Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, chiedo scusa, non avevo sentito. La premiazione è stata così commovente che siamo ancora tutti un po’ in soggezione dopo quanto abbiamo udito.
Accolgo con favore la relazione Turmes. Le fonti rinnovabili di energia sono, naturalmente, al centro dei nostri sforzi per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, tuttavia, in alcuni casi, come abbiamo scoperto, le soluzioni ai problemi portano con sé dei problemi nuovi. Questo è sicuramente ciò che è avvenuto nella discussione sull’alternativa tra produzione alimentare e produzione di energia. Dobbiamo identificare rigidi criteri di sostenibilità, e in tale contesto dobbiamo esaminare, in particolare, la produzione di legno e legname da costruzione – una vera e propria fonte rinnovabile.
Desidero esaminare assieme a voi, in un contesto più ampio possibile, un’efficace politica di utilizzo del territorio. E’ molto importante che qui, nell’Unione europea, si coniughino agricoltura ed energia alle preoccupazioni relative ai cambiamenti climatici. Ma dobbiamo anche fare altrettanto a livello globale. Tuttavia, accolgo con favore questa relazione e la sostengo.
Jim Allister (NI). - (EN) Signor Presidente, non è da me lasciarmi trascinare da un atteggiamento isterico rispetto all’energia e ai cambiamenti climatici, ma trovo che lo sviluppo delle fonti rinnovabili debba essere estremamente sensato. Nel contempo, bisogna che sia un’operazione economicamente sostenibile. In tal senso, non sono affatto convinto dalla corsa all’energia eolica con obiettivi irraggiungibili. Tuttavia, l’elemento che più apprezzo e più mi preme sottolineare di questa relazione riguarda la rinuncia all’agrocarburante, nonché la priorità alle acque di scarico, e non al cibo, in materia di biomasse. La trasformazione di rifiuti agricoli, domestici e industriali in energia mi è sempre sembrata la più sensata delle scelte in materia di fonti rinnovabili. Pertanto, lo sviluppo di energia di terza generazione dalle biomasse e dal biogas gode del mio totale appoggio.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Il pacchetto sul clima è un compromesso realistico, in sintonia sia con la mia visione della gestione sostenibile delle risorse del pianeta, che con il mio sostegno alla competitività e occupazione in Europa. Si tratta di un ulteriore, graduale passo in avanti – certamente non di un passo indietro. Non è nulla di rivoluzionario, ciononostante, costituisce un esempio per il resto del mondo. E’ con questa relazione che l’Europa di oggi, a dispetto della crisi che incalza, vota nuovamente per assumersi la responsabilità di come sarà il pianeta terra che lasceremo alle generazioni future. Concordo che dobbiamo allontanarci dai biocarburanti, un alternativa non ben studiata, e procedere verso politiche di utilizzo sostenibile dell’energia dai biogas e dalle biomasse, e che sia necessario stimolare l’innovazione nel campo delle tecnologie di conservazione, affinché possa essere il più possibile efficiente e della più elevata qualità. Le fonti delle biomasse dovrebbero comprendere principalmente gli effluenti, i rifiuti organici domestici e i residui agricoli, della pesca e del settore forestale. Dovremmo utilizzare il terreno degradato, nonché nuove materie prime non alimentari o non destinate alla produzione di mangimi, quali le alghe.
Oldřich Vlasák (PPE-DE). – (CS) Desidero illustrare perché ho dato il mio sostegno alla proposta legislativa nel quadro del pacchetto sul clima, ovvero le relazioni degli onorevoli Doyle, Davies, Hassi and Corbey. Tali proposte sono state oggetto di lunghe discussioni e negoziati tra il Consiglio, rappresentato dalla presidenza francese, e il Parlamento europeo, rappresentato dai relatori e relatori ombra della maggior parte dei gruppi politici. La proposta originaria, ad esempio, demoliva del tutto le industrie chimiche ceche ed europee. Un accordo è stato raggiunto la settimana scorsa, grazie a concessioni sia da parte degli Stati membri che degli eurodeputati. Sono stati stabiliti dei criteri chiari per i vari settori dell’industria e per un’introduzione graduale dei vari provvedimenti. In questo modo è stato possibile raggiungere un compromesso che preserva gli ambiziosi obiettivi originari di proteggere l’ambiente e, nel contempo, individua condizioni che non pongono limiti alle attività industriali e non sono ostili all’industria.
Gyula Hegyi (PSE). – (HU) Il motivo per cui ho votato per la versione di compromesso della relazione dell’onorevole Doyle è che essa introduce importanti lettere rettificative nella direttiva. Io stesso ho presentato la lettera rettificativa che darebbe quote a titolo gratuito per il teleriscaldamento, esentandolo così dalla tassa sul clima. Si tratta di un risultato importante, poiché sono soprattutto le famiglie a basso reddito quelle che fanno uso del teleriscaldamento, un sistema che è più ecologico della caldaia individuale. Sono inoltre lieto che la produzione di riscaldamento e di aria fredda da parte degli impianti di cogenerazione abbia anch’essa ottenuto delle quote a titolo gratuito. Ciò è indice di un atteggiamento ecologico. Esistono molte altre forme di attività che sono esentate dal pagamento della tassa sul clima sebbene non dovrebbero. Per quanto mi riguarda, avrei voluto una direttiva più segnatamente ambientalista, ma questo compromesso è meglio di nulla.
Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, anche io sostengo e accolgo con favore questa relazione, che perfeziona il sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra nella Comunità, e che affronta anche i timori relativi alla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, in particolare nel caso del mancato raggiungimento di un accordo a livello globale nel corso del 2009.
Ancora una volta, desidero sollevare la questione del settore forestale nel quadro dei cambiamenti climatici. Necessitiamo di una voce autorevole a livello europeo per affrontare la questione della deforestazione globale. Sono lieta del fatto che i fondi verranno indirizzati verso questo obiettivo, poiché attualmente la questione non viene affrontata: ne siamo tutti preoccupati, tuttavia manca un coordinamento per fronteggiare tale problematica. Sono stata in Brasile e so cosa avviene in questo e in altri paesi. Se non affronteremo il problema, tutti gli sforzi compiuti a livello europeo saranno stati in vano. <
Leopold Józef Rutowicz (UEN). – (PL) Signor Presidente, il documento sul sistema per lo scambio di quote di emissione di gas fornisce il supporto per i necessari provvedimenti tecnici che puntano, in definitiva, alla riduzione delle emissioni di gas serra.
Il sistema di scambio di quote proposto potrebbe incoraggiare le speculazioni, che potrebbero avere un impatto negativo sulle risorse accantonate per attività di tipo tecnico. Ad esempio, in Polonia, una lampadina a basso consumo costava circa 5 zloty. A seguito di una campagna per il risparmio energetico per incoraggiare i consumatori ad acquistare queste lampadine il costo è salito a circa 5 zloty. Ecco perché il sistema di scambio di quote di emissione deve essere istituito e monitorato in modo accurato. Non sostengo, pertanto, la direttiva nella forma attuale.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Sono favorevole alla progressiva eliminazione dei permessi gratuiti per l’emissione di gas serra per una vasta gamma di industrie. Mi rincresce che il Consiglio si sia opposto a destinare il ricavato della loro vendita al pagamento del riscaldamento domestico. Apprezzo il fatto che la presidenza francese sia riuscita a concludere un accordo tra Stati membri nuovi e vecchi e abbia fatto delle concessioni nell’anno di riferimento o fino al 2007. Sono stata lieta di sostenere un compromesso che consente il raggiungimento degli obiettivi del protocollo di Kyoto, pur tenendo conto della situazione economica. Desidero che sia messo a verbale che richiedo una correzione della votazione sulla risoluzione finale poiché, sebbene io abbia votato a favore della risoluzione, si è accesa per errore la luce rossa.
Bogdan Pęk (UEN). – (PL) Signor Presidente, ho votato contro questa direttiva poiché la ritengo uno dei grandi imbrogli della storia dell’umanità. Si tratta di una decisione che sconfina nel ridicolo, presa in base a dati del tutto falsificati, in assenza di un qualunque fondamento scientifico e che costerà almeno un miliardo di dollari per la sola Unione europea.
Invece di spendere denaro in modo stupido, se non persino idiota, si potrebbe integrarlo nella lotta vera e propria per il raggiungimento di un ambiente pulito e dignitoso, e di aria pulita e priva di tracce di polveri, nonché per l’eliminazione di gas velenosi e per garantire l’accesso a fonti d’acqua pulita – che scarseggia in Europa e diventerà sempre più scarsa in futuro. L’investimento di un miliardo di dollari nel progetto in discussione comporterà la riduzione della temperatura di 0,12 gradi e questo non avrà il benché minimo effetto sui cambiamenti climatici. Si tratta, dunque, di un progetto del tutto risibile, di cui il Parlamento dovrebbe vergognarsi.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, il sistema di scambio delle quote avrà un ruolo chiave nel ridurre le emissioni di biossido di carbonio. Si tratta tutt’ora di una questione particolarmente controversa nei nuovi Stati membri, compresa la Polonia, i quali ritengono che la base utilizzata per stabilire il risultato conseguito sia errata. In effetti, non conta solo l’indicatore del 20 per cento, ma anche l’anno di riferimento impiegato per la sua interpretazione. Nel pacchetto l’anno di riferimento scelto è il 2005, ma i paesi che si oppongono a tale scelta sostengono che l’anno di riferimento corretto dovrebbe essere il 1990.
Le emissioni di biossido di carbonio sono già state ridotte in modo considerevole in questi paesi a seguito dei mutamenti economici messi in atto. I provvedimenti intrapresi in questo periodo hanno richiesto uno sforzo significativo a fronte di costi economici ingenti. Pertanto, il pacchetto di soluzioni proposte è ancora ritenuto carente in fatto di obiettività; si ritiene che non riesca a tenere conto dei tagli precedenti e del potenziale economico dei singoli paesi, promuovendo nel contempo alcuni vecchi Stati membri dell’UE.
Daniel Caspary (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero fornire la seguente dichiarazione di voto a nome dei deputati del gruppo dell’Unione cristiano-democratica tedesca (CDU) del Land Baden-Württemberg. Siamo del tutto favorevoli agli sforzi per una riduzione significativa del contributo ai cambiamenti climatici presumibilmente operato dagli esseri umani. Tuttavia, non abbiamo sostenuto il compromesso sul sistema di scambio di quote di emissione negoziato dai capi di Stato e di governo nel corso del fine settimana.
E’ inaccettabile e antidemocratico che si legiferi in modo affrettato – poiché di questo si tratta –, mentre la procedura legislativa estremamente veloce, nonché il fatto che la documentazione del Consiglio sia stata presentata solo pochi giorni fa ci hanno impedito, a nostro parere, di legiferare in modo adeguato, poiché non abbiamo potuto esaminare e valutare adeguatamente tale documentazione.
Tutto ciò è tanto più inaccettabile se consideriamo che questo provvedimento impone un onere finanziario particolarmente elevato per i cittadini europei. In base a diversi studi, l’azione del clima e il pacchetto per l’energia rinnovabile costa all’economia europea e ai cittadini UE dai 70 ai 100 miliardi di euro, ed esiste la reale minaccia che intere industrie si spostino in altre parti del mondo mediante la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Non possiamo accettare che un provvedimento di tale portata sia approvato con una procedura rapida. Le proposte legislative importanti come questa debbono essere sviluppate nel corso di un iter prestabilito e con diverse letture.
Péter Olajos (PPE-DE). – (HU) Ho votato a sostegno del pacchetto sul clima, sebbene sia difficile vederlo sotto una luce interamente positiva. Senza dubbio si tratta di un provvedimento d’avanguardia, che colma un vuoto e non ha precedenti nel resto del mondo. Tuttavia, gli obiettivi in esso indicati non rispecchiano quelli delineati dai nostri scienziati per poter arrestare i cambiamenti climatici – la più grande sfida posta di fronte l’umanità. Compito dell’Europa è la costruzione di un modello socioeconomico che produce basse emissioni di biossido di carbonio, poiché l’Europa è tra le aree del mondo con il maggiore potenziale per lo sviluppo delle tecnologie necessarie. Tuttavia, ciò richiede fondi e provvedimenti vincolanti. Con questa decisione, buona parte dei fondi sarà diretta al di fuori dell’Unione europea sotto forma di meccanismi di sviluppo pulito, mentre la nostra legislazione prevede troppe eccezioni, troppi meccanismi flessibili e troppo poche costrizioni. Nel complesso, si può dire che, data la consapevolezza della nostra responsabilità e della vastità del compito di fronte a noi, ci stiamo muovendo nella direzione giusta, ma a un ritmo insufficientemente rapido. Pertanto, il mio voto favorevole è in risposta all’aver imboccato la direzione giusta e non significa che ritenga adeguata la velocità dei nostri progressi.
Gyula Hegyi (PSE). – (HU) Il problema principale di questo provvedimento è che alcuni Stati dell’Europa centro-orientale hanno precedentemente ridotto in modo significativo le loro emissioni di gas serra, verso la fine degli anni ’80. Alcuni paesi dell’Europa occidentale, hanno invece incrementato tali emissioni sino ai primi anni del nuovo millennio. E’ per tale motivo che abbiamo richiesto un trattamento adeguato e il riconoscimento degli sforzi messi in atto in precedenza. Abbiamo ottenuto qualcosa, ma bisogna comprendere che il quadro climatico complessivo dell’Unione europea sarebbe molto più fosco senza lo sforzo compiuto dai nuovi Stati membri. Sarebbe dunque importante che i vecchi Stati membri partecipassero al sistema di scambio di quote di emissione. Innanzi tutto, dovrebbero trasferire parte delle loro industrie nei paesi meno sviluppati dell’UE, o acquistare da loro delle quote. Abbiamo accettato il compromesso negli interessi della tutela del clima, in modo da adottare un’impostazione comune nell’Unione europea. Allo stesso tempo, comprendo i timori degli ambientalisti e mi auguro che più avanti saremo in grado di rendere più rigorosa tale legislazione.
Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, come sappiamo, solo metà delle emissioni di biossido di carbonio rientrano nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissione. Ho voluto sostenere questa relazione perché altri settori devono essere coinvolti e condividere gli sforzi necessari. Desidero soffermarmi in particolare sull’agricoltura, settore caratterizzato da numerosi problemi. Tuttavia, credo si debba rammentare che l’agricoltura si occupa della produzione alimentare e dobbiamo tenerne conto nel formulare delle richieste a tale settore.
Credo, inoltre, che gli agricoltori debbano essere coinvolti nel processo di comunicazione, poiché viene loro chiesto di attuare dei cambiamenti a livello di sistema senza, tuttavia, fornire loro le informazioni necessaria e una guida. Serve maggiore attività di ricerca – ora in atto negli Stati membri – su come ridurre le emissioni nell’agricoltura con la collaborazione degli agricoltori. Desidero, tuttavia, lanciare il seguente monito: qualunque strada si scelga nell’Unione europea, questa non deve condurre a una riduzione della nostra produzione alimentare, poiché il vuoto così creato verrebbe colmato da importazioni di prodotti alimentari, il cui contributo in termini di emissioni esula dal nostro controllo.
Syed Kamall (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, credo che tutti noi in questa Assemblea concordiamo sulla necessità di ridurre i gas nocivi, sia che crediamo al concetto di surriscaldamento globale e alla conseguente minaccia per la terra, sia che desideriamo semplicemente ridurre l’inquinamento.
Ricordiamoci, tuttavia, che dodici volte l’anno spostiamo quest’Assemblea da Bruxelles a Strasburgo, per non parlare degli edifici aggiuntivi a Lussemburgo. Ciò non solo costa ai contribuenti europei 200 milioni di euro all’anno, ma comporta anche l’emissione di 192 000 tonnellate di biossido di carbonio – l’equivalente di 49 000 mongolfiere. E’ davvero ora che il Parlamento europeo ponga fine alle chiacchiere e assuma l’iniziativa, interrompendo la farsa che va in scena a Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo. Poniamo fine all’ipocrisia.
Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, sono favorevole a questa relazione, sebbene forse nutriamo in proposito delle perplessità, poiché non si prospetta una vera e propria soluzione. Si tratta, infatti, di un provvedimento temporaneo, ancorché non vi siano altre opzioni allo sviluppo dello stoccaggio di biossido di carbonio, dato che continueremo a produrre biossido di carbonio in futuro.
Ciò che avverrà in seguito dipende da quanto investiremo in ulteriori ricerche nel settore. Comprendo che si creda che con la crisi economica gli investimenti nel settore dell’energia e dei cambiamenti climatici produrranno dividendi, risultati e posti di lavoro. E’ qui che ritengo ci si debba soffermare. Pertanto, sebbene non si tratti di una soluzione interamente ecologica, credo che faccia parte della soluzione al problema.
Leopold Józef Rutowicz (UEN). – (PL) Signor Presidente, da un punto di vista tecnico, lo stoccaggio geologico di biossido di carbonio e la sua cattura presentano senza dubbio una sfida interessante.
Tuttavia, tale successo tecnologico avverrà a un costo molto elevato e con l’impiego di grandi quantitativi di energia. Attualmente, sebbene le aziende versino in una situazione difficile a causa della crisi, sembra che tutte le nostre risorse debbano essere concentrate sul risparmio energetico e sulla costruzione di centrali elettriche ecologiche, che invece di stoccare il carbonio, ridurranno in modo rilevante le emissioni di biossido di carbonio, senza incorrere in ulteriori spese. Questo genere di tecnologia è già stato sperimentato e testato in Europa. In vista dell’attuale situazione, non sono favorevole all’utilizzo di fondi per lo stoccaggio geologico del carbonio.
Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, sarò breve e coglierò quest’opportunità per spiegare che il motivo per cui faccio una dichiarazione di voto in merito a queste relazioni è che molti di noi in Aula hanno avuto negata la possibilità di esprimersi relativamente al pacchetto su cambiamenti climatici ed energia. L’unico modo per essere ascoltati dal Parlamento era dunque restare qui e fare una dichiarazione di voto. Pertanto, invoco la sua indulgenza a riguardo.
Desidero attenermi ai tempi previsti per il mio intervento sull’argomento in questione. Sappiamo di dover ridurre le emissioni provenienti dal settore dei trasporti. Credo che molto sia già stato fatto, poiché l’opinione pubblica è sempre più sensibile a questa tematica. Gli incentivi per incoraggiare un utilizzo più efficiente del carburante e le minori emissioni dai trasporti stradali comprendono il “disincentivo” di imposte maggiori per le automobili con emissioni più elevate e minore efficienza. Tali provvedimenti sono già in atto in alcuni Stati membri. Forse questa è la strada giusta per il successo.
Leopold Józef Rutowicz (UEN). – (PL) Signor Presidente, la relazione dell’onorevole Corbey relativa all’introduzione di un meccanismo per il monitoraggio e la riduzione delle emissioni di gas serra è un passo importante nello sviluppo di una politica per il contenimento dell’effetto serra. Questi gas provocano danni maggiori nelle grandi aree urbane in cui vive l’80 per cento della popolazione.
Una soluzione potrebbe essere l’utilizzo di forme di trasporto ecologico, ossia i veicoli elettrici, a idrogeno o ibridi. Il settore dell’automobile, che attualmente attraversa un periodo difficile, dovrebbe ricevere degli aiuti per intraprendere la produzione di massa di tali veicoli. Una tale soluzione ridurrebbe drasticamente le emissioni di carbonio.
Mairead McGuinness (PPE-DE). - Signor Presidente, sappiamo che il trasporto su strada contribuisce alle emissioni di biossido di carbonio nella misura del 12 per cento. Pertanto, sono favorevole a questa relazione che affronta in modo chiaro la questione.
Desidero ribadire che, pur sostenendo questo pacchetto per l’energia e i cambiamenti climatici nel suo complesso,, credo che la sua adozione in un’unica lettura debba essere considerata un episodio eccezionale.
Numerosi sono i particolari che avremmo dovuto discutere in maniera più approfondita, all’interno della commissione, nei gruppi e in Parlamento. Avrei certamente preferito che andasse così.
Tuttavia, comprendo che il tempo sia essenziale e che dobbiamo scolpire nella roccia la posizione dell’Unione europea per il 2009. Tuttavia, dobbiamo concordare che, dal punto di vista della procedura, non è stata seguita la strada migliore, anche se da un punto di vista pratico non avevamo molte altre scelte. Speriamo che funzioni.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Ho sostenuto il provvedimento sulle emissioni di biossido di carbonio da parte dei veicoli nella versione risultante dai complessi negoziati del dialogo a tre. Mediante i progressi nelle tecnologie di produzione dei motori e con pneumatici, fari e design ecologici, si potranno ridurre le emissioni dall’attuale livello di 160 grammi di biossido di carbonio a 130 grammi al kilometro. Il provvedimento consente variazioni minime per produttori di veicoli di piccole dimensioni nel quadro degli obiettivi prefissati. Contemporaneamente, il Parlamento insiste sulla rigorosa applicazione di sanzioni per le violazioni delle regole comuni che sono state concordate. Consentitemi di dire che concordo con l’onorevole Kamall. E’ un peccato che gli Stati membri rifiutino di porre fine definitivamente ai regolari spostamenti, superflui ed ecologicamente nocivi, del Parlamento europeo da Bruxelles a Strasburgo, che avvengono 12 volte l’anno.
Albert Deß (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, anch’io sostengo la produzione di automobili che utilizzino sempre meno carburante. Sono, inoltre, favorevole all’istituzione di limiti ai consumi, purché si tratti di limiti ragionevoli. Mi sono astenuta dalla votazione di questa relazione poiché non credo che sia giusto imporre sanzioni fino a 475 euro per ogni tonnellata di biossido di carbonio che eccede i livelli eccessivamente bassi previsti.
Esistono numerose possibilità di risparmio a costi significativamente inferiori. Si tratta di un caso di discriminazione unilaterale nei confronti delle automobile di alta qualità, in particolare quelle prodotte nel mio Land, la Baviera. Il biossido di carbonio può essere risparmiato in modo molto più economico con l’isolamento termico degli edifici. Ho provveduto all’isolamento termico totale della mia abitazione, risparmiando così 7 000 litri di olio combustibile all’anno – non è possibile realizzare un risparmio analogo con le automobili. Dovremmo cambiare rotta, ed è per questo che mi sono astenuto.
- Raccomandazione per la seconda lettura: Alejandro Cercas (A6-0440/2008)
Hubert Pirker (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, trovo particolarmente increscioso che, nonostante l’ampio sostegno da parte dei deputati del mio gruppo, la mia proposta d’iniziativa a favore del mantenimento della domenica quale giornata festiva non sia stata inclusa nelle votazioni del Parlamento. L’Europa è fondata su valori cristiani: la tutela della famiglia ci è particolarmente cara e la domenica è un giorno particolare per poter mettere in pratica tali valori. Questa direttiva forniva un’occasione estremamente appropriata per consolidare la domenica quale giornata festiva in tutta Europa. Pertanto, trovo questa situazione davvero deplorevole.
In secondo luogo, desidero dichiarare che ho respinto le posizioni del Consiglio in merito alla direttiva sull’orario di lavoro, poiché prevedevano l’estensione dell’orario di lavoro e l’equiparazione del servizio di guardia all’orario di lavoro. Inoltre, le regole europee venivano sovvertite da numerose clausole di non partecipazione. Sono lieto che il Parlamento sia riuscito a ottenere i negoziati con il Consiglio.
Kristian Vigenin (PSE). – (BG) Desidero esprimere la mia soddisfazione per il fatto che il Parlamento europeo stia votando per escludere la clausola di non partecipazione, che concede agli Stati membri delle deroghe a propria discrezione rispetto alla settimana lavorativa di 48 ore.
La clausola di non partecipazione è dannosa per dipendenti e lavoratori in generale, e spiana la strada al trattamento antisindacale, allo sfruttamento e agli abusi nei confronti della salute dei lavoratori. Siamo membri di un’Unione e le regole devono essere applicate in modo uguale a ciascuno. Non possiamo incrementare la competitività a scapito della salute e della vita stessa dei lavoratori. Il Parlamento deve inviare un segnale molto chiaro al Consiglio, indicando le istanze dei cittadini europei.
