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Discussioni
Giovedì 5 febbraio 2009 - StrasburgoEdizione GU
 ALLEGATO (Risposte scritte)
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è l’unica responsabile di queste risposte)
INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE

INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è l’unica responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 6 dell’onorevole McGuinness (H-1046/08)
 Oggetto: Prezzi dei prodotti alimentari
 

Il Consiglio può commentare la comunicazione della Commissione sui prezzi dei prodotti alimentari in Europa (COM(2008)0821), pubblicata lo scorso dicembre. Il Consiglio ritiene che la comunicazione affronti adeguatamente l’attuale situazione del mercato in cui i prezzi delle derrate agricole e i prezzi dell’energia sono scesi di tanto?

Il Consiglio ha un’opinione sulla necessità di una maggiore sorveglianza del mercato e maggiori informazioni che consentono di gestire le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e dei prodotti alimentari?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio desidera informare l’onorevole deputata che la comunicazione della Commissione sui prezzi dei prodotti alimentari è stata presentata al Consiglio nella seduta del 19 gennaio 2009. Tale comunicazione fa seguito a una richiesta del Consiglio europeo del giugno 2008 di indagare sulle cause del forte aumento dei prezzi dei prodotti alimentari che ha seguito l’ancor più brusco aumento dei prezzi dei prodotti di base.

La comunicazione descrive il recente andamento dei prezzi dei prodotti agricoli di base e dei prodotti alimentari. Propone, in special modo, diverse possibilità per migliorare il funzionamento della filiera alimentare in Europa, stabilendo un apposito programma di lavoro. E’ stata anche indicata, tra le altre cose, la necessità di equilibrare a livello globale domanda e offerta di prodotti alimentari e di abbattere le barriere negli scambi commerciali internazionali.

La presidenza ritiene che le discussioni del Consiglio si siano dimostrate utili in quanto hanno offerto ai suoi membri l’opportunità di scambiarsi opinioni su questo importante argomento. Nel corso di tali discussioni sono state espresse diverse opinioni. Alcune delegazioni, ad esempio, hanno dato voce alla fragile posizione dei produttori di fronte alle grosse catene di distribuzione ed espresso la necessità che il calo dei prezzi si rifletta su tutta la filiera alimentare.

La maggior parte delle delegazioni ha convenuto sulla necessità di monitorare da vicino il mercato e la Commissione si è assunta l’impegno di relazionare sulla questione entro la fine del 2009.

 

Interrogazione n. 7 dell’onorevole Ó Neachtain (H-1048/08)
 Oggetto: Stabilità nella Repubblica centrafricana
 

Nel dicembre 2008 il bollettino Crisis Watch dell’International Crisis Group sosteneva che mai come oggi il rischio di nuove violenze nella Repubblica centrafricana è stato così elevato. Circondata dal Ciad, dal Sudan e dalla Repubblica democratica del Congo, la Repubblica centrafricana è minacciata anche dall’instabilità interna. È stato espresso il timore che la mancanza di truppe per il mantenimento della pace, ben addestrate, esperte e adeguatamente equipaggiate, e la mancanza di volontà politica della comunità internazionale, si ripercuoteranno sulla fragile stabilità del paese. Quali misure può e intende il Consiglio adottare affinché la Repubblica centrafricana non diventi un altro Ciad o un’altra Repubblica democratica del Congo?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio ha ripetutamente espresso la propria preoccupazione in merito al protrarsi della crisi umanitaria nella parte nord-orientale della Repubblica centrafricana ed è consapevole della necessità di creare in quest’area condizioni tali da permettere un ritorno volontario, sicuro e sostenibile di rifugiati e profughi, nonché dell’esigenza di provvedere alla ricostruzione e allo sviluppo economico e sociale della regione.

Per tale ragione, l’Unione europea fornisce diverse tipologie di sostegno alla Repubblica centrafricana, esattamente come nel caso del Ciad. L’operazione EUFOR Ciad-RCA, condotta nell’ambito della politica europea di sicurezza e di difesa, rientra nell’ambito di tale risposta multidimensionale. La Commissione ha apportato un ulteriore contributo con le proprie iniziative a sostegno della cooperazione allo sviluppo e con la prestazione di aiuti umanitari.

L’operazione EUFOR Ciad/RCA dell’Unione europea ha già apportato un notevole contributo alla stabilizzazione della regione, unitamente alla missione delle Nazioni Unite MINURCAT e a UNAMID nel Darfur. Nello specifico, EUFOR Ciad/RCA ha fornito protezione a rifugiati, profughi e personale impegnato nella prestazione di aiuti umanitari.

EUFOR Ciad/RCA è un’operazione militare “ponte” della durata di dodici mesi, che si concluderà il 15 marzo 2009. Il Consiglio ha sottolineato l’importanza che la missione delle Nazioni Unite nel Ciad e nella Repubblica centrafricana (MINURCAT), approvata con la risoluzione n. 1861/2009 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, entri pienamente in azione al termine del mandato di EUFOR. Uno spiegamento completo di MINURCAT è fondamentale per fornire una risposta efficace alle minacce non militari di criminalità e banditismo.

In considerazione di quanto detto, consultate le autorità centrafricane, il Consiglio ha insistito affinché sia fatto tutto il possibile per assicurare che vengano eseguiti tutti gli accordi per il periodo successivo all’operazione dell’Unione europea, anche attraverso un’operazione delle Nazioni Unite, come stabilito dall’articolo 10 della risoluzione n. 1778.

 

Interrogazione n. 8 dell’onorevole Aylward (H-1051/08)
 Oggetto: Nuove iniziative di lotta al lavoro infantile
 

Quali nuove iniziative sta portando avanti il Consiglio per combattere lo sfruttamento infantile e il lavoro infantile nel mondo?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La lotta al lavoro minorile è un elemento fondamentale delle priorità comunitarie in tema di diritti umani e necessita di essere affrontata a tutti i livelli e in diversi ambiti operativi. L’Unione europea persegue una strategia esaustiva al fine di eliminare qualunque forma di lavoro minorile, curando gli aspetti politici, commerciali e di sviluppo, con azioni che riguardano la riduzione della povertà, il mercato del lavoro, il dialogo e la protezione sociali e mirano in particolar modo a un’istruzione primaria libera e universale.

La presidenza ceca intende aprire il dibattito su tutta una serie di argomenti relativi alla tutela dei minori e mirerà in particolar modo a una cooperazione attiva tra le forze di polizia per la ricerca di minori scomparsi, a un impiego più proficuo dello Schema d’informazione Schengen (SIS) a tali scopi e ad un’azione congiunta per combattere i contenuti illeciti su Internet. La presidenza ceca, inoltre, porterà avanti le attività intraprese dalla presidenza francese e quelle indicate dalle conclusioni del Consiglio relative al sistema di allarme per i minori. La tutela dei minori è stata alla base di un incontro informale dei ministri della Giustizia e degli Affari interni a Praga il 15 e 16 gennaio scorsi e sarà al centro anche delle conferenze ministeriali dedicate rispettivamente a un Internet più sicuro per i minori e a un’Europa più a misura di bambino, entrambe previste per il prossimo aprile.

Per quanto attiene al lavoro infantile, la Commissione europea sta lavorando a una relazione volta a indicare le misure di lotta al lavoro infantile disponibili al momento, sulla base delle conclusioni del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” del maggio 2008; la presidenza ceca è in attesa dei risultati di tale lavoro.

In occasione del consiglio di marzo 2009, inoltre, la Commissione prevede di sottoporre un riesame della decisione quadro del Consiglio relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile. La presidenza ceca è pronta a lanciare attivamente i negoziati relativi all’iniziativa correlata a tale documento, la quale è volta a creare uno strumento più efficace per la lotta contro i crimini sessuali di cui sono vittime i bambini. Sotto la presidenza ceca si svolgerà anche, nel marzo 2009 a Praga, una conferenza di diritto penale sul tema della tutela delle vittime vulnerabili e della loro posizione nei processi penali.

Nell’ambito dei diritti umani, lo scopo della presidenza ceca sarà di migliorare la cooperazione e il partenariato delle istituzioni dell’Unione europea con le organizzazioni non governative e contribuire a una maggiore efficacia degli strumenti finanziari europei attinenti. Nel 2009 è prevista altresì la valutazione del nuovo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, che include azioni volte a prevenire il reclutamento di bambini nei conflitti armati e a favorirne il rilascio e la reintegrazione.

 

Interrogazione n. 9 dell’onorevole Ryan (H-1053/08)
 Oggetto: Migliore regolamentazione e supervisione del mercato dei servizi finanziari globale
 

Quali iniziative sta portando avanti il Consiglio con gli Stati Uniti, la Cina e l’India per migliorare la regolamentazione e la supervisione del mercato dei servizi finanziari globale?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La presidenza del Consiglio è impegnata in regolari incontri ministeriali e vertici tra capi di Stato che coinvolgono diversi paesi terzi, tra cui gli Stati Uniti, la Cina e l’India. In occasione di tali incontri si discutono argomenti di reciproco interesse, inclusi i servizi finanziari, e, ove possibile, si cerca di trovare un comune accordo. Nondimeno, in assenza di una proposta da parte della Commissione, il Consiglio non può adottare nessun atto legislativo. L’attuale crisi finanziaria rende gli incontri con i partner su scala mondiale della massima importanza.

Per quanto attiene le relazioni con gli USA, bisognerebbe sottolineare l’importanza del Consiglio economico transatlantico, istituito nel 2007 per supervisionare il quadro per la promozione dell’integrazione economica transatlantica tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America, che copre, fra l’altro, l’integrazione dei mercati finanziari.

Per diversi anni, inoltre, la Commissione europea ha tenuto colloqui regolari sul tema della normativa in materia di servizi finanziari e, in alcuni casi, anche incontri su temi di macroeconomia con i principali partner economici. Tale pratica ha avuto inizio con il dialogo normativo UE-USA del 2002, cui hanno seguito il dialogo UE-Cina nel 2005 e quello UE-India nel 2006.

Il Consiglio non prende parte a tali colloqui, ma ne monitora i progressi attraverso il Comitato per i servizi finanziari e il Comitato economico e finanziario. In caso di necessità, il Consiglio viene aggiornato dalla Commissione sui progressi in materia e le due istituzioni si scambiano a livello informale le rispettive opinioni sull’argomento.

Per concludere, ricordo che il gruppo dei 20, cui hanno partecipato anche Stati Uniti, Cina e India, ha tenuto un incontro preliminare a Washington il 15 novembre 2008 per far fronte alle difficili sfide che i mercati economici e finanziari mondiali sono chiamati ad affrontare nell’attuale crisi. In tale occasione il Consiglio è stato rappresentato dalla presidenza. I capi di Stato del G20 hanno stabilito un piano di azione ambizioso da intraprendere sia a breve che a medio termine, al fine di migliorare le norme finanziarie internazionali. Tale processo è ancora in corso (il prossimo incontro è stato fissato il 2 aprile di quest’anno) e questo lavoro potrebbe gettare le basi per la più importante piattaforma internazionale per una migliore regolamentazione e supervisione del mercato globale dei servizi finanziari.

 

Interrogazione n. 10 dell’onorevole Crowley (H-1055/08)
 Oggetto: Politica comune dell’energia
 

Quali iniziative sta ponendo in atto la Presidenza ceca per garantire che vi sia una politica comune dell’energia e per far sì che l’Unione europea sia in grado di agire con una sola voce quando negozia le forniture di energia?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La recente disputa sul gas tra Russia e Ucraina ha sottolineato l’importanza di un rafforzamento della politica comune nel settore dell’energia. La presidenza ceca ha posto l’energia al primo posto tra le sue priorità politiche ben prima che la vulnerabilità dell’Unione europea in termini di dipendenza energetica fosse nuovamente sottolineata dall’interruzione degli approvvigionamenti. Come il primo ministro Topolánek ha chiaramente detto due settimane fa a Budapest, in occasione del vertice sul gasdotto Nabucco, la politica comune dell’energia è un’esigenza fondamentale per l’Europa. Spetta ora alla presidenza ceca utilizzare il sostegno e la volontà politica generati dalla crisi per attuare le misure a breve, medio e lungo termine più urgenti al fine di evitare in futuro gravi interruzioni degli approvvigionamenti e migliorare la nostra capacità di affrontarne le conseguenze, qualora tale eventualità si verificasse. Il 12 gennaio si è svolta una riunione straordinaria del Consiglio “Energia”, nel corso della quale sono state identificate una serie di misure da intraprendere allo scopo.

Per quanto attiene alle misure strategiche a lungo termine, una possibile risposta sono la diversificazione delle rotte di approvvigionamento, dei fornitori e delle fonti. Che si tratti dei gasdotti Nordstream, Nabucco, Southstream o dei terminali per il gas naturale liquefatto (GNL), la diversificazione è positiva, in quanto diminuisce la nostra dipendenza energetica e quindi rafforza la posizione contrattuale dell’Unione europea di fronte ai propri partner.

Per quel che concerne le misure a medio termine, sarebbe opportuno identificare le infrastrutture e le interconnessioni energetiche mancanti e accelerare i lavori su quel fronte. Il mercato interno dell’energia dell’Unione non funzionerà mai se non si agevoleranno le operazioni di trasferimento transfrontaliere. Lo stesso dicasi per la solidarietà europea. Il problema delle isole energetiche dev’essere affrontato e il prerequisito per farlo è mobilitare le risorse finanziarie necessarie attraverso la Banca europea per gli investimenti (BEI) o la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). La presidenza si batterà affinché i progetti relativi alle infrastrutture energetiche siano trattati come prioritari nell’ambito del piano europeo di ripresa economica.

Le misure di emergenza a breve termine, infine, dovrebbero permetterci di fornire aiuto ai paesi membri in difficoltà. I casi di Slovacchia e Bulgaria hanno chiaramente indicato che è necessario aumentare gli accordi di solidarietà regionali e bilaterali.

Sono state identificate molte altre misure utili, come una maggiore trasparenza nella gestione dei flussi di gas naturale, della domanda e dei volumi di stoccaggio, sia da parte degli Stati membri che dei paesi fornitori o di transito, e la successiva installazione di sistemi di misurazione affidabili. Bisognerebbe valutare il meccanismo di allarme preventivo ed estenderlo ai paesi di transito.

Anche la revisione della direttiva concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale può svolgere un ruolo importante. Tutte queste misure renderanno l’Unione europea più forte e ci permetteranno di rivolgerci ai nostri fornitori di energia con voce unica.

La politica energetica comune si basa sul piano d’azione adottato dal Consiglio europeo nel marzo 2007, la cui attuazione è ancora in corso. Detto piano verrà ulteriormente sviluppato alla luce del secondo riesame strategico della politica energetica da parte della Commissione, presentato al Consiglio nel novembre 2008, che verterà in particolar modo sulla sicurezza energetica e sul bisogno di solidarietà.

Il 19 febbraio il Consiglio valuterà la situazione e prenderà delle decisioni sulle ulteriori misure concrete presentate nel secondo riesame della Commissione, oltre a discutere del seguito tanto ai provvedimenti concordati il 12 gennaio. Tali attività getteranno le basi per definire, in occasione del Consiglio europeo di marzo, le risposte necessarie affinché l’Europa continui a sviluppare una politica energetica comune e, soprattutto, rafforzi la propria sicurezza energetica.

Un altro importante elemento della politica energetica comune è l’efficienza energetica. In tale ambito, il Consiglio si esprimerà sulle varie proposte di legge che la Commissione ha sottoposto alla sua attenzione nell’ultimo periodo, sul secondo riesame strategico della politica energetica e, in particolar modo, sulle proposte di rifusione relative al rendimento energetico degli edifici e all’etichettatura energetica dei prodotti connessi all’energia, e sulla proposta relativa all’etichettatura di efficienza per gli pneumatici.

 

Interrogazione n. 11 dell’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou (H-1057/08)
 Oggetto: Sussidiarietà in materia di istruzione e affari sociali
 

Come sosterrà il Consiglio il principio della sussidiarietà in materie attinenti all’istruzione, agli affari sociali e al diritto privato?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio si è impegnato a rispettare totalmente il principio della sussidiarietà. Esso continuerà a garantire, ai sensi dell’articolo 5 del trattato CE, che la Comunità intervenga soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri.

Nel valutare qualunque proposta di azione a livello comunitario, il Consiglio non si limita a esaminare i contenuti della proposta, ma verifica che la proposta rispetti i principi di sussidiarietà e proporzionalità. Esso non approverà nessuna proposta che non reputi rispettare tali premesse.

Tali principi non verranno meno nelle materie attinenti all’istruzione, agli affari sociali e al diritto privato citate dall’onorevole deputata, tanto più che, in tutti questi settori, i trattati prevedono che l’azione comunitaria miri a sostenere e complementare le attività degli Stati membri. Il Consiglio vigila, in particolar modo, affinché l’azione comunitaria nell’ambito dell’istruzione rispetti le competenze degli Stati membri relativamente al contenuto degli insegnamenti e all’organizzazione del sistema scolastico, incluse le diversità linguistiche e culturali cui esso dà voce.

 

Interrogazione n. 12 dell’onorevole Higgins (H-1059/08)
 Oggetto: Sviluppo regionale
 

Il Consiglio potrebbe delineare i suoi obiettivi specifici nel settore della coesione territoriale e quali sforzi effettuerà per affrontare gli squilibri territoriali che esistono in materia di sviluppo economico, sociale e ambientale all’interno della Comunità?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio considera la coesione territoriale uno dei principali aspetti della politica di coesione, che mira a contrastare gli squilibri nello sviluppo economico, sociale e ambientale tra i vari territori dell’Unione europea. Il Consiglio riconosce altresì l’importante ruolo che la politica di coesione svolgerà nel il periodo 2007-2013 per permettere agli Stati membri di curare l’aspetto territoriale. Il Libro verde della Commissione sulla coesione territoriale del 6 ottobre 2008 è attualmente in fase di consultazione pubblica, pertanto il Consiglio non ha ancora raggiunto una posizione definitiva sul suo contenuto. I primi risultati del dibattito pubblico in materia saranno presentati nel corso dell’incontro informale dei ministri responsabili dello sviluppo regionale che si terrà a Mariánské Lázně, nella Repubblica ceca, nell’aprile 2009.

Nondimeno, la presidenza francese ha redatto una relazione provvisoria, disponibile pubblicamente(1).

Le principali indicazioni di tale relazione intermedia ribadiscono la necessità di un forte sostegno ai seguenti obiettivi di massima:

- riduzione delle disparità tra le regioni in termini di sviluppo;

- sviluppo sostenibile ed equilibrato di tutto il territorio dell’Unione europea, alla luce delle caratteristiche specifiche delle singole regioni al fine di garantire adeguati condizioni di vita in tutta l’Unione;

- promozione del principio secondo cui l’accesso alle principali infrastrutture di trasporto, alle nuove tecnologie di informazione e comunicazione e ai servizi basilari di interesse generale, come sanità ed istruzione, dovrebbe raggiungere una soglia minima su tutto il territorio;

- sostegno affinché le politiche settoriali sia comunitarie che nazionali tengano conto del proprio impatto sul territorio, e supporto per l’aumento dei collegamenti con altre politiche europee che abbiano un impatto territoriale.

Secondo tale relazione, tuttavia, alcune delegazioni hanno espresso preoccupazione su alcuni aspetti del Libro verde.

Il Consiglio continuerà a seguire da vicino la questione e in particolare gli sviluppi della discussione pubblica sul Libro verde della Commissione. Esso potrà assumere una posizione formale non appena la Commissione formulerà delle proposte che tengano conto della discussione in atto.

 
 

(1) doc. 17580/08

 

Interrogazione n. 13 dell’onorevole Nicholson (H-1062/08)
 Oggetto: Origine dei prodotti/etichettatura dei prodotti alimentari
 

Alla luce dei recenti avvenimenti nel settore dell’industria della carne suina, il Consiglio ha preso qualche deliberazione riguardo all’introduzione dell’etichettatura d’origine di tutti i prodotti alimentari per ottenere tracciabilità e trasparenza?

Il Consiglio ammette che è questa l’unica strada che garantisce la fiducia dei consumatori nell’industria alimentare?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La questione relativa all’etichettatura d’origine è attualmente oggetto di discussione sia in seno al Consiglio che al Parlamento europeo, sulla base della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori(1)presentata della Commissione.

Ai sensi della legislazione comunitaria vigente, l’etichettatura d’origine è obbligatoria

- nei casi in cui il consumatore può essere indotto in errore sull’effettiva origine o provenienza di prodotti alimentari e;

- in ottemperanza a norme specifiche come quelle relative a frutta, verdura, carne bovina, vino, miele, pesce e pollame d’importazione.

Per quanto attiene all’etichettatura del paese d’origine o del luogo di provenienza di un alimento, il requisito di fondo contenuto nella nuova proposta di regolamento rimane invariata. L’etichettatura rimarrebbe pertanto volontaria, ad eccezione dei casi in cui la sua assenza potrebbe indurre il consumatore in errore, dove l’etichettatura diviene obbligatoria. La proposta della Commissione mira altresì a chiarire le condizioni in cui gli Stati membri possono adottare normative nazionali sull’etichettatura d’origine.

Questo approccio si basa sul concetto che l’etichettatura degli alimenti, inclusa quella d’origine, sia anzitutto uno strumento di informazione per il consumatore. L’etichettatura d’origine non può essere considerata, di per sé, uno strumento che contribuisce alla sicurezza alimentare, in quanto non indica cause di contaminazione come quella riportata dall’onorevole deputato.

Tutti i prodotti alimentari e i mangimi legalmente introdotti nel mercato dell’Unione europea devono essere sicuri, indipendentemente dalla loro origine. Per tutelare la fiducia dei consumatori, questo principio fondamentale deve continuare a essere uno dei capisaldi della politica europea di sicurezza alimentare.

 
 

(1) COM(2008)40 def. - 2008/0028 (COD).

