Presidente. – Dichiaro ripresa la sessione del Parlamento europeo, interrotta giovedì 12 marzo 2009.
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Innanzi tutto desidero dare il benvenuto al nuovo segretario generale del Parlamento europeo, il signor Welle, qui alla mia destra, e augurargli tutto il successo possibile per i suoi impegni futuri.
(Applausi)
Anche al vicesegretario generale, il signor Harley, che rappresenta la continuità all’interno del segretariato, auguro il migliore dei successi.
Presidente . – Onorevoli deputati, mi è stato chiesto di fare la seguente dichiarazione. Questa settimana segna il sessantesimo anniversario della deportazione di centinaia di migliaia di cittadini dagli Stati del Mar Baltico. La notte del 24 marzo 1949 ebbe inizio un’ondata di deportazioni sovietiche durante le quali, decine di migliaia di cittadini estoni, lettoni e lituani furono espulsi a forza dalla loro patria, privati dei loro diritti umani e civili e morirono in seguito alle condizioni rigide e inumane che patirono nei campi di prigionia sovietici.
Quasi ogni famiglia in Lettonia, Lituania ed Estonia, e in altre repubbliche sovietiche, ha sofferto per l’orrenda violenza perpetrata dal regime comunista totalitario. In quasi tutte le famiglie si contano membri dispersi in Siberia, perseguitati dal KGB o incarcerati e uccisi. Gli eventi di cui parliamo non sono avvenuti in un passato oscuro e lontano e rimangono una memoria vivida per molti di coloro che oggi sono cittadini europei.
E’ pertanto nostro dovere, sulla base dei nostri valori condivisi e per commemorare le numerose vittime di queste deportazioni, condannare in maniera chiara e ferma gli abominevoli crimini perpetrati dal regime comunista totalitario sovietico. Valutare il passato in maniera oggettiva, profonda e attenta è doveroso nei confronti delle vittime, giacché la riconciliazione si basa sempre esclusivamente sulla realtà e sulla memoria.
3. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Presidente . – Oggi ho l’onore di dare il benvenuto al Parlamento europeo a una delegazione del parlamento panafricano. Come sapete, questa istituzione è per l’Unione africana il corrispettivo del Parlamento europeo per l’Unione europea.
Sono particolarmente lieto di dare il benvenuto all’onorevole Khumalo e ai suoi colleghi parlamentari e colgo l’opportunità per ringraziare loro e il presidente del parlamento panafricano, il signor Mongella, per il benvenuto riservatomi in occasione della mia visita in ottobre e per l’invito a rivolgermi alla sessione plenaria del parlamento panafricano.
Desidero pertanto esprimervi nuovamente il mio benvenuto, sono sinceramente lieto di avervi qui oggi.
(Applausi)
6. Dichiarazioni scritte decadute: vedasi processo verbale
7. Seguito dato alle posizioni e risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
8. Trasmissione di testi di accordo da parte del Consiglio: vedasi processo verbale
9. Petizioni: vedasi processo verbale
10. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
11. Interrogazioni orali e dichiarazioni scritte (presentazione): vedasi processo verbale
Monica Frassoni (Verts/ALE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, io ho una domanda per lei che riguarda il Consiglio europeo. Ci è stato detto che durante la riunione del Consiglio europeo lei ha sostenuto che il Parlamento è d'accordo di avere il voto del Presidente della Commissione il 15 luglio e di avere il voto sul resto della Commissione una volta che il trattato di Lisbona fosse adottato.
Vorrei sapere se questo è vero e, se questo è vero, sulla base di quale mandato lei ha fatto queste dichiarazioni.
Presidente . – Onorevole Frassoni, giacché lei stessa era presente, sono sicuro che ricorda la discussione su questo tema alla Conferenza dei presidenti. Ci fu una singola obiezione alla data del 15 luglio: la sua. Tutti i presidenti dei gruppi condividevano la posizione espressa nella mia dichiarazione al Consiglio e, a tal proposito, il testo del mio discorso è a disposizione di tutti i parlamentari e del pubblico.
13. Interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica
Presidente. – L’ordine del giorno reca gli interventi di un minuto su questioni di rilevanza politica.
Erna Hennicot-Schoepges (PPE-DE) . – (FR) Signor Presidente, vorrei richiamare l’attenzione del Parlamento europeo sull’arrivo del presidente bielorusso Lukashenko a Praga. L’arrivo del presidente Lukashenko è in linea con i valori che sosteniamo? L’Unione europea può avere relazioni con un presiedente che detiene il potere assoluto, senza limiti di tempo e senza un mandato? Che immagine darà l’Unione europea accettando la presenza di un presidente che ha fatto eliminare numerosi dei suoi oppositori politici e che limita i diritti dei propri cittadini? Che immagine daremo all’amministrazione Obama della nostra Unione quando c’è un cittadino statunitense che languisce nelle prigioni bielorusse ed è condannato a morte certa se non si interverrà al più presto? Ritengo che l’invito non avrebbe mai dovuto essere formulato
Antonio Masip Hidalgo (PSE). – (ES) Signor Presidente, desidero parlare di El Musel, il porto principale della regione dalla quale provengo, le Asturie.
E’ fondamentale che la Commissione sblocchi i finanziamenti a copertura dei costi aggiuntivi di questo porto. Il commissario Tajani ha riconosciuto tale necessità, come prima di lui aveva fatto il commissario Barrot; entrambi si sono resi conto delle grandi sfide funzionali e ambientali che interessano El Musel.
Nel cuore della crisi, alla luce della vitale importanza che l’attività di luoghi come El Musel riveste, è tempo di scavalcare gli sproporzionati ostacoli e lungaggini burocratiche per pensare in grande e portare avanti le richieste di finanziamento tanto importanti per le Asturie, per il nord della Spagna e anche per la ripresa economica europea a cui la Spagna, desidero ribadirlo, è onorata di contribuire.
Metin Kazak (ALDE) . – (BG) Il risultato della riunione dell’ultimo Consiglio europeo è un esempio di applicazione di uno dei principi fondamentali dell’Unione europea: la solidarietà.
I 5,6 miliardi di euro in aiuti, permetteranno alla popolazione del vecchio continente di superare le conseguenze della crisi economica e finanziaria globale. I 105 milioni di euro stanziati per la Bulgaria, destinati a salvaguardare la sicurezza energetica, a istituire la rete Internet a banda larga e all’agricoltura, rispecchiano il sostegno e la crescente fiducia nel programma del governo per affrontare la crisi.
Per il mio paese, è fondamentale che l’estensione richiesta per la compensazione fino al 2013 per la chiusura anticipata dei blocchi tre e quattro della centrale nucleare di Kozloduy sia approvata dalla Commissione europea e sostenuta dal Parlamento. La Bulgaria è stato il paese che ha registrato le maggiori perdite a seguito dalla recente guerra del gas tra Russia e Ucraina ed è pertanto importante il rispetto del principio secondo il quale tutti gli Stati membri devono ricevere pari trattamento.
Conto sul sostegno del presidente della Commissione Barroso e chiedo agli onorevoli colleghi di far sì che in Europa prevalgano la giustizia e la solidarietà.
Eoin Ryan (UEN) . – (EN) Signor Presidente, desidero sollevare la questione degli attacchi e delle critiche provenienti da alcuni settori sul sistema bancario e finanziario irlandese.
Il sistema irlandese opera all’interno di una direttiva quadro in materia normativa e giuridica stabilita dall’Unione europea. Il sistema in Irlanda può quindi essere forte o debole a seconda della stabilità del quadro europeo. Come tutti sappiamo, il sistema normativo ha fallito a livello globale e l’Irlanda non è migliore o peggiore di qualsiasi altro paese.
Mi oppongo ai commenti denigratori all’Irlanda da parte dei media londinesi, tedeschi e newyorchesi. I sistemi normativi e bancari di questi paesi hanno affrontato le medesime sfide e problemi equivalenti o, in molti casi anche più gravi, rispetto a quelli che hanno colpito l’Irlanda. Le costanti critiche da parte di alcuni vicini europei sono basate più sul pregiudizio che su elementi oggettivi e non aiutano la solidarietà, in un momento in cui l’Unione europea si trova di fronte a un’enorme sfida in termini finanziari ed economici.
László Tőkés (Verts/ALE) . – (HU) La joint venture rumeno-canadese Roşia Montană Gold Corporation, conosciuta a livello internazionale, sta progettando la creazione della più grande miniera d’oro a cielo aperto d’Europa nella città di Verespatak (Roşia Montană) in Transilvania. Il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del dicembre 2004, ha espresso profonda preoccupazione riguardo la minaccia di catastrofe naturale che tale progetto rappresenta. L’assemblea generale del 2005 del Consiglio internazionale per i monumenti e i siti (ICOMOS), ha a sua volta deliberato la tutela del patrimonio storico dell’antico insediamento.
L’impresa, accompagnata da una serie di scandali, vuole utilizzare lo stesso metodo operativo fondato sulla tecnologia a base di cianuro che ha contaminato l’intero corso del fiume Tisza nel 2000. Anche il patrimonio architettonico di Verespatak (Roşia Montană) è stato distrutto, con un conseguente impoverimento della popolazione. Sembra che il governo rumeno si stia preparando a revocare il divieto temporaneo all’investimento.
Richiedo l’intervento del Parlamento europeo per salvare Verespatak e proteggerne l’ambiente naturale. Da parte sua, la Commissione europea dovrebbe contribuire alla riqualificazione della città distrutta e del suo ambiente.
Georgios Toussas (GUE/NGL) . – (EL) Signor Presidente, nei prossimi giorni ricorreranno:
- 10 anni dalla sporca guerra scatenata dalla NATO e dai governi dell’Unione europea, sia di centro destra sia di centro sinistra, contro la popolazione della Iugoslavia;
- 6 anni dalla guerra e dall’occupazione criminale dell’Iraq ad opera degli Stati Uniti e dei loro degni alleati, che è costata la vita a circa un milione e mezzo di iracheni;
- 60 anni dalla costituzione della NATO, la macchina da guerra imperialista, minaccia alla pace mondiale, che si prepara a festeggiare il suo sessantesimo anniversario con un vertice celebrativo a Strasburgo.
A Washington dieci anni fa, il 23 e 24 aprile 1999, i leader dei paesi della NATO, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’organizzazione, sottoscrissero una dichiarazione approvando la nuova dottrina e una strategia che sovvertiva i fondamenti del diritto internazionale. A questo documento fece seguito una serie di interventi criminali ad opera della NATO in Afganistan, Iran e nel Medio Oriente.
In preparazione al vertice della NATO, le autorità francesi hanno interdetto il centro di Strasburgo e attivato l’infrastruttura prevista dalla convenzione di Schengen per impedire l’entrata in Francia dei pacifisti e hanno inoltre mobilitato ingenti forze militari e di polizia per affrontare i dimostranti. Tali misure, che violano palesemente i diritti democratici fondamentali, illustrano in quale misura gli imperialisti e la NATO temano le persone.
Le persone devono rispondere alle celebrazioni e ai festeggiamenti per il sessantesimo anniversario della NATO criminale e imperialista rafforzando il movimento pacifista anti-imperialista e consolidando la richiesta da parte del popolo che la NATO sia sciolta...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Kathy Sinnott (IND/DEM) . – (EN) Signor Presidente, la storia degli intergruppi di questo Parlamento è lunga e degna di lode, poiché al loro interno i deputati possono unirsi al di là delle divisioni politiche per affrontare questioni specifiche.
Ad esempio, l’intergruppo più antico – quello sulla disabilità – esamina le normative presentate al Parlamento per garantire che queste siano a favore degli interessi delle persone disabili e si impegna a fornire informazioni agli altri deputati in merito alle questioni legate alla disabilità.
Nonostante la preziosa attività degli intergruppi, essi sono stati messi da parte nel corso dell’ultimo anno e, in pratica, sono stati ridotti al silenzio tramite regole parlamentari interne che non concedono loro spazi e sale riunione nel programma della seduta di Strasburgo.
Ritengo che tale problema debba essere risolto urgentemente, prima della nuova legislatura, altrimenti gli intergruppi diventeranno solo un ricordo. Senza di essi il Parlamento sarebbe molto più povero e ne risentirebbe anche l’attività al servizio dei cittadini europei.
(Applausi)
Desislav Chukolov (NI) . – (BG) Onorevoli deputati, negli ultimi anni, in Bulgaria, è stata adottata una pratica deprecabile, nota con il nome di "acquisto di voti".
Tale pratica è stata adottata da ogni gruppo politico, escluso il partito patriottico Attack. Anche i partiti che si definiscono alternativi ai governanti comprano i voti, come hanno dimostrato le informazioni pervenute, qualche giorno fa, dal paese di Brest, vicino a Pleven.
Sembra che le prossime elezioni nel nostro paese saranno le più manipolate e disoneste della storia recente della Bulgaria. Il partito etnico turco anticostituzionale MRF ha destinato l’ingente somma di 60 milioni di euro per accaparrarsi il maggior numero possibile di deputati che rappresentino gli interessi della Turchia sia al Parlamento europeo sia all’assemblea nazionale della Repubblica di Bulgaria.
Esiste il pericolo reale che nel prossimo Parlamento europeo siedano deputati eletti grazie all’acquisto di voti. Noi dell’Attack diciamo “No alla Turchia in Europa” e chiediamo al presidente Pöttering di esercitare pressione sulle autorità bulgare affinché tale manovra sia sventata nelle prossime elezioni attraverso l’adozione di leggi elettorali.
György Schöpflin (PPE-DE) . – (HU) La storia la conosciamo tutti: ad alcune centinaia di metri dal confine ungherese, in un paese austriaco, Heiligenkreuz, un’impresa austriaca intende costruire un inceneritore a elevata capacità. Dall’altra parte del confine, in Ungheria, la città di Szentgotthárd considera tale progetto inaccettabile per ragioni legate, tra l’altro, alla tutela ambientale.
Negli ultimi due anni, ci sono state numerose proteste da parte degli ungheresi, regolarmente ignorate dagli austriaci, e questo ha portato alla nascita di un crescente sentimento anti-austriaco che sta cominciando a ripercuotersi anche sulle relazioni, tradizionalmente amichevoli, tra i due paesi.
Chiediamo al partito austriaco di esaminare il progetto, tenendo in considerazione le preoccupazioni degli ungheresi, e di fermare tale sviluppo.
Gyula Hegyi (PSE) . – (EN) Signor Presidente, in gennaio la Commissione si è scagliata contro la moratoria sul mais geneticamente modificato MON810. La moratoria è chiaramente sostenuta dall’intera comunità scientifica ungherese, da tutti i partiti politici e dalla società nel suo insieme. Al Consiglio europeo di marzo, l’Ungheria e l’Austria hanno ottenuto una grande maggioranza in merito al mantenimento della moratoria, nonostante la decisione della Commissione e ben 23 dei 27 Stati membri hanno sostenuto l’Ungheria nonostante la Commissione.
Questa situazione dimostra che è giunto per noi il momento di rivalutare i metodi di autorizzazione degli OMG nell’Unione europea. Ritengo che, come emerge chiaramente dal voto del Consiglio, la maggior parte degli Stati europei condivide la nostra idea, ovvero ritiene che gli Stati membri debbano possedere le competenze per autorizzare o meno un OMG. Spero che il nuovo Parlamento eletto darà vita a un nuovo regolamento sull’autorizzazione degli OMG, fondato sullo spirito di sussidiarietà e trasparenza. La Commissione dovrebbe collaborare con il Parlamento e gli Stati membri e non imporre il proprio volere.
Jean Marie Beaupuy (ALDE) . – (FR) Signor Presidente, una delle nostre colleghe ha appena sollevato il problema degli intergruppi.
Al Parlamento vi sono oltre 20 intergruppi e il loro lavoro è stato notevole nel corso dell’attuale legislatura uscente. Innumerevoli documenti hanno beneficiato del lavoro dei nostri intergruppi. Signor Presidente, migliaia di persone e centinaia di istituzioni sono state ricevute in Parlamento grazie al lavoro degli intergruppi. Se continueremo a limitare il loro lavoro, non concedendo loro gli spazi necessari agli incontri, ci saranno ulteriori dimostrazioni.
Signor Presidente, lei ha una lunga esperienza del nostro Parlamento. Non permetta che sottogruppi più o meno segreti si riuniscano durante la prossima legislatura. La trasparenza a livello di intergruppo non ci spaventa e le chiediamo pertanto di valutare apertamente tali istituzioni in questa legislatura, per dimostrare la loro utilità.
Signor Presidente, la prego di non ignorare le richieste degli intergruppi e tutte le lettere che le sono state indirizzate negli ultimi anni.
Ewa Tomaszewska (UEN) . – (PL) Signor Presidente, la crisi demografica in Europa è innegabile e la conseguente scarsità lavorativa costituisce una minaccia allo sviluppo economico degli Stati membri dell’Unione europea. La crisi sta inoltre danneggiando l’efficienza del sistema pensionistico e creando seri problemi ai sistemi europei di assistenza sanitaria e sociale.
Nel frattempo, la Commissione europea non è riuscita a comprendere i nostri sforzi per fermare le tendenze demografiche negative attraverso la promozione dello sviluppo familiare. In particolare, sono state sollevate obiezioni sulla necessità di ridurre l’IVA sui prodotti per la prima infanzia, come i pannolini. L’idea di penalizzare i singoli paesi per aver adottato tali soluzioni dimostra una mancanza di consapevolezza dei pericoli che affrontiamo oppure, in alternativa, può essere vista come una dimostrazione di cattiva fede. Qualunque sia la causa, rimane un fatto inaccettabile.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL) . – (PT) E’scandaloso che l’unica fabbrica di pneumatici di proprietà interamente portoghese sia inattiva da molti mesi, mettendo a rischio direttamente quasi 300 posti di lavoro nell’area socialmente svantaggiata di Vale do Ave. Questa regione ha uno dei livelli di disoccupazione più alti dell’Unione europea, a seguito di una serie di chiusure di aziende e di tagli all’occupazione nel settore tessile.
I lavoratori della Camac a Santo Tirso e i sindacati che li rappresentano hanno esposto pubblicamente questa grave situazione, indicando che l’impresa non deve nulla alle banche o allo Stato, ma si trova anzi a credito per decine di migliaia di euro a causa della ritenuta alla fonte dell’IVA. I maggiori creditori sono proprio gli operai, che non hanno ricevuto il salario dato che la società non è stata in grado di far fronte alle conseguenze della svalutazione della sterlina britannica, considerato che il Regno Unito costituisce la meta principale delle esportazioni e vista la vertiginosa crescita vertiginosa dei costi delle materie prime utilizzate nel processo produttivo.
A seguito della presentazione della richiesta di insolvenza, i lavoratori attenderanno una soluzione fino al 30 marzo. Il governo portoghese e la Commissione europea devono rispondere urgentemente a questo avvertimento e al malcontento dei lavoratori, per evitare ulteriore disoccupazione e povertà in un’area in cui non esistono alternative professionali.
Philip Bushill-Matthews (PPE-DE) . – (EN) Signor Presidente, la revisione e la riforma delle procedure parlamentari sono argomenti tra le priorità all’ordine del giorno e sono sicuro che stanno particolarmente a cuore anche a lei.
Se mi è concesso, vorrei sottolineare le osservazioni già espresse da alcuni onorevoli deputati sull’importanza degli intergruppi. Sono copresidente dell’Intergruppo parlamentare sugli anziani e, come forse sapete, oltre il 50 per cento degli elettori quest’anno, per la prima volta, sarà costituito da persone oltre i 50 anni d’età. Le questioni legate all’invecchiamento non sono soltanto nell’interesse dei presenti, ma di tutte le persone che compongono i nostri collegi elettorali.
Le chiedo, signor Presidente, di utilizzare chiarezza ed equità, doti che contraddistiguono la sua presidenza, per garantire che, da oggi in poi, il lavoro degli intergruppi sia reso più semplice e non venga ostacolato. Può darci la sua parola?
Presidente . − E’ sempre piacevole vedere tutti i conservatori britannici uniti nell’interesse europeo e schierati tutti dalla nostra parte. Vi ringrazio molto e prometto che farò del mio meglio.
Proinsias De Rossa (PSE) . – (EN) Signor Presidente, desidero sollevare la questione delle violazioni del diritto ambientale in Irlanda, con specifico riferimento alla qualità dell’acqua. La nuova indagine europea sulla qualità delle risorse idriche in Irlanda indica che per quasi due terzi dei cittadini la qualità dell’acqua è un grave problema, mentre la metà degli irlandesi ritiene che la qualità sia peggiorata rispetto al 2004.
L’ottanta per cento delle persone non ha visto alcun miglioramento nella qualità dei nostri fiumi, dei laghi e delle acque costiere negli ultimi cinque anni. Da sette anni la Commissione sta verificando se il governo irlandese sia in linea con una decisione della Corte di giustizia europea del 2002, secondo la quale l’Irlanda non rispettava la normativa sulla qualità delle acque.
Dobbiamo trovare il modo per assicurarci che le leggi che approviamo nell’interesse dei cittadini europei siano effettivamente applicate dagli Stati membri e la Commissione, l’organo di vigilanza dell’Unione europea, deve agire quindi in maniera puntuale.
Kinga Gál (PPE-DE) . – (HU) Nei nuovi Stati membri, nei momenti di tensione, emerge ancora il riflesso, inaccettabile ai sensi dello stato di diritto, di coloro che stavano al potere. In occasione di una festa nazionale ungherese, a Budapest, si sono verificate violazioni inaccettabili dei diritti politici. L’area circostante i festeggiamenti è stata totalmente interdetta, come accadeva durante la dittatura. Alcuni giorni fa, alle richieste di dimissione del primo ministro e a quelle per un governo più responsabile è stato risposto con un’azione di polizia caratterizzata da detenzioni e trattamenti inumani e umilianti.
Dal fine settimana abbiamo potuto constatare che anche le autorità non rispettano la democrazia, poiché stanno tentando di impedire lo svolgimento delle elezioni anticipate, rimpastando le cariche politiche principali. Questo non è il tipo di stato democratico, retto dallo stato di diritto, che sognavano le nuove generazioni alla fine del regime comunista; abbiamo invece la sensazione che si tratti dell’inizio di una moderata dittatura.
Analogamente, anche le azioni delle autorità rumene richiamano i fantasmi del passato. Infatti, ignorando le raccomandazioni delle autorità rumene, il presidente della Repubblica di Ungheria ha partecipato alle celebrazioni del 15 marzo assieme alla comunità ungherese in Romania − che conta un milione e mezzo di persone − in veste non di autorità ma di comune cittadino. Il presidente ha dovuto raggiungere in auto il luogo dei festeggiamenti perché il permesso di atterraggio per l’aereo presidenziale è stato revocato dalla Romania, con la ridicola giustificazione che la visita avrebbe danneggiato il partenariato tra i due paesi. Tutto questo è avvenuto nel 2009, tra due Stati confinanti, entrambi membri dell’Unione europea.
Csaba Sándor Tabajdi (PSE) . – (HU) Il vertice UE della scorsa settimana ha confermato alcuni principi fondamentali, ribaditi anche dal Parlamento europeo, ovvero che l’Unione europea non tollera il protezionismo e non permette la distruzione dei risultati del mercato comune. Mi congratulo con il presidente per la sua presenza alla riunione del Consiglio europeo.
Sono state prese importanti decisioni, incluse sulle questioni segnalate un anno fa dal primo ministro ungherese Gyurcsány e sostenute dalla relazione Rasmussen al Parlamento europeo, ovvero l’istituzione di un sistema di sorveglianza del mercato finanziario e delle banche. Su questo tema, al vertice è stata presa una decisione che segna un importante passo in avanti.
Il fatto che le banche non possano abbandonare le proprie filiali in Europa centrale e orientale e negli Stati del Mar Baltico, ma che debbano invece destinarvi l’assistenza che ricevono, costituisce un importante passo avanti per l’intera Unione europea, ma soprattutto per gli stati di quelle regioni.
Un altro progresso nell’espressione della solidarietà dell’Unione europea è rappresentato dal fatto che il sostegno ai pagamenti a saldo degli Stati membri esterni alla zona euro è stato raddoppiato, passando da 25 a 50 miliardi di euro. Questa decisione è nell’interesse comune di tutti noi e, fortunatamente, nell’interesse dell’intera Unione europea.
Aurelio Juri (PSE) . – (SL) Nel corso dell’ultima seduta è stato approvato un importante pacchetto in materia di legislazione marittima che ha portato al miglioramento delle procedure da seguire in caso di incidenti in mare.
Come sappiamo, il mare ci porta numerosi vantaggi, ma implica anche dei rischi. Quando si verificano gravi incidenti, chi vive lungo le coste ne paga le conseguenze. La miglior strada da seguire è dunque la prevenzione, in particolare per regolare il volume e la natura dei traffici marittimi sulla base della sensibilità dell’area di transito.
Per questo desidero formulare la seguente interrogazione alla Commissione, e in particolare al commissario Tajani, responsabile dei trasporti, a cui mi rivolgerò nella sua lingua madre, l’italiano.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, (...) come le finalità di questo nuovo ordinamento della sicurezza in mare si conciliano con i progetti dei due rigassificatori metaniferi nel golfo di Trieste, zona a denso traffico navale e a densa concentrazione urbana con un mare a fondale basso, non oltre i venti metri, e da non toccare perché intriso di mercurio. Terminali che attireranno, se realizzati, una metaniera alla settimana per impianto. Sappiamo dei rischi che queste navi comportano in zone come quella indicata.
Bogusław Rogalski (UEN) . – (PL) Signor Presidente, oggi desidero concentrarmi nello specifico sul modo in cui l’esercito israeliano sta tentando di distruggere la nazione palestinese davanti ai nostri occhi, una questione rimanere che non deve lasciarci indifferenti.
Ascolto con sgomento i servizi dei media israeliani e i racconti dei soldati che hanno ricevuto l’ordine di aprire il fuoco contro civili, inclusi donne e bambini. Il quotidiano Haarec ha pubblicato l’ordine scritto, impartito da un comandante ai suoi sottoposti, di sparare alle persone che aiutavano i feriti palestinesi. Alla fine, i soldati hanno imparato a disprezzare le vite dei palestinesi e le macabre magliette indossate dai soldati israeliani raffiguranti una donna araba incinta con lo slogan “un colpo, due morti” ne sono la dimostrazione.
Dobbiamo rompere il silenzio che regna sulla questione in quest’Assemblea. Nessuna nazione è migliore o peggiore di un’altra; oggi i palestinesi hanno bisogno del nostro aiuto e del nostro sostegno ed è nostro dovere accettare la sfida e affrontare il problema.
Anna Záborská (PPE-DE) . – (SK) Due settimane fa, signor Presidente, lei ci ha riferito una notizia triste e sconvolgente: in Germania, un ragazzo ha ucciso 15 persone prima di togliersi la vita. Ha commesso una serie di omicidi che hanno gettato molte persone nel dolore e nella disperazione; tra questi, anche i suoi familiari hanno perso un figlio e il loro mondo è stato sconvolto.
Vorrei citare le parole del presidente tedesco in occasione dei funerali delle vittime: “Dobbiamo tutti porci una domanda molto seria: stiamo facendo abbastanza per proteggere noi stessi e i nostri figli? Stiamo facendo abbastanza per proteggere coloro che sono a rischio? Stiamo facendo abbastanza per la pace nei nostri paesi? Dobbiamo chiederci cosa possiamo migliorare in futuro e quali insegnamenti dobbiamo trarre da questo doloroso evento. Aiutiamo i genitori e i loro figli a stare lontani dai pericoli”.
Richiedo quindi nuovamente al Parlamento europeo e alla Commissione di sostenere la campagna europea “Do you know where your children are?” (Sapete dove sono i vostri figli?). Come già ho detto a questa Camera, facciamo il possibile affinché tragedie come questo non si ripetano.
Silvia-Adriana Ţicău (PSE) . – (RO) L’Unione europea è, soprattutto, un’Europa sociale. Abbiamo bisogno di sviluppo economico, ma abbiamo altrettanto bisogno di posti di lavoro, stipendi e pensioni dignitosi, accesso ai servizi sanitari ed educativi che, per funzionare, devono essere di buona qualità.
Nel corso di una crisi economica, molte aziende affrontano delle difficoltà e i dipendenti perdono il lavoro.
In Romania, nelle sedi della Arcelor Mittal a Galati e Hunedoara, diverse migliaia di dipendenti saranno, tecnicamente parlando, messi in cassa integrazione , ricevendo solo il 75 per cento dello stipendio, oppure semplicemente licenziati. Situazioni analoghe si registrano anche in altri paesi e in altre aziende, in diversi comparti industriali.
Invito la Commissione a considerare la preparazione di una decisione del Consiglio, allo scopo di rivedere i criteri di accesso al Fondo sociale europeo e al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Questo passaggio deve avvenire a livello industriale e aziendale, non soltanto a livello regionale e locale, in modo che i fondi siano mobilitati velocemente a sostegno dei lavoratori in crisi.
Ritengo che l’Europa possa e debba fare di più per i dipendenti in difficoltà.
Edit Bauer (PPE-DE) . – (HU) Vorrei richiamare l’attenzione sui metodi utilizzati dal governo slovacco per reprimere i diritti linguistici delle minoranze che violano i diritti di queste ultime. La scorsa settimana, il governo ha approvato un emendamento normativo sulla lingua nazionale che, secondo il governo, non ha effetti sull’utilizzo delle lingue delle minoranze; il disegno di legge lascia tuttavia intendere ben altro.
Vorrei citare due esempi. Il l’articolo 8 paragrafo 4 del disegno di legge fa riferimento all’assistenza sanitaria e alle istituzioni sociali, stabilendo due casi in cui gli appartenenti a un gruppo minoritario possono utilizzare la propria lingua madre presso tali istituzioni: se non conoscono la lingua nazionale o se l’istituzione si trova in un insediamento dove la percentuale di appartenenti alle minoranze supera il 20 per cento. Un medico dovrà quindi come prima cosa chiedere al paziente quale lingua parla, e solo dopo potrà accertare il problema, altrimenti si verificherà una violazione della legge punibile, secondo il disegno di legge, con una multa da 100 a 5 000 euro.
La situazione non è migliore quando si tratta dei servizi di informazione, giacché i programmi radiofonici, ad eccezione del servizio radiofonico pubblico, dovranno essere trasmessi prima nella lingua della minoranza seguita da una traduzione integrale.
Signor Presidente, la mia domanda è: le minoranze possono contare sul sostegno dell’Europa?
Jelko Kacin (ALDE) . – (SL) Sin dal settembre del 1945, in Europa, a Basovizza, vicino a Trieste, poco lontano dal confine tra Italia e Slovenia, esiste un monumento che commemora i primi anti fascisti. Quattro patrioti sloveni, Bidovec, Marusic, Milos e Valencic, furono condannati a morte da uno speciale tribunale fascista durante il primo processo triestino.
Fino a oggi, il monumento è stato danneggiato e imbrattato con della vernice sedici volte, l’ultima poco più di una settimana fa. Questi atti di vandalismo fanno parte di una serie di azioni politiche, economiche, culturali e didattiche per esercitare pressione sulla comunità slovena in Italia e sulla Repubblica slovena.
Questi comportamenti, che includono l’imbrattamento dei monumenti sloveni, dei muri delle scuole slovene e dei segnali stradali che riportano i nomi in sloveno hanno ferito profondamente i sentimenti dei cittadini italiani di origine slovena e dei cittadini della Repubblica di Slovenia.
Nessuno è ancora stato chiamato a rispondere di tali atti criminali. Mi rifiuto di credere che la polizia italiana non sia stata in grado di identificare i colpevoli o che vi sia una mancanza di volontà politica in questo senso. Mi sembra davvero troppo che per sedici volte consecutive non sia stato possibile identificare i colpevoli.
Dimitar Stoyanov (NI) . – (BG) Onorevoli deputati, durante l’ultima tornata, nel contesto della discussione sulla Turchia, si è anche parlato del mancato riconoscimento da parte di questo paese del genocidio degli armeni. Questo però non è l’unico genocidio non riconosciuto, commesso dai turchi nel corso di cinquecento anni: il genocidio dei bulgari.
Desidero portarvi a conoscenza di una piccola parte di questo evento verificatosi nell’arco di quattro giorni nell’aprile del 1876, attraverso le parole scritte al tempo da un giornalista americano di nome MacGahan:
“Per me non fa differenza se queste informazioni siano imparziali o meno, quando le cifre parlano di 15 000 persone uccise in quattro giorni. Nessun arrotondamento può cambiare l’orrore che accompagna queste cifre, che divengono di portata colossale quando poi si apprendono, nella loro interezza, tutti i perniciosi, spregevoli dettagli di questa barbara strage. Lo stesso console francese ha sentito i bashibazouk raccontassero deliziati al loro attento pubblico di come, dopo aver mozzato il capo ai bambini, guardassero con curiosità i loro piccoli corpi cadere e rotolare a terra come si trattasse di polli sgozzati”.
Queste poche righe descrivono solo quattro giorni dei cinque secoli di autentico genocidio perpetrato dalla Turchia ottomana nei confronti dei bulgari ridotti in schiavitù. Noi deputati del partito Attack vogliamo il riconoscimento di tali eventi e chiediamo le scuse ufficiali prima di prendere parte a qualsiasi discussione in merito all’adesione della Turchia all’Unione europea.
Ioannis Gklavakis (PPE-DE) . – (EL) Signor Presidente, oltre a essere una politica agricola ed economica, la politica agricola comune, modificata dal 2003 al 2008, è ora, a parer mio giustamente, in larga parte anche una politica sociale. Si stanno ad esempio rafforzando i programmi di aiuto alimentare, si prendono iniziative che riguardano la frutta e la verdura nelle scuole – misure a mio parere molto positive – e sono in corso programmi per l’introduzione della banda larga e valorizzarla valorizzazione delle campagne.
Abbiamo però ancora bisogno di una forte politica agricola comune per far fronte alle attuali necessità giacché, grazie alla PAC, gli agricoltori ricevano sostegno e non abbandonino le campagne. Dobbiamo quindi richiedere ad una voce che le risorse destinate alla politica agricola non siano dirottate su se vogliamo:
- alimenti sicuri, perché solo questi possono e devono essere alimenti europei;
- adeguatezza degli alimenti, perché solo così saremo in grado di fronteggiare la crisi;
- un ambiente protetto dove i generi alimentari dovranno essere coltivati nel rispetto delle pratiche europee;
- aiutare gli agricoltori a rimanere nelle campagne;
- avere consumatori sani fornendo loro alimenti europei.
In conclusione, desidero fare appello all’Unione europea affinché incrementi il proprio bilancio, per garantire un futuro alla nostra Europa. Se vogliamo un settore agricolo solido, dobbiamo incrementare i finanziamenti alla politica agricola comune.
Chris Davies (ALDE) . – Signor Presidente, è passato più di un mese dalla sua visita a Gaza, ma le ultime cifre trasmesse dal governo israeliano dimostrano che nulla è cambiato: ai materiali necessari alla ricostruzione, per le scuole o per l’industria non è ancora concesso attraversare i checkpoint. I bombardamenti sono cessati, ma il blocco persiste.
Forse é giunto il momento per il Parlamento di tentare di influenzare l’opinione pubblica ospitando la mostra delle magliette a cui un altro deputato ha fatto riferimento poco fa, abbigliamento personalizzato con i soggetti scelti da soldati – tra cui i cecchini della Brigata Givati – che includono l’immagine di una donna palestinese incinta con lo slogan “un colpo, due morti”. I giornali israeliani nominano anche altri soggetti, ancora più razzisti, estremi, biechi. Vedendo manifestazioni di questo genere dovremmo chiederci se, nella situazione attuale, sia sensato proseguire con l’Accordo di associazione UE-Israele.
Presidente . – Onorevole Davis, alla riunione dello scorso mercoledì, l’Assemblea parlamentare euromediterranea, da me presieduta, ha adottato una risoluzione sulla tragica situazione del Medio Oriente. Voglio ricordarglielo perché la risoluzione è meritevole di attenzione. Grazie per le sue considerazioni.
Péter Olajos (PPE-DE) . – (HU) Non è la prima volta che mi trovo costretto a parlare in merito alla proposta di costruire un’enorme centrale a carbone, con emissioni annuali di anidride carbonica pari a 4 milioni di tonnellate, nella città di Tőketerebes (Trebišov) in Slovacchia. Questo progetto ha sollevato proteste da entrambi i lati del confine, sia da parte slovacca sia da parte ungherese, ma le parti coinvolte hanno comunque ripreso la concessione delle licenze per la centrale.
Oltreconfine, il governo ungherese ha elaborato una “strategia per la gestione della crisi e la crescita” ai sensi della quale, sulla base della gestione della crisi, l’Ungheria starebbe tentando di espandere con un nuovo blocco di 440 megawatt, alimentato a lignite, la maggiore fonte di emissioni di anidride carbonica, ovvero la centrale di Mátra, che emette oltre 6 milioni di tonnellate di agenti inquinanti l’anno. Non serve specificare che nessuna di queste centrali utilizzerà il sistema di cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica.
Alla fine dello scorso anno, l’Unione europea ha adottato il pacchetto sul clima e lo scorso fine settimana, al vertice UE, sono stati approvati i finanziamenti al regime di compensazione per il clima per i paesi in via di sviluppo. Inoltre, ci stiamo preparando con moltissimo impegno per la conferenza sul clima di Copenaghen prevista a dicembre. Nel frattempo, i leader di due stati membri, Slovacchia e Ungheria – benché quest’ultimo abbia in realtà dato le dimissioni – stanno continuando come se niente fosse a finanziare il cambiamento climatico con il denaro dei nostri contribuenti, ignorando le loro proteste. Spero che l’Unione europea non fornirà né sostegno politico né materiale a tale progetto.
Luisa Morgantini (GUE/NGL). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mentre a Gerusalemme Est continuano le demolizioni di centinaia di case palestinesi, anche la cultura palestinese è bersaglio della politica israeliana. Alcuni soldati israeliani purtroppo hanno messo sulle loro magliette un'immagine di una donna palestinese bersaglio con la scritta "un colpo solo, due morti", una donna incinta palestinese.
La cultura araba viene colpita. L'autorità palestinese ha scelto di fare insieme ai paesi arabi, Gerusalemme Est - non tutta Gerusalemme - capitale della cultura araba per il 2009. Israele ha arrestato 20 attivisti - tra di loro anche internazionali - che stavano semplicemente facendo un evento per la cultura palestinese. È un tentativo di distruggere qualsiasi presenza palestinese a Gerusalemme Est.
Mi chiedo quindi se la comunità internazionale possa fare qualcosa, fare in modo che questo evento, che Gerusalemme sia davvero una capitale condivisa, possa avere successo. Muoviamoci perché questo evento avvenga.
Alojz Peterle (PPE-DE) . – (SL) Nel fine settimana, la Slovenia, in particolare la regione della Bassa Carniola, è stata turbata dalla decisione della Renault di spostare la produzione del modello Clio da Novo Mesto in Francia.
Mi piacerebbe poter credere alla spiegazione ufficiale, secondo la quale la decisione è stata presa in seguito alla maggiore domanda di Clio e Twingo e non a causa di un protezionismo emerso a fronte delle difficoltà del settore automobilistico.
Onorevoli deputati, a chi appartiene la fabbrica di auto Revoz di Novo Mesto, alla Slovenia o alla Francia? La risposta è ovvia: uno stabilimento produttivo sloveno che costruisce vetture francesi è evidentemente uno stabilimento produttivo europeo.
Credo fermamente che sia nostro dovere proteggere l’industria automobilistica con una soluzione europea, piuttosto che attraverso soluzioni nazionali. In caso contrario, ci allontaneremmo dal rispetto delle quattro libertà fondamentali che sono la base del mercato unico europeo.
Milan Horáček (Verts/ALE) . – (DE) Signor Presidente, all’inizio di marzo, i prigionieri politici Mikhail Khodorkowski e Platon Lebedev sono stati trasferiti da Chita, in Siberia, a Mosca, e fatti nuovamente oggetto di accuse insostenibili. La prima udienza pubblica si terrà il 31 marzo. In quella data avrebbe dovuto tenersi anche la quinta tornata di consultazioni sui diritti umani, tra Unione europea e Russia, ma i russi hanno rimandato questa importante discussione a data da destinarsi.
La Russia sta dimostrando molto chiaramente lo scarso valore che attribuisce ai diritti umani. Invece di amministrare la giustizia, il sistema giudiziario continua ad essere uno strumento di eliminazione degli oppositori del regime, mentre si getta sabbia negli occhi dell’Unione europea.
Richard Seeber (PPE-DE) . – (DE) Signor Presidente, vorrei avanzare una critica alla Commissione in merito alla decisione, presentata per iscritto la settimana scorsa, di vietare la tradizionale lampadina. Sostengo appieno gli standard di efficienza energetica e gli obiettivi per il clima stabiliti assieme alla Commissione e al Consiglio, ma, in questo caso, si è sbagliato approccio. E’ evidente che i cittadini non si sentono coinvolti quando si prendono decisioni a porte chiuse utilizzando procedure di comitato. E’ pertanto meritevole di biasimo il fatto che la Commissione non sia riuscita a coinvolgere il Parlamento europeo nel processo decisionale e non abbia rispettato la normale procedura.
In secondo luogo c’è stata un’evidente mancanza di comunicazione. Le persone sono molto preoccupate, giacché non è stata condotta alcuna valutazione ampia dell’impatto di tali misure, specialmente se si considera che queste lampadine contengono mercurio e costituiscono pertanto una minaccia alla salute dell’uomo, in particolare quella dei bambini.
In terzo luogo, sarebbe stato saggio pensare al futuro e promuovere nuove tecnologie. Chiedo pertanto alla Commissione di presentare una nuova proposta.
Tunne Kelam (PPE-DE) . – (EN) Signor Presidente, i cittadini estoni, lettoni e lituani desiderano esprimerle la propria gratitudine per la solidarietà manifestata in occasione del sessantesimo anniversario della deportazione del 1949 dagli Stati del Mar Baltico, universalmente riconosciuta come un crimine contro l’umanità commesso in tempo di pace quattro anni dopo la fine della guerra. Due terzi dei deportati erano donne e bambini, che furono mandati in Siberia per circa 10 anni. In proporzione, se tali deportazioni fossero avvenute nei tre stati scandinavi (Svezia, Danimarca e Norvegia) la cifra dei deportati sarebbe stata di mezzo milione.
Oggi è tuttavia evidente che l’allargamento economico e politico europeo non è sufficiente per avere un’Europa realmente integrata come una "comunità di valori". Ci serve un nuovo allargamento, quello della coscienza europea. Abbiamo estremo bisogno di una consapevolezza e di una volontà europea di riconoscere tali crimini e pregiudizi come parte integrante della nostra storia comune.
Maria Petre (PPE-DE) . – (RO) Come molti oratori prima di me, anche io desidero esprimermi in merito al bisogno di solidarietà.
L’indipendenza energetica dell’Unione europea e la solidarietà degli Stati membri in questo campo sono oggi più necessarie che mai. La nostra azione deve essere unita e coerente, alla luce non solo dei rischi ma anche della necessità di diversificare le nostre risorse.
Mi congratulo con il Consiglio europeo per l’accordo raggiunto sul piano europeo di ripresa economica, per l’attenzione riservata al settore dell’energia e per il finanziamento del progetto Nabucco.
Chiedo alla Commissione europea di trovare, in maniera rapida ed efficiente, i metodi per garantire che tali finanziamenti siano efficaci e producano i risultati desiderati sia nel settore dell’energia, sia, in particolare, in quello economico, gravemente colpito e minacciato dal protezionismo.
