Presidente. − (DE) Rabbino Capo Sacks, signora Sacks, Commissari, signore e signori, è un grande onore e un piacere dare il benvenuto nella sede del Parlamento europeo di Strasburgo al Rabbino Capo delle Congregazioni ebraiche unite del Commonwealth e a sua moglie, in occasione della seduta solenne nell’ambito dell’anno europeo del dialogo interculturale 2008. Desidero esprimerle, Sir Jonathan, il più caloroso benvenuto in questa sede.
(Applausi)
Il Gran Muftì della Siria, lo sceicco Ahmad Badr Al-Din Hassoun, primo ospite di quest’anno dedicato al dialogo interculturale, ha tenuto un discorso durante la seduta plenaria del Parlamento. Nel corso dell’anno, abbiamo poi avuto la possibilità di ascoltare il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Con il suo discorso odierno, Rabbino Capo, avremo ascoltato rappresentanti del mondo ebraico, cristiano e islamico.
Ciascuna di queste religioni ha dato un proprio contributo particolare a plasmare la società europea odierna e a caratterizzarne i tratti distintivi. Lo stesso vale per l’umanesimo e l’illuminismo. Sebbene viviamo in società laiche, con una chiara distinzione tra Chiesa e Stato, è necessario riconoscere il ruolo fondamentale che la religione organizzata svolge nelle nostre società.
Tale ruolo non concerne solamente il contributo concreto in settori quali la formazione, la sanità e i servizi sociali, ma riguarda nella stessa misura lo sviluppo della nostra coscienza etica e la formazione dei nostri valori. L’Unione europea è una comunità di valori, il cui valore fondante è la dignità intrinseca a ogni essere umano.
Rabbino Capo, lei è noto per essere un grande autore ed eminente accademico, uno studioso impareggiabile e uno dei principali rappresentanti della fede ebraica a livello mondiale. Spesso lei ha scritto e parlato del pericolo che una rinascita dell’antisemitismo potrebbe costituire per le nostre società.
La scorsa settimana, nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo, si è tenuta una commemorazione speciale, organizzata congiuntamente con il Congresso ebraico europeo, al fine di celebrare il settantesimo anniversario della Notte dei cristalli. In tale occasione ho posto l’accento sul fatto che noi nell’Unione europea abbiamo la responsabilità ed il dovere di resistere, senza alcuna eccezione e senza alcuna concessione, a tutte le forme di estremismo, razzismo, xenofobia e antisemitismo e di difendere la democrazia, la tutela dei diritti umani, e la dignità umana a livello mondiale.
Rabbino Capo, nel suo libro La dignità della differenza – e con ciò mi accingo a concludere – scritto a un anno dai terribili avvenimenti dell’ 11 settembre, lei ha affrontato uno dei temi più importanti della nostra epoca, ovvero: possiamo vivere tutti assieme e in pace, e se sì, come? È ora con grande piacere e onore che chiedo al Rabbino Capo delle Congregazioni ebraiche unite del Commonwealth di rivolgersi a quest’Assemblea.
(Applausi)
Sir Jonathan Sacks, Rabbino Capo delle Congregazioni ebraiche unite del Commonwealth. − Signor Presidente, onorevoli parlamentari, vi ringrazio per avermi concesso il privilegio di rivolgermi a voi oggi, e vi ringrazio ancor di più per aver dato vita a quest’importante iniziativa per il dialogo interculturale. Vorrei indirizzare un saluto a tutti voi, in particolare al Presidente Pöttering, una persona lungimirante, saggia e profondamente umana. Rivolgo una preghiera – e spero sia questa l’unica volta in cui oggi interrompo la separazione tra Chiesta e Stato, religione e politica – e impartisco una benedizione affinché Dio vegli su di voi e sulle vostre azioni. Grazie.