 

Interrogazione n. 14 dell’onorevole Moraes (H-1064/08)
 Oggetto: Raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio
 

Nel giugno 2008 il Consiglio ha annunciato che il 2008 doveva segnare un punto di svolta nel potenziamento degli sforzi collettivi per sradicare la povertà nel contesto di uno sviluppo sostenibile, per far sì che al 2015 tutti gli obiettivi di sviluppo del Millennio (MDG) fossero raggiunti in tutto il mondo.

Di quali progressi può riferire il Consiglio con riguardo ai suoi sforzi per raggiungere gli MDG e ritiene che il 2008 abbia effettivamente segnato un punto di svolta?

Inoltre, quali iniziative ha in programma di prendere il Consiglio nell’anno che viene per contribuire a far sì che tutti gli MDG siano raggiunti al 2015?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

L’Unione europea ha dimostrato il proprio impegno nel sostenere il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio (MDG) con il calendario di azioni dell’UE per la realizzazione degli MDG, sottoscritto dal Consiglio europeo nel giugno 2008. Tale calendario di azioni stabilisce alcune pietre miliari che contribuiranno al raggiungimento degli obiettivi, e offrirà esempi delle iniziative comunitarie a sostegno degli impegni già assunti dall’Unione europea.

Il calendario stabilisce azioni prioritarie in aree chiave come istruzione, ambiente, sanità, risorse idriche e misure sanitarie, agricoltura, crescita economica a favore dei poveri, infrastrutture e parità di genere. E’ necessaria altresì un’azione che favorisca l’integrazione di questioni trasversali in tutti i settori. L’Unione europea ha proposto ai propri partner per lo sviluppo di condividere questo calendario di azioni, che dovrebbe essere preso in considerazione anche nell’ambito della strategia comune Africa-UE e di vari partenariati adottati nel corso del vertice di Lisbona. Affinché il calendario abbia buon esito, è’ fondamentale che sia recepito dai paesi partner.

Alla luce dei progressi compiuti in alcuni paesi e aree, l’Unione è convinta che tutti gli obiettivi del Millennio possano ancora essere raggiunti in tutte le regioni del mondo, a condizione di intraprendere un’azione concertata e sostenibile entro il 2015. Nondimeno, l’Unione è seriamente preoccupata per gli effetti che potrebbero avere sul raggiungimento degli MDG le attuali tendenze di diversi paesi e regioni, in particolare dell’Africa sub-Sahariana.

Sono emerse nuove sfide che potrebbero minare il raggiungimento degli MDG: la crisi finanziaria mondiale, insieme con l’aumento e le oscillazioni dei prezzi dei prodotti alimentari e di base. L’emergere di nuovi attori ha reso più complessa l’architettura degli aiuti. La priorità attribuita alla lotta ai cambiamenti climatici e al rafforzamento delle capacità di adattamento dei paesi in via di sviluppo è andata via via crescendo, portando a un nuovo, accresciuto sforzo collettivo sotto forma di aiuti supplementari. Per affrontare queste nuove sfide, è necessario ottenere una conferma degli impegni assunti dalla comunità internazionale a sostegno del consenso di Monterrey e la disponibilità a intraprendere ulteriori azioni.

Nei propri orientamenti per la partecipazione alla conferenza di Doha sul finanziamento allo sviluppo, l’Unione europea ha stabilito che i paesi più poveri e fragili non dovrebbero diventare le vittime della crisi attuale, che non deve minare il concretizzarsi degli impegni a favore del consenso di Monterrey e del raggiungimento degli MDG.

In tale contesto, l’Unione europea manterrà il proprio ruolo di capofila nel fornire sostegno finanziario per il raggiungimento degli MDG, mantenendo altresì i propri impegni in tema di aiuti pubblici allo sviluppo, e si adopererà in ogni modo per garantire una risposta orientata a un’azione ambiziosa da parte della comunità internazionale allargata. Il Consiglio discuterà in dettaglio tali questioni durante l’incontro del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” nel maggio 2009.

 

Interrogazione n. 15 dell’onorevole Posselt (H-1068/08)
 Oggetto: Diritti umani a Cuba
 

Come valuta il Consiglio la situazione dei diritti umani a Cuba e, in particolare, la situazione di Ricardo González Alfonso, detenuto da oltre cinque anni e proclamato giornalista dell’anno in dicembre da “Reporter senza frontiere”?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il rispetto e la promozione dei diritti umani e della libertà di opinione e di espressione sono elementi fondamentali della politica europea in materia di relazioni esterne.

Nelle proprie conclusioni del 23 giugno 2008, il Consiglio ha invitato il governo cubano a migliorare la situazione relativa ai diritti umani, chiedendo, fra le altre cose, il rilascio incondizionato di tutti i prigionieri politici, inclusi quelli incarcerati e condannati nel 2003. Esso ha chiesto altresì al governo cubano di favorire l’accesso delle organizzazioni umanitarie internazionali alle prigioni locali. Il Consiglio ha “ribadito la propria determinazione a proseguire un dialogo con le autorità cubane, nonché con i rappresentanti della società civile e dell'opposizione democratica, in conformità con le politiche dell'UE, al fine di promuovere il rispetto dei diritti umani e la realizzazione di reali progressi verso una democrazia pluralista. Il Consiglio ha sottolineato che l'UE continuerà a fornire a tutti i settori della società un sostegno concreto a favore di un cambiamento pacifico a Cuba. L'UE ha lanciato inoltre un nuovo appello al governo cubano affinché accordi la libertà di informazione e di espressione, compreso l'accesso a Internet, e lo ha invitato a cooperare in questo settore”.

Il dialogo con le autorità cubane è stato riaperto in occasione dell’incontro ministeriale del 16 ottobre 2008, e che per l’Unione europea ha costituito un’opportunità di esporre al governo cubano la propria posizione sulla democrazia, sui diritti umani universali e sulle libertà fondamentali. L’Unione conserva al contempo i propri contatti con l’opposizione democratica.

L’evoluzione dei diritti umani e della libertà d’opinione a Cuba rappresenteranno un elemento importante nella valutazione dei rapporti dell’Unione con questo paese, inclusa l’efficacia del processo di dialogo politico.

Per quanto concerne casi specifici, il Consiglio li segue da vicino e li discute con le autorità cubane ogni qualvolta se ne presenta l’opportunità.

 

Interrogazione n. 16 dell’onorevole Mitchell (H-1070/08)
 Oggetto: Elezioni del Parlamento europeo
 

Nonostante il costante incremento dei poteri e delle competenze del Parlamento europeo, la partecipazione degli elettori alle elezioni europee ha continuato a declinare da una media generale del 63% nel 1979 al 45,3% nel 2004. Con le nuove elezioni in programma per giugno come propone il Consiglio di comunicare l’importanza del Parlamento europeo per invertire questa tendenza e coinvolgere l’elettorato nei singoli Stati membri?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La questione relativa alla partecipazione elettorale è di competenza degli Stati membri e le campagne informative sulle elezioni del Parlamento europeo sono organizzate in ciascuno di essi secondo la legislazione nazionale. Non sarebbe pertanto appropriato che il Consiglio prendesse posizione su tale questione o che intraprendesse particolari iniziative.

Nella dichiarazione politica “Insieme per comunicare l’Europa” del 22 ottobre 2008, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno sottolineato l’enorme importanza del miglioramento di tutta la comunicazione relativa agli affari europei al fine di permettere ai cittadini europei di esercitare il proprio diritto a partecipare della vita democratica dell’Unione europea.

Nelle sue conclusioni su tale comunicazione, il Consiglio ha sottolineato che “occasioni quali le elezioni dirette del Parlamento europeo costituiscono una buona opportunità per intensificare la comunicazione con i cittadini sui temi attinenti all’UE e per informare e incoraggiare la loro partecipazione al dibattito politico”.

Conformemente a tale dichiarazione, il Consiglio riconosce l’importanza di affrontare la sfida relativa alla comunicazione su questioni comunitarie in collaborazione con gli Stati membri e le altre istituzioni al fine di assicurare una comunicazione efficace e un’informazione oggettiva al più vasto pubblico possibile al giusto livello.

Nella propria dichiarazione, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno sottolineato che le elezioni del Parlamento europeo sono tra le priorità della comunicazione interistituzionale per l’anno 2009.

 

Interrogazione n. 17 dell’onorevole Papadimoulis (H-0002/09)
 Oggetto: Necessità di imporre sanzioni politiche, diplomatiche ed economiche contro Israele
 

L’8 dicembre 2008, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato un testo (17041/08) dal titolo “Conclusioni del Consiglio sul rafforzamento delle relazioni bilaterali dell’Unione europea con i partner mediterranei” con cui viene elevato il livello delle relazioni UE-Israele, nonostante il fatto che Israele abbia imposto un blocco di vari mesi sulla Striscia di Gaza ed abbia esteso gli insediamenti ed intensificato la violenza contro i palestinesi. Il Consiglio, con questa decisione, ha incoraggiato l’intransigenza e l’aggressività di Israele e ha indebolito l’immagine dell’UE nel mondo arabo.

Mentre prosegue l’attacco criminale di Israele a Gaza, con centinaia di vittime e migliaia di feriti tra i palestinesi, per la maggior parte civili, intende il Consiglio annullare la decisione di rafforzamento delle relazioni UE-Israele nonché il precedente accordo di cooperazione in materia di difesa tra l’UE e Israele (1993)? Quali altri misure politiche, diplomatiche ed economiche intende adottare contro Israele per porre fine alla politica di genocidio dei palestinesi?

 
 

Interrogazione n. 18 dell’onorevole Guerreiro (H-0007/09)
 Oggetto: Relazioni tra l’UE e Israele
 

Nel dicembre scorso, l’UE ha deciso di ribadire la propria determinazione a rafforzare il livello e l’intensità delle proprie relazioni bilaterali con Israele, nell’ambito dell’adozione di un nuovo strumento che sostituirà l’attuale piano di azione a partire dall’aprile 2009. Negli orientamenti che definiscono il rafforzamento del dialogo politico con Israele si sottolinea la necessità di incrementare i vertici bilaterali a tutti i livelli; di aprire più frequentemente a Israele il Comitato politico e di sicurezza dell’UE; di facilitare l’audizione di esperti israeliani da parte di gruppi e comitati del Consiglio UE; di sistematizzare e ampliare le consultazioni strategiche informali; di incoraggiare l’allineamento di Israele con la politica estera e di sicurezza comune UE; di consentire la cooperazione sul campo in materia di politica europea di sicurezza e difesa UE; di incoraggiare infine l’inserimento e la presenza di Israele in istituzioni multilaterali come l’ONU. È questa decisione e questo processo che l’ambasciatore di Israele presso l’UE ritiene non siano in causa, affermando che le posizioni di Israele e dell’UE sono attualmente convergenti.

Di fronte alla recrudescenza dell’ingiustificata aggressione di Israele nei confronti del popolo palestinese della Striscia di Gaza, agli odiosi crimini perpetrati dall’esercito israeliano, al più completo disprezzo del diritto internazionale e dei diritti umani da parte di Israele nei Territori palestinesi occupati, perché il Consiglio non condanna e sospende gli accordi con Israele e qualsiasi processo mirante al loro rafforzamento?

 
 

Interrogazione n. 19 dell’onorevole Martin (H-0012/09)
 Oggetto: Relazioni commerciali UE-Israele
 

Alla luce dell’azione militare in corso a Gaza, dell’eccessivo e sproporzionato ricorso alla forza da parte di Israele nonché delle migliaia di vittime tra i civili e delle uccisioni di cittadini palestinesi innocenti, in che modo intende il Consiglio riconsiderare le proprie relazioni commerciali con Israele?

 
 

Interrogazione n. 20 dell’onorevole Holm (H-0014/09)
 Oggetto: Sospensione dell’accordo con Israele
 

Durante il periodo natalizio, Israele ha avviato l’operazione “Piombo fuso”. Al momento si contano oltre novecento morti e migliaia di feriti tra i palestinesi. L’articolo 2 dell’accordo di cooperazione UE-Israele chiede il rispetto dei diritti dell’uomo ed è oggi più evidente che mai che Israele lo ha violato. Nell’ottobre 2005 l’UE aveva sospeso l’accordo di cooperazione con l’Uzbekistan proprio a motivo della violazione del medesimo articolo.

Ciò premesso, intende il Consiglio far rispettare la disposizione in materia di diritti dell’uomo contenuta nell’accordo commerciale con Israele, sospendendo detto accordo? Quali altre misure intende adottare affinché tale paese ponga fine alle violenze?

 
 

Interrogazione n. 21 dell’onorevole Meyer Pleite (H-0018/09)
 Oggetto: Sospensione dell’accordo di associazione UE-Israele a seguito della violazione dell’art. 2 sui diritti umani
 

Il recente conflitto a Gaza ha mostrato nuovamente come il governo di Israele violi il diritto penale e umanitario internazionale negli scontri con il popolo palestinese.

L’accordo di associazione UE-Israele contiene una clausola che pone come condizione dello stesso il rispetto dei diritti umani. Le violazioni da parte del governo di Israele sono chiare: l’uso della forza in maniera eccessiva e indiscriminata da parte dell’esercito, che provoca la morte della popolazione civile; i danni e la distruzione delle infrastrutture civili (ospedali, università, ponti, strade, fornitura di energia, sistemi fognari); la demolizione di case; l’assedio e l’isolamento nei confronti della popolazione di Gaza; gli arresti arbitrari accompagnati da maltrattamenti e torture.

Di fronte a questa situazione, non ritiene il Consiglio che si debba sospendere l’accordo di associazione UE-Israele fino a quando non sarà rispettata la clausola sul rispetto dei diritti umani?

 
 

Interrogazione n. 22 dell’onorevole Toussas (H-0024/09)
 Oggetto: Divieto ai partiti politici arabi di partecipare alle elezioni in Israele
 

Il 12 gennaio, la Commissione elettorale centrale di Israele ha deciso di vietare la partecipazione, alle imminenti elezioni di febbraio, dei due partiti politici arabi che siedono al Parlamento israeliano (Knesset), segnatamente la Lista Araba Unita - Ta’al e il Balad. Tale decisione, che porta all’esclusione dei cittadini israeliani di origine araba dalla vita politica, priva la comunità araba in Israele dei suoi diritti civili democratici e costituisce una violazione flagrante delle libertà civili e del diritto alla libertà di espressione. Tale divieto ai partiti arabi è collegato e viene ad aggiungersi alla guerra criminale del governo israeliano contro il popolo palestinese e al barbaro massacro di migliaia di civili palestinesi nella Striscia di Gaza, tra cui centinaia di bambini.

Alla luce di tale politica di Israele, che viola apertamente il diritto internazionale e le libertà democratiche, condanna il Consiglio l’azione di Israele? Intende il Consiglio sospendere l’attuazione dell’accordo di associazione dell’UE con Israele?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio condivide appieno le preoccupazioni dell’onorevole deputato sulla terribile situazione in cui si trovano i civili nella Striscia di Gaza.

L’Unione europea deplora fortemente la perdita di vite umane nel corso di questo conflitto, in particolar modo quella di vittime civili. Recentemente, nelle conclusioni dell’incontro del 26 gennaio, il Consiglio ha ricordato a tutte le parti coinvolte nel conflitto che devono rispettare appieno i diritti umani e adempiere ai propri doveri ai sensi del diritto umanitario internazionale. Il Consiglio continua a sollevare con Israele le proprie gravi preoccupazioni in materia di diritti umani durante tutti gli incontri ad alto livello, il più recente dei quali è stata la cena dei ministri degli Affari esteri dell’Unione con il loro omologo israeliano Tzipi Livni il 21 gennaio 2009.

Le questioni relative all’accordo di associazione dell’Unione europea con Israele e delle nuove relazioni che legano l’UE a questo paese, sollevate dagli onorevoli deputati, non sono state oggetto delle conclusioni dell’incontro del Consiglio del 26 gennaio. In linea di principio, il Consiglio reputa essenziale mantenere aperti tutti i canali di contatto politico e diplomatico e che l’attività di persuasione e il dialogo rappresentino l’approccio più efficace per trasmettere messaggi da parte dell’Unione europea.

Per quanto attiene alla questione specifica del divieto a due partiti politici arabi di partecipare alle elezioni in Israele, il Consiglio ha preso nota di una sentenza della Corte suprema dello Stato di Israele del 21 gennaio 2009 che ha ribaltato una decisione della Commissione centrale che bandiva le liste della Lista Araba Unita - Ta’al e del Balad dalle imminenti elezioni del parlamento israeliano (Knesset), previste per il 10 febbraio 2009.

 

Interrogazione n. 23 dell’onorevole McAvan (H-0003/09)
 Oggetto: Insegnanti nei paesi in via di sviluppo
 

Gli sforzi intesi a incrementare la frequenza delle scuole nel mondo in via di sviluppo hanno avuto un successo considerevole, ma all’aumento del numero degli allievi nelle scuole non ha corrisposto un aumento del numero degli insegnanti. In molte classi nei paesi in via di sviluppo, il rapporto allievi-insegnante è spesso di 100 a 1, o anche superiore. Le condizioni attualmente applicate dal Fondo monetario internazionale ai prestiti ai paesi in via di sviluppo pongono restrizioni alla spesa pubblica nel suo complesso, e impongono anche un limite massimo per i salari degli insegnanti. Milioni di bambini in età scolare non beneficiano dell’istruzione di cui hanno bisogno perché norme relative alla spesa pubblica impediscono ai paesi in via di sviluppo di occupare un numero sufficiente di insegnanti.

Dato che offrire ai bambini un’istruzione decente è essenziale per garantire uno sviluppo reale e durevole, il Consiglio eserciterà pressioni sull’FMI perché consenta maggiore flessibilità di spesa pubblica ai paesi in via di sviluppo per offrire ai loro bambini gli insegnanti di cui hanno disperato bisogno?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio condivide le preoccupazioni dell’onorevole deputata sullo scarso numero di insegnanti – e di altri professionisti importanti, come dottori o infermieri – in diversi paesi in via di sviluppo.

Assicurare l’istruzione primaria per tutti entro il 2015 è il secondo obiettivo di sviluppo del Millennio. In linea con tale obiettivo, l’Unione ha identificato l’istruzione come uno degli aspetti multidimensionali per l’eliminazione della povertà nel consenso europeo in materia di sviluppo. Ogni qualvolta le circostanze lo permettono, l’Unione incoraggia il ricorso a finanziamenti generici o di settore al bilancio destinato all’istruzione.

Il problema della mancanza di insegnanti e dei loro salari ridotti è un problema particolare dei paesi in via di sviluppo, dove l’abilitazione degli insegnanti è cruciale per garantire l’istruzione. In base al principio di proprietà, spetta ai paesi partner stabilire le proprie priorità e allocare di conseguenza le quote di bilancio destinate all’istruzione. I salari degli insegnanti dovrebbero essere fissati a un livello ragionevole rispetto ai salari medi nazionali all’interno del settore pubblico.

Per quanto concerne il Fondo monetario internazionale (FMI), gli Stati membri dell’Unione rappresentano solo una parte dei 185 paesi che ne sono membri. Molti di questi sono paesi in via di sviluppo e naturalmente anch’essi hanno voce in capitolo sull’operato dell’FMI. Qualora i paesi membri abbiano difficoltà a finanziare la propria bilancia dei pagamenti, l’FMI è un fondo cui è possibile ricorrere per incentivare la ripresa. Le autorità nazionali, in stretta cooperazione con l’FMI, stabiliscono un programma politico e relativo finanziamento, il cui versamento è soggetto all’effettiva attuazione del programma stesso.

Tramite lo strumento di crescita e di alleviamento della povertà e lo strumento di protezione dalle variabili esogene, il FMI fornisce altresì ai paesi a basso reddito prestiti con un tasso di interesse speciale.

 

Interrogazione n. 24 dell’onorevole Zwiefka (H-0010/09)
 Oggetto: Oscuramento dell’emittente televisiva al-Manar
 

La Germania ha recentemente proibito la diffusione dei programmi dell’emittente televisiva al-Manar su tutto il territorio nazionale. L’ordinanza vieta a chiunque di collaborare con l’emittente e fa seguito ai divieti di diffusione adottati in Francia, Spagna e nei Paesi Bassi e dovuti alla violazione, da parte della stazione televisiva, della legislazione europea in materia di audiovisivi.

Secondo l’ordinanza di divieto, emessa l’11 novembre dal Ministro federale dell’Interno tedesco, “lo scopo e l’attività di al-Manar consistono nel sostenere, difendere e incitare all’uso della violenza come mezzo per raggiungere obiettivi politici e religiosi”. L’ordinanza spiega inoltre che l’emittente diffonde “appelli al martirio” invitando a compiere attentati suicidi e menziona i versi del Corano utilizzati da al-Manar per giustificare e istigare alla violenza.

Quali misure intende adottare il Consiglio per interrompere la trasmissione dei programmi di al-Manar in Europa attraverso Nilesat? Il coordinatore antiterrorismo dell’UE ha formulato raccomandazioni su come impedire a simili emittenti televisive terroristiche di contribuire alla radicalizzazione dei musulmani in Europa?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il 18 dicembre 2007 il Consiglio, in qualità di co-legislatore assieme al Parlamento europeo, ha adottato la direttiva 2007/65/CE che ha modificato il quadro legislativo relativo all’esercizio delle attività televisive e ai servizi di media audiovisivi in seno all’Unione europea(1). L’articolo 3, paragrafo b), della direttiva vieta ai fornitori di servizi di media di incitare all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità.

L’ambito di applicazione di tale direttiva e della direttiva “Televisione senza frontiere”, che l’ha preceduta, può includere la trasmissione di programmi da parte di organizzazioni aventi sede al di fuori del territorio dell’Unione europea, come Al Manar e Al Aqsa, ma è necessario che utilizzino strutture satellitari “di competenza” di uno Stato membro. Stando alle informazioni di cui dispone il Consiglio, è su questa base che l’autorità di regolamentazione francese ha emesso un’ordinanza a gennaio 2009 contro la trasmissione di Al Aqsa su Eutelsat. La situazione di Nilesat e Arabsat, su cui Al Manar è ancora disponibile, tuttavia, è diversa, in quanto non utilizza strutture satellitari comunitarie. In questo caso, pertanto, è più difficile stabilire una risposta appropriata da parte dell’Unione europea.

