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Ciclo del documento : O-0007/2009

Testi presentati :

O-0007/2009 (B6-0007/2009)

Discussioni :

PV 03/02/2009 - 15
CRE 03/02/2009 - 15

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Testi approvati :


Resoconto integrale delle discussioni
Martedì 3 febbraio 2009 - Strasburgo Edizione GU

15. Diritto di voto a coloro che non sono cittadini della Lettonia alle elezioni amministrative (discussione)
Video degli interventi
Processo verbale
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  Presidente . − L’ordine del giorno reca le discussioni sull’interrogazione orale rivolta alla Commissione e presentata dall’onorevole Hammerstein a nome del gruppo Verde/Alleanza libera europea, dall’onorevole Dobolyi a nome del gruppo socialista al Parlamento europeo, dall’onorevole Meyer Pleite a nome del gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, e dall’onorevole Harkin a nome dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa, in merito al diritto di voto a coloro che non sono cittadini della Lettonia alle elezioni amministrative (O-0007/2009 - B6-0007/2009).

 
  
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  David Hammerstein, autore. − (ES) Signor Presidente, uno Stato membro dell’Unione europea utilizza il concetto di “non cittadino” per riferirsi a centinaia di migliaia di persone che vivono proprio nel paese in questione e, nonostante la maggioranza vi sia nata e vi lavori, viene dato loro l’epiteto di “non cittadini”, un’aberrazione per l’Unione europea.

Si tratta di un’aberrazione perché l’Unione europea si fonda sul concetto di non discriminazione e sul principio dell’uguaglianza, negato oggi in un paese che non riconosce a queste persone i loro diritti e che le sottopone a una discriminazione storica solamente per le loro origini etniche. Questa situazione non è accettabile.

Abbiamo esaminato casi specifici in seno alla commissione per le petizioni. Il primo caso riguarda un uomo che ci ha raccontato: “La prima volta che ho potuto votare è stata quando mi trovavo in Germania per motivi di studio. Ho votato alle elezioni amministrative tedesche, ma nel mio paese non mi è mai stato possibile farlo perché non mi riconoscono come cittadino. Non possiedo un altro passaporto, non ho un altro paese, ho solo questo paese e non posso votare”. Questa è un’aberrazione.

In sede di commissione per le petizioni, abbiamo inoltre trattato il caso di un uomo che ha superato gli esami di lingua in Lettonia, che conosce tutte le leggi e al quale, ciononostante, non è stata concessa la cittadinanza perché lo Stato − e cito le parole dell’ambasciatore − sostiene che: “Questo signore non è leale nei confronti dello Stato”. Com’è possibile? Com’è possibile che questa situazione riguardi il 20-25 per cento della popolazione di uno Stato membro dell’Unione europea?

Richiediamo, pertanto, che si rispettino i diritti fondamentali dell’uomo, che siano tutti consapevoli della situazione, dato che alcuni paesi hanno aderito all’Unione europea nonostante non soddisfacessero i criteri di Copenhagen, e che la Commissione sia messa sotto pressione visto che, fino ad oggi, ha dimostrato solo la propria debolezza e la totale mancanza di interesse o preoccupazione.

 
  
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  Alexandra Dobolyi, autore. − (EN) Signor Presidente, è triste notare che oggi, quasi cinque anni dopo l’allargamento, la Lettonia non abbia ancora dimostrato di rispettare la propria minoranza più numerosa, ignorando completamente le raccomandazioni del Parlamento europeo e delle molte organizzazioni istituzionali.

Gran parte della popolazione lettone è esclusa dallo Stato e dalle istituzioni, di conseguenza non dobbiamo meravigliarci se il tasso di naturalizzazione è basso. Le persone non possono sentirsi parte integrante dello Stato se sono trattate come fossero stranieri e se viene rilasciato loro un passaporto straniero. Non possono partecipare, prendere decisioni, votare, nemmeno nelle città in cui rappresentano il 40 per cento della popolazione e in cui le decisioni politiche influiscono direttamente sulle loro vite.

L’Unione europea è disposta ad accettare o meno una situazione di questo tipo? Rivolgo questa domanda alla Commissione e al Consiglio. La democrazia non può prosperare senza la società civile che, a sua volta, non esiste senza partecipazione e la partecipazione comincia nelle comunità locali.

