Presidente . − L’ordine del giorno reca la posizione del Consiglio e della Commissione sulla situazione nel Corno d’Africa.
Alexandr Vondra, presidente in carica del Consiglio. − (EN) Signor Presidente, in quest’ora ormai tarda desidero formulare alcune osservazioni sulla posizione del Consiglio in relazione al Corno d’Africa.
Si tratta di una regione impegnativa che merita una maggiore attenzione speciale da parte nostra, in quanto le ripercussioni sull’Unione europea sono estremamente significative. L’UE infatti segue da vicino gli sviluppi e si prepara ad impegnarsi ancor più con i paesi del Corno d’Africa.
So che anche il Parlamento si tiene aggiornato sugli sviluppi della situazione. La visita che la vostra delegazione ha effettuato lo scorso anno in Eritrea, in Etiopia e a Gibuti è stata importante ed ho preso nota della proposta di risoluzione sul Corno d’Africa che è stata parzialmente elaborata in tale ambito. Essa dimostra alla regione e agli europei il crescente impegno dell’Unione europea. A nome del Consiglio esprimo apprezzamento per il coinvolgimento del Parlamento nel contesto degli sforzi profusi per affrontare le sfide del Corno d’Africa.
Sono diverse le fonti di tensione nel Corno d’Africa e tra qualche istante le illustrerò in maggiore dettaglio. Tuttavia, secondo il Consiglio, queste tensioni sono spesso collegate in un modo o nell’altro alla regione stessa. Per tale motivo il Consiglio è particolarmente attento a identificare i collegamenti regionali tra i conflitti in atto. Ma quali sono siffatti collegamenti tra conflitti?
In primo luogo c’è la controversia tra Etiopia ed Eritrea, che potrebbe essere considerata una delle principali cause di instabilità dell’intera regione. Il conflitto ha diverse ripercussioni: è alla base del sostegno di cui godono le opposte fazioni in Somalia e destabilizza gli sforzi compiuti nei rispettivi paesi − in proposito cito Ogaden ed Oromo in Etiopia in particolare; vi sono poi ricadute anche sul sostegno accordato per il ripristino del processo di pace in Sudan. L’Eritrea ha inoltre sospeso la propria adesione all’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD).
Infine, ma non per questo si tratta di un punto meno importante, il conflitto in Somalia ha provocato una delle situazioni umanitarie più gravi che ci troviamo ad affrontare oggi al mondo, mentre l’aumento degli atti di pirateria al largo delle coste somale costituisce un’altra grave conseguenza di questo conflitto.
Un’ulteriore grave questione è la gara per l’accaparramento delle risorse naturali come l’acqua e i minerali del Corno d’Africa. Questo fenomeno esacerba i conflitti per l’allevamento del bestiame in aree popolate da gruppi etnici e culturali diversi. Esso incrementa inoltre l’insicurezza alimentare e l’insicurezza della popolazione in genere, aggravando il conflitto stesso ed i flussi migratori.
Vi sono inoltre gravi interdipendenze regionali. Ne affronterò alcune. Vi sono le controversie sui confini, come ho accennato prima: i conflitti tra Etiopia ed Eritrea, tra Sudan ed Etiopia e tra Gibuti ed Eritrea, che potrebbero essere considerati fonte di instabilità regionale. In proposito mi preme sottolineare che, migliorando la cooperazione regionale, si allenterebbero le tensioni insorte a causa dei confini nazionali.
Un’altra interdipendenza è la sicurezza alimentare. Si tratta di una delle principali preoccupazioni della regione. Le siccità ricorrenti, insieme alle inondazioni, hanno effetti devastanti sulla popolazione. Anche in questo caso la cooperazione regionale potrebbe mitigare le conseguenze di questi fenomeni naturali.
Come sapete, alcuni sostengono che questo problema sia all’origine dei conflitti in Darfur, in Somalia e in molte altre zone del Corno d’Africa. Non sono certo che ne costituisca appieno la spiegazione, ma credo però che la questione debba essere risolta in ciascuno dei paesi e all’interno del contesto regionale in maniera equa e trasparente.
Inizialmente la pirateria si localizzava in un’area circoscritta della costa somala. Come pretesto, i pirati pretendevano di riscuotere una tassa sulla pesca dalle navi che si trovavano nelle acque somale. Come sicuramente saprete bene, questa attività si è allargata in maniera significativa ed ora mette a repentaglio le forniture di aiuti umanitari alla Somalia e la sicurezza marittima nel golfo di Aden fino in alto mare, arrivando a minacciare le navi al largo delle coste del Kenya e della Tanzania.
Vi sono poi diverse altre interdipendenze che si ripercuotono negativamente sull’Europa e sui paesi del Corno d’Africa, come il terrorismo ed i flussi migratori.
Quali sono allora le azioni che l’Unione europea mette in atto? Qual è il nostro impegno o il nostro coinvolgimento? Il principale strumento politico a disposizione del Consiglio – che ho l’onore di rappresentare oggi in questa sede – è il dialogo politico, non solo con i singoli paesi, ma anche con gli altri interlocutori regionali, come l’Unione africana, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, la Lega araba, gli Stati Uniti e la Cina in quanto di paesi importanti.