Di fronte a questa situazione, il Consiglio è consapevole che la Commissione sta vagliando i modi di esporre la questione nel suo dialogo politico sia con l’Egitto che con il Libano. Similarmente il Consiglio cercherà di assicurare che la questione venga affrontata nelle sue relazioni con questi paesi.

La radicalizzazione e il reclutamento hanno fatto parte per anni delle più importanti questioni europee relative alla sicurezza. Sono stati stilati e approvati documenti comunitari specificatamente mirati a far fronte a questo fenomeno, tra cui documenti strategici come la strategia antiterrorismo dell’Unione europea, la strategia comunitaria volta a contrastare la radicalizzazione e il reclutamento e i rispettivi piani d’azione.

Il coordinatore antiterrorismo dell’Unione ha invitato allo sviluppo di misure che contrastino la radicalizzazione in Europa e nel resto del mondo, in quanto essa rappresenta una delle più gravi minacce per l’Europa, come indicato nella relazione sull’attuazione della strategia europea in materia di sicurezza consegnata in occasione dell’ultimo vertice europeo. Il 27-28 novembre 2008 il Consiglio “Giustizia e affari interni” ha adottato una strategia ed un piano d’azione rivisti per la lotta alla radicalizzazione.

 
 

(1) GU L 322 del 18.12.2007 pagg. 27 - 45.

 

Interrogazione n. 25 dell’onorevole Sinnott (H-0015/09)
 Oggetto: Pesca ricreativa
 

L’interrogante è al corrente del fatto che la Presidenza ceca intende iniziare la discussione in seno al gruppo di lavoro con la proposta della Commissione di codificare la vigente legislazione dell’UE in materia di controllo e applicazione nel settore della pesca. Alcuni aspetti della proposta, connessi con la pesca a fini ricreativi e sportivi, potrebbero avere implicazioni significative per gli irlandesi.

Può la Presidenza ceca chiarire in che misura intende discutere del controllo della pesca ricreativa?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio può confermare di aver ricevuto il 14 novembre 2008, da parte della Commissione, una proposta di regolamento che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca(1). Tale proposta comprende misure per il controllo della pesca ricreativa, come la registrazione delle catture o l’obbligo dell’autorizzazione.

Le discussioni del gruppo di lavoro del Consiglio sono iniziate il 22 gennaio.

Il Consiglio presterà la massima attenzione a tutti gli aspetti della proposta della Commissione, tuttavia, poiché ha iniziato a esaminare tale documento solo di recente, il Consiglio non è ancora in grado di assumere una posizione sostanziale su nessuna delle misure in esso contenute.

 
 

(1) Doc. 15694/08 PECHE 312 + ADD 1 e ADD 2.

 

Interrogazione n. 26, dell’onorevole Saks (H-0017/09)
 Oggetto: Frontiera fra l’Unione europea, l’Estonia e la Russia
 

Nel 1997 l’Unione europea ha auspicato che la Russia firmi rapidamente un accordo frontaliero con l’Estonia. Il 18 maggio 2005 i due paesi hanno firmato un accordo sulle frontiere, ma la Russia ha ritirato la propria firma perché le sue autorità non hanno accettato la dichiarazione unilaterale aggiunta dal parlamento estone con riferimento al trattato di pace di Tartu del 2 febbraio 1920 e all’occupazione dopo la Seconda guerra mondiale. Alla fine di agosto 2006, la Russia ha proposto all’Estonia l’avvio di trattative nella prospettiva di giungere a un nuovo accordo in cui le due parti affermino che non esiste alcuna rivendicazione territoriale e che tutti gli accordi precedenti sulla questione delle frontiere sono abrogati. In un comunicato rilasciato il 25 dicembre 2007 all’agenzia di stampa Interfax, il ministro degli affari esteri estone Urmas Paet ha invitato le autorità russe a ratificare l’accordo frontaliero; al contempo, l’Estonia salutava l’entrata in vigore, il 18 dicembre 2007, dell’accordo frontaliero fra la Russia e la Lettonia. Qualsiasi progresso in direzione di relazioni stabili e pattizie tra la Russia e l’Unione europea è nell’interesse di quest’ultima, in generale, nonché dell’Estonia. Dal momento che l’accordo frontaliero con la Lettonia è entrato in vigore, la Russia potrebbe sentirsi incoraggiata a procedere nella questione della sua frontiera con l’Estonia.

Può la Presidenza del Consiglio fare sapere qual è la sua posizione al riguardo e quali misure intende adottare per sostenere uno Stato membro alle prese con un problema essenziale come lo è la contestazione e il mancato riconoscimento delle proprie frontiere?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Per molti anni, e in particolar modo da quando l’Estonia è entrata a far parte dell’Unione europea il 1 maggio 2004, il Consiglio ha insistito con la Russia sull’importanza della firma e della ratifica dell’accordo frontaliero con l’Estonia per i rapporti tra la Russia e l’Unione europea.

Il Consiglio si è rallegrato della firma dell’accordo frontaliero nel maggio 2005 e della relativa ratifica da parte del parlamento estone nel giugno dello stesso anno, e attendeva con trepidazione la ratifica dell’accordo anche da parte della Russia e una sua rapida entrata in vigore. Il Consiglio ha pertanto espresso il proprio rammarico quando la Russia ha deciso di ritirare la propria firma dall’accordo frontaliero.

Poiché la questione rimane irrisolta, il Consiglio continuerà a insistere con la Russia sull’importanza della firma e della ratifica dell’accordo frontaliero per i rapporti tra l’Unione europea e questo paese e si rammarica che questioni storiche abbiamo fatto emergere delle difficoltà.

Sebbene le questioni relative ai confini siano essenzialmente di competenza degli Stati membri, il Consiglio più sottolinea genericamente l’importanza che esso attribuisce alla certezza giuridica delle frontiere esterne dei paesi membri dell’Unione europea con i paesi confinanti, come pure a relazioni stabili tra gli Stati membri dell’Unione e la Russia. In questo senso, la demarcazione di tutte le frontiere UE-Russia dovrebbe essere ultimata nel rispetto delle norme internazionali, come stabilito nella road map per la libertà, la sicurezza e la giustizia, adottata in occasione del vertice UE-Russia svoltosi a Mosca nel maggio 2005, quale strumento per l’attuazione degli spazi comuni creati nel maggio di due anni prima.

 

Interrogazione n. 27 dell’onorevole Hołowczyc (H-0022/09)
 Oggetto: Sicurezza stradale
 

La Comunità europea ha adottato una serie d’iniziative legislative il cui obiettivo è di limitare il numero di morti sulle strade dell’Unione europea, in conformità all’articolo 6, lettera a), del trattato CE. Ora, in virtù di tale trattato, le norme specifiche che si applicano direttamente agli automobilisti sono contenute nei codici della strada degli Stati membri. L’unica eccezione riguarda le norme relative ai dispositivi catarifrangenti, fissate dal Comitato europeo di standardizzazione e il cui rispetto in materia di produzione di tali dispositivi è obbligatorio in tutti gli Stati membri.

Dato che solamente 12 Stati membri sono dotati di norme riguardanti l’uso di abbigliamento catarifrangente per la protezione degli automobilisti, intende il Consiglio promuovere azioni per migliorare la sicurezza sulle strade europee, azioni previste dalla Presidenza nel suo nuovo programma di sicurezza stradale 2011-2020?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio attribuisce la massima importanza alla sicurezza stradale. Nell’ultimo periodo, diverse presidenze, tra cui quella ceca, hanno sottolineato la necessità di rafforzare, a livello comunitario, la politica in materia di sicurezza stradale. Il programma di lavoro della presidenza ceca, in particolare, stabilisce l’apertura di una discussione sui futuri orientamenti delle politiche dell’Unione in materia di sicurezza stradale. Secondo il trattato CE, tuttavia, il Consiglio può intraprendere azioni legislative solo sulla base di una proposta della Commissione.

Per quanto attiene la questione specifica sollevata dall’onorevole deputato, ovvero all’uso di abbigliamento catarifrangente, il Consiglio è consapevole del fatto che dodici Stati membri hanno già adottato norme riguardanti l’uso di tale abbigliamento. Finora la Commissione non ha presentato proposte legislative sulla questione, sulla base delle quali il Consiglio possa considerare di agire in qualità di co-legislatore assieme al Parlamento europeo.

 

Interrogazione n. 28 dell’onorevole Karim (H-0025/09)
 Oggetto: Direttiva europea “Blue Card”
 

Il 20 novembre 2008, il Parlamento europeo ha approvato, con 388 voti favorevoli, 56 contrari e 124 astensioni, una risoluzione legislativa (P6_TA(2008)0557), che modifica la proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (Direttiva europea “Blue Card”).

Data la rilevanza di tale proposta, può il Consiglio far sapere se ha fissato la data in cui verrà adottata?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio ha raggiunto un accordo sulla proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati.

L’opinione del Parlamento europeo è stata esaminata dagli organi competenti in seno al Consiglio e il testo della proposta è ancora sottoposto ad alcuni obblighi procedurali, ovvero la messa a punto giuridica e linguistica in vista dell’adozione formale che dovrebbe avvenire nei prossimi mesi.

 

Interrogazione n. 29 dell’onorevole Andrikienė (H-0030/09)
 Oggetto: Strategia dell’Unione europea in America Latina
 

Fin dal primo vertice biregionale tenutosi a Rio de Janeiro (Brasile) nel 1999, l’Unione Europea e l’America Latina hanno beneficiato di un partenariato strategico.

Quali sono le priorità della Presidenza ceca nella regione latino-americana, in particolare per quanto riguarda le relazioni dell’Unione europea con paesi come il Venezuela e Cuba?

Cosa prevede il Consiglio quanto all’assistenza da fornire al governo colombiano nei suoi sforzi per il rilascio degli ostaggi detenuti dai guerriglieri delle FARC e al processo di pace e riconciliazione?

Intende il Consiglio modificare la strategia dell’Unione europea in America Latina una volta che il Presidente USA neo-eletto, Barack Obama, inizierà il suo mandato?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

L’approccio dell’Unione europea nei confronti di Cuba è stato stabilito nelle conclusioni del Consiglio adottate il 23 giugno 2008. Le discussioni in seno al Consiglio su come attuare tali conclusioni sono ancora in corso. In occasione dell’incontro ministeriale del 16 ottobre a Parigi, l’Unione europea e Cuba hanno concordato la ripresa di un dialogo politico globale, che includa questioni di carattere politico, economico, scientifico, culturale e soprattutto questioni relative ai diritti umani, su basi mutue, non discriminatorie e orientate ai risultati. Il Consiglio continuerà a perseguire gli obiettivi stabiliti nella posizione comune del 1996 ed il suo duplice dialogo con le autorità cubane da una parte e con tutti i settori della società cubana dall’altra al fine di promuovere il rispetto dei diritti umani e un progresso reale verso una democrazia pluralista. Tale posizione comune rimane alla base della politica europea nei confronti di Cuba e insiste particolarmente su un miglioramento concreto e tangibile della situazione relativa ai diritti umani da parte dei cubani, nonché sul rilascio incondizionato di tutti i prigionieri politici.

Il Consiglio continua a monitorare da vicino la situazione del Venezuela, e persegue la propria politica di contatto a tutti i livelli con le autorità, le istituzioni e anche l’opposizione al fine di contribuire a un dialogo nazionale e di prevenire mosse di qualunque parte che possano minare la stabilità del paese o attentare alla democrazia e allo stato di diritto. Tale strategia sembra riscuotere successo: entrambe le parti in Venezuela hanno riconosciuto la valenza dei nostri contributi.

Per quanto attiene alla Colombia, il Consiglio plaude e sostiene i continui, netti miglioramenti in termini di sicurezza e di rispetto dei diritti umani nel paese, anche attraverso la recente adozione di norme. Allo stesso tempo, tuttavia, il Consiglio rimane preoccupato per la situazione del paese, in particolar modo per quanto riguarda crimini come il recente assassinio del marito di Aida Quilcué, difensore dei diritti della popolazione indigena. Le autorità colombiane sono state regolarmente sollecitate a fornire mezzi appropriati per un’efficace attuazione della giustizia e del diritto alla pace. Il Consiglio reitera altresì il proprio invito ai gruppi illegalmente armati di rilasciare tutti i loro prigionieri, di fermare la violenza e di rispettare i diritti umani. L’Unione europea continuerà le sue discussioni scadenzate con le autorità colombiane e manterrà il proprio sostegno al processo di disarmo, giustizia e pace.

E’ prematuro speculare sull’approccio della nuova amministrazione statunitense nei confronti dell’America Latina, tuttavia i primi annunci sull’eliminazione delle restrizioni alle visite di familiari e altre persone, nonché ai trasferimenti di denaro riferiti a Cuba sono incoraggianti. Tali cambiamenti rispondono chiaramente alle richieste dei cubani residenti sia sull’isola che negli Stati Uniti. Simili misure sono in linea con l’approccio dell’Unione europea, come stabilito nella posizione comune del 1996. Il consiglio intende mantenere un dialogo regolare con gli Stati Uniti per quanto attiene alla questione dell’America Latina.

 

Interrogazione n. 30 dell’onorevole Pafilis (H-0033/09)
 Oggetto: Utilizzazione di bombe al fosforo bianco da parte dell’esercito israeliano a Gaza
 

Nei suoi attacchi contro i palestinesi a Gaza, l’esercito israeliano utilizza bombe al fosforo bianco, che sono particolarmente pericolose e hanno già causato gravissime ustioni e lesioni agli organi vitali di centinaia di bambini e, in generale, a civili palestinesi. Alcuni giorni fa, l’esercito israeliano ha attaccato il quartiere generale dell’ONU a Gaza, stando a quanto denunciato dal suo responsabile. Come è noto, l’utilizzazione di tali bombe in zone abitate è proibita dalla Convenzione di Ginevra sulle armi convenzionali del 1980.

Condanna il Consiglio l’utilizzazione di tali armi da parte di Israele? Ritiene che la loro utilizzazione costituisca un crimine di guerra e intende provvedere affinché si eviti di continuare ad utilizzarle?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio condivide le preoccupazioni dell’onorevole deputato sulla situazione relativa a Gaza. Deploriamo fortemente la sofferenza che questa situazione ha inflitto alla popolazione civile.

L’Unione europea reitera il proprio impegno verso un approccio globale e regionale per la soluzione del conflitto arabo-israeliano.

Il 26 gennaio il Consiglio ha invitato tutte le parti coinvolte nel conflitto al pieno rispetto dei diritti umani e all’adempimento dei propri doveri ai sensi del diritto umanitario internazionale. Il Consiglio ha dichiarato altresì che seguirà da vicino le indagini relative a presunte violazioni del diritto umanitario internazionale e a tale proposito ha preso debita nota della dichiarazione effettuata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, al Consiglio di sicurezza il 21 gennaio.

Il 15 gennaio la presidenza ha condannato l’attacco alla sede dell’UNRWA a opera dell’artiglieria israeliana e ha chiesto a Israele di prendere misure affinché simili attacchi a obiettivi civili o umanitari non si ripetano.

 

Interrogazione n. 31 dell’onorevole Czarnecki (H-0035/09)
 Oggetto: Prospettive di pace in Medio Oriente
 

Secondo il Consiglio, quali sono le prospettive di pace in Medio Oriente alla luce degli ultimi avvenimenti nella regione?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

Il Consiglio è convinto che l’attuale situazione a Gaza debba essere migliorata dalla completa attuazione di entrambe le parti della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 1860, che implica anzitutto il libero passaggio degli aiuti umanitari verso e all’interno della striscia di Gaza. E’ necessario un cessate il fuoco duraturo, basato su un meccanismo che tenga conto delle necessità di sicurezza di Israele al fine di impedire il contrabbando di armi da un lato e permettere la ricostruzione e lo sviluppo economico di Gaza attraverso l’apertura delle frontiere dall’altra.

Il Consiglio ritiene, tuttavia, che la crisi di Gaza debba essere analizzata in un contesto più ampio. Attraverso le linee politiche esistenti, elaborate in seno alle diverse conclusioni del Consiglio nel corso del tempo, il Consiglio persegue una politica attiva di sostegno che da un lato affronta le sfide più urgenti della ripresa del conflitto a Gaza e dall’altro persegue le azioni a medio termine necessarie a ricreare prospettive di pace nella regione. In tal senso il Consiglio reputa che il dialogo interpalestinese e la ripresa del processo di pace siano fattori fondamentali.

L’Autorità palestinese si è dimostrata un partner efficiente e affidabile, che ha evitato un ulteriore aggravarsi della situazione in Cisgiordania. Il Consiglio incoraggia fortemente la riconciliazione interpalestinese sotto il presidente Mahmoud Abbas, quale chiave per la pace, la stabilità e lo sviluppo e sostiene gli sforzi di mediazione dell’Egitto e della lega araba in questa direzione.

Il Consiglio è convinto che sia possibile portare la pace in quest’area solo attraverso la conclusione di un processo di pace che porti a uno Stato palestinese indipendente, democratico, contiguo e vitale in Cisgiordania e Gaza, che coesista fianco a fianco con Israele in condizioni di pace e sicurezza. Per mantenere tale prospettiva, il Consiglio ripete il proprio invito a entrambe le parti a rispettare i propri obblighi stabiliti nella road map. Poiché ritiene l’iniziativa di pace araba una base solida ed appropriata per una soluzione globale del conflitto arabo-israeliano, l’Unione europea si è impegnata a operare a questo scopo assieme al Quartetto, alla nuova amministrazione statunitense e i partner arabi. Il Consiglio plaude all’immediata nomina del nuovo inviato speciale degli Stati Uniti in Medio oriente, George Mitchell, e al suo impegno nella regione ed è pronto a collaborare strettamente con lui.

 

Interrogazione n. 32 dell’onorevole Droutsas (H-0037/09)
 Oggetto: Problema dei greci che vivono in Palestina
 

Stando alle denunce presentate dall’”Associazione delle donne greche di Palestina”, i greci residenti nella regione vivono, come il resto dei palestinesi, nelle stesse condizioni disumane imposte dall’esercito israeliano come esercito di occupazione. Più concretamente, le autorità israeliane rendono inutilizzabili i passaporti greci apponendo il timbro di Israele e il numero della loro carta di identità palestinese. In tal modo, nella pratica, impediscono loro l’uscita dall’aeroporto di Tel Aviv e li obbligano a viaggiare attraverso la Giordania, riducendo il passaporto greco alla funzione di un semplice visto. Altri cittadini degli Stati membri dell’UE affrontano problemi analoghi nei loro spostamenti.

Intende il Consiglio denunciare Israele ed esigere che ponga fine a tale pratica, che costituisce una violazione flagrante del diritto internazionale, al fine di proteggere i diritti dei cittadini greci?

 
  
 

(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di febbraio 2009 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.

La questione sollevata dall’onorevole deputato è di competenza anzitutto di ciascuno Stato membro.

 

INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 42 dell’onorevole Ryan (H-1054/08)
 Oggetto: Relazioni transatlantiche
 

Alla luce della recente inaugurazione della Presidenza USA di Barack Obama il 20 gennaio, quali iniziative avvierà la Commissione europea per promuovere le relazioni UE-USA? Quali settori politici porterà avanti la Commissione europea in questo ambito nel corso dei prossimi mesi?

 
  
 

(EN) La Commissione si è sentitamente congratulata con il presidente Obama per l’inaugurazione del suo mandato e plaude alle sue prime mosse relative alla chiusura del campo di detenzione di Guantánamo, al rafforzamento dell’impegno statunitense nel processo di pace in Medio Oriente e all’apertura al mondo islamico.

La ripresa dell’economia globale rappresenterà la massima priorità dei prossimi mesi. La Commissione deve assicurarsi che le politiche dell’Unione europea e degli Stati Uniti si rafforzino a vicenda e diano una spinta all’economia delle due regioni perpetuando e migliorando il consiglio economico transatlantico. La Commissione dovrebbe cooperare al fine di contrastare il riemergere di posizioni protezioniste. Essa intende operare in stretta collaborazione con gli Stati Uniti relativamente al cambiamento climatico, anzitutto per ottenere l’impegno delle economie emergenti e raggiungere un progresso effettivo nei negoziati bilaterali entro il 2009.

Il commissario per le relazioni esterne e la politica europea di vicinato ha scritto al segretario di Stato Clinton indicando le posizioni della Commissione sulle priorità immediate in materia di relazioni esterne: un cessate il fuoco sostenibile a Gaza, la necessità di inserire la ricostruzione dello Stato afgano nel proprio contesto locale, e le modalità di promozione della stabilità nei paesi contigui alla frontiera orientale dell’Unione europea. La Commissione deve altresì promuovere, assieme agli USA, un’equa architettura della cooperazione internazionale che interessa le nuove potenze emergenti.

Il prossimo vertice UE-USA, previsto a metà 2009, vedrà lo svilupparsi degli sforzi per spostare le relazioni dei due paesi su un nuovo piano. Una volta che la Commissione avrà stabilito un buon dialogo con le nuove controparti statunitensi sulle questioni prioritarie, essa valuterà anche se il quadro istituzionale delle relazioni UE-USA – la nuova agenda transatlantica del 1995 – necessita di un aggiornamento per facilitare al meglio il raggiungimento dei reciproci obiettivi.

L’Unione europea deve mantenersi all’altezza delle aspettative statunitensi dimostrando di poter essere un partner efficace. Deve parlare con voce unica. In questo senso una rapida entrata in vigore del trattato di Lisbona rappresenterebbe una grossa spinta per le relazioni transatlantiche.

