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Procedura : 2008/0154(COD)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A6-0084/2009

Discussioni :

PV 02/04/2009 - 6
CRE 02/04/2009 - 6

Votazioni :

PV 02/04/2009 - 9.15
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P6_TA(2009)0210

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 2 aprile 2009 - Bruxelles Edizione GU

10. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
Processo verbale
  

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

- Relazione Takkula (A6-0125/2009)

 
  
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  Tomáš Zatloukal (PPE-DE) . – (CS) Signor Presidente, la presenza di un numero elevatissimo di alunni migranti comporta conseguenze notevoli per il sistema di istruzione. Vi sono prove chiare e inequivocabili del fatto che molti figli di famiglie migranti sono meno istruiti dei loro coetanei. Le scuole devono adeguarsi alla loro presenza e inserirli sistematicamente nei programmi tradizionali volti a fornire un’istruzione di alta qualità. L’istruzione è la chiave per garantire che tali alunni siano cittadini perfettamente integrati, di successo e produttivi nei paesi che li ospitano e, dunque, che la migrazione si trasformi in un vantaggio per i migranti e i paesi che li accolgono. Apprezzo la relazione dell’onorevole Takkula e l’ho appoggiata.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signor Presidente, insegnamento plurilingue, insegnanti poliglotti che si rivolgono a ogni alunno nella sua lingua madre, insegnanti stranieri assunti appositamente per studenti stranieri, rispetto e promozione delle culture di origine da parte delle scuole, conoscenza minima del linguaggio del paese ospite senza considerarla realmente obbligatoria: ebbene questa ricetta non porta all’integrazione dei migranti. Porta invece, paradossalmente, alla ghettizzazione delle nostre società, alla confusione di identità e all’acculturazione di tutti, siano essi migranti o autoctoni del paese ospite.

Consiglio al relatore di andare a visitare le ZEP – le aree di istruzione prioritaria – nelle periferie francesi per capire dove conducono questi lodevoli sentimenti. Di fatto, essi meramente equivalgono all’abbandono, nei nostri paesi, dell’idea di imporre rispetto per le nostre culture, i nostri costumi e i nostri usi a quanti ci chiedono ospitalità.

I nostri sistemi di istruzione non devono essere adeguati alle culture di altri. Spetta alle popolazioni migranti adeguarsi alle nostre culture se vogliono risiedere nei nostri paesi.

 
  
  

- Relazione Vãlean (A6-0186/2009)

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, volevo soltanto sottolineare la necessità di sostenere fortemente l’affermazione che ha avuto sostegno questa mattina da una decisione provvida. Non è possibile che in un documento dell’Unione europea, in particolare in un documento al voto del Parlamento europeo, sia anche soltanto sfiorata la possibilità del riconoscimento del matrimonio poligamico.

Questo non appartiene alla cultura dell’Unione europea. Nello spazio giuridico dell’Unione europea non deve esserci posto per posizioni di questo genere, che sono in contrasto con la nostra tradizione, che è la tradizione dell’Europa cristiana, e che esprimono tra l’altro un principio di sopraffazione dei diritti della donna. Quindi molto importante la decisione di questa mattina ma molto preoccupante il fatto che, con grave senso di irresponsabilità, in un documento del Parlamento europeo sia stata inserita una nota di questo genere.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN).(PL) Signor Presidente, non ho potuto avallare la relazione dell’onorevole Vãlean in quanto accetta una situazione in cui la legge si contraddice da sola violando il principio di sussidiarietà, promuovendo il ricongiungimento familiare da paesi terzi con diversa cultura e consentendo anche la poligamia, creando dunque il caos giuridico. Come tutti sappiamo, nei vari Stati membri dell’Unione europea si utilizzano definizioni differenti di “famiglia” e “familiare”, come diversi sono i diritti, per esempio il diritto di successione, il diritto di famiglia, nonché il diritto di usufruire di prestazioni assistenziali. La creazione di un diritto a prestazioni assistenziali senza il benestare del paese ospite e senza tener conto della sua situazione economica può ingenerare gravi conflitti sociali. Protesto contro le reiterate violazioni del principio di sussidiarietà da parte di questa Camera.

 
  
  

- Relazione Gacek (A6-0182/2009)

 
  
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  David Sumberg (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, è un grande privilegio per me questa mattina sedere accanto all’onorevole Daniel Hannan, stimato collega, il cui intervento qualche settimana fa ha rivoluzionato la trasmissione dell’informazione e del pensiero politico facendo presagire una sua futura trasformazione. Il potere di Internet è straordinariamente importante, ma lo è ancor di più rispetto ai normali mezzi di comunicazione.

Ho votato contro la relazione per un semplice motivo, vale a dire che non sono favorevole alla promozione della cittadinanza europea. Sono un cittadino britannico fiero di esserlo e lo scopo della nostra azione dovrebbe essere promuovere la singola cittadinanza dei nostri singoli paesi dicendo che indubbiamente i nostri paesi sono membri dell’Unione europea, ma noi non siamo cittadini europei, bensì cittadini dei paesi che ci hanno dato i natali, nei quali siamo cresciuti, che ci proteggono e che per molti di noi hanno rappresentato negli anni un rifugio. Questo è l’orgoglio che mi anima e continuerà ad animarmi negli anni a venire.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signor Presidente, gli antichi greci hanno già discusso le questioni che oggi ci occupano. Nelle loro associazioni di Stati-città hanno discusso i rispettivi meriti dell’isopoliteia, la cittadinanza identica, che conferiva a ogni persona i medesimi diritti in qualunque città, e della sympoliteia, la cittadinanza comune.

Non vi sorprenderò nell’affermare che sono decisamente a favore della prima soluzione. La natura della cittadinanza europea, in realtà, è estremamente artificiosa. La relatrice rimpiange soprattutto che i cittadini non siano consapevoli dei diritti che ne deriverebbero. Osservo tuttavia che ogni qual volta si domanda ai cittadini la loro opinione, per esempio in merito alla costituzione europea o al suo illeggibile avatar, il trattato di Lisbona, e tale risposta è negativa, la loro opposizione viene deliberatamente ignorata.

Per questo tali costruzioni sulla cittadinanza comune suppostamente generose mi paiono decisamente ipocrite e preferirei sostituirvi il reciproco riconoscimento dei diritti tra nazioni alleate, ma pur sempre sovrane.

 
  
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  Jim Allister (NI).(EN) Signor Presidente, la cittadinanza definisce chi siamo. E’ il fondamento della nostra identità. Sono un cittadino britannico e ne sono fiero, non da ultimo vista la campagna viziosa dell’IRA per tentare di obbligare me e i miei elettori ad abbandonarla, esito che per fortuna hanno fallito.

La cittadinanza appartiene agli Stati membri e non dobbiamo sottrargliela né condividerla. Respingo pertanto questa cittadinanza europea macchinosa e costruita, che ovviamente si somma agli sforzi in atto, promossi nelle intenzioni dal trattato di Lisbona, per costruire la statualità dell’Unione europea e, con essa, la nozione che tutti dobbiamo essere, che lo si voglia o meno, che ci aggradi o meno, innanzi tutto cittadini dell’Unione. Respingo tale filosofia come respingo il trattato di Lisbona.

 
  
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  Martin Callanan (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, dirsi d’accordo con i colleghi sta diventando un ritornello familiare.

Ho votato contro la relazione perché, come è ovvio, sono in totale disaccordo con l’intero concetto di cittadinanza europea. Credo che la cittadinanza sia appannaggio esclusivo degli Stati-nazione, così come ritengo che tutti gli sforzi che si celano dietro questo tentativo di costruire una cittadinanza europea siano legati agli stessi tentativi di condurre un super-Stato europeo.

Molti miei elettori e io stesso non siamo affatto contenti di essere costretti a diventare di fatto cittadini europei. Essi vedono la cittadinanza come qualcosa da affermare o respingere, basata su una serie comune di valori e ideali consolidatisi nei secoli. A nessuno di noi è stata data la possibilità di esprimersi, attraverso un referendum, una consultazione o altro, sulla volontà o meno di diventare cittadini europei.

Ovviamente si dovrebbe tenere un referendum sul trattato di Lisbona, ma ci si dovrebbe anche chiedere se desideriamo essere cittadini europei, oltre che cittadini dei nostri rispettivi paesi. Non abbiamo alcun diritto di rinunciare alla cittadinanza europea anche se ne respingiamo, come io respingo, il concetto nella sua interezza.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, non sono innanzi tutto un cittadino dell’Unione europea. Sono un cittadino irlandese e, a titolo aggiuntivo e complementare, un cittadino europeo.

Oggi ho imparato molto qui. Non mi ero reso conto che i nostri colleghi britannici erano cittadini. Pensavo fossero sudditi. Non ho però alcuna difficoltà a pronunciare le parole “sudditi” e “cittadini”. Si può essere scozzesi, gallesi o inglesi, ma per essere britannici bisogna essere scozzesi, gallesi o inglesi, oppure una di quelle persone in Irlanda che prende la cittadinanza britannica. Non esiste una cittadinanza britannica se non si è irlandesi dell’Irlanda del nord, scozzesi, gallesi o inglesi.

Veramente non capisco il punto che oggi si è voluto sollevare in questa sede. Si tratta di nozioni complementari e aggiuntive rispetto alle nostre cittadinanze nazionali e personalmente non ho di certo alcuna difficoltà ad accettarle. Stiamo ingigantendo le cose oltre misura perché siamo in vista delle elezioni e sfruttiamo questa costante retorica antieuropeista per anteporre i nostri interessi a quelli dei paesi dei quali dovremmo essere teoricamente al servizio.

 
  
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  Richard Corbett (PSE).(EN) Signor Presidente, vorrei unirmi a quanto detto dal collega che mi ha preceduto. Alcuni nostri colleghi sembrano avere una visione molto ristretta e unidimensionale della cittadinanza e, di conseguenza, dell’identità. Siamo invece tutti sfaccettatati: tifo per l’Inghilterra, calcisticamente parlando, perché sono inglese e fa parte della mia identità, mi schiero per la Gran Bretagna ai Giochi olimpici in atletica perché è una dimensione più ampia della mia identità e parteggio per la squadra di golf europea alla Ryder Cup contro gli Stati Uniti, come credo faccia anche il collega che è appena intervenuto.

Queste sono dimensioni diverse della nostra identità e della nostra cittadinanza. Non sono contraddittorie, bensì complementari. Ovviamente una cittadinanza del genere non è stata attribuita con un referendum. Non è mai stato indetto un referendum in occasione del quale abbiamo dovuto scegliere se assumere la cittadinanza inglese o britannica – modificando la condizione di suddito – così come non è stato indetto un referendum sui trattati che, quasi due decenni fa, hanno creato la nozione di cittadinanza europea collegandola espressamente a una serie di diritti che ci sono conferiti e di cui godiamo in tutta Europa, nulla di più, nulla di meno.

 
  
  

- Relazione Angelakas (A6-0134/2009)

 
  
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  Neena Gill (PSE).(EN) Signor Presidente, ho appoggiato la relazione non solo perché ritengo che prosegua il lavoro fondamentale svolto da quest’Aula per collegare il nostro impegno nei confronti dell’ambiente alla nostra necessità di far uscire gli Stati membri dall’attuale crisi finanziaria, ma anche perché coinvolge ogni aspetto della nostra economia e della nostra società, per cui abbiamo bisogno di assumere un approccio olistico nei confronti del recupero economico e ambientale.

Ho operato nel settore dell’edilizia abitativa per 18 anni e mi preoccupa il fatto che non si sia prestata sufficiente attenzione né all’edilizia abitativa né all’energia, specialmente nel momento della costruzione, visto che l’edilizia abitativa contribuisce notevolmente alle emissioni di carbonio. Concentrarsi sulla politica di coesione è una maniera sensata per assolvere il nostro obbligo nei confronti di comunità ed economie. Il cambiamento, come molte altre cose, inizia tra le pareti domestiche. Usare il denaro del FSE per integrare i regimi delle autorità regionali e locali nel campo dei doppi vetri, dell’isolamento e dei pannelli solari, oppure per la sostituzione di vecchie caldaie con dispositivi più efficienti dal punto di vista energetico, è un esempio eccellente di come l’Unione europea possa aiutare gli Stati membri a conseguire obiettivi che andranno a vantaggio di tutti i cittadini europei.

 
  
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  Syed Kamall (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, quando ho letto il titolo della relazione “Investimenti nell’efficienza energetica e nelle energie rinnovabili nell’edilizia abitativa” sono rimasto molto colpito. Nessuno può dirsi in disaccordo con l’idea in quest’epoca di preoccupazione per il cambiamento climatico, prescindendo da cosa si pensi al riguardo. Noi tutti concordiamo sul fatto che l’efficienza energetica e la conservazione dell’energia vadano migliorate.

Il Parlamento europeo, però, dovrebbe dare sicuramente l’esempio. Come possiamo parlare di efficienza energetica, come possiamo parlare di conservazione, se il Parlamento europeo continua a usare tre sedi? Abbiamo un edificio a Strasburgo che viene usato soltanto per 12 settimane all’anno e continua a emettere CO2 , oltre a sprecare energica, quando non siamo lì, un edificio a Lussemburgo nel quale i parlamentari non vanno mai (e stiamo costruendo un altro edificio a Lussemburgo) e questa Camera a Bruxelles. E’ tempo di smetterla con l’ipocrisia dell’efficienza energetica e dare il buon esempio avendo un solo edificio per il Parlamento europeo.

 
  
  

- Relazione Lax (A6-0161/2009)

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE-DE).(PL) Signor Presidente, viste le difficoltà poste dalle procedure di visto, è fondamentale che siano semplificate, anche riducendo i costi a carico del richiedente. Ciò contribuirà a un migliore scambio culturale e una maggiore collaborazione tra l’Unione e i paesi terzi. Ritengo essenziale snellire le procedure di visto per chi ha famiglia negli Stati membri, e citerei l’esempio della Polonia. Per centinaia di anni, la storia della Polonia si è intrecciata alla storia di paesi come l’Ucraina e la Bielorussia, dove vive una consistente minoranza polacca. Sono persone che non hanno la cittadinanza polacca, ma spesso valicano la frontiera per recarsi in visita dai parenti.

E’ dunque necessaria la massima semplificazione possibile delle procedure di visto per chi ha conquistato la fiducia dell’ufficio dei visti non violando alcun suo regolamento in materia. Ritengo significativa l’introduzione degli identificatori biometrici, che agevolerà lo scambio di dati e contribuisca alla futura integrazione del sistema dei visti, facilitando la procedura di visto stessa e migliorando anche la sicurezza in tutta l’Unione. La relazione è importante per lo sviluppo di contatti tra l’Unione e paesi terzi.

 
  
  

- Relazione Tatarella (A6-0105/2009)

 
  
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  Neena Gill (PSE).(EN) Signor Presidente, ancora una volta ho votato a favore della relazione perché credo che se vogliamo portare a segno i nostri colpi nella lotta al cambiamento climatico dobbiamo semplificare la scelta dei prodotti ecologici per il consumatore.

Sebbene la mia regione, quella del West Midlands, sia una delle poche zone senza sbocco al mare del Regno Unito, siamo ovviamente consumatori di pesce e prodotti ittici, ai quali la relazione si riferisce.

Introducendo un regime volontario come le etichette di qualità ecologica, incoraggiamo un mercato di prodotti più efficienti dal punto di vista energetico e maggiormente rispettosi dell’ambiente, integrando altre soluzioni basate sul mercato per la lotta al cambiamento climatico, come gli sgravi fiscali sui prodotti ecologici.

I miei elettori mi dicono che sarebbero ben lieti di poter operare scelte diverse se il loro acquisto, come quello dei prodotti verdi, diventasse più semplice. Se vogliamo ottenere l’effetto desiderato, dobbiamo pubblicizzare maggiormente il regime, il che significherà sicuramente una migliore commercializzazione, ma anche una standardizzazione e un’armonizzazione delle informazioni fornite per renderle veramente utili ai consumatori.

Un modello valido è rappresentato dalla relazione sull’efficienza energetica dei pneumatici, alla quale ho collaborato e che presenta dettagli analoghi in maniera chiara e concisa.

 
  
  

- Relazione Buitenweg (A6-0149/2009)

 
  
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  Anja Weisgerber (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, noi del gruppo conservatore tedesco (CDU/CSU) abbiamo votato contro la relazione Buitenweg perché, seppure contrari a ogni forma di discriminazione, non riteniamo che una direttiva quadro onnicomprensiva a livello europeo sia realmente il modo giusto per tutelare gli interessati. Dieci Stati membri non hanno ancora recepito la direttiva antidiscriminazione già in vigore. Ciò nonostante, la maggioranza semplice, non qualificata, di quest’Aula oggi ha votato a favore dell’estensione, che darebbe luogo a un notevole aumento ulteriore della burocrazia, oltre a costi inutili, cosa che il pubblico comprende poco.

E’ possibile apportare miglioramenti in campo assicurativo e per quanto concerne le misure di adeguamento strutturale degli ingressi per disabili e si potrebbe ovviare alla necessità di una legge sulle azioni collettive, ma prevediamo gravi problemi per gli Stati membri se, per esempio, dovessimo essere costretti a includere il concetto di “convinzioni personali” tra i motivi di discriminazione vietati. La conseguenza di ciò sarebbe che estremisti e sette, come per esempio Scientology, potrebbero invocare la tutela della direttiva.

Siamo inoltre sfavorevoli a concedere un’equivalenza completa di stato a unioni tradizionali e unioni omosessuali. A giudizio della Commissione, il recepimento della direttiva impone che l’unione omosessuale, se giuridicamente riconosciuta in un determinato Stato membro, goda degli stessi diritti delle coppie coniugate. Noi siamo contrari all’idea, ragion per cui abbiamo votato contro la relazione e a favore del rinvio della proposta in commissione.

 
  
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  David Sumberg (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, mi sono astenuto al riguardo per due motivi. In primo luogo, noi tutti accettiamo una qualche discriminazione. In tutti i nostri paesi vi sono scuole religiose – cattoliche, protestanti, musulmane, ebraiche – e vi è un elemento di discriminazione in tali scuole perché le persone che vengono prevalentemente accettate sono quelle della fede corrispondente. Io sono favorevole. perché appoggio le scuole ecclesiastiche.

Tuttavia, il principale motivo per il quale mi sono astenuto è che ciò capovolge completamente l’intero principio della giurisprudenza. Siamo innocenti finché non si dimostra la nostra colpevolezza. Questo è un principio cardine sicuramente del diritto inglese, ma oserei dire del diritto di molti altri paesi dell’Unione. La relazione rovescia completamente l’onere della prova e, francamente, lo trovo inaccettabile. Inutile dire che siamo tutti contro la discriminazione, così come siamo tutti a favore della parità di trattamento, ma dobbiamo sincerarci che i principi del diritto che ci hanno guidati nei secoli restino intatti. Per questo mi sono astenuto.

 
  
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  Erna Hennicot-Schoepges (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, sono uno dei membri del gruppo PPE-DE che ha votato a favore della relazione perché penso che il Parlamento debba trasmettere un segnale forte, con il suo voto, a favore della non discriminazione e che vi sono sicuramente molti altri fattori importanti oltre a quelli appena citati.

In realtà, negli Stati membri si verificano casi in cui ai bambini viene negata l’istruzione nella loro lingua madre e dove l’uso di tale lingua è vietato. Siamo lontanissimi dalla realtà. E’ pertanto giusto trasmettere un segnale, come il Parlamento ha fatto con il mio sostegno. Senza dubbio resta molto lavoro per conquistare una maggiore consapevolezza degli altri e siamo ben lungi dal dialogo delle culture per il quale ci siamo impegnati a compiere progressi nel 2008. Mi rammaricano tutte le controversie che hanno circondato la relazione.

 
  
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  Richard Corbett (PSE).(EN) Signor Presidente, nei 27 paesi dell’Unione europea abbiamo una fiera tradizione, sviluppata negli ultimi decenni, di lotta solidale contro la discriminazione per renderla illegale e scoraggiarla.

Questa relazione correggere un’anomalia. Abbiamo una legislazione nel nostro corpus che giustamente vieta la discriminazione per motivi di razza e genere sul luogo di lavoro e altrove, ma la discriminazione per motivi di disabilità, età od orientamento sessuale è vietata unicamente sul posto di lavoro, non altrove, non nella tutela del consumatore e tanto meno in altre situazioni in cui i cittadini possono incorrere e vedersi discriminati.

E’ giusto correggere tale anomalia. Una grande maggioranza oggi ha inviato un segnale forte al Consiglio e confido nell’adozione in un prossimo futuro.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, nella discussione di ieri ho enumerato una serie di argomentazioni per spiegare perché emendamenti e proposte contenuti nella relazione Buitenweg per me sono inaccettabili, forse più della proposta iniziale della Commissione concernente una direttiva antidiscriminazione. Anche con gli emendamenti votati oggi, è ancora e sempre una violazione inaccettabile del principio di sussidiarietà che genera un’enorme burocratizzazione, molto costosa, e crea notevoli ostacoli agli Stati membri, ma soprattutto testimonia dell’eccezionale livello di sfiducia nei confronti degli stessi Stati membri.

Il problema con testi di questo genere che incorporano ogni sorta di cose è che, come è ovvio, contengono anche aspetti positivi. Vorrei usare questa dichiarazione di voto, per quanto necessario, per confermare che, per esempio, sono assolutamente favorevole agli sforzi notevoli profusi dalla Comunità nel suo insieme a beneficio dei disabili. Anche in questo ambito, però, sono persuaso che è meglio lasciare che il tutto sia organizzato dagli Stati membri.

 
  
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  Daniel Hannan (NI).(EN) Signor Presidente, la presente relazione si fonda su un equivoco concettuale. Al di fuori di questa Camera, parità significa diritto degli individui di essere trattati nella stessa maniera. Qui, in questa Camera, usiamo il termine per definire il diritto degli individui di essere trattati in maniera diversa.

La distinzione è fondamentale. Una legislazione antidiscriminatoria di questo genere non rappresenta un perfezionamento del principio di parità secondo il diritto. E’ un principio contrario. Se adottassimo la relazione così com’è, sottrarremmo potere alle persone che possono votare a favore e contro per conferirlo arbitrariamente ai giuristi. Se la relazione fosse applicata alla lettera, vieterebbe a una compagnia lirica di rifiutare l’ingaggio di uomini nel ruolo di soprano, proibirebbe a un politico laburista di rifiutarsi di avere un conservatore come portavoce e impedirebbe a una scuola o un ospedale di fede cattolica di assumere preferibilmente persone che condividono tale credo religioso.