Il dialogo politico rappresenta un impegno reciproco ai sensi dell’Accordo di Cotonou siglato dall’UE con ognuno dei paesi di questa regione in particolare. Tale dialogo viene essenzialmente perseguito attraverso i capi delle missioni UE nei paesi interessati. Si tratta di uno strumento molto importante per il Consiglio, in quanto ci fornisce un contatto diretto con le autorità di questi paesi. Esso rappresenta un’opportunità per sentire il loro punto di vista, ma anche per spiegare chiaramente le nostre percezioni ed esprimere i timori che nutriamo su determinate questioni, e verte in particolare su temi legati alla governance e ai diritti umani; sono infatti questi gli argomenti principali.
Inoltre il Consiglio dispone degli strumenti della politica europea di sicurezza e di difesa comune (PESC). Dal settembre 2008 il Consiglio se ne avvale per contrastare la pirateria al largo delle coste somale, prima attraverso la cellula di coordinamento UE NAVCO, con sede a Bruxelles, e poi, dal dicembre 2008 attraverso l’operazione marittima denominata EU NAVFOR Atalanta.
Infine l’Unione europea agisce attraverso gli strumenti finanziari della Commissione europea come lo Strumento per la pace in Africa e lo Strumento di stabilità. Lascerò che sia la signora Commissario Ferrero-Waldner a parlarne più in dettaglio, in quanto si tratta di una competenza della Commissione.
Ovviamente il Consiglio, insieme alla Commissione europea, è costantemente alla ricerca di modalità per innalzare l’efficacia e la visibilità dell’azione comunitaria. Ora però sono ansioso di sentire le vostre proposte e le vostre raccomandazioni su questo tema specifico.
Benita Ferrero-Waldner, membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, negli ultimi anni la Commissione ha più volte esortato l’Unione europea prestare maggiore attenzione alla situazione nel Corno d’Africa. Oggi in questo dibattito sostituisco il Commissario Louis Michel che purtroppo non può essere presente. Affronto quindi questa materia con grande interesse sia per la tematica in sé che per gli effetti che investono direttamente l’Europa, in quanto, tra l’altro, abbiamo dovuto mobilitare le nostre forze navali per combattere la pirateria tanto per citare un esempio recente.
Di conseguenza, apprezziamo molto l’iniziativa della delegazione parlamentare che ha visitato la regione e la relazione che è stata redatta a seguito di tale visita insieme alla proposta di risoluzione che sosteniamo in linea di principio.
La situazione interna in tutti i paesi del Corno d’Africa non può essere compresa senza tenere conto delle dinamiche regionali. Dobbiamo continuare a favorire un approccio globale basato sullo sviluppo economico, sulla governance e sulla sicurezza, se vogliamo progredire sul fronte della stabilità regionale, del rispetto per gli elementi essenziali e fondamentali dell’Accordo di Cotonou e nella lotta contro la povertà.
Vorrei ora esprimere alcune considerazioni sulla situazione di ciascun paese per poi concludere con dei commenti sulla strategia regionale per il Corno d’Africa.
In primo luogo parlerò dell’Etiopia e dell’Eritrea. L’Etiopia occupa una posizione strategica nella regione sul piano economico e politico. La Commissione continua a sostenere questo paese mediante azioni volte ad alleviare la povertà, settore in cui sono stati registrati importanti progressi.
La fragile sicurezza regionale e le tensioni tra le varie comunità si ripercuotono sulla situazione interna del paese, soprattutto nell’Ogaden, in cui l’accesso alla popolazione permane limitato. La Commissione continuerà anche a monitorare la situazione dei diritti umani ed il processo di democratizzazione. Considerando le circostanze in cui si sono svolte le elezioni politiche del 2005, la Commissione monitorerà da vicino i preparativi e lo svolgimento delle elezioni del 2010, soprattutto dopo l’approvazione della legge in materia di ONG e del nuovo arresto del capo dell’opposizione Birtukan Medeksa.
La situazione interna in Eritrea è in parte dovuta allo stallo nella controversia sui confini con l’Etiopia. La Commissione permane seriamente preoccupata per le violazioni dei diritti umani e per la precaria situazione economica e sociale. A nostro avviso, sussistono presupposti fondati per continuare con il programma di cooperazione volto a migliorare le condizioni di vita della popolazione. Il dialogo politico avviato nel 2008 rappresenta una valida piattaforma per un impegno sostenuto verso le autorità eritree. Dobbiamo però essere chiari: ci aspettiamo che siano compiuti dei passi positivi e tangibili in Eritrea a seguito di tale processo.
Come indicato nella vostra proposta di risoluzione, la demarcazione virtuale del confine tra Etiopia ed Eritrea – deciso dalla commissione per i confini – non risolverà appieno il problema, se non sarà accompagnata da un dialogo teso a normalizzare le relazioni tra i due paesi.
La recente controversia tra l’Eritrea e Gibuti va inserita in un ampio contesto regionale e deve essere ricercata una soluzione globale attraverso attori locali e regionali. Continueremo quindi a sostenere questi processi.
Ora che l’esercito etiope si sta ritirando dalla Somalia, la cooperazione sia dell’Etiopia che dell’Eritrea nel processo di pace della Somalia sarà essenziale per garantirne la riuscita.