 

Interrogazione n. 43 dell’onorevole Higgins (H-1060/08)
 Oggetto: Miglioramento delle relazioni con la Palestina
 

Può dire la Commissione se è stata contattata dal governo irlandese in merito agli sforzi tesi al miglioramento delle relazioni con le autorità palestinesi e se essa sostiene tale proposta, in considerazione della necessità di contribuire allo sviluppo dello Stato palestinese e della sua popolazione?

 
  
 

(EN) Nel mese di dicembre, il ministro degli Affari esteri irlandese ha chiesto alla Commissione e ai propri omologhi europei di rafforzare le relazioni della Commissione con le autorità palestinesi.

Lo scorso anno, la Commissione ha creato, assieme all’Autorità palestinese, quattro nuovi sottocomitati per istituzionalizzare il dialogo nei seguenti settori:

1. questioni economiche e finanziarie e questioni commerciali e doganali

2. affari sociali

3. energia, ambiente, trasporti, scienza e tecnologia

4. diritti umani, buon governo e stato di diritto.

La Commissione ha organizzato il primo sottocomitato (per i diritti umani, il buon governo e lo stato di diritto), di concerto con l’Autorità palestinese, già a dicembre 2008.

Oltre a ciò, lo scorso dicembre il Consiglio ha organizzato per la prima volta il primo dialogo politico tra alti funzionari, in aggiunta al dialogo politico già esistente a livello ministeriale.

Ci sono importanti primi passi verso relazioni bilaterali più profonde, che dimostrano l’impegno di entrambe le parti a esplorare diverse strade per il raggiungimento di più ampi e profondi rapporti bilaterali alla luce degli sforzi congiunti volti alla creazione di uno Stato palestinese.

Ad ogni modo, il piano d’azione congiunto della Commissione con le autorità palestinesi fornisce diverse possibilità di maggiore cooperazione. La Commissione è pronta a portare avanti la sua attuazione attraverso i quattro sottocomitati appena creati.

 

Interrogazione n. 44 dell’onorevole Bowis (H-1061/08)
 Oggetto: Divieto assoluto per le bombe a grappolo
 

La Commissione sarà consapevole della natura orrenda delle bombe a grappolo, non ultimo per il rischio che comportano per i bambini che le raccolgono pensando che siano palle colorate.

La Commissione può confermare che sei Stati membri hanno rifiutato di firmare la Convenzione di Oslo contro l’impiego di bombe a grappolo il 3 dicembre e scriverà a codesti governi spiegando la pericolosità di siffatte armi e insistendo affinché la sottoscrivano?

 
  
 

(EN) La Commissione ha plauso all’apertura degli Stati membri delle Nazioni Unite alla firma della convenzione internazionale per la messa al bando delle bombe a grappolo a Oslo il 3 dicembre 2008 e ha accolto con favore soprattutto l’immediata adesione a tale convenzione di 95 dei 193 Stati membri del’ONU e la sua rapida ratifica da parte di quattro di essi. Si tratta indubbiamente di un elemento promettente e la Commissione spera che tutti i paesi, sia quelli che sono vittime delle bombe a grappolo, che coloro che le utilizzano e le producono, firmino e ratifichino quanto prima tale convenzione, in modo che essa possa entrare in vigore senza indugi.

La convenzione per la messa al bando delle bombe a grappolo è un caposaldo per l’aumento della sicurezza delle vittime dei conflitti in diverse regioni del mondo. La Commissione intende tale convenzione anzitutto come uno strumento umanitario, ma nondimeno è consapevole che esso abbia per gli Stati membri implicazioni in termini di disarmo e di difesa, settori in cui la Comunità europea, e di conseguenza la Commissione, non hanno competenze specifiche. La questione della firma e della ratifica di tale convenzione spetta agli Stati membri.

Nel contesto della propria cooperazione e assistenza allo sviluppo, la Commissione deve svolgere un ruolo importante nel sostegno all’effettiva attuazione della convenzione. Essa prevede di continuare la propria assistenza globale a paesi e popolazioni in tutti i settori relativi a residuati bellici esplosivi, che sui tratti di programmi contro l’impiego di bombe a grappolo, piuttosto che di sminamento, di educazione al rischio mine o di assistenza alle vittime.

 

Interrogazione n. 45 dell’onorevole Posselt (H-1069/08)
 Oggetto: Ucraina e Moldova
 

Come valuta la Commissione gli sviluppi politici e il rispetto dei diritti umani in Ucraina e nella Repubblica moldova, paesi contigui e strettamente legati? Quali iniziative sono previste per la stabilizzazione di questi due paesi, importanti sotto il profilo geostrategico?

 
  
 

(EN) La Commissione segue da vicino gli sviluppi politici e il rispetto dei diritti umani sia in Ucraina che nella Repubblica moldova. Il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali è un elemento essenziale delle nostre relazioni con questi due paesi. La Commissione si è ampiamente impegnata a sostegno di tali cause attraverso il dialogo politico e la cooperazione tecnica e finanziaria, incluso il sostegno alle organizzazioni della società civile. La Commissione non ha esitato a esprimere preoccupazione laddove sono necessari dei miglioramenti e ha ripetutamente sottolineato che il rafforzarsi delle relazioni dell’Unione europea con entrambi i paesi dipende dal loro progresso nel rispetto degli impegni internazionali in materia di diritti umani.

La Commissione sta attualmente negoziando un ambizioso accordo di associazione con l’Ucraina e prevede di iniziare a breve i negoziati per un nuovo e più profondo accordo con la Repubblica moldova. Entrambi gli accordi contribuiranno ad assoggettare questi paesi all’attuazione di riforme interne per mezzo di accordi vincolanti. Essi permetteranno alla Commissione anzitutto di rafforzare la nostra cooperazione in materia di diritti umani. La proposta di partenariato orientale, inoltre, prevede un capitolo multilaterale che la Commissione prevede contribuirà significativamente all’aumento della stabilità nella regione. Fornirà, ad esempio, maggiori opportunità di coordinare i nostri sforzi relativamente al conflitto in Transnistria e a questioni di contesa bilaterale tra Ucraina e Repubblica moldova, quali la demarcazione della frontiera tra i due paesi.

 

Interrogazione n. 46 dell’onorevole Guerreiro (H-0008/09)
 Oggetto: Relazioni tra l’UE e Israele
 

Israele sta colonizzando da più di 40 anni i Territori palestinesi della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e di Gerusalemme est, assassinando, imprigionando, opprimendo e reprimendo, spogliando, sfruttando, negando i più legittimi ed elementari diritti e imponendo le più ignobili umiliazioni e condizioni disumane di vita al popolo palestinese.

Di fronte alla recrudescenza dell’ingiustificata aggressione di Israele nei confronti del popolo palestinese della Striscia di Gaza, agli orrendi crimini perpetrati dall’esercito israeliano, al più completo disprezzo del diritto internazionale e dei diritti umani da parte di Israele nei Territori palestinesi occupati, quali sono le misure che ha adottato per garantire l’urgente soccorso umanitario al popolo palestinese della Striscia di Gaza?

Perché non adotta l’iniziativa di proporre la sospensione degli accordi tra l’UE e Israele e di qualsiasi processo mirante al loro rafforzamento?

 
  
 

(EN) Il Commissario per lo sviluppo e agli aiuti umanitari si è recato sul posto la scorsa settimana e lunedì 26 gennaio ha annunciato lo stanziamento di aiuti d’urgenza alla regione pari a 32 milioni di euro per assistere la popolazione di Gaza con cibo, ripari, sostegno sanitario e psicologico.

Già in precedenza, questo mese, la Commissione aveva fornito più di 10 milioni di euro in risposta alla situazione umanitaria a Gaza. Tale cifra si somma a più di 73 milioni di euro investiti nel corso del 2008 allo stesso scopo, ovvero prioritariamente per la fornitura di cibo, ripari d’emergenza e maggiore sostegno medico. Tutti questi settori sono indicati come prioritari nell’appello dell’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi (UNRWA) lanciato il 30 dicembre 2008.

Inoltre, come probabilmente saprà, la Commissione fornisce tutto il carburante della centrale elettrica di Gaza. Per garantire un miglior coordinamento della fornitura di aiuti umanitari, la Commissione ha dislocato un funzionario a tempo pieno presso il centro di collegamento comune istituito dal governo israeliano.

La Commissione continuerà a essere un donatore fisso della UNRWA. Anche quest’anno verserà un primo contributo di 66 milioni di euro al Fondo generale dell’agenzia e completerà tale azione con assistenza umanitaria e prodotti alimentari, a seconda delle necessità.

Nelle prossime settimane la Commissione sarà chiamata a contribuire all’emergenza con uno sforzo concreto e in seguito anche alle attività di ricostruzione a Gaza. A tale proposito, la Commissione si aspetta che la conferenza internazionale dei donatori, organizzata indicativamente in Egitto il 28 febbraio, s’incentrerà sulle necessità più urgenti della popolazione. La Commissione intende svolgere un ruolo primario durante l’intero processo.

Per quanto attiene al suo secondo quesito circa una possibile sospensione dell’accordo di associazione con Israele, la Commissione comprende la frustrazione di coloro che ritengono che la situazione sia andata di male in peggio, specie nel corso dell’ultimo anno, ma sulla bilancia pesa anche il giudizio della Commissione (che riflette le opinioni espresse dai ministri degli Affari esteri dell’UE nel Consiglio “Relazioni esterne”) secondo cui misure come la sospensione dell’accordo di associazione renderebbero le autorità israeliane meno e non più sensibili agli sforzi della comunità internazionale di promuovere una soluzione duratura.

Relativamente al processo di rafforzamento di tali accordi, la Commissione ha sempre affermato che esso dipende dagli sviluppi sul campo. Per il momento, la Commissione è interamente consacrata al perseguimento di un’altra priorità, ossia la situazione relativa a Gaza, specie dopo il temporaneo cessate il fuoco del 18 gennaio. La popolazione di Gaza ha bisogni primari immediati di cui la Commissione si deve occupare.

La Commissione ritiene pertanto che questo non sia il momento giusto per affrontare la questione e vi ritornerà quando le circostanze lo permetteranno.

 

Interrogazione n. 47 dell’onorevole Holm (H-0009/09)
 Oggetto: Sospensione dell’accordo con Israele
 

Durante il periodo natalizio, Israele ha avviato l’operazione “Piombo fuso”. Al momento si contano oltre novecento morti e migliaia di feriti tra i palestinesi. L’articolo 2 dell’accordo di cooperazione UE-Israele chiede il rispetto dei diritti dell’uomo ed è oggi più evidente che mai che Israele lo ha violato. Nell’ottobre 2005 l’UE aveva sospeso l’accordo di cooperazione con l’Uzbekistan proprio a motivo della violazione del medesimo articolo.

Ciò premesso, intende la Commissione far rispettare la disposizione in materia di diritti dell’uomo contenuta nell’accordo commerciale con Israele, sospendendo detto accordo? Quali altre misure intende adottare affinché tale paese ponga fine alle violenze?

 
  
 

(EN) Il rispetto dei diritti umani è uno dei valori fondamentali dell’Unione europea e un elemento essenziale della sua politica estera. La Commissione, pertanto, attribuisce notevole importanza alla tutela dei diritti umani nei suoi rapporti con Israele.

Nei suoi incontri con le autorità israeliane, la Commissione esprime costantemente le proprie preoccupazioni sulla situazione relativa ai diritti umani dei palestinesi e in particolare di Gaza, e continua a ricordare a Israele i suoi obblighi sanciti dal diritto umanitario internazionale.

Sulla bilancia pesa anche il giudizio della Commissione (che riflette le opinioni espresse dai ministri degli Affari esteri dell’UE nel Consiglio “Relazioni esterne”) secondo cui misure come la sospensione dell’accordo di associazione renderebbe le autorità palestinesi meno e non più sensibili agli sforzi della comunità internazionale di promuovere una soluzione duratura.

Detto questo, la Commissione sta seguendo da vicino le indagini in corso relative alla condotta di entrambe le parti nell’ultimo conflitto.

In risposta allo scoppio della crisi di Gaza, i ministri europei degli Affari esteri hanno fissato un incontro d’urgenza a Parigi il 30 dicembre per sviluppare delle proposte – confluite nella dichiarazione di Parigi – volte alla conclusione del conflitto. Poco dopo tale incontro, la troika dell’Unione europea si è recata sul posto allo scopo di ottenere un’immediata cessazione delle ostilità.

Sin dall’inizio della crisi, e seguendo le istruzioni del commissario per le relazioni esterne e la politica europea di vicinato, la Commissione ha incentrato tutti i propri contatti e discussioni con Israele sul miglior modo di affrontare la crisi. Incontri su altre tematiche sono stati temporaneamente sospesi a causa della priorità attribuita alla situazione di Gaza. Tale scelta è stata spiegata alle autorità israeliane, che hanno capito che, ora come ora, Gaza ha la precedenza su qualunque altro argomento di discussione.

A seguito dell’istituzione di un temporaneo cessate il fuoco, la Commissione si sta adoperando per renderlo durevole. La Commissione sta contribuendo altresì al miglioramento della situazione in cui vive la popolazione palestinese e sta permettendo alla centrale elettrica di Gaza di operare, quantunque non a pieno regime.

Il Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” della scorsa settimana ha deciso di stilare un piano di lavoro per l’Unione europea, che s’incentrerà anzitutto e soprattutto su un immediato sostegno umanitario alla popolazione di Gaza, e che prevederà altresì un aiuto per la lotta al traffico illegale di armi e munizioni, per la riapertura dei valichi di frontiera a lungo termine e per la ripresa del processo di pace.

La priorità della Commissione nei propri rapporti con Israele per il momento rimane Gaza e, più in particolare, la questione relativa all’accesso e alla fornitura degli aiuti umanitari. Per tutti questi aspetti, il dialogo con Israele è fondamentale.

 

Interrogazione n. 48 dell’onorevole Meyer Pleite (H-0019/09)
 Oggetto: Istituzione di una commissione d’inchiesta dell’UE per indagare sulle violazioni da parte di Israele del diritto umanitario internazionale a Gaza
 

Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha deciso di inviare una missione per indagare sulle violazioni da parte di Israele, in qualità di potenza occupante, del diritto umanitario internazionale nei confronti del popolo palestinese, durante il recente conflitto a Gaza.

Intende la Commissione proporre all’Unione europea l’istituzione di una missione per indagare sulle violazioni del diritto umanitario internazionale nel territorio di Gaza durante il conflitto iniziato il 27 dicembre 2008?

 
  
 

(EN) Diversi attori internazionali e gruppi della società civile hanno richiesto una indagine internazionale approfondita sugli incidenti che dimostrano violazioni del diritto umanitario internazionale (ad es. attacchi a scuole e strutture delle Nazioni Unite, utilizzo di bombe al fosforo bianco in zone densamente popolate).

Il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha annunciato che l’ONU intende far partire a breve tali indagini. Anche Israele ha iniziato le proprie indagini e noi siamo in attesa dei risultati. Il primo ministro Ehud Olmert ha riunito una squadra speciale per gestire i procedimenti giudiziari internazionali a carico degli ufficiali israeliani coinvolti nell’operazione “Cast Lead”.

Il Consiglio “Relazioni esterne” di lunedì scorso ha concluso che l’Unione europea seguirà da vicino le indagini relative alle presupposte violazioni del diritto umanitario internazionale.

La Commissione ritiene che le serissime affermazioni fatte dal comitato internazionale della Croce rossa e altri sulla condotta di entrambe le parti durante il conflitto debba essere debitamente indagata. Tali indagini imparziali dovrebbero valutare le presupposte violazioni e ribadire la supremazia del diritto internazionale.

 

Interrogazione n. 49 dell’onorevole Andrikienė (H-0031/09)
 Oggetto: Strategia dell’Unione europea in America Latina
 

Fin dal primo vertice biregionale tenutosi a Rio de Janeiro (Brasile) nel 1999, l’Unione Europea e l’America Latina hanno beneficiato di un partenariato strategico.

Quali sono i principali obiettivi che la Commissione intende perseguire nel prossimo futuro e a lungo termine nella regione, in particolare per quanto riguarda le relazioni dell’Unione europea con paesi come il Venezuela e Cuba?

Cosa prevede la Commissione quanto all’assistenza da fornire al governo colombiano nei suoi sforzi per il rilascio degli ostaggi detenuti dai guerriglieri delle FARC e al processo di pace e riconciliazione?

Intende la Commissione modificare la strategia dell’Unione europea in America Latina una volta che il Presidente USA neo-eletto, Barack Obama, inizierà il suo mandato?

 
  
 

(EN) 1. Il partenariato strategico tra l’Unione europea, l’America Latina e i Caraibi – che festeggerà quest’anno il decimo anniversario – si articola sui seguenti obiettivi: un intenso dialogo politico, il rafforzamento di un governo democratico e il rispetto dei diritti umani, il sostegno al processo di integrazione, inclusa la creazione di una rete di accordi di associazione e un’ampia cooperazione per la riduzione di povertà e diseguaglianze sociali e per il miglioramento dei livelli di istruzione.

Tali obiettivi sono costantemente adattati a nuovi sviluppi e sfide globali, come l’impatto dell’attuale crisi economica e finanziaria, l’urgente necessità di affrontare il cambiamento climatico e gestire la sicurezza energetica.

La Commissione utilizzerà i prossimi incontri, come l’incontro ministeriale tra l’Unione europea e il gruppo di Rio, che si terrà a Praga nel maggio 2009, e i preparativi per il prossimo vertice UE-America latina e Caraibi (previsto per il 2010 in Spagna) per affrontare tali questioni.

Per quanto attiene al Venezuela, il nostro obiettivo è rafforzare i rapporti e stabilire un dialogo aperto, costruttivo e strutturato più regolare in settori di comune interesse attraverso lo sviluppo del dialogo economico e della cooperazione bilaterale (40 milioni di euro destinati nel 2007-2013 a due priorità: la modernizzazione dello Stato venezuelano e la diversificazione della sua economia).

Riguardo Cuba, secondo le conclusioni del Consiglio del 2008, la cooperazione allo sviluppo tra la Comunità europea e Cuba è ripresa. Nel breve periodo essa si svilupperà per obiettivi appositamente stabiliti e filtrati attraverso le agenzie europee e delle Nazioni Unite, nonché attraverso le ONG locali. Uno dei principali obiettivi di tale cooperazione sarà il sostegno alla ricostruzione e alla riabilitazione successive al passaggio degli uragani del 2008.

Cuba è l’unico paese dell’America Latina e Caraibi con cui l’Unione europea non operi nell’ambito di qualche contratto. La Commissione spera che a medio termine sia possibile normalizzare i rapporti con tale paese.

2. La Commissione offre tutta l’assistenza e la solidarietà possibili al governo colombiano per assicurare la liberazione degli ostaggi detenuti dalle FARC, nondimeno, viste le esperienze del passato, questa volta il governo colombiano ha tenuto a limitare la partecipazione di altri paesi o istituzioni in Vaticano e la Commissione deve rispettare tale decisione.

Per quanto attiene al processo di pace, la Commissione vi partecipa allocando il 70 per cento degli stanziamenti comunitari alla cooperazione (più di 160 milioni di euro) proprio a tale processo, allo sviluppo alternativo e sostenibile e alla lotta contro la droga. Il 20 per cento di tale operazione, inoltre, mira al rafforzamento dello stato di diritto in Colombia, anche attraverso le istituzioni giuridiche e la promozione dei diritti dell’uomo. Sicuramente il processo di pace e la stabilità del paese rimangono i nostri obiettivi primari in Colombia.

3. La Commissione mantiene buoni e regolari contatti con l’amministrazione statunitense su questioni relative all’America Latina. Essa intrattiene un dialogo politico regolare (semestrale) a livello della troika degli alti ufficiali dell’Unione europea con gli Stati Uniti, che tratta specificatamente di America Latina e Caraibi. La Commissione è certa che tale dialogo costruttivo e cooperazione continueranno anche con la nuova amministrazione del presidente Obama.

Il presidente Obama non ha rilasciato ancora dichiarazioni sostanziali sui futuri rapporti con l’America Latina, ma le prime indicazioni sono positive, come dimostrato poche settimane fa dall’incontro svoltosi, in qualità di presidente eletto, con il capo di Stato messicano Calderon. Dovremo attendere per conoscere meglio la strategia del presidente Obama e il suo impegno verso tale regione. Settori possibili in cui sviluppare una maggiore cooperazione tra Stati Uniti, Unione europea e America Latina potrebbero essere la lotta alla droga e alla criminalità organizzata.

 

Interrogazione n. 53 dell’onorevole McGuinness (H-1047/08)
 Oggetto: Progresso sociale e tutela dei diritti dei lavoratori
 

Le conclusioni del Consiglio europeo di dicembre 2008 comprendono una dichiarazione sulle preoccupazioni della popolazione irlandese relativamente al trattato di Lisbona, presentate dal primo ministro Brian Cowen. Può la Commissione far sapere che cosa intende l’Unione quando afferma di attribuire “una grande importanza al progresso sociale e alla tutela dei diritti dei lavoratori”? Può la Commissione esporre le azioni sinora intraprese in tale ambito e i suoi piani futuri per dare una risposta a tali preoccupazioni? Ritiene la Commissione che, a causa dell’attuale situazione economica, sarà ancora più difficile, ma anche più necessario, proteggere e rafforzare il progresso sociale e tutelare i diritti dei lavoratori?

 
  
 

(FR) Il progresso sociale e la tutela dei diritti dei lavoratori sono obiettivi che sono sempre stati al centro dello sviluppo dell’Unione europea. E’ per tale ragione che le politiche in materia sociale e di tutela dei diritti dei lavoratori contenute nei vigenti trattati sono state rafforzate nel trattato di Lisbona e che il ruolo determinate delle parti sociali è stato esplicitamente riconosciuto al suo interno.