Quando ho sollevato queste obiezioni, la risposta dei sostenitori della relazione è stata che non sarebbe stata utilizzata in questo modo e che tutti sanno ciò che significa realmente. Devo dire che mi pare una pessima giurisprudenza criminalizzare tutto in teoria e poi fare affidamento sui tribunali affinché arbitrariamente disattendano le disposizioni di legge.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signor Presidente, il grande filosofo cattolico Chesterton diceva che il mondo moderno è pieno di idee cristiane impazzite.

Ritengo che la presente relazione dell’onorevole Buitenweg ne sia un’esemplificazione perfetta. E’ un testo che esordisce con lodevoli sentimenti per evitare atti di discriminazione ai danni, per esempio, dei disabili, solo per diventare veramente totalitario compiendo un errore concettuale fondamentale, ossia non distinguendo differenze legittime da atti di discriminazione iniqui.

Per esempio, è naturale per un bambino avere diritto a un padre e una madre, anche se è adottato. Tale diritto deve avere la priorità sul diritto degli individui dello stesso sesso di adottare un bambino. E’ naturale che si operino distinzioni sulla base della nazionalità. E’ parimenti naturale per francesi, britannici, cechi e lituani avere la priorità sugli stranieri nei rispettivi paesi, così come è naturale per questi stessi stranieri avere la priorità rispetto ai cittadini europei nei propri.

Si tratta di distinzioni assolutamente legittime che il testo ignora, come ignora il principio della presunzione di innocenza. E’ dunque senza dubbio un passo verso quel totalitarismo morbido che rappresenta la nuova dottrina del politically correct.

 
  
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  Martin Kastler (PPE-DE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, sebbene 10 dei 27 Stati membri siano implicati in un procedimento giudiziario tuttora in atto per non aver recepito la prima direttiva, oggi abbiamo ancora visto che una maggioranza semplice in quest’Aula ha votato per sovrapporre una seconda direttiva alla prima.

Personalmente, come la maggior parte del mio gruppo, mi sono espresso per il “no”. Perché? Citerò due esempi. Sulla base della mia esperienza in Franconia, conosco gli sforzi profusi dagli estremisti politici, dai neonazisti e dai radicali di sinistra per tentare di acquisire immobili e, così facendo, si fanno molta pubblicità. Se si attuasse la direttiva sul pari trattamento, proprietari e locatori in alcuni casi sarebbero obbligati a stipulare contratti che sinora hanno potuto rifiutare.

Per questo motivo oggi ho votato contro la relazione Buitenweg. Un altro motivo è che nell’odierno emendamento abbiamo rovesciato l’onere della prova e, con esso, un elemento fondamentale del nostro Stato di diritto, cosa che considero del tutto illegittima. Il terzo aspetto riguarda giornali ed editori, la cui libertà di rifiutarsi di pubblicare pezzi di estremisti sarebbe limitata dalla direttiva. Questa, a mio giudizio, è una chiara ingerenza nella libertà di stampa, alla quale sono assolutamente contrario.

 
  
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  Neena Gill (PSE).(EN) Signor Presidente, sono stata lieta di appoggiare la relazione perché ho sempre combattuto contro ogni forma di discriminazione. Ritengo fondamentale disporre di un quadro per impedire lo sfruttamento degli individui per motivi di religione, età, disabilità, istruzione o stato civile. Senza tutela dalla discriminazione operata per questi motivi, le nostre ambizioni di un’Europa sociale non avranno alcun senso, il che è particolarmente vero nell’attuale congiuntura economica. Nei momenti difficili si tenta sempre di sfruttare coloro che sono meno in grado di difendersi eludendo i regolamenti esistenti intesi specificamente a proteggere da tale sfruttamento.

Nella mia circoscrizione, quella del West Midlands, siamo minacciati dall’ascesa della politica di estrema destra. Penso che l’Europa debba assumere un ruolo garantendo che la gente sappia che è protetta dall’aggressione e dallo sfruttamento.

 
  
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  Martin Callanan (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ho votato contro la relazione per il motivo fondamentale che ritengo che tali argomenti non abbiano nulla a che vedere con l’Unione europea. Non credo infatti che vi sia alcun bisogno di una legislazione europea in tale ambito. Ritengo invece molto sensato che temi tradizionali come questo siano gestiti a livello di Stato membro, dove possono essere meglio ponderati, dato che i vari parlamenti nazionali possono tener conto della cultura fondamentale, delle tradizioni e degli ordinamenti giuridici esistenti nei rispettivi paesi.

Diversi altri parlamentari si sono interrogati in merito ai problemi specifici che ne deriverebbero, problemi per i gruppi religiosi costretti ad assumere persone di diverso credo religioso, problemi per le scuole ecclesiastiche e problemi per i vari gruppi politici che vogliono assumere persone che con loro condividono valori e convinzioni. In buona sostanza, il problema principale consiste nel fatto che ci priva di potere in quanto politici eletti a livello nazionale o comunitario per conferirlo a giudici non eletti chiamati a interpretare e reinterpretare la legislazione in modi che non mai stati ipotizzati dai sentimenti decisamente benintenzionati di alcuni degli autori della relazione. Ritengo fondamentalmente che stiamo sollevando un vespaio.

 
  
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  Ewa Tomaszewska (UEN).(PL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione sulla parità delle persone nonostante o forse più precisamente perché sono contraria alla discriminazione. L’adozione del documento significherebbe in particolare acconsentire, con tutte le garanzie di legge, al pari accesso dei pedofili a posti di lavoro dove sarebbero a contatto diretto con i bambini, costituendo per loro una minaccia. Significherebbe acconsentire alle pubblicazioni e alle pubbliche apparizioni di culti religiosi e gruppi fascisti, il divieto dei centri educativi o caritatevoli gestiti dalle chiese nelle proprie comunità, il che ostacolerebbe gravemente l’azione sociale e creerebbe maggiori possibilità di discriminazione ai danni dei cristiani. Il documento viola il principio di sussidiarietà, pratica che sta diventando sempre più diffusa nel Parlamento europeo.

 
  
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  Marie Panayotopoulos-Cassiotou (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, vorrei esprimere la grande sorpresa e la profonda delusione delle persone disabili e con esigenze particolari, le quali si aspettavano che venisse offerta loro una direttiva quadro nell’ambito dell’attuale mandato parlamentare in maniera che gli Stati membri adeguassero la propria legislazione e non si potesse operare un trattamento discriminatorio di tale gruppo, che forse è rappresentato da grandi sindacati europei, ma non può esprimere direttamente il proprio desiderio di ottenere protezione.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, mi preoccupava la formulazione della proposta della Commissione, ma nessuna legislazione è perfetta. Ho votato a favore di ambedue le parti del considerando 17, emendamento n. 28. Era mia intenzione votare per il testo originale, ma non volevo esprimermi contro la formulazione dell’emendamento che, sebbene non incisiva quanto il testo originale per quanto concerne i diritti degli Stati membri, ha risposto adeguatamente alle mie preoccupazione ed era chiaro che sarebbe stata appoggiata dalla stragrande maggioranza. Non avrei pertanto avuto l’opportunità di votare per il testo iniziale, che viste le circostanze sarebbe stato affossato, e avrei finito per votare contro un principio, il che non corrispondeva alle mie intenzioni.

Avendo esaminato attentamente il testo, ritengo che la proposta servirà a migliorare l’accesso dei disabili a prodotti e servizi senza inutili riferimenti a testi con effetti verosimilmente restrittivi.

Credo fermamente che sia fondamentale introdurre meccanismi che consentano ai disabili di viaggiare nell’Unione europea in condizioni di parità rispetto a qualunque altro cittadino. L’Europa ha più di 50 milioni di cittadini disabili ed è indispensabile adottare ogni misura per migliorare il loro benessere. Per questo ho votato a favore della relazione.

 
  
  

– Proposta di risoluzione: B6-0177/2009 (dialogo UE-Bielorussia)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ho appoggiato la risoluzione sulla valutazione del dialogo UE-Bielorussia. Ho votato “sì” perché sono favorevole all’intensificazione di un dialogo di alto livello tra l’Unione e la Bielorussia, anche attraverso contatti bilaterali, e alla maggiore cooperazione tecnica intrapresa dalla Commissione.

Nel contempo, vorrei sottolineare che il dialogo politico tra l’Unione e la Bielorussia deve essere subordinato e direttamente connesso all’eliminazione delle limitazioni imposte alle libertà e alla cessazione della repressione dei partecipanti a dimostrazioni pacifiche e attivisti dei diritti dell’uomo.

Insisto affinché l’opposizione democratica in Bielorussia e la società civile siano incluse nel dialogo UE-Bielorussia.

Non da ultimo, spero che il governo del paese sfrutti i prossimi nove mesi per compiere progressi di rilievo in una serie di ambiti, tra cui la libertà di associazione e la concessione di libertà e diritti politici.

 
  
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  Toomas Savi (ALDE).(EN) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione in quanto fornisce una visione equilibrata e realistica delle relazioni tra l’Unione europea e la Bielorussia.

Il presidente Lukashenko sembra ricercare relazioni migliori sia con l’Unione europea sia con la Federazione russa. Il rilascio di prigionieri politici un anno fa è stato il primo segno della volontà del regime di Lukashenko di rispondere alle richieste dell’Unione e intraprendere un dialogo serio.

Sebbene l’allentamento dell’oppressione del regime possa considerarsi un miglioramento, una reale transizione del regime non è ancora iniziata. Credo che il coinvolgimento dell’opposizione democratica in Bielorussia, oltre che della società civile, sia fondamentale per un dialogo significativo tra l’Unione europea e il paese e, forse, la chiave per la riuscita del processo di democratizzazione.

 
  
  

– Proposta di risoluzione: RC-B6-0165/2009 (coscienza europea e totalitarismo)

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, la proposta di risoluzione comune che abbiamo adottato oggi contiene tanti aspetti degni di essere promossi. Concordo, per esempio, con il fatto che i sacrifici compiuti da molti nella lotta ai regimi totalitari del XXI secolo in Europa non vadano dimenticati.

Vorrei nondimeno formulare alcuni commenti. E’ deplorevole che non vi sia alcuna menzione degli alleati di tali regimi totalitari che, fino a poco tempo fa, tenevano stretta nella loro morsa l’intera Europa orientale. E’ vero che i cosiddetti politici di destra hanno profuso un certo impegno, indubbiamente prezioso, per chiedere la democratizzazione nell’Europa orientale, ma è ancora più vero che molti politici di sinistra hanno sostenuto attivamente questi regimi comunisti, sebbene oggi si dichiarino candidamente innocenti, anche in questo Parlamento.

In secondo luogo, dovremmo avere veramente il coraggio con questa relazione di prendere posizione contro le leggi che imbavagliano. E’ necessario svolgere una ricerca storica, per quanto difficile, con estrema delicatezza e con il dovuto rispetto per le vittime, ma in totale libertà. E’ un peccato che ci siamo lasciati sfuggire entrambe le opportunità.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE).(ET) Signor Presidente, ho appoggiato l’adozione della risoluzione, frutto delle collaborazione tra quattro gruppi politici. Il documento è equilibrato e di esso si potrebbe dire “meglio tardi che mai”. In effetti è il massimo che possiamo fare insieme in quest’Aula nel nome della giustizia.

Ai nostri nonni e ai nostri genitori dobbiamo un messaggio parlamentare forte, ed è questo ciò che oggi abbiamo prodotto, ma è anche nostro obbligo evitare, usando i fondi a nostra disposizione, che tutto quello di cui abbiamo discusso si ripeta. Verità e memoria svolgono un ruolo importante al riguardo. Il nostro dovere è garantire il rispetto dei principi dello Stato di diritto.

 
  
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  Daniel Hannan (NI).(EN) Signor Presidente, questa risoluzione ricorda gli orrori del fascismo e del comunismo sovietico. Nessun europeo, nessun figlio della civiltà occidentale, nessun essere umano civilizzato può dirsi in disaccordo. Tuttavia, la risoluzione prosegue ponendo l’Unione europea come antidoto alternativo a tale totalitarismo. E leggo: “l’Unione europea ha una responsabilità particolare nel promuovere e salvaguardare la democrazia … sia all’interno che all’esterno del suo territorio”.

E’ qui, onorevoli colleghi, che si commette un errore grossolano. L’Unione europea non sta salvaguardando la democrazia né all’interno né all’esterno del suo territorio. All’esterno sta facendo affari con la Cuba di Castro e con gli ayatollah di Teheran invocando il diritto di vendere armi alla Cina comunista. A casa dichiara nulli i risultati dei referendum se vanno contro una maggiore integrazione.

Ovviamente occorre fare attenzione nello stabilire questi paralleli. Nessuno sta dicendo che l’Unione europea è un sistema sovietico che sequestra passaporti, gestisce gulag o mette in scena finti processi. Deve tuttavia preoccuparci non poco un sistema che afferma che l’ideologia vigente è troppo importante per essere subordinata al volere delle urne.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signor Presidente, è una soddisfazione vedere il nazionalsocialismo posto allo stesso livello del comunismo e incluso in una condanna generale dei regimi totalitari che hanno insanguinato il XX secolo godendo nondimeno di grande favore presso molti intellettuali, mai stati chiamati a farsi carico delle proprie responsabilità e molti dei quali rimasti tra le fila dei nostri personaggi di maggiore spicco.

E’ una soddisfazione vedere che una serie di emendamenti volti a contaminare il testo sono stati ritirati. Non ritengo però che sia possibile, per esempio, rendere sacrosanta la storia ufficiale di questo periodo oscuro del nostro passato o condannare le voci dissenzienti.

E’ veramente stupefacente che in Francia la legge Guessot di ispirazione comunista debba controllare ulteriormente il dibattito storico con la minaccia di pesanti sanzioni penali. Il nostro collega, Jacques Toubon, l’ha definita stalinista quando è stata adottata. Ebbene, il suo amico, il commissario per la giustizia Barrot, propone di estenderla a tutti i paesi dell’Unione che non la prevedono addirittura triplicando le sanzioni e le detenzioni di cui è corredata. Non è certo con metodi totalitari che si può combattere il totalitarismo.

 
  
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  Katrin Saks (PSE).(ET) Signor Presidente, penso di dover spiegare perché ho appoggiato la risoluzione diversamente da molti altri colleghi della mia fazione politica e, in particolare, perché ho sostenuto la versione che il mio gruppo ha affossato. Non sono d’accordo con l’affermazione retorica secondo cui si tratterebbe di un tentativo di riscrivere la storia. Gran parte della storia dell’Europa orientale non è scritta, o perlomeno pochi la conoscono, e si tratta proprio della parte che riguarda i crimini di matrice comunista.

Tanto meno posso sostenere l’approccio secondo cui dovremmo lasciare agli storici il compito di decidere ciò che è accaduto. Credo che sia invece un nostro obbligo morale e sono lieta che oggi la risoluzione sia stata adottata.

 
  
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  Syed Kamall (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la ringrazio per avermi offerto l’opportunità di spiegare il mio voto.

La risoluzione contiene due frasi che meritano maggiore attenzione. Nella prima si riconosce che il comunismo e il nazismo hanno un’eredità comune e si invoca un dibattito onesto e approfondito su tutti i crimini totalitari dello scorso secolo.

La seconda frase di rilievo è quella in cui si esorta a un dibattito accademico pubblico paneuropeo sulla natura, la storia e il lascito dei regimi totalitari sulla base di un quadro giuridico internazionale.

Mi chiedo se un siffatto dibattito sia realmente necessario. E’ abbastanza chiaro qual è il nesso tra il socialismo sovietico e il nazionalsocialismo. L’indizio è contenuto nella frase stessa e la risposta è il “socialismo”.

Quando i socialisti tentano di vietare a un parlamentare di presiedere la prima sessione del prossimo Parlamento, poco importa quanto spregevoli siano le loro idee, si tratta di un attacco alla libertà di parola. Nel momento in cui il governo socialista britannico si rifiuta di tener fede al suo impegno programmatico di indire un referendum sul trattato di Lisbona, compie un atto di intolleranza. Attenzione che non sia un primo passo verso il totalitarismo.

 
  
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  Mario Borghezio (UEN). – Signor Presidente, il totalitarismo sovietico non ha solo imprigionato le persone. Purtroppo ha imprigionato anche la storia e i suoi documenti. Milioni di pagine di storia sono state tenute nascoste negli archivi segreti e tuttora di Mosca. Treni interi di documenti hanno trasferito milioni di documenti storici, in parte sottratti ai tedeschi ma in gran parte depredati direttamente o, come in Italia, attraverso i partigiani comunisti.

Noi vorremmo che la nostra storia potesse essere accessibile. L’Europa deve chiederlo, deve ottenerlo. Documenti non consultabili: per esempio, sull’olocausto dei prigionieri militari italiani, sottoposti a tentativi di lavaggio del cervello, tenuti senza cibo, molto peggio che nei campi nazisti, morti fra mille sofferenze e sotto le torture, anche psicologiche, degli agit-prop comunisti sovietici ma purtroppo anche comunisti italiani.

 
  
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  Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE).(EL) Signor Presidente, il gruppo Nuova Democrazia, appartenente al PPE-DE, condanna recisamente qualunque forma di totalitarismo e, nel contempo, sottolinea l’importanza di ricordare il passato. Questo è un elemento importante della nostra storia. Riteniamo però che le decisioni maggioritarie del Parlamento non possano interpretare fatti storici. La valutazione dei fatti storici è infatti compito degli storici e soltanto loro. Per questo abbiamo deciso di astenerci dal voto sulla proposta di risoluzione comune formulata dai quattro gruppi politici, incluso il PPE-DE, sulla coscienza europea e il totalitarismo.

 
  
  

– Proposta di risoluzione: RC-B6-0166/2009 (ruolo della cultura)

 
  
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  Daniel Hannan (NI).(EN) Signor Presidente, quest’Aula non ha nessun senso di auto-coscienza? Adottiamo una risoluzione che condanna il totalitarismo e pochi secondi dopo adottiamo una risoluzione nella quale si esorta Bruxelles a finanziare la politica culturale nelle regioni.

Onorevoli colleghi, non si può creare cultura con un fiat burocratico. La cultura cresce organicamente, si sviluppa naturalmente negli individui e, così facendo, la relazione dimostra esattamente la carenza strutturale che caratterizza il progetto europeo. Le istituzioni di Bruxelles non sono radicate in alcun paese, in alcun demos, in alcuna unità culturale. Nondimeno, anziché accettarlo e cercare di adeguare le nostre istituzioni all’opinione pubblica, cerchiamo di piegare l’opinione pubblica alle nostre istituzioni preesistenti.

Se realmente vogliamo conquistare l’opinione pubblica, non possiamo farlo sovvenzionando danze folcloristiche. Per farlo, dobbiamo trattare con rispetto le sue opinioni e ciò significa – come avrete notato oggi non l’avevo ancora detto – mettere ai voti il trattato di Lisbona. Pactio Olisipiensis censenda est!

 
  
  

- Relazione Onyszkiewicz (A6-0140/2009)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione. Vi sono tuttavia due aspetti importanti citati nel documento sui quali vorrei appuntare per un attimo l’attenzione per precisare la mia posizione in merito.

All’inizio del suo mandato, il presidente Medvedev si era impegnato pubblicamente a rafforzare lo Stato di diritto in Russia e aveva manifestato preoccupazioni circa l’indipendenza del sistema giudiziario e dell’ordinamento giuridico del paese. Tale elemento è sottolineato nella nostra risoluzione, e io sono a favore di tale posizione. E’ tempo di agire. E’ tempo di dimostrare che le parole del presidente non erano mera retorica che la comunità internazionale voleva sentire.

Nella nostra risoluzione abbiamo anche espresso preoccupazioni circa il governo russo e la sua decisione di riconoscere Abkhazia e Ossezia meridionale come Stati sovrani, firmare accordi di cooperazione e assistenza militare con le autorità de facto delle due province e stabilirvi basi militari. Tali passi compromettono l’integrità territoriale della Georgia, come ribadito nelle corrispondenti risoluzioni delle Nazioni Unite. Dovremmo pertanto esortare nuovamente la Russia a revocare la propria decisione e affermare che la Russia non può essere considerata un moderatore imparziale nel processo di pace.

 
  
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  David Sumberg (PPE-DE).(EN) Signor Presidente, la ringrazio infinitamente per avermi chiamato e mi scuso per non essere stato presente quando ha fatto il mio nome poco fa. E’ gentile da parte sua passarmi la parola adesso.

Volevo soltanto cogliere l’opportunità di questa votazione, in merito alla quale mi sono dichiarato favorevole, per formulare un monito sul potere crescente dell’Unione sovietica e l’atmosfera che caratterizza il paese.

Tutti avevamo grandi speranze quando il comunismo è caduto, ma in varie regioni dell’ex Unione sovietica e, soprattutto, in Russia ora impera un clima di paura, un clima di nazionalismo, un clima che, mi dispiace, è inaccettabile. Benché l’Unione europea debba intrattenere relazioni con il governo russo, occorre ricordare a ogni occasione a quel governo la nostra richiesta che prevalgano sempre uno Stato e un ethos democratici. L’Unione europea non è disposta ad accettare tentativi di censura di opinioni invise al governo né pressioni esercitate sui politici. Sono punti fermi che dobbiamo sempre ribadire con estrema chiarezza.

 
  
  

- Relazione Ries (A6-0089/2009)

 
  
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  Brigitte Fouré (PPE-DE).(FR) Signor Presidente, ho votato a favore della relazione Ries sulle preoccupazioni per la salute connesse ai campi elettromagnetici.

Se è vero che i campi elettromagnetici si generano naturalmente, la domanda di elettricità e specialmente lo sviluppo delle tecnologie wireless hanno condotto a un rapido aumento delle onde elettromagnetiche alle quali siamo esposti. Dobbiamo pertanto essere vigili e il Parlamento europeo se ne è reso perfettamente conto.

In quanto rappresentante di una circoscrizione nord-occidentale della Francia, posso confermare la minaccia costituita da alcune linee ad altissima tensione installate in tale circoscrizione, in prossimità di scuole e strutture ospedaliere, soprattutto quelle del dipartimento della Manica, dove lavoratori e residenti locali sono molto esposti alle onde emesse.

Poiché gli studiosi non sono concordi circa le conseguenze dei campi elettromagnetici sulla salute dei nostri concittadini, abbiamo l’obbligo di essere responsabili e applicare il principio di precauzione. Le soglie dovrebbero dunque essere regolarmente aggiornate per garantire al pubblico un adeguato livello di protezione.