Le persone in questione, più del 15 per cento della popolazione lettone, ovvero 372 000 persone, sono nate o hanno vissuto la maggior parte della loro vita in quel paese e l’Unione europea deve agire in loro favore. Perché la Commissione non ha ancora preso provvedimenti? I cittadini degli Stati membri dell’UE che vivono in Lettonia possono votare e candidarsi alle elezioni municipali e del Parlamento europeo, ma centinaia di migliaia di persone che vi sono nate o vi hanno vissuto gran parte delle loro vite non godono di tale diritto.

Vorrei chiedere alla Commissione e al Consiglio in che modo hanno affrontato questo tema con le autorità lettoni e di prendere ulteriori provvedimenti senza tardare oltre.

 
  
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  Willy Meyer Pleite, autore. − (ES) Signor Presidente, il mio gruppo, il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, non ha esitato a sottoporre la presente interrogazione orale alla Commissione quando, durante diverse sedute della commissione per le petizioni, ci siamo resi conto della situazione in cui si trovavano molti cittadini lettoni.

Membri della Commissione, signor Commissario, è inaccettabile che nel XXI secolo esistano casi di cittadini segregati all’interno dell’Unione europea. Una situazione di questo tipo non si conforma all’Unione europea, ai suoi principi e ai suoi valori. In uno Stato membro che ha aderito all’Unione europea nel 2004, con una popolazione di appena due milioni e mezzo di abitanti, attualmente esiste una legge in vigore che non permette a mezzo milione di persone di esercitare i propri diritti di cittadini.

A queste persone viene dato l’epiteto di “non cittadini”. Possiedono un passaporto di colore nero e, di conseguenza, sono chiamati “neri” oppure “melanzane”, appellativi utilizzati persino dalla stessa pubblica amministrazione, dallo Stato e dal governo, e si tratta di cittadini che non godono del legittimo diritto di voto o di essere eletti.

Riteniamo, quindi, che la Commissione europea dovrebbe esercitare una forte pressione sul governo al fine di evitare l’inadempimento delle molte raccomandazioni elaborate da varie istituzioni, come ad esempio la Commissione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale dell’ONU, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa, il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa, la stessa raccomandazione elaborata da questo Parlamento durante il dibattito sull’adesione della Lettonia, e la risoluzione dell’11 marzo, la quale stabiliva chiaramente che si doveva risolvere il problema della segregazione, ovvero di quei cittadini che devono provare di essere nati prima del 1940. E’ semplicemente inammissibile.

Tutto ciò non dovrebbe essere tollerabile. All’interno dell’Unione europea non possiamo convivere con una situazione simile, di conseguenza riteniamo che sia fondamentale che la Commissione, le autorità dell’Unione europea e tutti noi presentiamo delle proposte convergenti e mirate a porre fine a questa situazione.

In questo senso, il nostro gruppo si aspetta che la Commissione avanzi delle proposte concrete in merito alle interrogazioni che presentiamo in questa sede. Per quanto riguarda la questione linguistica, ci preoccupa anche il fatto che, a seguito di nuove norme che l’anno scorso hanno anche provocato manifestazioni studentesche, si esiga che il 60 per cento delle attività didattiche sia svolto in lettone, creando così una forte discriminazione nei confronti della lingua russa.

Mi sembra di ricordare che nel mio paese, la Spagna, durante la dittatura di Franco, fosse proibito parlare basco, catalano o galiziano. Tali lingue erano praticamente bandite. Oggigiorno, invece, sono considerate lingue co-ufficiali. Ritengo che si dovrebbe agire allo stesso modo, cosicché, in ultima istanza, a nessun cittadino dell’Unione europea sia vietato esprimersi nella propria madrelingua, nella propria lingua, che dovrebbe condividere lo status di ufficiale con qualsiasi altra lingua parlata nello stesso Stato.

Lancio, pertanto, un appello alla Commissione affinché agisca in maniera dinamica, una volta per tutte, al fine di evitare la segregazione che si sta perpetrando in questo paese membro dell’Unione europea.