Per quanto concerne la situazione in Sudan, condivido pienamente l’analisi del Parlamento. Infatti il 2009 sarà un anno decisivo per il futuro di questo paese. Il persistere della violenza in Darfur e le difficoltà a portare a termine l’attuazione dell’accordo di pace complessivo tra nord e sud (CPA) sono suscettibili di provocare la destabilizzazione del paese, ripercuotendosi sull’intera regione. Pertanto dobbiamo mantenere un forte dialogo ed esercitare grandi pressioni sulle autorità di Khartoum per ottenere la loro piena cooperazione sia sull’CPA che sul Darfur nonché sui relativi processi. Queste autorità, come pure gli altri interlocutori sudanesi, sono perfettamente consapevoli delle loro responsabilità e dei risultati che devono conseguire.
In Darfur devono cessare le operazioni militari e le violenze e deve essere pienamente ripristinato il processo politico. Lo sviluppo dell’UNAMID deve svolgersi entro i tempi previsti. Le autorità sudanesi devono onorare i propri obblighi per quanto concerne la facilitazione degli aiuti umanitari e le attività legate ai diritti umani. Per quanto concerne il CPA, è fondamentale che il governo di Khartoum e il governo del Sudan meridionale appianino le differenze su questioni critiche come la suddivisione delle entrate petrolifere, la demarcazione dei confini, la legislazione in materia di sicurezza e le tematiche politiche. Altrimenti le elezioni previste per il 2009 potrebbero riaccendere nuovamente le violenze e il conflitto.
In Somalia il processo di pace si trova in una fase cruciale. Le dimissioni del Presidente Yusuf e il ritiro dell’esercito etiope segnano un nuovo periodo di incertezza e di rischi. In tale contesto, però, si materializza altresì la possibilità di avviare un processo politico inclusivo. Sul tale fronte l’Unione europea continua le proprie attività a sostegno del processo di Gibuti, che dovrebbero portare ad una maggiore inclusione attraverso l’elezione di un nuovo presidente e la formazione di un governo di unità nazionale con un parlamento più ampio. Non esiste un piano alternativo al processo di Gibuti. Senza il sostegno internazionale e regionale atto a favorire condizioni favorevoli per l’attuazione, l’accordo però ha ben poche possibilità di riuscita.
Per quanto concerne la sicurezza, la Commissione riafferma il proprio impegno affinché sia istituito un sistema atto a disciplinare debitamente questo settore. A prescindere dalla natura della forza internazionale (forza autorizzata di stabilizzazione delle Nazioni Unite, missione ONU di mantenimento della pace o solo un AMISOM rafforzato) il mandato deve essere centrato sul sostegno per l’attuazione dell’Accordo di Gibuti. La Commissione ha dato una risposta positiva alla richiesta di un ulteriore sostegno finanziario per rafforzare l’AMISOM.
Infine, per quanto concerne il Corno d’Africa in generale, apprezzo molto il sostegno che il Parlamento ha accordato all’iniziativa della Commissione. Essa si basa sulla strategia del 2006 per il Corno d’Africa, che è stata adottata sulla base dell’assunto che gli intricati problemi della regione possono essere risolti solo mediante un approccio globale. In tale spirito la Commissione sostiene la vostra proposta di nominare un rappresentante speciale per il Corno d’Africa.
Abbiamo stabilito delle buone relazioni di lavoro con l’IGAD, il quale sostiene l’iniziativa per il Corno d’Africa e svolge un ruolo chiave nell’attuazione. Una seconda riunione congiunta di esperti sul tema dell’acqua, dell’energia e dei trasporti è prevista entro breve in modo da poter discutere progetti che potrebbero essere sviluppati e presentati ad una possibile conferenza dei donatori.
La partecipazione dell’Eritrea, che svolge un ruolo di primo piano nelle dinamiche regionali, è essenziale per la riuscita della strategia per il Corno d’Africa. I contatti del Commissario Michel con i capi di Stato e di governo della regione, tra cui anche il Presidente Isaias, hanno portato ad un’apertura su questo aspetto e il nuovo Segretario esecutivo dell’IGAD è in procinto di coinvolgere le autorità eritree, anche per quanto concerne la riforma ed il processo di rivitalizzazione dell’IGAD stesso.
Signor Presidente, ho parlato un po’ troppo a lungo, ma con tutti questi paesi, se si vuole dire qualcosa, bisogna spendere almeno qualche parola.
Presidente . − L’intervento introduttivo è disciplinato da una regola specifica e non è soggetto a limiti.
Filip Kaczmarek, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, grazie per aver illustrato l’opinione del Consiglio e della Commissione sul Corno d’Africa. L’importanza di questa regione trascende i confini puramente geografici. I conflitti ed i problemi strutturali in quest’area si complicano a causa di fenomeni avversi che affliggono altre regioni dell’Africa. Ho preso parte alla recente visita come membro della delegazione del Parlamento europeo e ho avuto modo di constatare direttamente quanto sono complessi, ampi e intricati i problemi. Dobbiamo pertanto apportare risposte globali.
Nella proposta di risoluzione ci siamo concentrati su tre questioni fondamentali, ma anche assai ampie: la sicurezza regionale, la sicurezza alimentare e, prendendo spunto dalle nostre note sui diritti umani, la democrazia e la governance. Dopo la visita non ho dubbi sul fatto che le condizioni fondamentali per migliorare la situazione siano la buona volontà e il dialogo tra i leader regionali.