L’intento del Parlamento europeo era richiamare l’attenzione della Commissione sul tema, che legittimamente preoccupa il pubblico. L’Unione ha il dovere di fare di più al riguardo elaborando una politica chiaramente definita nel campo delle onde elettromagnetiche, fornendo maggiori informazioni in proposito al pubblico e adottando una legislazione comunitaria vincolante.

 
  
  

- Relazione Schmitt (A6-0124/2009)

 
  
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  Tomáš Zatloukal (PPE-DE). (CS) Signor Presidente, uno degli obiettivi fissati a Lisbona nel 2000 era una società basata sulla conoscenza. Per quanto ora si sappia che dovremo ridimensionare i nostri obiettivi o, piuttosto, che li raggiungeremo successivamente, non dobbiamo ridurre l’impegno per conseguirli. Anch’io ho pertanto appoggiato la relazione Schmitt, che tenta di identificare i potenziali problemi da affrontare nel campo dell’istruzione. L’istruzione, infatti, è nella maggior parte dei casi il fondamento per conseguire un obiettivo. I livelli di istruzione influiscono direttamente sulle opportunità di occupazione dei giovani e, dunque, sulla loro integrazione sociale. Nonostante la crisi economica attuale, non dobbiamo lasciare che questo potenziale vada sprecato.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE).(ET) Signor Presidente, anch’io ho votato a favore della relazione perché il tema è estremamente importante. In tale ambito permangono molti problemi. Non possiamo restare inerti a guardare mentre almeno sei milioni di studenti abbandonano le scuole europee ogni anno. Che cosa significa questo per loro? Significa fallire nelle future prospettive di vita.

A questo livello la scuola del XXI secolo può essere d’aiuto, una scuola caratterizzata da un clima sociale favorevole, l’uso di metodi pedagogici diversi, apertura e flessibilità, l’incoraggiamento della pratica dell’apprendimento permanente.

L’Europa sta invecchiando. Non siamo abbastanza ricchi per poterci permettere di rinviare la soluzione di questo problema. Tutti i bambini devono ricevere un’istruzione che offra loro pari opportunità nel mondo in cui oggi viviamo. I nostri giovani devono poter competere, e non solo, perché una politica in materia di istruzione deve anche contribuire allo sviluppo dell’identità di ciascuno.

 
  
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  Frank Vanhecke (NI).(NL) Signor Presidente, vorrei ringraziare gli interpreti per la loro disponibilità a garantire il servizio oltre l’orario di lavoro prestabilito. Tutto ciò che volevo aggiungere è che ho votato empaticamente contro la relazione Schmitt, non da ultimo perché l’istruzione, a mio parere, è uno degli ambiti che dovrebbe restare di competenza degli Stati membri poiché non può definirsi realmente una preoccupazione europea. E questo è un punto fondamentale.

Vorrei tuttavia formulare altre obiezioni nei confronti della relazione come, per esempio, il fatto che essa si basa sull’idea che i sistemi di istruzione nei vari paesi dell’Unione debbano semplicemente adeguarsi alla presenza di immigranti non europei anziché viceversa. Non riesco a capire come questa posizione possa rientrare in un’ottica di integrazione e tanto meno di promozione dell’assimilazione, visto che l’esito sarebbe l’esatto contrario. La relazione, come sempre, contiene anche il paragrafo ormai obbligatorio sui rom, naturalmente senza domandarsi chi di fatto sia responsabile di cosa, affermando altresì che gli Stati membri devono garantire ai figli degli immigranti l’insegnamento nella propria lingua madre e che il personale docente rispecchi espressamente la società multiculturale. Mi perdonerete per questa mia conclusione, ma ritengo che si tratti di una relazione politically correct che crea più problemi di quanti ne risolva.

 
  
 

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

- Relazione Parish (A6-0141/2009)

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Esprimo il mio voto favorevole in merito alla relazione del collega Parish, sulla proposta di decisione del Consiglio recante rettifica della direttiva 2008/73/CE del Consiglio che semplifica le procedure di redazione degli elenchi e di diffusione dell’informazione in campo veterinario e zootecnico.

 
  
  

- Relazione Niebler (A6-0128/2009)

 
  
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  Nicolae Vlad Popa (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione concernente le statistiche comunitarie sulla società dell’informazione in quanto le tecnologie di informazione e comunicazione offrono un apporto importante alla produttività dell’Unione europea e alla crescita del PIL.

Lo scopo di tale regolamento è garantire la prosecuzione del quadro comune esistente per produrre sistematicamente statistiche comunitarie sulla società dell’informazione che siano affidabili, armonizzate, puntuali e di alta qualità, nonché fornire statistiche annuali sull’uso delle TIC da parte di imprese e nuclei familiari.

Sono a favore delle disposizioni volte a semplificare gli iter amministrativi che autorità pubbliche (comunitarie o nazionali) e privati sono chiamati a espletare.

Ritengo che vi sia una necessità costante a livello europeo di fornire ogni anno statistiche coerenti sulla società dell’informazione.

Appoggio l’attuazione della strategia i2010 perché promuove un’economia digitale aperta e competitiva e sottolinea il ruolo fondamentale svolto dalle TIC in termini di inclusione e qualità della vita.

Tale strategia è considerata un elemento essenziale del rinnovato partenariato di Lisbona per la crescita e la creazione di posti di lavoro.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Voto favorevolmente la relazione della collega Niebler, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 808/2004 relativo alle statistiche comunitarie sulla società dell’informazione.

Considero fondamentali gli emendamenti presentati, perché utili all’elaborazione di statistiche comunitarie sulla società dell’informazione armonizzate, affidabili, tempestive e di elevata qualità.

 
  
  

- Relazione Glattfelder (A6-0122/2009)

 
  
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  Bogusław Liberadzki (PSE), per iscritto. – (PL) Ho votato per l’adozione della relazione sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera recante modifica dell’allegato 11 dell’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera sul commercio di prodotti agricoli.

Concordo con le osservazioni formulate dal relatore in merito all’ulteriore integrazione di ambedue i mercati. L’accordo contribuirebbe a migliorare la produttività dei settori agricoli dei due partner, nonché a portare i prezzi dei prodotti alimentari a un livello equo e relativamente stabile per i cittadini.

Nondimeno, concordo con l’idea che entrambi i partner debbano negoziare con cautela verso la piena liberazione degli scambi commerciali. Il volume del commercio bilaterale è notevole e l’abolizione delle barriere commerciali comporterebbe un impatto notevole, specialmente sull’economia agricola dei paesi dell’Unione confinanti con la Svizzera e sugli agricoltori svizzeri.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Esprimo il mio voto favorevole alla relazione del collega Glattfelder, sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera recante modifica dell’allegato 11 dell’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera sul commercio di prodotti agricoli.

 
  
  

- Relazione Varvitsiotis (A6-0147/2009)

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Voto a favore della relazione presentata dal collega Varvitsiotis sul reciproco riconoscimento delle misure cautelari. Ritengo, infatti, che la custodia cautelare debba essere considerata una misura eccezionale che debba essere attentamente soppesata rispetto al diritto di libertà e alla presunzione di non colpevolezza.

Purtroppo, mi trovo d’accordo con il relatore quando afferma che finora non è stato tuttavia possibile riconoscere misure alternative alla custodia cautelare al di là delle frontiere, poiché non esiste uno strumento specifico di riconoscimento reciproco, un aspetto che ostacola la tutela giudiziaria dei diritti individuali. Questo é un aspetto che va necessariamente ridiscusso.

 
  
  

- Relazione Jöns (A6-0116/2009)

 
  
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  Călin Cătălin Chiriţă (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Jöns perché sono d’accordo con l’ampliamento dei tipi di costi ammissibili per un contributo del Fondo sociale europeo.

Ritengo che gli emendamenti proposti nella relazione consentiranno un’esecuzione più rapida del Fondo e semplificheranno la gestione, l’amministrazione e il controllo delle operazioni che usufruiscono di suoi cofinanziamenti.

Vorrei sottolineare la necessità di snellire gli iter per quanto concerne lo stanziamento di risorse finanziarie attraverso i fondi strutturali.

E’ stato notato che i ritardi accusati nell’attuazione della politica di sviluppo regionale sono dovuti in parte a procedure eccessivamente restrittive imposte dalla legislazione europea. E’ fondamentale che queste vengano infine semplificate.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. − (EN) Sono favorevole al presente regolamento che consentirà un accesso più rapido ed efficiente ai fondi europei per evitare la disoccupazione e combattere l’esclusione sociale durante la crisi.

Lo scopo della proposta è aggiungere un ulteriore metodo, più semplice, per spendere il Fondo sociale europeo in maniera che il contributo da esso offerto per affrontare le sfide economiche e sociali con le quali l’Europa è chiamata a confrontarsi in tempi di crisi sia più rapido ed efficace. La proposta si limita all’introduzione di una semplificazione nelle operazioni del Fondo sociale europeo per incoraggiare l’utilizzo effettivo, efficace e rapido delle risorse disponibili senza compromettere i principi di una sana gestione finanziaria.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Esprimo il mio voto favorevole in merito al lavoro svolto dalla collega Jöns sui nuovi tipi di costi che possono beneficiare di un contributo del FSE. Sono d’accordo con la proposta della Commissione, che mira a introdurre un metodo aggiuntivo, più semplice, per utilizzare gli stanziamenti del Fondo sociale europeo, affinché la sua capacità di reazione alle difficoltà economiche e sociali con cui l’Europa si confronta sia più rapida ed efficace. Inoltre, mi compiaccio del fatto che l’FSE continuerà a sostenere azioni intese ad ampliare e a migliorare gli investimenti nel capitale umano, soprattutto potenziando i sistemi d’istruzione e di formazione, e azioni finalizzate a sviluppare la capacità istituzionale e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni a livello nazionale, regionale e locale.

 
  
  

- Relazione García Pérez (A6-0127/2009)

 
  
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  Šarūnas Birutis (ALDE), per iscritto. – (EN) Il Parlamento europeo accoglie con favore il tempestivo intervento della Commissione nel proporre gli emendamenti per tale legislazione, che sicuramente contribuirà al superamento dell’impatto negativo dell’imprevista crisi finanziaria, pur rammaricandosi per il fatto che non si prevedano altri importanti emendamenti.

Il pacchetto di emendamenti è stato percepito come una risposta a una situazione di crisi temporanea, ma estremamente critica. Nondimeno, esso soddisfa completamente la richiesta di maggiore semplificazione delle procedure e di un’applicazione più flessibile delle norme esistenti secondo i regolamenti dei fondi strutturali, come ripetutamente proposto dal Parlamento europeo negli ultimi anni.

Se le quote di fondi nazionali e comunitari potessero essere distribuite con maggiore flessibilità nell’arco dell’intero periodo di programmazione, un afflusso di denaro verrebbe immediatamente convogliato verso le economie nazionali, il che sarebbe fondamentale per reagire alle attuali limitazioni di bilancio.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Dopo aver attentamente letto la raccomandazione di Garcia Perez concernente le disposizioni relative alla gestione finanziaria di FESR, FSE e Fondo di coesione. Non penso che la l’economia europea possa ricevere una seria spinta dalla pubblicazione da parte della Commissione Europea di una comunicazione dal titolo "Un piano europeo di ripresa economica", contenente una serie di misure specifiche tese a stimolare gli investimenti e a stanziare fondi pubblici supplementari alle economie nazionali, chiamate a far fronte a gravi restrizioni di bilancio.

 
  
  

- Relazione Takkula (A6-0125/2009)

 
  
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  Adam Bielan (UEN), per iscritto. – (PL) La relazione dell’onorevole Takkula solleva un importante problema sociale. Penso che dovremmo semplificare per i bambini provenienti da paesi terzi l’accesso a un’istruzione nella lingua del paese in cui risiedono in maniera da garantire loro la parità di accesso a qualifiche terziarie. E’ il primo passo fondamentale verso la piena integrazione nella società.

 
  
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  Šarūnas Birutis (ALDE), per iscritto. –(LT) Nel tentativo di promuovere l’integrazione dei migranti, è particolarmente importante sostenere maggiormente i corsi di lingua. L’integrazione è un processo bilaterale al quale concorrono il migrante e il paese che lo ospita. La disponibilità dei migranti ad apprendere la lingua del paese ospite e acquisire padronanza della sua lingua non significa che stiano rinunciando alla lingua o alla cultura del paese di origine.

L’apprendimento delle lingue (sia del paese di nascita sia di quello di residenza) deve essere promosso molto precocemente, addirittura prima della scuola primaria, soprattutto nell’intento di incoraggiare migranti e minoranze nazionali come i rom a diventare parte della società europea.

L’apprendimento permanente è importante per i migranti, le minoranze etniche e i gruppi socioeconomicamente sfavoriti, in quanto si tratta di un processo di integrazione, e la partecipazione a programmi di studio e apprendimento permanente offre opportunità agli immigranti appena giunti.

Particolare attenzione va infine prestata ai risultati generalmente scarsi delle attività dei migranti, delle minoranze etniche e dei gruppi socioeconomicamente sfavoriti, e quanto prima e meglio si integrano nelle scuole, tanto migliori sono gli esiti da loro conseguiti, sia a livello scolastico sia nella prosecuzione degli studi e sul mercato del lavoro.

 
  
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  Catherine Boursier (PSE), per iscritto. – (FR) Ogni bambino ha diritto all’istruzione. L’integrazione dei migranti, siano essi residenti legalmente o illegalmente, è una priorità per noi socialisti. Non accettiamo la gerarchia che la destra parlamentare intende creare tra i migranti. Per questo mi sono astenuta alla votazione sull’eccellente relazione dell’onorevole Takkula concernente l’istruzione dei figli dei migranti. L’ho fatto perché, essendo una relazione di propria iniziativa, non era possibile per noi procedere alla votazione per parti separate e chiedere l’eliminazione dei paragrafi 5, 8 e 16, che trovo del tutto insoddisfacenti.

Istruendo i figli dei migranti offriremo un apporto importante all’integrazione di tutti, indipendentemente dallo stato. Introducendo condizioni socioeconomiche favorevoli saremo in grado di offrire maggiore assistenza ai migranti, a prescindere dal fatto che risiedano legalmente in Europa, siano in procinto di ottenere una residenza legale o vengano infine rimpatriati nel paese di origine. Non dobbiamo creare per questi bambini una situazione in cui non sono istruiti e vengono invece ghettizzati unicamente perché i loro genitori risiedono illegalmente. Tutto ciò è semplicemente contrario alle convenzioni internazionali.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto. − (SV) “Il contenuto e l’organizzazione dell’istruzione e della formazione sono aspetti di competenza nazionale”. Questo afferma uno dei primi paragrafi della relazione di propria iniziativa dell’onorevole Takkula concernente l’istruzione dei figli dei migranti. Tuttavia, tra non molto discuteremo cosa includere nei programmi di studio, quale tipo di formazione degli insegnanti va ipotizzata e quali Stati membri devono farlo per “coinvolgere i giovani migranti in un’ampia serie di attività extracurricolari”. Sebbene sia importante garantire che tutti i bambini, compresi i figli dei migranti, ricevano la migliore istruzione possibile, mi chiedo se tale ambito debba veramente essere affrontato a livello di Unione e penso che la risposta stia nel paragrafo prima citato. Voto a favore di un’Unione meno invadente e più mirata. Per questo ho votato contro la presente relazione di iniziativa, anche se ritengo che tratti un tema estremamente importante che dobbiamo approfondire maggiormente a livello nazionale.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. − (EN) Ho scelto l’astensione in merito alla relazione in risposta ai nostri colleghi democristiani e conservatori che hanno bloccato l’emendamento orale con il quale si sarebbe chiarito che il diritto all’istruzione si estende a tutti i figli dei migranti, indipendentemente dal fatto che i loro genitori si trovino legalmente o meno nell’Unione.

Ci opponiamo con fermezza e giustamente al concetto che si puniscano i figli per i peccati dei genitori, un’idea che ora pare accettabile per l’Europa.

Non posso che restare ammirato dall’ipocrisia opportunistica dei colleghi conservatori.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Vorremmo nuovamente sottolineare che nell’odierna Unione gli Stati membri sono gli unici responsabili dell’organizzazione dell’insegnamento.

Il progetto di dichiarazione contiene una serie di idee valide, ma, con il dovuto rispetto per il tema in discussione, siamo del parere che la presente relazione esuli dalle competenze dell’Unione europea. Il principio di sussidiarietà impone che l’argomento sia trattato dai soli Stati membri.

In ossequio a tale principio, inoltre, la commissione parlamentare per la cultura e l’istruzione dovrebbe essere abolita perché si occupa di temi che non rientrano tra le competenze comunitarie.

Per questi motivi abbiamo votato contro la relazione.

 
  
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  Malcolm Harbour (PPE-DE), per iscritto. − (EN) I miei colleghi conservatori britannici e io siamo a favore di una serie di suggerimenti formulati nella relazione, tra cui quelli riguardanti la formazione degli insegnanti e l’apprendimento della lingua del paese ospite da parte degli allievi.

Riteniamo tuttavia che la politica in materia di istruzione sia e debba restare appannaggio degli Stati membri e che qualunque provvedimento e miglioramento concernente l’istruzione dei figli dei migranti debba essere sviluppato da loro. Per questi motivi ci siamo astenuti.

 
  
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  Jens Holm, Søren Bo Søndergaard ed Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Appoggiamo incondizionatamente le nozioni di antidiscriminazione e parità di accesso e crediamo fermamente nella creazione di sistemi scolastici inclusivi e scuole inclusive. Riteniamo che vadano intraprese azioni per assistere tutti gli alunni vulnerabili. Siamo però persuasi che gli Stati membri siano i più idonei a garantire una scolarizzazione accessibile e inclusiva sia ai propri cittadini sia ai residenti. Crediamo infatti che sia possibile garantire il controllo democratico del sistema scolastico da parte dei cittadini, quei cittadini che il sistema è chiamato a servire, soltanto se la politica in materia di istruzione è formulata e attuata dagli Stati membri.

 
  
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  Anne E. Jensen e Karin Riis-Jørgensen (ALDE), per iscritto. − (DA) Abbiamo votato a favore della relazione concernente l’istruzione dei figli dei migranti in quanto affronta un problema importante e di attualità. Tuttavia, entrambi riteniamo che debbano essere gli Stati membri a decidere in che misura insegnare una lingua madre. In Danimarca, la decisione è lasciata ai comuni e crediamo che tale scelta vada rispettata.

Pensiamo che per i bambini sia importante in primo luogo acquisire la padronanza della lingua del paese ospite in maniera che successivamente non venga preclusa loro la possibilità di proseguire gli studi e conquistarsi una posizione sul mercato del lavoro.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Per anni le forze nazionaliste e patriottiche dell’Unione europea hanno lanciato moniti sulle conseguenze di un’immigrazione di massa senza controllo. Concentrazioni di stranieri del 20, 50 o persino del 90 per cento dimostrano che la visione multiculturale è fallita. Gli esperimenti scolastici con classi formate esclusivamente da stranieri si sono dimostrati infruttuosi e anche i corsi di lingua intensivi hanno i loro limiti se i genitori non sostengono i figli. In Austria, si offrono corsi di lingua ai genitori da anni, ma anche in questo caso il livello di successo lascia molto a desiderare. La disposizione verso l’istruzione è un qualcosa che viene trasmesso di generazione e in generazione e se i genitori considerano inutile l’istruzione, ci scontriamo contro un muro insormontabile, come è stato dimostrato in Francia.

L’unica soluzione consiste nell’immigrazione zero o nell’immigrazione negativa, ponendo fine al ricongiungimento con gli immigranti già in loco, e la disponibilità all’integrazione deve essere alla fine un’esigenza. La soluzione proposta per l’Unione europea, ossia l’inserimento di un maggior numero di insegnanti proventi da contesti di immigrazione nelle scuole, è scollata dalla realtà ed è per questo che ho votato contro la relazione.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE-DE), per iscritto. – (RO) La presente relazione offrirà un preziosissimo contributo per risolvere il grave problema riguardante i figli dei cittadini europei che vivono e lavorano in Stati membri diversi dal proprio paese di origine. Molti figli di immigranti rumeni, per esempio, hanno difficoltà al riguardo. E’ importante per loro avere all’accesso a un’istruzione della lingua del paese ospite per agevolare l’integrazione tanto quanto garantire che ricevano anche istruzioni nella propria lingua madre, specialmente partendo dal presupposto che potrebbero fare ritorno nel proprio paese di origine. In questo preciso momento, per esempio, la Romania sta vivendo un’esperienza che rispecchia quanto ho appena descritto. Molti alunni rumeni, figli di emigranti che sono andati in Spagna o Italia, stanno facendo ritorno in patria e vengono iscritti dalle famiglie a scuole rumene. E’ nell’interesse di questi bambini e del loro futuro che vengano reintegrati senza alcun problema derivante dal mutato contesto scolastico. La Romania non è affatto un caso isolato. Altri Stati membri dell’Europa orientale si sono confrontati o si stanno ancora confrontando con lo stesso fenomeno, che rende indispensabile l’attuazione quanto prima delle proposte contenute nella presente relazione.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il partito comunista greco ha votato contro la relazione. L’Unione europea degli interventi imperialisti, dello sfruttamento neocolonialista, della caccia all’immigrante, degli attacchi ai diritti democratici, sociali e occupazionali dei suoi lavoratori non può applicare un’integrazione sociale paritaria degli immigranti, che comporta anche l’offerta paritaria di istruzione ai loro figli.

L’istruzione dei figli dei migranti non esula della politica generale di immigrazione dell’Unione, una politica caratterizzata da misure dure contro coloro che non sono richiesti dalle grandi aziende e che definisce immigrazione illegale la legalizzazione e l’integrazione selettiva nel mondo del lavoro, ovviamente a condizioni molto meno favorevoli, degli immigranti che rispondono alle necessità dei monopoli. E’ tipico e inaccettabile che la relazione faccia riferimento unicamente ai figli degli immigranti legali. Proprio come i parenti migranti sono le prime vittime dello sfruttamento classista, così i loro figli sono anch’essi vittime della discriminazione di classe nell’istruzione. Le statistiche sulle percentuali di abbandono scolastico degli immigranti ai livelli superiori di istruzione non hanno bisogno di ulteriori commenti. Nell’anno accademico 2004-2005, la percentuale di immigranti nella scuola dell’obbligo corrispondeva al 10,3 per cento di tutti i bambini, mentre nella scuola media superiore raggiunge appena il 4 per cento.

Gli immigranti devono combattere contro lo sfruttamento e le barriere di classe che si frappongono alla loro istruzione insieme ai lavoratori locali attraverso il movimento di classe dei lavoratori.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Decido di astenermi dal votare la relazione di Hannu Takkula sull’istruzione per i figli dei migranti. Non penso, infatti, che ci siano i presupposti per poter votare positivamente o negativamente il lavoro del collega.

