membro. Avendo presente tale esigenza, gli Stati membri e la Commissione stanno adottando le misure necessarie per implementare le essenziali strutture pubbliche a livello nazionale e per assicurarne l’interoperabilità.

Signor Commissario, in considerazione della citata crisi alimentare e dell’importanza sociale ed economica dell’agricoltura europea, credo che dobbiamo valutare attentamente la possibilità di abolire le accise sui carburanti destinati alle attività agricole e sull’energia impiegata per pompare acqua per l’irrigazione dei campi.

 
  
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  László Kovács, membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, posso constatare che dalla discussione è emerso un sostegno generalizzato a quello che è l’obiettivo principale della proposta della Commissione, ossia creare la base giuridica per la computerizzazione delle procedure relative alle accise entro aprile 2010.

Voglio sottolineare e confermare che la proposta mira a semplificare e ammodernare la procedura delle accise e a migliorare il controllo dei movimenti di beni soggetti ad accise, riducendo nel contempo gli adempimenti burocratici connessi con le accise in capo ai commercianti e limitando gli oneri a carico dei viaggiatori privati. Questi sono stati i principi ispiratori delle proposte.

Vorrei fare alcune osservazioni sugli emendamenti riguardanti alcune delle questioni più delicate contenute nella proposta.

Per quanto riguarda i livelli indicativi, la Commissione può accettare di mantenerli, a titolo di strumento, anche se non intende né introdurre né proporre livelli indicativi. Devono tuttavia restare gli attuali valori quantitativi di riferimento. Non possiamo approvare una riduzione di tali valori, perché significherebbe un passo indietro rispetto alla direttiva del 1993.

Sull’abolizione dei negozi duty-free ai confini terrestri, che è un altro punto delicato, voglio ricordarvi che tale proposta risale originariamente addirittura al 1960, quando l’Organizzazione doganale mondiale raccomandò l’abolizione di simili negozi, e anche che nel 2002, dopo la conclusione dei colloqui di adesione con dieci nuovi paesi candidati, alcuni di essi, come la Slovenia, l’Ungheria e qualche altro, furono costretti ad abolire i duty-free posti ai confini terrestri. Ritengo pertanto che la soluzione proposta, che prevede un lunghissimo periodo di transizione per Grecia e Romania, sia piuttosto equa rispetto alla posizione assunta nei confronti degli ex nuovi Stati membri.

Sul rimborso delle accise ai piccoli distributori di carburanti, la Commissione ribadisce il principio secondo cui l’insolvenza del consumatore finale non può essere un motivo valido per non applicare l’accisa. Allo stesso tempo, in considerazione della crisi economica in atto e dei prezzi talvolta elevati dei carburanti, nonché al fine di garantire la fornitura di carburante ai consumatori finali, gli Stati membri dovrebbero essere in grado di salvaguardare in altro modo gli interessi dei piccoli distributori, purché le misure adottate a quel fine non influenzino la concorrenza.

In merito alla valutazione dell’impatto – un punto che è stato sollevato da molti oratori – voglio rammentarvi che una valutazione del genere era già stata effettuata nel 2004; pertanto, abbiamo ritenuto che semplicemente non fosse necessario rifarla a soli due anni di distanza.

In conclusione, desidero ringraziare il Parlamento per il suo sostegno e il suo approccio costruttivo. Grazie alla definizione della base giuridica del nuovo sistema di controllo dei movimenti di merci soggetti ad accise, gli Stati membri potranno accelerare la loro preparazione all’introduzione del sistema, prevista per aprile 2010. La Commissione compirà tutti i passi necessari a garantire che tutti i sistemi centrali siano operativi entro quella data e fornirà aiuto per permettere un passaggio indolore al nuovo ambiente senza carta.

 
  
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  Astrid Lulling, relatore. − (FR) Signor Commissario, noi vogliamo veramente che l’EMCS sostituisca il sistema cartaceo nell’aprile 2009 e ci auguriamo che tutta la spiacevole discussione sui limiti indicativi non ritardi l’adozione della direttiva.

Vorrei dire all’onorevole Dos Santos che i limiti indicativi non hanno nulla a che fare né con la salute né con il Lussemburgo. All’onorevole Ferreira desidero far presente che nel 2005 il Parlamento ha approvato la relazione dell’onorevole Rosati, deputato del gruppo socialista al Parlamento europeo, con la quale abbiamo già approvato l’abolizione dei limiti indicativi. Inoltre, l’onorevole Hamon, che adesso ha altre preoccupazioni, aveva proposto nel suo emendamento di fissare limiti molto più alti di quelli previsti dallo scellerato compromesso social-liberale architettato alle mie spalle. All’onorevole Schmidt voglio dire che dobbiamo evitare di mettere insieme cose diverse e di parlare contemporaneamente di tasse e di salute. Inoltre, la piaga dell’alcolismo è, purtroppo, direttamente proporzionale al livello delle accise: quanto più alta è l’imposta, tanto più diffusa è la piaga dell’alcolismo in un paese. Ovviamente gli Stati sono liberi di imporre le aliquote che vogliono, perché abbiamo soltanto aliquote minime, non aliquote massime; però, per favore, non ci si venga a parlare di politica sanitaria con aliquote come queste.

All’onorevole Skinner voglio dire che, in realtà, ai contrabbandieri non importa un fico secco di livelli e limiti indicativi. Per di più, la proposta della Commissione fissa criteri per definire le merci acquistate per uso personale, e tali criteri sono una salvaguardia migliore dei limiti indicativi, anche nella lotta contro il contrabbando. Spero che domani riusciremo a trovare la soluzione giusta, cioè quella che vi sto proponendo.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.

 

24. Fondo di solidarietà dell’Unione europea: ostacoli alla riforma (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sull’interrogazione orale (B6-0472/2008), presentata dall’onorevole Galeote Quecedo a nome della commissione per lo sviluppo regionale, alla Commissione, sul Fondo di solidarietà dell’Unione europea: ostacoli alla riforma (O-0092/2008).

 
  
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  Gerardo Galeote, autore.(ES) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, ancora una volta discutiamo qui in plenaria della riforma del Fondo di solidarietà dell’Unione europea, che, come sappiamo tutti, ha lo scopo di alleviare i danni causati da una grave catastrofe naturale nel territorio dell’Unione.

Ben presto il Fondo si è rivelato inadeguato a raggiungere gli obiettivi fissati e, di conseguenza, nel 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di modifica del regolamento che disciplina questo strumento di solidarietà, al fine di migliorare non soltanto l’operatività del Fondo ma anche l’accesso ad esso e la sua copertura in caso di gravi catastrofi naturali.

Come si può facilmente dimostrare, il Parlamento europeo si è attivato prontamente e, lavorando intensamente sulla proposta, nel maggio 2006 ne aveva completato la prima lettura. All’epoca pensavamo e credevamo tutti che il Consiglio avrebbe fatto lo stesso, trattandosi di un regolamento sottoposto alla procedura di codecisione. Adesso, però, sappiamo che non è andata così perché, contrariamente alle aspettative, con la sua inattività il Consiglio ha messo in stallo l’intero processo.

Durante questo periodo, oltre che da pesanti inondazioni l’Unione europea è stata colpita da gravi incendi, che in alcuni casi hanno causato vittime, e anche da gravi siccità. Di fronte a tutto ciò, il Consiglio è rimasto impassibile. La proposta tesa a migliorare il regolamento è ancora ferma sul tavolo del Consiglio, nonostante le sollecitazioni da parte delle istituzioni europee e delle forze sociali.

Oggi vogliamo invitare nuovamente il Consiglio ad agire e ricordargli che per modificare questo regolamento non c’è bisogno di un solo euro in più del bilancio comunitario, perché le nostre richieste non comportano conseguenze finanziarie e mirano esclusivamente a ovviare ai problemi operativi sorti dopo la creazione di questo strumento di solidarietà.

Vogliamo semplicemente migliorare il funzionamento e l’agilità dello strumento, sempre in linea con il principio di sostenibilità. Rileviamo che, nella sua versione attuale, è molto difficile avere accesso al Fondo, che è uno strumento restrittivo e inflessibile, come abbiamo dovuto purtroppo constatare nei suoi quasi sette anni di operatività.

Voglio pertanto chiedere se questa incapacità delle delegazioni che formano il Consiglio di arrivare a una posizione comune abbia qualche spiegazione reale, e se qualcuno possa dirci chi e quali argomentazioni stanno bloccando la riforma del regolamento. Vorremmo che la Commissione europea portasse avanti la riforma del Fondo, ci dicesse quali azioni intende compiere e individuasse chiaramente le possibili alternative che sta valutando per contribuire a sbloccare la vicenda. Se la Commissione ha effettivamente delle alternative, saremo naturalmente molto lieti di sapere quali sono e qual è il loro orizzonte temporale.

Credo sia il caso di rammentare ai presenti, in particolare alla presidenza francese, che questo strumento è stato istituito con un obiettivo lodevole: dimostrare prontamente, adeguatamente e visibilmente la solidarietà dell’Unione con i suoi cittadini.

In conclusione, signor Presidente, voglio lanciare un altro appello, questa volta in modo specifico alla presidenza francese, su una questione strettamente correlata a questa: la creazione di un corpo di protezione civile europeo. In merito, l’ex commissario Barnier, che tutti conoscete, ha presentato una relazione al Consiglio europeo nel 2006.

Mi avvio a concludere. Il Fondo è stato creato in particolare come manifestazione simbolica di solidarietà tra l’Unione europea e i suoi cittadini. Il mio appello finale è il seguente: se riusciamo, dopo così tanto tempo e così tanti sforzi, a rendere lo strumento operativo in qualche modo, il nostro primo pensiero e la nostra prima azione dovrebbero andare a coloro che sono morti a causa delle catastrofi che hanno colpito l’Unione europea.

 
  
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  Danuta Hübner, membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, ringrazio il Parlamento europeo e specialmente i membri della commissione per lo sviluppo regionale per il costante interesse e sostegno che hanno dimostrato per il Fondo di solidarietà.

Si tratta di uno strumento importante al fine di raggiungere l’obiettivo strategico comunitario della solidarietà. Sin dalla sua creazione, nel 2001, sono state presentate 61 domande e il Fondo è intervenuto in 33 casi in venti paesi diversi. Finora sono stati impegnati 1 523 milioni di euro. Secondo la recente relazione speciale della Corte dei conti, il Fondo è gestito bene e fornisce assistenza in maniera rapida, efficiente e flessibile.

Ma il Fondo ha anche i suoi limiti. La soglia per mobilitare il Fondo di solidarietà dell’Unione europea è estremamente elevata. Ne consegue che esso non è ben equipaggiato per affrontare determinati tipi di catastrofi, quelli che solitamente comportano spese ammissibili più basse, come gli incendi boschivi, e oltre due terzi di tutte le domande di aiuti presentate finora al Fondo erano basate su un’eccezione prevista per le cosiddette “catastrofi regionali straordinarie”.

Inoltre, nonostante tutti gli strumenti comunitari esistenti, è estremamente difficile, per non dire impossibile, reagire a catastrofi provocate dall’uomo, come nel caso di incidenti industriali, quali lo sversamento della petroliera Prestige, oppure di attentati terroristici, come quelli compiuti a Madrid nel marzo 2004. Allo stesso modo, attualmente non è possibile fornire assistenza a carico del Fondo di solidarietà dell’Unione europea in caso di una grave crisi sanitaria pubblica.