Ricorrere al protezionismo è la soluzione peggiore cui si possa pensare sia nelle economie emergenti sia in quelle sviluppate.
Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE) . – (EL) Signor Presidente, è trascorso un anno da quando la decisione del gruppo per il riesame del regolamento interno del Parlamento europeo ha complicato il lavoro degli intergruppi, stabilendo che essi dovessero svolgere la propria attività solo il giovedì pomeriggio. Questa decisione ha eliminato a tutti gli effetti gli intergruppi, che costituivano una piattaforma per la presentazione di idee su argomenti che, per la maggior parte, non riguardavano le politiche europee, come la questione della famiglia.
Io presiedo l’intergruppo per la famiglia e la protezione dell'infanzia e devo riferirvi il profondo rammarico da parte sia delle associazioni delle famiglie della società civile sia dei comuni cittadini europei per il fatto di non potersi più esprimere tramite questo intergruppo.
Il gruppo per la revisione del regolamento non ci ha detto se è stata condotta una valutazione degli intergruppi e non ha fornito una soluzione per il futuro. Come saranno sostituiti?
Nicodim Bulzesc (PPE-DE) . – (EN) Signor Presidente, desidero parlare di una questione molto importante, legata al premio letterario europeo. Il premio è finanziato dal programma culturale dell’Unione europea e mira a valorizzare la creatività nel campo della fiction contemporanea. Ritengo che sia un’iniziativa molto positiva, ma nutro delle riserve sulla sua attuazione.
Sono stato contattato da organizzazioni culturali del mio paese, scontente per l’esclusione della Romania quest’anno dal programma; ogni anno, dei 34 paesi candidati, solo 12 vengono inclusi nel programma. La domanda legittima riguarda il modo in cui i paesi rimanenti, inclusa la Romania, possano prendervi attivamente parte se non sono inclusi nel programma. Desidero portare questo problema alla vostra attenzione e spero che, assieme alla Commissione europea, troveremo un modo conveniente per risolverlo.
Nicolae Vlad Popa (PPE-DE). – (RO) Signor Presidente, onorevoli deputati, questo sarà un anno difficile per l’Europa, che si trova ad affrontare sfide senza precedenti nella storia europea.
Dobbiamo fronteggiare la crisi economica, finanziaria ed energetica, il cambiamento climatico e il terrorismo che minaccia quanto costruito fino ad ora. Ecco perché rimanere uniti è più importante che mai.
Dobbiamo assumere una posizione contro le argomentazioni anti-europee, contro gli elementi ultra-nazionalisti, fenomeni distruttivi e pericolosi. Nella situazione attuale i cittadini, insoddisfatti a causa dell’aggravarsi della crisi oltre che per altri problemi, possono essere facilmente manipolati dagli ultra-nazionalisti che sfruttano questo clima di malcontento generale per attaccare l’Europa unita. Desidero ricordare che gli effetti della crisi di cui risentiamo ora sarebbero stati catastrofici senza l’Unione europea e la zona euro.
Invito i politici europei impegnati nella campagna elettorale ad adottare una ferma posizione contro le argomentazioni antieuropee. Li invito a non fare propri elementi ultranazionalisti o sciovinisti solo per guadagnare qualche voto in più. Vi ringrazio.
Iuliu Winkler (PPE-DE) . – (HU) A seguito della crisi economica globale, i discorsi ufficiali parlano del bisogno di restaurare urgentemente la fiducia nel sistema finanziario internazionale. Oggigiorno la fiducia è un concetto fondamentale che si riflette anche nei documenti dell’Unione europea.
Vorrei proporre un altro concetto chiave: la solidarietà, o cooperazione, che è un valore fondamentale, spesso ripetuto, su cui l’Unione europea si basa. Vorrei chiedere se noi, al di fuori della zona euro, possiamo parlare di applicazione della solidarietà quando ci viene consigliato di incrementare l’onere fiscale anziché contrare sul fondo di crisi europeo e sui relativi meccanismi, fondo che l’Unione europea gestisce proprio in base al principio di solidarietà.
I cittadini degli Stati membri dell’Europa centrale e orientale dovranno quindi abbandonare la speranza di raggiungere gli standard di vita europei in tempi ragionevoli? Non credo. Sono invece certo che la posizione dell’Europa, che l’UE annuncerà prima del vertice del G20, sarà accettabile per tutti noi.
Csaba Sógor (PPE-DE) . – (HU) Le comunità ungheresi di cinque Stati membri hanno di recente commemorato la rivoluzione ungherese e la guerra di indipendenza del 1948-49. Al tempo, gli ungheresi combatterono per la libertà fianco a fianco con polacchi, serbi, croati, svevi, tedeschi, austriaci, armeni e rumeni contro i due maggiori eserciti dell’Europa di quel tempo.
Ogni anno, a marzo, commemoriamo questo evento e così fanno i presidenti di altri due paesi. Le autorità rumene hanno cercato, in modo deplorevole e senza perseguire certo gli interessi dell’Unione europea, di impedire che il presidente ungherese Sólyom si recasse in Romania. Cosa sarebbe successo se avessero tentato di fare altrettanto con il presidente degli Stati Uniti d’America Obama, che ha reso personalmente omaggio alla guerra di indipendenza ungherese del 1848, qualora avesse voluto recarsi in visita in Romania?
Sarebbe positivo se, alla fine, potessimo tutti renderci conto che viviamo in Europa, dove possiamo rispettare sia il passato e la storia di ognuno sia le rispettive celebrazioni nazionali.
Călin Cătălin Chiriţă (PPE-DE) . – (RO) Sostengo pienamente l’integrazione e l’adesione della Serbia all’Unione europea e chiedo pertanto alla Commissione europea di adottare misure specifiche efficaci in grado di garantire i diritti delle persone della minoranza rumena che vivono nella valle del Timoc.
La convenzione quadro europea per la protezione delle minoranze nazionali e la Carta europea per lingue regionali o minoritarie devono essere applicate in maniera efficace nella valle del Timoc nelle province di Craina, Morava, Pojarevaţ e Timoc nella Serbia orientale. Siamo nel 2009 e ritengo che sia giunto il momento per la comunità etnica tradizionale rumena della valle del Timoc di usufruire della rappresentanza proporzionale, delle chiese e delle scuole nella propria lingua madre, il rumeno. Vi ringrazio.
PRESIDENZA DELL’ON. ONESTA Vicepresidente
Presidente . – Dichiaro concluso questo punto all’ordine del giorno.
14. Accordo di partenariato economico CE/CARIFORUM - Accordo di partenariato economico interinale CE/Costa d'Avorio - Accordo di partenariato Cariforum-CE - Accordo di partenariato economico interinale CE-Costa d'Avorio - Accordo di partenariato economico interinale CE-Ghana - Accordo di partenariato economico interinale CE-Stati del Pacifico - Accordo di partenariato economico interinale CE-Stati della SADC APE - Accordo di partenariato economico CE-Stati dell'Africa orientale e meridionale - Accordo di partenariato economico CE-Stati membri della Comunità dell'Africa orientale - Accordo di partenariato economico interinale CE-Africa centrale (discussione)
Presidente . – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:
– la raccomandazione (A6-0117/2009), della commissione per il commercio internazionale, sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo di partenariato economico tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e gli Stati del CARIFORUM, dall’altra [05211/2009 –C6-0054/2009 – 2008/0061(AVC)], (Relatore: David Martin);
– la raccomandazione (A6-0144/2009), della commissione per il commercio internazionale, sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo di partenariato economico interinale tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Côte d’Ivoire, dall’altra [05535/2009 – C6-0064/2009 – 2008/0136 (AVC)], (Relatore: Erika Mann);
– l’interrogazione orale (O-0033/2009 – B6-0203/2009) degli onorevoli Markov e Martin, a nome della commissione per il commercio internazionale, al Consiglio, sull’accordo di partenariato economico tra gli Stati del CARIFORUM, da una parte, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0034/2009 – B6-0204/2009) degli onorevoli Markov e Martin, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sull’accordo di partenariato economico tra gli Stati del CARIFORUM, da una parte, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0047/2009 – B6-0217/2009) degli onorevoli Markov e Mann, a nome della commissione per il commercio internazionale, al Consiglio, sull’accordo di partenariato economico tra la Comunità europea e gli Stati membri, da una parte, e la Costa d’Avorio dall’altro;
– l’interrogazione orale (O-0048/2009 – B6-0218/2009) degli onorevoli Markov e Mann, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sull’accordo di partenariato economico tra la Comunità europea e gli Stati membri, da una parte, e la Costa d’Avorio dall’altro;
– l’interrogazione orale (O-0035/2009 – B6-0205/2009) degli onorevoli Markov e Fjellner, a nome della commissione per il commercio internazionale, al Consiglio, sull’accordo di partenariato economico interinale tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Ghana, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0036/2009 – B6-0206/2009) degli onorevoli Markov e Fjellner, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sull’accordo di partenariato economico interinale tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Ghana, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0037/2009 – B6-0207/2009) degli onorevoli Markov e Ford, a nome della commissione per il commercio internazionale, al Consiglio, sull’accordo di partenariato interinale tra gli Stati del Pacifico da una parte, e la Comunità europea dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0038/2009 – B6-0208/2009) degli onorevoli Markov e Ford, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sull’accordo di partenariato interinale tra gli Stati del Pacifico da una parte, e la Comunità europea dall'altra;
– l’interrogazione orale (O-0039/2009 – B6-0209/2009) degli onorevoli Markov e Sturdy, a nome della commissione per il commercio internazionale, al Consiglio, sull’accordo di partenariato economico interinale tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e gli Stati della SADC aderenti all’APE, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0040/2009 – B6-0210/2009) degli onorevoli Markov e Sturdy, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sull’accordo di partenariato economico interinale tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e gli Stati della SADC aderenti all’APE, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0041/2009 – B6-0211/2009) degli onorevoli Markov e Caspary, a nome della commissione per il commercio internazionale, al Consiglio, sull’accordo interinale che istituisce un quadro per un accordo di partenariato economico tra gli Stati dell’Africa orientale e meridionale, da una parte, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0042/2009 – B6-0212/2009) degli onorevoli Markov e Caspary, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sull’accordo interinale che istituisce un quadro per un accordo di partenariato economico tra gli Stati dell’Africa orientale e meridionale, da una parte, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0043/2009 – B6-0213/2009) dell’onorevole Markov, a nome della commissione per il commercio internazionale, al Consiglio, sull’accordo istitutivo di un quadro per un accordo di partenariato economico tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e gli Stati membri della Comunità dell’Africa orientale, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0044/2009 – B6-0214/2009) dell’onorevole Markov, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sull’accordo istitutivo di un quadro per un accordo di partenariato economico tra l’Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e gli Stati membri della Comunità dell’Africa orientale, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0045/2009 – B6-0215/2009) degli onorevoli Markov e Arif, a nome della commissione per il commercio internazionale, al Consiglio, sull’accordo di partenariato economico interinale tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e l’Africa centrale, dall’altra;
– l’interrogazione orale (O-0046/2009 – B6-0216/2009) degli onorevoli Markov e Arif, a nome della commissione per il commercio internazionale, alla Commissione, sull’accordo di partenariato economico interinale tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e l’Africa centrale, dall’altra.
David Martin, relatore. − (EN) Signor Presidente, quando si è direttamente coinvolti si tende a sopravvalutare l’importanza di una questione, ma non credo sia possibile sopravvalutare l’importanza di questo tema specifico. Questa sera discutiamo di una serie di accordi che potranno avere effetti sulla vita, la qualità della vita e la salute di milioni di persone (non esagero) dei paesi in via di sviluppo.
Prima di passare alla sostanza della mia relazione, vorrei rendere omaggio alla collega, l’onorevole Kinnock, la quale, nella sua veste di copresidente dell’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE, si è battuta con determinazione per dare voce – non solo in questo Parlamento – alle preoccupazioni che sussistono in merito agli accordi di partenariato economico (APE) e ai loro effetti sullo sviluppo; ella inoltre intende esprimere i timori dei paesi ACP in tutto il mondo. Come molti di voi ben sanno, l’onorevole Kinnock concluderà il proprio mandato parlamentare alla fine di questa legislatura, e credo che l’opera da lei svolta in relazione ai paesi ACP e soprattutto agli accordi di partenariato economico ci mancherà molto.
Gli accordi di partenariato economico hanno avuto una storia difficile in questo Parlamento; ci sono state infatti tensioni reali tra commercio e obiettivi di sviluppo, alcune delle quali forse si potevano evitare. Parte di tali tensioni invece è intrinseca nella natura di tali accordi.
In primo luogo, essi ci sono stati imposti da una sentenza dell’OMC, e non è facile negoziare una liberalizzazione a senso unico, che in pratica è quanto gli accordi di partenariato economico richiedevano.
In secondo luogo, la scadenza artificiosa che è stata fissata per portare a termine gli APE, sia completi che interinali, ha fatto sì che i negoziati, che avrebbero dovuto garantire un’effettiva parità, si svolgessero invece in condizioni di disuguaglianza, poiché i paesi ACP sarebbero stati danneggiati dal mancato rispetto delle scadenze.
Infine – e questa non vuol essere una critica ma una constatazione della realtà dei negoziati – i nostri negoziati sono stati condotti da esperti commerciali che, per la loro stessa natura, cercano di ottenere il miglior accordo possibile per l’Unione europea. Il loro obiettivo quindi non era necessariamente quello di favorire lo sviluppo. Lo ripeto, non intendo muovere alcuna critica, ma constatare che tutto ciò è dovuto al tipo di formazione dei nostri rappresentanti. Questa è la realtà dei negoziati.
La nostra Assemblea, fin dalla conclusione dei negoziati, ha cercato di definire il punto di equilibrio tra commercio e sviluppo.
Adesso vorrei intervenire in qualità di relatore dell’accordo di partenariato economico Cariforum che, attualmente, è l’unico accordo di partenariato economico completo. Dal momento che questo APE è stato firmato, non possiamo apportare alcuna modifica al testo; possiamo soltanto accettarlo o respingerlo. Se la Commissione e la signora commissario riusciranno a offrirci certe garanzie e ad assisterci nell’interpretazione del testo, questa settimana potremmo essere in grado di approvare l’APE Cariforum.
Uno dei personaggi dello scrittore Lewis Carroll, Humpty Dumpty, dice in tono sdegnato: “Quando uso una parola, essa significa esattamente quello che voglio – né di più né di meno”. Devo dire francamente che, fino a poco tempo fa, queste parole sembravano adatte a descrivere il tentativo di comprendere gli APE Cariforum: infatti, l’effettivo significato di quei testi non era sempre chiarissimo.
Vorrei che quest’oggi la signora commissario potesse rassicurarci su alcuni punti.
In primo luogo, sul fatto che la clausola di revisione sancita dall’accordo sia una vera clausola di revisione, di cui la Commissione terrà debito conto: e che allo scadere dei cinque anni noi esamineremo le priorità di sviluppo, come la riduzione della povertà, lo sviluppo sostenibile, la diversificazione economica e il contributo agli obiettivi di sviluppo del Millennio, per garantire che gli APE operino a favore di tutti questi elementi, anziché ostacolarli.
In secondo luogo, vorrei che la signora commissario ci rassicurasse in merito ai finanziamenti per gli APE. Dai calcoli in nostro possesso possiamo stimare che siano disponibili circa 580 milioni di euro per i paesi Cariforum nell’ambito dell’attuale FES e di altri periodi di finanziamento pluriennale fino al 2013. A mio avviso – ma non sono certo un esperto in materia – questo dovrebbe essere sufficiente a soddisfare i bisogni degli APE se questi saranno adeguatamente programmati, se tutti i fondi disponibili verranno spesi, e se le priorità dei paesi caraibici in relazione alle scelte di spesa verranno rispettate. Inoltre, dobbiamo fare in modo che gli Stati membri eroghino la propria parte dei 2 miliardi di euro che è stata promessa per “aiuti al commercio” nei paesi in via di sviluppo. Dobbiamo anche esaminare la situazione successiva al 2013; su questo punto la Commissione non potrà fornirci alcuna garanzia, perché in questo caso sono competenti il Parlamento e il Consiglio, ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che i fondi si esauriscono e gli impegni scadono nel 2013.
Il terzo punto su cui vorrei che la Commissione ci rassicurasse riguarda lo status della nazione più favorita (NPF). Come ho già detto alla signora commissario, capisco che l’Unione europea debba insistere sull’osservanza delle stesse condizioni che gli Stati caraibici concedono agli Stati Uniti o ad altre grandi potenze industrializzate; ma non dobbiamo invocare la clausola NPF se i paesi caraibici stringono un accordo favorevole, per esempio, con un gruppo di Stati africani.
In quarto luogo – e giungo alla conclusione – per quanto riguarda l’accesso ai farmaci, vogliamo la garanzia che nulla di quanto è contenuto nell’accordo Cariforum metta a repentaglio l’utilizzo del meccanismo TRIPS, un meccanismo che non deve essere in alcun modo messo in discussione.
Vorrei che la signora commissario potesse rassicurarci su questi punti ma, ancora prima che ci offra questo tipo di garanzie, concluderò dicendomi fermamente convinto che ella sia riuscita a cambiare il tono e la natura della discussione sugli APE; esprimo quindi il mio apprezzamento per l’opera che la signora commissario ha svolto in questo settore.
Erika Mann, relatore. – (DE) Signor Presidente, signora commissario, onorevoli colleghi, noi voteremo sull’accordo con la Costa d’Avorio solamente per approvarlo o respingerlo: possiamo solo scegliere se votare sì o no. Mi auguro che, un giorno, le cose cambino, e che il Parlamento possa partecipare ai negoziati sul mandato.
Di conseguenza è tutto un po’ più difficile. Ci sono due differenze rispetto all’accordo Cariforum. In primo luogo, qui abbiamo a che fare con un governo che non è stato eletto democraticamente. In secondo luogo, abbiamo un accordo interinale, il cui scopo iniziale è quello di garantire il mantenimento delle vecchie preferenze. Passerà ancora un po’ di tempo prima che venga negoziato l’accordo definitivo.
Vorrei che il commissario Ashton ci rassicurasse su alcune questioni che saranno estremamente importanti per la Costa d’Avorio. Lo scorso fine settimana, ho nuovamente partecipato a colloqui da cui è risultato evidente che devono giungere assicurazioni da parte della Commissione, in linea con le assicurazioni fornite dalla signora commissario nel caso della SADC. Consentitemi di ricordare alcuni dei punti più significativi.
Il primo punto riguarda l’esigenza di ampliare la flessibilità, una flessibilità che deve abbracciare i seguenti punti. In primo luogo l’inclusione di una clausola di revisione, anch’essa flessibile, che non preveda solo un periodo di cinque anni, ma possa essere costantemente rivalutata con un preavviso relativamente breve. In secondo luogo, le questioni più delicate devono diventare oggetto di discussione soltanto quando un paese esprima la volontà di farlo. Con questo mi riferisco soprattutto alle questioni di Singapore, ma naturalmente anche al modo di integrare i TRIPS e a tematiche analoghe.
In terzo luogo, vi è la necessità di accettare le differenze regionali, quando si svolgono ulteriori negoziati per raggiungere un accordo regionale. La Costa d’Avorio deve affrontare un problema particolare, poiché sono in corso i negoziati sull’accordo che verrà firmato separatamente, mentre in futuro l’obiettivo sarà negoziare un accordo regionale.
In quarto luogo, sarebbe importante che, in qualsiasi fase dei nuovi negoziati, fosse possibile sollevare le questioni che si devono ancora affrontare nella fase attuale e che tali tematiche fossero approvate dalla Commissione.
In tale contesto, signora commissario, basterà estendere alla Costa d’Avorio le concessioni che avete già fatto nel caso della SADC; in tal modo, vi sarebbero maggiori probabilità di una risposta positiva da parte del Parlamento. Siamo molto preoccupati – e la stessa preoccupazione è stata manifestata da molte organizzazioni non governative – perché soprattutto nel caso della Costa d’Avorio la Commissione inizialmente ha mostrato scarsa flessibilità, e per questo motivo le questioni summenzionate non sono state considerate nel passaggio dall’accordo interinale a quello completo. Una concessione si dimostrerebbe quindi estremamente utile e ci consentirebbe di approvare l’accordo.
Inoltre, nel corso dei colloqui con i rappresentanti della Costa d’Avorio, essi hanno manifestato il timore che gli aiuti tecnici non siano sufficientemente rapidi e che in questa sede non si sia tenuto debito conto delle loro preoccupazioni. A quanto mi risulta, essi guardano con particolare attenzione alla Commissione e alle organizzazioni internazionali che forniscono loro aiuti per favorire l’accesso al mercato delle PMI, affinché queste possano effettivamente accedere al mercato europeo. Essi sono estremamente cauti quando i negoziati toccano le questioni di Singapore, anche durante la discussione, e ci chiedono di aiutarli a capire in che modo i beni pubblici si possano utilizzare a favore della società. Inoltre, sono particolarmente interessati agli aiuti che possiamo offrire in materia di standard tecnici, che per loro rappresentano vere barriere al commercio.
Il mio ultimo commento riguarda il Parlamento. Come ho già detto, possiamo solo scegliere se votare sì o no, e questo ovviamente limita alquanto il contributo che il Parlamento può recare agli esiti del voto. Vorrei ricordarvi che, come potrete constatare nel nostro testo, l’approvazione dell’accordo interinale non implica necessariamente il nostro voto favorevole all’accordo completo. Nell’ambito della procedura di monitoraggio intendiamo partecipare ai negoziati in corso per poterne seguire, in una certa misura e nel limite dei nostri poteri, l’andamento per i punti che ho appena menzionato.
Infine, la pregherei di dirci in che misura il fallito accordo di Doha avrà un impatto particolarmente negativo sulla Costa d’Avorio, soprattutto per quanto riguarda le banane.
Helmuth Markov, autore. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, Alto rappresentante Solana, in questo dibattito non stiamo semplicemente discutendo di un pacchetto di sedici interrogazioni orali al Consiglio e alla Commissione, otto risoluzioni e due relazioni elaborate nel quadro della procedura di codecisione, ma anche di 79 paesi in via di sviluppo, con i quali l’Unione europea sta rinnovando i propri rapporti commerciali e di cooperazione reciproca. Il commercio e la cooperazione sono strumenti importanti per la lotta contro la povertà e per la costruzione di economie nazionali economicamente e socialmente più stabili. In particolare, nell’ambito di questo processo dobbiamo sostenere la creazione di infrastrutture, la sanità, la sovranità alimentare, un sistema sociale efficiente, l’istruzione e gli scambi culturali.
In passato, i nostri rapporti commerciali con i paesi ACP si basavano su un sistema di preferenze commerciali non reciproche, che consentivano a gran parte dei beni prodotti negli Stati ACP di accedere al mercato comune in regime di esenzione. Nel 2000 si decise che entro la fine del 2007 sarebbe stato redatto un nuovo accordo di partenariato. In base a questo nuovo accordo, le preferenze commerciali unilaterali si sarebbero dovute sostituire con accordi compatibili con le norme dell’OMC, volti a ridurre, e infine a sradicare, la povertà, nonché a favorire lo sviluppo sostenibile, l’integrazione regionale, la cooperazione economica e il buon governo, aiutando i paesi ACP a sviluppare il proprio potenziale economico e inserirsi gradualmente nell’economia globale. Inoltre, la capacità produttiva di questi paesi si sarebbe dovuta ampliare, con l’adozione delle misure necessarie a favorire gli investimenti e l’impresa privata.
Gli accordi economici di cui stiamo discutendo, soprattutto i cosiddetti APE interinali o accordi relativi esclusivamente alle merci, sono essenzialmente accordi commerciali, giacché il 90 per cento o più delle questioni che intendono regolamentare riguardano l’accesso al mercato e altri aspetti del commercio. Il loro obiettivo è la graduale liberalizzazione degli scambi tra l’Unione europea e i singoli Stati o le regioni partner.
Quali problemi sono emersi nel corso dei negoziati?
In primo luogo, i termini previsti forse non erano sufficienti. Naturalmente, la Commissione è in una buona posizione; è riuscita a condurre i negoziati, a indire una votazione e a coinvolgere gli Stati membri. Immaginate tuttavia di essere uno dei partner negoziali della controparte. Direste che i negoziati sono stati sempre condotti in maniera parallela, in modo da consentire le opportune consultazioni tra società civile e parlamento in quei paesi?
Sono state mosse molte critiche ai contenuti. Prima di tutto, benché alcuni esperti abbiano espresso opinioni differenti, la Commissione ha ritenuto che la compatibilità con le norme OMC dovesse comportare una riduzione dei dazi dell’80 per cento nei prossimi 15 anni. Anche se gli impegni per la liberalizzazione sono inizialmente asimmetrici, in relazione alle misure adottate a favore della liberalizzazione, l’esito sarà quello dei mercati aperti da entrambe le parti, cosa che non comporterà alcun problema per l’Unione europea. Le esportazioni dei paesi ACP infatti rappresenteranno soltanto una piccola percentuale delle sue importazioni.
Per gli Stati ACP, l’abolizione dei dazi doganali ha prodotto un mancato reddito derivante da tali dazi, e minori fondi disponibili per gli investimenti pubblici più urgenti nelle infrastrutture, nella sfera sociale, nel sostegno allo sviluppo economico e nel rafforzamento della capacità amministrativa. Inoltre, essa comporta il rallentamento della crescita dell’economia nazionale e quindi la costante dipendenza dalle esportazioni dei paesi industrializzati, con conseguenze sui prodotti alimentari e su quelli industriali; si crea in questo modo un circolo vizioso. L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari nei paesi ACP è la prova più evidente di tale effetto. Mi sono spesso fatto questa domanda: se 50 anni di rapporti commerciali non reciproci non hanno favorito in alcun modo uno sviluppo adeguato, com’è possibile raggiungere tale obiettivo con la reciproca apertura dei mercati?
Un altro grave problema, che sarà esacerbato dall’accordo proposto, è il rapporto tra paesi e regioni partner. Nella comunità dell’Africa orientale – personalmente sono responsabile della relativa proposta di risoluzione – il problema delle tariffe interne è forse meno rilevante, giacché esiste un’unione doganale, ma i rapporti commerciali tra Stati confinanti potrebbero diventare più difficili in seguito ai diversi gradi di liberalizzazione. In questo caso, ovviamente, ci sono molti problemi legati alla norma del paese d’origine. I negoziati sugli accordi globali di partenariato economico hanno provocato gravi timori, a causa di alcuni conflitti sorti nell’ambito del ciclo di Doha per lo sviluppo. Molti Stati non credono di essere in grado di deregolamentare i propri mercati dei servizi, degli investimenti e degli appalti pubblici per aprirli alla concorrenza globale; ciò non sarebbe auspicabile, né sostenibile, neppure all’interno della Comunità europea. Per quanto riguarda la mancanza dei meccanismi di controllo per i mercati finanziari, non è necessario scendere nei dettagli.
In passato sono state mosse alcune pesanti critiche, e altri giudizi negativi vengono espressi ora, in merito alla trasparenza dei negoziati, ossia alla misura in cui i parlamenti e la società civile hanno partecipato al processo. Infine si discute della Modalità 4. Se esiste la libera circolazione delle merci, perché ciò non dovrebbe valere anche per le persone? In tale contesto la nostra commissione parlamentare ha sollevato alcuni problemi che, indipendentemente dal loro contesto, riguardano sempre le stesse questioni.
Quali misure di sostegno – di tipo finanziario, tecnico e amministrativo – si prevedono per ristabilire partenariati di commercio e sviluppo? Durante i negoziati in corso, la Commissione sarà flessibile e terrà conto delle esigenze delle regioni partner, in particolare per quanto riguarda la necessità di favorire i dazi all’esportazione al fine di promuovere lo sviluppo, proteggere le industrie nascenti, garantire la libertà di circolazione dei lavoratori e offrire speciali garanzie per il sistema di appalti pubblici? Oltre a questo, la Commissione è pronta a rivedere la propria posizione sulla protezione dei diritti di proprietà intellettuale, per garantire la tutela della diversità biologica e del trasferimento della conoscenza, e l’offerta di assistenza medica a prezzi ragionevoli nei paesi più poveri? Il Consiglio e la Commissione sono disposti a offrire al Parlamento e alla società civile le necessarie informazioni in merito alle opportunità di partecipazione? Infine, c’è disponibilità a rivedere l’accordo negoziato, qualora risultasse che alcuni punti hanno effetti negativi sullo sviluppo degli Stati ACP?
Vorrei concludere con un breve commento personale. Ormai da due anni e mezzo sono presidente della commissione per il commercio internazionale; poiché non ho intenzione di ricandidarmi a coprire tale incarico, colgo l’occasione per ringraziare la segreteria, il signor Rodas e soprattutto la signora Pribaz, per il loro valido sostegno, e ringraziare altresì i miei colleghi. La collaborazione ha avuto successo e, a mio parere, abbiamo raggiunto risultati importanti. Sarebbe bello se potessimo avere successo anche con gli APE. A coloro che rimarranno nella prossima legislatura auguro di ottenere risultati positivi e fruttuosi. Spero che il commercio comincerà ad assumere un ruolo più importante in questo Parlamento. Vi ringrazio molto.
Christofer Fjellner, autore – (SV) Signor Presidente, sono lieto dell’opportunità di tenere questo dibattito oggi. In un momento di crescente protezionismo, mentre la povertà si diffonde invece di attenuarsi, è particolarmente importante mantenere aperti i canali commerciali tra l’Europa e alcuni dei paesi più poveri del mondo. Questo è essenzialmente il contenuto degli accordi interinali. Gli accordi di partenariato economico intendono garantire la continuità del commercio e dello sviluppo in alcuni dei paesi più poveri del mondo.
Questi paesi infatti rischiano di essere i più colpiti dall’avanzata della recessione globale e dal sempre più frequente ricorso all’arsenale di armi offerto dal protezionismo. Non riesco quindi a capire alcune delle critiche che sono state avanzate; secondo alcuni, questi accordi sono troppo ambiziosi e globali. Altri preferirebbero parlare di mancato reddito in termini di entrate doganali, piuttosto che del potenziale per nuovi scambi commerciali. Io invece ritengo che si possa essere soddisfatti dei risultati raggiunti; non credo che vi sia un conflitto tra commercio e sviluppo, come alcuni invece affermano. Al contrario, il commercio genera sviluppo, mentre i dazi generano povertà.
Sono stato responsabile dell’accordo interinale con il Ghana. Riconosco che ci sono alcuni difetti, come il mantenimento, per un certo periodo, dei dazi dell’Unione europea sul riso e sullo zucchero; nell’insieme però è un ottimo accordo. E’ perciò importante garantire che venga firmato quanto prima. Le elezioni presidenziali in Ghana hanno rappresentato un ostacolo, ma adesso invito il nuovo presidente, John Atta Mills, a firmare l’accordo interinale. Mi auguro inoltre che l’Unione europea proceda alla firma dell’accordo che abbiamo negoziato. E’ assurdo che ci voglia tanto tempo, ed è soprattutto intollerabile che ciò sia dovuto all’inefficienza del servizio di traduzioni del Consiglio.
Colgo l’occasione per invitare voi tutti a sostenere l’accordo. In questi tempi di incertezza, il mondo ha bisogno di incrementare gli scambi, non di ostacolarli.
Daniel Caspary, autore – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a mio avviso gli accordi firmati tra i partner economici sono vitali giacché garantiscono i rapporti commerciali con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico. La cooperazione giova sia all’Unione europea che a questi paesi. Dobbiamo assolutamente evitare di insistere con il tipo di aiuti allo sviluppo che negli ultimi cinquanta o sessanta anni abbiamo erogato ai paesi africani, e consentire a questi paesi di conquistare una libertà anche mentale; così che finalmente possano decidere del proprio futuro, e costruire la propria ricchezza, come altre regioni del mondo hanno fatto negli ultimi decenni.
Il commercio, in questo caso, può offrire un ottimo contributo. Penso da un lato al commercio tra l’Unione europea e questi paesi, ma anche al commercio tra questi stessi paesi, ossia con altri paesi in via di sviluppo. Potrebbe essere necessario esercitare pressioni su governi e Stati per rimuovere le tariffe doganali più alte in molte zone, e per creare le condizioni necessarie alla crescita economica di questa regione.
Perché dobbiamo farlo? Questi Stati hanno urgente bisogno di condizioni quadro che consentano alla popolazione di produrre ricchezza. Nei colloqui che ho avuto con i rappresentanti di questi paesi, ho avuto spesso l’impressione che essi ci fossero grati per la pressione che, in qualità di Unione europea, esercitiamo in vari settori, e per le richieste che facciamo ai governi nazionali, inducendoli a fare dei progressi in termini di politica economica.
Sarebbe opportuno ricordare questo punto di vista nelle settimane e nei mesi a venire, soprattutto nel corso dei negoziati, non solo per soddisfare i legittimi desideri dei governi, ma anche per ripresentare, prima o poi, le nostre legittime richieste in modo da poter dar voce alle legittime aspettative dei popoli di quei paesi.
Da questo punto di vista mi auguro che i nostri negoziati siano fruttuosi.
Kader Arif, autore. − (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel nostro lungo dibattito odierno vorrei soffermarmi per qualche istante, se me lo permettete, a riflettere sul cammino che abbiamo percorso finora.
Non dimentichiamo le posizioni assunte inizialmente da alcuni deputati del nostro Parlamento di fronte alle crescenti preoccupazioni dei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), di fronte alle dimostrazioni contro gli accordi di partenariato economico (APE), e di fronte agli ammonimenti delle ONG del Nord e del Sud del mondo, allorché noi chiedevamo che tali accordi dessero priorità allo sviluppo; richiesta che oggi sembra ovvia, dal momento che anche la Commissione la ripete costantemente. In quel momento, però, il commissario Mandelson, osò appena risponderci, convinto com’era che la cosa più importante fosse stimolare gli scambi – come se la semplice rimozione delle barriere doganali fosse miracolosamente destinata a produrre sviluppo.
Molti ci definirono idealisti strumentalizzati dalle ONG, e si scandalizzarono per le nostre richieste – strumenti di protezione, regolamentazione e intervento da parte delle autorità pubbliche – ma cosa avvenne poi? Apparve chiaro che la nostra non era irresponsabilità. No, i governi dei paesi ACP non hanno accettato di continuare i negoziati tra pressioni e minacce; no, i rischi connessi all’apertura degli scambi commerciali non sono una costruzione mentale, bensì un elemento assai concreto che avrà immediatamente concrete conseguenze: i bilanci statali si impoveriranno per la diminuzione degli introiti doganali, si indeboliranno le nuove industrie del settore agricolo e la sicurezza alimentare di quelle popolazioni verrà messa a repentaglio.
Avevamo già espresso questi timori molto tempo fa, prima che scoppiassero le rivolte provocate dalla fame o la crisi finanziaria; che dire quindi della situazione odierna? Il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e le Nazioni Unite ammettono che – contrariamente a quanto si affermava all’inizio – i paesi in via di sviluppo verranno gravemente colpiti dalla recessione globale.
Jacques Diouf, direttore generale della FAO, ha insistito di recente su quest’aspetto, chiedendoci se avremo il coraggio di annunciare a quelli che definiamo nostri partner che siamo disposti a spendere miliardi per salvare il sistema bancario globale, ma non per salvare dalla fame le popolazioni dei loro paesi.
Voglio essere del tutto onesto, signora Commissario, e il più chiaro possibile: se lei non si impegnerà in maniera decisa e precisa, a nome della Commissione, a rendere gli APE chiaramente funzionali allo sviluppo, io non voterò a favore. Le parole e le dichiarazioni d’intenti non bastano più; ne abbiamo sentite troppe. Vogliamo impegni specifici, che elencherò uno per uno. Gli APE non si potranno considerare soddisfacenti se non serviranno a promuovere l’integrazione regionale e a contribuire allo sviluppo nei paesi ACP, oltre che a raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Quando chiediamo di promuovere l’integrazione regionale, occorre poi tradurre questa richiesta in termini pratici. Nell’Africa centrale, per esempio, il Camerun è stato criticato, o piuttosto severamente condannato, dai suoi vicini per aver firmato quest’accordo interinale con l’Unione europea. Osservo che degli otto paesi di quella regione, cinque fanno parte della categoria dei paesi meno sviluppati – ossia paesi che, automaticamente e nel pieno rispetto delle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio, godono di libero accesso al mercato europeo per le proprie esportazioni, senza essere obbligati in cambio a fare concessioni di carattere commerciale: non mi meraviglia che si preoccupino, se la Commissione chiede loro di aprire i propri mercati all’80 per cento delle esportazioni europee.
Quindi, se la signora commissario si impegna a promuovere l’integrazione regionale e ad accentuare la flessibilità per tener conto dei diversi livelli di sviluppo dei nostri partner, può spiegarci perché non accetta l’offerta di una liberalizzazione del 71 per cento, avanzata dall’Africa centrale?
Il secondo punto cruciale su cui attendiamo una risposta riguarda le cosiddette questioni di Singapore, che non si possono introdurre a forza nei negoziati contro la volontà dei nostri partner. In questo quadro, desidero soffermarmi in particolare sul problema degli appalti pubblici: la trasparenza è ovviamente indispensabile – è un obiettivo per il quale non smetterò di battermi – ma possiamo veramente togliere ai nostri partner ACP uno strumento essenziale della loro sovranità, che rappresenta un indispensabile sostegno per la loro industria e per i servizi locali, imponendo la liberalizzazione degli appalti pubblici?
Il terzo punto riguarda i servizi. Nelle discussioni che abbiamo avuto in merito agli APE con il Camerun, la Commissione ha ripetutamente sottolineato che i nostri partner volevano negoziare la questione dei servizi; sarà anche vero, ma dobbiamo diffidare di coloro che vorrebbero sfruttare quest’argomento per imporre la liberalizzazione dei servizi a tutte le regioni e a tutti i paesi, soprattutto se l’intento è giustificare la liberalizzazione dei servizi pubblici. Signora Commissario, mi attendo che lei si impegni con decisione per mantenere i servizi pubblici al di fuori dell’ambito dei negoziati, in tutte le regioni. Sappiamo che la perdita di entrate doganali impoverirà i bilanci dei nostri partner; se tali entrate si riducono, i primi settori a soffrirne saranno l’istruzione, la sanità o la ricerca. In tale contesto sarebbe inaccettabile, per i governi dei paesi ACP, perdere il controllo dei propri servizi pubblici, e invito la signora commissario a fornirci chiare assicurazioni su questi temi.
Il quarto punto, cui si è già accennato, è la necessità di tutelare la sicurezza alimentare. Ciò non significa solamente mettere a punto adeguate misure di salvaguardia, ma anche consentire ai nostri partner di sostenere le proprie esportazioni per mantenersi competitivi sui mercati globali. So che nella regione della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe si sono registrati in questo senso sviluppi positivi; la Commissione è disposta a proporre misure analoghe in altre regioni?
L’ultimo punto è che, come sappiamo, la riqualificazione delle economie degli Stati ACP richiederà un fortissimo impegno finanziario da parte dell’Unione europea, sia per proteggere le industrie nascenti dagli effetti negativi della liberalizzazione, sia per stimolare la competitività delle economie dei nostri partner. Purtroppo, contrariamente alle ripetute raccomandazioni del nostro gruppo politico, la principale fonte di finanziamento per gli APE sarà il Fondo europeo di sviluppo; sappiamo che, in passato, la Commissione non si è certo distinta per il modo in cui ha utilizzato questi fondi, e devo perciò sottolineare quanto sia importante utilizzarli rapidamente, in armonia con le priorità dei nostri partner.
Infine, signora Commissario, le ricordo che da tali accordi dipende l’immagine che l’Unione europea darà al resto del mondo, e in particolare ai paesi più poveri del mondo.
PRESIDENZA DELL’ON. ROURE Vicepresidente
Glyn Ford, autore. − (EN) Signora Presidente, in primo luogo vorrei scusarmi con la signora commissario e i miei colleghi relatori per non aver partecipato alla prima parte del dibattito, fino a circa cinque minuti fa; ho avuto un contrattempo e sono riuscito a giungere in Aula solo all’ultimo momento. Spero quindi che il mio intervento non sia unicamente una ripetizione – almeno non troppo – di quanto altri colleghi hanno già detto; chiedo quindi ai colleghi di tener conto delle mie scuse e di essere indulgenti.
In realtà, intervengo su due temi distinti: da un lato come relatore per l’accordo interinale di partenariato economico con il Pacifico, e dall’altro come relatore ombra, a nome del gruppo socialista, per il partenariato economico interinale con l’Africa orientale e meridionale.
Il dibattito di questa sera, nel suo complesso, non trae origine da alcuna decisione con cui la Commissione europea o l’Unione europea abbiano espresso la volontà di stabilire rapporti commerciali di nuovo tipo con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, bensì dalla decisione con cui – dieci anni fa o forse ormai anche di più – l’Organizzazione mondiale del commercio stabilì che noi stavamo attuando una illecita discriminazione a favore di alcuni paesi in via di sviluppo e a scapito di altri. Alcuni hanno affermato che questi accordi dovrebbero mirare essenzialmente allo sviluppo – prospettiva che anch’io caldeggio vivamente – ma dobbiamo altresì ricordare che uno dei requisiti di fondo è quello di rendere compatibili con le norme OMC gli accordi che stipuliamo con questi paesi; questo è anzi il nostro primo dovere.
Oltre alla questione della compatibilità con le norme OMC, dobbiamo fare ogni sforzo per cercare di migliorare la situazione dei vari blocchi regionali, risolvendo gli specifici problemi che li affliggono. Nel Pacifico, area per la quale sono relatore, abbiamo una serie di 14 (più uno, se si include Timor orientale) piccolissimi Stati nazionali. Uno di questi è anzi il paese più piccolo del mondo, la cui popolazione è esattamente un milionesimo di quella della Cina: Nauru. Ma in realtà anche i più grandi di questi paesi sono relativamente piccoli, e quando chiediamo loro di soddisfare richieste e requisiti dobbiamo tener conto delle loro dimensioni; dobbiamo garantire adeguati periodi di transizione per le piccole e medie imprese, perché in realtà – a parte alcune imprese minerarie in Papua Nuova Guinea – in quei paesi esistono solo piccole e medie imprese. Dobbiamo adoperarci con tutti i nostri mezzi a favore del commercio regionale, tenendo conto in particolare del legame speciale che unisce i paesi del Pacifico all’Australia e alla Nuova Zelanda.
Solo due di questi 14 paesi hanno effettivamente firmato l’accordo interinale. Tuttavia, da quanto ho appreso nel corso della mia visita a Port Moresby in occasione dell’ultima riunione ACP, altri paesi del Pacifico sarebbero propensi a firmare un accordo definitivo, se tale accordo soddisfacesse le loro esigenze. Proprio per tale motivo, da parte mia, sono favorevole all’accordo interinale; questo è infatti il messaggio che mi è giunto dai governi di Papua Nuova Guinea e delle isole Figi. L’accordo non li entusiasma particolarmente – vorrebbero rinegoziare alcuni punti – ma ritengono che la risposta più adatta sia quella di firmare e accettare un accordo interinale destinato poi a sfociare in un accordo definitivo più favorevole allo sviluppo, e tale da consentire l’effettiva adesione di un maggior numero di paesi del Pacifico.