Tuttavia, ho anche sostenuto la proposta del Consiglio relativa al periodo attivo e a quello inattivo del servizio di guardia. Le situazioni specifiche differiscono da un paese all’altro. Ciò significa che l’attuazione delle misure adottate oggi dal Parlamento europeo causerebbero al mio paese delle difficoltà notevoli, coinvolgendo anche gli operatori del settore sanitario. Il problema potrebbe poi estendersi, andando a incidere su interi settori. Ecco perché auspico che il Comitato di conciliazione possa raggiungere un compromesso appropriato.
Desidero concludere invitando i governi europei, specie quelli dei paesi dell’Europa centro-orientale, a inasprire i controlli relativi all’adeguamento alle disposizioni di legge in ambito sindacale. In ultima analisi, non è un segreto che oggigiorno centinaia di migliaia di europei lavorano in condizioni degradanti e per periodi molto più estesi di quanto sia stabilito nei provvedimenti legislativi relativi all’orario di lavoro.
Aurelio Juri (PSE). - (SL) Grazie di avermi concesso di prendere la parola. Non molti tra voi mi conoscono, poiché sono entrato in Parlamento a novembre e oggi è la prima volta che mi rivolgo a questa Assemblea. Ho chiesto di poter prendere la parola per potervi salutare e dire che sono molto lieto di lavorare assieme a voi e, soprattutto, di dare il benvenuto a quanto abbiamo compiuto quest’oggi con il voto sulla relazione dell’onorevole Cercas.
Abbiamo difeso la dignità dei lavoratori, abbiamo difeso un’Europa che si impegna nel sociale e nella solidarietà. Come dicono i sindacati, dobbiamo adattare il lavoro agli esseri umani e non viceversa. Per quanto concerne il numero di ore lavorative oggi siamo riusciti a farlo.
Pertanto, ringrazio il relatore, l’onorevole Cercas, e tutti voi per il vostro voto. Vi ringrazio anche a nome dei lavoratori sloveni. Grazie ancora.
Simon Busuttil (PPE-DE). – (MT) Ho votato a favore del mantenimento delle clausole di non partecipazione e, pertanto, non sono né lieto né soddisfatto dell’esito della votazione odierna. Confesso che non posso accettare l’accusa secondo cui chi è a favore del mantenimento delle clausole di non partecipazione opera una discriminazione nei confronti dei lavoratori, oppure porta avanti un programma antisociale. Non ha alcun senso. Perché dobbiamo essere considerati nemici dei lavoratori quando crediamo nel diritto dei lavoratori di decidere quante ore desiderano lavorare? Perché dobbiamo essere considerati nemici dei lavoratori solo perché vogliamo concedere a chi desidera lavorare di più la possibilità di farlo? Alcuni lavoratori hanno bisogno di lavorare di più per aumentare le proprie entrate, in modo da poter pagare, per esempio, la rata del proprio mutuo. Grazie all’esito della votazione odierna non potranno farlo. Ho votato a favore del mantenimento delle clausole di non partecipazione perché credo sia giusto permetter ai lavoratori di decidere in libertà.
Zita Pleštinská (PPE-DE). – (SK) Ho votato a favore della posizione comune del Consiglio in merito alle due direttive – quella sull’orario di lavoro e quella sul lavoro interinale – perché il compromesso raggiunto consente una maggiore flessibilità del mercato del lavoro.
In base alle clausole di non partecipazione, i singoli Stati membri dell’Unione europea potrebbero consentire ai dipendenti nel loro territorio un orario di lavoro superiore alle 48 ore settimanali con il consenso dei lavoratori. In base al compromesso, l’orario prolungato potrebbe giungere sino a un massimo di 60 o 65 ore settimanali, compatibilmente con i termini stabiliti.
La votazione odierna sulla posizione di compromesso del Consiglio è l’esito di cinque anni di tentativi da parte degli Stati membri di raggiungere un compromesso. Lavorare nel Parlamento europeo mi ha insegnato quanto sia difficile raggiungere un compromesso e pertanto mi rincresce che il Parlamento abbia respinto la posizione di compromesso del Consiglio.
Antonio Masip Hidalgo (PSE). – (ES) Signor Presidente, oggi è stata una giornata molto emozionante a causa del premio Sakharov e anche, per quanto mi riguarda, per la presenza in tribuna del presidente della Repubblica araba sahraui indipendente, che lotta per l’autodeterminazione – la giusta autodeterminazione del suo popolo.
Inoltre, si tratta di una giornata storica perché questo Parlamento si è schierato dalla parte del suo popolo sovrano, il popolo che ci ha eletto in questa Assemblea.
Mi congratulo con il collega, l’onorevole Cercas, per la sua relazione. Ha lottato duramente per anni per raggiungere questa posizione, che è importante dal punto di vista politico e sociale nonché per i sindacati di tutti i lavoratori europei. Esorto tutti i governi che non l’abbiano ancora fatto, nonché la Commissione, a unirsi a noi nell’ascolto della voce dei popoli europei, così come il Parlamento ha fatto in questa occasione.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Oggi non ho votato a favore della proposta per la modifica degli orari di lavoro avanzata sia dal Consiglio che dalla nostra commissione. E’ fondamentale che la direttiva sia nuovamente discussa con calma all’interno del Consiglio. Da un canto, dobbiamo consentire la flessibilità negli accordi sull’orario di lavoro, in particolare per i dipendenti di piccole e medie imprese, e difendere la domenica quale giorno di riposo. Dall’altro, è essenziale modificare il regime del servizio di guardia in considerazione della natura estremamente variegata dei servizi coinvolti. Sebbene la clausola di non partecipazione sia sfortunatamente stata respinta dai parlamentari europei come soluzione – mentre sarebbe stata appropriata per servizi come quelli di facchini, pompieri e simili – sarà necessario individuare soluzioni specifiche e diversificate per i medici, in modo da tenere in considerazione la sicurezza dei pazienti. Un’alternativa potrebbe essere l’esclusione del settore sanitario dal campo di applicazione di questa direttiva, poiché l’organizzazione della sanità è stata molto saggiamente esclusa dalle politiche di competenza dell’Unione europea.
Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, credo che il risultato di questa votazione sia il migliore possibile, poiché consente di riflettere ulteriormente su un argomento molto difficile in merito al quale esistono molti punti di vista differenti. A nome dei membri del Fine Gael del gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani) e dei Democratici europei, abbiamo sostenuto l’emendamento n. 9 e ci siamo astenuti sulle clausole di non partecipazione, poiché l’Irlanda non utilizza questo strumento e non intende farlo.
Sulla questione della domenica e del giorno festivo, guardo con grande nostalgia a quei tempi e pertanto sostengo l’idea, principalmente per stimolare la discussione. So che la votazione ha avuto un altro esito, ma forse potremmo riflettere sulla necessità di una tregua.
Desidero rettificare le mie votazioni relative agli emendamenti n. 13 e n. 14. Doveva esserci un meno e non un più.
Posso suggerire ai miei onorevoli colleghi di seguire le stesse regole che stiamo imponendo agli altri? Non abbiamo nessuna considerazione per la vita familiare e per gli orari di lavoro. Lavoriamo senza tregua, e non sono certa che ciò sia sempre molto efficace. Pur tuttavia, lavoriamo senza sosta notte e giorno. Se intendiamo imporre delle regole agli altri forse dovremmo seguirle noi per primi.
Kathy Sinnott (IND/DEM). - Signor Presidente, avrei voluto votare come i medici tirocinanti europei relativamente al periodo inattivo del servizio di guardia.
Tuttavia, ho dovuto astenermi. Sono molto consapevole dell’effetto che la classificazione delle ore di servizio di guardia come orario di lavoro avrà sui servizi, in particolare per quanto concerne i servizi di assistenza agli anziani, ai disabili, ai bambini e ad altri gruppi di persone vulnerabili.
L’effetto su alcuni servizi, specie in un periodo contrassegnato da restrizioni di bilancio, sarà di raddoppiare i costi e dunque dimezzare i servizi erogati, rendendo impossibile la fornitura di nuovi servizi. Pensiamo, ad esempio, agli operatori delle case-famiglia o dei centri di recupero, oppure alla sospensione del servizio nel fine settimana per le badanti. Considerando principalmente i medici, i quali hanno un valido motivo per protestare, abbiamo trascurato quelle situazioni in cui la continuità del personale – come nel caso degli operatori delle comunità per bambini – è il fattore più importante. Dobbiamo trovare il modo di tutelare i lavoratori e anche i più vulnerabili.
Zsolt László Becsey (PPE-DE). – (HU) Sono molto turbato dal fatto che alla seconda lettura non siamo stati in grado di accettare la posizione del Consiglio. Il motivo è che dobbiamo essere favorevoli alla competitività. Non stiamo parlando di schiavismo; anche se lo volessero, i lavoratori non potrebbero lavorare per più di 60-65 ore alla settimana. Invece, abbiamo scelto la strada della totale assenza di flessibilità, con un tempo compensativo di riposo immediatamente esigibile , che pone i datori di lavoro stagionale in una posizione assolutamente insostenibile. Desidero attirare l’attenzione dei miei onorevoli colleghi sul fatto che una persona che venga assunta da un datore di lavoro con la possibilità di scegliere le condizioni in cui egli o ella lavorerà si trova in una situazione di gran lunga migliore del dipendente altamente tutelato senza lavoro. Per tale ragione sono profondamente deluso dalle clausole di non-partecipazione. Quanto al servizio di guardia, alla fine, ho votato a favore dell’emendamento n. 9, poiché era evidente che si andava nella direzione di una riconciliazione, in particolare perché la questione può essere disciplinata a livello nazionale sulle basi dell’emendamento.
Frank Vanhecke (NI). - (NL) Signor Presidente, per quanto mi riguarda, è da diverso tempo che sostengo che l’Europa non deve condurre a una tediosa uniformità, e che anche in questo Parlamento dovremmo incominciare ad accettare che non tutto deve essere regolamentato a livello europeo. Inoltre, esistono regole e usanze locali e nazionali che faremmo bene a rispettare, non da ultime quelle relative alla protezione dei dipendenti, alle normative sulla salute e la sicurezza sul lavoro e allo stesso orario di lavoro.
Ciò che conta, per quanto mi riguarda, è che gli Stati membri debbano poter decidere e che, a mio parere, il diritto del lavoro in tutte le sue sfaccettature resti appannaggio esclusivo degli Stati membri. La Commissione e la Corte di giustizia europea farebbero bene a non occuparsene. La sussidiarietà è proprio questo e tutti noi la sosteniamo, non è così?
Alla luce di queste considerazioni, sono fermamente contrario all’abolizione delle clausole di non partecipazione e, a mio avviso, spetta agli Stati membri, e anche agli Stati federali all’interno degli Stati membri, stabilire in autonomia se la gente possa lavorare di domenica.
Daniel Hannan (NI). - (EN) Signor Presidente, l’autore di questa relazione, l’onorevole Cercas, è il socialista più accattivante e intelligente che si possa incontrare, e ravviso una buona dose di razionalità nelle sue considerazioni sull’asimmetria causata da alcune deroghe e clausole di non partecipazione. In un mondo perfetto, nessun paese al mondo ordinerebbe ai propri lavoratori di fermarsi a partire da un numero di ore stabilito in modo arbitrario. E’ una cosa moralmente sbagliata. Se io volessi lavorare per lei, signor Presidente, e lei volesse darmi un posto di lavoro, ed entrambi fossimo soddisfatti delle condizioni dei nostri rispettivi contratti, né il governo, né l’Unione europea dovrebbero avere il diritto di porsi tra noi e dichiarare l’illegalità di tali contratti. Al di là degli argomenti etici, tuttavia, è anche economicamente irrazionale, in un momento come quello attuale, imporre costi aggiuntivi alle economie europee. Pur tuttavia, sono un souverainiste, e se altri paesi desiderano imporre tali restrizioni ai loro popoli, che sono anche i loro elettori, lascio che siano liberi di poterlo fare. Ciò che trovo indegno è che le istituzioni comunitarie impongano tali regole al Regno Unito, sia per mezzo di direttive come questa, sia con l’attivismo giudiziario inaugurato dalla Carta dei diritti fondamentali. Se questo è ciò che si vuole fare, dovremmo tenere un referendum. Pactio Olisipiensis censenda est!
Syed Kamall (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, lei sa che i socialisti ritengono di poter parlare a nome dei lavoratori e delle lavoratrici, ma esiste un detto riferito ai politici socialisti. La maggior parte di essi sono intellettuali borghesi, e gli altri hanno dimenticato la loro provenienza.
Mi consenta di narrare una storia. Mio padre era un conducente d’autobus e ogni volta che c’era una bolletta imprevista o che io dovevo andare in gita scolastica, mio padre faceva qualche ora di straordinario in modo da poter affrontare il pagamento imprevisto o da potermi mandare in gita.
Se la direttiva sull’orario di lavoro fosse esistita, tutto ciò sarebbe stato impossibile. Nessuno deve essere costretto a fare straordinari contro la propria volontà. Credo che siamo tutti d’accordo su questo, qualunque sia il nostro colore politico. Ma se consideriamo gli effetti della votazione odierna, si tratta di un calcio in faccia a quei lavoratori e lavoratrici che desiderano lavorare qualche ora in più per garantire una vita migliore ai propri familiari. Vergogna ai socialisti.
Siiri Oviir (ALDE). - (ET) Desidero fare una dichiarazione rispetto al mio voto sulla direttiva relativa all’orario di lavoro. Si è verificato un malfunzionamento del mio dispositivo di voto nel corso delle votazioni sui progetti di emendamento n. 34 e n. 35. Ho votato a favore di tali proposte ma il dispositivo ha attivato la luce rossa.
Continuo a essere del parere che il servizio di guardia, compresi alcuni periodi inattivi, faccia parte dell’orario di lavoro.
Perché lo credo? Non dipende dal dottore o dal pompiere (che devono recarsi sul luogo di lavoro presso il proprio datore di lavoro, il quale richiede espressamente la fornitura di un servizio), se un paziente avrà bisogno del medico, oppure se scoppia un incendio. Non dipende da loro. Essi si trovano sul luogo di lavoro, si tratta del loro orario di lavoro, e chiedo che il mio voto venga rettificato nel processo verbale.
Mairead McGuinness (PPE-DE). - (EN) Signor Presidente, questa è un’eccellente relazione e dobbiamo guardare alla sicurezza stradale nella sua dimensione transfrontaliera. Tuttavia, desidero impiegare i 90 secondi che mi sono concessi per sollevare una questione molto seria.
Esistono siti web che reclamizzano la vendita di patenti di guida, indicando che si tratta di un’attività non illegale, sebbene non propriamente onesta. Ciò è possibile perché esistono più di 100 diverse tipologie di patenti di guida nell’Unione europea e il coordinamento tra le autorità che le rilasciano è carente. Esiste dunque la possibilità che qualcuno che non ha la patente di guida, che non ha superato l’esame di guida o che ha perso la patente possa ottenere una patente di guida con tale discutibile sistema. Nella migliore delle ipotesi, si tratta di una truffa a scopo di lucro, un modo per consentire di guidare a gente che non dovrebbe essere alla guida di un veicolo. Ho sollevato la questione presso la Commissione e il Consiglio. E’ necessaria un’azione a livello europeo.
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, dichiaro il mio voto favorevole alla direttiva sulla promozione all'uso di energia da fonti rinnovabili, il cui testo è stato coordinato dal collega Claude Turmes.
Questa direttiva è un'occasione fondamentale per il futuro dell'Unione europea in quanto rappresenta l'ingresso verso la terza rivoluzione industriale e un'opportunità per creare milioni di posti di lavoro, concretizzando la salvaguardia dell'ambiente e al tempo stesso promuovendo la crescita economica e competitività. Per quanto riguarda i biocarburanti, mi auguro che la Commissione sia in grado di far rispettare i criteri di sostenibilità in Europa e nel resto nel mondo, favorendo il commercio internazionale dei biocarburanti più puliti e competitivi.
Adam Bielan (UEN), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Turmes. Uno degli obiettivi dell’Unione europea in termini di energie rinnovabili è costituito dalla rinascita delle città dell’Europa centro-orientale aumentandone l’efficienza energetica. E’ importante non solo per il settore energetico, ma anche per motivi ambientali, nonché per modernizzare i trasporti pubblici e gli impianti di riscaldamento locali adottando fonti di energia alternative.
Inoltre, istituzioni e imprese possono ricevere a tale scopo ampi finanziamenti dal bilancio europeo. Ad esempio, più di 720 milioni di euro sono stati assegnati al programma "Energia intelligente", che promuove la diversificazione energetica e l’utilizzo dell’energia rinnovabile.
Šarūnas Birutis (ALDE), per iscritto. – (LT) I combustibili fossili costituiscono da molto tempo la linfa vitale della società. Sappiamo che la modernizzazione non sarebbe possibile senza abbondanti riserve di petrolio, carbone e gas a basso costo. Tuttavia, i tempi stanno per cambiare. Per garantire la sicurezza energetica e salvaguardare l’economia, ma soprattutto per contrastare i cambiamenti climatici, dobbiamo cambiare in modo radicale i nostri sistemi di trasporti.
Per molti anni i cambiamenti climatici sono stati considerati il tema più importante in materia d’ambiente. Tuttavia, oggi, viene comunemente accettato che gli effetti dei cambiamenti climatici influiscono su tutti i settori della società. Se non riusciamo a risolvere la questione presto le conseguenze per la società potrebbero essere disastrose.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) L’utilizzo di energie rinnovabili nei trasporti è uno degli strumenti più efficaci con cui l’Unione europea può ridurre la propria dipendenza dal petrolio. Inoltre, sappiamo che il controllo dei consumi energetici e l’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili a livello europeo costituiscono una parte importante del pacchetto di provvedimenti necessari per contrastare i cambiamenti climatici.
Il punto più importante di questa relazione, a mio parere, è il mantenimento dell’obiettivo vincolante di raggiungere il 20 per cento di energia da fonti rinnovabili entro il 2020, compreso l’obiettivo minimo del 10 per cento di energia da fonti rinnovabili nei trasporti.
Per il Portogallo, l’inclusione dell’energia del moto ondoso nella definizione di fonti rinnovabili fornisce l’opportunità di utilizzare il nostro potenziale energetico per il raggiungimento degli obiettivi. Il fatto che la relazione preveda incentivi per i biocarburanti di seconda generazione non solo conferisce credibilità al documento, ma garantisce anche la sostenibilità nell’utilizzo dell’energia rinnovabile nel settore dei trasporti. Ritengo sia fondamentale che il documento incoraggi meccanismi di cooperazione strategica tra gli Stati membri al fine di pervenire a un modello energetico che sostenga le energie rinnovabili.
La stessa relazione risulta essenziale quale parte di un accordo (clima e pacchetto energetico). Oltre a garantire la tutela dell’integrità dell’ambiente, l’accordo consentirà il conseguimento degli obiettivi 20-20-20 entro il 2020. Gli obiettivi previsti per gli Stati membri sono ambiziosi ma fattibili.
Avril Doyle (PPE-DE), per iscritto. − L’onorevole Turmes propone un’importante normativa per la fondamentale promozione dell’utilizzo di energia tratta da fonti rinnovabili. Nell’ambito dell’ampio pacchetto su cambiamenti climatici ed energia, entro il 2020 l’energia da fonti rinnovabili contribuirà nella misura del 20 per cento alla produzione energetica (comprese elettricità, riscaldamento e trasporti). Tutto ciò, assieme agli altri provvedimenti del pacchetto costituisce un’ottima base di partenza per la lotta ai cambiamenti climatici, dando così nuovo impulso agli investimenti nell’approvvigionamento e nelle fonti rinnovabili, ponendo nuovamente in evidenza la direzione in cui devono procedere ricerca e sviluppo, e fornendo un mezzo per il raggiungimento della sicurezza e dell’indipendenza energetica.
Negli Stati membri, gli obiettivi vincolanti garantiranno il raggiungimento degli obiettivi nell’intera Unione europea. L’unione di cooperazione, solidarietà e innovazione garantirà il conseguimento di obiettivi che non possiamo più permetterci di mancare.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La questione rientra nel pacchetto su clima ed energia e riguarda la promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili nei seguenti settori: elettricità, riscaldamento e raffreddamento, e trasporti. L’obiettivo è che l’Europa porti al 20 per cento la quota di energie rinnovabili sui consumi energetici totali entro il 2020. Obiettivi complessivi nazionali sono previsti per ciascun Stato membro, ed è anche previsto il raggiungimento di una quota pari al 10 per cento di energie rinnovabili nel settore dei trasporti entro la stessa data.
In base ai dati pubblicati, l’obiettivo del Portogallo per quanto concerne la propria quota di energia ricavata da fonti rinnovabili nel quadro dei consumi energetici complessivi nel 2020 è pari al 31 per cento, tenuto conto del punto di partenza di questo paese (nel 2005 in Portogallo tale quota era già del 20,5 per cento), nonché del potenziale nazionale nel settore delle energie rinnovabili. Invece, l’obiettivo del 10 per cento di energie rinnovabili nei trasporti è uguale a quello previsto per tutti gli altri Stati membri.
Sebbene abbiamo votato a favore nella votazione finale, la verità è che nutriamo delle serie perplessità rispetto al raggiungimento di tali obiettivi. Infatti è errato partire dal presupposto che comprendiamo appieno la portata delle fonti rinnovabili utilizzabili, come anche dare per scontato che disponiamo delle tecnologie necessarie per il loro sfruttamento. Sarebbe stato preferibile fissare l’ammontare degli investimenti pubblici e privati nel settore e promuovere un programma generale per il monitoraggio e la mappatura al fine di quantificare e classificare le fonti di energia rinnovabili.
Glyn Ford (PSE), per iscritto. − Accolgo con favore la relazione dell’onorevole Turmes sull’energia prodotta con fonti rinnovabili. Tuttavia, mi rendo conto che sarà difficile raggiungere gli obiettivi previsti. Nella mia regione, nel sudovest dell’Inghilterra, il nostro principale contributo al raggiungimento di tali obiettivi consisterà in una qualche versione dell’idea di costruire una diga di sbarramento del fiume Severn. Il progetto avrà dei tempi di realizzazione lunghi ed è pertanto essenziale che il governo britannico richieda delle concessioni che prendano atto delle conseguenze dei progetti in fase di realizzazione e che la Commissione le accordi.
Mathieu Grosch (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Ho votato a favore della relazione sulle azioni per il clima e per il pacchetto sulle energie rinnovabili poiché comprendono diverse direttive, tutte in linea con l’obiettivo dell’Unione europea di ridurre le emissioni di gas serra del 20 per cento entro il 2020, e anche del 30 per cento nel caso del raggiungimento di un accordo internazionale che lo preveda. Si tratta del risultato di una lunga serie di negoziati e di un compromesso tra i rappresentanti del Parlamento e del Consiglio – ovvero, di tutti e 27 gli Stati membri.
Una delle direttive è relativa alle fonti di energia rinnovabili. E’ previsto l’obiettivo di aumentare le fonti rinnovabili di energia del 20 per cento. Inoltre, il 10 per cento del combustibile consumato deve provenire da fonti rinnovabili. Sono stati definiti dei criteri di sostenibilità e, pertanto, l’usabilità è stata migliorata. Accolgo con favore tali regole, poiché non solo riducono la dipendenza energetica dell’Europa e creano nuovi posti di lavoro, ma promuovono l’innovazione nello sviluppo tecnologico.
La direttiva relativa al sistema per lo scambio di quote di emissione costituisce un aggiornamento del sistema esistente e stabilisce che le industrie debbano ora acquistare in una asta quote di emissione precedentemente gratuite. Sono previste delle deroghe sotto forma di periodi di transizione per gli Stati membri dell’est europeo, i quali dovranno acquistare quote solo per il 30 per cento delle proprie emissioni all’inizio. Inoltre, vengono stabiliti degli incentivi per l’efficienza energetica, sebbene senza alcuna indicazione specifica di scopo, e l’obbligo da parte degli Stati membri di investire almeno metà delle entrate nei paesi in via di sviluppo e nelle nuove tecnologie. Approvo il raggiungimento di una posizione equilibrata tra l’attenzione per quelle industrie che si confrontano con compiti difficili e il perseguimento di una politica ambientale ambiziosa.