Per tali ragioni, nell’aprile 2005 la Commissione ha adottato una proposta di revisione del regolamento. Nonostante gli sforzi congiunti intrapresi con le varie presidenze succedutesi dal 2005, fino ad oggi il Consiglio non è riuscito a trovare un accordo su questa proposta. Uno dei motivi è che la grande maggioranza degli Stati membri ritiene che il Fondo lavori molto bene nelle modalità vigenti e non reputano necessario né opportuno un suo ampliamento ad altre situazioni, nel timore, in particolare, delle conseguenze che tale ampliamento avrebbe in termini di bilancio.

Il Consiglio non ha specificato formalmente la posizione di ciascuno Stato membro, anche se le sue opinioni sono sostenute quasi all’unanimità. Inoltre, non è stato precisato dove sarebbe possibile trovare un compromesso per arrivare a un accordo sulla proposta della Commissione.

La Commissione rimane convinta della necessità di sottoporre a revisione il regolamento che disciplina il Fondo di solidarietà, per aumentare la capacità dell’Unione di reagire velocemente in caso di gravi catastrofi, attualmente non coperte dal Fondo. Pertanto, la Commissione adotterà una relazione in cui fa un bilancio dei sei anni di attuazione del Fondo, ne individua i limiti e segnala qualsiasi spazio disponibile per il suo miglioramento. Ci auguriamo che la relazione possa rilanciare le discussioni in seno al Consiglio e al Parlamento europeo sulla revisione del vigente regolamento sul Fondo di solidarietà. La relazione dovrebbe essere pronta verso la fine del primo trimestre del 2009.

Per quanto riguarda la protezione civile, la Commissione ha cominciato a individuare le carenze nella capacità di risposta della protezione civile sulla base di scenari diversi in caso di catastrofi gravi, nonché a valutare le opzioni per ovviare alle deficienze individuate. In tale contesto, la Commissione esaminerà la possibilità di accordi innovativi con gli Stati membri per rafforzare la capacità complessiva dell’Unione europea di reagire alle catastrofi nel quadro del progetto pilota e dell’azione preparatoria previsti nel bilancio 2008.

Sulla base di questo lavoro, può darsi che la Commissione proponga di rimediare alle carenze attraverso la creazione di moduli di protezione civile pronti a intervenire in qualsiasi momento, oppure attraverso la costituzione di capacità aggiuntive di riserva destinate a integrare le singole risposte nazionali in caso di catastrofi gravi, anche per quanto riguarda la lotta contro gli incendi.

 
  
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  Rolf Berend, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, parlo nella mia qualità di relatore sul Fondo sociale, sul Fondo di solidarietà del 2002 e sulla versione ampliata e migliorata del 2006.

Questa relazione, che il Parlamento europeo ha adottato a grandissima maggioranza, è rimasta in sospeso per oltre due anni perché è bloccata dal Consiglio, nonostante i cittadini stiano invocando con crescente insistenza che l’Unione europea dimostri la propria solidarietà in occasione di catastrofi naturali, che si verificano con sempre maggiore frequenza. Il Fondo di solidarietà messo insieme alla bell’e meglio in tutta fretta dopo le devastanti inondazioni del 2002 per fornire aiuti di emergenza, era uno strumento che prometteva soccorso immediato in caso di catastrofe. Col passare del tempo, però, è diventato chiaro – come lei ha giustamente osservato, signora Commissario – che lo strumento ora disponibile rende estremamente difficile, per non dire del tutto impossibile, una reazione adeguata a crisi di vaste dimensioni a livello europeo.

Inoltre, la soglia attualmente prevista per l’attivazione del Fondo è, come diceva lei, Commissario Hübner, estremamente elevata, con la conseguenza che le deroghe stanno andando fuori controllo. La versione rivista del Fondo di aiuto in caso di catastrofi dà tuttavia una risposta chiara al problema. Il Parlamento europeo ritiene pertanto ancora più importante che tale efficace strumento sia reso disponibile per le persone colpite da catastrofi. E qui sorge, ancora una volta, la domanda specifica: perché il Consiglio non riesce a definire una posizione comune su una questione che è d’importanza vitale per i cittadini europei che soffrono? Quali Stati membri appoggiano la versione migliorata del trattato e quali la respingono? La Commissione ha detto che l’inizio del 2009 potrebbe essere una data possibile. Ce lo auguriamo, ma come Parlamento vogliamo anche insistere nuovamente su questo punto, perché non si può semplicemente ignorare il voto del Parlamento, come le diverse presidenze hanno fatto in passato.

 
  
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  Iratxe García Pérez, a nome del gruppo PSE.(ES) Signor Presidente, signora Commissario, come hanno ricordato i colleghi, nel 2006 abbiamo discusso in quest’aula la modifica del regolamento che disciplina il Fondo di solidarietà, allo scopo di adeguarlo e trasformarlo in uno strumento di risposta rapido ed efficace. Oggi, però, tale questione è ancora aperta.

Non è stato facile trovare l’amplissimo consenso che il Parlamento ha poi espresso, dato che sia i diversi gruppi sia certi paesi, riflettendo i propri interessi, avevano avanzato proposte di modifica del regolamento molto differenti tra loro.

Ritengo, tuttavia, che abbiamo fatto tutti un grande sforzo per trovare un accordo sulla modifica del regolamento. Credo che il Parlamento abbia dato l’esempio di ciò che occorre fare ora: dobbiamo compiere tutti uno sforzo per emendare il regolamento in modo consensuale.

La Commissione europea deve impegnarsi al massimo per sostenere questo accordo e raggiungere l’obiettivo fissato. Accolgo con piacere la risposta data oggi dalla signora commissario, la quale ha detto che sarà effettuato uno studio per stabilire gli obiettivi che ci dobbiamo porre per quanto riguarda la modifica del regolamento, quanto meno al fine di garantire il conseguimento di un accordo futuro da parte del Consiglio.

Dobbiamo assicurare che il regolamento sia modificato in maniera tale che ci consenta di reagire rapidamente ed efficacemente alle catastrofi che gli Stati membri sono incapaci di affrontare da soli. A tal fine occorre ampliare i casi ammessi per l’attivazione del Fondo includendo anche le catastrofi industriali, gli attentati terroristici e le emergenze sanitarie pubbliche, senza dimenticare eventi molto rilevanti come le gravi siccità che si verificano sempre più spesso, soprattutto in certe regioni mediterranee.

Dobbiamo inoltre portare avanti con decisione la nostra proposta di abbassare la soglia di attivazione del Fondo da 3 000 a 1 000 milioni di euro di danni, e tener conto anche della componente regionale. Questo strumento deve mettere a disposizione aiuti finanziari per reagire a situazioni estreme quali siccità, incendi e inondazioni, senza mai dimenticare le persone interessate, che hanno bisogno di aiuti e assistenza immediati.

Il Fondo di solidarietà è uno strumento politico che serve per risolvere problemi; per tale motivo devo sottolineare ancora una volta che è necessario compiere ogni sforzo per portare avanti questa tematica di fondamentale importanza. Dobbiamo farlo, però, apportando i cambiamenti che sono opportuni alla luce della realtà attuale.

 
  
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  Jean Marie Beaupuy, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, i colleghi hanno già citato alcuni esempi. Farò riferimento ad alcuni di essi per introdurre questo tema, perché dobbiamo lottare contro le catastrofi naturali. Chi ricorda cosa avvenne esattamente un secolo fa, nel 1908, a Messina, quando morirono 100 000 persone? Ovviamente, tutti ricordano Chernobyl, ma nei soli ultimi dieci anni o giù di lì ci sono stati le tempeste e i naufragi del 1999, le inondazioni nell’Europa centrale citate un attimo fa, per non parlare dell’11 settembre a New York, degli attentati terroristici del marzo 2004, della chikungunya, una malattia problematica, e così via.

Non sappiamo quale sarà la prossima catastrofe, né quali proporzioni avrà; siamo tuttavia certi di una cosa, cioè che presto accadrà una nuova catastrofe.

E quando essa avverrà, i nostri concittadini, che per cinquant’anni sono stati abituati a vedere la costruzione di un’Europa apparentemente unita – come testimonia anche il gran numero di relazioni che abbiamo votato questa settimana – si rivolgeranno a noi per farci la stessa domanda che ci stanno ponendo in merito alla crisi finanziaria in corso: e voi, cos’avete fatto?

Nelle settimane scorse alcuni di voi avranno sentito l’ex direttore del Fondo monetario internazionale citare una spiegazione fornita in una precedente relazione, di tre o quattro anni fa: “Come FMI abbiamo detto che la crisi stava per accadere e abbiamo spiegato cosa occorreva fare per prevenirla”.

Dunque, signora Commissario, questa sera lei è venuta qui ad ascoltarci; speriamo che sia in grado di prestarci attenzione e di garantire che l’Europa non sia assente qualora si verifichi una catastrofe, diversamente da quanto avviene con l’attuale crisi finanziaria.

Per parte mia vorrei avanzare due proposte. La prima riguarda il tipo di azioni da intraprendere. Ne ha parlato nelle sue osservazioni conclusive, signora Commissario, quando ha citato la relazione dell’ex commissario Barnier.

Non possiamo avere due azioni separate, tanto più che lei stessa – come del resto tutti noi, soprattutto in seno alla commissione per lo sviluppo regionale – continua a ripetere all’infinito che abbiamo bisogno di approcci integrati. Non ci può essere una crescita del Fondo di solidarietà da un canto e una politica di prevenzione dall’altro. Le due cose devono essere collegate fra loro, se non altro per convincere quei famigerati ministri delle Finanze che pensano che il Fondo di solidarietà, forse, ci verrebbe a costare di più perfino se i suoi criteri fossero attuati – e lei stessa vi ha accennato. Quei ministri dovrebbero andare a leggersi la relazione Barnier, perché comprenderebbero che, se praticassimo una politica di prevenzione mettendo in comune i mezzi d’intervento e, allo stesso tempo, mettendo in comune le attività di prevenzione degli incidenti e delle catastrofi naturali, potremmo anche risparmiare un po’ di soldi.

E’ pertanto evidente che si tratta non soltanto di risparmiare denaro e di lanciare l’allarme in caso di catastrofi, ma soprattutto di salvare vite umane – è questa la vera priorità.

Per tale motivo, signora Commissario, insieme con tutti i colleghi la invito a fare del suo meglio per garantire che, alla fine della presidenza francese e durante la presidenza ceca, la presidenza svedese dia una precisa garanzia sul fatto che il piano d’azione non sarà soltanto esaminato ma anche messo in pratica.

Facciamo affidamento sulla sua determinazione. Ne abbiamo bisogno. Lei sa che il Parlamento la appoggia: stasera lo ha detto chiaro e forte. Ora restiamo in attesa di vedere i risultati di un anno di lavoro, senza fallo.

 
  
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  Elisabeth Schroedter, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, il Consiglio non è presente, eppure è proprio l’istituzione responsabile del blocco, ed è quindi al Consiglio che questa discussione dovrebbe essere rivolta. Dopo tutto, chi è che presenta le domande di aiuto quando gli incendi o le inondazioni si diffondono? Sono gli Stati membri, che peraltro vi allegano tutta una serie di richieste speciali. Loro vogliono aiuti generosi, che però non sempre sono impiegati in maniera appropriata: recentemente ne abbiamo visto un esempio nel Regno Unito.