Dobbiamo inoltre considerare una serie di problemi specifici che riguardano in particolare Papua Nuova Guinea, le isole Figi e altri paesi del Pacifico, ma che potrebbero interessare anche altri di questi accordi. Occorre pensare a negoziati sui diritti di proprietà intellettuale estesi non solo ai prodotti tecnologici occidentali, ma anche ai saperi tradizionali. Dobbiamo garantire la trasparenza negli appalti pubblici, con un grado di apertura ai contratti europei che corrisponda in maniera adeguata alle esigenze degli Stati nazionali del Pacifico; nel caso del Pacifico dobbiamo poi pensare soprattutto a visti per motivi di lavoro, validi per periodi di 24 mesi almeno, che consentano ai cittadini delle isole del Pacifico di lavorare nell’Unione europea – probabilmente non in posizioni particolarmente elevate ma come badanti o in professioni analoghe.
Posso osservare, per quanto riguarda l’Africa orientale e meridionale, che molti di questi punti valgono anche per quella regione? Rivolgo un ringraziamento particolare all’onorevole Caspary che ha collaborato con me su questo tema, e per il Pacifico permettetemi di citare l’operato dell’onorevole Audy.
Nel caso dell’Africa orientale e meridionale dobbiamo però riservare un’attenzione particolare ai problemi del buon governo, e questo include lo Zimbabwe. Non ho nulla da obiettare a un accordo interinale, ma penso che per il Parlamento sarebbe difficile accettare un accordo definitivo, almeno in mancanza di una chiara road map che preveda, per lo Zimbabwe, l’avvento di un vero regime democratico che riesca a togliere quel paese dalle difficoltà in cui attualmente si dibatte.
Per quanto riguarda l’Africa orientale e meridionale desidero fare un’ultima osservazione, dopo aver espresso la mia approvazione per la relazione dell’onorevole Caspary, integrata da alcuni emendamenti già presentati; vorrei cioè ricordare la situazione dell’arcipelago Chagos. Essa rientra nel nostro dibattito poiché io ho presentato un emendamento, che è stato accettato. Di solito, per accordi di questo tipo, noi consultiamo i paesi e i territori vicini, e l’arcipelago Chagos si trova proprio nel mezzo di questa regione: Seychelles-Mauritius-Madagascar. I suoi abitanti si sono attualmente rifugiati alle Seychelles, e mi auguro che riusciremo a consultarli – prima dell’eventuale conclusione di un accordo definitivo – in merito all’impatto che ne potrebbe derivare, per loro e per il territorio, qualora essi ottenessero il diritto di tornare in patria.
Jan Kohout, presidente in carica del Consiglio. – (CS) Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, desidero in primo luogo ringraziare il Parlamento, che mi ha consentito di illustrare all’Assemblea, in un momento così importante, una questione di indubbia delicatezza come quella degli accordi di partenariato economico.
Vorrei anche esprimere il mio apprezzamento per il ruolo assai positivo svolto dal Parlamento nel corso dei negoziati, per mezzo dei dibattiti politici. Rivolgo alla commissione per il commercio internazionale e alla commissione per lo sviluppo una particolare parola di elogio per il loro instancabile operato, e un ringraziamento per il costante interesse dimostrato nelle discussioni.
Nel quadro del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne”, gli APE hanno sempre costituito un’importante priorità per i ministri per lo Sviluppo. Da alcuni anni a questa parte, quasi tutte le riunioni di questi ministri prevedono anche colloqui con la Commissione, concernenti l’attuazione del mandato del Consiglio sugli APE, e quest’attività ha spesso portato all’adozione di conclusioni. In gennaio, quando la presidenza ceca ha presentato il proprio programma al Parlamento, abbiamo rilevato che ci aspettava un periodo cruciale e abbiamo promesso che avremmo cercato in ogni modo di ottenere ulteriori progressi; abbiamo colto l’occasione per rispondere a un gran numero di domande differenti e abbiamo affrontato, senza risparmiare gli sforzi, un ventaglio di problemi diversi. Rimaniamo convinti che la cooperazione e il dialogo costruttivo tra le Istituzioni costituiscano il metodo migliore per ideare e articolare le politiche più corrette.
Sia i paesi sviluppati che quelli in via di sviluppo si trovano di fronte a una crisi economica e finanziaria senza precedenti, che attanaglia il mondo intero. Se si chiede ai paesi in via di sviluppo in che modo la crisi abbia colpito le loro economie, essi rispondono che si è verificata una contrazione degli scambi che ha rallentato la crescita economica, indebolito la produzione e aumentato la disoccupazione. La contrazione degli scambi e la perdita di mercati d’esportazione conquistati dopo molti anni di duri sforzi costituiscono un colpo gravissimo per le economie dei paesi in via di sviluppo, oltre che per le condizioni di vita e il benessere dei loro abitanti.
In tali circostanze, nel quadro della nostra reazione alla crisi economica globale dobbiamo cogliere ogni occasione per far sì che gli scambi divengano la forza motrice dello sviluppo sostenibile: gli APE servono appunto a questo scopo. Attuando una graduale integrazione regionale, essi spalancano nuove opportunità al commercio regionale, e consentono un accesso più vasto – in esenzione di dazi e di contingenti – ai nostri ampi mercati; diviene così possibile incrementare il volume degli scambi con l’Unione europea. Gli APE operano così in modo conforme alle normative dell’OMC. Quest’importante aspetto giuridico distingue gli APE dalle precedenti preferenze commerciali applicate nel quadro della Convenzione di Cotonou, che danneggiavano gli scambi tra i paesi ACP e l’Unione europea, causando una notevole incertezza.
L’incertezza è il contrario della fiducia; l’incertezza tiene lontani gli investimenti, mentre la fiducia li attrae. Come tutti sappiamo, dopo l’inizio dell’attuale crisi nei paesi in via di sviluppo si è registrata una brusca diminuzione degli investimenti. Nell’incertezza diffusa oggi a livello globale, gli APE possono fornire una dose di fiducia e certezza giuridica che stimolerà il rinnovamento economico; questi accordi non sono certo una panacea, ma rappresentano comunque uno strumento valido, che si può utilizzare in combinazione con altri strumenti.
Negli ultimi mesi è stata pubblicata una serie di relazioni vincolanti, che illustrano in qual modo la crisi economica può impedire, in molte regioni, di realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio; è una circostanza che deve destare la nostra inquietudine. Per stimolare lo sviluppo, gli APE sfruttano tutta la flessibilità concessa dalle norme OMC; garantiscono ai nostri partner dei paesi ACP l’apertura immediata e asimmetrica dei mercati con lunghi periodi di transizione, esenzioni e regolare monitoraggio; comportano anche l’impegno a effettuare riforme politiche. Inoltre, l’Unione europea ha promesso di non lasciare i propri partner ad affrontare questa sfida da soli; per l’attuazione di questi accordi stiamo fornendo pure un sostegno finanziario mirato in maniera specifica.
Sono felice di constatare il rinnovato interesse manifestato negli ultimi tempi, sia dall’Unione europea sia dai paesi ACP, per l’intensificazione del dialogo sugli APE. Colgo l’occasione per ringraziare il commissario, signora Ashton, per il suo operato e anche per la sensibilità e l’impegno con cui ha saputo ascoltare le ragioni dei nostri partner dei paesi ACP. Da quando la signora commissario ha illustrato al Parlamento, nell’ottobre dell’anno scorso, e al Consiglio, in novembre, l’approccio con cui intende affrontare il problema degli APE, i contatti con le nostre controparti politiche nelle varie regioni ACP si sono intensificati; i negoziati con varie regioni registrano ora significativi progressi. Ogni regione ha le sue caratteristiche e procede al proprio ritmo. Nei prossimi mesi, sulla base di tutti i negoziati in corso, dovremmo riuscire a delineare un quadro più preciso.
Sono convinto che il Parlamento europeo sosterrà gli APE stipulati con gli Stati del Cariforum, nonché l’APE interinale con la Costa d’Avorio; ciò costituirà un segnale incoraggiante per tutti i paesi ACP, dimostrando loro che una paziente gestione dei negoziati frutta risultati accettabili e vantaggiosi per entrambe le parti. Avremo anche la prova che il partenariato ACP-UE è in grado di rispondere alle nuove sfide di natura giuridica, economica o politica. In questo periodo di inquieta incertezza ogni nuovo accordo internazionale rafforza il partenariato e rappresenta una nuova speranza per il futuro; la firma degli accordi invierebbe un significativo messaggio politico, e forse potrebbe recare un contributo alle imminenti riunioni dei due organismi congiunti ACP-UE: l’Assemblea parlamentare paritetica che si riunirà all’inizio di aprile a Praga e il Consiglio dei ministri congiunto, che si riunirà a fine maggio a Bruxelles.
L’Unione europea deve continuare a sostenere i propri partner, termine con cui alludo non solo alla regione del Cariforum – che ha indicato la via agli altri firmando il primo APE globale – ma anche quei paesi e regioni che hanno mosso i primi passi su questa strada, e che ora dobbiamo incoraggiare a proseguire. Tra questi paesi ricordo la Costa d’Avorio, il cui APE interinale attende ancora l’approvazione del vostro Parlamento; altri APE sono in preparazione. La Commissione sta lavorando intensamente per creare condizioni che permettano ai paesi partner di riunirsi e tracciare la strada per giungere ad accordi regionali globali. Il Consiglio ribadisce costantemente – rivolgendosi alla Commissione e ai partner – che questi accordi rappresentano uno strumento per lo sviluppo e che i vantaggi, che allo sviluppo ne derivano, si possono sfruttare pienamente solo per mezzo di accordi regionali globali.
Il contesto generale, politico ed economico nel quale il Parlamento è stato invitato ad approvare gli APE per la regione del Cariforum, nonché l’APE interinale con la Costa d’Avorio sono importanti, ma il Parlamento ha comunque chiesto al Consiglio e alla Commissione una serie di spiegazioni concrete. Tale passo costituisce una fase legittima e importante del processo in corso, e da parte mia sto cercando di rispondere nella maniera più esauriente possibile alle interrogazioni che rientrano nella mia area di responsabilità. So che sono state presentate anche altre interrogazioni, cui è pronta a rispondere il commissario, signora Ashton. Vorrei iniziare affrontando alcune delle questioni che sono state menzionate.
Tra le altre cose, avete chiesto se, quando e in che misura verranno effettuate revisioni degli APE conclusi con gli Stati del Cariforum; sia il Consiglio sia il gruppo ACP condividono pienamente le preoccupazioni sorte in merito. Posso confermare che revisioni complessive degli APE verranno effettuate entro un periodo massimo di cinque anni a partire dalla firma degli accordi stessi, avvenuta nell’ottobre dell’anno scorso. Tali revisioni andranno ovviamente ad aggiungersi al normale monitoraggio sull’attuazione degli accordi stessi, previsto dall’articolo 5. Ai sensi degli accordi le revisioni sono obbligatorie e rientrano fra i compiti degli organismi congiunti, tra cui le commissioni parlamentari e consultive. Le revisioni comprenderanno pure valutazioni d’impatto, che terranno conto dei costi e delle conseguenze dell’attuazione degli accordi. Qualora un APE venga modificato, o vengano modificate le sue modalità di attuazione, resta garantito il coinvolgimento dei parlamenti, in base alle leggi dei firmatari degli APE oppure nel quadro di commissioni parlamentari istituite ai sensi degli stessi APE .
Il secondo problema che ha destato l’interesse del Parlamento riguarda le misure finanziarie di accompagnamento richieste dalle regioni ACP, e in particolar modo l’impegno a sostenere il commercio. Come sapete, nell’ottobre 2007 sia la Comunità europea sia gli Stati membri si sono impegnati a incrementare l’assistenza nel settore commerciale fino a raggiungere, entro il 2010, la cifra di un miliardo di euro nel quadro della strategia dell’Unione europea per l’assistenza al commercio. Quasi il 50 per cento dell’importo così aumentato verrà messo a disposizione delle esigenze indicate come prioritarie dagli stessi paesi ACP, comprese le esigenze derivanti dall’attuazione degli APE. Tutti gli impegni presi dagli Stati membri per il sostegno agli scambi vanno ad aggiungersi all’assistenza fornita dal Fondo europeo per lo sviluppo, e tutti i nostri impegni restano immutati.
In terzo luogo, desidero rassicurare il Parlamento in merito all’importante problema dell’accesso ai farmaci. In questo caso sono in grado di annunciare, in maniera inequivocabile, che nessuno degli articoli contenuti negli accordi può intaccare la possibilità, per i paesi del Cariforum, di sostenere l’accesso ai farmaci; non è possibile svolgere in questa sede un’analisi giuridica dettagliata, ma dal punto di vista politico posso garantirvi, ancora una volta, che questi accordi non comportano assolutamente tale intenzione .
Quanto poi al progressivo processo di integrazione che si registra negli Stati del Cariforum, la vostra attenzione si è naturalmente soffermata sulla compatibilità fra questi accordi e altri programmi regionali, come il mercato unico e lo spazio economico del Caricom. Oltre a sostenere lo sviluppo e ad agevolare l’integrazione dei paesi ACP nell’economia mondiale, gli APE si prefiggono precisamente lo scopo di sostenere l’integrazione regionale.
L’articolo 4 dell’APE afferma chiaramente che l’accordo, nella sua attuazione, terrà debito conto dei processi di integrazione in corso negli Stati del Cariforum, tra cui il mercato unico e lo spazio economico del Caricom. Si presterà particolare attenzione al rafforzamento dei programmi di integrazione regionale, cui verrà garantito un futuro sostenibile. Nel corso dei negoziati gli Stati del Cariforum hanno già dato garanzie che tutti gli obblighi derivanti dagli APE rimarranno pienamente compatibili con gli obblighi regionali assunti dagli Stati caraibici nel quadro dei loro relativi programmi di integrazione regionale.
La compatibilità tra l’APE e i processi di integrazione regionale è però importante anche per tutte le altre regioni che oggi stanno negoziando APE globali. Possiamo fare l’esempio dell’APE globale riguardante le economie dell’Africa occidentale: un APE globale di livello regionale rafforzerebbe l’integrazione regionale, stimolerebbe la competitività e contribuirebbe allo sviluppo della regione. Il processo negoziale, di per sé, ha già contribuito a intensificare gli sforzi di integrazione regionale, dal momento che l’istituzione di un tariffario esterno comune per la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale viene considerata un prerequisito essenziale per concludere i negoziati per gli APE. Lo stesso si può dire per altre regioni, tenendo il dovuto conto delle loro specifiche esigenze e dei relativi processi di integrazione.
L’integrazione regionale riceverà un indubbio potenziamento allorché tutte le regioni firmeranno accordi globali commisurati alle proprie specifiche esigenze. Il Parlamento ha ripetutamente invocato un approccio flessibile per la transizione dagli accordi interinali a quelli globali; nel presente contesto posso unicamente confermare che il Consiglio condivide quest’opinione e ribadisce l’esigenza di un approccio flessibile. Nel maggio dello scorso anno, constatando che nell’ambito dei negoziati parecchie spinose questioni rimanevano irrisolte, abbiamo invitato la Commissione a utilizzare tutte le forme di flessibilità e asimmetria compatibili con le norme OMC, per adeguarsi alle varie esigenze e ai differenti livelli di sviluppo dei paesi e delle regioni ACP. Abbiamo però adottato anche altre misure: il Consiglio ha dichiarato che i paesi e le regioni ACP, se lo desiderano, possono scostarsi – ove necessario – dai provvedimenti accettati da altri paesi o regioni nel corso dei negoziati APE.
Soprattutto nei paesi africani, c’è la chiara esigenza di mantenere la coesione tra i singoli APE; ma in ogni caso, ciascuna regione ha le proprie caratteristiche specifiche di cui bisogna tener conto, e l’APE firmato con gli Stati del Cariforum offre un esempio, ma certo non un modello rigido e obbligato.
Confido che le spiegazioni da me offerte su questi punti specifici siano servite a chiarirli e a dare qualche garanzia in merito ad alcune delle interrogazioni presentate in Parlamento. Sono convinto che la signora commissario, la quale – insieme ai suoi colleghi – ha condotto direttamente i negoziati su tali problemi con i rappresentanti politici degli Stati del Cariforum e di altre regioni ACP, sarà pronta a trattare numerosi altri punti in maniera più dettagliata.
In questo momento, nel marzo 2009, mentre stiamo subendo il più grave terremoto economico da una generazione a questa parte, vorrei sottolineare quanto sia importante, per noi tutti, apprezzare i risultati positivi raggiunti in questo settore politico. In un momento in cui gli scambi diminuiscono e in quest’area si adottano misure protezionistiche sempre più rigide, in un momento in cui, in alcune regioni, i progressi fatti verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio minacciano di svanire, l’approvazione, da parte del Parlamento europeo, dell’APE concluso con gli Stati del Cariforum e dell’APE interinale con la Costa d’Avorio invierà un segnale positivo, a favore dell’integrazione regionale e di un’intensificazione degli scambi che a sua volta stimolerà lo sviluppo. Dobbiamo reagire alla crisi attuale allacciando ulteriori partenariati, non limitandoli. Il Parlamento europeo, confermando l’APE concluso con gli Stati del Cariforum, farà brillare un incoraggiante raggio di speranza anche su altre regioni, per le quali i negoziati sono giunti a una fase avanzata e che hanno a loro volta bisogno di quel senso di fiducia e di saldo partenariato che solo da questi accordi può scaturire.
Catherine Ashton, membro della Commissione. − (EN) Signora Presidente, è per me un grande piacere rivolgermi all’Assemblea plenaria del Parlamento europeo per affrontare un problema che, come ha notato l’onorevole Martin, riveste fondamentale importanza per le relazioni tra l’Unione europea e i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP).
Prima di proseguire, desidero chiarire in maniera inequivocabile un aspetto: non ho assolutamente il minimo interesse a negoziare con i paesi ACP accordi tali da aggravare la povertà di questi stessi paesi. Mi rendo conto che si tratta di una dichiarazione ovvia, ma la mia esperienza mi suggerisce di farla mettere chiaramente a verbale, poiché non posso essere sicura che essa sia stata generalmente compresa. Onorevoli deputati, quando in seguito vi accingerete a votare, mi auguro che il vostro voto si basi sull’esito del nostro dibattito odierno e sulla forza delle argomentazioni portate in questa sede, piuttosto che su idee preconcette in voi già sedimentate.
L’odierna sessione plenaria rappresenta, a mio giudizio, un importante passo in avanti per gli accordi di partenariato economico (APE). Vi si chiede di approvare l’APE completo per i Caraibi e l’APE interinale con la Costa d’Avorio; avete presentato ben otto serie di proposte di risoluzione e interrogazioni orali che riflettono, mi sembra, l’appassionata partecipazione e la serietà delle opinioni maturate dal Parlamento sulla questione degli APE. Desidero rendere omaggio – e mettere a verbale il mio omaggio – agli instancabili sforzi che la commissione per il commercio internazionale e la commissione per lo sviluppo hanno dedicato al dibattito su questo tema.
Nel corso dei mesi ho ascoltato con attenzione le opinioni formulate in materia, e ora mi propongo di propugnare la causa degli APE e di sfatare i miti che li avvolgono, per consentire a ciascun deputato di esprimere, quando sarà il momento, un voto informato. A mio parere quelli che stiamo esaminando sono accordi validi, preziosi per sostenere lo sviluppo economico e l’integrazione nei paesi ACP, oltre che per garantire la stabilità in questo periodo di turbolenze economiche; si tratta di accordi di partenariato fondati sul comune obiettivo dello sviluppo, che mettono il commercio al servizio di tale obiettivo e non viceversa. Ma soprattutto, si tratta di accordi che offrono agli Stati ACP l’opportunità di strappare i propri cittadini alla povertà grazie alla dignità del proprio lavoro e al valore delle proprie idee.
C’è la sensazione che, con gli APE, l’Unione europea voglia rompere con il passato, cercando di ridefinire unilateralmente il partenariato UE-ACP. E’ vero, naturalmente, che gli APE sono ben diversi dalle Convenzioni di Lomé e Cotonou, in cui per trent’anni si sono concretate le relazioni dell’Unione europea con i paesi ACP; ma le preferenze unilaterali previste da quelle Convenzioni prestavano il fianco alle accuse di altri paesi in via di sviluppo in sede di Organizzazione mondiale del commercio. Ci siamo perciò trovati di fronte a un dilemma: come tutelare le esigenze di sviluppo dei paesi ACP, rispettando contemporaneamente le norme internazionali e – aggiungo – i nostri obblighi morali.
La risposta è stata duplice: da un lato “tutto tranne le armi” per i paesi meno sviluppati, e dall’altro gli accordi di partenariato economico per i paesi in via sviluppo delle regioni ACP. Il filo rosso che ci riallaccia alla prima Convenzione di Lomé è il commercio: il commercio è sempre stato il fattore caratterizzante delle relazioni UE-ACP, e se nel primo periodo di Lomé tutto si limitava a preferenze commerciali unilaterali per merci e materie prime, oggi – nel ventunesimo secolo – siamo passati a scambi ben più diversificati di prodotti finiti, servizi e anche idee.
Gli APE garantiscono ai paesi ACP le migliori condizioni di sempre per l’accesso ai mercati dell’Unione europea e sono la continuazione del nostro impegno a fornire opportunità di sviluppo economico. L’integrazione regionale entro i mercati ACP e fra di essi ha costituito a sua volta un obiettivo di questo processo; si tratta inoltre, comprensibilmente, di un punto che ha suscitato viva attenzione nel quadro delle interrogazioni orali. Le dimensioni sono un fattore la cui importanza si è accentuata a causa del carattere globale della nostra economia: è una lezione che, nell’Unione europea, abbiamo già imparato. Semplificando le normative commerciali e sostituendo il labirintico groviglio degli accordi bilaterali con un limitato numero di relazioni commerciali da regione a regione, i paesi ACP possono formare mercati regionali più vasti e più invitanti per quegli investimenti di cui i mercati in via di sviluppo hanno bisogno, per creare crescita e occupazione.
Gli accordi sono naturalmente un processo articolato in due fasi: dapprima accordi interinali che ci consentono di non esporci a sfide in sede OMC e ci offrono uno spazio di manovra per la seconda fase, ossia la negoziazione di APE completi. Prima del dicembre 2007, limite di tempo per gli APE interinali, si è registrato un apparente ribollire di preoccupazioni nei paesi ACP, ma vorrei rassicurare il Parlamento: questi accordi interinali rappresentano soltanto una soluzione temporanea mirante a salvaguardare e perfezionare l’accesso dei paesi ACP ai mercati dell’Unione europea.
Ho ereditato questo dossier quando i negoziati erano giunti a una fase avanzata. Da allora ho incontrato numerosissimi ministri e rappresentanti dei paesi ACP, nonché altri soggetti interessati al processo APE. Li ho incontrati e li ho ascoltati e una cosa è chiara: tutti considerano lo sviluppo dei paesi ACP come il punto focale degli APE. Se volete, gli APE sono il luogo in cui commercio e sviluppo si incontrano: ciò significa che lo sviluppo deve costituire la base delle nostre relazioni commerciali basate su un dialogo franco e aperto.
Sono fermamente convinta che questi partenariati avranno successo solo se riusciranno a radicarsi in un terreno di relazioni durature, fecondato dal rispetto e dalla fiducia reciproci. La prova del fuoco di questo partenariato sarà la possibilità di individuare, per noi e per i nostri partner dei paesi ACP, una visione comune del futuro. Nell’Africa meridionale scorgo una regione per cui gli APE sono stati in un primo tempo la fonte di un conflitto che poi si è trasformato in dialogo, e nella quale siamo riusciti a risolvere problemi che destavano gravi preoccupazioni come le imposte sulle esportazioni, la protezione di un’industria nascente e la sicurezza alimentare. Nei Caraibi scorgo una regione che ha chiaramente definito la propria ambizione di creare un’economia basata sulle innovazioni. Nell’Africa occidentale vedo invece profilarsi il punto di accesso a un mercato regionale emergente che molti ritenevano impossibile, mentre nell’Africa orientale vedo formarsi un’unione doganale, che non esisteva nel momento in cui i negoziati sono iniziati e che ora invece sta creando un APE intorno ai propri piani di integrazione. Tutto questo mi sembra l’inizio di un partenariato di successo.
Spingendo lo sguardo in avanti, ritengo che i negoziati per gli APE completi dovranno configurarsi come un processo in cui ciascun negoziato rifletta e rispetti la specificità regionale delle parti che stipuleranno l’accordo: un processo flessibile. In altre parole, bisogna considerare sia il contenuto – in quanto l’APE deve funzionare a favore dei firmatari – sia il ritmo dei negoziati; ancora, gli APE devono essere dinamici e non statici, devono essere in grado di prevedere gli eventi futuri e di tener conto della varietà degli interessi e delle esigenze regionali. In tale processo, la Commissione continuerà sicuramente a informare e coinvolgere il Parlamento europeo in piena trasparenza.
Dobbiamo essere ambiziosi, ma non dobbiamo imporre il dialogo: per tale motivo temi come quello degli appalti pubblici sono già stati eliminati da alcuni negoziati, mentre le questioni di Singapore sono state incluse solo nei casi in cui i paesi interessati le accettano e le desiderano. Garantiremo inoltre il tempo e il sostegno necessari per varare norme regionali e nazionali che costituiscano il prerequisito di ulteriori negoziati, e a tal proposito gli “aiuti al commercio” e l’assistenza tecnica costituiranno un elemento cruciale. Posso garantire che non vi sarà alcuna apertura dei servizi pubblici, né pressioni per giungere a privatizzazioni. Ai paesi ACP verrà esplicitamente riconosciuto il diritto di regolamentare i propri mercati e non sarà posta limitazione alcuna all’accesso ai farmaci essenziali e alla raccolta di sementi. In questi settori desideriamo potenziare i diritti e le capacità dei paesi ACP.
A tutto questo si sovrappone il nostro impegno di consentire alle regioni ACP di attingere ai provvedimenti stipulati nell’ambito di altri APE, in modo che ciascuna regione possa progredire sicura nella consapevolezza di non subire svantaggi. La Costa d’Avorio quindi potrà chiedere e ottenere qualsiasi elemento importante che rientri nei negoziati e nelle discussioni della SADC o di qualsiasi altra regione. E’ un aspetto essenziale di quella flessibilità che mi avete chiesto di garantire e di un passo in avanti indispensabile per far sì che gli APE possano sostituire un regime commerciale esteso a tutti i paesi ACP con un sistema che faccia invece corrispondere soluzioni regionali a esigenze regionali senza però intaccare la solidarietà nell’ambito della regione ACP.
La crisi attuale ha messo in luce l’opportunità di varare APE dinamici anziché statici. Avevamo avviato i negoziati APE in un periodo in cui investimenti e scambi di beni e servizi conoscevano un incremento senza precedenti, e anche i prezzi delle merci erano in crescita. Pochi prevedevano che nel giro di qualche anno l’economia globale sarebbe sprofondata nella recessione, e una brusca caduta dei prezzi si sarebbe accompagnata a un’estrema volatilità dei tassi di cambio e dei mercati, mentre la scarsità del credito avrebbe soffocato quel finanziamento degli scambi commerciali che è essenziale per esportatori e importatori.
Non ci serve un accordo rigido che diventerebbe inutile prima che l’inchiostro si asciughi sulla carta; abbiamo invece bisogno di un accordo che stabilisca una relazione in cui le istituzioni, servendosi di un attento monitoraggio, possano individuare e risolvere i problemi già al loro profilarsi.
Il problema specifico, riguardante le banane, su cui mi ha interpellato l’onorevole Mann è compreso nell’APE interinale; in questo caso si prevede una garanzia di accesso esente da dazi e contingenti.
Con il progressivo emergere di questi problemi, dobbiamo prevedere misure di salvaguardia e clausole che permettano ai paesi ACP di far fronte a incrementi delle importazioni, pressioni sui prezzi alimentari e crisi fiscali: ossia clausole di revisione a tempo per punti specifici, clausole di revisione regolare e, come nel caso dell’APE per i Caraibi, uno specifico ruolo riservato al controllo e al monitoraggio parlamentari.
Per ritornare alle considerazioni da cui ho iniziato, al Parlamento europeo si offre oggi la storica opportunità di dare la propria approvazione ai primi esempi di una nuova generazione di accordi, tesi a tutelare la relazione speciale che ci lega ai paesi ACP; accordi fondati su un partenariato autentico e non sul paternalismo; che utilizzano il commercio come motore dello sviluppo; che promuovono e incoraggiano quell’integrazione regionale da cui i paesi ACP potranno trarre vantaggio per prosperare in un mondo globalizzato; che sono flessibili nei contenuti, rispettosi della tradizione e costituiscono la più recente manifestazione di questo antico rapporto commerciale basato sul rispetto per gli Stati sovrani. In breve, questi accordi rappresentano il futuro, e per tale motivo mi auguro, onorevoli deputati, che vorrete approvarli.
PRESIDENZA DELL’ON. SIWIEC Vicepresidente
Robert Sturdy, autore. − (EN) Signor Presidente, mi scuso per il ritardo e ringrazio i servizi per avermi re-inserito in cima all’ordine del giorno. Commissario Ashton, lei ha già anticipato la maggior parte delle cose che volevo dire, pertanto ne ripeterò solo alcune per l’Aula.
Gli accordi interinali sono accordi positivi, volti a evitare una perturbazione degli scambi commerciali con i paesi ACP e a promuoverne una graduale integrazione. Questi accordi forniscono ai paesi di Africa, Caraibi e Pacifico l’opportunità di uscire dalla povertà per mezzo del commercio e ritengo che il loro riconoscimento implichi una serie di questioni spinose: i servizi e le norme in materia di origine della nazione più favorita, che in diverse occasioni sono stati portati alla mia attenzione. Dovrete rivedere questi punti e mi scuso se ho mancato di segnalarlo in precedenza.
La procedura del parere conforme per i paesi Cariforum e per la Costa d’Avorio è fondamentale per realizzare il potenziale di tali riforme. L’approvazione della firma di tali accordi permetterà i procedimenti di negoziazione formale e fornirà la validità giuridica essenziale per tutelare i mercati ACP e assicurare un ambiente più stabile. Per quanto attiene alle risoluzioni sul Cariforum – l’unico accordo di partenariato economico (APE) completo – invito gli onorevoli deputati a sostenere il testo originale della commissione per il commercio internazionale, in quanto stabilisce un commercio e un approccio allo sviluppo più bilanciati e mira a sostenere alcune misure di compromesso proposte dal relatore. A mio parere tali risoluzioni sottolineano le opportunità e le sfide che le parti coinvolte nella negoziazione dovranno affrontare in una fase fondamentale affinché il Parlamento possa verificare la situazione e approvare i rapporti con i paesi ACP.
Signora Commissario, all’inizio ha accennato all’importanza del commercio. Sono assolutamente d’accordo con lei. Abbiamo anche detto che ci troviamo in una situazione finanziaria particolarmente difficile. Credo che questo sia un punto che ha preso a cuore e su cui sta lavorando molto duramente. Desidero congratularmi per come ha gestito la situazione. Continui così!
Ci troviamo in una fase difficile e il commercio sarà l’unica possibilità non solo per questi paesi, ma anche per il resto del mondo. E’ estremamente importante. Grazie per come siete cambiati. In questo periodo difficile siete già a metà strada. Congratulazioni e, ancora una volta, continuate così.
Jürgen Schröder, relatore per parere della commissione per lo sviluppo. – (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, desidero anch’io ringraziare il commissario Ashton per le parole che ci ha rivolto e che dovremmo sicuramente tenere a mente molto a lungo.
Alcune settimane fa ho partecipato all’ultimo vertice regionale ACP in Guyana. L’opinione prevalente tra i miei colleghi dei paesi caraibici era che è giunta l’ora di guardare al futuro, di smettere di piangere sul latte versato e di attuare risolutamente gli accordi di partenariato economico.
Per garantire la corretta attuazione di tali accordi, è fondamentale che i parlamenti controllino il processo per mezzo dei rispettivi esami parlamentari. Solo se i parlamenti sono in grado di verificare se il nuovo sistema di norme può raggiungere i risultati per cui è stato creato, gli accordi di partenariato economico potranno fungere da forza propulsiva per lo sviluppo. Quando i parlamenti assumeranno questa funzione di supervisione potremo garantire che gli aiuti finanziari raggiungano le aree in cui sono necessari. Il medesimo discorso vale sia per i parlamenti nazionali dei paesi caraibici sia per il Parlamento europeo.
Tutte le risoluzioni in esame concernenti gli accordi di partenariato economico, contengono paragrafi che toccano la questione del controllo da parte dei parlamenti; tali riferimenti non sono tuttavia coerenti. Il testo contenuto nella risoluzione relativa all’accordo di partenariato economico con la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe rappresenta un buon compromesso. Assicura che le commissioni del Parlamento europeo per il commercio internazionale e per lo sviluppo, nonché la commissione parlamentare congiunta ACP-UE, siano coinvolte nel processo. Quantunque io consideri tale compromesso positivo, assieme al mio collega, l’onorevole Sturdy, abbiamo previsto una serie di emendamenti volti a standardizzare i paragrafi in questione in tutte le risoluzioni sugli accordi di partenariato economico. Apprezzerei moltissimo il vostro sostegno a tale iniziativa.
Johan Van Hecke, relatore per parere della commissione per lo sviluppo. − (EN) Signor Presidente, in qualità di relatore per parere della commissione per lo sviluppo sull’accordo di partenariato economico interinale con la Costa d’Avorio, desidero ringraziare l’onorevole Mann per aver preso in considerazione alcune delle questioni sollevate in seno alla commissione, come l’urgente necessità della Costa d’Avorio di un governo democraticamente eletto e di ricevere una quota appropriata dell’assistenza comunitaria in materia di commercio.
Più genericamente, mi compiaccio che sia la commissione per il commercio internazionale sia la commissione per lo sviluppo siano giunte a un compromesso sull’ente controllore volto a permettere all’assemblea parlamentare paritetica di svolgere il ruolo che le spetta in prima battuta.
E’ importate ricordare che questo APE rappresenta un primo passo ed è quindi solo una soluzione temporanea.
Per far sì che la liberalizzazione del commercio abbia un effetto positivo sostanziale sull’intera regione, è essenziale che la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale firmi un accordo di partenariato economico completo.
In tale contesto, la commissione per lo sviluppo invita il Parlamento a dare il proprio consenso, a condizione che la Costa d’Avorio ratifichi questo primo accordo.
Alain Hutchinson, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, onorevoli colleghi, avevo scritto alcuni appunti, ma parlerò invece liberamente, in quanto molti punti sono già stati affrontati e non desidero ripetere quanto espresso dai miei colleghi.
Ci troviamo alla vigilia di un voto importante, estremamente importante, quasi storico, perché questa settimana saremo chiamati a esprimerci sui primi accordi di partenariato economico in questo Parlamento. Da anni trattiamo questo argomento, che è stato oggetto di numerose discussioni, spesso molto accesi, e non sempre è stato possibile trovare un accordo e nemmeno un consenso.
Oggi possiamo essere soddisfatti di come la situazione si sia sviluppata. I suoi resoconti, signora Commissario, e quelli della presidenza dimostrano un’evoluzione molto positiva in materia, soprattutto – bisogna riconoscerlo – dopo il suo arrivo.
Purtroppo, ed è questa la ragione della mia esitazione, alcuni di noi hanno ancora dubbi, interrogativi e timori in merito a questi APE.
Anzitutto constatiamo che a oggi vi è un solo accordo di partenariato economico completo; gli altri non hanno ancora raggiunto questo livello, ma sono allo stadio degli accordi interinali, mentre l’approccio fondamentale è stato mirare all’integrazione regionale. Uno solo di questi accordi risponde a tali criteri e anche in quel caso uno dei principali paesi della regione caraibica, Haiti, non ha firmato l’accordo, decisione molto significativa.
In secondo luogo, come avete segnalato, sul piano commerciale esistono delle relazioni storiche. Per molto tempo sono esistite rotte commerciali tra nord e sud, ma in che modo? Noi saccheggiamo tutte le ricchezze di qui luoghi. Certo, le nostre aziende estraggono a Kivu il coltan per venderlo al nord, ma questo comporta conseguenze disastrose per le popolazioni del sud nonché una suddivisione a dir poco iniqua.
Inoltre, bisogna considerare anche una politica di sviluppo applicata da quarant’anni nella quale noi europei ci sentiamo i più grandi sponsor del mondo, ma che oggi è fallita e deve essere ridiscussa. La maggior parte dei paesi più poveri del mondo se la passa male, esattamente come quarant’anni fa, se non peggio ancora e questo è il motivo dei nostri timori e delle nostre domande. Quali garanzie abbiamo in merito? Non ripeterò quanto detto dall’onorevole Arif, ma mi unisco a lui nel dirvi che vorremmo una dichiarazione, a nome della Commissione, sui punti chiaramente elencati dal collega. Desidero concludere il mio intervento parlando dei parlamenti nazionali.
Ci viene chiesto, in qualità di eurodeputati, di pronunciarci sugli accordi di partenariato economico le cui conseguenze, qualora questi venissero negoziati male, sarebbero drammatiche per le popolazioni del sud, non certo per noi. Se gli accordi di partenariato economico si riveleranno un fallimento, il rischio di un peggioramento nello stile di vita non sarà di certo per i cittadini europei, bensì per gli abitanti delle regioni del sud. In conclusione, signora Commissario, spero che non soltanto noi, ma anche i parlamenti nazionali dei paesi partner possano esprimere la loro opinione, in quanto essi rappresentano le popolazioni locali.
Ignasi Guardans Cambó, a nome del gruppo ALDE. – (ES) Signor Presidente, come già è stato detto, quella odierna è senz’altro una discussione importate, che è stata in effetti definita storica per la quantità di ore dedicate e per l’uso del dibattito politico che ne sta alla base.
Nella confusione che ha preceduto questa discussione e che, in qualche modo, la caratterizza – con tutto il rispetto per gli apporti della società civile, delle organizzazioni non governative e dei parlamenti nazionali coinvolti – credo sia importante capire come e perché siamo giunti a questo punto.
Dobbiamo capire che negoziare tali accordi di associazione con i paesi ACP non è stata una decisione politica adottata arbitrariamente dall’Unione europea, come se avesse diverse possibilità e avesse scelto questa invece di altre. Si tratta essenzialmente di una necessità giuridica, derivata dalle norme sulla legalità stabilite dal’Organizzazione mondiale del commercio.
E’ una necessità che deriva dalle circostanze che circondavano il precedente quadro giuridico sul commercio con i paesi ACP. E’ opportuno inoltre ricordare, qui e ora, che a condannare i rapporti dell’Unione europea con i paesi ACP sono stati proprio gli altri paesi in via di sviluppo che avevano avanzato legittime richieste di accesso ai nostri mercati, ma che, per il solo fatto di non essere ex-colonie di paesi oggi membri dell’Unione europea, erano stati esclusi.
Pertanto, l’Unione europea applicava – e per certi aspetti applica ancora – due pesi e due misure per le sue ex-colonie e per gli altri paesi con un livello di sviluppo simile ma senza il medesimo passato. Questa situazione si è resa insostenibile e gli stessi paesi si sono impegnati a sottolinearla in seno all’OMC.
Va inoltre ricordato che il sistema che ci apprestiamo a sostituire – in primo luogo la convenzione di Lomé nonché le intese sulla base degli accordi di Cotonou – non ha mai dato i risultati sperati. Non si può di certo affermare che il sistema di Cotonou sia stato completamente soddisfacente; se così fosse stato, il volume di scambi commerciali dell’Unione europea con questi paesi sarebbe stato più alto di quello attuale. Non illudiamoci quindi di sostituire un sistema efficiente perché non è così.
In base a quanto esposto, dovremmo considerare questi accordi di partenariato economico come un’enorme opportunità, in particolar modo per chi di noi crede che lo sviluppo e la crescita di questi paesi non possa dipendere solo da aiuti esterni. Mi riferisco, naturalmente, soprattutto ai paesi coinvolti negli accordi ma che non sono tra i meno sviluppati. Politicamente (e direi anche filosoficamente) parlando, dietro a questi accordi di partenariato vi è il concetto di proprietà, di controllo del proprio destino senza dipendere esclusivamente dagli aiuti esterni.
In linea di principio, il mio gruppo sostiene pienamente la negoziazione di tali accordi da parte della Commissione europea nonché la richiesta che questi siano completi, includendo non solo i beni, ma anche i servizi e nel rispetto delle regole di concorrenza , e vengano approvati nel loro insieme.
Un’altra questione da affrontare è, naturalmente, il modo in cui tali negoziati e le singole tematiche in discussione sono stati gestiti. A tale proposito faccio riferimento a quanto detto dai vari relatori in merito alle diverse aree perché, effettivamente, noi stiamo affrontando l’approccio generale, ma i singoli negoziati vengono in effetti gestiti separatamente.
Vi sono problemi in sospeso e preoccupazioni (la situazione delle regioni ultraperiferiche, ad esempio, che merita di essere analizzata a parte in seno al Cariforum), ma nell’insieme diamo pieno appoggio politico sia alla negoziazione in sé sia alla necessità che essa continui e che il Parlamento europeo la controlli in modo efficace.
Uno dei numerosi emendamenti che abbiamo presentato stabilisce che il controllo da parte del Parlamento deve essere condotto in maniera armonica e senza effettuare distinzioni tra i paesi interessati.
Liam Aylward, a nome del gruppo UEN. – (EN) Signor Presidente, plaudo a questa discussione, che offre l’opportunità di portare l’attenzione, ancora una volta, sulla necessità di includere e rispettare clausole sul lavoro infantile in tutti gli accordi commerciali dell’Unione europea.
Questa non è una dichiarazione di facciata a favore della lotta contro il lavoro minorile né intende prevedere sistemi di controllo temporanei o superficiali. Tutti gli Stati membri e un numero sempre crescente di altri paesi hanno sottoscritto le convenzioni dell’Ufficio internazionale del lavoro sull’età minima per l’accesso al mondo del lavoro e sull’eliminazione delle forme più marcate di lavoro minorile.
Negli accordi commerciali, nei sistemi di preferenze generalizzate e nelle politiche sugli appalti pubblici dobbiamo ora tener fede agli impegni presi assicurandoci che le aziende che operano in seno all’Unione non si avvalgano del lavoro minorile.
Questa condizione non è indirizzata solamente alla società madre o ai suoi più diretti fornitori: un’azienda al vertice della catena di approvvigionamento deve garantire che tutte le fasi della produzione, dirette o collegate, siano esenti da qualunque forma di lavoro minorile.
Oggi, nel mondo, viene sfruttato il lavoro di oltre 200 milioni di bambini, che si vedono negato il diritto all’istruzione e all’infanzia, e che mettono a rischio la propria salute fisica e mentale.
Porre la questione del lavoro minorile al centro di tutti i nostri accordi commerciali deve diventare una priorità.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Margrete Auken, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DA) Signor Presidente, questa discussione è importante perché ci stiamo accingendo a prenderci una lunga pausa di lavoro a causa delle elezioni. Dobbiamo quindi essere certi che la direzione generale del Commercio prenda nota delle nostre critiche al contenuto degli accordi di partenariato economico, soprattutto perché verranno firmati a breve proprio dalla DG. A questo proposito va sottolineata l’importanza che questi accordi siano poi presentati al Parlamento per ottenere la nostra approvazione.
A nome del gruppo Verde/Alleanza libera europea, desidero chiarire il nostro scetticismo sul modo in cui tali accordi sono stati iniziati. La questione dello sviluppo non è stata presa minimamente in considerazione quando si sono svolti i negoziati con i paesi ACP.