Naturalmente, il contesto in cui evolviamo determina le misure da adottare per raggiungere tali obiettivi, pertanto le profonde evoluzioni della nostra società, come la globalizzazione, lo sviluppo di nuove tecnologie, le variazioni demografiche e il cambiamento climatico hanno trasformato la natura delle questioni sociali. Tali cambiamenti hanno spinto l’Unione europea a stabilire la strategia di Lisbona, ad adattare la legislazione, il Fondo sociale europeo (FSE) o il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), a sviluppare il metodo di coordinamento aperto (MCA) per continuare a garantire i valori sociali dell’Unione europea, pur adattando i nostri strumenti in modo dinamico.

Nel luglio 2008, inoltre, la Commissione ha presentato la propria agenda sociale riveduta per adattare e rafforzare il modello sociale europeo a fronte di tutti questi cambiamenti. Dobbiamo offrire a tutti le stesse possibilità di avere successo nella vita grazie all’accesso all’istruzione, ai servizi sanitari o sociali, di agire a favore delle persone maggiormente sfavorite sulla base della solidarietà, di favorire il dialogo sociale grazie alla nuova direttiva sui comitati aziendali europei e di migliorare la tutela dei diritti dei lavoratori interinali.

Oggi tutta l’Europa sta vivendo una crisi economica che ha portato l’Unione europea ad adottare misure eccezionali, con un piano di rilancio economico che è la manifestazione esplicita dell’importanza che essa attribuisce alla tutela del più importante diritto dei lavoratori, ossia l’accesso all’occupazione. La Commissione ha inoltre proposto di estendere l’ambito di applicazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione e di renderne meno rigidi i criteri di accesso al fine di renderlo più efficace nell’aiuto dei lavoratori vittime della crisi. A questo punto, e al di là di tali misure di ordine finanziario, è divenuta chiaramente urgente la necessità di concludere le riforme in corso in materia di flessicurezza, inclusione attiva e sistemi pensionistici.

Tale situazione di crisi non può che spingere la Commissione a continuare a perseguire con maggiore impegno il progresso sociale e a tutelare i diritti dei lavoratori.

 

Interrogazione n. 54 dell’onorevole Panayotopoulos-Cassiotou (H-1058/08)
 Oggetto: Discriminazione a favore di determinati gruppi
 

Ritiene la Commissione che la legislazione europea consenta la discriminazione positiva finalizzata a compensare condizioni sfavorevoli per le donne, i giovani, gli anziani, i disabili, i lungodegenti, i componenti di famiglie monogenitoriali e numerose? Ritiene che la discriminazione positiva a favore delle categorie di cui sopra possa essere bilanciata nei regimi assicurativi da un’offerta non quantificabile di lavoro?

 
  
 

(FR) La Commissione ricorda, anzitutto, che per quanto attiene alle azioni positive in favore delle donne(1), degli anziani e dei disabili(2), la legislazione europea prevede che gli Stati membri possano adottare misure che prevedano vantaggi specifici volti a garantire l’uguaglianza tra questo gruppo di persone e gli altri lavoratori.

La legislazione comunitaria non prevede, invece, disposizioni particolari in materia di azioni positive per i giovani, i lungodegenti, i componenti di famiglie monoparentali e numerose, a causa della mancanza di una base giuridica che lo consenta.

Per concludere, la Commissione ricorda che, nei casi in cui la legislazione comunitaria prevede la possibilità di azioni positive, spetta agli Stati membri definirne le modalità. Nondimeno, la Corte europea di giustizia ha stabilito condizioni specifiche per l’adozione di azioni positive a favore delle donne:

- il gruppo in questione dev’essere sottorappresentato all’interno di un dato settore di attività

- la misura adottata deve porre rimedio alla situazione esistente

- la misura adottata deve essere proporzionale all’obiettivo perseguito.

In ogni caso, la Corte di giustizia ha determinato che tali azioni positive non possono far sì che alle donne venga attribuita la priorità in modo automatico e incondizionato.

 
 

(1) Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.
(2) Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

 

Interrogazione n. 55 dell’onorevole Moraes (H-1065/08)
 Oggetto: Discriminazione multipla
 

Alla luce delle raccomandazioni contenute nella relazione della Commissione del 2007 “La lotta alla discriminazione multipla: prassi, politiche e leggi”, secondo cui la discriminazione multipla dovrebbe essere espressamente proibita, per quale motivo nella proposta di direttiva sulla parità di trattamento (COM(2008)0426) non figura un esplicito divieto di discriminazione multipla e unicamente nel preambolo (considerando n. 13) c’è un riferimento a tale discriminazione multipla (in materia di parità tra uomini e donne)?

 
  
 

(EN) La relazione cu si riferisce l’onorevole deputato è stata redatta dal Centro danese per i diritti umani su richiesta della Commissione.

La Commissione ritiene che la discriminazione multipla sia una realtà sociale da affrontare in modo appropriato, tuttavia il corpo della proposta di direttiva recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale(1) adottata dalla Commissione il 2 luglio 2008 non contiene indicazioni specifiche che vietino la discriminazione multipla.

Questo per due ragioni. Anzitutto la proposta riguarda la discriminazione in base a religione o convinzioni personali, disabilità, età e orientamento. Introdurre una clausola relativa alla discriminazione multipla anche su altre basi (come il genere o le origini etniche o razziali) andrebbe oltre il mandato della direttiva. In alternativa, se la discriminazione multipla riguardasse solo le quattro basi di discriminazione cui la direttiva fa riferimento, le più gravi forme di discriminazione multipla che riguardano anche il genere o le origini etniche o razziali non verrebbero affrontate. Secondariamente, quando stava stilando la proposta in oggetto, la Commissione riteneva che la questione meritasse ulteriori riflessioni.

La Commissione ha pertanto proposto che il gruppo di esperti governativi sulla non discriminazione recentemente istituito operasse sulla questione della discriminazione multipla. I compiti di tale gruppo, stabiliti nella decisione della Commissione del 2 luglio 2008(2), sono:

- stabilire la cooperazione tra le autorità competenti dello Stato membro e la Commissione su questioni relative alla promozione dell’uguaglianza e alla lotta alla discriminazione in base a origini etniche o razziali, religione o convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale;

- monitorare lo sviluppo delle politiche comunitarie e nazionali in materia;

- favorire lo scambio di esperienze e di buone pratiche su questioni di interesse comune relative alla non discriminazione e alla promozione dell’uguaglianza.

Al primo incontro del gruppo, nel novembre 2008, la Commissione ha concordato che esso si sarebbe occupato della discriminazione multipla. La Commissione ha chiesto altresì alla rete europea di esperti giuridici in materia di eguaglianza di genere di redigere una relazione sugli aspetti legali della discriminazione multipla con particolare enfasi sulla dimensione di genere. Tale relazione dovrebbe essere ultimata entro giugno 2009.

 
 

(1) COM(2008) 426 def.
(2) C(2008) 3261 def.

 

Interrogazione n. 56 dell’onorevole Goudin (H-1066/08)
 Oggetto: Definizioni relative alle azioni collettive
 

Recentemente (il 12 dicembre scorso), nell’ambito della sentenza della Corte di giustizia nella causa Laval (C-341/05), è stata presentata in Svezia la cosiddetta relazione Stråth, secondo cui il diritto di sciopero dei sindacati per quanto riguarda i lavoratori stranieri (lavoratori distaccati provenienti da un altro Stato membro) si deve limitare ai salari minimi e alle condizioni minime di cui alle convenzioni collettive.

La Commissione condivide tale interpretazione? In che modo ritiene che si debba definire un salario minimo accettabile secondo le convenzioni collettive? Quali azioni collettive possono essere intraprese dai sindacati ai fini dell’ottenimento di quello che essi ritengono un livello salariale adeguato per i lavoratori stranieri? Considera che le conclusioni della relazione Stråth apportino degli elementi nuovi rispetto alla sentenza della Corte di giustizia nella causa Laval (C-341/05)?

 
  
 

(EN) In linea di principio spetta alle autorità nazionali valutare le possibili conseguenze della sentenza Laval sui rispettivi mercati del lavoro e decidere cosa sia necessario fare in tale contesto nel rispetto dei propri quadri istituzionali e giuridici.

Secondo la Commissione, la relazione Stråth, cui l’onorevole deputata fa riferimento, mira a fornire delle raccomandazioni che possono sostenere proposte volte a emendare le legislazioni nazionali vigenti in materia di lavoratori operanti in Svezia. La Commissione non può intervenire nelle fasi preliminari della preparazione di misure di legge.

Detto ciò, la Commissione è pronta ad assistere e a cooperare con le autorità nazionali nel proprio compito di valutare come meglio affrontare le questioni spinose e ribadisce il proprio impegno a discutere bilateralmente con esse qualunque misura applicativa concreta prevista al fine di assicurare che rispetti il diritto comunitario.

 

Interrogazione n. 57 dell’onorevole Brejc (H-0004/09)
 Oggetto: Salute e sicurezza sul posto di lavoro
 

In un periodo di crisi economica, i datori di lavoro cercano di ridurre i costi in tutti i settori di attività. Secondo le nostre informazioni si tagliano i costi anche per la salute e la sicurezza sul posto di lavoro. La Commissione ne è al corrente? Che cosa intende fare per garantire che, nonostante il clima economico più pesante, non si riducano i livelli di salute e sicurezza sul posto di lavoro?

 
  
 

(EN) E’ opportuno anzitutto informare che la Commissione non dispone delle informazioni cui l’onorevole deputato si riferisce e secondo cui le aziende, in questo periodo di crisi economica, starebbero cercando, su larga scala, di ridurre i costi nel settore della salute e della sicurezza sul posto di lavoro.

Per quanto attiene alle preoccupazioni dell’onorevole deputato sul fatto che la riduzione dei costi potrebbe comportare un abbassamento degli standard esistenti, è bene sottolineare che a livello di Unione europea, le disposizioni in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro – ovvero quelle indicate nella direttiva quadro 89/391/CEE e nelle direttive specifiche - sono giuridicamente vincolanti. Tali direttive devono essere recepite e attuate concretamente dagli Stati membri in seno agli ordinamenti giuridici nazionali.

Pertanto un eventuale abbassamento dei livelli di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro non potrebbe in nessun caso far scendere detti standard al di sotto del livello minimo stabilito dalle direttive comunitarie.

Inoltre la Commissione e l’Agenzia di Bilbao per la sicurezza e la salute sul posto di lavoro si adoperano continuamente, anche in questo periodo di crisi economica, per sensibilizzare i datori di lavoro sul fatto che, in termini economici, le aziende che investono nella salute e nella sicurezza dei propri lavoratori ottengono risultati tangibili: riduzione dei costi per assenteismo, maggiore motivazione da parte dei lavoratori, aumento della produttività e della competitività dell’azienda.

 

Interrogazione n. 58 dell’onorevole Schmidt (H-0005/09)
 Oggetto: Accesso dei cittadini europei ai regimi di sicurezza sociale
 

In Svezia, paese d’origine dell’interrogante, è normale che i lavoratori della regione di Öresund facciano i pendolari attraverso la frontiera tra Svezia e Danimarca per andare a lavorare. Stando ai media svedesi (tra l’altro la testata Sydsvenskan del 22 novembre 2008 e del 2 gennaio 2009) gli svedesi che lavorano in Danimarca e che sono vittime di incidenti, si vedono negate le indennità di malattia sia dai loro datori di lavoro danesi sia dalle autorità danesi, nonostante il fatto che, secondo le norme europee di coordinamento, si applichi il regime di previdenza sociale del paese in cui si lavora.

Quali misure intende la Commissione adottare per garantire che i cittadini europei che lavorano in un paese diverso dal proprio abbiano accesso ai regimi di sicurezza sociale?

 
  
 

(EN) La Commissione richiama l’attenzione dell’onorevole deputato sulle disposizioni della Commissione in materia di coordinamento dei regimi di previdenza sociale contenute nei regolamenti (CE) n. 1408/71 e 574/72. Nel rispetto di tali disposizioni, una persona che lavori in Danimarca ma risieda in Svezia normalmente dovrebbe aver diritto alle prestazioni di previdenza sociale danesi alla pari dei cittadini che lavorano e risiedono in questo paese. Un lavoratore frontaliero avrebbe diritto a ricevere le prestazioni sanitarie in natura in Danimarca tanto quanto in Svezia, a propria scelta. L’obbligo di retribuzione in caso di malattia, tuttavia, che copre anche il versamento dell’indennità da parte del datore di lavoro (ad esempio in caso di un incidente verificatosi nel percorso fra casa e il posto di lavoro), dovrebbe ricadere sul regime di previdenza sociale danese, pertanto il datore di lavoro avrebbe l’obbligo di corrispondere l’indennità di malattia al dipendente, anche se questi risiede in Svezia.

In base alle informazioni in possesso della Commissione, non sembra che la Danimarca applichi le norme di coordinamento nel rispetto del diritto comunitario. La questione è stata sottoposta all’attenzione delle autorità svedesi, che hanno scritto alla propria controparte danese per risolvere il problema.

In attesa di tali sviluppi, la Commissione è fiduciosa che la questione verrà risolta nel rispetto del diritto comunitario.

I servizi della Commissione contatteranno le autorità svedesi e danesi per ottenere informazioni sui risultati della loro cooperazione e ne informerà direttamente l’onorevole deputato.

 

Interrogazione n. 59 dell’onorevole Sinnott (H-0016/09)
 Oggetto: 1million4disability
 

La petizione “1million4disability” ha raccolto in otto mesi, fino alla fine di settembre 2007, oltre 1,3 milioni di firme in tutta l’UE. Durante la cerimonia di chiusura del 4 ottobre 2007, alla quale hanno partecipato centinaia di disabili e di loro sostenitori, le firme sono state consegnate personalmente al Presidente del Parlamento nonché alla Commissione nelle mani del vicepresidente Margot Wallström.

Nel settembre 2008 l’interrogante ha scoperto con sconcerto, nel corso di un’audizione sull’iniziativa dei cittadini presso la commissione per gli affari costituzionali, che la petizione si trova nei sotterranei della Commissione e che quest’ultima ha contattato il FES per restituirgliela dato che starebbe solo accumulando polvere.

Quando è disposta la Commissione ad occuparsi della petizione “1million4disability” e a rispondere alla richiesta del riconoscimento dei diritti e di una legislazione specifica per i disabili?

 
  
 

(EN) La Commissione è impegnata a rafforzare la partecipazione dei cittadini nel processo decisionale e attribuisce notevole valore all’opinione della società civile.

Il 4 ottobre 2007 il vicepresidente Margot Wallström ha presenziato alla cerimonia di chiusura della campagna “1million4disability” e il 23 gennaio 2008 il Presidente Barroso ha accusato personalmente ricevuta delle 1 294 497 firme, che sono state consegnate alla Commissione il 22 novembre 2007. Queste ultime sono conservate presso la sede della Commissione.

Il trattato di Lisbona, che stabilisce che “i cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea,

nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati”, non è ancora in vigore. Nondimeno, la campagna “1million4disability” è stata un’importante e altamente apprezzata iniziativa dei cittadini che è stata tenuta in considerazione quando nel luglio 2008 la Commissione ha redatto la propria proposta di direttiva(1)recante applicazione del principio di parità di trattamento al di là dell’ambiente lavorativo per estendere l’ambito della tutela contro la discriminazione.

Tale proposta di direttiva, e in particolare l’articolo 4, contengono indicazioni specifiche sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla disabilità, che garantiscono un grado di tutela pari a quello che sarebbe stato assicurato da una direttiva mirata esclusivamente alla disabilità. Spetta ora ai due organi legislativi tradurre tale proposta della Commissione in legge.

 
 

(1) COM(2008) 426 def, http://ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId=477&langId=en.

 

Interrogazione n. 60 dell’onorevole De Rossa (H-0032/09)
 Oggetto: Recepimento da parte dell’Irlanda della direttiva sull’insolvenza
 

Facendo seguito alle mie interrogazioni scritte E-3295/06, E-3298/06, E-3299/06 e E-4898/06, concernenti il recepimento e l’attuazione da parte dell’Irlanda della direttiva sull’insolvenza, alla relazione del 2007 sull’attuazione della direttiva 80/987/CEE(1), modificata dalla direttiva 2002/74/CE(2), concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, e alla sentenza della Corte di giustizia del 25 gennaio 2007 nella causa C-278/05 (Carol Marilyn Robbins e altri/Secretary of State for Work and Pensions), può la Commissione fornire informazioni sulla corrispondenza intercorsa con le autorità irlandesi in merito a eventuali violazioni della direttiva da parte dell’Irlanda, in particolare in relazione all’articolo 8, nonché sulla risposta data dalle autorità irlandesi?

Quali iniziative prenderà la Commissione se risulterà che l’Irlanda, alla luce della sentenza della Corte di giustizia, ha violato la suddetta legislazione, in particolare in relazione all’articolo 8?

 
  
 

(EN) Nel 2008 la Commissione ha pubblicato un documento di lavoro del personale sull’attuazione dell’articolo 8 e indicazioni correlate contenute nella direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, in merito a regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale(3).

Le conclusioni indicano che, in alcuni casi, è possibile opinare fino a che punto alcune misure adottate dagli Stati membri siano sufficienti a tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati e dei pensionati in caso di insolvenza del datore di lavoro. Sono pertanto necessarie maggiori indagini per affrontare le seguenti problematiche:

- come tutelare lavoratori subordinati e pensionati contro il rischio di finanziamento insufficiente dei regimi pensionistici e in quale misura;

- come garantire i contributi non versati ai regimi pensionistici;

- come affrontare i casi in cui regimi pensionistici integrativi siano gestiti dallo stesso datore di lavoro.

La Commissione è pronta al lancio di uno studio su dette problematiche.

Per quanto concerne il caso specifico dell’Irlanda, considerati le difficoltà della Waterford Wedgwood che la stampa ha riportato a metà gennaio 2009 e il rischio per le pensioni dei suoi lavoratori, la Commissione ha richiesto all’Irlanda ulteriori informazioni sulle misure adottate a loro tutela, in particolare per quanto attiene a piani di assegni definiti. Qualora un’analisi della risposta dovesse indicare che tali misure non adempiono alle disposizioni dell’articolo 8 della direttiva 2008/94/CE(4) così come interpretato dalla Corte di giustizia europea, la Commissione non esiterà a iniziare le procedure di violazione ai sensi dell’articolo 226 del trattato.

 
 

(1) GU L 283 del 28.10.1980, pag. 23.
(2) GU L 270 dell’8.10.2002, pag. 10.
(3) SEC(2008) 475.
(4) GU L 283 del 28.10.2008, pag. 36.

 

Interrogazione n. 61 dell’onorevole Pafilis (H-0034/09)
 Oggetto: Terrorismo aperto da parte dei datori di lavoro contro i sindacalisti
 

Il criminale attacco all’acido contro la lavoratrice sindacalista Konstantina Kouneva, segretaria del Sindacato degli addetti alle pulizie della regione dell’Attica, il 22 dicembre 2008, costituisce il culmine di una serie di casi di terrorismo aperto da parte dei datori di lavoro contro i lavoratori che fanno del sindacalismo, rivendicano i loro diritti o partecipano a mobilitazioni di sciopero dei loro sindacati. Il caso più recente è quello del lavoratore Nikos Nikolopoulos, dell’impresa di vendita di giocattoli “Jumbo”, impiegato nel negozio della società a Vari, che è stato licenziato per aver partecipato allo sciopero generale nazionale del 10 dicembre 2008.

Condanna la Commissione tali episodi di terrorismo da parte dei datori di lavoro contro i lavoratori, che sono ormai la regola nei luoghi di lavoro e che hanno trasformato questi ultimi in ghetti, in cui non viene applicata alcuna delle disposizioni di protezione della legislazione sul lavoro e vengono unicamente imposte con qualunque mezzo la volontà e l’arbitrarietà dei datori di lavoro?

 
  
 

(EN) La Commissione considera gli attacchi contro i sindacalisti assolutamente deprecabili e inaccettabili, indipendentemente dal fatto che i lavoratori in questione siano immigrati in regola o clandestini e che provengano da altri Stati membri o da paesi terzi.

Ciascuno ha il diritto alla tutela della propria integrità fisica e mentale. Ciascuno ha altresì il diritto alla libertà di associazione, anche in ambito sindacale. Entrambi questi diritti sono sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articoli 3 e 12 rispettivamente).

La libertà di associazione è tutelata dalle convenzioni sulle norme fondamentali del lavoro dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), che tutti gli Stati membri hanno ratificato e devono rispettare e far rispettare.

In linea di principio spetta quindi alle autorità nazionali intraprendere le misure necessarie all’interno del proprio paese per combattere tali azioni e punire i colpevoli secondo le disposizioni del diritto nazionale e internazionale in materia.

 

Interrogazione n. 62 dell’onorevole Ţicău (H-1039/08)
 Oggetto: Misure intese a migliorare l’efficacia energetica negli edifici
 

L’Unione europea ha proposto di migliorare l’efficacia energetica, ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20% e di attingere dalle fonti rinnovabili una quota equivalente dell’energia consumata sul suo territorio, e questo entro il 2020. Ora, il 40% delle emissioni complessive di gas a effetto serra proviene dagli edifici. Il miglioramento dell’efficacia energetica negli edifici rappresenta quindi un grande potenziale di riduzione delle emissioni. A tal fine e a determinate condizioni, gli Stati membri possono utilizzare una parte dei Fondi strutturali. Va ricordato che la revisione intermedia delle disposizioni applicabili ai fondi è prevista per il 2010.

Può la Commissione far sapere quali sono le misure previste, nel quadro di tale processo, al fine di potenziare l’efficacia energetica nell’Unione europea?

 
  
 

(EN) Migliorare l’efficacia energetica negli edifici è un importante traguardo per la riduzione dei cambiamenti climatici e il rafforzamento della sicurezza energetica e della competitività dell’economia comunitaria. La Commissione ha adottato un’ampia gamma di misure per aumentare l’efficacia energetica nel settore edile, quali misure giuridiche, strumenti finanziari e azioni volti a diffondere l’informazione. Uno dei più importanti strumenti giuridici in questo campo è la direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico nell’edilizia, sulla cui attuazione la Commissione sta vigilando. Al fine di estendere l’ambito di applicazione di tale documento e di rafforzarne alcune disposizioni, la Commissione ha recentemente presentato una proposta di revisione dello stesso.