Nondimeno vorrei cogliere questa occasione per esprimere alla Commissione un’altra preoccupazione. In un primo tempo la Commissione, con l’ex commissario Barnier, si è impegnata molto nel settore della prevenzione, consapevole del fatto che le catastrofi naturali possono essere contrastate veramente soltanto con la prevenzione. Oggi, questo aspetto non riceve una sufficiente attenzione. Sarei lieta se la Commissione potesse redigere orientamenti per l’attuazione del Fondo di solidarietà che siano effettivamente incentrati sulla prevenzione.

Faccio presente ancora una volta che la Commissione dispone già adesso di modi per dare maggiore enfasi alla prevenzione, ad esempio nell’ambito del programma FESR; ma cosa sta facendo realmente a tale riguardo? Finora ha fatto ben poco, e pochi sono stati anche gli investimenti volti a prevenire catastrofi naturali. Non sono stati effettuati investimenti sui corsi dei fiumi, né si è insistito a sufficienza sul fatto che la riforestazione dovrebbe comprendere una combinazione di essenze, come nel caso della Grecia, dove sono diffuse le pinete, che bruciano con particolare facilità.

Mi attendo che la Commissione si occupi con maggiore impegno delle domande già presentate e vigili sull’utilizzo dei fondi, per garantire che le catastrofi non si ripetano e che gli investimenti possano essere effettivamente in armonia con la natura. Non ho visto traccia di un simile impegno, e di ciò la Commissione è in parte responsabile. Anche se parliamo di catastrofi naturali, la maggioranza di esse sono in gran parte indotte dall’uomo perché, primo, la nostra lotta contro il cambiamento climatico è inadeguata e, secondo, perché costruiamo nell’alveo dei fiumi e riforestiamo usando una sola specie di alberi. Al riguardo, la Commissione deve impegnarsi subito, senza por tempo in mezzo.

 
  
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  Pedro Guerreiro, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Durante la discussione sulla modifica del regolamento che disciplina il Fondo di solidarietà svoltasi il 18 maggio 2006, alla quale abbiamo partecipato attivamente presentando una serie di proposte, abbiamo manifestato il nostro dissenso dalla posizione assunta dalla maggioranza del Parlamento. In particolare, non eravamo d’accordo sulla cancellazione delle catastrofi regionali – che sono il tipo di catastrofi più frequenti – da quelle ammissibili agli aiuti del Fondo, come previsto dal regolamento vigente. Eravamo in disaccordo anche sulla mancata approvazione della proposta di concedere maggiori aiuti finanziari ai paesi della coesione e alle regioni della convergenza, nonché sull’abbassamento della soglia per l’attivazione del Fondo, cosicché a beneficiarne di più saranno chiaramente i paesi dell’Unione europea con il prodotto interno lordo più elevato.

In linea con tutto quanto abbiamo fatto finora, oltre ad apportare modifiche ai punti citati, continueremo a lottare, tra l’altro, per i seguenti obiettivi: riconoscimento della natura specifica delle catastrofi naturali mediterranee; adeguamento del Fondo di solidarietà dal punto di vista dei limiti temporali, perché abbiamo assistito a ritardi ingiustificabili e inaccettabili nella sua attivazione e nell’erogazione di fondi comunitari alle vittime; adeguamento del Fondo di solidarietà dal punto di vista delle azioni ammissibili, con particolare attenzione per la natura specifica di diverse catastrofi naturali, come gli incendi e la siccità; inserimento tra le azioni ammissibili degli aiuti per il ripristino di attività produttive nelle aree colpite da catastrofi e anche di azioni mirate a fornire dotazioni di emergenza, aeree e terrestri, per il contrasto degli incendi boschivi.

Per quanto attiene a tutte le iniziative nel campo della protezione civile, riteniamo prioritario promuovere la prevenzione e migliorare le risorse della protezione civile di ciascuno Stato membro e il loro coordinamento.

 
  
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  Lambert van Nistelrooij (PPE-DE). - (NL) Signor Presidente, signora Commissario, dall’Europa ci si aspetta che sia attiva e fattiva. I cittadini delle zone colpite non riescono a capire perché ci vogliano mesi prima che l’Europa, prigioniera delle sue stesse procedure, possa fornire chiarezza.

Come funziona? Da qualche parte succede qualcosa e poche ore dopo si può vedere tutto alla televisione, e ci si può anche ritrovare a pensare che le zone colpite hanno bisogno del nostro aiuto e della nostra solidarietà. Poi segue un silenzio assordante. Spesso siamo presi tra l’incudine dello Stato nazionale e il martello degli uffici europei. Ciò che è frustrante è che, a quel punto, non c’è più possibilità di comunicare perché è tutto bloccato al Consiglio, e lo è ormai da due anni a questa parte. Dovremo assolutamente riuscire a scoprire qual è il motivo del blocco e farci indicare delle alternative. E’ questa la cosa importante da fare. Tra non molto, cioè tra sei mesi, scade l’attuale legislatura del Parlamento europeo. Quando ci sarà il Parlamento nuovo, ci si aspetta da noi che gli consegniamo questo dossier, senza peraltro aver conseguito gli obiettivi, e gli sottoponiamo anche proposte valide.

La presidenza francese si occupa di tutto tranne che di questa vicenda, che non ha fatto alcun passo avanti, e noi vorremmo tanto sapere perché. Mi congratulo, tuttavia, con la Commissione europea. Grazie al commissario Hübner e ai suoi colleghi, questo fascicolo ha certamente compiuto qualche progresso e ora, unendo le forze, dovrebbe essere possibile togliere completamente il blocco. Volendo individuare le responsabilità di ciascuno, possiamo dire che il Consiglio e la presidenza francese hanno fallito in questo compito.

 
  
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  Wolfgang Bulfon (PSE).(DE) Signor Presidente, quando i cittadini europei hanno bisogno della solidarietà dell’Europa? Quando gli Stati membri hanno bisogno della solidarietà dell’Unione europea? Innanzi tutto, ovviamente, in caso di catastrofi. E questa è esattamente la domanda che ho posto la scorsa primavera in occasione della votazione sulla quarta relazione concernente la coesione.

Signor Presidente, oggi discutiamo della revisione del Fondo di solidarietà per equipaggiarci meglio in vista di sfide future e per metterci in grado di fornire aiuti rapidi ed efficaci. La Commissione e il Parlamento, stando alle rispettive risoluzioni, sono concordi sugli obiettivi di questa iniziativa legislativa. Nel luglio scorso ho chiesto al Consiglio a quale punto fosse la procedura. Il Consiglio mi ha risposto che, a differenza del Parlamento, non ravvisava la necessità di un’iniziativa in questo momento. In considerazione del fatto che, in una sua relazione, un ex commissario e ministro francese aveva evidenziato l’esigenza della revisione, reputo incomprensibile il comportamento del Consiglio. Non avrei quindi potuto sperare in un presidente di commissione migliore dell’onorevole Galeote, che non è disposto a tollerare che le decisioni del Parlamento siano ignorate. Gli sono grato proprio per questo motivo. Invito la presidenza francese a riconsiderare con urgenza il suo atteggiamento nei confronti dei cittadini europei.

 
  
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  Agnes Schierhuber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, era ora! Rivolgo al relatore i miei più fervidi ringraziamenti.

Penso che questa sia una delle questioni chiave che tengono insieme l’Europa, ed è anche una questione di solidarietà. E’ ora che gli Stati membri passino all’azione in questo campo. L’Unione deve dare sostegno finanziario alle organizzazioni che ci aiutano in situazioni di crisi. Molti Stati membri hanno subito in anni recenti devastanti catastrofi naturali: penso agli incendi boschivi che si verificano ripetutamente in Grecia, anche l’anno scorso, e alle inondazioni nell’Europa centrale nel 2002, che hanno colpito pesantemente anche l’Austria.

Catastrofi del genere privano le persone di ogni forma di sostegno economico. In tali situazioni, c’è bisogno di risorse straordinarie, signor Presidente, perché non basta fornire aiuti di emergenza, ma occorre anche ricostruire secoli di infrastrutture. Uno Stato membro da solo non dispone delle risorse necessarie per fare tutto ciò. Va tenuto presente che, purtroppo, alcuni paesi membri sono più soggetti di altri alle catastrofi naturali, e anche a tale proposito penso all’Austria. Gli austriaci parlano ancora adesso, con grande gratitudine, della prontezza con cui l’Unione europea li ha aiutati. Il Fondo di solidarietà dell’Unione europea non dovrebbe soltanto contribuire a finanziare la ricostruzione, ma anche sostenere le organizzazioni che forniscono aiuti di emergenza. L’opera svolta dai pompieri volontari, dalla Croce rossa e da altre organizzazioni di volontari non ha prezzo: sarebbe folle se ci mettessimo a contare quanto dovremmo pagare se questi servizi non fossero forniti su base volontaria. Tali organizzazioni sono sempre presenti per aiutare in caso di emergenze e costituiscono un elemento indispensabile della struttura sociale nelle aree rurali.

Abbiamo perciò urgente necessità di compiere azioni volte a mantenere e ampliare queste strutture di aiuto. Mi auguro che troveremo rapidamente un accordo in questa sede, per non dover poi deplorare di non esserci riusciti quando accadrà la prossima catastrofe e non saremo in grado di agire con la necessaria rapidità.

 
  
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  Evgeni Kirilov (PSE). - (BG) Come hanno osservato il relatore onorevole Galeote e alcuni altri colleghi, il Fondo di solidarietà è uno strumento necessario che, come dice il nome, ha lo scopo di ottemperare a uno dei principi più importanti dell’Unione europea: la solidarietà fra gli Stati membri. Nel periodo in cui il Fondo è stato utilizzato, si sono registrati omissioni e fallimenti ed è quindi necessario procedere a una sua riforma, per porre rimedio a tali fallimenti e reagire ai pericoli che ci minacciano. Come è stato rilevato, esiste un meccanismo di riforma e il Parlamento europeo ha reso nota la sua posizione. La cosa importante è individuare tutti i problemi potenziali che il Fondo potrebbe incontrare, per trasformarlo in uno strumento realmente utile e far capire alla gente che si sta effettivamente facendo qualcosa. Non serve a nessuno uno strumento inutile che, in teoria, può essere utilizzato ma che, nella pratica, funziona a malapena. Nel contempo, dobbiamo dire molto chiaramente che l’effetto maggiore si ottiene grazie a una risposta rapida. Siamo ancora ben lontani dall’aver realizzato un sistema efficace. Gli Stati membri più piccoli non dispongono delle risorse dei paesi più grandi, mentre la cooperazione e il coordinamento a livello europeo sono qualcosa che ci possiamo soltanto immaginare e, come è già stato notato, non sempre e non necessariamente comportano maggiori spese.

L’estate scorsa nel mio paese, la Bulgaria, è scoppiato un vastissimo incendio nelle Rila, che sono le montagne più pittoresche e più inaccessibili di tutto il paese. Siamo riusciti a contenere le fiamme soltanto grazie all’aiuto degli elicotteri antincendio francesi, e siamo profondamente grati di questo aiuto. Ma organizzare e coordinare le operazioni è costato troppo tempo prezioso. I cittadini comunitari attendono con impazienza decisioni efficaci, non necessariamente grandi quantità di denaro – decisioni efficaci che, come osservava l’onorevole Beaupuy, potrebbero persino farci risparmiare.