Vorrei pertanto avanzare dei commenti specifici sui due accordi che il Parlamento è tenuto a votare mercoledì e spiegherò perché il gruppo dei verdi non li sostiene. Per quanto riguarda gli accordi con il Cariforum, analisi dettagliate condotte dall’Overseas Development Institute dimostrano che l’accordo di partenariato economico con i paesi caraibici è forse il meno favorevole allo sviluppo di tutti gli accordi sinora negoziati. Costituirà un misero modello per altri accordi regionali futuri, soprattutto in materia di sviluppo. Non spetta ovviamente a noi decidere se le nostre preoccupazioni sono giustificate quando i governi dei paesi del Cariforum sono i primi ad essere favorevoli a tali accordi, ma ritengo corretto che i parlamenti dei paesi interessati potessero esprimersi su tali accordi prima che il Parlamento europeo dia la propria approvazione.
I dubbi in merito all’accordo con il Cariforum che stiamo sollevando in seno all’Unione europea sono tuttavia giustificati. Ora che sentiamo la forte necessità di un controllo più efficace sul movimento di denaro nei mercati finanziari, è assolutamente inaccettabile che gli accordi con il Cariforum permettano una completa liberalizzazione dei servizi finanziari con otto paradisi fiscali all’interno del consorzio. Se non mi credete, date un’occhiata ai documenti in vostro possesso prima del voto di mercoledì. Questi testi presentano il libero movimento dei servizi finanziari fuori borsa, ovvero i cosiddetti “derivati speculavi non registrati”, nonché il diritto di stabilire fondi per singoli cittadini. Queste misure penetrano nell’Unione europea attraverso i nostri stessi paradisi fiscali, quali ad esempio Malta e Cipro, e sarà così fintantoché non si stabiliranno controlli o normative in tutta l’UE. Non è quindi il momento di proteggere simili strutture, che sono in buona parte responsabili del tracollo delle nostre economie.
Per quanto riguarda l’accordo con la Costa d’Avorio, come tutti sanno, nella regione sono in atto conflitti interni e essere anche in questo caso non ritengo sia il momento opportuno per siglare questo accordo.
Madeleine Jouye de Grandmaison, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, io provengo dalla Martinica e vivo nei Caraibi da sempre.
Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, l’accordo di partenariato economico tra il Cariforum e l’Unione europea mi preoccupa moltissimo.
Martinica, Guadalupe e Guyana sono regioni europee ultraperiferiche e per questo i Caraibi non sono stati considerati nel loro insieme. A mio avviso, quest’accordo è stato negoziato con finalità prevalentemente commerciali, mentre gli obiettivi di sviluppo del Millennio sono passati di nuovo in secondo piano. La sfida per i paesi caraibici sarà dunque colmare le perdite nei gettiti dei dazi doganali aumentando il volume degli scambi commerciali con l’Unione europea.
In questo periodo di recessione mondiale, questo potrebbe non essere un compito semplice. La realtà è una: questi accordi sono stati negoziati principalmente dalla direzione generale del Commercio e, in seno allo stesso Parlamento, la commissione per lo sviluppo sembra essere stata messa da parte.
In questo accordo, gli obiettivi in materia di sviluppo e integrazione a livello regionale non corrispondono ai mezzi impiegati per il loro raggiungimento, che si incentrano per la maggior parte solo sul commercio e la competitività. Anche in tema di integrazione regionale i mezzi utilizzati sono del tutto inadeguati rispetto agli obiettivi prefissati.
Passo ora più specificatamente alla questione dell’integrazione regionale delle RUP caraibiche nel loro ambiente naturale. Tali regioni si trovano al centro di un bacino vitale – la Guyana ha persino uno dei principali confini con il Suriname – e contano 35 milioni di abitanti sparsi in quaranta paesi su una superficie di oltre due milioni di chilometri quadrati. Un mercato potenziale immenso.
L’accordo rappresentava un’occasione per eliminare l’impatto di alcuni deficit strutturali, come ad esempio la perifericità, a favore della vicinanza tra le nostre isole. Perché non è stato negoziato un mercato interregionale specifico tra le regioni ultraperiferiche dell’Unione europea e il Cariforum? Sebbene la Commissione si preoccupi di far fronte al sottosviluppo dei paesi caraibici e di stabilire con questi Stati degli accordi di partenariato economico volti all’apertura dei mercati e all’integrazione regionale, la regione ultraperiferica caraibica dell’Unione viene presa in considerazione solo per entrare a far parte del mercato aperto del Cariforum, rimanendo assoggettata alle stesse leggi di mercato negoziate per il resto dell’UE. Una simile logica può diventare per noi penalizzante.
Era l’occasione giusta per promuovere il dialogo fra culture, la nascita della cooperazione e lo scambio di servizi e per portare le regioni ultraperiferiche...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Syed Kamall (PPE-DE) . – (EN) Signor Presidente, siamo tutti a conoscenza delle numerose critiche agli accordi di partenariato economico, alcune delle quali io stesso condivido. Convengo che gli APE non dovrebbero essere un modo per aprire aggressivamente i mercati alle sole aziende europee, ma anche imprenditori e consumatori dei paesi poveri dovrebbero poterne trarre vantaggio. Condivido le preoccupazioni dell’onorevole Mann sull’approccio unico in materia di APE in quanto non tiene conto delle differenze tra le varie regioni e tra i relativi paesi. Sono liete invece del fatto che siano stati firmati accordi interinali solo con quei paesi che hanno dimostrato interesse .
Mi preoccupa l’opinione espressa alcuni mesi fa da un funzionario della Commissione nel corso di un incontro della commissione per il commercio internazionale, secondo cui gli accordi di partenariato economico non riguardavano soltanto il commercio e lo sviluppo, ma anche l’integrazione politica regionale. Ritengo, come molti miei onorevoli colleghi parlamentari, che tale decisione spetta ai paesi interessati, soprattutto dove vigono democrazie che non desiderano riunirsi in un’assemblea regionale assieme a dittature della stessa zona.
Nonostante queste considerazioni, sosteniamo il parere conforme della commissione per il commercio internazionale in merito a tali accordi. Mi ha inizialmente impensierito la retorica anticommerciale dei socialisti nell’esprimere voto contrario o nell’astenersi dal voto in seno alla commissione. Gli accordi di partenariato economico possono non essere perfetti, ma molti dei miei amici e molte famiglie che vivono nei paesi più poveri non ne possono più di non poter accedere a beni e servizi e di contare solo su monopoli di Stato o aziende legate a politici corrotti. E’ preoccupante la volontà dei socialisti di mantenere inalterata situazione. Non dimentichiamoci che le tasse all’importazione spesso significano un aumento dei prezzi di alimentari e medicinali per i cittadini più poveri.
Desidero ringraziare il commissario per la sua determinazione a portare avanti i negoziati per gli accordi di partenariato economico. Non sono perfetti, ma è nostra responsabilità aiutare gli imprenditori e i consumatori dei paesi più poveri ad accedere ai beni e servizi di cui beneficiamo nell’Unione europea.
Glenys Kinnock (PSE) . – (EN) Signor Presidente, posso confermare, come altri oratori prima di me, che, dalla nomina a commissario della signora Ashton, abbiamo assistito a un cambiamento radicale, non solo in termini di stile e di tono, ma anche di vocabolario e ora, sempre più, di sostanza.
Sono certa che il commissario concorderà con me e con molti altri colleghi che cercare di costruire e ricostruire la fiducia dopo anni di negoziati che hanno creato innumerevoli tensioni e ostilità non sarà un’impresa semplice.
Dalla firma di Cotonou sono trascorsi quasi 10 anni esatti e dobbiamo ricordare esattamente cosa questi accordi stabilivano in merito alle prospettive commerciali tra paesi ACP e Unione europea. Le parole esatte erano “un nuovo quadro commerciale equivalente alle condizioni esistenti e conforme alle norme dell’OMC”. Dobbiamo lavorare ancora molto per raggiungere tali obiettivi.
La politica di concludere affari separati con paesi separati ha portato a gravi incoerenze e posso confermare a chi non conosce l’assemblea parlamentare paritetica e non ha tanti contatti con deputati dei paesi ACP quanto me ed altri colleghi in Aula, che questo ha creato situazioni davvero difficili e danneggiato gravemente la coesione che in passato legava i paesi della regione. So che solo poche settimane fa il nuovo presidente del Ghana ha scritto una lettera alla presidenza europea a nome dell’intero gruppo dei paesi ACP, dichiarando che il processo relativo agli accordi di partenariato economico continuava a minacciare l’esistenza stessa di alcuni gruppi di integrazione regionale. Sono le parole recenti di un presidente neoeletto.
I parlamentari dei paesi ACP in occasione di ogni nostro incontro ribadiscono che gli impegni siglati con loro sono scarsi e le consultazioni sono state quasi inesistenti. Vorrei una spiegazione da parte del commissario sulle azioni che ritiene appropriato intraprendere in futuro a questo proposito.
Sono lieta dell’esito dei negoziati con la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe, ma impegni chiari sull’emendamento dei testi, periodi di transizione per la regolarizzazione delle tariffe, misure di controllo, norme di origine e via dicendo sono elementi a disposizione della SADC e, come spero ci confermerà, anche dei paesi ACP che continueranno i negoziati.
Potrebbe cortesemente confermare, signora Commissario, che insisterà per ottenere impegni precisi in un APE per programmi di sviluppo e che la liberalizzazione del commercio deve essere legata a determinati parametri di sviluppo. Se le cose stanno in questi termini, come intende ottenere tali risultati?
Si assicurerà che gli APE includeranno impegni giuridicamente vincolanti per l’allocazione di fondi scaglionati e prevedibili?
Signora Commissario, a mio parere i paesi ACP, come ha detto lei prima, si trovano in un periodo di crescita più lenta e, per la prima volta in 25 anni, gli sforzi per ridurre la povertà stanno dando dei risultati. Prima di concludere, vorrei sollevare altri due punti: uno riguarda l’accordo di partenariato economico con il Cariforum che non è perfetto e necessita ancora di verifiche.
Per quanto attiene alla Costa d’Avorio, dobbiamo ottenere le garanzie richieste dagli onorevoli Mann e Van Hecke. E’ molto importante per noi.
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Fiona Hall (ALDE) . – (EN) Signor Presidente, se facciamo un passo indietro e torniamo all’inizio del processo relativo agli accordi di partenariato economico, l’accordo di Cotonou del 2000 stabiliva che l’Unione europea ha l’obbligo giuridico di considerare gli interessi dei paesi in via di sviluppo in tutti i settori politici che possono riguardarli. Nel 2005, la Commissione considerava tale coerenza delle politiche per lo sviluppo come un fattore chiave per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Mi rincresce ci siano state delle incomprensioni tra la commissione per lo sviluppo e quella per il commercio internazionale, che deteneva il ruolo di capofila nelle negoziazioni per gli accordi di partenariato economico, perché in alcuni momenti lo stesso Parlamento avrebbe reagito in modo più coerente durante il processo negoziale, quando è stata persa di vista la promessa che tali accordi dovevano divenire strumenti allo sviluppo.
In conclusione, mi ha fatto piacere che il commissario abbia parlato di servizi, perché sono preoccupato, in particolare per quanto attiene all’apertura di banche. I paesi occidentali hanno mancato di regolamentare in modo adeguato le grandi banche internazionali che operano sul loro territorio; viene quindi da chiedersi se sia davvero saggio aprire comunque il settore bancario in paesi con normative di gran lunga inferiori anche se l’OMC non lo richiede. Aprire il settore bancario può favorire le grandi aziende, ma può portare le banche locali a unirsi alla caccia di clienti prestigiosi, ignorando le piccole aziende e riducendone ulteriormente l’accesso al credito.
Jean-Pierre Audy (PPE-DE) . – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, signor Presidente in carica del Consiglio, onorevoli colleghi, desidero anzitutto ringraziare l’onorevole Ford per la qualità della relazione presentata e per la sua ricerca di un compromesso. Abbiamo potuto lavorare su questo documento in Papua Nuova Guinea in occasione dell’assemblea parlamentare paritetica degli Stati ACP e dell’Unione europea. L’ho visto al lavoro con i parlamentari nazionali e mi rallegro di questa collaborazione.
Volevo unirmi, signora Commissario, alle congratulazioni che le sono state rivolte relativamente a questi accordi di partenariato economico negoziati al fine di evitare qualunque perturbazione negli scambi commerciali tra i paesi ACP e la Comunità europea. Tali negoziazioni si sono concluse con l’accordo di partenariato interinale con la Repubblica delle Fiji e la Papua Nuova Guinea, gli unici Stati del raggruppamento territoriale del Pacifico che abbiano raggiunto l’accordo provvisorio, e stiamo valutando il lavoro necessario a concludere accordi regionali completi.
L’accordo include tutte le misure necessarie all’instaurazione di una zona di libero scambio. La risoluzione sottolinea che l’accordo di partenariato economico deve contribuire a rafforzare la crescita economica, l’integrazione regionale, la diversificazione economica e la riduzione della povertà. E’ importante ricordare che un mercato regionale sano costituisce la base fondamentale per il successo dell’accordo di partenariato economico interinale e che l’integrazione e la cooperazione regionali sono essenziali per lo sviluppo sociale ed economico degli Stati del Pacifico.
L’accordo rappresenta l’occasione di dare nuovo impulso ai rapporti commerciali e garantisce un accesso al mercato europeo esente da dazi e senza quote per la maggior parte delle merci. Vorrei insistere sull’aiuto di due miliardi di euro previsto da qui al 2010 e, per concludere, vorrei importante far notare l’importanza del fatto che non si verifichi, neppure sul piano economico, alcuna violazione dei diritti dei brevetti e della proprietà intellettuale che interessano il commercio. Per quanto attiene ai diritti umani, mi stupisco che stipuliamo accordi con la Papua Nuova Guinea quando questo paese punisce ancora in base agli orientamenti sessuali. Sul piano politico, infine, è importante per noi stringere un’alleanza con i paesi ACP nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Georgios Papastamkos (PPE-DE) . – (EL) Signor Presidente, la felice conclusione dei negoziati per gli accordi di partenariato economico tra l’Unione europea e i paesi ACP è la maggiore sfida per la politica europea in tema di commercio e sviluppo.
Abbiamo bisogno di accordi che siano compatibili con gli obblighi internazionali dell’Unione europea, in quanto, come sapete, il trattamento preferenziale unilaterale che l’Unione ha concesso ai paesi ACP rispetto ad altri paesi in via di sviluppo è stato giudicato incompatibile con le norme dell’OMC.
Oltre alle questioni giuridiche, tuttavia, la sfida consiste anzitutto nel raggiungere accordi che promuovano lo sviluppo dei paesi in questione tramite il rafforzamento delle capacità commerciali, la diversificazione della base economica e l’integrazione regionale.
Il nuovo regime commerciale che regolerà i rapporti tra l’Unione europea e i paesi ACP deve garantire l’integrazione nel sistema di scambi internazionale e nell’economia globale, che sta attraversando ora una crisi senza precedenti ai danni sia dei paesi sviluppati e in via di sviluppo sia delle economie emergenti.
Tutti noi conveniamo che l’apertura dei paesi ACP verso l’Unione europea debba essere asimmetrica e graduale, con adeguata flessibilità in termini di quote in settori sensibili e con clausole di tutela efficaci. Come sapete, l’obiettivo delle negoziazioni era coprire settori quali servizi, investimenti, diritti di proprietà intellettuale, maggiori attività nelle questioni commerciali, nonché l’accesso al mercato dei beni.
Per tale ragione sosteniamo l’estensione dell’ambito degli accordi nella misura ritenuta utile dagli stessi paesi APC. E’ assolutamente vitale includere negli accordi di partenariato economico clausole per lo sviluppo e fornire adeguati aiuti al commercio.
Glenys Kinnock (PSE) . – (EN) Signor Presidente, desidero affrontare due questioni relative al parere conforme. Ho parlato di Cariforum. Tutti sono sereni ed ottimisti relativamente all’accordo con il Cariforum, ma naturalmente c’è ancora bisogno di tutela, come è stato chiaramente sottolineato dal presidente e da altri esponenti del paese, tra cui membri del Parlamento, nel corso del recente incontro in Guyana.
E’ stata sollevata la questione delle banane. Commissario Ashton, lei ha parlato di un accesso al mercato esente da dazi e quote, e questo è corretto, ma il punto è che gli accordi firmati con l’America centrale, e quindi con i paesi del Mercosur e del Patto andino, comporteranno per loro una riduzione delle tariffe. Non potremo fare nulla per permettere ai produttori di banane dei paesi ACP di restare competitivi. E’ una questione critica e tali accordi sono stati raggiunti prima ancora che l’inchiostro sugli accordi con il Cariforum si fosse asciugato.
Nei Caraibi permangono forti preoccupazioni anche circa le unità esecutive, che non sono ancora state create. Altri problemi sono invece legati alle tensioni che si sono create tra i vari paesi della regione e vi è, infine, la questione Haiti. La conferenza dei donatori non ha portato a un risultato tanto soddisfacente quanto avremmo voluto e ci si chiede se sia possibile siglare o negoziare accordi di partenariato economici finché Haiti non sarà coinvolta.
Per quanto attiene alla Costa d’Avorio, vogliamo ricevere garanzie ineccepibili. E’ un paese che ha conosciuto notevoli turbolenze, incertezze ed instabilità per diversi anni ed è molto importante dare il nostro parere conforme, delle così come ottenere garanzie che lei indicherà, sotto forma di lettera indirizzata ai negoziatori e al governo in Costa d’Avorio, in merito al fatto che rimarremo fedeli al nostro impegno di negoziare in buona fede un accordo positivo per gli abitanti del paese.
Marie Anne Isler Béguin (Verts/ALE) . – (FR) Signor Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signora Commissario, ho ascoltato attentamente i vostri discorsi.
Signor Presidente in carica del Consiglio, lei ha parlato di sostenibilità economica. La domanda che mi pongo oggi è cosa significhi, parole a parte. Cosa significa sostenibilità economica durante una crisi economica, finanziaria ed ambientale? Che garanzie possiamo offrire? Nonostante i rassicuranti propositi del commissario, visto che gli accordi sono stati negoziati in un mondo diverso, mi chiedo se il progetto che stiamo proponendo ai nostri partner APC oggi si adatti ancora alla situazione reale.
Personalmente, non lo credo. Incontriamo le organizzazioni non governative, incontriamo le piccole e medie imprese. Siamo stati in Guyana, di recente, e il presidente ci ha domandato: ci chiedete di diversificare, ma, diteci, che cosa può produrre il nostro piccolo paese che possa competere con il Brasile e il Venezuela?
Credo quindi che non dobbiamo voltarci dall’altra parte proprio oggi. Lei da un lato parla di flessibilità e dall’altro di norme dell’OMC. Mi spiace, ma questi due termini sono assolutamente contraddittori, in quanto richiedono un adeguamento e sappiamo benissimo che, per quei paesi, questo comporterà un ulteriore impoverimento.
Non credo affatto, pertanto, che la nostra proposta odierna e quella passata siano adeguate. Guardiamo ai risultati del modello di sviluppo attuato negli ultimi quarant’anni: è un fallimento, come è già stato detto. Sono propenso a pensare che questo fallimento continuerà, la situazione diventerà sempre peggiore con questi accordi di partenariato perché non si adattano assolutamente alla situazione economica, sociale e ambientale mondiale.
Daniel Caspary (PPE-DE) . – (DE) Signora Commissario, a seguito degli ultimi due interventi, desidero porle una domanda. Lei concorda che ci sono paesi, al mondo, che negli ultimi vent’anni sono riusciti a migliorare significativamente il proprio livello di prosperità senza un accordo di partenariato economico e che forse questo tipo di accordo rappresenta un’opportunità anche per loro?
Jan Kohout, presidente in carica del Consiglio. – (CS) La ringrazio, signor Presidente e ringrazio anzitutto e soprattutto voi, onorevoli deputati del Parlamento europeo, per la costruttiva ed interessante discussione. Permettetemi di rispondere a due dei punti che sono stati sollevati. Il primo concerne la flessibilità. Ho visto, dagli interventi di alcuni deputati, che vi è il desiderio di assicurare la necessaria flessibilità nelle negoziazioni per gli accordi di partenariato economico.
Vorrei sottolineare che il Consiglio è pienamente consapevole dell’importanza della flessibilità a due livelli. Il primo riguarda la flessibilità intesa come uno sfruttamento completo delle opzioni per accordi asimmetrici, calendarizzazioni e misure protettive nell’ambito delle norme stabilite dall’OMC. Non posso condividere, pertanto né l’opinione né la conclusione generalizzata che quarant’anni di assistenza ai paesi in via di sviluppo siano stati una catastrofe. Ritengo che la situazione sarebbe stata di gran lunga peggiore senza gli aiuti forniti dall’Unione europea e da altri paesi. Al contempo ritengo che le norme di cui disponiamo garantiscono un grado di flessibilità tale che ciascuno di questi paesi – e in questo ho fiducia nella Commissione e nel commissario – possa trovare una soluzione adeguata alle proprie necessità e ai propri interessi.
Il secondo tipo di flessibilità è quello che offriamo nella transizione dalle disposizioni degli APE interinali ad accordi regionali completi, nell’ottica di sostenere la cooperazione regionale. Il secondo punto emerso dalla discussione cui vorrei rispondere riguarda la questione della dimensione di sviluppo degli APE. Non ho dubbi che questi non siano accordi commerciali convenzionali in quanto comprendono una dimensione di sviluppo intrinsecamente forte: stabiliscono accordi interinali a lungo termine (fino a 25 anni), comprendono esenzioni (fino al 20 per cento dei beni provenienti dai paesi ACP può essere esentato dalla liberalizzazione) e prevedono controlli e riesami che coinvolgono il Parlamento. La loro attuazione sarà sostenuta dal pacchetto finanziario di aiuto per il commercio; tutto questo dimostra che tali accordi mirano a promuovere lo sviluppo.
Vorrei assicurare, inoltre, a nome della presidenza ceca e del Consiglio, che monitoreremo da vicino i progressi delle negoziazioni degli APE e desidero esprimere il mio sostegno alla Commissione e al commissario Ashton per gli sforzi intrapresi finora per adempiere al mandato che il Consiglio le ha assegnato. Durante la presidenza ceca, ci concentreremo su questo tipo di accordi in occasione dell’incontro del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” di maggio, cui interverranno i ministri per la cooperazione allo sviluppo. Se, assieme ai nostri omologhi dei paesi ACP, raggiungeremo un compromesso, l’argomento verrà affrontato anche durante la riunione congiunta del Consiglio dei ministri dei paesi ACP e dell’Unione europea in maggio. Nel corso della presidenza ceca, il Consiglio ospiterà a Praga l’assemblea parlamentare paritetica ACP-UE all’inizio di aprile, tra pochi giorni. Sono certo che gli APE saranno uno dei principali argomenti di discussione e che i dibattiti si dimostreranno di grande importanza proprio perché avverranno a livello parlamentare.
Attendo con interesse l’esito della votazione di domani. A mio avviso ci troviamo in un momento chiave nello sviluppo degli accordi di partenariato economico. Come abbiamo visto, i negoziati sono ancora in corso in numerose regioni, ma nella regione caraibica sono stati già raggiunti ottimi risultati. Per quanto riguarda la Costa d’Avorio, abbiamo raggiunto un punto fondamentale per futuri progressi. Molti paesi attendono l’approvazione del Parlamento europeo e quindi la conclusione di anni di difficili negoziazioni. Credo fermamente che il Parlamento europeo invierà al mondo un segnale positivo, particolarmente necessario in questo momento. Credo, anzi, sono certo che anche in questa crisi e in questa fase di grande incertezza che tutti noi percepiamo e cui avete fatto riferimento in varie occasioni, questi accordi si rivelino uno strumento di aiuto concreto che contribuirà allo sviluppo di questi paesi.
Catherine Ashton, membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, mi permetta semplicemente di rispondere ad alcuni dei commenti che sono stati fatti.
Onorevoli Guardans Cambó, Hutchinson e Hall, tutti voi, in diversa misura, avete parlato del passato e della nostra necessità di fare meglio. Sono d’accordo. Non concordo però appieno con la vostra analisi, ma convengo che questa sia un’opportunità per guardare avanti, che in parte implica il futuro coinvolgimento non solo del Parlamento europeo, ma anche dei parlamenti nazionali dei paesi ACP. Spetta ovviamente alle singole nazioni trovare il modo per coinvolgere il proprio parlamento. Dobbiamo stare molto attenti, e so che gli onorevoli deputati me lo richiedono, a non imporre il nostro pensiero a nessun altro paese. Mi lasci dire, onorevole Kinnock, che attendo con trepidazione l’incontro dell’assemblea parlamentare paritetica.
L’onorevole Martin, più di altri, ha parlato della necessità di un riesame e del fatto che, soprattutto in questo clima economico, sia assolutamente essenziale per noi effettuare controlli e riesami. Ancora una volta mi trovo d’accordo. Sarei molto interessata a continuare la discussione con gli onorevoli deputati su come coinvolgere il Parlamento in questo processo e a conoscere le vostre idee su come rendere tali controlli e riesami davvero efficaci e tranquillizzare i paesi che lavorano al nostro fianco.
Onorevoli Sturdy e Martin, il principio della nazione più favorita, com’è stato detto, è strutturato in modo da riunire sotto un unico concetto quei grandi paesi che non hanno sostenuto il processo in cui siamo stati coinvolti. Non si tratta di danneggiare il commercio tra sud e sud o di compromettere le opportunità e la sovranità dei paesi che desiderano aprire un commercio. Ecco perché esiste un tetto al volume di commerci mondiali in cui un paese deve essere coinvolto prima che questa particolare clausola entri in vigore. Devo ammettere che siamo sempre alla ricerca di flessibilità anche sotto questo aspetto.
Per quanto attiene al gettito dei dazi doganali, onorevoli Arif e Jouye de Grandmaison, il fondo europeo di sviluppo coprirà tale aspetto fino al 2013 e noi desideriamo garantire che anche la crescita economica e il cambiamento fiscale possano sostenere le nazioni, in modo che non contino esclusivamente su questa entrata, ma trovino nuovi modi di sostenere le proprie economie.
Indipendentemente da cosa accadrà al mercato delle banane, quei paesi continueranno a essere favoriti più degli altri, ma sappiamo bene che simili preferenze potrebbero comunque azzerarsi. Nella valutazione di accordi che per anni abbiamo cercato di testare e capire, queste considerazioni vanno tenute ben presenti e io intendo farlo.
Onorevoli Van Hecke, Mann e Kinnock, i risultati di uno, sono i risultati di tutti. Voglio essere assolutamente chiara: sono lieta di scrivere a chiunque ovunque, e ancor di più alla Costa d’Avorio, per confermare che applicheremo con questo paese le stesse flessibilità discusse assieme alla Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe. La SADC potrebbe non volere alcuni aspetti che sono specifici per quella regione, ma per il resto potranno avere quello che desiderano. Sono molto lieta di metterlo per iscritto ovunque, in qualunque momento e a chiunque. Ditemi, pertanto, quali sono le vostre richieste nei miei confronti.
Gli onorevoli Ford e Fjellner hanno parlato dell’importanza del commercio in generale e concordo appieno con la loro analisi. Credo sia stato l’onorevole Fjellner a dire che nell’attuale clima economico abbiamo bisogno di più e non meno commercio; sono assolutamente d’accordo.
Onorevole Caspary, concordo pienamente: libertà di prendere il futuro nelle mani. I paesi che si sono sviluppati economicamente senza accordi di partenariato economico: India e Cina potrebbero essere due perfetti esempi, suppongo.
Anche l’onorevole Kamall ha ripreso l’argomento − a mio parere fondamentale − del nostro impegno a permettere alle nazioni di crescere, aiutandoli a sviluppare le loro economie e sostenendoli attraverso uno sviluppo e un commercio relazionati tra loro.
Onorevole Kinnock, il richiamo allo sviluppo è molto importante, ma l’impegno vincolante a prestare aiuto esiste già e si trova nell’accordo di Cotonou. Oggi noi vogliamo utilizzare gli accordi di partenariato economico per concedere preferenze e stabilire priorità allo sviluppo in modo paritetico, elementi molto significativi.
Per concludere, desidero ringraziare i miei collaboratori, poiché non me ne viene spesso offerta l’occasione. Il nostro negoziatore principale siede alle mie spalle ed è lui che ha portato a termine tutto il lavoro con la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe. I miei colleghi sono qui e volevo semplicemente assicurarmi che riconosceste il loro enorme aiuto e totale impegno nel programma che ho descritto.
Personalmente, spero che voterete la mia attività con lo stesso mio spirito. Mi impegno totalmente di fronte a voi a continuare nel lavoro, ma spero sinceramente di avere il vostro sostegno per riuscire a portare a termine quanto prefissatomi nel modo in cui ve l’ho descritto. Sarebbe di enorme importanza per me e stasera spero che lo farete.
David Martin, relatore. − (EN) Signor Presidente, mi permetta anzitutto di dire che è stata davvero una bellissima discussione. Abbiamo ricevuto contributi positivi sia dal Consiglio che dalla Commissione.
Desidero riprendere in particolar modo quanto detto dal Consiglio circa il fatto che quello con il Cariforum è un esempio, ma non un modello, per altri accordi di partenariato economico. Concordo pienamente: potrebbe rappresentare la base per altre intese, ma ogni accordo deve avere la propria specificità. Dobbiamo imparare la lezione dalle negoziazioni con il Cariforum.
In secondo luogo, sono sinceramente lieto del fatto che il Consiglio abbia potuto prendere un impegno in merito all’aiuto al commercio, in perfetta sintonia con le intenzioni degli Stati membri.
Ho piacere nel sentire le rassicurazioni di Consiglio e Commissione in merito all’accesso ai medicinali e che entrambe le istituzioni hanno garantito che il riesame a cinque anni di distanza sarà un riesame effettivo, mirato al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo.
Sono altresì lieto del fatto che il commissario ritenga che, prima di qualunque liberalizzazione ed apertura di servizi finanziari, si debba attuare una regolamentazione. Per alcuni di noi in quest’Aula, è un aspetto fondamentale. Ha dichiarato − e sebbene lo sapessimo già era importante che venisse messo agli atti − che nessun elemento, in questi accordi, incoraggia alla privatizzazione dei servizi pubblici in nessuno dei paesi caraibici e che la stipula di un tale accordo non crea aspettative in merito. Anche gli impegni assunti del commissario sullo status di nazione più favorita mi hanno fatto particolarmente piacere.
Poiché quanto dichiarato dalla Commissione e dal Consiglio è entrato negli atti del Parlamento, in qualità di relatore, sarei lieto di raccomandare all’Assemblea di dare il proprio consenso sull’accordo di partenariato economico con i paesi dei Caraibi.
Permettetemi di passare ad un altro argomento, ovvero alla risoluzione. Un paio di miei colleghi conservatori del PPE si sono espressi in proposito. I socialisti nutrono ancora delle riserve circa l’attuale stato della risoluzione, il che non implica automaticamente un parere conforme. Tutti gli impegni assunti da Consiglio e Commissione riguardano proprio tali riserve. Se l’Assemblea sostiene queste due istituzioni, non vedo perché non dovrebbe supportare anche i nostri compromessi e il nostro testo ed inserirli nella risoluzione del Parlamento.
Spero che, alla fine, potremo votare sia per parere conforme che per una risoluzione consensuale che favorisca il commercio e preveda al tempo stesso forti impegni per lo sviluppo.
Erika Mann, relatore. − (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il commissario e il Consiglio. Oggi abbiamo infine concordato di concedere alla Costa d’Avorio quanto il Parlamento richiedeva già da tempo e ritengo che il paese ne sarà più che contento. Signora Commissario, potrebbe assicurarsi di visitare quanto prima – personalmente o tramite un suo delegato –la Costa d’Avorio per trasmettere questo messaggio estremamente positivo, confermandolo anche per iscritto? Si tratta di un accordo che risponde appieno alle nostre richieste.
Vorrei commentare alcuni punti che non sono stati affrontati in dettaglio. Avremmo piacere di assistere alle operazioni di controllo. So che è complicato e che ci sarà bisogno dell’aiuto del Consiglio, ma vorremmo assistere, alle operazioni di controllo tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione nella fase di passaggio da accordo interinale ad accordo completo. Solo in questo modo saremo in grado di comprendere l’oggetto dei negoziati. In caso contrario, riceveremo semplicemente una relazione finale che dovremo approvare o rifiutare, ma non è questo che vogliamo.
Non chiediamo di prender parte al processo di negoziazione, ma vorremmo verificare l’attività in corso. Non vogliamo una risposta immediata – benché sarebbe utile per noi avere il suo consenso già oggi – ma io e miei colleghi saremo lieti di negoziare il processo assieme a lei. E’ già accaduto in passato con altri accordi e in altre circostanze, ma sono certa che, con il consenso del Consiglio, troveremo una soluzione.
Infine desidero richiedere al Commissario e al Consiglio la garanzia del loro massimo impegno per garantire il tipo di risultati convenuti al Ciclo di Doha per lo sviluppo, e mi riferisco al caso delle banane e del cotone per altri paesi, che coinvolge altri aspetti importanti per i paesi in via di sviluppo. So che non farlo riceverò conferma oggi, ma vi prego di garantirci che farete quanto possibile per concludere questo genere di accordi.
Desidero infine ringraziare due colleghi; inizio con l’onorevole Kinnock il cui contributo è stato prezioso e che – con mio grande piacere -invita ad esprimere parere favorevole sulla Costa d’Avorio. So che si tratta di un tema molto complesso e le sono davvero grata per la collaborazione. Anche l’onorevole Kamall ha dato un grande contributo a questa relazione e di ciò lo ringrazio tanto più che la risoluzione in oggetto talvolta è in contrasto con i suoi principi in materia di commercio. Egli è favorevole al libero commercio e quindi non gli è facile addivenire a un compromesso. E’ per questo motivo che desidero esprimere a entrambi i colleghi il mio ringraziamento che estendo ancora una volta anche alla Commissione e al Consiglio.
Presidente. - Comunico di aver ricevuto nove proposte di risoluzione(1), ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 5, del regolamento.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà mercoledì 25 marzo 2009.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
Mary Lou McDonald (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) La crisi economica internazionale dovrebbe indurci a riesaminare e modificare la politica comunitaria in materia di liberalizzazioni e deregolamentazione non solo in seno all’Unione, ma anche relativamente ai paesi in via di sviluppo.
Gli accordi di partenariato economico all’esame del Parlamento propongono invece di continuare a percorrere questa strada che si è dimostrata fallimentare.
Tali accordi sono stati negoziati dall’Unione europea esercitando forti pressioni sui governi dei paesi in via di sviluppo e senza prendere in considerazione le opinioni di coloro che, in questi paesi, soffrirebbero maggiormente a causa della loro attuazione.
Vaghe promesse di flessibilità in fase di attuazione degli accordi non sostituiscono impegni concreti.
Presidente. – L’ordine del giorno reca la relazione (A6-0484/2008), presentata dall’onorevole Roth-Behrendt, a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sui prodotti cosmetici (rifusione) [COM(2008)0049 – C6-0053/2008 – 2008/0035(COD)].
Dagmar Roth-Behrendt, relatore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, probabilmente non mi serviranno i quattro minuti che mi spettano all’inizio della discussione, in quanto quella di oggi è una questione molto semplice e molto piacevole. Stiamo discutendo una nuova versione della direttiva sui cosmetici, convertita ora in regolamento. Tale documento verrà portato al passo coi tempi con l’obbiettivo di aggiornarlo, migliorarlo e renderlo più coerente.
Abbiamo in mente tre miglioramenti di lieve entità. Da un lato, il regolamento sancisce il divieto di usare sostanze cancerogene nei cosmetici, ma dobbiamo al contempo mantenere il senso delle proporzioni, in modo che sostanze autorizzate per uso alimentare, come la vitamina A o l’alcol, non siano vietate in cosmetica. Si tratta di un elemento che la Commissione ha correttamente individuato e di cui ha tenuto conto della propria proposta.
La Commissione ha giustamente riconosciuto altresì che le nuove tecnologie, come le nanotecnologie, necessitano di particolare attenzione, soprattutto quando si tratta di particelle microscopiche che potrebbero oltrepassare strati dell’epidermide. Vogliamo semplicemente assicurarci che esse non rappresentino un pericolo. Esprimo pertanto soddisfazione per il compromesso raggiunto che sostengo incondizionatamente.
Per concludere, signor Presidente, c’è ancora un tema che dobbiamo affrontare, le quello della pubblicità dei prodotti che va esaminato e aggiornato. Se siamo venuti in quest’Aula di corsa, oggi, e se il nostro deodorante ci ha promesso stamattina che saremmo stati liberi dal sudore per 14 ore, ma nondimeno questa sera ci ritroviamo completamente sudati, probabilmente saremo molto stupiti e diremo che quella pubblicità non è veritiera. Una pubblicità che mantiene ciò che promette è parte integrante di un prodotto onesto e credibile. Abbiamo norme che garantiscono prodotti sicuri e, allo stesso tempo, trasparenti e genuini.
Sono molto grata per l’ottima collaborazione con la presidenza ceca e vorrei ringraziare in particolar modo la signora Popadičová che oggi non ha potuto essere presente ma che ha collaborato in ogni modo possibile, cosa non sempre facile in seno al Consiglio.
Desiderò altresì rivolgere un ringraziamento particolare alla Commissione, la cui cooperazione – contrariamente a quanto accade spesso in questa sede - è stata estremamente costruttiva ed efficace. Desidero inoltre ringraziare i colleghi, ed in particolar modo le colleghe, che hanno lavorato lungamente sull’argomento. Il mio grazie va alle onorevoli Grossetête, Auken, Breyer e all’onorevole Ries, che oggi non ha potuto essere presente, per la loro collaborazione. Non siamo sempre state d’accordo su questioni come la gestione delle notifiche relativamente alle nanotecnologie e sui requisiti in materia di etichettatura, ma siamo riuscite a raggiungere un eccellente compromesso. Ne sono molto lieta.
Vorrei esprimermi brevemente sul tema dell’etichettatura. Ritengo che alcune delegazioni, forse anche la mia stessa delegazione e lo Stato membro da cui provengo, debbano prendere nota di alcuni punti. L’etichettatura non ha nulla a che vedere con i simboli di pericolo; esse consentono al consumatore di operare scelte libere e informate. I consumatori hanno il diritto di essere informati sulle nanotecnologie e di sapere che una determinata sostanza contiene particelle particolarmente piccole, ove non microscopiche. Hanno il diritto di decidere se vogliono usare una lozione solare e se la vogliono utilizzare sui loro figli. I consumatori hanno il diritto di decidere. Io stessa sarei lieta di farlo e di utilizzare alcuni prodotti, mentre altri potrebbero essere di parere diverso, ma è importante garantire che tutti siano in grado di compiere tali scelte.
So che lei, Commissario Verheugen, oggi rilascerà una dichiarazione sulla prevenzione della contraffazione dei medicinali. Gliene sono davvero grata e spero che affronterà anche la questione dei rischi derivanti dal commercio via Internet come pure delle opportunità a esso correlate. Se lo farà, domani, quando ci esprimeremo sulla versione di compromesso che il Consiglio ha già votato la scorsa settimana, sarà un giorno migliore per alcuni dei miei colleghi, che in linea di massima sostengono questo compromesso, ma gradirebbero ulteriori rassicurazioni. La ringrazio.
Günter Verheugen, vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, desidero porgere un sentito ringraziamento alla relatrice, l’onorevole Roth-Behrendt, e alle due correlatrici, le onorevoli Ries e Grossetête, per la loro intensa e costruttiva collaborazione che ci ha consentito di raggiungere l’accordo alla prima lettura.
Questo regolamento ha tre importanti conseguenze e compie tre importanti passi avanti. Assicuriamo maggiore sicurezza e maggiore trasparenza per i consumatori e abbiamo raggiunto una significativa semplificazione della legislazione vigente. La questione relativa alla sicurezza è stata al centro del nostro operato.
Desidero affrontare solo alcuni punti. Per la prima volta, stiamo creando un meccanismo che descriverei come una “sentinella cosmetica”, ossia un controllo costante dei prodotti cosmetici, un procedimento analogo a quello già in atto per i prodotti farmaceutici. Stiamo aumentando il livello di sorveglianza del mercato ad opera degli Stati membri e creando un sistema che garantisca la tracciabilità obbligatoria dei prodotti cosmetici. Tale impostazione si applicherà a tutti i produttori, da quelli amatoriali ai grossisti e ai rivenditori al dettaglio, coinvolgendo in pratica l’intera catena di distribuzione.
L’onorevole Roth-Behrendt ha già toccato l’argomento delle nanotecnologie. In questo caso abbiamo trovato una soluzione che vorrei descrivere quale modello, in quanto la medesima soluzione verrà utilizzata più avanti, nel corso della settimana, per altri importanti normative. La clausola specifica sui nanomateriali usati nei cosmetici introduce un meccanismo che fornisce informazioni prima che i materiali siano resi disponibili al pubblico sul mercato. In tal modo viene garantito l’obbligo di dare informazioni sulla sicurezza mentre le autorità dispongono di tempo per prendere, ove necessario, provvedimenti cautelativi in termini di sicurezza.
Si è discusso a lungo, in modo intenso e proficuo, sulla possibilità di utilizzare, in casi eccezionali, materiali classificati come cancerogeni, mutageni o tossici per la riproduzione. Sono davvero lieto che il Consiglio e il Parlamento abbiano convenuto con la Commissione che dovremmo mantenere il divieto generico sull’uso di simili sostanze nei prodotti cosmetici. Le minime eccezioni proposte dalla Commissione mirano esclusivamente a evitare discrepanze con la legislazione sui prodotti alimentari in quanto non risulta chiaro, di primo acchito, per quale ragione uno possa bere alcol, ma non utilizzarlo in prodotti cosmetici.
Oltre a garantire la sicurezza dei prodotti, la proposta migliora il livello di informazione fornito al consumatore; ad esempio nell’elenco degli ingredienti verranno aggiunte informazioni sulle sostanze che appaiono in nanoformato. La legislazione prevede anche ispezioni specifiche sulle informazioni fornite dai produttori. Sono davvero lieto di confermare che gli Stati membri e la Commissione, in stretta collaborazione, desiderano impedire che i consumatori possano essere tratti in inganno.
Il regolamento in oggetto, come ho già accennato in precedenza, fa parte del nostro programma di semplificazione volto a eliminare ambiguità e contraddizioni da una direttiva che ha già 33 anni di vita e che, nel tempo, è già stata emendata 55 volte. Pochi sono quelli che la capivano veramente. E’ per questo motivo che abbiamo proceduto ad una significativa semplificazione della legislazione comunitaria.
Desidero sottolineare altresì che la creazione di un sistema centrale di notifica dei prodotti cosmetici prima della loro immissione sul mercato comunitario costituirà una riduzione dei costi anche per l’industria.
Ho già segnalato che il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno lavorato insieme in modo costruttivo. A nome della Commissione, sostengo tutti gli emendamenti presentati dalla relatrice, l’onorevole Roth-Behrendt.
La Commissione, inoltre, ha fornito le spiegazioni richieste dal Parlamento sui motivi per cui si sia optato per un regolamento anziché una direttiva, su vendite via Internet, prodotti contraffatti, disposizioni transitorie e tempistiche di entrata in vigore del regolamento, nonché sulla questione relativa alla definizione dei nanomateriali. Per risparmiare tempo, vi prego di acconsentire che tutte le spiegazioni vengano trasmesse ai servizi di conferenza, in quanto i contenuti sono già noti al Paramento.
Dichiarazioni della Commissione
La Commissione prende nota delle preoccupazioni espresse dagli Stati membri sulla rifusione delle direttive in regolamenti.