Un’altra direttiva disciplina la condivisione degli sforzi rispetto alle emissioni non rientranti nel sistema di scambio di quote. In particolare, ciò comprende i sistemi di riscaldamento e di condizionamento dell’aria e diversi settori economici (trasporti, impianti industriali di piccole dimensioni, servizi e agricoltura) che non rientrano nell’ambito del sistema di scambio delle quote, ma che contribuiscono in modo significativo alle emissioni di gas serra. Inoltre, devono essere introdotti in questo settore obiettivi di lungo periodo, compresa una riduzione del 35 per cento di emissioni gas entro il 2035 e una riduzione del 60-80 per cento entro il 2050.
La direttiva relativa alla cattura e allo stoccaggio di biossido di carbonio consente di separare il biossido di carbonio dagli inquinanti gassosi e di immagazzinarlo sotto terra. Dodici centrali che utilizzano tale tecnologia saranno finanziate entro il 2015. Ammetto che la cattura e lo stoccaggio di biossido di carbonio costituiscono una tecnologia di transizione di importanza cruciale, ma dobbiamo tenere a mente l’importanza della sicurezza nelle operazioni di stoccaggio.
Un’altra direttiva ancora stabilisce le regole sui massimali per le emissioni di biossido di carbonio prodotte dalle nuove automobili. In media tale valore sarà pari a 120 grammi di biossido di carbonio al kilometro a partire dal 2015, e di 95 grammi al kilometro a partire dal 2020, per tutte le nuove automobili. Le sanzioni previste nella proposta della Commissione per il mancato rispetto di tali massimali sono state ridotte a causa della crisi economica, e ora vanno da 5 a 95 euro, a seconda di quanto si superi la soglia. Tuttavia, a partire dal 2019, la sanzione prevista è pari a 95 euro per il primo grammo di biossido di carbonio eccedente la soglia.
Sono favorevole al compromesso raggiunto tra le istituzioni europee, in quanto è molto facile criticare, mentre il raggiungimento di un compromesso costituisce una sfida. Le regole concordate sono il risultato di negoziati tra paesi caratterizzati forse da condizioni economiche differenti, ma che perseguono ugualmente un obiettivo comune. Il fatto che i nuovi Stati membri in particolare non riescano a raggiungere tutti gli obiettivi in questo breve arco di tempo, senza rischiare la disintegrazione di interi settori di attività economica e senza dover affrontare una catastrofe sociale, non deve essere trascurato nell’analisi complessiva degli obiettivi europei.
A mio parere, il pacchetto integrato sull'energia e i cambiamenti climatici non costituisce solo un importante passo avanti, ma addirittura un balzo decisivo che contrasterà l’avanzata dei cambiamenti climatici e rafforzerà la leadership europea nel raggiungimento di una politica energetica efficiente. L’Europa ha saputo parlare con una voce sola e ciò renderà possibile intensificare le nostre richieste a livello internazionale. In tal senso, una sfida importante sta nel prevenire il dumping ambientale a livello internazionale. Per questo motivo i paesi che non rientrano nel protocollo di Kyoto, e che pertanto non sono vincolati dai limiti alle emissioni di biossido di carbonio in esso previsti, dovrebbero essere soggetti a una tassa sulle importazioni o a qualche provvedimento analogo atto a contrastare il dumping ambientale. Si tratta di un particolare da prendere in considerazione nel predisporre l’accordo che subentrerà al protocollo di Kyoto alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel dicembre 2009, in cui avremo tra i paesi negoziatori anche USA, Cina e India. Il pacchetto integrato sull'energia e i cambiamenti climatici ha creato dei solidi presupposti per il raggiungimento di un nuovo accordo internazionale.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Turmes sulle fonti rinnovabili di energia. Il mio paese, la Scozia, è ricco di fonti rinnovabili quali il vento e le maree. E’ fondamentale che l’Europa assuma la leadership nel promuovere tali fonti di energia – e vedo una Scozia indipendente al cuore di un movimento globale per lo sviluppo delle tecnologie rinnovabili.
Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. − Ho votato a favore di questa proposta perché ritengo che invii un segnale importante sulla necessità di cambiare il modello di produzione energetica, a favore di un sistema non più basato sui combustibili fossili e che faccia uso di combustibili meno inquinanti sia nell’Unione europea che altrove. L’obiettivo del 20 per cento è vincolante e costituisce la soglia minima. Anche l’efficienza energetica deve ora essere compresa nei piani d’azione per le energie rinnovabili degli Stati membri. Sistemi di sostegno a quel livello sono stati anch’essi tutelati, il che è fondamentale per la fiducia degli investitori. E’ vero che i risultati in materia di biocarburanti non sono postivi come avrei desiderato. Abbiamo rispettato l’obiettivo del 10 per cento, sebbene abbiamo effettivamente ridotto la quantità proveniente dagli agrocarburanti, e sono lieta di tali provvedimenti aggiuntivi. Il Consiglio non ha condiviso la visione del Parlamento sotto molti punti di vista e deve ora davvero riconoscere la realtà dei cambiamenti climatici e utilizzare questa direttiva quale base di partenza per una futura riduzione delle emissioni di biossido di carbonio.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa relazione che rafforza i nostri obblighi per il raggiungimento degli obiettivi in materia di fonti rinnovabili e fornisce un’opportunità importante per la promozione delle fonti di energia locali all’interno dell’Unione europea, per affrontare i cambiamenti climatici, migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti e promuovere competitività, crescita e occupazione. Sostengo la relazione in quanto prevede una clausola di revisione che dispone, entro il 2014, una valutazione d’impatto sul maggiore utilizzo di fonti rinnovabili nella produzione di carburante nel settore dei trasporti, garantendo così che la riduzione delle emissioni di biossido di carbonio non comporti conseguenze negative sul prezzo degli alimenti e sullo sfruttamento dei terreni. La relazione fissa un obiettivo del 5 per cento per l’utilizzo di carburante da fonti rinnovabili entro il 2015, con un obiettivo secondario del 20 per cento per la promozione dell’utilizzo delle automobili elettriche e a idrogeno. La relazione include anche dei criteri di sostenibilità molto rigidi e può, pertanto, condurre a cambiamenti positivi e a riduzioni nelle emissioni, motivo per il quale l’ho sostenuta.
Eluned Morgan (PSE), per iscritto. − (EN) Questa relazione rappresenta una rivoluzione nel modo in cui produciamo energia all’interno dell’Unione europea. L’obiettivo del 20 per cento entro il 2020 è estremamente ambizioso, ma necessario se dobbiamo vincere la lotta contro i cambiamenti climatici. Tuttavia, mi auguro, che la Commissione darà prova di flessibilità nell’interpretare le scadenze per il raggiungimento degli obiettivi, se questi devono comprendere anche grossi progetti come la diga sul fiume Severn.
L’obiettivo del 10 per cento per i carburanti utilizzati nei trasporti su strada costituisce una parte preponderante di questo pacchetto, nonché degli sforzi messi in atto per raggiungere l’obiettivo dell’UE di diventare un’economia a basso tenore di biossido di carbonio. Il cosiddetto “obiettivo biocarburanti” è stato fortemente migliorato per garantire che nell’Unione europea siano utilizzabili solo quei biocarburanti che consentono delle riduzioni effettive nella produzione di emissioni senza aumentare i prezzi dei prodotti alimentari. E’ inoltre prevista una gamma ben precisa di criteri sociali che tuteleranno gli abitanti dei paesi in via di sviluppo, che altrimenti avrebbero potuto soffrire a causa del rapido sviluppo della produzione di biocarburanti.
Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto. − (RO) La proposta di direttiva è per me una delle componenti più rilevanti del pacchetto sui cambiamenti climatici, che stabilisce un obiettivo obbligatorio del 20 per cento per la quota di energia da fonti rinnovabili all’interno dei consumi complessivi di energia entro il 2020. La direttiva offre l’opportunità di acquisire nuove tecnologie, creare nuovi posti di lavoro e ridurre la dipendenza dal petrolio.
Il Parlamento europeo ha svolto un ruolo importante nell’individuazione dei criteri di sostenibilità dei biocarburanti e dei criteri sociali che sono fondamentali per i cittadini dell’Unione europea nell’attuale crisi economica. I cambiamenti climatici e la scarsa sicurezza degli approvvigionamenti energetici ci inducono a promuovere nuove metodologie di produzione energetica, ma senza mettere in pericolo la disponibilità di cibo. Dobbiamo assicurarci che l’attuazione di questa direttiva non costituisca una minaccia per i terreni agricoli e forestali. Ad ogni modo, i biocarburanti che derivano da materie prime coltivate su tali terreni non verranno considerati nell’ambito degli incentivi previsti. L’Unione europea dimostrerà ancora una volta di essere il principale promotore dell’energia eolica, solare e idroelettrica, nonché di energia prodotta da altre fonti rinnovabili.
Lydia Schenardi (NI), per iscritto. – (FR) In quest’Aula abbiamo avuto in diverse occasioni l’opportunità di dichiarare che il semplice obiettivo di ridurre la dipendenza dell’Unione europea dalle importazioni di gas e di petrolio giustifica di per sé la promozione delle fonti rinnovabili di energia.
Il compromesso presentato quest’oggi, che rientra nel pacchetto sull’energia e i cambiamenti climatici, come tutti i compromessi, non è del tutto malvagio né interamente soddisfacente.
In particolare, non è del tutto soddisfacente in materia di biocarburanti, sia di prima che di seconda generazione. Le garanzie rispetto alla concorrenza con la produzione alimentare sono inadeguate, gli eventuali cambiamenti nell’utilizzo dei terreni sono alquanto vaghi e nulla si dice dell’effettiva impronta di carbonio di tali fonti energetiche, per citare solo alcune delle pecche.
Non è del tutto convincente rispetto alla “garanzia di origine”, che dovrebbe identificare in particolare l’energia elettrica verde, poiché siamo consapevoli della realtà della fornitura di elettricità, della pubblicità piuttosto sospetta di cui è oggetto e dei rilevanti costi aggiuntivi per i consumatori.
Infine, è del tutto insoddisfacente riguardo alle conseguenze sociali. Vorremmo essere certi, come anche per il resto del pacchetto legislativo adottato all’inizio di una crisi globale che si preannuncia come profonda e duratura, che gli interessi dei cittadini europei e dei lavoratori avranno la precedenza su ogni altra considerazione se la situazione economica dovesse richiederlo.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. − (NL) E’ con grande convinzione che ho votato a favore del compromesso raggiunto in materia di fonti di energia rinnovabili. Il mio collega dei verdi, nonché relatore, l’onorevole Turmes, ha compiuto un lavoro straordinario. Grazie ai suoi sforzi, e a quelli dell’intero Parlamento, attueremo un solido quadro legislativo che garantirà non meno del 20 per cento di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020.
Non si tratta di sensazionalismo, bensì di un’autentica rivoluzione energetica, che condurrà alla creazione di un enorme numero di nuovi posti di lavoro. In alcuni studi si parla di più di 2 milioni di nuovi posti di lavoro, che comprendono posti altamente qualificati per ingegneri, designer e ricercatori, ma anche una maggioranza di posti di lavoro per tecnici, operai che producono ruote dentate, montano pannelli solari e costruiscono parchi eolici.
A seguito di lunghi negoziati, sono state adottate anche le proposte originarie per agrocarburanti e biocarburanti. Ad ogni modo, noi verdi non siamo del tutto soddisfatti di tali tecnologie, e raccomanderemo condizioni molto rigide per l’utilizzo di questo genere di carburanti. Nella relazione dell’onorevole Turmes i criteri di sostenibilità sono stati resi nettamente più rigorosi, e si fa anche riferimento ai criteri sociali nell’ambito dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Gli agrocarburanti sono accettabili unicamente se producono più energia di quanta ne serva per la loro produzione, e non debbono assolutamente competere con la produzione alimentare.
Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − La relazione costituisce un passo importante per costringere gli Stati membri a conseguire gli obiettivi in materia di fonti rinnovabili. L’energia rinnovabile è cruciale per la lotta contro i cambiamenti climatici.
Adamos Adamou (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il Parlamento europeo e il Consiglio, al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra e raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni nell’Unione europea del 20 per cento entro il 2020, propongono una modifica della direttiva 2003/87/CΕ.
Il 17 dicembre 2008, la plenaria ha votato a favore degli emendamenti di compromesso presentati dai relatori ombra dei gruppi ΡPΕ-DΕ, PSE, GUE/NGL, ALDE, UEN e Verts/ALE. Pur avendo votato a favore degli emendamenti, che definiscono obiettivi più severi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (una misura che rappresentava un obiettivo imprescindibile per il gruppo GUE/NGL), desideriamo esprimere la nostra opposizione alla filosofia dello scambio delle quote di emissione. Osiamo dire che questa direttiva in particolare non ottiene nient’altro che una lieve riduzione delle emissioni dei gas serra ed è un provvedimento che favorisce i paesi industrializzati, penalizzando i paesi meno sviluppati e in via di sviluppo. Infine, l’applicazione di alcuni meccanismi flessibili proposti aiuta i monopoli (che sono i principali responsabili del cambiamento climatico) a incrementare i loro profitti, invece di risolvere radicalmente il problema.
Alexander Alvaro (ALDE), per iscritto. – (DE) Signor Presidente, l’accordo raggiunto circa il pacchetto dell’iniziativa sul clima e l’energia rinnovabile rappresenta un risultato modesto.
L’Unione europea si è prefissa l’obiettivo di una riduzione del 20 per cento dei livelli del 1990. Abbiamo già compiuto metà del lavoro grazie all’allargamento a est, dove le emissioni sono più basse in termini assoluti, e rimane quindi l’obiettivo di una riduzione del 12 per cento dei livelli del 1990.
L’Unione europea è autorizzata a ottenere il 3-4 per cento di questa riduzione nei paesi in via di sviluppo, per cui rimarrebbe poco meno del 9 per cento. E’ consentita una deviazione dall’obiettivo del 5 per cento circa, lasciando così un 4per cento.
A questo punto, possiamo dire che è una fortuna che l’Unione europea abbia deciso di non esportare la sua intera economia direttamente in Asia. Il compromesso è di gran lunga meno costoso della proposta della Commissione europea, il che significa che il FDP (partito democratico liberale tedesco) può dare il suo sostegno.
Invece, ora l’Unione europea sta mettendo gli Stati membri uno contro l’altro. Alcuni Stati membri si trovano avvantaggiati in virtù di deroghe, abilità negoziali e mix energetico. Presto i fornitori di energia tedeschi potrebbero trovare vantaggioso generare elettricità in Polonia piuttosto che nel proprio paese, sempre che non siano acquisiti dai fornitori di energia francesi.
Il fatto che gli Stati membri dell’Unione europea si siano lasciati coinvolgere in queste strette negoziazioni non fa sperare in nulla di buono in vista di un accordo globale. Si pone inoltre la questione dell’efficienza dei mezzi.
Ora spetta ai governi, al Consiglio e alla Commissione europea garantire l’efficienza, sia in termini di salvaguardia ambientale sia di vantaggi per l’economia e la crescita.
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. − (SV) Noi socialdemocratici svedesi abbiamo deciso di votare a favore di questa relazione sulla riforma del sistema di scambio delle quote di emissione sebbene crediamo, in linea di principio, che gli obiettivi del pacchetto legislativo sul clima, così come definiti, siano troppo limitati. L’Unione europea dovrà fare di più per affrontare la sfida rappresentata dal cambiamento climatico. Ciononostante, riteniamo che questo sistema riformato sia in grado di giocare un ruolo molto importante nelle azioni da intraprendere.
Siamo infine piuttosto delusi nel constatare che il compromesso tra il Consiglio e il Parlamento europeo non ha fornito sufficienti garanzie affinché parte degli introiti derivanti dalla vendita all’asta delle quote venga destinato agli interventi climatici nei paesi in via di sviluppo. Riteniamo che la vendita all’asta delle quote di emissione avrebbe dovuto essere più ampia e che si sarebbe dovuto limitare maggiormente l’uso del meccanismo di sviluppo pulito (CDM).
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, accolgo con favore la revisione del sistema ETS e il compromesso raggiunto tra gli obiettivi per la lotta ai cambiamenti climatici e il rafforzamento della competitività delle industrie europee, nonché la protezione di posti di lavoro.
Mi permetto di esprimere la considerazione che la procedura di codecisione, svoltasi in modo accelerato per favorire l'accordo in prima lettura, non è stata particolarmente rispettosa della trasparenza democratica e il Parlamento si è trovato a votare su una sorta di fatto compiuto.
Nonostante questo, ritengo molto soddisfacente la proposta della collega Doyle per la flessibilità accordata ai settori a rischio di “carbon leakage”, poiché occorre evitare una perdita di posti di lavoro a causa della delocalizzazione delle industrie verso regioni meno sensibili alla riduzione delle emissioni, senza tuttavia intaccare lo scopo della direttiva.
Sylwester Chruszcz (NI), per iscritto. – (PL) Oggi, ho votato contro l’adozione da parte del Parlamento della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra.
Sono in completo disaccordo con le soluzioni proposte a livello europeo. L’impegno del Consiglio di ridurre, entro il 2020, le emissioni dei gas a effetto serra della Comunità di almeno il 20 per cento rispetto ai livelli del 1990, o persino del 30 per cento a condizione che altri paesi sviluppati si impegnino a realizzare riduzioni comparabili, è una mossa sconsiderata destinata ad avere un impatto negativo sull’industria e sui consumatori in Europa, compresa la Polonia.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) L’unico impegno certo dell’Unione europea consiste nel ridurre, entro il 2020, le emissioni del 20per cento rispetto al 1990; se paragonato alla situazione odierna, questo obiettivo significa una riduzione di circa il 12 per cento. Se teniamo conto del fatto che questa riduzione si può ottenere per due terzi attraverso meccanismi di compensazione del carbonio – ovvero acquistando crediti di carbonio sul mercato internazionale – sul proprio territorio l’Unione europea si è impegnata ad ottenere solamente una riduzione del 4 per cento: troppo poco per far avanzare i negoziati internazionali.
Vorrei sottolineare un ulteriore limite del compromesso: non è stato preso alcun impegno sicuro volto a sostenere i paesi in via di sviluppo nei loro sforzi di ridurre le emissioni di gas a effetto serra. L’Unione europea si è volontariamente impegnata ad impiegare per il clima la metà degli introiti derivanti dalla vendita dei diritti di emissione, introiti che sono in diminuzione a causa delle numerose esenzioni concesse agli industriali. Il compromesso sancisce che, i paesi che lo desiderano, possono destinare una parte di quel denaro al sostegno dei paesi in via di sviluppo. Si tratta di un impegno puramente volontario, un impegno davvero debole per una questione cruciale nell’ambito dei negoziati internazionali.
Konstantinos Droutsas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) L’Unione europea si vanta del proprio ruolo di leader in materia di protezione ambientale, ma in realtà cerca un ruolo di spicco nella protezione degli interessi del capitale. Le decisioni prese dal vertice e il pacchetto di direttive del Consiglio e della Commissione europea sulla riduzione delle emissioni promuovono la cosiddetta economia verde come via d’uscita dall’eccessivo accumulo di capitale e dalla crisi, aprendo così nuove prospettive di profitto per i monopoli e rafforzando l’espansionismo imperialista.
Queste misure potenziano lo scambio delle quote di emissione, che – come è stato dimostrato – moltiplica i profitti dei monopoli senza tutelare l’ambiente. Inoltre, consentono all’industria dell’automobile di non adottare misure almeno fino al 2019 ed esonerano le imprese che affrontano la concorrenza internazionale dall’applicare, tra le altre, le normative sulla generazione di energia. Anche i nuovi Stati membri e l’Italia vengono esclusi per un lungo periodo. Queste stesse misure forniscono incentivi per la sostituzione di colture alimentari con colture da energia. I diritti di inquinamento vengono concessi a titolo gratuito alle grandi imprese, senza che alcun introito venga destinato al finanziamento di opere ambientali.
I lavoratori non possono aspettarsi che la protezione ambientale giunga dall’Unione europea né dalle imprese che inquinano l’ambiente impunemente. Soltanto la loro lotta, nell’ambito della prospettiva di un’economia e del potere della gente comune, può proteggerli con efficacia.
Christian Ehler (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Il mio “no” non è un rifiuto a un efficiente sistema di scambio di quote di emissione basato su aste, né agli obiettivi comunitari di protezione del clima, né al finanziamento della cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). Una serie di precedenti votazioni nonché la mia relazione sugli impianti di dimostrazione delle tecnologie CCS hanno chiarito abbondantemente il mio sostegno a questi aspetti. Per il mio Land del Brandeburgo, tuttavia, il testo attuale significa consolidare la concorrenza sleale con i paesi dell’Europa centro-orientale nonché aumenti dei prezzi energetici superiori a quanto sia necessario per soddisfare gli obiettivi di protezione del clima. Abbiamo bisogno di carbone nel nostro mix energetico per garantire ai cittadini un approvvigionamento sicuro e in futuro intendiamo favorire un uso del carbone compatibile con l’ambiente grazie alle tecnologie CCS. L’accordo con il Consiglio di prendere una decisione definitiva dopo un’unica lettura non ha permesso di dissipare le forti riserve e di competere per le migliori soluzioni.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Alcuni aspetti della proposta destano preoccupazione benché possano essere mosse argomentazioni a favore del concetto di un sistema di scambio di diritti di emissione di gas a effetto serra e alla luce dei timori per le alterazioni chimiche nell’atmosfera – e delle relative possibili ripercussioni sul clima (principio di precauzione – e della poca razionalità nel consumo delle fonti di combustibili fossili, già scarse.,.
Innanzi tutto, la questione dei diritti di emissione e il loro successivo scambio è discutibile e va contrastata poiché l’impatto di questi diritti sull’economia reale è in gran parte incerto, visto l’ampio margine di dubbio ancora presente circa una serie di soluzioni tecniche, il cui impiego dipende peraltro dall’evolvere della situazione finanziaria nei diversi settori coinvolti (trasporto aereo, industria dell’automobile, produzione termoelettrica, industria del cemento, chimica pesante, petrolchimica e un numero crescente di altri settori ad alto consumo di energia).
In secondo luogo, i beneficiari previsti saranno pochi settori industriali ad alta tecnologia nonché alcuni (pochi) operatori finanziari. La limitata disponibilità di fonti impone la riduzione irreversibile del consumo di combustibili fossili e l’assegnazione ai diversi settori deve essere basata più sull’urgenza di necessità sociali e sulla razionalità economica che sull’influenza esercitata e sul profitto finanziario. Per questa ragione abbiamo deciso di astenerci dalla votazione.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Occorre sottolineare l’aspetto essenziale di questa relazione: rafforzare, espandere e migliorare, per il periodo successivo al 2012, il funzionamento del sistema di scambio delle quote di emissione quale uno dei principali strumenti per raggiungere l’obiettivo comunitario di riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra.
Concordo con questa relazione, principalmente perché lo scambio è fondamentale per ottenere un’assegnazione efficiente, in grado di garantire l’efficacia ambientale del sistema di scambio delle quote di emissione. Un unico piano a livello di Unione europea è certamente migliore rispetto a 27 piani nazionali. Inoltre, la proposta prevede adeguamenti automatici e prevedibili per soddisfare i requisiti di un futuro accordo internazionale.
La caratteristica principale della proposta è l’aumento delle quote a titolo gratuito, il che, dal mio punto di vista, non è molto positivo. Ciononostante, non dobbiamo dimenticare che le emissioni di gas verranno ridotte ogni anno.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) La direttiva proposta circa la revisione del sistema comunitario di scambio delle quote di emissione rappresenta un miglioramento rispetto al sistema attuale ed è importante a livello mondiale. Per questo ho dato il mio sostegno alla relazione Doyle.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. − (FI) Colgo l’occasione per ringraziare gli onorevoli colleghi per il recente voto del Parlamento europeo che ha manifestato con chiarezza il proprio sostegno al mio modello di benchmark. Io sostengo questo modello già da tempo e sono stata la prima a proporne l’applicazione anche allo scambio delle quote di emissione. Sebbene la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia abbia espresso un voto contrario poco convinto – mentre è stato più netto il rifiuto della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare – la vita è piena di sorprese. Ora i benchmark si qualificherà come criterio una volta ricevuta l’approvazione del Consiglio.
