2. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
3. Vertice del G20 a Pittsburgh (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
4. Effetti della crisi economica e finanziaria globale sui paesi in via di sviluppo e sulla cooperazione allo sviluppo (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sulla libertà d’informazione in Italia.
Viviane Reding, membro della Commissione. − (EN) Signor Presidente, la libertà di espressione e la libertà di informazione costituiscono la base di una società libera, democratica e pluralista. In qualità di ex giornalista, questa è la mia ferma convinzione, condivisa appieno anche dall’Unione europea. E’ per questa ragione che tutte le istituzioni dell'Unione europea (Parlamento, Consiglio e Commissione) hanno sottoscritto la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, il cui articolo 11 recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.
Vorrei ricordare che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea stabilisce inoltre, all'articolo 51, paragrafo 1, i casi e i luoghi di applicazione di tali diritti fondamentali. Cito ancora: “Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri, esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione”.
Entro la sfera di competenza dell'Unione europea, che dobbiamo rispettare, la Commissione europea si è sempre impegnata per le libertà dei media, di espressione, di informazione e di stampa, tanto all'interno dell'UE quanto nelle nostre relazioni esterne con paesi terzi. Ricordo, in particolare, l’importante ruolo svolto dalla direttiva dell'Unione europea “Televisione senza frontiere”, che sin dal 1989 ha assicurato ai cittadini di tutti gli Stati membri la libertà di ricevere senza restrizioni le trasmissioni provenienti da altri paesi europei; una direttiva che ha contribuito in maniera sostanziale alla libera circolazione delle informazioni attraverso le frontiere e ad un maggiore pluralismo nel panorama dei media in tutti gli Stati membri. In questo contesto, vorrei ringraziare il Parlamento europeo per il sostegno fornito alla Commissione nella redazione di una versione più aggiornata di questa direttiva che estende la libertà di informazione attraverso le frontiere, oltre alle trasmissioni radiotelevisive, anche ad altri servizi audiovisivi e in particolare ai servizi online.
Questa direttiva deve essere attuata da tutti gli Stati membri dell'Unione europea entro la fine dell'anno e porterà un importante contributo al pluralismo del panorama mediatico poiché riguarderà anche le comunicazioni online. Consentitemi inoltre di richiamare l’attenzione su altri tre elementi molto importanti di questa direttiva.
In primo luogo, la promozione delle produzioni televisive indipendenti. Una norma della direttiva prevede che le emittenti televisive riservino almeno il 10 per cento del proprio tempo di trasmissione o il 10 per cento del proprio bilancio di programmazione ad opere europee realizzate da produttori indipendenti dalle emittenti televisive.
In secondo luogo, nella sua versione aggiornata, la direttiva prevede il diritto dei giornalisti e delle agenzie d’informazione di avere accesso ad estratti da tutta l'Unione europea al fine di realizzare brevi reportage.
In terzo luogo, elemento della massima importanza, nella nuova direttiva si fa riferimento alla necessità di disporre di autorità d’informazione indipendenti a livello nazionale. Questa soluzione è stata proposta dalla Commissione ed è stato adottata solo grazie al forte sostegno da parte del Parlamento europeo. Per il settore delle telecomunicazioni, dunque, la nuova versione della direttiva “Televisione senza frontiere” può essere considerata una carta della libertà d'informazione transfrontaliera nell'Unione europea.
Permettetemi ora di ricordare un altro importante aspetto delle competenze dell'Unione europea rispetto al quale questa istituzione può intervenire – ed è intervenuta – a favore del pluralismo dei media. Mi riferisco alla politica dello spettro radio. Voi tutti sapete che per una qualsiasi trasmissione è necessario avere accesso allo spettro radio, spettro al quale la politica europea vuole garantire un accesso indiscriminato a tutti gli operatori sul mercato. Le autorità nazionali non hanno quindi il diritto di congelare, attraverso l’assegnazione delle frequenze, la situazione della concorrenza tra i media a vantaggio di operatori già presenti sul mercato. La Corte di giustizia europea ha inoltre confermato nella sua sentenza Centro Europa l’importanza di questo principio, che deriva direttamente dalla libertà di prestazione dei servizi. La Commissione ha accolto con favore tale decisione, leggendola come un contributo verso una concorrenza leale e un’importante punto di partenza per rafforzare il pluralismo dei media. Su questa base, la Commissione è più volte intervenuta contro gli Stati membri nei quali il sistema di gestione dello spettro radio risultava essere in contraddizione con tale principio.
A titolo di esempio, vorrei ricordare la procedura di infrazione del 2006 in materia di assegnazione delle frequenze in Italia, avviata dalla mia collega, l’onorevole Kroes, e da me. Le autorità italiane, in seguito a questa procedura, stanno cambiando il loro approccio al tema. Il risultato sarà una sostanziale apertura del mercato e una vittoria per il pluralismo dei mezzi di informazione. La politica dello spettro radio è quindi un chiaro esempio di un settore nel quale l'Unione europea può agire nell'ambito delle proprie competenze per aumentare la concorrenza per le risorse da cui dipendono le emittenti, rafforzando in tal modo il pluralismo dei mezzi d’informazione.
Per quanto riguarda la stampa, le competenze dell'Unione europea sono sostanzialmente più limitate. La stampa è uno di quei primari esempi di competenze nazionali, o anche regionali, e la sua situazione molto spesso rispecchia le diverse tradizioni culturali dei vari Stati membri. Non vi è quindi alcuna normativa comunitaria specifica in questo settore, né può esserci una normativa ai sensi dei trattati nella loro forma attuale. In seno alle istituzioni europee, e in particolare nella Commissione europea, abbiamo sempre appoggiato lo sviluppo della stampa in tutta l'Unione europea. Ricordo che in qualità di commissario dell’UE per i media ho avuto numerosi incontri con capiredattori di tutta Europa per discutere i temi attuali relativi alla libertà e al pluralismo dei mezzi dell’informazione.
Questi incontri hanno portato, nel giugno 2009, alla Carta europea per la libertà di stampa, redatta dai giornalisti di tutta Europa. Quando mi è stato consegnato, ho pienamente avallato il risultato finale di questo lavoro. La Carta sulla libertà di stampa promossa dalla comunità dei giornalisti europei è un’importante riaffermazione dei valori fondamentali sanciti dai testi giuridici, quale la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Serve anche a ricordare a tutti i politici, nel loro campo di competenza, che le autorità pubbliche hanno un ruolo davvero importante nel raggiungere un'effettiva libertà di stampa: devono infatti essere pronte a proteggere la libertà di espressione e a favorirne lo sviluppo. La Carta è un passo importante verso il rafforzamento di questi valori e diritti fondamentali poiché consente ai giornalisti di invocarli contro i governi o contro le pubbliche autorità ogni qual volta essi avvertono che la libertà del loro lavoro è ingiustificatamente minacciata.
Gli onorevoli membri del Parlamento constateranno il forte impegno politico mostrato dalle istituzioni europee e, in particolare, dalla Commissione, in favore dei diritti fondamentali e delle libertà di informazione, di espressione e dei mezzi di informazione. Nel nostro lavoro utilizziamo le competenze acquisite per sostenere questi diritti e queste libertà, sulla base dei trattati, e continueremo a farlo.
Permettetemi tuttavia di soffermarmi su un altro aspetto importante: il fatto che alle politiche dell'UE si applichino i diritti fondamentali non rende l'Unione europea stessa competente per tutte le questioni relative ai diritti fondamentali in uno Stato membro o in un altro. Non dimentichiamo che gli Stati membri dispongono di costituzioni, molte delle quali di lunga tradizione, e che in tutti i paesi esistono tribunali, corti d'appello e giudici costituzionali che garantiscono che le autorità nazionali rispettino e applichino i diritti fondamentali. Non più tardi di ieri ne abbiamo avuto un esempio in Italia.
E’ il risultato della nostra divisione dei compiti, perché l'Europa non è un unico enorme Stato, ma è invece composta da 27 Stati membri sovrani e continuerà ad operare come tale anche ai sensi del nuovo trattato di Lisbona.
Vorrei quindi invitarvi a non fare uso delle istituzioni dell'Unione europea per risolvere problemi che, ai sensi dei nostri trattati, devono essere risolti a livello nazionale. Non dobbiamo arrogarci un ruolo che non ci compete e che non avremo nemmeno con il trattato di Lisbona. Concentriamoci sull’efficace applicazione di regole, principi, diritti e libertà nelle aree sulle quali l'Unione europea ha competenza. In questo modo potremo raggiungere progressi molto importanti e, nel mio intervento, ne ho citati diversi esempi concreti.
Consentitemi di aggiungere un altro esempio in cui possiamo intervenire. L’onorevole Rübig, membro di questo Parlamento, ha recentemente proposto in un emendamento di bilancio un nuovo programma comunitario denominato Erasmus per giornalisti. Nel difficile momento che sta attraversando il settore della stampa, un simile programma consentirebbe ai giornalisti di lavorare per un tempo limitato in redazioni di altri Stati membri e sarebbero inoltre in grado di conoscere e descrivere la situazione politica, economica e sociale di altri Stati membri. Il programma darebbe modo ai giornalisti di confrontare la situazione in tutta Europa e di presentarla ai lettori, anche per ciò che riguarda la libertà di stampa. E’ per questo che invito il Parlamento europeo a esprimersi in modo favorevole su queste proposte, che sicuramente hanno il sostegno del commissario dell’UE per i media.
Joseph Daul, a nome del gruppo PPE/DE. – (FR) Signor Presidente, signori Presidenti, onorevoli colleghi, se ho chiesto di prendere la parola a nome del gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano) in questa discussione sulla libertà di stampa in Italia, è in primo luogo per denunciare l'uso inopportuno del Parlamento europeo per discutere problemi nazionali. Inoltre, intervengo per denunciare un attacco ingiusto e disonesto contro il Governo di uno Stato membro dell'Unione europea nel quale lo stato di diritto è rispettato nel modo più rigoroso, al pari di quanto avviene nel resto d'Europa.
Sul primo punto, farò riferimento al presidente della Repubblica italiana che ho già citato ieri e che ha espresso la sua opinione la scorsa settimana: “Il Parlamento europeo” cito testualmente “non può essere una cassa di risonanza dei conflitti e delle polemiche che si svolgono nei singoli Paesi e per essi nei singoli parlamenti nazionali”. E aggiunge: “Né può [il Parlamento europeo] essere una sorta di istanza d'appello nei confronti di decisioni dei Parlamenti nazionali e di comportamenti dei governi nazionali.” Non intendo certo offendere il presidente Napolitano, che è un amico, dicendo che egli non segue la stessa linea politica del primo ministro Berlusconi o mia o del gruppo che rappresento.
(Esclamazione dell’onorevole Schulz)
La prego di rispettare la mia libertà di parola, onorevole Schulz! Questa mattina, vorrei che si mostrasse rispetto per la libertà di parola come per la libertà di stampa!
(Mormorio dell’onorevole Schulz)
Sappiamo chi sono i disturbatori. Non mi dà fastidio. Non sono seccato. Signor Presidente, tutto quello che chiedo è che mi si lasci parlare. Questo non è il modo di condurre una discussione.
Tuttavia, queste parole esprimono, senza mezzi termini, il rispetto che dobbiamo dimostrare verso le nostre istituzioni democratiche, siano esse nazionali o europee. Il fatto è che la discussione che stiamo tenendo questa mattina non ha assolutamente nulla a che fare con la ragione per cui esiste il Parlamento europeo. Infatti, di che cosa stiamo parlando? Viene forse impedito ai politici italiani di organizzare un dibattito sulla libertà di stampa o su qualsiasi altro argomento nei loro parlamenti nazionali? Non credo. Viene forse impedito ai cittadini italiani di esprimere la loro disapprovazione per una determinata legge? No. Viene forse impedito ai tribunali italiani di far rispettare la legge? No, come abbiamo visto chiaramente. La Corte di giustizia europea non è in grado di condannare una legge italiana che sia in contrasto con i trattati europei? No. La risposta a tutte queste domande è decisamente no.
Date queste circostanze, la discussione condotta in quest’Aula non è altro che un meschino trucco politico e partigiano teso a rovesciare un avversario politico. Non importa quello che alcuni dei nostri onorevoli colleghi possono sostenere: la Repubblica italiana funziona come deve in Europa, democraticamente e in conformità con lo stato di diritto. Sostenere il contrario significa ignorare la realtà delle cose: nessuno si lascia ingannare.
Il ruolo del Parlamento europeo, onorevoli colleghi, non è fare da cassa di risonanza per risolvere le rivalità politiche nazionali. Questo Parlamento non è il posto giusto per cercare di minare la credibilità di un governo che, vorrei aggiungere, è politicamente responsabile nei confronti dei propri cittadini, a questo servono le elezioni. Grazie per la vostra attenzione.
David-Maria Sassoli, a nome del gruppo S&D. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, signora Commissario, ognuno di noi è influenzato dal contesto in cui vive e capiterà anche a voi di sentirsi dire prima di venire qui a Bruxelles: "ricordati che hai una grande responsabilità, che noi abbiamo una grande responsabilità", quella di far diventare migliore il tuo paese.
Noi sappiamo che i nostri paesi saranno migliori se l'Europa sarà più forte, in grado di rispondere con un senso di giustizia alle aspettative dei cittadini. Noi sappiamo che questo è possibile se lo facciamo tutti insieme, naturalmente; se sapremo mettere in comune i beni più preziosi, le nostre Costituzioni, quel bagaglio di valori e di norme giuridiche, di diritti, che sono la vera ricchezza dell'Europa. Tante polemiche colpiscono il mio paese ma voglio rassicurare subito tutti che stiamo parlando di un grande paese democratico, che ha una grande Costituzione. Ieri per noi italiani è stato un giorno molto importante, perché la Corte costituzionale, di fronte agli sbandamenti e alle richieste di impunità, ha riaffermato un principio semplice e antico, quello secondo cui tutti i cittadini sono uguali di fronte alla giustizia. Però noi sappiamo che anche i grandi paesi possono sbandare, possono confondere beni pubblici e interessi privati. Ma noi non possiamo permetterci che gli Stati nazionali si indeboliscano.
Il diritto all'informazione libera, senza pressioni né condizionamenti da parte delle autorità di governo, deve essere garantito e questo è un bene pubblico, un bene di tutti, in ogni paese. E questo bene dev'essere difeso senza esitazioni da parte dell'Unione. Dobbiamo adoperarsi per fornire norme comuni, per stabilire limiti oltre i quali l'informazione non è più considerata libera. È urgente che l'Unione intervenga, che sia adottata una direttiva volta a definire indicatori sul pluralismo e sulla difesa di un bene che deve essere disponibile a tutti. Signora Reding, non dimentichi mai che noi siamo un Parlamento e non un museo dove conservare oggetti ammuffiti.
Mário David (PPE). – (PT) Tre o quattro settimane fa in Portogallo, la Prisa, una società spagnola nota sostenitrice del partito socialista e azionista di maggioranza del canale televisivo TVI, ha ordinato l'annullamento del programma serale Jornal Nacional de Sexta-Feira. Onorevole Sassoli, vorrei chiederle se il gruppo dell’Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo ha la stessa intenzione di esaminare ciò che accade in altri paesi, o se si limiterà ai cavilli politici ai quali stiamo assistendo questa mattina.
David-Maria Sassoli, a nome del gruppo S&D. – La ringrazio per la domanda perché mi dà la possibilità di spiegarmi. Nel tempo che mi è stato concesso non ho avuto questa possibilità.
(Il Presidente invita i deputati a lasciar proseguire l'oratore)
Dicevo, sono contento della sua domanda perché mi dà la possibilità di dire che la direttiva che noi chiediamo alla Commissione deve essere per tutti gli Stati membri. Non c'è una questione italiana: c'è una questione europea. Dirò di più: vogliamo che l'interrogazione che presenteremo a Strasburgo venga modificata. Vogliamo che si tratti della discussione del pluralismo in Italia e in Europa. La ringrazio molto per la sua domanda.
Presidente. − Onorevoli colleghi, se in Parlamento si terrà una simile discussione, non darò l'autorizzazione per le domande della Carta blu. Questa è la mia decisione. Mi dispiace, ma dobbiamo affrontare la questione con molta più calma, altrimenti la norma negherà la Carta blu. Non voglio che la seduta venga disturbata e vi prego quindi di comportarvi correttamente.
Guy Verhofstadt, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano ha ragione quando dice che il Parlamento europeo non è il luogo per risolvere le dispute tra i partiti politici all'interno degli Stati membri, o per contrastare le decisioni prese dai parlamenti nazionali. Il problema in Italia – e credo che il presidente Napolitano abbia pienamente ragione – deve prima essere risolto in Italia.
Il vero problema, onorevole Daul, è che non si può negare che vi sia un problema in Europa e in Italia. Del suo discorso, non condivido il fatto che lei neghi l’esistenza di un problema.
(Applausi)
Il presidente Napolitano ha ragione penso che lei abbia ragione nel sottolineare le sue parole, ma non è una buona idea affermare qui, in questo Parlamento, che non esista un problema. Perché dico questo? Perché Freedom House ha recentemente pubblicato uno studio in cui si dividono i paesi del mondo in tre categorie in base alla libertà di stampa: paesi liberi, parzialmente liberi e non liberi. E’ opportuno sottolineare – e credo che questo sia un problema enorme – che tre paesi, non uno, non solo l’Italia, ma anche Romania e Bulgaria, sono stati inclusi nella categoria dei parzialmente liberi. Siamo tutti molto colpiti, davvero colpiti, dal fatto che uno dei paesi fondatori della Comunità europea si trovi in questa categoria.
E’ nostro dovere intervenire, dato che abbiamo creato l'Unione europea al fine di sostenere una volta per tutte i nostri valori comuni di democrazia, pace e libertà. In che modo? Ritengo che, sulla base dei trattati, dobbiamo chiedere alla Commissione – e, ripeto, questa è una richiesta che è già stata fatta – di proporre una direttiva per la salvaguardia del pluralismo dei mezzi d’informazione. Questo deve accadere, ed è una competenza che può essere attuata con il Parlamento europeo sulla base dei trattati. Tale direttiva dovrebbe garantire che le norme costituzionali in materia di libertà dei mezzi d’informazione siano pienamente e armoniosamente rispettate in tutti i paesi dell'Unione europea, e soprattutto nei tre paesi in questione.
Devo aggiungere, signor Presidente, e mi avvio alla conclusione, che l’intervento della Commissione mi ha molto deluso. Gli Stati membri possono fare ciò che vogliono, purché rispettino le proprie costituzioni nazionali; questo sostiene la Commissione. Sono in completo disaccordo. Io protesto. Ci sono valori, ci sono libertà che devono essere difese in questo Parlamento al di là degli interessi nazionali, al di là delle costituzioni nazionali.
(Applausi)
Si tratta di valori e principi che, realmente, fanno dell'Unione europea quello che è. Invito pertanto la Commissione a rivedere la sua posizione e a proporre nel più breve tempo possibile una direttiva sulla questione della concentrazione dei mezzi dell’informazione, in nome di tutti i paesi dell'Unione europea.
Cristiana Muscardini (PPE). – Signor Presidente, solo perché dopo le dichiarazioni dell'onorevole Sassoli – che ha dichiarato in Aula che sarà cambiato il testo che voteremo a Strasburgo – ritengo inutile discutere un testo che gli stessi proponenti hanno già dichiarato che cambieranno.
Presidente. – Onorevole Muscardini, quella in realtà non era una richiesta procedurale, per cui chiedo che si osservino le norme della procedura.
Onorevoli colleghi, non ho intenzione di dare la parola a tutti coloro che sollevano una carta blu. Ho diritto di procedere così e noi dobbiamo andare avanti con la nostra discussione.
Dobbiamo essere più veloci nelle nostre discussioni. Tutti possono prendere la parola nella sessione catch the eye alla fine della nostra discussione, quindi tenetelo presente.
Judith Sargentini, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, si potrebbe pensare che parlerò in italiano e che si voglia fare di questa una discussione italiana, ma io sono olandese. Io sono un deputato olandese di questo Parlamento e sono molto frustrata dall'idea che stiamo parlando come se il problema fosse una discussione interna italiana.
Il punto qui non è come stanno andando le cose in Italia: in Italia si sta cominciando a esercitare pressioni sui giornalisti, e sta prendendo piede un’autocensura dei giornalisti stessi. Qui si tratta del fatto che questo rappresenta una vergogna per l'Europa. Come potremo dire agli Stati membri nuovi e candidati che devono garantire il pluralismo dei media, che nei loro paesi ogni voce venga ascoltata, che ci sia un dibattito tra tutti gli schieramenti e tutti i partiti politici, se non siamo disposti a dire all'Italia che deve darsi da fare, che è sbagliato spingere i giornalisti a cambiare posizione, che è sbagliato avere una sola persona che controlla sia la televisione commerciale che la televisione pubblica?
L’onorevole Verhofstadt ha avanzato queste richieste, alle quali anch’io mi associo. Onorevole Reding, lei ha detto che l'Europa sta facendo del suo meglio, che i diritti fondamentali sono giustappunto fondamentali, ma non quando si tratta di uno Stato che è già membro. Ciò non può essere vero. Questo è uno dei criteri di Copenaghen. Tutti devono attenersi ai criteri di Copenaghen.
(Applausi)
Al fine di garantire che questo non sia solo un dibattito italiano, anche’io richiedo una direttiva sulla concentrazione dei media. Il Parlamento europeo ha avanzato questa richiesta già due volte: quando la Commissione intende darvi seguito? L’accesa discussione che qui ha luogo è la stessa che il gruppo PPE ha tentato di togliere dall'ordine del giorno sostenendo che non sarebbe di carattere europeo. Questa discussione dimostra che qualcosa sta accadendo. Si alza la voce, ci si scalda sull’argomento, e questo è positivo, perché la libertà di parola e una stampa pluralista sono la chiave della nostra democrazia.