 
  
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  Martine Roure (PSE), per iscritto. – (FR) Ogni bambino ha diritto all’istruzione. L’integrazione dei migranti, siano essi residenti legalmente o illegalmente, è una priorità per noi socialisti. Non accettiamo la gerarchia che la destra parlamentare intende creare tra i migranti. Per questo mi sono astenuta alla votazione sull’eccellente relazione dell’onorevole Takkula concernente l’istruzione dei figli dei migranti. L’ho fatto perché, essendo una relazione di propria iniziativa, non era possibile per noi procedere alla votazione per parti separate e chiedere l’eliminazione dei paragrafi 5, 8 e 16, che trovo del tutto insoddisfacenti.

Istruendo i figli dei migranti offriremo un apporto importante all’integrazione di tutti, indipendentemente dallo stato. Introducendo condizioni socioeconomiche favorevoli saremo in grado di offrire maggiore assistenza ai migranti, a prescindere dal fatto che risiedano legalmente in Europa, siano in procinto di ottenere una residenza legale o vengano infine rimpatriati nel paese di origine. Non dobbiamo creare per questi bambini una situazione in cui non sono istruiti e vengono invece ghettizzati unicamente perché i loro genitori risiedono illegalmente. Tutto ciò è semplicemente contrario alle convenzioni internazionali.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Anche se ritengo che nel complesso la risoluzione sia positiva, vorrei formulare una serie di osservazioni su alcuni aspetti molto seri.

In primo luogo, deploro il fatto che la risoluzione non faccia menzione in tale ambito dell’anno internazionale dei diritti dell’uomo dichiarato dalle Nazioni Unite.

Noto inoltre nella risoluzione un’ulteriore tendenza politica pericolosa nel quadro della politica europea, che porta ad allontanare i bambini dal loro ambiente naturale, vale a dire dalle loro famiglie di origine. La famiglia è il luogo più naturale per lo sviluppo di un bambino e così sarà sempre. La madre e il padre sono le figure più importanti per un figlio. Ciò vale anche per le famiglie più povere e quelle immigranti. Anziché strappare i figli alle loro famiglie, dovremmo pensare come sostenere genitori e famiglie nelle loro reciproche responsabilità.

Concludo rammaricandomi per il fatto che la relazione tace del tutto sul ruolo dei padri. Anche nelle famiglie degli immigranti madri e padri sono figure differenti, ma complementari. Non dovremmo supportare le madri senza fare altrettanto per i padri.

Vorrei infatti ricordare la dichiarazione universale dei diritti umani, che esplicitamente presuppone il diritto del bambino di vivere in una famiglia e il diritto dei genitori di scegliere l’istruzione che ritengono giusta per il proprio figlio.

Anche le famiglie degli immigranti hanno tale diritto.

 
  
  

- Relazione Vãlean (A6-0186/2009)

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE-DE), per iscritto. − Nonostante il raggiungimento di alcune posizioni di compromesso tra i vari gruppi politici in sede di commissione LIBE su molti punti chiave della relazione Vălean, e ferma restando la convinzione e posizione politica, che esprimo a nome del gruppo PPE-DE in quanto relatore ombra della relazione, che la libera circolazione dei cittadini comunitari sia un diritto fondamentale dell’UE, tuttavia il testo finale della relazione contiene una serie di riferimenti inappropriati, riportati in alcune note a piè pagina del "considerando" S, che ci costringono, come delegazione italiana del PPE-DE, a votare contro la relazione in Aula, a causa del voto unico in blocco previsto per questo tipo di relazione.

I riferimenti che sono contenuti nella relazione sono ritenuti dalla Delegazione italiana del PPE-DE inopportuni ed assolutamente fuori contesto, in quanto si riferiscono a tematiche che esulano dal campo di applicazione della direttiva, trattandosi di questioni di competenza degli Stati membri, quali pubblica sicurezza, legalità e diritto di famiglia.

 
  
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  Philip Claeys (NI) , per iscritto. − (NL) Ho votato contro la relazione perché direttive di questo genere compromettono la capacità degli Stati membri di avere il controllo dei propri territori e adottare misure appropriate per mantenere la legge e l’ordine. Viene in mente l’esempio dell’Italia, pesantemente criticata sulla base di tale direttiva perché si è ritenuto che volesse adottare misure rigide per mantenere la legge e l’ordine. Ma viene anche in mente la sentenza Metock della Corte di giustizia che, forte di questa direttiva, mina le politiche di immigrazione degli Stati membri. Penso infine al Belgio, visto che continua naturalizzare immigranti sulla base della normativa in materia di nazionalizzazione più lassista del mondo con il risultato che quegli immigranti sono poi completamente liberi di attraversare le frontiere europee.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La Lista di giugno sostiene il libero mercato interno, che non solo ci ha portato prosperità economica, ma ha anche ampliato la libertà dei nostri cittadini consentendo loro di muoversi liberamente da un paese all’altro entro i confini europei. Condividiamo la visione della relatrice secondo cui un recepimento non corretto della presente direttiva in alcuni Stati membri dovrebbe essere generalmente considerato deludente ed esortiamo gli Stati membri ad attuare la direttiva 2004/38/CE nella sua interezza in maniera che il diritto alla libera circolazione possa diventare realtà.

Ci opponiamo tuttavia a qualunque incremento dei fondi o stanziamento a una specifica linea di bilancio per finanziare progetti nazionali e locali volti a integrare cittadini e loro familiari durante la loro permanenza in un altro Stato membro. Tali ambiti sono di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro.

Detto questo, la posizione chiara della relazione in merito alla realizzazione del libero mercato interno ne compensa ampiamente gli aspetti negativi, ragion per cui abbiamo deciso di votare a suo favore.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho appoggiato la relazione Vãlean sui diritti dei cittadini dell’Unione. Il diritto dei cittadini dell’Unione e delle loro famiglie di spostarsi nell’Unione europea e risiedervi attiene alle libertà fondamentali ed è essenziale che tutti gli Stati membri applichino la legge senza discriminazioni. Essendo rappresentante della Scozia, so che l’Unione europea ha offerto innumerevoli opportunità agli scozzesi all’estero, mentre la Scozia ha accolto molti nuovi venuti che hanno svolto un ruolo prezioso nella nostra vita economica e culturale. In questo momento di crisi economica, è fondamentale che si riconoscano i benefici della libera circolazione e che le difficoltà economiche non vengano addotte come pretesto per una discriminazione.

 
  
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  Dan Jørgensen, Poul Rasmussen, Christel Schaldemose e Britta Thomsen (PSE), per iscritto. − (DA) Abbiamo votato contro la relazione sull’applicazione della direttiva in materia di residenza. Sebbene la relazione riguardi l’applicazione e l’attuazione della direttiva in materia di residenza, essa fa anche riferimento alla sentenza Metock, che consente agli stranieri privi del diritto legale di risiedere nell’Unione europea di ottenere un permesso di residenza attraverso il matrimonio e, dunque, di spostarsi nell’Unione europea con il proprio coniuge. Per quanto sostanzialmente favorevoli al proprio della libera circolazione dei cittadini dell’Unione, non riteniamo che coloro che sono entrati illegalmente in Europa debbano poter conquistare diritti attraverso il matrimonio.

 
  
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  Anne E. Jensen e Karin Riis-Jørgensen (ALDE), per iscritto. − (DA) Gli europarlamentari del partito liberale danese hanno votato contro la relazione. Siamo favorevoli alla libera circolazione dei lavoratori e riteniamo giusto garantire che gli Stati membri rispettino la direttiva. Siamo tuttavia contrari alla possibilità di legalizzare una residenza illegale attraverso il matrimonio con un lavoratore migrante, come si afferma nella sentenza Metock. Gli Stati membri, attraverso la loro amministrazione, devono disporre di una possibilità concreta di garantire che le norme relative alla libera circolazione non vengano sfruttate impropriamente per eludere la legislazione che disciplina la posizione degli stranieri.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Voto contro la relazione presentata dalla collega Vãlean inerente all’applicazione della direttiva 2004/38/CE sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri. Non mi trovo d’accordo sul punto in cui si afferma la richiesta, agli Stati membri, di adottare documenti personali d’identità dello stesso formato sia per i propri cittadini che per i cittadini dell’Unione provenienti dagli altri Stati membri, fatte salve le differenze rilevabili all’interno dei documenti. Trovo questa soluzione inutile e superficiale.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. – (PL) Alla luce dell’articolo 18 del Trattato CE, ogni cittadino ha il diritto di spostarsi e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri. La direttiva 2004/38/CE definisce dettagliatamente le possibilità legali di circolazione entro i confini dell’Unione europea da parte di cittadini, loro familiari stretti o partner legalmente comprovati.

La libera circolazione, però, non può considerarsi avulsa dai regolamenti riguardanti la libera circolazione dei lavoratori e la libertà di fornire servizi.

Come tutti sappiamo. Quattro Stati membri dell’Unione non hanno ancora aperto il proprio mercato del lavoro a lavoratori dei paesi che hanno aderito nel 2004 e ben 11 Stati membri dell’Unione continuano ad applicare restrizioni sul proprio mercato del lavoro nei confronti dei cittadini rumeni e bulgari.

Penso che tale situazione produca un effetto negativo, e non solo nel processo di integrazione. Dovremmo adoperarci per eliminare le barriere esistenti quanto prima.

Conformemente all’articolo 20 del trattato, ogni cittadino, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui è cittadino non è rappresentato, avrà il diritto di essere tutelato dalle autorità diplomatiche o consolari di uno Stato membro alle stesse condizioni applicate ai cittadini dello Stato in questione.

Le misure annunciate in merito al rafforzamento della tutela consolare nei paesi terzi devono essere attuate quanto prima, portando anche avanti i negoziati con i paesi terzi per quel che riguarda l’abolizione della necessità del visto.

 
  
  

- Relazione Gacek (A6-0182/2009)

 
  
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  Alin Lucian Antochi (PSE), per iscritto. – (RO) La relazione dell’onorevole Gacek mette in luce un aspetto importante: ampliando l’Unione europea, si è osservato un aumento notevole del numero di cittadini europei residenti al di fuori del proprio paese di origine in un contesto in cui la cittadinanza europea integra la cittadinanza degli Stati membri, a ciascuno dei quali spetta regolamentare tale aspetto.

Nonostante il coinvolgimento attivo dei cittadini nel promuovere proposte legislative per tentare di rendere il sistema legislativo comunitario più trasparente, gli europei devono ancora confrontarsi con una serie di problemi legati alla violazione e al mancato rispetto del diritto delle persone di spostarsi e risiedere dove desiderano nel territorio degli Stati membri. Le discrepanze notate tra gli Stati membri per quanto concerne la regolamentazione del visto obbligatorio o l’esercizio del diritto di voto sia nel paese di origine sia nel paese di adozione sollevano interrogativi in merito alla parità dei diritti tra tutti i cittadini europei.

Per questo ritengo che gli Stati membri debbano adottare tutti i provvedimenti necessari per recepire effettivamente le norme intese ad armonizzare i diritti dei cittadini europei. In questo caso specifico, dobbiamo ricordare che il punto di partenza è il partenariato, sia esso tra gli Stati membri e l’Unione o tra istituzioni regionali, locali e civili.

Da ultimo, ma non meno importante, gli Stati membri devono garantire a tutti i cittadini residenti in uno Stato membro diverso dal loro paese di provenienza il diritto di voto alle elezioni legislative.

 
  
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  Charlotte Cederschiöld (PPE-DE), per iscritto. − (SV) La delegazione dei conservatori svedesi al Parlamento europeo oggi ha votato a favore della relazione dell’onorevole Gacek (PPE-DE, PL) (A6–0182/2009) sui problemi e le prospettive concernenti la cittadinanza europea.

Condividiamo infatti l’idea generale della relazione di miglioramento della cittadinanza europea e della libera circolazione. Siamo tuttavia dell’avviso che la soluzione ai problemi che ne derivano consista nel condurre ulteriori campagne di informazione. Vorremmo inoltre sottolineare il fatto che la questione del diritto di voto alle elezioni comunali è una questione interna in merito alla quale spetta agli Stati membri decidere.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Sono stati intrapresi passi concreti per rendere la cittadinanza europea una realtà. Ciò andrà in particolare a favore dei migranti portoghesi in altri paesi comunitari che, in futuro, godranno di un’ampia serie di diritti e obblighi, tra cui la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato ospite.

Lo sviluppo più significativo è stato sicuramente l’adozione della direttiva sulla cittadinanza, che ha sancito un diritto incondizionato di residenza permanente per i cittadini europei e i loro familiari che abbiano vissuto nello Stato ospite per cinque anni.

Vi è ancora però molto da fare perché permangono ostacoli derivanti, nella maggior parte dei casi, da un’attuazione non corretta di tale direttiva da parte degli Stati membri.

Apprezzo dunque l’iniziativa della Commissione di pubblicare una guida alla direttiva in maniera che i diritti di cui i cittadini possono godere divengano accessibili non soltanto per i cittadini stessi, ma anche per le autorità locali e regionali degli Stati membri.

E’ fondamentale che i legami sociali e politici tra i cittadini dell’Unione continuino a essere rafforzati. Il trattato di Lisbona deve offrire un contributo notevole in tal senso, soprattutto attraverso la cosiddetta “iniziativa della cittadinanza”, che consentirà ai cittadini, in talune condizioni, di disporre di un diritto di iniziativa.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto. − (SV) Dobbiamo rafforzare la cittadinanza europea perché è il fondamento della libera circolazione. La presente relazione segnala una serie di ambiti in cui le opportunità dei cittadini di accedere ai vantaggi della libera circolazione nell’Unione europea potrebbero essere migliorate. Poiché l’abolizione delle frontiere e una maggiore mobilità costituiscono l’idea centrale dell’Unione europea, ho deciso di votare a favore della relazione, nonostante alcuni infelici riferimenti alla promozione dell’“identità europea” e all’introduzione di una “dimensione europea” nelle nostre scuole.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Sebbene contenga una serie di punti che ovviamente meritano il nostro accordo, nonché altri in relazione ai quali il meno che si possa dire è che sono “politically correct”, questa risoluzione del Parlamento europeo intitolata “Problemi e prospettive concernenti la cittadinanza europea” sarebbe risibile se non trattasse un argomento così serio. Per esempio, il Parlamento europeo:

- “plaude al fatto che il trattato di Lisbona garantisce a un milione di cittadini dell’Unione di diversi Stati membri la possibilità di invitare collettivamente la Commissione a presentare proposte legislative, e ritiene che un simile diritto giuridico accrescerà significativamente tra gli europei la consapevolezza della cittadinanza dell’Unione”;

- “ricorda che la trasparenza e la partecipazione democratica devono essere raggiunte attraverso varie forme di partenariato fra l’Unione europea e gli Stati membri, le istituzioni regionali e locali, le parti sociali e la società civile”.

Vi è infine tutta una tiritera che ci fa pensare che questa idea della “cittadinanza europea” sia ottima, sempre che si precluda ai cittadini la possibilità di decidere ciò che è realmente importante, soprattutto impedendo loro di votare in un referendum sul “trattato di Lisbona” o, se questo non dovesse essere possibile, obbligandoli a votare al numero di referendum necessario per arrivare finalmente a un “sì” …

Il non plus ultra dell’ipocrisia …

 
  
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  Jean-Marie Le Pen (NI), per iscritto. – (FR) La relazione dell’onorevole Gacek sulla cittadinanza europea è una vera e propria frode.

Camuffandola come rafforzamento della libertà di circolazione e residenza nell’Unione europea per i cittadini comunitari, essa infatti introduce una reale parità di trattamento tra questi ultimi e i cittadini di paesi terzi.

La relazione deliberatamente usa il termine generico di cittadinanza per accorpare in maniera del tutto illegittima i concetti di nazionalità di uno Stato membro e cittadinanza dell’Unione.

L’obiettivo, oltre al desiderio di creare confusione, è molto chiaro: estendere la possibilità di acquisire la nazionalità di uno Stato membro a tutte le persone legalmente residenti in quello Stato secondo il diritto derivante dalla cittadinanza dell’Unione. Per questo la relatrice introduce un nuovo concetto di migrante intracomunitario, specie in via di proliferazione. E’ vero che ora il Parlamento europeo è costituito da rappresentanti dei cittadini dell’Unione anziché dei popoli degli Stati. Questo è un grave attacco alla coesione e all’identità nazionale.

Attenzione, onorevoli colleghi: rappresentando cittadini indifferenziati dell’Unione europea, presto diventerete membri apolidi. In fondo, però, forse è proprio quello che volete.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione è un esercizio propagandistico delle forze politiche del “senso unico europeo” per persuadere la gente degli asseriti benefici dell’Unione europea. Promuovendo una cittadinanza europea artificiosa, essenzialmente inesistente, alla quale non è associato alcun diritto concreto, si cerca di coltivare l’idea del “cittadino europeo” e della “coscienza europea”. Il loro obiettivo è condurre i lavoratori, specialmente i giovani, lungo un fiorito sentiero ideologico. A tal fine, si investe in “partiti politici europei” e si esorta l’Unione europea a conferire loro maggiore sostegno politico e, soprattutto, economico in maniera che possano svolgere il proprio ruolo abbellendo e supportando l’Unione europea, disorientando e fuorviando con maggiore efficacia. Nel tentativo di affrontare la crescente ondata di opposizione alla politica contro la base dell’Unione europea, dello stesso costrutto euro-unificatore, si esorta l’Unione a intensificare la sua falsa propaganda e promuovere i vantaggi inesistenti della cittadinanza europea.

I lavoratori vivono quotidianamente le dolorose conseguenze del trattato di Maastricht e la politica contro la base dell’Unione. Partendo dalla loro esperienza essi possono giudicare che l’Unione non è stata costituita per servire i loro interessi, bensì per difendere e servire le necessità, gli interessi e i profitti dei monopoli europei.

Disobbedienza, opposizione e rottura con l’Unione sono la via per procedere nell’interesse del popolo. I lavoratori possono e devono trasmettere tale messaggio attraverso il loro voto alle elezioni europee di giugno.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Decido di votare negativamente il lavoro svolto dalla collega Gacek sui problemi e le prospettive della cittadinanza europea. Non ritengo, infatti, che bisogni esprimere troppa preoccupazione per la scarsa attuazione delle direttive in vigore, con particolare riferimento alla direttiva sulla libera circolazione, da cui derivano numerosi problemi relativi alla libertà di circolazione e ad altri diritti dei cittadini dell’Unione, poiché non credo che la situazione reale nella quale ci troviamo corrisponda al quadro descritto dalla collega.

 
  
  

- Relazione Markov (A6-0126/2009)

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Voto a favore della relazione presentata dal collega Markov sulle statistiche comunitarie del commercio estero con i paesi terzi. Penso che, per ottenere i risultati sperati, sia necessario ridurre il cosiddetto effetto Rotterdam, foriero, secondo la Commissione e il Consiglio, di una sovrarappresentazione nelle statistiche del commercio estero degli Stati membri che fanno rilevare un elevato volume di esportazioni o di sdoganamenti, ma che svolgono soltanto il ruolo di paesi di transito, a scapito degli Stati membri di destinazione effettiva o di spedizione delle merci.

 
  
  

- Relazione Doyle (A6-0048/2009)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Lo scopo della proposta è limitare l’esposizione dei consumatori alle sostanze farmacologicamente attive destinate all’uso nei prodotti medicinali veterinari per animali da produzione alimentare e loro residui in prodotti alimentari di origine animale, tra cui quelli importati da paesi terzi.

Dopo un lungo processo, si è formulato il testo della posizione comune, che rispecchia il compromesso cui si è giunti attraverso una negoziazione tra le tre istituzioni.

Gli elementi salienti del nuovo testo sono essenzialmente:

- punto di riferimento per l’intervento: ora definito come livello di un residuo di una sostanza farmacologicamente attiva, stabilito per motivi di controllo nel caso di talune sostanza per le quali non è stato fissato un limite massimo di residui conformemente al presente regolamento;

- importazione: gli Stati membri sono tenuti a vietare l’importazione e l’immissione sul mercato di prodotti alimentari di origine animale contenenti residui risultanti dalla somministrazione illegale di sostanze farmacologicamente attive non soggette a classificazione secondo il testo. Di conseguenza, nell’interesse dalla salute pubblica sarà proibita l’importazione da paesi terzi di prodotti alimentari contenenti residui derivanti dalla somministrazione illegale di sostanze il cui utilizzo è vietato nell’Unione europea.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Esprimo il mio voto contrario in merito alla relazione presentata dalla collega Doyle sulla determinazione di limiti di residui di sostanze farmacologicamente attive negli alimenti di origine animale. Ne condivido lo scopo, ma non i metodi. Infatti, per perseguire gli obiettivi sperati, non ritengo che limitare l’esposizione dei consumatori alle sostanze farmacologicamente attive dei medicinali veterinari per animali destinati alla produzione di alimenti e ai residui di tali sostanze presenti negli alimenti di origine animale sia una buona soluzione. Si aggirerebbe la radice del problema, insita in realtà in altre questioni.

 
  
  

- Relazione Angelakas (A6-0134/2009)

 
  
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  Adam Bielan (UEN), per iscritto. – (PL) Ho appoggiato la relazione Angelakas perché sottolinea l’importanza dell’uso di specifiche somme di denaro per cofinanziare programmi regionali e locali nel campo dell’edilizia abitativa e dell’energia rinnovabile. Va inoltre apprezzato enormemente il fatto che gli Stati membri definiranno criteri e stabiliranno quale tipo di edilizia abitativa può usufruire di finanziamenti secondo la legislazione nazionale. Questo è un segno del fatto che in ogni Stato membro il denaro sarà impiegato per i tipi di edilizia più necessari.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. − (EN) Appoggio la presente relazione che modifica il Fondo europeo di sviluppo regionale per permettere di agevolare interventi nel campo dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili nel settore dell’edilizia abitativa in tutti gli Stati membri. Gli interventi dovrebbero rivolgersi ai nuclei familiari a basso reddito, secondo la definizione datane nella legislazione nazionale in vigore. In Irlanda ho proposto, in effetti, che l’IVA sulla manodopera per tali interventi sia ridotta dal 13,5 al 5 per cento al fine di incoraggiare il mantenimento dei posti di lavoro e la domanda di tali ristrutturazioni.