 
  
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  James Nicholson (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, siamo tutti consapevoli del fatto che alla base e all’origine del Fondo di solidarietà dell’Unione europea ci sono le devastanti inondazioni nell’Europa centro-orientale del 2002. La sua necessità è stata poi ulteriormente confermata da altre catastrofi naturali, come gli incendi boschivi in Grecia, e le recenti inondazioni nel mio collegio elettorale nell’Irlanda del Nord mi hanno fatto toccare con mano tutta l’importanza del Fondo.

Nonostante l’ampio sostegno e il diffuso entusiasmo per il Fondo manifestati dal Parlamento e dalla Commissione, come pure dai cittadini europei, la riluttanza del Consiglio a collaborare sta impedendo la sua piena implementazione. L’Unione europea desidera senz’altro fornire assistenza agli Stati membri che hanno subito catastrofi naturali, ma tali aiuti devono essere gestiti celermente e adeguatamente per avere qualche possibilità di essere efficaci. Attualmente, però, il Consiglio sta frapponendo ostacoli che impediscono un corretto funzionamento del Fondo. Sono quindi lieto che la commissione abbia messo in evidenza l’importanza della presentazione di questa interrogazione orale e la sua urgenza.

Desidero altresì sottolineare la parte dell’interrogazione della commissione in cui si chiede quali Stati membri sono contrari al Fondo e perché. Il Fondo di solidarietà è un meccanismo estremamente importante che l’Unione europea deve avere a propria disposizione. Ma i problemi connessi con la sua applicazione si sono trascinati troppo a lungo e, a mio parere, questo problema va risolto il prima possibile.

A prescindere dalle cause – siano esse inondazioni o incendi boschivi -, le persone che si trovano in difficoltà hanno bisogno di aiuti, assistenza e, più di tutto, di sostegno finanziario immediatamente e rapidamente, non come nel caso del sistema attuale, che ha impiegato anni e mesi ed è stato soffocato completamente dalla burocrazia. Se si vuole veramente fare qualcosa di positivo, è qui che bisogna agire, e in questo modo si darà all’Europa maggiore credito che con una qualsiasi delle altre proposte o con tutte le vostre proposte messe insieme.

Al Consiglio voglio dire molto chiaramente una cosa. Il Consiglio non era d’accordo perché, a mio parere, ed è soltanto il mio parere, non vuole che il Parlamento e, cosa ancora più importante, membri del Parlamento siano attivi a livello locale, regionale, dove noi contiamo più di voi – la Commissione – o di loro – il Consiglio. Perché, quando succede qualcosa, la gente si rivolge ai suoi deputati, non si rivolge alla Commissione né al Consiglio, perché tanto non sa chi siete. Voi siete un’entità intoccabile, burocratica e senza volto che se ne sta a Bruxelles. Sono quindi i deputati al Parlamento europeo, noi, il Parlamento – e dunque non fuggite di fronte a esso – ad andare sul campo, dalla gente, tutte le volte che è necessario, e per questo abbiamo bisogno di aiuto. In tutta la mia vita non ho mai sentito scuse così fiacche. E’ ora di mettersi al lavoro.

 
  
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  Stavros Arnaoutakis (PSE). - (EL) Signor Presidente, signora Commissario, di solito diciamo che siamo un’Unione il cui principio fondante è la solidarietà. Oggi i cittadini europei hanno bisogno di un’Unione capace di tradurre questo principio in pratica. Hanno bisogno di azioni, non soltanto di parole. Oggi chiediamo al Consiglio di tener conto delle aspettative dei cittadini e di dimostrare che è all’altezza dei propri compiti correlati con il Fondo di solidarietà.

Tutti noi nei nostri paesi abbiamo sperimentato le conseguenze delle catastrofi naturali, che si verificano frequentemente. Abbiamo assistito tutti alla disperazione dei nostri concittadini colpiti da simili catastrofi, e sappiamo e comprendiamo quanto sia importante che quei cittadini sentano che l’Unione europea è vicina a loro. Nel maggio 2006 il Parlamento europeo ha adottato il piano della Commissione europea per un nuovo Fondo di solidarietà, un Fondo nuovo, più rapido, più flessibile e più efficace, che secondo le intenzioni avrebbe dovuto essere attuato nel periodo 2007-2013, ma che da allora è rimasto chiuso in un cassetto della scrivania del Consiglio.

In tutta franchezza non riesco a capire come sia possibile disporre di uno strumento così valido e non utilizzarlo. L’Unione europea ha bisogno del Fondo di solidarietà ora più che mai.

 
  
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  Oldřich Vlasák (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, in quanto membro del Comitato delle regioni ho avuto modo di vedere con i miei occhi i danni arrecati dalle tempeste ai boschi degli Alti Tatra, in Slovacchia, dagli incendi in Portogallo e dalle inondazioni nella Repubblica ceca. Parlando con la gente del posto, mi sono potuto rendere pienamente conto del fatto che l’utilizzo dei fondi europei per riparare i danni e ripristinare il parco nazionale dei Monti Tatra era fortemente percepito come una manifestazione concreta della solidarietà europea. In determinate situazioni di crisi, il Fondo di solidarietà è in grado di aiutare i singoli Stati, dando così un impulso importante al senso di appartenenza a un’Europa più ampia. Purtroppo, l’attuale amministrazione del Fondo non è molto efficiente, tanto che gli aiuti arrivano spesso con molti mesi di ritardo. Per tale motivo, il Parlamento europeo ha cercato per lungo tempo di modificare il quadro giuridico affinché le norme possano tener conto di esigenze nuove quando si ricorre a questo tipo di risorse finanziarie, rendendo possibile l’erogazione di aiuti rapidi ed efficaci entro tempi più brevi.

Alla luce del cambiamento climatico globale è prevedibile che nel nostro vecchio continente le catastrofi sotto forma di inondazioni, siccità, tempeste e incendi si verificheranno con maggiore frequenza. Ci sono, poi, minacce di tipo nuovo, quali gli attentati terroristici e le pandemie. In realtà, i singoli Stati cercano di collaborare su base bilaterale organizzando esercitazioni congiunte ed eventi comuni per i rispettivi servizi di emergenza. Stanno quindi mettendo in pratica, sia pure indirettamente, alcune delle idee sulla protezione civile delineate nel 2006 dall’allora commissario Barnier. Purtroppo, la discussione iniziata allora deve ancora essere conclusa.

Onorevoli colleghi, risposte rapide, un uso più efficace del Fondo di solidarietà e la cooperazione internazionale per prevenire e cercare di contrastare gli effetti delle catastrofi sono argomenti molto sentiti, soprattutto in vista delle prossime elezioni europee. Comprendo quindi benissimo gli interrogativi che sono stati posti e invito la Commissione europea e il Consiglio a risolvere la situazione rapidamente.

 
  
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  Gábor Harangozó (PSE). - (HU) Molte grazie, signor Presidente. Signora Commissario, onorevoli colleghi, la Comunità europea ha istituito il Fondo di solidarietà con l’obiettivo dichiarato di fornire una risposta rapida, efficiente e flessibile in caso di emergenze gravi. Non si può tuttavia dire che il Consiglio si distingua per prontezza ed efficienza quando si tratta di formulare una posizione comune.

Purtroppo, le peggiori catastrofi naturali non aspettano che noi definiamo una posizione comune. Nonostante i risultati positivi ottenuti dopo la creazione del Fondo di solidarietà, è necessario compiere ulteriori progressi per poter fornire aiuti in maniera più rapida ed efficiente alla persone in stato di necessità. Davanti a noi ci sono sfide enormi, e per tale motivo non riesco a capire perché mai gli anni passino senza che il Consiglio adotti una decisione. E la comprensione dei nostri concittadini sarà ancora più difficile da ottenere della mia.

Non possiamo più tollerare ritardi; dobbiamo invece sforzarci di organizzare una discussione che porti a risultati concreti e trovare quanto prima possibile un accordo per affrontare le sfide rappresentate dal numero e dalla frequenza crescenti delle catastrofi naturali. Vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Rumiana Jeleva (PPE-DE). – (BG) In anni recenti abbiamo dovuto affrontare un numero crescente di catastrofi, di origine sia naturale sia antropica, che hanno causato non soltanto gravi perdite finanziarie ma, purtroppo, anche perdite umane. In pochissimi anni, la Bulgaria ha avuto a che fare con inondazioni, siccità e incendi boschivi. Questo fine settimana il paese è stato inoltre colpito da un terremoto, che per fortuna non è stato di forte intensità. E’ una piccola consolazione, ma anch’esso conferma che è necessario poter disporre di un Fondo di solidarietà efficace.

Vorrei sottolineare che noi non siamo l’unico paese europeo a essere colpito da simili catastrofi. Un nostro vicino, la Grecia, per esempio, nel 2007 ha dovuto affrontare devastanti incendi boschivi. Questo significa che dobbiamo impegnarci di più per gestire le conseguenze delle catastrofi. E’ evidente che dobbiamo modificare i regolamenti per istituire strumenti più flessibili. Come correttamente concludeva l’onorevole Berend nella sua relazione del 2006, occorre accelerare i tempi di erogazione degli aiuti e ridurre la burocrazia. Occorre garantire che gli aiuti arrivino alle persone quando queste ne hanno bisogno, non con giorni o addirittura settimane di ritardo. Ecco perché accolgo con favore l’abbassamento della soglia e il ricorso a una nuova corsia preferenziale per i pagamenti, come segno di solidarietà concreta. Un altro aspetto molto importante è che, con la nuova proposta rivista, gli aiuti del Fondo sono ammissibili anche in caso di catastrofi di origine industriale; quindi, se in Bulgaria, per esempio, si verificasse un’esplosione di un oleodotto o un incidente marittimo, sarà possibile ricevere aiuti dal Fondo di solidarietà.

Infine vorrei proporre un’idea sui finanziamenti. A lungo termine, potremmo pensare alla creazione di strumenti finanziari come il Fondo di solidarietà utilizzando parte dei soldi che sono andati perduti per effetto delle norme “N+2” e “N+3”. Per il momento, però, dobbiamo concentrarci su un cambiamento reale, ed è in tale ottica che sollecito la Commissione e specialmente il Consiglio ad appoggiare la revisione del Fondo di solidarietà dell’Unione europea.

 
  
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  Emmanouil Angelakas (PPE-DE). - (EL) Signor Presidente, signora Commissario, il Fondo di solidarietà è uno strumento importante per praticare una politica sociale negli Stati membri colpiti da catastrofi naturali; è una concreta manifestazione di solidarietà verso cittadini europei colpiti da catastrofi, ed è attraverso queste procedure che teniamo fede all’idea del sostegno attivo da parte dell’Unione europea ai suoi cittadini.

L’importante contributo del Fondo al superamento di catastrofi gravi è stato dimostrato in occasione delle inondazioni nell’Europa centrale, dei terremoti in Italia e degli incendi in Portogallo e nel mio paese, la Grecia, nel 2007, ed è significativo che molti Stati membri abbiano fruito dei finanziamenti del Fondo. Allo stesso tempo, con il regolamento vigente e con le risorse attualmente disponibili, l’Unione europea non può reagire ad altre crisi di questo genere, non soltanto di origine naturale, quali inquinamenti industriali, pandemie a livello europeo, siccità e simili.