Per quanto attiene al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e al Fondo di coesione, bisognerebbe ricordare che in tutti gli Stati membri, la legislazione vigente permette numerosi interventi in materia di efficacia energetica ed energia rinnovabile negli edifici destinati a usi non abitativi. Nell’ultimo caso, inoltre, l’attuale legislazione prevede un’ammissibilità di spesa limitata per le abitazioni nell’UE a 12 a seconda di fattori relativi alla dotazione finanziaria, al contesto di intervento, alla tipologia di abitazione, alla zona e al tipo di intervento.

In linea con la propria comunicazione sul piano europeo di ripresa economica(1), il 3 dicembre 2008 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1080/2006 relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale sull’ammissibilità degli investimenti in materia di efficacia energetica ed energia rinnovabile nell’edilizia abitativa. Tale modifica permetterebbe a tutti gli Stati membri di richiedere un aumento pari al 4 per cento della ripartizione FESR per le spese relative a miglioramenti in materia di efficacia energetica e all’uso energia rinnovabile nelle abitazioni già esistenti. Le categorie di abitazioni ammissibili saranno definite a livello nazionale, al fine di sostenere la coesione sociale.

Qualora la modifica venga adottata, spetterà agli Stati membri decidere se desiderano rivedere i propri programmi operativi per i fondi strutturali allo scopo di aumentare la quota destinata agli investimenti in materia di efficacia energetica.

 
 

(1) COM (2008) 800 def.

 

Interrogazione n. 63 dell’onorevole Burke (H-1041/08)
 Oggetto: Legislazione degli Stati membri UE per eliminare le mutilazioni genitali femminili
 

È necessario creare misure interne all’UE per affrontare le esigenze di donne e ragazze che sono a rischio di mutilazioni genitali femminili (MGF). L’Irlanda si è impegnata recentemente – come uno di 15 Stati membri UE – a lanciare un piano d’azione nazionale per l’eliminazione delle MGF. Questi 15 Stati membri UE si sono impegnati a imporre per legge un divieto assoluto di MGF nel rispettivo paese.

La Commissione può raccomandare agli Stati membri non partecipanti di esaminare siffatti piani d’azione e la legislazione che pone fuori legge questa pratica dannosa? Una legge siffatta manderebbe un chiaro segnale ai potenziali praticanti di questa tradizione che l’MGF è totalmente inaccettabile all’interno dell’UE. Considerando che l’Organizzazione mondiale della sanità stima che tra 100 e 140 milioni di ragazze e donne vivono con le conseguenze dell’MGF (e 3 milioni di ragazze sono a rischio ogni anno), che cosa sta facendo la Commissione per ridurre al minimo gli effetti negativi di questa tradizione come parte della sua politica di relazioni esterne?

 
  
 

(EN) La Commissione ritiene che le mutilazioni genitali femminili costituiscano una grave violazione dei diritti fondamentali delle donne e delle ragazze e che tutti i paesi europei dovrebbero adottare severe misure per prevenire tali pratiche sia all’interno che all’esterno dell’Unione europea.

Qualunque forma di mutilazione genitale femminile è associata ad un aumento del rischio di danni fisici e psicologici, inclusi emorragie, infezioni, infertilità, incontinenza e problemi di salute mentale. La mutilazione genitale femminile è altresì causa di complicazioni ostetriche sia per la madre che per il feto, tra cui parto di un feto morto, mortalità infantile e disabilità a lungo termine. Tali pratiche rappresentano una grave violazione dei loro diritti fondamentali all’integrità fisica e mentale, riconosciuti in tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Sebbene la Commissione non abbia la competenza per effettuare proposte di legge in materia, essa mette appositamente a disposizione fondi comunitari nell’ambito del programma DAPHNE III allo scopo di sostenere organizzazioni non governative europee, nonché autorità e istituzioni pubbliche regionali o locali per combattere le mutilazioni genitali femminili.

Il programma DAPHNE in particolare, ha contribuito a creare e sostenere la rete europea di ONG impegnate nella lotta alle mutilazioni genitali femminili (Euronet-MGF), che è a capo del progetto, finanziato dal programma DAPHNE, cui si riferisce l’onorevole deputato. Tale progetto sta portando allo sviluppo di piani d’azione nazionali per l’eliminazione delle MGF in 15 Stati membri dell’Unione europea e dello spazio economico europeo (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia) e sta altresì esplorando la situazione relativa alle mutilazioni genitali femminili in altre 10 Stati membri. Tale progetto si concluderà nel giugno 2009 e intorno a quella data verrà organizzata una conferenza conclusiva allo scopo di presentare, discutere e pubblicare i piani d’azione nazionali, sensibilizzare la comunità internazionale al problema delle mutilazioni genitali femminili in Europa e alla violenza nei confronti delle donne e delle ragazze immigrate in generale. La Commissione sarà presente all’evento e inviterà gli Stati membri che non avranno ancora sviluppato un piano d’azione a prendere ispirazione dai risultati del progetto e adottare quanto prima le misure necessarie.

Nel proprio sostegno esterno ai paesi terzi, la Commissione ha in atto tre politiche contro le mutilazioni genitali femminili. Anzitutto la Commissione porta nel proprio dialogo politico con i governi partner questioni relative all’emancipazione femminile, ai diritti umani e alle questioni sanitarie che concernono le donne. Secondariamente, la Commissione sostiene consulenze legali e iniziative di rappresentanza di interessi particolari volti al miglioramento della legislazione nazionale e allo sviluppo di adeguate politiche per la promozione e la tutela dei diritti delle donne e il divieto di pratiche lesive. Infine, la Commissione sostiene iniziative volte allo sviluppo di capacità per funzionari di governo, nonché consulenze legali e azioni di sensibilizzazione in tutti i settori della società.

Attualmente la Commissione sta finanziando i seguenti progetti:

- nell’ambito del programma “Investire nelle persone” finanzia, in cooperazione con l’Unicef, un progetto volto a contribuire all’abbandono, in determinati paesi, di norme sociali lesive nei confronti delle donne e delle ragazze.

- In Burkina Faso, la Commissione sostiene un centro per il benessere delle donne e la prevenzione mutilazioni genitali femminili, che si occupa della prevenzione e del trattamento delle conseguenze causate dalle mutilazioni genitali femminili, nonché della sensibilizzazione in materia di diritti delle donne.

- In Nigeria, la Commissione fornirà sostegno al settore giuridico, a un’ampia gamma di attori non statali, a parlamentari e a mezzi di comunicazione di massa per contribuire ad accrescere la sensibilità della popolazione, a sostenere il dibattito nazionale e promuovere la consulenza politica in questioni chiave relative al buon governo e ai diritti umani, incluse le mutilazioni genitali femminili.

- In Senegal, sosteniamo un progetto sviluppato dall’associazione senegalese “Association Femmes Enfant Lutte Contre la Pauvreté” (AFELP) in collaborazione con “Secours Populaire Français”. Tale progetto aiuta le donne a lottare per se stesse contro qualunque forma di violenza di cu sono vittime, nonché a combattere pratiche culturali dannose e a promuovere i principi della democrazia.

- Nell’ambito dello strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, la Commissione sta finanziando in Somalia un progetto delle donne somale per l’eradicazione delle mutilazioni genitali femminili. Beneficiaria è l’organizzazione internazionale della società civile COSPE (Cooperazione allo sviluppo dei paesi emergenti). Recentemente la Commissione ha anche messo a punto in Nigeria un progetto sviluppato da organizzazioni locali che combattono la violenza alle donne, mutilazioni genitali femminili incluse. Lo scopo del progetto è aumentare la percentuale di denuncia di violenza connessa al genere.

 

Interrogazione n. 64 dell’onorevole Papastamkos (H-1042/08)
 Oggetto: Sequestro di prodotti contraffatti alle frontiere dell’Unione europea
 

Tenuto conto dell’aumento del numero di prodotti contraffatti sequestrati alle frontiere dell’Unione europea, può la Commissione fornire informazioni sulla lotta contro la frode, basandosi sui risultati delle operazioni congiunte condotte dalle autorità doganali degli Stati membri, nonché informazioni sul tipo e il volume dei prodotti sequestrati?

 
  
 

(FR) La lotta contro la frode e la pirateria costituisce una priorità per la Commissione. Essa pubblica annualmente una relazione statistica dei sequestri effettuati dalle autorità doganali degli Stati membri sulla base delle informazioni trasmesse dai paesi stessi, ai sensi delle disposizioni di legge vigenti(1). Tali dati sono disponibili sul sito dell’Unione al seguente indirizzo:

http://ec.europa.eu/taxation_customs/customs/customs_controls/counterfeit_piracy/statistics/index_en.htm" .

I risultati delle operazioni congiunte condotte dalle autorità doganali degli Stati membri sono integrati in quelli comunicati dai paesi stessi alla Commissione. L’attuale base di raccolta dei dati statistici non permette alla Commissione si fornire maggiori dettagli, in particolar modo sulle operazioni portate a termine, tuttavia alcune operazioni condotte dai servizi della Commissione hanno dato origine a relazioni specifiche. Tale tipo di operazioni s’incentra ogni volta su prodotti, mezzi di trasporto o paesi d’origine specifici. In tal caso i risultati sono strettamente legati ai criteri considerati.

Operazione “FAKE”

A maggio 2005, l’operazione doganale congiunta “FAKE”, organizzata dalla Commissione con la partecipazione delle autorità doganali degli Stati membri dell’Unione europea, ha portato al sequestro di 60 container per via marittima e 140 spedizioni per via aerea, per un totale di più di 2 milioni di oggetti contraffatti (inclusi 1 258 110 pacchetti di sigarette) provenienti dalla Cina. I prodotti contraffatti sequestrati riguardavano essenzialmente il settore tessile, le calzature, il pellame, l’elettronica, i medicinali, le sigarette e altri prodotti come occhiali, cinture, cartucce d’inchiostro, orologi, giocattoli, rasoi, miele e spazzolini da denti.

Operazione “DAN”

Nel 2006, l’operazione “DAN”, lanciata su iniziativa di tredici porti comunitari e coordinata dai servizi della Commissione, si è concentrata su prodotti provenienti dalla Cina per via marittima. Tale operazione ha condotto al sequestro di 92 container di prodotti estremamente variegati: tra i prodotti contraffatti sequestrati si possono elencare decine di migliaia di giocattoli, centinaia di montature di occhiali da sole, milioni di paia di scarpe e diverse imitazioni di pezzi di ricambio per automobili, DVD, coltelli, abiti e milioni di accendini e di sigarette.

Operazione “DIABOLO”

Nel 2007, l’operazione doganale congiunta “DIABOLO”, organizzata dalla Commissione con la partecipazione dei 27 Stati membri dell’Unione europea, di 13 paesi asiatici((2)), dell’Interpol, dell’Europol e dell’Organizzazione mondiale delle dogane, ha permesso di sequestrare approssimativamente 135 milioni di sigarette di marca contraffatte e 1 089 585 altri prodotti contraffatti, ovvero tessili, calzature, giocattoli, mobili, valigie e orologi. A seguito dell’operazione sono state interrogate otto persone.

La relazione è disponibile sul sito dell’Unione al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/anti_fraud/diabolo/i_en.html"

Operazione “INFRASTRUCTURE”

Al termine del 2007, l’operazione congiunta “INFRASTRUCTURE”, intrapresa dalla Commissione con il concorso delle autorità doganali di Regno Unito, Germania, Francia e Belgio, nonché dell’ufficio dogane e protezione delle frontiere degli Sati Uniti (CBP) per far rispettare il diritto di proprietà intellettuale, ha portato al sequestro di più di 360 mila circuiti integrati contraffatti, di più di 40 marchi diversi e scambi di informazioni utili. Si è trattato della prima azione congiunta volta alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale.

Operazione “MUDAN”

Nel 2008, l’operazione doganale congiunta MUDAN, organizzata nell’aprile 2008 dalla Commissione con il concorso delle autorità doganali degli Stati membri dell’Unione europea, si è concentrata sui pacchi postali provenienti dalla Cina e ha permesso di sequestrare 1 300 000 sigarette.

Inoltre, per coordinare e sostenere le operazioni doganali congiunte di qualunque natura, incluse quelle in materia di contraffazione, presso i locali dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), a Bruxelles, è stata messa a disposizione degli Stati membri un’unità operativa permanente di coordinamento. Tale infrastruttura, utilizzata soprattutto per le operazioni “FAKE” e “DIABOLO”, permette di garantire il coordinamento in tempo reale di flussi di informazioni operative per azioni comunitarie o internazionali su larga scala.

 
 

(1) Regolamento (CE) n. 1383/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003: GU L 196 del 2.8.2003 e Regolamento (CE) n. 1891/2004 della Commissione, del 21 ottobre 2004: GU L 328 del 30.10.2004.
(2) (Brunei, Burma/Myanmar, Chine, Cambogia, Corea del Sud, Filippine, Giappone, Indonesia, Laos, Malesia, Singapore, Tailandia e Vietnam).

 

Interrogazione n. 65 dell’onorevole Lundgren (H-1050/08)
 Oggetto: Verso una difesa UE
 

La Commissione ha proposto la sostituzione degli attuali 27 regimi nazionali con un nuovo sistema di concessione delle licenze per il trasferimento dei prodotti destinati alla difesa (COM(2007)0765). Stando alla Commissione, le divergenze tra i regimi di concessione delle licenze “sono un serio ostacolo allo sviluppo di un mercato europeo delle attrezzature di difesa”.

Nella fase di preparazione della proposta di direttiva, la Commissione aveva vagliato la possibilità di creare una zona non soggetta a licenza, lasciando all’UE la gestione delle licenze per il trasferimento dei prodotti destinati alla difesa. Tale idea è stata, nel frattempo, abbandonata dato che “non esiste una politica estera comune” e che “l’integrazione politica tra gli Stati membri è insufficiente”.

Ciò premesso, ritiene la Commissione che sia possibile creare una zona esente da licenze per il trasferimento dei prodotti destinati alla difesa qualora entri in vigore il trattato di Lisbona? A suo parere, la creazione di una tale zona è auspicabile?

 
  
 

(EN) I prodotti destinati alla difesa coprono un ampio spettro di beni e servizi bellici, da componenti a bassa sensibilità e armi leggere a sistemi d’arma complessi, come aerei da combattimento o navi da guerra, a materiale estremamente sensibile, come dispositivi nucleari, biologici e chimici.

Gli Stati membri attualmente invocano restrizioni alla circolazione di prodotti destinati alla difesa in seno al mercato interno ai sensi dell’articolo 30 del trattato CE. Tale articolo consente alcuni divieti o restrizioni alla libera circolazione di beni tra gli Stati membri sulla base, tra le altre motivazioni, di ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute e della vita delle persone, a condizione che tali divieti o restrizioni rispettino il principio di proporzionalità. Tale articolo non è stato emendato dal trattato di Lisbona. Due sono le ragioni che in questo contesto rivestono maggior importanza:

1. Gli Stati membri desiderano assicurarsi che tale materiale non rischi di finire in mani ostili o vengano danneggiati. Ridurre la minaccia di terrorismo e il rischio di proliferazione delle armi di distruzione di massa è una preoccupazione basilare per tutti gli Stati membri.

2. Gli Stati membri desiderano altresì assicurarsi che il materiale destinato alla difesa non venga utilizzato da criminali in seno all’Unione europea. La prevenzione di crimini violenti e del terrorismo in seno all’Unione europea richiede un rigido controllo della circolazione di diversi tipi di prodotti destinati alla difesa.

Inoltre, l’articolo 296 del trattato CE non preclude agli Stati membri la possibilità di adottare, a certe condizioni, altre misure, quando ritengano necessario tutelare gli interessi essenziali della loro sicurezza, correlate alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico. Neanche questo articolo è stato emendato dal trattato di Lisbona.

Stanti così le cose, l’entrata in vigore del trattato di Lisbona non modificherebbe la possibilità per gli Stati membri di introdurre restrizioni per ragioni di pubblica sicurezza. La proposta di direttiva concernente la semplificazione delle modalità e delle condizioni dei trasferimenti di prodotti destinati alla difesa all’interno della Comunità, che il Parlamento ha votato il 16 dicembre 2008, costituisce nondimeno un importante passo in direzione di un mercato interno più integrato per i prodotti destinati alla difesa che non mini la pubblica sicurezza dei suoi Stati.

Quantunque la Commissione non abbia previsto la possibilità che l’Unione europea rilasci direttamente licenze per il trasferimento di prodotti destinati alla difesa, la direttiva adottata contiene tre disposizioni importanti che dovrebbero gradualmente eliminare o sostanzialmente alleviare la necessità di licenze:

– la direttiva consente agli Stati membri di esentare trasferimenti di prodotti destinati alla difesa dall’autorizzazione preventiva in diversi casi, ad esempio quando il fornitore o il destinatario sia un ente governativo o faccia parte delle forze armate di uno Stato membro;

– la direttiva contiene una clausola secondo cui altri trasferimenti di prodotti destinati alla difesa posso essere esentati dall’obbligo di autorizzazione preventiva, ad esempio quando il trasferimento viene effettuato con modalità che non compromettono l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza;

– Il sistema di licenze generali di trasferimento stabilito dalla direttiva non è comporta una licenza singola, bensì un’autorizzazione generale ai fornitori che rispettano modalità e condizioni cui è subordinata la licenza a effettuare trasferimenti di prodotti destinati alla difesa indicati nella licenza stessa a una o più categorie di destinatari siti in un altro Stato membro.

Tale direttiva abolirà diverse formalità amministrative superflue pur permettendo agli Stati membri i effettuare i controlli necessari a prevenire un’ampia diffusione di materiale di difesa e il rischio di dirottamento dello stesso.

La Commissione verificherà l’applicazione della direttiva e sottoporrà al Parlamento e al Consiglio una relazione in cui valuterà se, e in quale misura, gli obiettivi della direttiva sono stati raggiunti, rispetto al funzionamento del mercato interno.

 

Interrogazione n. 66 dell’onorevole Nicholson (H-1063/08)
 Oggetto: Origine dei prodotti/etichettatura dei prodotti alimentari
 

Alla luce dei recenti avvenimenti nel settore dell’industria della carne suina e allo scopo di migliorare l’attuale situazione, che è totalmente inadeguata, la Commissione vorrà ora presentare proposte di chiara indicazione del “paese d’origine” sull’etichetta dei prodotti alimentari acciocché i consumatori siano in grado di effettuare scelte basate su informazioni chiare?

 
  
 

(EN) Il principio fondamentale della legislazione alimentare dell’Unione europea è che tutti gli alimenti ed i mangimi immessi legalmente nel mercato dell’Unione devono essere sicuri, indipendentemente dal loro paese di origine. Nella legislazione comunitaria è stata introdotta un’ampia gamma di misure volte a garantire la sicurezza alimentare e a contribuire a rimuovere dal mercato alimenti e mangimi insicuri.

Ai sensi del regolamento generale sulla legislazione alimentare(1), sul suolo comunitario la rintracciabilità è obbligatoria per gli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della filiera alimentare, dall’importatore al rivenditore al dettaglio. Questo significa che gli operatori del settore devono aver istituito sistemi e procedure di identificazione degli operatori economici da cui hanno ricevuto e a cui hanno consegnato dei prodotti.

In particolare per quanto attiene i prodotti di origine animale, inclusi quelli provenienti da paesi extracomunitari, la legislazione sull’igiene dei prodotti alimentari rafforza ulteriormente le norme di rintracciabilità dei prodotti di origine animale stabilite dal regolamento 853/2004(2)richiedendo l’applicazione di un marchio sanitario o di identificazione su tale categoria di prodotti.

La Commissione non concorda sul fatto che il sistema attuale sia inadeguato. Il recente caso di contaminazione da diossina della carne suina e bovina irlandese ha dimostrato che la rintracciabilità degli alimenti di origine animale è sensibilmente migliorata rispetto a quando si erano verificati incidenti simili in passato. Non appena si è saputo dell’episodio, la carne di maiale e di manzo irlandese potenzialmente contaminata è stata ritirata dal mercato in 25 Stati membri e 12 paesi terzi in un lasso di tempo brevissimo grazie al sistema di rintracciabilità in atto. La rapida rimozione dal mercato della carne potenzialmente contaminata è la chiave per tutelare la salute pubblica e conservare la fiducia del consumatore.

Per quanto attiene all’obbligo di indicazione d’origine per tutti i prodotti alimentari in generale, bisogna sottolineare che questo non è uno strumento volto a contribuire alla sicurezza alimentare. La Commissione lo reputa anzitutto uno strumento di informazione per il consumatore, in particolare per quanto concerne le caratteristiche e, in alcuni casi, la qualità dell’alimento.

L’indicazione del paese d’origine è richiesta in casi in cui i consumatori potrebbero essere indotti in errore circa la reale origine o provenienza di un alimento, nonché in applicazione di norme specifiche come quelle relative a frutta e verdura, carne bovina, vino, miele e pesce. Il paese d’origine dev’essere indicato anche sul pollame di importazione e, a partire dal luglio 2010, tutti prodotti alimentari preconfezionati di provenienza comunitaria (e i prodotti importati che espongano il logo CE) marchiati come biologici dovranno indicare il paese d’origine.

La recente proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori(3)stilata dalla Commissione non amplia la gamma di prodotti cui si applica l’obbligo di indicazione del paese d’origine, ma stabilisce norme volte a garantire che le indicazioni d’origine pubblicate volontariamente seguano i medesimi principi.

Per quanto riguarda la carne diversa dalla carne di manzo e di vitello, il progetto di regolamento prevede che l’indicazione di origine volontaria dovrebbe fornire informazioni su ciascuno dei differenti luoghi di nascita, allevamento e macellazione dell’animale, qualora esso non sia nato, allevato e macellato nello stesso paese o luogo.