Il “piano di recupero economico europeo” considera prioritarie la strategia di Lisbona e l’energia (prestando particolare attenzione all’efficienza energetica degli edifici). Gli Stati membri sono pertanto incoraggiati a riprogrammare i propri programmi operativi realizzati nell’ambito dei fondi strutturali allo scopo di stanziare maggiori somme per investimenti in efficienza energetica, anche quando si sovvenziona l’edilizia popolare.

Nell’attuale quadro normativo, il Fondo europeo di sviluppo regionale ha sostenuto interventi nel settore dell’edilizia abitativa, efficienza energetica compresa, ma unicamente negli Stati membri che hanno aderito all’Unione europea il 1° maggio 2004 o dopo tale data. La modifica apportata al regolamento compie un tentativo per permettere di estendere tale possibilità ai nuclei familiari a basso reddito in tutti gli Stati membri.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Pare che non esistano limiti che il relatore non sia in grado di raggiungere nel tessere le lodi della politica di coesione dell’Unione europea, nonostante il fatto che tale politica sia un esempio allarmante dei possibili esiti di un maggiore accentramento.

Uno scarso controllo e un seguito inadeguato dato alle risorse concesse ogni anno nell’ambito dei progetti di finanziamento dell’Unione hanno fatto sì che ingenti somme di denaro siano finite nelle tasche sbagliate. E’ ormai risaputo. Non più tardi del novembre 2008, la Corte dei conti europea ha osservato che l’11 per cento dei 42 miliardi di euro approvati nel 2007 nel quadro della politica di coesione dell’Unione europea non avrebbe mai dovuto essere corrisposto.

Di ciò, tuttavia, la relazione non fa parola, il che è deprecabile, ma per nulla sorprendente. Superfluo aggiungere che abbiamo votato contro la relazione.

 
  
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  Sérgio Marques (PPE-DE), per iscritto. – (PT) La crisi economica e finanziaria che l’Europa sta vivendo va vista come un’opportunità per adottare misure che non solo sosterranno la ripresa negli Stati membri, ma sensibilizzeranno ulteriormente la gente all’importanza di un comportamento più sostenibile.

La possibilità di migliorare l’efficienza energetica dell’edilizia abitativa assegnando finanziamenti pari al 4 per cento massimo del Fondo di sviluppo regionale a ogni Stato membro offre in sé un duplice vantaggio: da un lato, riduce i costi fissi dell’energia per le famiglie e, dall’altro, abbassa il consumo nazionale, contribuendo in tal modo alla sicurezza energetica e al calo delle importazioni di combustibili fossili e delle emissioni di gas a effetto serra.

Apprezzo dunque la relazione, nella speranza che gli Stati membri riescano a integrare tali fondi nei propri piani di azione nazionali per l’efficienza energetica utilizzandoli in maniera responsabile e pragmatica.

Spero inoltre che le piccole regioni insulari ne usufruiscano in modo particolare, visto che tali regioni dispongono di meno possibilità di generare energia, per cui hanno bisogno che l’energia sia utilizzata da tutti in maniera responsabile. L’investimento nell’efficienza energetica è uno degli strumenti più importanti in tal senso e deve essere un obiettivo prioritario dei governi degli Stati membri.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Esprimo il mio voto favorevole alla relazione dell’Onorevole Angelakas riguardante gli investimenti nell’efficienza energetica e nelle energie rinnovabili nell’edilizia abitativa a titolo del FESR. Mi associo, infatti, alla relatrice nel ritenere che gli strumenti di finanziamento a disposizione dell’Unione Europea debbano essere modificati nella maniera più pronta ed efficace possibile per far fronte alle sfide emergenti legate all’attuale crisi economica. L’Unione Europea come fondamentale attore globale non può permettersi di rimanere un passo indietro nel campo dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili nell’efficienza abitativa. Per far ciò è necessario che tutti gli Stati membri e tutte le regioni dell’Unione, non solo quelle appartenenti ai nuovi Stati membri siano messi nelle condizioni di poter effettuare investimenti e realizzare progetti in tali settori, anche considerando i chiari vantaggi in termini di creazione di posti di lavoro, assolutamente necessaria nella gravissima congiuntura che stiamo attraversando.

 
  
  

- Relazione Lax (A6-0161/2009)

 
  
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  Carlos Coelho (PPE-DE), per iscritto. – (PT) Concordo con una politica comune in materia di visti che agevoli gli spostamenti legittimi e attui misure volte ad agevolare il processo di presentazione e trattamento delle domande di visto (costi ridotti, procedura di rilascio semplificata, uso di visti per ingressi multipli, periodi di validità prolungati).

E’ anche urgente affrontare la questione dell’immigrazione illegale attraverso un’ulteriore armonizzazione della legislazione nazionale e delle procedure di gestione a livello di missioni consolari locali.

Riconosco la necessità pressante di rafforzare la coerenza della politica comune in materia di visti, soprattutto incorporando in un codice unico sui visti tutte le disposizioni che disciplinano il loro rilascio e le decisioni di rifiuto, proroga, annullamento, revoca e riduzione del periodo di validità dei visti rilasciati.

Mi complimento con il relatore Lax per l’eccellente compromesso che è riuscito a raggiungere. Rimpiango invece il debole compromesso cui è giunta la relazione in merito alle istruzioni consolari comuni (da inserire nella proposta) che finirà per nuocere alla proposta. Ne è un esempio l’esenzione dal visto per i bambini e la riduzione del costo di tali visti convenuta in quest’Aula, che però finirà per non produrre gli effetti previsti in ragione degli ulteriori oneri che dovranno essere riscossi quando il servizio è fornito da società esterne.

Per tutti questi motivi, che mi indurrebbero a votare contro la relazione, non posso sostenerla pienamente, ragion per cui ho scelto l’astensione.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) E’ scontato ciò che accade quando l’obiettivo di una maggiore armonizzazione delle procedure delle disposizioni nazionali in materia di visti è l’immigrazione illegale. I passati scandali sui visti mostrano ovviamente quando rilassato sia l’approccio assunto da alcuni Stati nei confronti del rilascio dei visti. Le indagini su tali casi sono state troppo poco approfondite e il cambiamento che hanno comportato non è stato sufficiente.

Le legalizzazioni di massa degli ultimi decenni sollevano anche dubbi circa la sensatezza di procedere con l’armonizzazione. A meno che tutti gli Stati membri non siano favorevoli a rigide disposizioni in materia di visti e una politica di immigrazione rigorosa che punti a un’immigrazione zero, il risultato può essere solo il minimo comune denominatore. Per evitare che si aprano le chiuse dell’immigrazione attraverso la porta posteriore, ho votato contro la relazione Lax.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La proposta della Commissione relativa a un regolamento concernente un codice comunitario sui visti è una delle misure dell’Unione per irrigidire la repressione degli immigranti e creare una “fortezza Europa” contro i cittadini di paesi terzi e lo stesso popolo dell’Unione. Con il codice sui visti, l’Unione europea ha adottato norme più restrittive per la concessione dei visti di ingresso nel territorio comunitario ai cittadini di paesi terzi che valgono uniformemente per tutti gli Stati membri imponendo l’incorporazione al loro interno di dati biometrici (impronte di tutte le dieci dita) anche per i minori di 12 anni. Tali dati, unitamente a una serie di altre informazioni personali, saranno registrati nel sistema VIS già introdotto dall’Unione europea e che aspira a essere il più grande database personale – leggasi casellario – di tutti i cittadini di paesi terzi. Qualsiasi miglioramento apportato dalla relazione del Parlamento europeo non modifica la sostanza, l’orientamento o la logica del codice relativo ai cisti, che altro non è se non un ulteriore strumento per il controllo e l’incrudimento della repressione degli immigranti nel quadro della politica generale contro l’immigrazione dell’Unione europea, sancita dal patto sull’immigrazione. Ancora una volta l’Unione ha dimostrato di essere nemica del popolo, degli immigranti e dei profughi sacrificando gli ostaggi allo sfruttamento selvaggio del capitale.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Intendo esprimere il mio voto contrario alla relazione dell’Onorevole Lax concernente il codice comunitario dei visti. Credo che gli obiettivi che la Commissione si propone nel contesto del programma dell’Aia, ossia quelli di istituire un sistema di facilitazione dei viaggi legittimi e di combattere contro l’immigrazione clandestina non possano essere raggiunti tramite l’armonizzazione delle legislazioni nazionali e delle prassi per la gestione delle domande presso le rappresentanze consolari locali. Molto ancora deve essere fatto a livello di dialogo e di cooperazione tra gli Stati membri e si dovrebbe piuttosto procedere su questa strada e non su quella di un’incorporazione in un unico codice dei visti di tutte le disposizioni riguardanti il rilascio dei visti e le decisioni di rifiuto, proroga, annullamento, revoca e riduzione del periodo di validità dei visti rilasciati, provvedimenti per i quali questa Unione Europea non é assolutamente pronta e in grado di gestire. Per questo non ritengo che il sistema proposto debba essere approvato e portato avanti.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. – (PL) La commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni ha preparato un’altra proposta nel contesto del programma dell’Aia, il cui obiettivo è semplificare la politica in materia di visti creando un codice comune sui visti allo scopo di agevolare la procedura di richiesta di un visto, nonché la proroga, l’annullamento, la revoca e la riduzione del termine di validità dei visti rilasciati. Il codice unificherà e specificherà i principi per il rilascio dei visti, nonché il loro tipo e la loro durata. Saranno altresì espressamente indicati i documenti necessari per ottenere un visto appropriato.

A seguito dell’armonizzazione del diritto comunitario in materia di visti, la legislazione che ha spesso ostacolato l’iter per l’ottenimento di un visto sarà abrogata. Il codice comunitario sui visti agevolerà la circolazione non soltanto dei cittadini dell’Unione, ma soprattutto di tutti i cittadini provenienti da paesi al di fuori di essa, semplificando così la circolazione di cittadini e lavoratori tra paesi all’interno e all’esterno della Comunità.

In relazione a tale cambiamento, occorre prestare particolare attenzione alla formazione in atto degli ufficiali doganali e, soprattutto, di quanti operano alle frontiere dell’Unione.

La politica comunitaria in materia di visti dovrebbe rispecchiare le priorità fondamentali della sua politica estera. Ritengo che l’istituzione di un codice comunitario sui visti sia un’idea valida e serva ad armonizzare la legislazione degli Stati membri.

 
  
  

- Relazione Tatarella (A6-0105/2009)

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore del regolamento su un sistema di marchio comunitario di qualità ecologica perché lo ritengo fondamentale per incoraggiare la sostenibilità nella produzione e nel consumo di prodotti. Il marchio di qualità ecologica è utile per guidare i consumatori verso i prodotti presenti sul mercato ecologicamente consigliati e incentivare la produzione e il consumo di prodotti con buone prestazioni ambientali.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Come affermato nella relazione, il marchio di qualità ecologica è un marchio volontario, il cui scopo è promuovere a livello europeo la diffusione di prodotti ad alta efficienza con basso impatto ecologico per tutto il loro ciclo di vita.

A tal fine si sono stabiliti alcuni standard di qualità ecologica (che chiameremo “criteri”) per ciascuna specifica categoria di prodotti. Attualmente esistono 26 categorie di prodotti, 622 licenze e oltre 3 000 prodotti e servizi – detersivi, carta, abbigliamento (comprese calzature e tessili), turismo, prodotti da campeggio, eccetera – per i quali sono stati concessi marchi di qualità ecologica.

Tale marchio e il fiore che lo simboleggia sono elementi dinamici, grazie al costante aggiornamento dei criteri ambientali relativi ai prodotti per i quali sono concessi, e incoraggiano le imprese a creare un circolo di impegno virtuoso al fine di innalzare nel complesso la qualità ecologica dei prodotti presenti sul mercato.

Paiono tuttavia sussistere alcune carenze nell’attuale sistema, pensando all’esperienza maturata negli quasi 10 anni di esistenza di tale certificazione, che richiedono un intervento più decisivo allo scopo di ovviarvi.

E’ questo il contesto nel quale la Commissione ha presentato una proposta concernente un nuovo regolamento che il Parlamento sta cercando di migliorare.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Il marchio comunitario di qualità ecologica è un altro metodo fuorviante per pubblicizzare prodotti di qualità e impatto ecologico dubbi. Tali prodotti acquisiscono infatti un valore “aggiunto” registrandosi per ottenere il marchio, il cui costo sarà trasferito all’utente finale, aumentando in tal modo ancor più gli utili dei monopoli.

Il marchio è inoltre un modo per concentrare il capitale e il monopolio del mercato nelle mani di poche multinazionali che dispongono dei mezzi, dell’organizzazione e, aspetto ancora più importante, del denaro necessario per richiedere il marchio per i propri prodotti.

Qualunque sia il meccanismo di sicurezza nella procedura di concessione del marchio in maniera trasparente, affidabile e imparziale, tutti sappiamo che il capitale e le grandi aziende trovano sempre il modo per aggirarlo allo scopo di incrementare i propri profitti, come dimostrano i tanti scandali alimentari e i prodotti “tossici” della stessa crisi capitalista.

L’Unione non è in grado di garantire una tutela ecologica perché corteggia e serve il capitale con il suo sfruttamento irresponsabile delle risorse naturali e umane, e l’uso che fa della moderna tecnologia nella medesima direzione sta distruggendo l’ambiente. I colpevoli della distruzione dell’ambiente non possono essere contestualmente chiamati a salvaguardarlo.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Mi dichiaro in favore alla relazione del collega Tatarella concernente il sistema per il marchio comunitario di qualità ecologica o Ecolabel. Credo che tale proposta si inquadri perfettamente nel Piano di azione europeo per la produzione e il consumo sostenibile e, di conseguenza, nel generale obiettivo di crescita di un sistema volontario e integrato che stimoli le imprese a migliorare i propri prodotti in un’ottica di miglioramento della loro qualità sotto il punto di vista alimentare e di tutela dei consumatori, ma anche di impronta ecologica, attraverso il raggiungimento di più alti standard di rispetto ambientale e di efficienza energetica. Mi congratulo dunque con il relatore per l’ottimo lavoro in un contesto tanto importante e cruciale per i nostri produttori, anche per i più piccoli, perché proprio tramite l’accento sulla qualità e il rispetto di canoni alimentari ed ecologici essi riescono a distinguersi e a resistere in un contesto sempre più globale e competitivo.

 
  
  

- Relazione McAvan (A6-0084/2009)

 
  
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  Liam Aylward, Brian Crowley, Seán Ó Neachtain ed Eoin Ryan (UEN), per iscritto. − (EN) Il Parlamento europeo mette in pratica ciò che chiede in termini di comportamento rispettoso dell’ambiente! Volontariamente ci siamo impegnati a migliorare ogni giorno le nostre prestazioni ambientali. Nel febbraio 2007 ho chiesto personalmente al presidente di avviare un sistema di ecogestione e audit in Parlamento. Oggi abbiamo votato a favore di tale sistema che richiede ad altre imprese in Europa di fare altrettanto.

Riducendo il nostro impatto ambientale, spegnendo le luci, controllando i consumi, utilizzando luci a sensore e consumando meno carta, il Parlamento europeo si adopera per essere ambientalmente corretto. Dopo una verifica in Parlamento, abbiamo ricevuto un logo EMAS.

Un voto a favore oggi per l’ampliamento del sistema significa un voto a favore della consapevolezza ambientale negli Stati membri. Tale piano intende riconoscere e premiare le organizzazioni proattive che vanno oltre quanto si aspettano le leggi ambientali migliorando costantemente il modo in cui interagiscono con l’ambiente. Ora è importante istituire un sistema armonizzato in tutta l’Unione europea con un’unica serie di norme garantendo l’utilità e l’esposizione di tale piano non soltanto per gli edifici, ma anche per gli Stati membri. Per questi motivi è fondamentale votare “sì” a tale normativa.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sulla partecipazione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS) perché aiuta le organizzazioni a identificare, monitorare e misurare il loro impatto sull’ambiente e fornire informazioni al riguardo.

Il sistema è stato inizialmente introdotto nel 1995 ed esteso nel 2001 alle organizzazioni sia pubbliche che private. Questa nuova revisione è un’occasione per rendere il sistema più interessante e semplice per le piccole e medie imprese, oltre che un tentativo per garantire che raggiunga lo stesso livello di partecipazione attualmente registrato dallo standard ISO 14001 (principale sistema di gestione ambientale in Europa).

E’ altresì importante notare che il riconoscimento dell’EMAS come marchio di riferimento nei sistemi di gestione ambientale è in linea con l’obiettivo dell’Unione nel campo della lotta al cambiamento climatico.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Mi congratulo con l’Onorevole McAvan per l’ottimo lavoro svolto e dichiaro di sostenere la sua relazione sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS) con il mio voto favorevole. L’obiettivo del miglioramento delle prestazioni ambientali di organizzazioni sul lungo termine é certamente da sostenere, così come tutti gli strumenti che su piccola e grande scala siano volti al suo raggiungimento. Mi associo, inoltre, alla relatrice nell’accogliere favorevolmente le modifiche proposte dalla Commissione, in particolare quella relativa alla previsione di tariffe più basse e obbligo di relazioni meno frequenti da parte delle PMI, per le quali l’adesione a tale sistema sarebbe maggiormente onerosa ma non meno importante. Credo sia anche da sostenere l’allineamento delle definizioni di EMAS con quelle già esistenti dell’ISO 14001, che agevolerebbe il passaggio dal primo al secondo, nonché una semplificazione del linguaggio che potrebbe rivelarsi molto utile specie per le piccole organizzazioni.

 
  
  

- Relazione Buitenweg (A6-0149/2009)

 
  
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  Alexander Alvaro, Jorgo Chatzimarkakis e Holger Krahmer (ALDE), per iscritto. – (DE) La base giuridica utilizzata, vale a dire l’articolo 13, paragrafo 1, del trattato CE, non è appropriata considerando che, a giudizio del partito democratico libero tedesco (FDP), non si osserva il principio di sussidiarietà. Non è compito del legislatore comunitario definire i regolamenti in questione, interferendo così gravemente con l’autodeterminazione degli Stati membri.

La lotta a ogni forma di discriminazione e la promozione del coinvolgimento nella vita pubblica dei disabili sono compiti importanti. Proporre di estendere i regolamenti antidiscriminatori pressoché a tutti gli ambiti della vita è però avulso dalla realtà. L’inversione dell’onere della prova sancito dalla direttiva significherà che sarà impossibile avviare procedimenti legali sulla base di accuse non sufficientemente comprovate. Gli interessati sarebbero quindi tenuti a un risarcimento se, pur non avendo commesso di fatto alcun atto di discriminazione, non dovessero essere in grado di dimostrare la propria innocenza. Con una definizione così generica, l’inversione dell’onere della prova è pertanto discutibile dal punto di vista della sua compatibilità con un’azione secondo lo Stato di diritto e creerà incertezza favorendo l’abuso. Questa non può essere la ragion d’essere di una politica antidiscriminatoria progressiva.

Va inoltre considerato che la Commissione sta attualmente perseguendo con procedura di infrazione molti Stati membri per recepimento inadeguato delle direttive europee esistenti in materia di politica contro la discriminazione. A oggi non esiste un quadro dei regolamenti trasposti che consenta di stabilire la reale necessità di nuovi regolamenti, come è stato asserito. La Germania, in particolare, è già andata decisamente oltre precedenti condizioni stabilite da Bruxelles. Abbiamo dunque votato contro la relazione.

 
  
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  Philip Bradbourn (PPE-DE), per iscritto. − (EN) I miei colleghi conservatori britannici e io possiamo concordare con molto di quanto affermato nella relazione e aborriamo la discriminazione in tutte le sue forme, per cui sosteniamo incondizionatamente la volontà di garantire pari opportunità a tutti, prescindendo da disabilità, razza, religione o sesso. Nutriamo però gravi perplessità in merito alla questione dell’inversione dell’onere della prova dall’attore al convenuto. I conservatori britannici ritengono che nei casi di presunta discriminazione e secondo l’ordinamento giuridico britannico sia sempre obbligo dell’attore fornire prove risolutive. Per questo abbiamo deciso di optare per l’astensione sulla relazione.

 
  
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  Philip Claeys (NI) , per iscritto. – (NL) Ho votato decisamente contro la relazione. Superfluo aggiungere che siamo contro la discriminazione operata per motivi di disabilità, orientamento sessuale e affini. La questione è soltanto se spetti all’Europa intervenire in merito. A mio parere, la risposta è negativa. Le misure per affrontare la discriminazione devono restare di competenza esclusiva degli Stati membri. Ho dunque votato a favore dell’emendamento n. 81, il quale osserva che la corrispondente proposta di direttiva erode gravemente il principio di sussidiarietà. A parte ciò, la relazione contiene anche molte raccomandazioni che contrastano con il principio democratico elementare e il principio dello Stato di diritto. Per citare soltanto un esempio, mentre la relazione incoraggia a non operare discriminazioni sulla base delle convinzioni personali, consente espressamente la discriminazione sulla base del credo politico.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI) , per iscritto. − (NL) Ho votato contro la relazione, una delle tante imbevute di correttezza politica, non foss’altro perché la proposta viola il principio di sussidiarietà dell’Unione e comporta una notevole burocratizzazione. Inutile dire che anch’io sono contro ogni forma di discriminazione operata per motivi di disabilità, età od orientamento sessuale. La relazione però contiene molte raccomandazioni che contrastano con i principi più elementari dello Stato di diritto. La discriminazione, per esempio, viene improvvisamente consentita quando viene operata sulla base dell’orientamento politico. In tal modo, si può fare benissimo a meno anche del principio di parità. E’ ridicolo.

 
  
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  Avril Doyle (PPE-DE), per iscritto. − (EN) La presente relazione è volta a tutelare quanti sono giustamente emarginati e garantire che dispongano di mezzi idonei e appropriati per affrontare la situazione. Sono stata pertanto lieta di appoggiarla. Essa gode dell’ampio sostegno delle piattaforme sociali e della società civile. Sono del parere che essa non interferisca con le competenze degli Stati membri nei seguenti ambiti:

- istruzione

- accesso a istituti religiosi

- questioni di stato civile o familiare

- rapporto tra chiesa e Stato

- natura secolare dello Stato e delle sue istituzioni

- stato delle organizzazioni religiose e

- uso di simboli religiosi a scuola.

Fino a poco tempo fa, in Irlanda esisteva una commissione consultiva nazionale molto attiva in materia di razzismo e interculturalismo (NCCRI) e un garante della parità adeguatamente sostenuto da un punto di vista finanziario. Nonostante l’importanza dei compiti affidati a tali organismi, tra cui la legislazione per la verifica della parità, essi hanno cessato di esistere a causa dei drastici tagli dei fondi messi a loro disposizione. E’ essenziale continuare a supportare tali gruppi e il loro lavoro.