 
  
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  Christopher Beazley (PPE-DE) . – (EN) Signor Presidente, vorrei fare un richiamo al regolamento: i membri di quest’Assemblea hanno opinioni diverse sull’argomento oggetto di discussione, ma lei, come Presidente, ha il diritto e il dovere di suggerire agli onorevoli colleghi il modo appropriato in cui esprimere il loro punto di vista, come in loro diritto.

Ritengo che l’ultimo intervento contenga delle accuse prossime alla diffamazione nei confronti di un governo dell’Unione europea e io mi dissocio. Credo che, secondo il nostro regolamento, il comportamento adeguato ai dibattiti in quest’Aula non permetta ai membri di usare il tipo di linguaggio che abbiamo appena ascoltato.

 
  
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  Presidente . − Poiché non ho rilevato gli estremi di cui lei ha parlato, non ho fatto ricorso ai poteri conferitimi dal regolamento.

 
  
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  Willy Meyer Pleite (GUE/NGL) . – (ES) Signor Presidente, poiché sono stato chiamato in causa, specifico che sarei pronto a ripetere ogni singola parola.

 
  
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  Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione. – (FR) Signor Presidente, si è appena citato l’esempio della Spagna, ma, in effetti, è stato lo Stato spagnolo a occuparsi del problema.

La Commissione è consapevole delle circostanze specifiche in cui si trova la minoranza russofona in Lettonia. Nell’ambito della strategia di preadesione, sono stati fatti molti sforzi per promuovere la naturalizzazione e l’integrazione di queste persone, in conformità con le raccomandazioni dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e del Consiglio d’Europa.

La Commissione ha più volte enfatizzato la necessità che tutte le parti coinvolte, compresa la stessa minoranza, contribuissero a questo complicato processo e trovassero delle soluzioni in merito.

Riguardo al tema specifico della partecipazione dei cittadini non lettoni alle elezioni amministrative, il trattato che istituisce la Comunità europea garantisce, in termini di diritti elettorali, la partecipazione dei cittadini dell’Unione europea solo alle elezioni europee e comunali nello Stato membro di residenza, anche se non dispongono della nazionalità di quello Stato.

La partecipazione alle elezioni da parte di persone che non hanno la nazionalità di un paese dell’Unione europea, e che quindi non sono cittadini comunitari, non è una questione coperta dal diritto comunitario.

Pertanto, la Commissione non può intervenire presso la Lettonia sulla questione della partecipazione di queste persone alle elezioni amministrative. Sono solo gli Stati membri a poter prendere una decisione in merito.

Capisco la situazione illustrata dai co-autori dell’interrogazione orale, ma purtroppo non posso fornire una risposta diversa da quella appena formulata, ovvero che spetta solo alla Lettonia trovare la soluzione a un problema che l’Unione non può risolvere dal punto di vista giuridico.

 
  
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  Rihards Pīks, a nome del gruppo PPE-DE. (LV) La ringrazio, signor Presidente. Vorrei ricordare a tutti che nel mio piccolo paese, la Lettonia, vivono 2,3 milioni di abitanti, circa 1,6 milioni dei quali sono di origine lettone. Ciononostante, in Lettonia, lo Stato e le autorità locali forniscono l’istruzione primaria in otto lingue minoritarie, alcune delle quali, come la lingua rom e l’estone, appartengono a minoranze numericamente molto ridotte. Non si può applicare ai non cittadini russofoni il concetto di “minoranza tradizionale”. Nei paesi dell’Europa occidentale, sarebbero definiti nuovi arrivati o immigrati che, ai tempi dell’occupazione sovietica, sono giunti in Lettonia e hanno goduto di molti privilegi, primo fra tutti quello di non dover imparare la lingua della terra in cui si erano stanziati e del popolo che la occupava, ma di parlare solamente russo. Il mio paese ha approvato una delle più generose leggi sulla naturalizzazione in Europa, proprio per venire incontro a queste persone. Nei dieci anni in cui tale legge è rimasta in vigore tale legge, circa il 50 per cento dei non cittadini ha ottenuto i diritti di cittadinanza. Tuttavia, da un sondaggio condotto di recente, alla fine del 2008, tra coloro che ancora non erano naturalizzati, è emerso che il 74 per cento non vuole ottenere la cittadinanza lettone. In secondo luogo, solo un terzo di quanti non sono in possesso della cittadinanza lettone ha usufruito del diritto di registrare come cittadini lettoni i bambini nati dopo l’indipendenza della Lettonia – solo un terzo. Non so spiegarmene la ragione. L’onorevole Ždanoka, eletta dalla Lettonia e rappresentante dei cittadini lettoni di origine russa, non nasconde che, dopo aver ottenuto il diritto di voto per coloro che non sono cittadini, il passo successivo sarà quello di richiedere lo status di seconda lingua o lingua ufficiale per la lingua russa. Cosa comporta questa richiesta? Innanzi tutto, uno status privilegiato per le persone provenienti dalla Russia; inoltre, significherebbe firmare una sentenza [di morte] per la lingua e la cultura lettoni dato che dietro i russofoni si nascondono altri 140 milioni di cittadini russi con ambizioni nazionalistiche. Una situazione simile è deleteria per la lingua lettone, date le dimensioni ristrette dello Stato e il numero ridotto dei suoi parlanti. Infine, non abbiamo aderito all’Unione europea per mantenere la società divisa creatasi in seguito all’occupazione sovietica, bensì per superare tali divisioni e mantenere la nostra propria identità. Grazie.