In Italia, l’80 per cento della popolazione ricava le informazioni quotidiane dalla televisione. Se la televisione non trasmette tutte le opinioni, allora le persone non hanno la possibilità di prendere decisioni. Il che è fondamentale per la democrazia.
(Applausi)
Siamo tutti persone istruite e dobbiamo imparare a confrontarci con verità diverse e a trarre la nostra verità da questo confronto: le persone hanno il diritto di farlo in Italia, in Bulgaria, nei Paesi Bassi e io mi batto affinché questa situazione sia reale. Anche se sono olandese, e non italiana, devo prendere le parti dei cittadini di tutta l’Europa.
Tentare di togliere questo argomento dall’ordine del giorno sostenendo che non ci riguarda, è una cosa di cui ci si deve vergognare. Il modo in cui stanno andando le cose in Italia rende la democrazia di questo paese molto vulnerabile. Diamoci da fare. Concentrazione dei media, per favore, onorevole Reding!
(Applausi)
Ryszard Czarnecki, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signor Presidente, signora Commissario, non è solo l'Italia a essere un paese grande e meraviglioso. Nel Parlamento europeo siedono i rappresentanti di 27 paesi meravigliosi, se solo posso aggiungere questo a quanto ha detto l'onorevole Sassoli.
Penso che sia un po’ paradossale che io, un attivista dell'opposizione anticomunista che non avrebbe mai immaginato di poter essere d'accordo con chi ha radici in quel campo, si sarebbe trovato d'accordo con il presidente italiano che ci mette in guardia dal trasporre le controversie nazionali al Parlamento europeo. Sto parlando di due pesi e due misure: alcune questioni suscitano l'interesse di determinati gruppi politici del nostro Parlamento, che spingono in favore di una discussione, mentre altri temi vengono nascosti sotto il tappeto.
Ci sono forse stati casi simili in altri paesi. In Polonia, di recente, un ministro in carica ha fatto tutto il possibile utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione per mantenere nella sua posizione il presidente della televisione di Stato. Il suo tentativo è comunque fallito, ma non mi risulta che in quell’occasione alcun gruppo politico abbia chiesto una discussione sull’argomento. Situazioni analoghe si sono verificate in altri paesi.
Pertanto, se non vogliamo accusarci di usare due pesi e due misure, dobbiamo trattare tutti allo stesso modo. Se esiste un problema, allora dobbiamo sempre discuterne nel momento in cui si presenta. Se non lo facciamo significa che vi è in gioco qualche interesse politico ed è in atto una sorta di manovra politica.
L’onorevole Verhofstadt ha qui annunciato proposte tese a imporre dall'alto, per così dire, alcune soluzioni formali, giuridiche e legislative per alcuni Stati membri. Credo si tratti solamente di un tentativo di introdurre un eccesso di integrazione europea a tutto campo, facendolo attraverso uno stratagemma e all’insaputa dei cittadini. Questo, infatti, sarebbe in contrasto con la volontà dell'opinione pubblica che eletto il proprio governo.
L'Unione europea è ancora una comunità basata sulle nazioni, su Stati nazione. Evitiamo, però, simili scorciatoie con cui, per così dire, istituire leggi eludendo i controlli degli Stati nazione.
Infine, Signor Presidente, penso che si tratti di una questione interna italiana. Può anche essere un argomento difficile da affrontare, ma gli italiani devono risolverla da soli. Il Parlamento europeo non è il luogo per risolvere questi problemi.
Patrick Le Hyaric, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, la libertà di stampa e di informazione è un diritto fondamentale e inalienabile, perché fa parte integrante dello sviluppo umano. Inoltre, come lei ha già sottolineato, onorevole Reding, è un diritto riconosciuto dall'articolo 10 della Convenzione europea sui diritti umani, relativo al pluralismo, e dall'articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, relativo alla libertà di espressione.
Sulla base di questa legislazione europea e delle raccomandazioni dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e dell'OSCE sulla libertà dei mezzi di informazione, il nostro Parlamento ritiene che il presidente del Consiglio dei ministri in Italia, il capo di quello che, dopo tutto, è stato uno dei membri fondatori della Comunità europea, stia violando in vari modi i principi di libertà e di pluralismo della stampa. Con la costruzione di un impero mediatico, costituito da diverse emittenti televisive e radiofoniche, case editrici, agenzie di pubblicità, compagnie di assicurazione e banche, ha trasformato beni pubblici comuni, quali l'informazione e la cultura, in pura merce.
E per di più, il presidente del Consiglio italiano ha voce in capitolo sulle nomine nel settore pubblico dei mezzi di informazione. Questa situazione di virtuale monopolio sull'informazione e sul suo finanziamento gli permette di dominare, controllare e dirigere a suo esclusivo vantaggio non solo la maggior parte dei mezzi di informazione audiovisivi ed editoriali, ma anche il loro contenuto. Un tale sistema di controllo delle idee è incompatibile con il fondamentale dibattito democratico, unico elemento che può garantire un vero pluralismo della stampa e dei mezzi di informazione. Lasciatemi aggiungere che, dal momento che questa stessa persona e la sua famiglia detengono sia il potere politico sia il potere dei mezzi dell’informazione, ci troviamo di fronte ad un evidente conflitto di interessi che è incompatibile con una grande democrazia, una democrazia che è moderna e vivace grazie alla partecipazione dei cittadini.
Inoltre, il primo ministro Berlusconi vuole limitare la pubblicazione dell’informazione giudiziaria, minaccia i giornalisti che lo criticano e cita in giudizio giornali italiani come La Repubblica, L'Unità e persino il quotidiano Avvenire, pubblicato dai vescovi italiani. Vengono minacciati anche giornali europei, tra cui la rivista francese Le Nouvel Observateur. In ultima analisi, la stampa indipendente è stata paralizzata finanziariamente in due modi: con il “decreto Tremonti” del 6 agosto 2008, che riduce gli aiuti pubblici ai giornali indipendenti, e con i tagli ai budget pubblicitari. Il controllo delle idee di Berlusconi prende ora di mira anche la Corte costituzionale, i magistrati, la Federazione dei giornalisti indipendenti e persino il parlamento stesso, che Berlusconi sta screditando.
In queste circostanze, se da ogni schieramento di questo Parlamento siamo disposti a prendere misure per difendere i valori democratici dell'Unione europea, allora dobbiamo esprimere un monito solenne e, signora Commissario, dobbiamo applicare il diritto europeo, come lei ha detto. Dobbiamo affermare, assieme alle migliaia di intellettuali, autori e giornalisti italiani, che la libertà di informare e la libertà di essere informati devono essere rispettate incondizionatamente in Italia come in tutta l'Unione europea.
E’ per questo che ho proposto al nostro Parlamento l'istituzione di un osservatorio europeo sul pluralismo dei media e della stampa. Questo osservatorio dovrebbe controllare il rispetto del principio della separazione dei poteri politico e mediatico in tutta l'Unione, l'applicazione di una soglia massima di concentrazione nei mezzi d’informazione, il rispetto dei diritti dei giornalisti di informare, e il rispetto dei diritti di pubblicazione dei giornali indipendenti.
Mettiamo in collegamento il nostro Parlamento con i parlamenti nazionali, gli editori e i produttori, le associazioni di giornalisti, i lettori e i telespettatori. Questo osservatorio potrebbe preparare un progetto di direttiva contro la concentrazione e in favore del pluralismo. Sarebbe un modo, signor Presidente, per mantenere viva la democrazia all'interno della nostra Europa.
Francesco Enrico Speroni, a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, l'Unione europea è uno spazio di libertà e di democrazia: non fa eccezione l'Italia, anche per quanto riguarda l'informazione. Se non bastasse esaminare la pluralità di pubblicazioni presenti nelle edicole, vedere l'ampia offerta di canali televisivi, anche a diffusione locale, si dovrebbero valutare le relazioni di organismi indipendenti come l'Osservatorio di Pavia, secondo il quale l'opposizione, sui telegiornali della televisione statale, ha uno spazio pari al 60 percento e del 49 percento sulle reti Mediaset. Si consideri poi che, su 455 pronunce della Corte per i diritti umani di Strasburgo in merito alla libertà d'informazione, solo sette riguardano l'Italia, rispetto alle 29 della Francia e alle 28 del Regno Unito.
Quanto a sostenere che gli organi d'informazione sarebbero condizionati dal fatto che il Presidente del consiglio, esercitando come cittadino un suo diritto costituzionale, ha intentato azioni giudiziarie contro taluni di essi, è di stretta attualità riconoscere come in Italia, dai primi gradi di giudizio fino a quelli finali e inappellabili, la magistratura di certo non sia certo prona rispetto al capo del governo; anzi a volte l'impressione è quella contraria.
In Italia la libertà di espressione è garantita: chi sostiene il contrario, abbia il coraggio, non già di proporre generiche proposte di risoluzione di taglio meramente politico, ma di avviare la procedura di cui all'articolo 7 del Trattato, che richiede prove e documentazione allo stato dei fatti assolutamente inesistenti.
Hans-Peter Martin (NI). – (DE) Signor Presidente, abbiamo bisogno di una rivoluzione nella democrazia. Signor Presidente, lei oggi sarebbe seduto qui se nell’Europa occidentale degli anni 1970 e 1980 le condizioni italiane avessero aperto la strada ad una berlusconizzazione? Stiamo scoprendo, tuttavia, che non è solo l'Italia ad avere un problema, ma che è in atto una berlusconizzazione dell’Europa e ciò è molto, molto pericoloso.
In qualità di membro della Convenzione che ha redatto la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, posso testimoniare la dura lotta sviluppatasi su questo problema fondamentale della concentrazione dei mezzi di informazione. Purtroppo, a causa della resistenza di alcune forze, non siamo riusciti a fare progressi in proposito. Quasi 10 anni dopo, ne stiamo pagando il prezzo. E’ uno sviluppo molto pericoloso. Prendiamo in esame solo un unico paese in cui ho lavorato per molti anni: cosa è successo al fucile d'assalto della democrazia, come l’ha definito una volta la rivista Spiegel, nelle reali condizioni della nuova concentrazione economica? Del resto, perché, in queste condizioni in cui è davvero necessario uno spazio di libertà di stampa e di espressione così fondamentale per l'Europa, non abbiamo compiuto i progressi che tanti europei si attendevano e per i quali, di fatto, alcuni di loro hanno iniziato delle rivoluzioni? Dov’è questa direttiva? Onorevole Reding, di che cosa ha paura? Quali forze sono al lavoro qui? Sono le forze chiamate Murdoch, o qualcos'altro?
Passando ora al servizio televisivo pubblico, che, in Austria, è la principale fonte di informazione per il 62 per cento della popolazione. Ma, chi lo controlla? Si tratta quasi esclusivamente dei partiti politici di governo. Se prendo in considerazione l'apparato di governo in Germania, vedo che anche lì sono al timone le persone sbagliate. Abbiamo bisogno di libertà di stampa e non solo in Italia!
Mario Mauro (PPE). – Signor Presidente, le immagini televisive di quest'Aula vuota saranno il miglior giudice della forzatura e della finzione che è questa discussione. Infatti, nel 2004 si è svolta in quest'Aula una discussione sulla libertà d'informazione in Italia. Abbiamo votato una risoluzione nella quale i proponenti si dichiaravano allarmati per la situazione del mio paese. C'era un governo di centrodestra, c'era un Presidente del consiglio: Silvio Berlusconi. Dopo la vittoria della sinistra nel 2006, come per miracolo il problema è scomparso. Basta drammatiche discussioni al Parlamento europeo, basta allarmi internazionali, basta raccolte di firme, così care alla gauche caviar.
D'improvviso però, dopo l'ennesima vittoria elettorale di Berlusconi, torna come per magia il pericolo per la libera circolazione delle idee. La sintesi è che quando governa il centrodestra la stampa corre dei rischi; quando governa il centrosinistra non vi sono problemi. Peccato, però, che la percentuale di cause civili e penali intentate contro giornalisti nel mio paese veda il record assoluto di promotori tra esponenti della sinistra, come Massimo D'Alema o Romano Prodi, fino a raggiungere il 68 percento di queste cause.
Mi chiedo, insomma, se sia possibile che la libertà di stampa sia stata messa in pericolo da una singola richiesta di giustizia da parte di Berlusconi. Ciò può essere forse spiegato meglio di me da un'intervista dell'onorevole Cohn-Bendit, che cito testualmente: "È assurdo paragonare Berlusconi a un dittatore: non ci sono le prigioni per i dissidenti, egli ha il consenso della maggioranza e il centrosinistra ha semplicemente perso". Semplicemente perso.
È una gravissima umiliazione per la nostra cara Italia essere costretti da un manipolo di professionisti della disinformazione a una discussione surreale e farsesca; e questa umiliazione costerà cara, perché perderanno ancora una volta il consenso degli italiani che riverseranno – ancor di più di oggi – i propri voti su Berlusconi, anche in considerazione del fatto che lo reputano impegnato a battersi per il benessere dell'Italia. Voi, invece, cari amici, apparite intenti, con determinazione, a distruggere l'immagine del nostro paese. Ma il danno che fate all'Europa è forse maggiore di quello fatto all'Italia: perché quella che proponete ai cittadini è un'Europa caricaturale, dove vi illudete di dispensare patenti di democrazia con l'intento, non di difendere i diritti delle persone, ma di ribaltare la realtà secondo uno stile stalinista oggi caratteristico – stranamente – di esponenti di un gruppo che si dice liberale.
Negatelo infatti, se potete – cari amici del partito di Antonio Di Pietro – di essere comunisti. La vostra storia infatti vi segue ed è una storia di chi non ha mai rinunciato a usare come metodo la menzogna per qualificare l'avversario politico come pericoloso. Ma il vero politico per la democrazia è costituito da coloro che non accettano il verdetto di elezioni libere ed evocando fantasmi, tentano di sottrarci il nostro futuro.
A quel futuro non rinunciamo: ci batteremo pertanto in questa legislatura per evitare che il progetto europeo, in cui crediamo fortemente, venga snaturato, confondendo libertà di espressione con mistificazione, giustizia con manovre di potere. Sappiate, sedicenti liberali, che non piegherete la nostra voglia di contribuire al bene comune…
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Martin Schulz (S&D). – (DE) Signor Presidente, vorrei fare una domanda all’onorevole Mauro. Ho parlato con lui già alcune volte nel corso della preparazione di questa discussione, e proprio ieri era nel mio ufficio; abbiamo un rapporto di grande collaborazione.
E’ per questo che mi permetto di porre le seguenti domande senza sussulti di emozione. E’ possibile, secondo lei, che il motivo per il complesso dibattito in Italia sia il fatto che, per quanto ne so, l'Italia è l'unico Stato democratico in cui il più grande operatore di mezzi d’informazione è anche il capo del Governo? Non potrebbe essere proprio questa combinazione di interessi la ragione per cui stiamo discutendo di questo argomento?
(Applausi)
Mario Mauro (PPE). – Signor Presidente, ringrazio di cuore il presidente Schultz. Voglio sottolineare che se c'è una discussione alla quale, non solo non ci sottrarremo, ma alla quale vorremmo partecipare con generosità, è una discussione sulla concentrazione dei media in Europa, per poter parlare anche del ruolo di Murdoch, ad esempio. E soprattutto, ovviamente, perché questa discussione non venga utilizzata ad arte per colpire un singolo paese.
Ovviamente devo sottolineare che ho risposto volentieri a Martin Schultz, perché lo considero la creazione politica più importante di Silvio Berlusconi.
Claude Moraes (S&D). – (EN) Signor Presidente, come ha appena precisato l’onorevole Schulz, questo è un dibattito che, dal punto di vista del gruppo socialista e democratico, non riguarda solo l'Italia. Neanche io sono italiano, ma il nostro gruppo ritiene che il pluralismo dei media non sia solo un problema italiano. Tutti gli Stati membri sono coinvolti, e tutti gli Stati membri dell'Unione europea dovrebbero garantire i principi del pluralismo dei mezzi di informazione.
Da tempo quest’Aula ha chiesto alla Commissione di adottare misure per garantire il pluralismo dei mezzi di informazione. La Commissione si è impegnata a mettere in atto un approccio in tre fasi per definire gli indicatori del pluralismo, tra cui un documento di lavoro, uno studio indipendente e una comunicazione.
Il commissario Reding non ha detto che due di queste misure sono già state intraprese. All'interno del nostro gruppo, attendiamo con impazienza la terza tappa, una comunicazione sul pluralismo e una serie di misure legislative in grado di garantire questo principio in tutta l'Unione: in tutta l'Unione e non solo in Italia. Infatti, la nostra prospettiva è basata sul fatto che l'Unione europea non è stata solo un'unione economica e monetaria, o una vaga coalizione di Stati membri, ma anche una comunità di valori. Ribadire tale prospettiva è estremamente importante in questa discussione.
Uno di questi diritti – la libertà di informazione, definita dalla Carta europea come il diritto di ricevere e comunicare informazioni o idee senza ingerenza da parte delle autorità pubbliche – è di vitale importanza. Per l'Italia, e per la particolare posizione espressa dall’onorevole Sassoli del mio gruppo, questa è una sincera preoccupazione; ma un più ampio interesse per l'Unione europea rappresenta una sfida per il nostro gruppo: per tutti i deputati, compresi quelli dell’Italia. E’ una situazione senza precedenti in Italia, ma potrebbe diventare una situazione pericolosa per l'intera Unione europea, e questo è il punto di vista del nostro gruppo.
Sonia Alfano (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei anzitutto rivolgermi alla Commissaria, la quale ha affermato che non è compito di questo Parlamento risolvere alcune questioni. Io ricordo invece che è compito di questo Parlamento far rispettare il Trattato e le costituzioni degli Stati membri. È di qualche mese una dichiarazione del ministro della Giustizia italiano, il quale ha detto che avrebbe – di lì a poco tempo – provveduto a chiudere alcuni canali di YouTube e la rete. Ricordo che solo in Cina accadono queste cose. L'articolo 21 della Costituzione italiana sancisce che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Come già ribadito da altri colleghi, l'Italia è l'unico paese in cui il capo del Governo detiene il monopolio delle TV pubbliche e adesso anche di quelle private e in cui sta passando, purtroppo, una legge che impedirà di fatto ai giornalisti di pubblicare persino le cronache giudiziarie. Questo perché probabilmente gli italiani verrebbero a conoscenza altrimenti delle responsabilità dello stesso Berlusconi nelle stragi del '92, stragi mafiose nelle quali morirono Falcone e Borsellino.
(Il Presidente richiama all’ordine)
Signor Presidente, la invito a far rispettare l'ordine in questo Parlamento, perché non siamo al mercato.
Indrek Tarand (Verts/ALE). – (EN) Signor Presidente, a mio avviso, la libertà di stampa in un paese può essere valutata adeguatamente solo prendendo in esame ogni aspetto della questione. Questo dovrebbe includere un'analisi approfondita dei mercati, compreso quello della pubblicità, e delle abitudini della popolazione, come il tempo medio trascorso a guardare la televisione, della distribuzione della stampa e dei livelli di alfabetizzazione, eccetera. In Italia rileveremmo alcune notevoli differenze rispetto a molti altri Stati membri. Finché queste sorprendenti differenze (come ad esempio la concentrazione della proprietà dei mezzi d’informazione e il potere dei partiti politici sui mezzi pubblici d’informazione) non verranno discussi apertamente, il modello italiano convincerà insidiosamente molte persone.
Si può paragonare a un virus: non è abbastanza pericoloso da uccidere, ma sicuramente indebolisce e può potenzialmente infettare altre persone. I membri del Parlamento europeo presenti dovrebbero sapere che in Estonia, un partito di centro-sinistra ha seguito senza scrupolo l'attuale modello italiano concentrando tutte le risorse pubbliche e private sotto il suo controllo, divulgando messaggi unilaterali in tutta la capitale, Tallinn. Sono pertanto favorevole a una discussione europea su questo tema.
Per questo, a differenza del gruppo del PPE, credo sia giunto il momento di discutere della libertà di stampa e di adottare una risoluzione, che non dovrà essere considerata una sorta di regolamento di conti tra i partiti politici nell’uno o nell’altro Stato membro, ma piuttosto come un'opportunità per promuovere i valori su cui si fonda la nostra Unione.
Potito Salatto (PPE). - Signor Presidente, già tre volte ho sollevato il cartello, lei non mi ha dato la parola, cosa che invece ha fatto con l'onorevole Schultz.
Rivolgo allora adesso la domanda all'interlocutore e a tutti coloro che hanno preso la parola, a prescindere dalla parte politica cui appartengano: si sono informati se i governi di centrosinistra abbiano mai emanato una legge che potesse evitare la concentrazione dei mass-media nelle mani del presidente Berlusconi?
Indrek Tarand (Verts/ALE). – (EN) E’ una domanda interessante e che richiede una ricerca storica: i governi di centro-sinistra hanno fatto nulla in proposito? Nel mio intervento, ho sottolineato che il centro-sinistra sta agendo esattamente come Berlusconi in Italia, quindi il dibattito riguarda l'Europa, la libertà di parola e le minacce alla libertà di espressione da una parte e dall'altra: da destra o da sinistra. Questa è la mia opinione.
Presidente. − Devo informare l’onorevole Salatto che, purtroppo, non posso dare la parola a tutti coloro che desiderano porre una domanda carta blu perché andremmo oltre i limiti imposti per la discussione. Mi dispiace.
Oreste Rossi (EFD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa mattina ho sentito dire veramente di tutto contro il Presidente italiano del consiglio, meno il fatto che, grazie alle sue attività imprenditoriali, egli dà da lavorare a decine di migliaia di persone. Scusatemi se è poco in un momento come questo.
Chi sostiene che in Italia non c'è libertà e pluralità d'informazione mente sapendo di mentire. Io vi invito, colleghi – non solo italiani, ma anche gli altri – ad prendere in esame gli articoli pubblicati, in un qualunque mese del 2009, sui tre principali quotidiani nazionali: Il Corriere, La Stampa, La Repubblica. Potrete così rendervi conto che, fra il 60 e il 70 percento, a seconda dei mesi, di tali articoli è contrario sia al governo di maggioranza che ai ministri che la compongono.