La relazione della collega Buitenweg chiede con chiarezza che alcuni ambiti restino di competenza di ciascuno Stato membro, ma è indispensabile progredire su scala europea per giungere a un’Europa sociale più giusta.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sulla parità di trattamento delle persone, che contiene diversi emendamenti apportati alla proposta della Commissione che rafforzano la tutela dei cittadini, compresi i disabili vittime di discriminazione.

Secondo i dati di Eurobarometro del 2008, il 15 per cento dei cittadini europei ha affermato di essere stato oggetto di discriminazione durante lo scorso anno, dato inaccettabile, ragion per cui apprezzo l’adozione di questo testo da parte del Parlamento europeo, nonostante l’incomprensibile voto contrario della destra.

A mio avviso è fondamentale che una legislazione vieti la discriminazione diretta e indiretta, la discriminazione multipla e la discriminazione per associazione operata sulla base di genere, razza od origine etnica, religione o credo, disabilità, età od orientamento sessuale in una serie di ambiti quali la protezione civile, l’istruzione, nonché la fornitura di prodotti e servizi, per esempio alloggi, trasporti, telecomunicazioni e sanità, e il relativo accesso.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. − (EN) Il Parlamento ha svolto un ruolo decisivo nel promuovere la parità di trattamento delle persone in tutta l’Unione indipendentemente da genere, razza, religione, convinzioni personali, disabilità, età e orientamento sessuale.

Accolgo pertanto con favore l’odierna relazione che esorta a rafforzare ulteriormente le disposizioni per ottenere tale parità.

La mia unica riserva riguarda l’emendamento n. 39, parte del quale sostiene che la libertà di parola non deve essere compromessa, anche in caso di vessazioni. Giustamente esistono restrizioni alla libertà di parola nelle leggi sulla diffamazione. Analogamente non si può gridare impuniti “al fuoco” in un cinema. Su tale base ho votato contro lo specifico emendamento per la minaccia che esso rappresenterebbe per le minoranze.

 
  
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  Patrick Gaubert (PPE-DE), per iscritto. – (FR) La difesa dei diritti e la tutela delle vittime di discriminazione devono essere prioritarie per l’Unione, ma ciò può essere utile ed efficace unicamente se garantisce certezza giuridica alle persone coinvolte evitando un onere sproporzionato a carico degli operatori economici che ne sono l’obiettivo.

In questo ambito delicato, era essenziale restare vigili per quanto concerne la ripartizione di competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri garantendo che il Parlamento rispettasse rigorosamente quanto consentito dalla base giuridica.

Il testo adottato oggi, per quanto soddisfacente sotto certi aspetti, specialmente per quel che riguarda la lotta alla discriminazione contro i disabili, per i concetti vaghi che contiene, le incertezze giuridiche che non fuga e i requisiti superflui che introduce risulta giuridicamente inattuabile e, dunque, inefficace nella sua applicazione.

Credendo, come io credo, che l’eccessiva regolamentazione non possa essere una soluzione, ho difeso l’emendamento per respingere la proposta della Commissione in quanto i testi esistenti in merito non sono stati applicati in vari Stati membri che per questo sono oggetto di procedure di infrazione.

Viste le circostanze, poiché sostengo l’obiettivo della direttiva, ma sono in parte insoddisfatto, alla votazione finale ho preferito astenermi.

 
  
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  Louis Grech (PSE), per iscritto. − (EN) Voterò a favore della relazione soprattutto perché promuove con molta veemenza e concretezza il principio della parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, l’età o l’orientamento sessuale. Ciò premesso, però, la mia delegazione è dell’avviso che le realtà e le preoccupazioni nazionali di vari Stati membri vadano tenute presenti (emendamento n. 28) prima di attuare l’emendamento. Dobbiamo altresì garantire che la legislazione promulgata non porti a una situazione perversa in cui la libertà di espressione, anziché essere garantita, venga soffocata.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho sempre assunto un approccio positivo nei confronti della lotta determinata ed effettiva contro ogni forma di discriminazione e l’omofobia in ossequio ai valori fondamentali dell’Unione europea.

La difesa dei diritti e la tutela delle vittime di discriminazione devono essere prioritarie per l’Unione, ma ciò può essere utile ed effettivo unicamente se garantisce certezza giuridica alle persone coinvolte evitando un onere sproporzionato a carico degli operatori economici che ne sono l’obiettivo.

In questo ambito delicato, è essenziale restare vigili per quanto concerne la ripartizione di competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri garantendo che il Parlamento rispetti rigorosamente quanto consentito dalla base giuridica.

Il testo adottato oggi, per quanto soddisfacente sotto certi aspetti, specialmente per quel che riguarda la lotta alla discriminazione contro i disabili, per i concetti vaghi che contiene, le incertezze giuridiche che non fuga e i requisiti superflui che introduce risulta giuridicamente inattuabile e, dunque, inefficace nella sua applicazione. Viste le circostanze, sebbene sostenga l’obiettivo della direttiva, alla votazione finale sul testo ho deciso di astenermi.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Mi complimento con la collega Buitenweg per aver ottenuto il sostegno della maggioranza dell’Aula per la sua relazione. La discriminazione operata per motivi di religione, credo, disabilità, età od orientamento sessuale non ha spazio nella società europea. E’ giusto che la tutela legale venga estesa oltre il mercato del lavoro e la direttiva proposta rappresenterà uno strumento prezioso nella lotta all’intolleranza.

 
  
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  Carl Lang e Fernand Le Rachinel (NI), per iscritto. – (FR) Dal 2000 l’Unione europea continuamente promuove la parità e lo fa nel senso più ampio del termine: parità tra uomini e donne, parità tra cittadini di un paese e stranieri, parità tra malati e sani, parità tra cattolici, musulmani, buddisti e seguaci di altre religioni, parità di accesso all’istruzione e alla sanità, parità rispetto al proprio orientamento sessuale e così via. L’elenco non è ovviamente esauriente e le direttive europee attualmente in fase di elaborazione riguardano la parità di accesso ai servizi sociali e agli alloggi.

Di fronte a noi abbiamo una nuova direttiva che, presentandosi nel contesto della lotta legittima contro la discriminazione ai danni dei disabili, vuole invece regolamentare, o piuttosto incatenare, pressoché ogni ambito in cui ancora esiste libertà di scelta, sia essa contrattuale o di altra natura.

Le insidie di una siffatta regolamentazione coercitiva sono tante. Infatti, queste nuove misure europee non solo moltiplicheranno gli adempimenti burocratici e gli oneri a livello europeo, ma rappresenteranno anche una reale minaccia per altri diritti e libertà fondamentali tra cui, in particolare, la libertà di culto, associazione ed espressione, oltre che la libertà di stampa.

Nel nome della parità, sono qui presenti censori e dittatori.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Con grande rammarico ho deciso di optare per l’astensione in merito alla relazione dell’onorevole Buitenweg sulla parità di trattamento.

Il principio del pari trattamento delle persone indipendentemente dal credo politico o religioso, dall’età, dal genere, dall’orientamento sessuale o dalla disabilità è uno dei principi fondatori dell’Unione europea. La realtà della vita quotidiana ci dimostra che occorrono ancora molti progressi negli Stati membri. Le osservazioni offensive sugli anziani che continuano a essere impunemente formulate ne sono un esempio eloquente.

Non posso però sottoscrivere le vie e le opzioni descritte nella relazione. Temo fortemente che le buone intenzioni possano trasformarsi in eccessi di burocrazia e contenziosi senza fine in totale contrasto con l’obiettivo auspicato.

 
  
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  Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La Lista di giugno ritiene che l’Unione debba essere un’unione di valori ed è per questo che sono estremamente favorevole a una direttiva ampia contro la discriminazione. Ritengo che sia un must in un mercato interno funzionante che rispetti diritti dell’uomo inviolabili. Per me, è fondamentale che nessuno sia discriminato per motivi di disabilità.

Sono inoltre a favore dell’emendamento n. 87 perché ritengo che i contribuenti in ogni paese debbano garantire che ai disabili sia assicurati i fondi necessari per consentire loro di essere considerati dal mercato creditizio mutuatari credibili a tutti gli effetti. Concludendo, ho votato a favore della relazione nella sua interezza.

 
  
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  Maria Martens (PPE-DE), per iscritto. − (NL) Poiché i democristiani danesi (CDA) hanno sempre fortemente sostenuto le norme per garantire la parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, siamo a favore dello spirito della direttiva.

Tuttavia, ogni normativa in tale ambito deve essere attentamente ponderata. I democristiani danesi ritengono che molte definizioni giuridiche contenute nel testo siano estremamente ambigue e, come tanti altri, prevedono che il testo sfocerà in ogni sorta di procedimento legale.

L’Unione cristiano-democratica si oppone alla proposta di invertire l’onere della prova. Per noi, una persona è innocente finché non si dimostra la sua colpevolezza, ragion per cui non possiamo identificarci con la proposta secondo cui spetterebbe al convenuto fornire prova della sua innocenza.

Ci rammarichiamo inoltre per il fatto che i gruppi PSE e ALDE, sentendo apparentemente la pressione delle elezioni, abbiano introdotto uno squilibrio ancora maggiore nel testo aggiungendovi numerosi elementi e chiedendo votazioni per parti separate. Per questo motivo l’Unione cristiano-democratica non ha potuto avallare la relazione.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE-DE), per iscritto. − (EN) Questa è un’importante relazione con notevoli conseguenze per i cittadini dell’Unione.

E’ difficile schierarsi contro il principio della parità di trattamento. Eppure la relazione si è dimostrata molto controversa in Aula, non solo tra i gruppi, ma anche al loro interno.

Personalmente ho votato contro l’emendamento n. 81 per respingerla totalmente. Ho incontrato molti gruppi di interesse sulla disabilità che hanno esercitato pressioni chiedendo che la loro posizione venisse tenuta presente. In particolare, il forum europeo sulla disabilità sostiene fortemente che abbiamo bisogno di una legislazione comunitaria che tuteli i disabili dalla discriminazione.

Anche in sede di Consiglio, molti Stati membri hanno dato voce a preoccupazioni circa la proposta, preoccupazioni che vanno dalla base giuridica che si dovrà scegliere all’ambito della proposta e al timore che possa interferire con le competenze nazionali in ambiti quali istruzione, sicurezza sociale e cure sanitarie.

Dobbiamo inoltre affermare con chiarezza che i diritti in materia di adozione e procreazione (tra cui riproduzione umana assistita) non rientrano nell’ambito della direttiva.

Ho votato contro l’emendamento n. 28 per garantire il riferimento al diritto nazionale sulla famiglia o lo stato familiare, compresi i diritti in materia di procreazione. L’emendamento è stato respinto dall’Aula e, pertanto, alla votazione finale ho scelto l’astensione.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. − (NL) Oggi, unitamente agli euroscettici del mio gruppo, ho votato a favore della relazione Buitenweg sulla parità di trattamento. Concordiamo infatti largamente con il contenuto delle sue proposte e, pertanto, ci rammarichiamo per i tanti voti negativi espressi da membri che, di fatto, vogliono più Europa. E’ increscioso che altri partiti prima del voto abbiano affermato che la nostra decisione di esprimere un voto favorevole era probabilmente fuori luogo.

Nei parlamenti e nei governi nazionali degli Stati membri dell’Unione spesso ci si chiede se l’Unione europea debba assumersi ulteriori competente. Questo ampliamento delle competenze spesso avviene a spese del processo decisionale a un livello inferiore, livello al quale agli interessati viene garantita la possibilità di esercitare la massima influenza. In questi casi, il mio partito, il partito socialista olandese, obietta. Nel Parlamento europeo, invece, l’accento viene posto maggiormente sul modo in cui l’Unione espleta le proprie competenze, in altre parole sul contenuto. In tal caso, noi votiamo sempre a favore di ciò che reputiamo essere un miglioramento e contro ciò che consideriamo invece un peggioramento. Scegliere di agire in questo modo non significa che non preferiremmo lasciare ambiti di questo genere al Consiglio, che ha registrato una media europea peggiore di quella da noi mai raggiunta nei Paesi Bassi o in vari altri Stati membri.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI)), per iscritto. − La parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale é un principio che va ben al di là del diritto comunitario: esso é un principio inalienabile della persona umana. Pertanto, debbo esprimere il mio voto contrario alla relazione della collega Buitenweg, su proposta di direttiva del Consiglio. La presente direttiva é a mio parere volta esclusivamente a calmierare degli aspetti sui quali l’Unione Europea dovrebbe già essere ben attiva e ben presente.

 
  
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  Toomas Savi (ALDE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione Buitenweg sulla parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale. Trovo assolutamente oltraggioso che nel XXI secolo all’interno del Parlamento europeo vi siano ancora disaccordi in merito a una cosa naturale come la parità di trattamento delle persone. Il fatto che 226 membri abbiano votato contro la relazione è stata una sorpresa negativa e un chiaro segnale di pericolo che non possiamo ignorare.

La tolleranza è una delle chiavi di volta dell’Unione europea e la lotta a ogni forma di discriminazione deve essere la nostra massima priorità. Il motto dell’Unione “uniti nella diversità” non solo rappresenta le diverse nazionalità dell’Unione, ma coinvolge in primo luogo i cittadini dell’Unione con le loro personali differenze. Tutti i cittadini dell’Unione sono uguali e devono essere trattati in tale modo. Soltanto così l’Unione vive incarnando realmente il suo motto.

 
  
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  Margie Sudre (PPE-DE), per iscritto. (FR) La difesa dei diritti e la tutela delle vittime di discriminazione devono essere prioritarie per l’Unione, ma ciò può essere utile ed effettivo unicamente se si garantisce certezza giuridica alle persone coinvolte evitando un onere sproporzionato a carico degli operatori economici che ne sono l’obiettivo.

In questo ambito, è essenziale restare vigili per quanto concerne la ripartizione di competenze tra Unione europea e Stati membri garantendo che il Parlamento rispetti rigorosamente quanto consentito dalla base giuridica.

Il testo adottato oggi, per quanto soddisfacente sotto certi aspetti, specialmente per quel che riguarda la lotta contro la discriminazione ai danni dei disabili, a causa dei concetti vaghi che contiene, delle incertezze giuridiche che non fuga e dei requisiti superflui che introduce risulta giuridicamente inattuabile e, dunque, inefficace nella sua applicazione.

Dato che un’eccessiva regolamentazione non può costituire una soluzione, la delegazione ha difeso l’emendamento che respinge la proposta della Commissione perché i testi esistenti in materia non sono ancora stati applicati in alcuni Stati membri, oggetto per questo di procedure di infrazione.

Di fatto, la delegazione francese, che sostiene l’obiettivo della direttiva, ma è in parte insoddisfatta, alla votazione finale ha preferito astenersi.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. – (PL) La discriminazione è un problema che, in quest’epoca di unificazione europea, è un tema estremamente rilevante e non dobbiamo in alcun caso ignorare. Nonostante l’argomento sia stato discusso in molte occasioni, gli effetti restano insoddisfacenti.

Le diverse forme di discriminazione rappresentano un grave problema. La discriminazione operata per l’origine etnica o razziale è vietata sia sul mercato del lavoro che al di fuori di esso. Il trattamento iniquo per questioni di religione, convinzioni personali, disabilità, età od orientamento sessuale è attualmente proibito soltanto sul luogo di lavoro.

A mio parere occorre prestare attenzione alla lotta alla discriminazione non soltanto nell’ambito professionale, ma anche al di fuori di esso. La discriminazione va definita nello stesso modo, prescindendo dalla forma che assume.

La prevenzione di un trattamento iniquo è un aspetto molto importante, ma non dobbiamo dimenticare le persone discriminate sincerandoci che siano messe in condizioni di esercitare i propri diritti e punendo sistematicamente gli autori di tale discriminazione.

La discriminazione è un tema fondamentale, sia per le vite private dei cittadini sia per il processo di integrazione europea. Sono pienamente d’accordo con la relatrice, onorevole Buitenweg, e la ringrazio per la sua relazione valida e completa.

 
  
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  Marianne Thyssen (PPE-DE), per iscritto. − (NL) Essendo un legale di professione, non posso proprio accettare l’imposizione di un’inversione dell’onere della prova a livello europeo, come propone la nuova direttiva contro la discriminazione. Dopo tutto, è pressoché impossibile dimostrare che qualcosa non è accaduto e fin troppo semplice dimostrare che qualcosa è accaduto.

E’ necessario, però, che l’Unione garantisca che i suoi elevati principi e valori guida sanciti dal suo trattato istitutivo, siano anche vissuti dai cittadini nella pratica. Una legislazione orizzontale in tale ambito non può dunque che essere benaccetta. Per questo ho votato a favore della relazione Buitenweg nella sua interezza.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Con il PPE-DE ho votato contro la direttiva contro la discriminazione perché avrebbe un impatto negativo sui cittadini dell’Unione. Oggi la maggioranza di sinistra ci ha dimostrato che le istituzioni europee non vogliono ridurre la burocrazia finanziata con il denaro dei contribuenti. Questa risoluzione prova che l’Unione vuole invece estendere le norme a tutti gli ambiti della vita dei cittadini degli Stati membri, segnale tutt’altro che positivo.

La risoluzione però non ha alcun impatto sul processo legislativo. Spetta al Consiglio giungere a una decisione unanime.

Sono contraria a qualunque forma di discriminazione. Inizialmente la direttiva avrebbe dovuto riguardare la discriminazione ai danni di disabili fisici e anziani. Anch’io ho sempre partecipato alla protezione di tali categorie di persone. L’odierna direttiva, però, non è chiara e, pertanto, ritengo che non aiuterà i cittadini.

La lobby ha ipotecato il concetto di vera discriminazione quando ha aggiunto l’orientamento sessuale e la religione o le convinzioni personali. Tali forme di discriminazione non sono mai state definite in alcun documento comunitario. Le conseguenze potrebbero essere tragiche.

Nessuno può definire con precisione l’orientamento sessuale o la discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Ciò costituisce un potenziale pericolo per l’interpretazione della direttiva. Anche la non discriminazione basata sulle “convinzioni personali” è problematica. Sette o estremisti politici potrebbero sfruttare la direttiva e i mass media non potrebbero opporre un rifiuto. Le scuole ecclesiastiche non potrebbero selezionare gli insegnanti in base al loro credo religioso. Le compagnie di assicurazione non potrebbero tener conto di alcune informazioni per stabilire i rischi assicurativi, per cui i premi aumenterebbero.

Vi sono inoltre alcune direttive e documenti internazionali che tutelano anziani e disabili fisici che non sono stati applicati dagli Stati membri.

 
  
  

– Proposta di risoluzione: B6-0177/2009 (dialogo UE-Bielorussia)

 
  
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  Koenraad Dillen (NI) , per iscritto. − (NL) La presente risoluzione è alquanto sfavorevole e dovremmo rallegrarci per il fatto che rende il dialogo politico espressamente subordinato ai progressi registrati in termini di diritti umani e libertà nel paese. In tale ambito, il regime ancora lascia molto a desiderare, soprattutto a livello di libertà di parola e opinione, libertà di stampa e libertà dell’opposizione democratica e dei mezzi di comunicazione.

Vi sono tra l’altro fin troppe prove del fatto che le recenti concessioni del regime rientrano unicamente in un’operazione cosmetica orchestrata dal presidente-dittatore Lukashenko a uso e consumo del mondo esterno. I tempi sono decisamente troppo prematuri per intessere qualsiasi tipo di dialogo normale con la Bielorussia.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa altro non è se non un’ennesima risoluzione profondamente ancorata a una visione di interferenza e stigmatizzazione nei confronti della Bielorussia, chiaramente volta a ingerire negli affari interni del paese.

Quando si ci nasconde dietro il linguaggio mistificatore e manicheo, lo scopo è chiaro: l’Unione non accetta l’affermazione di sovranità della Bielorussia e la sua definizione di una politica indipendente, che non è schiava degli interessi di UE/NATO/USA, e sta cercando di eluderla.

Per farlo, l’Unione ricorre al ricatto e all’imposizione di sanzioni che, sostiene, possono essere revocate se il paese adotta le misure che gli vengono richieste chiedendo, per esempio, che “l’opposizione democratica della Bielorussia e della società civile sia inclusa nel dialogo fra l’UE e la Bielorussia”; si giunga a “fare pieno uso in modo efficace di tutte le possibilità per sostenere gli sviluppi democratici e della società civile bielorussa mediante lo strumento europeo della democrazia e dei diritti umani, EIDHR” o si concedano “sostegni finanziari al canale televisivo indipendente bielorusso Belsat”.

Quale paese dell’Unione accetterebbe mai queste condizioni? L’ipoticrisia di questo approccio è chiara, soprattutto quando la “famiglia europea” delle cosiddette “nazioni democratiche” non pronuncia una parola univoca di condanna del vero e proprio massacro perpetrato dall’esercito israeliano contro il popolo palestinese nella striscia di Gaza o dei voli criminali della CIA di cui è stata, per questo, complice.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE-DE), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore dell’adozione della risoluzione sulla valutazione del dialogo UE-Bielorussia. Sono lieto che, oltre alla valutazione generale della scena politica, la risoluzione si soffermi anche sulle aspettative specifiche per quel che riguarda le autorità bielorusse. Il dialogo, come è ovvio, non viene condotto soltanto per amore del dialogo. Deve portare a un miglioramento della situazione negli ambiti che, per vari motivi, richiedono un miglioramento. Nessuno si illude che la situazione in Bielorussia sia ideale.

Ci aspettiamo pertanto una revisione delle decisioni prese nel caso della coscrizione dei giovani attivisti Franak Viačorka, Ivan Šyla e Zmiter Fedaruk. Non devono essere tenuti in “ostaggio” dalle autorità. Franak Viačorka è figlio di un noto attivista dell’opposizione. La coscrizione non può essere usata come strumento per condurre la politica. Chiediamo altresì il riconoscimento da parte delle autorità dell’Unione dei poli in Bielorussia e del suo presidente, Angelika Borys, eletti il 15 marzo 2009. Vorremmo inoltre che le autorità bielorusse ordinino un riesame delle sentenze pronunciate contro gli 11 partecipanti a una dimostrazione tenutasi nel gennaio 2008.

Sono esempi molto specifici che consentirebbero alle autorità bielorusse di dare prova di buona volontà e desiderio di intrattenere un dialogo vero. Spero che la Bielorussia colga questa opportunità perché sarebbe vantaggiosa per la Bielorussia stessa, per il suo popolo, per l’Unione europea e per i rapporti tra Bielorussia ed Europa. Grazie.