La proposta di riforma del regolamento prevede requisiti più ampi, accelera le procedure, introduce la novità dei pagamenti anticipati e, in linea generale, adotta misure pratiche e positive. Stando così le cose e considerato che il Parlamento europeo ha accolto la proposta della Commissione, non comprendo i motivi e le cause del ritardo nell’adozione del regolamento.

Conforta, signora Commissario, che oggi nel suo intervento lei abbia espresso chiaramente il suo appoggio alla nostra posizione. Il ritardo non è conforme allo spirito di solidarietà che dovrebbe guidarci. Il Consiglio ha una gran parte di responsabilità e speriamo che risponda all’appello del Parlamento europeo e se la assuma immediatamente, anche se oggi è assente.

 
  
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  Maria Petre (PPE-DE). – (RO) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, prima di tutto voglio manifestare la mia gioia perché finalmente discutiamo di questo argomento. Spero che la discussione odierna dia anche i risultati che il commissario ci ha promesso. Sappiamo tutti che le procedure attualmente previste per poter accedere al Fondo di solidarietà richiedono molto tempo. Propongo perciò di emendare il bilancio comunitario.

Ad esempio, quando la Romania ha chiesto di poter beneficiare degli aiuti del Fondo di solidarietà a seguito delle inondazioni della primavera-estate del 2005, ha dovuto attendere circa un anno prima di ricevere i soldi. Il regolamento stabilisce che la domanda debba essere presentata entro dieci settimane da quando è accaduta la catastrofe e debba specificare il valore complessivo delle perdite subite, per consentire la classificazione del tipo di catastrofe. Ma è alquanto difficile ottemperare a queste condizioni nel caso, ad esempio, di inondazioni. Per poter stimare correttamente le perdite, occorre far defluire completamente le acque, e questo non rientra in nessun caso nella facoltà delle istituzioni e autorità nazionali. Il passo successivo consiste nella verifica da parte della Commissione del rispetto delle condizioni, soprattutto nelle catastrofi di grandi dimensioni. Questo richiede molto tempo e necessita di informazioni e chiarimenti aggiuntivi. Infine, dopo l’approvazione del bilancio modificato, la Commissione prepara e approva le decisioni per la concessione dei prestiti. Segue poi la fase finale, cioè il trasferimento dei fondi, che devono essere spesi al massimo entro un anno. In pratica, questi fondi servono a rimborsare le spese già sostenute dallo Stato beneficiario dopo la catastrofe. Data questa situazione, ci chiediamo tutti se si possa effettivamente parlare di aiuti d’emergenza.

Concluderò dicendo che, se respingessimo la proposta della Commissione di modifica del regolamento dopo averne discusso in seno al gruppo di lavoro dei consiglieri finanziari, senza aver consultato il gruppo per le azioni strutturali, i ministri delle Finanze potrebbero, in pratica, non essere d’accordo, e questo ci creerebbe molti problemi, soprattutto nella situazione attuale con così tanti problemi anche a livello nazionale.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, alcuni degli argomenti più interessanti vengono sollevati a tarda sera, e questo è uno di essi. Oggi, però, ci troviamo in una condizione di dialogo tra sordi, dato che il Consiglio non è qui a seguire la discussione.

Ci sono due parole che pronunciamo molto spesso in Europa: una è “sussidiarietà”, l’altra è “solidarietà”. Sussidiarietà significa rispettare gli Stati membri e i loro diritti, mentre solidarietà, a mio parere, esprime il senso di comunanza nell’Unione europea e il sostegno reciproco che ci diamo. E allora, perché il Fondo non funziona in questo spirito? Invero, l’incapacità del Fondo di funzionare comporta vari rischi, tra cui quello, che ha conseguenze dannose, di fare annunci sulla disponibilità di finanziamenti, senza poi, però, poter mantenere le promesse perché il meccanismo è complesso, burocratico e molto scomodo per le comunità e per i singoli che lo devono gestire.

Credo che, in ultima analisi, sia una questione di bilancio e di soldi. La settimana scorsa ho ascoltato con grande attenzione le osservazioni del commissario responsabile della programmazione finanziaria e del bilancio su vari temi, dalla politica agricola comune ad altre questioni, ma in particolare la richiesta di un bilancio più flessibile, un bilancio capace di reagire agilmente a quanto succede nel mondo, per evitare che l’Unione europea debba sempre andare a rimorchio degli eventi.

Mi spiace che il commissario non abbia parlato della necessaria flessibilità nel reagire a eventi che accadono nell’Unione europea, perchè credo che è di questo che stiamo discutendo qui stasera. Vengo da un paese che ha detto no al trattato di Lisbona, un paese in cui si discute sempre più dell’esigenza di avvicinare i cittadini all’Unione europea. Il modo migliore per farlo è vedere un’Europa che agisce, non un’Europa che parla. Temo che nell’Unione ci siano troppi annunci e troppo poche azioni sul campo, azioni che siano visibili per i cittadini.

Ma non voglio avvilirvi e quindi concludo su una nota positiva dicendo che, secondo un’indagine pubblicata nei giornali di stamattina, l’opinione pubblica irlandese starebbe forse cambiando opinione su Lisbona.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE).(PT) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, questa interrogazione posta alla Commissione europea dall’onorevole Galeote a nome della commissione per lo sviluppo regionale è pienamente giustificata e rilevante. Sarebbe il caso di dire per filo e per segno quali sono i motivi per cui il Consiglio ha bloccato la riforma del Fondo di solidarietà, vista la sua incapacità di trovare un accordo su una posizione comune che renda possibile la continuazione del processo legislativo.

E’ difficile comprendere quali possano essere le ragioni alla base della posizione assunta dal Consiglio, se non meschini motivi di carattere finanziario. Ma al Consiglio non importa nulla di una risposta più agile e immediata alle catastrofi naturali? Al Consiglio non importa nulla di predisporre una risposta rapida per qualsiasi tipo di disastro, sia esso un grave incidente industriale, un attentato terroristico o un’emergenza di salute pubblica?

E’ essenziale dare una risposta chiara a queste domande, ma anche chiarire come si collochi la Commissione europea di fronte a questa situazione e se intenda fare qualcosa per sbloccare il processo legislativo.

In tale contesto va affermato appieno anche il valore della solidarietà, perché, in caso contrario, i cittadini non riuscirebbero a farsene una ragione.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). (PL) Signor Presidente, il Fondo di cui stiamo parlando è spesso uno dei fattori in base ai quali i cittadini giudicano l’Unione europea. In anni recenti abbiamo assistito a un numero crescente di catastrofi naturali, che sono diventate sempre più violente. Si sente continuamente parlare di inondazioni, siccità, incendi o tempeste in vari Stati membri. Ma questi non sono gli unici problemi; dobbiamo rendere possibile l’erogazione di aiuti anche in caso di fuoriuscite di sostanze chimiche, esplosioni, incendi di impianti industriali o incidenti in centrali nucleari.

Dobbiamo essere preparati anche per affrontare sfide nuove, come gli attentati terroristici e le loro conseguenze. Né dovremmo dimenticare le situazioni di crisi per la salute dei nostri cittadini o le patologie animali. Di fronte a simili minacce, il costo di farmaci, vaccinazioni e attrezzature ostacola pesantemente la gestione di queste situazioni. Il Fondo deve essere elastico per poter reagire adeguatamente a simili situazioni e per farlo in maniera esaustiva. Inoltre, la procedura per la presentazione delle domande di aiuto deve essere quanto più semplice possibile.

 
  
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  Mieczysław Edmund Janowski (UEN). - (PL) Signor Presidente, oggi il commissario Hübner si trova in una situazione molto difficile. Deve infatti rispondere a nome del Consiglio, che non è rappresentato. Durante la presidenza danese nel 2002, quando ci fu una piena violenta e improvvisa, la presidenza riuscì a mobilitarsi e preparare la documentazione rilevante in poche settimane. Oggi dovremmo accusare le quattro presidenze per la loro indolenza nel riformare il Fondo di solidarietà. Abbiamo bisogno di questo Fondo. Gli aiuti che esso ci permette di dare non dovrebbero essere soltanto un segno della nostra solidarietà, ma devono anche essere rapidi ed efficaci, con il minimo possibile di burocrazia.

Credo che a tale riguardo dobbiamo affrontare due questioni. Una è il modo in cui dovrebbe essere amministrato il Fondo di solidarietà, e in quali situazioni, e l’altra è il modo in cui usare altre risorse, di altri fondi, tra cui il Fondo di coesione, per attività di prevenzione a lungo termine delle catastrofi. Ma questo è un tema separato. Vorrei cogliere l’occasione per rivolgere una domanda alla signora commissario. Una volta si è parlato dell’opportunità di istituire uno “strumento di reazione rapida” e di pronto intervento in caso di catastrofi gravi, con un bilancio di circa 200 milioni di euro. Non so che ne sia stato di quel progetto, che si ricollega anche al tema oggi in discussione.

 
  
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  Rolf Berend (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, è insolito che venga concessa la parola per la seconda volta durante una procedura catch the eye, ma volevo soltanto ribadire alla fine della discussione che la maggior parte delle critiche espresse stasera non sono affatto indirizzate alla Commissione.

La Commissione ci ha sempre aiutati nella redazione delle revisioni di questo trattato ed è sempre stata dalla parte del Parlamento nel suo impegno volto a dargli esecuzione. E’ il Consiglio a essere in torto, e noi volevamo formulare questa interrogazione in modo tale che esprimesse le nostre critiche nei suoi confronti. L’assenza del Consiglio è un atto di dispregio verso il Parlamento e noi non dobbiamo tollerare di essere scaricati in questo modo.

Commissario Hübner, può contare sul nostro pieno appoggio in tutti i rapporti che avrà con il Consiglio per dare avvio alla revisione di questo Fondo.

 
  
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  Danuta Hübner, membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, devo spiegare tre punti. Quello di cui stiamo parlando non è un fondo di solidarietà per aiuti in caso di emergenza; è un fondo che prevede il rimborso di determinate spese sostenute per interventi di emergenza effettuati a seguito di catastrofi, per consentire il ritorno a condizioni di vita normali. La Commissione propone; il Parlamento e il Consiglio decidono.

Secondo: con l’emendamento al regolamento proponiamo di ampliare l’ambito di applicazione, di abbassare la soglia e di modificare la procedura specifica per i pagamenti anticipati.

Terzo: l’elenco dei miei interventi e di quelli del presidente Barroso nel corso di sette presidenze è molto lungo, riempie praticamente due pagine, se consideriamo tutte le riunioni e tutte le lettere. Nessuna delle sette presidenze è riuscita a ottenere in Consiglio un accordo sull’approvazione delle modifiche del regolamento, anche se qualche presidenza, all’inizio, era orientata positivamente in tal senso. Mi sono rifiutata di ritirare la proposta dal Consiglio, nella speranza che la nuova relazione che prepareremo e adotteremo come Commissione all’inizio del prossimo anno ci permetta di avviare una nuova discussione, propedeutica all’approvazione delle modifiche. Adesso, forse, abbiamo anche idee nuove e, forse, le modifiche del Fondo saranno di più ampia portata. Conto veramente sulla vostra presenza e sulla vostra partecipazione alla discussione e spero che sosterrete la nostra proposta.