La politica dell’Unione europea a sostegno delle istituzioni regionali del Corno d’Africa è corretta, ma senza un coinvolgimento attivo degli attori principali, rimarrà lettera morta. Alcuni paesi della regione mettono in atto delle tattiche scadenti; infatti non si può lanciare un appello per il dialogo con un paese vicino e al contempo rifiutarsi di parlare con un altro. Questo atteggiamento è illogico e sul piano pratico impedisce alla diplomazia di conseguire dei risultati. I leader politici devono accettare il fatto che l’esercizio del potere è legato alla responsabilità.
Non ci aspettiamo che i capi di Stato e di governo dei paesi del Corno d’Africa sposino valori europei specificatamente locali. Vogliamo invece che sia accettato un minimo di valori universali. Siamo altresì convinti che i diritti e le libertà fondamentali appartengano a tutti. Nessun paese in via di sviluppo può interagire in maniera appropriata nel mondo contemporaneo se rifiuta i valori fondamentali universali. Accettarli quindi non è solo un gesto verso l’Unione europea, ma un’azione che rientra nei propri interessi. I concetti di sviluppo possono variare, ma i valori non cambiano e vogliamo che i valori – comuni e universali – diventino pane quotidiano nel Corno d’Africa.
Ana Maria Gomes, a nome del gruppo PSE. – (PT) Il Consiglio e la Commissione devono trarre le conclusioni dal fatto che, come indicato dal Parlamento, i governi dei paesi del Corno d’Africa non agiscono in ottemperanza con gli obblighi previsti dall’articolo 9 dell’Accordo di Cotonou. I diritti umani, la democrazia e il buon governo sono parole vuote. E’ assolutamente chiaro a chiunque non si ostini a tenere gli occhi chiusi.
In Etiopia, ad esempio, che è sede dell’Unione africana, la popolazione è oppressa dietro il paravento della retorica che suona bene all’orecchio dei donatori, ma che è nondimeno cruda e spudorata.
Citerò solo due episodi recenti ...
Il 29 agosto la signora Birtukan Midekssa, capo del partito di opposizione con un seggio in parlamento, è stata nuovamente arrestata e condannata all’ergastolo per essersi rifiutata di affermare pubblicamente di aver chiesto la grazia quando fu scarcerata dal governo di Meles Zenawi nel 2007 insieme a molti altri leader politici dell’opposizione arrestati a seguito delle elezioni del 2005.
Il secondo è la recente adozione da parte del parlamento etiope della cosiddetta legge sulle ONG che in pratica criminalizza tutto il lavoro delle ONG indipendenti.
Non è in atto alcuna transizione verso la democrazia in Etiopia, signora Commissario, e le sarei grata se lo facesse presente al suo collega, il Commissario Louis Michel.
In Eritrea la violenza che il governo scatena contro chiunque cerchi di esercitare i diritti umani più elementari è ancora più spudorata.
Per quanto concerne la Somalia, che attualmente versa nella situazione più grave dell’intero Corno d’Africa, la comunità internazionale, compresa l’Unione europea, mostra una criminale mancanza d’interesse per il destino della popolazione in un paese in cui da decenni non esiste alcuna legge e ordine, un paese parzialmente occupato dall’esercito etiope che si è macchiato impunemente di crimini e in cui proliferano i pirati e i gruppi terroristici.
La missione navale dell’UE non risolverà nulla se l’Unione europea, gli Stati Uniti, l’ONU e l’Unione africana continuano ad ignorare le cause della pirateria, che sono radicate e che devono essere contrastate sulla terraferma, non in mare.
La regione non godrà di alcuna stabilità o progresso se non saranno risolti i drammatici conflitti che continuano a devastare il Sudan, sopratutto nella parte meridionale del paese e in Darfur, zone in cui la retorica della comunità internazionale, Unione europea compresa, deve tramutarsi in azioni decisive atte a proteggere la popolazione civile che viene attaccata e a porre fine all’impunità dei criminali.
A questo proposito la possibile conferma del rinvio a giudizio del Presidente Omar Bashir da parte del tribunale penale internazionale costituirà un test di credibilità e di efficacia sia dell’Unione europea che dell’Unione africana.
Johan Van Hecke, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, il Corno d’Africa è una regione terribile in cui i conflitti interni e regionali continuano a minare la pace e la sicurezza, provocando catastrofi e paralizzando lo sviluppo di questa regione strategicamente importante.
Ogni guerra e ogni scontro accentuano la fragilità degli Stati. Al cuore della maggior parte dei conflitti vi è la mancanza di direzione e l’inesistenza di governi democratici, come è stato giustamente indicato nella relazione della delegazione parlamentare.
La regione ha bisogno di una democratizzazione endogena, del rispetto dello Stato di diritto sul piano nazionale e internazionale e soprattutto ha bisogno di riconciliazione. Per quanto riguarda la Somalia mi preme enfatizzare che le dimissioni dell’ex presidente Yusuf e il ritiro delle forze etiopi creano un’enorme finestra di opportunità. E’ arrivato il momento di raccogliere i pezzi e di realizzare la pace all’interno del paese.
Il parlamento somalo rappresenta un fattore cruciale per creare fiducia e può garantire inclusione al processo di pace. Inoltre è imperativo che l’UE sostenga il rinnovo e il rafforzamento della forza di pace dell’Unione africana. Tale forza ha bisogno di un mandato ONU appropriato. Altrimenti le forze ugandesi e burundiane si ritireranno da Mogadiscio, creando una zona in cui manca la sicurezza.