 
  
  

– Proposta di risoluzione: RC-B6-0165/2009 (coscienza europea e totalitarismo)

 
  
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  Adam Bielan (UEN), per iscritto. – (PL) Se siamo impegnati nella costruzione del futuro dell’Europa, non possiamo consentire che si ignorino fatti storici o si trascuri la memoria dei momenti tragici della nostra storia. Ricordare le vittime dei crimini contro l’umanità dovrebbe essere uno degli elementi fondamentali dell’insegnamento della storia e della formazione della coscienza dei giovani in Europa. Ignorare la storia porta non soltanto alla sua distorsione, ma anche alla creazione di varie pericolose forme di nazionalismo. Vorrei inoltre che la società europea conoscesse meglio gli eroi polacchi come il capitano di cavalleria Witold Pilecki. Non dobbiamo infatti mai dimenticare che comprendere il passato dell’intera Europa, e non solo della sua parte occidentale, è la chiave per costruire un futuro comune.

 
  
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  Koenraad Dillen (NI) , per iscritto. − (NL) Ho votato a favore di questa risoluzione imparziale che condanna il totalitarismo in ogni sua forma o manifestazione. Il XX secolo è stato quello in cui abbiamo assistito ai massacri più strazianti della storia. La Germania nazista, la Russia sovietica, la Cambogia, la Cina e il Rwanda ci ricordano la follia assoluta e la crudeltà totale che alcuni sono capaci di infliggere ad altri quando la tirannia prevale sulla libertà. Vorrei formulare però una riserva. Mi rifiuto di creare una gerarchia della sofferenza. Ogni caso di sofferenza è unico e merita il nostro rispetto, a prescindere che siano coinvolti ebrei, tutsi, kulaki, prigionieri di guerra russi o preti polacchi. Per questo ho optato per l’astensione nel caso dell’emendamento n. 19.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione sui regimi totalitari. Credo infatti che l’Europa non possa dirsi unita a meno che non riesca a giungere a una visione comune della sua storia e condurre un dibattito onesto e approfondito sui crimini commessi da nazismo, stalinismo e dai regimi fascisti e comunisti nello scorso secolo.

Ritengo che il processo di integrazione dell’Europa sia stato un successo e ora abbia portato a un’Unione che comprende paesi dell’Europa centrale e orientale, vissuti sotto regimi comunisti dalla fine della Seconda guerra mondiale ai primi anni Novanta, e abbia contributo a garantire la democrazia nell’Europa meridionale, in paesi come Grecia, Spagna e Portogallo, che per un lungo periodo hanno subito regimi fascisti.

 
  
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  Glyn Ford (PSE), per iscritto. − (EN) Benché sia favorevole alla massima obiettività nell’analisi della storia dell’Europa e per quanto riconosca l’esecrabilità dei crimini commessi dalla Russia stalinista, temo che la presente risoluzione contenga elementi di un revisionismo storico che contrastano con la richiesta di un’analisi obiettiva.

Non sono disposto paragonare i crimini dei nazisti, l’olocausto e il genocidio che ha mietuto sei milioni di ebrei, insieme ai comunisti, ai sindacalisti e ai disabili morti, a quelli della Russia stalinista. Questo relativismo politico rischia di diluire l’unicità dei crimini nazisti e, così facendo, offre un supporto intellettuale alle ideologie degli odierni neonazisti e neofascisti, alcuni dei quali sono con noi, qui, oggi.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La proposta di risoluzione presentata dai cinque gruppi più grandi del Parlamento schiude molte importanti prospettive rispetto alla storia europea degli ultimi 100 anni. Gli emendamenti, specialmente quelli formulati dal gruppo UEN, sono anch’essi lodevoli, ma, per ragioni editoriali, non tutto ciò che è stato proposto può essere inserito nel testo della risoluzione. Vi sono molte tragedie e singoli atti di eroismo che meriterebbero di figurare in una risoluzione sulla coscienza europea e il totalitarismo. Purtroppo, non vi è spazio per tutto ed è per questo che siamo stati costretti a votare contro alcuni emendamenti proposti in merito alla risoluzione.

Abbiamo però votato a favore della risoluzione nel suo complesso.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa vergognosa risoluzione approvata dal Parlamento rientra nella manovra per distorcere la verità politica intrapresa dai reazionari e da coloro che cercano vendetta: gli sconfitti della Seconda guerra mondiale, le stesse persone che nei rispettivi paesi stanno riabilitando chi, per esempio, ha collaborato con le barbarie del nazismo.

Il fine è mettere in buona luce il neofascismo e condannare il comunismo, ossia il tiranno e l’oppressore, condannando vittime e oppressi, allo scopo di cancellare il contributo decisivo dato dai comunisti e dall’Unione sovietica alla sconfitta del nazifascismo, al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, alla liberazione dei popoli dal gioco colonialista, nonché il ruolo svolto contro lo sfruttamento e i conflitti dopo la Seconda guerra mondiale.

In Portogallo, il partito comunista portoghese si è battuto più di chiunque altro per la libertà, la democrazia, la pace, i diritti dell’uomo, condizioni di vita dignitose per il popolo portoghese, la libertà dei popoli colonizzati dal fascismo e gli obiettivi sanciti dalla costituzione della Repubblica portoghese, che ormai ha 33 anni.

In fondo, l’intento è criminalizzare i comunisti, le loro attività e i loro ideali.

Tale risoluzione diventa ancora più grave in un momento di crisi acuta del capitalismo che sta facendo della lotta per la pace, la democrazia e il progresso sociale il grande baluardo della nostra epoca.

 
  
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  Jens Holm ed Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Ovviamente ci rammarichiamo per le vittime di tutti i regimi aggressivi e autoritaristici, che si tratti delle atrocità commesse in Europa o, per esempio, nelle ex colonie europee. Ci preoccupano però notevolmente tutti gli sforzi diretti e indiretti profusi da politici e parlamenti per cercare di influire sulla percezione generale dei fatti storici. Tale compito dovrebbe essere lasciato alla ricerca accademica indipendente e al dibattito pubblico. Si corre altrimenti il rischio che ogni nuova maggioranza in Parlamento cerchi di cambiare la storia descrivendo i peggiori nemici della società e la discussione sulla storia europea venga sfruttata a fini propagandistici a breve termine. Alla votazione finale abbiamo dunque scelto l’astensione.

 
  
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  Maria Eleni Koppa (PSE), per iscritto. – (EL) Il gruppo parlamentare PASOK ha votato contro la proposta di risoluzione perché paragona in maniera inaccettabile il nazismo al comunismo.

Condanniamo le atrocità perpetrate sia dal nazismo sia dallo stalinismo.

Riteniamo che tale raffronto non aiuti a capire le peculiarità dei due regimi totalitari.

 
  
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  Erik Meijer (GUE/NGL), per iscritto. − (NL) Contrariamente alla raccomandazione del mio partito, che ha giudicato superflua la presente risoluzione sul totalitarismo, ho votato a suo favore. Opto infatti per un distacco netto da ogni tentativo di raggiungere obiettivi politici attraverso la violenza, la detenzione, l’intimidazione o altre forme di oppressione. Il XX secolo è stato il secolo dei grandi movimenti popolari accecati dall’idea di essere ai margini della storia. Ogni crimine era giustificato per imporre quello che vedevamo come mondo ideale e proteggerlo per sempre dal cambiamento. Per alcuni questo mondo ideale consisteva nel garantire l’uguaglianza per tutti, nel propendere nettamente per l’assistenzialismo statale, nel mettere i mezzi di produzione nelle mani del popolo e nell’abolire i vecchi privilegi di cui godevano i gruppi avvantaggiati. Per altri, si trattava di perpetuare le tradizioni, la disuguaglianza, le posizioni di potere e i privilegi. Possono identificarmi nel primo gruppo, ma non nel secondo.

A causa della loro violenza, ambedue i gruppi saranno per sempre deprecati. Nessuno ricorda le loro motivazioni, ma tutti ricordano i loro mezzi. Quell’epoca deve assolutamente restare confinata nel passato. Anche se non concordo con la formulazione di alcuni passaggi, l’odierna risoluzione è fondamentale.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Nessun parlamento, nessuna maggioranza parlamentare comprendente rappresentanti e servi del sistema capitalistico barbarico può usare la diffamazione, le menzogne e la falsificazione per spazzare via la storia della rivoluzione sociale, scritta e firmata dal popolo con il sangue. Nessun fronte nero anticomunista può cancellare l’enorme contributo offerto dal socialismo, i suoi successi senza precedenti e la sua abolizione dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.

La proposta di risoluzione comune dei gruppi PPE-DE, ALDE, Verts/ALE e UEN, sostenuta anche dal gruppo PSE, paragona, in maniera indescrivibilmente grossolana, il fascismo al comunismo, i regimi nazifascisti ai regimi socialisti.

Con un pietoso quid pro quo, si propone una giornata europea della memoria comune per vittime e autori dei crimini. Così facendo, si assolve il fascismo, si diffama il socialismo e si esonera l’imperialismo dai crimini che ha perpetrato e tuttora perpetra. Ideologicamente, si promuove il capitalismo come unico “sistema democratico”.

Qualunque forza politica che non si schieri, dando così un alibi a questa politica oscurantista, si assume anche la grave responsabilità di questa isteria anticomunista.

Il partito comunista greco esorta la classe lavoratrice e ogni progressista a condannare l’anticomunismo e i suoi fautori.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) Il XX secolo è stato contrassegnato dai crimini dei regimi totalitari nazisti e comunisti, brutalmente inflitti a milioni di innocenti. L’integrazione europea è stata una risposta diretta alla guerra e al terrore causato dai regimi totalitari nel continente europeo.

Credo fermamente che l’Europa non sarà mai unita se non riesce a elaborare una visione unita della sua storia e ho pertanto votato a favore della risoluzione sulla coscienza europea e il totalitarismo. Dobbiamo riconoscere il comunismo e il nazismo come un’eredità comune e tenere un dibattito approfondito su tutti i crimini commessi dai regimi totalitari nello scorso secolo. Lo dobbiamo alle generazioni più giovani che non crescono più sotto il gioco di questi regimi e la cui consapevolezza del totalitarismo in tutte le sue forme è diventata preoccupantemente superficiale e inadeguata, anche nei cinque anni trascorsi dall’allargamento del 2004. Persino oggi molti non sanno nulla dei regimi che hanno terrorizzato i loro concittadini nell’Europa centrale e orientale per 40 anni dividendoli dall’Europa democratica con la cortina di ferro e il muro di Berlino.

Nel 2009 celebriamo il XX anniversario del crollo delle dittature comuniste nell’Europa centrale e orientale e della caduta del muro di Berlino. Ritengo dunque che tutti i governi dell’Unione debbano cogliere l’opportunità per dichiarare il 23 agosto giornata europea del ricordo delle vittime dello stalinismo e del nazismo.

Questo sarebbe lo spirito di una risoluzione per tutte le vittime dei regimi totalitari e una garanzia forte e inequivocabile che tali vicende non si ripeteranno mai in Europa.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Intendo esprimere il mio voto a favore della proposta di risoluzione su coscienza europea e totalitarismo.

Sono fermamente convinto che sia necessario rafforzare la consapevolezza europea dei crimini commessi da regimi totalitari e non democratici, poiché ritengo che non si possa consolidare l’integrazione europea, senza promuovere la conservazione della memoria storica, purché si riconoscano tutti gli aspetti del passato europeo.

Approvo, inoltre, la proposta di proclamare una "Giornata europea del ricordo" delle vittime di tutti i regimi totalitari e autoritari.

 
  
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  Peter Skinner (PSE), per iscritto. − (EN) Per molti nell’Unione europea e, di fatto, in Europa in senso più ampio, le conseguenze del totalitarismo, con i suoi milioni di morti, rappresentano un punto storico fondamentale che ha contributo a formare molte menti delle successive generazioni, ma per quanti hanno vissuto tale periodo è una profonda cicatrice nello sviluppo europeo. L’estremismo costituisce una minaccia ancora attuale e questi estremisti hanno un amico inconsapevole nelle urne: la letargia. Come politici la consapevolezza del pericolo per le nostre libertà e le nostre stesse vite è un elemento che dobbiamo tutti sforzarci di ricordare alle attuali e future generazioni. Per questo sono in grado di appoggiare la presente proposta di risoluzione.

 
  
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  Ioannis Varvitsiotis (PPE-DE), per iscritto. – (EL) Condanniamo recisamente qualunque forma di totalitarismo e, nel contempo, sottolineiamo l’importanza di ricordare il passato. Questo è un elemento importante della nostra storia.

Riteniamo però che le decisioni maggioritarie del Parlamento non possano interpretare fatti storici.

La valutazione dei fatti storici è infatti compito degli storici e soltanto loro.

Per questo abbiamo deciso di astenerci dall’odierno voto sulla proposta di risoluzione comune formulata dai quattro gruppi politici, incluso il PPE-DE, sulla coscienza europea e il totalitarismo.

 
  
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  Francis Wurtz (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) In diverse occasioni abbiamo potuto esprimere le nostre posizioni in merito alle reiterate dichiarazioni sul tema di “tutti i regimi totalitari”.

Il nostro gruppo condanna senza riserve ogni forma di totalitarismo. Esso condanna incondizionatamente lo stalinismo e, nel contempo, si contrappone con forza a qualunque tentativo di banalizzare il nazismo seppellendolo in una condanna dei regimi totalitari, come avviene, ancora una volta, nella risoluzione comune sottoposta alla nostra attenzione.

Per questo il nostro gruppo si rifiuta di partecipare al voto sulla risoluzione.

 
  
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  Anna Záborská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) La condanna dei regimi totalitari che hanno adottato le ideologie del nazismo o del comunismo dovrebbe essere soltanto il primo passo verso una condanna assoluta di ogni forma di intolleranza, fanatismo e ignoranza che hanno soffocato e continuano a soffocare diritti e libertà fondamentali di singoli e nazioni. Ogni ideologia che non rispetti la dignità umana e la vita umana merita una condanna ed è fondamentalmente inaccettabile.

Il nazismo e il comunismo sono ideologie che di fatto hanno tratto ispirazioni da ideologie precedenti, formulate nel XIX secolo e consolidatesi come principi costituzionali presso gli Stati europei dell’epoca. Ideologie quali il militarismo, il nazionalismo sciovinista, l’imperialismo, il radicalismo e poi il fascismo sono state per loro natura inumane e distruttive e, pertanto, meritano una condanna esplicita, esattamente come le ideologie comparse successivamente sotto forma di comunismo e nazismo.

Ci corre in particolare l’obbligo di sottolinearlo nel momento che stiamo vivendo, un’epoca estremamente difficile di grande incertezza. Non dobbiamo pertanto consentire che emergano nuove correnti politiche ispirate da idee antiumane come quelle che erano alla base del nazismo e del comunismo. L’intolleranza può essere combattuta soltanto rifiutando compromessi o eccezioni e, pertanto, vorremmo che l’idea di “lotta al totalitarismo” fosse modificata introducendo il concetto di “lotta contro tutti i regimi totalitari che hanno soffocato la dignità umana, la libertà e l’unicità di ogni individuo”.

 
  
  

– Proposta di risoluzione: RC-B6-0166/2009 (ruolo della cultura)

 
  
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  Călin Cătălin Chiriţă (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione comune sul ruolo della cultura nello sviluppo delle regioni europee perché ritengo che l’Unione debba sostenere fortemente i progetti culturali.

Ritengo che le strategie per lo sviluppo regionale che incorporano cultura, creatività e arte offrano un contributo notevole al miglioramento della qualità della vita nelle regioni e nelle città europee promuovendo la diversità culturale, la democrazia, la partecipazione e il dialogo interculturale.

La risoluzione esorta la Commissione a presentare un libro verde con una serie di misure nel campo delle attività culturali contemporanee per consolidare lo sviluppo nelle regioni europee.

Ritengo che lo spirito culturale dell’Europa sia uno strumento importante per avvicinare gli europei in una maniera che rispetti pienamente le loro diverse identità culturali e linguistiche. Le culture dell’Europa rappresentano altrettanti fattori strategici per il suo sviluppo a livello locale, regionale e nazionale, ma anche a livello di istituzioni comunitarie.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) La cultura è un ambito politico che rientra nelle responsabilità politiche di ogni singolo Stato membro. La presente risoluzione discute temi che esulano dalle competenze dell’Unione europea. Poiché prendiamo sul serio il principio di sussidiarietà, siamo del parere che la commissione del Parlamento per la cultura e l’istruzione debba essere abolita.

Di conseguenza, abbiamo votato contro la relazione.

 
  
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  Zita Pleštinská (PPE-DE), per iscritto. – (SK) La cultura è un elemento importante dello sviluppo sostenibile delle regioni europee e, pertanto, i piani di sviluppo per tutte le regioni devono includere una dimensione culturale. Una strategia che contempli cultura, creatività e arte contribuirà enormemente al miglioramento della qualità della vita degli abitanti di città e zone rurali.

In Slovacchia, il mio paese natio, sebbene la superficie sia relativamente ridotta, abbiamo diverse regioni culturali con proprie varianti interne. Le tradizioni culturali sviluppatesi nei secoli comprendono una varietà inusuale di forme, tipi e varianti di folclore.

Per esempio, nella mia regione di Stará Ľubovňa, nel nord-est della Slovacchia, si ritrovano le culture slovacca, tedesca, rutena, gorale e rom. Tutti i villaggi organizzano festival culturali annuali che richiamano molti visitatori nella nostra regione. Il partenariato tra regioni europee è rafforzato dalla varietà di costumi, canzoni e danze. I progetti culturali nascono da iniziative di organizzazioni volontarie e meritano l’attenzione e, soprattutto, il sostegno della Commissione europea. E’ un peccato che i fondi per i progetti culturali vengano ogni anno tagliati, rendendo estremamente difficile per le autorità locali mantenere in vita queste splendide e uniche tradizioni culturali.

Credo fermamente che la Commissione debba presentare un libro verde con una serie di misure potenziali a supporto delle attività culturali volte a rafforzare lo sviluppo culturale delle regioni europee e, pertanto, ho votato a favore della risoluzione sul ruolo della cultura nello sviluppo delle regioni europee.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Esprimo il mio parere contrario alle proposte di risoluzione in merito al ruolo della cultura nello sviluppo delle regioni europee.

Ritengo che le iniziative proposte, pur animate dalla condivisibile finalità di favorire lo sviluppo regionale e locale nell’UE, non siano sufficienti a garantire il raggiungimento di tali scopi; in particolare dubito dell’efficacia che tali iniziative hanno sulla promozione delle identità linguistiche e culturali, considerando che non sono affiancate da ulteriori iniziative e politiche di più ampio respiro.

 
  
  

- Relazione Onyszkiewicz (A6-0140/2009)

 
  
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  Martin Callanan (PPE-DE), per iscritto. − (EN) La Russia resta un importante partner strategico per l’Unione. Abbiamo infatti interessi comuni come la lotta alla proliferazione nucleare e la costruzione della pace in Medio Oriente. La Russia svolge inoltre un importante ruolo diplomatico, non solo come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma anche come importante strumento di influenza sull’Iran. Abbiamo dunque bisogno dell’aiuto della Russia per persuadere l’Iran a non costruire bombe nucleari.

Vi sono tuttavia ambiti che destano apprensione per quanto concerne il nostro rapporto con la Russia. Inoltre, se condividiamo interessi comuni, non sono persuaso che condividiamo valori comuni. La situazione della democrazia e dello Stato di diritto in Russia resta preoccupante. Neanche la libertà di stampa ha raggiunto i livelli che ci aspetteremmo.

Il nostro partenariato con la Russia deve pertanto essere forte e duraturo, ma non può essere incondizionato. In particolare, la Russia deve sapere che non tollereremo l’annessione e il riconoscimento dei territori georgiani sovrani occupati nel conflitto della scorsa estate.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Vi è di certo una nazione invisa a questo Parlamento, così uso ad approvare rapidamente accordi economici, commerciali o di cooperazione con Cuba, la dittatura comunista cinese o persino la Turchia del primo ministro Erdogan.

La maggioranza di questo Parlamento, che ha accolto entusiasticamente la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, nonostante sia la culla storica della nazione serba, ora sta raccogliendo i frutti amari della sua politica con l’indipendenza sostenuta dalla Russia di Abkhazia e Ossezia.

Inoltre, come si può accusare soltanto la Russia per l’equivoco sulle questioni di sicurezza quando l’espansione della NATO fino alle sue frontiere viene naturalmente vista dai russi come una provocazione e una minaccia?

Come è ovvio, permangono varie difficoltà. La Russia però, a differenza della Turchia, culturalmente, spiritualmente e geograficamente appartiene all’Europa. E’ con tale paese che dovremmo innanzi tutto interesse rapporti privilegiati.

 
  
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  Pedro Guerreiro (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La risoluzione appena adottata chiarisce obiettivi e scopi della maggioranza di quest’Aula per i rapporti UE-Russia. Il Parlamento insiste affinché siano basati “sui principi dei mercati liberalizzati e aperti e sulla reciprocità dei diritti di investimento tra i partner” esigendo “pertanto che il governo russo, in cambio di legami economici stretti e vantaggiosi, garantisca i diritti di proprietà degli investitori stranieri”.

In altre parole, l’intenzione è esercitare pressioni sulla Russia affinché, per esempio, ceda il suo immenso patrimonio naturale, segnatamente petrolio e gas naturale, e subordini la sua capacità produttiva mettendo a disposizione la sua forza lavoro in maniera che possa essere sfruttata nell’interesse delle grandi potenze e imprese dell’Unione che vogliono accedere a risorse che dovrebbero appartenere al popolo russo.

La risoluzione pone tutta la pressione sulla Russia, ma non vi è un solo riferimento all’espansione della NATO a est e al nuovo sistema missilistico degli Stati Uniti in Europa.

Dal canto nostro, respingiamo recisamente questo tipo di rapporto. Chiediamo che si stabiliscano relazioni eque e reciproco rispetto tra le due parti sulla base degli interessi del loro popolo e dell’osservanza dei principi di non intervento, disarmo e distensione.

 
  
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  Carl Lang (NI), per iscritto. – (FR) A differenza della Turchia, la Russia è parte della sfera geografica, culturale e spirituale dell’Europa, e dunque della sua civiltà. Il paese, pertanto, dovrebbe essere un partner strategico in molti ambiti, soprattutto quello dell’energia. E’ però anche una nazione sorella che dovremmo sostenere e non criticare incessantemente, come fanno i benpensanti europeisti, specialmente nella presente relazione, che definisce il salvataggio delle minoranze russofone come un “contrattacco sproporzionato” che “mette in questione la disponibilità della Russia di costruire, con l’UE, uno spazio comune di sicurezza in Europa”.