Su un altro tema, quello della prevenzione, vorrei dire brevemente che alla fine dell’anno adotteremo una comunicazione dal titolo “Verso un nuovo approccio complessivo alla prevenzione delle catastrofi”. Abbiamo già concluso due studi esplicativi, abbiamo concluso anche le consultazioni, mentre la valutazione dell’impatto è in corso di preparazione. Anche la politica di coesione – qualcuno, credo l’onorevole Janowski, ha proposto di coinvolgere la politica di coesione nelle azioni preventive – ha tra le sue priorità proprio le azioni di prevenzione, soprattutto in campo ambientale.

Questo è tutto, signor Presidente. Mi auguro che continueremo a collaborare per riuscire a modificare il regolamento del Fondo in modo tale da renderlo più rilevante e più adatto a soddisfare le esigenze dei cittadini europei.

 
  
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  Presidente. − La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto.(FR) Due anni fa il Parlamento e la Commissione hanno raggiunto un accordo per estendere l’ambito di applicazione del Fondo di solidarietà in modo che esso includa non soltanto le catastrofi naturali ma anche i disastri industriali, gli attentati terroristici e le principali emergenze di salute pubblica.

L’accordo specifica che va attribuita particolare attenzione alle regioni ultraperiferiche, anche se esse non soddisfano pienamente i criteri di ammissibilità, affinché possano ricevere aiuti di emergenza in caso di eventi imprevisti.

Ma questa riforma non è ancora entrata in vigore perché il Consiglio non è riuscito a prendere una decisione, con il risultato che l’adozione di una posizione comune è stata ulteriormente rinviata.

Sebbene il Fondo sia stato utilizzato per fornire aiuti a Réunion dopo il ciclone Gamede e alla Martinica e Guadalupa dopo l’uragano Dean, permane incertezza sull’ammissibilità delle relative domande perché il Consiglio non ha preso una decisione rapida sulla riforma.

La Commissione dovrebbe anche rivedere le proprie proposte allo scopo di rafforzare le capacità dell’Unione nel campo della protezione civile, nell’ottica di sfruttare le competenze e la posizione geografica delle regioni ultraperiferiche e dei territori d’oltremare, che aspirano a diventare punti di sostegno in caso di interventi al di fuori dell’Europa.

Su entrambe queste questioni le regioni ultraperiferiche si attendono una risposta ambiziosa da parte dell’Unione europea per garantire la loro sicurezza.

 

25. Protezione dei consumatori in materia di credito e finanza (breve presentazione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0393/2008), presentata dall’onorevole Iotova, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sulla protezione del consumatore: migliorare l'educazione e la sensibilizzazione del consumatore in materia di credito e finanza [2007/2288(INI)].

 
  
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  Iliana Malinova Iotova, relatore. – (BG) Questa relazione, che sarà votata durante la plenaria di domani, è ora più importante che mai. E’ evidente che la crisi finanziaria in atto può essere evitata se i consumatori sono bene informati dei rischi connessi con vari tipi di credito. Possiamo dire sicuramente che, se in passato ci fossimo concentrati di più sull’educazione dei cittadini in campo finanziario, ora non ci troveremmo in questa situazione, o quantomeno la crisi non avrebbe assunto queste proporzioni. Pensando al futuro, dobbiamo essere certi che ai nostri figli sia data l’opportunità di imparare a gestire le carte di credito e i prestiti in maniera adeguata, ovunque in Europa. Dobbiamo concentrarci sui mutui ipotecari per studenti e sui fondi pensionistici e d’investimento. Questi prodotti finanziari hanno un forte impatto sulla nostra vita di consumatori e devono pertanto essere presi in considerazione. Non dobbiamo dimenticare che un numero crescente di giovani sono pesantemente indebitati senza nemmeno sospettare quali saranno le conseguenze sulle loro vite.

Abbiamo trascorso molti mesi collaborando strettamente sui testi della relazione. Abbiamo avuto una discussione pubblica assai interessante con rappresentanti delle banche e delle istituzioni finanziarie europee e statunitensi proprio alla vigilia della crisi. Anche allora, i problemi sono stati focalizzati chiaramente ed è stato lanciato l’allarme. Dall’altro canto, abbiamo potuto vedere l’esperienza e la buona pratica dell’educazione finanziaria in paesi che hanno una tradizione in questo campo e si adoperano costantemente per migliorarla, come il Regno Unito, la Francia, la Germania e altri, e abbiamo ascoltato i pareri di chi sta compiendo i primi passi in quella direzione. Accolgo con piacere il risultato della votazione sulla relazione nella commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori e anche la decisione della Commissione riguardo ai fondi necessari per sostenere questo progetto.

Abbiamo ricevuto molte risposte incoraggianti da parte delle principali istituzioni finanziarie sulla relazione d’iniziativa. Credo che abbiamo trovato una soluzione di compromesso che soddisfa tutti i gruppi, e spero pertanto che la votazione di domani sulla relazione sia un successo. Possiamo superare l’attuale crisi finanziaria soltanto attraverso sforzi congiunti, e a tale scopo abbiamo bisogno di unire le forze e lavorare insieme su questa iniziativa comune. E’ ora di agire e garantire che i consumatori europei sappiano ciò che devono sapere sul credito al consumo e su altri tipi di credito, per evitare che un simile disastro finanziario abbia a ripetersi. Per raggiungere questo obiettivo è estremamente importante che gli Stati membri attuino le misure adottate e collaborino da vicino. Infine, ringrazio vivamente i membri della Commissione europea per l’aiuto che mi hanno dato.

 
  
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  Danuta Hübner, membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, la relazione arriva proprio al momento giusto. Essa individua molte delle sfide che i consumatori europei si trovano ad affrontare nell’ambito dell’attuale crisi finanziaria. Ecco perché sono molto riconoscente all’onorevole Iotova per l’eccellente lavoro.

Nella comunicazione adottata nel dicembre scorso, la Commissione ha riconosciuto l’importanza dell’educazione finanziaria ai fini di un corretto funzionamento del mercato interno. I consumatori devono sicuramente essere posti in condizione di prendere decisioni responsabili sulle loro finanze personali, perché solo così potranno profittare dei vantaggi tangibili conseguenti all’integrazione finanziaria nell’Unione europea.

L’istruzione è materia di competenza degli Stati membri. Il ruolo della Commissione in tale contesto è principalmente un ruolo di supporto, che è però comunque importante.

Il livello nazionale è quello più adatto per attuare programmi di educazione dei consumatori, ed è anche il livello più efficace ed efficiente. Agli Stati membri spetta un ruolo decisivo, ad esempio adottando strategie nazionali di educazione in materia finanziaria che siano fondate su un partenariato pubblico-privato.

Noi riteniamo che il ruolo della Commissione debba essere quello di fungere da promotore dell’educazione finanziaria in tutta l’Unione europea facendo vedere i vantaggi che essa comporta, coordinando gli sforzi, dando dimostrazione delle migliori pratiche.

A tale riguardo abbiamo messo in atto diverse iniziative concrete e creato il gruppo di esperti per l’educazione finanziaria, che nella sua prima riunione, in ottobre, ha discusso delle strategie nazionali per l’educazione finanziaria.

Abbiamo anche portato avanti lo sviluppo degli strumenti online Dolceta destinati agli insegnanti, per facilitare loro l’inserimento di argomenti finanziari nei curriculum esistenti. A breve renderemo pubblica la banca dati europea per l’educazione in campo finanziario; si tratta di una biblioteca elettronica contenente schemi gestiti da vari tipi di fornitori di servizi Internet. Infine, la Commissione concede spesso il proprio patrocinio a eventi selezionati che danno visibilità all’educazione finanziaria.

Condividiamo appieno l’impianto generale di questa relazione del Parlamento europeo e la maggior parte delle proposte che contiene. La questione di importanza cruciale è l’educazione dei bambini e dei giovani, e in merito la Commissione condivide il convincimento del Parlamento che spetti alla scuola trasmettere una competenza finanziaria di base.

Siamo pronti e disponibili ad aiutare gli Stati membri a sviluppare i loro programmi educativi di base in materia di finanze personali, e lo stesso vale per l’idea di affidare alla Commissione il compito di organizzare campagne informative e mediatiche in ambito comunitario sull’educazione finanziaria. Tali campagne di sensibilizzazione dovrebbero essere adattate alle specifiche esigenze del pubblico e sono più efficaci quando sono eseguite a livello nazionale o anche a livello locale. Anche qui siamo pronti a dare il nostro sostegno.

Concludo ringraziando il Parlamento per il buon lavoro che ha svolto su questo fascicolo e sarò lieta di continuare il dialogo tra Parlamento e Commissione sulle importanti questioni dell’educazione finanziaria dei consumatori.

 
  
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  Presidente. – La discussione su questo punto è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Dragoş Florin David (PPE-DE), per iscritto. – (RO) L’ignoranza della legge non ci mette al riparo dalle sue conseguenze, allo stesso modo in cui l’ignoranza dei meccanismi finanziari non ci mette al riparo dalle perdite finanziarie.

Le istituzioni finanziarie e bancarie e le compagnie di assicurazione avevano e hanno tuttora l’obbligo di fornire ai consumatori le “istruzioni per l’uso” riguardo agli strumenti finanziari, per consentire loro di prendere decisioni informate. Per questo motivo credo che l’educazione dei cittadini europei in materie finanziarie, bancarie e assicurative da parte di istituzioni governative e non governative sia una buona soluzione per chi lo vuole veramente. Ma informare i cittadini che utilizzano tali strumenti deve essere un obbligo che spetta ai fornitori di servizi in questo settore. Penso che la Commissione europea e gli Stati membri abbiano il dovere di mettere in guardia e informare i cittadini europei sulla natura dannosa di determinati prodotti o servizi e di regolamentare il mercato europeo in maniera tale che i prodotti o servizi nocivi non possano arrivare sul mercato.

Concludo complimentandomi con la relatrice onorevole Iotova e con i colleghi della commissione per il commercio internazionale e della commissione per i problemi economici e monetari per l’efficienza con cui hanno redatto questa risoluzione.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) La crisi causata dai mutui ipotecari a rischio ha confermato che il livello di sensibilizzazione finanziaria tra i cittadini comunitari è basso. I consumatori non hanno abbastanza familiarità con i rischi di bancarotta e di indebitamento eccessivo. Le informazioni sui prodotti finanziari delle istituzioni finanziarie, fornite perlopiù tramite annunci pubblicitari, sono difficili da comprendere e talvolta possono confondere. I consumatori non sono abbastanza informati prima della firma dei contratti.

Il compito di informare i consumatori in materie finanziarie e sui prestiti dovrebbe iniziare a scuola, dove i consumatori di domani potrebbero familiarizzarsi con i prodotti del settore bancario. Un’attenzione particolare va riservata ai programmi destinati ai giovani, ai pensionati e alle persone vulnerabili.

Credo fermamente che la Commissione dovrebbe istituire una voce di bilancio per i programmi di educazione finanziaria a livello comunitario, che potrebbero vedere il concorso di tutti gli organismi rilevanti, come lo Stato, le organizzazioni non governative, le associazioni dei consumatori e le istituzioni finanziarie.

Vorrei dare particolare rilievo al ruolo delle associazioni dei consumatori a livello comunitario e nazionale, perché sono loro a conoscere meglio di chiunque altro le esigenze specifiche dei gruppi obiettivo nel campo dei programmi educativi. Molti Stati membri non stanziano in bilancio fondi adeguati per le politiche di protezione dei consumatori e non prestano attenzione né danno sostegno finanziario alle attività delle associazioni dei consumatori.