La Commissione considera che, laddove le disposizioni di una direttiva in vigore siano sufficientemente chiare, precise e dettagliate, queste possono essere convertite in clausole direttamente applicabili in un regolamento per mezzo della rifusione. Questo si applica in particolar modo alle disposizioni di natura tecnica già recepite in toto nelle rispettive legislazioni nazionali da tutti gli Stati membri.
In considerazione dei diversi pareri espressi, la Commissione accetta che il caso specifico del regolamento sui cosmetici non venga utilizzato come precedente per l'interpretazione dell'Accordo interistituzionale in materia.
La Commissione si impegna a chiarire la situazione relativa alle vendite via Internet di prodotti cosmetici prima della data di attuazione del regolamento.
Al pari del Parlamento europeo, la Commissione è preoccupata del fatto che il settore cosmetico possa essere interessato da contraffazioni suscettibili di rischi per la salute umana. La Commissione, pertanto, si adopererà al fine di intensificare la cooperazione tra le autorità nazionali competenti per combattere la contraffazione.
La Commissione redigerà una nota esplicativa sulle disposizioni transitorie e sulle date di attuazione del regolamento (soprattutto per quanto attiene agli articoli 7, 8, 10 e 12 bis).
La Commissione prende atto del fatto che i lavori per raggiungere una definizione comune di nanomateriali sono ancora in corso. Essa pertanto conferma che la futura legislazione comunitaria dovrebbe tener conto dei progressi in materia di definizione comune e fa presente che le procedure di comitatologia contenute nella presente proposta contribuiscono a loro volta ad aggiornare la definizione.
Françoise Grossetête, a nome del gruppo PPE-DE. – (FR) Signor Presidente, desidero innanzitutto complimentarmi non solo con il Consiglio ma anche, naturalmente, con la relatrice, l’onorevole Roth-Behrendt, con la Commissione europea, con i colleghi correlatori e, in particolar modo, con l’onorevole Ries, per il lavoro svolto. Talvolta ci sono stati scambi alquanto vivaci, fra noi, ma alla fine siamo giunti a un risultato molto soddisfacente che, da un lato, rafforza la sicurezza dei prodotti cosmetici a beneficio dei consumatori e, dall’altro, riduce gli oneri amministrativi divenuti oramai inutili per l’ industria europea.
Questo regolamento era necessario perché bisognava riportare chiarezza in una normativa modificata quasi cinquanta volte nel corso degli ultimi trent’anni. La trasposizione della direttiva nei ventisette Stati membri poneva problemi. Vi era un certo numero di incertezze giuridiche e il testo era diventato troppo pesante e decisamente troppo oneroso per le nostre aziende sul piano della sua attuazione. Ricordo, peraltro, che le aziende cosmetiche dell’Unione europea sono leader mondiali del settore, con più di 3 000 produttori di cosmetici. Si tratta di un settore altamente innovativo, con un mercato di 65 miliardi di euro che, direttamente o indirettamente, genera più di 350 000 posti di lavoro. E’ importante, quindi, occuparsi dell’argomento.
Questo nuovo regolamento, come ho detto in precedenza, rafforza la sicurezza e aumenta la responsabilità del produttore introducendo controlli sul mercato e riducendo al contempo la burocrazia. Stabilisce una maggiore tracciabilità dei prodotti cosmetici, l’identificazione del responsabile e una scheda informativa con la descrizione del prodotto cosmetico e del relativo metodo di produzione.
Abbiamo discusso a lungo sui nanomateriali utilizzati nei cosmetici – in particolar modo nei prodotti solari – che dovranno essere soggetti a parametri molto rigidi dal punto di vista della sicurezza, senza per questo frenare l’innovazione. Il responsabile dovrà quindi segnalare non tanto il nanomateriale in sé quanto il prodotto contenente nanomateriali.
Per concludere, vorrei attirare la vostra attenzione sulla necessità di lottare contro la contraffazione dei prodotti cosmetici, perché essa rappresenta ancora un grosso pericolo. Abbiamo ancora molto da fare in questo campo.
Daciana Octavia Sârbu, a nome del gruppo PSE. – (RO) La sicurezza dei prodotti cosmetici riveste grande importanza per i consumatori europei ed è per questa ragione che dobbiamo prestarvi la dovuta attenzione.
Ritengo che il riesame della direttiva e la sua sostituzione con una proposta di regolamento da parte della Commissione siano giunti al momento opportuno. Questo permetterà di eliminare inaccuratezze e incoerenze di natura giuridica e di evitare discrepanze nel recepimento del testo nelle legislazioni nazionali.
Laddove l’esperienza a livello europeo ha dimostrato che un approccio del tipo “ingrediente per ingrediente” non è possibile né adeguato, dobbiamo responsabilizzare maggiormente i produttori e applicare controlli rigorosi sul mercato interno.
L’uso di nanomateriali è una soluzione promettente in questo settore ma tali materiali devono essere analizzati e dichiarati sicuri dal comitato scientifico per i prodotti destinati ai consumatori, mentre il ricorso a metodi alternativi è un’iniziativa che dobbiamo continuare a sostenere.
Credo che il coinvolgimento del suddetto comitato sia di vitale importanza per l’uso di sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per controllarne l’uso nella realizzazione dei prodotti cosmetici.
Per garantire un’efficace attuazione del regolamento in oggetto, gli Stati membri devono condurre verifiche adeguate e, in caso non conformità, devono informare con regolarità la Commissione.
Chris Davies, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, il Parlamento sta giungendo al termine del proprio mandato e alcuni di noi iniziano a prepararsi per le elezioni. Nel Regno Unito, quanto meno, ci troviamo di fronte a un mare di euroscettici ed eurofobi pronti a criticare il nostro operato ogniqualvolta se ne presenta l’occasione. La storia di questa normativa sarebbe sicuramente un’occasione propizia: 55 modifiche significative negli ultimi 30 anni, che l’hanno resa sempre farraginosa ed oscura, con scarso beneficio per l’industria o i consumatori.
Personalmente ritengo che spesso tali critiche tendano a essere semplicistiche: non guardano a quello che l’Unione europea sta cercando di fare per migliorare la situazione esistente e mettere in pratica i benefici. Partono sempre da un presupposto di staticità mentre nella fattispecie ci stiamo occupando di un approccio legislativo che ha di fatto semplificato le disposizioni vigenti e ridotto la burocrazia portando chiarezza. e trasformando una direttiva in un regolamento. Nel mio paese un siffatto approccio è considerato un male perché erode lo spazio di manovra degli Stati membri. In realtà, come abbiamo visto con REACH e come vediamo anche in questo caso, l’industria non vuole 27 interpretazioni diverse di una normativa europea, l’industria vuole sapere esattamente come stanno le cose in termini di mercato, un mercato che nel suo genere è il maggiore al mondo.
I critici ora leveranno la loro voce per dire che era sbagliato insistere sulla messa al bando delle sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione? Riconosceranno il loro errore? Diranno ancora che dovremmo mettere nei cosmetici sostanze che non metteremmo nel cibo, nonostante alcuni di questi li usiamo sulla pelle, negli occhi e addirittura in bocca? Si opporranno alle giuste valutazioni dei cosmetici o al servizio d’informazione centrale che, come ha giustamente detto il commissario, farà risparmiare denaro all’industria? Non credo che faranno nulla di tutto questo.
L’onorevole Ries, che non può essere presente questa sera, voleva garantire che si facessero degli sforzi per cercare di bloccare il mercato dei prodotti contraffatti, rafforzare la tracciabilità dei prodotti e aumentare le restrizioni sulle pubblicità ingannevoli circa gli effetti benefici di tali prodotti. Voleva sostenere un’etichettatura dei prodotti chiara relativamente al contenuto di nanomateriali. Abbiamo fatto progressi in tutti questi campi e perciò, a suo nome, desidero ringraziare la relatrice, le correlatrici e il commissario Verheugen. Ritengo che sia una normativa valida e, per una volta, nell’affrontare la campagna elettorale, sarò ben lieto di citarlo ad esempio di quanto l’Europa può fare di buono.
Roberta Angelilli, a nome del gruppo UEN. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’industria cosmetica europea è un settore economico ed occupazionale molto importante. Come è stato già detto, sviluppa un fatturato di oltre 35 miliardi di euro, più di 350.000 posti di lavoro tra la vendita, la distribuzione e il trasporto. Una vocazione di alta innovazione. Anch’io però ribadisco che va garantito un livello elevato di tutela della salute umana ed informazione dei consumatori.
Proprio per questo mi complimento con la relatrice per l’ottimo lavoro svolto, sottolineando alcuni punti a mio avviso molto importanti. È giusto sottoporre i prodotti ad una valutazione della sicurezza che responsabilizza anche i distributori, che dovranno fare le necessarie verifiche prima di commercializzare i prodotti. È bene poi che il nuovo regolamento preveda la messa al bando di più di 1.000 sostanze utilizzate nei cosmetici, sostanze classificate come cancerogene o tossiche.
Importante è anche l’elenco dei coloranti, dei conservanti e dei filtri solari ammessi. È fondamentale inoltre una maggiore chiarezza dell’etichetta sulla funzione del cosmetico, la durata di conservazione, le precauzioni particolari per l’impiego e una lista di ingredienti elencati in ordine decrescente di peso. Soprattutto dovranno figurare sull’etichetta diciture, marchi o immagini che attribuiscono ai prodotti caratteristiche e funzioni realistiche e non caratteristiche e funzioni che non possiedono.
Occorrerà quindi garantire la rintracciabilità del prodotto, tutto ciò anche per evitare il fenomeno inquietante della contraffazione dei prodotti cosmetici e della cosiddetta importazione parallela. Chiudo, Presidente, ricordando che solo in Italia 120 milioni di euro di prodotti cosmetici, compresi i profumi e i dentifrici, vengono proprio dal mercato parallelo, con potenziali danni anche molto gravi per la salute.
Hiltrud Breyer, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, proteggere la salute umana è l’obiettivo principale, quando si tratta di prodotti cosmetici. Con questo voto entriamo nella storia. E’ la prima volta che viene stilato un regolamento specifico per l’uso di nanomateriali nei prodotti cosmetici: stiamo aprendo una nuova strada. Sono particolarmente lieta di poter dire che questo risultato innovativo è stato raggiunto grazie a un’iniziativa del gruppo Verde/Alleanza libera europea. Noi verdi siamo stati la forza propulsiva, lo abbiamo fatto inserire all’ordine del giorno e vorrei ringraziare sentitamente la relatrice, l’onorevole Roth-Behrendt, per il suo sostegno fermo e incrollabile. Apprezzo altresì la Commissione che ha saputo cambiare idea. Finora aveva sempre sottolineato che la legislazione vigente era sufficiente a garantire la sicurezza dei nanomateriali. Ora ha dichiarato senza ombra di dubbio che abbiamo effettivamente bisogno di normative specifiche.
Questo non vale solo per il regolamento sui cosmetici, ma anche per il regolamento che dobbiamo ancora discutere in settimana sui nuovi prodotti alimentari, in quanto finora le nanotecnologie sono state una sorta di buco nero. Sono state introdotte nel mercato senza un’adeguata illustrazione dei rischi che comportavano. La giornata odierna è dunque di buon auspicio per la salute e la tutela dei consumatori, anche se è un peccato, a mio avviso, che la definizione dei nanomateriali non sia stata estesa, ma si limiti a includere solamente materiali insolubili e bio-persistenti. Nondimeno è importante e, per noi, vitale che sia stata adottata una normativa specifica sulle nanotecnologie.
Spero altresì – e vorrei chiedere sin d’ora il vostro sostegno al riguardo – che questa settimana venga approvato anche un regolamento sui nuovi prodotti alimentari che non gode di altrettanto favore in seno alla Commissione. Abbiamo bisogno di coerenza – e non solo in materia di alcol – quando si tratta di cosmetici e di alimenti. La stessa regola vale per le nanotecnologie. Anche in questo caso necessitiamo di coerenza tra cosmetici ed alimenti. Spero sinceramente che potremo confrontarci in modo franco e aperto anche sulle finalità e gli usi delle nanotecnologie. Sono lieta che non abbiamo annacquato il bando delle sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione concordato nel 2008 e proposto dai verdi.
Eva-Britt Svensson, a nome del gruppo GUE/NGL. – (SV) Signor Presidente, il mio gruppo ed io plaudiamo al compromesso che Consiglio e Parlamento sono riusciti a raggiungere in questa rifusione della direttiva sui cosmetici.
L’ostacolo maggiore nei negoziati con il Consiglio sono stati proprio i nanomateriali. Si tratta di utilizzare strutture estremamente piccole per creare nuovi materiali che assumono nuove proprietà o funzioni proprio perché le particelle sono così minute. Un materiale, ad esempio, può diventare più duro, resistente, sottile, idrorepellente, termo-conservatore o acquisire qualche altra caratteristica. Di fatto non sappiamo ancora molto sull’argomento. Alcuni trucchi e alcune creme contengono nanoparticelle che possono penetrare un’epidermide non integra ed entrare impropriamente nel corpo.
Dovremmo quindi permettere l’uso incondizionato di una sostanza attiva nei prodotti cosmetici ? La risposta, naturalmente, è negativa. Dobbiamo ottenere maggiori conoscenze e maggiori informazioni sui nanomateriali. Mi compiaccio, quindi, di questo accordo che ci apprestiamo a votare domani. E’ un passo nella direzione giusta.
L’accordo porterà a una maggiore tutela dei consumatori europei per quanto attiene all’uso di nanomateriali in tinture per capelli, filtri UV e via dicendo. Saranno sottoposti a un esame di sicurezza prima che i prodotti siano ammessi nel mercato. L’industria dei prodotti cosmetici dovrà notificare alla Commissione l’utilizzo di nanomateriali in qualunque altro prodotto mentre la Commissione potrà consultarsi con la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori per valutare se i nanomateriali rappresentino un rischio per la salute.
Vorrei ringraziare sentitamente la relatrice responsabile e la Commissione per aver prodotto una così valida rifusione.
Irena Belohorská (NI). – (SK) Vorrei ringraziare la relatrice. I miei complimenti, onorevole Roth-Behrendt, per il lavoro svolto sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio presentata dalla Commissione. Si tratta di un documento estremamente importante per la tutela della salute dei consumatori. Sicuramente tutti noi facciamo uso di prodotti cosmetici, in quanto questi comprendono non solo prodotti di bellezza, ma anche i cosiddetti cosmetici di uso quotidiano, come paste dentifricie, deodoranti, shampoo, prodotti per capelli e unghie, rossetti e via dicendo.
Sono passati oramai 33 anni dall’ultima direttiva, un arco di tempo abbastanza lungo, nonostante gli emendamenti. Dopotutto, gli sviluppi nei campi della chimica e della cosmetica hanno portato cambiamenti di grande portata. Mi riferisco in particolare all’uso dei nanomateriali, così spesso citati in questa sede. Essi possono avere effetti sia positivi che negativi sulla salute umana. Concordo pertanto con l’opinione secondo cui tutti i materiali utilizzati nei prodotti cosmetici che abbiano effetti cancerogeni dovrebbero essere vietati. Dovremmo, a mio avviso, essere anche molto cauti nell’uso di materiali di cui non si possono escludere effetti mutageni e tossici.
I consumatori spesso acquistano prodotti cosmetici sulla base di pubblicità ingannevoli o informazioni incomplete. Attraverso le nostre agenzie europee, incluse l’Agenzia europea per le sostanze chimiche e quella per la sicurezza alimentare, dobbiamo cercare di stilare direttive e orientamenti per l’attività di controllo. Non dobbiamo dimenticare che i prodotti cosmetici sono quelli contraffatti più di frequente che di conseguenza aumentano il rischio della presenza di sostanze nocive. Oltre a questi avvertimenti, dovremmo cercare di informare i consumatori dei potenziali rischi per la salute derivanti anche dai produttori più noti.
Horst Schnellhardt (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi il punto decisivo nella relazione in esame è, a mio avviso, il cambiamento della base giuridica. Sebbene gli Stati membri dell’Unione europea si siano sviluppati a velocità diverse e vi siano ancora ampie differenze fra loro in termini di sviluppo, raggiungeremo una maggiore certezza giuridica solo se l’opzione preferita sarà, e rimarrà in futuro, il regolamento.
Vi sono direttive che hanno causato più danni alla competitività e più ingiustizia rispetto al passato a causa della diversità di applicazione nei diversi Stati membri. E’ pertanto corretto che questa relazione abbia concentrato la direttiva e la sua attuazione a livello nazionale in un unico regolamento. aumentando il livello di certezza giuridica che costituisce un elemento determinante soprattutto per quelle aziende del settore che sono impegnate anche nella ricerca. Naturalmente, anche l’impegno della Commissione di ridurre a breve il 25 per cento delle registrazioni obbligatorie è estremamente positivo. Con questo regolamento abbiamo compiuto il primo passo. Congratulazioni, signor Commissario.
La relazione in esame evidenzia anche la velocità con cui appaiono sul mercato nuovi prodotti e induce le autorità legislative ad agire. Abbiamo affrontato la questione della modifica della direttiva sui cosmetici non più tardi di alcuni anni fa. L’uso di nanomateriali ci ha obbligati ad affrontarla nuovamente. Nell’ambito della tutela preventiva del consumatore, le decisioni relative all’etichettatura sono positive, ma anche l’opportunità di un approvazione provvisoria alla luce dello stato delle scoperte scientifiche è accettabile. A questo punto, vorrei anche scoraggiare fenomeni di allarmismo, cui abbiamo già assistito in passato, e raccomandare invece un approccio prettamente scientifico.
Con i requisiti che abbiamo aggiunto, ovvero che le pubblicità e le etichette riflettano esclusivamente le caratteristiche reali del prodotto, agiamo nell’interesse del consumatore. Il caso dei deodoranti citato dall’onorevole Roth-Behrendt è un caso a parte. Un deodorante può essere efficace per una persona e non per un’altra. Talvolta una stessa sostanza funziona su di me un giorno, ma non lo fa quello successivo. Non dovremmo quindi prendere la questione altrettanto seriamente.
Spero solo che l’approccio giuridico non verrà diluito dalla Commissione a causa delle eccessive misure previste dalla comitatologia. Vi chiedo pertanto di non prolungare eccessivamente questa procedura.
Margrete Auken (Verts/ALE). - (DA) Signor Presidente, tutti noi facciamo uso di prodotti cosmetici. Non sono beni di lusso che toccano un solo genere o solo gli adulti. Siamo tutti circondati da saponi, shampoo, paste dentifricie, lozioni, deodoranti e lozioni solari. L’importante è che siano sicuri e che tutti i paesi abbiano norme ragionevoli e chiare, ed è ciò che abbiamo raggiunto con questa proposta. Vorrei cogliere quest’opportunità, come tutti, per ringraziarla, onorevole Roth-Behrendt, per l’ottimo lavoro svolto.
Siamo lieti che il nostro divieto sulle sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione sia stato mantenuto e reso più appropriato. Se l’uso dell’etanolo fosse stato proibito nei prodotti cosmetici, probabilmente avrebbe creato problemi e, al contempo, sarebbe sembrato un po’ strano, visto che lo beviamo in quantità relativamente cospicue. E’ positivo, ad ogni modo, che il Consiglio non sia riuscito a indebolire quelle clausole. Le deroghe ai divieti ora si limitano a sostanze approvate per gli alimenti che finora non hanno mostrato di causare problemi e sono tollerate da gruppi vulnerabili, come i bambini e le donne in gravidanza. La cosa più importante, tuttavia, è che alla fine siano stati inclusi i nanomateriali. E’ stata una dura lotta. L’industria ha cercato di soffocare la discussione sulla loro sicurezza e vorrebbe che noi ci limitassimo ad accettare queste sostanze come fantastiche e prive di problemi. Non è stato fatto cenno, ad esempio, alla preoccupazione della pubblica opinione riguardo gli OGM.
Noi del gruppo Verde/Alleanza libera europea siamo fieri che ora i nanomateriali siano stati inclusi nel documento. Ciascuno di essi deve essere testato, etichettato e, quando interessa un gruppo di prodotti, come filtri UV, tinture e conservanti, ora sarà il produttore a doverne garantire la sicurezza, mentre la Commissione fornirà informazioni dettagliate e troverà il tempo per controllare il resto. Alla fine siamo riusciti a includere anche l’etichettatura, in modo che i consumatori possano vedere cosa comprano e mettono sulla propria pelle. Abbiamo inserito anche una clausola sulla revisione, chiedendo alla Commissione di garantire che sia la definizione di nanomateriali che le procedure di sicurezza risultino soddisfacenti. Per concludere, è un bene che non sia possibile pubblicizzare un prodotto con promesse che non possono essere mantenute. Sarà interessante vedere come saranno vendute in futuro tutte quelle creme antirughe che ci spalmiamo sul viso senza risultati.
Péter Olajos (PPE-DE). - (HU) Nell’industria cosmetica, come in molti altri settori, è in atto una rivoluzione. Pochi anni fa le nanotecnologie hanno iniziato a conquistare anche questo ramo dell’industria e ne sono derivate opportunità senza precedenti che hanno portato all’apertura di nuove prospettive. Le nanotecnologie non sono certo un’invenzione: gli esseri umani usano la tecnologia da quattromila anni, sebbene se ne siano resi conto solo negli ultimi venti.
Al contempo, è importante procedere con la dovuta cautela; pur senza ritardare nuove scoperte e il loro utilizzo, dovremmo prestare attenzione anche ai rischi per la salute. Dobbiamo proteggere i nostri cittadini da questi potenziali pericoli, soprattutto attraverso un approccio differenziato, basato sui rischi.
Vi sono nanoapplicazioni e prodotti intesi per un uso diretto da parte del consumatore, come abbigliamento, cibo e prodotti cosmetici, che potrebbero fargli sperimentare, sulla propria pelle, è il caso di dirlo, possibili conseguenze nocive.
E’ proprio per questa ragione che è importante che le persone sappiano che tipo di preparati usano. Un’etichettatura appropriata e dettagliata è pertanto indispensabile e la responsabilità del produttore resta fondamentale. Stiamo parlando di un settore gigantesco ed in continua espansione, in quanto l’industria cosmetica dell’Unione europea genera entrate annue pari a 65 miliardi di euro. Una delle aziende leader in Europa – una su 3 000 – spende 450 milioni di euro l’anno solo per ricerca e sviluppo e occupa quasi 3 000 persone tra scienziati e ricercatori.
Secondo le stime della Commissione europea, nel 2006 il 5 per cento dei cosmetici conteneva nanomateriali, e questa percentuale nel frattempo potrebbe essere anche raddoppiata. Per superare alcuni dei problemi globali che abbiamo causato, abbiamo bisogno delle nanotecnologie. Pertanto, in piena coscienza, voterò a favore di questa risoluzione legislativa, ma non dobbiamo dimenticare che tutte le medaglie hanno due facce.
Mi congratulo con le onorevoli Roth-Behrendt, Grossetête e Wallis che hanno presentato la proposta di risoluzione. Hanno svolto un ottimo lavoro.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, l’introduzione di standard minimi per la sicurezza dei prodotti cosmetici segna un passo importante verso la garanzia di livelli di sicurezza sostanzialmente più elevati per i consumatori europei. Questo moderno regolamento riduce al contempo il carico amministrativo dei produttori europei, che creano posti di lavoro per più di 350 000 persone. L’ampia discussione in quest’aula si è incentrata principalmente sull’etichettatura che trae spesso in inganno il consumatore; plaudo pertanto al fatto che affermazioni pubblicitarie sugli effetti dei prodotti cosmetici debbano ora essere documentate. Abbiamo anche assistito a un dibattito piuttosto acceso, in Parlamento e non solo, sull’uso di nanomateriali e, naturalmente, sull’eliminazione di materiali cancerogeni dai prodotti cosmetici. Non sono d’accordo che le informazioni sul contenuto di nanomateriali nei prodotti debbano assumere la forma di avvertenze. E’ importante disporre di una lista di nanomateriali autorizzati che non sono nocivi ma migliorano la qualità di un prodotto. Non ha senso spaventare i consumatori. Sono gli standard minimi a dover garantire la loro sicurezza. La contraffazione è, a mio avviso, un problema grave senza dimenticare che gli organi di controllo nazionali dispongono in realtà di capacità limitate per effettuare i necessari controlli.
Sono lieta che il testo comprenda una definizione uniforme dei nanomateriali e che saremo in grado di emendare tale definizione in modo che resti in linea con le ultime scoperte scientifiche. Plaudo altresì al fatto che la direttiva diverrà un regolamento ed assumerà maggiore peso giuridico. Mi compiaccio pertanto di questo lavoro e mi congratulo con tutte le relatrici per essere riuscite a raggiungere un accordo su una questione così sensibile come l’introduzione dei prodotti cosmetici sul mercato europeo sulla base delle innovazioni scientifiche.
Eija-Riitta Korhola (PPE-DE). - (FI) Signor Presidente, i compromessi raggiunti in prima lettura nel corso dell’ultimo anno legislativo sono divenuti ben presto una consuetudine a causa della mancanza di tempo. Questo, oltretutto, gioca a favore dei piccoli gruppi, in quanto gli accordi siglati ai tavoli negoziali attribuiscono loro maggiore potere di quanto gliene darebbe la loro dimensione. Se tale pratica di dovesse diffondere, eroderebbe la credibilità della democrazia parlamentare di quest’Assemblea.
In questa occasione, tuttavia, la democrazia ha avuto la meglio, perché i gruppi più forti hanno trovato un terreno comune e il risultato raggiunto ha il supporto reale della maggioranza.
Era chiaro che la direttiva sui cosmetici dovesse essere rivista. Le sue disposizioni necessitavano di chiarimenti e aggiornamenti e la direttiva di orientamento doveva diventare assolutamente un regolamento per poter assicurare elevati livelli di protezione della salute umana in tutta l’Unione europea e il funzionamento del mercato interno. Tali principi derivano logicamente dal lavoro iniziato con la discussione su REACH.
Una legislazioni obsoleta nell’industria cosmetica costituisce una grave minaccia alla salute e all’affidabilità del diritto. Le pubblicità sulle nanoparticelle e i prodotti cosmetici ne sono un buon esempio. Mentre le caratteristiche positive dei nanomateriali sono più o meno note, i rischi restano per lo più sconosciuti. Allo stesso modo, non era possibile verificare con certezza le caratteristiche speciali dei prodotti cosmetici, che hanno effetto diretto sulla decisione di acquisto.
E’ per questa ragione che era importante stabilire una politica comune ai tre gruppi politici più numerosi volta a tener conto degli aspetti sanitari, ambientali, commerciali e sociali per trovare un accordo con il Consiglio. In questo senso reputo che il lavoro svolto dall’onorevole Grossetête in qualità di correlatrice sia stato di grande valore. In collaborazione con la relatrice, l’onorevole Roth-Behrendt, e le colleghe liberali ha assicurato una maggioranza che ha consentito di raggiungere questo risultato. La vera democrazia ascolta tutti, ma riflette l’opinione della maggioranza.
Presidente. − Non ho ricevuto richieste di parola. Prima di passare il microfono al relatore, dunque, desidero informarvi che, finora, hanno parlato quattordici deputati, undici dei quali donne.
Günter Verheugen, vicepresidente della Commissione. – (DE) Signor Presidente, stavo per replicare brevemente al suo ultimo commento, ma ho deciso di non farlo. Anche gli uomini sono interessati alla cosmetica, anzi, lo sono in misura sempre crescente. Ad ogni modo sono interessati ad assicurare che i nostri prodotti cosmetici siano sicuri.
C’è solo una cosa che devo ancora fare, a questo punto. Vorrei ringraziarvi sinceramente per il vostro appoggio e sostegno. Come ha detto l’onorevole Davies, abbiamo fornito un ottimo esempio di quali risultati possa raggiungere la legislazione europea.
Se posso darle un consiglio, onorevole Davies, potrebbe valere la pena di far notare, nel suo paese, che in Europa abbiamo un regolamento sui cosmetici senza pari, specie per quanto attiene al divieto di testare i cosmetici sugli animali. Questo in Europa non è permesso. Inoltre, alcuni giorni fa, è entrato in vigore un regolamento in virtù del quale non possono essere introdotti nel mercato europeo i prodotti testati sugli animali. Visto che il popolo britannico è noto per il suo amore verso gli animali, anche questo è un argomento che lei può utilizzare.
Dagmar Roth-Behrendt, relatore. – (DE) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, sono particolarmente grata al commissario Verheugen per aver sottolineato una volta di più il divieto di test sugli animali, in quanto mi ha ricordato che questa è ormai la terza revisione delle disposizioni di legge in materia di prodotti cosmetici in cui ho avuto il privilegio di essere coinvolta, ovvero la sesta e settima modifica e ora la trasformazione in regolamento.
Siamo riusciti a bandire i test sugli animali. Siamo riusciti, ad esempio, a garantire che i consumatori conoscano la durata di un prodotto grazie a una semplice dicitura che indica per quanto tempo lo si può usare. Rivolgo questa parole anche ad alcuni colleghi, come l’onorevole Roithová, che purtroppo non ha potuto assistere all’inizio della discussione. Le etichette non sono mai state delle avvertenze. Mai. Se un prodotto non è sicuro, non dovrebbe essere introdotto sul mercato e non dovrebbe essere venduto. Tutti i prodotti presenti sul mercato europeo devono essere sicuri ed innocui. L’etichettatura, nondimeno, permette ai consumatori di operare una scelta. Questa è democrazia. Questa è libertà di scelta.
Abbiamo un provvedimento eccellente. Ho cercato di rendere il processo estremamente trasparente. Come ha segnalato l’onorevole Grossetête, ho cercato di far collimare diverse opinioni. L’ho fatto perché volevo assicurare una normativa valida per tutti, soprattutto per i consumatori dell’Unione europea, per l’industria – che con questa normativa dovrà lavorare – e infine per tutti coloro che ne trarranno beneficio.
Infine, vorrei ribadire ancora una volta all’onorevole Schnellhardt che è vero che i deodoranti danno risultati diversi a seconda delle persone, ma nondimeno promettono di liberarci dal sudore. Ecco perché dico la verità se dico di avere profonde occhiaie dopo una settimana qui a Strasburgo.
Desidero ringraziare ancora una volta il Commissario per i chiarimenti che ci ha fornito, le colleghe e i miei collaboratori che hanno svolto la maggior parte del lavoro. A tutti un sentito ringraziamento.
Presidente. − E’ stata una discussione estremamente proficua ed interessante.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà domani, martedì 24 marzo 2009.
16. Immissione sul mercato dei biocidi - Nuova proposta di revisione concernente i biocidi (discussione)
Presidente. - L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:
- la relazione (A6-0076/2009), presentata dall’onorevole Sârbu a nome della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 98/8/CE relativa all’immissione sul mercato dei biocidi per quanto riguarda l’estensione di determinati periodi di tempo [COM(2008)0618 – C6-0346/2008 – 2008/0188(COD)], e
- la dichiarazione della Commissione sulla nuova proposta di revisione della direttiva sui biocidi.
Daciana Octavia Sârbu, relatore. – (RO) Desidero esprimere il mio apprezzamento per l’accordo raggiunto con la Commissione ed il Consiglio sull’estensione al 2014 del periodo di valutazione delle sostanze attive onde creare a tempo debito un mercato disciplinato per i biocidi.
Si tratta di un successo che si è riflesso altresì nel risultato della votazione della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. E’ per questa ragione che vorrei ringraziare i colleghi che hanno sostenuto il compromesso tra le tre istituzioni.
Estendere il periodo transitorio è estremamente importante per garantire che tutti i biocidi contenenti sostanze attive vengano immessi sul mercato in modo legale.
Ritenevo che ciò fosse essenziale affinché la revisione della direttiva passasse in prima lettura per non rischiare di superare il periodo di dieci anni per l’esame sistematico dei biocidi e, di conseguenza, evitare il loro ritiro dal mercato a partire dal 2010.
L’estensione del periodo garantirà che gli Stati membri dispongano di tempo sufficiente per valutare queste sostanze fino al 2014 allorché, con ogni probabilità, entrerà in vigore il riesame completo della direttiva sui biocidi.
La bozza di relazione prevede inoltre di limitare ad un massimo di due anni le eventuali ulteriori proroghe delle scadenze dei dossier in attesa di completamento tramite la procedura di comitatolgia per evitare infiniti rinvii. Questa misura sarà essenziale se la revisione della direttiva non dovesse essere ultimata entro il 2014.
Speriamo che il riesame completo della direttiva sui biocidi affronti anche gli aspetti legati alla tutela dei dati e alle pratiche degli operatori disonesti in virtù delle quali alcune aziende utilizzano informazioni registrate, a livello nazionale, da altre società.
Vorrei segnalare che gli emendamenti adottati in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare fanno parte di un accordo con la Commissione e il Consiglio in quanto figurano nell’ultima versione su cui si esprimerà la seduta plenaria di domani. Una volta che la plenaria avrà effettuato la votazione, avremo il sostegno del Consiglio per raggiungere un accordo in prima lettura.
Stavros Dimas, membro della Commissione. − (EL) Signor Presidente, vorrei ringraziare la relatrice, l’onorevole Sârbu, per la diligenza e gli sforzi profusi per raggiungere un accordo in prima lettura sulla proposta di modifica della direttiva 98/8 relativa all’immissione sul mercato dei biocidi.
La Commissione europea è pronta ad accettare il pacchetto di compromesso, in particolare per quanto attiene alla necessità di estendere il periodo transitorio da tre a quattro anni e alla limitazione a due anni di qualunque ulteriore estensione, per facilitare il programma di revisione.
Christa Klaß, a nome del gruppo PPE-DE. – (DE) Signor Presidente, Commissario Dimas, onorevoli colleghi, possiamo essere orgogliosi di aver raggiunto standard così alti in materia di salute e di igiene nell’Unione europea. L’uso di biocidi ha contribuito notevolmente a questo risultato. Quando vengono utilizzati come disinfettanti e pesticidi, i biocidi ci proteggono da malattie pericolose o, in alcuni casi, dai loro vettori. Sono indispensabili. Devono essere innocui per l’uomo e per l’ambiente ed è per questa ragione che ora dobbiamo rivederli tutti.
La sicurezza richiede tempo e ora la revisione ne sta richiedendo più di quanto previsto inizialmente. Non possiamo correre il rischio di perdere prodotti importanti perché la loro registrazione non è stata ultimata. E’ per questa ragione che plaudo al fatto che Parlamento, Consiglio e Commissione abbiano convenuto, in prima lettura, di prorogare rapidamente le scadenze per la direttiva sui biocidi credo fino al 2014, signor Commissario.
Per quale ragione, tuttavia, questa proposta è apparsa così tardi? Il pericolo che alcune sostanze possano sparire dal mercato per scadenza dei termini era prevedibile da tempo e la discussione in Parlamento deve ora svolgersi a ritmi più serrati.
Signor Commissario, aspettiamo da tempo una proposta da parte della Commissione sulla revisione della direttiva sui biocidi. Ora dobbiamo armonizzare e regolamentare con urgenza svariati ambiti, tra cui la definizione dei criteri di approvazione, la durata dell’autorizzazione e, soprattutto, la tutela dei dati. I produttori necessitano di regolamenti chiari e di certezze. Sono necessari regolamenti anche in materia di utilizzo e manipolazione dei prodotti. Il test di un agente attivo costa diverse migliaia di euro e tale investimento può essere recuperato solo se i risultati, almeno per un certo periodo, non sono accessibili ad altri. Nessuno vuole perdere i nostri elevati standard di igiene. Dobbiamo mantenerli per superare nuove sfide.
Spero che la Commissione presenterà una relazione chiara e motivata, che risponda a tutti questi criteri e auspico che lo faccia il prima possibile.
Vittorio Prodi, a nome del gruppo ALDE. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, grazie Commissario per essere qui e per poter discutere di questo documento. Sulla proposta di modifica della direttiva relativa all’immissione sul mercato di biocidi, il Parlamento ha concordato sulla necessità di concedere alcune proroghe per il periodo di riesame necessario a valutare correttamente i principi attivi di alcuni biocidi, considerando la particolarità delle analisi necessarie e le esigenze del mercato, ma sia chiaro che siamo in attesa della revisione più seria della direttiva 98/8/CE sui biocidi per esprimere considerazioni più di contenuto. Vorrei dunque suggerire qualche spunto di riflessione per la Commissione.
Innanzitutto sarebbe auspicabile il passaggio da direttiva a regolamento, strumento normativo che consente l’entrata in vigore delle medesime disposizioni contemporaneamente in tutti gli Stati membri, regolamentando in maniera omogenea il settore. Un punto sostanziale sarà la condivisione dei dati, in linea con l’orientamento dell’Unione europea e, come già attuato con REACH, anche per i biocidi le sperimentazioni su vertebrati dovrebbero essere evitate o fortemente ridotte, grazie alla condivisione obbligatoria tra coloro che registrano la stessa sostanza attiva dei dati ottenuti da tali test, evitando così la duplicazione degli studi.
La condivisione dei dati consentirebbe una maggiore efficacia del sistema di valutazione dei fascicoli e di ridurre i costi necessari alla loro preparazione con un notevole impatto sia sulle piccole e medie imprese che sulle autorità nazionali incaricate di esaminare le domande.
È necessario puntare alla semplificazione delle procedure e applicare il riconoscimento reciproco dell’autorizzazione per lo stesso prodotto e impiego fra i vari Stati membri, proprio per rendere più veloci sia le procedure e l’immissione sul mercato dello stesso biocida nei vari paesi membri. Si dovrebbe poi armonizzare sia il tariffario che i tempi comuni per l’esame delle domande nei vari paesi e infine semplificare il processo di un’autorizzazione, qualora vi siano differenze o variazioni minime di colore, ad esempio, delle formulazioni, evitando così test addizionali specifici che richiedono ulteriori processi di valutazione da parte di ogni Stato membro.
Infine occorre evitare la discriminazione fra i produttori europei di articoli trattati con biocidi e prodotti extra Unione europea di articoli che contengono biocidi. Lascio alla Commissione il fardello di pensare ad una soluzione che il nuovo Parlamento possa, si spera, condividere.
Urszula Krupa, a nome del gruppo IND/DEM. – (PL) Signor Presidente, armonizzare la legislazione sui biocidi nell’Unione europea sembra ancor più necessario dato che le normative nei singoli paesi divergono sensibilmente. La mancanza di disposizioni di legge comuni costituisce un pericolo per la salute e la vita delle persone, oltre a rappresentare una minaccia per l’ambiente, soprattutto in un mercato libero.
La proposta contenuta nella prima versione del documento, tuttavia, ossia un periodo di attuazione di dieci anni, sembra irrealistica, viste le procedure estremamente complesse ed onerose di registrazione dei componenti usati in tali prodotti. Queste procedure, che mirano a garantire un elevato livello di sicurezza, potrebbero paradossalmente contribuire a ridurre il tasso di controllo, con effetti ancor più problematici se consideriamo che, in alcuni casi, erano le normative nazionali a controllare i biocidi introdotti sul mercato.
Rimuovere tali meccanismi, tuttavia, e introdurre procedure di valutazione meno efficaci e costose può limitare le vendite di biocidi. Neppure un registro europeo centrale delle sostanze attive usate nei biocidi garantirebbe la sicurezza, tanto più che gli agenti biologici sono estremamente variabili e resistenti ai principi attivi. Avere una scelta limitata di componenti efficaci porterà solo ad un aumento dei livelli di resistenza. I costi elevati e le procedure complesse, inoltre, spingeranno alcune piccole imprese fuori dal mercato, portando a una situazione di monopolio da parte delle grandi aziende del settore.
La proposta di un periodo transitorio di 14 anni, ulteriormente estensibile a sedici, è divenuta ancor più indispensabile dato che non sarà possibile registrare sostanze attive o trasporre tali norme nelle legislazioni nazionali prima del 2014.
Zuzana Roithová (PPE-DE). – (CS) Signor Presidente, vorrei rivolgere una domanda al commissario, in quanto ho un opinione ben diversa dalla sua. Trovo deprecabile che l’Unione europea non riesca a ultimare in dieci anni, ovvero entro il 2010, la revisione e registrazione dei circa 900 disinfettanti, conservanti e pesticidi venduti sul mercato europeo. Mi sorprende che necessitiamo di altri tre anni per farlo e la relatrice ne ha aggiunto ulteriori due. Questo implica ritardi nell’armonizzazione e quindi in una maggiore tutela del mercato relativamente a questi materiali nocivi. Apparentemente non abbiamo scelta se non quella di annunciare un’estensione perché in caso contrario molti prodotti dovrebbero sparire dal mercato. Permettetemi, tuttavia, di proporre una riflessione. Potrebbe essere un bene se alcuni prodotti importati da mercati asiatici non sottoposti a controlli dovessero abbandonare il nostro mercato. Questo accelererebbe lo sviluppo di materiali alternativi più sicuri. Sarei interessata a sapere se la Commissione ha cercato di cooperare con i centri di valutazione e le istituzioni degli Stati membri e di utilizzare le loro risorse per rispettare la scadenza iniziale, più ravvicinata. Possono la Commissione o la relatrice dare una risposta a questa domanda?
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE). – (PL) Signor Presidente, a causa della natura tecnica di questa normativa e del potenziale pericolo di qualunque interpretazione scorretta della stessa, dovremmo prestare particolare attenzione alla questione dei biocidi.
Concordo con la relatrice secondo cui è vitale estendere al 2014 il periodo transitorio necessario a valutare i principi attivi di alcuni biocidi, in modo da utilizzare la legislazione comunitaria per regolamentare il mercato. Se non volessimo compiere questo passo, le disposizioni nazionali – che scadranno nel 2010 – farebbero diventare illegale la vendita di un significante numero di biocidi, portando a una serie di situazioni paradossali?
Nel periodo transitorio, la legislazione nazionale dovrebbe essere utilizzata per controllare minuziosamente questo specifico settore del mercato. Vale la pena di aggiungere in questa sede che dovremmo essere particolarmente cauti quando affrontiamo qualunque normativa sui biocidi. Ricordatevi che questi prodotti mirano a distruggere e allontanare organismi nocivi e contengono agenti chimici attivi. Qualunque incuria da parte nostra potrebbe avere conseguenze irrimediabili.
Stavros Dimas, membro della Commissione. − (EL) Signor Presidente, vorrei ringraziare gli oratori per le loro osservazioni costruttive e dire che la valutazione delle sostanze attive, in effetti, richiederà più tempo di quanto ottimisticamente previsto all’inizio. Nel 2000, quando questa normativa venne approvata, i programmi di valutazione non partirono immediatamente e ci vollero all’incirca quattro anni per le varie procedure d’avvio, cosicché le procedure di valutazione che le autorità nazionali competenti indubbiamente utilizzano ebbero inizio solo nel 2004. Sebbene finora sia stato portato avanti un notevole e importantissimo lavoro, non sarà possibile sottoporre ai test entro il mese di maggio numerose sostanze attive.
Visto che la direttiva stabilisce che i biocidi che contengono sostanze attive non incluse nell’allegato 1 o 1 A debbano essere ritirati dal mercato non più tardi del 14 maggio 2010, è stato giudicato necessario prorogare la scadenza per ultimare la procedura di valutazione; in caso contrario, se ritiriamo alcune di queste sostanze perché non sono state sottoposte alle procedure di valutazione, sia la salute che l’ambiente potrebbero essere messe a rischio in seno all’Unione europea e non vi è dubbio che anche il commercio ne verrebbe ostacolato.
La questione sollevata dall’onorevole Klass concerne la tutela dei dati forniti per la valutazione delle sostanze attive e fa riferimento principalmente ai casi in cui operatori disonesti che non si sforzano di fornire tali dati, possono nondimeno mantenere i propri prodotti sul mercato fino alla scadenza del periodo transitorio.