Sono del tutto d’accordo con la signora Commissario Ferrero-Waldner. Questo è un momento cruciale per il cambiamento in Somalia e dobbiamo approfittarne. Il vuoto di potere, proprio come il vuoto di sicurezza, devono essere colmati. Altrimenti in Somalia permarrà il caos dovuto all’assenza di legge.
Mikel Irujo Amezaga, a nome del gruppo Verts/ALE. – (ES) Signor Presidente, il Corno d’Africa attualmente è una vera e propria polveriera a causa della situazione di instabilità totale non solo in Somalia e in Sudan, ma anche nei tre paesi che gli onorevoli Kaczmarek, Hutchinson ed io abbiamo avuto il piacere di visitare.
I tre paesi cui si è limitata la visita della delegazione – Eritrea, Gibuti ed Etiopia – hanno in comune la povertà e quindi uno standard molto basso in termini di diritti umani. Per quanto concerne la povertà, secondo i dati trasmessi alla delegazione, il governo etiope riconosce che sono sei milioni e mezzo le persone che soffrono la fame. Secondo le Nazioni Unite invece sarebbero 12 milioni. Ci troviamo quindi di fronte ad una crisi umanitaria che non viene denunciata dai media, a causa di altre crisi internazionali in atto, benché sia veramente sconvolgente.
Anche la situazione dei diritti umani merita la nostra attenzione, poiché vi sono prigionieri politici – ed è esattamente questo il termine che viene usato in tutti e tre i paesi.
La controversia sui confini tra Eritrea ed Etiopia è totalmente assurda, come del resto il coinvolgimento di 200 000 soldati. Per concludere, non posso terminare il mio intervento senza congratularmi con il Commissario Michel per le azioni che ha messo in atto in questo ambito e per aver avviato una politica improntata al dialogo. Tale dialogo deve continuare, ma deve essere anche affermato chiaramente che agiremo con molta fermezza per difendere i diritti umani e contro gli abusi perpetrati mediante l’approvazione di leggi sulle ONG. Deve essere chiaro che, grazie a questo dialogo politico, stiamo dimostrando che l’Unione europea gode di un grandissimo prestigio a livello internazionale.
Tobias Pflüger, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, il Corno d’Africa ultimamente è ridiventato oggetto di attenzione per l’UE. Dopo tutto la missione militare UE Atalanta è di stanza in quest’area da Natale. Inviando questa missione, l’Unione europea ha commesso lo stesso errore della NATO, degli Stati Uniti, della Russia e degli altri Stati che con superficialità vogliono contrastare i problemi avvalendosi di mezzi militari e navi da guerra. Infatti il ministro Kouchner, a 10 anni da Saint-Malo, ha accolto con favore la possibilità di mettere in atto un’operazione militare marittima al largo della Somalia. Le vere cause del problema sono però da ricercare nella iniqua distribuzione delle risorse, che è causata, tra l’altro, dallo sfruttamento delle risorse ittiche, cui attinge anche l’Unione europea usando anche reti a strascico. La Somalia è uno dei quei paesi in cui il governo virtualmente inesistente viene sostenuto con ogni mezzo possibile dall’occidente.
Le forze di occupazione etiopi ora hanno lasciato il paese, ma oltre 16 000 persone hanno perso la vita da quanto è iniziata l’invasione. Per quanto concerne i negoziati con i paesi del Corno d’Africa, Gibuti è un esempio emblematico: è retto da un regime autoritario, eppure tutti i paesi occidentali dispongono di basi militari nel paese. L’assistenza deve essere fornita alla popolazione della regione non attraverso l’invio di navi da guerra, che servono solo a proteggere le rotte commerciali verso l’occidente, ma ad esempio sotto forma di aiuti umanitari.
Karl von Wogau (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Somalia è uno stato disgregato con tutte le conseguenze orribili che ciò comporta. Avete illustrato perfettamente le misure che devono essere prese e l’onorevole Gomes lo ha ribadito molto chiaramente.
La pirateria è solo un aspetto – seppur importante – di questo problema, in quanto è un fenomeno molto radicato nella regione. Un secondo aspetto riguarda la tutela delle rotte marittime dell’UE, che rientra negli interessi dell’Unione europea e dei suoi cittadini.
Per tale ragione è stata avviata l’operazione Atalanta in ambito PESC. Si tratta della prima operazione marittima nel contesto della politica estera e di sicurezza comune. La sede dell’operazione è nel Regno Unito – altro elemento nuovo – ed è diretta da un ufficiale della marina britannica, il Contrammiraglio Jones.
Il compito primo della missione consiste nel proteggere gli aiuti alimentari, garantendo che giungano effettivamente in Somalia, mentre il secondo obiettivo è quello di contrastare la pirateria mediante azioni appropriate.
Abbiamo avuto un colloquio con la sede dell’operazione a Northwood in cui è emerso che mancano diverse risorse, come carri armati, aerei da ricognizione – sia con pilota che pilotati automaticamente – ed elicotteri, in quanto la sorveglianza va garantita su un’area molto vasta. Dobbiamo tutti avere un interesse comune nella riuscita dell’operazione Atalanta. E’ necessario sia per proteggere le rotte navali che per rendere un contributo – possibilmente contenuto – per risolvere il problema dello Stato disgregato della Somalia.