Solo pochi consumatori possono permettersi i servizi di consulenti finanziari personali; credo pertanto fermamente che i consumatori dovrebbero ricevere consulenza indipendente attraverso appositi corsi di formazione organizzati nell’ambito di programmi educativi comunitari e all’interno delle associazioni dei consumatori.

 
  
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  Marian Zlotea (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Mi congratulo con l’onorevole Iotova per il tema di questa relazione. Ritengo che l’educazione finanziaria sia molto importante. Attualmente la Romania è confrontata con il problema delle persone che non sono più in grado di ripagare i debiti perchè hanno contratto prestiti con banche diverse. Non solo sono state mal consigliate sulle implicazioni dei prestiti, ma non hanno neppure ricevuto alcuna forma di idonea educazione finanziaria tale da metterle in condizione di decidere quale servizio finanziario possa essere più adatto alle loro esigenze.

Non dobbiamo confondere l’educazione finanziaria con le informazioni fornite ai consumatori. I programmi di educazione finanziaria devono essere sviluppati a seconda delle fasce di età e delle esigenze dei vari settori della popolazione.

Spero che il servizio Dolceta sia tradotto quanto prima in romeno e in bulgaro e che quindi ne possano beneficiare tutti i cittadini.

 

26. Pagella dei mercati dei beni al consumo (breve presentazione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0392/2008), presentata dall’onorevole Hedh, a nome della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, sulla pagella dei mercati dei beni al consumo [2008/2057(INI)].

 
  
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  Anna Hedh, relatore.(SV) Signor Presidente, il mercato interno costituisce una parte estremamente rilevante della cooperazione europea, ma per molti consumatori esso è soltanto un concetto vago. Indipendentemente dal grado di conoscenza che abbiamo della sua importanza, delle sue regole e delle sue disposizioni, siamo tutti consumatori e siamo tutti interessati dal modo in cui il mercato interno opera. Ho sempre sostenuto che, se i consumatori europei sono soddisfatti e fiduciosi, il mercato interno potrà funzionare in maniera efficiente e prosperare.

Per conquistare questa fiducia, dobbiamo rendere il mercato interno più efficiente e attento alle aspettative e ai problemi dei cittadini. Questo non significa necessariamente un maggior numero né una maggiore severità delle leggi e delle norme imposte dall’Unione europea. Spesso, l’informazione, l’educazione e l’autoregolazione possono rappresentare una soluzione più adeguata e più efficace. A prescindere dal modo in cui risolviamo i problemi, lo scopo dev’essere sempre quello di garantire la salvaguardia dei diritti dei consumatori, affinché possano prendere decisioni buone e informate. E questo va, ovviamente, a vantaggio anche del mercato stesso. Pertanto la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori e io accogliamo con favore la pagella dei mercati dei beni al consumo presentata su richiesta della commissione. Riteniamo che la pagella possa costituire uno strumento importante per lo sviluppo futuro della politica dei consumatori.

Il mercato interno comprende circa 500 milioni di consumatori e fornisce un’ampia quantità di beni e servizi. Essendo, com’è ovvio, impossibile esaminare nei dettagli tutti gli aspetti del mercato interno, è importante ricorrere a strumenti analitici laddove ce n’è effettivamente maggior bisogno. Condivido l’individuazione delle cinque aree sulle quali si è concentrata la Commissione, cioè reclami, livelli dei prezzi, soddisfazione, interscambiabilità e sicurezza. Questi cinque indicatori principali sono importanti e applicabili, anche se, col passare del tempo, sarà necessario svilupparli e migliorarli ulteriormente e, forse, anche inserirne di nuovi.

Voglio quindi sottolineare l’importanza di sensibilizzare maggiormente i consumatori e l’opinione pubblica in generale su questa pagella. In tale ottica, è importante che essa sia redatta in un linguaggio facilmente accessibile; inoltre, dev’essere visibile sui siti web pertinenti.

Concludo dicendo che ci vorrà tempo per sviluppare la pagella, in parte perché i progressi nel campo della politica dei consumatori e della tutela dei consumatori variano molto da uno Stato membro all’altro, in parte perché siamo diversi, abbiamo culture differenti e tradizioni differenti. Dobbiamo essere pazienti e dare alla pagella dei mercati dei beni al consumo tutto il tempo di cui necessita.

Colgo l’occasione per ringraziare il commissario Kuneva e la sua segreteria, nonché la mia segreteria, per la loro collaborazione estremamente costruttiva.

 
  
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  Danuta Hübner, membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, l’iniziativa di questa pagella è stata avviata meno di un anno fa e in questo periodo di tempo la Commissione ha potuto apprezzare molto l’interesse e il sostegno del Parlamento.

La pagella è stata oggetto di molte discussioni nella commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, e noi abbiamo imparato molto da esse e dai suggerimenti proposti. Vi sono molto grata per tutto questo, ma voglio rivolgere un ringraziamento speciale all’onorevole Hedh per l’eccellente relazione.

Permettetemi di ricordare brevemente perché la pagella dei mercati dei beni di consumo è così importante per tutti noi. Se vogliamo mantenere le nostre promesse nei confronti dei consumatori, dobbiamo rispondere meglio alle loro aspettative e capire meglio i problemi che stanno affrontando nella vita quotidiana. A tale scopo, abbiamo bisogno di una base di dati che dimostri qual è la prestazione del mercato in termini di risultati economici e sociali per i consumatori, e come i consumatori si comportano sul mercato. Per essere valida, una politica deve fondarsi su dati accurati, e noi condividiamo appieno la vostra posizione in merito.

La pagella raccoglie informazioni utili a individuare i mercati che corrono il rischio di non dare risposte adeguate alle esigenze dei consumatori e che pertanto necessitano di ulteriori analisi. Essa consente inoltre di seguire i progressi compiuti per quanto riguarda l’integrazione del mercato al dettaglio e aiuta ad analizzare e confrontare l’ambiente in cui si muovono i consumatori nei singoli Stati membri, soprattutto sotto il profilo del rispetto delle norme sul consumo, della loro attuazione, dei risarcimenti e della responsabilizzazione dei consumatori. Condividiamo la vostra opinione su quali indicatori dovrebbero comparire nella pagella e crediamo che l’istituzione di una banca dati armonizzata dei reclami dei consumatori a livello comunitario rappresenti un passo avanti di fondamentale importanza, perché ci consentirà di individuare in una fase precoce i problemi sui mercati al consumo e, se necessario, di agire in maniera adeguata.

La Commissione è fermamente convinta dell’importanza di includere dati sui prezzi, considerato che i prezzi sono una delle principali preoccupazioni dei consumatori. L’attuale clima politico ed economico rende ancora più urgente poter disporre di buoni dati al riguardo. Dobbiamo inviare un chiaro segnale ai nostri consumatori per dire loro che teniamo sotto controllo il rapporto tra i prezzi in tutto il mercato interno. La Commissione vi può garantire che è pienamente consapevole della complessità della questione e ovviamente interpreterà i dati con cura, assicurando che essi siano collocati nel contesto giusto. I prezzi possono variare nel mercato interno perché ci sono validi motivi economici, ma anche perché il mercato non funziona bene, e il nostro obiettivo è quello di trovare i modi per riuscire a distinguere queste due situazioni.

Condividiamo il parere dell’onorevole Hedh sull’importanza di una stretta collaborazione con gli Stati membri. Quest’anno la Commissione ha cominciato a lavorare insieme con i responsabili delle politiche nazionali, con gli uffici di statistica, con le autorità preposte all’applicazione delle norme e con le associazioni dei consumatori per sviluppare ulteriormente gli indicatori della pagella, e proseguirà la collaborazione anche nei prossimi anni. L’onorevole Hedh ha sottolineato che dovremmo rendere la pagella più accessibile a un pubblico più ampio e promuovere una maggiore sensibilizzazione. La Commissione condivide tale opinione e rafforzerà il suo impegno. Vi invito a controllare i risultati nella seconda edizione della pagella.

Infine, di questa relazione la Commissione desidera far proprio l’auspicio – oltre a molti altri punti che non posso citare per mancanza di tempo – di un maggior numero di indicatori sulla responsabilizzazione dei consumatori, quali le conoscenze e le competenze. Nel quadro del programma rivisto Eurostat di indagine sociale, la Commissione intende predisporre un modulo sulla responsabilizzazione dei consumatori per valutarne le competenze e il grado di informazione e consapevolezza riguardo ai loro diritti e alla relativa affermazione. Potremo così cominciare a tracciare un quadro statistico sommario dei cittadini europei sotto il profilo della loro capacità come consumatori. Riteniamo che questo debba essere l’oggetto principale del progetto pilota proposto dal Parlamento per il 2009. In conclusione permettetemi di ringraziare nuovamente l’onorevole Hedh per il suo interesse e il suo appoggio, anche dal punto di vista finanziario.

 
  
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  Presidente. – La discussione su questo punto è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Slavi Binev (NI), per iscritto. – (BG) Sono favorevole alla relazione dell’onorevole Hedh sulla pagella dei mercati dei beni al consumo e all’obiettivo di rendere il mercato interno più attento alle aspettative e alle preoccupazioni dei cittadini. Negli ultimi 19 anni, durante la cosiddetta transizione democratica della Bulgaria, abbiamo avuto la nostra parte di privatizzazioni varie, proposte dalle autorità che governano il paese. Un caso eclatante è quello della società elettrica ČEZ Měření, i cui amministratori sono ladri conclamati e alla quale è stato concesso l’accesso al mercato nazionale bulgaro. I gentiluomini della ČEZ, che noi di ATAKA molto tempo fa abbiamo denunciato essere veri e propri delinquenti, sono stati incriminati nel loro paese: 32 dei loro dipendenti sono stati arrestati per estorsione ai danni di consumatori, che avevano accusato di furto di energia elettrica. Ma, essendo ovviamente troppo occupata in pratiche di corruzione, la coalizione tripartita al governo in Bulgaria non ha ritenuto che ciò fosse un motivo sufficiente per cacciare quei criminali, come avevano fatto i governi canadese e ungherese, e così la ČEZ continua a rapinare e ricattare i contribuenti bulgari sotto la copertura dei loro piccoli, puliti accordi di privatizzazione.

Credo che l’adozione della pagella dei mercati dei beni al consumo migliorerà gli strumenti di controllo sui settori le cui debolezze e violazioni devono essere oggetto di indagini, coinvolgerà le autorità nazionali di protezione dei consumatori nella conservazione della qualità dei servizi sociali e contribuirà a ripristinare la fiducia dei consumatori nel mercato interno.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) La commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori del Parlamento europeo persegue l’obiettivo prioritario di rafforzare la posizione dei consumatori europei sul mercato interno. Essa invita costantemente la Commissione europea e gli Stati membri a compiere indagini su ciò che i consumatori pensano del mercato interno e in particolare sui loro bisogni. La condizione principale per un mercato interno efficace e ben funzionante è la fiducia dei consumatori.

Riconoscendo i vantaggi dello schema di valutazione del mercato interno che è in uso dal 1997, la commissione ha chiesto alla Commissione europea di presentare una proposta di uno schema di valutazione dei mercati al consumo, da utilizzare come strumento di valutazione del mercato anche dalla prospettiva dei consumatori.

Reclami, livelli dei prezzi, soddisfazione, interscambiabilità e sicurezza sono i cinque indicatori principali previsti dallo schema di valutazione. La commissione si rende conto del fatto che, visto che questo sarà il primo schema di valutazione dei mercati al consumo mai predisposto, in futuro alcuni di quegli indicatori dovranno essere sostituiti da nuovi. Particolarmente incerto è l’indicatore che si riferisce ai livelli dei prezzi.

Condivido il parere della relatrice onorevole Hedh secondo cui lo schema dovrebbe essere pubblicizzato adeguatamente nei media e pubblicato sui pertinenti siti web. Personalmente preferirei che fosse la Commissione a sostenere finanziariamente una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica da eseguirsi a cura delle associazioni dei consumatori. Data la loro esperienza nel settore della politica per i consumatori, sono loro a conoscere il modo migliore per far arrivare lo schema di valutazione ai consumatori.

Credo fermamente che lo schema dovrà saper catturare l’interesse dei consumatori, se vogliamo che diventi uno strumento importante per lo sviluppo futuro della politica per i consumatori.

 

27. Promuovere la dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili (breve presentazione)
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0418/2008), presentata dall’onorevole Ehler a nome della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, su: promuovere la dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili [2008/2140(INI)].

 
  
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  Christian Ehler, relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, essendo del Brandeburgo, è naturale che rivolga un saluto particolare al commissario signora Hübner. Vi presenterò ora brevemente la relazione della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia su una comunicazione della Commissione concernente gli impianti di dimostrazione di tecnologie CCS. Se vogliamo conseguire gli obiettivi in materia di energia e cambiamento climatico stabiliti dall’Unione europea, è chiaro che uno dei fattori decisivi è la riduzione delle emissioni di CO2, e a tale riguardo il carbone, in quanto combustibile fossile, svolge un ruolo essenziale. Dall’altro canto, in Europa ci troviamo attualmente di fronte a un dilemma. Abbiamo tre obiettivi di politica ambientale ed energetica: il primo è la tutela ambientale, il secondo è la sicurezza delle forniture e il terzo è la stabilità dei prezzi, che va di pari passo con la sicurezza degli approvvigionamenti ed è molto importante soprattutto in momenti economicamente difficili come questi.

Per tutti noi europei, è evidente che il carbone è l’unico combustibile fossile, l’unica fonte energetica fossile dell’Europa; esso riveste pertanto un’importanza strategica per questi tre obiettivi. Tuttavia, senza la tecnologia CCS, cioè senza la tecnologia del carbone pulito, questo combustibile non ha futuro. La proposta della Commissione di sostenere i progetti dimostrativi di cui c’è urgente bisogno è stata quindi accolta con favore dalla maggioranza della nostra commissione. La Commissione europea ha presentato una proposta molto ragionevole. Quanto prima possibile dobbiamo mettere a disposizione incentivi – e in merito la maggioranza della commissione è d’accordo – per promuovere l’utilizzo delle tecnologie CCS su scala industriale. Ma la maggioranza del Parlamento ritiene – e lo abbiamo detto in modo molto esplicito – che gli aiuti finanziari per una tecnologia pulita del carbone siano assolutamente indispensabili per raggiungere gli obiettivi europei in materia di energia e cambiamento climatico.

La proposta della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia è dunque alquanto specifica e prevede finanziamenti dal settimo programma quadro di ricerca e anche in forma di anticipi dei proventi della vendita all'asta delle quote di emissioni, per sostenere la costruzione di almeno dodici impianti di dimostrazione. Tali impianti devono combinare le diverse tecnologie con le varie opzioni di stoccaggio e trasporto e dovrebbero essere distribuiti il più ampiamente possibile in tutta Europa.

Siamo prudentemente ottimisti sulla possibilità di vedere i primi segnali di attivazione da parte della Commissione nell’ambito delle attuali trattative a tre sulle direttive CCS ed ETS. In questo stesso clima di prudente ottimismo riteniamo che, in tali trattative, dobbiamo riuscire non soltanto a chiarire le future condizioni quadro per le tecnologie CCS, ma anche a porre basi solide per il finanziamento degli impianti dimostrativi preliminari, che sono d’importanza vitale.

 
  
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  Danuta Hübner, membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, ringrazio molto l’onorevole Ehler per la sua relazione sulla comunicazione della Commissione concernente il finanziamento in tempi brevi della dimostrazione della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili. Siamo lieti del sostegno generale che la relazione esprime per i nostri obiettivi politici e del riconoscimento dell’importante ruolo che le tecnologie CCS possono svolgere per contrastare il cambiamento climatico a livello globale.

La relazione, inoltre, riconosce con chiarezza l’urgente necessità di realizzare fino a dodici progetti di dimostrazione su grande scala per rendere le tecnologie CCS commercialmente sostenibili entro il 2020. La nostra comunicazione va vista come parte del pacchetto completo e comprensivo sul clima e sull’energia che comprende la direttiva CCS, la quale fissa il quadro giuridico per autorizzare l’utilizzo delle tecnologie CCS in Europa, il sistema di scambio delle emissioni, il quale fissa il quadro economico e commerciale per le tecnologie CCS, e la proposta della Commissione, la quale propone che gli Stati membri stanzino il 20 per cento dei proventi della vendita all’asta delle quote di emissioni a favore di investimenti in tecnologie a bassa emissione di carbonio, come le CCS. A prescindere da quella che sarà la decisione definitiva, i proventi della vendita all’asta saranno una delle fonti di finanziamento più consistenti per i progetti di dimostrazione delle tecnologie CCS.

Infine, la nostra comunicazione propone anche la creazione, all’inizio del 2009, di una struttura europea di coordinamento per finanziare i progetti di dimostrazione delle tecnologie CCS attraverso la condivisione delle conoscenze, attività di comunicazione congiunte e altre azioni comuni.

Apprezzo il vostro sostegno generale al pacchetto sul clima e l’energia e, in particolare, alla comunicazione. Nella relazione, però, si afferma anche che gli sforzi della Commissione potrebbero non bastare per raggiungere l’obiettivo fissato dal Consiglio di realizzare fino a dodici progetti di dimostrazione. Comprendo la vostra preoccupazione.

Per affrontare l’aspetto finanziario, la commissione per l’ambiente ha adottato un emendamento alla proposta sull’ETS con il quale propone di utilizzare 500 milioni di euro della nuova riserva di ammissione per il finanziamento dei progetti di dimostrazione delle tecnologie CCS.

La Commissione ha inviato al Parlamento un documento di opzione politica per contribuire a costruire un consenso anche in seno al Consiglio, al fine di garantire un sufficiente finanziamento delle tecnologie a basse emissioni di carbonio.

La relazione solleva poi altre due questioni che la Commissione non può condividere del tutto in questo momento. Prima questione: la relazione invita la Commissione a presentare una dettagliata valutazione dei costi e delle quote dei finanziamenti pubblici e privati per ciascuno dei dodici impianti di dimostrazione. Lasciatemi dire a tale proposito che i progetti di dimostrazione saranno scelti esclusivamente sulla base di appalti indetti o a livello europeo o a livello di Stati membri. Le valutazioni dei costi sono in corso, ma possono fornire soltanto stime approssimative, dato che ciascun progetto è unico nel suo genere.

Seconda questione: la relazione suggerisce anche l’utilizzo di risorse del meccanismo di finanziamento con ripartizione del rischio, sempre per finanziare le tecnologie CCS. Poiché quelle risorse sono state impegnate completamente, come sapete, qualsiasi cambiamento renderebbe necessario emendare il settimo programma quadro.

Consentitemi di concludere ringraziandovi per l’eccellente lavoro che avete fatto con questa relazione. Mi auguro anche che durante la votazione il Parlamento si attenga all’orientamento e agli obiettivi complessivi indicati nella relazione.

 
  
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  Presidente. – La discussione su questo punto è chiusa.

La votazione si svolgerà domani, alle 12.

Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)

 
  
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  Adam Gierek (PSE), per iscritto. – (PL) Uno degli obiettivi dell’Unione europea è un ambizioso piano di tutela del clima valido fino al 2020, noto come l’obiettivo “3 x 20”. Gli strumenti per la sua attuazione comprendono la vendita all’asta delle quote di emissioni e il ricorso alle tecnologie CCS dopo il 2015. Ma il limite delle emissioni di 500 g CO2/kWh che dovrebbe essere imposto dopo il 2015 è tecnicamente irrealizzabile, anche nel caso di centrali moderne alimentate a carbone. Quel limite avrebbe pertanto l’effetto di una moratoria sulla costruzione di centrali a carbone, mettendo così in pericolo la sicurezza energetica.

Le tecnologie CCS potrebbero essere utilizzate anche nelle industrie che producono grandi emissioni di CO2 come prodotto di scarto, ad esempio nella fusione di ghisa. Per tale motivo, gli Stati membri più dipendenti dal carbone dovrebbero cominciare già adesso a costruire impianti di dimostrazione, al fine di acquisire esperienza. In tale contesto avranno bisogno di aiuti finanziari immediati, dato che i finanziamenti derivanti dallo scambio di quote di emissioni dopo il 2013 arriverebbero troppo tardi. In Polonia, per esempio, dovremmo costruire adesso due o tre di questi impianti che utilizzano differenti tecnologie CCS. Penso, in proposito, a moderne centrali alimentate ad antracite o a lignite che impiegano metodi diversi di stoccaggio di CO2 in formazioni geologiche porose o in serbatoi sotterranei.

 
  
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  András Gyürk (PPE-DE) , per iscritto.(HU) La questione della captazione e dello stoccaggio di anidride carbonica rappresenta oggi una parte indispensabile delle discussioni sul cambiamento climatico. Stiamo parlando di una tecnologia molto promettente, che però deve ancora conquistarsi la fiducia della società. La sua utilizzazione futura potrebbero servire come una specie di compromesso realistico tra l’uso inevitabile dei combustibili fossili e gli obiettivi della tutela del clima.

Dato che la captazione dell’anidride carbonica richiede forti investimenti di lungo periodo, è essenziale che l’Unione europea crei un quadro giuridico coerente e stabile. Penso che il pacchetto sul clima, dopo le modifiche apportate dal Parlamento, indichi tutte le direzioni giuste a tale riguardo.

Con un apprezzabile cambiamento di rotta, la relazione del Parlamento propone di rilasciare alle dieci-dodici centrali sperimentali quote libere di emissione, invece di fornire sostegno finanziario diretto. Reputo imperativo che le centrali che possono usufruire delle quote libere siano scelte dalla Commissione europea secondo il principio dell’equilibrio regionale. Concordo con il relatore sul fatto che, per promuovere le nuove tecnologie, è necessario potenziare in modo sostanziale le fonti per nuove ricerche e nuovi sviluppi – sia a livello di Stati membri sia a livello di Unione europea.

Il sostegno dell’Unione non può sostituirsi all’impegno dei privati. Se la captazione e lo stoccaggio del carbonio si dimostreranno una soluzione realmente praticabile, ci saranno imprese disposte a svolgere un ruolo attivo e a fare i necessari investimenti. E’ altresì importante osservare che gli aiuti per la captazione del carbonio non dovrebbero portare a una distrazione di fondi dalle fonti energetiche sostenibili. La tecnologia di cui stiamo discutendo può essere realizzabile, ma non è assolutamente l’unico modo per limitare gli effetti del cambiamento climatico.

 

28. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
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29. Chiusura della seduta
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(La seduta termina alle 23.10)

 
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