La Commissione sta ultimando la redazione della proposta di riesame completo della direttiva sui biocidi come è stato chiaramente segnalato nel corso delle consultazioni condotte durante la formulazione e stesura di tale proposta. Molti dei commenti formulati dall’onorevole Prodi e da altri deputati saranno sicuramente tenuti in considerazione.
La Commissione affronterà la suddetta questione nell’ambito del riesame completo della direttiva. Il segretariato del Parlamento europeo riceverà una dichiarazione della Commissione in materia affinché venga inserita nel processo verbale della seduta odierna.
In modo analogo, la proposta affronterà molte altre questioni evidenziate dal Parlamento, come l’estensione dell’ambito della direttiva a beni e materiali trattati con biocidi, migliori procedure di approvazione dei biocidi, l’introduzione dell’obbligo dello scambio di dati in fase di approvazione dei prodotti e delle sostanze attive nel rispetto dei principi stabili al regolamento REACH e delle migliori pratiche contenute in altri documenti di legge, come quelli recentemente approvati in materia di prodotti per la protezione delle piante.
Per concludere, la Commissione esprime la propria soddisfazione in merito al risultato delle negoziazioni. La Commissione è in grado di accettare integralmente gli emendamenti di compromesso e si impegna a tener conto, in fase di revisione della direttiva, delle preoccupazioni in materia di tutela dei dati espresse oggi sia dal Consiglio che dal Parlamento.
Dichiarazioni della Commissione
La Commissione prende nota delle questioni relative alla protezione dei dati, alla condivisione degli stessi e ai presunti operatori disonesti sollevate nel corso della discussione sulla proposta di estensione per determinati periodi di tempo previsti nella direttiva sui biocidi. La Commissione considererà soluzioni appropriate ai problemi indicati nel quadro del riesame completo della direttiva sui biocidi.
PRESIDENZA DELL’ON. COCILOVO Vicepresidente
Daciana Octavia Sârbu, relatore. – (RO) Vorrei ringraziare nuovamente i miei colleghi, i relatori ombra, con i quali ho intrattenuto una collaborazione estremamente fruttuosa. Siamo stati molto efficienti nella stesura della presente relazione, sebbene non sia importante quanto sarà l’effettiva revisione della direttiva.
Come avete visto, tutti i miei colleghi hanno parlato più della revisione e meno della relazione che stiamo discutendo perché ciò che attendiamo è una revisione.
Si è detto che la proroga del periodo di transizione da tre a quattro anni non parrebbe auspicabile, ma personalmente ritengo molto più importante per noi garantire che tutti i prodotti siano immessi sul mercato legalmente e venga svolta una loro idonea valutazione.
Vi ringrazio nuovamente e, come dicevo poc’anzi, attendiamo una revisione quanto prima della direttiva sui biocidi.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione di svolgerà martedì 24 marzo 2009.
17. Un anno dopo Lisbona: il partenariato UE-Africa in azione (discussione)
Presidente – L'ordine del giorno reca la relazione di Maria Martens, a nome della commissione per lo sviluppo, su: Un anno dopo Lisbona, il partenariato UE-Africa in azione [2008/2318(INI)].
Louis Michel, membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, innanzi tutto vorrei ringraziare la commissione per lo sviluppo e la sua relatrice, onorevole Martens, per la presente relazione che svolge una prima valutazione del partenariato strategico Africa-UE a un anno di distanza dal vertice di Lisbona.
Come è ovvio, è con grande soddisfazione che prendo atto dei tanti elementi positivi sottolineati nella relazione e dei progressi compiuti nell’arco di un anno, un tempo relativamente breve per un esercizio vasto e, soprattutto, politicamente ambizioso. Solo per citarne uno, questo pomeriggio si è tenuta una riunione tra la delegazione parlamentare ad hoc per le relazioni con il parlamento panafricano dell’Unione africana e la commissione ad hoc del parlamento panafricano dell’Unione africana per le relazioni con il Parlamento europeo sul ruolo dei parlamenti nell’attuazione e nella sorveglianza della strategia Africa-UE.
Tale riunione rappresenta già in sé un risultato concreto. Si sta delineando una nuova architettura istituzionale tra i due continenti e desidero complimentarmi con i due presidenti per il lavoro portato a termine.
Anziché soffermarmi sugli aspetti positivi della relazione Martens, vorrei però toccare tre punti fondamentali messi in luce dalla relatrice per migliorare il partenariato UE-Unione africana. Il primo riguarda il ruolo dei parlamenti. Voi tutti sapete quanto io creda in tale ruolo, sia come attori sia come osservatori del processo democratico. E’ proprio in questa duplice veste che il Parlamento europeo e quello panafricano sono invitati a partecipare al partenariato strategico Africa-UE.
Posso pertanto rassicurarvi in merito al mio completo appoggio alle proposte formulate nella proposta comune del Parlamento europeo e del parlamento panafricano e ribadite nella relazione, proposte che consistono in primo luogo in una partecipazione a livello appropriato ai gruppi misti di esperti sui quattro partenariati tematici che vi riguardano, in secondo luogo nel coinvolgimento nella preparazione delle relazioni annuali sullo stato di avanzamento, in terzo luogo nella partecipazione alla task force comune e in quarto luogo nella partecipazione dei presidenti al vertice Africa-UE.
Alcune di queste proposte, posso aggiungere, si sono già concretizzate o sono in procinto di esserlo. Per quanto concerne la società civile e gli attori non statali, sono più persuaso di chiunque altro che la principale sfida per il 2009 consista nell’accelerare il conseguimento di risultati tangibili prima della valutazione a medio termine prevista per l’autunno 2009 realizzando l’ambizione di un partenariato incentrato sulle persone al di fuori delle istituzioni.
In tale contesto, gli attori non statali sono chiamati a svolgere un ruolo importante associato alla partecipazione ai gruppi misti di esperti per ciascuno degli otto partenariati tematici. Da parte europea è stato già creato un gruppo direttivo della società civile la scorsa primavera per sorvegliare l’attuazione del partenariato e parteciparvi. Anche da parte africana è stato recentemente costituito un gruppo direttivo della società civile sotto l’egida del consiglio economico, sociale e culturale dell’Unione africana.
La società civile europea e africana dovrebbe riunirsi in un forum alla fine di aprile 2009 per formulare proposte concrete di impegno nei confronti della troica ministeriale Africa/Unione europea.
Per quanto concerne i partenariati strategici e specificamente quello riguardante la governance e i diritti umani, apprezzo l’orientamento del Parlamento verso una nozione di governo che mi è particolarmente cara, vale a dire il corretto assolvimento delle funzioni esecutive e dei poteri conferiti dal diritto pubblico da uno Stato imparziale e capace di rispondere alle esigenze e alle aspirazioni dei suoi cittadini.
E’ pertanto con questo in mente che due anni fa abbiamo istituito una sezione governance pari a 2,7 miliardi di euro per tutti i paesi ACP, un approccio basato su tre principi: dialogo, incentivazione delle riforme e appropriazione di tali riforme da parte del paese partner. La relazione però esprime dubbi e preoccupazioni, specialmente in merito ai profili di governance, vale a dire la loro elaborazione, il loro utilizzo e il loro possibile impatto negativo sul meccanismo di revisione tra pari africano.
Vorrei rammentarvi che i profili di governance, che ne coprono tutte le dimensioni, ossia politica, economica, sociale, istituzionale, ambientale e così via, erano soltanto il punto di partenza e non hanno in alcun modo orientato la programmazione di tale capitolo.
Inoltre, i risultati e le conclusioni dell’analisi sono stati discussi con il governo del paese partner nel corso del dialogo in merito alla programmazione. Su tale base, il governo è stato incoraggiato a spiegare il proprio piano di riforma o, in caso di necessità, completarlo o approfondirlo al fine di dimostrare la rilevanza, l’ambizione e la credibilità di tali riforme sulla base di tre criteri di valutazione, che successivamente hanno permesso di stabilire il livello di incentivazione finanziaria per ciascun paese. In questo contesto si è prestata particolare attenzione ai paesi impegnati nel meccanismo di revisione tra pari africano e che hanno concluso la revisione dando prova del desiderio di proseguire lungo tali linee. L’esercizio ha messo in luce le situazioni estremamente diverse esistenti in ciascun paese, le rispettive esigenze di riforma, nonché le differenti capacità in termini di elaborazione e proposta di un piano di governance. Flessibilità e pragmatismo sono stati dunque necessari nel ripartire il fondo di incentivazione alla governance. Nel gennaio 2009, la Commissione ha pubblicato una relazione intermedia sul processo relativo al fondo di incentivazione che ha trasmesso a ogni buon conto a tutte le istituzioni dell’Unione europea.
Maria Martens , relatore. – (NL) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, stiamo discutendo la relazione “Un anno dopo Lisbona: il partenariato Africa-UE in azione”, vale a dire l’attuazione della strategia comune Africa-UE per lo sviluppo dell’Africa enunciata al vertice Africa-UE del dicembre 2007.
Il vertice ha rappresentato un’occasione epocale. E’ stata infatti la prima volta che l’Unione europea e l’Unione africana hanno tracciato insieme una strategia sulla base di valori e principi condivisi e reciproco rispetto, la prima volta che hanno convenuto insieme come raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio e trovare insieme soluzioni alle sfide comuni in ambiti quali, per esempio, sicurezza, migrazione e clima.
Siamo tutti consapevoli dell’atteggiamento critico esistente nei nostri paesi in cui la gente si chiede se abbia realmente senso continuare a investire denaro in Africa, specialmente in questo momento di crisi economica. Personalmente vorrei ribadire ancora una volta quanto continuino a essere importanti gli sforzi da noi profusi per lo sviluppo dell’Africa, e ciò vale per ambedue i continenti. Il commissario Michel ha colto nel segno affermando, in occasione di una riunione tenutasi in proposito poco tempo fa, che quanto è maggiore la povertà tanto maggiore è l’instabilità, considerazione importante anche dal punto di vista delle tendenze demografiche. Ben presto l’Africa rappresenterà il 20 per cento della popolazione mondiale, laddove l’Europa rappresenterà soltanto il 5 per cento. Abbiamo problemi comuni, affrontiamo sfide comuni. Nel momento in cui alla gente mancano opportunità in Africa, è naturale che tali opportunità vengano ricercate in Europa. L’Africa merita il nostro sostegno, e non solo per questo motivo.
Oggi parliamo dell’attuazione della strategia concordata e disponiamo di un piano di azione. Dobbiamo continuare ad agire insieme per realizzare tale strategia e il piano di azione. Sono lieta dei risultati che sono stati conseguiti sinora per quanto concerne i partenariati. Nelle mie precedenti relazioni, ho sempre espresso preoccupazione in merito all’assenza di un ruolo specifico chiaro per i parlamenti quando si tratta di attuare una strategia comune. Nel 2007, il Parlamento europeo e quello panafricano hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che concisamente riassume ciò che è effettivamente in gioco. La leggo in inglese.
(EN) “In quanto istituzioni che rappresentano la volontà delle persone, I nostri parlamenti devono impegnarsi affinché vengano soddisfatte le loro necessità, affinché chi prende decisioni politiche si interessi delle loro preoccupazioni, e affinché le politiche proposte dalle istituzioni che le governano riflettano appieno i loro desideri. I nostri parlamenti svolgono un ruolo fondamentale nell’indirizzare le discussioni verso le priorità comuni per il futuro del mondo; questi obiettivi riflettono le diverse correnti d’opinione nelle nostre società ed è quindi proprio qui che le discussioni devono avere luogo, dove i diversi punti di visto devono essere riconciliate e dove vanno ricercati i compromessi.”
(NL) Mi compiaccio pertanto che in occasione di questa riunione abbiamo concordato quello che dovrebbe essere il ruolo dei parlamenti. E’ anche grazie all’onorevole Gahler, ai nostri colleghi del parlamento panafricano e a tutti coloro che hanno partecipato che è stato possibile giungere a un accordo su tale ruolo. Si tratta della partecipazione al gruppo di esperti in relazione agli otto partenariati e alla task force di coordinamento. I parlamenti dovranno dare il loro apporto alle relazioni annuali sullo stato di avanzamento e i presidenti del Parlamento europeo e di quello panafricano dovranno essere invitati a esprimere i loro punti di vista ai vertici africani, dettaglio tutt’altro che trascurabile.
Concluderò con un ulteriore quesito per il commissario. Sappiamo che le definizioni dell’aiuto pubblico allo sviluppo presto, in aprile, saranno nuovamente all’ordine del giorno nei negoziati UE-SEDAC e che la Commissione europea vi prenderà parte. Può dirci il commissario qual è la sua posizione in merito a tale discussione e quale sarà l’apporto della Commissione europea?
Filip Kaczmarek, a nome del gruppo PPE-DE. – (PL) Signor Presidente, la politica per lo sviluppo, uno degli ambiti più importanti della politica comunitaria, è volta è risolvere problemi globali. E’ stata una fortuna, e sicuramente non un caso, che la prima strategia di partenariato comune sia stata elaborata per l’Africa e con la partecipazione dell’Africa.
Uno dei motivi della notevole importanza che riveste la politica per lo sviluppo sta nel fatto che è diventata uno strumento di una politica storicamente orientata. In tale contesto, la finalità essenziale della cooperazione sui temi dello sviluppo è contrastare meccanismi e processi che appartengono al passato. Jomo Kenyatta, padre dell’indipendenza del Kenya, lo ha descritto in maniera vivida, per quanto semplice. So che il commissario conosce bene questa famosa citazione. Kenyatta una volta ha detto: “Quando sono arrivati i missionari, gli africani avevano la terra e i missionari la Bibbia. Ci hanno insegnato come pregare con gli occhi chiusi. Quando li abbiamo riaperti, loro avevano la terra e noi la Bibbia”.
Una politica storicamente orientata non è però l’unica ragione del coinvolgimento dell’Europa nei problemi legati allo sviluppo. Esistono anche motivi più pragmatici. L’Africa resta il continente più povero del mondo. Nondimeno, per la prima volta in 30 anni, sta vivendo un periodo di crescita economica, crescita che in ogni caso è superiore a quella europea. Vi sono ovviamente paesi africani che, a causa dell’operato di governi inetti, sono riusciti di fatto a distruggere la loro economia. Parlando in termini generali, possiamo dire che l’Africa è un continente con potenzialità inutilizzate. Sono lieto che l’Unione stia contribuendo a rilanciare e attivare questo potenziale.
Per questo uno degli obiettivi della strategia è garantire un dialogo e una cooperazione di maggiore respiro in campi che non sono quelli tipicamente legati ai temi dello sviluppo. La strategia copre un’ampia gamma di politiche, tra cui sicurezza, energia e cambiamento climatico. E’ però preoccupante che si siano compiuti scarsi progressi nella maggior parte di questi ambiti. Dobbiamo anche ammettere che alcuni Stati membri dell’Unione non si sono impegnati quanto altri nei confronti del partenariato con l’Africa. Sono convinto che il secondo anno di partenariato sarà migliore e riusciremo a conseguire più rapidamente i nostri obiettivi.
Alain Hutchinson, a nome del gruppo PSE. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, da un anno celebriamo lo sviluppo di questo nuovo processo, questo nuovo accordo tra Unione europea e Africa. Stando così le cose, signor Commissario, mi permetterà di essere meno riservato del solito. Penso che in occasione del suo primo anniversario sia necessario riconoscere alcuni elementi.
Lì manca tutto. Mancano medici, insegnanti, tecnici e dirigenti. Qui si parla di immigrazione gestita, eppure non abbiamo ancora intrapreso le misure necessarie per permettere alle diaspore di mettersi per esempio al servizio dei loro Stati. Lì non riescono neppure a nutrire le loro stesse popolazioni. Qui rinnoviamo le sovvenzioni all’esportazione per i nostri prodotti agricoli e promuoviamo i biocombustibili, che lì creano vastissime monoculture.
Lì tutto continua a deteriorarsi, l’indigenza dilaga, le malattie uccidono e l’acqua manca. Qui parliamo tanto, facciamo promesse, discutiamo e votiamo risoluzioni. Ma cosa accade concretamente per la gente dell’Africa? Personalmente penso, come lo pensate voi e so che ne siete fermamente persuasi, che sia giunto il momento di riunire i parlamenti di questi paesi e, così facendo, riunirne i popoli. Ritengo che nessun processo tra Unione europea e Africa potrà avere successo finché resteremo a livello di politici e tecnici. I popoli dell’Africa devono essere riuniti ed è attraverso i loro parlamenti che dobbiamo farlo.
Sono felice di sentire che vi è la volontà di sviluppare questo speciale rapporto a livello parlamentare. Ho i miei dubbi, tuttavia, signor Commissario, perché poco prima di questo dibattito abbiamo avuto una lunga discussione con la sua collega Ashton in merito agli accordi di partenariato economico. Stranamente è quasi impossibile ottenere il coinvolgimento dei parlamenti dei paesi partner in tali accordi. Non riusciamo a convincere parte di quest’Aula e neanche la Commissione che sarebbe realmente necessario per i loro parlamenti poter parlare per primi prima di domandarci, Parlamento europeo, il nostro parere sui temi che riguardano direttamente la vita degli africani. Vista la situazione, spero che le cose al riguardo cambino.
Analogamente penso che sia importante, e per fortuna è stato già sottolineato, coinvolgere nel processo in misura decisamente maggiore e migliore le organizzazioni non governative e la società civile africana. Parlavo delle diaspore, ma quelle riguardano noi. Non so che cosa si sia concretamente fatto al riguardo, ma penso in ogni caso che le azioni intraprese offrano una possibilità di successo al processo messo in atto.
Toomas Savi, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, il 2007 è stato purtroppo il secondo anno consecutivo in cui si sono ridotti i contributi per l’aiuto pubblico allo sviluppo nel mondo sviluppato. Sono pertanto lieto che la relatrice abbia ribadito la necessità di esortare gli Stati membri dell’Unione a mantenere fede ai propri impegni.
Trovo che gli Stati membri dovrebbero rivedere la loro attuale assistenza ai paesi target perché la valutazione dei progressi verso gli obiettivi di sviluppo del Millennio del 2008 indica che l’Africa sub-sahariana è l’unica regione gravemente indietro rispetto ai progressi previsti. Vorrei cogliere questa opportunità per incoraggiare gli Stati membri a incrementare il proprio contributo all’Africa sub-sahariana, la regione meno sviluppata del mondo. Inoltre i paesi target non sono sempre molto ricettivi nei confronti della natura condizionale dell’assistenza comunitaria. Dovremmo proseguire con gli sforzi per coinvolgere più intimamente questi paesi.
La crisi economica globale grava su noi tutti; eppure non dobbiamo dimenticare o ignorare il fatto che i paesi meno sviluppati ora sono anche i più vulnerabili. Inoltre, visto il ristagno della situazione in Africa, l’Europa è sempre più sommersa da flussi migratori che potrebbero diventare pesanti per lo stato sociale. E’ molto più saggio affrontare i problemi della gente dei paesi in via di sviluppo prima che questi problemi diventino preoccupazioni per l’Europa.
Wiesław Stefan Kuc, a nome del gruppo UEN. – (PL) Signor Presidente, signor Commissario, ancora una volta parliamo dell’Africa al Parlamento europeo. Oggi non parliamo di guerra, diritti dell’uomo o aiuti ai paesi in via di sviluppo, bensì stiamo cercando di riassumere l’attuale situazione del partenariato tra l’Africa e l’Unione europea, un partenariato purtroppo pressoché inesistente.
Per essere giusti, abbiamo nobili aspirazioni di giungere a una comprensione e una cooperazione tra Unione africana, parlamento dell’Unione africana e commissione dell’Unione africana. L’Africa, tuttavia, resta sempre il continente più povero del pianeta, quello dove la gente ha la speranza di vita più breve, dove carestie e malattie assumono dimensioni senza pari, mentre il livello di istruzione e sanità, specialmente nelle zone rurali e urbane povere, è quasi nullo.
L’impatto positivo dell’Unione africana sulla situazione economica è talmente irrisorio che, in pratica, si tratta soltanto di un’organizzazione di facciata, senza alcuna influenza in termini di risoluzione dei problemi quotidiani, un’organizzazione di politici che la sfruttano per partecipare alla vita politica globale. L’Africa è un continente con notevoli risorse naturali utilizzate dall’intero modo. Questo però non ha avuto alcun effetto positivo sul tenore di vita della popolazione o in termini di riduzione della povertà. Varie organizzazioni stanno cercando di affrontare il problema della povertà, ma si osservano scarsissimi progressi. La relatrice, onorevole Martens, lo ha affermato chiaramente.
In realtà non sappiamo come aiutare l’Africa e neanche la relazione propone una soluzione. Lasciatemi ricordare come un pacifico Kenya ha potuto trasformarsi in un bagno di sangue nel giro di pochi giorni. Come possiamo garantire che aiuti finanziari provenienti da paesi diversi siano distribuiti in maniera corretta? Questo è un tema che abbiamo discusso qualche mese fa parlando anche dei passi intrapresi dalla Cina. La Cina ha forse trovato la strada giusta? Studiamola attentamente.
Luisa Morgantini, a nome del gruppo GUE/NGL. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la strategia UE-Africa è soprattutto una grande sfida, una sfida che deve vederci capaci anche di rimettere in discussione noi stessi e le nostre politiche. C'è ancora bisogno di un'approfondita riflessione, io credo, sui rapporti tra i nostri due continenti e sulle strategie di sviluppo.
È un processo lungo, non possiamo chiedere che tutto venga risolto in un momento, e anche molto complicato, ma che dovrebbe avere, io credo, in prima istanza la necessità di essere un processo inclusivo e partecipato di costruzione dal basso di una partnership tra uguali.
Il vertice di Lisbona non ha saputo fare questo pienamente anche per la fretta forse con il quale è stato fatto e sia l'Unione europea che l'Unione africana non hanno voluto o saputo dare un ruolo strutturale ai parlamenti e alla società civile, tanto in Africa come in Europa. Siamo ad un anno dal vertice e, come sottolinea con forza la relazione Martens, il nostro Parlamento, il Pan-African Parliament e la società civile non hanno ancora piena voce nella definizione della strategia.
Quindi è indispensabile che questa inclusione - anche per raggiungere gli obiettivi del Millennio per fare uscire dalla povertà, dalle malattie e per lo sviluppo dell'agricoltura e dell'educazione - che questa inclusione avvenga, con tutti i temi che sono stati posti, dalla desertificazione, al cambiamento climatico, all'energia.
Una piena ownership è indispensabile ed un partenariato democratico aperto quindi alle popolazioni e non confinato soltanto ai governi o alle commissioni. Noi, come Parlamento europeo, abbiamo intensificato i nostri rapporti con il Parlamento panafricano e non c'è dubbio che per questi nostri passi avanti la strategia Unione europea-Africa ha avuto un impatto positivo.
Ma ci sono alcuni dubbi sorti già nel 2007: i fondi. Verranno reperiti questi fondi per realizzare questa strategia comune? Quale futuro per gli ACP e l'accordo di Cotonou? Come ci rapportiamo alle organizzazione internazionali: Banca Mondiale, Fondo monetario, al WTO? Lavoriamo insieme per rendere queste istituzioni più democratiche.
Ecco, io credo che la sfida debba continuare con molta forza perché l'Africa - e l'abbiamo imparato in questi anni - è un continente ricco di risorse umane ed economiche ed è davvero un partner. È fantastico vedere - il Commissario Michel che lo conosce bene lo sa - quanta ricchezza vi sia e non ci siano soltanto morte, distruzione e guerra, anche se su quelle noi dobbiamo evidentemente lavorare perché davvero possano esserci pace e democrazia.
Bastiaan Belder, a nome del gruppo IND/DEM. – (NL) Signor Presidente, innanzi tutto vorrei ringraziare la relatrice, onorevole Martens, per l’eccellente documento che ha prodotto. E’ un bene che il Parlamento non solo accolga favorevolmente l’annuncio di un partenariato, ma ne monitori anche concretamente i risultati tangibili. Di questo ha bisogno l’Africa. Un partenariato riuscito con l’Africa deve necessariamente basarsi su governance e diritti dell’uomo, elementi essenziali in un continente nel quale sindaci possono rovesciare presidenti e un altro ha mutilato la sua stessa popolazione per una caccia alle streghe. Consiglio e Commissione devono rendere tali elementi prioritari.
Quando parlo di governance, penso anche al ruolo della Cina, citato solo en passant nella risoluzione. Mi colpisce che manchi una qualsivoglia nota critica in merito alle conseguenze, talvolta disastrose, del coinvolgimento della Cina in Africa. L’Unione europea può forse imparare qualcosa dai 2 miliardi di euro che il fondo per lo sviluppo dell’Africa cinese investe nel continente. Il fatto che Pechino investa anche in paesi come lo Zimbabwe la dice lunga sul contributo della Cina alla democrazia e alla governance a lungo termine in Africa.
Vorrei formulare un’osservazione alla relatrice. Nel paragrafo 46 si fa riferimento alla sicurezza e alla sovranità alimentare africana. Ciò che ritengo manchi nella risoluzione è un passaggio che analizzi un problema ormai emerso da alcuni anni, ossia la locazione o persino l’acquisto da parte di imprese o paesi stranieri di vaste superfici agricole il cui raccolto va agli investitori stranieri e, pertanto, non a beneficio della popolazione locale malnutrita. Siffatte situazioni sono veramente angoscianti. Tali investimenti, inoltre, non creano posti di lavoro. E’ un peccato che la risoluzione non affronti questo problema specifico che al momento è nuovamente sotto i riflettori dei media.
Michael Gahler (PPE-DE). – (DE) Signor Presidente, in veste di presidente della delegazione ad hoc per le relazioni con il parlamento panafricano, oggi vorrei cogliere l’opportunità per ringraziare le tante persone coinvolte. In primo luogo, vorrei ringraziare l’onorevole Martens, che ha preparato una relazione eccellente sui progressi compiuti in merito alla strategia concordata UE-Africa. In secondo luogo, vorrei ringraziare le istituzioni partecipanti. Siamo riusciti, nel quadro di un dialogo con sei interlocutori, a pervenire a un’intesa tra due parlamenti. Ambedue le commissioni sono pervenute a un accordo, così come i due parlamenti e i due consigli. Per quanto concerne il Consiglio europeo, vorrei specificamente rammentare l’operato del servizio legale, che è sempre particolarmente importante per tali questioni poiché talvolta mancano posizioni comuni. Nondimeno, a seguito del primo incontro ad Addis Abeba, oggi, nella seconda riunione, siamo riusciti ad attuare e concordare finalmente ciò che avevamo convenuto in merito alla partecipazione dei due parlamenti.
Detto ciò, vorrei commentare quanto affermato dall’onorevole Hutchinson. Che cosa sta realmente accadendo? Indubbiamente in Africa si stanno verificando molte vicende negative. La mia impressione, però, e forse è una coincidenza, è che dal momento in cui si è concordata questa strategia comune l’Africa ha reagito diversamente ai colpi. In Mauritania, Guinea, Guinea-Bissau e Madagascar, l’Africa ha reagito sospendendone l’adesione. In passato non era mai accaduto. Allora gli scambi commerciali sarebbero proseguiti normalmente.
In proposito vorrei anche aggiungere che noi, governi europei, dovremmo tener conto pure di tali elementi. Se il partenariato si basa su valori comuni, anche gli europei devono reagire nel momento in cui gli africani reagiscono quando qualcosa in Africa non va. Per questo confido nel fatto che se i parlamenti parteciperanno maggiormente in futuro all’attuazione di questa strategia, il partenariato potrà conquistare un valore aggiunto.
Ana Maria Gomes (PSE). – (PT) Signor Presidente, volevo complimentarmi con l’onorevole Martens per questa importante relazione e sottolineare quanto sia fondamentale il ruolo del nostro Parlamento nel sorvegliare l’attuazione della strategia comune Africa-UE e del corrispondente piano di azione.
E’ stata intrapresa una serie di passi importanti per quanto concerne alcuni degli otto partenariati che rientrano nella strategia, segnatamente l’istituzione di gruppi misti di esperti, la creazione di gruppi preposti all’attuazione della strategia e l’avvio di un dialogo nel contesto di tali partenariati.
Mi rammarico tuttavia per il fatto che, alla fine del primo anno, alcuni partenariati siano ancora in procinto di definire i metodi di lavoro e non abbiano ancora stabilito prodotti, tempi o cifre di bilancio.
Spero che la prossima relazione annuale comune sui progressi compiuti sia più specifica della prima nella presentazione dei risultati e nell’indicazione degli stanziamenti. E’ particolarmente importante essere vigili per quel che riguarda gli impegni assunti dall’Unione europea e dai suoi Stati membri e il loro assolvimento in vista della scelta degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Dobbiamo altresì assicurare che la recessione globale, che sta colpendo tutti, non penalizzi in maniera spropositata paesi e popoli dell’Africa, visto che sono già i più vulnerabili.
Lo sviluppo e la governance democratica in Africa devono far parte della strategia di uscita dalla crisi per noi tutti. In proposito, abbiamo bisogno anche di vedere progressi più significativi in tutti i partenariati, compresi quelli politicamente più delicati, come è il caso di quello relativo alla governance e ai diritti dell’uomo.
Il ruolo del Parlamento europeo in tale processo deve essere rafforzato conferendogli ufficialmente funzioni di sorveglianza e coinvolgendolo nel lavoro dei gruppi preposti all’attuazione della strategia. E’ altresì fondamentale garantire la partecipazione a tale processo di rappresentanti delle società civili europea e africana, segnatamente parlamenti nazionali, organizzazioni non governative e mezzi di comunicazione.
Zbigniew Krzysztof Kuźmiuk (UEN). – (PL) Signor Presidente, in questa discussione vorrei richiamare l’attenzione su tre punti. In primo luogo, nel dicembre 2007, il Parlamento europeo ha adottato una nuova strategia UE-Africa, volta a garantire parità tra le due parti. Tema principale di tale strategia è stato la riduzione della povertà nei paesi africani. Tuttavia, lo scorso anno non si sono compiuti molti progressi in tale ambito.
In secondo luogo, la perdurante crisi finanziaria ed economica può, ahimè, aggravare la situazione in cui versano i paesi africani. I principali istituti finanziari globali formulano le seguenti previsioni per il 2009. Il Fondo monetario internazionale calcola che il PIL mondiale si ridurrà dell’1 per cento, mentre la Banca mondiale stima un calo del 2 per cento. L’Organizzazione mondiale del commercio prevede una diminuzione del valore del commercio mondiale ben del 9 per cento. Sarà la prima volta che ciò accade in 50 anni. Secondo il Fondo monetario internazionale, la crisi attraversata dai paesi più sviluppati continuerà a gravare sui paesi in via di sviluppo, compresi quelli africani, mentre l’aumento della disoccupazione e della povertà potrebbe causare sommosse civili e, in alcuni casi, anche guerre.
Spero che, in vista della crisi e delle sue ripercussioni, che continueremo a sentire per i prossimi anni, la strategia di cooperazione UE-Africa venga modificata in maniera appropriata al fine di evitare sollevamenti civili o persino conflitti armati causati dalla crisi economica globale.
Juan Fraile Cantón (PSE). – (ES) Signor Presidente, a Lisbona, nel dicembre 2007, i capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno adottato la strategia comune Africa-UE e il primo piano di azione per la sua attuazione.
Tre fatti hanno portato a tale strategia. Il primo è stato che, nel continente africano, i processi di pace e il graduale consolidamento dei sistemi democratici coesistono con persistenti conflitti come quello nel Darfur, alti livelli di povertà e situazioni emergenti come le massicce ondate di immigrazione illegale.
Il secondo è che l’Africa sub-sahariana è la regione più povera del pianeta. La popolazione ha una speranza di vita ridotta, bassi livelli di istruzione e scolarizzazione e una crescita demografica elevata. Trecento milioni di persone vivono con meno di 1 euro al giorno.
Il terzo è che l’Africa è fisicamente il luogo in cui si manifestano le grandi pandemie, il luogo in cui vivono più di due terzi dei malati di AIDS e il luogo del 90 per cento dei decessi per malaria.
Nell’ultimo anno abbiamo compiuto ben pochi progressi per quanto concerne gli obiettivi che ci siamo prefissati e, dato che il piano di azione copre il periodo fino al 2010, dobbiamo agire immediatamente in due ambiti fondamentali. Primo, dobbiamo collaborare per quanto concerne la governance democratica, il rafforzamento delle istituzioni e il miglioramento del ruolo della società civile prestando particolare attenzione alle politiche in materia di genere. Secondo, dobbiamo collaborare per occuparci delle esigenze sociali di base, della lotta alla fame e del lancio di programmi di sviluppo nel campo dell’istruzione, della sanità e dell’accesso alle risorse fondamentali come l’acqua.
Czesław Adam Siekierski (PPE-DE) . – (PL) Signor Presidente, il partenariato di cui oggi parliamo è la risposta alle esigenze dell’Africa perché offre sostegno al processo di democratizzazione dei paesi africani e ai diritti dell’uomo garantendo nel contempo un forte coinvolgimento bilaterale nella lotta al cambiamento climatico e nel campo della sicurezza energetica.
Oggi, vista la nostra crescente codipendenza globale e la responsabilità condivisa, abbiamo bisogno di impegno anche dai partner potenzialmente più deboli. Prendiamo per esempio la lotta al cambiamento climatico. Sebbene l’Africa sia il continente che meno contribuisce all’inquinamento atmosferico, di tale inquinamento è quello che maggiormente subisce le ripercussioni. Per questo dobbiamo coinvolgere i paesi africani nella lotta al cambiamento climatico, specialmente avvalendoci il più possibile delle fonti di energia rinnovabile che sono a disposizione di tali paesi.
Alcuni Stati tentano di attrarre i paesi africani nella propria sfera di influenza. Ciò non deve accadere. L’Africa non deve essere controllata. Deve invece essere aiutata e sostenuta. Nel contempo, dobbiamo anche trattare l’Africa come partner a tutti gli effetti anziché come semplice destinataria di aiuti finanziari perché operare in condizioni di parità sicuramente promuove un maggiore impegno.
Louis Michel, membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, vorrei ringraziare i diversi intervenuti.
Sono lieto del compiacimento dimostrato nei confronti dei primi risultati conseguiti. Superfluo aggiungere che però non basta. Dobbiamo capire che tutto è iniziato soltanto da un anno e nel 2009 le cose dovrebbero ingranare.
Accetto i presupposti dei vari interventi e i temi sollevati coincidono esattamente con le mie convinzioni. E’ ovvio che non vi può essere sviluppo se non vi è senso di appropriazione, come hanno affermato gli onorevoli Hutchinson e Morgantini. Parimenti ovvio è che il ruolo dei parlamenti nazionali e della società civile è straordinariamente importante.
Mi rammarico peraltro per il fatto che non sia stato possibile condurre una riforma profonda dei meccanismi istituzionali che presiedono alla responsabilità del Parlamento rispetto alla politica di sviluppo. Ricordo che avete chiesto che i documenti di strategia nazionale fossero discussi non soltanto in questa sede, ma anche nell’ambito dei parlamenti nazionali dei paesi partner. Il Consiglio europeo non mi ha consentito di farlo, ragion per cui ho trasmesso i documenti di strategia nazionale all’assemblea parlamentare mista. Attraverso tale canale, li avete trasmessi ai diversi parlamenti europei, ma ciò non equivale affatto a una norma istituzionale, norma che francamente avrei voluto esistesse. A titolo di promemoria, aggiungo che questa continuerà a essere una delle mie massime priorità perché compiremo progressi enormi se i fondi europei di sviluppo fossero inclusi nel bilancio. Fintantoché la voce non sarà iscritta a bilancio, emergeranno sempre ragioni, infondate, per non permettere al Parlamento di fargli svolgere il ruolo che dovrebbe e, di conseguenza, il commissario responsabile dello sviluppo si ritroverà talvolta ridotto all’impotenza. Sarebbe molto più semplice se potessi discutere priorità, programmi e progetti qui, in Parlamento. Potrei procedere, forte di questo sostegno. Purtroppo ancora così non è, per cui spero che prima o poi si giunga all’esito auspicato.
Non voglio neppure tralasciare questioni che non mi paiono giuste. Vorrei ricordarvi che lo scorso anno, a livello europeo, abbiamo speso il contributo della Commissione e degli Stati membri sapendo che ciascuno metteva 46 miliardi di euro. Mancano però 1,7 miliardi di euro rispetto al programma o, per meglio dire, all’obiettivo prefissato. Non ne sono affatto contento e penso che in futuro dovremo combattere per conseguirlo. Il Parlamento dovrà essere un vero ambasciatore di questo messaggio ed esercitare pressioni. Avremo bisogno di tutta la forza disponibile a livello politico solo per obbligare gli Stati membri a rispettare gli impegni assunti nel 2005. Non sarà facile. Ricordo ancora la lotta per il miliardo necessario per lo strumento alimentare. Non è stato semplice, ma abbiamo ottenuto condizioni favorevoli, ossia un ulteriore miliardo, per quanto ripartito su tre anni anziché due. Fortunatamente i progetti stanno andando avanti e la loro attuazione procede in maniera positiva. Su tale punto, pertanto, concordo con voi pienamente.
(EN) Non intendiamo riaprire le questioni del DAC. Sono attualmente in discussione alcuni aggiustamenti a margine, per esempio le missioni di mantenimento della pace.
(FR) Non ho dunque intenzione di riaprire il confronto al riguardo. Devo dire inoltre che sono molto prudente. Non sono particolarmente favorevole alla riapertura del dibattito perché se lo facessimo anche alcuni nostri Stati membri vi parteciperebbero per far rientrare in tale voce qualunque cosa.
Devo dirle, onorevole Cook, che dissento dall’affermazione che abbiamo perso gli ideali. Non credo affatto che sia vero. Penso invece che basti ascoltare le voci in questa Camera per rendersi conto che siamo ancora molto impegnati nella difesa dei paesi in via di sviluppo. Non è giusto dire che non stiamo contribuendo alla soluzione. Ovviamente non ci si può aspettare che siamo in grado di risolvere ogni cosa, ma tremo al pensiero di quanto sarebbe povero il mondo se non vi fosse l’assistenza europea.
Non è sicuramente sufficiente, ne convengo, ma rappresenta il 57 per cento degli aiuti erogati nel mondo. Non penso, ahimè, che sia la sede opportuna per parlarne. Tuttavia, appurare se l’assistenza europea offerta dai nostri Stati membri o dalla Commissione stia ancora conseguendo i suoi obiettivi o sia ancora efficace, ossia se sia un modo corretto di procedere, è un’altra questione. Vorrei che la discussione tornasse al tema dell’istituzione o meno di un sostegno di bilancio e condizionalità, in merito alle quali, come voi, sono alquanto restio.
Ciò detto, dobbiamo ancora chiarire che cosa vogliamo. Se vogliamo ottenere da un governo che compia passi verso la società civile o faccia partecipare la sua popolazione o, in alcuni casi, il suo parlamento, è necessario comunque accettare che si impongano condizioni perché semplicemente dire a un governo “spero che lo facciate” con arringhe appassionate o amichevoli suggerimenti a volte non basta. La questione che circonda le condizionalità – non mi piace il termine condizionalità, preferisco parlare di criterio – è in ogni caso importante. Quando si parla per esempio di profilo, ritengo che sia abbastanza normale riuscire a definirne uno. Il profilo non è stato utilizzato per stabilire le misure di incentivazione. E’ abbastanza normale analizzare i profili di governance di ciascun paese nel prepararsi a concedere un 25 o persino un 30 per cento in più di incentivi finanziari. Tutti questi confronti sono ancora aperti. Non intendo chiuderli, ma spero che a un certo punto saremo in grado di farlo.
Sorvolo su tutte le osservazioni in merito alla Cina. Ovviamente credo che si tratti di un ottimo argomento di discussione. Penso inoltre che i paesi di sviluppo abbiano il diritto di mettere in campo le forme di cooperazione che ritengono opportune. L’Africa non è più appannaggio esclusivo dell’Europa, il che è estremamente positivo. E’ uno sviluppo che reputo importante.
E’ vero che sarebbe il caso di interrogarsi sulla qualità delle politiche di sviluppo istituite tra Cina e Africa. Non possiamo criticarle per questo, ma possiamo interrogarci. Per esempio, da diversi mesi ricevo notizie di contratti cinesi nella Repubblica democratica del Congo. Non voglio dire che siano contratti contestabili. Dico semplicemente che tutti questi interrogativi meritano risposte. Del resto, al momento siamo occupati a rispondervi, specialmente alla questione della garanzia di Stato poiché si tratta di un accordo stipulato con un’impresa privata. Ci stiamo altresì occupando della percentuale di finanziamenti rispetto alle donazioni, dell’assenza di un qualsivoglia bando di gara e del fatto l’importo è pressoché equivalente al debito del paese nei confronti del Fondo monetario europeo. Sono tutti quesiti ai quali occorre dare risposta, ma non denunciando questo tipo di rapporto. I paesi africani hanno il diritto di sottoscrivere accordi di partenariato anche con i cinesi. Su questo punto non intendo ritornare.
Penso, onorevole Morgantini, che lei abbia sottolineato alcuni aspetti già messi in luce dall’onorevole Hutchinson. E’ chiaro che il problema reale sarà sempre garantire che il rapporto tra noi e i paesi in via di sviluppo sia un partenariato vero. Penso che il vertice di Lisbona abbia rappresentato un notevole passo avanti perché abbiamo perlomeno sancito nei testi gli inizi di una nuova filosofia improntata alla parità dei partner a livello di diritti e responsabilità.
Come è ovvio, però, non siamo ancora giunti a questo punto ed è uno dei temi legati al senso di appropriazione, legato, se possibile, al sostegno di bilancio, a sua volta legato al senso di appropriazione da parte della società civile e del dibattito parlamentare. Ritengo che abbiate ragione e che questi siano gli ambiti nei quali dobbiamo lavorare.
E’ stata posta un’altra domanda che per me è motivo di reale preoccupazione e che, a mio parere, è un tema di discussione fondamentale. La domanda è stata così formulata: “Come possiamo ottenere una migliore armonizzazione: indurre la gente a lavorare insieme, ripartire meglio il lavoro, sostenere meglio la politica di sviluppo globale tra i vari partner; il ruolo della Banca mondiale, dell’Organizzazione mondiale del commercio, del Fondo monetario internazionale, della Commissione e di tutti i donatori su vasta scala?”.
E’ vero che per il momento, come si è detto in un’altra riunione, vi sono sovrapposizioni e duplicazioni. Vi è persino concorrenza, non sempre utile. Posso dirvi che negli ultimi due anni sono stati compiuti progressi notevoli, soprattutto con la Banca mondiale. Il nuovo messaggio, la nuova strategia e la nuova filosofia che possono percepire presso tale istituzione mi rendono alquanto ottimista. Vi è spazio pertanto per un altro tipo di cooperazione, una collaborazione tra i vari partner, e credo che abbiate realmente indicato un punto fondamentale che dovremo esaminare con estrema attenzione.
Ovviamente la governance è un elemento fondamentale, il motivo per il quale abbiamo previsto il pacchetto sul buon governo.
L’onorevole Gomez ha affrontato l’importante questione delle ripercussioni della crisi finanziaria sulla situazione economica e sociale dei paesi in via di sviluppo. Gran parte degli esperti ora concorda nell’affermare che si registrerà perlomeno un calo del 2 per cento della crescita, pari ad altri 50 milioni di poveri. Dobbiamo esserne pienamente consapevoli.