Parlo in qualità di ebreo appartenente alla più antica presenza culturale in Europa. Vorrei iniziare ricordando a tutti che la civiltà europea è nata 2 000 anni fa con un dialogo, un dialogo tra le due più grandi culture dell’antichità: l’antica Grecia e il biblico Israele – Atene e Gerusalemme - unite dalla Cristianità, la cui religione derivava da Israele, ma i cui testi sacri erano scritti in greco, e fu questo il dialogo fondante dell’Europa. Alcuni dei momenti più importanti della storia europea nei 2 000 anni trascorsi da allora sono stati il risultato del dialogo. Ne citerò soltanto tre.
Il primo ebbe luogo tra il X e il XIII secolo in Andalusia, durante il grande movimento culturale che prese vita grazie agli Omayyadi in Spagna, ed iniziò tramite un dialogo islamico avviato da pensatori come Averroè che portavano con sé l’eredità filosofica di Platone e Aristotele. Il dialogo islamico ha ispirato pensatori ebrei come Mosè Maimonide mentre quello ebraico ha ispirato pensatori cristiani tra cui, il più famoso, Tommaso d’Aquino.
Il secondo grande momento del dialogo interculturale ebbe luogo all’inizio del Rinascimento italiano, quando un giovane intellettuale cristiano, Pico della Mirandola, si recò a Padova, dove incontrò uno studioso ebreo, il rabbino Elia del Medigo, che gli insegnò la Bibbia ebraica, il Talmud e la Cabala in lingua originale. Da quel dialogo derivò l’affermazione più illustre dei valori rinascimentali: l’Orazione sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola.
Il terzo e più intenso dei tre momenti fu il dialogo tra cristiani ed ebrei dopo l’olocausto, ispirato alla filosofia del dialogo di Martin Buber, dal Concilio Vaticano II e dal documento conciliare Nostra Aetate. In conseguenza di ciò, dopo quasi 2 000 anni di estraniamento e tragedie, ebrei e cristiani si incontrano oggi da amici nel rispetto reciproco.
Vorrei però spingermi oltre. Quando lessi la Bibbia ebraica, sentii sin da subito l’invito di Dio al dialogo. Vorrei porre l’accento su due passaggi. Non so come tradurranno gli interpreti, pertanto spero che tutti coloro che ascoltano l’interpretazione possano capire. Vorrei portare l’attenzione su due passaggi nei capitoli iniziali della Bibbia, il cui significato è andato perso nella traduzione per 2 000 anni.
Il primo passaggio è quando Dio vede il primo uomo isolato e solo, e crea la donna. E l’uomo, vedendo la donna per la prima volta, pronuncia il primo canto della Bibbia: “Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà Aisha, donna, perché dall’Aish, uomo, è stata tolta”. Questo sembra certamente un canto molto semplice. Sembra persino condiscendente, come se l’uomo fosse la prima creazione e la donna un mero ripensamento. Tuttavia, il reale significato sta nel fatto che l’ebraico, nella Bibbia, comprende due parole per identificare l’uomo, non una. Una è Adam e l’altra è Aish.
Il verso che ho appena citato rappresenta la prima volta in cui la parola “Aish” compare nella Bibbia. Ascoltate di nuovo. “La si chiamerà Aisha, perché dall’Aish è stata tolta”. In altre parole, l’uomo deve pronunciare il nome di sua moglie prima di conoscere il suo stesso nome. Devo dire “tu” prima di poter dire “io”. Devo riconoscere l’altro, prima di poter veramente capire me stesso.
(Vivi applausi)
Questo è il primo concetto sottolineato nella Bibbia: l’identità è dialogica.
Il secondo si ritrova subito dopo, nella prima grande tragedia che coinvolge i primi bambini, Caino e Abele. Ci aspettiamo amore fraterno, invece assistiamo a rivalità tra fratelli, poi a omicidio, fratricidio. E nel mezzo di questa storia, nella Genesi, capitolo IV, si rintraccia un verso impossibile da tradurre; in qualsiasi Bibbia inglese da me letta, il verso non è stato tradotto, è parafrasato.