 
  
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  Proinsias De Rossa, a nome del gruppo PSE. – (EN) Signor Presidente, la replica del commissario Barrot è stata alquanto deludente. Mi sarei aspettato da parte sua una risposta più positiva, nonostante le restrizioni giuridiche cui deve sottostare. Pensavo dicesse che avrebbe fatto quanto in suo potere per promuovere il cambiamento in Lettonia nello spirito del principio della diversità dell’Unione europea.

Io vengo dall’Irlanda, parlo inglese. L’inglese è la mia madrelingua, ma non sono inglese, sono irlandese. La realtà è che l’Unione europea è formata da molti Stati; praticamente tutti presentano delle minoranze e delle maggioranze la cui storia è collegata al fatto di essere stati parte di un impero o di essere un impero o una colonia, e dobbiamo accettarlo.

Se mi trasferissi, vivessi e lavorassi in Lettonia per un certo periodo di tempo, potrei votare alle elezioni amministrative. Tuttavia, ci sono centinaia di migliaia di persone che vi sono nate, ma che non possono votare alle elezioni amministrative. Questa è un’ingiustizia, ma – e mi rivolgo all’onorevole Pīks – è anche una forma di autolesionismo, perché, per superare le difficoltà e le paure, dobbiamo far sì che le persone si sentano le benvenute nel nostro paese, dobbiamo incoraggiarle a partecipare alla vita politica. Consentire alle persone di votare alle elezioni amministrative permetterebbe loro di sentirsi parte della gestione delle proprie comunità locali e sarebbe un primo passo, come ho detto, verso l’abbattimento delle barriere.

Una delle principali comunità di immigrati in Irlanda è quella britannica. Tutti loro possono votare alle elezioni amministrative, mentre non tutti possono votare alle elezioni nazionali perché non tutti possiedono la cittadinanza irlandese, ma votano tutti alle elezioni amministrative irlandesi e il loro contributo è fondamentale per la vita politica del paese. Pertanto esorto tutti i presenti in quest’Aula che provengono dalla Lettonia – e da qualsiasi altro Stato membro che abbia problemi con le minoranze, o persino con la maggioranza – di tenere presente che, per superare queste difficoltà e la paura, dobbiamo dare il benvenuto a queste persone e integrarle nel nostro processo politico, e non tenerle lontane da esso.

 
  
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  Georgs Andrejevs, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, innanzi tutto va ricordato che dopo il 1945, mentre i britannici, i francesi, i belgi e gli olandesi uscivano dalle loro colonie, i russi hanno iniziato ad entrarvi. Persino nel 1949, anno in cui la convenzione di Ginevra proibiva l’insediamento di civili nei territori occupati, le autorità sovietiche hanno intensificato la russificazione della Lettonia e organizzato un flusso di due milioni di immigrati.

Pertanto, quando la Repubblica della Lettonia si è riappropriata della sua indipendenza nel 1991, coloro che vi si erano stanziati durante l’era sovietica si trovavano in Lettonia illegalmente. Quindi, oggi il governo lettone, compiendo un atto umanitario, concede ai russi la cittadinanza grazie alla naturalizzazione, e non perché in loro diritto.