La percentuale di articoli negativi rispetto al governo e, nella fattispecie, al ministro Maroni, nel mese successivo all'approvazione del pacchetto "sicurezza" è salita all'80 percento. Per quanto riguarda le televisioni, vi invito a guardare i programmi di Floris, Santoro e Fazio: solo dopo potrete così esprimervi con un voto su questa risoluzione.
Frank Vanhecke (NI). – (NL) Signor Presidente, noto che per fortuna non sono il solo a porre molte domande su questa iniziativa alquanto assurda e che ha l'apparente intento di bollare l'Italia come un paese dove la libertà di informazione è in pericolo. Evidentemente, i socialisti hanno non pochi problemi ad accettare che vi sia almeno uno Stato membro dell'Unione europea in cui la sinistra politically correct non detiene ancora il controllo su tutti i giornali e su tutti i mezzi dell’informazione. Rispetto a molti altri paesi europei, l’Italia di Berlusconi (e scelgo con cura le parole poiché non ho rapporti con la persona in questione) è un modello di libertà, di libertà di espressione e di pluralismo della stampa.
Il nostro collega, l’onorevole Verhofstadt, che in quest'Aula ha lanciato uno spietato attacco contro Berlusconi, è famoso – o famigerato, piuttosto – nel suo paese, il mio paese, per le sue minacce e il personale intervento in risposta alle critiche espresse dai giornalisti nei confronti del suo governo, e questo solo di recente. L’onorevole è probabilmente l'ultima persona che dovrebbe parlare al proposito. Mi sarebbe invece piaciuto vedere da parte della Commissione un'iniziativa volta a ripristinare la libertà di espressione e di informazione in tutti gli Stati membri europei, qualora siano realmente minacciate da una normativa liberticida, spesso con il pretesto della lotta contro un presunto razzismo. Oppure un’iniziativa della Commissione quando, per esempio – come è successo anche di recente – a un politico olandese viene negato il permesso di entrare in un altro Stato membro dell'Unione europea, il Regno Unito. Potrei anche citare l'esempio recente del mio paese in cui il mio partito, il Vlaams Belang, il secondo partito delle Fiandre in ordine di importanza, viene discriminato dall’emittente pubblica finanziata dai contribuenti, discriminazione che proprio di recente è stata definita dal più alto organo giuridico del Belgio, il Consiglio di Stato, come lesiva della rappresentanza elettorale. E’ vero che in Europa esistono numerosi problemi con la libertà di informazione, ma non è vero che questi si verificano tutti nell’Italia di Berlusconi: è anzi vero il contrario.
Manfred Weber (PPE). – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, alla luce del convincente discorso dell'onorevole Mauro, improvvisamente anche l'onorevole Schulz ha ammesso che oggi per noi sarebbe positivo parlare di tutta l'Europa nel suo complesso.
Purtroppo il tema della discussione odierna è l'Italia. Posso assolutamente capire perché molti di voi non abbiano alcun interesse a parlare dell’Europa nel suo insieme. Se, per esempio, rivolgessi lo sguardo agli interessi dei socialdemocratici in Germania nei mezzi di informazione, vedrei che possiedono il 90 per cento del quotidiano Frankfurter Rundschau, vedrei che il partito socialdemocratico tedesco (SPD) possiede il 57 per cento del quotidiano Neue Westfälische nonché una partecipazione nel gruppo mediatico WAZ. Oggi, la principale fonte di entrate del SPD sono i suoi interessi nei media. Posso quindi ben comprendere perché molti di voi non abbiano alcun interesse a parlare dei rapporti di proprietà esistenti in altri paesi, ma desiderino discutere solo dell'Italia.
Questa discussione ha fatto fiasco a causa della situazione in Italia e delle dichiarazioni positive che abbiamo ascoltato. Io non sono italiano, come si può capire quando parlo, ma l'argomento più convincente che mi viene in mente è chiedermi che cosa sia successo tra il 2006 e il 2008, quando l'Italia aveva un governo di sinistra e, naturalmente, a quel tempo – come l'onorevole Mauro ha sottolineato – tutto andava a gonfie vele. Il governo di allora non ha presentato proposte legislative per porre fine alla concentrazione dei media, anche se avrebbe avuto il potere per farlo.
Oggi, quando ancora una volta in Italia si è in presenza di una netta maggioranza dei partiti conservatori, di colpo ci sono nuovamente dei problemi. Questo dibattito non deve prestarsi alla disonestà. Siccome i socialisti e la sinistra in quest’Aula non hanno più argomenti per metterci all’angolo, posso serenamente continuare questa discussione!
Juan Fernando López Aguilar (S&D). – (ES) Signor Presidente, signora Commissario Reding, questa discussione può avere un solo scopo: l'invio di un messaggio politico forte in favore della libertà di espressione e del controllo di garanzia della sua qualità, che è rappresentato dal pluralismo dell'informazione. E’ importante anche inviare un messaggio a tutta l'Europa, e quindi a livello europeo.
Sono d'accordo con chi ha sottolineato che la libertà di espressione e il pluralismo dell'informazione sono basi fondamentali del progetto europeo e che non sono mai definitivamente acquisite o confermate. Al contrario, sono costantemente sotto minaccia, e le minacce provengono non solo dalla politica, cioè dal populismo e dall’autoritarismo, oppure dal ritiro o negazione della libertà e del pluralismo nell’ambito della politica, ma anche dal mercato, dalle concentrazioni, le distorsioni e gli abusi del mercato.
Credo quindi che questo dibattito non riguardi un solo paese, ma che abbia una dimensione europea, perché è in atto un processo di trasformazione della democrazia a livello europeo.
Mentre la democrazia è divenuta rappresentativa con l’introduzione del suffragio universale, che ha reso tutti uguali (una persona, un voto), nel mercato dell’informazione non siamo tutti uguali, perché non tutti hanno pari accesso alle trasmissioni di discussione radiofonica, ai dibattiti televisivi, alle pagine dei giornali o ai commenti editoriali. Perciò, non tutti possono partecipare allo stesso modo alla costruzione del quadro sociale che, democraticamente, dovrebbe appartenere a tutti noi in Europa.
Ecco perché questa discussione è importante: per ricordare che quest'anno, nel 2009, la Commissione ha preso l’impegno di presentare dinanzi a questo Parlamento una comunicazione per valutare le possibili minacce su scala europea alla libertà di espressione e al pluralismo dell'informazione, e per richiamare l'attenzione sull'importanza di sviluppare una direttiva che garantisca il pluralismo dell'informazione nel campo delle nuove tecnologie e, in particolare, per la televisione.
E’ molto importante che questa discussione avvenga in Europa, perché è chiaro che molti paesi dell'Unione europea non possono affrontare questo dibattito da soli con tutte le garanzie che sia condotto in modo corretto.
Con un intervento del Parlamento europeo, su scala europea, possiamo inviare un forte messaggio di impegno in favore del mantenimento e della sopravvivenza della libertà di espressione in un contesto di pluralismo dell'informazione nel XXI secolo.
PRESIDENZA DELL’ON. ANGELILLI Vicepresidente
Gianni Vattimo (ALDE). – Signora Presidente, cercherò di essere breve. L'Italia è davvero un campione di libertà, anzi di libertinaggio – per così dire – come si evince dalla lettura dei giornali, che Berlusconi cerca di far tacere, che querela perché rivelano, tra l'altro, le sue storie private, attraverso cui sceglie anche i candidati politici. Le sue signore che vanno a trovarlo vengono compensate o con denaro o con promesse di candidatura. Questa è la situazione: Berlusconi comanda i media italiani.
È vero, non ci sono leggi contro la libertà di stampa – non ancora. Berlusconi si appresta a introdurle. Solo ieri abbiamo abolito il lodo Alfano, che era legge inventata da Berlusconi per proteggersi dai tribunali e da tutti i processi che ha in corso. Ci troviamo quindi di fronte a questa situazione. È lecito chiedere all'Europa di occuparsi di questo problema? Certo, perché in Italia non ce la facciamo. Noi chiediamo all'Europa un'ingerenza umanitaria sul problema della libertà di stampa in Italia. Questo vogliamo che voi facciate e crediamo che sia importante anche per l'Europa se non vogliamo che ben presto il virus si diffonda anche qui.
Mario Borghezio (EFD). – Signora Presidente, non è esaltante questa giornata del Parlamento europeo, sprecata per una discussione inutile, quando tutti sappiamo che in Europa non c'è paese in cui ci sia più libertà di espressione e di stampa che nel nostro.
Ma quando in Italia governava la sinistra e un partito come il mio, pur rappresentato alla Camera, in Senato e al Parlamento europeo, godeva di uno spazio dello 0,1% nei telegiornali, Sassoli – ci lavoravi tu in quei telegiornali – non ti stracciavi le vesti, non manifestavi per la strada e meno che mai ti dimettevi dai sontuosi stipendi della RAI.
Voi difensori della libertà di stampa contro la censura! Abbiamo sentito i belgi: ma il Vlaams Belang, in Belgio, gode di questa libertà di stampa, di quest'ampia informazione o è censurato come lo eravamo noi? In Italia censuravano persino il buon Pannella e stavano tutti zitti. Anche voi della sinistra. Ha dovuto fare gli scioperi della fame: bei difensori della libertà! Il sindacato soviet dei giornalisti. Che libertà consente alla minoranza la Federazione della stampa italiana? Devono tacere, non hanno spazio. Bei difensori della libertà!
Scusate: queste manifestazioni – voi che siete così coraggiosi – andate a farle incatenandovi a Pechino, a Cuba, a Teheran, dove si muore per la libertà di stampa! Vergognatevi, conigli! Andate a Teheran, andate a Teheran, conigli, conigli, conigli, conigli! Evviva la libertà, evviva il nostro paese, libero, democratico...
(Il Presidente interrompe l’oratore)
Carlo Casini (PPE). – – Signora Presidente, onorevoli colleghi, vorrei razionalizzare un sentimento apparentemente ambiguo che provo dopo questa prima fase della discussione, perché mi riconosco pienamente nelle forti parole pronunciate dal mio presidente Daul, ma mi sono riconosciuto anche nelle parole del collega Sassoli, che apparentemente dovrebbe essere un mio avversario politico.
Mi spiego meglio: sono schizofrenico io nel provare questa ambivalenza di sentimenti o sto cercando indebitamente di mediare tra il fatto che in Italia siedo all'opposizione, mentre qui mi trovo accanto al Popolo della libertà, nel Partito popolare? Credo di poter rispondere, sottolineando un contrasto evidente fra la grandezza e l'importanza dell'argomento della libertà d'informazione, argomento importantissimo…. Se Montesquieu fosse vissuto oggi, non avrebbe parlato soltanto dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, ma anche di altri poteri e al primo posto avrebbe messo il quarto potere, la stampa, che rappresenta un problema di libertà, di lotta alla schiavitù mentale, un problema di democrazia.
D'altra parte, la goccia che ha fatto traboccare il vaso dopo mesi e mesi di un imbarbarimento di tutta la stampa italiana – consentitemi di dirlo, di destra e di sinistra; è caduta la qualità della stampa italiana, da mesi, perché la politica è veramente caduta in basso – è stata l'azione giudiziaria di Berlusconi. Beh, consentitemi: ho fatto il magistrato penale per quattro anni alla Corte di cassazione, nella Quinta sezione penale, dove si giudicava il reato per diffamazione a mezzo stampa. E quindi ha ragione l'onorevole Mario : ne ho viste tante di querele per diffamazione a mezzo stampa e nessuno ha protestato. È un diritto del cittadino difendersi anche rispetto a queste situazioni.
Mi auguro pertanto che, cercando davvero di conciliare cose apparentemente opposti, si arrivi davvero a un nuovo e più alto modo di affrontare il problema per tutta l'Europa e non solo guardando l'Italia.
Gianluca Susta (S&D). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, chi cerca di far passare per anti-italiano, sovversivo, comunista, tutti coloro che chiedono una normativa nel campo della comunicazione e della libertà d'informazione, rispettosa del pluralismo e caratterizzata da una netta separazione tra i destini di chi assume importanti responsabilità istituzionali e il patrimonio che a lui deriva da attività imprenditoriali nel campo dell'editoria e dell'informazione, commette un grave errore che qui, in Europa, non può essere né perdonato, né giustificato, né ammesso.
Nei nostri interventi noi non abbiamo mai nominato il Presidente del consiglio. Avremmo potuto ricordare quante testate possiede: 150 in Italia; quante TV: circa 40. Ma non è questo il problema. Il problema è che il pluralismo dell'informazione – e nell'informazione – è un caposaldo di ogni democrazia liberale e va posto al riparo di ogni logica monopolista, oligopolista e conflitti di interessi.
La sovranità di ogni Stato, la riaffermazione che l'Unione europea non è un superstato, signora Commissario Reding, non ci può far dimenticare che l'Unione europea dispone anche di una Carta dei diritti fondamentali, da cui discende un sistema ordinamentale che gli Stati nazionali non possono disattendere. Lei sa che, proprio su questi temi, più volte la Corte di giustizia – sul caso Italia, e non su questioni di sistema, caro onorevole Speroni – si è pronunciata con sentenze tuttora in attesa di attuazione.
La globalizzazione dei mercati e il sempre maggior utilizzo dell'etere richiedono ormai una più puntuale normativa europea che disciplini questa delicata materia che tanto incide sul formarsi delle convinzioni dell'opinione pubblica e quindi anche sul principio di sovranità popolare, che è alla base dell'Unione europea e non solo alle fondamenta della Repubblica italiana, nonché sulle modalità con cui questo principio si esercita.
Nessuno deve più poter invocare i sacrosanti diritti della maggioranza popolare per giustificare intimidazioni alla libertà di stampa in un contesto fino a ieri di disparità tra il querelante e il querelato – che ciò avvenga in Italia o in Portogallo, come ci è stato ricordato prima – perché questo mina alla base le regole di convivenza che sono alla base dell'Unione. È per questo che occorre con urgenza una direttiva contro le concentrazioni nel settore dell'informazione, che disciplini i rapporti tra chi fa politica e allo stesso tempo controlla importantissimi mezzi d'informazione.
Sylvie Goulard (ALDE). – (FR) Signora Presidente, vorrei sottolineare che l'oggetto di questa discussione – e gli interventi degli onorevoli Reding e Daul lo hanno dimostrato chiaramente – è la nostra idea di Europa. Non stiamo prendendo di mira uno Stato membro: dobbiamo sapere se stiamo applicando i trattati, se stiamo applicando la Convenzione europea sui diritti dell'uomo, firmata a Roma nel 1950, e se stiamo rispettando l'articolo 6 del trattato.
Onorevole Daul, quando lei cita il presidente Napolitano lo faccia per intero. Il presidente della Repubblica italiana ha precisato che i rimedi giuridici esistono e nel suo discorso ha menzionato l'articolo 7 dei trattati. Questo articolo oggi ci permette, legalmente e senza turbamenti, di affrontare il problema del rischio di una violazione dei diritti umani all'interno di uno Stato membro: oggi in Italia, domani in un altro paese.
L'ultimo importantissimo punto è che in ogni paese del mondo i dittatori e chi vuole minare i diritti umani si nasconde dietro la sovranità. Per me, l'Europa è il continente dell’universalità dei diritti umani. Se non riusciamo ad ammettere che noi che sediamo nello stesso Parlamento abbiamo il diritto, il dovere, di vedere ciò che sta accadendo in uno degli Stati membri, come possiamo dire alle dittature in paesi lontani che noi difendiamo un'idea universale che, in particolare, è così importante per la difesa dei diritti delle donne?
Fiorello Provera (EFD). – Signora Presidente, è curioso che, nel parlare di libertà di espressione in Italia in questa seduta, si sfori continuamente il tempo, censurando in maniera indiretta l'oratore successivo. Cercherò quindi di attenermi strettamente ai tempi concessi.
Devo dire che riterrei questa discussione molto più appropriata al Parlamento italiano che non al Parlamento di Bruxelles, a meno che – come ha già affermato qualcuno – non si considerasse di discutere sulla libertà di stampa in generale, cioè nell'ambito del continente europeo. Tuttavia, al di là di quelle che sono le opinioni, credo che valga la pena citare alcuni dati già esposti in precedenza dall'onorevole Speroni, sui quali è opportuno riflettere.
Ribadisco che, su 455 sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo per la violazione dell'articolo 10 sulla libertà di espressione, 29 riguardano la Francia, 28 il Regno Unito, 15 la Grecia, 10 la Romania, 8 la Polonia e soltanto 7 l'Italia. Vi prego di riflettere su questi dati.
Simon Busuttil (PPE). – (MT) Non mi sorprenderebbe se chi sta seguendo questa discussione pensi che questo non è il Parlamento europeo ma il Parlamento italiano. Eppure non è così, e quindi non è il luogo adatto per discussioni come questa, essenzialmente afferenti alla politica nazionale. Siamo tutti consapevoli della colorita personalità del primo ministro italiano, ma non è questo il problema. La questione è se noi, come istituzione europea, abbiamo la competenza per prendere decisioni in materia. La risposta è chiara, ce l’ha fornita oggi il commissario Reding, quando ha detto che questi temi non rientrano nell'ambito di competenza europea e che non possiamo assumerci un ruolo che non ci compete.
Pertanto, poiché la questione non rientra nelle nostre competenze, deve essere discussa e decisa a livello nazionale. Se ci arroghiamo poteri che non ci appartengono e se interferiamo in questioni che non rientrano nella nostra competenza, finiremo per indebolire la nostra legittimità invece di rafforzarla. Mineremmo l'istituzione che rappresentiamo, aumentando, invece di ridurre, la distanza tra noi e i cittadini. Se vogliamo ottenere il rispetto dei nostri cittadini, dobbiamo rispettare i limiti delle nostre competenze.
Maria Badia i Cutchet (S&D). – (ES) Signora Presidente, l'Unione europea ha il dovere di garantire il pluralismo dei mezzi di informazione. Il dibattito sulla libertà di stampa riguarda il pluralismo della proprietà dei media, la loro struttura e le procedure per la nomina dei dirigenti, i rapporti tra politica, affari e gli stessi mezzi dell’informazione, nonché l'accesso dei cittadini alle diverse opinioni. Credo che sarete d'accordo con me sul fatto che la situazione dei media in Italia, ovvero la questione oggetto della discussione odierna, non soddisfa le norme di base necessarie per garantire la libertà di stampa nel paese.
Chiediamo pertanto alla Commissione di rispondere alle richieste formulate dal Parlamento negli ultimi anni e di definire specifici criteri per valutare eventuali violazioni di tali diritti e libertà in tutti gli Stati membri.
Il nostro obiettivo è senza dubbio la protezione dei diritti dei cittadini di ricevere informazioni di vario tipo, e del diritto dei giornalisti di informare liberamente perché, come sabato scorso hanno detto i manifestanti, l’informazione aumenta la nostra libertà.
Sarah Ludford (ALDE). – (EN) Signora Presidente, non è certamente una coincidenza che la scorsa settimana i conservatori britannici abbiano ottenuto il sostegno di Rupert Murdoch, e ieri abbiano votato per sopprimere questa discussione sulla libertà di stampa. Mentre i nuovi Stati membri ex-comunisti hanno fatto grandi progressi verso una stampa libera, il dominio dei mezzi di informazione di cui gode Silvio Berlusconi avrebbe fatto diventare verde d'invidia Erich Honecker.
Le minacce, le intimidazioni e gli abusi che Berlusconi mette in atto, non solo nei confronti della stampa ma anche del presidente della Repubblica e dei magistrati, vanno ben al di là di una questione puramente nazionale: questa è una delle principali preoccupazioni europee. Il commissario Reding ha detto, stranamente, che non dobbiamo usare le istituzioni europee per risolvere problemi nazionali. E allora perché abbiamo i trattati e le leggi europee, comprese quelle relative ai criteri dei diritti fondamentali e dello stato di diritto?
L'Unione europea ha, infatti, una chiara competenza giuridica per agire in difesa della libertà di espressione e dei diritti fondamentali in generale. Tale base giuridica esiste e deve essere integrata da una normativa sulla diversità dei media e sul pluralismo. La passività del commissario è profondamente deludente.
Salvatore Iacolino (PPE). - Signora Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, in Italia l'articolo 21 della Costituzione e l'articolo 3 della legge 102 del 2004 definiscono la portata della libertà di stampa e ne descrivono i limiti: deve essere obiettiva, completa, leale e imparziale, tutelando sempre la dignità della persona, in linea con i principi sanciti dall'Unione europea. Nell'epoca di Internet e del digitale, in cui continuano a nascere nuovi giornali, il servizio pubblico fa sfoggio di programmi dichiaratamente ostili al capo del governo, mentre la stampa e i media inorridiscono per l'azione di risarcimento danni presentata da Silvio Berlusconi nei confronti di due giornali.
In concreto, 1.100 radio, 162 giornali e alcune centinaia di televisioni private non basterebbero a garantire la pluralità dei mezzi d'informazione, che risulterebbero intimiditi dall'iniziativa di Silvio Berlusconi. Viene il sospetto che certo potere mediatico, diventato censorio, ambisca a diventare esso stesso potere politico. Un sistema dove frattanto, in altre parti del mondo, giornali autorevoli come El Pais, The Sun e il Tarin sembrano velocemente modificare i propri orientamenti.
Ma la sinistra italiana, piuttosto che dotarsi di una proposta politica, si affida a pezzi del sindacato nazionale dei giornalisti per scendere in piazza, provando – stavolta con interventi coordinati nei tempi – la più sleale e ostinata spallata antidemocratica al governo in carica. Ciononostante, i cittadini mantengono alto il gradimento nei confronti del premier, liberamente scelto dal popolo italiano, fiduciosi che il Parlamento europeo saprà confermare – come avvenuto nel 2004 – che la libertà di stampa è un valore riconosciuto e consolidato.