Gli aspetti positivi però si fermano qui. Sia la proposta originale della Commissione sia la posizione adottata dalla commissione per l’ambiente sullo scambio delle quote di emissione mancavano di equilibrio, rendendo difficoltoso per la produzione europea competere sui mercati mondiali senza alcuno specifico beneficio climatico. Questa situazione avrebbe comportato non soltanto la perdita di posti di lavoro, ma anche uno svantaggio ambientale, legato alla pressione che sarebbe stata esercitata sulle imprese affinché spostassero la propria produzione in paesi esclusi dai limiti di emissione.
Questa decisione ha aperto la strada a un’impostazione più equa e lungimirante dal punto di vista ambientale. La situazione è comunque ancora del tutto aperta e cominceremo ora a vedere chi raccoglierà davvero i benefici dei miglioramenti introdotti.
Gli obiettivi ambientali sono invariati, e rimangono molto impegnativi. Non si tratta di un obiettivo semplice per l’industria, ma nessuno si aspettava che fosse così.
Ad ogni modo, non ha senso parlare di quote di emissione a titolo gratuito, in quanto i benchmark – i parametri di valutazione – sono ambiziosi. E’ giusto che lo siano, altrimenti il sistema non riuscirebbe a convincere le imprese a unirsi alla corsa per la tecnologia verso il più basso livello di emissioni.
La protesta avanzata dalla lobby ambientale, secondo cui il pacchetto legislativo era stato annacquato, francamente non mi sembra ragionevole, soprattutto in considerazione del fatto che gli obiettivi sono stati raggiunti e che i settori industriali hanno un tetto di emissione sempre più basso. Sono parole irresponsabili, ma sicuramente non a tutti interessa assumersi delle responsabilità. Basta avanzare delle critiche.
Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione, nonostante le numerose scappatoie che essa contiene e le deroghe concesse a 10 nuovi Stati membri. Perché votare per una relazione imperfetta? Perché compie comunque qualche passo avanti rispetto al regime in vigore attualmente: verrà stabilito un tetto a livello comunitario per il settore ETS e gli Stati membri avranno meno potere di intervento. Inoltre, viene mantenuto il principio della messa all’asta completa delle autorizzazioni per il settore della produzione dell’energia elettrica, mentre al settore dell’aviazione viene concessa soltanto una piccola percentuale dei nuovi accessi al meccanismo di sviluppo pulito (CDM). L’aspetto di maggiore rilievo del sistema rivisto è che esso fornisce l’architettura per una parte importante dell’accordo post-Kyoto. Ora disponiamo di un sistema che altri paesi possono condividere e utilizzare per abbattere le loro emissioni, sempre che limitino gli elementi pre-asta e definiscano obiettivi ambiziosi. Si provvederà a monitorare da vicino l’uso degli introiti, poiché questo non deve rappresentare per gli Stati membri solamente un mezzo per fare cassa. Il sistema deve essere utilizzato per contribuire a realizzare un’economia sostenibile e a basso tenore di carbonio, secondo le esigenze del pianeta.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Sono a favore di questa proposta che coniuga gli ambiziosi obiettivi del cambiamento climatico con la necessità di rafforzare la competitività dell’industria europea e proteggere posti di lavoro. Per le centrali elettriche, la messa all’asta dei diritti e dei crediti di emissione si terrà fino al 2013 quando tutte le nuove centrali elettriche avranno messo all’asta tutti i diritti di emissione, passaggio che, per le industrie normali, avrà luogo nel 2020. Ho espresso voto favorevole su questa relazione perché rende la messa all’asta il principio generale di assegnazione, pone un limite al quantitativo dei crediti relativi al progetto di attuazione congiunta (JI) e del meccanismo di sviluppo pulito (CDM) acquistabili da un’impresa che voglia compensare le proprie emissioni e continua a proteggere le imprese dalla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.
Eluned Morgan (PSE), per iscritto. − (EN) Do il mio sostegno a questa relazione, in quanto ritengo che l’integrità ambientale dell’ETS sia stata mantenuta e che rappresenti un notevole miglioramento rispetto al sistema in vigore, poiché chi inquina in futuro pagherà il diritto di produrre emissioni attraverso la messa all’asta delle autorizzazioni. E’ stato mantenuto l’obiettivo di abbattere, entro il 2020, le emissioni delle centrali elettriche e delle industrie pesanti europee almeno del 20per cento, percentuale che salirà automaticamente al 30 per cento in occasione dei negoziati ONU sul clima previsti a Copenaghen nel dicembre 2009. Ritengo, inoltre, che sia stato raggiunto un equilibrio tra posti di lavoro e ambiente, un aspetto di vitale importanza in un momento di crisi economica.
Angelika Niebler (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Vorrei presentare la seguente dichiarazione di voto a nome della delegazione della Christlich-Soziale Union in Bayern (CSU – unione cristiano sociale di Baviera) al Parlamento europeo.
L’Unione europea si è prefissa ambiziosi obiettivi in materia di protezione del clima, che includono l’abbattimento del 20 per cento delle emissioni di CO2 entro il 2020 e che non dovrebbero essere messi in questione.
Gli sforzi compiuti per combattere il cambiamento climatico vanno abbinati all’obiettivo di introdurre una legislazione chiara, per garantire la sicurezza della pianificazione della nostra economia e senza penalizzare l’industria europea nel contesto della concorrenza internazionale. Inoltre, occorre creare pari condizioni di concorrenza all’interno dell’Unione europea.
La direttiva sottoposta riguardante il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione al voto oggi non soddisfa nessuno di questi requisiti. A titolo di chiarimento:
1. determinate industrie possono essere esentate dalla messa all’asta delle quote di CO2, ma sono ancora completamente oscuri i dati da impiegare per valutare la conformità con i criteri prestabiliti;
2. soltanto a livello di Stato membro e dopo l’adeguamento della legislazione UE sugli aiuti sarà possibile decidere, caso per caso, se e per quale importo un impianto possa essere risarcito per l’aumento dei costi energetici;
3. se a Copenaghen nel 2009 non si giungerà ad un accordo internazionale, la messa all’asta delle quote di CO2 caricherà numerose industrie di un ulteriore onere a cui i concorrenti non comunitari non sono soggetti;
4. la maggior parte degli Stati membri dell’Europa orientale hanno ottenuto deroghe dalla messa all’asta delle loro quote di CO2 al settore dell’energia. Questa situazione gioca a sfavore della Germania poiché, a differenza dei vicini dell’Europa orientale, qui il 48 per cento dell’energia elettrica deriva dalle centrali elettriche a carbone.
Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Non condividiamo le parole di trionfo dei governi e della Commissione europea circa il compromesso finale riguardante il pacchetto sul clima. Il tentativo dell’Unione europea di guidare gli sforzi da compiere a livello mondiale contro il cambiamento climatico è stato indebolito dalle pressioni della lobby industriale e dei governi conservatori.
Il famoso “20/2020” è un primo passo necessario, ma gli obiettivi da esso definiti non sono abbastanza ambiziosi. Grazie al meccanismo che consente ai paesi europei di acquistare un’ampia parte delle unità di inquinamento spettanti ai paesi in via di sviluppo, la responsabilità storica del mondo occidentale viene cinicamente trasferita agli abitanti poveri del pianeta. Sembra che i governi non comprendano veramente quanto sia critica la situazione.
Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica non depone le armi. Condividiamo la preoccupazione delle ONG del settore dell’ambiente e continueremo a esigere obiettivi più ambiziosi per l’abbattimento delle emissioni di gas a effetto serra, per l’essenziale sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili e per il vincolante piano a lungo termine volto ad abbattere ulteriormente le emissioni dopo Copenaghen.
Herbert Reul (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Ho votato contro l’emendamento consolidato in quanto, dal mio punto di vista di parlamentare europeo, i diritti del Parlamento europeo non sono stati difesi. Al Parlamento non è mai stata data la possibilità di formarsi un’opinione, ma è invece stato messo, a tutti gli effetti, di fronte alla scelta se accettare o respingere il compromesso del Consiglio. Questa situazione non rispetta le regole della procedura di codecisione, intesa a garantire la parità tra i due organi legislativi.
Nutro numerose riserve sul compromesso, anche dal punto di vista del suo contenuto, quando si constata, per esempio, che avrà come effetto una serie di distorsioni del mercato nell’Unione europea e imporrà oneri ingiustificati ai consumatori. A causa dell’indebita fretta nell’adottare la riforma, non sono più stati presi in considerazione sistemi alternativi che avrebbero potuto portare alle riduzioni auspicate. Il fatto che le conseguenze economiche sul potere d’acquisto dei consumatori, in particolare, non siano state neppure lontanamente prese in esame al momento dell’adozione rende ancora più chiaro quanto questo compromesso sia sconsiderato. La maggioranza dei parlamentari europei deve assumersi parte della responsabilità – anche nei confronti delle generazioni future – dell’entrata in vigore di questo compromesso.
Le alternative esistevano e avrebbero permesso di raggiungere gli obiettivi di abbattimento con costi nettamente inferiori rispetto agli importi di cui si sta parlando ora. Una politica come questa fa male non soltanto all’economia, ma anche alla reputazione dell’Unione europea.
Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − (EN) Dobbiamo accogliere con favore l’obiettivo di abbattere le emissioni prodotte dalle centrali elettriche e dalle industrie pesanti europee di almeno il 20 per cento entro il 2020, e di far salire questa percentuale al 30 per cento qualora sia raggiunto un accordo internazionale durante i negoziati ONU sul clima che si terranno a Copenaghen nel 2009.
Thomas Ulmer (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Esprimo il mio totale sostegno agli sforzi volti a ridurre il probabile contributo degli esseri umani al cambiamento climatico. Ciononostante, non abbiamo sostenuto il compromesso riguardante il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione che è stato negoziato, poiché ritengo che legiferare in tutta fretta è inaccettabile e poco democratico. La procedura legislativa estremamente veloce e il fatto che i documenti del Consiglio sono stati presentati soltanto alcuni giorni fa hanno reso impossibile, a mio parere, un esame professionale dei documenti e, pertanto, una valida legiferazione. Ciò è tanto più inaccettabile se si considera che questa normativa impone al pubblico europeo un elevato onere finanziario. Secondo diversi studi, il pacchetto sull'iniziativa climatica e l'energia rinnovabile costa tra i 70 e i 10 miliardi di euro circa, e vi è il pericolo che intere industrie si trasferiscano in altre parti del mondo. Non ho potuto approvare un pacchetto di tale entità in base a una procedura veloce; le proposte legislative di questa importanza devono maturare nel corso di una procedura ordinata basata su diverse letture.
Anders Wijkman (PPE-DE), per iscritto. − (SV) La riforma dello scambio delle quote di emissione rappresenta un passo avanti rispetto alle norme attualmente in vigore. Le quote saranno gradualmente messe all’asta all'industria, anziché essere distribuite a titolo gratuito, come avviene oggi.
L’Unione europea è, pertanto, impegnata ad adeguare l’obiettivo climatico da una riduzione del 20 per cento al 30 per cento entro il 2020 nell’eventualità in cui l’accordo climatico di Copenaghen dell’anno prossimo abbia successo. Inoltre, l’UE invita gli Stati membri a utilizzare gli introiti derivanti dalla messa all’asta per l’adozione di misure di protezione del clima in Europa e altrove.
Purtroppo, il compromesso non raggiunge il livello di ambizione che la situazione invece richiede; la messa all’asta integrale delle quote di emissione va introdotta per fasi e non in modo integrale sin dall’inizio. Tale rilassamento riduce sia l’incentivo a sviluppare nuove tecnologie a basso tenore di carbonio sia gli introiti, essenziali se l’Unione europea vuole aiutare i paesi in via di sviluppo a investire nelle “tecnologie verdi”, ad adeguarsi al cambiamento climatico e a proteggere le foreste tropicali.
Al contempo, se si può raggiungere al massimo una metà dell’abbattimento delle emissioni attraverso le riduzioni effettuate in paesi terzi, il sistema di scambio delle quote di emissione (ETS) avrà un effetto limitato anche nel periodo che precede il 2020.
Nonostante le sue lacune, sarebbe stato impensabile esprimere un voto contrario: non voglio rischiare di mettere a repentaglio l’intera direttiva, che comunque contiene diversi aspetti positivi rispetto alla situazione attuale.
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. − (SV) Noi socialdemocratici svedesi abbiamo deciso di votare contro questo compromesso sulla divisione di responsabilità, in quanto riteniamo che sia totalmente inaccettabile che neppure la metà delle riduzioni di emissioni comunitarie debbano essere realizzate nel territorio dell’Unione europea. Crediamo che il compromesso mandi un segnale totalmente sbagliato al resto del mondo, che si aspetta che l’Unione europea prenda l’iniziativa nell’adattamento al clima; siamo preoccupati che l’UE non sia riuscita a dare un chiaro incentivo per lo sviluppo di nuove tecnologie verdi, che riteniamo vitali per l’occupazione e il benessere in Europa.
Avril Doyle (PPE-DE), per iscritto. − Questa relazione riguarda l’introduzione di obiettivi differenziati per i 27 Stati membri dell’Unione europea per il periodo 2013-2020 in termini di riduzioni di gas a effetto serra in settori economici non inclusi nel sistema comunitario di scambio di quote di emissione. Gli obiettivi previsti per gli Stati membri oscillano tra +20 per cento e -20 per cento rispetto alle emissioni del 2005 per i suddetti settori e l’obiettivo irlandese è del -20 per cento.
Complessivamente, il sistema di scambio delle quote di emissione e la distribuzione degli sforzi rappresentano il 100 per cento della riduzione delle emissioni di CO2 che ogni paese è tenuto a raggiungere entro il 2020.
L’Irlanda accoglie con favore l’inclusione di maggiori misure di cattura e stoccaggio del carbonio, segnatamente i serbatoi di carbonio nello scenario del -20 per cento, poiché siamo l’unico paese dell’Unione europea con più capi di bestiame che persone; inoltre, con una generosa, redditizia e forse difficile compensazione attraverso lo scambio di emissioni tra Stati membri, possiamo raggiungere il nostro obiettivo del -20 per cento senza ridurre il numero dei capi di bestiame.
Alcuni paesi dovranno affrontare la sfida della legislazione ETS riformata, altri quella degli obiettivi di distribuzione degli sforzi. L’Irlanda appartiene a questa seconda categoria.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Concordiamo con la necessità di abbattere le emissioni dei gas a effetto serra e con l’istituzione di un sistema inteso per questo scopo. Ciononostante, nutriamo seri dubbi circa il sistema proposto che, sebbene asserisca di essere basato sul “principio di solidarietà tra Stati membri e la necessità di una crescita economica sostenibile”, poi insiste sul fatto che soltanto i paesi dovrebbero pagare il conto, attraverso i bilanci nazionali – e non attraverso il bilancio comunitario – secondo le diverse condizioni di sviluppo.
Consentendo il trasferimento di emissioni tra Stati membri attraverso lo “scambio” di quote o avvalendosi di “intermediari del mercato”, si istituiscono meccanismi che sono destinati ad aumentare le disparità esistenti in termini di potere economico tra gli Stati membri, a vantaggio delle maggiori potenze.
Inoltre, una parte significativa degli sforzi dovrà arrivare dai paesi terzi, incrementando così la pressione internazionale esercitata sui paesi meno sviluppati affinché questi cedano parte della loro sovranità in cambio di (pseudo-)aiuti, aprendo le proprie economie agli investimenti da parte di imprese comunitarie. Tutte queste misure sono volte a esercitare pressioni per ottenere un accordo internazionale che, in un contesto di grave crisi economica, darà forza al punto di vista capitalista sulla questione ambientale.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Considerando l’azione dell’Unione europea contro il cambiamento climatico nel contesto di un futuro accordo internazionale che sostituisca il protocollo di Kyoto, è fondamentale che l’UE dia un segnale chiaro al mondo e si impegni a ridurre, in modo efficace, le proprie emissioni di gas a effetto serra.
Assume, pertanto, estrema importanza la proposta della Commissione europea di ridurre del 10 per cento entro il 2020 le emissioni di gas a effetto serra, rispetto ai livelli del 2005, per i settori non inclusi nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione.
Gli obiettivi stabiliti per ciascuno Stato membro, scegliendo il PIL pro capite come criterio principale, mi sembrano giusti.
Il compromesso raggiunto tra il Parlamento europeo e il Consiglio, sebbene non sia ideale (per esempio, poiché permette un uso eccessivo dei meccanismi di flessibilità), mi sembra equilibrato nel suo complesso ed è per questo motivo che ho votato a favore della relazione.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato contro la relazione Hassi. Le disposizioni che consentono agli Stati membri di esternalizzare l’80 per cento delle riduzioni delle emissioni permetteranno ai paesi ricchi di portare avanti pratiche insostenibili a spese dei paesi più poveri in via di sviluppo e l’Unione europea non dovrebbe promuovere questa situazione.
Jean Lambert (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho espresso un voto contrario a questa relazione, ma a malincuore, perché la relatrice era riuscita a includere alcuni fattori importanti. Ora, nel testo legislativo, si fa riferimento all’obiettivo vincolante del 30 per cento per le riduzioni dei gas a effetto serra: secondo gli scienziati questo è il valore minimo da raggiungere entro il 2020. Il finanziamento delle riduzioni dei gas a effetto serra nei paesi in via di sviluppo deve contribuire a raggiungere l’obiettivo dei +2 gradi. Speriamo che questi paesi possano ricevere denaro vero e non soltanto belle promesse. Benché abbiamo ora una scadenza per l’introduzione di un obiettivo per la riduzione delle emissioni marittime, nonché diverse altre iniziative, piccole ma positive, mi è stato impossibile votare a favore del fatto che gli Stati membri possano utilizzare l’80per cento dei crediti CDM in paesi terzi, invece di concentrare le riduzioni all’interno delle proprie frontiere. La procedura di voto utilizzata oggi non ha permesso la valutazione da parte del Parlamento nel suo complesso di questa proposta specifica. Abbiamo lasciato che gli oneri assegnati ai nostri governi nazionali fossero lievi e, ancora una volta, sono i paesi terzi che si dovranno fare carico del fardello al posto nostro. Non posso dare il mio sostegno a questa posizione.
Stavros Lambrinidis (PSE), per iscritto. – (EL) Il gruppo del PASOK sostiene, tra le altre cose, il contenuto dell’emendamento n. 44 e voterà contro l’emendamento nominale n. 7 separato, al fine di garantire che almeno il 50 per cento delle riduzioni di emissioni sia ottenuto attraverso iniziative che abbiano luogo all’interno dell’Unione europea. Quest’ultima deve restare un partner credibile nel periodo che precede i negoziati mondiali, senza trasferire ai paesi in via di sviluppo l’onere dell’impegno per abbattere le emissioni.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Sostengo questa relazione che definisce obiettivi vincolanti affinché gli Stati membri riducano le emissioni dei gas a effetto serra in settori dell’economia non coperti dal sistema di scambio delle quote di emissione (ETS) e che rappresenta un vero passo avanti verso un sistema onnicomprensivo. L’obiettivo del 10 per cento per i settori non ETS è ripartito tra gli Stati membri in base al PIL pro capite, consentendo in questo modo un’equa distribuzione di sforzi e garantendo ai paesi più poveri la crescita accelerata. Ho votato a favore di questa relazione che, affrontando gli obiettivi sia a lungo che a breve termine in conformità agli obiettivi del programma “Aria pulita per l’Europa”, introduce un obiettivo a lungo termine per le riduzioni totali di emissioni pari almeno al 50 per cento entro il 2035, e al 60 per cento entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990. La relazione include un ulteriore “impegno in materia di riduzione delle emissioni esterne” che fornirà sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo affinché riducano le proprie emissioni; in questo modo nessun paese resterà indietro, i paesi in via di sviluppo riceveranno il sostegno finanziario di cui hanno bisogno e l’azione internazionale contro il cambiamento climatico sarà la più efficace possibile.
Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto. – (RO) Fin dall’inizio ho assicurato il mio sostegno alla proposta di passare automaticamente dall’obiettivo del 20 per cento a quello del 30 per cento qualora si sottoscriva un accordo internazionale. Ciononostante, i negoziati della settimana scorsa si sono conclusi con un compromesso che prevede una nuova procedura per questo passaggio percentuale.
La decisione è stata presa come misura precauzionale per tener conto della possibilità di un aumento del prezzo del carbonio in futuro. Sono tuttavia lieta di apprendere che l’obiettivo del 30 per cento resterà una priorità per evitare che la temperatura media aumenti di oltre 2ºC, come specificato nel corso della riunione del Consiglio europeo tenutasi nel marzo 2007. Un accordo internazionale implica uno sforzo globale inteso a combattere il cambiamento climatico e a conseguire un adattamento, mentre gli aiuti finanziari concessi ai paesi in via di sviluppo forniranno un incentivo ad unirsi all’impegno per ridurre le emissioni di gas a effetto serra.
Al fine di mantenere la propria credibilità in riferimento agli aiuti da concedere ai paesi in via di sviluppo, l’Unione europea deve garantire che il finanziamento dei progetti CDM mantenga lo sviluppo sostenibile di questi paesi e che parte degli introiti derivanti dalla messa all’asta dei crediti di emissione sia utilizzata per il loro stesso sostegno.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. − (NL) Nonostante il mio voto contrario al compromesso raggiunto, desidero esprimere il mio grande apprezzamento per il lavoro svolto dalla relatrice, l’onorevole Hassi. Inoltre, trovo la relazione inaccettabile poiché, grazie all’accordo, quasi l’80 per cento degli sforzi complessivi può essere svolto in paesi terzi.
Un rapido calcolo indica che il Belgio sarà in grado di compiere tra il 50 per cento e il 60 per cento degli sforzi al di fuori dell’Unione europea, coinvolgendo settori importanti, tra i quali anche l’edilizia e i trasporti. E’ economicamente assurdo investire diversi milioni di euro all’estero attraverso il meccanismo di sviluppo pulito (CDM) se il proprio paese deve ancora compiere notevoli sforzi per isolare adeguatamente gli edifici o elaborare una politica dei trasporti incentrata sulla mobilità a bassa emissione di CO2. Inoltre, non vi è alcuna garanzia che i progetti nei quali si investe all’estero siano di alta qualità.
Per di più, non vi è certezza che gli investimenti realizzati attraverso il CDM facciano veramente la differenza, così come non è etico acquistare gli sforzi più facili in paesi terzi. E’ una forma di neocolonialismo, che compromette realmente la posizione dei paesi terzi che, in futuro, dovranno compiere sforzi aggiuntivi e più costosi.
Anders Wijkman (PPE-DE), per iscritto. − (SV) Ho scelto di astenermi dal voto sulla direttiva riguardante la distribuzione di sforzi principalmente perché la proposta invia segnali sbagliati al resto del mondo, se l’Unione europea può realizzare circa il 70 per cento delle proprie riduzioni di emissioni fino al 2020 in paesi non UE.
Sono necessari sforzi maggiori per aiutare i paesi in via di sviluppo a investire nelle tecnologie a bassa emissione di carbonio. Questo sostegno, tuttavia, non deve essere un’alternativa alle riduzioni sul territorio nazionale, ma deve invece essere un’aggiunta alle riduzioni. Non possiamo permetterci, né ne abbiamo il tempo, di scegliere se abbiamo o meno la possibilità di prevenire cambiamenti pericolosi del clima.
E’ controproducente posticipare a dopo il 2020il necessario adattamento all’interno dei confini nazionali; dobbiamo iniziare ora se vogliamo avere una possibilità di conseguire entro il 2050un livello di emissioni vicino allo zero. Le industrie hanno bisogno di forti incentivi per apportare i necessari adeguamenti in materia di energia, trasporti, costruzioni, produzione industriale e così via.
La proposta per i settori non coperti dallo scambio di crediti è troppo debole da questo punto di vista e per questo ho deciso di astenermi dal voto su questa parte del pacchetto legislativo. Un voto contrario avrebbe messo a repentaglio l’intero pacchetto e non ho voluto correre questo rischio. Per il resto, la direttiva contiene alcuni elementi positivi rispetto allo status quo, ma soprattutto si tratta del primo strumento legislativo al mondo che stabilisce riduzioni vincolanti per tutti i settori non inclusi nel sistema di scambio delle quote di emissione.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il pacchetto clima ed energia include anche una proposta di direttiva sulla cattura e lo stoccaggio del biossido di carbonio. L’obiettivo dello stoccaggio geologico consiste nel prevedere un’alternativa al rilascio di CO2 nell’atmosfera mediante il suo confinamento permanente nel sottosuolo.