In base alla Carta delle Nazioni Unite, normalmente le leggi in materia di cittadinanza appartengono agli affari interni di un paese e nessun paese esterno vi si può intromettere, nemmeno le stesse Nazioni Unite. Di conseguenza, la posizione delle autorità lettoni in merito alla possibilità di concedere il diritto di voto a coloro che non sono cittadini è ferma e immutata: il diritto di voto è parte integrante della cittadinanza.

Una posizione di questo genere è conforme anche al diritto e alle prassi internazionali. Allo stesso tempo, la Lettonia, grazie al consistente sostegno economico di altri paesi – ad eccezione della Russia – si è impegnata a fondo per facilitare il processo di naturalizzazione e integrazione dei non cittadini, facendone scendere la percentuale al 16 per cento alla fine del 2008.

Il nostro obiettivo è quello di assicurare che tutti gli abitanti della Lettonia possano richiedere la cittadinanza e godere appieno dei loro diritti. La Lettonia mira ad avere cittadini con pieni diritti, invece di non cittadini con molti diritti.

Capisco che la citata posizione della Lettonia sia in contraddizione con la politica illustrata nel 1992 da Sergei Karaganov sul Diplomatic Herald russo, e anche con i suoi sostenitori presenti qui al Parlamento europeo, ma non smetteremo mai di salvaguardare il nostro paese da tali campagne di disinformazione.

 
  
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  Ģirts Valdis Kristovskis, a nome del gruppo UEN. – (LV) Signor Commissario, onorevoli colleghi, il diritto liberale della Lettonia ha permesso a chiunque di testimoniare la propria lealtà allo Stato lettone e ai valori democratici occidentali; di conseguenza, a partire dal 1993, il numero di coloro che non sono cittadini è diminuito del 59 per cento. La maggior parte delle imprese lettoni appartengono a imprenditori russi. Tali argomentazioni ci permettono di rifiutare le accuse rivolte allo Stato lettone. Inoltre, vorrei sottolineare che molte persone che vivono in Lettonia, membri del movimento Interfront, hanno lottato contro la sua indipendenza, hanno lanciato appelli per la preservazione dell’impero del male, ovvero l’URSS, continuano a negare l’occupazione della Lettonia e a giustificare i crimini compiuti dalla totalitaria Unione sovietica negli Stati baltici, e hanno votato contro l’adesione della Lettonia all’Unione europea e alla NATO. Queste loro convinzioni sono un ostacolo fondamentale all’acquisizione della cittadinanza lettone. Non cerchiamo quindi di impedire loro di vivere nel loro mondo di valori passati!

 
  
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  Tatjana Ždanoka, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, stiamo discutendo il caso della Lettonia proprio perché si tratta di un caso unico. Coloro che non hanno la cittadinanza lettone non sono cittadini di nessun altro Stato e non hanno il diritto di partecipare ad elezioni di nessun tipo. Tutti i non cittadini adulti erano residenti di lungo periodo in Lettonia già all’inizio degli anni ’90, eppure hanno goduto per l’ultima volta del diritto di voto diciannove anni fa, nel marzo del 1990, anno in cui è stato eletto il Consiglio supremo lettone. Solo un anno e mezzo più tardi, lo stesso Consiglio supremo ha privato un terzo dei suoi stessi elettori del diritto di voto. Questo rappresenta un caso unico nella storia parlamentare.

Il commissario ha trattato solo il tema dell’integrazione nella società e della naturalizzazione dei non cittadini lettoni, ma un approccio di questo tipo inverte l’ordine dei fattori: i non cittadini fanno già parte della società – il 32 per cento è nato in Lettonia –, per molti la procedura necessaria per richiedere la cittadinanza del loro stesso paese è umiliante e non passano attraverso il processo di naturalizzazione per principio.

Per l’élite politica lettone, privare la parte più importante della popolazione minoritaria dei propri diritti di base è uno strumento per mantenere il potere; la classe politica usa il vecchio metodo di dividere per governare e, di conseguenza, spetta all’Unione europea prendere delle decisioni a nome di coloro che non hanno la cittadinanza lettone.