Lo tradurrò letteralmente e capirete perché nessuno lo traduce in questo modo. Letteralmente l’ebraico dice: “E Caino disse ad Abele, e accadde che quando erano fuori nel campo, Caino si scagliò contro Abele e lo uccise”. Potete capire immediatamente perché non può essere tradotta, perché vi è scritto “e Caino disse”, ma non vi è scritto cosa disse. La frase è grammaticalmente scorretta. La sintassi è frammentata, e la domanda è, perché? La risposta è chiara: la Bibbia esprime nella maniera più drammatica, con una frase tronca, come è stata interrotta la conversazione. Il dialogo ha fallito. E cosa leggiamo immediatamente dopo? “E Caino si scagliò contro suo fratello e lo uccise”. O per dirla più semplicemente: laddove finiscono le parole, inizia la violenza. Il dialogo è l’unico modo per sconfiggere i demoni della nostra natura.
(Vivi applausi)
Il dialogo attesta il doppio aspetto di tutte le relazioni umane, che intercorrano tra individui o tra paesi, tra culture o fedi religiose. I punti in comune da un lato, e i punti di divergenza dall’altro. Quello che condividiamo e quello che è unicamente nostro.
Permettetemi di spiegarlo nel modo più semplice possibile. Se fossimo completamente diversi, non potremmo comunicare, ma se fossimo completamente uguali, non avremmo nulla da dire.
(Applausi)
E questo è tutto ciò che ho da riferire sul dialogo. Vorrei tuttavia aggiungere che il dialogo potrebbe non essere sufficiente. Tra il tardo XVIII secolo ed il 1933 c’era dialogo tra ebrei e tedeschi, così come c’era dialogo e persino amicizia tra hutu e tutsi in Ruanda, o tra serbi, croati e musulmani in Bosnia e in Kosovo. Il dialogo ci unisce, ma non ci può tenere uniti quando altre forze ci separano.
Pertanto, vorrei aggiungere una parola, che ha svolto un ruolo fondamentale nel risanare le società frammentate. Questa parola è “covenant”, patto, e ha svolto un ruolo importante nella politica europea nel XVI e XVII secolo in Svizzera, Olanda, Scozia e Inghilterra. Il patto ha sempre fatto parte della cultura americana, dai suoi esordi fino ad oggi, dal patto del Mayflower nel 1620, al discorso di John Winthrop a bordo della Arabella nel 1631, fino al presente. Non so cosa dirà Barack Obama durante il suo discorso di insediamento, ma sicuramente menzionerà o farà riferimento al concetto di patto.
“Patto”, naturalmente, è una parola chiave nella Bibbia ebraica per un semplice motivo: l’Israele della Bibbia era formato da dodici diverse tribù, ognuna delle quali voleva mantenere la propria identità.
Cos’è un patto? Un patto non è un contratto. Un contratto si stipula per un periodo di tempo limitato e per obiettivi specifici, tra due o più parti, ognuna delle quali ricerca il proprio vantaggio. Un patto viene invece stretto per un periodo di tempo indeterminato, tra due o più parti che si uniscono in un legame di lealtà e fiducia, per raggiungere un obiettivo difficilmente raggiungibile individualmente. Un contratto è come un accordo; un patto è come un matrimonio. I contratti riguardano il mercato e lo Stato, l’economia e la politica, rientrano nella sfera della competizione. I patti appartengono alle famiglie, alle comunità, agli istituti di carità, concernono pertanto la cooperazione. Un contratto si stipula tra me e te – entità separate – ma un patto riguarda noi, l’appartenenza alla collettività. Un contratto riguarda gli interessi, un patto l’identità. Da ciò deriva la fondamentale distinzione, non precisata a sufficienza nella politica europea, tra contratto sociale e patto sociale: un contratto sociale crea uno stato; un patto sociale crea una società.