Rita Borsellino (S&D). - Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, non è mia intenzione, né tanto meno quella del mio gruppo – che ha sostenuto e voluto questa discussione – trasferire a livello europeo diatribe di politica interna italiana. La questione della libertà d'informazione riguarda tutti noi: riguarda l'Unione europea, che può e deve regolare la materia a livello comunitario, al fine di contrastare condizionamenti politici ed economici e di garantire un reale pluralismo dell'informazione.
L'anomalia italiana, dove il premier è anche proprietario di alcune tra le più importanti reti private, consiste proprio nell'esistenza di un pericoloso intreccio tra poteri mediatici, politici ed economici. Proprio per questo chiediamo un intervento regolamentare europeo, intervento che – lungi dall'essere un atto di anti-italianità – serva a tutelare il pluralismo dell'informazione, evitando le concentrazioni e il conflitto di interessi. Per questo oggi chiediamo alla Commissione di intervenire al più presto – come ha già chiesto in passato questo Parlamento – al fine di dotare l'Unione europea di norme comuni a tutela della libertà d'informazione per tutti i cittadini europei.
Sophia in 't Veld (ALDE). – (EN) Signora Presidente, devo confessare di essere rimasta piuttosto turbata dalla dichiarazione del commissario Reding perché, in effetti, gli Stati membri hanno la responsabilità di garantire il rispetto della democrazia e dei diritti fondamentali. Avete torto nel dire che l'Unione europea non ha alcun ruolo da svolgere al proposito.
Prima di tutto, vi è l'articolo 6 del trattato sull'Unione europea, che recita: “L'Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri”. E per dimostrare che non erano solo parole vuote, l'Unione europea si è data con l'articolo 7 lo strumento giuridico per far rispettare l'articolo 6.
In secondo luogo, onorevole Reding, quando negoziamo con gli Stati candidati noi insistiamo sull’applicazione dei più elevati standard di libertà di stampa, altrimenti non potranno aderire all'Unione europea. Questo requisito fa parte dei criteri di Copenaghen: allora, Commissario Reding, perché applicare norme diverse per i paesi candidati rispetto a quelle per gli attuali Stati membri? Ci sono altri paesi in cui si verificano violazioni della libertà di stampa o della libertà di parola, come la Repubblica ceca, che ha appena approvato una legge che limita la libertà di stampa, o l’Irlanda, che ha approvato una legge draconiana contro la blasfemia. Commissario Reding, concludo dicendo che se vogliamo veramente essere una comunità di valori, allora la Commissione europea deve intervenire.
János Áder (PPE). – (HU) Signora Presidente, onorevoli colleghi, un'ora fa abbiamo ascoltato l’onorevole Verhofstadt che ci spronava ad unire le forze per tutelare i valori della libertà, e devo dire che sono d'accordo con lui. La libertà di parola è un diritto fondamentale importante. Questa è l’idea emersa finora nella discussione. Sono anche d'accordo e credo fermamente che non esista un singolo politico italiano in Parlamento che desideri limitare la libertà di parola.
Mentre ascoltavo la discussione, mi sono venuti in mente due interrogativi. Perché i deputati socialisti e liberali ritengono importante proteggere solo alcuni diritti politici fondamentali e solo in certe occasioni? Il diritto di riunirsi liberamente è un diritto fondamentale importante? E’ importante quanto la libertà di parola? Certamente sì. Tuttavia, tre anni fa, voi non avete protestato quando il governo socialista in Ungheria disperse una folla che si era riunita per celebrare la rivoluzione del 1956.
Il diritto di usare la propria lingua è un diritto fondamentale importante? E’ importante quanto la libertà di parola? Certamente sì. Ma ancora una volta, non sollevate alcuna protesta quando le autorità in Slovacchia, uno Stato membro dell'Unione europea, tentano di limitare il diritto delle minoranze di usare la propria lingua.
La protezione della vita privata è un diritto fondamentale importante? Certamente sì. Credo che tutti, sia il primo ministro italiano sia chiunque altro, abbiano il diritto, e debbano avere il diritto, di intentare un'azione legale contro le false accuse e le calunnie.
La libertà di stampa è certo un diritto importante, ma perché avete taciuto negli ultimi venti anni, quando era evidente che nei paesi ex-socialisti i mezzi d’informazione erano concentrati nelle mani dei partiti ex-comunisti? Vi chiedo solamente di non applicare due pesi e due misure.
Debora Serracchiani (S&D). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono a conoscenza che lo scorso 30 settembre la Commissione ha presentato uno studio sugli indici di pluralismo dei media negli Stati membri. Ma nel 2008 è stata votata una relazione (relatrice: Marianne Mikko) con la quale si invitava la Commissione europea e gli Stati membri a tutelare, cito testualmente "la molteplicità di opinioni sui media, a difendere il pluralismo dell'informazione, a garantire a tutti i cittadini dell'Unione europea pari accesso a mezzi d'informazione liberi e diversificati".
Ancor prima, nel 2004, è stata votata in Parlamento una relazione (relatrice: Bogert-Quaart) sui rischi di violazione nell'Unione europea della libertà di espressione e d'informazione, con la quale si chiedeva alla Commissione di presentare una comunicazione sulla garanzia del pluralismo dei media in tutti gli Stati membri. Ad oggi la Commissione non ha ancora dato delle chiare risposte alle richieste del Parlamento.
Noterà, signora Commissario, che non ho nominato né il mio paese né il mio Presidente del consiglio: ma in questa sede – da cittadina europea – le chiedo che cosa intende fare la Commissione a livello europeo per far sì che il pluralismo dei media sia garantito in tutti gli Stati membri.
Clemente Mastella (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la mozione contro il presunto attentato alla libertà di stampa in Italia è la scelta, a me pare, di una strada politicamente obliqua e inconsistente. E anche alcune parole forzate, venate di collera e un po' di odio, mi pare che abbiano preso oggettivamente la mano. È molto strano, però, che questa eclissi della democrazia (o presunta tale) in Italia si veda solo ora e di qua in maniera così vistosa, tenuto conto che i governi di centrodestra ma anche di centrosinistra – dei quali anch'io ho fatto parte – si sono alternati alla guida del mio paese.
Se in Italia esiste davvero questo macigno dell'illiberalità e dell'antidemocrazia, come ma in tanti anni di governo della sinistra non è stato mai rimosso? Si tratta di negligenza, reticenza, convenienza o invece – a me pare, molto più logico – la semplice considerazione che la cifra democratica italiana è in linea con gli standard occidentali e quelli europei?
Se davvero si vuole, come misura insolita – come quella, mi dispiace, per l'onorevole Serracchiani, utilizzata in questa circostanza, quella cioè di discutere di un paese e non dell'Europa – accertare la verità sullo stato di salute della democrazia nel nostro paese, si chieda allora al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con garbo istituzionale se egli si sente il Presidente di un paese dove il pluralismo dell'informazione annaspa, la libertà fa testa-coda, la democrazia è in fase regressiva. Ma non credo che, se la situazione fosse questa, il Presidente Napolitano si asterrebbe dal denunciare un tale stato di cose, fedele come egli è alle sue prerogative di garante della nostra Costituzione.
Poiché la questione però tocca – amici e colleghi della sinistra e mi dispiace dirlo – in maniera molto provinciale le vicende politiche italiane, recuperata dimensione fintamente europea e ora ad uso domestico, occorre rilevare che fino a quando la sinistra italiana, quella storicamente più forte e consistente, si farà guidare politicamente da comici e tribuni, la sua distanza dal potere aumenterà sempre di più. Io non credo che Woody Allen detti la linea al Presidente Obama.
Anni Podimata (S&D) . – (EL) Signora Presidente, signora Commissario, in qualità di ex giornalista, neanche io avrei mai immaginato che oggi, 50 anni dopo l’inizio della costruzione dell'Europa e poco prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, si sarebbero discussi alcuni principi e valori fondamentali su cui è stata costruita e fondata l'Unione europea.
Valori quali l'indipendenza della stampa, il pluralismo dei mezzi d’informazione, la libertà di parola per tutti, specialmente per i giornalisti, l'uguaglianza davanti alla legge o anche, se volete, il principio fondamentale della divisione dei poteri. Si può parlare di divisione dei poteri quando il primo ministro di un paese, in altre parole la più alta autorità esecutiva, detiene e controlla la maggior parte dei mezzi d’informazione nazionali e perseguita gli altri?
Quello che sta accadendo in Italia non è un problema italiano, è un problema europeo, perché la credibilità stessa dell'Unione europea è a rischio quando si controllano e si giudicano le violazioni dei principi e dei diritti fondamentali nei paesi terzi e si tollera la violazione di quegli stessi valori e principi in casa propria.
Alfredo Pallone (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, molti di voi avranno letto "Il Processo" di Kafka: si tratta di un libro ma è ciò che sta accadendo oggi nel mio paese, un paese di grandi tradizioni democratiche, con un governo eletto dal popolo sovrano, ma in cui si cerca di sovvertire il voto democratico con un attacco mediatico-giudiziario che non ha precedenti nelle storia.
Stiamo discutendo della libertà d'informazione quando il 72 percento della stampa non è a favore del governo e del presidente Berlusconi. Il 70 percento delle azioni legali intentate contro i giornali sono state avviate ai leader della sinistra, con una pretesa risarcitoria che ammonta a 312 milioni di euro, sui 486 totali che, dal 1994 ad oggi, si è richiesto: 32 milioni di euro all'anno. Una sorta di finanziamento aggiuntivo di carattere giudiziario.
A voi, colleghi, che rappresentate le democrazie europee, noi diciamo e affermiamo che in Italia il potere giudiziario-mediatico sta battendo la volontà del popolo sovrano per interessi politici di parte e di casta. Pertanto è a rischio la democrazia in Italia se cade il governo. Il primo eversivo di questo concetto, da un punto di vista semantico, porta il nome di Antonio di Pietro. Concludendo, vorrei ringraziare per l'alto senso di equilibrio e di democrazia, il Commissario Reding, che ha elaborato una relazione intelligente e corretta.
Cătălin Sorin Ivan (S&D). – (RO) La libertà di stampa non ha mai avuto una protezione adeguata contro gli abusi. Ogni volta che il presidente o il primo ministro di uno Stato membro dell'Unione europea attacca i giornalisti, anche se solo perché in disaccordo con loro, la Commissione europea, il Parlamento europeo e ognuno di noi devono rispondere.
In Italia il primo ministro sta tentando di intimidire la stampa di opposizione con ogni mezzo possibile; in Romania, il presidente tenta di screditare la stampa e i giornalisti che lo criticano. In entrambi i casi stiamo parlando di eccessi da parte di certi politici che si ritengono al di sopra della legge. Secondo le ultime informazioni, il presidente romeno non solo insulta, inganna e calunnia i giornalisti, ma commette anche altri abusi di potere che, alla vigilia delle elezioni presidenziali, sembrano essere usati per qualsiasi scopo, anche infrangendo la legge, al fine di aiutare se stesso, come attuale capo di Stato, a vincere di nuovo le elezioni.
Questo è esattamente il motivo per cui, proprio come ho già fatto il 23 settembre, chiedo alla Commissione europea di condannare pubblicamente il comportamento del presidente della Romania e del primo ministro italiano.
Elisabetta Gardini (PPE). – – Signora Presidente, onorevoli colleghi, vorrei ribadire che in Italia la libertà di stampa esiste ed è più forte che mai. Sono le parole di un grande giornalista, Gianpaolo Pansa, che ha scritto per tanti anni, per decenni, come una delle firme più prestigiose, sul giornale "La Repubblica", del gruppo "Espresso-Repubblica", dal quale si poi è dovuto dimettere perché accusato dalla dirigenza del gruppo di revisionismo che, come sapete, in Italia è uno dei reati più gravi in assoluto, quando viene fatto dall'intelligenzia dominante, dalla cultura dominante in Italia che è tutta di sinistra: basti vedere le primarie del Partito democratico, dove sfilano dai banchieri a tutti gli attori, registi e giornalisti più importanti del nostro paese.
Ebbene, però la libertà d'informazione non è libertà di insulto né di diffamazione: solo che il diritto alla difesa è concesso sempre alla sinistra: Prodi querela, va bene; D'Alema querela, va bene; Di Pietro querela, va bene. Di Pietro è il record man – a proposito, più che dai politici la stampa è querelata dalla magistratura; i dati sono di "Repubblica" – Di Pietro: 357 denunce, con già 700.000 euro di risarcimento. Abbiamo ascoltato i dati forniti dai colleghi. Concludendo, se esiste un problema di riequilibrio – e ritengo che in Italia questo problema vi sia – l'unica parte politica che ha i titoli per invocarlo è il centrodestra.
Licia Ronzulli (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, nel 2008 il governo Berlusconi ha complessivamente erogato 206 milioni di euro per contributi diretti alla stampa e alle emittenti radiofoniche e televisive. Guarda caso, la maggior parte di questi milioni è andata ai quattro principali quotidiani di sinistra.
La libertà di stampa in Italia ha, nel governo Berlusconi, il sostenitore più generoso. La sinistra, in Italia e in tutta Europa, ha iniziato una campagna sulla libertà di stampa in pericolo, basata su falsi clamorosi e menzogne spudorate. E, fatalità – guarda caso anche qui – lo ha fatto solo dopo che il Presidente Berlusconi ha chiesto un legittimo risarcimento danni ai due quotidiani di sinistra che lo hanno calunniato, attribuendogli comportamenti infamanti, accuse basate su invenzioni assolute, indegne di un giornalismo che sia rispettoso della propria funzione.
Il Presidente Berlusconi è il primo ad affermare che la libertà di stampa è un valore: ma altra cosa è la libertà di insultare, di mistificare, di diffamare e di calunniare. In questo caso, ogni cittadino – e quindi anche Berlusconi – ha il diritto di potersi difendere con i mezzi democratici a sua disposizione, chiedendo a un giudice civile di valutare l'offensiva di alcuni scritti, come peraltro hanno fatto anche altri leader di sinistra.
Victor Boştinaru (S&D). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, questo non è soltanto un dialogo tra italiani: questa discussione è, prima di tutto, sull'Europa.
(RO) Il primo ministro Berlusconi non è certo l'unico esempio di chi infrange le norme che disciplinano i mezzi d’informazione. Il presidente Băsescu si comporta spesso in modo aggressivo, antidemocratico, e intimidisce i mezzi d’informazione utilizzando un linguaggio che qui, in seno al Parlamento europeo, non può essere ripetuto.
Se i capi di Stato e di governo europei continuano a comportarsi in questo modo, la Carta europea per la libertà di stampa finirà con il diventare solo un altro bel pezzo di carta. Noi, l'Unione europea, faremo una figura ridicola analizzando e criticando la libertà di informazione nei vari paesi dell’Asia e dell’Africa quando queste stesse libertà non sono protette e rispettate in seno all'Unione europea.
Propongo quindi di combattere questa situazione di monopolio con i mezzi a disposizione e con l'autorità della Commissione, insieme all'applicazione della Carta sulla libertà di stampa, sostenuta dall'autorità europea.
Cecilia Wikström (ALDE). – (SV) Signora Presidente, molto tempo fa il celebre scrittore svedese August Strindberg ha detto: “Tu hai il potere, io ho le parole; io ho le parole in mio potere”. Questa non è tuttavia la situazione attuale per gli scrittori e i giornalisti italiani che si vedono sistematicamente negato il diritto di esprimersi liberamente.
Nel corso degli ultimi tre anni, 200 giornalisti sono stati minacciati per ciò che hanno scritto. E quello che accade in Italia riguarda tutti noi. La libertà di parlare, scrivere e pubblicare liberamente le proprie parole è un diritto fondamentale di tutti i 500 milioni di cittadini europei.
Quanto sta accadendo in Italia dimostra che per un regime che ha preso il controllo della libertà di parola, questa stessa libertà è a volte più pericolosa delle armi. Oggi il Parlamento ha un'occasione unica per far emergere e rendere manifesti i nostri attributi più positivi. Qui stiamo dimostrando che sono in gioco le libertà fondamentali. Questo interessa l'Italia e tutti noi.
Sergio Paolo Francesco Silvestris (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, la discussione di oggi ha davvero dell'incredibile, perché in Italia la libertà d'informazione è un diritto costituzionale garantito e riconosciuto. Altri prima di me hanno fornito dati sul numero e sull'orientamento politico dei quotidiani presenti in Italia.
Io mi permetterò di fare, a beneficio dei colleghi stranieri, una rassegna stampa. Questi sono alcuni liberi quotidiani che ho comprato ieri in aeroporto; questo è Il Manifesto, quotidiano comunista; questa è L'Unità, quotidiano fondato da Gramsci, del PD-PDS; questo è L'Europa, quotidiano della Margherita, che ha aderito al PD. Poi il PD ha anche una corrente di D'Alema-Letta, che ha un suo giornale, Il Riformista. Poi c'è Rifondazione, che ha il suo giornale, Liberazione. L'anno scorso c'è stata la scissione di Rifondazione e il partitino scissionista ha fondato il suo giornale, L'Altro.
C'è infine il caso politico di questa discussione: Il Fatto quotidiano. Sapete questo giornale a chi fa riferimento? Al partito di Di Pietro, che oggi anima questa discussione. C'è un partito che afferma qui che non c'è libertà d'informazione, mentre dieci giorni fa in Italia ha fondato un quotidiano.
Per concludere, signora Presidente, è come se io stessi qui a dirvi che in Italia c'è la carestia e la fame, mentre la settimana scorsa stavo nel mio paese alla sagra della salsiccia a mangiare carne arrostita e a bere vino. È questo il paradosso di una sinistra che possiede tanti giornali, ma non ha lettori e non ha voti. Che cerchi argomenti più seri se vuole recuperarli.
Mary Honeyball (S&D). – (EN) Signora Presidente, desidero aderire alle richieste di presentare una direttiva europea sulle libertà di informazione, di stampa e sul pluralismo dei media. Pur se questo, come altri onorevoli hanno detto, è un dibattito sulla libertà di informazione in Italia, esistono seri problemi anche in altri paesi dell'Unione europea.
Uno di questi è il Regno Unito. E’ già stato menzionato Rupert Murdoch, e una delle ragioni per cui ritengo necessaria questa direttiva è proprio a causa di Rupert Murdoch, che non è un capo di Stato, ma un magnate dei media internazionali con un particolare obiettivo. Non è un democratico e noi dobbiamo legiferare perche esistono persone come Rupert Murdoch e come Silvio Berlusconi.
David Casa (PPE). – (MT) Io vengo da Malta e, come potete immaginare, l'Italia è un paese vicino che seguiamo da molti anni. Anche in materia di libertà di espressione il mio paese guarda all'Italia perché è un chiaro esempio di democrazia. Pertanto approfondire questo problema interno, che è quello che vogliono i socialisti italiani, è a mio parere una forma di politica vergognosa nei confronti dell’Italia. Non avrei mai pensato che gli italiani si sarebbero ridotti ad attaccare il loro paese in questo Parlamento in un modo così scorretto. Credo di comprendere meglio perché gli italiani non si fidano dei governi di sinistra in Italia per più di pochi mesi: analizzando la politica di questo partito diventa chiaro che è adatto solo a chi vuole attaccare il concetto stesso di democrazia ed è per questo, credo, che essi avrebbero dovuto ascoltare il presidente della Repubblica italiana, che desidero ringraziare, quando ha detto che una simile discussione non ha senso all'interno di questo Parlamento, ma deve essere affrontata in seno al parlamento italiano.
Stanimir Ilchev (ALDE). – (BG) La ringrazio signora Presidente. Parlerò nella lingua di uno dei paesi criticati oggi in quest’Aula, la Bulgaria. Se oggi fossi un giornalista in Bulgaria, come una volta sono stato, probabilmente sceglierei una delle due posizioni diametralmente opposte che potrebbero essere presentate nei titoli di testa di un qualunque giornale. Da un lato c’è chi sostiene che non dobbiamo trasformare questo Parlamento in una cassa di risonanza, per non dire una suprema corte di appello; dall’altro lato vi è la posizione, esposta da un deputato del gruppo socialista, che invita a trattare questo Parlamento come un museo contenente vecchi oggetti che non devono essere spostati.
Ritengo che la verità stia nel mezzo e si rifletta nella proposta presentata dall’onorevole Verhofstadt sulla redazione di una direttiva che crei un sistema più moderno e democratico per regolare tutte le questioni discusse oggi in tema di libertà di stampa e di pluralismo. Tuttavia, a parte i problemi di pluralismo, libertà e tutela dei giornalisti, questa direttiva dovrà in realtà comprendere e porre un accento particolarmente forte sul decentramento delle risorse dei mezzi d’informazione, anche all'interno dei sistemi dei media nazionali.
Viviane Reding, membro della Commissione – (EN) Signora Presidente, ritengo che questa discussione sia stata molto importante, perché ha chiaramente dimostrato il profondo accordo di questo Parlamento sul fatto che la libertà di stampa non è legata a casi particolari, ma è la base della nostra Unione europea. Dobbiamo difenderla perché è un valore fondamentale, dobbiamo ribellarci quando non viene rispettata e dobbiamo intervenire se vi sono problemi da risolvere.
(Il Presidente chiede silenzio in Aula)
Quest'Aula concorda anche sul fatto che la libertà dei mezzi d’informazione è un problema da considerare in tutti gli Stati membri. Molti di voi sono arrivati da poco in questo Parlamento e quindi mi limiterò a ricordare l'iniziativa dei giornalisti europei per istituire una Carta europea per la libertà di stampa. Quest’ultima è stata redatta al fine di aiutare soprattutto i giornalisti dei nuovi Stati membri che avevano chiesto un sostegno da parte della comunità giornalistica.
Voglio ricordarlo perché è stato detto che esistono problemi nelle televisioni pubbliche di molti Stati membri. Ricordo di essermi recata in uno di questi Stati, l'Ungheria, per sostenere il salvataggio della televisione pubblica, e credo che lo stesso dovrebbe essere fatto in tutti gli Stati membri che denunciano difficoltà simili.