La Commissione europea propone che tutte le nuove centrali elettriche dispongano, sin dalla costruzione, di impianti per la cattura di CO2, tecnologia che, oltre a essere discutibile, potrebbe contribuire a ottenere emissioni negative, andando a integrare le energie rinnovabili. Il relatore, tuttavia, ritiene che la priorità debba essere di impiegare questa tecnologia per affrontare il problema del carbone, responsabile del 24 per cento delle emissioni di CO2 in Europa.
Nonostante i nostri dubbi su alcuni emendamenti tecnicamente controversi, abbiamo votato a favore della posizione del Parlamento europeo, benché la consideriamo eccessivamente normativa, soprattutto rispetto all’autonomia degli Stati membri e in un settore in cui la conoscenza scientifica e tecnica è ancora piuttosto limitata. Lamentiamo il fatto che non si sia posta sufficiente enfasi sull’enorme sforzo di ricerca, sviluppo e dimostrazione che risulta ancora necessario. Per tale ragione, la tempistica raccomandata è eccessivamente ambiziosa, a meno che non si approvino cospicui finanziamenti pubblici nei prossimi anni.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Come mezzo per mitigare il cambiamento climatico nell’Unione europea, la tecnologia basata sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) è assai promettente, ma questa non deve diventare una giustificazione per rilassarsi e ridurre lo sforzo compiuto per rendere più pulita la produzione europea di energia elettrica.
La relazione Davies è molto equilibrata e il compromesso raggiunto tra il Parlamento europeo e il Consiglio soddisfa appieno le necessità dell’Unione europea.
L’applicazione dei 12 progetti dimostrativi è di particolare importanza. I loro risultati a medio termine aiuteranno l’Unione europea a introdurre questa tecnologia in modo più economico ed efficace per l’ambiente.
Di fronte ai numerosi dubbi ancora esistenti, in particolare l’incertezza riguardo all’esistenza di luoghi di stoccaggio adeguati in tutti gli Stati membri, considero molto positiva la possibilità di rivedere la questione di esportare CO2 in paesi terzi (articolo 35a, paragrafo 2) e di non obbligare gli operatori economici ad applicare la tecnologia CCS (articolo 32).
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione presentata dall’onorevole Davies riguardante lo stoccaggio di biossido di carbonio. La CCS è una tecnologia emergente ed è essenziale implementare la ricerca per valutarne le potenzialità nella lotta contro il riscaldamento globale. La direttiva ha proposto una solida base giuridica su cui costruire la tecnologia CCS e ritengo che la Scozia abbia un ruolo di rilievo da svolgere nello sviluppo del settore.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa relazione che garantirà maggiore sicurezza per la salute umana e per l’ambiente. La direttiva sulla CCS definisce un quadro giuridico per l’impiego di questa nuova tecnologia, che include importanti condizioni di sicurezza, importanti non solo per la salvaguardia dell’ambiente, ma anche per dare agli investitori certezza giuridica nello sviluppo di nuovi progetti.
Rimane tuttavia fondamentale che questa relazione non ci allontani dall’obiettivo principale:un ulteriore dispiegamento di energie rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) La promozione di nuove tecnologie per lo stoccaggio dell’anidride carbonica responsabile del cambiamento climatico non deve avvenire a spese delle tecnologie consolidate che hanno dimostrato la loro efficacia. Un esempio sono le paludi intatte, che assorbono anidride carbonica, metano e protossido d’azoto; il taglio della torba e il drenaggio delle paludi, invece, trasformano queste aree in potenti fonti di emissione di gas a effetto serra. Allo stesso modo, anche bruciare le foreste tropicali per produrre biocombustibili fa pendere la bilancia del clima dalla parte sbagliata.
L’avventura dei biocombustibili deve insegnarci che le buone intenzioni possono facilmente trasformarsi in autogol. Le nuove tecnologie sono lontane dall’essere mature e le ripercussioni sono imprevedibili ed è per questo che mi sono astenuto nella votazione di oggi.
Eluned Morgan (PSE), per iscritto.− (EN) L’inclusione in questa relazione di un fondo di 9 miliardi di euro per pulire le centrali elettriche a carbone attraverso lo sviluppo della cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) offrirà occasioni entusiasmanti per l’industria del carbone del Galles. Il Galles non deve perdere questa occasione per diventare leader in questa nuova tecnologia e sbloccare il potenziale di un mercato di esportazione lucrativo. L’Europa deve assolutamente prendere l’iniziativa, in quanto è vitale trovare una soluzione al problema del carbone, soprattutto in previsione di un aumento nella produzione del carbone pari al 60 per cento a livello mondiale nei prossimi 20 anni.
Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto. – (RO) La promozione delle tecnologie utilizzate per la cattura e lo stoccaggio geologico del biossido di carbonio contribuirà a diversificare l’energia efficiente e a sostenere la battaglia contro il cambiamento climatico. Per ottenere una riduzione del 50 per cento nelle emissioni di CO2 entro il 2050, non è sufficiente l’impiego di energia derivata da fonti rinnovabili tralasciando i progetti CCS.
Questa sarà la sfida per l’Unione europea, ricordando i maggiori costi di investimento di capitali in impianti di cattura e di stoccaggio, costi che comunque diminuiranno con l’impiego su vasta scala degli impianti. I progetti dimostrativi non sono quindi obbligatori poiché dipendono in gran parte dal prezzo del carbonio e dalla tecnologia. L’Unione europea tuttavia ha compiuto un passo importante nel trovare soluzioni alternative che contribuiranno a ridurre il livello dei gas a effetto serra ed effettivamente, l’attuazione futura di questi progetti incoraggerà anche altri paesi extra-UE ad avvalersi di queste tecnologie.
John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. − (EN) Una delle modalità di trasporto più pulite è la navigazione. La relazione riguarda le navi adibite alla navigazione interna, ma ritengo che questa modalità di trasporto non possa essere dissociata dal quadro più ampio del trasporto via mare; entrambe le tipologie di trasporto sono efficienti dal punto di vista energetico.
Il trasporto di un prodotto via acqua produce circa l’1 percento dell’anidride carbonica prodotta effettuando il trasporto per via aerea.
Nell’adottare normative che riguardano il trasporto via acqua dobbiamo fare attenzione a non sovraccaricare le imprese relativamente a navi e chiatte per la navigazione marittima e interna, per evitare di ottenere il risultato contrario rispetto a quanto atteso. Se il trasporto fluviale e marittimo dovesse diventare poco competitivo, gli utenti sceglierebbero probabilmente altre soluzioni, che avrebbero però una maggiore impronta di carbonio. In questo caso, anziché abbattere le emissioni di gas a effetto serra, avremmo introdotto una serie di regole e normative che, in ultima analisi, sarebbero completamente contrarie all’obiettivo generale delle nostre proposte.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Corbey riguardante il controllo e la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dai trasporti su strada e dalla navigazione interna, in quanto ritengo che il miglioramento della qualità dell’aria e la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra siano due aspetti essenziali nell’affrontare il cambiamento climatico e nel ridurre i rischi per la salute.
Credo che l’adozione di questa direttiva rivesta grande importanza e contribuirà a ridurre la CO2 nel settore dei trasporti, particolarmente incoraggiando lo sviluppo di tecnologie pulite e definendo specifici requisiti per le emissioni di carbonio derivanti dai processi produttivi.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’obiettivo di questa relazione, che fa parte del pacchetto clima ed energia, consiste nel migliorare la qualità dell’aria e contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico, riducendo le emissioni di gas a effetto serra dovute all'uso di combustibili per i trasporti. Ad oggi, la direttiva ha regolamentato soltanto la qualità dei combustibili, ma l’emendamento proposto introduce anche riduzioni obbligatorie per le relative emissioni di gas a effetto serra.
Complessivamente la relatrice ha svolto un lavoro egregio, presentando emendamenti che giudichiamo positivi e che, in generale, sono corretti e ben fondati, intesi a garantire la massima efficacia e pari condizioni di concorrenza, con obiettivi ambiziosi ma ragionevoli. Inoltre, è importante che la direttiva sia neutra in termini tecnologici, ovvero che non incoraggi in modo specifico l’uso di un particolare combustibile o tecnologia.
E’ per questa ragione che abbiamo espresso voto favorevole.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Questa relazione è estremamente importante perché, in un unico documento, si mira innanzi tutto a migliorare la qualità dell’aria, riducendo l’inquinamento atmosferico – in particolare le emissioni di sostanze altamente tossiche e inquinanti – e, in secondo luogo, a contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico, riducendo le emissioni dei gas a effetto serra dovute all’uso di combustibili per i trasporti.
Questa è la prima volta in cui un obiettivo di riduzione è stato applicato a un prodotto specifico (i combustibili) sulla base di un’analisi del ciclo di vita (estrazione, produzione, trasporto, distribuzione e uso finale), il che è indicativo dell’importanza di questa direttiva.
Sono soddisfatto dell’accordo raggiunto tra Parlamento e Consiglio e vorrei sottolineare il fatto che viene garantita la sostenibilità nella produzione e nell’uso di biocombustibile, caratteristica essenziale per il successo della direttiva.
La direttiva sulla qualità dei combustibili diverrà uno strumento fondamentale nella lotta contro il cambiamento climatico.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione Corbey. L’Europa deve svolgere un ruolo cruciale nella riduzione complessiva dei gas a effetto serra, nella quale l’attuazione di obblighi vincolanti per i fornitori di combustibili rappresenterà una parte fondamentale.
Erika Mann (PSE), per iscritto. − (EN) In questa dichiarazione di voto, desidero congratularmi con la relatrice della direttiva sulla qualità dei combustibili, l’onorevole Corbey, per essere riuscita a includere numerose richieste del Parlamento nel compromesso finale.
L’Unione europea deve basare le proprie politiche e normative su una solida base scientifica, requisito tanto della legislazione dell’UE quanto degli impegni commerciali comunitari. In qualità di membro della commissione per il commercio internazionale, sono spesso interpellata dai partner commerciali quando l’Unione europea sembra introdurre normative sulla base di procedure arbitrarie o politiche anziché di dati scientifici.
Sono quindi lieta che la revisione della direttiva sulla qualità dei combustibili non includa la precedente proposta di vietare l’impiego dell’additivo MMT nei combustibili. La direttiva emendata prevede che si continui a usare l’MMT, riconoscendo le conclusioni scientifiche raggiunte da importanti partner commerciali, tra cui Stati Uniti e Canada. Inoltre la direttiva emendata impone all’Unione europea di svolgere un esame scientifico. Sono fermamente convinta, come richiesto anche dall’Unione europea e dalle leggi internazionali, che le restrizioni sull’uso dell’MMT debbano avere fondamenti scientifici.
Spesso vi sono paesi che definiscono le proprie norme in materia di combustibili sulla base di quelle europee e quindi, proprio per questo, è fondamentale che l’Unione europea garantisca che le proprie normative in materia di combustibili siano interamente corroborate da dati scientifici.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Tramite i nostri sforzi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, stiamo sovvenzionando l’uso dei biocombustibili tropicali. In questo modo, rispettiamo solo superficialmente gli obblighi assunti a Kyoto, in realtà, peggiorando il problema. Considerando che, secondo gli studi, le foreste tropicali assorbono fino al 46 per cento del carbonio vivo del pianeta e che il disboscamento è responsabile del 25 per cento delle emissioni totali di carbonio, l’Unione europea ha sbagliato tutti i calcoli.
Nel corso del dibattito sulle emissioni di anidride carbonica, abbiamo perso di vista il quadro generale; dobbiamo infatti ricordare anche le emissioni di gas a effetto serra dovute, per esempio, alla combustione del legno. Inoltre, finora non mi sembra sia stato chiarito quanto i motori attuali siano idonei all’uso di biocarburanti. L’intero sistema scricchiola ed è per questo che mi sono astenuto dal votare questa relazione.
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. − (SV) Siamo critici sulla proposta che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture. Ci aspettavamo una proposta più ambiziosa e con sanzioni più severe, un periodo di introduzione più breve e un obiettivo a lungo termine definito con maggiore chiarezza. Siamo altresì critici sul fatto che le agevolazioni fiscali relative all’etanolo siano diventate talmente esigue da essere a stento un incentivo per gli investimenti, nonostante l’etanolo contribuisca a ridurre le emissioni.
Abbiamo comunque deciso di votare a favore della proposta nel suo complesso in quanto riteniamo che respingerla significherebbe ritardare ulteriormente l’approvazione di normative per l’industria automobilistica.
Jean Marie Beaupuy (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la relazione Sacconi sui livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove, per manifestare pubblicamente il mio rammarico per il fatto che non si sia raggiunto un accordo più favorevole all’ambiente. Tuttavia, spero che il voto favorevole espresso dalla maggioranza dei parlamentari ci permetta di realizzare tempestivamente una serie di interventi, e ci conduca, nei prossimi anni, verso decisioni in grado di conciliare le esigenze del nostro pianeta e dell’economia, con particolare attenzione alla situazione dell’industria automobilistica.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Il compromesso, così come proposto, non è una soluzione soddisfacente.
Noto con rammarico che l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture è al di sotto dei livelli perseguiti dal nostro Parlamento ed è, per di più, soggetto a una valutazione dell’impatto. Queste due decisioni non muovono nella giusta direzione; in materia di emissioni occorrono invece, a breve e lungo termine, norme rigorose e non modificabili.
L’obiettivo specifico di ridurre le emissioni da parte dei produttori penalizzerà proprio chi è già tra i più attivi in merito poiché, in caso di inosservanza degli obiettivi, il sistema sanzionatorio non favorisce chi ha messo a punto veicoli più compatibili con l’ambiente. La legislazione contiene un enorme paradosso nel senso che si penalizza meno chi inquina di più, mentre avrebbe dovuto riconoscere e sostenere gli sforzi compiuti dai più virtuosi.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione Sacconi sui livelli di prestazione in materia di emissioni delle nuove autovetture. Tenendo conto che il trasporto su strada è responsabile del 12 per cento di tutte le emissioni di anidride carbonica nell’Unione europea, ritengo che questa normativa, nonostante non sia inclusa nel pacchetto clima ed energia, sia di vitale importanza per garantire che l’UE raggiunga l’obiettivo di ridurre del 20 per cento le emissioni di gas a effetto serra entro il 2020.
Mi congratulo con il relatore per il ruolo decisivo svolto nei negoziati con il Consiglio e la Commissione europea, che si sono conclusi con un accordo solido ed equilibrato che porterà vantaggi per l’industria dell’automobile e per i consumatori e, in particolare, proteggerà l’ambiente. Si tratta, pertanto, di un modello ambizioso ma flessibile, poiché cerca di soddisfare gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti e, al contempo, permette alle imprese del settore automobilistico di adattarsi gradualmente.
Anne Ferreira (PSE), per iscritto. – (FR) Mi sono astenuta dal voto sulla relazione riguardante le emissioni di CO2 delle autovetture, poiché a mio parere non presta la necessaria attenzione all’impatto della flotta dei veicoli sul cambiamento climatico.
Si sarebbero dovuti sostenere obiettivi più ambiziosi – come quelli adottati in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento europeo – che non potrebbero avere effetti negativi sull’industria europea dell’automobile.
Gli scarsi risultati delle vendite di automobili registrati quest’anno vanno ricollegati soprattutto al potere d’acquisto dei cittadini francesi ed europei, sicuramente non a uno strumento legislativo che, tra l’altro, non è più in vigore.
Inoltre, non bisogna dimenticare che alcune penali saranno rimborsate alle industrie dell’auto per contribuire al finanziamento dei programmi di ricerca.
Duarte Freitas (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Il settore dei trasporti su strada rappresenta la seconda fonte di emissioni di gas a effetto serra nell’Unione europea e, cosa più importante, è un settore in cui le emissioni continuano a crescere. Il significativo progresso ottenuto grazie alla tecnologia dell’automobile non è stato sufficiente per neutralizzare l’aumento dei volumi di traffico e delle dimensioni delle autovetture.
La normativa proposta è conforme allo spirito e agli obiettivi dell’Unione europea, con particolare riguardo alla riduzione delle emissioni di gas serra almeno del 20 per cento entro il 2020.
Il fatto che la proposta preveda una ripartizione degli oneri, fissando un obiettivo specifico per ogni costruttore, è, a mio avviso, esemplare.
Considero altresì fondamentali le sanzioni previste per i costruttori che non rispettino i propri obiettivi.
Nel complesso, e tenendo conto della situazione attuale, l’accordo raggiunto è positivo per l’Unione europea. Per quanto riguarda il conseguimento degli obiettivi che l’Unione europea si è prefissa per contrastare il cambiamento climatico, questo regolamento sarà certamente d’aiuto.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione Sacconi sulle emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture nuove. Se da un lato il compromesso non si spinge sin dove avrebbe potuto, dall’altro esso definisce obiettivi importanti per i costruttori di automobili e contribuirà alla lotta contro il riscaldamento globale.
Stavros Lambrinidis (PSE), per iscritto. – (EL) Il gruppo del PASOK sostiene, tra le altre cose, il contenuto dell’emendamento n. 50, al fine di garantire che l’obiettivo a lungo termine dei 95 grammi di CO2/km diventi giuridicamente vincolante a partire dal 2020. Voteremo contro l’emendamento nominale n. 2 separato, poiché l’obiettivo di ridurre le emissioni prodotte dalle autovetture dev’essere raggiunto direttamente, per il bene della salute pubblica e dell’ambiente.
Kurt Joachim Lauk (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Desidero presentare la seguente dichiarazione di voto a nome degli europarlamentari della Christlich-Demokratische Union Deutschlands (CDU, unione cristiano-democratica tedesca) del Baden-Württemberg. Abbiamo votato a favore della proposta di regolamento nonostante le nostre forti riserve. Da una parte, è giusto incoraggiare il comparto dell’automobile a ridurre le emissioni di CO2 ed è per questo motivo che abbiamo votato a favore della proposta. Dall’altra, vorremmo cogliere questa opportunità per manifestare le nostre riserve, che possono essere sintetizzate in tre punti:
1. I mezzi proposti per ottenere le riduzioni non impongono pari oneri a tutti i produttori europei, ma colpiscono in particolare i costruttori di veicoli di grandi dimensioni, i quali sono anche innovatori, e interessano le case tedesche più di altri produttori dell’Unione europea.
2. Non vi è stata ancora alcuna valutazione dell’impatto. La prima proposta, che ha stabilito una pendenza dell’80 per cento per la curva dei valori limite (invece dell’attuale 60 per cento), è stata ritirata.
3. Le penali sono state stabilite arbitrariamente, particolarmente nella fase 4. Ciò condurrà a due prezzi diversi per la CO2: il prezzo di mercato utilizzato in Borsa e il prezzo fissato arbitrariamente per l’industria dell’automobile.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questo regolamento, che costituisce una parte essenziale del pacchetto sul cambiamento climatico dell’Unione europea e che definisce, per la prima volta, dei requisiti di legge affinché i costruttori riducano le emissioni di CO2 prodotte da tutte le autovetture vendute nell’Unione europea (indipendentemente dal luogo di fabbricazione). La flotta delle autovetture nuove dovrebbe produrre in media emissioni di anidride carbonica pari a 120 g CO2/km a partire dal 2012: la riduzione a 130 g CO2/km va conseguita attraverso miglioramenti delle tecnologia dei motori, mentre gli ulteriori 10 g dovrebbero giungere da “ecoinnovazioni” quali i nuovi sistemi di condizionamento d’aria. Il regolamento risulta flessibile grazie alla possibilità di calcolare l’obiettivo di un costruttore sulla base della media di tutta la sua flotta, il che significa che sarà possibile compensare un’autovettura più inquinante con una meno inquinante.
Eluned Morgan (PSE), per iscritto. − (EN) Il carbonio prodotto dai trasporti rappresenta il 21 per cento delle nostre emissioni. La definizione di obiettivi ambiziosi è, pertanto, essenziale per garantire che l’industria dell’automobile adempia al proprio obiettivo volontario, che non è riuscita a raggiungere in passato. Fissando standard elevati per i 500 milioni di potenziali clienti in Europa, creeremo anche degli standard internazionali che il resto del mondo dovrà rispettare. Alla luce dell’eccedenza produttiva del settore automobilistico mondiale, è essenziale che l’Europa prenda l’iniziativa nella produzione di autovetture verdi, che hanno più probabilità di attirare i consumatori in futuro.
Angelika Niebler (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Il settore dell’automobile è stato colpito in modo particolare dall’attuale crisi economica. La maggior parte degli stabilimenti tedeschi han imposto ai propri dipendenti ferie natalizie obbligatorie sin dall’inizio di dicembre.
Il regolamento approvato oggi sottoporrà l’industria dell’automobile tedesca, e in particolare quella bavarese, a una dura prova di resistenza, che richiederà strenui sforzi da parte del settore.
Siamo lieti di notare, pertanto, che a questo comparto sono state concesse regole transitorie esaustive al fine di raggiungere gli obiettivi di riduzione concordati.
Per esempio, i requisiti dovranno essere introdotti gradualmente. Inizialmente, nel 2012, è previsto che appena il 65 per cento delle nuove autovetture immatricolate nell’Unione europea soddisfi l’obiettivo concordato di portare il valore limite medio a 120 grammi di CO2 per chilometro, mentre entro il 2015 tutte le autovetture nuove dovranno soddisfare l’obiettivo. Inoltre, per cominciare, verrà concesso uno sconto di al massimo sette grammi per “ecoinnovazioni” come i tetti fotovoltaici e gli impianti di condizionamento economici.
Ciononostante, ci rammarichiamo che la relazione invii il messaggio sbagliato con le penali previste in caso di superamento dei valori: oltrepassare i valori di 4 grammi o più comporta una sanzione di 95 euro al grammo. Rispetto ai prezzi di CO2 applicabili in base al sistema di scambio delle quote di emissione, l’onere per l’industria dell’automobile diventa così superfluo ed eccessivo.
Seán Ó Neachtain (UEN), per iscritto. – (GA) Ho presentato un parere su questo argomento alla commissione per i trasporti, che era tanto divisa da impedirci di concordare un testo.
Ero dell’opinione che il testo della Commissione europea fosse perlopiù equo e realistico, sebbene mancasse aspetto importante: l’inclusione nella normativa di un obiettivo a medio o lungo termine.
Ovviamente comprendo le preoccupazioni per i posti di lavoro, ma bisogna essere ambiziosi. Abbiamo il dovere di salvaguardare il pianeta per le generazioni future e, a tal fine, dobbiamo essere pronti a prendere decisioni difficili.
Questi obiettivi “verdi” non sono irrealistici. Di recente, è stato dimostrato con grande chiarezza che il settore automobilistico deve in qualche modo riformato. La riforma in senso ambientale, che dovrà essere attuata con norme ambiziose, non è soltanto un nostro dovere, ma anche un’opportunità; essa rappresenta infatti un’occasione per intensificare il sostegno a ricerca e sviluppo nel settore dell’automobile nonché creare posti di lavoro, avviando così una nuova era per il comparto. Lo sviluppo sostenibile non giova soltanto al pianeta, ma potrebbe essere di beneficio anche per l’economia.
Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto. – (RO) Le emissioni prodotte dalle autovetture e le relative ripercussioni sull’ambiente non vanno trascurate nell’impegno dell’Unione europea volto a contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno convenuto che, entro il 2020, il livello medio di emissioni della nuova flotta di autovetture non dovrà superare i 95 g CO2/km. Attualmente, il settore automobilistico si è impegnato a ridurre le emissioni di biossido di carbonio a 140 g/km entro il 2008 in base a un accordo volontario firmato nel 1998. Trattandosi di un obiettivo volontario, gli sforzi volti a ridurre le emissioni sono stati trascurabili, con un livello di 186 g/km nel 1995 che è poi sceso ad appena 163 g/km nel 2004.