La Commissione è ben consapevole che la questione solleverà ulteriori discussioni. Nel suo Libro verde sulla qualità dei prodotti agricoli(4), la Commissione ha chiesto specificatamente se l’indicazione obbligatoria del luogo di produzione delle materie prime utilizzate (Stato membro o paese terzo) potesse essere utile per garantire un miglior collegamento tra l’informazione relativa ai prodotti agricoli e il prodotto finale. Il Libro verde è rimasto aperto ai commenti delle parti interessate e del pubblico. La consultazione si è conclusa il 31 dicembre 2008.

 
 

(1) Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare
(GU L 31 dell’1.2.2002).
(2) Regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale (GU L 139 del 30.4.2004. Versione rettificata in GU L 226 del 25.6.2004).
(3) COM(2008)40 def.
(4) COM(2008)641

 

Interrogazione n. 67 dell’onorevole Papadimoulis (H-1074/08)
 Oggetto: Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione e fondi neri Siemens
 

L’indagine condotta dalle autorità giudiziarie sulla società Siemens ha dato luogo a confessioni in merito all’esistenza di fondi neri attraverso i quali sono stati finanziati partiti politici e persone che rivestono incarichi di responsabilità. Va tuttavia osservato che il breve periodo previsto per la prescrizione ha comportato che i reati sono andati prescritti e le personalità politiche coinvolte non possono più essere perseguite. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione che la Comunità europea ha sottoscritto (15 settembre 2005) e ratificato (25 settembre 2008) può essere utilizzata come ulteriore strumento per far piena luce e attribuire le responsabilità relative al caso Siemens, in particolare attraverso l’articolo 29 che riguarda la “prescrizione” e l’articolo 30 intitolato “azione legale, sentenza, sanzioni”.

Considerato che la società in questione ha avuto in appalto attività finanziate con fondi comunitari in compartecipazione con altre società, può la Commissione riferire quali sono gli Stati membri parti contraenti della citata Convenzione? Raccomanderà agli Stati membri di adattare la rispettiva normativa nazionale alla Convenzione di cui trattatasi, in particolare l’articolo 29 che istituisce tempi di prescrizione più lunghi? Quali provvedimenti intende prendere per far piena luce sul caso e punire i responsabili?

 
  
 

(EN) Stando al sito della Nazioni Unite, oltre alla Comunità europea, hanno firmato e ratificato la convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria. Cipro, Italia, Irlanda, Germania e Repubblica ceca hanno firmato ma non ancora ratificato il documento.

La corruzione è una grossa minaccia per la società e nessuno può dire che a noi non succederà. La linea adottata dalla Commissione è sempre stata quella di invitare gli Stati membri a firmare, ratificare e attuare le convenzioni dell’ONU e altri strumenti internazionali che contribuiscono alla lotta contro la corruzione.

Per quanto attiene alle indagini sulla questione citata dall’onorevole deputato, la Commissione lo invita a leggere la propria risposta alla sua interrogazione orale H-0746/08, in cui esplica nel dettaglio i ruoli in materia dei servizi della Commissione, incluso l’Ufficio per la lotta antifrode (OLAF), e degli stati membri. A tale proposito, la Commissione vorrebbe ribadire che, circa le allarmanti affermazioni di possibili casi di corruzione in seno agli Stati membri, spetta alle autorità competenti degli Stati membri in questione intraprendere le azioni del caso. I servizi della Commissione, OLAF incluso, sono pronti a fornire assistenza alle autorità nazionali, se questa si rivelasse necessaria e possibile ai sensi del diritto comunitario, in particolare se nella vicenda sono coinvolti fondi dell’Unione europea.

 

Interrogazione n. 68 dell’onorevole Mavrommatis (H-0001/09)
 Oggetto: Mortalità neonatale negli Stati membri dell’UE
 

Stando a un’inchiesta pubblicata nel 2008 da EUR-PERISTAT, la mortalità infantile (che si verifica cioè nei primi 27 giorni dalla nascita) negli Stati membri dell’UE varia dal 2 per mille a Cipro e in Svezia fino al 5,7 per mille in Lettonia. Inoltre il tasso di nascite di neonati sotto peso sembra essere influenzato dal fattore geografico in quanto la maggior parte delle nascite di neonati di peso inferiore a 2,5 kg avviene negli Stati dell’Europa meridionale e orientale.

Come valuta la Commissione tali dati? Quali azioni intraprenderà per far sì che la mortalità neonatale venga sradicata nel mondo occidentale del 21° secolo e soprattutto in Europa che si trova a far fronte a un grave problema demografico?

 
  
 

(EN) La Commissione è lieta di aver sostenuto la preparazione di questa relazione, che completa i dati sulla mortalità infantile (inclusa quella perinatale, fetale tardiva e neonatale) raccolti annualmente dall’Eurostat. Essa rappresenta un punto di riferimento atto a guidare l’azione degli Stati membri. Come riportato nell’interrogazione, tale relazione indica varianti significative nelle diverse zone dell’Unione europea.

Per quanto attiene all’azione da intraprendere, ai sensi dell’articolo 152 del trattato, la responsabilità prima, in materia di salute, è degli Stati membri. Spetta quindi anzitutto a ciascuno di essi valutare quali problemi tale relazione solleva per loro e intraprendere le azioni necessarie.

Nondimeno, denunciare le diversità in ambito sanitario è uno degli obiettivi della strategia sulla salute dell’Unione europea. La Commissione prevede di pubblicare nel 2009 una comunicazione su come affrontare diversità in ambito sanitario.

La Commissione ha già intrapreso delle azioni in materia. Ad esempio, ha sostenuto gli Stati membri nelle loro azioni volte a ridurre i comportamenti a rischio in riferimento alla mortalità infantile e perinatale delle rispettive popolazioni, incluso informare le donne dei rischi associati al fumo e all’assunzione di bevande alcoliche durante la gravidanza.

La Commissione sostiene altresì miglioramenti dei sistemi sanitari attraverso investimenti coperti dai Fondi strutturali e attraverso la ricerca di migliori tecniche e tecnologie per la salute nell’ambito dei programmi quadro di ricerca.

La Commissione continuerà anche a produrre questo genere di informazioni comparative su salute e comportamenti della popolazione legati alla salute, malattie e sistemi sanitari. Come questa relazione PERISTAT indica, tali informazioni permettono un’analisi comparativa su tutto il territorio dell’Unione e contribuiscono a promuovere azioni concrete in seno agli stati membri al fine di diffondere le migliori pratiche in tutta l’UE.

 

Interrogazione n. 69 dell’onorevole El Khadraoui (H-0006/09)
 Oggetto: Applicazione del regolamento (CE) n. 261/2004 relativo ai diritti dei passeggeri nel settore della navigazione aerea
 

Dal 2004 è stato introdotto nella legislazione europea il regolamento (CE) n. 261/2004(1)relativo ai diritti dei passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato.

Nel 2007 la Commissione, riconoscendo la necessità di adottare nuove iniziative per migliore l’applicazione concreta del regolamento, ha consultato le autorità nazionali competenti per la navigazione aerea e le parti interessate. Nel corso di tale processo si è deciso di contemplare la possibilità di inviare inizialmente un ammonimento, eventualmente seguito da una procedura d’infrazione nei confronti degli Stati membri che non avessero applicato correttamente o in modo completo le norme che disciplinano i diritti dei passeggeri.

Quanti reclami di passeggeri aerei sono pervenuti agli Stati membri e alla Commissione dall’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 261/2004? Quale seguito è stato dato a questi reclami? Il numero dei reclami è aumentato o diminuito? Si possono ravvisare delle tendenze circa la tipologia e il numero dei reclami?

Quali iniziative ha nel frattempo adottato la Commissione per migliorare l’applicazione pratica del regolamento (CE) n. 261/2004 e quante procedure di infrazione sono state avviate contro gli Stati membri e/o contro le compagnie aeree?

Intende la Commissione prendere altri provvedimenti per migliorare l’applicazione del regolamento? Contempla nuove iniziative legislative volte a migliorare il regolamento vigente?

 
  
 

(EN) 1. Nessuna legge obbliga la Commissione o gli Stati membri a stilare statistiche o redigere relazioni sull’applicazione del regolamento (CE) n. 261/2004. Per tale ragione la Commissione non è in possesso di informazioni relative al numero di reclami ricevuti dalle autorità nazionali competenti nel periodo indicato dall’onorevole deputato.

Tuttavia, nel proprio ruolo di supervisore della corretta applicazione della legislazione comunitaria, la Commissione ha fatto riferimento al numero di reclami ricevuti nel biennio 2005-2006 nella propria comunicazione del 4 aprile 2007(2) (pagina 5 del documento SEC(2007)0426). Anche i Centri europei dei consumatori (CEC), cofinanziati dagli Stati membri e dalla Commissione, hanno prodotto due relazioni sulla base dei reclami ricevuti nel biennio 2005-2006. Tali reclami riguardavano esclusivamente voli transfrontalieri (nessun volo interno, pertanto) e problemi relativi al bagaglio, che non sono coperti dal regolamento sui diritti dei passeggeri. Tali relazioni sono reperibili sul sito Internet della Commissione nonché sul sito di qualunque Centro europeo dei consumatori.

A novembre 2008, inoltre, la Commissione ha inviato a tutte le autorità nazionali competenti un questionario da restituire entro il 15 gennaio nel quale si chiedevano informazioni in materia, incluse quelle relative alla gestione dei reclami sull’operazione del 261/2004 per il biennio 2007-2008. Le risposte al questionario sono attualmente in fase di traduzione e analisi da parte dei servizi della Commissione. La Commissione intende inviare a breve una lettera similare alle compagnie aeree. I servizi della Commissione uniranno e analizzeranno i dati disponibili e informeranno il Parlamento sui risultati di questa operazione nel secondo semestre del 2009, come avvenuto nel 2007. I Centri europei dei consumatori hanno previsto di pubblicare nel 2009 la terza relazione sui reclami ricevuti nel biennio 2007-2008.

2. Ai sensi dell’articolo 16 del regolamento, la responsabilità dell’applicazione del regolamento è degli Stati membri, pertanto spetta a loro procedere contro le compagnie aeree che non applicano appieno le disposizioni in esso contenute. La Commissione può attivare procedure di violazione solo contro gli Stati membri che non adempiono ai loro doveri di applicazione delle normative.

Nella propria comunicazione del 2007, la Commissione ha dichiarato che era necessario in periodo di stabilità per permettere alle autorità nazionali competenti, agli Stati membri e alla stessa Commissione di sviluppare un’applicazione pratica, coerente ed armonica del regolamento. A seguito della comunicazione, nel 2007, la Commissione ha riunito tutte le parti interessate (in particolar modo le compagnie aeree e le autorità nazionali competenti) per stilare una serie di documenti che migliorerebbero l’applicazione e il rispetto del regolamento. Tutti questi documenti sono reperibili sul sito della Commissione(3). Il 2008 ha rappresentato il periodo di stabilità necessario che ha permesso alle parti interessate di attuare le procedure e i meccanismi concordati l’anno precedente.

Poiché le autorità nazionali competenti erano tutte fortemente impegnate in quest’azione volontaria e hanno iniziato a migliorare l’applicazione del regolamento, nel biennio 2007-2008, ovvero nel periodo di stabilità, non sono state aperte procedure di infrazione.

L’incontro svoltosi a Bruxelles lo scorso 2 dicembre, che ha visto riunite tutte le parti interessate, ha chiuso il periodo di stabilità e iniziato la nuova fase di valutazione, nella quale la Commissione analizzerà se il regolamento 261/2004 non viene ancora adeguatamente rispettato e per quali motivi e adotterà le soluzioni necessarie.

Nell’ambito del sistema “pilota UE” per la soluzione dei problemi, nel gennaio 2009 la Commissione contatterà due Stati membri in merito a tre casi, due dei quali riguardano la mancata azione da parte dell’autorità competente italiana e uno la mancata azione da parte della controparte spagnola. A seconda delle risposte che forniranno le autorità nazionali competenti su tali casi, la Commissione potrebbe iniziare delle procedure di infrazione a loro carico. Secondariamente, nelle prossime settimane i servizi della Commissione invieranno una lettera a diversi Stati membri richiedendo ulteriori informazioni su come attuano il regolamento in caso di vettori provenienti da paesi diversi dl proprio. Se l’informazione che gli Stati membri forniranno non sarà soddisfacente, nel 2009 la Commissione aprirà procedure d’infrazione nei loro confronti.

3. Poiché solo un ridotto numero di passeggeri insoddisfatti dal comportamento di una compagnia aerea o di un’autorità nazionale competente si rivolgono alla Commissione, quest’ultima reputa che tali reclami possano non essere rappresentativi della situazione generale in Europa. Nondimeno, detti reclami sono estremamente utili alla Commissione per monitorare il livello di applicazione del regolamento da parte degli Stati membri e dei loro vettori e per agire di conseguenza ogni qual volta si riveli necessario.

La Commissione invia alle autorità nazionali competenti per l’attuazione del regolamento tutte le lettere dei passeggeri che forniscono informazioni secondo cui una data compagnia aerea non rispetta gli obblighi previsti dal regolamento. La Commissione segue assieme a tali autorità il loro operato in merito ai casi segnalati e tiene informati sugli sviluppi i passeggeri che ne hanno fatto richiesta.

La Commissione invita le autorità nazionali competenti a collaborare fra loro per uno scambio di informazioni volto a garantire un’attuazione più armonica del regolamento. A tale scopo la Commissione organizza con le autorità nazionali competenti incontri regolari. L’ultimo di questi si è svolto il 2 dicembre 2008, mentre il prossimo dovrebbe tenersi a maggio nel corso di un incontro congiunto di autorità nazionali competenti, Centri europei dei consumatori e comitati di programmazione e coordinamento. Le questioni sollevate dai reclami dei passeggeri vengono discusse sistematicamente nel corso di tali incontri.

4. Dal 2005 il numero di reclami ricevuti dalla Commissione è diminuito e dal 2007 si è stabilizzato intorno alle 2 200 lettere e e-mail all’anno. Le due tipologie di incidenti che i passeggeri denunciano con maggior frequenza spesso sono correlate al bagaglio (regolamento 889/2002 relativo all’attuazione della convenzione di Montreal), o al ritardo prolungato o la cancellazione di un volo (regolamento 261/2004). In seguito all’adozione del regolamento 261/2004, il numero di prenotazioni eccedenti e declassamenti è nettamente diminuito.

5. Ad autunno 2009 la Commissione intende presentare al Parlamento europeo e al Consiglio un’altra relazione sull’operatività e i risultati ottenuti dal regolamento 261/2004. La comunicazione che la Commissione adotterà il secondo semestre di quest’anno analizzerà i quattro anni di operatività del regolamento al fine di valutare se il numero di incidenti è stato ridotto e la tutela dei diritti dei passeggeri migliorata. Tale comunicazione annuncerà altresì le intenzioni della Commissione sulle future misure di legge.

 
 

(1) 1 GU L 46 del 17.2.2004, p. 1.
(2) COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO a norma dell’articolo 17 del regolamento (CE) n. 261/2004 in merito all’applicazione e agli effetti del medesimo regolamento, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato (COM(2007)0168 e SEC(2007)0426)
(3) http://apr.europa.eu

 

Interrogazione n. 70 dell’onorevole Zwiefka (H-0011/09)
 Oggetto: Oscuramento dell’emittente televisiva al-Manar
 

La Germania ha recentemente proibito la diffusione dei programmi dell’emittente televisiva al-Manar su tutto il territorio nazionale. L’ordinanza vieta a chiunque di collaborare con l’emittente e fa seguito ai divieti di diffusione adottati in Francia, Spagna e nei Paesi Bassi e dovuti alla violazione, da parte della stazione televisiva, della legislazione europea in materia di audiovisivi.

Secondo l’ordinanza di divieto, emessa l’11 novembre dal Ministro federale dell’Interno tedesco, “lo scopo e l’attività di al-Manar consistono nel sostenere, difendere e incitare all’uso della violenza come mezzo per raggiungere obiettivi politici e religiosi”. L’ordinanza spiega inoltre che l’emittente diffonde “appelli al martirio” invitando a compiere attentati suicidi e menziona i versi del Corano utilizzati da al-Manar per giustificare e istigare alla violenza.

Ha la Commissione sollevato il problema della diffusione dei programmi dell’emittente televisiva al-Manar in Europa attraverso Nilesat, durante la riunione del comitato di associazione UE-Egitto svoltasi il 16 dicembre 2008? In caso contrario, può la Commissione spiegare perché?

 
  
 

(EN) La Commissione condivide la preoccupazione dell’onorevole deputato che alcuni programmi dell’emittente televisiva al-Manar incitino all’odio.

Il primo incontro del comitato di associazione UE-Egitto, svoltosi il 16 dicembre 2008, ha preso nota dei progressi compiuti nell’attuazione dell’accordo di associazione e del piano d’azione congiunto nell’ambito della politica europea di vicinato. Tra le altre voci all’ordine del giorno, il comitato di associazione ha discusso le conclusioni degli incontri dei vari sottocomitati che si sono svolti nel sorso del 2008, ma nessun argomento è stato affrontato nel dettaglio, in quanto tale genere di analisi viene portata avanti a livello dei sottocomitati.

Il sottocomitato per le questioni politiche con l’Egitto è la sede corretta per sollevare questioni relative alla lotta contro il razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza, incluso l’obiettivo, nell’ambito del piano d’azione congiunto UE-Egitto, di rafforzare il ruolo dei media nella lotta alla xenofobia e alla discriminazione per ragioni legate a credenze religiose o culturali e di invitarli ad assumersi le proprie responsabilità in materia.

Il primo incontro del sottocomitato per le questioni politiche con l’Egitto, svoltosi il 2-3 giugno 2008, non ha sollevato la questione dell’incitamento all’odio attraverso i mezzi di comunicazione. Alla luce dei molti altri sviluppi urgenti che dovevano essere affrontati, nonché delle priorità dell’Unione per il dialogo in questione, è stato deciso assieme agli Stati membri che tale argomentazione non sarebbe stata affrontata nell’ambito di questo primo incontro (V. riposta della Commissione alle interrogazioni orali H-0480/08 e H-0491/08).

La Commissione ha sollevato la questione delle trasmissioni di al-Manar in molte altre occasioni. Ad esempio, a seguito di un intervento della Commissione in occasione del secondo incontro del sottocomitato UE-Libano per i diritti umani, la governance e la democrazia, svoltosi il 17 novembre 2008, il governo libanese ha affermato di non aver mai ricevuto lamentele ufficiali sulla rete al-Manar. Inoltre la questione è stata affrontata in occasione dell’incontro del gruppo di lavoro delle autorità responsabili dei servizi audiovisivi(1)il 4 luglio 2008. Nel corso dell’incontro del comitato di contatto(2)del 16 dicembre 2008, la Commissione ha chiesto agli Stati membri se vi fossero prove recenti che la rete televisiva al-Manar incitasse ancora all’odio e, in caso affermativo, se volessero sporgere denuncia diplomatica al governo libanese (e informarne la Commissione).

La Commissione continua a seguire da vicino la questione e si riserva di sollevarla in un’altra occasione nell’ambito dei dialoghi politici regolari che l’Unione europea intrattiene con Egitto e Libano, nonché in qualunque altro incontro.

 
 

(1) Stabilito dalla direttiva 89/552/CEE modificata dalla direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive - GU L 332 del 18.12.2007.
(2) Stabilito dalla direttiva 89/552/CEE modificata dalla direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive - GU L 332 del 18.12.2007.

 

Interrogazione n. 71 dell’onorevole Hołowczyc (H-0020/09)
 Oggetto: Equilibrio della concorrenza e diritti dei consumatori nei trasporti aerei all’interno della Comunità
 

L’obiettivo della direttiva 2005/29/CE era quello di unificare la legislazione relativa alle pratiche commerciali sleali nella Comunità. L’oggetto della direttiva è l’armonizzazione della legislazione concernente la lotta alla concorrenza sleale nelle relazioni tra le imprese e i consumatori. Gli obiettivi della direttiva 2005/29/CE(1)sono riaffermati nella comunicazione COM(2007)0099 della Commissione sulla strategia per la politica dei consumatori dell’UE 2007-2013.

Rispettando il dinamico sviluppo del mercato dei vettori aerei “a basso costo”, che è qualcosa di positivo, può la Commissione far sapere quali iniziative intende adottare verso tali vettori al fine di garantire un’informazione onesta riguardo ai prezzi?

Non reputa la Commissione che il fatto che la linea aerea irlandese “a basso costo” fattura sistematicamente, al momento dell’acquisto di un biglietto online, dei prezzi di molto superiori alla tariffa indicata inizialmente al consumatore sia contrario agli obiettivi della direttiva?

 
  
 

(EN) La Commissione è consapevole del problema relativo a prezzari chiari e completi nel settore aereo e ha intrapreso delle azioni volte a garantire che le compagnie aeree migliorino le proprie pratiche. Nel settembre 2007, la Commissione ha coordinato assieme alle autorità nazionali una perlustrazione europea dei siti web che vendono biglietti aerei, inclusi quelli elle compagnie aeree.

Sono stati controllati più di 400 siti e i risultati hanno mostrato che circa un terzo presentava irregolarità e una delle più comuni riguardava informazioni ingannevoli sui prezzi. Voli che talvolta venivano pubblicizzati come gratuiti spesso non comprendevano tasse e spese, che facevano salire il prezzo finale a valori sostanzialmente più elevati di quelli pubblicizzati. Il 60 per cento di tali irregolarità è stato corretto(2)nei 13 mesi successivi. Il rimanente 40 per cento è ancora oggetto d’indagine.

La direttiva sulle pratiche commerciali sleali(3)obbliga gli operatori economici a fornire ai consumatori le informazioni necessarie per tempo e in modo chiaro, in modo da permettere loro di effettuare una scelta oculata. Gli operatori sono altresì tenuti a fornire prezzi chiari, completi e definitivi, comprensivi di tasse e altre imposte in fase di pubblicizzazione dei prezzi.