Per questo abbiamo votato la nuova direttiva “Televisione senza frontiere”, con l'aiuto del Parlamento, per l'istituzione di autorità d’informazione indipendenti in tutti i nostri Stati membri. Posso assicurare al Parlamento che ogni qualvolta che si verificherà un problema nella creazione di queste autorità d’informazione indipendenti, la Commissione interverrà.
Ora, il disaccordo in questo Parlamento è sul modo di accordare le competenze dell'Unione europea con le politiche dei mezzi d’informazione. Credo che molti onorevoli colleghi non abbiano sentito le mie dichiarazioni introduttive in cui citavo la Carta dei diritti fondamentali, che è chiarissima. Ho citato l'articolo 51, paragrafo 1 della Carta dei diritti fondamentali, in cui si affermano chiaramente i relativi casi e norme di applicazione. Ognuno può leggere la carta e farvi riferimento.
Purtroppo nessuno mi sta ascoltando, anche se è un argomento molto importante.
(Il Presidente chiede nuovamente silenzio)
Nel mio intervento introduttivo, ho sottolineato azioni precise, esempi concreti in cui l'Unione europea può intervenire e ha deliberato; ho evidenziato i problemi che devono essere risolti a livello nazionale. La Corte costituzionale italiana, che si è pronunciata ieri, ha mostrato chiaramente che cosa questo significhi.
Questo Parlamento ha avanzato diverse richieste e vorrei rispondere, se l’Aula me lo consente e ascolta.
(Il Presidente chiede ancora una volta silenzio)
Questo Parlamento ha chiesto di impegnarsi in favore del pluralismo dei mezzi d’informazione, come promesso. In materia di pluralismo dei media sono stati già compiuti notevoli progressi e abbiamo pubblicato la seconda fase, con gli indicatori di rischio sul pluralismo dei mezzi d’informazione. Forse molti onorevoli parlamentari non hanno preso visione di questi documenti. Sono disponibili e consultabili online e rappresentano un elemento fondamentale per portare a termine il lavoro obiettivo sul pluralismo dei media che il Parlamento ha chiesto.
Sono molto rammaricata perché abbiamo tenuto un seminario pubblico su questo tema e non un singolo parlamentare vi ha partecipato. Bene, ora gli indicatori di rischio sono stati pubblicati e possono essere consultati. Serviranno da base per il nostro lavoro futuro.
Seconda domanda: per quale motivo la Commissione non ricorre all'articolo 7 del trattato dell’Unione europea nel caso dell’Italia? Prima di tutto, l'articolo 7 è una disposizione di carattere eccezionale. Finora non è mai stato attivato da parte delle istituzioni dell’Unione europea. Questa clausola si applica solo in presenza di un completo crollo dell’ordine giurisdizionale nazionale e del sistema dei diritti fondamentali in uno Stato membro. Non credo che in nessuno Stato membro si sia verificata una simile situazione. E’ comunque interessante notare che l'articolo afferma che lo stesso Parlamento europeo ha la possibilità di attivare l'articolo 7 del trattato sull’Unione europea. Mi rivolgo quindi al Parlamento europeo affinché, se ritiene che davvero vi siano prove sufficienti, attivi l'articolo 7 del trattato sull’Unione europea.
Terza domanda: molti onorevoli parlamentari di tutti i partiti politici, e ritengo che vi sia una relativa unanimità in Parlamento, hanno chiesto una direttiva dell’Unione europea in materia di pluralismo e concentrazione dei mezzi d’informazione.
(Il Presidente chiede ancora una volta silenzio)
Si tratta di una questione fondamentale che deve essere discussa in modo approfondito. Vi ricordo che nel 1990 la Commissione europea ha iniziato a lavorare sul progetto di una simile direttiva e che, in quel momento, tutti gli Stati membri, senza eccezioni, si sono dichiarati contrari ad una direttiva del genere perché esulava dalle competenze dell'Unione europea.
Ora forse la situazione è cambiata e oggi una grande maggioranza degli Stati membri ritiene che questo argomento rientri tra le competenze dell'Unione europea. Naturalmente, si potrebbe giungere a una simile interpretazione del trattato, in modo da consentire all'Unione europea di occuparsi della questione. Ma prima ancora di iniziare, la Commissione dovrebbe poter contare sul sostegno di tutto il Parlamento europeo. E gradirei che quest’ultimo individuasse chiaramente quali problemi del mercato interno ritiene debbano essere affrontati in una simile direttiva.
Personalmente, come sapete, in qualità di commissario, non ho difficoltà a regolamentare; anzi, negli ultimi cinque anni ho regolamentato laddove era necessario. Ma per farlo c’è bisogno di prove chiare sulle questioni da affrontare. Una normativa risolverà i problemi che tutti avete in mente oggi? Potremmo giustificarla nel quadro delle attuali competenze dell'Unione europea? Vi è una chiara dimensione transfrontaliera? Vi è una chiara dimensione del mercato interno? Vi ricordo che la normativa che abbiamo già messo sul tavolo era tutta impostata sulla base giuridica del mercato interno.
Sono tutti aspetti che bisogna chiarire prima di avviare un processo legislativo. Invito quindi il Parlamento a discutere seriamente e a rispondere a queste domande con una propria relazione d’iniziativa adottata dalla maggioranza dei deputati. Solo in seguito la Commissione porterà avanti il discorso.
Nel frattempo, la Commissione ha svolto il proprio compito definendo gli indicatori di rischio, che ci aiuteranno ad analizzare il problema su base oggettiva in tutti gli Stati membri. Ritengo che in fin dei conti sia questo ciò che il Parlamento vuole. Ed è anche quello che desidera l'altra istituzione, perché non vogliamo un uso politico delle nostre libertà fondamentali; vogliamo che queste libertà siano un diritto, che siano un valore di base e che siano trattate in quanto tali.
(Applausi)
Presidente. − Commissario, la prego di accettare le mie scuse a nome del Parlamento per il rumore durante il suo intervento in risposta alle osservazioni dei deputati.
Martin Schulz (S&D). – (DE) Signora Presidente, prima di esporre le mie personali osservazioni desidero sollevare una mozione d'ordine. Credo che nessun membro della Commissione o del Consiglio, o anche di questa stessa Aula, dovrebbe essere chiamato ad affrontare il Parlamento nelle condizioni che l’onorevole Reding ha dovuto subire proprio ora. E’ semplicemente inaccettabile!
(Applausi)
Chiedo quindi all'Ufficio di presidenza di esaminare come si possa porre fine a questo disonorevole stato di cose in virtù del quale, durante le fasi finali delle discussioni in corso e durante le dichiarazioni, è possibile che si svolgano conversazioni, come ad esempio quella tra il vicepresidente Vidal-Quadras e il suo ex collega lassù che sono interessati solo e soltanto alle loro relazioni bilaterali. Non la ritengo una situazione accettabile. Chiedo quindi nuovamente all’Ufficio di presidenza di prendere in considerazione questo problema.
Vorrei ora commentare quanto detto dall'onorevole Weber, che si è rivolto personalmente a me durante la discussione sulla libertà di stampa in Italia e ha sollevato la questione degli interessi del partito socialdemocratico tedesco (SPD) sui mezzi d’informazione.
(Tumulti)
In qualità di membro di questo Parlamento e di membro della direzione del mio partito, vorrei dire che ho una certa simpatia per l’onorevole Weber. Chiunque abbia perso così tanti voti come ha fatto l'Unione cristiano sociale (CSU) in Baviera e il mio partito, vuole essere sicuro di attirare l'attenzione.
(Tumulti)
Voglio solo far notare che l'attuale assetto degli interessi del SPD nei mezzi d’informazione è il risultato della restituzione dei media tedeschi dopo l'esproprio da parte dei nazisti e dei comunisti nella Repubblica democratica tedesca. Noi socialdemocratici tedeschi siamo orgogliosi dei nostri interessi nei mezzi d’informazione!
Joseph Daul (PPE). – (FR) Signora Presidente, ho solo un altro punto di sollevare, che riguarda tutto il Parlamento. Martedì 18 settembre, dopo aver lasciato l’Aula alle 23.00, l’onorevole Niebler è stata brutalmente aggredita: è stata gettata a terra, le sono stati rubati il telefono, il denaro, la carta di credito e tutti i documenti. Il proprietario di un ristorante belga l’ha soccorsa ed ha chiamato l'ambulanza e la polizia. Dopo mezz'ora è arrivata l'ambulanza per soccorrere l’onorevole Niebler. Molto bene. Dopo un’altra mezz'ora però la polizia non era ancora arrivata. La stiamo ancora aspettando. Chiedo quindi al presidente di intervenire qui, in Parlamento, perché questo è attualmente la terza aggressione di cui la polizia non si è occupata. In questa città la sicurezza non è garantita…
(Applausi)
…né sono state fornite delle risposte da parte delle autorità. Chiedo un intervento molto forte da parte del presidente del Parlamento per ottenere una risposta riguardo a questa aggressione.
(Applausi)
Presidente. − Onorevole Daul, purtroppo, come lei ha detto, episodi di questo tipo si sono verificati in numerose occasioni, ed io ovviamente li considero inaccettabili.
La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà nella seconda parte della sessione di ottobre.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Véronique Mathieu (PPE), per iscritto. – (FR) E’ estremamente difficile per un deputato veder puntare il dito contro una democrazia quale l'Italia, come questa discussione intende fare. La libertà di stampa è una libertà fondamentale sancita dall'articolo 21 della costituzione italiana. In Italia, ci sono giornali privati e pubblici che riflettono tutti gli orientamenti politici.
In segno di rispetto per le migliaia di persone che soffrono in molti paesi del mondo per l’oppressione e per la mancanza di libertà di espressione, è osceno descrivere il regime italiano come un regime liberticida. Inoltre, una delle caratteristiche fondamentali di ogni Stato costituzionale è offrire la possibilità di ricorrere ai tribunali per ogni cittadino che si senta offeso. Così, il fatto che un primo ministro della Repubblica, che è stato calunniato nei giornali nazionali, abbia scelto la via legale per attaccare i suoi detrattori – e non le vie traverse tipiche di regimi non democratici – conferma il buono stato di salute della democrazia italiana.
Infine, è fondamentale sottolineare che il Parlamento europeo non deve diventare una camera in cui risolvere controverse questioni nazionali che non hanno alcun collegamento con le competenze della Comunità. I dibattiti nazionali devono essere trattati a livello nazionale!
Iosif Matula (PPE), per iscritto. – (RO) La libertà di espressione fa parte dei criteri democratici che abbiamo posto a fondamento dell'Unione europea. Ogni Stato membro deve assumersi le proprie responsabilità e rispettare, anche in ambito politico, i criteri di Copenaghen. Tuttavia, credo che le istituzioni europee non debbano essere utilizzate, in alcun modo o forma, come un forum per risolvere controversie di politica interna. Stiamo discutendo oggi questioni che riguardano la politica interna di uno Stato membro che possiede attive istituzioni democratiche. Personalmente sostengo incondizionatamente l’assoluta libertà di stampa. Allo stesso tempo, questa libertà va di pari passo con la massima responsabilità di ogni redazione nel fornire al pubblico informazioni corrette. In quest’Aula sono state chieste norme più severe sulla concentrazione della proprietà dei mezzi d’informazione e sul pluralismo a livello comunitario. Non dobbiamo però dimenticare che gli Stati membri si sono opposti a questa direttiva in quanto l’argomento non è di competenza dell'Unione europea. La Commissione europea ha pubblicato ugualmente un elenco di indicatori del pluralismo dei media basato su uno studio indipendente. Ritengo che sia importante per noi dare maggiore importanza a questi criteri e usarli come punto di partenza per una futura direttiva in questo settore. E’ altrettanto importante cercare soluzioni anziché avanzare accuse.
Tiziano Motti (PPE), per iscritto. – Dichiarare che la libertà d'informazione è negata in Italia è un'offesa, strumentale ed opportunistica, ad una delle più grandi democrazie occidentali. La libertà di informazione è negata in quei Paesi nei quali i regimi dittatoriali impediscono ai sudditi di accrescere la loro consapevolezza sui fatti quotidiani scegliendo la fonte d'informazione ritenuta più autorevole. Internet oggi ha il merito, nei Paesi di tradizione democratica come l'Italia, di abbattere ogni limite politico, geografico, economico e sociale di accesso all'informazione. In certi Paesi, al contrario, Internet è filtrato, e molti siti, considerati non filo governativi, oscurati. Li’ i diritti civili, come la libertà d'espressione, di matrimonio, di manifestazione, diritti di cui quali forse noi Occidentali non realizziamo nemmeno più l'importanza, perché ad essi siamo abituati, non si avvicinano nemmeno lontanamente al concetto di inalienabilità garantito dalla nostra Costituzione. Perché, semplicemente, non esistono. Il Parlamento europeo deve essere luogo di crescita, di dibattito e di scambio di buone prassi dei Paesi europei. Non può ridursi a sfondo teatrale privilegiato dove mettere in scena gratuitamente "prime" di una qualsiasi pièce da teatrino di provincia. Se dibattito sulla libertà di stampa, in Europa, deve esserci al Parlamento europeo, che ci sia, ma sia esso costruttivo e degno del prestigio dell'Istituzione di cui, noi, ci onoriamo di fare parte.
Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. – (RO) “La libertà di stampa è essenziale per una società democratica. E’ compito di tutti i governi mantenere, proteggere e rispettare la sua diversità e le sue missioni politiche, sociali e culturali.” Questo è l'articolo 1 della Carta europea per la libertà di stampa. Il primo ministro Berlusconi non solo sembra sfidare uno dei valori fondamentali di una società democratica, ma anche utilizzare l'influenza di cui dispone per manipolare l'opinione pubblica. In Italia, così come in altri paesi, gran parte dei giornali sono di proprietà di privati e controllati da politici che ne stabiliscono le politiche di gestione da cui non essi non possono deviare. In altri paesi, il governo usa il denaro dei contribuenti per finanziare giornali manovrati a proprio vantaggio. Nell'Unione europea, campione di democrazia e promotrice dei valori democratici in tutto il mondo, non dobbiamo ammettere restrizioni alla libertà di stampa. Per questo chiedo alla Commissione europea di proporre nel prossimo futuro una direttiva sulla libertà di stampa, destinata, in particolare, a limitare l'interferenza politica nei mezzi d’informazione di massa ed a evitare che in questo settore si stabiliscano dei monopoli.
PRESIDENZA DELL’ON. WALLIS Vicepresidente
6. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Presidente. – L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.
(Per il risultato e altri dettagli della votazione: vedasi processo verbale)
7.1. Mobilitazione del Fondo di solidarietà dell'UE: Italia, terremoto in Abruzzo (A7-0021/2009, Reimer Böge) (votazione)
7.2. Prevenzione e risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali (A7-0011/2009, Renate Weber) (votazione)
− Prima della votazione:
Renate Weber (ALDE). – (EN) Signora Presidente, nell'emendamento n. 6, considerando 18, si propone di aggiungere alla fine della frase quanto segue: “tranne qualora sia strettamente necessaria ai fini della prevenzione e della soluzione di conflitti di giurisdizione nell’applicazione della decisione quadro”.
(L’emendamento orale è accolto)
7.3. Nomine nella commissione speciale sulla crisi finanziaria, economica e sociale (votazione)
7.4. Vertice del G20 a Pittsburgh ( (votazione)
– Prima della votazione sull’emendamento n. 13:
Sven Giegold (Verts/ALE). – (EN) Signora Presidente, vorremmo introdurre il seguente emendamento orale all'emendamento n. 13: “Sollecita lo sviluppo di una relazione paese per paese che fornisca una completa visione di ogni società madre di un gruppo di investitori, di soggetti interessati e delle autorità fiscali, agevolando così un quadro internazionale più efficace e trasparente delle decisioni fiscali”.
(L’emendamento orale è accolto; l’emendamento n. 13 è poi respinto)
7.5. Effetti della crisi economica e finanziaria sui paesi in via di sviluppo e sulla cooperazione allo sviluppo (votazione)
Presidente. − Con questo si conclude il turno di votazioni.
Jan Březina (PPE). – (CS) Signora Presidente, la Repubblica ceca è stata tra i paesi che hanno avviato la presentazione del progetto di decisione quadro del Consiglio sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali, e questo dimostra che l’importanza che questo paese attribuisce alla cooperazione giudiziaria. In considerazione della delicatezza della questione, è tuttavia necessario garantire che questa cooperazione avvenga entro i limiti del mandato attribuito dal trattato che istituisce l’Unione europea, come sta effettivamente avvenendo. Il punto debole, d'altra parte, è una generalizzazione relativamente pronunciata, per esempio in mancanza di termini di scadenza per la risposta da parte dell’autorità interpellata e la mancanza di criteri per la determinazione dell'autorità giudiziaria più adatta per la gestione dei procedimenti penali. Un altro neo è la scarsa integrazione con Eurojust, che avrebbe dovuto essere al centro dell'attenzione. In qualità di organismo per la cooperazione europea in materia giudiziaria, Eurojust potrebbe avere un ruolo molto più importante di quello che esso ha nel progetto di decisione quadro, che non prevede nemmeno l'obbligo di informare Eurojust quando si tratta di risolvere i problemi di azione penale contro la criminalità transfrontaliera in un unico Stato membro.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signora Presidente, ho votato contro la relazione, non perché io mi opponga allo scambio di informazioni tra le autorità nazionali nelle procedure penali poiché ritengo positivo accertare se sono in corso procedimenti paralleli per gli stessi eventi in altri Stati membri.
Mi oppongo invece fermamente al tono federalista di alcuni emendamenti. Prendiamo l'emendamento n. 3, per esempio, che nega esplicitamente a ogni Stato membro la facoltà di decidere quali sono le autorità competenti ad agire. Non sono contrario a Eurojust, ma non deve trasformarsi in una “super-istituzione”.
- Proposta congiunta di risoluzione: vertice del G20 a Pittsburgh del 24 e 25 settembre 2009 (RC-B7-0082/2009)
Zigmantas Balčytis (S&D). – (EN) Signora Presidente, ho votato a favore della risoluzione. Sono lieto di vedere che l’Europa e i paesi più potenti non sottovalutano la gravità della situazione attuale e non cercano una soluzione unica per tutti i casi. La crisi è stata originata da una serie di fattori molto complessi e correlati, e non esiste una via d’uscita facile.
La crisi finanziaria globale ci ha offerto una buona opportunità per rivedere le nostre priorità e le nostre azioni, in particolare nella gestione a lungo termine di una ripresa economica sostenibile. Ci siamo impegnati – e i nostri cittadini hanno aspettative in tal senso – a far ripartire le nostre economie a tutta velocità, al fine di garantire il buon funzionamento dei mercati dei capitali e del credito, contrastando la disoccupazione, creando posti di lavoro e proteggendo le nostre popolazioni, specialmente i più poveri e i più vulnerabili. Non sarà un compito facile, ma credo che ci stiamo muovendo nella giusta direzione.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, ci proponiamo molto seriamente di esacerbare la situazione. La causa della crisi finanziaria è stato l’eccessivo intervento dello Stato: in primo luogo, i tassi di interesse sono stati deliberatamente tenuti troppo bassi per troppo tempo, una decisione politica piuttosto che di mercato, di cui tutte le banche centrali si sono rese complici; in secondo luogo, appena l'anno scorso, gli istituti di credito sono stati invitati dai governi a concedere ulteriori prestiti a condizioni più economiche.
E quindi i leader del G20 si riuniscono e dicono: “Qual è la soluzione? Un maggiore intervento statale”. Ritengo, come osservò una volta Mark Twain, che se l’unica cosa che hai è un martello, tutto comincia ad assomigliare ad un chiodo. Ma la verità è che, nella migliore delle ipotesi, tutte le misure adottate dai leader si sono rivelate inutili e, nel peggiore dei casi, hanno attivamente deteriorato la nostra situazione: i salvataggi, le nazionalizzazioni, la pretesa di attaccare i paradisi fiscali (ovvero i paesi con aliquote fiscali più competitive rispetto alle loro) e il massiccio ampliamento della giurisdizione statale con il pretesto dell’“emergenza”. E ora vogliamo riformare l'intero sistema finanziario. Chiudo con le parole del mio defunto connazionale Justice Asprey: “Riforme? Le cose non vanno già abbastanza male?”
Lena Ek (ALDE). – (EN) Signora Presidente, vorrei fare due osservazioni sulla recente votazione sul vertice del G20 a Pittsburgh. Mi dispiace, e ritengo deplorevole, che in questa risoluzione e nei documenti prodotti dal vertice del G20 vi sia così poco a proposito della soluzione della crisi climatica. Si fa cenno anche alla tassa Tobin, che in materia di clima credo possa rappresentare un nuovo modo di finanziamento sia per l’aiuto allo sviluppo sia per l’aiuto ai paesi in via di sviluppo.
Il motivo per cui non ho espresso un voto favorevole agli emendamenti è perché sono stati formulati in modo “vecchio stile”, come se discutessimo sulla tassa Tobin, ma 20 anni fa. Per discutere oggi sul fatto se si tratti di una nuova fonte di finanziamento per le Nazioni Unite bisogna mirare a qualcosa di diverso, e spero che in seguito si ritorni su questo aspetto in Parlamento.
- Proposta di risoluzione: Conseguenze della crisi economica e finanziaria mondiale per i paesi in via di sviluppo e la cooperazione allo sviluppo (B7-0078/2009)
Zigmantas Balčytis (S&D). – (EN) Signora Presidente, ho votato a favore di questa risoluzione poiché ritengo sia giunto il momento per ognuno di assumersi le proprie responsabilità e rispettare gli impegni presi a favore dei paesi in via di sviluppo. E’ vero che la crisi economica e finanziaria mondiale ha colpito duramente anche le economie più sviluppate, ma non dobbiamo dimenticare che ha colpito ancora più duramente i paesi più poveri. Dobbiamo tener ben presente che i paesi in via di sviluppo non hanno causato la crisi, ma sono adesso quelli che più ne sopportano le pesanti conseguenze.