Il nuovo regolamento introduce un piano obbligatorio per la riduzione delle emissioni di CO2, ivi compreso un sistema di sanzioni per coloro che non osservano l’obiettivo, insieme a incentivi per la creazione di tecnologie innovative. Entro il 2014, l’80 per cento della flotta delle autovetture sarà conforme alle norme, mentre la sanzione prevista per ciascun grammo al di sopra del limite sarà pari a 95 euro a partire dal 2019. Il compromesso finale garantisce il giusto equilibrio tra le necessità dei consumatori, la tutela ambientale e una politica industriale sostenibile.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. − (NL) Ho espresso un voto contrario al compromesso contenuto nella relazione Sacconi sulle emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture. E’ un fascicolo vergognoso, nel quale i produttori di automobili ancora una volta sfuggono al dovere di costruire veicoli che ingurgitino meno energia e inquinino meno. La preparazione di questo fascicolo ha richiesto più di 10 anni. Inizialmente, si è cercato di guadagnare tempo attraverso un accordo volontario, che non è stato osservato. L’accordo di oggi è un ulteriore tentativo di temporeggiare e prevede sanzioni vergognosamente basse.
E’ stato stabilito un livello di 95 g di emissioni di CO2/km da applicare a partire dal 1° gennaio 2020. Nel 1996, il settore automobilistico ha concordato di contenere le emissioni a 140 g entro il 2008. Qual è la realtà? Le emissioni medie attualmente sono pari a 162 g.
La verità è che si tende sempre a pensare a breve termine. Preferiamo pagare grandi somme di denaro per corrompere regimi non democratici piuttosto che investire in tecnologie verdi innovative. L’argomentazione secondo cui siamo obbligati a farlo per via della crisi economica è falsa. L’industria automobilistica ha futuro soltanto se opterà per veicoli a elevata efficienza energetica e non inquinanti. Se ora si trova in difficoltà, può biasimare soltanto se stessa per le scelte sbagliate e miopi operate in passato.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione presentata dall’onorevole Sacconi sui livelli di prestazione in materia di emissioni per le autovetture nuove.
Il settore del trasporto su strada è responsabile di circa il 70 per cento delle emissioni di gas a effetto serra dovute al settore dei trasporti in generale. Questa tendenza interessa principalmente le zone urbane, dove la congestione del traffico provoca inquinamento atmosferico, soprattutto nei centri urbani più grandi. E’, pertanto, essenziale migliorare i livelli di prestazione in materia di emissioni per le nuove autovetture. Il compromesso raggiunto ha definito obiettivi ambiziosi per i costruttori di automobili, ma offre loro anche il tempo necessario per adattare le linee di produzione ai nuovi requisiti. Il sistema di bonus introdotto per le auto verdi costituirà un incentivo tanto per i produttori quanto per i consumatori, mentre il cambiamento climatico contribuirà a cambiare le preferenze dei consumatori nonché a rilanciare la domanda di autovetture.
Il mantenimento dei posti di lavoro e la definizione dei requisiti di base per lo sviluppo economico sono obiettivi indispensabili, specialmente nell’attuale crisi economica e finanziaria. L’importanza del comparto automobilistico è altresì riconosciuta dalle misure specifiche contenute nel piano europeo di ripresa economica.
Thomas Ulmer (PPE-DE), per iscritto. – (DE) Ho espresso un voto favorevole nonostante le mie forti riserve. Da un lato, è giusto incoraggiare l’industria dell’automobile a ridurre le emissioni di CO2, ma dall’altro non possiamo non esprimere le nostre grandi perplessità, con particolare riguardo al punto 3. 1. La proposta non prevede pari oneri per tutti i produttori europei, ma va a colpire in particolare i costruttori di veicoli di grandi dimensioni, che sono anche degli innovatori, e riguarda specialmente i produttori tedeschi. 2. Non è stata effettuata una valutazione dell’impatto. La prima proposta, che definiva una pendenza dell’80 per cento (invece dell’attuale 60 per cento) per la curva dei valori limite, è stata ritirata. 3. Le penali sono state stabilite arbitrariamente, soprattutto nella fase 4. In questo modo, si creeranno due prezzi diversi della CO2: il prezzo di mercato utilizzato in Borsa e il prezzo fissato arbitrariamente per l’industria dell’automobile.
Glenis Willmott (PSE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della legislazione nella sua versione emendata, sia per la proposta in esame di ridurre le emissioni di CO2 delle autovetture sia per l’intero pacchetto sul cambiamento climatico. Si tratta di un passo importante per garantire che l’Europa raggiunga l’obiettivo di tagliare le emissioni del 20 per cento entro il 2020 e invii un messaggio forte al resto del mondo prima dei negoziati di Copenaghen del prossimo anno, ovvero che Europa significa affari.
Siamo già in possesso della tecnologia che ci può aiutare a raggiungere questi obiettivi e non può esservi miglior esempio del lavoro all’avanguardia svolto presso la Loughborough University, nella mia stessa circoscrizione, conosciuta a livello mondiale per lo sviluppo di tecnologie verdi. L’università ha infatti inaugurato di recente una nuova stazione di rifornimento di idrogeno, una delle due esistenti nel Regno Unito.
Bairbre de Brún e Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. − Sinn Féin attribuisce la massima priorità alla lotta contro il cambiamento climatico. Riconosciamo nel modo più assoluto i profondi cambiamenti necessari per creare un tipo di società e di economia che dimostri la propria sostenibilità ambientale. Pertanto, sosteniamo l’adozione di misure a livello locale, nazionale, comunitario e mondiale attraverso i negoziati ONU sul clima, al fine di stabilire i necessari obiettivi vincolanti per la riduzione di CO2.
Con particolare riguardo alla relazione Doyle sul sistema di scambio di quote di emissione (ETS), abbiamo espresso un voto favorevole poiché la normativa che ne risulta garantisce il miglioramento dell’attuale ETS comunitario, nonostante alcune serie difficoltà che il sistema stesso pone.
Non ci convince l’idea che la maggior parte delle riduzioni volte a raggiungere gli obiettivi comunitari possa effettivamente essere realizzata al di fuori dell’Unione europea, come approvato dalla relazione Hassi. Su questo punto ci siamo astenuti.
Riguardo alla relazione Davies sulla tecnologia CCS e ferma restando la nostra netta preferenza per le energie rinnovabili, abbiamo votato a favore, in quanto la relazione prevede misure importanti in materia di sicurezza, anche sotto il profilo finanziario, e di responsabilità. Inoltre, avremmo voluto un livello di prestazione in materia di emissioni, anche se la relazione prevede la possibilità di riconsiderare questo aspetto.
Abbiamo votato contro la relazione Sacconi sulle autovetture perché l’accordo ha notevolmente indebolito la proposta della Commissione europea.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore del pacchetto integrato sull’energia e i cambiamenti climatici, che racchiude le relazioni Doyle, Hassi, Turmes e Davies, in quanto ritengo che l’accordo raggiunto tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea sia equilibrato e concili la tutela ambientale con i legittimi interessi del settore.
E’ stato importante giungere a un accordo in prima lettura, ovvero in tempo utile affinché l’Unione europea presentasse una proposta credibile alla conferenza di Copenaghen del 2009, al fine di raggiungere un accordo internazionale e continuare a fungere da capofila nella lotta al cambiamento climatico.
Neena Gill (PSE), per iscritto. − Ho votato a favore del pacchetto sul cambiamento climatico poiché ritengo che il mondo si trovi a un bivio. Ci troviamo ad affrontare una sfida senza precedenti per il nostro stile di vita, ma soltanto lavorando insieme gli Stati membri potranno vedere dei risultati. E’ in momenti come questi che l’Unione europea deve assumersi le proprie responsabilità e comportarsi da leader mondiale.
E lo ha fatto. Nessun altro paese o gruppo di paesi ha definito un processo giuridicamente vincolante della portata e con le potenzialità di questo pacchetto.
Secondo i deputati verdi di questo Parlamento, il pacchetto legislativo è stato diluito, ma la loro posizione non è realista. L’efficacia ambientale del sistema è fuori discussione. Invece abbiamo raggiunto un valido equilibrio tra la necessità che l’industria continui a registrare utili anche in un periodo di turbolenza economica, le esigenze sociali dell’Europa e il futuro del nostro ambiente.
Si trattava, pertanto, di un pacchetto legislativo che i socialisti hanno giustamente sostenuto e anch’io sono stato lieto di farlo.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Il pacchetto integrato sull’energia e i cambiamenti climatici, sul quale stiamo votando oggi, dovrebbe segnare una svolta in ambito energetico, economico e tecnologico.
Ed è effettivamente questo l’effetto che sortisce. Le diverse misure proposte cambieranno radicalmente il mix energetico degli Stati membri e condurranno a una politica energetica comune, se non addirittura unica, comportando costi enormi, indebolendo la competitività delle nostre industrie e, pertanto, l’occupazione in Europa, aumentando i prezzi dell’energia per i consumatori privati e le imprese, incidendo notevolmente sui bilanci nazionali, e così via.
Naturalmente, sono state previste molte deroghe allo scopo di evitare le rilocalizzazioni, ma non sono sufficienti. Nell’attuale contesto di crisi diffusa, che sembra si trascinerà a lungo, occorre una clausola di salvaguardia generale, volta a garantire che, almeno per il momento, gli interessi dell’economia e dei lavoratori europei abbiano la necessaria precedenza sugli obiettivi ambientali. Bisogna, inoltre, effettuare un controllo generale dell’intero processo qualora falliscano i prossimi negoziati internazionali, e soprattutto se gli Stati Uniti e i grandi paesi emergenti non si assumeranno impegni altrettanto onerosi: in tal caso, il suicidio economico dell’Europa, responsabile soltanto del 15 per cento delle emissioni di gas a effetto serra “artificiali” nel mondo, sarebbe del tutto vano.
Dan Jørgensen (PSE), per iscritto. − (DA) I socialdemocratici danesi hanno votato a favore della maggior parte del pacchetto dell’Unione europea sul clima perché, sebbene non tutti i metodi utilizzati siano quelli che avremmo desiderato, esso stabilisce l’obiettivo ambizioso di ridurre le emissioni di CO2 del 20 per cento o del 30 per cento, a seconda che venga firmato o meno un accordo internazionale.
I socialdemocratici hanno votato contro la proposta riguardante la ripartizione degli oneri (vale a dire, la riduzione, per esempio, nei settori dell’agricoltura, dei trasporti, eccetera), perché sarà così facile acquistare crediti di emissione nei paesi in via di sviluppo che l’Unione europea potrà adempiere tra il 60e il 70 per cento dei propri obblighi di riduzione acquistando quote di emissione nei paesi più poveri del mondo. In realtà, ciò significa che i paesi più ricchi, limitandosi a pagare, potrebbero evitare il cambiamento richiesto e, pertanto, non investiranno nello sviluppo tecnologico necessario per raggiungere l’obiettivo di riduzione dell’80 per cento.
I socialdemocratici hanno votato contro la proposta sulle emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture. Contrariamente alla proposta della Commissione europea e in netta contrapposizione con il risultato del voto in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, la proposta ritarderebbe di altri tre anni l’obbligo di contenere le emissioni entro i 120 g CO2/km a partire dal 2012. Dieci anni fa il settore automobilistico aveva già sottoscritto un accordo volontario sulla riduzione del biossido di carbonio e ha avuto un lunghissimo periodo di tempo per adattarsi alle norme necessarie per contrastare il riscaldamento globale.
Marie-Noëlle Lienemann (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore delle quattro direttive riguardanti il pacchetto integrato sull’energia e i cambiamenti climatici poiché è importante che l’Unione europea adotti questi testi prima del 2009 e dei negoziati internazionali. Posticipandone l’approvazione, avremmo rimandato il nostro intervento e avremmo accumulato ritardi, senza la garanzia di un testo migliorato. Ho votato SÌ:
- perché sono stati confermati gli obiettivi 3x20 (20 per cento di riduzione dei gas a effetto serra, 20 per cento di riduzione dei consumi di energia, 20 per cento di energia rinnovabile) nonché l’aumento dell’obiettivo di riduzione al 30 per cento nell’eventualità che si giunga a un accordo internazionale più ambizioso;
- Perché è di vitale importanza, dato che i testi presentati dal Consiglio non hanno la stessa portata delle proposte della Commissione e il rischio di non raggiungere gli obiettivi dichiarati (per esempio, lo scaglionamento nel tempo, l’elevato numero di deroghe, la possibilità di finanziare le riduzioni di gas al di fuori dell’Unione europea) ritarda l’essenziale decarbonizzazione delle nostre industrie, delle nostre economie e dei nostri mezzi di sviluppo;
- a titolo di precauzione, poiché qualora gli obiettivi non fossero raggiunti in itinere, il Parlamento dovrebbe imporre nuove politiche;
- Perché rappresenta un primo passo. Ho sempre creduto che i sistemi di scambio delle quote di emissione non avrebbero trasformato la nostra industria né le nostre attività, riducendone l’impatto ambientale. Dobbiamo pensare a stanziamenti significativi per la ricerca e l’innovazione, definendo norme e tariffe doganali volte a contrastare il dumping ambientale, nonché politiche industriali e fondi europei che accompagnino tali cambiamenti.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Sebbene le relazioni affrontino aspetti diversi del pacchetto sul clima, è possibile individuare un’impostazione globale.
Dato che i consumi energetici sembrano destinati ad aumentare ancora, e poiché le energie che producono più emissioni di CO2 sono anche le più costose, è facile capire perché l’adozione di energie a basso consumo di CO2 diventi un’esigenza sia ambientale sia economica. Per tale ragione, è essenziale investire in soluzioni tecnologiche che, da un lato, riducano il consumo di energia e, dall’altro, contengano le emissioni che esisteranno sempre. Le industrie i cui prodotti sono tra i principali responsabili delle emissioni di CO2 devono attuare un processo di adattamento: esse possono, e devono, essere incoraggiate a produrre beni tecnologicamente più avanzati, soprattutto mediante le norme in materia di appalti pubblici, invece di essere sottoposte a sanzioni. Allo stesso modo, le industrie che emettono elevati livelli di CO2 durante il processo produttivo devono ricevere sostegno per la ricerca e l’innovazione, allo scopo di diventare più competitive, invece di essere sottoposte a regole che penalizzano la produzione, rendendola così impraticabile in Europa. Infine, vi è un’assoluta necessità di ridurre la dipendenza energetica, diversificando le fonti e i fornitori: è questo l’approccio necessario a incentivare l’uso delle energie a basse emissioni di CO2.
- Raccomandazione per la seconda lettura: Alejandro Cercas (A6-0440/2008)
Kader Arif (PSE), per iscritto. – (FR) La posizione comune sull’orario di lavoro, che il Consiglio ha sottoposto al voto del Parlamento, ha rappresentato un vero passo indietro per i diritti dei lavoratori e un autentico pericolo per il modello sociale europeo.
Raccogliendo intorno a sé una solida maggioranza, il relatore socialista, onorevole Cercas, che ho sostenuto con il mio voto, è riuscito a sconfiggere questa visione conservatrice e reazionaria del mondo del lavoro, degna del XIX secolo. Insieme a tutto il gruppo socialista, ho sostenuto una serie di emendamenti volti a garantire progressi essenziali per i diritti dei lavoratori.
Abbiamo così ottenuto l’abrogazione della clausola di non partecipazione, che permetteva di sfuggire dal limite posto sull’orario di lavoro e di imporre fino a 65 ore lavorative settimanali. Allo stesso modo, poiché non è possibile considerare i turni di guardia come periodi di riposo, siamo riusciti a farli calcolare come orario di lavoro. Abbiamo anche ottenuto garanzie riguardo ai periodi di riposo compensativi e alla conciliazione di vita professionale e familiare.
Questa grande vittoria dei socialisti europei, sostenuta dai sindacati, è una vittoria per tutti gli europei. L’Europa che fa propri i più importanti progressi sociali, come quelli di oggi, è l’Europa che protegge i suoi cittadini.
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. –) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dichiaro il mio voto favorevole alla raccomandazione in oggetto, il cui testo in Parlamento è stato coordinato dal collega Alejandro Cercas. Ci troviamo a vivere una contingenza particolare in cui, purtroppo, la crisi finanziaria sta investendo anche l'economia reale. Sono necessarie scelte in grado di incidere positivamente sul nostro settore produttivo e, soprattutto, l'Europa deve farsi trovare pronta alle nuove, difficili sfide di competitività che si profilano all'orizzonte.
Condivido l'impostazione di fondo con la quale si intende dare una cornice europea alla regolamentazione dell'organizzazione dell'orario di lavoro: giusto, in questo ambito, promuovere un maggiore coinvolgimento nelle decisioni delle parti sociali ed in particolare di quei sindacati riformisti che, in tutta Europa, tentano di sostenere una scommessa che, accanto alla difesa dei diritti dei lavoratori, punti alla modernizzazione ed alla crescita.
Adam Bielan (UEN), per iscritto. – (PL) I periodi attivi e inattivi durante il servizio costituiscono una questione importante per molte professioni, specialmente per i medici. Suddividere i turni in periodi di servizio attivi e inattivi va contro il concetto di orario di lavoro e le norme di base sulle condizioni di lavoro. E’ possibile controllare i periodi di pausa di un medico durante il turno di lavoro, oppure i periodi in cui egli è in servizio impegnato in una procedura di emergenza, effettuando un trattamento o programmando il prossimo intervento? Inoltre, se si tentasse di controllare tutto questo, bisognerebbe assumere degli ispettori dovendo così sostenere costi incredibili. Una tale decisione sarebbe incompatibile con l’etica professionale.
Derek Roland Clark, Michael Henry Nattrass, Jeffrey Titford e John Whittaker (IND/DEM), per iscritto. − (EN) L’UKIP riconosce il valore di alcuni elementi della posizione del Consiglio nel preservare il diritto al lavoro dei cittadini britannici e abbiamo votato contro altri emendamenti di questa relazione che li mettono in discussione.
Ciononostante, la posizione del Consiglio contiene molti altri elementi sui quali l’UKIP non è d’accordo e che non può accogliere. Pertanto ci asteniamo dal voto sull’emendamento n. 30.
Jean Louis Cottigny (PSE), per iscritto. – (FR) Il voto che il Parlamento europeo si accinge a esprimere oggi è di vitale importanza. L’orario di lavoro settimanale massimo in Europa resterà di 48 ore, permettendo così ai paesi che hanno un regime più favorevole per i lavoratori di non cambiare nulla (come la Francia, dove l’orario massimo è di 35 ore), mentre il Consiglio voleva portare il limite a 65 ore.
Le forze della sinistra e i rappresentanti dei lavoratori, come la Confederazione europea dei sindacati, possono essere orgogliosi di questa vittoria.
Non vanno dimenticati i medici e gli studenti di medicina, dato che questa vittoria vale anche per loro. I turni di guardia del personale medico continueranno a essere calcolati come ore di lavoro.
Questo voto, sostenuto da una vasta maggioranza, consentirà a 27 parlamentari europei di dichiarare chiara e forte la propria posizione ai 27 ministri in seno al comitato di conciliazione.
Harlem Désir (PSE), per iscritto. – (FR) Nell’attuale contesto di crisi e precarietà sociale per i lavoratori, oggi il Consiglio sottopone al voto del Parlamento una posizione comune che mette a repentaglio le stesse fondamenta del modello sociale europeo, indebolendo le norme relative all’orario di lavoro.
La decisione di applicare una clausola che prevede deroghe dal limite settimanale di 48 ore e di non calcolare i turni di guardia come orario di lavoro rischia di creare un’Europa a due velocità in ambito sociale, divisa tra i lavoratori che godono di forme di tutela sociale nel proprio Stato membro e gli altri, costretti una menomazione dei loro diritti sociali.
Contrariamente alla discussione della Commissione e di alcuni Stati del Consiglio dell’Unione europea, che presenta come un progresso la libera scelta dell’opt-out, io ho scelto di sostenere gli emendamenti presentati dall’onorevole Cercas, che sono espressione della posizione del Parlamento nella prima lettura del 2004.
Tali emendamenti richiedono che la clausola di opt-out sia abrogata 36 mesi dopo l’entrata in vigore della direttiva, che il turno di guardia sia calcolato come orario di lavoro (riconosciuto dalla Corte di giustizia delle Comunità europee), e che siano date garanzie rispetto al periodo di riposo compensativo e alla conciliazione di vita professionale e familiare.
Brigitte Douay (PSE), per iscritto. – (FR) Ho sostenuto la posizione del relatore, onorevole Cercas, poiché l’organizzazione dell’orario di lavoro influisce notevolmente sulla vita quotidiana dei cittadini europei.
La manifestazione di massa organizzata dai sindacati europei ieri a Strasburgo è stata un esempio del loro impegno per una migliore tutela dei lavoratori.
Vi sono diversi aspetti di questa relazione che hanno attratto la mia attenzione e che meritano di essere sostenuti, ivi compresa, in particolare, la fine della deroga all’orario di lavoro settimanale, attualmente stabilito a 48 ore nell’Unione europea. Come altri socialisti europei, sono convinta che conciliare la vita professionale e quella familiare sia essenziale per la prosperità dei cittadini europei.
La relazione Cercas, grazie ai progressi sociali in essa contenuti, sta andando nella giusta direzione, eliminando le misure eccessivamente liberiste applicate in alcuni Stati membri, che vorrebbero vederle estese all’intera Unione europea.
Lena Ek (ALDE), per iscritto. − (SV) Dopo quattro anni di tentativi volti a modificare la direttiva sull’orario di lavoro, l’estate scorsa il Consiglio dei ministri è riuscito a concordare una posizione comune. L’accordo del Consiglio contiene un’opzione di non partecipazione, che consente alle parti sociali di derogare dall’orario di lavoro settimanale stabilito dalla direttiva. In tal modo, viene difeso il modello svedese dei contratti collettivi e si applica peraltro il principio di sussidiarietà, alla base del quale vi è l’idea che le decisioni vadano prese al livello più vicino possibile ai cittadini.
La proposta del Parlamento mira a stralciare l’opzione di non partecipazione. Di conseguenza, ho espresso un voto contrario.
Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato per il respingimento della posizione comune del Consiglio poiché ritengo che essa non rispetti i legittimi diritti dei lavoratori. Il Parlamento europeo ha adottato una posizione chiara e significativa respingendo la possibilità di una settimana lavorativa di 65 ore.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La sconfitta subita oggi dal Consiglio per mano del Parlamento europeo è una vittoria importante nella lotta dei lavoratori. Il Consiglio non è riuscito a far approvare le sue proposte inaccettabili, volte a modificare la direttiva sull’orario di lavoro, che avrebbe messo a repentaglio le vittorie faticosamente raggiunte negli oltre 100 anni di lotte dei lavoratori. Vorrei sottolineare in particolare i tentativi volti a estendere la settimana lavorativa media a 60 e 65 ore, a creare il concetto di “orario di lavoro inattivo”, che pertanto non sarebbe considerato parte dell’orario di lavoro, e ad attaccare il movimento sindacale. Tutto questo è stato respinto, il che rappresenta una sconfitta per il governo socialista portoghese di José Sócrates, che si è astenuto sulla posizione comune del Consiglio.
A seguito del voto del Parlamento europeo di oggi, la proposta del Consiglio non può entrare in vigore. Ciononostante, essa può aprire nuovi negoziati con il Parlamento, al contrario di quanto sarebbe successo se fosse stata adottata la proposta di respingere la posizione comune del Consiglio, presentata e sostenuta dal nostro gruppo.
Di conseguenza, nonostante l’importante vittoria conseguita, ciò non ha posto fine alla guerra contro la proposta del Consiglio e contro certe posizioni riformiste che sembrano non escludere concessioni nei futuri negoziati.
Restiamo fermi sulla nostra posizione contraria e facciamo appello ai lavoratori e ai loro sindacati affinché mantengano alta la guardia.
Neena Gill (PSE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore del mantenimento dell’opt-out poiché la mia priorità è, innanzi tutto, tutelare i posti di lavoro delle West Midlands e garantire che la mia regione mantenga un margine competitivo.