Corina Creţu (PSE). – (RO) Prima di tutto desidero congratularmi con i colleghi per la visita svolta in una delle regioni più pericolose del mondo, che sicuramente è anche una tra le regioni più svantaggiate.
Il Corno d’Africa forse è la regione più povera al mondo. L’Etiopia versa in una situazione disastrosa a seguito della siccità degli ultimi anni. E’ un paese in cui milioni di persone soffrono la fame anche negli anni in cui i raccolti sono abbondanti.
Anche il Sudan e la regione del Darfur, in particolare, sono luoghi tragici a livello mondiale a causa della catastrofe umanitaria che è stata descritta da molti esperti come un vero e proprio genocidio in cui sono state uccise oltre due milioni di persone, mentre sono quattro milioni i rifugiati a causa della guerra civile.
La Somalia, l’Eritrea e Gibuti sono tre paesi tra i più poveri in cui il conflitto è una realtà permanente, proprio come ha effettivamente evidenziato, signora Commissario, e come hanno indicato anche i colleghi.
La costante instabilità della regione è una delle cause dei problemi che il Corno d’Africa deve affrontare nell’ambito del processo di sviluppo economico, sociale e politico. La riuscita del processo di pace nella regione è strettamente legata al coinvolgimento delle organizzazioni regionali e africane, come l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo e l’Unione africana.
L’Unione europea deve sostenere il consolidamento di queste organizzazioni e deve altresì incrementare la loro capacità di prevenire e di risolvere i conflitti. Una migliore integrazione regionale inoltre favorirebbe un dialogo più aperto tra i paesi del Corno d’Africa su tematiche di interesse comune, come i flussi migratori, il traffico di armi, l’energia e le risorse naturali, e costituirebbe una base per dialogare su materie controverse.
Ovviamente l’Unione europea deve impegnarsi maggiormente sul versante delle violazioni dei diritti umani. Ai sensi dell’Accordo di Cotonou, questi paesi devono raggiungere un accordo con l’UE sull’osservanza dello Stato di diritto, i diritti umani ed i principi democratici.
Olle Schmidt (ALDE) . – (SV) Signor Presidente, signora Commissario, Presidente in carica del Consiglio, la mattina di domenica 23 settembre 2001 il cittadino svedese Dawit Isaak è stato prelevato da casa sua in Eritrea dalle autorità del paese. Da allora è in carcere senza processo e a distanza di oltre sette anni non è stata formalizzata alcuna accusa. Il crimine che avrebbe commesso sarebbe quello di aver “riportato notizie indipendenti”. Nella risoluzione è stato inserito il primo riferimento diretto al caso di Dawit Isaak e in questo modo dovrebbero aumentare le pressioni sull’Eritrea.
E’ inaccettabile che un cittadino comunitario, un giornalista svedese sia in carcere da anni e sia vessato da un regime canaglia come quello di Asmara, un regime che riceve aiuti dall’UE, aiuti che oltretutto sono pure aumentati in maniera significativa. Signora Commissario, è arrivato il momento di agire per Unione europea, la quale deve ora dettare le condizioni per tali aiuti. Il tempo della diplomazia silenziosa è finito. Adesso basta. L’UE non può accettare che siano calpestati i diritti umani fondamentali, che siano assassinati o incarcerati i giornalisti e chiunque sia critico verso il regime, mentre la popolazione è oppressa e muore di fame.
Il Parlamento europeo oggi chiede il rilascio immediato di Dawit Isaak e degli altri giornalisti che si trovano in carcere in Eritrea. Si tratta di un passo forte nella giusta direzione. Ora però la Commissione e il Consiglio devono conferire forza a queste parole. E’ infatti giunto il momento che l’UE intervenga nei negoziati e imponga sanzioni.
Eva-Britt Svensson (GUE/NGL) . – (SV) Signor Presidente, come i colleghi del gruppo ALDE, desidero porre in evidenza la questione della liberazione di Dawit Isaak. Da sette anni il cittadino svedese Dawit Isaak è in prigione senza processo e langue in una cella sotto una terribile dittatura. Sono lieta che nella risoluzione sul Corno d’Africa sia stato incluso un paragrafo per chiedere il rilascio immediato di questo e di altri giornalisti detenuti. Non c’è stato alcun processo, ma qual è stato il loro crimine? Ebbene, essi lavoravano per la democrazia e per la libertà di parola.
I futuri aiuti dell’UE all’Eritrea devono essere chiaramente collegati alla richiesta di liberare Dawit Isaak e gli altri giornalisti. Adesso servono aiuti condizionati, insieme alle sanzioni, devono essere congelati i beni eritrei in Europa e questa violazione del diritto internazionale deve essere deferita al tribunale penale internazionale. Si dice che governo svedese abbia lavorato avvalendosi della democrazia silenziosa, ma dopo sette anni non è ancora accaduto nulla. Adesso è tempo di passare ai fatti.