L'attuazione degli obiettivi del Millennio è ora in grave pericolo. Accolgo con piacere il fatto che il G20 accetti di assumersi una responsabilità collettiva e attendo di vedere quelle promesse trasformarsi in azioni reali.
Krisztina Morvai (NI). – (EN) Signora Presidente, ho votato a favore della relazione perché ritengo che nel mondo vi sia necessità di un nuovo paradigma, in cui si passi da decisioni completamente centrate sul denaro e sul profitto a decisioni centrate sugli esseri umani e sulla comunità, e che si passi dalla logica della concorrenza a quella della giustizia.
In questa relazione scorgo almeno un seme. Non sto dicendo che essa sostenga pienamente il nuovo paradigma, ma almeno ne contiene i germi, in particolare al punto 2: “Ritiene che vi sia un’urgente necessità di una riforma politica radicale per affrontare le cause sistemiche delle crisi alimentare e finanziaria, mediante l’introduzione di nuove regole democratiche e trasparenti per il commercio e il sistema finanziario internazionali”.
Credo e spero che prenderemo molto sul serio questo punto. Questa crisi ha cause profonde, che dobbiamo affrontare sistematicamente e radicalmente. Abbiamo bisogno di un paradigma radicalmente nuovo.
Siiri Oviir (ALDE). – (ET) Signor Presidente, ho votato a favore di questa risoluzione. La crisi finanziaria ed economica mondiale ha infatti colpito tutti i paesi, ma ha avuto un effetto particolarmente devastante su quelli più poveri. La crisi ha influenzato negativamente tutte le fonti di finanziamento e non sono in grado, senza gli aiuti esteri, di mantenere i risultati che hanno conseguito.
La crisi minaccia gli obiettivi del Millennio fissati per il 2015. Appoggio quindi il piano per mettere in campo, prima di quanto inizialmente previsto, 8,8 miliardi di euro in aiuti allo sviluppo come sostegno al bilancio e rapidi interventi di finanziamento agricolo, nonché la proposta di stanziare 500 milioni di euro per le spese sociali. Non ho appoggiato gli articoli della presente risoluzione relativi alla tassa Tobin.
Izaskun Bilbao Barandica (ALDE). – (ES) Signora Presidente, ho votato a favore della risoluzione e degli emendamenti alla tassa Tobin.
Il mio voto è dettato da ragioni di coerenza personale, perché nel 2002, quando ne ero membro, il parlamento basco ha approvato una risoluzione che affermava la necessità di affrontare il fenomeno dei movimenti internazionali di capitali, in considerazione del loro impatto sociale ed economico in tutto il mondo. Prevedeva inoltre l’introduzione di criteri e meccanismi per fornire strumenti di controllo e di aiuto allo sviluppo umano, al superamento delle disuguaglianze tra i popoli e i settori sociali, all’equilibrio ambientale, nonché l'obbligo di istituire meccanismi per limitare i movimenti speculativi.
Allo stesso modo, ci siamo arrogati il dovere di contribuire allo sviluppo delle proposte per prendere in esame il controllo democratico e l'impatto sociale dei movimenti internazionali di capitali. Abbiamo affermato e approvato la necessità di istituire con urgenza la cosiddetta tassa Tobin, una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali destinata a finanziare gli aiuti allo sviluppo, nonché di istituire meccanismi democratici di regolazione del sistema internazionale.
Sono passati molti anni da quando il parlamento basco ha preso quella decisione, e sono lieto che il Parlamento europeo abbia adottato una risoluzione che segue la stessa linea.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signora Presidente, mi congratulo con lei per la solerzia, la capacità e l’accortezza con cui ha esercitato le prerogative del suo ruolo.
Per cinquant'anni, le politiche commerciali e agricole europee hanno provocato una prevenibile povertà nel Terzo mondo. Abbiamo simultaneamente escluso i prodotti di paesi nei quali spesso le esportazioni agricole rappresentano la principale fonte di reddito e, aggiungendo la beffa al danno, abbiamo esportato sui loro mercati le nostre eccedenze scaricandole in modo del tutto inefficace. Abbiamo poi cercato di lavarci la coscienza con massicci programmi di aiuto che non sono serviti a migliorare le condizioni di quei paesi, ma al contrario, cancellando la distinzione tra rappresentanza e tassazione, sono serviti a ritardare lo sviluppo democratico in gran parte del mondo.
Ecco cosa potremmo fare subito ottenendo un effetto immediato, virtuoso e trasformativo nei paesi di cui stiamo parlando: possiamo abolire la politica agricola comune. E questo non ci costerebbe nulla; anzi, i nostri agricoltori starebbero meglio, le campagne verrebbero curate meglio, le tasse si ridurrebbero e così come i prezzi dei generi alimentari, riducendo quindi e migliorando la situazione dell'intera economia mondiale.
E nel caso pensiate me ne sia dimenticato, non mi sono ammorbidito e continuo a pensare che ci vuole un referendum sul trattato di Lisbona: Pactio Olisipiensis censenda est.
Philip Claeys (NI). – (NL) Signora Presidente, l'ipocrisia e l'incoerenza di questo Parlamento continuano a stupirmi. Da un lato, questa risoluzione definisce giustamente una vergogna il fatto che le persone migliori e più capaci stiano abbandonando i paesi in via di sviluppo, aggiungendo che questa fuga di cervelli è dannosa per la loro economia. Dall'altro lato, tutto lo spettro politico del Parlamento sostiene la Carta blu dell’UE e i Centri europei di accoglienza per l'immigrazione legale in Africa: proprio le realtà che causano e perpetuano questa fuga di cervelli. Dopo tutto, l'esperienza ha dimostrato che i “migranti circolari” restano in Europa. Ma vi sono innumerevoli altri motivi per cui ho votato contro la risoluzione, come la sua invocazione di una sempre maggiore assistenza allo sviluppo da parte dell'Unione europea. Se l'Europa vuole svolgere davvero un ruolo nella cooperazione allo sviluppo, allora deve operare da coordinatore tra gli Stati membri e non da donatore.
Edward Scicluna (S&D). − (MT) Gran parte del lavoro che il Parlamento e gli altri governi svolgono in questo settore ha le caratteristiche di una “lotta antincendio”. Alla luce dei cambiamenti climatici sono stati fatti alcuni sforzi di prevenzione; tuttavia, come forma di prevenzione, dobbiamo anche lavorare sul sottosviluppo. Molti dei problemi di immigrazione che dobbiamo affrontare non sono di carattere politico bensì economico, soprattutto nel Mediterraneo, e dobbiamo quindi fornire assistenza per evitare che il problema aumenti.
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto – (RO) Sulla base di considerazioni umanitarie per un paese in difficoltà, ho votato a favore della richiesta di aiuti presentata dall’Italia in relazione all'accesso al Fondo di solidarietà dell'Unione europea per la ricostruzione della regione Abruzzo, gravemente colpita dal terremoto dell’aprile 2009. Tenendo conto delle finalità di questo strumento a livello di Unione europea, cioè far fronte ai disastri naturali e mostrare solidarietà verso le regioni colpite da una catastrofe, vorrei richiamare l'attenzione sulla necessità di procedure più rapide per rendere disponibili i fondi necessari agli Stati interessati.
Louis Bontes, Barry Madlener e Laurence J.A.J. Stassen (NI), per iscritto. − (NL) Il partito olandese per la libertà (PVV) è a favore dell’assistenza di emergenza; spetta però ai singoli Stati membri e non all'Unione europea fornirla.
David Casa (PPE), per iscritto. − (EN) Nell’aprile 2009 si è verificato in Italia un terremoto che ha provocato gravi danni. Per questo motivo la Commissione ha proposto l’intervento del Fondo sociale europeo in favore dell’Italia. Gli eventi che hanno avuto luogo in Italia sono stati davvero tragici. Ritengo pertanto che la mobilitazione del Fondo sociale europeo sia giustificata ed ho votato a favore.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione Böge sulla mobilitazione del Fondo di solidarietà dell'Unione europea in favore dell’Italia, perché credo che l'Unione europea debba rispondere nel più breve tempo possibile alla richiesta di aiuto del paese al fine di alleviare le tragiche conseguenze del terremoto che ha colpito la regione italiana dell’Abruzzo nel mese di aprile 2009, togliendo la vita a 300 persone e causando danni estremamente gravi.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Come ho avuto occasione di dire in precedenza, ritengo che la solidarietà tra Stati membri e in particolare i finanziamenti per i paesi vittime di calamità naturali, costituiscano un chiaro segnale che l'Unione europea non è più soltanto una zona di libero scambio. Con l'adozione di strumenti di aiuto speciale, come il Fondo di solidarietà, l'UE dimostra che è in grado di restare unita di fronte alle avversità in situazioni particolarmente onerose in termini umani e materiali. Accolgo quindi con favore ed esprimo il mio appoggio, ancora una volta, per la mobilitazione del Fondo di solidarietà dell'Unione europea in questa occasione, al fine di assistere le vittime del terremoto che nel mese di aprile 2009 ha colpito la regione italiana dell’Abruzzo.
Vorrei ribadire il mio auspicio che il Fondo di solidarietà dell'Unione europea non debba essere utilizzato troppo spesso, in altre parole mi auguro che l'Europa non abbia a soffrire di gravi emergenze, ma è anche mio auspicio che la sua struttura e la sua disponibilità vengano progressivamente migliorate e sottoposte spesso a valutazione al fine di soddisfare qualsiasi possibile esigenza reale in un modo rapido e non burocratico.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La relazione approva il Fondo di solidarietà a favore dell’Italia a seguito del terremoto di aprile, che ha causato la morte di 300 persone ed ha provocato danni molto ingenti. Si stima che l’ammontare dei danni diretti causati dal terremoto superi i 10 milioni di euro. L’evento è stato classificato, in conformità con i criteri del Fondo di intervento, come una “grave catastrofe naturale” e in quanto tale rientra nel principale campo di applicazione previsto dalla base giuridica.
La Commissione, pertanto, propone la mobilitazione del Fondo di solidarietà dell'Unione europea per un importo di 493 771 159 euro. Non dimentichiamo che la proposta di revisione della normativa che istituisce il Fondo, presentata dalla Commissione e respinta dal Parlamento nel maggio 2006, è ancora in discussione in sede di Consiglio.
Come si può vedere, tra le altre cose è importante garantire che le catastrofi regionali rimangano ammissibili e riconoscere la possibilità di salvaguardare la specificità delle catastrofi che colpiscono il Mediterraneo e adattare questo Fondo, in termini di tempi di risposta e di ammissibilità, alle specifiche esigenze relative a catastrofi naturali quali la siccità e gli incendi.
Marian-Jean Marinescu (PPE), per iscritto. − (RO) Oggi ho votato a favore della relazione Böge relativa alla mobilitazione del Fondo di solidarietà per l'Italia. Accolgo con favore il fatto che, nonostante le difficoltà, questa relazione sia stata inserita all'ordine del giorno. L’organo amministrativo del Parlamento deve prevedere in futuro situazioni come quella a cui oggi ci troviamo davanti. Non possono essere invocati motivi tecnici per rinviare la votazione su relazioni che hanno serie ripercussioni per i cittadini europei. La Commissione europea deve rivedere le procedure per la mobilitazione del Fondo di solidarietà, al fine di accelerare l’erogazione delle sovvenzioni. Deve essere istituito un sistema di pagamento anticipato, sulla base di una valutazione immediata iniziale delle perdite dirette subite. Il pagamento finale deve poi essere effettuato sulla base del calcolo definitivo delle perdite dirette e delle prove relative alle misure di prevenzione adottate a seguito della calamità.
David Martin (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore dell'emendamento n. 7. Sono lieto che i servizi siano stati organizzati in fretta per procedere alla votazione e spero che i fondi richiesti in Italia vengano resi disponibili il più rapidamente possibile per fornire un aiuto rapido ed efficace.
Barbara Matera (PPE), per iscritto. − Desidero complimentarmi con il Parlamento per aver impedito, su mia sollecitazione ieri, il rinvio del voto sulla mobilitazione del Fondo di solidarietà in favore del terremoto in Abruzzo, avvenuto lo scorso aprile, creando gravissimi danni a persone e cose. Non c'era davvero alcuna ragione di rinviare, seppur per due sole settimane, un voto che ha una così importante incidenza sulla vita di cittadini europei in difficoltà.
La Commissione europea aveva svolto l'istruttoria in tempi rapidissimi, concedendo all'Italia l'esatto ammontare richiesto, ovvero Euro 493 771 159, ammontare che potrebbe essere il più elevato che sia mai stato riconosciuto finora da questo Fondo. Con questo voto, il Parlamento dimostra quindi piena solidarietà e vicinanza alle popolazioni colpite. Normalmente per l'erogazione di questo fondo è necessario un periodo medio di circa 18 mesi. Ora si è giunti alla consultazione del Parlamento in tempi rapidi, considerando che il terremoto è avvenuto solo 5 mesi fa. Pertanto auspico fortemente che la Commissione e il Consiglio riducano al massimo i restanti tempi della procedura e rendano fruibile il finanziamento all'Italia prima della fine dell'anno.
Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. − (EN) Gli effetti del terremoto in Abruzzo sono stati devastanti e tragici, e il finanziamento che oggi abbiamo approvato non può, ovviamente, compensare la terribile perdita di vite umane o la distruzione fisica delle comunità causate da una catastrofe naturale. Tuttavia, per la regione e per la sua ricostituzione a lungo termine, il finanziamento del Fondo di solidarietà dell'Unione europea farà davvero la differenza, e l'esistenza e il funzionamento efficiente di questo fondo dimostrano la solidarietà tra gli Stati membri dell'Unione europea. I programmi e i meccanismi per attuare misure concrete rafforzano la nostra unione e ci consentono di fronteggiare meglio le crisi, siano queste la recessione economica o le calamità naturali. Dobbiamo continuare a sostenere queste misure pratiche volte a fornire assistenza agli Stati membri in momenti di reale necessità. Le politiche ci permettono di influenzare e controllare gli eventi, ma per quegli eventi, come le catastrofi naturali, che esulano dalla sfera politica, possiamo sviluppare importanti meccanismi per essere in grado di affrontare in modo efficace le crisi.
Rafał Kazimierz Trzaskowski (PPE), per iscritto. − (PL) Di fronte a una tragedia in cui le persone hanno perso i loro cari e in molti casi tutti i loro averi, in cui è stata ridotta in rovina una splendida e antica cittadina, il sostegno proposto è un gesto di normale decenza. Il Fondo di solidarietà dell'Unione europea è un esempio di efficace azione comune dell'UE in sostegno a uno Stato membro colpito da una tragedia di tale portata. Il Fondo di solidarietà dell'Unione europea consente di erogare rapidi aiuti di emergenza, ed è, senza dubbio, un segnale positivo ai cittadini.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. − (EN) Accolgo con favore il voto positivo per sbloccare i fondi destinati alle vittime del terremoto in Abruzzo. La nostra reazione alle catastrofi naturali, come la devastazione cui abbiamo assistito in Italia, deve esulare dalla sfera politica. Intervenire in aiuto delle vittime di questa catastrofe per ricostruire le loro vite, le loro case e il loro futuro è sicuramente un impegno che troverà l’accordo di chiunque in questo Parlamento abbia un briciolo di umanità.
Il Fondo di solidarietà dell'Unione europea ci consente di agire come una comunità per alleviare la miseria e la sofferenza. Da quando è stato istituito, il Fondo è stato utilizzato per aiutare i cittadini di più della metà degli Stati membri dell’Unione europea e per far fronte alle conseguenze di oltre 20 catastrofi, quali alluvioni, incendi boschivi, siccità ed eruzioni vulcaniche. Ricordo inoltre che le popolazioni del Galles hanno beneficiato dei finanziamenti a seguito delle terribili inondazioni del 2007.
Occorre tuttavia prendere in esame le entrate del Fondo e questa è un’ottima occasione per consentire che il Fondo abbia risorse proprie, in modo che altri progetti non abbiano a soffrire a causa della sua mobilitazione.
Mi auguro che, in qualche modo, questi soldi possano servire non solo per la ricostruzione degli edifici, ma anche delle comunità distrutte.
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. − (RO) Migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale tra le autorità con competenze parallele è una misura particolarmente importante. Se le azioni che hanno portato ad un reato rientrano sotto la giurisdizione di due o più Stati membri, il procedimento penale deve essere condotto sotto la giurisdizione più adatta, ed è indispensabile creare un quadro comune uniforme per scegliere questa giurisdizione in modo obiettivo e trasparente. L’infruttuosa applicazione del principio ne bis in idem, che compare nella convenzione applicativa dell'Accordo di Schengen, viola i diritti fondamentali e contrasta con l'obiettivo dell'Unione europea di creare uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Ho votato a favore di questa relazione che sottende la garanzia di rispettare questo principio nell'intero spazio giudiziario europeo, e non solo come parte dei procedimenti nazionali. Per questo accolgo con favore l'adozione di questa relazione presentata nel corso della sessione di ieri.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore di questa relazione, poiché ritengo che i conflitti di giurisdizione vadano risolti nel modo più efficace possibile, cercando di giungere ad un consenso. Dovremmo rallegrarci che i tribunali degli Stati membri assicurino il principio ne bis in idem. Deploro che la relazione non stabilisca metodi di risoluzione dei conflitti di competenza, determinando quale Stato debba esercitare la propria giurisdizione. Inoltre il ruolo di Eurojust non è chiaramente definito. Questa relazione rappresenta comunque uno stimolo all’impegno per ulteriori importanti decisioni in materia di libertà dei cittadini, giustizia e affari interni.
David Casa (PPE), per iscritto. − (EN) In un futuro mondo globalizzato e in una situazione in cui esistono 27 Stati membri dell'Unione europea, la possibilità che si verifichino conflitti di giurisdizione è elevata e potrebbe causare delle difficoltà. Ho votato a favore.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. − (PT) Ritengo essenziale rendere più efficienti i procedimenti penali e al contempo garantire la corretta amministrazione della giustizia. La presente decisione quadro contribuirà alla prevenzione e alla risoluzione dei conflitti di competenza, assicurerà che i procedimenti vengano avviati presso la giurisdizione più opportuna e renderà più trasparente e obiettiva la scelta della giurisdizione penale, nei casi in cui gli eventi ricadano sotto la giurisdizione di più di uno Stato membro.
Mi auguro che in questo modo si possano prevenire procedimenti penali paralleli e inutili, senza, tuttavia, un aumento della burocrazia nei casi in cui soluzioni più appropriate siano rapidamente disponibili. Nei casi in cui sono già stati posti in essere, da parte degli Stati membri, strumenti o accordi più flessibili, ad esempio, questi devono avere la precedenza. In effetti, l'esistenza di situazioni in cui un individuo può essere soggetto a processi penali paralleli, relativi agli stessi eventi e in diversi Stati membri, può portare a violazioni del principio ne bis in idem, che deve essere effettivamente applicato in tutto l’ambito giudiziario europeo. Sono anche favorevole ad un maggiore coinvolgimento di Eurojust sin dall'inizio del procedimento.
Göran Färm, Anna Hedh, Olle Ludvigsson e Marita Ulvskog (S&D), per iscritto. − (SV) Noi socialdemocratici svedesi abbiamo scelto di astenerci, poiché riteniamo che siano gli stessi Stati membri a dover decidere l’ autorità competente nelle procedure di consultazione. Riteniamo inoltre che il coinvolgimento di Eurojust debba avere carattere complementare e secondario rispetto agli Stati membri e che il suo mandato non debba in alcun modo venire esteso da questa decisione.
Tuttavia, molti punti nella relazione del Parlamento migliorano la proposta di decisione quadro. E’ importante, non solo per le autorità nazionali, ma anche e soprattutto per chi è sospettato o accusato di un crimine, che vi siano scadenze chiare, garanzie procedurali e altri meccanismi di protezione.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Per una giustizia più efficace nello svolgimento di procedimenti di questo tipo è essenziale un'azione coordinata da parte degli Stati membri in materia di prevenzione e risoluzione dei conflitti nell'esercizio della giurisdizione. E’ quindi opportuno ricondurre i procedimenti penali che interessano più giurisdizioni ad un unico Stato membro in base a criteri oggettivi e per il bene della necessaria trasparenza, non solo per prevenire sprechi di tempo e di risorse, ma anche in considerazione dei costi. Si tratta inoltre di una misura essenziale per migliorare la coerenza e l'efficacia del procedimento.
Un contatto diretto e il più breve possibile tra le autorità nazionali competenti è fondamentale per determinare la giurisdizione competente e il relativo trasferimento dei procedimenti. In questo contesto, è importante ricordare i diritti degli imputati in tutto il procedimento penale, giacché uno degli obiettivi fondamentali dell'Unione europea consiste nel garantire ai propri cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia privo di frontiere interne.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Abbiamo votato contro la relazione poiché mira al rafforzamento del ruolo di Eurojust. Da un punto di vista giuridico, il progetto di decisione quadro del Consiglio salvaguarda in maniera migliore la giustizia delle decisioni prese, garantendo in modo chiaro il principio ne bis in idem: una persona non può essere condannata due volte per lo stesso reato. Nonostante il relatore abbia riconosciuto questa realtà, le modifiche introdotte tendono a rafforzare il ruolo di Eurojust in aree che sono di esclusiva competenza degli Stati membri. In tal modo, e attraverso il suo intervento anticipato nell'ambito del procedimento, Eurojust viene ad assumere un’autorità superiore a quella degli Stati membri, che si vedono privati della possibilità di giungere a un accordo su chi ha l’autorità in un procedimento.
Non riteniamo accettabile giustificare tutto questo con lo “spreco di tempo e di risorse”. Nel campo della giustizia, come in altri settori, il trasferimento delle giurisdizioni degli Stati membri all'Unione europea indebolisce la loro sovranità e dimostra di non servire gli interessi del pubblico nella difesa dei diritti, delle libertà e delle garanzie. A nostro parere, questo ne è un esempio perfetto.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. − (FR) Il principio ne bis in idem – in ragione del quale la stessa persona non può essere processata due volte per lo stesso reato – è un principio fondamentale del diritto in una democrazia. Io stesso sono vittima di una violazione di questo principio in Francia, dato che sono ancora perseguito penalmente per ordine del governo in una vicenda per la quale la Cassazione mi ha dichiarato pienamente innocente.