Mi sono sempre impegnata per la difesa dei lavoratori, ma non credo che limitare le scelte dei cittadini sia il modo migliore per raggiungere lo scopo. Ho parlato con molti lavoratori e titolari di piccole e medie imprese, che per effetto della crisi stanno perdendo posti di lavoro e opportunità d’affari, e mi hanno chiesto di mantenere la loro scelta. Secondo la mia esperienza, limitando gli straordinari si favorisce soltanto chi è in grado di sopravvivere alla tempesta ed è essenziale dare ai lavoratori i mezzi per provvedere al sostentamento della propria famiglia. La posizione comune prevede garanzie che tutelano i lavoratori dallo sfruttamento.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La proposta di direttiva presentata della Commissione è certamente un tipico esempio di ciò che l’Europa di Bruxelles chiama flessibilità e adattabilità, e osa descrivere come sociale: l’opzione di non partecipazione (vale a dire, l’opzione di superare gli standard) per Stati o individui, un limite di 78 ore lavorative settimanali, senza calcolare i turni di guardia come orario di lavoro, il conteggio dell’orario in base al contratto e così via. In breve, tutto quello che serve per consentire lo sfruttamento delle persone in una situazione caratterizzata da crisi, da un nuovo aumento della disoccupazione e dall’impoverimento dei lavoratori.
E’ per questa ragione che ho votato a favore degli emendamenti presentati dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali, ma anche a favore di alcuni emendamenti dei nostri avversari politici, poiché ci sembravano fare un passo nella giusta direzione, ovvero a favore dei lavoratori.
Ciononostante, vorrei aggiungere altre due osservazioni:
- il relatore sembra essere assai più preoccupato dell’immagine che il Parlamento europeo darebbe ai cittadini non adottando la relazione a sei mesi dalle elezioni, piuttosto che del benessere dei cittadini stessi;
- dobbiamo restare vigili. In seno al Consiglio non esiste una maggioranza a favore della soppressione dell’opzione di non partecipazione e vi è il rischio che la relazione adottata oggi, che è già un compromesso, non sia l’ultima sull’argomento.
Małgorzata Handzlik (PPE-DE), per iscritto. – (PL) Il dibattito sulle modifiche alla direttiva sull’orario di lavoro ha destato interesse in circoli diversi, specialmente tra i sindacati e le organizzazioni padronali. La votazione odierna del Parlamento europeo non segna la fine del dibattito, perché il Parlamento ha adottato emendamenti che respingono le proposte del Consiglio riguardo all’organizzazione dell’orario di lavoro. La proposta di direttiva sarà ora esaminata tramite una procedura di conciliazione e, date le notevoli divergenze d’opinione tra gli Stati membri e il Parlamento, è in dubbio la sua approvazione.
La soppressione della clausola di non partecipazione dalla direttiva era senza dubbio inopportuna. Più precisamente, questa decisione potrebbe avere conseguenze impreviste per la continuità dei servizi sanitari, anche in Polonia. A questo punto, vorrei sottolineare che sono a favore del limite di 48 ore lavorative settimanali, con la possibilità di aumentarlo purché vi sia il consenso del lavoratore. Desidero aggiungere che la direttiva attualmente in vigore consente una settimana lavorativa di 78 ore, una soluzione che non giova a nessuno.
Il compromesso proposto dal Consiglio avrebbe garantito un’impostazione equilibrata, rispettando i diversi modelli di mercato del lavoro nonché i diritti dei lavoratori. Auspico che i prossimi negoziati tra il Parlamento e il Consiglio possano concludersi con una soluzione che soddisfi tutti i soggetti interessati, tenendo conto delle specifiche dichiarazioni rilasciate dagli esponenti della professione medica, preoccupati dei cambiamenti contenuti nella direttiva.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ritengo sia essenziale che i lavoratori abbiano la libertà di scegliere, su base volontaria, quante ore lavorare. Se dovranno proseguire gli accordi di non partecipazione, i lavoratori dovranno essere tutelati dallo sfruttamento. La posizione comune mira a raggiungere tale equilibrio, in quanto consente ancora ai singoli lavoratori di rinunciare al limite massimo settimanale di 48 ore (medie) previsto dalla direttiva e introduce al contempo nuove garanzie per prevenire lo sfruttamento.
Tali garanzie comprendono il divieto di firmare la non partecipazione contemporaneamente a un contratto di lavoro, un periodo transitorio di sei mesi durante il quale i lavoratori possono cambiare idea, nonché un requisito che preveda che i lavoratori rinnovino il proprio accordo di non partecipazione su base annua.
Il testo della posizione comune cerca di mantenere la flessibilità dell’opt-out individuale rafforzando nel frattempo gli opportuni meccanismi di tutela dei lavoratori e, nel complesso, ho deciso di votare a favore della proposta di compromesso, ovvero per il mantenimento dell’opt-out.
La posizione del Parlamento non ammette deroghe al limite massimo delle 48 ore lavorative settimanali (calcolate su 12 mesi), e afferma che l’opt-out deve avere termine tre anni dopo l’adozione della direttiva. Essa prevede altresì che tutti i turni di guardia debbano essere calcolati come ore di lavoro.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. − (FI) Se la proposta del Consiglio dei ministri avesse ricevuto l’approvazione del Parlamento europeo, ben 10 milioni di lavoratori sarebbero stati esclusi da qualsiasi forma di tutela in materia di orario di lavoro nell’Unione europea. E’ soprattutto per questa ragione che ho votato a favore della proposta del Parlamento in prima lettura.
La posizione del Consiglio sul regolamento concernente l’orario di lavoro per i dipendenti delle istituzioni accademiche avrebbe rappresentato soltanto un passo indietro. Per il Consiglio sarebbe stato inammissibile escludere interamente dalla tutela in materia di orario di lavoro la dirigenza – e in Finlandia i dirigenti sono attualmente 130 000.
Il mercato interno europeo ha bisogno di regole chiare e comuni in relazione all’orario di lavoro. La posizione del Consiglio avrebbe fatto naufragare la tutela in materia di orario di lavoro e avrebbe costituito un pericolo per lo sviluppo della vita lavorativa in Europa.
Tunne Kelam (PPE-DE), per iscritto. − Ho votato contro questa direttiva allo scopo di eliminare l’opt-out. Sono fermamente convinto, innanzi tutto, che ogni persona dovrebbe essere libera di scegliere il proprio orario di lavoro. Ritengo, inoltre, che una tale normativa costituisca una violazione del principio di sussidiarietà, cui è sottoposto il diritto del lavoro. Ogni singolo Stato dovrebbe essere responsabile della regolamentazione dell’orario di lavoro del rispettivo paese.
A votazione avvenuta, vorrei ora chiedere se, dopo l’approvazione della direttiva da parte del Parlamento europeo, il prossimo passo sarà decidere se i cittadini europei possano avere del tempo libero, e in che misura.
Roger Knapman e Thomas Wise (NI), per iscritto. − (EN) Nel votare contro l’emendamento, sto semplicemente cercando di proteggere il diritto di non partecipazione del Regno Unito alla direttiva sull’orario di lavoro, che l’emendamento, se approvato, abolirebbe.
Il mio voto non va interpretato nel modo più assoluto come un sostegno all’intera posizione comune riguardante la direttiva sull’orario di lavoro.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE), per iscritto. − (FI) Signor Presidente, la mia dichiarazione di voto riguarda il principio di non partecipazione nella direttiva sull’orario di lavoro. In primo luogo, questa normativa mira a tutelare i lavoratori. Oltre a essere un problema umano, il burn-out dei lavoratori incide infatti anche sulla produttività. La prospettiva di riuscire a conciliare meglio vita professionale e familiare dipende notevolmente dai valori europei e la questione dell’orario di lavoro è uno dei fattori in gioco. Esiste, pertanto, una forte argomentazione a favore della limitazione dell’orario di lavoro.
In secondo luogo, dovremmo consentire una valutazione caso per caso: la possibilità di ricorrere a strumenti di flessibilità è importante sia per il datore di lavoro sia per il lavoratore e contribuisce altresì a migliorare la conciliazione del lavoro con la vita privata.
Ho sostenuto l’idea di fissare la settimana lavorativa a 48 ore, ma ritengo che sia essenziale predisporre un periodo di adeguamento sufficientemente lungo. A mio avviso, il periodo di adeguamento è più efficace dell’opt-out nel garantire la flessibilità. Va inoltre sottolineato che la Finlandia non ha ritenuto necessario avvalersi dell’opzione di non partecipazione – una decisione che accolgo con favore.
Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) La proposta di direttiva sull’orario di lavoro, spesso criticata e poi respinta nel 2005, è stata chiaramente uno strumento ultraliberista e internazionalista. Tutti gli aspetti in essa contenuti formavano un arsenale antisociale che potevano dar luogo ad abusi, in particolare, nel caso del principio di opt-out, che consente di superare il limite massimo di 48 ore lavorative settimanali. E’ possibile chiedere a un lavoratore di lavorare fino a 78 ore settimanali. La relazione Cercas ha tentato di raggiungere un compromesso accettabile e, grazie alle modifiche apportate, intende essere soprattutto un messaggio politico rivolto ai lavoratori e ai sindacati europei.
Invece, non si fa alcuna menzione dei problemi sorti in altri ambiti professionali, in cui l’orario di lavoro è stato ridotto eccessivamente, come nel caso delle 35 ore. Mi riferisco soprattutto ai professionisti del settore sanitario, che operano presso ospedali, servizi di pronto soccorso, eccetera. La questione della regolamentazione dell’orario di lavoro e la libertà di aumentare o diminuire il proprio orario richiede una risposta che va oltre l’ideologia neo-Marxista o ultraliberista, privilegiando un’impostazione più pragmatica e realistica.
Se, da una parte, questa raccomandazione dovrebbe essere riassicurante e puntare a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori europei, nonché consentire loro di conciliare la vita familiare ...
(La dichiarazione di voto è stata interrotta ai sensi all’articolo 163 del regolamento)
Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Ho dovuto riflettere a lungo per decidere quale fosse la posizione giusta riguardo a questa controversa direttiva sull’orario di lavoro, visto che ero stata subissata di pareri sulla posizione comune, approvata anche dal mio governo.
Le piccole e medie imprese ci hanno chiesto di sostenere la soluzione pragmatica dei ministri del Lavoro, particolarmente alla luce dell’attuale clima economico. Tra i singoli lavoratori e le categorie professionali, per esempio le organizzazioni dei vigili del fuoco e degli attori, in molti ci hanno chiesto di adottare la soluzione pragmatica, ma di consentire loro l’opt-out, al fine di mantenere la flessibilità dell’orario di lavoro più adatta alla loro professione.
I sindacati, comprensibilmente preoccupati dalla possibilità di avere, nel XXI secolo, un orario di lavoro superiore alle 48 ore stabilite come limite massimo settimanale dall’Organizzazione internazionale del lavoro nel 1919, si sono dichiarati contrari a questo pragmatismo.
E’ altresì chiaro che il servizio di guardia del personale medico e infermieristico ospedaliero va considerato diversamente dal servizio di guardia dei lavoratori che stanno a casa, più simile a un servizio di reperibilità.
Poiché il divario esistente tra quanti vedono nella posizione comune l’unico mezzo di salvezza e quanti la condannano in termini netti sembra incolmabile, voterò in modo tale da rendere necessaria la conciliazione, essendo l’unico modo per raggiungere un compromesso sensato e umano con il Consiglio.
Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Junilistan ritiene che spetti, in primo luogo, alle parti sociali e, in secondo luogo, al parlamento svedese stabilire regole in materia di orario di lavoro. Questa impostazione trova ampio sostegno da parte dell’opinione pubblica e il popolare movimento sindacale svedese era solito affermare che le parti sociali dovrebbero decidere su queste tematiche mediante contratti collettivi senza il coinvolgimento dello stato.
Ora il movimento sindacale, tanto in Svezia quanto negli altri Stati dell’UE, ha cambiato parere ed esige importanti modifiche alla posizione comune del Consiglio. Si tratta di trasferire il potere al mercato del lavoro svedese, non ai candidati eletti dai cittadini svedesi, ma a Bruxelles. Il motivo è la preoccupazione che gli Stati membri possano cogliere vantaggi competitivi e mettano a repentaglio la salute pubblica con l’introduzione di orari di lavoro prolungati e regole irresponsabili per i turni di guardia.
Ciononostante, i paesi dell’Unione europea sono Stati democratici che si reggono sul diritto, sostengono la dichiarazione dei diritti umani della Convenzione europea e hanno movimenti sindacali liberi. I paesi che non soddisfano questi criteri non sono accettati tra gli Stati membri. Esiste, dunque, questo problema?
La situazione che si è venuta a creare è sorta dovrebbe essere gestita mediante procedura di conciliazione tra il Parlamento e il Consiglio. Ho pertanto votato a favore dell’emendamento sui turni di guardia e l’opt-out del Regno Unito al fine di incoraggiare questo tipo di processo politico.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Do il mio sostegno a questa relazione, che mira a tutelerà i diritti dei lavoratori ponendo fine allo sfruttamento dell’orario di lavoro. La direttiva sull’orario di lavoro limita la settimana lavorativa a 48 ore settimanali come media su un periodo di 12 mesi, ed entrerà in vigore entro il 2012. Concordo con la proposta di calcolare i turni di guardia come parte dell’orario di lavoro, consentendo così ai lavoratori di trascorrere più tempo con le proprie famiglie. Lavorare più di 48 ore alla settimana comporta seri rischi per la salute, come dimostrato in particolare dal nesso tra orari prolungati e disturbi cardiovascolari, diabete mellito e problemi muscolo-scheletrici. Condivido l’impatto positivo che questa relazione avrà sulla salute e sicurezza sul posto di lavoro e alla prevenzione degli incidenti, molti dei quali riconducibili alla carenza di sonno dovuta al prolungato orario di lavoro, come nel caso dell’incidente ferroviario di Paddington. Questa relazione introdurrà un vero miglioramento nello stile di vita di migliaia di lavoratori scozzesi e, per tale ragione, la sostengo.
Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. − (NL) Secondo alcune forze europee, l’attuale mancanza di protezione dei lavoratori negli Stati membri dell’Europa orientale costituisce un importante vantaggio competitivo che consente alle imprese di ridurre il costo del lavoro. La direttiva sull’orario di lavoro, nella versione proposta dal Consiglio, comporterà orari di lavoro più lunghi e retribuzioni più basse per tutti. Gli elettori fanno fatica a comprendere perché mai la collaborazione tra i loro paesi e l’Unione europea debba comportare un cambiamento in peggio anziché in meglio.
In base a questa proposta, le esenzioni a breve termine che consentono di prolungare gli orari di lavoro in concomitanza con i picchi della produzione o con l’alta stagione turistica possono essere utilizzate durante tutto l’anno. I turni di reperibilità dei vigili del fuoco, per esempio, non saranno più remunerati. In precedenza, una maggioranza di questo Parlamento intendeva approvare questa proposta, a condizione che l’attuale opt-out fosse eliminato gradualmente nel giro di pochi anni. Il Consiglio, tuttavia, vorrebbe rendere permanente l’opt-out ed estenderlo, in effetti. In tali circostanze non vi è dubbio che una direttiva sull’orario di lavoro non verrebbe affatto accolta con favore.
Finirebbe per mettere a rischio le normative nazionali di livello superiore in vigore in molti Stati membri dell’Unione europea. La spirale tende verso il basso, ovvero verso l’inaccettabile livello dei nuovi Stati membri. Fortunatamente, oggi un’ampia maggioranza si è espressa al fine di porre fine all’opzione delle esenzioni entro tre anni.
Willy Meyer Pleite (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Ho votato a favore degli emendamenti contenuti nella relazione Cercas poiché ritengo che sia l’unico modo per fermare la proposta di direttiva del Consiglio sull’organizzazione dell’orario di lavoro.
Io e il mio gruppo ci siamo sempre opposti alla direttiva e, pertanto, abbiamo presentato un emendamento affinché sia respinta in toto, in quanto siamo convinti che comporti un notevole regresso per i diritti dei lavoratori. Attraverso la clausola di opt-out, la proposta di direttiva individualizza i rapporti di lavoro , di modo che datori di lavoro e lavoratori possano concordare un prolungamento della settimana lavorativa sino a 60 ore.
Sebbene gli emendamenti della relazione Cercas ammorbidiscano il testo della direttiva, essi peggiorano la situazione attuale mantenendo la clausola di opt-out per tre anni e aumentando a 6 mesi il periodo di riferimento per il calcolo delle ore lavorative. Il mio gruppo ritiene che la relazione Cercas non stia andando nella direzione giusta, ovvero quella di garantire per legge una settimana lavorativa di 35 ore per la medesima retribuzione settimanale, allo scopo di ridistribuire la ricchezza in modo efficace.
Nonostante tutto ciò, ho espresso voto favorevole, poiché si trattava dell’unica opzione strategica per bloccare la direttiva del Consiglio e obbligarla a intraprendere la procedura di conciliazione.
Seán Ó Neachtain (UEN), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore il sostegno offerto alla relazione Cercas. E’ essenziale salvaguardare l’elemento sociale e umano del processo decisionale dell’Unione europea. Il voto di oggi dimostra con chiarezza che tutti i cittadini desiderano un ambiente di lavoro migliore e più sicuro da tutti i punti di vista. In Irlanda, negli ultimi anni vi sono stati sviluppi giuridici significativi nonché accordi di partenariato sociale, inclusa la creazione di un’autorità nazionale per i diritti dei lavoratori (National Employment Rights Authority), che vanno ben oltre buona parte degli standard minimi stabiliti da diverse direttive.
Il raggiungimento dell’accordo in seno al Consiglio è stato un percorso lungo e tortuoso. E’ importante sottolineare che la miglior garanzia dei diritti dei lavoratori è assicurata da una legislazione chiara, meccanismi attuativi e accordi di partenariato. Non si può prescindere da un certo livello di flessibilità, basata su partenariati alla pari, e sulla negoziazione di eventuali alternative volte a modificare le pratiche lavorative.
Il principio di sussidiarietà è il metodo migliore per consentire al governo e alle parti sociali di trovare il giusto equilibrio . Ciononostante, il concetto della flessibilità non deve compromettere in alcun modo la salute e la sicurezza dei lavoratori. In Irlanda, il governo non solo ha fatto propri i principi contenuti nelle conclusioni del Consiglio, ma ha dato ai sindacati garanzia scritta rispetto alla futura promozione ed espansione di tali aspetti.
Lydie Polfer (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho espresso voto favorevole per la relazione Cercas, che controbatte alcune proposte del Consiglio presentate nel giugno 2008 volte fondamentalmente a modificare la direttiva riguardante taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, in vigore dal 1993.
In effetti, non posso far altro che offrire il mio sostegno al relatore, che raccomanda la graduale eliminazione nell’arco di tre anni di qualsiasi possibilità di deroga (clausola di opt-out) dal limite massimo ufficiale dell’orario di lavoro, stabilito in 48 ore settimanali per ogni lavoratore.
Per quanto riguarda i turni di guardia, a mio avviso è essenziale che le ore lavorative che rientrano in questa modalità, ad inclusione dei periodi inattivi, siano considerate a tutti gli effetti ore di lavoro.
Con il voto favorevole alla relazione Cercas, la commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo ha adottato una posizione equilibrata che mira a tutelare i lavoratori europei e che personalmente condivido.
Qualora dovessero essere attuate, le misure raccomandate dal Consiglio rappresenterebbero un passo indietro rispetto agli attuali diritti dei lavoratori, cosa che non sarebbe degna di un’Europa che dovrebbe essere al contempo competitiva e attenta alla dimensione sociale.
Pierre Pribetich (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di tutti gli emendamenti proposti dal collega del gruppo socialista del Parlamento europeo, l’onorevole Cercas, allo scopo di difendere le conquiste sociali europee e in particolare le tre questioni seguenti, che ritengo fondamentali.
Limitare la settimana lavorativa a 48 ore è un principio che abbiamo difeso strenuamente, poiché impedisce agli Stati membri di imporre ai lavoratori condizioni di lavoro che non rispettano i loro diritti sociali fondamentali.
Per quanto riguarda l’inclusione dei turni di guardia nell’orario di lavoro, ciò vale per la salute e sicurezza degli operatori sanitari, ma anche per i vigili del fuoco, altra professione soggetta a periodi di guardia, e a tutti i cittadini europei.
Promuovere la conciliazione della vita professionale e familiare è la conquista più recente, ma non meno importante. Ciò consente infatti ai cittadini di raggiungere un equilibrio essenziale per il loro benessere.
Insieme ai parlamentari del gruppo socialista, ho promesso di difendere i diritti sociali dei cittadini; si tratta di una vittoria clamorosa per i socialisti europei contro le inaccettabili proposte del Consiglio europeo. Come sottolineato dall’onorevole Cercas, stiamo dando loro un’occasione per porre rimedio a una decisione sbagliata.
Luís Queiró (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Equilibrare il diritto al lavoro e al riposo con l’esigenza di competitività e redditività ci obbliga a scegliere ciò che per noi conta di più. A nostro avviso, la priorità dev’essere quella di mantenere e promuovere l’occupazione.
I posti di lavoro sono strettamente legati all’efficienza economica delle imprese, occorre pertanto sensibilità e comprensione verso la necessità di adattare le regole del lavoro alla realtà economica. La realtà, tuttavia, non è un criterio sufficiente: nel corso del tempo, abbiamo cercato e rivendicato il successo del modello capitalista, che ci ha consentito di produrre di più e meglio, e di offrire migliori condizioni di lavoro. Questi obiettivi rimangono invariati, ed è per questa ragione che, pur favorendo un compromesso che difende l’economia, non potremo mai accettare che ciò vada a scapito dei fondamentali progressi conseguiti.
Occorre tuttavia sottolineare ancora un aspetto: se consideriamo il dibattito avvenuto in seno al Consiglio, è piuttosto ovvio che la maggior parte delle riserve sulla soluzione individuata siano state espresse da quei paesi che registrano i peggiori risultati economici. A poco servono le regole che tutelano i lavoratori, se l’occupazione si riduce sempre più e se incoraggiamo l’emigrazione verso paesi dove vige l’opt-out, che siano europei o meno.
Martine Roure (PSE), per iscritto. – (FR) La crisi mondiale colpisce i diritti fondamentali dei lavoratori e, di conseguenza, da parte dei cittadini europei vi è una crescente domanda di Europa sociale. I governi europei, tuttavia, hanno continuato a ignorare questa realtà. Mi compiaccio, pertanto, del fatto che oggi sia stata approvata la direttiva sull’orario di lavoro, che può dare risposta a tali cambiamenti sociali. Il Parlamento europeo ha inviato al Consiglio un messaggio forte; ora i governi devono assumersi le proprie responsabilità e rispondere alle aspettative dei cittadini.
Tra le altre cose, questo testo prevede l’istituzione di una settimana lavorativa che non può, in nessun caso, superare le 48 ore in tutta l’Unione europea. Tale limite massimo vale per l’Europa intera, e non riguarderà gli Stati in cui vigono disposizioni più favorevoli. Altri provvedimenti si riferiscono al conteggio, nell’orario di lavoro, dei periodi di guardia, inclusi i periodi inattivi. Infine, ci congratuliamo anche per la soppressione della clausola di opt-out.
Toomas Savi (ALDE), per iscritto. − (EN) Sono nettamente contrario all’idea che la libertà di voler lavorare sia limitata a 48 ore settimanali. Né l’Unione europea né alcuno Stato membro dovrebbe imporre limiti a chiunque desideri lavorare ore straordinarie oppure svolgere diversi impieghi a tempo parziale, e si dovrebbe presumere che il datore di lavoro non abbia costretto il lavoratore ad accettare. Ho, pertanto, votato contro la progressiva soppressione del diritto dei lavoratori di scegliere l’opt-out dal limite di 48 ore lavorative settimanali.
Negheremmo altrimenti ai lavoratori il diritto di realizzare le proprie potenzialità e andremmo contro la strategia di Lisbona. Il tentativo di far passare normative che riducono la flessibilità della nostra forza lavoro non migliora la competitività europea . L’Unione europea diventerà un’economia innovativa e intelligente, capace di superare la bassa produttività e la stagnazione della crescita economica non attraverso l’imposizione di limiti, bensì grazie alla liberalizzazione del mercato del lavoro.
Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. − (SV) Il diritto del lavoro e l’orario di lavoro sono due pilastri del mercato del lavoro svedese. Nella votazione di oggi riguardante la direttiva sull’orario di lavoro, è sembrato pertanto naturale seguire la linea svedese e difendere il modello del contratto collettivo sostenendo il compromesso raggiunto in seno al Consiglio. Purtroppo, non vi è stata la possibilità di sostenere singoli emendamenti validi, in quanto sarebbe venuto meno il compromesso nel suo insieme. Il compromesso del Consiglio prevede l’opt-out, opzione che permette di mantenere il modello svedese. E’ strano che i socialdemocratici abbiano scelto di mettere a repentaglio il sistema svedese a favore di ulteriori normative comunitarie e tale posizione mette in discussione il loro sostegno a al suddetto modello .
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. − (NL) La normativa sull’orario di lavoro va a toccare proprio il cuore dell’Europa sociale, soppesando, in effetti, la protezione del personale e un’organizzazione flessibile del lavoro. Il Consiglio dei ministri è orientato alla flessibilità. E’ inaccettabile che, negli Stati membri, i datori di lavoro che scelgono l’opt-out negozino orari di lavoro più lunghi, arrivando persino a 65 ore settimanali. La normativa che prevede tale deroga dovrebbe essere soppressa completamente tre anni dopo la sua entrata in vigore.
A che cosa servono gli accordi comuni sulla salute e la sicurezza sul posto di lavoro, se è questo che gli Stati membri stanno perseguendo? Una settimana lavorativa media di 48 ore, calcolata su base annua, offre un margine più che ampio per assorbire i picchi di lavoro e al contempo rispettare i necessari periodi di riposo. Prolungare il suddetto orario settimanale medio equivale a permettere ai datori di lavoro di non pagare più gli straordinari .
Inoltre è assurdo che l’orario di lavoro non includa i periodi di guardia che possono essere trascorsi a riposo. Chiunque sia di turno è reperibile, perciò questo servizio va retribuito e allo stesso modo vanno rispettati i periodi di riposo. I lavoratori affaticati possono costituire un pericolo per se stessi e per gli altri: il lavoro non deve andare a scapito di un’alta qualità della vita. Oggi abbiamo inviato un forte messaggio al Consiglio; la procedura di conciliazione che seguirà dovrebbe condurci verso un’Europa più sociale.
Catherine Stihler (PSE), per iscritto. − (EN) Va accolto con favore il voto espresso oggi dal Parlamento europeo teso ad eliminare l’opt-out dalla direttiva sull’orario di lavoro. Troppi lavoratori non hanno scelta e si trovano costretti ad accettare orari di lavoro prolungati perché richiesti dal datore di lavoro. Il principio basilare del diritto di lavoro consiste nel proteggere la parte più debole, ovvero il lavoratore dipendente. Oggi è stato compiuto il primo passo sulla strada verso la conciliazione per sopprimere l’opt-out. E’ stata una negligenza da parte del Consiglio dei ministri non inviare nessuno a presenziare alla votazione.
Kyriacos Triantaphyllides (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La posizione comune a cui è giunto il Consiglio dei ministri del lavoro, politiche sociali, salute e consumatori il 9 giugno 2008 fa parte dell’obiettivo permanente delle forze neoliberali attualmente presenti nell’Unione europea, che mira a deregolamentare i rapporti sindacali e mettere a rischio il ruolo dei sindacali e i diritti dei lavoratori.
Le esenzioni automatiche incoraggiano i datori di lavoro ad abolire gli orari di lavoro fissi e regolamentati, mentre la clausola relativa alla media di dodici mesi assesta un ulteriore colpo alla stabilità del lavoro. Per quanto riguarda i periodi di guardia, l’orario di lavoro è stato suddiviso e, di conseguenza, i periodi inattivi non sono più calcolati come ore di lavoro.
E’ per questo motivo che sostengo le posizioni e gli emendamenti presentati dal gruppo GUE/NGL che mira a respingere l’intera posizione comune del Consiglio e a sopprimere la clausola di esenzione automatica nonché gli emendamenti presentati riguardo all’abolizione del periodo di riferimento e alla suddivisione del periodo di guardia in ore attive e inattive.
Dominique Vlasto (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Gli emendamenti nn. 23 e 24 alla relazione Cercas, riguardanti il lavoro domenicale, sono stati considerati inaccettabili in virtù della conformità al principio di sussidiarietà. Si tratta di una decisione eccellente con la quale concordo pienamente.
Mi è sembrato inadeguato che l’Unione europea legiferasse in materia di lavoro domenicale e imponesse una soluzione unica agli Stati membri, quando invece i negoziati svolti caso per caso consentono di trovare soluzioni volontarie e accettabili. Ferma restando l’essenziale necessità di regolamentare adeguatamente le possibilità di lavorare di domenica, ritengo che ciò vada fatto a livello nazionale, tenendo conto degli specifici aspetti sociali e della natura delle attività. Mi sembra, inoltre, che altrettanto necessario considerare la situazione economica locale, per le zone turistiche, montane o termali, dove le attività sono prettamente stagionali: tenere aperti i negozi alcuni domeniche nell’arco dell’anno sembra del tutto sensato in queste località.
L’impostazione basata sulla libera scelta è quella adottata dal governo francese e permetterà di trovare soluzioni eque ed equilibrate per ciascun caso. Riaffermando l’applicazione del principio della sussidiarietà, il Parlamento europeo ha deciso di consentire a tali politiche di tenere in considerazione i diversi contesti economici e sociali .
Jan Andersson, Göran Färm, Anna Hedh, Inger Segelström e Åsa Westlund (PSE), per iscritto. − (SV) I socialdemocratici svedesi si rammaricano che il numero delle vittime di incidenti stradali nell’ambito dell’Unione europea non sia sceso della percentuale richiesta dagli obiettivi del programma di sicurezza stradale europeo. Accogliamo con favore un controllo transfrontaliero più efficace sulle infrazioni stradali e la creazione di un sistema informativo elettronico quali mezzi per accrescere la sicurezza stradale, che rimane sempre tra le nostre massime priorità. Purtroppo, la proposta manca di una base giuridica se un paese sceglie di gestire le infrazioni stradali come questioni amministrative di ambito penale, come avviene in Svezia e in altri Stati membri.
Sarà pertanto difficile applicare la direttiva in Svezia e negli altri paesi, dal momento che anche il fondamento giuridico dell’intera direttiva potrebbe essere messo in discussione. Abbiamo pertanto deciso di astenerci.
Alessandro Battilocchio (PSE), per iscritto. –) Signor Presidente, onorevoli colleghi, condivido in pieno la relazione della collega Ayala Sender che punta al raggiungimento di un obiettivo importante: estendere ai 27 Stati la normativa di fondo relativa agli aspetti di sicurezza stradale.
Grazie agli sforzi comuni, viviamo in un contesto a 27 in cui la mobilità di persone e beni non rappresenta più una chimera ma una realtà quotidiana e concreta: in tale ambito è del tutto inopportuna una diversificazione delle leggi in materia.
Ritengo che sulla sicurezza stradale sia possibile oggi disporre di strumenti di controllo che permettono di ridurre considerevolmente pericoli e rischi, per esempio, mi sembra ottimo il sistema "Tutor", utilizzato sperimentalmente in alcune autostrade italiane, che ha tagliato gli incidenti stradali nei tratti relativi del 50 per cento. Con questa relazione si va nella giusta direzione di marcia.
Charlotte Cederschiöld, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE-DE), per iscritto. − (SV) Mediante la proposta di direttiva, la Commissione desidera introdurre regole per l’applicazione di sanzioni pecuniarie relative ad alcune infrazioni al codice della strada commesse negli Stati membri diversi dallo Stato di appartenenza del conducente. Nella proposta della Commissione e del Parlamento, la questione è affrontata attraverso un processo decisionale sovranazionale in base al primo pilastro dell’Unione europea. Ciononostante, come il governo svedese, siamo convinti che, visto che il suo obiettivo è di ambito penale, la proposta di direttiva dovrebbe essere affrontata a livello intergovernativo nel contesto della cooperazione giuridica in base al terzo pilastro dell’Unione europea. Abbiamo, pertanto, deciso di astenerci.
Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Nel 2001, l’Unione europea si è prefissa l’obiettivo piuttosto ambizioso di dimezzare il numero delle vittime della strada entro il 2010. Sebbene l’esordio sia stato positivo, si è presto registrato un rallentamento nei progressi compiuti, che l’anno scorso hanno finito per fermarsi: su tutte le strade dei 27 Stati membri, i morti sono stati circa 43 000.
Occorre pertanto incoraggiare il perseguimento di questo obiettivo e creare una nuova impostazione nei confronti della politica europea di sicurezza stradale. Questa gradita proposta è limitata alle quattro infrazioni che sono causa della maggior parte degli incidenti e dei morti sulla strada (75 per cento) e che sono comuni a tutti gli Stati membri: eccesso di velocità, guida in stato di ebbrezza, mancato uso della cintura di sicurezza e transito con semaforo rosso.
Ad oggi, si registra un diffuso senso di impunità, poiché nella maggioranza dei casi le eventuali sanzioni non hanno alcun effetto.
In un’Europa priva di frontiere interne, questa situazione è inaccettabile in quanto non possiamo consentire un diverso trattamento dei cittadini a seconda se siano o meno residenti: la legge dev’essere applicata a tutti nello stesso modo .
Allo stesso tempo, occorre migliorare la sicurezza stradale allo scopo di ridurre il numero dei morti sulle strade europee.
Avril Doyle (PPE-DE), per iscritto. − (EN) La relazione Sender propone di migliorare la sicurezza stradale in Europa facendo sì che le sanzioni comminate in uno Stato membro siano applicabili in un altro. La creazione di una rete comunitaria per lo scambio di dati in cui le informazioni relative a quattro infrazioni specifiche, ovvero l’eccesso di velocità, la guida in stato di ebbrezza, il transito con semaforo rosso e il mancato uso della cintura di sicurezza − azioni che mettono inutilmente in pericolo la vita di tutti gli utenti della strada − sono registrate e trasmesse allo Stato membro in cui una data persona ha la residenza e sono applicate le sanzioni adeguate a tali infrazioni, che si tratti di multe o sanzioni di altro tipo.
Trovare il metodo appropriato per raggiungere questo equilibrio tra la necessità di imporre sanzioni adeguate alle infrazioni al codice della strada nell’Unione europea e una solida base giuridica per la creazione di tale rete, nonché intervenire in aree considerate di competenza nazionale. Le sanzioni previste per tali infrazioni sono diverse nei vari Stati membri: in alcuni di essi, le infrazioni del codice della strada sono punibili con sanzioni amministrative e formali, mentre in altri, come l’Irlanda, sono considerate questioni nazionali di ambito penale.
Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La presente relazione propone la creazione di uno speciale sistema elettronico per lo scambio di informazioni tra Stati membri riguardo ai conducenti, che consentirà di richiedere, in maniera semplice ed efficiente, a chiunque superi il limite di velocità, guidi senza allacciare la cintura di sicurezza o transiti con il semaforo rosso, il pagamento della relativa multa nel paese in cui ha avuto luogo l’infrazione del codice stradale. L’idea è indubbiamente valida; purtroppo, però, la proposta lascia molto a desiderare.
Il Parlamento europeo desidera armonizzare l’entità delle multe, risultato difficile da ottenere dal momento che i livelli di reddito degli Stati membri sono diversi. Si è proposto altresì di armonizzare l’attrezzatura tecnica e i metodi utilizzati nei controlli per la sicurezza stradale. Oltre a ciò, è incerta anche la base giuridica di questa proposta, aspetto che la Svezia, come pure altri paesi, ha sottolineato in seno al Consiglio. Junilistan ha, pertanto, espresso voto contrario alla proposta.
Mathieu Grosch (PPE-DE), per iscritto. − (DE) Ho dato il mio sostegno alla relazione sull’applicazione transfrontaliera nel settore della sicurezza stradale, poiché queste regole faranno sì che i conducenti che infrangono il codice della strada in un paese terzo possano essere perseguiti con maggiore efficacia.
La Commissione europea afferma che le infrazioni al codice della strada spesso non sono perseguite se commesse alla guida di un veicolo immatricolato in uno Stato membro diverso da quello in cui ha avuto luogo l’infrazione. Ciò va considerato alla luce della tendenza di molti conducenti a guidare in modo più spericolato in paesi terzi che non nel proprio paese d’origine, in quanto meno timorosi di essere perseguibili penalmente. Questa nuova direttiva si ripromette di porre fine a tale tendenza.
Lo scambio elettronico di dati previsto nella direttiva, accompagnata da una garanzia di protezione dei dati, garantirà un’efficiente collaborazione tra paesi e consentirà così di perseguire le infrazioni al codice stradale come se fossero state commesse nel paese di appartenenza del conducente. Innanzi tutto, la direttiva si limita all’azione penale relativa alle quattro infrazioni al codice stradale responsabili del 75 per cento degli incidenti stradali gravi o mortali . Le infrazioni incluse, secondo quanto previsto dalla proposta della Commissione, sono l’eccesso di velocità, la guida in stato di ebbrezza, il mancato uso della cintura di sicurezza e il transito con semaforo rosso. Ciononostante, la Commissione dovrà svolgere una revisione due anni dopo l’entrata in vigore della direttiva, che in un secondo momento potrebbe portare all’inclusione di altre infrazioni.
Sono favorevole alla direttiva e la considero un passo importante non soltanto verso la promozione della sicurezza stradale, ma per offrire all’Europa l’occasione di diventare ancora più unita in un unico spazio di mobilità.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) La relazione presentata dall’onorevole Ayala Sender è un nuovo strumento con il quale perseguire gli automobilisti: l’incriminazione transfrontaliera per infrazioni gravi (ma che, stranamente, non includono la guida sotto l’effetto di stupefacenti), Bruxelles che impone alle autorità nazionali quanti controlli annuali effettuare e dove, l’armonizzazione delle sanzioni, mezzi di ricorso casuali, nessuna garanzia che le informazioni e l’accesso ai ricorsi siano nella lingua della persona perseguita, la possibilità di estendere l’ambito della direttiva ad altre infrazioni (magari le soste prolungate in presenza di parchimetri?), e così via.
Nonostante le sue dichiarazioni, lei non è interessata a salvare vite umane, quanto piuttosto a convogliare i proventi delle multe nelle casse degli Stati membri. Se fosse veramente preoccupata per la sicurezza e non soltanto per il denaro, i fatti da menzionare dovrebbero riguardare i conducenti stranieri responsabili di incidenti mortali e non soltanto le infrazioni che commettono. Tra l’altro, il numero di queste ultime aumenta in proporzione diretta alla proliferazione dei radar automatici. Non è stato neppure condotto uno studio sugli effetti degli accordi bilaterali equivalenti attualmente in vigore e che esistono già da diversi anni in alcuni casi, come quello tra Francia e Germania o Francia e Lussemburgo.
Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La proposta di direttiva intende facilitare l’applicazione di sanzioni nei confronti di conducenti che abbiano commesso infrazioni quali eccesso di velocità, guida in stato di ebbrezza, mancato uso della cintura di sicurezza e transito con semaforo rosso (le quattro più gravi in termini di perdita di vite umane nell’Unione europea) in uno Stato membro diverso dal proprio.
Le questioni relative alla sicurezza stradale sono indubbiamente di estrema importanza, come anche gli sforzi volti a ridurre il numero degli incidenti.
Occorre indubbiamente adottare misure intese a combattere l’“impunità” in relazione alle infrazioni commesse sul territorio degli Stati membri diversi dal paese di residenza del conducente.
Crediamo, tuttavia, che tali obiettivi non saranno necessariamente raggiunti attraverso un’armonizzazione eccessiva e intensificando le misure di sicurezza in tutta Europa (installazione di attrezzature di controllo e sorveglianza su autostrade, strade secondarie e strade urbane; creazione di sistemi per lo scambio elettronico di dati a livello dell’UE, che fanno sorgere dubbi circa l’adeguata protezione dei dati personali), dato che è mediante la prevenzione (basata sulla situazione specifica – e diversa – di ogni paese) che saremo veramente in grado di promuovere la sicurezza stradale e ridurre il numero degli incidenti.
E’ per questa ragione che ci stiamo astenuti.
Jim Higgins (PPE-DE), per iscritto. − (EN) A nome della delegazione irlandese all’interno del gruppo PPE-DE, desidero chiarire che abbiamo sostenuto la relazione Ayala Sender poiché l’obiettivo della relazione e il suo impatto contribuiranno notevolmente al miglioramento della sicurezza stradale. Siamo consapevoli delle potenziali difficoltà per l’Irlanda, ma riteniamo che possano essere superate, e che lo saranno, una volta raggiunto un accordo in seno al Consiglio sull’esatta base giuridica della proposta.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ogni anno, migliaia di persone perdono la vita o restano ferite sulle strade europee. E’ essenziale che in tutta Europa i governi intervengano allo scopo di garantire che la sicurezza stradale sia presa sul serio. Attualmente, la questione degli automobilisti che sfuggono alla giustizia ignorando le regole del traffico quando guidano in paesi stranieri acuisce una situazione già difficile. Va raccomandata maggiore collaborazione a livello comunitario nell’applicazione delle normative sull’eccesso di velocità e la guida in stato di ebbrezza. Per tali motivi ho votato a favore della relazione Ayala Sender.
Carl Lang e Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) Lo sforzo per tassare, penalizzare e truffare sistematicamente gli automobilisti sembra non avere limiti.
In realtà sappiamo che non si tratta di penalizzare coloro che guidano male, ma chi guida molto. Il triste e infelice obbligo, per la polizia stradale, di rispettare delle “quote” e un “fatturato” finisce soltanto per acuire le spesso eccessive repressioni da parte delle forze dell’ordine.
Sebbene tra gli Stati membri esistano numerosissime differenze rispetto alle condizioni per il ritiro della patente di guida e i sistemi di proporzionalità tra infrazioni e multe nel settore della sicurezza stradale variano da un paese all’altro, l’Europa vuole stabilire un sistema elettronico per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri riguardo alle infrazioni commesse sul proprio territorio, allo scopo di penalizzare sempre più gli automobilisti.
Se, da un lato, non si può che rallegrarsi della diminuzione del numero degli incidenti stradali, è importante garantire che queste nuove misure legislative non siano accompagnate da attentati alle libertà né da provvedimenti illegali, irregolari o ingiusti.
David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Do il mio sostegno a questa normativa che mira a facilitare l’applicazione di sanzioni contro gli automobilisti che commettono un’infrazione in un Stato membro diverso da quello di immatricolazione del veicolo.
Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. − (NL) Gli automobilisti tendono a guidare più velocemente all’estero che nel proprio paese e, allo stesso modo, lì si sentiranno più liberi di parcheggiare in zone vietate. L’esperienza dimostra che di rado si riesce a riscuotere le multe per eccesso di velocità e divieto di sosta in questi casi, con grande irritazione dei residenti nonché degli automobilisti delle grandi città, in particolare. La cooperazione europea in termini di parità di obblighi per tutti gli utenti della strada avrebbe dovuto dare i suoi frutti già molto tempo fa.
Dopotutto, i pedaggi stradali all’estero devono essere pagati da tutti e da anni discutiamo della possibilità di riscuotere nel paese di residenza imposte registrate elettronicamente. Tale sistema dovrebbe essere applicato anche alle contravvenzioni. Il fatto che gli automobilisti sanno di poterla fare franca violando la legge all’estero si ripercuote negativamente sulla sicurezza stradale e sull’ambiente .
E’ per questa ragione che sosteniamo la proposta di semplificare la riscossione delle multe comminate in altri Stati membri. Ciò non cambia in alcun modo la nostra opinione secondo la quale l’ambito penale è un ambito riservato alla competenza nazionale e tale debba rimanere, il mandato di cattura europeo, in base al quale una persona dev’essere estradata dal proprio paese ad un altro Stato per essere detenuta in quest’ultimo, a volte per lunghi periodi, porta a una rinnovata ingiustizia.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Se l’Unione europea deve occuparsi di regole stradali transfrontaliere, non deve limitarsi alle notifiche delle contravvenzioni. Per esempio, a Bruxelles, che naturalmente è una città cosmopolita, è risaputo che gli automobilisti con targa straniera, che abbiano bisogno dell’aiuto delle forze dell’ordine nel caso di incidente stradale o furto, scoprono di non ricevere lo stesso livello di assistenza rispetto ai proprietari di veicoli con targa belga. Ciò dipende dal fatto che essi non versano contributi per la manutenzione della rete stradale e per altri costi sostenuti dagli automobilisti belgi. L’Unione europea, sempre fautrice dell’antidiscriminazione, dovrà intervenire in maniera decisa per porre rimedio alla situazione.
Un’ulteriore questione irrisolta riguarda le zone ambientali definite in molti paesi europei. In base agli studi svolti, il 40 per cento degli automobilisti non riconosce la segnaletica ed entra in tali zone senza autorizzazione. Il lucro sembra essere il primo pensiero nell’applicazione transfrontaliera delle normative in materia di sicurezza stradale, com’è stato anche con le redditizie notifiche di sanzioni ambientali. Al contempo vengono lasciate da parte altre misure volte a promuovere la sicurezza stradale ed è per questo che ho votato contro la relazione.
Seán Ó Neachtain (UEN), per iscritto. – (GA) Do pieno sostegno a questa relazione, che intende migliorare la rete stradale irlandese e offre l’occasione di imporre sanzioni transfrontaliere , alla luce della creazione di banca dati in rete (Knowledge Base Network) a livello di Unione europea. Tale rete consentirà a diversi Stati membri di scambiare dati riguardanti gli automobilisti stranieri sanzionati per guida in stato di ebbrezza, eccesso di velocità, transito con semaforo rosso o mancato uso della cintura di sicurezza. Le relative sanzioni pecuniarie saranno notificate ai responsabili di tali infrazioni del codice della strada .
Questa impostazione comune rappresenta un passo avanti in materia di imposizione di sanzioni a chi non rispetta il codice della strada e ne deriverà maggiore sicurezza anche per la rete stradale irlandese . Sarà applicata una sanzione e saranno fermati gli automobilisti che non rispettano il codice.
Brian Simpson (PSE), per iscritto. − (EN) Desidero congratularmi con la relatrice per l’impegno dedicato alla preparazione di questo dossier e vorrei estendere le mie congratulazioni all’intero Parlamento per aver appoggiato questa solida posizione da inviare al Consiglio, in vista delle difficoltà che questa proposta dovrà affrontare in tale sede.
L’applicazione transfrontaliera della normativa è una necessità in tutta l’Unione europea se desideriamo seriamente ridurre gli incidenti stradali e le vittime che essi provocano. E’ assurdo che un cittadino che guidi al di fuori del proprio Stato membro possa trasgredire apertamente il codice della strada per quanto riguarda l’eccesso di velocità, la guida in stato di ebbrezza, il mancato uso della cintura di sicurezza o il transito con semaforo rosso, senza che gli sia comminata una sanzione appropriata.
Ritengo che questo sia un passo importante per il miglioramento della collaborazione tra autorità di polizia che, auspicabilmente, condurrà a un’applicazione della normativa sulla sicurezza stradale totalmente armonizzata in tutta l’Unione europea.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di direttiva che facilita l’applicazione transfrontaliera della normativa nel settore della sicurezza stradale. Il 70 per cento degli incidenti stradali è provocato da infrazioni quali l’eccesso di velocità, il mancato uso della cintura di sicurezza, il transito con il semaforo rosso o la guida in stato di ebbrezza. Esistono già accordi bilaterali tra alcuni Stati membri per le incriminazioni transfrontaliere nel caso di violazione delle normative in materia di sicurezza stradale, tuttavia non è stato ancora istituito un quadro europeo comune. Vorrei ricordare che la proposta di direttiva si riferisce soltanto a sanzioni pecuniarie. Ritengo che la proposta della Commissione offrirà un contributo significativo nel salvare vite umane. E’ inaccettabile che circa 43 000 persone, ovvero l’equivalente di uno stato europeo di medie dimensioni, muoiano ogni anno in Europa in conseguenza di incidenti stradali, per non parlare degli altri 1,3 milioni di persone coinvolte in incidenti stradali ogni anno.
Mi rammarico anche che, con un tasso del 13 per cento, l’anno scorso la Romania abbia registrato il maggiore aumento del numero di incidenti stradali. Auspico che il voto maggioritario favorevole espresso dal Parlamento europeo possa incoraggiare il Consiglio ad accelerare l’adozione di misure volte a ridurre gli incidenti. Occorre intervenire tempestivamente per salvare vite umane.