Charles Tannock (PPE-DE) . – (EN) Signor Presidente, il Corno d’africa è una catastrofe senza limiti. La regione è devastata da decenni di guerra, carestia, degrado ambientale, corruzione, malversazione e repressione politica. I diritti umani vengono calpestati come se nulla fosse. La società civile è debole. E’ allarmante, ma la situazione potrebbe ulteriormente deteriorarsi. Le tensioni tra Etiopia ed Eritrea per il territorio conteso potrebbero divampare nuovamente in ogni momento. Lo Stato disgregato della Somalia rimane preda della violenza dei clan e dell’estremismo islamico, fenomeni che sono destinati a peggiorare con il ritiro delle forze etiopi e le dimissioni dell’ultimo presidente.
Abbiamo altresì dibattuto della pirateria dilagante al largo della costa somala. Ovviamente c’è sempre la tentazione da parte dell’UE di proporre l’azione militare come panacea contro il caos che regna nel Corno d’Africa. L’esperienza passata suggerisce però che sarebbe un terribile errore. Il Presidente Bill Clinton inviò l’esercito statunitense in Somalia, ma l’operazione fu un disastro.
Un’oasi di ottimismo, secondo me, è la regione di Somaliland, che un tempo fu protettorato britannico. Essa fu assorbita nella repubblica somala nel 1960 dopo aver insensatamente rinunciato al suo breve periodo di indipendenza, ma fu nuovamente divisa a seguito del caos che si è scatenato dopo la morte di Siad Barre nel 1991. Da allora Somaliland è stata l’unica zone di ordine civile in Somalia. La popolazione di questa regione beneficia di un governo relativamente illuminato e di istituzioni progressiste. Tale popolo possiede altresì i simboli di entità nazionale, ossia la moneta e la bandiera.
Parlando a titolo personale, non per il mio partito o a nome del mio gruppo politico, credo che forse sia tempo che la comunità internazionale, sotto la guida dell’Unione africana, cominci a prendere più seriamente l’istanza di indipendenza di Somaliland. Una Somaliland indipendente, sostenuta dall’occidente, potrebbe essere una forza di stabilità e di progresso in una regione altrimenti disperata e caotica. Di certo il popolo di Somaliland potrebbe giustamente chiedersi il perché l’Unione europea è così riluttante a riconoscere il loro paese de facto, mentre è stata così fulminea a riconoscere l’indipendenza del Kosovo.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE-DE). – (RO) L’Unione europea ha veramente motivo di nutrire preoccupazione per la situazione in Somalia. Nel paese si è praticamente creato un vuoto di potere che con tutta probabilità potrebbe essere colmato dalla milizia islamica. Dopo il ritiro di 3 000 soldati etiopi, anche le missioni attuate sotto l’egida dell’Unione africana dovrebbero ritirarsi, se non ricevono un ulteriore sostegno a breve.
Non vi sono parole per descrivere la missione europea che pattuglia le acque della regione se non dicendo che essa ha avuto un successo strepitoso, ma questa operazione è volta a curare solo i sintomi della “malattia” non la malattia in sé. La Somalia deve dotarsi di un governo in grado di agire in qualità di partner nel dialogo con le istituzioni internazionali, con l’Unione europea e con tutti gli altri Stati che possono assumere un ruolo attivo al fine di portare stabilità in questa regione.
Alexandru Nazare (PPE-DE). – (RO) L’Unione europea ha numerose responsabilità in Somalia e nel Corno d’Africa. L’instabilità insieme alla mancanza di governance e di sicurezza hanno trasformato questa regione in una fonte di preoccupazione per molte ragioni.
In particolare, l’aumento senza precedenti degli atti di pirateria commessi da gruppi rifugiatesi presso unità somale mette a repentaglio le rotte commerciali in una regione vitale per il commercio europeo e mondiale. Troviamo inquietante constatare che questi gruppi stanno diventando sempre più avanzati a livello tecnologico e riescono ad attaccare navi localizzate a distanze sempre maggiori dalla costa.
Questo stato di cose è ovviamente dovuto alla situazione disperata in cui versa la Somalia, segnatamente per l’assenza di un governo centrale in grado di controllare le proprie acque territoriali. Tuttavia la comunità internazionale ha ugualmente una responsabilità rispetto a questi eventi. La pirateria ovunque colpisca e ovunque trovi rifugio costituisce una violazione delle leggi scritte e non scritte di qualsiasi paese; l’intervento quindi è giustificato a prescindere dalla zona in cui ha origine.
L’Unione europea e la comunità internazionale hanno poche possibilità di cambiare la realtà di base in cui si trova la Somalia. Però, affrontare una delle conseguenze, ossia la pirateria, rappresenta senz’altro un’azione alla nostra portata.
Alexandr Vondra, presidente in carica del Consiglio. − Signor Presidente, innanzi tutto consentitemi di rispondere a un paio di osservazioni formulate in questa sede per poi trarre alcune conclusioni. Gli onorevoli Schmidt e Britt Svensson hanno sollevato il caso del giornalista Dawit Isaak. In proposito posso dire che ci stiamo adoperando in Eritrea affinché sia rilasciato.
L’onorevole Gomes ha parlato del recente arresto dell’attivista dell’opposizione, la signora Bertukan. Il Consiglio è certamente al corrente del caso, che risale ai tumulti scoppiati dopo le elezioni del 2005, quando fu arrestata insieme ad altri attivisti dell’opposizione prima di ottenere la grazia nel 2007. La signora Bertukan è stata poi nuovamente arrestata alla fine dell’anno scorso. Da allora l’Unione europea segue da vicino il caso e il Consiglio è pronto a prendere provvedimenti opportuni qualora la situazione lo richiedesse.