Devo questa situazione, in particolare, all'abuso di potere da parte dell'onorevole Wallis, relatrice per la mia immunità, che ha consentito l’impiego di tutti i trucchi possibili per privarmi della tutela cui avrei diritto se fossero rispettate le regole di giustizia, moralità e giurisprudenza di questo Parlamento.
Ma la relazione dell'onorevole Weber non mira a prevenire questi casi di ne bis in idem. Sotto questo aspetto, vi è una convenzione europea che risale al 2000, che funziona, a quanto pare, con soddisfazione degli operatori e nel rispetto dei principi dello stato di diritto.
Non è così: la relazione Weber punta sostanzialmente a fornire Eurojust – che molti vorrebbero vedere trasformato in un servizio di pubblico ministero europeo – poteri di controllo e decisionali sulle giurisdizioni nazionali. Questa è la ragione per cui abbiamo votato contro.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della relazione Weber sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti di esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali. Molte gravi attività criminali hanno una natura sempre più transfrontaliera e l'Unione europea deve svolgere un ruolo importante nella lotta per fermarle. Procedure più chiare per lo scambio di informazioni nei procedimenti penali rafforzeranno la cooperazione tra gli Stati membri e miglioreranno le capacità delle singole nazioni di combattere la criminalità. Bisogna sempre prestare attenzione al rispetto dei diritti fondamentali e a mio parere la relazione Weber migliora la proposta di decisione quadro.
Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. − (EN) Ho deciso di astenermi dalla votazione finale. Per quanto compaiano, nella votazione in blocco, alcune buone modifiche in materia di diritti umani (ad esempio gli emendamenti nn. 6 e 15), vi sono altri emendamenti che trasferiscono le competenze dagli Stati membri a Eurojust (ad esempio gli emendamenti nn. 3, 9, 16, 17 e 18). Credo che questi aspetti dovrebbero restare di competenza degli Stati membri.
- Proposta della Conferenza dei presidenti: Nomine nella commissione speciale sulla crisi finanziaria, economica e sociale
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) La creazione della commissione speciale sulla crisi finanziaria, economica e sociale può rivelarsi essenziale per il futuro dell’Unione europea. L'esperienza dei suoi membri è essenziale per l'esercizio dei compiti e delle proposte che verranno presentate da questa commissione speciale. Credo che l'elenco dei membri includa onorevoli deputati di questo Parlamento, stimati e di grande esperienza nei vari settori interessati dall’attuale contesto di crisi. Loro saranno anche in grado di contribuire alla discussione e alla presentazione di misure appropriate per correggere i difetti del sistema finanziario che hanno portato alla situazione attuale, dando un importante contributo alla preparazione dell'eventuale adozione, in futuro, di una legislazione migliore e adeguatamente giustificata.
Ritengo inoltre che questa commissione debba rimanere in attività oltre i 12 mesi previsti e che la sua composizione possa essere riveduta, al fine di consentire il monitoraggio e la valutazione delle misure che verranno adottate nell’attuale contesto di crisi.
- Proposta congiunta di risoluzione: vertice del G20 a Pittsburgh del 24e 25 settembre 2009 (RCB7-0082/2009)
Regina Bastos (PPE), per iscritto. − (PT) Accolgo con piacere gli accordi stipulati in occasione del vertice del G20 a Pittsburgh. Sono certa che essi rappresentino un passo avanti nella giusta direzione. Le priorità immediate devono essere quelle di assicurare una crescita robusta e sostenibile dell'economia reale, garantire che il credito e i mercati finanziari funzionino correttamente, sostenere e promuovere l'occupazione proteggendo la popolazione dagli effetti negativi della crisi, con particolare attenzione ai più poveri e ai più vulnerabili.
Il rapido aumento del debito pubblico e dei disavanzi di bilancio è preoccupante. Occorre rafforzare l'importanza di finanze pubbliche sostenibili a lungo termine, al fine di evitare sovraccarichi per le generazioni future. Ciò nondimeno, è deplorevole che non siano stati valutati i principali errori nella regolamentazione e nella vigilanza che hanno causato la crisi finanziaria. E’ quindi prioritario comprendere cosa sia successo a questi livelli e, di conseguenza, evitare il ripetersi degli errori del passato.
Dominique Baudis (PPE), per iscritto. − (FR) Il mondo si trova di fronte a una contraddizione che sarà difficile sciogliere. Da un lato, la crisi economica e le sue conseguenze sociali richiedono misure urgenti per ripristinare la crescita dell’occupazione, argomenti all'ordine del giorno del G20 a Pittsburgh. Dall’altro lato – e questa sarà la sfida della conferenza di Copenaghen – è altrettanto urgente combattere il cambiamento climatico attraverso la riduzione del consumo energetico. In altre parole, dobbiamo riavviare la macchina e far sì che quella macchina inquini meno. Questi due aspetti inoltre non possono essere risolti uno dopo l'altro poiché rivestono entrambi carattere di urgenza. Rilanciare l'attività economica è urgente e lo è parimenti limitare le conseguenze delle attività economiche. Al G20 di ieri e alla conferenza sui cambiamenti climatici di domani, l'Unione europea deve percorrere un sentiero stretto tra due formidabili minacce. Le istituzioni europee devono essere consolidate il più presto possibile secondo quanto previsto dal trattato di Lisbona approvato dai 27 paesi dell'Unione. Cercando di “guadagnare tempo” per ritardare quel momento, il presidente ceco Klaus si assume una grande responsabilità nei confronti dei 500 milioni di cittadini dell'Unione.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. − (LT) L'Unione europea ha bisogno di una vigilanza più rigorosa sui mercati finanziari, vigilanza della quale è responsabile un’istituzione; il G20. E’ importante garantire la stabilità a lungo termine delle finanze pubbliche, in modo che le generazioni future non si ritrovino un fardello troppo pesante, per creare un maggior numero di posti di lavoro e per proteggere la popolazione dagli effetti della crisi. E’ fondamentale dare la priorità alla creazione di posti di lavoro, al fine di garantire la crescita di una’economia reale stabile e di grandi dimensioni, alla corretta tutela dei mercati dei capitali e delle attività di credito per mantenere e stimolare l'occupazione nonché per proteggere la popolazione dalle conseguenze negative della crisi, con particolare attenzione ai più poveri e a quanti ne sono maggiormente colpiti. Oggi dobbiamo rafforzare il dialogo sociale a tutti i livelli, cercando di evitare riduzioni salariali e garantendo che le retribuzioni aumentino proporzionalmente alla crescita della produttività. La creazione di nuovi posti di lavoro deve essere considerata come l'obiettivo più importante.
Pascal Canfin (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Il gruppo Verts/ALE ha votato a favore della risoluzione sul G20 per diverse ragioni, tra le quali: il Parlamento europeo, in riferimento alla necessità di sviluppare nuovi indicatori che vadano oltre il PIL, dà un chiaro segnale che “la ripresa economica” non deve essere impostata sul consueto business as usual, il che è in linea con la nostra richiesta di sviluppare un New deal verde. La risoluzione insiste sulla necessità di affrontare in un quadro multilaterale gli squilibri globali, in particolare gli squilibri dei tassi di cambio e la volatilità dei prezzi delle materie prime. Il testo invia inoltre un segnale positivo per l'istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, misura che finora non è mai stata intrapresa. Per quanto riguarda la crisi finanziaria, il Parlamento europeo sostiene con forza la necessità di un coordinamento a livello internazionale, che dovrebbe mirare a evitare arbitraggi di regolamentazione. Si sottolinea inoltre che il miglioramento delle norme prudenziali nel contesto del G20 è costituito da un’“armonizzazione minima”, che non deve impedire all'Unione europea di applicare norme più rigorose. Per quanto concerne la vigilanza del settore finanziario, il Parlamento europeo ha fatto un passo significativo verso un approccio migliore e più accentrato alla vigilanza dei mercati finanziari, con l’obiettivo finale di istituire un'unica autorità di vigilanza finanziaria.
Maria da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Il G20 si è impegnato a raggiungere un accordo al vertice di Copenaghen ed è essenziale che nei negoziati l'Unione europea continui a svolgere un ruolo di primo piano per ottenere un risultato equo e di ampia portata. L'accordo a Copenaghen può stimolare la crescita economica, promuovere le tecnologie pulite e assicurare la creazione di nuovi posti di lavoro nei paesi industrializzati e nei paesi in via di sviluppo.
L'esistenza di un accordo sul finanziamento e sul supporto tecnico per l'energia pulita, l’energia rinnovabile e l'efficienza energetica nei paesi in via di sviluppo è essenziale al fine di ottenere un solido consenso a Copenaghen. E’ importante definire un modello concreto per massimizzare le possibilità di concludere un accordo internazionale a Copenaghen che garantisca la riduzione delle emissioni collettive dei gas serra, in conformità alle raccomandazioni della quarta relazione del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (riduzione del 25-40 per cento per il 2020 rispetto al 1990). L’accordo deve stabilire per l'Unione europea e per gli altri paesi industrializzati una riduzione a lungo termine di almeno l’80 per cento entro il 2050, in relazione al 1990.
David Casa (PPE), per iscritto. − (EN) Il vertice del G20 che si è tenuto a Pittsburgh il 24 e 25 settembre ha avuto successo in vari settori, come la discussione sulla necessità di affrontare alla radice delle cause delle crisi finanziarie, in modo da garantire che in futuro tali eventi non tornino a ripetersi. Sono d'accordo a questo proposito e quindi ho votato a favore della risoluzione.
Anna Maria Corazza Bildt, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark, Anna Ibrisagic e Alf Svensson (PPE), per iscritto. − (SV) Oggi abbiamo votato a favore della risoluzione sul G20, ma abbiamo deciso di votare contro l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, giacché essa intralcerebbe la formazione di capitali nei paesi poveri e ostacolerebbe lo sviluppo e la crescita che negli ultimi 30 anni hanno permesso alle persone e ai paesi di uscire dalla povertà. Siamo inoltre contrari alla creazione di un fondo anti-ciclico per i posti di lavoro a livello internazionale, poiché vi è il rischio che favorisca la conservazione di strutture vecchie e obsolete, impedendo così la crescita e lo sviluppo di nuovi posti di lavoro. Questa soluzione richiederebbe l'introduzione di un sistema di distribuzione e di tassazione internazionale privo di controllo democratico, con l’evidente rischio di corruzione. E’ importante che le persone colpite dalla crisi ricevano sostegno e aiuto, ma questi possono essere gestiti al meglio a livello nazionale piuttosto che da un sistema burocratico internazionale.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. − (FR) La delegazione dei rappresentanti eletti del Mouvement Démocrate (gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa) accoglie con favore l'adozione della risoluzione sulle conclusioni del G20. Con questo voto, il Parlamento europeo ribadisce quanto segue: l'Unione europea deve dotarsi di un sistema di vigilanza finanziaria e di una sola autorità finanziaria; dobbiamo procedere nella direzione della stabilità di bilancio a lungo termine per non danneggiare le generazioni future; le immediate priorità devono essere la creazione di posti di lavoro e la protezione dei cittadini dagli effetti della crisi. Abbiamo votato a favore degli emendamenti nn. 5, 8, 11, 12 e 13, e deploriamo che il Parlamento europeo non abbia fatto di più sul piano della trasparenza contabile, della lotta contro i paradisi fiscali e degli impegni ambientali (New deal verde). Vorremmo inoltre ribadire il nostro impegno in favore di una tassa sulle transazioni finanziarie sul modello della tassa Tobin. A questo proposito, invitiamo il Parlamento europeo ad avviare discussioni sulla definizione di tale imposta.
Frank Engel (PPE), per iscritto. − (FR) Anche se concordiamo con le principali linee guida della risoluzione del Parlamento europeo sul vertice del G20 di Pittsburgh, motivo per il quale abbiamo votato a favore, la delegazione lussemburghese del gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano) intende esprimere delle riserve su alcune parti della risoluzione che riteniamo soddisfacenti.
In primo luogo, le conclusioni di Pittsburgh accennano alla necessità che i beneficiari dei provvedimenti di salvataggio contribuiscano al costo delle misure. Questo non coincide con la definizione di una tassa sulle transazioni finanziarie, così come proposta dal Parlamento. In secondo luogo, favoriamo un sistema di vigilanza finanziaria che combini in futuro le autorità nazionali di vigilanza e i tre organismi europei la cui creazione è in corso nell'ambito del procedimento legislativo europeo.
Infine, è importante impedire l'uso diffuso del termine “paradisi fiscali” preso dal G20. Sono state inserite arbitrariamente in una lista nera giurisdizioni che non sono affatto paradisi fiscali, mentre i veri paradisi fiscali continuano ad evitare ogni forma di pressione esercitata da parte del G20 e dell'OCSE. Considerare paradisi fiscali paesi che hanno un moderato livello di imposizione fiscale non ci aiuterà a porre fine a una crisi le cui origini si trovano altrove.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della la risoluzione del Parlamento europeo sul vertice del G20, tenutosi a Pittsburgh il 24 e il 25 settembre, perché credo che le attuali difficoltà economiche rappresentino un'opportunità per promuovere gli obiettivi della strategia di Lisbona e per ribadire l'impegno a combattere la disoccupazione e il cambiamento climatico, così come per creare una strategia europea che punti a una ripresa economica sostenibile a lungo termine. E’, tuttavia, deplorevole che non sia stata adottata la proposta della tassa Tobin sulle transazioni finanziarie, che limiterebbe l’eccessiva speculazione promuovendo la stabilità finanziaria e gli investimenti a lungo termine.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) In un contesto di crisi economica mondiale con gravi conseguenze sociali, le decisioni prese dal G20 acquistano grande importanza. Attraverso lo sforzo coordinato dai membri del G20 saremo in grado di costruire un sistema finanziario che contribuirà in futuro ad uno sviluppo economico più equilibrato e sostenibile, evitando quindi crisi come quella che stiamo attraversando.
Nell'Unione europea non possiamo agire da soli adottando regole non condivise da altri paesi, cosa che nel mondo globalizzato in cui viviamo metterebbe l'economia europea in una posizione di svantaggio.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Accolgo con favore gli accordi raggiunti al vertice del G20 a Pittsburgh. A seguito della globalizzazione del capitale, le azioni per combattere e prevenire nuove crisi richiedono la massima cooperazione internazionale possibile. Mi rallegro degli accordi che puntano alla crescita economica, alla promozione dell'occupazione e alla regolamentazione dei mercati, e mi auguro che questi obiettivi giungano a buon fine “su vasta scala”. Per quanto riguarda una tassa sulle transazioni finanziarie che consenta di controllare l’eccessiva speculazione e incoraggi gli investimenti a lungo termine, ritengo abbia un senso solo se applicata su scala globale.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) La risoluzione adottata oggi, in linea con le posizioni già assunte da vari organismi dell'Unione europea, compreso il Parlamento europeo, tenta di nascondere le vere cause della crisi economica e sociale e, manipolandole, accelera e favorisce il proseguimento e lo sviluppo delle politiche che l'hanno provocata. Tra le altre cose, e per quanto riguarda i paradisi fiscali, si considera solo che questi “hanno minato le regole finanziarie” e ci si limita a raccomandare la necessità di “migliorare la trasparenza fiscale e lo scambio di informazioni”.
Quello che serve, e di cui la risoluzione non riesce a parlare, è la necessità di rompere con le politiche neoliberiste di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi, di attacco ai diritti dei lavoratori e di distruzione delle infrastrutture produttive. Queste politiche sono responsabili del peggioramento delle condizioni di vita, del debito, dell’aumento della disoccupazione, della precarietà e della povertà. Per rendere efficacemente subordinato il potere economico al potere politico è necessario ridare valore al lavoro e ai lavoratori, salvaguardare i settori produttivi e i servizi pubblici, combattere e punire la corruzione e la criminalità economica, nonché porre fine ai paradisi fiscali.
Robert Goebbels (S&D), per iscritto. − (FR) Ho votato contro tutti gli emendamenti presentati dal gruppo Verde/Alleanza libera europea in merito alla risoluzione del G20 per protestare contro la loro tattica di riaprire sempre le discussioni con emendamenti che in genere hanno un carattere demagogico. I verdi avevano negoziato la proposta di una risoluzione comune e ottenuto l’approvazione su molti emendamenti. Alla fine però non hanno firmato la risoluzione comune, dando spettacolo in seduta plenaria.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. − (FR) Abbiamo votato contro la risoluzione sulla G20 per una buona ragione: in nessun punto essa rimette in discussione il sistema finanziario globale che è alla radice della crisi. Si afferma che abbiamo bisogno di ancora maggiore globalizzazione, di ancora maggiore liberalizzazione, con la cosiddetta salvaguardia delle istituzioni e degli organismi multilaterali destinati a diventare un governo mondiale.
Rifiutare tuttavia di cambiare il sistema è garanzia del fallimento delle poche misure utili e delle necessarie proposte. Cercando di salvare ad ogni costo il sistema nella sua forma attuale, con i mercati sempre più slegati dall'economia reale, si spiana la strada ad altre crisi e si garantisce che non sarà raggiunto il dichiarato obiettivo della creazione di posti di lavoro.
L'economia non è un fine in sé, ma è solo un mezzo per raggiungere obiettivi politici, progresso e sviluppo umano. Finché seguiremo le presunte necessità economiche e ci arrenderemo alle cosiddette leggi immutabili del mercato, non risolveremo alcun problema.
Sylvie Goulard (ALDE), per iscritto. − (FR) A nome del gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa, vorrei spiegare la nostra astensione dal voto sull’emendamento presentato dal gruppo Verde/Alleanza libera europea in merito a un’imposta sul modello della tassa Tobin. Abbiamo deciso di istituire un gruppo di lavoro su questo tema al fine di chiarire le relative finalità e modalità pratiche. Saranno poi i gruppi politici, una volta a conoscenza di tutti i fatti, a concordare un approccio comune al problema che abbia lo stesso significato per tutti e che possa essere difeso in seno agli organismi internazionali competenti.
Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore della risoluzione sul vertice del G20 a Pittsburgh. L'attuale crisi economica è veramente globale, tanto per le sue radici quanto per i suoi effetti e per trovare delle soluzioni è quindi essenziale un'azione internazionale coordinata. Tutti i governi nazionali devono svolgere un importante ruolo in queste soluzioni e un’azione comune a livello europeo garantirà all’UE un posto in primo piano nella promozione della ripresa globale. Il governo scozzese segue un programma volto a sostenere l'occupazione e le comunità, a rafforzare l'istruzione e le competenze ed a investire nell’innovazione e nelle industrie del futuro. Insieme agli altri Stati membri saremo in grado di superare le sfide che oggi ci troviamo di fronte.
Arlene McCarthy (S&D), per iscritto. − (EN) Io e i miei colleghi laburisti appoggiamo con forza l'impegno assunto dal G20 in favore di una tassa sulle transazioni finanziarie. Considerando i costi sostenuti dai contribuenti nel corso della crisi, è essenziale garantire che il settore finanziario contribuisca pienamente e correttamente al miglioramento delle finanze pubbliche. La tassa Tobin è un modello di imposta sulle transazioni finanziarie proposto. Non abbiamo sostenuto l'emendamento n. 8 poiché dobbiamo considerare tutte le opzioni invece di impegnarci in una tassa “sul modello della Tobin”. L'emendamento suggerisce inoltre di prendere in considerazione una forma unilaterale europea dell’imposta. Il settore dei servizi finanziari ha una portata globale e dobbiamo insistere su una tassa sulle transazioni che sia efficace e praticabile appunto a livello globale.
David Martin (S&D), per iscritto. − (EN) Mi sono astenuto dalla votazione sull'emendamento n. 8 relativo ad una tassa sulle transazioni finanziarie. Sono favorevole a un’imposta di questo genere ma credo che per poter essere efficace questa debba avere carattere globale e non solo europeo.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) La proposta congiunta di risoluzione sul vertice del G20 a Pittsburgh contiene numerosi elementi positivi. Indica chiaramente, ad esempio, le difficoltà relative alle misure di stimolo messe in atto nella politica fiscale della maggior parte degli Stati. Nei prossimi anni il consolidamento dei bilanci nazionali deve assumere un ruolo significativo. Mi rallegro anche che ci sia stato un tentativo di comprendere le cause della crisi, considerato quanto è stato detto in merito alla sfrenata speculazione e alla mancanza di regolamentazione del mercato finanziario. Questo tentativo è rimasto però piuttosto superficiale; non ci si è spinti fino alle vere riforme che sono necessarie. Considerata l’immensa crisi in cui ancora ci troviamo e che purtroppo produrrà ancora molti più disoccupati, questo è troppo poco. Per questa ragione mi sono astenuto dal voto.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) La proposta di risoluzione sul vertice del G20 a Pittsburgh afferma esplicitamente che la crisi è il risultato della sconsiderata e irresponsabile assunzione di rischi da parte di alcuni istituti finanziari, oltre alla mancanza di regolamentazione del mercato finanziario. Si era quindi lasciato campo aperto alla speculazione totale. E’ quindi ancora più importante adottare rapidamente norme adeguate per i mercati, in merito alle quali la proposta presenta alcune idee sotto ogni aspetto molto positive. E’ però un peccato che la proposta segua anche le disposizioni di Basilea II, che, sappiamo per esperienza, hanno praticamente prosciugato il flusso di capitali disponibili per le piccole e medie imprese. Tenendo in considerazione i piccoli clienti delle banche, non posso assolutamente sostenere lì'abolizione rigorosa del segreto bancario e per questo ho deciso di astenermi dalla votazione finale.
Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. − (PT) In primo luogo, plaudo al fatto che alla riunione del G20 siano stati affrontati temi importanti come la crescita economica sostenibile, l’occupazione e i potenziali fenomeni legati ai cambiamenti climatici che potrebbero minacciare l'abitabilità del nostro pianeta. Sono temi di attualità a livello mondiale, universalmente considerati di vitale importanza per il processo di crescita europea.
A questo proposito, accolgo con favore la decisione di mantenere le misure di stimolo per la ripresa economica e l'impegno mostrato verso una strategia che può rendere efficaci i principi dell’agenda di Lisbona, in particolare l'interesse globale per l'attuazione del Patto globale per l’occupazione. Su questo punto, è importante sottolineare la necessità urgente di creare un fondo internazionale anti-ciclico per l’occupazione e un ambizioso pacchetto di misure di stimolo fiscale che sostenga la creazione e il mantenimento dei posti di lavoro, affiancato da forti politiche sociali tese a sostenere i gruppi più vulnerabili.
Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. − (SV) La crisi finanziaria si è verificata anche perché le banche hanno abusato della fiducia dei propri clienti e si sono assunte rischi eccessivi con i loro soldi. Riteniamo che sia necessaria una discussione più dettagliata su come debbano essere condotte le transazioni finanziarie internazionali. Non crediamo che la tassa Tobin possa essere efficace nel prevenire la speculazione, ma accogliamo con favore una discussione su come le istituzioni finanziarie, le banche, le società fiduciarie e le compagnie di assicurazione, possano contribuire a creare un mercato finanziario sano e stabile. La crisi finanziaria dimostra che per affrontare problemi internazionali sono necessarie soluzioni internazionali. Questa discussione dovrà quindi tenersi a livello globale e non solo all'interno dell'Unione europea.
Paulo Rangel (PPE), per iscritto. − (PT) Vorrei congratularmi per gli accordi conclusi in occasione del vertice del G20, accordi di cui sono molto soddisfatto e che sono stati universalmente considerati come un passo nella giusta direzione.
Sono state discusse questioni importanti come la regolamentazione e la vigilanza dei mercati finanziari e la sostenibilità delle finanze pubbliche; per questo vorrei dare particolare rilievo alla questione di una crescita economica sostenibile e dell'occupazione.
Sono lieto che le priorità adottate dal G20 si basino sulla crescita sostenibile dell'economia reale, che non solo sarà il motore che garantirà la creazione di posti di lavoro, ma assicurerà ai cittadini, specialmente i più poveri e i più vulnerabili, la protezione necessaria contro l’impatto negativo della crisi. Sono inoltre lieto dell'impegno preso dai leader del G20 di affrontare la crisi occupazionale a livello internazionale, mettendo la promozione del lavoro al centro dei piani per la ripresa.
Mi rammarico solamente per il mancato raggiungimento di un accordo al G20 per quanto riguarda la lotta globale contro i cambiamenti climatici.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. − (FR) Per il Parlamento europeo era importante inviare un chiaro messaggio ai leader mondiali in seguito al vertice del G20 di Pittsburgh. Questo segnale è stato lanciato con la risoluzione adottata oggi, in cui si sottolinea che, anche se il peggio della crisi finanziaria è ormai alle spalle, senza un'azione comune da parte di Unione europea, Stati Uniti e Cina, le conseguenze in termini di bilancio e di occupazione si faranno sentire ancora per lungo tempo. Stati Uniti e Cina hanno già preso decisioni in merito alla riforma del Fondo monetario internazionale, alla supervisione dei premi agli operatori, ai requisiti patrimoniali e alla trasparenza per quanto concerne i prodotti finanziari complessi. Il vertice del G20 non è stato inutile.
Cionondimeno, se si vogliono compiere progressi nella lotta contro la globalizzazione, bisogna ancora raggiungere almeno tre grandi obiettivi. Il primo è contrastare davvero i paradisi fiscali, un enorme quantità di denaro che non si trova nelle casse degli Stati. Il secondo è evitare il prepararsi di una tempesta monetaria a seguito del fallimento nel riequilibrare i tassi di cambio e delle svalutazioni competitive. Il terzo è affrontare la volatilità dei prezzi dei beni di prima necessità, soprattutto degli alimentari: è un elemento che gioca un ruolo sempre più importante negli squilibri e nella povertà del mondo.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. − (PL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, il recente vertice del G20 di Pittsburgh ha confermato una graduale stabilizzazione della situazione economica, ma non bisogna dimenticare i problemi a cui possono trovarsi di fronte specifiche economie. Il vertice ha offerto l'occasione per confermare la determinazione degli Stati nella riforma del sistema della regolamentazione finanziaria. I pericoli più grandi da scongiurare sono un’ulteriore aumento della disoccupazione, una caduta della domanda e un ridimensionamento della produzione. I principi proposti a Pittsburgh devono funzionare da base per lo sviluppo di un comune mondo economico. Per numerosi settori del mercato globale, il vertice ha confermato la necessità di lavorare ulteriormente alla creazione di istituzioni e di strumenti di verifica e di controllo.
Peter Skinner (S&D), per iscritto. − (EN) Il partito laburista del Parlamento europeo ha sostenuto questa risoluzione e ha ribadito l’appoggio ai progressi compiuti il mese scorso a Pittsburgh. Senza impegni per migliorare la sorveglianza multilaterale in seno al Fondo monetario internazionale e per un successivo coinvolgimento di altre economie oltre a quelle degli attuali Stati membri, si possono prevedere scarsi successi. La risoluzione presenta numerosi elementi positivi da elogiare e, con un’attenta riflessione, ci possiamo attendere maggiori progressi per contrastare i problemi della crisi finanziaria.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. − (PT) In primo luogo, plaudo al fatto che alla riunione del G20 siano stati affrontati temi importanti come la crescita economica sostenibile, l’occupazione e i potenziali fenomeni legati ai cambiamenti climatici che potrebbero minacciare l'abitabilità del nostro pianeta. Sono temi di attualità a livello mondiale, universalmente considerati di vitale importanza per il processo di crescita europea.
A questo proposito, accolgo con favore la decisione di mantenere le misure di stimolo per la ripresa economica e l'impegno mostrato verso una strategia che può rendere efficaci i principi dell’agenda di Lisbona, in particolare l'interesse globale per l'attuazione del Patto globale per l’occupazione. Su questo punto, è importante sottolineare la necessità urgente di creare un fondo internazionale anti-ciclico per l’occupazione e un ambizioso pacchetto di misure di stimolo fiscale che sostenga la creazione e il mantenimento dei posti di lavoro, affiancato da forti politiche sociali tese a sostenere i gruppi più vulnerabili.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. − (EL) Il partito comunista greco ha votato contro la proposta congiunta di risoluzione dei conservatori, dei socialdemocratici e dei liberali, perché essa sintetizza l'ambizione strategica dei monopoli di scaricare sulle classi lavoratrici le dolorose conseguenze della crisi del capitalismo finanziario. Nella loro risoluzione, i portavoce del capitalismo hanno chiesto ai governi borghesi di continuare a sostenere i colossi monopolistici con denaro pubblico fresco e, al tempo stesso, di “creare una finanza pubblica sana”, espressione con la quale intendono indicare tagli ancora maggiori alla spesa sociale in materia di salute, di benessere, di istruzione e così via. Essi esprimono soddisfazione per la creazione di “posti di lavoro dignitosi” che andranno a sostituire gli impieghi a tempo pieno con lavori mal pagati, flessibili, precari e con il minimo livello possibile dei diritti. Questa è la “dignità” che i rappresentanti politici della plutocrazia propongono per le classi lavoratrici. La risoluzione chiede un rafforzamento delle organizzazioni imperialiste internazionali (FMI, Banca mondiale, OMC) e apre la strada ai proventi “verdi” di capitale con il pretesto del cambiamento climatico e la completa liberalizzazione del commercio internazionale. Questo è solo un ulteriore segnale della sempre maggiore penetrazione da parte dei monopoli nei mercati in via di sviluppo e dei paesi poveri e del saccheggio delle ricchezze e delle risorse umane.
- Proposta di risoluzione: Effetti della crisi economica e finanziaria sui paesi in via di sviluppo e sulla cooperazione allo sviluppo (B7-0078/2009)
Maria da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) I paesi in via di sviluppo sono gravemente colpiti da una serie di crisi successive: alimentare, del prezzo dei carburanti e del cambiamento climatico. Questi paesi subiscono inoltre le gravi conseguenze della crisi finanziaria e della recessione economica. E’ essenziale che l'UE e gli Stati membri si assumano le proprie responsabilità in quanto attori internazionali, ottemperino ai propri impegni di aiuto pubblico allo sviluppo e continuino a contribuire al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio.
L'Unione europea ha stanziato in anticipo 8,8 miliardi di euro per un intervento immediato in tema di aiuti allo sviluppo, sostegno di bilancio e finanziamento agricolo, e propone di stanziare altri 500 milioni di euro per sostenere la spesa sociale nei paesi in via di sviluppo attraverso il meccanismo “Vulnerability FLEX” per i paesi ACP. Il sostegno finanziario deve essere mirato ai settori della salute, del lavoro dignitoso, dell’istruzione, dei servizi sociali e della crescita verde. La Commissione è chiamata a trovare nuove fonti di finanziamento per salvaguardare il Fondo europeo di sviluppo ed è importante che anche il FES sia incorporato nel bilancio comunitario. Si rende necessaria una maggiore coerenza tra il commercio internazionale il bilancio, i cambiamenti climatici e le politiche di sviluppo dell'UE.
L’aiuto allo sviluppo deve favorire…
(Dichiarazione di voto abbreviata ai sensi dell’articolo 170, paragrafo 1, comma 1 del regolamento)
David Casa (PPE), per iscritto. − (EN) Nonostante il fatto che i paesi in via di sviluppo non siano di certo i responsabili della crisi, è fuor di dubbio che sono i paesi in fondo colpiti più duramente e con più forza. Per questo ho votato a favore di questa risoluzione.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. − (PT) Anche se l'attuale crisi economica e finanziaria è nata negli Stati Uniti, le conseguenze si sono percepite in tutto il mondo: ha colpito l'Europa e ancora più duramente i paesi in via di sviluppo, sia in termini di costi umani, con milioni di persone spinte in condizioni di estrema povertà, sia attraverso l'indebolimento delle loro già fragili economie.
Tutti i soggetti che svolgono un ruolo attivo di aiuto pubblico allo sviluppo, e in special modo le istituzioni di Bretton Woods, devono reagire alla situazione in modo urgente, rapido ed efficace. E’ indispensabile che l'Unione europea e i suoi Stati membri si assumano le responsabilità dettate dal loro ruolo in prima linea negli aiuti allo sviluppo rispettando i propri impegni internazionali verso questi paesi, con un aumento degli aiuti urgenti per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio e con un aumento del volume dell'aiuto pubblico allo sviluppo. Quest’ultimo non è sufficiente per sopperire al danno collaterale causato da questa crisi nei paesi in via di sviluppo.
L’Unione europea e gli altri attori internazionali, soprattutto in vista della conferenza di Copenaghen, devono articolare le proprie politiche in materia di commercio internazionale, cambiamenti climatici, aiuti umanitari e sviluppo. Per queste ragioni, approvo la risoluzione.
Corina Creţu (S&D), per iscritto. − (RO) A causa della crisi economica, ci troviamo di fronte a una situazione di emergenza in materia di sviluppo e aiuti umanitari: i costi umani continuano a salire, tanto più perché questa recessione arriva sulla scia della crisi alimentare e della crisi dei prezzi del petrolio. Purtroppo, una delle conseguenze dirette della crisi economica è una crisi internazionale dei donatori, sullo sfondo di un’accelerata crescita del livello di povertà. Nel solo 2009, 90 milioni di persone sono state condannate a vivere in condizioni di estrema povertà, mentre il numero dei disoccupati è aumentato di 23 milioni. Un barlume di speranza viene offerto dalle proposte adottate oggi per la fornitura di aiuti ai paesi più vulnerabili, i paesi in via di sviluppo. Queste misure non sono tuttavia sufficienti, poiché i 6 miliardi di dollari ottenuti dalla vendita delle riserve auree dell’FMI e destinati a fornire aiuti ai paesi poveri sono in grado di coprire solo il 2 per cento delle reali esigenze. Di conseguenza, ritengo necessario aumentare la pressione sugli Stati del G20 affinché si assumano maggiori specifiche responsabilità per sbloccare la crisi, mobilitando risorse in forma di sostegno da destinare ai paesi in via di sviluppo. Tenendo presente questa necessità di razionalizzare il sistema, accolgo con favore la critica espressa nella risoluzione riguardo all’insuccesso del vertice di Pittsburgh nell’affrontare il tema della riforma delle istituzioni finanziarie internazionali, considerata la lenta risposta alla crisi da parte delle istituzioni di Bretton Woods.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) I paesi in via di sviluppo sono stati duramente colpiti dalla crisi economica e finanziaria e si teme che essi subiscano un forte rallentamento, o addirittura un grave declino, nella crescita e negli indicatori di progresso. L'Unione europea e gli Stati membri, in veste di importanti donatori, devono tenere in considerazione questa situazione e valutare la possibilità di un aumento degli aiuti a questi paesi, alcuni dei quali, altrimenti, potrebbero raggiungere irrimediabilmente livelli di povertà. In un contesto di profonda povertà è possibile che sorgano o si aggravino i conflitti sociali e politici e incrementi il deficit in quelle regioni che cercano, con difficoltà, di raggiungere la pace e lo sviluppo.
L’aumento degli aiuti – che va impostato sulla flessibilità, sull'immaginazione, sulla solidarietà e sul buon senso – deve essere accompagnato da un controllo rigoroso da parte dei donatori sul loro utilizzo e da un monitoraggio efficace delle somme messe a disposizione dei paesi beneficiari, dal trasferimento alla destinazione finale. La società civile e i parlamenti di questi paesi devono essere coinvolti nell’impegno alla trasparenza e l'Unione europea deve promuovere dibattiti nazionali sulla destinazione degli aiuti ricevuti.
Anche in un contesto di recessione economica, l'Europa non può e non deve farsi da parte e ignorare le questioni scottanti che la circondano.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) I paesi in via di sviluppo sono stati duramente colpiti dalla crisi finanziaria ed economica causata dalle banche e da altri speculatori negli Stati Uniti, crisi che ha avuto un notevole impatto sulle loro economie già deboli e priverà del lavoro milioni di persone. I disoccupati, quando è possibile, cercheranno salvezza in Europa, aumentando ulteriormente la pressione migratoria sul continente. Noi europei dobbiamo pertanto sostenere questi paesi nella crescita delle loro economie. L'attuale forma di aiuto allo sviluppo è uno strumento inadatto a questo scopo, poiché una grande quantità di fondi sparisce in canali oscuri o viene deviata su conti bancari europei appartenenti a despoti corrotti. Per questo motivo, nonostante le numerose idee positive, nella votazione finale mi sono astenuto dal voto sulla mozione della commissione sviluppo.
Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. − (SV) La crisi finanziaria si è verificata anche perché le banche hanno abusato della fiducia dei propri clienti e si sono assunte rischi eccessivi con i loro soldi. Riteniamo che sia necessaria una discussione più dettagliata su come debbano essere condotte le transazioni finanziarie internazionali. Non crediamo che la tassa Tobin possa essere efficace nel prevenire la speculazione, ma accogliamo con favore una discussione su come le istituzioni finanziarie, le banche, le società fiduciarie e le compagnie di assicurazione, possano contribuire a creare un mercato finanziario sano e stabile. La crisi finanziaria dimostra che per affrontare problemi internazionali sono necessarie soluzioni internazionali. Questa discussione dovrà quindi tenersi a livello globale e non solo all'interno dell'Unione europea.
Sirpa Pietikäinen (PPE), per iscritto. − (FI) Signora Presidente, onorevoli colleghi, come ricorda la proposta di risoluzione della commissione per lo sviluppo, l'attuale crisi finanziaria mondiale ed economica ha colpito duramente i paesi più poveri. Gli obiettivi di sviluppo conseguiti in molti paesi in via di sviluppo sono a rischio e sembra sempre più arduo il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio. Per esempio, nonostante le tante promesse da parte dei paesi sviluppati, espresse pubblicamente al G20 e al G8, l’ammontare degli aiuti inviati ai paesi in via di sviluppo non coincide neanche lontanamente con quanto promesso. In realtà, anche prima della crisi, l'importo degli aiuti allo sviluppo di molti Stati membri dell'Unione europea era di gran lunga inferiore a quello promesso.
La crisi può anche rappresentare una nuova opportunità. La crescita considerevole delle risorse del Fondo monetario internazionale e le modifiche al sistema decisionale di questa organizzazione sono due motivi che lasciano intravedere la possibilità di sviluppi positivi. La riforma dell’FMI e le risorse aggiuntive rispondono a un pressante bisogno, ma questo non è sufficiente ad alleviare la situazione che stanno affrontando i paesi più poveri del mondo. I paesi sviluppati devono mantenere la loro parola per quanto riguarda il loro impegno nei confronti degli obiettivi di sviluppo del Millennio e dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo necessario al fine di aumentare gli aiuti allo sviluppo. I finanziamenti necessari per combattere e adattarsi ai cambiamenti climatici sono un’ulteriore responsabilità a cui il mondo sviluppato non può permettersi di sfuggire. Il pilastro fondamentale della nuova normativa internazionale deve essere l’aumento delle pari opportunità, tanto nel coinvolgimento nella revisione delle norme, quanto nel loro utilizzo.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) Signora Presidente, ho votato a favore dell'adozione della risoluzione perché penso che contenga molte osservazioni pertinenti sulle cause e gli effetti della difficile situazione nei paesi in via di sviluppo. In particolare vorrei sottolineare che l'attuale crisi economica non è solo il risultato del crollo dei mercati finanziari, ma anche delle precedenti crisi alimentare ed energetica. Ritengo indispensabile adottare misure finalizzate a un più rapido ed efficace uso dei mezzi messi a disposizione da parte dei paesi sviluppati. Questo è di particolare importanza se si considera che i paesi ricchi sono attualmente alle prese con problemi interni, quali ad esempio i deficit di bilancio o i limiti di tempo. Sottolineo ancora una volta: è della massima importanza semplificare le procedure, in modo che i fondi trasferiti dai paesi ricchi a quelli poveri non svaniscano in un mare di burocrazia.
Catherine Soullie (PPE), per iscritto. – (FR) Fornire aiuti ai paesi in via di sviluppo è un dovere al quale l'Unione europea non deve sottrarsi. L'attuale crisi economica e finanziaria ha dato una dimensione nuova alla globalizzazione. L'idea di una tassa sulle transazioni finanziarie è positiva: il presidente Sarkozy ne ha fatto una delle sue priorità. L'Europa, a quanto pare, ha indicato la strada e il mondo l’ha seguita. Il nuovo funzionamento di un’equa finanza internazionale deve basarsi sulla correttezza.
Deploro, quindi, che sia stato respinto l’emendamento Striffler-Ponga, poiché proponeva una tassa sulle transazioni finanziarie da aggiungere agli aiuti ufficiali allo sviluppo, in modo che i paesi meno sviluppati potessero trarne beneficio. E’ vero che le nostre economie e i nostri sistemi finanziari avrebbero così sostenuto un maggior onere fiscale, ma l'Unione europea avrebbe dato il via ad un grande movimento di solidarietà internazionale.
Possiamo ancora sperare che la risoluzione adottata qui possa spingere l'Unione europea a onorare i propri impegni e ad aiutare i paesi in via di sviluppo a tenere il passo della globalizzazione.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. − (NL) Ho appoggiato con convinzione la risoluzione presentata dalla commissione per lo sviluppo in merito agli effetti della crisi finanziaria ed economica mondiale sui paesi in via di sviluppo. Il Parlamento europeo chiede giustamente all'Unione europea di sradicare gli abusi dei paradisi fiscali, l'evasione fiscale e la fuga di capitali illeciti dai paesi in via di sviluppo. L’FMI ha giustamente aumentato i fondi per la lotta contro la crisi finanziaria ed economica. Rimane allarmante il dato che indica che, ad oggi, l'82 per cento di queste risorse siano finite in Europa, e solo l’1,6 per cento in Africa: la prima priorità deve essere la riduzione della povertà. E’ indispensabile che gli accordi di partenariato economico (APE) siano utilizzati come un mezzo per offrire vantaggi commerciali ai paesi interessati, che devono essere in grado di lasciare fuori dai negoziati alcuni prodotti e settori sensibili, come gli investimenti e i servizi. Mi dispiace che non sia stato accettato l'emendamento che chiedeva alla Commissione e agli Stati membri di presentare proposte per meccanismi innovativi di finanziamento, come ad esempio una tassa sulle transazioni finanziarie per integrare gli aiuti ufficiali allo sviluppo.
Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. − Ho espresso un voto favorevole riguardo alla proposta di risoluzione ma credo doveroso fare alcune precisazioni. La recente crisi finanziaria ha provocato una recessione economica globale che ha colpito in particolar modo, con le sue molteplici ripercussioni, i Paesi in via di sviluppo, provocando un aggravio della crisi alimentare: la fame, secondo i dati forniti dalla FAO, ha raggiunto per la prima volta nella storia più di un miliardo di persone e rispetto al 2008 si contano cento milioni di persone denutrite in più.
L'impatto della crisi finanziaria sui Paesi dell'area ACP è stato devastante, rendendo ancora più complesse le sfide ambientali e la volatilità dei prezzi alimentari. Questi Paesi non sono responsabili della crisi ma ne hanno subito le conseguenze maggiori, ricevendo la fetta minore di aiuti. Ciò non è più accettabile! Per queste ragioni, di fronte ad una situazione che non è banale definire drammatica, credo sia necessario migliorare la qualità e non solo guardare alla quantità degli aiuti che vengono destinati a tali Paesi; credo sia necessario agire con maggiore trasparenza ed efficienza nell'utilizzo dei fondi e credo sia necessario verificare con imparzialità i risultati ottenuti.
Presidente. − Con questo si concludono le dichiarazioni di voto.
9. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
10. Composizione delle commissioni e delle delegazioni: vedasi processo verbale