La direttiva stabilisce anche che se l’informazione fornita è di fatto corretta, sarebbe considerata ingannevole qualora inganni o possa ingannare il consumatore medio. La lista nere della direttiva, inoltre, vieta di descrivere ingannevolmente un prodotto come gratuito se non lo è.

Più specificatamente, il regolamento sulle norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità(4), entrato in vigore il 1 novembre 2008, obbliga le compagnie aeree a esporre prezziari completi, inclusivi di tasse aeroportuali, diritti e supplementi prevedibili.

A novembre, io e il Commissario per i trasporti abbiamo incontrato i rappresentanti del settore per aumentare il livello di rispetto della legislazione comunitaria in materia di diritti del consumatore dei loro siti web. Abbiamo fornito loro un elenco di verifica che i loro siti devono rispettare e la Commissione li ha informati che in primavera uno studio indipendente esaminerà quali siti rispettino tale elenco di verifica(5).

 
 

(1) GU L 149 del 11 giugno 2005, pag. 22.
(2) IP/08/1857
(3) Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»).
(4) Regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 settembre 2008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità (rifusione)
(5) IP/08/1857

 

Interrogazione n. 72 dell’onorevole Toussas (H-0021/09)
 Oggetto: Degrado dei trasporti di cabotaggio marittimo
 

Sulla base dei dati documentali forniti dalla Direzione generale della concorrenza greca, 14 compagnie di navigazione e l’Unione delle imprese di navigazione sono accusate, fra l’altro, di “concorso trasversale nella politica dei prezzi, “congelamento” delle tratte, fissazione indiretta dei noli e concorso trasversale in seno all’U.I.N. per tagliare i collegamenti verso le isole dell’Egeo e del Dodecaneso” a esclusivo profitto delle compagnie di navigazione. Il quadro legislativo predisposto in Grecia dai governi di Nea Dimokratia e del Pasok, così come è avvenuto anche in altri Sati membri, sulla base del regolamento (CEE) n. 3577/92(1), ha comportato il degrado complessivo dei collegamenti marittimi con gravi ripercussioni sui lavoratori e sugli abitanti delle isole. E’ inaccettabile che, in vista della fine della legislatura e dopo che sono trascorsi 7 anni dalla pubblicazione della sua ultima relazione (COM(2002)0203) sull’applicazione del principio della libera circolazione dei servizi al cabotaggio marittimo, la Commissione non ne abbia più pubblicato.

Può essa dire quali sono i motivi della mancata pubblicazione della relazione in questione e quando intende procedervi? Ha essa in animo di abrogare il regolamento (CEE) n. 3577/92 fortemente impopolare che ha istituzionalizzato l’assoluto privilegio degli armatori e dei loro cartelli in materia di cabotaggio marittimo?

(EN) La Commissione prende nota delle preoccupazioni espresse dall’onorevole deputato sulle presunte pratiche dei vettori greci, ma desidera segnalare che a partire dal 1° maggio 2004(2)la Commissione, le autorità nazionali in materia di concorrenza e le corti nazionali degli Stati membri sono corresponsabili del rispetto delle norme comunitarie in materia di concorrenza. La Commissione confida che l’autorità greca in materia di concorrenza attuerà la normativa europea di riferimento se quest’ultima può essere applicata ai casi descritti. In tal caso, l’autorità greca è tenuta a operare in stretta collaborazione con la Commissione (articolo 11 del regolamento 1/2003).

Lo scopo del regolamento sul cabotaggio(3)è liberalizzare i servizi di cabotaggio marittimo garantendo agli armatori comunitari con imbarcazioni registrate in uno Stato membro e munite della rispettiva bandiera, la libertà di fornire tali servizi in seno a qualunque Stato membro dell’Unione. E’ bene notare che detto regolamento ha liberalizzato tali servizi nel rispetto delle necessità specifiche del trasporto pubblico da e verso le isole, lasciando agli Stati membri la scelta di fornire un servizio pubblico e in quale misura.

La Commissione sta monitorando molto da vicino l’attuazione del regolamento sul cabotaggio. Ai sensi dell’articolo 10 del regolamento, inoltre, la Commissione ha l’obbligo di sottoporre al Consiglio una relazione sulla sua attuazione ogni due anni. Come indicato dall’onorevole deputato, la (quarta e) ultima relazione, relativa al biennio 1999-2000, è stata adottata nel 2002. Di comune accordo con il Consiglio(4)la Commissione ha deciso di coprire con la quinta relazione un arco di tempo più lungo, in modo da analizzare a fondo l’evoluzione del mercato del cabotaggio nella Comunità, inclusa la Grecia, che è stata l’ultimo paese a beneficiare della deroga. La Commissione sta attualmente stilando la propria quinta relazione. Nell’ambito di tale esercizio, la Commissione intende consultare le parti interessate prima di adottare la relazione e, se necessario, sottoporre loro ulteriori proposte.

 
 
 

(1) GU L 364 del 12.12.1992, pag. 7.
(2) Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, GU L 1 del 4.1.2003, pag. 1.
(3) Regolamento (CEE) n. 3577/92 del Consiglio, del 7 dicembre 1992, concernente l’applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi fra Stati membri (cabotaggio marittimo), GU L 364 del 12.12.1992, pag.7.
(4) Conclusioni del Consiglio del 5.11.2002

 

Interrogazione n. 73 dell’onorevole Droutsas (H-0023/09)
 Oggetto: Conseguenze catastrofiche della crisi commerciale sugli agricoltori
 

L’attuazione dei regolamenti derivanti dalla cosiddetta revisione di metà periodo per i singoli prodotti ha avuto come conseguenza che i prezzi sono crollati al punto da non coprire nemmeno il costo di produzione. Per fare degli esempi precisi, il prezzo del grano duro che era di 0,50 EUR al chilo nel 2007 è sceso a 0,30 EUR al chilo nel 2008, mentre quello del cotone che era di 0,4 EUR al chilo nel 2007 è sceso a 0,20 EUR al chilo nel 2008 e quello dell’olio che era di 3,5 EUR nel 2007 è sceso a 2,4 EUR nel 2008, ecc.

Poiché tali crolli dei prezzi portano alla bancarotta la maggior parte delle aziende agricole greche, intende la Commissione prendere provvedimenti per far fronte alle conseguenze catastrofiche della crisi commerciale?

 
  
 

(EN) Dopo un brusco e rapido aumento a cavallo tra il 2007 e il 2008, i prezzi di diversi prodotti agricoli di base sono crollati drasticamente soprattutto a causa del forte incremento della produzione nel 2008 a livello comunitario e globale. Ora sono tornati a livelli simili o lievemente inferiori a quelli precedenti questi forti squilibri. Il calo dei prezzi è stato inoltre esacerbato dall’aumento del nervosismo e dell’incertezza sulle prospettive economiche e dalle turbolenze generalizzate nel sistema finanziario globale.

Il calo dei prezzi ha portato nel 2008 a una diminuzione dei redditi in diversi Stati membri, sebbene l’aumento dei costi di produzione (in particolare dell’energia e dei fertilizzanti) fosse di fatto il principale fattore di diminuzione dei redditi agricoli. In Grecia, il reddito agricolo individuale è calato del 7 per cento in termini reali, nonostante un aumento del 3 per cento del valore dei prodotti agricoli (derivato da un aumento del 4 per cento del volume di produzione e a un leggero calo dell’1 per cento dei prezzi dei prodotti).

A dispetto di questo andamento sfavorevole dei prezzi, nel 2008 il reddito degli agricoltori greci era sostanzialmente integrato dalla concessione da parte dell’Unione europea dei pagamenti diretti disaccoppiati, che vengono versati indipendentemente dai prezzi prevalenti sul mercato e che costituiscono circa il 40 per cento del reddito di un agricoltore greco. Inoltre, nel tentativo di contrastare l’attuale andamento decrescente dei prezzi del mercato agricolo, la Commissione ha recentemente modificato la gestione del mercato lattiero-caseario.

 

Interrogazione n. 74 dell’onorevole Karim (H-0026/09)
 Oggetto: Videoconferenze transfrontaliere
 

Il 18 dicembre 2008 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione recante raccomandazioni alla Commissione in materia di giustizia elettronica. La risoluzione afferma che l’attuale sistema di raccolta di prove penali in altri Stati membri è ancora basato sugli strumenti lenti e inefficaci offerti dall’assistenza giudiziaria reciproca in materia penale e che, se del caso ed esclusivamente qualora non rechi pregiudizio alla posizione giuridica del teste, l’impiego di strumenti tecnologici come la videoconferenza costituirebbe un grande progresso nell’assunzione di prove a distanza.

Ciononostante, non sono ancora disponibili statistiche sull’utilizzazione pratica della videoconferenza e sembra che tale sistema non sia ancora pienamente sfruttato.

Prevede la Commissione l’adozione di misure specifiche per sfruttare pienamente la videoconferenza? Inoltre, può la Commissione fornire una lista dei paesi e delle reali ubicazioni dove la videoconferenza è possibile?

Concorda la Commissione sul fatto che vi è l’esigenza specifica di adottare adeguate misure di salvaguardia per garantire la protezione dei diritti dei cittadini e l’integrità dei sistemi giudiziari?

Intende la Commissione prendere in considerazione o addirittura riconoscere gli svantaggi del sistema di videoconferenza?

 
  
 

(EN) 1. La Commissione condivide l’opinione secondo cui la possibilità di utilizzare videoconferenze per l’assunzione di prove in processi transfrontalieri potrebbe rendere più semplici le procedure ai cittadini coinvolti.

La legislazione europea stabilisce già possibilità e norme per l’utilizzo della videoconferenza per processi transfrontalieri:

- Atto del Consiglio del 29 maggio 2000 che stabilisce, ai sensi dell’articolo 34 del trattato sull’Unione europea, la convenzione europea sulla reciproca assistenza in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea.

- Regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale.

- Direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato.

- Regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità.

Il regolamento del 2001 autorizza un tribunale di uno Stato membro a richiedere al tribunale di un altro Stato membro di assumere prove in un altro Stato membro. Tale regolamento stabilisce l’uso delle tecnologie più avanzate e privilegia la videoconferenza. A sostegno dell’attuazione di tale regolamento, all’inizio del 2007 sono state distribuite 50 000 copie di una guida pratica al regolamento stesso per sensibilizzare la magistratura sulle disposizioni in esso contenute.

Nei processi penali, la convenzione del 2000 indica che gli Stati membri sono tenuti a dar seguito alla richiesta da parte di un altro Stato membro di raccogliere la deposizione di un teste o di un esperto in videoconferenza, a condizione che ciò non sia contrari ai principi fondamentali della loro legislazione nazionale e che siano provvisti dei mezzi tecnici per effettuare la deposizione.

L’autorità giudiziaria dello Stato membro oggetto della richiesta invita la persona a comparire in tribunale nel rispetto della legislazione nazionale. Al’udienza deve presenziare un membro della magistratura di tale Stato membro. La persona convocata può appellarsi al diritto di non testimoniare ai sensi della legislazione del paese richiedente o di quello convocante.

Tali norme si applicano all’udienza di testimoni ed esperti, tuttavia gli Stati membri possono concordare di applicarle anche all’udienza della difesa, nel rispetto della legislazione nazionale e dei relativi strumenti internazionali.

Anche l’accordo del 2003 sulla reciproca assistenza in materia giuridica tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America comprende disposizioni sull’uso della videoconferenza.

La risoluzione del Parlamento europeo e il piano d’azione del Consiglio sulla giustizia elettronica invitano a considerare tutti i possibili usi degli strumenti di videoconferenza durante i processi.

2. Il 5 dicembre 2007, la Commissione ha adottato una relazione sull’applicazione del regolamento n. 1206/2001 del Consiglio(1). Per preparare tale relazione, è stata condotta un’indagine i cui risultati sono stati pubblicati a marzo 2007(2). Tale indagine ha dimostrato che, per quanto attiene all’uso di tecnologie di comunicazione avanzate per la raccolta di testimonianze:

il 62,2 per cento dei giuristi professionisti indicava che tali mezzi venivano scarsamente utilizzati;

il 17,7 per cento aveva assistito qualche volta al suo utilizzo;

il 4,2 per cento li aveva visti impiegare con frequenza.

Il 24,3 per cento di tali professionisti ha indicato l’uso di avanzate tecnologie di comunicazione come fattori di interesse per migliorare l’efficacia nella raccolta di testimonianze, ridurre i costi e accorciare sensibilmente i tempi.

Le attuali discussioni in seno al gruppo di lavoro del Consiglio sulla giustizia elettronica hanno mostrato che, sebbene il ricorso alla videoconferenza non sia ampiamente diffuso, i recenti sforzi compiuti in questa direzione dagli Stati membri hanno portato a una maggiore diffusione della relativa attrezzatura nei tribunali e a un maggiore interesse per il ricorso alla videoconferenza per processi transfrontalieri.

Un’indagine organizzata dal Consiglio ha dimostrato che l’attrezzatura installata in vari Stati membri risponde agli stessi standard tecnici internazionali. Nondimeno questioni organizzative (come punti di contatto, fasi di prova, eccetera) e giuridiche (sufficiente conoscenza di un sistema e di una struttura giuridici diversi) possono costituire un impedimento o un ostacolo a un uso maggiormente diffuso della videoconferenza nei processi transfrontalieri.

3. L’atlante della rete giudiziaria europea (RGE) in materia civile e penale(3) include un elenco dei tribunali di tutti gli Stati membri. Se il punto di contatto nazionale della rete ha fornito tale informazione, è possibile identificare quali tribunali sono muniti di attrezzature per videoconferenze e mettersi in contatto con essi.

Il futuro portale della giustizia elettronica europea, che dovrebbe essere presentato al termine del dicembre 2009, includerà informazioni più dettagliate sull’uso della videoconferenza e l’ubicazione delle attrezzature per videoconferenza nei tribunali.

4. La giustizia elettronica europea rappresenta una priorità per la Commissione. Nelle discussioni relative all’uso di strumenti tecnologici dell’informazione per migliorare l’efficacia dei processi transfrontalieri, la tutela dei diritti delle vittime e dei convenuti è un fattore essenziale. L’organizzazione e il contesto giuridico relativi all’uso di videoconferenze in processi nazionali è di responsabilità degli Stati membri.

Nondimeno la Commissione accoglie con favore qualunque commento e proposta volti a migliorare l’integrità dei sistemi giudiziari e a tutelare i diritti dei cittadini. La Commissione intrattiene rapporti diretti con organizzazioni di operatori di giustizia sia europee che nazionali. Nel 2009, l’uso di videoconferenze nei processi transfrontalieri verrà discusso in uno degli incontri del Forum sulla giustizia(4), il cui scopo è stimolare gli scambi di esperienze e le discussioni sul migliore utilizzo di tale strumento.

5. E’ necessario accertare correttamente i benefici e le possibili conseguenze negative dell’uso di videoconferenze nei processi transfrontalieri. E’ essenziale garantire il pieno rispetto dei diritti dei cittadini e assicurare che la qualità del lavoro degli operatori di giustizia non ne vengano influenzati negativamente e che le necessità dei cittadini e dei professionisti del settore vengano prese in considerazione nella fase di adattamento di tali strumenti.

Nei processi transfrontalieri, ad esempio, la procedura potrebbe svolgersi in un contesto multilingue. La qualità dell’interpretazione diventa allora una questione cruciale, che dev’essere analizzata in dettaglio, sia in loco che a distanza.

La Commissione sostiene la ricerca sulle necessità specifiche dell’interpretazione nell’ambito degli scambi in videoconferenza.

Per sfruttare al massimo il potenziale della videoconferenza e per garantirne il miglior utilizzo, è necessario valutare e promuovere le migliori pratiche, comprenderne le criticità e fornire risposte concrete. In una fase successiva potrebbero rivelarsi necessarie ulteriori disposizioni di legge, ma al momento questo non sembra costituire il principale ostacolo.

 
 

(1) COM (2007) 769 def.
(2) http://ec.europa.eu/justice_home/doc_centre/civil/studies/doc/final_report_ec_1206_2001_a_09032007.pdf
(3) http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html/index_it.htm
(4) http://ec.europa.eu/justice_home/news/information_dossiers/justice_forum/index_en.htm

 

Interrogazione n. 75 dell’onorevole Irujo Amezaga (H-0027/09)
 Oggetto: Carte geografiche con la denominazione corretta di Euskal Herria
 

Il deputato Pomés, nella sua interrogazione P-6678/08, affermava erroneamente che il termine “Euskal Herria” non era valido. L’art.1 dello Statuto di autonomia del Paese basco (legge organica 3/1979) recita esattamente: “Il popolo basco o Euskal Herria, come espressione della propria nazionalità e per conseguire la propria autonomia, si costituisce come comunità autonoma all’interno dello Stato spagnolo con il nome di Euskadi o Paese basco, in conformità della Costituzione e del presente Statuto che costituisce la legge istituzionale fondamentale”. Inoltre, l’art.2 legge testualmente che le province di “Álava, Guipúzcoa e Biscaglia, insieme alla Navarra, hanno il diritto di entrare a far parte della comunità autonoma del Paese basco”.

È chiaro, dunque, come il termine Euskal Herria sia riconosciuto da un testo giuridico di alto livello come la citata legge organica e che questo termine includa anche la Navarra.

Alla luce di questi nuovi elementi, può dire la Commissione se ha considerato che non si tratta di un errore tecnico, come afferma Margot Wallström nella sua risposta all’interrogazione di cui sopra?

 
  
 

(EN) La cartina geografica dell’Europa pubblicata dalla Commissione a scopi informativi fornisce esclusivamente i nomi ufficiali delle comunità autonome e segue la divisione territoriale stabilita dallo Stato membro.

 

Interrogazione n. 76 dell’onorevole Czarnecki (H-0036/09)
 Oggetto: Progressi nella lotta contro la corruzione nei paesi balcanici
 

Qual è il parere della Commissione in merito ai progressi ottenuti nella lotta contro la corruzione nei paesi balcanici candidati all’adesione all’UE?

 
  
 

(EN) La lotta contro la corruzione è una delle questioni chiave che la Commissione monitora da vicino e promuove nei paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali. Tale azioni è condotta in stretta collaborazione con le altri principali parti interessate, come il Consiglio d’Europa, istituzioni finanziarie internazionali e organizzazioni non governative. Nella nostra relazioni annuale sui progressi realizzati, riferiamo nel dettaglio quali siano gli sviluppi in quest’area. La lotta contro la corruzione è un parametro fondamentale anche per il dialogo di liberalizzazioni dei visti.

In generale, nonostante i considerevoli sforzi fatti in alcuni paesi, la corruzione rimane un serio problema nella maggior parte dei Balcani occidentali. In particolare, le condanne per corruzione tendono a essere percentualmente basse, lasciando sospettare casi di corruzione interni al sistema giudiziario. Finanziamenti ai partiti politici, privatizzazioni e appalti pubblici sono le aree maggiormente vulnerabili alla corruzione, ma il fenomeno interessa anche altri settori, come l’istruzione e la sanità.

Per quanto attiene ai paesi candidati, si ravvisano ulteriori progressi:

In Croazia, il contesto giuridico di lotta contro la corruzione è ora ampiamente in vigore e l’Ufficio per la lotta contro la corruzione e il crimine organizzato (USKOK) continua a essere sempre più attivo. Nondimeno la corruzione rimane un fenomeno diffuso. Sono necessari ulteriori sforzi per gestire e perseguire la corruzione ad alti livelli nonché nell’ambito degli appalti pubblici. Manca una cultura di responsabilità politica.

L’ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha compiuto alcuni progressi nell’attuazione della propria politica contro la corruzione e ha migliorato alcune leggi in materia, tuttavia l’ordinamento giuridico frammentato risultato dall’ampio numero di atti legislativi continua a rendere difficili le fasi di attuazione e controllo. In generale, la corruzione permane un problema particolarmente serio. E’ necessario effettuare ulteriori passi in avanti nell’attuazione delle disposizioni in materia di finanziamenti ai partiti politici e alle campagne elettorali.

Per quanto attiene ai potenziali candidati, la situazione è come segue.

In Albania, i progressi in materia di lotta contro la corruzione rimangono lenti. A ottobre 2008 sono stati adottati una nuova strategia contro la corruzione per il quinquennio 2007-2013 e il relativo piano d’azione. L’attuazione non è ancora iniziata e i meccanismi di monitoraggio devono essere ancora stabiliti. La corruzione in Albania rimane un problema particolarmente serio.

Anche per quanto attiene alla Bosnia ed Erzegovina, i progressi rimangono lenti. La Commissione ha sottolineato, negli incontri con i leader politici locali, la necessità di dimostrare una volontà politica e di intraprendere azioni determinate per combattere la corruzione. Il paese necessita di migliorare la propria legislazione in materia di lotta contro la corruzione e di rafforzare i processi di indagine e incriminazione.

In Montenegro, sono stati compiuti sforzi nel monitoraggio, nella sensibilizzazione e nell’adozione del contesto giuridico necessario alla lotta contro la corruzione, tuttavia quest’ultima continua a rappresentare un problema grave e diffuso, con risultati limitati nel garantire processi e detenzioni adeguati.

La Serbia ha compiuto progressi nella lotta contro la corruzione e nello sviluppo di una politica globale in materia. Il contesto legislativo è migliorato e in seno a tribunali e uffici preposti sono state istituite sezioni specializzate nel settore. Nondimeno i risultati concreti della lotta contro la corruzione sono stati finora limitati e la corruzione continua a essere un fenomeno diffuso che pone seri problemi al Paese.

Nel caso del Kosovo, quale definito dalla risoluzione n. 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la corruzione rappresenta ancora un fenomeno diffuso e un serio problema a causa della legislazione e delle misure di attuazione insufficienti, nonché della mancanza di una volontà politica netta e della debolezza del sistema giudiziario.

 
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