Sono convinta che i valori fondamentali dell’Unione europea, quali la non discriminazione per motivi di origine etnica e la democrazia partecipativa, abbiano la priorità rispetto alle competenze nazionali.

 
  
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  Christopher Beazley (PPE-DE) . – (EN) Signor Presidente, abbiamo sentito tutti durante questo dibattito come due dittatori del secolo scorso abbiano distrutto, in Lettonia, la democrazia, l’indipendenza e ogni norma dignitosa della società. La Lettonia è stata invasa da Stalin, Hitler e nuovamente da Stalin; la popolazione lettone ha subito prigionia, deportazioni ed esecuzioni, e Stalin ha infine importato non solo i russofoni, ma anche i parlanti ucraino e bielorusso.

Tutti noi oggi, compresa l’onorevole Ždanoka, condanniamo Stalin e il suo operato, ma cosa facciamo in proposito, signor Commissario? La prego, potrebbe affermare pubblicamente che, oltre a non aver nessun diritto d’intervento dal punto di vista giuridico, tutti gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero rispettare i requisiti di legge stabiliti dalla legge elettorale? Ritengo che questo sia importante non solo per la Lettonia, ma per tutti.

Sicuramente, se la si considera una questione essenziale, come nel caso dei lettoni russofoni che hanno acquisito la cittadinanza, si dovrebbe prendere la cittadinanza del paese di cui si è fieri, in cui si è nati e dove si vive, e non rifiutarla, non chiedere dei privilegi se poi non si ha intenzione di fare il proprio dovere. Acquisire la cittadinanza è possibile.

Persino un esiliato palestinese ha ottenuto la cittadinanza lettone. Se è riuscito lui ad apprendere la lingua lettone, sono sicuro che lo possano fare anche i lettoni russofoni, la maggioranza dei quali, come ci è stato ricordato, ha acquisito la cittadinanza. Se ci si sente di appartenere a un determinato paese, questo comporta dei diritti ma anche dei doveri.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (PSE) . – (HU) Vorrei congratularmi con l’onorevole Dobolyi e con i co-autori. Concordo sul fatto che il tema in questione sia oggi uno dei più seri, all’interno dell’Unione europea, in materia di diritti dell’uomo. Capisco le ferite storiche subite dagli amici lettoni, sottoposti a una terribile assimilazione sotto Stalin, conosco molto bene questa pratica, ma non la considero una giustificazione per una vendetta storica. Vorrei consigliare agli amici lettoni di seguire l’esempio della Finlandia, che, oppressa per secoli dalla Svezia, non si è mai vendicata sui cittadini finlandesi parlanti svedese. E’ impossibile pensare di deportare o assimilare centinaia di migliaia di persone, perciò è necessario concedere loro i diritti garantiti nell’Unione europea. Sono molto deluso dalle parole del commissario Barrot, che, invece di lanciare un segnale chiaro a nome dell’Unione europea sull’insostenibilità e l’incompatibilità della situazione con i valori fondamentali dell’UE, ha preferito lavarsene le mani e dire che l’Unione europea non può intervenire, e questo è alquanto triste. L’unica soluzione possibile è quella di trovare un compromesso storico tra la maggioranza lettone e la minoranza russa. Vi ringrazio per l’attenzione.

 
  
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  Inese Vaidere (UEN) . – (LV) Onorevoli colleghi, l’autunno scorso ho sottoposto alla signora commissario Ferrero-Waldner un’interrogazione scritta in cui esprimevo la mia preoccupazione per il fatto che il privilegio, concesso dalla Russia a quanti non erano in possesso della cittadinanza lettone o estone, di entrare in Russia senza visto avrebbe avuto degli effetti negativi sul loro desiderio di ottenere la cittadinanza. La signora commissario Ferrero-Waldner era d’accordo con me, ma oggi alcuni membri – autori di interrogazioni – stanno dimostrando di non aver affatto compreso la situazione lettone. Se ai diritti dei non cittadini aggiungiamo anche il diritto di voto alle elezioni amministrative, il numero di coloro che non hanno la cittadinanza, dimezzatosi dal 1995, probabilmente non diminuirà più. La legge lettone in materia di cittadinanza è una delle più generose in Europa: chiunque non abbia la cittadinanza può ottenere pieni diritti, compreso il diritto di voto, acquisendo la cittadinanza. I non cittadini della Lettonia sono tali a causa dei cinquant’anni di occupazione sovietica. Alcune forze politiche, che sostengono la cosiddetta politica di tutela dei connazionali del Cremlino, continuano a usare queste persone per perseguire i propri interessi. Grazie.