Ora vorrei formulare cinque brevi osservazioni conclusive. Anzitutto devo dire che apprezziamo veramente il contributo reso dalle delegazioni che hanno visitato la regione, e desidero ringraziare in particolare gli onorevoli Hutchinson, Kaczmarek e Irujo Amezaga.
In primo luogo, posso garantirvi che sotto la presidenza ceca ci sarà continuità. Pertanto non andremo certo a ridefinire completamente la strategia comunitaria per il Corno d’Africa. Cercheremo invece di perseguire la politica predisposta dalla presidenza precedente nel modo migliore possibile.
Uno dei compiti più importanti riguarda l’azione di contrasto alla pirateria e, in questo contesto, apprezziamo molto gli sforzi profusi dalla presidenza francese che ha portato a termine la difficile fase di avvio della prima missione navale comunitaria. La Repubblica ceca non è certo una potenza navale quindi in tale ambito apprezziamo l’impegno deciso dell’Unione europea.
Per quanto concerne la mia seconda osservazione, l’operazione a breve termine Atalanta ha già consentito di prevenire diversi atti di pirateria e di catturare numerosi pirati. Nell’arco di un mese dal dispiego l’operazione si sono già visti i risultati. Atalanta è una misura a breve termine per contenere la pirateria, ad ogni modo rimane una misura a breve termine necessaria.
In quanto alla mia terza osservazione, al fine di individuare una soluzione a lungo termine in Somalia, il Consiglio sostiene pienamente il processo di Gibuti nel contesto del governo federale transitorio e dell’Alleanza per la ri-liberazione della Somalia. Non esiste infatti un piano alternativo a questo processo.
L’Etiopia ha avviato il ritiro dalla Somalia. Si tratta di un passo importante per l’attuazione del processo di Gibuti. Sussistono preoccupazioni per un possibile vuoto di sicurezza quando l’esercito etiope avrà lasciato il paese. Pertanto l’UE continua a dare il proprio supporto sostanziale alla missione dell’Unione africana in Somalia, l’AMISOM. A tal fine sono stati stanziati 20 milioni di euro per il periodo che va dal dicembre 2008 fino al maggio 2009.
La mia quarta osservazione riguarda i contatti diretti. Prevediamo di riprendere il dialogo politico con l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo a livello ministeriale. Tale Autorità ha dato prova delle proprie capacità con l’impegno che ha profuso nei colloqui di pace sudanesi, che hanno portato alla firma di un accordo di pace complessivo nel 2005. L’Autorità potrà quindi diventare un partner di spicco per l’Unione europea per realizzare la pace e la stabilità in Somalia.
Per quanto concerne la mia ultima osservazione, ma non per questo la meno importante, in quanto al maggiore impegno richiesto, vi comunico che la revisione della strategia della Commissione per il Corno d’africa sarà avviata nel corso della nostra presidenza e pertanto posso ribadire quanto ho affermato prima a proposito della continuità.
Benita Ferrero-Waldner, membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, desidero esprimere alcune osservazioni su questo breve ma importante dibattito. In primo luogo, per quanto riguarda la Somalia, ho ascoltato con grande interesse tutti i vostri commenti e suggerimenti e mi incoraggia constatare che siamo d’accordo, non solo sulla valutazione della situazione, ma anche sull’azione da intraprendere. Abbiamo bisogno del sostegno dell’intera comunità internazionale, compresa la nuova amministrazione USA, ma anche di quello degli attori chiave del mondo islamico per trovare una soluzione politica sostenibile in Somalia e per porre finalmente a termine all’indicibile sofferenza della popolazione. In tale contesto la Commissione apporterà un pieno sostegno politico, ma anche finanziario, al processo di Gibuti.
Convengo con l’onorevole Gomes, i paesi del Corno d’Africa hanno gravi problemi sul versante dei diritti umani e della governance, come hanno evidenziato anche molti altri deputati. Siamo molto preoccupati per queste tremende sfide. Riteniamo tuttavia che sarebbe difficile emettere un giudizio complessivo in relazione all’articolo 9 dell’Accordo di Cotonou. Dobbiamo essere determinati in tema di diritti umani e di governance, avvalendoci appieno gli strumenti politici a nostra disposizione, compreso il dialogo politico e indicatori chiari.
Per quanto concerne gli aiuti alimentari e la sicurezza alimentare, sono tra le priorità della risoluzione del Parlamento europeo. In questo contesto mi preme enfatizzare che, oltre allo stanziamento del FES, ora sono disponibili dei fondi pari a 100 milioni di euro nell’ambito del cosiddetto strumento alimentare per il periodo dal 2009 al 2011.
Infine, siamo perfettamente al corrente della situazione in cui si trova il cittadino svedese Dawit Isaak, che è ancora in stato di arresto in Eritrea. Il Commissario Michel ne ha parlato con il Presidente Isaias nel corso della sua ultima visita nel giugno 2008 e la diplomazia silenziosa è ancora all’opera su questo caso specifico. Posso quindi ribadire il nostro impegno a lavorare per migliorare la situazione dei diritti umani in Eritrea in modo da tenerla ben presente.
Presidente . − Comunico di aver ricevuto una proposta di risoluzione ai sensi dell’articolo 103, paragrafo 2, del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì, 15 gennaio 2009.