Per quel che ci riguarda, sarei già contento se gli Stati membri tenessero fede alle promesse del 2005. Vi assicuro che insieme dovremo combattere duramente per obbligare gli Stati membri a farlo.
In secondo luogo mi sto occupando della preparazione di una comunicazione, il pacchetto di aprile promessovi, che va oltre l’assistenza pubblica allo sviluppo e nella quale tenterò di mobilitare un’intera serie di bilanci settoriali della Commissione per le politiche di sviluppo. Devo dirvi che già si profilano alcune alternative veramente interessanti. Sul pacchetto sto anche lavorando con la Banca europea per gli investimenti, specialmente per quanto concerne l’infrastruttura di sostegno, al fine di cercare di svilupparla rapidamente in maniera da produrre un effetto tempestivo. Ne riparlerò al Parlamento in aprile. Resta comunque fermo il ruolo importantissimo della società civile e dei parlamenti nazionali.
Con questo concludo. L’onorevole Hutchinson una volta ha suggerito che si potrebbe sperimentare con membri di quest’Aula e forse membri dei parlamenti degli Stati membri l’organizzazione, ove possibile, di dibattiti sui documenti di strategia nazionale. Personalmente ho avuto la possibilità di farlo in tre diversi paesi ed è andata molto bene, ma è ovvio che sia stato così perché i tre paesi avevano il sostegno dei rispettivi governi, sostegno senza il quale affrontare il tema è estremamente difficile. Penso pertanto che abbiate ragione: mobilitare l’azione parlamentare è sicuramente una delle priorità. In ogni caso abbiate fiducia nel fatto che farò tutto quanto in mio potere affinché così sia.
Maria Martens , relatore. – (NL) Signor Presidente, non ho in realtà molto da aggiungere. Questo è il primo dibattito sull’attuazione della strategia. E’ stato dato l’avvio, ma siamo ancora all’inizio e rimane ancora moltissimo da fare. L’Africa resta il continente più povero. Tutti avete sottolineato quali siano le nostre preoccupazioni e quali sfide dobbiamo raccogliere, siano esse in rapporto alla pace, alla sicurezza, alla crescita economica, alla governance, alla capacità di consolidamento o al ruolo dei parlamenti e della società civile. Il commissario ha formulato le necessarie osservazioni in proposito.
Vorrei ringraziare i colleghi parlamentari, il commissario e i nostri colleghi del parlamento panafricano. Continueremo a seguire gli sviluppi.
Presidente – Abbiamo adesso all'ordine del giorno la breve presentazione di una serie di relazioni, si tratta di ben otto relazioni, quindi io prego davvero tutti i colleghi di attenersi scrupolosamente ai termini di tempo previsti per questa procedura particolare e prego anche la Commissione di volersi mantenere nell'ambito della essenzialità delle risposte, perché diversamente avremmo dei problemi a rispettare l'ordine del giorno anche per l'assistenza degli interpreti.
L'ordine del giorno reca la relazione di Alain Hutchinson, a nome della commissione per lo sviluppo, sui contratti relativi agli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) [008/2128(INI)]
Alain Hutchinson, relatore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, per quasi tre anni l’Unione europea e gli Stati membri si sono impegnati per migliorare l’efficacia della nostra cooperazione con i paesi in via di sviluppo. Si sono fatte cose, ma vi è ancora una forte resistenza, soprattutto all’interno degli Stati membri, e pertanto occorre ancora compiere progressi notevoli.
L’accesso alle prestazioni sanitarie e all’istruzione di base è ancora un sogno per migliori di persone, molte delle quali donne. Ogni giorno, 72 milioni di bambini, soprattutto di sesso femminile, non frequentano la scuola. Ogni minuto una donna muore di complicanze associate alla gravidanza o al parto, mentre un bambino muore ogni tre secondi di una malattia che un medico avrebbe potuto facilmente prevenire.
Da una prospettiva geografica, è l’Africa sub-sahariana, come abbiamo effettivamente rammentato poc’anzi, che continua a vivere la situazione più catastrofica e, per come stanno le cose, si corre il rischio che questo perduri ancora per molti anni.
In tale contesto, è vero che il sostegno di bilancio, vale a dire l’assistenza finanziaria direttamente inclusa nel bilancio dei paesi beneficiari, potrebbe utilmente contribuire a fornire assistenza più prevedibile, mirata ai settori prioritari e, dunque, più efficace. Per questo la Commissione ha proposto l’idea di stipulare i cosiddetti contratti MDG relativi agli obiettivi di sviluppo del Millennio che intende proporre ad alcuni paesi allo scopo di impegnare fondi per un periodo di sei anni e istituire un monitoraggio annuale che sottolinei il conseguimento di risultati nel campo della sanità e dell’istruzione.
La nostra relazione mette in luce l’importanza di tale iniziativa, ma solleva anche una serie di interrogativi che richiedono risposte chiare. Quale criterio proporrà per esempio la Commissione ai paesi candidati per aspirare a concludere tale tipo di contratto? Quanto durerà il progetto e quali saranno le condizioni per attuarlo? Vorremmo inoltre rammentare che la Commissione non ha ancora pubblicato una comunicazione ufficiale sul tema; se desiderate saperne di più, attualmente non esistono documenti interni al riguardo, prescindendo dalle informazioni di base disponibili sul sito web della commissione per lo sviluppo.
Sebbene il sostegno di bilancio della Commissione presenti diverse caratteristiche positive, come il fatto di essere associato al conseguimento di risultati per quanto concerne sanità e istruzione, o il fatto più generale di prevedere una pianificazione triennale, va detto che è tutt’altro che perfetto. Vi ricordo, per esempio, che la Commissione, come nel caso della maggior parte degli altri erogatori di fondi, concederà soltanto sostegno di bilancio ai paesi che hanno attuato il programma del Fondo monetario internazionale. La situazione è particolarmente problematica se si considera il fatto che tali programmi possono limitare la capacità del governo di investire in sviluppo e sono previsti obiettivi eccessivamente ambiziosi, specialmente per quanto concerne inflazione e disavanzo di bilancio.
Inoltre, anche se la Commissione decide di fornire sostegno di bilancio a lungo termine, nulla garantisce che tale aiuto non diventerà esso stesso oggetto di procedure burocratiche che, come sappiamo, comportano ritardi notevoli nell’esborso.
Infine, il sostegno di bilancio accusa una grave mancanza di trasparenza e senso di appropriazione da parte dei paesi coinvolti e dei loro abitanti. Gli accordi di finanziamento sono resi pubblici soltanto di rado, né la Commissione include di norma le organizzazioni della società civile e i parlamentari nel suo dialogo con i governi dei paesi in via di sviluppo, come già rammentato.
Nondimeno, oggi si riconosce da più parti che, per essere efficace, lo sviluppo deve essere interamente nelle mani non solo dei governi, ma anche dei popoli dei paesi in via di sviluppo.
In sintesi, il progetto dei contratti MDG sarà un’opportunità per migliorare l’efficacia della nostra esistente soltanto se definito in maniera estremamente chiara, assieme ai suoi criteri di ammissibilità, esecuzione e valutazione. La nostra relazione sottolinea dunque l’importanza dell’iniziativa, domandando tuttavia prudenza e mettendo in luce la necessità che la Commissione sia molto più esplicita in merito alle sue intenzioni e risponda a specifici interrogativi nella relazione.
Non voglio concludere senza aver affrontato per un momento la questione della recente relazione speciale della Corte dei conti sull’assistenza allo sviluppo della Commissione europea ai servizi sanitari nell’Africa sub-sahariana. Le conclusioni della relazione sono preoccupanti. Dal punto di vista finanziario, vediamo che dal 2000 i contributi di assistenza pubblica al settore sanitario non sono aumentati. Emerge inoltre che il sostegno di bilancio è stato utilizzato pochissimo per la sanità nell’Africa sub-sahariana. Di conseguenza, signor Commissario, lei comprenderà perché nella nostra relazione ribadiamo l’idea che sia assolutamente necessario concentrarsi di più sul settore sanitario, ma anche che non vi è alcuna assicurazione che i contratti MDG ci permetteranno di conseguire tale obiettivo.
Louis Michel, membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, innanzi tutto desidero ringraziare l’intera commissione per lo sviluppo e il suo relatore, onorevole Hutchinson, per una relazione in cui si ripropongono questioni e preoccupazioni che condivido pienamente.
E’ necessaria un’assistenza allo sviluppo maggiore e migliore se vogliamo conseguire gli obiettivi di sviluppo del Millennio entro il 2015, ma anche un’assistenza che sia decisamente più prevedibile e meno volatile, come giustamente ci ricorda la relazione.
Tali sforzi saranno ovviamente profusi avvalendoci di una combinazione di strumenti diversi. Tuttavia, dal mio punto di vista, nei paesi che lo permettono, il sostegno di bilancio, sia esso generico o settoriale, resta lo strumento più idoneo e appropriato.
Il sostegno di bilancio rappresenta la maniera migliore per rafforzare sistemi e processi nazionali rafforzando il senso di appropriazione da parte dei paesi, agevolando l’armonizzazione, riducendo i costi della transizione, per cui migliorando la gestione della spesa pubblica e accelerando il conseguimento degli obiettivi di sviluppo.
La Commissione ha già incrementato notevolmente l’uso del sostegno di bilancio e lo farà ancora nel corso dei prossimi sei anni nel quadro del decimo Fondo europeo di sviluppo (FES). Lo scopo è rendere lo strumento più efficace e prevedibile. Per questo la Commissione, di concerto con gli Stati membri e altri interessati, ha elaborato una forma a lungo termine del sostegno di bilancio, denominata contratto MDG, per i paesi che rispondono a determinati criteri: buoni risultati nel passato, gestione affidabile delle finanze pubbliche, politica settoriale appropriata, eccetera. Il contratto MDG è la naturale evoluzione dei sostegni di bilancio generici, non soltanto perché è più prevedibile, ma soprattutto perché è incentrato sui risultati e può avere una risposta modulata in base ai risultati. Si tratta di Stati partner che si impegnano a incentrare le loro politiche, e dunque la loro spesa, sul conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Il contratto MDG presenta i seguenti elementi chiave: impegno di sei anni, ossia sei anni pieni a fronte di una normale durata di tre anni per i sostegni di bilancio generici; pagamento fisso garantito perlomeno del 70 per cento degli impegni complessivi, a condizione che non vi sia stata violazione delle condizioni nelle quali i pagamenti diventano esigibili o degli elementi fondamentali ed essenziali della cooperazione; componente variabile fino al 60 per cento per premiare i risultati in vista del conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio associata a indicatori di risultato, soprattutto nel campo della sanità e dell’istruzione, oltre che progressi nell’ambito della gestione delle finanze pubbliche.
I paesi possono usufruirne se hanno già utilizzato sostegni di bilancio in maniera soddisfacente nell’ambito del nono FES o se dimostrano un forte impegno nel garantire la sorveglianza e il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio, il tutto per migliorare la gestione delle risorse di bilancio dei paesi in cui i donatori hanno un proprio coordinamento.
Dopo aver valutato 10 paesi, la Commissione ha concesso contratti MDG a sette di essi: Burkina Faso, Ghana, Mali, Mozambico, Ruanda, Uganda, Tanzania e Zambia. I programmi sono stati presentati e aggiudicati dagli Stati membri lo scorso dicembre. Tre contratti sono stati già sottoscritti: Zambia e Ruanda, da me firmati personalmente, nonché Mali. Gli altri saranno finalizzati nelle prossime settimane. Nel complesso, i sette programmi rappresentano circa 1,8 miliardi di euro, vale a dire circa il 50 per cento del sostegno di bilancio generico totale e circa il 14 per cento del totale del decimo FES per i programmi indicativi nazionali.
Resta inteso, e la vostra relazione lo incoraggia, che cercheremo di estendere tale misura ad altri paesi, compresi quelli non ACP, sulla base dell’esperienza maturata con questi primi paesi. Ovviamente si dovranno elaborare altri approcci per i paesi non ancora in grado di usufruire del sostegno di bilancio, ma il contratto MDG già rappresenta un importante contributo al miglioramento dell’efficacia degli aiuti e all’accelerazione dei progressi verso il conseguimento degli obiettivi del Millennio.
Presidente – La presentazione è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì 24 marzo 2009.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
Toomas Savi (ALDE), per iscritto. – (EN) I contratti MDG potrebbero indurre un notevole cambiamento verso un percorso più chiaro per conseguire gli obiettivi di sviluppo del Millennio. Ovviamente è importante che il potenziale di tali contratti non sia sminuito da iter amministrativi eccessivamente complessi da parte della Commissione, come si sottolinea nella relazione.
La natura condizionale dell’assistenza allo sviluppo dell’Unione potrebbe prevalere soltanto se l’Unione operasse in una situazione di monopolio, come unico erogatore di assistenza allo sviluppo. Al momento, i nostri sforzi in Africa, per esempio, sono in una certa misura vanificati dal fatto che la Repubblica popolare cinese sta esercitando una sorta di “dumping politico” prestando assistenza senza imporre il necessario passaggio alla democrazia, allo Stato di diritto e al rispetto dei diritti dell’uomo.
Alcuni governi dell’Africa potrebbero sottrarsi alla burocrazia della Commissione ignorando la nostra offerta di aiuto allo sviluppo, cosa estremamente pericolosa perché così perderemmo l’opportunità di guidare tali paesi nella giusta direzione.
Vorrei chiedere alla Commissione di affrontare tale preoccupazione semplificando le procedure e mantenendo nel contempo un controllo sufficiente sull’esborso delle risorse messe a disposizione.
19. Responsabilità sociale delle imprese subappaltanti nelle catene di produzione (breve presentazione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la relazione di Lasse Lehtinen, a nome della commissione per l'occupazione e gli affari sociali, sulla responsabilità sociale delle imprese subappaltanti nelle catene di produzione [2008/2249(INI)].
Lasse Lehtinen, relatore. - (FI) Signor Presidente, il subappalto nelle catene di produzione è una realtà ormai diffusa nelle attività economiche e contribuisce a un'organizzazione del lavoro efficiente e flessibile. Essenziale per corretto funzionamento del mercato interno, costituisce una rete economica e logistica necessaria.
Per la sostenibilità dei mercati, e per la protezione dei consumatori, è però fondamentale far uso di strumenti legislativi per definire le principali responsabilità di appaltatori e subappaltatori. La relazione esorta la Commissione a varare un chiaro atto di legge che introduca la responsabilità dell'appaltatore a livello europeo, nel rispetto dei diversi ordinamenti nazionali e dei principi di sussidiarietà e proporzionalità.
In otto Stati membri già esiste una legislazione in tal senso, ma vanno disciplinati anche i rapporti tra catene di subappalto a livello comunitario. Comuni problematiche europee richiedono regole comuni, pena il rischio di distorsioni di concorrenza dovute al vuoto legislativo in alcuni paesi, a discapito degli altri.
Non è questione di tutelare solo i lavoratori, ma anche la competitività delle imprese che rispettano le norme: in poche parole, prevenire l'elusione. Finché le catene di subappalto serviranno surrettiziamente a tenere bassi i salari e a non pagare tasse e contributi previdenziali, a farne le spese saranno i contribuenti e le altre imprese concorrenti, specie se piccole e medie. Anche ai subappaltatori, spesso PMI a loro volta, quando lavorano per grandi appaltatori servono regole chiare.
Come abbiamo già visto, anche meccanismi specifici per paese sono efficaci come prevenzione. La minaccia di una causa penale ridurrà le inadempienze da parte dei datori di lavoro.
E' interesse di tutti gli europei poter contare su condizioni minime di impiego e norme chiare; in questo modo la manodopera si sposterà più facilmente da un paese all’altro. Le imprese avranno la certezza dei contratti e i consumatori quella di un prezzo equo e trasparente di prodotti e servizi; non a caso, la relazione parla in modo esplicito di responsabilità sociale delle imprese.
Louis Michel, membro della Commissione.– (FR) Signor Presidente, onorevoli parlamentari, la Commissione accoglie con grande favore questa relazione.
Pur riconoscendo l'importanza del subappalto ai fini di produttività e competitività, non ci sfugge certo la necessità di provvedimenti efficaci per garantire che non si incoraggi, né agevoli, l'inosservanza delle normative sul lavoro, specie in caso di lunghe catene di subappalto. Occorrono sanzioni adeguate, efficaci e deterrenti per garantire il pieno rispetto degli obblighi legali e contrattuali del subappaltatore, con particolare riguardo ai diritti dei lavoratori. Maggior trasparenza nel subappalto significa una miglior tutela di tali diritti, tema caro alla Commissione oggi come in futuro, come ben sapete.
Se condivido la vostra linea di fondo –soluzioni europee per problematiche europee – sarei invece più cauto rispetto alle conclusioni tratte al paragrafo 14, secondo cui l'unica soluzione consisterebbe nel varo di uno strumento di legge che sancisca inequivocabilmente una responsabilità solidale a livello europeo.
Tale linea sembra guidare anche il paragrafo 15, che chiede una valutazione d'impatto sul valore aggiunto e la fattibilità di uno strumento comunitario. Quanto l’invito alla Commissione a garantire l'osservanza della direttiva sul distacco dei lavoratori, al paragrafo 25, tengo a dire che è stato da poco istituito al riguardo un gruppo di lavoro ad alto livello, in cui sono rappresentati Stati membri e parti sociali, proprio per migliorare l'attuazione della direttiva specie in termini di cooperazione amministrativa fra Stati membri. Il gruppo si riunirà per la prima volta il 25 marzo.
Al riguardo, ricordo lo studio "Responsabilità nell'ambito dei processi di subappalto nel settore edile europeo", pubblicato nel 2008 dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che fa luce sulle principali differenze tra i vari meccanismi nazionali di responsabilità solidale e i diversi gradi di efficacia. Lo studio conclude che non esiste una soluzione universale e raccomanda ulteriori analisi e dibattiti, specie su problematiche transfrontaliere.
Il problema risposte che stiamo tentando di risolvere è di natura sociale, ma la soluzione proposta ha implicazioni che vanno ben oltre il sociale. E' indispensabile studiarne in dettaglio le ripercussioni economiche e legali.
Convengo anch'io che occorrono ulteriori studi e che, prima di presentare disegni di legge, bisogna esplorare attentamente la via non regolamentare per far fronte ad alcuni dei problemi citati dalla relazione. In altre parole, migliore cooperazione e coordinamento tra organi amministrativi nazionali, ispettorati e agenzie di controllo pubbliche; in seno alle imprese, consapevolezza di buone prassi, linee guida e standard aggiornati, così come iniziative in materia di responsabilità sociale e accordi transnazionali che contemplino comunque disposizioni innovative in materia di procedure di valutazione del rischio e supervisione dei subappaltatori.
Presidente. – La presentazione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 26 marzo 2009.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. – (EN) Il boom del subappalto in Europa ha un forte impatto sulle relazioni industriali. Insieme al lavoro, vengono subappaltati anche i relativi obblighi legali e finanziari: gli standard salariali, le condizioni di lavoro e il versamento di tasse e contributi vengono a loro volta esternalizzati ad appaltatori e agenzie di lavoro interinale. Il subappalto rischia di diventare sempre più un sistema per ridurre la responsabilità sociale diretta, e questo è un dato preoccupante.
La nozione di responsabilità in solido è quindi vitale per garantire che le imprese si rendano responsabili delle prassi dei loro subappaltatori. In catene di subappalto lunghe e complesse, il controllo degli obblighi di legge è chiaramente più difficile, specie a livello transfrontaliero: diversi livelli della catena possono avere sede in Stati diversi ed essere quindi soggetti a normative diverse. Oggi solo in otto Stati membri esistono leggi in materia di responsabilità del subappaltatore.
Condivido appieno questa relazione, avallata dalla CES, che chiede alla Commissione uno strumento giuridico chiaro sulla responsabilità solidale a livello europeo, nonché una sua valutazione di fattibilità nell'ottica di una maggior trasparenza nel sistema del subappalto.
20. Accordo di libero scambio UE-India (breve presentazione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la relazione di Sajjad Karim, a nome della commissione per il commercio internazionale, sull'Accordo di libero scambio UE-India [2008/2135(INI)].
Syed Kamall (PPE-DE), in sostituzione del relatore. – (EN) Signor Presidente, in questo Parlamento devo precisare in continuazione che non mi chiamo Karim, ma Kamall. Capisco che possa ingenerare confusione che l'onorevole Kamall presenti la relazione Karim; intervengo in sostituzione del relatore che, per un imprevisto, non può essere presente e se ne scusa.
La sua relazione copre adeguatamente gli scambi di beni, servizi, investimenti e proprietà intellettuale, oltre alla dimensione dello sviluppo. I gruppi PPE-DE, ALDE e UEN hanno presentato una proposta di risoluzione congiunta alternativa, nella convinzione che l'originaria proposta scaturita in commissione fosse frutto di un voto poco rappresentativo, che lasciava nella relazione una componente troppo protezionistica. La proposta di risoluzione alternativa inquadra meglio l'importanza dell'India come partner commerciale dell'UE e i benefici reciproci di una liberalizzazione degli scambi.
Nel giugno 2007 hanno preso il via i negoziati con l'India su un accordo di libero scambio, che però sarebbe più corretto definire accordo di preferenze commerciali. La relazione sostiene la firma di un FTA esaustivo, ambizioso ed equilibrato fra Unione e India, che possa migliorare l'accesso al mercato di beni e servizi in più settori e che contenga disposizioni in materia di trasparenza normativa in ambiti relativi a investimenti e scambi reciproci, ma anche di standard sanitari e fitosanitari, tutela della proprietà intellettuale, dogane e semplificazione dei commerci.
Sullo scambio di beni, dalla relazione emerge che i dazi mediamente applicati dall'India sono scesi a livelli comparabili ad altri paesi asiatici: in particolare la tariffa media applicata in India è al momento pari al 14,5 per cento rispetto a una media UE del 4,1 per cento. La relazione prende atto dei timori dell'India per le implicazioni di REACH, per i costi dei certificati per esportare frutta verso l'Unione e per le costose procedure di conformità al marchio CE, ribadendo che tali aspetti vanno risolti nel contesto dell'FTA.
La relazione ricorda che la liberalizzazione dei servizi non deve comunque ostacolare il diritto a una regolamentazione, inclusi i servizi pubblici. Va però precisato che spesso lo Stato non è in grado di fornire i cosiddetti "servizi pubblici”, spesso per mancanza di fondi, e in questi casi va riconosciuto il ruolo dei privati nell’erogazione dei servizi essenziali ai poveri.
Nel settore terziario, gli scambi tra UE e India sono equilibrati: la prima esporta l'1,5 per cento dei suoi servizi in India, che a sua volta nell'UE il 9,2 per cento dei propri servizi. La relazione incoraggia poi l'India a darsi un'adeguata legislazione sulla protezione dei dati per garantire che, negli scambi di servizi, si possa confidare nella capacità delle imprese indiane di gestire vaste moli di dati, poiché vi sono seri timori su questo punto.
La relazione riconosce inoltre che i capitoli dell’FTA sugli investimenti sono spesso accompagnati da impegni per liberalizzare i movimenti di capitale e rinunciare ai controlli sui capitali; chiediamo quindi alla Commissione di non includere tali clausole, data l’importanza dei controlli sui capitali, specie per i paesi più poveri, al fine di attenuare l’impatto della crisi finanziaria.
La relazione accoglie con favore l’impegno dell’India per un regime dei diritti di proprietà intellettuale forte e per l’uso delle flessibilità dell’accordo TRIPS al fine di soddisfare gli obblighi in materia di sanità pubblica. Non si dimentichi che eccessivi obblighi in materia di sanità pubblica rischiano di precludere ai cittadini degli Stati più poveri l'accesso ai farmaci, perché viene meno l'incentivo per l'industria farmaceutica a sviluppare medicinali per quei paesi.
Infine, la relazione riconosce che una solida dimensione di sviluppo è essenziale per ogni accordo commerciale, e che vanno garantiti gli scambi internazionali e gli investimenti esteri diretti. Riconosce anche i timori, forti in questo Parlamento, in materia di legislazione per la tutela dell’ambiente, dei lavoratori e in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro. Non va dimenticato che, nella ricerca di un equilibrio tra commercio, salvaguardia ambientale, standard OIL ecc., è facile sbilanciarsi a discapito degli scambi; questo significa condannare i paesi poveri a una miseria ancor più nera, perché viene ostacolato lo sviluppo dell'imprenditoria locale.
Louis Michel, membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, ringrazio il Parlamento per il grande interesse dimostrato nei confronti del negoziato di un FTA fra l’Unione europea e l'India.
Sono particolarmente grato all'onorevole Kamall e alla commissione per il commercio internazionale per l'eccellente lavoro di preparazione dell'FTA tra UE e India svolto in collaborazione con la commissione per gli affari esteri e con la commissione per lo sviluppo. Il dialogo con il Parlamento è stato a tutto campo e, nel progetto di risoluzione, sono stati contemplati quasi tutti i possibili aspetti di un accordo di libero scambio fra UE e India. Le opinioni espresse rappresentano, per un negoziato del genere, uno strumento prezioso.
Parlando di un FTA tra UE e India, è essenziale tener conto del contesto d'insieme e della complessità del rapporto strategico che ci lega all'India, inclusi l'accordo di cooperazione del 1994 e il piano d'azione congiunto, solo per citare due delle principali iniziative e forme di dialogo siglate con l'India.
Siamo tutti convinti dell'estrema importanza di lavorare con l'India per portare a buon fine i negoziati su un ambizioso accordo di libero scambio che consenta ad ambo le parti – UE e India – di trarne vantaggi.
Più l'FTA sarà ambizioso, maggiori saranno i benefici economici per le parti. E' questa una delle principali conclusioni della valutazione di impatto e sviluppo sostenibile condotta da un consulente esterno parallelamente ai negoziati.
Obiettivo della valutazione era analizzare l'impatto economico, sociale e ambientale del futuro accordo di libero scambio e individuare le necessarie misure di supporto.
La valutazione è ora in dirittura d'arrivo e dovrebbe essere disponibile in aprile, ossia in tempo utile per i negoziati tuttora in corso.
Vorrei ora fare brevemente il punto sui negoziati: dalla loro apertura, nel giugno 2007, si sono tenute sei sessioni; l'ultima a Delhi dal 17 al 19 marzo. Contiamo di indire due sessioni straordinarie entro l'anno, idealmente tra le elezioni indiane, in aprile, e il vertice UE-India previsto a novembre.
Quanto ai contenuti, sono stati registrati progressi in tutti i capitoli dell'accordo, ma molto ancora resta da fare.
Nello specifico, ci siamo scambiati proposte tariffarie, abbiamo discusso di comparti essenziali del terziario e messo a segno progressi nel dialogo sul testo di quasi tutti i capitoli dell'accordo, che resta però ancora lontano.
Prima di concludere, vorrei ringraziare ancora una volta il Parlamento e il relatore a nome della Commissione. Attendiamo con grande interesse altre opportunità di collaborare così efficacemente con voi.
Presidente. – La presentazione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 26 marzo 2009.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
Kader Arif (PSE), per iscritto. – (FR) Mercoledì il Parlamento si è pronunciato sul futuro accordo di libero scambio tra l'Unione europea e l'India. Grazie all'impegno dei socialisti, il testo adottato in commissione evidenzia la fragilità socioeconomica dell'India, paese in cui l'80 per cento della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Per far fronte a questa situazione, il gruppo socialista ha presentato una serie di emendamenti per ribadire che il rafforzamento dei legami commerciali con l'India deve avvenire in modo tale da escludere ogni liberalizzazione dei servizi pubblici, garantire l'accesso alla sanità pubblica e ai farmaci di base, nonché tutelare gli individui e i settori più vulnerabili. Come al solito, la destra ha stretto alleanze per un testo molto più liberale in plenaria, chiedendo in particolare la liberalizzazione dei settori bancario, assicurativo, postale e degli appalti pubblici. Nel voto di mercoledì, difenderò la visione socialista di un commercio equo e solidale e mi opporrò a ogni tentativo della destra di tornare indietro su questi principi.
Rovana Plumb (PSE), per iscritto. – (RO) Tra il 2000 e il 2007, il valore degli scambi di merci tra Unione europea e India è raddoppiato. Le esportazioni sono passate da 13,7 a 29,5 miliardi di euro, mentre le importazioni sono cresciute da 12,8 a 26,3 miliardi di euro. Nel 2007, l'India rappresentava il 2,4 e l'1,8 per cento, rispettivamente, dell'export e dell'import dell'Unione europea, dati che la rendevano il nono partner commerciale in ordine di importanza.
Accolgo con favore la relazione perché chiede di stipulare con l'India un FTA esaustivo, ambizioso ed equilibrato che permetta di migliorare l'accesso al mercato di beni e servizi in più settori, e che contenga disposizioni sulla trasparenza normativa nei settori relativi agli investimenti e agli scambi reciproci, norme e valutazioni di conformità, MSF, DPI (compresa l’attuazione), agevolazioni al commercio e dazi doganali, appalti pubblici, commercio e concorrenza, commercio e sviluppo, e una clausola sui diritti dell’uomo come elemento essenziale dell’FTA.
Mi preme sottolineare che l'FTA deve contribuire a:
- ottenere crescenti benefici bilaterali per un numero di cittadini sempre maggiore;
- realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio, inclusi quelli di salvaguardia ambientale e osservanza degli standard sociali.
Bogusław Rogalski (UEN), per iscritto. – (PL) L'India è terra di contrasti. A livello mondiale appare come un paese sovrappopolato, povero (l'80 per cento della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno) e colpito da epidemie. I recenti progressi economici le hanno permesso di assurgere a potenza economica mondiale, ma il contributo dell'India al progresso nei campi della medicina, della tecnologia e della ricerca spaziale è in contrasto con le carenze di cibo e acqua potabile che affliggono il paese.
L'Unione è il primo investitore estero e il primo partner commerciale dell'India. Nel 2007, gli investimenti europei erano pari al 65 per cento di tutti gli investimenti esteri nel paese, ma da qualche anno si sono moltiplicati anche gli investimenti indiani nell'UE. Quest’ultima deve quindi impegnarsi per un sistema commerciale multilaterale fondato sui principi dell’OMC, così da garantire al massimo equità e onestà negli scambi internazionali.
Va però sottolineato che la fame, in India, è tuttora un grave problema, stando agli indicatori internazionali che collocano il paese alla 66esima posizione su 88. Inoltre l'India, potenza nucleare, non ha firmato il trattato di non proliferazione delle armi nucleari, mentre è preoccupante il fenomeno del lavoro infantile, che avviene in condizioni pericolose e insalubri.
Le clausole in materia di diritti umani e democrazia devono perciò giocare un ruolo centrale in qualsiasi FTA stipulato con l'India, mentre va garantito al contempo il rispetto degli standard sociali e ambientali.
21. Prezzi dei prodotti alimentari in Europa (breve presentazione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la relazione di Katerina Batzeli, a nome della commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, sui prezzi dei prodotti alimentari in Europa [2008/2175(INI)].
Katerina Batzeli, relatore. - (EL) Signor Presidente, ringrazio anzitutto i relatori ombra della commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, nonché i quattro comitati della Commissione europea competenti congiuntamente, per la profonda collaborazione che ha reso possibile la mia relazione.
Signor Commissario, inizio da un semplice interrogativo: perché il consumatore entra in un supermercato e acquista latte o yogurt? Per la bottiglia e il vasetto o per il loro contenuto? Lo chiedo perché ormai al consumatore è stato instillato, in modo sottile, il messaggio che, in un alimento, l'industria che l'ha trasformato, distribuito e trasportato conti di più del prodotto agricolo in sé, della materia prima. Una quindicina di anni fa, il prodotto agricolo rappresentava il 50 per cento circa del valore finale del prodotto, ma oggi non più del 20.
Agricoltori e allevatori sono divenuti, per il consumatore, figure anonime, con un potere negoziale ormai troppo scarso non solo sul prezzo finale, ma anche in materia di qualità e proprietà nutrizionali del prodotto finale.
Qui nessuno intende dividere tra buoni, brutti e cattivi i vari segmenti produttivi che compongono una filiera – agricoltori, trasformatori, grossisti e dettaglianti. Non viviamo in un Far West dell'economia e della società, bensì in un'economia basata sulle regole del mercato interno dell'Unione, mercato che garantisce opportunità di crescita e competitività quando funziona con trasparenza, ma che estromette ed elimina produttori e attività economiche quando si lascia invece contaminare da dinamiche inique e opache.
La problematica da affrontare oggi, come in futuro, è quindi duplice:
- in primo luogo, un ravvicinamento tra consumatori e produttori grazie a una politica della qualità nel comparto alimentare, favorendo un più diretto accesso del consumatore alle produzioni agricole e ai singoli produttori e studiando congiuntamente soluzioni specifiche;
- in secondo luogo la tutela – non la determinazione – dei redditi di produttori e consumatori con una politica dei prezzi trasparente che contempli clausole obbligatorie di controllo e supervisione dei vari intermediari dell'intera catena di approvvigionamento.
Naturalmente faccio riferimento soprattutto alle PMI sul piano locale e nazionale, ma anche ai grandi gruppi presenti in Europa e alle loro consociate, senza dimenticare i lavoratori, che devono poter operare in base a un mercato interno trasparente e non alle condizioni di emanazioni economiche quali cartelli e oligopoli.
Oggigiorno accadono cose come:
- un pericoloso tracollo dei prezzi reali al produttore;
- prezzi al dettaglio pari a cinque-dieci volte i prezzi all'agricoltore e che, malgrado il calo dell'inflazione, non diminuiscono;
- una concentrazione nelle vendite al dettaglio e in altri segmenti produttivi quadruplicata negli ultimi 5 anni e destinata ad aumentare a seguito della crisi economica e del fallimento di tante PMI locali: uno stato di cose che renderà ancor più difficile il rapporto tra produttori, grandi aziende e consumatori;
- disfunzioni nella catena di approvvigionamento e nelle sue prassi tali da compromettere una sana concorrenza
Per questo, per il comparto alimentare sono di vitale importanza un piano europeo coordinato e interventi integrati dalla fattoria alla forchetta. Non è esagerato pensare che, dopo la regolamentazione e supervisione del settore finanziario, la Commissione dovrebbe intervenire nel comparto alimentare, peraltro strettamente legato alle mosse speculative della finanza.
I cittadini hanno l'impressione che a determinare la spesa della massaia non siano le politiche del reddito attuate dagli Stati o dall'Unione europea, ma le catene di approvvigionamento, l'industria alimentare e la distribuzione al dettaglio.
Credo dunque che, votando a favore della relazione e attendendo le proposte definitive dell'Unione in materia, sarà possibile far fronte all'annoso problema del funzionamento del mercato degli alimenti, funzionamento che deve essere imparziale a tutela dei cittadini e degli agricoltori comunitari, ma anche dei paesi in via di sviluppo, contribuendo alla fiducia nelle istituzioni e nelle leggi del mercato.
Louis Michel, membro della Commissione. – (FR) Anzitutto, ringrazio l’onorevole Batzeli e i membri della commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale per avere redatto la presente relazione, discussa in un momento cruciale per la catena di approvvigionamento alimentare dell'Unione europea.
Come tutti ben sappiamo, la recessione ha portato a una brusca frenata in quasi tutti i comparti dell'economia europea. Nel settore primario i prezzi reali sul mercato sono crollati, con seri interrogativi per il reddito di produttori. La situazione è particolarmente grave nelle filiere ad alto valore aggiunto, come quella della carne o dei prodotti lattiero-caseari.
In tale contesto, è essenziale il buon funzionamento della catena di approvvigionamento per mitigare l'impatto della crisi sui redditi agricoli e assicurare al consumatore generi alimentari meno costosi. Catena di approvvigionamento e prezzi degli alimenti restano dunque al centro delle preoccupazioni della Commissione.
Inoltre, l'analisi dei fattori strutturali ci porta a temere un'ulteriore impennata dei prezzi delle materie prime agricole a medio e lungo termine. Un miglior funzionamento della catena di approvvigionamento dovrebbe consentire di evitare, in futuro, simili aumenti e la volatilità dei prezzi al consumo. Condivido gran parte dei timori enunciati nella relazione sul funzionamento della catena di approvvigionamento nel suo insieme. Occorre in particolare più trasparenza lungo l'intera catena, per una miglior informazione del consumatore e una più equa distribuzione del valore aggiunto lungo la catena.
Per migliorare il funzionamento della catena di approvvigionamento, dall'anno scorso la Commissione ha varato una serie di iniziative. Di conseguenza, il gruppo ad alto livello sulla competitività nel settore dell'industria agroalimentare ha redatto una serie di raccomandazioni strategiche e l'anno scorso, è stato presentato anche un Libro verde sulla qualità dei prodotti agricoli.
Nella comunicazione sui prezzi dei prodotti alimentari adottata a dicembre, la Commissione ha proposto, sotto forma di roadmap, una serie di soluzioni per migliorare il funzionamento della catena di approvvigionamento in Europa. E' fondamentale fare progressi sull'attuazione della roadmap, specie con la creazione di un osservatorio europeo della catena di approvvigionamento e dei prezzi dei generi alimentari. La corretta informazione sui prezzi ai due estremi della catena servirà a contrastare la scarsa trasparenza, ma anche a migliorare la nostra comprensione dei meccanismi della catena stessa.
Va poi migliorata la nostra capacità di analizzare la distribuzione del valore aggiunto lungo la catena: è un tema che mi sta particolarmente a cuore. Come riconosciuto nella comunicazione sui prezzi degli alimentari, lo squilibrio tra il potere negoziale degli agricoltori e il resto della catena ha gravi ripercussioni sul margine per il produttore nel comparto agricolo. Ovviamente, una più chiara comprensione della ripartizione del valore aggiunto segnerebbe un primo passo verso il riequilibro del potere negoziale tra i diversi soggetti della catena. In proposito, va ribadito che la competitività della catena alimentare europea non può essere costruita a spese di alcuni dei suoi anelli. Per i produttori come per i dettaglianti del comparto agroalimentare, è essenziale poter contare, all'interno dell'Unione europea, su una piattaforma produttiva sostenibile e competitiva.
Resto convinto che, una volta attuata appieno, la roadmap proposta dalla Commissione consentirà di rispondere a tanti interrogativi e timori avanzati nella relazione Batzeli.
Presidente. – La presentazione è chiusa.
La votazione si svolgerà giovedì 26 marzo 2009.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
Roselyne Lefrançois (PSE), per iscritto. – (FR) La relazione oggetto della votazione di giovedì tenta di dare risposte pratiche alle difficoltà di milioni di cittadini davanti al rincaro degli alimentari.
Dato il calo generale del potere d'acquisto in Europa, era essenziale che il Parlamento giungesse a una decisione su un problema le cui soluzioni sono comunque ben risapute. Il differenziale di prezzo tra i due estremi della catena di approvvigionamento è anche di 5 a 1 e, nonostante i liberali si ostinino a non ammetterlo, per garantire prezzi al consumo ragionevoli e redditi agricoli decenti vanno affrontati i problemi del mercato. Dal canto mio ho proposto di ribadire nel testo l'importanza degli strumenti di regolazione del mercato, più necessari che mai alla luce dell'attuale crisi.
Tuttavia, per evitare che "prezzi accessibili" divenga sinonimo di "prodotti di scarsa qualità", ho chiesto di inserire nel testo la nozione di incentivi al biologico. E' auspicabile che il consumatore abbia accesso a prodotti di qualità e a un prezzo ragionevole, grazie a un'ambiziosa politica di incentivi finanziari mirati proprio a questo tipo di produzione agricola.
Maria Petre (PPE-DE), per iscritto. – (RO) La recente impennata dei prezzi degli alimentari è legata a due fattori principali: primo, la crisi agricola e alimentare planetaria; secondo, la concentrazione del mercato, che dal 21,7 per cento del 1990 è salita oggi a oltre il 70 per cento.
Il prezzo al consumo è in media quintuplo rispetto a quello versato al produttore. La grande distribuzione spesso impone condizioni inique, ostacolando l'accesso al mercato ad agricoltori e piccoli fornitori.
Appoggio l'idea della Commissione di dar vita a un osservatorio europeo del mercato, così come quella di una rete europea della concorrenza.
Nel quadro dei programmi di sviluppo rurale, vanno stanziati più fondi ai produttori.
L'idea di puntare sulla nozione di "prodotti locali" e di sostenere più efficacemente il mercato dei prodotti tipici raccoglie il mio convinto pieno consenso.
Theodor Dumitru Stolojan (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Accolgo con favore la relazione Batzeli, che mette luce sulle profonde discrepanze tra il prezzo degli alimenti nei supermercati e il prezzo pagato al produttore. E' purtroppo questa la realtà in troppi paesi con un livello di vita al di sotto della media europea, come la Romania.
Se respingiamo ogni ipotesi di controllo sul prezzo, non possiamo dimenticare che i supermercati hanno uno strapotere negoziale nei confronti dei produttori. E' un ambito in cui agire con più fermezza nel contesto della politica di concorrenza e di protezione dei consumatori.
22. Studi artistici nell'Unione europea (breve presentazione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la relazione di Maria Badia i Cutchet, a nome della commissione per la cultura e l'istruzione, sugli studi artistici nell'Unione europea [2008/2226(INI)].
Maria Badia i Cutchet, relatore. – (ES) Signor Presidente, se l'educazione artistica costituisce una materia obbligatoria in quasi tutti gli Stati membri, è però insegnata in modi molto diversi.
Storicamente, gli studi artistici erano limitati ai primi anni di istruzione scolastica. Ma oggi, tra apprendimento ad vitam e nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC), l'ambito tradizionale degli studi artistici si è ampliato, schiudendo nuove forme di accesso e di fruizione.
Il costante progredire delle TIC ha favorito anche la promozione di un'economia basata sul sapere, in cui intelletto e creatività hanno una posizione di spicco.
La proposta di risoluzione al voto domani muove dall'idea che l'educazione artistica costituisce la base della formazione professionale nel campo delle arti e promuove la creatività, oltre allo sviluppo intellettivo e fisico in questa sfera; questa proposta considera l'educazione artistica come una componente essenziale dell'apprendimento nell'infanzia e nell'adolescenza, sottolineando che il suo insegnamento nelle scuole serve a gettare le basi di una piena democratizzazione dell'accesso alla cultura.
Il testo individua inoltre nella formazione un fattore essenziale al successo dei professionisti delle arti e del settore creativo; questo perché gli studi artistici finalizzati a una carriera e a sviluppare una professionalità richiedono agli studenti non solo talento, ma anche una solida base culturale che può essere acquisita soltanto attraverso un percorso formativo multidisciplinare e sistematico. Tutto questo accresce le opportunità occupazionali nel settore, in quanto consente di acquisire una cultura generale, metodi di ricerca, capacità imprenditoriali ed economiche nonché competenze in vari ambiti di attività.
La proposta di risoluzione riconosce in modo particolare anche il potenziale economico e occupazionale dei settori creativo, culturale e artistico nell'Unione europea, superiore a quello di comparti più riconosciuti, come l'industria chimica o alimentare.
Né va dimenticato che scuole e istituti d'arte e disegno concorrono alla nascita di nuovi movimenti e nuovi stili artistici, così come ad aprire nuovi mondi culturali, rafforzando l'immagine dell'Unione europea nel mondo.
Il progetto di risoluzione ritiene che l'educazione artistica vada resa obbligatoria nei programmi di insegnamento scolastico a tutti i livelli ed esorta gli Stati membri a coordinare le loro politiche in merito a livello di Unione e a promuovere la mobilità di docenti e studenti, dedicando maggiore attenzione al riconoscimento delle qualifiche fra Stati membri.