 
  
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  Roberts Zīle (UEN) . – (LV) Signor Presidente, signor Commissario, si nota quanto questo dibattito interessi gli autori dell’interrogazione dal fatto che nessuno di loro è più presente in Aula e quindi non ha sentito le parole appena pronunciate dall’onorevole Vaidere – ovvero che la politica russa in materia di visti era in realtà un’arma usata non per promuovere la naturalizzazione, ma per ottenere esattamente l’opposto. Purtroppo, i sondaggi proposti all’opinione pubblica confermano che la maggioranza di queste persone non diventerà mai un patriota lettone poiché è già patriota di un altro paese. Se ottenessero poteri in seno alle autorità locali, il passo successivo sarebbe, ovviamente, la richiesta di autonomia e il riconoscimento dello status di lingua ufficiale per la loro lingua. Gli sviluppi che questa situazione, ormai di lunga data, ha avuto in Abkhazia e nell’Ossezia meridionale dimostrano quali potrebbero essere i passi successivi: sarebbero distribuiti passaporti russi nelle zone autonome. Grazie.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE) . (LT) In circostanze normali, sarebbe possibile proporre ai residenti di lungo periodo di partecipare alle elezioni comunali, ma è noto che la maggioranza dei non cittadini lettoni non è arrivata nel paese in circostanze normali. Il loro arrivo è una conseguenza diretta dell’occupazione della Lettonia da parte dell’Unione sovietica; è anche il risultato di un processo di russificazione che è durato oltre cinquant’anni, violando le norme stabilite dal diritto internazionale. Non è forse vero che abbiamo tutti il diritto di scegliere – di essere cittadini o di dimostrare lealtà nei confronti del nostro paese? Tuttavia, ogni scelta comporta delle conseguenze di cui siamo noi i diretti responsabili e non lo Stato, che ci ha garantito la libertà di scelta.

 
  
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  Henrik Lax (ALDE) . – (SV) Quali conseguenze hanno comportato i cinquant’anni di occupazione sovietica per la popolazione lettone? Perché la grande maggioranza della popolazione russofona non intende richiedere la cittadinanza lettone? Che ruolo ha la Russia in questa situazione? La Lettonia, per incoraggiare coloro che non l’hanno ancora fatto a richiedere la cittadinanza, ha bisogno del nostro sostegno e non di una nostra condanna. Vorrei sottoporre una domanda all’onorevole Tabajdi: perché la Finlandia dovrebbe vendicarsi della Svezia e che similitudini ci sono con il tema in questione?

 
  
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  Paul Rübig (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, è normale per gli europei frequentare la scuola dell’obbligo, che comporta l’apprendimento dei costumi e della cultura del paese in cui si vive, proprio per essere in grado di viverci. L’istruzione obbligatoria comprende l’apprendimento della lingua del paese e possibilmente di altre lingue; crea le basi della formazione professionale e insegna anche come si è sviluppata la cultura del luogo e come sarà in futuro; inoltre, gli studenti studiano la storia. Crediamo, quindi, che l’istruzione obbligatoria insegni alle persone a vivere insieme in armonia. Se si vive in un determinato paese, è chiaro che si deve anche capire la lingua che vi si parla e questo è lo scopo principale di un buon sistema di istruzione obbligatoria. Alla luce di tutto questo, ritengo che molti problemi in Europa si possano risolvere grazie ad un’istruzione obbligatoria efficace rivolta a tutti i residenti nel paese.

 
  
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  Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione. − (FR) Signor Presidente, ho ascoltato attentamente entrambe le parti.

In questo contesto, è molto difficile per la Commissione prendersi la responsabilità di affrontare il problema al posto dello Stato lettone. A mio avviso, sarebbe auspicabile, in questa situazione, intraprendere un dialogo a livello internazionale. Purtroppo, è l’unico consiglio che posso suggerire.

 
  
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  Presidente . − La discussione è chiusa.

 
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