Gli europeisti che sono sempre pronti a schierarsi con gli Stati Uniti e la loro guerra in Iraq non hanno nulla da insegnare ai russi. Dieci anni fa, questi stessi europeisti sempre pronti a schierarsi a favore dei diritti dell’uomo non hanno esitato a sostenere la NATO nel suo inqualificabile atto di aggressione contro la Serbia.

Chiediamo che venga costruita una nuova Europa, un’Europa libera di nazioni sovrane che stabiliscano rapporti privilegiati con la Russia.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Esprimo il mio voto contrario in merito alla relazione presentata dal collega Onyszkiewicz recante una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sul nuovo accordo UE-Russia.

Non sono, infatti, d’accordo con il relatore circa le raccomandazioni rivolte al Consiglio e alla Commissione in vista del proseguimento dei negoziati con la Russia, poiché ritengo che non siano sufficienti a garantire una giusta intesa, rispettosa dei diritti e delle prerogative dell’Unione Europea, che possa favorire lo sviluppo di buone relazioni tra gli attori in causa. Ritengo, dunque, che debbano essere compiuti maggiori sforzi, da entrambe le parti, affinché tale obiettivo possa essere raggiunto.

 
  
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  Charles Tannock (PPE-DE), per iscritto. − (EN) La Russia deve decidersi: aspira ai valori comuni dell’Unione europea o no? Sono molti gli ambiti in cui vi è accordo con la Russia, che in fin dei conti è un nostro partner strategico. Riconosciamo la minaccia comune della proliferazione nucleare, proveniente soprattutto dall’Iran. Abbiamo bisogno dell’aiuto della Russia nell’ambito del quartetto per lavorare verso una composizione pacifica del conflitto in Medio Oriente con un nuovo primo ministro di Israele e il presidente degli Stati Uniti in carica. Non possiamo tuttavia permettere che la Russia tiranneggi i suoi vicini né usi le sue risorse di idrocarburi come arma diplomatica. Analogamente, non possiamo permettere che la Russia si comporti semplicemente come se il conflitto della scorsa estate con la Georgia non sia mai accaduto. L’annessione di un territorio georgiano sovrano non può essere cancellata, né dalla Russia né dall’Unione. Da ultimo, la Russia deve osservare i suoi impegni vincolanti con OSCE e Consiglio d’Europa, secondo cui è tenuta a promuovere i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto.

 
  
  

- Relazione Ries (A6-0089/2009)

 
  
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  John Attard-Montalto (PSE), per iscritto. − (EN) Colgo questa opportunità per esprimere il mio totale appoggio alla presente relazione proposta per migliorare la protezione della salute dei cittadini europei, ma vorrei anche aggiungere che a Malta e Gozo alcuni ambiti del sistema sanitario di base sono nello scompiglio assoluto. Le liste di attesa per maltesi e gozitani che hanno bisogno di esami medici e interventi chirurgici sono inimmaginabili. Il 2 per cento della popolazione aspetta un intervento di cataratta.

La saga delle liste di attesa è uno dei tanti esempi a supporto della mia dichiarazione. Fra gli altri, la mancanza di letti in quello che si presuppone essere un ospedale avanzatissimo costato quasi un miliardo di euro.

 
  
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  Liam Aylward (UEN), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della presente relazione soprattutto perché invita la Commissione ad avvalersi delle attuali prove scientifiche per tutelare i cittadini comunitari dai potenziali pericoli dei campi elettromagnetici. La raccomandazione del 1999 prevedeva un aggiornamento entro cinque anni dalla sua pubblicazione per tener conto delle ricerche in atto. Ebbene non vi è stato alcun aggiornamento. Nella mia lettera del 2008 al commissario Kyprianou ho chiesto che si rivedesse la raccomandazione originale, essendo trascorsi ormai quattro anni dalla scadenza prevista per la revisione, ma ancora non vi sono stati aggiornamenti.

Dall’adozione della raccomandazione, ricerche scientifiche e conclusioni sono cambiate e si sono evolute, così come abbiamo assistito a notevoli sviluppi tecnologici nell’uso dei campi elettromagnetici come dispositivi WiFi e Bluetooth. In ragione della natura estremamente mutevole di tale ambito, dobbiamo rivalutare i regolamenti che salvaguardano i nostri cittadini.

Uno studio europeo del 2007 indica che la maggioranza dei cittadini europei ritiene che le autorità pubbliche non abbiano svolto adeguatamente il proprio lavoro informandoli su come proteggersi dai campi elettromagnetici. L’Unione deve dare un esempio migliore raccogliendo i dati fondamentali ottenuti dalle ricerche su qualunque possibile danno derivante dai campi elettromagnetici ed elaborare orientamenti per i propri cittadini. Sostengo dunque ulteriori ricerche in merito agli effetti dell’esposizione ai campi elettromagnetici sulla salute pubblica e spero che la raccomandazione del 1999 venga rivista e aggiornata.

 
  
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  Proinsias De Rossa (PSE), per iscritto. − (EN) Sostengo la presente relazione che esorta la Commissione a restare vigile e intraprendere una revisione della base scientifica e dell’adeguatezza dei limiti imposti ai campi elettromagnetici attraverso il comitato scientifico dei rischi sanitari emergenti e recentemente identificati (CSRSERI). In questo modo, i consumatori potranno continuare a beneficiare di un livello elevato di protezione senza ostacolare il funzionamento e lo sviluppo delle tecnologie wireless.

I campi elettromagnetici sono un tema che interessa direttamente i cittadini comunitari. Da uno speciale studio di Eurobarometro sui campi elettromagnetici è emerso che gli europei sono divisi per quanto concerne le loro preoccupazioni in merito ai potenziali rischi dei campi elettromagnetici: il 14 per cento non è affatto preoccupato, il 35 per cento non è molto preoccupato, il 35 per cento è abbastanza preoccupato e il 13 per cento è molto preoccupato. Negli ultimi anni sono stati pubblicati vari studi scientifici al riguardo. Nessuno, tuttavia, ha fornito prove chiare in merito ai possibili effetti dei campi elettromagnetici generati dalle tecnologie wireless sulla salute umana.

 
  
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  Edite Estrela (PSE), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione sulle preoccupazioni per la salute associate ai campi elettromagnetici in quanto si tratta di un argomento che interessa l’intero pubblico europeo, esposto a campo elettromagnetici sia in ambito domestico sia sul luogo di lavoro.

L’esposizione a fonti di campi elettromagnetici generati dall’uomo è aumentata notevolmente negli ultimi anni, fenomeno dovuto in larga misura alla domanda crescente di elettricità e tecnologie wireless sempre più specializzate. Per questo ritengo che sia estremamente importante garantire un livello elevato di protezione a tutti i consumatori, senza però ostacolare il funzionamento delle reti di telefonia mobile e lo sviluppo delle nuove tecnologie wireless.

 
  
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  Robert Goebbels (PSE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la relazione di propria iniziativa dell’onorevole Ries perché è proprio il tipo di relazione assolutamente inutile per cui vanno pazzi alcuni colleghi, quegli stessi che si compiacciono nell’applicare il “principio di precauzione” a ogni piè sospinto e che sollevano polveroni alla minima “preoccupazione” del pubblico. Mentre la speranza di vita per gli europei aumenta di anno in anno, si sbandiera qualunque nuovo studio sui possibili effetti dei campi elettromagnetici che ponga interrogativi senza risposta. D’altro canto, si ignorano sistematicamente decine di ricerche di studiosi accademici e altri organismi realmente competenti in cui si afferma che non vi è alcun rischio reale. Tutto ciò che è esagerato è insignificante.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE-DE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Ries sulle preoccupazioni per la salute connesse ai campi elettromagnetici.

E’ fondamentale garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, specialmente minori, senza ostacolare il funzionamento delle reti di telefonia mobile. Sebbene non esista alcuna prova scientifica del fatto che l’uso dei telefoni cellulari ponga un rischio per la salute, tale ipotesi non può essere definitivamente scartata, per cui l’argomento va iscritto nell’ambito del principio di precauzione. E’ importante aggiornare periodicamente le soglie per l’esposizione del pubblico ai campi elettromagnetici.

E’ infine urgente disporre di maggiori informazioni sugli effetti delle onde elettromagnetiche e istituire un sistema unico per autorizzare l’installazione di antenne e ripetitori, come sottolinea la relazione.

 
  
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  David Martin (PSE), per iscritto. − (EN) Sono a favore della presente relazione che esorta a effettuare ulteriori ricerche sui campi elettromagnetici generati da dispositivi quali radio, televisori, forni a microonde, telefoni cellulari e linee elettriche ad alta tensione. La relazione raccomanda che scuole, asili, case di riposo e istituti sanitari siano tenuti a specifica distanza, stabilita secondo criteri scientifici, dalle antenne delle reti di telefonia mobile o dalle linee elettriche ad alta tensione.

 
  
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  Athanasios Pafilis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La proposta di risoluzione sulle preoccupazioni per la salute connesse ai campi elettromagnetici è un tentativo non certo di prevenire e proteggere, bensì di gestire le ripercussioni e nascondere i responsabili in maniera da non incidere sul funzionamento e la redditività dei monopoli. L’accresciuta consapevolezza e le preoccupazioni della base in merito alle aziende di distribuzione dell’elettricità e delle telecomunicazioni, nonché in merito ai produttori di dispositivi elettrici ed elettronici, che sono la principale fonte di pericolo, impongono ricerche con risultati inequivocabili, visto che la responsabilità per tali dispositivi ricade essenzialmente sulle società stesse, interessate a vendere i propri prodotti e servizi, e dunque non certo a dimostrare le conseguenze nocive dei campi elettromagnetici.

Per affrontare questo gravissimo problema, che può rappresentare un pericolo per la salute pubblica, occorrono studi dettagliati condotti dallo Stato a livello di patologie neoplastiche degenerative del cervello, effetti delle radiazioni elettromagnetiche nel loro complesso sull’omeostasi dell’organismo umano e così via.

Occorre altresì una lotta coordinata da parte dei lavoratori in maniera che, sulla base del principio di prevenzione, si possano ridurre i limiti di esposizione e l’esposizione effettiva ai campi elettromagnetici.

Non vi può essere protezione fondamentale ed effettiva della salute e della sicurezza dei lavoratori nel quadro dell’Unione europea, la quale sostiene la redditività e la competitività del capitale compromettendo la salute pubblica.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Voto favorevolmente la relazione presentata dalla collega Ries in merito alle preoccupazioni per la salute connesse ai campi elettromagnetici.

Convengo con la relatrice sulla necessità di dare ampio spazio al problema dell’impatto degli strumenti elettromagnetici sulla salute dei cittadini, favorendo studi e ricerche a tale riguardo che possano chiarire in misura sempre più precisa e approfondita questo tema che sta stimolando un crescente dibattito.

Mi trovo, quindi, d’accordo nell’esortare la Commissione ad adottare una politica chiara sulle onde elettromagnetiche, sebbene sia consapevole delle competenze esclusive degli Stati membri in certi ambiti, nei quali rientrano, ad esempio, le onde legate alla telefonia mobile.

 
  
  

- Relazione Schmitt (A6-0124/2009)

 
  
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  Charlotte Cederschiöld e Gunnar Hökmark (PPE-DE), per iscritto. − (SV) Oggi abbiamo votato a favore della relazione di propria iniziativa dell’onorevole Schmitt su “Migliorare le scuole: un ordine del giorno per la cooperazione europea” (A6-0124/2009). La relazione indica molte importanti sfide con cui le scuole europee devono confrontarsi e contiene una serie di raccomandazioni valide, per esempio quella che gli studenti di scuole e università debbano essere preparati meglio a un mercato del lavoro sempre più flessibile in cui i requisiti dei datori di lavoro subiscono rapidi mutamenti.

Siamo tuttavia contro un paragrafo della relazione che attribuisce l’accresciuta violenza nelle scuole a fattori quali l’accentuazione dei divari di classe e la crescente diversità culturale negli Stati membri dell’Unione. L’aumento della violenza nelle scuole è un problema sociale grave, con molte cause complesse, che non va sminuito con spiegazioni causali semplicistiche.

 
  
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  Călin Cătălin Chiriţă (PPE-DE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della relazione su “Migliorare le scuole: un ordine del giorno per la cooperazione europea”.

Ritengo infatti che l’Unione debba sostenere l’ammodernamento e il miglioramento dei programmi di studio scolastici in maniera che rispecchino le esigenze dell’attuale mercato del lavoro, nonché le attuali realtà sociali, economiche, culturali e tecniche.

Concordo con il fatto che le scuole debbano adoperarsi per migliorare l’occupabilità dei giovani, offrendo però loro nel contempo la possibilità di sviluppare le proprie capacità personali. Dobbiamo inoltre ricordare l’esigenza che i giovani siano in grado di acquisire competenze democratiche di base.

 
  
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  Marie-Hélène Descamps (PPE-DE), per iscritto. – (FR) La scolarizzazione è fondamentale, e oggi dobbiamo ribadirlo. La relazione intitolata “Migliorare le scuole: un ordine del giorno per la cooperazione europea”, alla quale ho manifestato pieno sostegno, rientra in tale obiettivo. Essa, infatti, insiste particolarmente sulla necessità di garantire pari accesso a tutti i giovani cittadini europei a un’istruzione di alta qualità che consenta loro di acquisire competenze e solide conoscenze, chiedendo peraltro maggiore sostegno finanziario per gli istituti in difficoltà. Dopodiché, in aggiunta alle conoscenze di base, essa mette anche in luce giustamente l’importanza dell’apprendimento delle lingue straniere sin dai primissimi anni, oltre alla possibilità di ricevere un’istruzione artistica, culturale e fisica, che è determinante per lo sviluppo personale. In più, essa raccomanda maggiore mobilità e scambi in ambito scolastico citando al riguardo l’eccellente programma europeo Comenius, pur non mancando di osservare che occorre renderlo più visibile e accessibile. Infine, in ossequio del principio di solidarietà, la risoluzione incoraggia l’introduzione di programmi scolastici ammodernati che tengano conto dei cambiamenti che intervengono a livello tecnologico e delle possibilità che le nuove tecnologie possono offrire.

 
  
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  Lena Ek (ALDE), per iscritto. − (SV) “Gli Stati membri sono responsabili per l’organizzazione, il contenuto e la riforma dell’istruzione scolastica”. Questo stabilisce il primo paragrafo della relazione di propria iniziativa dell’onorevole Schmitt sul miglioramento delle scuole, concetto con il quale concordo pienamente. Il ruolo dell’Unione consiste nell’agevolare gli scambi tra le varie scuole e semplificare la mobilità degli studenti, ragion per cui non dovrebbe interferire con altri aspetti correlati alla scuola. Purtroppo, la risoluzione dell’onorevole Schmitt non tiene fede alla promessa introduttiva lanciandosi quasi subito in una disquisizione sui modi in cui le scuole dovrebbero essere finanziate e valutate, i programmi di studio che dovrebbero proporre e così via. Esattamente il tipo di ambito con il quale l’Unione non dovrebbe interferire perché dovrebbe restare appannaggio dei singoli Stati membri. Voto a favore di un’Unione meno invadente e più mirata. Ho pertanto votato sia contro la relazione di propria iniziativa sia contro la risoluzione alternativa.

 
  
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  Hélène Goudin e Nils Lundgren (IND/DEM), per iscritto. − (SV) Il progetto di dichiarazione contiene una serie di idee valide, ma le scuole sono un ambito politico che dovrebbe rientrare nella responsabilità politica dei singoli Stati membri. La presente risoluzione, pertanto, affronta temi che esulano dalla sfera di competenza dell’Unione europea. Poiché prendiamo sul serio il principio di sussidiarietà, siamo del parere che il Parlamento debba votare contro la presente relazione e la commissione del Parlamento per la cultura e l’istruzione debba essere abolita.

Superfluo aggiungere che abbiamo votato contro la relazione.

 
  
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  Louis Grech (PSE), per iscritto. − (EN) In linea di principio siamo favorevoli alla presente relazione. Tuttavia, alcuni paragrafi (per esempio, l’introduzione nei programmi di studio di materie insegnate ai migranti nella loro lingua madre) non rispecchiano le realtà di alcuni Stati membri, specialmente per quanto concerne l’afflusso di immigranti, le capacità finanziarie e amministrative, la densità di popolazione del paese e molti altri fattori.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione Schmitt sul miglioramento delle scuole. La relazione giustamente osserva che l’erogazione di istruzione scolastica è di competenza degli Stati membri e ritengo corretto che ai sistemi di istruzione delle singole nazioni si assicurino autonomia e rispetto. Nondimeno, l’esperienza educativa dei bambini nell’Unione europea può essere migliorata soltanto attraverso una maggiore cooperazione europea e i sistemi di istruzione del continente devono adeguarsi per stare al passo con le moderne sfide.

 
  
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  Lívia Járóka (PPE-DE), per iscritto. – (HU) Vorrei complimentarmi con il collega, onorevole Schmitt, per la sua relazione su “Migliorare le scuole: un ordine del giorno per la cooperazione europea”, che giustamente sottolinea come i modelli educativi inclusivi promuovano l’integrazione dei gruppi svantaggiati di alunni e studenti con esigenze educative particolari. La relazione esorta inoltre gli Stati membri a migliorare l’accesso di tali allievi a una formazione secondo i massimi standard.

In tutta l’Europa, i bambini rom subiscono i massimi svantaggi educativi: quasi un quarto degli alunni delle scuole primarie rom sono in classi separate, mentre la maggior parte degli allievi costretti senza necessità a frequentare scuole speciali è di origine rom. L’82 per cento dei rom raggiunge soltanto il livello di istruzione pari alla scuola primaria, se non addirittura inferiore, e soltanto il 3,1 per cento ha accesso a un livello di istruzione corrispondente al livello medio della maggioranza della popolazione. Eppure innalzare il livello educativo dei bambini rom è un investimento redditizio dal punto di vista dell’economia nazionale in quanto la spesa necessaria affinché un bambino rom concluda la scuola secondaria è interamente compensata dai suoi successivi contributi al bilancio statale. Maggiori opportunità sul mercato del lavoro rese possibili da una migliore istruzione significano che essi saranno in grado di contribuire sempre più alla società anziché dipendere dalla sicurezza sociale. L’aumento delle imposte versate e la diminuzione delle prestazioni erogate rappresenteranno insieme un guadagno netto per il bilancio.

 
  
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  Stavros Lambrinidis (PSE), per iscritto. – (EL) Il gruppo PASOK ha votato a favore della proposta di risoluzione alternativa alla relazione Schmitt sul miglioramento delle scuole nell’Unione europea, che è riuscita a cancellare il riferimento all’istruzione dei soli figli degli immigranti “legali”, oltre ad apportare ulteriori miglioramenti. Contestualmente, il gruppo vorrebbe precisare che è in disaccordo con il paragrafo 15 del testo e il nesso che stabilisce tra tutti i livelli di istruzione e la “flessibilità” del mercato del lavoro sulla base delle esigenze dei datori di lavoro.

 
  
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  Zdzisław Zbigniew Podkański (UEN), per iscritto. – (PL) La relazione di propria iniziativa dell’onorevole Schmitt su “Migliorare le scuole: un ordine del giorno per la cooperazione europea” tenta di sottolineare le sfide e le minacce comuni con cui i sistemi scolastici degli Stati membri devono confrontarsi. In molti passaggi, la relazione ha ragione. Questa diagnosi comune è necessaria, non foss’altro per i notevoli flussi migratori in atto nella Comunità.

La relazione merita di essere avallata, ma non possiamo fare a meno di pensare che i valori comuni che il relatore considera il fondamento della riforma del sistema scolastico non abbracciano tutti i fattori che hanno forgiato l’Europa nei secoli. Il sottoparagrafo 17 fa riferimento allo sviluppo pieno e sfaccettato dell’individuo, alla necessità di coltivare il rispetto per i diritti umani e la giustizia sociale, all’apprendimento permanente ai fini dello sviluppo professionale e dell’avanzamento professionale, alla protezione dell’ambiente e del benessere personale e collettivo, valori indubbiamente auspicabili. Mancano tuttavia alcuni dettagli. Penso, per esempio, al fatto che tali valori comuni hanno una fonte e che tale fonte è rappresentata dalle radici cristiane dell’Europa.

In breve, è mio convincimento che l’unità nello spirito della cristianità sia probabilmente l’unico legame duraturo e fruttuoso, un fondamento solido. Ovviamente, l’assenza di un qualsivoglia riferimento a ciò inficia non solo la relazione, ma l’intera legislazione della Comunità gettando un’ombra sulla direzione dei cambiamenti. Oggi diciamo “sì” a valori condivisibili, ma non possiamo non domandarci quali saranno i valori di domani.

 
  
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  Luca Romagnoli (NI), per iscritto. − Esprimo il mio voto contrario riguardo alla relazione presentata dal collega Schmitt in merito a "Scuole migliori: un ordine del giorno per la cooperazione europea".

Nonostante sia d’accordo in linea di principio con le finalità generali contenute nella relazione e con il fatto che i sistemi di istruzione europei debbano essere rivisti per migliorarne la qualità, non ritengo che tale relazione individui delle soluzioni efficaci per favorire il reale miglioramento della qualità dell’insegnamento e delle prerogative della scuola quale luogo di comunicazione e socializzazione.

 
  
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  Andrzej Jan Szejna (PSE), per iscritto. – (PL) L’istruzione è senza dubbio un tema estremamente importante al quale dovremmo dedicare maggiore attenzione. Particolare attenzione va infatti prestata al primo stadio dell’istruzione, quella prescolare. Parimenti attenzione va prestata nel creare un buon clima sociale e condizioni in cui bambini e giovani possano svilupparsi. L’istruzione dei giovani è il nostro futuro, il futuro dell’intera Unione europea. Dovremmo adoperarci continuamente per migliorare le condizioni per l’apprendimento creando pari opportunità per bambini e giovani, così come non dovremmo dimenticare gruppi sfavoriti, minoranze nazionali e stranieri.

La formazione continua del personale docente e l’introduzione di moderni metodi di insegnamento sono fattori estremamente importanti. Dovremmo migliorare la retribuzione degli insegnanti e innalzare il profilo della loro professione.

Ritengo inoltre che si debba prestare attenzione ai giovani che vogliono studiare in altri Stati membri dell’Unione. Il luogo e tanto meno il livello di istruzione dei giovani non dovrebbero dipendere dalla loro situazione economica.

Avallo dunque la relazione Schmitt e concordo pienamente con l’idea che l’istruzione dei giovani in tutte le fasi del processo rivesta un significato importantissimo.

 
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