(Applausi)
Può esistere una società senza Stato – è successo alcune volte nel corso della storia – ma è possibile che esista uno Stato senza società, senza nulla che funga da collante tra i cittadini? Non lo so. Gli individui possono essere uniti in numerosi modi: con la forza, con la paura, con l’oppressione delle differenze culturali, con un’aspettativa di conformità generale. Tuttavia, quando si sceglie di rispettare l’integrità di molte culture, quando si onora quella che io chiamo – come ci ha ricordato il presidente – la dignità della differenza, quando si onora quella, allora è necessario un patto per creare la società.
Il patto rinvigorisce il linguaggio della cooperazione in un mondo di competizione. Si concentra sulle responsabilità, non solo sui diritti. I diritti sono fondamentali, ma creano conflitti che essi stessi non possono risolvere: il diritto alla vita contro il diritto di scelta; il mio diritto alla libertà contro il tuo diritto al rispetto. I diritti senza le responsabilità possono essere assimilati ai mutui subprime del mondo morale.
(Vivi applausi)
Il patto ci porta a pensare alla reciprocità, comunica a ognuno di noi che dobbiamo rispettare gli altri se ci aspettiamo che essi rispettino noi; dobbiamo onorare la libertà altrui se vogliamo che la nostra sia onorata. L’Europa necessita di un nuovo patto ed è giunto il momento di cominciare.
(Applauso)
Dobbiamo iniziare ora, nel mezzo della crisi finanziaria e della recessione economica, perché soprattutto nei periodi di difficoltà gli uomini comprendono che condividiamo tutti lo stesso destino.
Il profeta Isaia aveva previsto un giorno in cui il leone e l’agnello sarebbero vissuti assieme. Non è ancora accaduto. Tuttavia esisteva uno zoo in cui un leone e un agnello vivevano nella stessa gabbia, e un visitatore chiese al responsabile dello zoo: “come ci riesce?”. Il responsabile rispose: “semplice, c’è bisogno di un nuovo agnello tutti i giorni!”.
(Si ride)
Eppure vi è stato un momento in cui il leone e l’agnello vissero assieme. Dove? Nell’Arca di Noè. E perché? Non perché si fosse realizzata un’utopia ma perché sapevano che altrimenti sarebbero annegati entrambi.
Amici, lo scorso giovedì – sei giorni fa – l’arcivescovo di Canterbury e io abbiamo guidato una missione dei capi religiosi di tutte le fedi in Gran Bretagna: la comunità musulmana, gli hindu, i sikh, i buddisti, i gianisti, gli zoroastriani e i baha’i; abbiamo viaggiato assieme e abbiamo trascorso un giorno ad Auschwitz. Lì abbiamo pianto e pregato assieme, nella consapevolezza di quanto accade se non si onora l’umanità di coloro che non sono come noi.
Dio ci ha donato molte lingue e molte culture, ma solo un mondo in cui vivere assieme, e questo mondo diventa sempre più piccolo, giorno dopo giorno. La mia speranza è che noi, i paesi e le culture d’Europa, in tutta la nostra gloriosa diversità, possiamo stringere un nuovo patto europeo di speranza.
(L'Assemblea, in piedi, applaude lungamente)
Presidente. − Sir Jonathan, a nome del Parlamento europeo, sono onorato di poterla ringraziare per il suo importante messaggio. Vorrei ringraziarla per il significativo contributo al dialogo interculturale.
Lei ha parlato del rispetto reciproco e dell’accettazione degli altri. Penso che questo sia quanto abbiamo imparato dalla nostra storia europea. Lei ha detto che quello che ci unisce è molto più grande di quello che ci divide. Questo è il principio – con cui lei ha concluso – del nostro impegno europeo per un’ Unione europea forte e democratica, fondata sulla dignità di ogni essere umano.
Sir Jonathan, grazie per il suo messaggio pregnante. Il mio miglior augurio a lei, alla religione che rappresenta e alla convivenza pacifica di tutte le religioni nel nostro continente e nel mondo. Grazie, Sir Jonathan.