Invitiamo inoltre Consiglio, Commissione e Stati membri a definire il ruolo dell'educazione artistica come strumento pedagogico essenziale per valorizzare la cultura, a varare strategie congiunte per le politiche di promozione dell'educazione artistica e per la formazione degli insegnanti della materia, nonché a riconoscere l'importante ruolo svolto nella nostra società dagli artisti e dalla creatività, come dimostrato con l'Anno europeo della creatività e dell'innovazione.
Infine, la relazione ribadisce la necessità di far uso di risorse quali Internet e delle nuove tecnologie dell'informazione come canali per un insegnamento moderno, orientato alla pratica e non solo allo studio scolastico, e raccomanda la creazione congiunta di un portale europeo per la formazione artistica e culturale per tutelare lo sviluppo e la promozione del modello culturale europeo.
Per tutte queste ragioni, chiedo di votare a favore della relazione, così da lanciare un chiaro messaggio di sostegno a professionisti, studenti e imprese del settore creativo e culturale.
Louis Michel, membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei anzitutto ringraziare l’onorevole Badia i Cutchet per la relazione di iniziativa sugli studi artistici nell'Unione europea.
Questo tema riceve sempre più attenzione a livello europeo. Converremo tutti che la cultura e le arti sono una parte essenziale dell'istruzione. Contribuiscono a sviluppare sensibilità e fiducia in se stessi, qualità essenziali non solo per ogni cittadino, ma anche per l'operatore economico che è in ognuno di noi. Non vi sono dubbi: l'educazione artistica è un veicolo di benessere, creatività e integrazione sociale ed è cruciale promuoverla in seno ai sistemi d'istruzione di tutta Europa all'età più precoce possibile.
Anche noi sposiamo tale visione e siamo lieti che la relazione citi diverse iniziative importanti varate a livello di Unione, come l'Anno europeo della creatività e dell'innovazione.
L'importanza delle arti e dell'educazione artistica per costruire una società migliore va di pari passo con il loro impatto economico. Stando a recenti stime, le industrie della cultura e della creazione artistica concorrono a formare il 2,6 per cento del PIL europeo. Inoltre, ogni altra attività economica può trarre beneficio da una formazione artistica e culturale. L'innovazione incoraggia sinergie fra gli ambiti d'attività più tradizionali e quelli più innovativi. Oggi è indispensabile abbinare tecnologia e design, integrandovi la dimensione della sostenibilità e della fattibilità economica. Tale abbinamento impone di ripensare il modo in cui viene acquisito e trasmesso il sapere.
Tutti questi diversi temi sono specificati nel quadro di riferimento europeo che, nel 2006, ha definito le competenze chiave per l'apprendimento permanente. Il quadro definisce l'espressione artistica e culturale come essenziale per lo sviluppo di competenze creative, così utili nella vita lavorativa in generale.
L'Agenda europea per la cultura introduce metodi nuovi, in particolare il dialogo strutturato con la società civile e, di recente, nuovi metodi aperti di coordinamento culturale. L'applicazione di tali metodi è stata resa possibile da un iniziale piano d'azione triennale, adottato dal Consiglio il 21 maggio 2008, che definisce cinque ambiti d'intervento prioritari. In tale contesto, sul tema delle sinergie tra cultura e istruzione è stato istituito un gruppo di lavoro composto da esperti degli Stati membri, con il compito di redigere linee guida per l'individuazione delle buone prassi a livello nazionale, ma anche di rivolgere raccomandazioni agli Stati membri e alle istituzioni europee. Il gruppo proporrà inoltre metodi di valutazione dei progressi compiuti negli ambiti afferenti al suo mandato. Infine, dovrebbe fornire un importante contributo al Forum europeo della cultura che si terrà a Bruxelles il 29 e il 30 settembre 2009.
Quella che vi ho appena letto era la risposta del mio collega commissario Figel.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì 24 marzo 2009.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
Marusya Ivanova Lyubcheva (PSE), per iscritto. – (BG) La relazione del Parlamento europeo sugli studi artistici nell'Unione europea si inquadra nel costante impegno per lo sviluppo di un dialogo interculturale ed è di vitale importanza nel contesto dell'Anno europeo della creatività e dell'innovazione.
Indubbiamente, agli studi artistici va dedicata un'attenzione maggiore e più specifica. E' importante la loro obbligatorietà nei programmi scolastici, sin dall'infanzia, in quanto stimolano lo sviluppo emotivo e culturale dei giovani.
Dare a questi studi un taglio più pratico e inserire nella didattica una dimensione interattiva gioverà alla comprensione dei valori culturali nazionali ed europei. Una maggior mobilità di studenti, docenti e professionisti del settore è un modo diretto per diffondere la coscienza dell'identità europea e per coltivare la tolleranza culturale e religiosa.
Gli Stati membri devono investire nella creazione di più opportunità di studi artistici informali e indipendenti e prevenire il calo nel numero dei corsi in tale ambito. Il supporto degli Stati alla vita professionale degli artisti aumenterà l'interesse del pubblico nei confronti delle varie forme di studi artistici.
Anche il partenariato tra pubblico e privato servirà a modernizzare i programmi di istruzione e a incoraggiare una più attiva integrazione delle nuove tecnologie nella didattica. Una politica coordinata europea per gli studi artistici deve consistere soprattutto in investimenti tesi a promuovere l'influenza culturale dell'Europa a livello mondiale, a beneficio della creatività e, indirettamente, dell'economia dell'Unione.
23. Dialogo attivo con i cittadini sull'Europa (breve presentazione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la relazione di Gyula Hegyi, a nome della Commissione per la cultura e l'istruzione, sul dialogo attivo con i cittadini sull'Europa [2008/2224(INI)].
Gyula Hegyi, relatore. – (HU) Per chi cerca di raggiungerla da continenti lontani o dai Balcani, l'Europa è la terra promessa. Ma al contempo è anche l'emblema del disincanto, della disaffezione e della burocrazia per quanti già vi vivono: i cittadini dell'Unione, dall'uomo della strada all'intellettuale opinionista.
Quando ho ricevuto la relazione, ho subito iniziato a leggerla con grande entusiasmo, che però è andato scemando durante la lettura: mi sono reso conto di quanti ostacoli si frappongano a un dialogo attivo con i cittadini, di quanto le strutture burocratiche dell'Unione europea siano lontane dalla quotidianità e dalle aspirazioni dei cittadini. Grazie alla relazione, però, ho constatato – e non mi sorprende – come a un più basso livello socioeducativo corrispondano un maggior euroscetticismo e una minor comprensione dell'integrazione.
Credo quindi, ed è questa la parte più importante della mia relazione, che, al di là dei giovani – facilmente conquistabili alla causa dell'integrazione europea agendo nell'istruzione – il nostro target debbano essere anzitutto coloro che non sono sin qui stati raggiunti: i residenti in piccoli villaggi, la classe lavoratrice, pensionati, i ceti più modesti e meno abbienti in generale. Dobbiamo escogitare il modo di comunicare a tutti costoro l'ideale europeo, i valori di un'Europa unita.
Nella relazione, suggerisco di aumentare drasticamente il numero delle borse di studio del progetto Erasmus; al riguardo la sezione giovanile del partito socialista ungherese ha redatto una proposta a sé. Solo una piccola percentuale degli studenti ungheresi riesce a beneficiare di questo programma di scambi, mentre l'ideale sarebbe che, per laurearsi, chiunque studi almeno sei mesi all'estero.
Avevo poi avanzato la mia personale proposta di un anno di insegnamento di Storia unificato in tutta Europa, per far sì che tutti gli alunni studino la stessa storia europea, in 23 lingue e in 27 paesi diversi per almeno un anno. La reazione della Commissione è stata moderata e, nel suo testo, la proposta è stata recepita solo in versione annacquata.
Basandomi sulle raccomandazioni di docenti universitari ungheresi, ho proposto la creazione di una European Open University, una sorta di “Volkshochschule”, di scuola comunitaria aperta a tutti, alla quale possa iscriversi chiunque, in tutta Europa, a prescindere dal titolo di studio detenuto, per seguire un piano di studi dalla struttura flessibile che abbia come oggetto la storia dell'Unione europea, della sua creazione e delle sue realizzazioni.
Da tempo, deputati di questo Parlamento auspicano – e, potremmo dire, chiedono – che Euronews, finanziata almeno in parte da fondi comunitari, trasmetta nella lingua ufficiale di ciascuno Stato membro. Trovo assurdo che l'emittente trasmetta in arabo o in russo, ma non in ungherese o nella lingua di altri Stati membri. Tra l'altro, signor Commissario, mi duole doverle riferire – presumo che lo ascolti ora per la prima volta – che i pacchetti di distribuzione televisiva via cavo offerti a Budapest non comprendono più Euronews in inglese, sostituita con un canale in cinese che, a quanto pare, è più richiesto di Euronews proprio perché quest'ultima non trasmette in ungherese, mentre nel mio paese risiedono ormai molti cinesi.
Vi è stato un ampio dibattito e vorrei informare il commissario, se è presente, che avrei voluto raccomandare ai funzionari europei una più franca comunicazione con i media rispetto a oggi. Il problema è che spesso non vi è nessuno in grado di esporre con competenza la posizione della Commissione, con il risultato che passa solo il messaggio dei detrattori.
Infine, poiché il mio tempo di parola è esaurito, un'ultima frase: ho suggerito il coinvolgimento nelle campagne dell’Unione di ONG locali, che conoscono meglio le realtà locali e sanno con che linguaggio rivolgersi alla popolazione.
Louis Michel, membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, mi consenta una brevissima digressione, a titolo strettamente personale, che non ha nulla a che vedere con quanto chiestimi dalla mia collega. Non capisco bene il suo auspicio di vedere le ONG partecipare alla campagna elettorale. Non capisco, ma giro la sua richiesta alla mia collega.
L'attuale situazione politica ed economica fa crescere, ovviamente, la necessità di un dialogo attivo con i cittadini, che vanno informati dei cambiamenti in seno all'Unione europea, suscettibili di un effetto diretto o indiretto sulle loro vite di ogni giorno e nei quali devono poter intervenire.
E' questa la base del lavoro svolto dalla Commissione negli ultimi quattro anni. Accolgo con grande favore la relazione dell'onorevole Hegyi sul dialogo attivo con i cittadini sull'Europa. Ci stiamo sforzando di dare ai cittadini dei 27 Stati membri una vasta gamma di informazioni di base sull'Unione, che permetta loro non solo di capire come l'UE possa contribuire a rispondere alle grandi sfide che oggi attendono l'Europa e il mondo, ma anche di scambiarsi opinioni in merito.
Ci stiamo sforzando anche di creare molti più forum di discussione accessibili in merito, facendo uso di tutte le risorse e le tecnologie disponibili oggi: nei forum online, nei media, a livello locale.
Pur condividendo numerose raccomandazioni della relazione, la mia collega non può far propria la tesi che la comunicazione sia stata sinora inefficace e aggiunge che, sebbene questa sia certo migliorata negli ultimi anni, occorre rimanere realistici su ciò che si può fare con un budget di soli 100 milioni di euro per 27 Stati membri, 23 lingue e quasi 500 milioni di cittadini.
Per giunta, la Commissione non può essere certo la sola a comunicare con i cittadini sul tema dell'Europa. Occorre l'impegno corale di tutte le istituzioni e di tutti gli Stati membri. Ecco perché abbiamo negoziato con loro e con il Parlamento un accordo per una comunicazione congiunta sull'Europa. Tale accordo politico, intitolato “Comunicare l'Europa in partenariato”, è stato firmato il 22 ottobre 2008. E' la prima volta che le istituzioni degli Stati membri dell'Unione si uniscono in uno sforzo congiunto di comunicazione al cittadino sul tema dell'Europa. Ora è essenziale che l'accordo venga attuato pienamente. Concordo del tutto sull'importanza di consultare i cittadini e di estendere il dialogo a tutti i livelli della società.
Il dialogo regolare tra la Commissione ed esponenti della società civile ha preso il via oltre trent'anni fa. Si ispira alla politica di trasparenza e inclusione che la Commissione persegue da anni ed è la dimostrazione della grande varietà di ambiti di azione e dell'eterogeneità dei soggetti in causa.
Sottolineo che la cooperazione tra delegazioni della Commissione e gli uffici d'informazione del Parlamento negli Stati membri è nel complesso ottima.
Le imminenti elezioni europee sono un eccellente esempio della volontà politica delle due istituzioni di collaborare alla definizione di priorità congiunte sul fronte della comunicazione.
Quanto al bisogno di informazione a livello locale e regionale, specie pensando ai giovani, a chi vota per la prima volta e alle donne, noto con soddisfazione le congratulazioni rivolte alla Commissione per la selezione dei progetti a titolo del Piano D.
Colgo l'occasione per annunciare che la Commissione intende, sempre nel contesto elettorale, varare speciali attività nel quadro dell'iniziativa Piano D di Debate Europe. Sulla creazione di un nuovo sito web e sui legami con le emittenti locali, tengo a dire che la Commissione sta creando ora reti di emittenti radiotelevisive che manderanno in onda programmi su temi europei. A processo ultimato, insieme a Euronews queste reti copriranno ogni settimana tra i 60 e i 90 milioni di cittadini, in tutte le lingue dell'Unione.
Quanto all'importanza di introdurre corsi di diritto europeo e di storia europea nei programmi scolastici, la Commissione conviene che ai giovani vadano insegnate già a scuola le cognizioni di base sull'Unione europea. Confidiamo che gli Stati seguano questo suggerimento su un tema di tale importanza.
Le raccomandazioni interessanti su cui soffermarsi sarebbero ancora tante, ma purtroppo il tempo è limitato.
Vorrei concludere tornando su un elemento essenziale dello sforzo d'insieme messo in campo dalle istituzioni europee: una comunicazione efficace è possibile solo con l'apporto di tutte le parti in causa. La Commissione apprezza il fermo appoggio che riceve del Parlamento e, dal canto mio, plaudo al suo impegno personale come deputato di questo Parlamento.
Presidente. – La presentazione è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì 24 marzo 2009.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. – (EN) E' questo uno dei problemi più importanti da affrontare: la popolazione europea non sente la cittadinanza europea. Tale concetto è ancora poco chiaro mentre la nozione di cittadinanza nazionale rimane predominante.
Quasi tutti i cittadini si sentono esclusi da questo processo e vedono nell'UE un'istituzione a sé stante. Per ricucire il filo occorre potenziare il dialogo con i cittadini, ratificare il trattato di Lisbona e dare spazio alla consultazione e al dibattito pubblico.
Un anno fa, nell'aprile 2008, è sorta l'idea di Debate Europe, che consente di abbattere il muro, spesso artificioso, che separa i temi nazionali da quelli europei.
Ciò che conta, però, è che il cittadino abbia un'idea chiara della direzione che il processo europeo dovrà prendere. Vi sono due diversi approcci che non possono continuare a esistere in parallelo. Bisogna scegliere. Siamo per un'Unione pienamente integrata o per un affinamento dello status quo? Vedendo i governi oscillare dall'uno all'altro, c'è poi da stupirsi se il cittadino vive questo processo come una cosa che non lo riguardi?
Magda Kósáné Kovács (PSE), per iscritto. – (HU) La relazione di Gyula Hegyi’s getta luce su un'importante problematica contemporanea. La ratifica del trattato di Lisbona, garanzia di un'Unione più efficace e democratica, è stata bocciata dagli irlandesi in un referendum. Ciò ha seminato in Europa il germe dell'incertezza e del disorientamento.
Occorre far sì che i cittadini europei abbiano più voce in capitolo, al momento di definire le politiche dell'Unione. Ciò presuppone un'istruzione adeguata, perché non a caso l'integrazione è più osteggiata proprio dagli strati meno colti. Per esempio, è essenziale diffondere le cognizioni in materia di UE e di cittadinanza in forma di università aperta, o nell'istruzione secondaria. E' fondamentale che i cittadini conoscano i loro diritti, che sappiano che l'Unione non agisce sopra le loro teste, ma al loro fianco. Dobbiamo garantire che nelle regioni più arretrate vi siano adeguate fonti di informazione. Il garante di una democrazia funzionante non è la burocrazia, ma il cittadino: è questo il senso di una vera cultura democratica. E' indispensabile che i media contribuiscano a sviluppare la comunicazione fra il cittadino e le istituzioni, nonché fra cittadini.
Non possiamo attenderci decisioni responsabili, anzi, non attendiamoci nessuna decisione da parte del cittadino, se questi non riceve un'informazione adeguata. E' questa una nostra responsabilità, un nostro preciso dovere, mentre decidere è un diritto dei cittadini. Il prossimo maggio si compiono cinque anni dall'adesione dell'Ungheria all'UE e possiamo già constatare che l'Unione non è senza volto, ma che siamo noi, è la sommatoria di tutti i singoli cittadini. Dobbiamo sapere che il processo decisionale è nelle nostre mani. Non sprechiamo questa opportunità.
Sirpa Pietikäinen (PPE-DE), per iscritto. – (FI) Ringrazio il relatore per l'ottimo lavoro. A suo merito, ha saputo toccare tanti temi importanti che ci riportano all'interazione fra l'Unione e i suoi cittadini.
L'UE non riscuote troppi consensi nella popolazione di nessuno Stato membro. Il referendum in Irlanda lo scorso luglio ha mostrato che gli irlandesi, quantomeno, non vogliono più Unione. Per qualche ragione, i messaggi negativi, i timori di vedere lo Stato risucchiato da una Bruxelles senza volto sono passati meglio di qualunque nota positiva su tutto il bene che l'Unione ha fatto. L'ignoto spaventa ed è facile alimentare questa paura.
Un forte impegno da parte di singoli e ONG verso le tante attività dell'Unione la renderebbe certo più accettata. Quanto al piano giuridico in particolare, cittadini e associazioni debbono avere più margine di influenza e più modo di esprimersi in tutte le fasi del processo legislativo.
Il relatore menziona anche un fatto interessante in rapporto ai referendum più recenti: le donne votano contro l'UE più degli uomini. Evidentemente, qualcosa le spinge a ritenere l'UE come più lontana.
Una ragione è ovvia: questa è un'Unione sostanzialmente al maschile. Il presidente della Commissione è uomo, così come quasi il 70 per cento dei commissari. E' uomo anche il Presidente del Parlamento europeo e uomini sono i presidenti di quasi tutte le commissioni. Nella prossima legislatura, al momento di assegnare le massime cariche dell'UE, è fondamentale rispettare la parità tra i due sessi e attribuirne almeno una a una donna.
Un dialogo attivo con la società civile è la via maestra per risaldare la legittimazione dell'Unione.
Daciana Octavia Sârbu (PSE), per iscritto. – (RO) Come sempre, l'avvicinarsi delle elezioni europee riapre la questione del grado di informazione fornita e delle carenze nel dialogo con i cittadini, specie a livello europeo.
In tale contesto, saluto la proposta di risoluzione sul dialogo attivo con i cittadini, che sottolinea l'importanza di coinvolgere le istituzioni europee, i sistemi di istruzione in Europa e i mass media. La bocciatura del trattato costituzionale in Francia e il no di Irlanda e Paesi Bassi al trattato di Lisbona usciti dalle urne hanno evidenziato come una campagna mirata ai cittadini meno istruiti sia una non solo praticabile, ma anche strategicamente necessaria. Tesi che sostengo appieno.
Data la sempre maggior diffusione di Internet negli Stati dell'UE, questo strumento va messo a frutto per rendere più incisivo il dialogo con i cittadini. Ciò permetterebbe di registrarne le opinioni per un successivo uso ai fini dei processi decisionali. Credo inoltre che la storia dell'UE, le sue modalità di funzionamento e i diritti del cittadino debbano assurgere a componente essenziali dei programmi scolastici in tutta Europa.
Resto quindi fortemente convinta che possano esservi le condizioni per un coerente dialogo con i cittadini, che permetta di trattare l'Europa e l'Unione in un'ottica nuova, in base a un'accurata informazione e a una vera conoscenza.
Dushana Zdravkova (PPE-DE), per iscritto. – (BG) Onorevoli parlamentari, mi congratulo con l'onorevole Hegyi per l'eccellente relazione che, ne sono certa, darà un contributo essenziale all'avvio di un dialogo coi cittadini dell'Unione europea.
Il buon esito delle priorità di comunicazione delle istituzioni europee, di concerto con gli Stati membri, segnerà un passo importante per una miglior informazione del cittadino. Gli europei possono cogliere le opportunità offerte loro, e partecipare appieno a un dialogo attivo sull'Europa, solo se adeguatamente informati. Abbiamo già toccato con mano quali siano le conseguenze di una cattiva informazione: i no ai referendum e lo stallo della costruzione europea.
Come presidente di un'associazione di cittadini bulgara, resto persuasa che coinvolgere il cittadino nel processo decisionale significhi dargli modo di contribuire direttamente al divenire politico dell'Unione. E' questo uno degli ambiti in cui più urgono riforme e progressi.
Credo che questa relazione consentirà al Parlamento europeo di fornire alle altre istituzioni gli orientamenti e le raccomandazioni del caso, ma anche alle organizzazioni di cittadini: è il cittadino la chiave di volta di ogni futuro sviluppo dell'Europa. Senza la sua collaborazione, senza il suo coinvolgimento, non potremo mai raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti.
24. Lotta contro le mutilazioni sessuali femminili praticate nell'UE (breve presentazione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la relazione di Cristiana Muscardini, a nome della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere, sulla lotta contro le mutilazioni sessuali femminili praticate nell'UE [2008/2071(INI)].
Cristiana Muscardini, relatore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, trovo particolarmente indicato che a questo nostro dibattito partecipi il Commissario Michel, che sappiamo sempre molto attento ai problemi dei diritti umani e alle tragedie che si sviluppano in Africa. E proprio la presenza del Commissario Michel mi fa sperare che la Commissione possa essere particolarmente attenta a un problema che oggi non riveste più soltanto 28 paesi africani e diversi paesi in Medio Oriente e anche paesi limitrofi, è un problema oggi che è particolarmente toccante proprio all'interno dell'Unione europea.
La grande immigrazione che si è verificata negli ultimi anni ha portato questa tragedia anche nei paesi dell'Unione europea. Decine di migliaia di bambine e di adolescenti rischiano ogni giorno di subire una pratica orribile che le menoma dal punto di vista fisico in maniera irreversibile, ma porta anche gravissime menomazioni dal punto di vista psichico. Ecco perché - dopo che il Parlamento già in altre occasioni si era espresso negli anni passati e addirittura aveva dato, attraverso DAFNE, un finanziamento a 14 progetti per combattere le menomazioni sessuali femminili - ecco perché oggi noi ci troviamo di nuovo ad affrontare questo tema, perché il fenomeno purtroppo non è regresso, non è diminuito, ma è ancora in fase di espansione.
Dobbiamo avere il coraggio di saper utilizzare in maniera più adeguata una seria prevenzione attraverso campagne culturali che sappiano dare alle donne immigrate, ma anche ai papà di queste bambine, la conoscenza che non è seguendo un rito tribale, che non ha nulla a che vedere con la religione, che si può raggiungere né un integrazione né una possibilità di futuro per le loro bambine.
Pensiamo ad una bambina che frequenta un scuola francese, italiana, belga e che, improvvisamente, dopo avere socializzato con le sue coetanee, si trova strappata dalla normalità e portata a subire una tragedia che la segna per tutta la vita. Questa bambina non sarà soltanto menomata fisicamente, ma sarà impossibilitata a riprendere un rapporto corretto con le altre persone, si sentirà sminuita, diversa e noi non vogliamo diversi in questa società. Noi vogliamo persone che, al di là della religione, del colore della pelle, della provenienza geografica possano insieme costruire un'Europa migliore e più vicina ai cittadini.
Per questo, Presidente e Commissario, noi, come Parlamento - e voglio ringraziare tutte le colleghe che nella commissione mi hanno aiutato nello stendere questa relazione - vogliamo che in Europa ci sia un'armonizzazione delle leggi di tutti i paesi perché sia identificato come reato la menomazione sessuale femminile. Non vogliamo neanche che siano proposti palliativi come la cosiddetta "puntura". Vogliamo che la donna sia veramente pari all'uomo, che non ci siano riti di iniziazione, ma che ci siano vere integrazioni. Vogliamo che le ONG possano lavorare, vogliamo una prevenzione capace di coinvolgere le associazioni delle donne immigrate, vogliamo punire chiunque voglia menomare le bambine e trascinarle in una perversa spirale di disperazione ed emarginazione.
Vi sono molti punti che la relazione tocca e che penso i colleghi avranno potuto esaminare e valutare. Credo che un appello all'intenzione forte di un'Europa che metta insieme le sue tre Istituzioni per combattere questo orribile crimine che viola i diritti umani debba essere l'obiettivo di tutti.
Louis Michel, membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, desidero ringraziare, a nome mio e dei miei colleghi, l’onorevole Muscardini per aver ricordato nel suo discorso ciò che considero allo stesso tempo un dramma e uno scandalo. Ringrazio di cuore l’onorevole Muscardini per la sua eccellente relazione su un tema estremamente importante quale la lotta contro le mutilazioni sessuali femminili nell’Unione europea.
La Commissione europea ha chiaramente denunciato, sia al suo interno sia in paesi terzi, il carattere inaccettabile di pratiche tradizionali che minacciano il diritto fondamentale di ogni donna e ragazza al rispetto della propria integrità fisica e mentale. E’ naturale che appoggiamo pienamente la relazione e riteniamo che tutti gli Stati membri dovrebbero prendere provvedimenti molto più seri per porre fine a tali pratiche sia all’interno dell’Unione europea sia in paesi terzi poiché trovo totalmente inaccettabile e del tutto incredibile che siano ancora applicate negli Stati membri. Nel quadro dei dialoghi politici che instauriamo con i paesi terzi, dobbiamo assicurarci che questi ultimi comprendano perfettamente la nostra posizione. Apro una breve parentesi per assicurarvi che il tema in questione è sempre presente all’ordine del giorno di tutti i dialoghi politici che instauriamo con i paesi in via di sviluppo.
Recentemente, il presidente del Burkina Faso Compaoré mi ha chiamato per dirmi che erano in procinto di adottare una legge che proibisse tali pratiche, sebbene non si tratti di un problema di facile risoluzione. E’ vero che esistono clan e tribù che continuano a perpetrare queste usanze ed è anche vero che si tratta di una questione delicata per il paese, ma il presidente desidera davvero fare dei passi avanti e credo che l’importante sia proprio questo.
Immagino siate al corrente che la Commissione stanzia regolarmente fondi comunitari a sostegno di progetti, in Europa e nei paesi terzi, mirati a prevenire e a eliminare la mutilazione sessuale femminile e a fornire assistenza alle vittime e alle giovani ragazze a rischio.
In Europa, il principale strumento a nostra disposizione è il programma DAPHNE III, che appoggia le organizzazioni non governative europee, le istituzioni pubbliche e le autorità locali e regionali nella lotta contro le mutilazioni sessuali femminili. Sin dalla sua fondazione nel 1997, DAPHNE ha co-finanziato 14 progetti dedicati principalmente a questa causa, stanziando circa 2,4 milioni di euro. I progetti DAPHNE hanno reso possibile l’attuazione di programmi comunitari di formazione e sostegno, la realizzazione di campagne di sensibilizzazione, l’analisi della legislazione nazionale, la raccolta di informazioni e dati statistici, lo sviluppo di strumenti adeguati e di buone prassi che gli attori sociali dovrebbero usare sul campo e la raccomandazione di linee d’intervento rivolte agli organi decisionali europei e nazionali.
E’ evidente che siamo determinati a continuare a offrire il nostro sostegno ad azioni di questo tipo e ad affrontare il problema all’interno dell'Unione europea, non solo nell’ambito della prevenzione della violenza, ma anche nel campo dell’immigrazione, dell’asilo e della giustizia penale.
Apro un’altra breve parentesi: sono indignato dalla codardia dimostrata dai nostri governi e da alcuni politici che ritengono questo tema parte integrante della cultura e quindi intoccabile. Scusate, ma il minimo che ci si può aspettare da chi viene in Europa è che rispetti le leggi in vigore. Ritengo inammissibile il concetto di giustizia a due velocità e ciò non significa che i paesi europei non debbano accogliere gli immigrati, al contrario. E’ una discussione che ho già affrontato nel mio paese in passato e mi meraviglia che qualcuno, con il pretesto di rispettare la cultura dei migranti, si rifiuti di penalizzare questo tipo di pratiche, decisione sulla quale dobbiamo raggiungere il consenso se davvero vogliamo risolvere la questione almeno in Europa. Tale risolutezza politica è necessaria e non credo che ostacoleremmo la capacità di un paese di accogliere gli immigrati se affermassimo: “Questa è la nostra costituzione, queste sono le nostre regole, questi sono i nostri valori umani e voi li dovete rispettare. Se non lo farete significa che state agendo contro la legge e pertanto verrete puniti”. Chiusa parentesi, ma sono felice di aver espresso la mia opinione poiché condivido pienamente la vostra irritazione su questo tema.
Nell’ambito degli aiuti esterni a paesi terzi, la Commissione si sta impegnando ad attuare tre politiche mirate alla lotta contro le mutilazioni sessuali femminili. Innanzi tutto, come ho già detto, considera il tema dell’emancipazione, dei diritti e della salute delle donne, parte integrante di qualsiasi dialogo politico e strategico che la Commissione instaura con i governi partner.
In secondo luogo, sostiene le azioni mirate a migliorare le legislazioni nazionali e a delineare politiche nazionali volte alla promozione e alla tutela dei diritti delle donne e al divieto di prassi proibite.
Infine, sostiene iniziative mirate a rafforzare il raggio d’azione dei leader politici e campagne di sensibilizzazione rivolte a tutti i settori della società. Il termine del programma pluriennale dell’Aia, che comprende le diverse azioni che saranno intraprese per lo sviluppo di uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza, è previsto per il 2010. Nella comunicazione di primavera 2009 presenteremo il nuovo programma di Stoccolma 2010-2014 che dà molta importanza alla tutela dei diritti fondamentali e delle vittime e comprenderà la promozione dei diritti delle donne e dei bambini.
Sebbene la Commissione non abbia delineato una strategia specifica per la lotta contro le mutilazioni sessuali femminili, siamo determinati a continuare a sostenere le azioni mirate a prevenirle e intendiamo continuare a presentare il problema nel quadro delle politiche interne ed esterne dell’Unione.
Presidente. – La presentazione è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì 24 marzo 2009.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
Véronique Mathieu (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ogni anno in Europa 180 000 donne migranti subiscono o rischiano di subire mutilazioni sessuali che costituiscono una violazione dei diritti dell’uomo e comportano gravi conseguenze fisiche e psicologiche. Non si possono giustificare pratiche di questo tipo asserendo semplicemente che si tratta di tradizioni culturali e religiose. Per porre fine a tali pratiche, gli Stati membri devono far rispettare i divieti previsti dal loro diritto penale e quindi considerare la pratica della mutilazione quale reato penale. Allo stesso tempo, le vittime reali o potenziali devono avere accesso all’assistenza giudiziaria e medica.
L’Unione europea deve incrementare il sostegno a tutte le ONG impegnate attivamente nel campo della prevenzione e dell’assistenza. A livello nazionale ed europeo, campagne informative ed educative mirate potrebbero eliminare i tabù associati alle pratiche in questione e, allo stesso tempo, informare le famiglie sulle conseguenze penali che tali mutilazioni comportano. E’ pertanto importante che l’Unione europea affronti il problema delineando azioni preventive congiunte mirate alla proibizione della pratica della mutilazione all’interno dell’UE e inserendo un riferimento a tale divieto in tutti gli accordi di cooperazione conclusi con paesi terzi. Le mutilazioni sessuali sono un problema sociale che riguarda tutti.
25. Multilinguismo: una risorsa per l'Europa e un impegno comune (breve presentazione)
Presidente. – L'ordine del giorno reca la relazione di Vasco Graça Moura, a nome della commissione per la cultura e l'istruzione, sul multilinguismo: una risorsa per l'Europa e un impegno comune [2008/2225(INI)].
Vasco Graça Moura, relatore. – (PT) La comunicazione della Commissione intitolata “Il multilinguismo: una risorsa per l’Europa e un impegno comune” è l’ultimo di una serie di documenti redatti da Parlamento, Commissione, Consiglio, Comitato delle regioni e Comitato economico e sociale europeo e tratta il tema del multilinguismo sotto diversi punti di vista.
Nella mia relazione, ho ribadito la posizione già adottata dal Parlamento europeo e appoggio il parere della Commissione secondo il quale la diversità linguistica e culturale dell’Unione europea rappresenta un enorme vantaggio competitivo e che sostiene la necessità di favorire l’insegnamento delle lingue straniere e i programmi di scambio in ambito educativo e culturale, sia all’interno che all’esterno dell’Unione.
Nella mia relazione, sottolineo anche l’importanza della lingua come fattore di inclusione sociale e del dialogo con le altre regioni del mondo, rivolgendo particolare attenzione ai legami linguistici, storici e culturali esistenti tra i paesi dell’UE e i paesi terzi. Ritengo necessario stabilire politiche che sostengano la traduzione sia letteraria che tecnica. Inoltre, viene affrontato il tema del multilinguismo nel settore audiovisivo, la necessità di offrire assistenza agli insegnanti di lingua e di diffondere gli indicatori di competenza linguistica a tutte le lingue dell’Unione europea, con l’obiettivo di coinvolgere in seguito anche alle altre lingue parlate e studiate in Europa, comprese il greco classico e il latino.
Riguardo all’insegnamento delle lingue, a scuola ma anche in età adulta, continuo a sostenere, tra le altre cose, che l’insegnamento della madrelingua è fondamentale per tutti gli altri apprendimenti. I genitori e i tutori devono essere in grado di scegliere la lingua di insegnamento per i propri bambini nei paesi con più di una lingua ufficiale o in cui quest’ultima convive con le lingue regionali. Sostengo, inoltre, che i bambini in età scolare devono avere l’opportunità di essere istruiti nella lingua ufficiale dello Stato.
Vorrei sottolineare che la relazione non mette mai in discussione l’importanza delle lingue regionali o minoritarie che, naturalmente, riconosco e rispetto e che non cerco mai di ostacolare. La relazione non presenta infatti nessun elemento incompatibile con le queste lingue. Tuttavia, i socialisti, i liberali, i radicali e i verdi hanno presentato una proposta alternativa che omette i tre punti appena menzionati.
Di conseguenza, i principi collegati ai diritti e alle libertà fondamentali, e che per lungo tempo l’Unione europea ha custodito, accettato e rispettato, stanno per essere eliminati a causa delle pressioni esercitate dai nazionalisti galiziani, catalani e baschi. L’adozione della proposta alternativa significherebbe che il Parlamento europeo avrebbe avviato tale processo.
Queste intenzioni sono perfettamente chiare: sull’edizione di oggi del quotidiano spagnolo El País, a pagina 37 un articolo riporta la decisione di solo tre mesi fa della Corte suprema secondo la quale nella domanda di pre-iscrizione deve essere aggiunta una casella in cui i genitori possono indicare la loro preferenza sulla lingua di insegnamento per i loro figli alla scuola primaria, sentenza che il governo catalano non ha ancora messo in pratica.
Non credo che questa alternativa debba essere accettata. Al contrario di quanto esposto nella mia relazione, questa scelta implica una tutela inaccettabile delle tendenze nazionalistiche estreme e sarebbe in contraddizione con i diritti e le libertà fondamentali e persino con il principio di sussidiarietà. Inoltre, l’alternativa proposta diverge dai principi contenuti nei documenti precedenti del Parlamento europeo e del Consiglio e che non sono mai stati messi in dubbio.
Pertanto, esorto quest’Aula ad agire con cautela. Bisogna respingere la proposta presentata e si deve, invece, adottare la mia relazione, come è avvenuto in sede di commissione per la cultura e l’istruzione il 17 febbraio, con 20 voti a favore, 3 contrari e 8 astenuti.
Signor Presidente, l’Unione europea deve diventare un luogo in cui si rispettano la democrazia e il pluralismo e non un luogo di esclusione in cui si riducono senza motivo i diritti e le libertà fondamentali.
Louis Michel, membro della Commissione. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei innanzi tutto ringraziare l’onorevole Graça Moura per la sua relazione d’iniziativa sul multilinguismo.
Tale relazione appoggia l’approccio proposto dalla Commissione e sottolinea l’importanza dell’insegnamento delle lingue e degli insegnanti, di un approccio integrato mirato a raggiungere tutti gli strati della società, della diversità linguistica garantendo la comprensione tra le persone e, allo stesso tempo, il ruolo dei mezzi di comunicazione e della traduzione letteraria, e dei legami linguistici e culturali con i paesi terzi.
Concordo con il relatore quando sostiene che il multilinguismo ha un impatto notevole sulla vita quotidiana dei cittadini europei, vista l’abbondanza di comunicazioni, l’aumento della mobilità e delle migrazioni e la crescente globalizzazione.
Il principio della lingua materna più altre due lingue e l’apprendimento di una lingua straniera in età precoce sono i punti di riferimento della politica sul multilinguismo. Il nostro approccio si basa su questo diritto acquisito, rafforza l’importanza dell’apprendimento permanente e mira a coinvolgere i gruppi più vulnerabili della società – mi riferisco in particolare a quelle persone che hanno abbandonato gli studi, agli immigrati e a chi parla una sola lingua o è meno competente dal punto di vista linguistico.
Inoltre, desideriamo impegnarci ulteriormente per migliorare le relazioni con gli apprendisti, gli adulti e gli anziani che non ricevono più un’istruzione e che potrebbero non coglierne gli sviluppi.
Accolgo con favore il sostegno che avete dimostrato nei confronti del nostro approccio. Per raggiungere questi gruppi è fondamentale la motivazione individuale e l’applicazione adeguata dei metodi d’insegnamento. Le nuove tecnologie, quali Internet e i mezzi audiovisivi interattivi offrono molte possibilità di comunicare con questi gruppi e di sviluppare e adattare i metodi di insegnamento alle loro specifiche necessità e capacità. A livello europeo, il nostro programma di insegnamento permanente promuove tutte le lingue: quelle ufficiali dell’Unione europea, quelle regionali e minoritarie, e le altre lingue parlate nel mondo. Tale approccio riflette la nuova realtà dell’Unione nonché le esigenze linguistiche dei cittadini.
Nell’ambito della crescente mobilità e migrazione, è fondamentale che le persone siano in grado di padroneggiare la lingua o le lingue nazionali se vogliono integrarsi nella società. Tuttavia, vorrei sottolineare che, in questo contesto, sono gli Stati membri a dover prendere decisioni in merito alla politica linguistica, che comprende anche le lingue regionali e minoritarie come previsto dalla Carta europea delle lingue regionali e minoritarie del Consiglio d’Europa.
Ringrazio il Parlamento per il sostegno dimostrato nei confronti del nostro approccio sul multilinguismo.
Presidente. – La presentazione è chiusa.
La votazione si svolgerà martedì 24 marzo 2009.
Dichiarazioni scritte (articolo 142 del regolamento)
Corina Creţu (PSE), per iscritto. – (RO) La diversità linguistica e culturale dei 27 Stati membri dell’Unione europea è positiva per l’intesa e la cooperazione e facilita la mobilità transfrontaliera del lavoro e l’assimilazione dei valori europei. E’ importante migliorare costantemente le politiche dell’UE volte a favorire l’apprendimento nella madrelingua e a garantire una piena e reciproca intelligibilità tra le lingue. E’ necessario che le autorità nazionali collaborino con la Commissione europea per attuare le pratiche nel modo più efficiente possibile per raggiungere l’integrazione grazie all’accettazione delle differenze linguistiche.
La Romania è uno degli Stati membri che garantisce un livello di tutela e sostegno delle minoranze al di sopra della media europea, grazie alla promozione dell’istruzione nelle lingue minoritarie. L’Università Babeş-Bolyai, a Cluj-Napoca, è un perfetto esempio di promozione del multilinguismo.
Purtroppo, alcune manifestazioni, anche al Parlamento europeo, e iniziative hanno determinato la chiusura dell’Università Babeş-Bolyai a causa di ingiuste discriminazioni sulla base della separazione etnica. per questo motivo desidero richiamare la vostra attenzione sul pericolo derivante dal deterioramento del tono del dibattito sulle questioni etniche. Il rispetto per i diritti delle minoranze e la promozione del multilinguismo non devono trasformarsi in una cortina di fumo per nascondere azioni contrarie allo spirito europeo e all’armonia multietnica. All’interno dell’Unione europea il multilinguismo deve essere un elemento comune e non un fattore di divisione.
Gabriela Creţu (PSE), per iscritto. – (RO) Ci sono molte ragioni per sostenere il multilinguismo: riduce il rischio di disoccupazione, aumenta le opportunità di trovare lavoro, aumenta la qualità dei servizi forniti e della produttività del lavoro e agevola la mobilità. Siamo tutti a conoscenza e, a quanto pare a favore, di tali vantaggi.
A questo punto, vorrei sottolineare l’importanza delle altre ragioni a sostegno del multilinguismo e delle misure ad esso correlate.
Il multilinguismo contribuisce all’affermazione dei valori e dei comportamenti essenziali per il modello sociale europeo: la comprensione, la fiducia e la solidarietà reciproche. Inoltre, può aiutare a raggiungere un’effettiva unità in un mondo di diversità.
A questo proposito, insistiamo anche sulla necessità di preservare la diversità linguistica in Europa, un obiettivo che può essere raggiunto apprendendo una o più lingue oltre a quella nazionale, come ad esempio le lingue dei paesi confinanti o delle minoranze etniche del proprio paese, o le lingue parlate nei paesi con economie emergenti con i quali si stanno intensificando le relazioni.
Ritengo che gli effetti positivi di una politica di questo tipo avranno un riscontro concreto anche nella vita di tutti i giorni.
Silvana Koch-Mehrin (ALDE), per iscritto. – (DE) La diversità linguistica è fondamentale, fa parte dell’attività sul campo dell’Unione europea e sta acquisendo sempre maggiore importanza nelle relazioni tra gli Stati membri, nel modo in cui le nostre società multiculturali convivono e nelle misure comuni intraprese dall’Unione europea. Tuttavia, il potere decisionale su questioni riguardanti la politica linguistica spetta in primo luogo agli Stati membri e non è compito del Parlamento europeo stabilirne i requisiti e le raccomandazioni. L’esistenza, all’interno dell’UE, di un commissario per il multilinguismo dimostra che è necessario riformare la Commissione e che il numero di commissari dev’essere inferiore al numero di Stati membri.
Iosif Matula (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Vorrei congratularmi con l’onorevole Graça Moura per il modo in cui è riuscito a combinare in questa bozza di relazione gli interessi generali, regionali e persino locali.
Personalmente, suggerisco ai cittadini appartenenti a un gruppo etnico che parla una lingua minoritaria di apprendere adeguatamente la lingua ufficiale dello Stato in cui vivono poiché rappresenta un vantaggio al momento di trovare un lavoro e in termini di buona integrazione sociale. Purtroppo, la commissione competente non ha approvato l’emendamento più importante, ma continuo a credere che sia molto utile.
D’altro canto, consiglio ai funzionari che per lavoro sono spesso in contatto con cittadini di altri Stati membri di apprendere una seconda lingua europea. Questo sarebbe vantaggioso vista la migrazione per motivi di lavoro in tutta Europa e la mobilità per motivi turistici.
E’ l’unico modo che abbiamo per stimolare la comunicazione e l’intesa interculturale, valori fondamentali dell’Unione europea.
26. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale