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Resoconto integrale delle discussioni
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Martedì 20 ottobre 2009 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 3. Seguito dato alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale
 4. Decisione sull'applicazione della procedura d'urgenza
 5. Cambiamento climatico e paesi in via di sviluppo nell'ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico di Copenaghen (discussione)
 6. Rettifica (articolo 216 del regolamento): vedasi processo verbale
 7. Turno di votazioni
  7.1. Statuto dell'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA) (A7-0026/2009, Herbert Reul) (votazione)
  7.2. Atti obsoleti del Consiglio nel settore della politica agricola comune (A7-0018/2009, Paolo De Castro) (votazione)
  7.3. Delega dei compiti di analisi in laboratorio (A7-0017/2009, Paolo De Castro) (votazione)
  7.4. Riduzione delle aliquote d'accisa a Madera e nelle Azzorre (A7-0039/2009, Danuta Maria Hübner) (votazione)
  7.5. Conservazione degli uccelli selvatici (versione codificata) (A7-0024/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
  7.6. Apparecchi a gas (versione codificata) (A7-0025/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
  7.7. Fornitura di servizi di media audiovisivi (versione codificata) (A7-0029/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
  7.8. Protezione dei lavoratori contro l'amianto (versione codificata) (A7-0033/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
  7.9. Controlli veterinari per gli animali che provengono da paesi terzi (versione codificata) (A7-0028/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
  7.10. Rete d'informazione contabile agricola sui redditi e sull'economia delle aziende agricole (versione codificata) (A7-0031/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
  7.11. Norme di polizia sanitaria per gli scambi intracomunitari e le importazioni di pollame e uova da cova (versione codificata) (A7-0027/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
  7.12. Animali della specie bovina riproduttori di razza pura (versione codificata) (A7-0032/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)
  7.13. Accordo CE/Mauritius sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0019/2009, Simon Busuttil) (votazione)
  7.14. Accordo CE/Seychelles sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0012/2009, Simon Busuttil) (votazione)
  7.15. Accordo CE/Barbados sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0013/2009, Simon Busuttil) (votazione)
  7.16. Accordo CE/Saint Christopher e Nevis sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0014/2009, Simon Busuttil) (votazione)
  7.17. Accordo CE/Antigua e Barbuda sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0015/2009, Simon Busuttil) (votazione)
  7.18. Accordo CE/Bahamas sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0016/2009, Simon Busuttil) (votazione)
  7.19. Progetto di bilancio rettificativo n. 9/2009: terremoto in Italia, sezione III - Commissione (A7-0023/2009, Jutta Haug) (votazione)
  7.20. Mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (Germania) (A7-0022/2009, Reimer Böge) (votazione)
  7.21. Richiesta di revoca dell'immunità di Marek Siwiec (A7-0030/2009, Diana Wallis) (votazione)
  7.22. Meccanismo di valutazione per monitorare l’applicazione dell'acquis di Schengen (A7-0035/2009, Carlos Coelho) (votazione)
  7.23. Meccanismo di valutazione per verificare l’applicazione dell'acquis di Schengen (A7-0034/2009, Carlos Coelho) (votazione)
 8. Dichiarazioni di voto
 9. Correzioni e intenzioni di voto:vedasi processo verbale
 10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 11. Tempo delle interrogazioni al Presidente della Commissione
 12. Progetto di bilancio generale 2010 (sezioni I, II, IV, V, VI, VII, VIII, IX) - Progetto di bilancio generale 2010 (sezione III - Commissione) (discussione)
 13. Sostegno alla governance democratica nel quadro delle relazioni esterne (discussione)
 14. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
 15. Modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 "OCM unico" (discussione)
 16. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale
 17. Misure di attuazione (articolo 88 del regolamento): vedasi processo verbale
 18. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 19. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ONOREVOLE BUZEK
Presidente

 
1. Apertura della seduta
Video degli interventi
 

(La seduta inizia alle 9.05)

 

2. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto (comunicazione delle proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

3. Seguito dato alle risoluzioni del Parlamento: vedasi processo verbale

4. Decisione sull'applicazione della procedura d'urgenza
Video degli interventi
 

Proposta di regolamento del Consiglio (CE) n. 1234/2007 recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM) (COM(2009)0152 - C7-0223/2009 - 2009/0152(CNS))

 
  
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  Paolo De Castro, presidente della commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale. – Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, siamo qui ancora una volta a discutere la questione della crisi del settore latte.

La drammaticità di questa crisi non smette di preoccuparci, così come gli allevatori europei non smettono di manifestare il loro disagio e la loro paura per il futuro. Questo Parlamento si è già espresso sul problema, sia approvando una risoluzione con le nostre proposte, sia adottando la proposta della Commissione di estendere il periodo di intervento per latte in polvere e burro, a cui abbiamo aggiunto la richiesta della misura dello stoccaggio privato per il formaggio. In quell'occasione avevamo sottolineato come le misure proposte dalla Commissione non fossero assolutamente sufficienti.

Ora siamo chiamati a decidere se concedere o meno la procedura d'urgenza per l'estensione al settore lattiero-caseario dell'articolo 186 dell'OCM unica, ossia la possibilità che la Commissione decida, in caso di crisi di mercato, di introdurre misure d'urgenza senza passare dalla normale procedura in Parlamento. Ieri sera una commissione agricoltura straordinaria si è riunita per discutere di questo alla presenza della commissaria Mariann Fischer Boel.

Innanzitutto ci tengo a ringraziare – anche a nome della commissione che ho l'onore di presiedere – la signora Commissaria per essere venuta da noi in Parlamento proprio alla fine del Consiglio Agricoltura che si è tenuto a Lussemburgo. Si è trattato di un gesto di grande attenzione che abbiamo apprezzato.

Ieri sera il dibattito è stato molto animato, Presidente, e molte sono state le criticità sollevate dai nostri colleghi. Innanzitutto è stato sottolineato come la Commissione si sia mossa con grande ritardo, senza comprendere sufficientemente la gravità della crisi in corso.

Poi si è sollevata l'obiezione che l'articolo 186 esautora il Parlamento dalle sue prerogative decisionali, e in questo modo si dà carta bianca alla Commissione esecutiva. Si è anche detto che la Commissione avrebbe dovuto mettere a disposizione più fondi per affrontare la crisi. Si tratta di preoccupazioni legittime che in parte ci trovano d'accordo.

Tuttavia, Presidente, sento il dovere di ammettere che la Commissione ha fatto notevoli sforzi e passi avanti, mostrando di prendere in seria considerazione il parere e la volontà del Parlamento. Ci ha spiegato come intende utilizzare un fondo di 280 milioni di euro – su cui vi ricordo voteremo giovedì nell'ambito dell'approvazione del bilancio 2010 – ci ha detto alcune delle misure che metterà in atto, come ad esempio lo stoccaggio privato per i formaggi e ha aumentato il tetto degli aiuti de minimis dai 7 500 euro ai 15 000 euro, così come richiesto dalla nostra risoluzione approvata a settembre.

Con la consapevolezza che tutto questo non è ancora sufficiente, ritengo tuttavia, Presidente, che oggi dobbiamo votare a favore della richiesta di procedura d'urgenza. Gli allevatori europei attendono delle risposte immediate ed è stato già perso troppo tempo.

Oggi dobbiamo prenderci la responsabilità di accelerare i tempi per affrontare con decisione la crisi. Mostriamo, onorevoli colleghi, questa stessa responsabilità con cui ci apprestiamo ad affrontare l'entrata in vigore del trattato di Lisbona con la codecisione in materia agricola.

 
  
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  Martin Häusling (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimiamo una posizione contraria all’applicazione della procedura d’urgenza, non perché non riteniamo che sia urgente dotarsi di misure, ma perché crediamo che la Commissione non stia attuando le misure corrette e non sia né disposta né in grado di risolvere l’attuale crisi nel settore lattiero-caseario.

La Commissione non è parte della soluzione al problema, in realtà costituisce il problema stesso. Dobbiamo segnalare che la Commissione, aumentando le quantità di latte, è stata direttamente all’origine di alcune delle difficoltà. Nonostante il perdurare della crisi, per mesi non ha reagito in alcun modo. Il commissario, non più tardi di quattro settimane fa, ci ha detto che non c’erano problemi, che il mercato si sarebbe ripreso e che dovevamo avere pazienza. Tra tutte le Commissioni che si sono avvicendate, questa è la sola alla quale stiamo trasferendo i nostri poteri e, tra tutte le Commissioni, è proprio da questa che ci aspettiamo un aiuto. No, non credo che questo modo di procedere sia giusto.

Persino ieri la Commissione non è stata in grado di dirci per che cosa saranno spesi i fondi supplementari. La Commissione parla di ristrutturazione. Negli ultimi anni, la ristrutturazione ha avuto un unico effetto: la progressiva riduzione del numero di produttori di latte. La Commissione non ha nemmeno spiegato come intende rafforzare in futuro le organizzazioni dei produttori. No, vuole continuare a versare le restituzioni alle esportazioni. Né abbiamo ricevuto risposte sulle possibili iniziative per sostenere i produttori nella lotta contro i supermercati. La Commissione ieri non ha avanzato alcuna soluzione nemmeno rispetto a questo problema. Alla luce di queste considerazioni, nutriamo seri dubbi sul fatto che la Commissione stia lavorando con impegno totale e senza riserve in vista della soluzione della crisi. Stiamo staccando un assegno in bianco senza sapere in quale senso, in quale modo e con quali strumenti la Commissione stia agendo.

Cionondimeno, è stato soprattutto un altro problema a convincervi a respingere la procedura. Il Parlamento combatte da tempo per ottenere un potenziamento dei diritti – in particolare nel settore agricolo. Tuttavia, proprio mentre siamo arrivati ormai alle soglie della ratifica del trattato di Lisbona, che cosa facciamo come prima cosa? Rinunciamo nuovamente a questi diritti! Non possiamo assolutamente consentire che ciò accada. In quanto nuovo deputato di questo Parlamento, tutto ciò mi pare alquanto straordinario. Dobbiamo esercitare i nostri diritti, dobbiamo tenere discussioni in quest’Aula e dobbiamo tenere saldamente in mano il timone. Anche noi abbiamo delle responsabilità a riguardo e personalmente sono lieto di assumermele. Non dobbiamo disattendere a nessuna delle nostre responsabilità, anzi, in quanto parlamentari, la responsabilità è la nostra vocazione. Dobbiamo assicurare ai produttori di latte un aiuto serio e a lungo termine.

(Applausi)

 
  
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  Albert Deß (PPE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la richiesta di applicazione della procedura d’urgenza presentata dalla Commissione sicuramente non è perfetta. Posso essere in parte d’accordo con quanto affermato dall’oratore che mi ha preceduto. Tuttavia, respingere ora questa richiesta di applicazione della procedura d’urgenza trasmetterebbe segnali assolutamente sbagliati ai produttori di latte, che si aspettano se non altro alcune prime risposte. Per questo, appoggio la richiesta di applicazione della procedura d’urgenza.

Nel corso di questa procedura, avremo la possibilità di migliorare la proposta attraverso emendamenti e, come proposto dall’onorevole Häusling, di cedere poteri. E’ vero che abbiamo la possibilità di fissare una scadenza alla cessione di questi poteri, che possono per esempio essere trasferiti alla Commissione solo per due anni, prima di prendere una nuova decisione in merito. Desidero pertanto chiedere il vostro appoggio al fine di poter iscrivere all’ordine del giorno questa richiesta di applicazione della procedura d’urgenza.

(Applausi)

 
  
 

(Il Parlamento approva la richiesta di applicazione della procedura d’urgenza)(1)

 
  

(1)Per ulteriori dettagli: cfr. Processo verbale


5. Cambiamento climatico e paesi in via di sviluppo nell'ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico di Copenaghen (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sul cambiamento climatico e i paesi in via di sviluppo nell’ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico di Copenaghen.

 
  
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  Andreas Carlgren, presidente in carica del Consiglio.(SV) Signor Presidente, stiamo vivendo un momento decisivo. Tra poco meno di due mesi, il mondo firmerà un accordo a Copenaghen al fine di contrastare le sfide climatiche che ci troviamo ad affrontare. Questo accordo deve soddisfare tre condizioni: mantenere il riscaldamento del pianeta al di sotto dei due gradi Celsius; coinvolgere tutti i paesi; rendere sempre più ambiziosi gli impegni futuri, mano a mano che si disporrà di nuove conoscenze.

A soli 48 giorni dall’apertura della grande conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, è venuto il momento di trasformare la volontà politica in azioni concrete. I negoziati stanno tuttavia procedendo troppo lentamente. Molti dei problemi fondamentali non sono stati ancora risolti. Molti stanno scegliendo la via più semplice: cedere al pessimismo.

Vorrei chiarire un concetto: non è questo il ruolo dell’Unione europea.

Vogliamo che l’Unione europea dia prova di leadership mediante l’espressione di una volontà politica chiara e inequivocabile. Un accordo completo e ambizioso sul cambiamento climatico ha la massima priorità per la presidenza svedese.

La risposta dell’Unione europea alle difficoltà del negoziato si esprime attraverso la volontà di accelerare il passo. Dobbiamo continuare a lavorare per fare in modo che il mondo possa pervenire all’accordo necessario. Raccoglieremo una sfida importante, quella di portare gli altri paesi del mondo con noi verso un accordo che sia in grado di rispondere in misura sufficiente alla sfida del cambiamento climatico. Stiamo pertanto adottando un approccio serio, basato su una duplice dimensione: primo, intendiamo trasmettere un messaggio forte ai nostri partner negoziali; secondo, intendiamo riunire l’Unione europea dietro a un mandato negoziale forte in vista della conferenza di Copenaghen. L’Unione europea ha già posto le basi di questo lavoro con il pacchetto clima-energia approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio nel dicembre 2008.

Vorrei esprimere un particolare ringraziamento per l’impegno dimostrato da molti qui al Parlamento nell’ambito del lavoro sul pacchetto clima-energia. La decisione presa dal Parlamento europeo a quell’epoca pone l’Unione europea in una posizione negoziale forte, di cui si avrà un quadro completo quando, questa settimana, saranno aggiunte le ultime tessere del mosaico. Il Consiglio europeo concluderà i negoziati la prossima settimana e so che molti di voi li seguiranno da vicino. Mi fa piacere che alcuni degli onorevoli deputati possano anche essere presenti a Copenaghen. Accolgo altresì con favore la risoluzione che il Parlamento europeo sta preparando.

Le emissioni devono essere limitate a livelli tali da mantenere il riscaldamento del pianeta al di sotto di due gradi Celsius. Questo significa che le proposte attualmente sul tappeto non sono sufficienti. L’Unione europea ridurrà le emissioni del 30 per cento entro il 2020, a condizione che anche le altre parti assumano impegni adeguati. Consideriamo l’obiettivo del 30 per cento uno strumento di pressione che induca anche altri a essere più ambiziosi. Le emissioni dovrebbero essere ridotte almeno dell’80 per cento entro il 2050. Tuttavia, le sole misure dell’Unione europea non sono sufficienti a garantire che il riscaldamento del pianeta non superi i due gradi Celsius. Dobbiamo coinvolgere tutti. Abbiamo visto segnali promettenti, per esempio, da parte del nuovo governo giapponese. Esortiamo ora altri paesi sviluppati – soprattutto gli Stati Uniti – a rilanciare la posta.

I paesi in via di sviluppo hanno l’opportunità di realizzare lo sviluppo sostenibile riducendo allo stesso tempo le emissioni. Questo significa pianificare una crescita a basso tenore di carbonio, integrare le misure climatiche e adeguare le strategie nazionali di sviluppo. E’ un modo per fare sì che le misure climatiche e di sviluppo siano integrate in tutte le decisioni politiche e che la crescita possa andare a favore di tutti, un modo per costruire una governance democratica, contribuendo all’uguaglianza e lottando per ridurre la povertà.

Rivolgiamo le nostre richieste in particolare ai paesi in via di sviluppo a più rapida crescita – soprattutto la Cina, che è il paese con le emissioni più elevate. Le emissioni devono essere ridotte in vista di un obiettivo del 30 per cento entro il 2020, a fronte di una situazione caratterizzata da una completa assenza di misure.

Le problematiche relative allo sviluppo devono essere assolutamente centrali nell’accordo che sarà raggiunto a Copenaghen. Il Consiglio europeo ha affermato nelle sue conclusioni che il cambiamento climatico sta mettendo a repentaglio gli sforzi tesi a combattere la povertà e a realizzare lo sviluppo sostenibile. Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia per gli obiettivi di sviluppo del Millennio. Al lavoro negoziale parteciperanno anche esperti in materia di sviluppo. Evidenzieremo in particolare le tematiche relative allo sviluppo nel contesto dei negoziati in corso.

Tutti i paesi – tranne i meno sviluppati – dovrebbero condividere la responsabilità di sostenere i costi delle misure volte a combattere il cambiamento climatico, ma noi nei paesi sviluppati dobbiamo dare l’esempio ed essere i primi a ridurre le emissioni e a finanziare interventi massicci. Abbiamo bisogno di una struttura internazionale sostenibile per la cooperazione e il sostegno ai paesi in via di sviluppo. Una struttura di questo tipo ci consentirebbe altresì di assistere i paesi più poveri e più vulnerabili, che spesso sono i più duramente colpiti dal cambiamento climatico. A questo proposito, sono necessarie misure di adattamento.

Da ultimo, vorrei ribadire che l’Unione europea è disposta ad assumersi seriamente le proprie responsabilità. Il Consiglio è consapevole del livello di finanziamenti necessario. La Commissione stima che i costi ammonteranno a quasi 100 miliardi di euro all’anno nei paesi in via di sviluppo entro il 2020. Noi nell’Unione europea siamo anche disposti a erogare rapidamente finanziamenti per misure immediate nel periodo da qui al 2012, anche per cercare di favorire l’instaurazione di un clima di fiducia tra nord e sud nei negoziati sul clima. In queste ultime settimane che ci separano da Copenhagen ci si pone una grande sfida. Per questo vi chiedo di essere voi a indicare l’andatura. Abbiamo bisogno di leadership da parte dei governi degli Stati membri, di impegno da parte dei parlamenti nazionali e di sostegno da parte dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea. Il Parlamento europeo deve svolgere un ruolo essenziale in tale contesto se davvero vogliamo raggiungere i nostri obiettivi a Copenaghen.

 
  
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  Karel De Gucht, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, desidero innanzi tutto ringraziarla per avermi dato l’opportunità di esprimere il parere della Commissione su questo tema così delicato.

Sapete già che non ci sarà alcun accordo ambizioso a Copenaghen se non saranno tenute in considerazione le preoccupazioni dei paesi in via di sviluppo, non solo quelle dei paesi emergenti, ma soprattutto quelle dei paesi in via di sviluppo più vulnerabili e più poveri.

Cionondimeno, il raggiungimento di un accordo soddisfacente a Copenhagen è nel nostro comune interesse. I paesi in via di sviluppo sono i più esposti al cambiamento climatico. L’Unione europea è il primo donatore al mondo e leader nella lotta contro il cambiamento climatico. Dobbiamo unire i nostri sforzi. Non c’è posto per scontri nord-sud quando si tratta di cambiamento climatico.

Ma mi spingerei addirittura oltre, affermando che nessuna alleanza può essere decisiva ed efficace quanto quella che impegna, da un lato, i paesi più vulnerabili e, dall’altro, quelli che hanno messo sul tavolo negoziale le proposte più ambiziose per combattere questa piaga – ossia l’Europa.

Il nostro approccio generale nei confronti dei paesi più vulnerabili, che finora è stato adottato in seno all’Alleanza mondiale contro il cambiamento climatico, si compone di tre filoni paralleli, tra loro interconnessi e che si rafforzano a vicenda.

Primo, la costruzione di alleanze politiche mediante un dialogo rafforzato in materia di cambiamento climatico: a tal fine, sono state firmate tre dichiarazioni congiunte rispettivamente con Africa, Caraibi e Pacifico, più una con il gruppo ACP nel suo insieme.

Secondo, la promozione di politiche e strategie solide che correlino tra loro cambiamento climatico e sviluppo: ritengo infatti che l’adattamento al cambiamento climatico e le politiche tese a ridurre le emissioni di carbonio debbano essere integrate in azioni più ampie e strategie per la riduzione della povertà dei nostri partner. Non ci può essere che un’unica strategia di sviluppo che integri gli aspetti relativi all’ambiente nell’ambito del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e di riduzione della povertà. Non si tratta di scegliere una delle due vie: entrambe sono essenziali.

In questo spirito, sosteniamo già l’applicazione degli attuali piani nazionali di azione per l’adattamento dei paesi meno sviluppati in 15 Stati ammissibili.

Terzo, l’incoraggiamento di un adeguato contributo dell’Unione europea al finanziamento di azioni per il clima, e in particolare per l’adattamento: quest’ultimo aspetto costituisce infatti la principale preoccupazione dei paesi che, pur contribuendo in misura limitatissima alle emissioni di gas serra, sono più vulnerabili all’impatto del cambiamento climatico.

Mancano solo 50 giorni a Copenaghen. Le aspettative sono molto elevate e siamo preoccupati perché i negoziati sono attualmente pericolosamente vicini a un punto morto. E’ venuto il momento di mettere le offerte sul tavolo. E’ quello che ha fatto l’Europa, ed è quello che ci aspettiamo che facciano anche i nostri partner.

In primo luogo, abbiamo offerto una serie di impegni. L’Unione europea ha già messo sul tavolo obiettivi e impegni ambiziosi, che risultano finora i secondi per importanza tra quelli presentati. Abbiamo già garantito una riduzione unilaterale delle emissioni del 20 per cento entro il 2020, e ci siamo impegnati ad arrivare fino al 30 per cento, se un impegno analogo sarà assunto anche dagli altri, proporzionatamente alle loro responsabilità e capacità.

In secondo luogo, le offerte in termini di finanziamento. Siamo tutti consapevoli che un accordo sui finanziamenti sarà cruciale per pervenire a un accordo a Copenaghen. Al fine di favorire passi avanti nei negoziati, la Commissione europea ha pubblicato a metà settembre le proprie proposte in materia finanziaria.

Una di esse riguarda la necessità di aumentare gradualmente, nel periodo 2010-2012, i finanziamenti pubblici internazionali a breve termine per il clima, al fine di rispondere in via prioritaria alle necessità urgenti individuate nei paesi in via di sviluppo più vulnerabili e, in particolare, nei paesi meno sviluppati (PMS), nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo (SID) e nei paesi africani, conformemente al piano d’azione di Bali.

Un’altra riguarda la disponibilità dell’Unione europea a coprire la quota di sua competenza del fabbisogno di finanziamento stimato, dato che i contributi ai finanziamenti pubblici si basano generalmente sui criteri della capacità di pagamento e della responsabilità delle emissioni. Su tale base, si potrebbe avere un contributo comunitario compreso tra i 2 e i 15 miliardi di euro all’anno entro il 2020. Queste proposte saranno discusse dal Consiglio europeo alla fine di ottobre e speriamo possano costituire la base di una posizione negoziale matura dell’Unione europea sui finanziamenti.

Ma la sola azione dell’Unione europea non è sufficiente. Speriamo vivamente che altri paesi sviluppati seguano il nostro esempio, man mano che si intensifica la pressione in vista di Copenaghen. Contiamo anche sui paesi in via di sviluppo. Devono cogliere l’opportunità offerta dai finanziamenti per il clima per integrare appieno l’adattamento nelle loro strategie di sviluppo e per passare in modo graduale e duraturo a modelli di sviluppo a basso tenore di carbonio.

Sebbene l’enfasi sia stata finora posta sull’adattamento dei paesi in via di sviluppo più poveri e vulnerabili, ci sono giustificati motivi per promuovere l’elaborazione di modelli di sviluppo a basso tenore di carbonio (per esempio, la mitigazione) compatibili con gli obiettivi relativi alla riduzione della povertà in quei paesi.

E’ fondamentale dedicare un’attenzione specifica ai meccanismi tesi a prevenire la deforestazione e a promuovere la gestione sostenibile delle foreste. La lotta contro la deforestazione tropicale costituisce infatti la più grande sfida immediata in termini di mitigazione per i paesi meno sviluppati che possono beneficiare, attraverso meccanismi quali i programmi per la riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado delle foreste, dei suoi finanziamenti internazionali.

Analogamente, anche la garanzia nel futuro di una distribuzione più equilibrata degli investimenti nei meccanismi di sviluppo pulito (CDM) a favore dei PMS dovrebbe essere integrata nell’attuale riflessione sulla riforma di questo meccanismo.

Da ultimo, vorrei esprimere un’osservazione sui canali di distribuzione dei finanziamenti per il clima. Noi alla Commissione non siamo favorevoli alla creazione di nuovi fondi. Le nuove attività di finanziamento per il clima dovrebbero utilizzare i canali di distribuzione esistenti, che sicuramente possono essere migliorati promuovendo una struttura di governance decentrata dal basso verso l’alto a sostegno di azioni dirette dei singoli paesi.

 
  
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  Karl-Heinz Florenz, a nome del gruppo PPE.(DE) Signor Presidente, mi fa molto piacere vederla presente a questa discussione, soprattutto considerando che lei è stato membro della commissione per il cambiamento climatico. Signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, è giustissimo che l’Unione europea trasmetta un messaggio chiaro a Copenaghen. Nei prossimi 50 giorni, tuttavia, i veri giochi non si faranno tanto a Copenaghen, quanto piuttosto in riunioni a porte chiuse a latere della conferenza. Partecipo a queste attività sin dalla conferenza sul clima di Rio del 1992. L’atmosfera prima di queste conferenze è sempre la stessa, ma si presentano anche delle opportunità.

Signor Commissario, mi piacerebbe vedere da parte sua più entusiasmo nell’esercitare pressione sui suoi colleghi statunitensi in vista del negoziato, mentre lei continua a lasciare trasparire una certa flemma sulla quale dobbiamo lavorare. Ritengo sia giusto non dare ora il via a una specie di gara finanziaria in cui uno dice 15 miliardi e un altro dice 30. C’è chi semplicemente fa offerte di denaro, che vuole offrire 150 miliardi ogni anno, da subito. Cerchiamo invece di definire criteri che stabiliscano come utilizzare questo denaro. Poi potremo dare un grosso contributo da parte dell’Europa, ma non può essere un pozzo senza fondo.

Della crisi è già stato detto abbastanza. Vorrei in ogni caso ancora una volta evidenziare l’opportunità di cui gode il mondo industrializzato negli Stati Uniti e in Europa. Se definiamo norme corrette, potremo assicurare uno sviluppo efficiente, consentendo così all’Europa di vendere macchinari efficienti in tutto il mondo, per esempio in Cina, dove, per il momento l’energia è prodotta in modo estremamente inefficiente. Non vedo solo la minaccia del cambiamento climatico ma anche l’opportunità di sostenere l’economia attraverso lo sviluppo di tecnologie ultramoderne. Dobbiamo cogliere quest’opportunità, dobbiamo essere molto più coraggiosi e dobbiamo agire da imprenditori, imprenditori politici, perché, se non lo faremo, avremo peccato di negligenza e avremo imboccato la strada sbagliata.

Signor Commissario, le auguro buona fortuna, forza e coraggio! Vada avanti con uno spirito positivo! Cerchi di portare con sé gli americani e gli indiani e saremo già a metà dell’opera.

 
  
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  Véronique De Keyser, a nome del gruppo S&D.(FR) Signor Presidente, il cambiamento climatico causa oltre 300 000 morti ogni anno. Colpisce 325 milioni di persone, e oltre il 90 per cento delle persone colpite, oltre il 90 per cento dei decessi, si concentra nei paesi in via di sviluppo.

Le perdite economiche dovute al cambiamento climatico sono stimate a oltre 125 miliardi di dollari all’anno e, anche in questo caso, il 90 per cento a danno dei paesi in via di sviluppo.

Questi paesi sono colpiti allo stesso tempo dalla crisi finanziaria, dal cambiamento climatico e dai meccanismi molto iniqui di un capitalismo sfrenato che li saccheggia in ogni angolo del pianeta.

Quindi, che cosa chiediamo? Primo – ed è vero, come diceva lei, mi rivolgo adesso al Consiglio – un’azione su vasta scala e a lungo termine per combattere il cambiamento climatico, ossia un nuovo e più ambizioso protocollo di Kyoto (proprio per questo il vertice di Copenhagen è così importante); in secondo luogo, l’aumento degli aiuti finanziari per gli impegni già presi, al fine di raggiungere lo 0,7 per cento del PIL entro il 2015 e, infine, in terzo luogo, la protezione giuridica per i nuovi rifugiati ambientali che iniziano ad affluire in massa.

A questo proposito, che cosa ne faremo di loro? Dove li manderemo se, per caso, vorranno entrare in Europa? In Libia, come propone quest’accordo commerciale che la invito a esaminare, Commissario De Gucht, questo futuro accordo che concluderemo con la Libia? Dobbiamo assolutamente definire un piano adeguato e risorse sufficienti per gestire i flussi di rifugiati ambientali e dobbiamo colmare le lacune giuridiche che possono limitarne la protezione.

Credo che la nostra sia una grande responsabilità perché è chiaro che qui è in gioco molto di più della solidarietà: abbiamo concretamente a che fare con il futuro del pianeta.

 
  
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  Corinne Lepage, a nome del gruppo ALDE.(FR) Signor Presidente, noi europarlamentari abbiamo una duplice responsabilità nei confronti, in primo luogo, dei nostri cittadini, che ci chiedono il compimento di uno sforzo concreto a Copenhagen e, in secondo luogo, dei paesi del sud, di cui l’Europa è sempre stata una sostenitrice, se non addirittura la sostenitrice, a livello internazionale. Dobbiamo trasmettere un messaggio autentico ai paesi del sud attraverso un chiaro impegno finanziario: in questo modo, sarà possibile adottare un pacchetto di aiuti che andrà ad aggiungersi agli aiuti allo sviluppo e che dovrà assolutamente raggiungere il livello convenuto, ossia lo 0,7 per cento. Il contributo dell’Unione europea non dovrebbe essere inferiore a 35 miliardi di euro all’anno da qui al 2020 e, a partire dal 2010, una somma compresa tra 5 e 7 miliardi dovrebbe essere resa disponibile ai paesi del sud per rispondere alle loro esigenze più urgenti.

La mia seconda osservazione riguarda il metodo di finanziamento. Non ci limiteremo – non potremo limitarci – unicamente ai fondi esistenti. Dovranno essere individuati altri metodi di finanziamento perché, se a Copenaghen non ci saranno soldi, non ci sarà nemmeno un accordo ambizioso. E questo molto probabilmente significherà – anche se il tema è molto controverso – che dovremo sollevare il problema di una tassa, una sorta di “Tobin tax verde”, per finanziare la lotta contro il cambiamento climatico.

In terzo luogo, per quanto riguarda la deforestazione che, vorrei fare notare, è responsabile del 20 per cento delle attuali emissioni di gas serra, è assolutamente imperativo che manteniamo l’obiettivo di azzerare la deforestazione lorda entro il 2020. Vorrei attirare la vostra attenzione sulla differenza tra la deforestazione lorda e la deforestazione netta, che consentirebbe di sostituire le foreste primarie con i pioppi, in virtù dell’idea secondo cui il risultato sarebbe alla fine lo stesso. Sappiamo benissimo che non è così.

E’ vero che dobbiamo essere realistici rispetto alla nostra industria, ma dobbiamo anche essere realistici rispetto alla nostra sopravvivenza e a quella dei nostri figli.

 
  
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  Eva Joly, a nome del gruppo Verts/ALE.(FR) Signor Presidente, Ministro Carlgren, signor Commissario, onorevoli colleghi, non c’è dubbio che a Copenaghen sarà in gioco il futuro del mondo, ma prima ancora, alla fine di ottobre a Bruxelles, sarà in gioco la credibilità dell’Unione europea in quanto leader mondiale nella lotta contro il riscaldamento del pianeta. Gli Stati membri devono avanzare proposte di finanziamento per la lotta al cambiamento climatico che siano proporzionate alla gravità della situazione.

Insieme all’impegno – che spero sia ambizioso – di ridurre le emissioni dei gas serra, il tema del finanziamento, della riduzione e dell’adattamento al cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo costituirà un elemento di grande rilievo nei prossimi negoziati.

I numeri parlano da soli: cento paesi, la maggior parte dei quali poveri, sono responsabili solo del 3 per cento delle emissioni mondiali. Sebbene i paesi in via di sviluppo siano quelli che hanno contribuito in misura minore alle emissioni di gas a effetto serra, sono già quelli più duramente colpiti.

Secondo una recente relazione di Oxfam, 26 milioni di persone sono già state costrette a migrare a causa degli effetti del cambiamento climatico o di altre forme di danni ambientali. Entro il 2050, questi rifugiati ambientali potrebbero essere più di 200 milioni. Gli effetti del cambiamento climatico potrebbero vanificare i progressi conseguiti in alcuni paesi in via di sviluppo e potrebbero impedire di raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio.

Non si tratta quindi di carità. Si tratta invece, da parte nostra, di compiere una piena assunzione di responsabilità e di gettare le fondamenta per un mondo giusto e pacifico. L’attuale strategia dell’Unione europea non è all’altezza delle ambizioni dichiarate dai leader della diplomazia ambientale. L’Unione deve ora definire chiaramente la propria posizione, in modo da rilanciare i negoziati.

L’Unione non può ragionevolmente impegnare meno di 35 miliardi di euro in finanze pubbliche. Va da sé che questi fondi possono solo andare a integrare quelli già destinati all’assistenza allo sviluppo ufficiale, soprattutto perché gli impegni presi in questo settore non sempre sono stati onorati dai nostri Stati membri.

Signor Ministro, signor Commissario, onorevoli colleghi, il futuro del nostro pianeta è nelle nostre mani. Se non fermiamo i danni causati al nostro ambiente e mettiamo fine alle disuguaglianze, possiamo temere il peggio.

Dobbiamo scegliere tra un’Europa ambiziosa e proattiva e un’Europa esitante, allineata con gli Stati Uniti, che poco si preoccupa del destino dei paesi in via di sviluppo. Vi esorto a fare la scelta giusta.

 
  
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  Miroslav Ouzký, a nome del gruppo ECR.(CS) Signor Presidente, Ministro Carlgren, signor Commissario, vorrei iniziare con una replica all’intervento precedente. Non credo che il Parlamento europeo o l’Unione europea si limitino ad ambizioni modeste in questo ambito. Un anno fa, abbiamo completato la preparazione di un pacchetto clima che è senza ombra di dubbio il più avanzato e il più ambizioso nel suo genere al mondo. Dovremmo anche renderci conto che, tra tutte le norme che sono state adottate nell’ultimo decennio, sarà probabilmente questo pacchetto ad avere il maggiore impatto economico. Leggendo la dichiarazione elaborata dal Parlamento europeo per Copenaghen, vi ritrovo aspetti che condivido. La dichiarazione parla della necessità di rafforzare il ruolo del Parlamento europeo e di prepararsi all’adattamento al cambiamento climatico, mentre l’articolo sulla deforestazione ci trova di certo tutti d’accordo. A questo proposito, vorrei rilevare che la deforestazione non è, e non è stata, un problema solo per i paesi in via di sviluppo, ma è anche un problema europeo. E’ pertanto un tema sul quale dobbiamo concentraci.

Manca tuttavia un riferimento alla necessità di un accordo mondiale, com’è stato rilevato sia dai rappresentanti del Consiglio sia dal rappresentante della Commissione qui presente. Senza un accordo mondiale, non andremo da nessuna parte. Qui si parla di assistenza ai paesi più poveri, che va benissimo, ma se si analizzano i dati attuali relativi alla produzione di gas serra, si può chiaramente osservare che, anche se in Europa fossimo più ambiziosi e interrompessimo qualunque fornitura di energia, il cambiamento climatico non subirebbe alcuna alterazione, poiché semplicemente non possiamo rallentare questo fenomeno. Sappiamo che oggi è necessario parlare non solo della Cina, che è stata citata più volte, ma anche di altre economie in rapido sviluppo come il Messico, il Brasile, il Sudafrica e in particolare l’India. Non riesco a immaginare quali saranno i prossimi passi dell’India e devo ammettere che quello che ho sentito finora non mi è piaciuto molto. Vorrei sottolineare in quest’Aula che, se non raggiungeremo un accordo mondiale, tutti i nostri sforzi non faranno che trasformarsi in un peso per l’economia europea e determineranno l’annientamento masochistico della nostra competitività.

 
  
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  Bairbre de Brún, a nome del gruppo GUE/NGL.(GA) Signor Presidente, dobbiamo sostenere i paesi in via di sviluppo per aiutarli ad adattarsi al cambiamento climatico – un fenomeno del quale non sono responsabili, ma a causa del quale soffrono in misura del tutto sproporzionata.

I paesi in via di sviluppo non hanno le risorse di cui disponiamo noi in Europa per combattere il cambiamento climatico. Guardando ai negoziati delle Nazioni Unite a Copenaghen, ci rendiamo conto che ciò di cui abbiamo bisogno è una solidarietà concreta e pragmatica.

Questa solidarietà deve essere dimostrata attraverso un sostegno finanziario e tecnico che deve andare ad aggiungersi ai nostri aiuti allo sviluppo per l’oltremare. Non possiamo dare una cosa con una mano e toglierla con l’altra.

I paesi devono assumere un ruolo di piena partecipazione, a prescindere dai meccanismi finanziari adottati per la distribuzione di questi aiuti.

Uno dei metodi più idonei a misurare un qualsiasi accordo concluso a Copenaghen sta nell’analizzare le strategie proposte per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la sfida del cambiamento climatico. Per esempio, in un accordo di ampio respiro, sarà di fondamentale importanza fornire un’assistenza significativa per contrastare la deforestazione.

Senza solidarietà finanziaria e trasferimento delle tecnologie non assisteremo al progresso di cui abbiamo tutti bisogno.

Non c’è dubbio: il cambiamento climatico sta accelerando. Non si può perdere altro tempo. Se non si affronta il cambiamento climatico, in tutto il mondo si verificheranno catastrofi. La recessione economica dovrebbe darci il coraggio di procedere rapidamente verso un’economia verde. Il nostro approccio scientifico non dovrebbe essere modificato. Non dovremmo perdere il coraggio e la volontà politica di cui abbiamo dato prova finora.

Le azioni che saranno condotte a livello internazionale devono essere ambiziose e legate alla realtà scientifica delle nostre condizioni meteorologiche, e dobbiamo lavorare tenendo conto del fatto che non sono i paesi in via di sviluppo ad aver creato questo problema, ma siamo stati noi.

 
  
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  Anna Rosbach, a nome del gruppo EFD.(DA) Signor Presidente, ieri sera, la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare ha adottato, tra calorosi applausi, una letterina di Natale per la conferenza sul cambiamento climatico prevista a Copenaghen a dicembre. La lettera elenca molti regali grandi, pesanti e animati dalle migliori intenzioni. Tuttavia, caro Babbo Natale, ossia cara Commissione,: c’è davvero qualche probabilità che questi desideri animati dalle migliori intenzioni si realizzino se, per 500 milioni di cittadini statunitensi, all’ordine del giorno ci sono sanità, pensioni e posti di lavoro, e 2,5 miliardi di cinesi e indiani ambiscono ad avere lo stesso tenore di vita di alcuni di noi europei occidentali?

Non abbiamo alcuna influenza sul sole che, come sappiamo, condiziona in gran parte il clima sul nostro pianeta. In altri termini: che cosa può realisticamente fare la Commissione affinché tutti e sei i miliardi di abitanti della terra utilizzino meno risorse, non in futuro, ma qui e adesso?

 
  
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  Nick Griffin (NI).(EN) Signor Presidente, ci sono qui due temi fondamentali: primo, la preoccupazione relativamente al divario sempre crescente tra l’élite politica e i comuni contribuenti. Secondo, un’ossessione isterica nei confronti del riscaldamento del pianeta causato dall’uomo. Questi due temi sono tra loro strettamente interconnessi.

La fissazione sul riscaldamento del pianeta è un classico esempio di come la classe politica sia lontana anni luce dalle persone comuni che devono pagare le bollette. Mentre l’Unione europea sostiene le proposte di Copenaghen al fine di favorire la deindustrializzazione dell’occidente e il dominio imprenditoriale del terzo mondo, una maggioranza sempre crescente di gente comune considera il cambiamento climatico una truffa dell’élite – un pretesto per tassarci e controllarci e per imporre il dogma internazionalista e il governo globale a spese dello Stato nazionale. Non vedete il pericolo insito in questo divario sempre crescente? E’ venuto il momento di guardare ai fatti.

Il riscaldamento del pianeta causato dall’uomo è una teoria non dimostrata, basata su statistiche manipolative. Il cosiddetto consenso sul tema non è frutto di un dibattito ma della soppressione del dissenso degli esperti. Prima che la classe politica e l’industria verde osino imporre anche una sola nuova tassa, una sola lampadina avvelenata o un solo parco eolico inutile al contribuente comune, devono cercare di convincere l’opinione pubblica che il riscaldamento del pianeta è causato dall’uomo; che tornare al clima più caldo dell’epoca medievale sarebbe negativo e che c’è qualcosa che l’Europa – contrariamente agli Stati Uniti, alla Cina e all’India – possa effettivamente fare scegliendo tra due alternative: organizzare un dibattito e ridurre il divario tra voi e i cittadini oppure non lamentarvi se poi lo faremo noi, noi nazionalisti, che sappiamo ascoltare la gente.

 
  
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  Andreas Carlgren, presidente in carica del Consiglio.(SV) Signor Presidente, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno partecipato a questa discussione per il sostegno offerto all’Unione europea nel suo importantissimo lavoro nell’ambito dei negoziati sul clima. L’Unione europea ha una responsabilità fondamentale. Avremo davvero bisogno del sostegno del Parlamento se vogliamo svolgere il nostro ruolo in modo efficace. L’impegno e il parere del Parlamento sono cruciali per questo lavoro.

Vorrei anche dire apertamente che apprezzo tantissimo il fatto che i temi legati allo sviluppo siano stati così centrali in questa parte della discussione. Condivido il commento dell’onorevole Florenz, secondo cui è fondamentale che tutto questo non si riduca semplicemente a un “concorso di bellezza”. Qui non siamo a un’asta a Londra e il nostro obiettivo non è quello di rilanciare sulle offerte degli altri. Si tratta piuttosto di creare un’architettura solida, in grado di dare vita nel lungo termine a iniziative programmabili e di ampio respiro per i paesi in via di sviluppo. In questo contesto, l’intenso lavoro dell’Unione europea è vitale.

Di conseguenza, condivido anche la sfida lanciata dall’onorevole de Keyser ai paesi sviluppati: rispettare finalmente l’obiettivo dello 0,7 per cento in materia di aiuti allo sviluppo. Si tratta, in fin dei conti, di solidarietà. Essendo una delle più ricche regioni del mondo, l’Unione europea ha buoni motivi per dimostrare la propria forza e solidarietà. Vorrei anche dire all’onorevole Lepage che sono assolutamente d’accordo sulla necessità di iniziative e risorse nuove, più ampie e programmabili. In ogni caso, anche l’aiuto pubblico allo sviluppo farà la propria parte nel garantire che i temi riguardanti lo sviluppo siano integrati nella politica climatica. Di conseguenza, saranno necessari sia le risorse dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) sia finanziamenti nuovi.

Un tema fondamentale in materia di sviluppo è la cessazione del disboscamento delle foreste pluviali. A Copenaghen mi piacerebbe vedere emergere un sostegno convinto per le iniziative tese a combattere la deforestazione delle foreste pluviali e promuovere la riforestazione e una silvicoltura sostenibile. Il sistema attualmente in fase di realizzazione, denominato REDD (riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado delle foreste) sarà di fondamentale importanza in questo contesto.

Credo che chi nega i problemi climatici non faccia che scaricare il barile sulla gente comune. E’ anche un modo per nascondere il problema e le ragioni per cui la gente comune debba ora pagare lo scotto del degrado climatico. E’ quello che avviene nei paesi sviluppati – e ancora di più nei paesi in via di sviluppo, dove i più poveri sono probabilmente i più duramente colpiti dal degrado del clima. Per questo ci rivolgiamo al gruppo dei paesi sviluppati nel loro insieme. Come dice l’onorevole Florenz, abbiamo bisogno di cooperare con grandi paesi come gli Stati Uniti. Tuttavia, si deve anche esercitare una certa pressione affinché passi con maggiore incisività il messaggio che le emissioni devono essere ridotte in misura sufficiente. Per questo è così importante che l’Unione europea affronti il nocciolo del problema delle emissioni, ossia il loro effettivo aumento. Abbiamo gli obiettivi più ambiziosi e più elevati al mondo. Si tratta ora di fare in modo che anche gli altri si uniscano a noi nell’adottare le misure necessarie per salvare il clima.

La crisi economica ci offre una splendida opportunità per incrementare gli investimenti in iniziative verdi; in altri termini, in nuovi prodotti ecologici, in aziende nuove e promettenti con una produzione ecocompatibile e in nuovi posti di lavoro creati attraverso iniziative verdi. E’ anche un modo per ringiovanire le nostre economie. Dobbiamo metterci a capo dell’offensiva che ci condurrà verso una società a basso tenore di carbonio, gettando così le basi per effettive opportunità di crescita nei paesi in via di sviluppo. Dobbiamo dare a questi ultimi la possibilità di evitare la strada dell’economia dipendente dai combustibili fossili imboccata dai paesi sviluppati e di inaugurare invece una crescita a basso tenore di carbonio per il futuro.

E’ anche un modo per rivolgerci finalmente alle economie in via di sviluppo e a rapida crescita e dire loro che i paesi sviluppati sono responsabili nei confronti dei più poveri e più vulnerabili, ma anche le economie a più rapida crescita tra i paesi in via di sviluppo – e ricordo che la Cina produce già le emissioni più elevate al mondo – devono assumersi la propria responsabilità e fornire un contributo alla soluzione dei problemi climatici. Grazie a questo approccio, l’Europa potrà svolgere un ruolo di primaria importanza spianando la strada a un accordo ambizioso a Copenaghen.

 
  
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  Karel De Gucht, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, innanzi tutto, nella discussione ho potuto constatare che tutti i gruppi politici condividono i principi che dovremmo sostenere a Copenaghen. Ritengo sia un dato molto importante. Non capita spesso, in un Parlamento con così tanti partiti e gruppi politici, di riuscire ad avere comunque un sostegno unanime a quello che proponiamo.

In secondo luogo, l’onorevole Florenz e altri hanno affermato che la nostra non dovrebbe essere una gara a chi fa le offerte migliori e che si tratta piuttosto di prendere impegni. Probabilmente è vero, ma d’altra parte credo sia anche importante tenere conto del fatto che noi abbiamo fatto un’offerta e che abbiamo affermato di essere disposti ad agire di conseguenza, a condizione, naturalmente, che, a fine mese, ci sia il benestare del Consiglio europeo. Non è semplicemente una gara. E’ un impegno dell’Unione europea. Speriamo che anche gli altri “pesi massimi” politici ed economici facciano le loro offerte, visto che, per molti di loro finora così non è stato. Ci rendiamo conto che, allo stato attuale, la situazione degli Stati Uniti non è molto facile, ma è importante che facciano anche loro un’offerta in modo da poter negoziare. Altrimenti, il punto morto in cui temiamo di trovarci ora non si sbloccherà.

(FR) Credo sia vero che i paesi in via di sviluppo sono quelli più duramente colpiti, sia dalla crisi economica, della quale non sono responsabili – ed è il minimo che si possa dire – sia dal cambiamento climatico. Dobbiamo offrire loro un sostegno consistente in tal senso.

Tuttavia, in questo spirito non dovremo solo sostenere i paesi in via di sviluppo, ma dovremo anche dare prova di coraggio nei confronti delle nostre industrie e dei nostri operatori economici. Quando si parla di deforestazione nei paesi in via di sviluppo, si ha comunque a che fare con una responsabilità dei nostri paesi, dell’Unione europea. Credo che, dopo Copenaghen, dovremo prendere atto della necessità di adottare leggi con elementi extraterritoriali, in modo da non trovarci nella situazione in cui, da una parte, noi finanziamo l’adattamento al cambiamento climatico e la mitigazione del fenomeno e, dall’altra, gli operatori economici agiscono in senso contrario nei paesi in via di sviluppo.

(EN) Un’ultima osservazione sull’aiuto pubblico allo sviluppo (APS): ritengo sia un tema molto importante di cui dovremo discutere anche tra di noi, perché uno dei timori principali è che lo 0,7 per cento del PIL sia raggiunto aggiungendo l’impegno per l’adattamento.

Già ora, l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) comprende molte voci che fanno parte dell’adattamento, ed è normale. Continuerà a essere così, naturalmente, ma dovremmo individuare un meccanismo di misurazione che ci consenta di distinguere chiaramente gli impegni attuali dagli sforzi supplementari che dovranno essere compiuti per il cambiamento climatico. E’ un aspetto sul quale dovremo sicuramente tornare dopo Copenaghen.

 
  
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  Corien Wortmann-Kool (PPE).(NL) Signor Presidente, dopo 10 anni di discussioni, ci avviciniamo ora alla conferenza sul cambiamento climatico di Copenaghen. Abbiamo ancora 50 giorni per cercare di raggiungere un accordo ambizioso con obiettivi vincolanti, non solo per l’Europa ma anche per gli Stati Uniti e paesi quali la Cina e l’India. Un accordo ambizioso esige risorse finanziarie sufficienti – com’è stato poc’anzi ricordato nel corso della discussione – e non soltanto da parte dell’Unione europea. Tutti i paesi dovranno fornire risorse in modo che anche i paesi in via di sviluppo possano prendere parte all’accordo sul clima. Dopo tutto, la solidarietà con i più poveri deve essere solidamente radicata in qualsiasi accordo sul clima.

La Commissione ha giustamente preso l’iniziativa in materia di finanziamenti, ma l’intento dell’onorevole Florenz era di evidenziare che, in quest’Aula, stiamo cercando di rilanciare la posta in una sorta di gara a chi offre di più; si tratta però ora di capire se questo esercizio può davvero essere utile a qualcuno. Lei ha giustamente esortato gli Stati membri a partecipare ed io desidero elogiare la presidenza svedese per il suo impegno. Tuttavia, anche gli Stati Uniti e le economie emergenti devono mettere mano al portafoglio. Potrà contare sul nostro sostegno.

Resta comunque da fare molto anche in Europa. Sebbene siamo tra i primi al mondo in termini di norme in materia di emissioni, siamo molto in ritardo rispetto agli Stati Uniti in termini di investimenti del settore privato in innovazioni tecnologiche e sostenibilità. Reputo che incentivi positivi per gli investimenti verdi e le innovazioni da parte delle imprese siano molto più utili di una nuova tassa europea. Dopo tutto, e soprattutto in un momento in cui abbiamo urgentemente bisogno di più attività e occupazione, le imprese e gli investitori europei devono essere incoraggiati sempre di più a fare la loro parte in vista di questa transizione necessaria in Europa e nel mondo.

 
  
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  Marita Ulvskog (S&D).(SV) Signor Presidente, il ministro Carlgren – che oggi rappresenta qui il Consiglio – ha esordito dicendo che, in questa fase che precede la conferenza di Copenhagen, molti stanno cedendo al pessimismo. Non posso che essere d’accordo, e spero davvero che la maggioranza del Parlamento europeo riesca a evitare che sia concesso ai pessimisti, ai quali il ministro Carlgren deve dare battaglia nel suo stesso governo che ha la presidenza, e al Consiglio di essere determinanti nel voto.

Dobbiamo risolvere due problemi specifici se vogliamo dimostrare che i pessimisti sbagliano. Il primo, già ricordato, è naturalmente il finanziamento dell’impegno per il clima nei paesi in via di sviluppo. La proposta della Commissione non è sufficiente. I contributi dell’Unione europea ai paesi in via di sviluppo devono essere almeno pari a 30 miliardi all’anno da qui al 2020 e dobbiamo fornire un sostegno significativo per le misure di ristrutturazione già nel 2012. Naturalmente, questi aiuti devono andare ad aggiungersi agli aiuti già previsti. La ridistribuzione di risorse già promesse non farebbe che mettere a rischio la nostra capacità di raggiungere un accordo mondiale sul clima. Vorrei chiedere al ministro Carlgren se le sue elevate ambizioni hanno il sostegno del Consiglio.

Secondo, dobbiamo prendere sul serio l’obiettivo dei due gradi. Se vogliamo realizzarlo, non è sufficiente che i paesi sviluppati abbattano le loro emissioni di gas serra del 20 per cento. Vorrei pertanto che il ministro Carlgren, in quanto rappresentante del Consiglio, precisasse nuovamente la propria posizione a riguardo. Molti di noi ritengono che sia necessario ridurre le emissioni del 30-40 per cento entro il 2020. Qual è il livello di ambizione del Consiglio – e il ministro Carlgren ha il sostegno del Consiglio?

 
  
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  Charles Goerens (ALDE).(FR) Signor Presidente, a mio avviso, ci sono tre punti essenziali in questa discussione.

Primo, la conferenza di Copenaghen rappresenta una scommessa sul futuro. La scommessa non è stata ancora vinta, come ha appena rilevato la presidenza. Non arriverò fino a dire che tutto dipende dall’Unione europea, ma senza determinazione e credibilità, come ha appena ricordato l’onorevole Joly, in questo settore non si concluderà nulla.

La mia seconda osservazione è che dobbiamo fare attenzione a non aggiungere confusione all’incertezza. L’Unione europea deve mantenere la propria credibilità quando si affronta il tema dell’impatto del cambiamento climatico sui paesi in via di sviluppo: ha assunto un impegno nel 2005 in merito al livello di assistenza ufficiale allo sviluppo, che deve raggiungere lo 0,7 per cento nel 2015; è dunque fuori discussione che si possa lesinare su quell’obiettivo.

E’ impensabile che questa promessa possa essere ridimensionata, né riducendo l’impegno, come ho appena spiegato, né ridistribuendo gli importi stanziati per l’assistenza ufficiale allo sviluppo e destinandoli alla lotta al cambiamento climatico.

Occorrerebbe precisare che le somme che saranno annunciate a Copenaghen come stanziamenti per i paesi in via di sviluppo devono essere fondi aggiuntivi. E’ appena stata citata la somma di 35 miliardi, qui stiamo parlando di altri 35 miliardi di euro.

L’Unione europea farebbe bene a fugare ogni dubbio sulla sua determinazione nella lotta per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio, da una parte, e contro il cambiamento climatico, dall’altra. Se l’Unione europea dovesse allontanarsi da questo percorso, si determinerebbe una crisi politica che comprometterebbe senza dubbio la fiducia dei paesi in via di sviluppo nell’Unione europea. Se riusciremo anche ad accordarci su questo punto, la discussione non sarà stata vana.

Terzo, abbiamo bisogno degli Stati Uniti, della Cina, dell’India e di tutti i paesi industrializzati, ma abbiamo anche bisogno dei paesi emergenti e, naturalmente, dei paesi in via di sviluppo. A tale fine, sarebbe ragionevole pensare a nuovi partenariati nord-sud, in particolare nell’ambito della produzione di energie alternative. L’uso dell’energia solare per la generazione di elettricità nel Mediterraneo meridionale potrà diventare, se lo vorremo, uno dei grandi progetti nord-sud in risposta sia alla crisi economica sia alla crisi dovuta al cambiamento climatico. Tale iniziativa non dovrebbe in alcun caso compromettere l’impegno necessario per la lotta alla deforestazione, per esempio, dove la responsabilità – desidero fare notare – dei paesi emergenti, alcuni dei quali sono membri del G20, è schiacciante.

 
  
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  Satu Hassi (Verts/ALE).(FI) Signor Presidente, onorevoli colleghi, un poeta finlandese ha paragonato l’umanità ai passeggeri di un treno diretto all’inferno, che però dedicano tutte le loro energie a bisticciare per un posto a sedere in prima classe. Ancora una volta, è ora che l’Unione europea assuma il ruolo di capofila. Il modo migliore per cercare di sbloccare il punto morto cui sono giunti i negoziati sul clima è che il Consiglio europeo della settimana prossima presenti un’offerta per finanziare misure climatiche nei paesi in via di sviluppo.

Ieri, la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare ha approvato una somma di 30 miliardi di euro come quota di finanziamenti dell’Unione europea. E’ ovvio che i 2-15 miliardi di euro proposti dalla Commissione non possono essere sufficienti. Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere la nostra responsabilità storica rispetto al cambiamento climatico e che le nostre emissioni pro capite sono ancora di molto superiori a quelle di Cina o India, per esempio.

 
  
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  Peter van Dalen (ECR).(NL) Signor Presidente, il vertice sul cambiamento climatico deve avere successo, e pertanto l’Europa deve parlare all’unisono e mirare in alto nei negoziati. Copenaghen è importante perché il creato è estremamente vulnerabile e duramente colpito dalle azioni umane.

I paesi in via di sviluppo esigono un’attenzione particolare: il contributo dei loro abitanti al cambiamento climatico è praticamente nullo, eppure sono i primi a farne le spese. I raccolti appassiscono oppure sono spazzati via dalle alluvioni, i villaggi sono distrutti da cicloni, lo sviluppo di intere regioni viene riportato indietro di anni nel giro di una sola notte. I nostri paesi industrializzati hanno contribuito notevolmente al cambiamento climatico e hanno pertanto la responsabilità di assicurare ai paesi in via di sviluppo un sostegno finanziario e tecnico adeguato e duraturo. Il piano d’azione di Bali lo aveva spiegato bene.

E’ perciò anche importante che l’Unione stanzi risorse sufficienti; dopo tutto, è proprio questo il problema. Ecco perché sosteniamo che almeno 15 miliardi all’anno debbano essere destinati al fondo per il clima, più un contributo da parte delle altre grandi economie mondiali. Anche loro devono fare fronte alle loro responsabilità.

Infine, mi fa piacere che il presidente in carica del Consiglio abbia attirato l’attenzione sulla deforestazione. Lo riteniamo un tema fondamentale. La lotta contro la deforestazione è il modo migliore per ridurre le emissioni di CO2.

 
  
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  Kartika Tamara Liotard (GUE/NGL).(NL) Signor Presidente, la deforestazione è un argomento spesso un po’ trascurato quando si discute di tematiche climatiche nel contesto dell’aiuto allo sviluppo. Fortunatamente, nella discussione che si tiene oggi in quest’Aula, le cose sono diverse. Le foreste, comprese le foreste pluviali tropicali, neutralizzano una consistente porzione di emissioni di CO2. Le forme di cambiamento della destinazione dei suoli, come la deforestazione e la distruzione della foresta pluviale, causano almeno il 18 per cento delle attuali emissioni di CO2. Un risultato altrettanto nefasto della deforestazione è che molti indigeni nei paesi in via di sviluppo sono costretti ad abbandonare le loro terre e non sono più in grado di provvedere alla propria sussistenza. Peraltro, non funziona neppure il meccanismo di sviluppo pulito (CDM); ossia il finanziamento di progetti nei paesi in via di sviluppo che dovrebbe permetterci di alzare il tetto delle nostre emissioni di CO2.

Purtroppo, nel mondo le cose vanno ancora così: gli interessi dei paesi ricchi e dei grandi settori industriali sono considerati più importanti della giustizia economica e sociale. La deforestazione deve essere fermata, ma i paesi industrializzati hanno l’obbligo morale di assicurare sostegno finanziario e tecnico ai paesi in via di sviluppo.

 
  
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  Oreste Rossi (EFD). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, ieri sera la delegazione della Lega Nord è stata l'unica forza politica che ha votato contro, in commissione, a questa risoluzione. Abbiamo votato contro perché la riteniamo un'eurofollia.

In un momento di crisi industriale come quello che stiamo vivendo, con perdita di competitività e di posti di lavoro, pensare di finanziare l'innovazione tecnologica di paesi terzi in via di sviluppo significa calare una pietra tombale sulle imprese europee. Questo testo prevede fino al 2020 uno stanziamento di 30 miliardi di euro all'anno a paesi che come Cina, India e Brasile sono i nostri concorrenti più pericolosi e sleali e contemporaneamente chiede alle nostre industrie di ridurre ulteriormente le emissioni, con pesanti conseguenze economiche.

Non possiamo trasformare la giusta battaglia in difesa dell'ambiente in una guerra fra poveri. Finché ci saranno paesi come la Cina, che fanno della concorrenza sleale la loro politica industriale, non ci potrà essere un mercato globale ecosostenibile.

Noi della Lega Nord siamo dalla parte dei lavoratori, dalla parte del popolo delle imprese, che ogni giorno devono lottare contro i colossi industriali di paesi che non sanno cosa siano le regole. Sì all'ambiente, no al finanziamento dei nostri concorrenti fatto sulla pelle dei nostri lavoratori.

 
  
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  Zoltán Balczó (NI).(HU) Signor Presidente, le opinioni sulla misura in cui l’uomo può influenzare il cambiamento climatico sono divergenti. A mio avviso questa influenza c’è e l’obiettivo della conferenza sul clima di Copenaghen è proprio quello di mitigarla. Sono fermamente convinto che la partita si giocherà nella sfera politica.

Quali mezzi possiamo utilizzare per riuscire a convincere i più grandi inquinatori ad abbattere le loro emissioni? Non ci riusciremo promuovendo il forte messaggio che l’Europa opererà tagli non del 20 per cento, bensì del 30 e del 40 per cento. Dobbiamo fare in modo che gli Stati Uniti, i principali inquinatori al mondo, riducano il loro pesantissimo inquinamento. Una decisione tesa ad applicare tale emendamento era stata effettivamente proposta in seno alla commissione competente. Molti ottimisticamente si aspettavano che Barack Obama avrebbe portato cambiamenti significativi e che sarebbe andato a Copenaghen. Ha invece partecipato alla riunione del Comitato internazionale olimpico per sostenere la candidatura di Chicago. Con scarsi risultati.

I leader dell’Unione europea agiscono per conto e a nome di 500 milioni di persone, spesso inutilmente. Ci chiediamo perché non abbiano il coraggio di agire ora in maniera più risoluta, perché solo con il loro intervento potremo avere successo nell’affrontare un problema mondiale, un problema che non può essere trattato a livello locale.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE).(PL) Signor Presidente, ho accolto con un certo disagio le notizie provenienti dalla riunione dei ministri delle Finanze e dell’Ambiente, con particolare riguardo ala bozza di documento finale, che non contiene la soluzione a un problema fondamentale: come intende l’Unione europea assistere i paesi più poveri del mondo nell’impegno di limitare le emissioni di biossido di carbonio e adattarsi al cambiamento climatico?

E’ un tema fondamentale. Nella bozza di documento, non si citano nemmeno le somme che propone la Commissione europea – secondo cui il fabbisogno dei paesi in via di sviluppo in questo settore è stimato a 100 miliardi di euro all’anno da qui al 2020 – e il possibile contributo dell’Unione europea per raggiungere tale cifra. Inoltre, non c’è alcuna decisione in merito alle modalità di cofinanziamento da parte degli Stati membri, quando sappiamo che le proposte a questo riguardo sono molto diverse.

Naturalmente comprendiamo le argomentazioni secondo cui dovremo essere cauti nel fare dichiarazioni specifiche e dovremmo aspettare le proposte di altri paesi, soprattutto delle economie forti. Se tuttavia l’Unione europea vuole essere un leader nella lotta al cambiamento climatico, deve avanzare proposte specifiche e soluzioni specifiche, soprattutto perché parte del problema è una questione interna, così come il meccanismo di cofinanziamento.

Abbiamo il dovere di negoziare un accordo equo con i paesi in via di sviluppo. I paesi più poveri del mondo hanno contribuito pochissimo al cambiamento climatico ma allo stesso tempo ne stanno subendo le conseguenze più pesanti. La notevole dipendenza di molti paesi poveri dall’agricoltura e dalla pesca, nonché le loro infrastrutture deboli, li mettono in una situazione molto difficile in termini di cambiamento climatico. Nel corso degli ultimi quattro anni, l’Africa, che è il continente più povero e uno dei più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico, ha ricevuto meno del 12 per cento dei fondi disponibili per la lotta al cambiamento climatico. Non è certo questo il modo per persuadere tali paesi a partecipare più attivamente al processo.

 
  
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  Thijs Berman (S&D).(NL) Signor Presidente, nella regione del Pacifico, migliaia di persone devono lasciare le loro isole perché l’acqua le sommerge, mentre in Sudan il bestiame muore di sete. Abbiamo tutti visto le immagini: il dato fondamentale relativamente a questi e ad altri effetti del cambiamento climatico è che chi inquina deve pagare. A Copenaghen, a dicembre, il mondo si troverà di fronte a una sfida storica: dare un contenuto concreto a queste parole.

Oxfam calcola tuttavia che, finora, tre quarti degli adattamenti realizzati nei paesi poveri sono stati operati dagli Stati stessi. Allo stesso tempo, il petrolio scompare indisturbato da questi paesi in via di sviluppo senza che le finanze nazionali ne traggano un’equa contropartita. In futuro, il cambiamento climatico costerà ai paesi in via di sviluppo oltre 100 miliardi di euro all’anno. Questo denaro non è utilizzato per lo sviluppo, ma semplicemente per creare le premesse a esso necessarie, mentre, grazie alla politica per il clima, si potrebbe evitare che un’isola del Pacifico venga sommersa o sarebbe possibile prevenire la deforestazione e le popolazioni potrebbero continuare a vivere e lavorare dove vogliono.

Naturalmente, ci sono misure climatiche che possono anche stimolare lo sviluppo dei paesi poveri. Piantando alberi si può contribuire a combattere la deforestazione. Attualmente, tuttavia, le risorse per le politiche per il clima provengono principalmente dai fondi per la politica di sviluppo, ed è inaccettabile. “Nessun nuovo finanziamento” afferma il commissario De Gucht. Va bene, ma allora si dovrebbe fare in modo che i fondi esistenti siano incrementati.

I paesi in via di sviluppo subiscono attualmente un triplice colpo. La maggior parte dei paesi dell’Unione europea non mantiene le proprie promesse in termini di politica per lo sviluppo, la crisi economica ha determinato un calo degli investimenti nei paesi poveri e il bilancio per lo sviluppo si assottiglia. Si potrebbe aggiungere un quarto aspetto: i paesi poveri si trovano a dover pagare per danni climatici che non hanno causato. A Copenaghen dobbiamo accantonare questa logica introducendo nuovi meccanismi di finanziamento. D’ora in poi la politica per lo sviluppo deve essere coordinata anche con la politica per il clima. Ciascuna dovrà essere allineate all’altra come mai prima d’ora. La cosa più importante è che i paesi in via di sviluppo possano avere voce in capitolo quando si tratta di utilizzare in modo trasparente il Fondo per il clima. Questo Fondo deve quindi essere istituito, per l’Unione europea e per il mondo.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE).(FR) Signor Presidente, siamo noi i principali responsabili del cambiamento climatico, eppure i paesi in via di sviluppo ne sono le vittime principali: è proprio per questo che i paesi sviluppati, i principali responsabili dell’inquinamento, dovranno assumere impegni forti a Copenaghen. E’ necessario per noi, ma ancor più necessario per i paesi del sud.

Da tempo stiamo accumulando un debito, in particolare con l’Africa. Per questo dovremo trovare il giusto livello di compensazione finanziaria e tecnica. L’Europa dovrà prendere la situazione in mano, anche se sarà doloroso per i nostri concittadini. Dovremo aiutare questi paesi ad adattare le loro economie e a contrastare il cambiamento climatico, ma dovremo anche elaborare una politica per lo sviluppo completamente diversa. L’Africa ha bisogno di un mercato protetto, se vogliamo che riesca finalmente ad avere un’agricoltura sostenibile, e deve proteggere le sue foreste, il suo suolo e le sue risorse dal saccheggio dei paesi sviluppati. Copenaghen sarà un successo solo se riusciremo a fare passare questo messaggio di responsabilità condivisa e di solidarietà.

 
  
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  Yannick Jadot (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il cambiamento climatico ha già causato 300 000 morti e ne causerà molti milioni in futuro.

Non agire è un crimine contro l’umanità. Siamo in presenza di un’emergenza, ma i negoziati sono praticamente a un punto morto. Tuttavia, paesi come Giappone, Australia, Norvegia, Cina, Brasile e Sudafrica stanno impegnandosi in misura proporzionata alle loro responsabilità. Non è cosi per gli Stati Uniti, e purtroppo non è più cosi per l’Europa. Se le ambizioni europee si estendessero a tutto il pianeta, il risultato sarebbe un aumento del riscaldamento globale di 4 gradi. E’ assolutamente inaccettabile. Ad ogni modo, è l’Europa ad avere le chiavi per Copenaghen.

Signor Presidente in carica del Consiglio, se il Consiglio europeo, agendo sulla base delle raccomandazioni del Parlamento europeo, prenderà le giuste decisioni alla fine del mese, l’Europa potrà dare nuovo impulso ai negoziati – con obiettivi quali una riduzione del 30 per cento e un pacchetto di aiuti di 35 miliardi di euro per i paesi del sud.

Signor Presidente, il modo in cui certi Stati membri oggi si servono degli aiuti ai paesi del sud come strumento negoziale è a nostro avviso sconvolgente. La miseria nel sud del mondo non è materia negoziale.

 
  
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  Sajjad Karim (ECR).(EN) Signor Presidente, é fondamentale raggiungere un consenso internazionale sulla gestione del cambiamento climatico e del surriscaldamento del pianeta. Il vertice di Copenaghen ci offre un’opportunità. Pensiamo però per un attimo ai problemi che si presenteranno in occasione del vertice. Gli Stati Uniti, la più grande economia mondiale, non hanno sottoscritto obiettivi precisi per la riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2020 e molti altri paesi industrializzati sviluppati non sono certi di poter attuare gli interventi ambiziosi necessari.

Dobbiamo essere chiari: non abbiamo davvero scelta. L’Unione europea, quando ha definito obiettivi ambiziosi per il 2020 e il 2050, ha agito con coraggio e deve ora esortare gli altri a fare lo stesso. Non possiamo realizzare i nostri obiettivi se non abbiamo la cooperazione degli altri Stati. La creazione di un efficiente mercato mondiale del CO2è fondamentale, così come il consenso internazionale, se vogliamo evitare il rischio che all’interno dell’Unione europea si applichino alle emissioni di CO2 misure protezionistiche. A Copenaghen, dobbiamo esortare i governi dei grandi paesi industrializzati ad assumere una leadership coraggiosa. Sebbene negli Stati Uniti i singoli Stati abbiano iniziato ad affrontare il cambiamento climatico, notiamo una penosa latitanza del governo federale. E’ necessario che gli Stati Uniti e le economie emergenti, quali India e Cina, costituiscano un partenariato con noi per il futuro del nostro pianeta.

Possiamo incoraggiare i paesi in via di sviluppo a seguire un percorso di industrializzazione diverso, con un impatto ambientale minore. Sono ancora in tempo per adottare un approccio nuovo e meno pesante per l’ambiente e noi dobbiamo aiutarli nella pianificazione e nella costruzione delle infrastrutture che consentiranno loro di raggiungere quest’obiettivo.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, l’approccio al problema del cambiamento climatico è stato spogliato di alcuni aspetti essenziali e soprattutto deformato da cosiddette “soluzioni di mercato”. Attualmente, i combustibili fossili soddisfano quasi l’85 per cento del fabbisogno energetico mondiale. Un approccio al cambiamento climatico coerente dovrebbe concentrarsi sulla riduzione di questa dipendenza. Invece, il principale strumento proposto dall’Unione europea per affrontare il cambiamento climatico, lo scambio di quote di emissione di carbonio, non solo non contribuirà a ridimensionare tale fenomeno, ma si rivelerà un ostacolo diretto al necessario cambiamento del paradigma energetico.

L’esperienza ci insegna che lo scambio di quote di emissioni non ha determinato una riduzione delle emissioni di gas serra, anzi. Vari esempi smentiscono la capacità del mercato di controllare le emissioni, mentre altri dimostrano l’efficacia di una regolamentazione normativa e di investimenti mirati, in particolare relativamente agli impatti e alla salvaguardia dell’ambiente.

I problemi ambientali che l’umanità si trova oggi ad affrontare sono vari e molteplici e la loro gravità è già sufficiente a minacciare l’esistenza della vita sulla terra, come ben sappiamo, ma è improbabile che si trovi una soluzione nel sistema irrazionale che sta proprio alla loro origine.

 
  
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  Godfrey Bloom (EFD).(EN) Signor Presidente, colgo questa opportunità per fare gli auguri alle città dell’Europa orientale per l’inizio di una precocissima stagione sciistica, con tutta la neve e il ghiaccio che si sono ritrovati. Ovviamente, questi fenomeni sono indicativi del fatto che, come è stato ora confermato da scienziati indipendenti, in realtà il pianeta si sta raffreddando dal 2002, mentre dal 1998 le temperature sono rimaste sostanzialmente invariate. Stiamo dunque parlando di un problema che non esiste.

Ho più volte sentito colleghi definire l’anidride carbonica una sostanza inquinante. Una sostanza inquinante! E’ un gas naturale che dà la vita. Ho l’impressione che alcuni dei deputati del Parlamento non abbiamo potuto fruire di un’istruzione formale.

Il punto non è forse fare solo in modo che lo Stato possa attingere alle tasche dei comuni cittadini e derubarli con altre tasse? Non è tutta una questione di controllo politico? Non è tutta una questione di politica e grossi affari? E’ tutta una finzione – questa ipotesi fasulla, questa ridicola sciocchezza secondo cui l’anidride carbonica prodotta dall’uomo causa il surriscaldamento del pianeta. Basta grazie, fermiamoci, prima di danneggiare in modo irreparabile l’economia mondiale.

 
  
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  George Becali (NI).(RO) Sono tra gli eurodeputati che credono che l’agricoltura rappresenti una soluzione e che non sia semplicemente una causa del cambiamento climatico. Penso addirittura che sia una delle vittime di questo fenomeno perché la siccità e le alluvioni colpiscono tutti in Europa con una frequenza sempre maggiore, ma sono soprattutto gli agricoltori a subirne l’impatto.

E sono anche tra gli eurodeputati che credono che in futuro continueremo ad avere bisogno di una politica agricola comune. Ne abbiamo bisogno per sviluppare nuovi modelli e nuovi metodi di produzione al fine di ripristinare la biodiversità agricola e interna di cui già all’inizio di questo millennio si era perso il 70 per cento. Quando parliamo di agricoltura, parliamo di esseri viventi, a partire dal suolo, per arrivare fino alle piante, in particolare gli alberi, le foreste e i pascoli. Mi piacerebbe pensare che possa essere questo il tipo di messaggio e di approccio che emergerà a Copenaghen tra due mesi e che la politica dell’Unione europea in questo ambito possa essere valutata in modo concreto e strategico, anche dal punto di vista del bilancio, per considerare l’agricoltura come una soluzione, come ho affermato all’inizio del mio intervento.

 
  
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  Richard Seeber (PPE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, qui stiamo parlando di politica e non di religione. Per questo, dovremmo fare un distinguo tra i fatti e le certezze empiriche da una parte e le ipotesi dall’altra. E’ un dato di fatto che la temperatura del pianeta è aumentata di circa 0,7°C rispetto all’era preindustriale. E’ tuttavia un altro dato di fatto che la temperatura negli ultimi dieci anni praticamente non è aumentata.

Un altro dato è che Copenaghen è una conferenza internazionale e che le emissioni di CO2 della Comunità rappresentano circa il 17 per cento del totale mondiale. La Comunità ha già attuato una normativa che prevede che entro il 2020 le emissioni di CO2 siano ridotte del 20 per cento.

Analizziamo ora le ipotesi. Una prima ipotesi è che la temperatura del pianeta continui ad aumentare. Una seconda ipotesi è che esista un rapporto diretto tra le emissioni di CO2, il contenuto di CO2 nell’aria e l’aumento della temperatura, mentre una terza ipotesi è che l’umanità possa avere un’influenza diretta sulla concentrazione di CO2 nell’aria. A questo riguardo, esistono vari pareri scientifici. E’ un dilemma che si pone a noi, in quanto politici, e rispetto al quale dobbiamo prendere una decisione.

Sarebbe tuttavia utile tenere conto di una seconda osservazione per definire un orientamento per la nostra attività politica. Tale osservazione è che tutte le società che utilizzano in modo molto efficiente la loro energia e le loro risorse hanno successo. Alla luce tale constatazione, è ragionevole attuare una politica che consenta un’oculata gestione dell’energia e delle risorse su scala comunitaria, in modo da poter continuare, a livello internazionale, a svolgere un ruolo guida dal punto di vista della politica economica, ma anche per aiutare altri Stati, soprattutto gli Stati meno sviluppati, a imboccare la stessa strada.

Se pensiamo ai trasferimenti di fondi di cui si discute a questo riguardo, è fondamentale che siano sottoposti a un rigoroso controllo e che siano subordinati al rispetto di determinate condizioni, perché altrimenti non faremo altro che creare una seconda forma di aiuto allo sviluppo.

 
  
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  Linda McAvan (S&D).(EN) Signor Presidente, non credo che l’onorevole Bloom abbia sentito l’oratore esponente del BNP, ma se lo avesse sentito, si sarebbe reso conto che hanno molto in comune, come del resto io ho sempre pensato. E’ stato un discorso quasi identico.

Abbiamo sentito parlare di sondaggi. In una recente indagine, più di due terzi degli europei hanno definito il cambiamento climatico un problema molto grave e il 20 per cento un problema abbastanza grave. Per il Regno Unito, il 51 per cento ha detto che si tratta di un problema molto grave e il 30 per cento che il problema abbastanza grave: in totale l’81 per cento. In realtà, solo il 10 per cento degli europei ha affermato che non si tratta assolutamente di un problema serio. I sondaggi d’opinione rivelano che gli europei si preoccupano del cambiamento climatico e che capiscono. Per questo tutti i principali partiti in seno al Parlamento europeo sostengono il Consiglio e la Commissione a Copenaghen, mentre l’anno scorso abbiamo appoggiato il pacchetto legislativo.

Ieri sera, la commissione per l’ambiente ha deciso, con 55 voti a favore e uno contrario, di appoggiare la posizione negoziale dell’Unione europea a Copenaghen. Quanto all’aspetto finanziario, che questa settimana è particolarmente importante – sappiamo che i ministri delle Finanze si riuniscono oggi – vogliamo dei finanziamenti, l’addizionalità, nessuna doppia contabilizzazione e strutture di buon governo.

Talvolta nella vita si vedono cose che non si dimenticheranno mai. Circa tre anni fa, io e l’onorevole Hall siamo andate nel Kenya settentrionale. Ci siamo recate a visitare una delle comunità più povere della regione e abbiamo incontrato agricoltori dediti alla pastorizia. Abbiamo incontrato giovani donne (o meglio ragazze) che erano state date in sposa quand’erano ancora più giovani. Perché? Perché in Kenya, quando una giovane si sposa, il padre, in cambio della sua mano, come pagamento, riceve delle vacche, perché le vacche sono valuta corrente. Le vacche stanno diventando un bene raro nel Kenya settentrionale a causa del cambiamento climatico. Non riusciremo mai a fare in modo che la povertà diventi storia, a meno che non si affronti il cambiamento climatico, e il Parlamento europeo ha il dovere di far proprio tale compito.

 
  
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  Marit Paulsen (ALDE).(SV) Signor Presidente, se considera l’intera catena di produzione, circa il 40 per cento di tutte le emissioni di gas serra ha origine dalla produzione alimentare. Si potrebbe dire che l’agricoltura è il cattivo della situazione. Dobbiamo capire che l’agricoltura e la silvicoltura costituiscono probabilmente uno dei settori principali se vogliamo davvero affrontare concretamente il problema delle emissioni. A tale fine, tuttavia, noi paesi ricchi dobbiamo avere abbastanza coraggio da adottare nuove tecnologie e allontanarci dalle nostre esperienze passate. Dobbiamo cambiare la nostra politica agricola in modo da smettere di scaricare prodotti sui mercati dei paesi in via di sviluppo. Sarebbe probabilmente una delle misure più utili per aiutare l’agricoltura africana a camminare sulle proprie gambe e per affrancare le donne africane.

 
  
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  Carl Schlyter (Verts/ALE).(SV) Signor Presidente, Ministro Carlgren, lei viene tutte le volte con i suoi bei discorsi, ma il contenuto concreto? Nei paesi in via di sviluppo, la terra si inaridisce e le malattie si diffondono. Cresce il numero dei rifugiati ambientali. Vuole forse chiedere loro di sorridere di fronte alla morte?

Credo che si possa imprimere una svolta rispetto a quel pessimismo che lo stesso Consiglio crea facendo promesse precise. Mi chiedo allora: è disposto a destinare 35-40 miliardi di euro all’anno a nuovi aiuti per misure nel settore climatico? Escluderà energia nucleare e cattura e stoccaggio del carbonio dai progetti ammissibili agli aiuti? Accetterà l’obbligatorietà della concessione di licenze per le grandi tecnologie verdi ai paesi più poveri? Salverà le foreste rifiutando i meccanismi basati sul mercato della REDD? Se può promettere tutto questo, riuscirà anche a realizzare una riduzione del 40 per cento – e in quel caso ritorneremo tutti a casa con il sorriso sulle labbra.

 
  
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  Konrad Szymański (ECR).(PL) Signor Presidente, la posizione del Parlamento sulla ripartizione mondiale degli obblighi in materia di riduzione delle emissioni di CO2 purtroppo manca di equilibrio riguardo alla copertura dei costi necessari. Adottando questa risoluzione, compromettiamo il pacchetto clima che era stato così difficile negoziare e i cui costi attualmente pesano in modo sproporzionato sugli Stati membri dell’Europa centrale. L’adozione delle soluzioni oggi proposte non farà che accentuare ulteriormente le disuguaglianze. Stiamo cercando di imporre agli Stati membri norme che sono letali per le economie nazionali, mentre, allo stesso tempo, non esigiamo nulla di specifico dai paesi maggiormente responsabili delle emissioni di CO2 a livello mondiale. E’ ingiusto e inefficace. Se non vengono garantite le giuste proporzioni a livello mondiale, non facciamo che incrementare il vantaggio competitivo di Cina, India e Brasile.

La risoluzione si spinge addirittura oltre – propone di sovvenzionare i paesi più poveri. La somma di 330 miliardi di euro entro il 2020 equivale a un contributo compreso tra i 16,5 e i 40 miliardi di euro da un paese come la Polonia. E’ una follia politica che indebolisce i vantaggi economici dell’appartenenza all’Unione europea. Si tratta inoltre di un metodo inefficace, come dimostrato dai preparativi in corso per avviare l’esportazione di energia elettrica dalla regione di Kaliningrad al confine con la Polonia. A Copenaghen, non servirà a nulla firmare un accordo in cui gli oneri legati alla limitazione delle emissioni di CO2 non siano ripartiti in modo proporzionato a livello mondiale.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
  
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  Marisa Matias (GUE/NGL).(PT) Signora Presidente, discutere un piano di azione a sostegno dei paesi in via di sviluppo nella lotta al cambiamento climatico è semplicemente una questione di giustizia e uguaglianza. Questi paesi sono i più colpiti da tale fenomeno, pur essendo, al contempo, i soggetti che meno hanno contribuito all’insorgere della situazione in cui ci troviamo. Ecco spiegato il motivo per cui non possiamo limitarci a una mera dichiarazione di intenti. Spingendoci oltre dimostreremo la nostra serietà e decisione su tematiche fondamentali come il finanziamento.

Per quanto ambiziosa possa essere la nostra strategia, se gli aspetti legati al finanziamento non verranno definiti in maniera chiara, non potremo adottare alcun tipo di politica concreta. Il Consiglio parla di 100 miliardi di euro entro il 2020. Le stime di cui disponiamo, però, sono varie. Secondo alcune, sarebbe necessario stanziare la cifra di 120 miliardi di euro l’anno per sostenere i paesi in via di sviluppo. Abbiamo bisogno delle nostre risorse, quindi, non di meri palliativi. E’ dunque fondamentale definire le effettive modalità di stanziamento e precisare chi saranno i soggetti erogatori. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare la questione e coinvolgere tutte le parti interessate, compresi il settore privato e l’industria. Oppure speriamo che si offriranno di contribuire a questo impegno di propria spontanea volontà?

 
  
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  Timo Soini (EFD).(FI) Signora Presidente, la mafia del clima si sta servendo di ingenui esponenti politici dei verdi per trasferire centinaia di milioni di euro, sottratti al gettito fiscale delle nazioni sviluppate, alle società multinazionali che si arricchiscono nei paesi in via di sviluppo e alle società statali di tali paesi, sfruttando questa sorta di eco-tassa che stiamo promuovendo. La Cina, per esempio, potrebbe onorare tranquillamente i propri obblighi in piena autonomia: è infatti l’economia più ricca del mondo in termini di riserve di valuta estera.

La Finlandia e l’Unione europea devono salvare le proprie industrie operanti nei settori siderurgico, ingegneristico e forestale chiedendo che a Copenaghen si decida di introdurre uno specifico sistema di gestione delle emissioni, che consenta di raggiungere gli obiettivi climatici per determinati prodotti climatici, invece degli attuali obiettivi basati sulle percentuali e sullo scambio di emissioni. E’ questa l’opzione più equa.

(Applausi)

 
  
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  Pilar del Castillo Vera (PPE).(ES) Signora Presidente, vorrei ringraziare il Consiglio e la Commissione. Per quanto concerne il tema oggetto della discussione odierna, possiamo affermare che esistono alcune certezze e molte incertezze.

La prima certezza, o il primo elemento comune, è rappresentata dalla notevole convergenza di opinioni che si osserva attualmente in merito alla necessità di ridurre le emissioni e di sviluppare fonti di energia pulita.

La seconda certezza è rappresentata dalla necessità di adottare un approccio globale, un metodo per affrontare il problema. Pertanto i paesi che emettono i maggiori quantitativi di CO2 nell’atmosfera devono siglare tutti gli accordi internazionali. Tra i maggiori produttori di CO2 vi sono gli Stati Uniti, la Cina, l’India e il Brasile.

La terza certezza è costituita dalla proposta avanzata dall’Unione europea, che prevede l’istituzione di un sistema vincolante di obiettivi: il 20 o il 30 per cento.

La quarta certezza è che, per svariati motivi, non si registrano segnali ragionevoli da cui si possa evincere che i maggiori produttori di CO2 intendano accettare un accordo di questo tipo. Purtroppo questa è la realtà.

Accettare la realtà così com’è non è indice di mancato ottimismo. Se invece la si ignora del tutto , sarà il pessimismo a prendere il sopravvento. E’ solo accettando la realtà dei fatti che potremo inaugurare una politica efficace, che si rivelerà anche più ottimistica.

A mio avviso l’Unione europea, assumendo un ruolo di capofila in tale ambito, ha il dovere di elaborare ulteriori proposte e misure. Si è citato il Giappone e, a tale riguardo, non possiamo non parlare del successo di progetti come Sector Focus, che interessa la maggior parte delle industrie inquinanti. Sulla base di un processo di analisi comparativa, progetti come questo hanno consentito di raggiungere obiettivi straordinari in Giappone. Sono queste le strategie realistiche per affrontare il problema del cambiamento climatico.

Copenaghen rappresenta un’opportunità, ma sarà un’opportunità di dimostrarci efficaci, anziché retorici, solo se fonderemo le nostre decisioni sulla realtà dei fatti.

 
  
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  Jo Leinen, a nome del gruppo S&D(DE) Signora Presidente, il commissario Rehn si è complimentato con questo Parlamento per le attività svolte ai fini dell’adozione del pacchetto sul clima ed è nostra ferma intenzione continuare ad adottare un approccio ambizioso in tal senso.

Ieri sera, la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare ha votato, con 55 voti a favore e uno contro, a favore dell’adozione di una risoluzione volta a definire obiettivi ambiziosi per i negoziati di Copenaghen. Questo risultato dimostra come il negazionismo del cambiamento climatico e l’ignoranza circa le problematiche a esso correlate siano rappresentati in questo Parlamento da una sparuta minoranza, che ha espresso in varie occasioni le proprie indegne opinioni, pur trovandosi in controtendenza rispetto ai cittadini di tutti gli Stati membri dell’Unione.

Per l’atmosfera del pianeta, l’origine della CO2 non ha alcuna importanza. Ecco spiegato il motivo per cui abbiamo bisogno di un accordo globale applicabile a tutti i paesi e non – come è già stato sostenuto a Bangkok – diversi accordi: uno per gli Stati Uniti, uno per l’Europa e uno per i paesi in via di sviluppo. Sarebbe disastroso. Ci occorre un patto globale contro il cambiamento climatico, nonché un patto globale di solidarietà tra i paesi ricchi e i paesi poveri – un’argomentazione che è già stata formulata più volte.

Il cambiamento climatico offre a noi e ai paesi in via di sviluppo l’opportunità di inaugurare uno sviluppo a basse emissioni di carbonio grazie alle nuove tecnologie nonché avviare la modernizzazione delle infrastrutture. L’Europa deve fornire il proprio contributo in tal senso. Per quanto concerne il finanziamento, abbiamo sostenuto la posizione secondo cui l’Europa ha bisogno di 30 miliardi di euro entro il 2020, nonché di strumenti di finanziamento duraturi e programmabili. Tali strumenti non devono dipendere esclusivamente dai fondi già previsti dal bilancio, ma devono poter contare anche su altre fonti di finanziamento.

Vorrei sottolineare, ancora una volta, che devono essere coinvolti anche i settori del trasporto marittimo e dell’aviazione, senza trascurare, ovviamente, gli ambiti forestale e agricolo. Sviluppo e tutela dell’ambiente non sono concetti antitetici. Al contrario, a Copenaghen dovranno trovare la loro sintesi.

 
  
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  Gerben-Jan Gerbrandy (ALDE).(NL) Signora Presidente, quando ormai tutto è stato detto e fatto, non vi è che una sola soluzione al cambiamento climatico, vale a dire la tecnologia. Solo nuove tecnologie possono consentirci di mantenere intatto il nostro stile di vita. Lo sviluppo tecnologico procede tuttavia troppo a rilento e la sua diffusione è particolarmente lenta, soprattutto nei paesi in via di sviluppo,. Il clima rappresenta un problema globale, ma finora non è stato affrontato condividendo le migliori tecnologie disponibili. Kyoto è stato un fallimento totale in questo senso, da cui dobbiamo sapere trarre i necessari insegnamenti.

Ovviamente, non possiamo trascurare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale. Le aziende leader nello sviluppo tecnologico devono essere incoraggiate e premiate in maniera adeguata. Cionondimeno, dobbiamo garantire che le nuove conoscenze si diffondano in maniera più rapida. A tal fine, il protocollo di Montreal ha istituito un fondo che ha per oggetto proprio il problema dell’ozono ed è stata avanzata l’idea del Fondo multilaterale per le tecnologie climatiche. La Commissione e il Consiglio ci possono illustrare la propria posizione al riguardo?

Da ultimo, è particolarmente importante per i paesi in via di sviluppo che si ponga fine al fenomeno della deforestazione. Mi sembra però di capire che l’Unione europea sia divisa per quanto concerne il ruolo delle foreste, in particolare per le posizioni di Svezia, Finlandia e Austria. Come possiamo convincere i paesi in via di sviluppo a porre fine al fenomeno del disboscamento se l’Unione europea stessa adotta un atteggiamento ambiguo nei confronti delle proprie foreste? Vorrei conoscere l’opinione del ministro Carlgren a proposito.

 
  
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  Bas Eickhout (Verts/ALE).(NL) Signora Presidente, stiamo parlando di cambiamento climatico, ma in realtà dovremmo parlare delle persone che ne sono maggiormente colpite, in particolare nei paesi meno sviluppati. Nelle Maldive, per esempio, gli abitanti lottano contro l’innalzamento del livello del mare e in Sudan il problema è rappresentato dalla ridotta fertilità dei terreni.

La Commissione continua a dare per scontato che gli attori del mercato contribuiranno in misura significativa all’adattamento al cambiamento climatico. Parlando con gli investitori, però, si nota che continuano a ripetere sempre lo stesso ritornello: “Sì, metteremo a disposizione dei fondi, ma saranno destinati essenzialmente alle economie emergenti. Non intendiamo investire in paesi vulnerabili”. Dopotutto, stiamo parlando di mercati instabili e i progetti di investimento nelle misure di adattamento al cambiamento climatico sono di dimensioni ridotte. Non è certo questo il tipo di progetti su cui gli investitori sono pronti a puntare.

Bisogna dire chiaramente che i finanziamenti pubblici devono essere diretti verso i paesi meno sviluppati. La Banca mondiale afferma chiaramente che l’importo in questione dovrà essere di almeno 80 miliardi di euro. E’ giunto il momento che l’Unione europea dia chiari segnali di leadership formulando un’offerta seria, piuttosto che limitarsi al vago importo di 2-15 miliardi di euro. L’Unione europea deve semplicemente seguire la direzione del Parlamento e proporre almeno 30 miliardi di euro.

 
  
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  James Nicholson (ECR).(EN) Signora Presidente, la conferenza sul cambiamento climatico di Copenaghen ci offre un’opportunità unica per affrontare questo problema di immensa portata. Se si considerano le conseguenze del riscaldamento globale, è ovvio che il mondo in via di sviluppo sta pagando il prezzo dei danni ambientali causati dai paesi più ricchi.

Il cambiamento climatico non è l’unico problema ambientale che ci si pone, ma è essenziale tentare di affrontarlo a Copenaghen. L’Unione europea ha la possibilità di parlare con una sola voce e di trovare soluzioni a un problema che ci interessa tutti. Tutti i paesi devono offrire il proprio contributo per il conseguimento degli obiettivi e per la promozione di uno sviluppo sostenibile. Il mondo in via di sviluppo deve essere sostenuto e incoraggiato, ma gli obiettivi definiti per questi paesi devono essere realistici.

So che vi sono persone che non condividono questo mio parere, ma non penso che ci si possa permettere di aspettare 50, 60 o 70 anni per capire chi abbia torto o ragione. Abbiamo la responsabilità di agire oggi, per fare quanto possibile mentre siamo ancora qui.

 
  
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  John Stuart Agnew (EFD).(EN) Signora Presidente, meno male che gli eretici non vengono più messi al rogo, altrimenti sarei già ridotto in cenere in questo momento. Mi trovo comunque in una situazione per così dire scottante, dato che mi oppongo all’idea di un cambiamento climatico provocato dall’uomo.

Il biossido di carbonio costituisce solo lo 0,038 per cento della nostra atmosfera e solo il 4 per cento di questo quantitativo è influenzato dall’attività umana. Si tratta altresì di un alimento fondamentale e insostituibile per la vita vegetale. Le piante crescono infatti in modo direttamente proporzionale alla quantità che ne assorbono. La penuria di questo gas sarebbe dunque molto più grave della sua eccedenza. Certe dichiarazioni allarmiste ed erronee, secondo cui un qualunque aumento del biossido di carbonio causerà l’innalzamento del livello dei mari, offrono alle amministrazioni locali un pretesto per non provvedere alla manutenzione degli economici sbarramenti in legno. Quando queste barriere, dopo 40 anni, inevitabilmente marciscono, non si fa nulla per ripararle, con i conseguenti danni alle abitazioni che sorgono sulle coste. Si sta dunque creando un clima di disperazione tra le comunità costiere. Se i modelli al computer non sono in grado di prevedere correttamente l’evoluzione delle condizioni atmosferiche nel breve termine, non possono certo essere adoperati per descrivere i cambiamenti di lungo termine.

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE).(SL) Onorevoli colleghi, vorrei ringraziare il ministro Carlgren e il commissario De Gucht per le loro dichiarazioni. Vi è tuttavia un altro aspetto che rappresenta, per me, fonte di preoccupazione: stiamo parlando di obiettivi quantitativi che dovranno essere conseguiti, rispettivamente, entro il 2020 e il 2050, mentre gli esperti ci avvisano che è necessario iniziare a ridurre le emissioni globali già nel 2015. Vorrei sapere se la Commissione ha trascurato o abbandonato questo obiettivo.

In secondo luogo, a Copenaghen dovremo giungere a un accordo onnicomprensivo, che coinvolga tutti i paesi. Non è sufficiente imporre questi ambiziosi standard ambientali solo all’Europa, dato che, così facendo, si otterrà il solo risultato di trasferire in altre parti del mondo le tecnologie responsabili dell’elevato livello di emissioni. Mi interesserebbe sapere dalla Commissione come intende introdurre nei negoziati la questione di un’equa ripartizione degli oneri tra i vari paesi industrializzati e quale argomentazione utilizzerà per incoraggiare i paesi in via di sviluppo ad assumersi le proprie responsabilità. Come potremo evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio? Vorrei tanto che avessimo un asso nella manica.

In terzo luogo, vorrei sottolineare che non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla realtà. I combustibili fossili rappresentano la principale fonte di emissioni e non saremo in grado di metterli al bando nel futuro immediato. Aspettarsi che i paesi abbandonino il carbone come se nulla fosse non è realistico. I paesi sviluppati non agiranno in tal senso ed è ancora più improbabile che lo facciano i paesi in via di sviluppo. Per tale motivo dovremo prestare grande attenzione, nell’ambito dei negoziati internazionali, allo sviluppo costante e all’uso di tecnologie che consentano di sfruttare i combustibili fossili in maniera più efficiente, senza emissioni di gas serra. C’è un’altra azione che l’Europa può intraprendere oggi: potenziare il finanziamento del Settimo programma quadro, che è stato studiato ai fini di una cooperazione internazionale sul cambiamento climatico.

 
  
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  Matthias Groote (S&D).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, signor Ministro, onorevoli colleghi, il tema del cambiamento climatico ci terrà occupati molto più a lungo della crisi economica e finanziaria. Non mancano le similitudini tra questi due ambiti: entrambi hanno un costo notevole. A Copenaghen dovremo raggiungere un accordo sugli strumenti finanziari per il terzo mondo e per i paesi in via di sviluppo.

La conferenza di Copenaghen deve essere un successo e noi possiamo offrire un contributo in tal senso. Ieri abbiamo svolto un buon lavoro adottando la risoluzione in seno alla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare con un’ampia maggioranza. A mio avviso, tale risoluzione potrà contare su un’ampia maggioranza anche qui in Parlamento. In tal modo, potremo quindi influire sul clima politico man mano che il vertice di Copenhagen si avvicina. C’è spesso un risvolto psicologico in ogni cosa e, da parte nostra, abbiamo un ruolo da svolgere anche in questo senso.

C’è comunque un aspetto che mi preoccupa. In seno al Parlamento europeo, ci siamo impegnati perché l’aviazione venisse inserita nel sistema di scambio delle emissioni e alla fine siamo riusciti nel nostro intento. Mi appello pertanto a Commissione e Consiglio affinché garantiscano che questo obiettivo venga perseguito in maniera coerente a Copenaghen. Dobbiamo giungere a un accordo internazionale in moto tale che il trasporto marittimo e l’aviazione vengano inseriti nel trattato che succederà al protocollo di Kyoto. Questi due settori, infatti, stanno crescendo in maniera sproporzionata, contribuendo in maniera ugualmente sproporzionata al riscaldamento globale.

Non dovremmo superare il livello di 2 gradi Celsius. E’ qui, tra l’altro, che si fermano le similitudini tra la crisi finanziaria e il cambiamento climatico. Se superiamo questo limite, significa che il danno provocato al nostro pianeta sarà irreparabile.

 
  
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  Pat the Cope Gallagher (ALDE).(EN) Signora Presidente, non dobbiamo lasciarci sfuggire le opportunità che possono derivare dall’adozione di un esaustivo accordo internazionale a Copenaghen per porre efficacemente un freno al cambiamento climatico. L’Unione si impegna a garantire che il 20 per cento del proprio fabbisogno energetico venga soddisfatto dal settore delle energie rinnovabili entro il 2020. L’Europa – e il mio paese, in particolare, l’Irlanda – possono diventare leader mondiali nello sviluppo di nuove tecnologie innovative in grado di sfruttare il moto ondoso e le maree.

Lo sviluppo di tali tecnologie rappresenta un elemento fondamentale nelle strategie volte a raggiungere i nostri obiettivi climatici. Dobbiamo potenziare al massimo i finanziamenti nell’ambito del Settimo e dell’Ottavo programma quadro per la ricerca e la tecnologia nel lasso di tempo che ci separa dalla scadenza del 2020.

(GA) Gli investimenti nelle tecnologie verdi contribuiranno a creare posti di lavoro in Europa in un periodo di crisi economica. Sappiamo tutti quali gravi difficoltà ci aspettano se non ci assumiamo le nostre responsabilità internazionali. Sappiamo tutti quali sfide dovremo affrontare. Dovremo dunque essere in grado di coglierle in maniera decisa e responsabile.

 
  
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  Claude Turmes (Verts/ALE).(EN) Signora Presidente, conosce la roulette russa? Ha mai provato a giocare alla roulette russa? Ovviamente no, perché avrebbe una possibilità su sei di uscirne morta o ferita. Se Copenaghen non sarà un successo, non avremo neppure il 50 per cento di possibilità di evitare che questo pianeta entri in una fase pericolosa del cambiamento che investe il suo clima.

Perché ci ritroviamo in questa situazione impossibile? Essenzialmente abbiamo perso vent’anni – vent’anni dalla grande conferenza di Rio, vent’anni di pressioni subite dalle sporche industrie del petrolio, del carbone e delle auto. Vent’anni di centro-destra negli Stati Uniti e in Europa che hanno reso la vita difficile ai verdi e ad altri nel loro tentativo di portare avanti un programma ambizioso.

Il vertice europeo della settimana prossima a Copenaghen sarà dunque l’ultima occasione per il centro-destra in Europa – giacché la presidenza svedese del Consiglio e la Danimarca, oltre a Francia e Germania, sono governate da politici di centro-destra – per agire in maniera responsabile.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE).(PL) Signora Presidente, sulla scena internazionale l’Unione europea viene considerata leader in due particolari ambiti: la promozione di un dialogo a favore di un’azione contro il cambiamento climatico e la definizione di priorità politiche per la riduzione delle emissioni di CO2. Nell’ambito dei preparativi in corso per la conferenza di Copenaghen, l’Unione europea si è assunta un numero maggiore di impegni rispetto a qualunque altra regione al mondo. A oggi, nessuna delle potenze industriali – Stati Uniti, Giappone, Australia – ha inviato una proposta specifica, con dati precisi, descrivendo nei dettagli gli aiuti destinati ai paesi in via di sviluppo per sostenerli nell’impegno di limitare le emissioni di CO2 e a sostegno dello sviluppo di tecnologie a elevata efficienza energetica basate su fonti di energia rinnovabili.

L’Europa potrà risultare un partner credibile nell’ambito dei negoziati solo se presenta proposte realistiche, praticabili e basate sul buon senso, che fungano da punto di partenza per raggiungere un consenso e un’intesa a livello internazionale. Ora, l’Europa ha bisogno di alleati e di sostegno per le proposte avanzate. Dovremmo pertanto essere cauti nell’assumerci impegni ancora più gravosi in termini di riduzione delle emissioni, passando dal 20 al 30 per cento, dato che altri paesi industrializzati non si stanno dimostrando disponibili a porsi obiettivi altrettanto ambiziosi. Anche il sostegno finanziario destinato ai paesi in via di sviluppo, infatti, dovrebbe corrispondere a un impegno realistico. Non dovrebbe essere semplicemente un elenco di desiderata, ma tradursi in un sistema di erogazione di aiuti in linea con il principio dello sviluppo sostenibile, che consenta ai relativi beneficiari di pianificare le azioni da intraprendere.

Vi è un altro aspetto significativo dal punto di vista dei cittadini europei. Non dovremmo dimenticare che il vertice di Copenaghen, le nostre risoluzioni e i preparativi del Parlamento per il vertice dovrebbero essere accompagnati da un chiaro sistema di comunicazione con i cittadini, con la società. Non vogliamo che si venga a creare una barriera o un divario tra la società e le istituzioni dell’Unione europea nella comunicazione relativa al surriscaldamento globale.

 
  
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  Michael Cashman (S&D).(EN) Signora Presidente, manterrò le mie emissioni di CO2 a un livello contenuto e sarò breve. Signor Commissario, fa piacere vederla al lavoro. Ed è un piacere vedere qui anche un rappresentante della presidenza.

Parlare del 2020 o del 2050 non basta. Abbiamo bisogno di un accordo e di risultati adesso, dato che il cambiamento climatico sta mettendo a repentaglio le azioni di riduzione della povertà. Le risorse stanziate per l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) sono destinate in misura sempre minore allo sviluppo. Si tratta di una situazione inaccettabile, che mette a rischio gli obiettivi di sviluppo del Millennio, che devono essere assolutamente conseguiti. A Copenaghen vedremo 27 paesi parlare con una sola voce nella volontà di raggiungere obiettivi ambiziosi.

Abbiamo sentito, in quest’Aula, le voci di coloro che negano l’esistenza di un cambiamento climatico. Vorrei dire semplicemente questo: stiamo parlando di piante e CO2; di deforestazione e desertificazione. Il che significa che, in qualche regione del mondo, vi è una penuria di acqua. Non ci sono alberi. Il cambiamento climatico uccide. E’ così. Dobbiamo essere chiari: gli Stati membri dovrebbero continuare a destinare lo 0,7 per cento del proprio reddito nazionale lordo allo sviluppo, portandone l’utilizzo massimo al 10 per cento e aggiungendo poi gli ulteriori fondi necessari per combattere e sconfiggere il cambiamento climatico.

 
  
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  Fiona Hall (ALDE).(EN) Signora Presidente, temo che i calcoli della Commissione relativi ai finanziamenti internazionali per il clima siano solo fumo negli occhi.

In primo luogo si sostiene che il 90 per cento delle misure per l’efficienza energetica possa essere finanziato dai paesi in via di sviluppo stessi. Tale percentuale corrisponde a un importo di 30 miliardi di euro l’anno. Nell’Unione europea il principale ostacolo all’introduzione di misure per l’efficienza energetica, sia per i governi che per i privati cittadini, è rappresentato dalla mancanza di un anticipo sui finanziamenti. Per quale motivo la Commissione ritiene che i paesi in via di sviluppo possano finanziare misure di efficienza energetica senza poter contare su un anticipo sui finanziamenti quando gli Stati membri dell’Unione stessi hanno faticato in tal senso?

Inoltre, l’idea che il mercato internazionale del carbonio possa mettere a disposizione 38 miliardi di euro l’anno è irrealistica. Abbiamo visto con quanta lentezza è decollato il sistema europeo dello scambio di emissioni per il mercato di CO2 e quali pesanti conseguenze ha sortito la crisi economica sul prezzo dell’anidride carbonica. E’ probabile che si debbano attendere decenni prima che si possa contare su un mercato internazionale del carbonio che funzioni in maniera adeguata, ragion per cui abbiamo bisogno di nuove e ulteriori misure di finanziamento adesso.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE).(FR) Signora Presidente, il cambiamento climatico, come stiamo dicendo da stamattina, si traduce essenzialmente in un aumento dei fenomeni della desertificazione e della siccità. E’ sinonimo di deforestazione, disastri naturali, diffusione di carestia e povertà, soprattutto nei paesi dell’emisfero meridionale, e flussi migratori.

Il vertice di Copenaghen deve sancire l’impegno delle nazioni del mondo per trovare un equilibrio tra questi quattro importanti obiettivi: il primo, ovviamente, consiste nel ridurre le emissioni di gas serra; ma è altresì necessario non rallentare lo sviluppo della nostra economia, prevenire il dumping ambientale e promuovere le nuove tecnologie europee.

Dunque, in questo senso, dato che non possiamo perdere di vista i paesi più poveri, vorrei attirare la vostra attenzione sui paesi in via di sviluppo e, in particolare, sui paesi in via di sviluppo più avanzati. Questo concetto non figura nei testi internazionali e questi paesi sono inseriti nella categoria dei paesi in via di sviluppo. Non vengono quindi considerati paesi tenuti a contribuire alle azioni di riduzione dei gas serra, pur rientrando tra i principali consumatori di CO2. Mi riferisco ovviamente, alla Cina, all’India e al Brasile, che a Copenaghen devono assolutamente impegnarsi a raggiungere obiettivi simili a quelli dei paesi industrializzati, dato che non hanno nulla a che fare con la maggior parte degli altri paesi in via di sviluppo.

Gli sforzi volti ad abbattere i livelli di CO2 devono essere ripartiti a condizioni le più eque possibili. Dobbiamo evitare la distorsione della concorrenza. I negoziati devono rappresentare anche un’occasione per promuovere il lancio di nuove tecnologie e consentire lo stanziamento di cospicue risorse per la ricerca e lo sviluppo.

A Copenaghen sarà necessario creare le condizioni per uno scambio sostenibile tra i paesi, basato sugli interessi reciproci. Riusciremo nel nostro intento se saremo in grado di favorire un trasferimento delle tecnologie verso i paesi meno sviluppati, in cambio di un riconoscimento dei diritti di proprietà intellettuale e di un’apertura dei loro mercati a queste tecnologie.

 
  
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  Enrique Guerrero Salom (S&D).(ES) Signora Presidente, le due crisi più gravi al mondo sono rappresentate dalla povertà e dagli effetti del cambiamento climatico: due crisi che saranno sempre più legate tra loro in futuro, due crisi che sortiranno conseguenze sempre più devastanti con il passare del tempo.

Il numero di poveri oggi è nettamente superiore a un anno fa: sono decine di milioni in più. Oggi gli effetti del cambiamento climatico sono più gravi e intensi che mai.

Manca un mese e mezzo a Copenaghen, sono solo poche settimane. A Copenaghen dobbiamo impegnarci al massimo. Dobbiamo dedicarci in misura maggiore alla lotta contro il cambiamento climatico, ma senza attingere alle risorse che stiamo già destinando agli aiuti allo sviluppo, all’istruzione e alla sanità.

I paesi in via di sviluppo hanno bisogno di entrambi i tipi di risorse. Dobbiamo quindi spingerci oltre lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo. E’ questo il messaggio trasmesso da vari leader in occasione del recente vertice delle Nazioni Unite. E’ stato questo il messaggio del primo ministro spagnolo.

 
  
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  Peter Liese (PPE).(DE) Signora Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, qualche giorno fa si è svolto a Bruxelles, con la partecipazione del commissario per la salute, signora Vassiliou, e di esperti del campo medico provenienti da tutta Europa, un simposio incentrato sul tema dei rapporti tra salute e cambiamento climatico. Il titolo dell’evento, foriero di preziose informazioni, era “Prescription for a healthy planet” (Ricetta per un pianeta sano). Nel corso del suo intervento, il presidente del Comitato permanente dei medici europei (CPME) ha utilizzato un’immagine molto efficace: il paziente pianeta terra è come una persona che soffre di una grave malattia. Più si ritarda a intervenire, più doloroso sarà il trattamento e si arriverà addirittura a un momento in cui sarà troppo tardi per qualsiasi terapia. Giunto a quel punto, il paziente non potrà più riprendersi. Ecco perché dobbiamo agire in maniera rapida e decisa per il paziente pianeta terra. Spero che siate tutti d’accordo da questo punto di vista.

E’ altrettanto vero che il cambiamento climatico interessa tutti – ogni paese della terra e ogni settore dell’economia europea. In quest’ottica, si nota però l’esistenza di uno squilibrio: imponiamo, infatti, oneri pesantissimi a soggetti che partecipano ormai tradizionalmente al sistema europeo di scambio delle emissioni e rappresentano meno del 50 per cento di tutte le emissioni dell’Unione. Abbiamo bisogno quindi di più spalle per reggere questo fardello. E’ quanto abbiamo deciso ieri sera. Abbiamo anche approvato gli emendamenti dal n. 198 al n. 202 sull’inserimento dell’aviazione – come sottolineato dall’onorevole Groote – e del trasporto marittimo. Forse questo approccio deve essere elaborato e differenziato meglio, ma si tratta di un passo nella direzione giusta. La Commissione e il Consiglio devono essere maggiormente attivi da questo punto di vista. Né durante il vertice dell’Unione che ha preceduto Pittsburgh, né Pittsburgh sono stati compiuti passi avanti in questo senso. Il Consiglio e la Commissione devono agire maggiormente a riguardo.

Un’ultima osservazione. Anche altre regioni del mondo devono attivarsi. Sono lieto che Barack Obama abbia vinto il nobel per la pace quest’anno, ma se non si presenta a Copenaghen o se non avanza una proposta adeguata, la sua credibilità ne risentirà. Ecco perché dovrà ottenere risultati concreti a Copenhagen.

 
  
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  Kriton Arsenis (S&D) . – (EL) Signora Presidente, i paesi in via di sviluppo hanno contributo al cambiamento climatico in una misura inferiore a tutti gli altri paesi. Al contempo, non possiamo negare però che siano loro a subirne le conseguenze peggiori. In Africa, milioni di persone sono costrette a percorrere ogni anno distanze sempre maggiori per trovare acqua, legna per cucinare e cibo. Stiamo parlando di persone che dipendono dai “servizi” offerti loro dagli ecosistemi naturali, persone che non sono responsabili direttamente del cambiamento climatico.

Questi ecosistemi naturali, come le foreste in Africa, immagazzinano una quantità di anidride carbonica superiore di tre volte rispetto alle emissioni che producono e rispetto alle quantità attualmente presenti nell’atmosfera, oltre ad assorbire il 50 per cento della CO2 che emettiamo nell’atmosfera ogni anno. Ecco perché la tutela e l’arricchimento del patrimonio forestale secondo processi naturali e senza intenti commerciali dovrebbero rientrare tra le principali priorità della nostra politica, sia per contrastare il cambiamento climatico che per consentire ai paesi sviluppati e in via di sviluppo di adattarvisi.

 
  
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  Theodoros Skylakakis (PPE) . – (EL) Signora Presidente, vorrei esprimere il mio parere relativamente a una questione specifica ma molto importante: il ruolo del trasporto marittimo rispetto a Copenaghen e ai paesi in via di sviluppo. Sono due i commenti che vorrei formulare: sarebbe un errore enorme trattare i settori del trasporto marittimo e dell’aviazione come se fossero uno solo. La navigazione marittima rappresenta la modalità di trasporto più efficiente ed ecocompatibile che esista, mentre l’aviazione si colloca in una posizione diametralmente opposta in questo senso. Il trasporto marittimo, pertanto, deve essere sicuramente soggetto a determinati obiettivi, ma questi devono essere equi rispetto, in particolare, al trasporto su strada, che è in diretta concorrenza con il trasporto via mare, ma è molto più inquinante. Colpendo in misura sproporzionata il trasporto marittimo rispetto a quella su gomma, andiamo a colpire in maniera sproporzionata il cuore delle economie dei paesi in via sviluppo, basate essenzialmente sulle materie prime, i prodotti agricoli e l’industria, che ricorrono al trasporto marittimo, a differenza delle nostre economie, che sono essenzialmente economie di servizi.

Saremo in grado – mi chiedo – di convincere i paesi in via di sviluppo delle nostre buone intenzioni proponendo un finanziamento per la lotta al cambiamento climatico basato su fondi che trarremo, in misura sproporzionata, dal trasporto marittimo e che, in termini di percentuale di PIL, andranno a gravare più sui paesi in via di sviluppo che sui paesi sviluppati?

Avendo saputo che ieri il gruppo Verde/Alleanza libera europea si è rifiutato di appoggiare una discussione sulla correlazione tra gli obiettivi per il trasporto marittimo e gli obiettivi per il trasporto su strada, mi chiedo inoltre se guidare su un’autostrada europea a bordo di un’auto di lusso a 180 chilometri all’ora sia più ecologico che trasportare cibo e materie prime per l’economia del pianeta.

 
  
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  Gilles Pargneaux (S&D).(FR) Signora Presidente, signor Ministro, signor Presidente della Commissione, ci troviamo di fronte a una sfida per l’umanità, una sfida per le generazioni future. Per poterla cogliere, Copenaghen deve offrire le condizioni adatte per la stipula di un accordo globale e unico. E’ infatti necessaria un’alleanza universale, che coinvolga paesi industrializzati ed emergenti, come sottolineava il presidente della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, l’onorevole Leinen.

Oggi, con la nostra discussione, ma anche con la redazione di una risoluzione da parte di questo Parlamento, ci appelliamo ancora all’Unione europea affinché mantenga il proprio ruolo guida nella necessaria politica di lotta contro il cambiamento climatico. Ricordiamoci che dobbiamo parlare con una sola voce se vogliamo mantenere intatta la nostra credibilità.

Sì, a Copenaghen dobbiamo raggiungere un accordo per limitare l’aumento della temperatura media globale in modo tale che non superi i livelli pre-industriali di più di 2 gradi. Sì, a Copenaghen dobbiamo firmare un accordo atto a garantire collettivamente che, entro il 2020, il livello di emissioni di gas serra si collochi a un livello inferiore del 30 per cento rispetto al 1990. Questo, tuttavia, non sarà sufficiente. Non basta che i paesi sviluppati riducano in maniera sostanziale le proprie emissioni; anche i paesi in via di sviluppo devono contribuire al raggiungimento di questi obiettivi.

Ne consegue che i paesi industrializzati devono offrire ai paesi in via di sviluppo un sostegno tecnico-finanziario adeguato, programmabile e a lungo termine, teso a incoraggiarli a impegnarsi a ridurre le loro emissioni di gas serra. Copenaghen deve inoltre consentire anche ai paesi in via di sviluppo di muoversi nella direzione di modelli a basse emissioni di carbonio.

Consentitemi inoltre di soffermarmi su due ambiti che sono, a mio avviso, imprescindibili per il nostro futuro. In primo luogo, la creazione, a livello mondiale, di un sistema di finanziamento della lotta contro il riscaldamento globale, basato sull’imposizione fiscale delle transazioni finanziarie. In secondo luogo, mi sembra necessario introdurre un sistema di compensazione fiscale alle frontiere dell’Europa, applicabile alle importazioni di prodotti fabbricati senza la benché minima attenzione alla tutela dell’ambiente. Tale sistema di compensazione fiscale verrebbe correlato al rimborso della tassa sulla CO2 a favore dei paesi del Sud, prevista da contratto e riscossa alla frontiera europea. L’importo così rimborsato verrebbe poi utilizzato per finanziare gli investimenti in attrezzature destinate a tali paesi, necessarie per contrastare il riscaldamento globale.

 
  
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  Rachida Dati (PPE).(FR) Signora Presidente, in linea con l’ultimo G20, che ha rappresentato un’occasione per l’Europa di svolgere un ruolo guida nella definizione di un nuovo ordine economico mondiale, il prossimo dicembre, alla conferenza di Copenaghen, l’Europa avrà di nuovo la responsabilità, ma soprattutto l’obbligo, di mostrare ai propri partner internazionali la strada da seguire.

Contrariamente a quanto è stato appena detto, in particolare tra le fila dei colleghi del gruppo Verde/Alleanza libera europea, l’Europa ha iniziato ad assumersi le proprie responsabilità in termini di tutela ambientale, dato che, nel dicembre del 2008, è stato adottato il pacchetto sull’energia e sul clima. Grazie a questo pacchetto l’Europa disporrà della legittimazione necessaria per guidare i negoziati verso la definizione di una risposta ambiziosa, concreta e di respiro mondiale alle sfide poste dal cambiamento climatico.

L’accordo che dovrà essere siglato a Copenaghen dovrà fondarsi sul principio di una responsabilità condivisa ma differenziata. Concretamente, come ha sottolineato l’onorevole Grossetête, spetta a noi, paesi industrializzati, fare in modo che i nostri partner, i paesi in via di sviluppo, possano disporre dei mezzi necessari per seguirci su un percorso ambizioso di lotta contro il cambiamento climatico.

Dobbiamo inoltre dare l’esempio, in particolare avviando un programma ambizioso, volto a ridurre dell’80 per cento le emissioni di gas serra entro il 2050. Ho sentito dire poco fa che non sarebbe sufficiente; ma sarebbe già comunque un buon inizio. Inoltre, al contempo, dobbiamo creare le condizioni affinché i paesi in via di sviluppo possano unirsi a noi in questo impegno globale.

Abbiamo una responsabilità, ma abbiamo anche dei doveri nei confronti di questi paesi. La realtà è evidente: abbiamo una sfida comune da vincere, che richiede la partecipazione di tutti. Eppure, sappiamo che non tutti disponiamo delle medesime capacità e non tutti abbiamo alle spalle la stessa storia. Copenaghen deve quindi essere un successo, fornendo però un contributo concreto che vada al di là di un mero impegno. L’Unione europea sarà giudicata in base a questo contributo e a questo impegno.

Se da Copenaghen non emergerà un impegno serio e condiviso da parte dei nostri partner internazionali a intraprendere azioni concrete, come ha sottolineato l’onorevole collega che mi ha preceduta, l’Europa dovrà imporre una tassa sul carbonio alle proprie frontiere. Sarà l’unico modo per essere ascoltati e per far sì che il nostro impegno virtuoso abbia un senso. Spetta all’Europa fare in modo che questo messaggio venga ascoltato.

 
  
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  Anni Podimata (S&D).(EL) Signora Presidente, la domanda fondamentale che dobbiamo porci, a sette settimane dal vertice di Copenaghen, è se saremo in grado o meno di giungere a un accordo con i paesi in via di sviluppo che abbia per oggetto un loro impegno nei confronti di un finanziamento globale delle politiche di lotta contro il cambiamento climatico. L’Europa ha compiuto dei passi importanti, definendo le fonti di finanziamento da approntare e le relative modalità di organizzazione. Tuttavia ora è giunto il momento di convincere altri paesi sviluppati ad assumersi la propria parte di responsabilità, tenendo conto del fatto che sostenere gli sforzi dei paesi in via di sviluppo nella lotta contro il cambiamento climatico ci offre altresì la possibilità di combattere le disuguaglianze a livello globale e di ridurre il divario che separa il mondo sviluppato da quello in via di sviluppo.

C’è un altro aspetto che non dovremmo dimenticare, in particolare all’interno dell’Unione europea. Sta per nascere una nuova categoria di profughi – i profughi del clima – che oggi non sono tutelati da nessuna convenzione internazionale e che, pertanto, non godono di alcun diritto. La comunità internazionale è tenuta a colmare questa lacuna giuridica e fornire un’assistenza significativa ai profughi, e l’Unione europea deve prendere l’iniziativa in tal senso.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE).(PT) Signora Presidente, signor Ministro, signor Commissario, l’Unione europea deve continuare a svolgere un ruolo chiave nell’ambito dei negoziati internazionali al fine di garantire il raggiungimento di un accordo ambizioso a Copenaghen. Questo accordo dovrebbe fondarsi sul principio di una responsabilità condivisa ma differenziata. Tale principio dovrebbe trovare applicazione in maniera equa nei confronti dei paesi in via di sviluppo, ma ognuno di essi necessita di misure adattate in funzione della propria particolare situazione, dato che questi paesi stanno attraversando fasi diverse e vivono in circostanze diverse. Tutti i paesi in via di sviluppo, ad eccezione dei meno sviluppati, dovrebbero adottare strategie di sviluppo a basso tenore di carbonio.

I paesi in via di sviluppo dovranno affrontare un costo di circa 100 miliardi di euro per ridurre le proprie emissioni e adattarsi agli effetti del cambiamento climatico. Parte dei fondi proverrà dal settore privato, ma sarà necessario anche un finanziamento pubblico internazionale, che si andrà ad aggiungere agli aiuti allo sviluppo ufficiali. E’ fondamentale definire in che modo verrà strutturato questo sistema di finanziamento, oltre a stabilirne la fonte e l’importo, in modo tale da garantire il raggiungimento di un accordo a Copenaghen.

D’altra parte, il meccanismo di sviluppo pulito previsto dal protocollo di Kyoto dovrebbe essere rivisto in modo tale che i crediti vengano erogati solo a favore di progetti che consentano ulteriori riduzioni delle emissioni. I paesi in via di sviluppo economicamente più avanzati e i settori economicamente più competitivi dovrebbe essere esclusi gradualmente da questo meccanismo, in modo tale che lo stesso possa essere dedicato principalmente ai paesi più poveri, in particolare in Africa.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D).(LT) L’Unione europea sta dando l’esempio per altri continenti affrontando le minacce che incombono sul nostro pianeta. A giovarne è anche la lotta contro il cambiamento climatico. L’Unione europea è pronta a farsi capofila anche in futuro, ma tutti i paesi che partecipano alla conferenza di Copenaghen dovranno unirsi a questa lotta.

Sono necessari ulteriori aiuti per i paesi in via di sviluppo. La loro crescita economica, come quella di Brasile, Russia, India e Cina, deve fondarsi sulle cosiddette “tecnologie verdi”. Si deve prestare maggiore attenzione alla condivisione delle tecnologie più avanzate e della conoscenza. L’Unione europea dovrebbe offrire un esempio in grado di convincere altri paesi, non limitandosi a un mero impegno nei confronti della riduzione delle emissioni, ma anche promuovendo le fonti di energia rinnovabili e potenziando l’efficienza energetica.

Non dimentichiamo che anche all’interno dell’Unione europea si osserva un divario di considerevole portata tra i paesi che adottano con successo le nuove tecnologie e risparmiamo energia e i paesi che, in questi ambiti, risultano essere ancora in ritardo. Dobbiamo impegnarci collettivamente per colmare questo divario. Offriremmo così un esempio positivo per tutti.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE).(FI) Signora Presidente, occorre riconoscere alcuni dati di fatto. In primo luogo, gli sforzi da noi profusi nei confronti del clima, finora, non si sono tradotti in alcun vantaggio concreto. La strategia si è rivelata inefficace dato che le emissioni sono aumentate sia in termini assoluti che relativi. Contrariamente alle aspettative, l’intensità del carbonio non ha fatto che aumentare a livello globale, proprio nel momento in cui la comunità internazionale stava investendo in questo ambito. Le emissioni per tonnellata di produzione registrate nei paesi firmatari del protocollo di Kyoto non sono diminuite in misura maggiore rispetto ai paesi che non hanno aderito all’accordo. L’accordo attuale è di scarsa efficacia e deve essere sostituito con un testo migliore, più completo, efficace e ambizioso.

In secondo luogo, dobbiamo ammettere che le nostre conoscenze in materia sono più scarse oggi di qualche tempo fa. Sebbene le emissioni siano aumentate in misura maggiore rispetto al previsto, la temperatura non sta seguendo tale incremento, a dispetto di ogni logica. Per ora ha smesso di aumentare e secondo le previsioni, nei prossimi anni, il raffreddamento globale dovrebbe proseguire. Ciononostante, l’arco temporale considerato è troppo breve per poter trarre conclusioni di sorta o per consentirci di dimenticare il fenomeno del riscaldamento così come si presentava in precedenza. Questa informazione, che crea confusione tra l’opinione pubblica, non significa che non dobbiamo preoccuparci più del cambiamento climatico, ma che abbiamo bisogno di maggiore ricerca. Di conseguenza, le emissioni devono comunque collocarsi a un livello ragionevole, indipendentemente dalla rapidità del riscaldamento del pianeta. Il punto di partenza in tal senso dovrebbero essere le idee sullo sviluppo sostenibile indicate nella relazione sugli obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite. Questo documento non si limita a considerare solo la questione del carbonio, ma prevede una politica più generale sul clima.

In terzo luogo, stiamo attraversando tutti una crisi economica e, di conseguenza, abbiamo una responsabilità nei confronti dei nostri cittadini. Dobbiamo essere saggi ed efficaci. Il mondo non si può più permettere un accordo sul clima di scarsa efficacia. Non possiamo più permetterci di continuare a compiere gli errori di Kyoto e non abbiamo bisogno di un accordo che si limiti a spostare le emissioni da un luogo all’altro del pianeta senza ridurle effettivamente. Dato che i criteri alla base dell’attuale politica climatica riguardano le emissioni generate dalla produzione e non dal consumo, la causa del problema può essere ricercata altrove. Se consideriamo il conseguente fenomeno della rilocalizzazione delle emissioni di CO2, è addirittura possibile che le emissioni diminuiscano a livello locale, ma aumentino a livello mondiale. Abbiamo bisogno, invece, di notevoli investimenti nella decarbonizzazione e in tecnologie in grado di ridurre le emissioni. La produzione non eco-compatibile dovrebbe essere bandita ovunque. Non possiamo creare divari di sorta, anche se il sistema di scambio delle emissioni dell’Unione europea è un vero e proprio modello in tal senso!

 
  
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  Ivari Padar (S&D). (ET) Signora Presidente, l’adozione di misure ambiziose a tutela del clima contribuirebbe a risolvere l’attuale crisi economica attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro e un aumento dell’attività economica. L’Agenzia internazionale per l’energia ritiene necessario giungere a un accordo a Copenaghen per poter orientare gli investimenti rimandati a causa della crisi verso il settore delle energie sostenibili.

Posso intravedere delle opportunità anche per il mio paese, l’Estonia. Abbiamo bisogno di un programma di risparmio energetico di ampio respiro, nonché di un approccio ambizioso e a lungo termine nel settore dell’energia rinnovabile. Non dovremmo però fermarci qui. Dovremmo rivedere le nostre normative in materia di trasporti e logistica, utilizzare materiali e tecnologie edili eco-compatibili, ridurre l’uso di materiali e sostanze chimiche nell’industria, rivedere i metodi di imballaggio usati nel settore del commercio al dettaglio e sviluppare le colture biologiche.

Queste e molte altre soluzioni costituiranno i principali settori di crescita per il futuro. Molte di queste soluzioni richiedono l’intervento dei nostri scienziati, ma alcune possono essere messe a punto da noi stessi.

 
  
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  Elisabetta Gardini (PPE). - Signora Presidente, onorevoli colleghi, ho visto che è stato riportato molte volte il discorso sulla votazione che è avvenuta ieri nella commissione ambiente.

Vorrei che fosse evidente, invece, che non può essere tutto ricondotto ad un'unica posizione estremista ideologica. Abbiamo sentito tante posizioni dei colleghi che sono molto variegate, molto più articolate, molto più di buon senso e quindi essendo più aderenti alla realtà io credo più in grado di fornire risposte reali.

La scienza come totem non esiste, quando si è fatto questo errore di individuare un problema in modo così ideologico non si sono date risposte, ma si sono fatti disastri e l'Europa in questo dovrebbe essere maestra, non ripetere gli stessi errori anche se con vesti diverse e con etichette che sembrano apparentemente molto più amichevoli. Devo ricordare che la stessa direttiva dell'Emission trading prevede proprio che il percorso virtuoso dell'Unione europea sia oggetto di una valutazione da parte della Commissione, sulla base di quelli che saranno gli esiti della conferenza.

Noi alla conferenza dobbiamo andare avendo sicuramente delle posizioni forti, avendo delle idee chiare, ma cercando assolutamente di equamente suddividere gli sforzi fra tutti i paesi industrializzati in primo luogo, che devono assumere obiettivi di riduzione di emissione equivalenti, ma anche non dimenticando quello che ricordava benissimo la collega Grossetête, che oramai tra i paesi in via di sviluppo non possiamo non fare delle differenziazioni: ci sono paesi in via di sviluppo veramente e ci sono i paesi che oramai sono paesi che hanno economie emerse, parlo dell'India, della Cina, del Brasile. Sono paesi che non possono non assumersi anche loro i loro impegni.

Ecco, io invece chiedo con forza che, se l'equilibrio non ci sarà a Copenaghen, veramente l'Unione europea continui ad assicurare la concessione di quote gratuite ai settori a rischio ai sensi della direttiva 2003/87/CE. Sono punti fondamentali, noi vogliamo che il protocollo di Kyoto stesso mantenga il suo significato ambientale e vogliamo soprattutto che non si vada a creare una bolla finanziaria a discapito delle nostre imprese europee.

 
  
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  Vincent Peillon (S&D).(FR) Signora Presidente, come abbiamo avuto modo di sentire più volte stamattina, il problema del finanziamento ai paesi in via di sviluppo nella lotta contro il riscaldamento globale può causare il fallimento del vertice di Copenaghen, per quanto sia negli auspici di tutti che questo appuntamento si riveli un successo.

Non dimentichiamo tuttavia che questi paesi sono spesso le principali vittime del fenomeno del riscaldamento globale, pur non essendone responsabili. I paesi industrializzati hanno messo a disposizione un sostanzioso pacchetto di aiuti finanziari. Tali aiuti, oggi, risultano insufficienti e, in ogni caso, gli importi dichiarati non vengono effettivamente erogati. Ecco perché dobbiamo e dovremo trovare nuove fonti di finanziamento.

La commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare, sulla scia della commissione per lo sviluppo, ha riconosciuto la necessità di avviare una riflessione in merito all’introduzione di un’imposta da applicare alle transazioni finanziarie, sulla falsariga della tassa Tobin. Tale imposta sulle transazioni speculative, la cui aliquota sarebbe pari allo 0,01 per cento, genererebbe un gettito annuale di 100 miliardi di dollari, vale a dire l’importo ritenuto necessario entro il 2020 per lottare contro il riscaldamento del pianeta nei paesi in via di sviluppo

Pertanto il Parlamento, seguendo l’esempio di alcuni leader politici nazionali, si sta assumendo le proprie responsabilità. Vorrei conoscere la posizione del Consiglio e della Commissione e sapere se intendano o meno offrirci il loro sostegno in questo senso.

 
  
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  Lena Ek (ALDE).(SV) Signora Presidente, il mondo si trova attualmente ad affrontare tre sfide di considerevole portata: la crisi finanziaria, la crisi occupazionale e la crisi climatica. Le proposte che avanzeremo dovranno contribuire alla soluzione di tutte e tre queste crisi. Le nostre aziende si trovano ad affrontare sfide impegnative, ma non dobbiamo perdere di vista le opportunità che ci si presentano per la creazione di nuovi posti di lavoro e la gestione di una serie di crisi sociali. Se applichiamo nel modo giusto le soluzioni prospettate, accompagnandole con decisioni giuste e sufficientemente coraggiose, ad opera di chi è in prima linea nei negoziati, la nostra azione potrebbe essere foriera di un vero e proprio rinnovamento, dando vita a una nuova economia sostenibile nel mondo.

I popoli di tutto il mondo si aspettano che da Copenaghen escano provvedimenti vigorosi. Non dobbiamo dimenticare che gli Stati Uniti vorranno soluzioni basate sull’economia di mercato, l’Europa soluzioni con un fondamento giuridico e la Cina vorrà risolvere i propri problemi sociali interni. Si registrano delle differenze di approccio anche all’interno dell’Europa. Vi sono membri di questo Parlamento che vogliono imporre soglie così elevate da rendere impossibile il raggiungimento di una soluzione a Copenaghen, mentre altri insistono su soluzioni di mera natura volontaria.

Il futuro è nelle mani di un’economia di mercato liberale e verde. Dobbiamo garantire che i consumatori abbiano la possibilità di utilizzare il potere di cui dispongono sul mercato offrendo loro conoscenza e trasparenza.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE).(RO) La deforestazione, un fenomeno cui si è accennato spesso nel corso di questa discussione, interessa sicuramente i paesi in via di sviluppo per primi. Tuttavia, prima di incolpare questi paesi, dobbiamo renderci conto che la deforestazione soddisfa alcuni bisogni primari per la sopravvivenza.

Vorrei citare nella discussione odierna le conclusioni di uno studio condotto di recente, da cui si evince che quasi la metà dei terreni agricoli del mondo è costituita, per almeno il 10 per cento della loro estensione, da foreste. Le zone agricole la cui superficie è ricoperta da un manto boschivo corrispondono al doppio dell’area occupata dalla foresta pluviale amazzonica. Sulla base di questa semplice constatazione dovremmo renderci conto dell’importanza di questa vegetazione. E’ evidente che gli agricoltori si impegnerebbero maggiormente a tutelare questo patrimonio boschivo se potessero contare su finanziamenti sufficienti in tal senso.

Tra le altre potenziali misure da prendere in considerazione, pensiamo alla possibilità di incentivare i sistemi agro-forestali stratificati, in cui le superfici vengono destinate, in parte, all’attività agricola e, in parte, alla piantumazione. Questo tipo di colture, meno gestibili rispetto alle mono-culture, viene spesso abbandonata. A mio avviso, qualunque soluzione volta a evitare la deforestazione non può prescindere dall’adozione di un sistema di indennizzi destinati agli agricoltori, compresi gli agricoltori europei che ricorrono a questo tipo di coltura stratificata.

 
  
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  Judith A. Merkies (S&D). – Signora Presidente, “successo o fallimento, questo è il problema”. Sono già state citati tutti i tipi di crisi possibili, eppure ne è stata dimenticata una accanto al surriscaldamento globale: la crisi di fiducia della pubblica opinione nella politica.

Sono d’accordo con il ministro Carlgren. Non trasformiamo questa discussione in un concorso di bellezza, nel tentativo di sancire chi è più o meno ambizioso, più o meno realista, più o meno disposto a pagare. Abbiamo bisogno di definire in modo chiaro quattro aspetti, dato che la posta in gioco è troppo alta: abbiamo bisogno di una posizione politica chiara e ambiziosa, di un impegno chiaro, di un percorso chiaro e di scadenze chiare; ultimo punto, ma non per questo meno importante, abbiamo bisogno di chiarezza in merito al sostegno finanziario. Se Copenaghen non sarà un successo completo, non dovremo gridare al lupo, iniziando ad additare i presunti responsabili e ad attribuire colpe. Dovremo invece definire un processo chiaro e una tempistica precisa che ci consentano di giungere a un risultato. Dimostriamo di essere affidabili e responsabili, sia in termini di definizione di obiettivi che in una prospettiva finanziaria equa.

 
  
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  Graham Watson (ALDE).(EN) Signora Presidente, si parla molto dello scioglimento delle calotte glaciali al polo nord come al polo sud, ma c’è anche un terzo “polo”: la calotta glaciale dell’Himalaya, con i suoi ghiacciai che forniscono acqua a qualcosa come due miliardi di persone – quasi un terzo della popolazione mondiale – in Cina, India e in altre regioni del sub-continente.

Questi ghiacciai si stanno ritirando a ritmo sostenuto a causa delle emissioni di carbonio prodotte dalle industrie, ma anche dai generatori, alimentati con combustibili fossili, utilizzati nell’agricoltura. In tal modo miliardi di persone saranno private dell’acqua necessaria per la loro sopravvivenza e per l’irrigazione dei campi. L’Unione europea deve riconoscere la necessità di offrire assistenza per migliorare la qualità dei macchinari in uso e per ridurne l’impatto inquinante sull’ambiente.

Ritengo che questo aspetto debba essere inserito nell’ordine del giorno non solo di Copenaghen, ma anche del prossimo vertice dell’Unione europea con l’India e degli altri vertici con i paesi interessati. Se non li aiuteremo, non saremo in grado di impedire lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya o gravi problemi di approvvigionamento idrico per un terzo dell’umanità.

 
  
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  Iosif Matula (PPE).(RO) Viviamo su un pianeta dal clima variegato. Tuttavia vi è un solo fattore che ci accomuna tutti: il cambiamento climatico. La realtà ci sta dimostrando che gli effetti di questo fenomeno non conoscono frontiere e non rispettano le suddivisioni geografiche. Ognuno di noi ne è interessato in un modo o nell’altro, sotto forma di inondazioni, siccità, incendi o violente tempeste.

La causa principale di queste catastrofi, ovviamente, è da ricercarsi nel florido sviluppo di alcune categorie di attività, che comporta un aumento delle emissioni di biossido di carbonio e un’intensificazione del riscaldamento globale. Secondo le attuali statistiche, l’apporto di emissioni di biossido di carbonio pro capite potrebbe essere centinaia di volte superiore per i paesi sviluppati rispetto ai paesi in via di sviluppo.

Data l’attuale situazione, mi sento in dovere di porre la seguente domanda retorica: è nostro dovere o meno sostenere i paesi in via di sviluppo con iniziative e tecnologie volte a mantenere pulito il nostro pianeta? Penso che la risposta sia ovvia. Pertanto non possiamo rimandare in alcun modo l’adozione di misure specifiche per il nostro bene e per il bene delle generazioni future.

 
  
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  Liisa Jaakonsaari (S&D).(FI) Signora Presidente, è molto importante passare a un mondo a basse emissioni di carbonio, fondato sul principio di equità, nonché poter disporre di un sistema che consenta di attuare una politica gestibile, dato che il mercato non ha mai tempo per l’equità. Ecco perché il vertice di Copenaghen è così importante.

Avrei gradito che il ministro Carlgren definisse meglio l’ordine prioritario delle azioni da adottare. Per il ministro è tutto prioritario; per cui, in ultima analisi, nulla lo è veramente.

Ritengo che la politica sul clima debba assumere un ruolo prominente, anche per quanto concerne gli effetti sulla distribuzione del reddito. Come possiamo aiutare le famiglie europee a basso reddito ad adattarsi? Nessun paese europeo si è ancora soffermato su questo aspetto? Per esempio, si potrebbe fare un uso più flessibile dei Fondi strutturali per promuovere un cambiamento strutturale in un’ottica ecologica. Non è sufficiente salvare il mondo: dobbiamo salvare anche le persone che lo popolano.

 
  
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  András Gyürk (PPE).(HU) Signora Presidente, uno dei temi chiave del prossimo vertice sul clima di Copenaghen potrebbe essere la gestione delle foreste. Non è un caso, infatti, che il quantitativo di gas dannosi accumulatisi nell’atmosfera a causa delle attività di deforestazione sia superiore rispetto al quantitativo di gas ascrivibile al settore dei trasporti, per esempio. L’incapacità di risolvere questo problema è evidenziata dal fatto che, secondo le stime, nel mondo quasi il 40 per cento degli alberi viene abbattuto illegalmente.

Quando parliamo di alberi abbattuti, pensiamo immediatamente alle foreste tropicali, ma non dobbiamo guardare necessariamente al di fuori dei nostri confini nazionali. Secondo uno studio di recente pubblicazione, un terzo del legname utilizzato in Ungheria proviene da attività illecite. Dato che non sono previste sanzioni in questo ambito, il terreno guadagnato – in apparenza – dalle fonti di energia rinnovabile nasconde, in realtà, attività in parte illegali di “taglia e brucia”. Sulla base di quanto descritto, è evidente la necessità di dotarsi di normative più rigorose in materia di gestione sostenibile delle foreste. Il vertice sul clima di Copenaghen deve offrire la possibilità di trasformare la gestione forestale in una parte integrante dei sistemi di tutela del clima.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE).(EN) Signora Presidente, in questo dibattito sul cambiamento climatico non possiamo non citare la questione della sicurezza alimentare, in particolare per il mondo in via di sviluppo. E’ molto difficile chiedere alle persone di preoccuparsi di contenere il fenomeno del cambiamento climatico quando non riusciamo a garantire loro il soddisfacimento di un fabbisogno primario come il cibo. Dobbiamo fare in modo che possano utilizzare la migliore tecnologia possibile per produrre in maniera sostenibile i generi alimentari di cui necessitano, senza danneggiare l’ambiente, pur affrontando al contempo il problema del cambiamento climatico.

Non nascondo la preoccupazione che nutro in merito a un accordo previsto dall’Organizzazione mondiale del commercio per il settore agricolo che non tiene conto, per esempio, della deforestazione in Brasile nell’ambito delle esportazioni di carne verso l’Unione europea. Si tratta di questioni molto complesse. Potremmo riuscire a risolvere un problema in una regione creandone un altro altrove. Ovviamente non possiamo prescindere da un accordo globale in materia di lotta al cambiamento climatico, ma dobbiamo altresì riconoscere una problematica molto seria: la sicurezza alimentare.

 
  
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  Andrew Henry William Brons (NI).(EN) Signora Presidente, è stato dimostrato che non è l’innalzamento del livello di CO2 a causare l’aumento della temperatura, ma il legame causa-effetto è esattamente l’opposto. Tuttavia, non lasciamo che i fatti rovinino una bella storia.

In ogni caso, accettiamo pure per il momento che le emissioni prodotte dall’uomo siano dannose per svariati motivi. Per quale motivo, dunque, il partito laburista britannico sostiene guerre aggressive e illegittime che non solo uccidono soldati britannici, iracheni, afgani e, in futuro, iraniani, ma causano anche notevoli aumenti delle emissioni globali?

 
  
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  Edite Estrela (S&D).(PT) Copenaghen offre un’ottima occasione per giungere a un accordo globale prima che sia troppo tardi. Per la prima volta, gli Stati Uniti hanno un’amministrazione che si impegna a trovare delle soluzioni e non mancano i segnali positivi anche da altri paesi, come il Giappone. Cionondimeno, non possiamo prescindere da un nuovo approccio al cambiamento climatico, che tenga conto del suo impatto sulla sicurezza, sulla ripresa economica, l’immigrazione e anche la lotta al terrorismo. Né dobbiamo dimenticare che per affrontare il problema del cambiamento climatico sarà necessario il contributo della scienza, della tecnologia e dell’economia.

Il principale ostacolo al raggiungimento di un accordo a Copenaghen è rappresentato dalla questione del finanziamento. Non ci può essere accordo senza un finanziamento adattato alle specifiche esigenze dei paesi in via di sviluppo. Inoltre, signor Commissario, va sottolineato che l’attuale finanziamento non è sufficiente. I paesi sviluppati devono dare l’esempio, definendo obiettivi ambiziosi in termini di riduzione delle emissioni – vale a dire pari a un minimo del 30 per cento – e aiutando i paesi in via di sviluppo con la garanzia di finanziamenti e tecnologia.

 
  
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  Milan Zver (PPE).(SL) Buon pomeriggio, signora Presidente, signor Commissario, signor Ministro, onorevoli colleghi e gentili visitatori, tra i quali alcuni vengono dalla Slovenia. Vorrei ricordare brevemente un aspetto: il vertice di Copenaghen si tiene forse nel momento sbagliato. Stiamo vivendo un periodo di crisi; risulterà quindi difficile adottare decisioni su fondamentali questioni come quelle che saremo chiamati a prendere in dicembre a Copenaghen.

Ciononostante, vorrei sottolineare che Copenaghen potrà rivelarsi un successo solo se sarà in grado di tener conto sia della dimensione ambientale che di quella sociale. Quindi, solo se saremo in grado di ridurre le emissioni o di giungere a un accordo in tal senso. Da questo punto di vista, Consiglio e Commissione non hanno ancora trovato un accordo sugli obiettivi da raggiungere entro il 2020. Copenaghen si rivelerà inoltre un successo solo se garantirà uno sviluppo sostenibile, se non trascurerà la dimensione sociale e, in particolare, se il mondo sviluppato sarà in grado di offrire un finanziamento ai paesi in via di sviluppo. In caso contrario, a mio avviso questa generazione avrà perso un’opportunità storica di straordinaria portata.

 
  
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  Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE).(PL) Signora Presidente, nell’ambito di questa discussione vorrei attirare l’attenzione su due punti. In primo luogo, al momento di presentare una proposta relativa alla limitazione delle emissioni di CO2 e alle risorse da destinare ai paesi in via di sviluppo, non dobbiamo dimenticare l’attuale situazione economico-finanziaria causata dalla crisi mondiale. Definire obiettivi ambiziosi, infatti, è molto importante, ma penso che raggiungerli lo sia ancora di più.

In secondo luogo, dovremmo prestare attenzione alla questione della sensibilizzazione dei cittadini e alla necessità di imprimere una svolta in chiave ecologica nella mentalità delle persone. Da ricerche condotte all’epoca della conferenza sul clima di Poznań l’anno scorso, era infatti emerso che la società non considera il cambiamento climatico come un problema serio, ritenendo che la sua soluzione rientri esclusivamente nelle competenze delle autorità. È quindi necessaria un’opera di sensibilizzazione, che si dovrà esplicare in una campagna informativa in grado di modificare gli atteggiamenti e promuovere modelli comportamentali tesi ad aumentare l’efficienza energetica o a ridurre il consumo energetico in ambito domestico. Abbiamo bisogno di una campagna che faccia capire alle persone che il modo in cui vivono e lavorano ha un impatto sull’economia e sulla salute del nostro pianeta.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D).(RO) La definizione di opportuni meccanismi di sviluppo e cooperazione e lo stanziamento di ingenti risorse a favore dei paesi in sviluppo, da destinare alla lotta contro il cambiamento climatico, costituiscono misure importanti in vista della conclusione di un accordo internazionale che succeda al protocollo di Kyoto.

Tuttavia, la migliore argomentazione per convincere altri Stati ad attenersi a un accordo post-Kyoto è offerta dai provvedimenti adottati dall’Unione per rispettare gli impegni già sottoscritti.

Per quanto concerne i settori esclusi dal sistema di scambio delle emissioni, le misure considerate potrebbero essere tese a: rinnovare gli edifici poco efficienti dal punto di vista energetico, creare un fondo per l’efficienza energetica in ogni Stato membro e aumentare in misura significativa l’importo del Fondo di sviluppo regionale da utilizzare per promuovere l’efficienza energetica negli edifici e per sviluppare i trasporti pubblici. Queste misure ci consentiranno di creare circa 7 milioni di posti di lavoro in tutta Europa entro il 2020.

Per quanto concerne i settori che rientrano, invece, nel sistema di scambio delle emissioni, sono necessari opportuni meccanismi di finanziamento per un’economia a basse emissioni di carbonio. Modernizzando le tecnologie utilizzate, le società europee che operano nei settori della produzione energetica o della metallurgia potranno adottare processi produttivi più eco-compatibili.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(EN) Signora Presidente, molti oratori che mi hanno preceduto hanno citato, a ragione, la deforestazione, sia a livello industrializzato che individuale.

Quando lavoravo come volontario in Africa vedevo in pratica ogni giorno delle persone salire in cima alla montagna, passare la giornata lassù con un’accetta in mano a tagliare alberi e scendere nel pomeriggio trasportando la legna tagliata sulla testa o sulla bicicletta.

E’ evidente che questo problema non può essere affrontato senza trattare al contempo la questione della povertà globale, dato che queste persone non smetteranno certo di tagliare legna per il bene supremo della società se ciò significa che dovranno morire di fame. Il cambiamento climatico e la povertà globale sono dunque questioni da affrontare congiuntamente.

 
  
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  Diane Dodds (NI).(EN) Signora Presidente, oggi, in quest’Aula, si è parlato molto– e a ragione – del ruolo che i paesi in via di sviluppo dovrebbero svolgere nella lotta contro il cambiamento climatico. Come molti altri oratori, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che, perché questo coinvolgimento sia possibile in regioni colpite da una forte indigenza, questo Parlamento, il Consiglio e la Commissione dovranno rendersi conto del costo che ne deriva e dovranno approntare una strategia adeguata in tal senso.

Tuttavia, non vorrei lasciare questo Emiciclo senza ricordare che, anche in regioni come la mia, l’Irlanda del Nord, in cui i costi dell’energia sono alti, ci sarebbe ancora molto da fare per aiutare coloro che si trovano in una situazione svantaggiata – persone che vivono in una situazione di grave povertà energetica, in zone la cui economia si fonda sulle piccole imprese – nel momento in cui si considerano i costi da sostenere per lottare contro il cambiamento climatico.

 
  
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  Zoran Thaler (S&D).(SL) Sono d’accordo con gli obiettivi di base della nostra strategia, che si esplicano nell’intento di evitare un ulteriore aumento della temperatura media superiore ai due gradi. Si tratta di una strategia fondata sul concetto di riduzione: più riduciamo le emissioni di gas serra, più conteniamo l’aumento della temperatura.

Tuttavia, vorrei sottolineare un altro aspetto, vale a dire le evoluzioni tecnologiche che si rendono necessarie. Io, per primo, credo nella tecnologia. Le misure di riduzione, da sole, non ci consentiranno di raggiungere i nostri obiettivi. Abbiamo bisogno di investimenti più consistenti nel progresso tecnologico e, soprattutto, di investimenti nella riduzione artificiale dei gas serra emessi nell’atmosfera e nello sviluppo di un reattore a fusione. Chiedo quindi con urgenza alla Commissione di provvedere in maniera rapida ed efficace a inserire questi investimenti all’ordine del giorno.

 
  
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  Andreas Carlgren, presidente in carica del Consiglio.(SV) Signora Presidente, vorrei ringraziare i membri di questo Parlamento per l’impegno dimostrato nel corso di questa discussione e per i loro lungimiranti contributi. Naturalmente, nel definire la posizione dell’Europa nei negoziati, è molto importante poter contare su un ampio sostegno politico da parte del Parlamento europeo. Accolgo inoltre con grande favore la risoluzione sul cambiamento climatico redatta dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. L’impegno del Parlamento è fondamentale per i 48 giorni che rimangono prima della conferenza di Copenaghen. Dobbiamo davvero sfruttare al massimo questo periodo di tempo. Ciò significa che dovremo presentarci al resto del mondo esercitando un’opportuna pressione sugli altri paesi. Una minaccia globale richiede una risposta globale. Nel corso della discussione si è citato il concetto di partenariato globale, su cui mi trovo pienamente d’accordo. E’ stata altresì citata la necessità di ottenere, a livello mondiale, uno sviluppo a basso tenore di carbonio – un’idea che incontra tutto il mio favore. Ed è stata citata, infine, la necessità di nuove tecnologie verdi – anche a questo proposito sono d’accordo. Vorrei inoltre sottolineare che abbiamo bisogno di un patto di solidarietà globale.

Parteciperò a breve a una riunione del Consiglio a Lussemburgo. Il tema trattato sarà l’ambiente e, in questa occasione, avremo modo di definire il mandato dell’Unione per la conferenza di Copenaghen. Discuteremo degli obiettivi a lungo termine dell’Unione europea, che devono consistere in una riduzione delle emissioni di oltre l’80 per cento entro il 2050. Discuteremo di come incoraggiare gli altri paesi a tagliare in misura più significativa le proprie emissioni, in modo tale che anche noi puntiamo a un obiettivo del 30 per cento. Tratteremo inoltre un aspetto che è stato sollevato nel corso della discussione odierna – vale a dire le misure tese a lottare contro la deforestazione e a ottenere una gestione forestale sostenibile, un finanziamento su cui si esprimerà l’Ecofin. Dovremo giungere, in ultima analisi, a un mandato adottato dal Consiglio europeo. Vorrei ringraziare il Parlamento per il suo sostegno.

 
  
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  Karel De Gucht, membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, un paio di punti, molto brevemente. Penso che dopo questa discussione, dopo quanto affermato dal Consiglio, possiamo dire di essere pronti per la conferenza di Copenaghen. Ho notato l’ampio sostegno riservato alle nostre proposte, che interessa gli obiettivi che abbiamo presentato nonché gli impegni finanziari che stiamo definendo.

Molto importante è inoltre l’intesa comune che abbiamo raggiunto con il mondo in via di sviluppo, con particolare riferimento agli impegni assunti nei loro confronti. Forse ancora più importante è il fatto che abbiamo convenuto una ridistribuzione interna degli sforzi in capo all’Unione europea: se si formulano impegni e promesse, ma non si raggiunge un accordo interno, non si potrà mai essere efficaci in ambiti simili. Possiamo compiere ulteriori passi avanti, purché il Consiglio europeo alla fine di questo mese offra sostegno alle nostre proposte. E non ho dubbi in proposito.

Ci aspettiamo progressi anche dagli altri. Mi riferisco in particolare agli Stati Uniti, nonché Brasile, Cina, India e Russia. Anche loro devono compiere dei passi avanti. Penso che a Copenaghen avremo bisogno di un confronto aperto e sincero. Non sarà certo facile, è il meno che si possa dire, ma penso che in gioco ci sia il futuro di tutti noi.

 
  
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  Presidente – La discussione è chiusa.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto.(RO) Non dobbiamo considerare i costi relativi alla transizione verso fonti di energia pulita come un onere economico che andrà a pesare sui costi di produzione delle aziende e sui conti pubblici, ma come un investimento che si tradurrà in benefici tangibili, quali la creazione di nuovi posti di lavoro, l’innovazione tecnica e un’infrastruttura pulita a sostegno dello sviluppo sostenibile dei nostri paesi.

Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia per l’equilibrio ambientale e per il nostro habitat. L’Europa deve dimostrare coraggio e adottare una posizione coerente, ponendosi alla guida delle azioni da intraprendere per contrastare il riscaldamento globale. Partendo dai principi di equità e di responsabilità storica, i paesi poveri devono essere aiutati non solo a consolidare e adattare le proprie economie a nuove sfide, ma anche a difendersi dagli effetti del surriscaldamento globale, cui sono particolarmente soggetti.

Spero che coloro che parteciperanno alla conferenza di dicembre si rendano conto che non ci sono alternative alla riduzione delle emissioni inquinanti e che rinviare ogni decisione a Copenaghen su obiettivi di natura vincolante significherà un fallimento non solo per la conferenza ma anche per il dialogo multilaterale su temi globali, che interessano il futuro di tutti noi.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto.(EN) I negoziati per un nuovo accordo globale sul clima sono sul filo del rasoio. Gli Stati Uniti sembrano incapaci di adottare una legislazione in grado di ridurre le eccessive emissioni di CO2 che producono. La Cina non sembra disposta ad accettare obiettivi vincolanti. I paesi in via di sviluppo sostengono, a ragione, di non essere stati concausa della crisi.

Sugli europei grava la responsabilità storica di rimettere ordine nel caos climatico che hanno contribuito a creare. E’ il modo irresponsabile con cui abbiamo abbandonato l’ambiente ad aver causato questo pericoloso cambiamento del clima. Non si tratta solo di una questione ambientale o economica, ma anche di giustizia sociale internazionale. Mi associo ai miei colleghi nell’appello rivolto all’Europa, a cui chiediamo di formulare una proposta concreta di finanziamento destinata al mondo in via di sviluppo, in modo tale da aiutarlo a contrastare il cambiamento climatico, sbloccando l’impasse degli attuali negoziati.

Questi finanziamenti devono provenire da fonti nuove e aggiungersi ai finanziamenti preesistenti (le attuali promesse dello 0,7 per cento non dovrebbe essere toccate). Inoltre devono essere adeguati, in modo tale da consentire ai paesi in via di sviluppo di contrastare il cambiamento climatico con le necessarie misure di riduzione e adattamento. Alcuni sostengono che non ci possiamo permettere finanziamenti del genere. Tuttavia, quando sono state le banche a bussare alle nostre porte, la maggior parte dei governi, tra cui il governo irlandese, non hanno esitato a mettere a loro disposizione i miliardi versati dai contribuenti. Le nostre economie si riprenderanno, ma il nostro ambiente non farà altrettanto…

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto.(RO)

Il cambiamento climatico rappresenta una delle minacce più serie non solo per l’ambiente ma anche per l’economia e la società. I rendimenti dei raccolti fluttuano da un anno all’altro, risentendo in maniera significativa della variazione delle condizioni climatiche, che raggiungono livelli estremi. Questa situazione interessa ogni settore dell’economia, ma l’agricoltura rimane la più vulnerabile.

A mio avviso questa problematica deve essere affrontata in due modi:

- è necessario un piano di azione da attuare nelle zone più colpite, che preveda, tra l’altro: l’utilizzo di determinate varietà di piante in grado di resistere alle nuove condizioni climatiche, l’adattamento del calendario delle attività agricole alle nuove condizioni, attività di forestazione, costruzione di serre, gestione delle risorse idriche provenienti dall’agricoltura e bonifica dei terreni inquinati in un’ottica eco-compatibile;

- la seconda misura approntabile consisterebbe in un piano per il futuro teso a eliminare le cause del cambiamento climatico, promuovendo un’economia mondiale a basso tenore di carbonio, associata alla promozione della sicurezza energetica.

Penso inoltre sia importante ideare opportune strategie atte a prevenire e gestire le catastrofi naturali, se consideriamo le ondate di siccità e le inondazioni verificatesi con grande frequenza negli ultimi 10 anni e il conseguente impatto negativo sortito sulla produzione agricola, la flora e la fauna.

Sostengo con vigore l’Unione europea nella volontà espressa di mantenere un ruolo guida nella battaglia contro il cambiamento climatico, che non deve passare in secondo piano a causa delle attuali difficoltà economiche.

 
  
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  Adam Gierek (S&D), per iscritto. (PL) Da cinque anni a questa parte mi sono potuto rendere conto con i miei occhi di come, in questo Parlamento, un certo gruppo di deputati, provenienti da ogni gruppo politico, ma soprattutto dalle fila dei verdi e dei socialisti, stia suscitando un isterismo senza precedenti nei confronti del clima. Questo isterismo è sapientemente alimentato dai discorsi del presidente della Commissione e dell’ex presidente del Parlamento, che ci hanno preannunciato cataclismi inimmaginabili, causati, a detta loro, dal cambiamento climatico.

Chi adotta un atteggiamento razionale nei confronti di questo tema viene accusato di essere privo di principi morali e si vede negare la possibilità – come accaduto a me oggi – di prendere la parola in modo democratico. Le decisioni economiche contenute nel pacchetto per il clima e l’energia – adottate sulla base di un’ipotesi non molto credibile sulla causa del fenomeno del cambiamento climatico – non solo rappresentano un cinico schiaffo al buon senso, ma preannunciano altresì una futura catastrofe economica e un sovvertimento dell’ordine civile. Sul tema del cambiamento climatico e le sue cause, ma, soprattutto, sui metodi per contrastarne gli effetti, dovremmo pretendere di ascoltare una discussione onesta e basata sulle opinioni obiettive dell’intera comunità scientifica.

 
  
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  Zita Gurmai (S&D), per iscritto.(HU) Al fine di uscire vittoriosi dalla battaglia contro il cambiamento climatico, a Copenaghen dovremo giungere a un accordo globale ambizioso e di ampio respiro. La questione del finanziamento è diventata la colonna portante dell’accordo di Copenaghen. Ogni paese deve offrire il proprio contributo al finanziamento della lotta contro il cambiamento climatico, in funzione delle proprie risorse e del proprio potenziale economico. L’Unione europea svolge un ruolo importante nell’ambito del finanziamento del programma in difesa del clima e si assume un impegno serio a tal fine. Secondo le stime relative al sostegno da offrire ai paesi in via di sviluppo, basate sui calcoli per il periodo che intercorre tra il 2010 e il 2012, i 5 – 7 miliardi di finanziamenti che si renderanno necessari ogni anno si tradurranno in un onere di non trascurabile portata sia per il bilancio comunitario che per i bilanci dei singoli paesi.

Tuttavia, per quanto concerne quest’ultimo punto, ritengo importante che, nel momento in cui l’Unione europea valuterà come ripartire l’onere finanziario derivante dai suoi futuri impegni di finanziamento a favore del clima, tenga in debito conto il potenziale economico e i limiti della capacità produttiva dei singoli Stati membri. Ritengo inoltre che ogni cittadino europeo debba partecipare in prima persona alla lotta contro il cambiamento climatico e che, a tal fine, si debbano organizzare campagne di ampio respiro a favore del risparmio energetico.

 
  
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  Edit Herczog (S&D), per iscritto. (HU) E’già chiaro per noi oggi che, tra i pericoli che minacciano il nostro pianeta, i danni maggiori sono causati dai gas serra, essenzialmente a causa dell’emissione di biossido di carbonio. Per quanto questo tema possa essere considerato negli ambienti politici al potere come l’oggetto di un dibattito meramente ideologico, in realtà esso mette in evidenza i limiti che si pongono alle opportunità economiche e allo sviluppo, che influiranno sugli investimenti futuri in questi ambiti. Quando, in seno a questo Parlamento, discutiamo di cambiamento climatico e dei preparativi per la conferenza di Copenaghen, non dobbiamo dimenticare che l’approvazione da parte nostra del pacchetto per l’energia e il clima ha gettato le basi per una politica energetica europea atta non solo a promuovere la competitività e a rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti, ma anche a favorire l’efficienza energetica, la produzione di energia pulita e l’affermazione degli interessi dei consumatori. Il terzo pacchetto per l’energia e il pacchetto sul clima hanno offerto a nuovi investitori e operatori l’opportunità di entrare nel mercato europeo dell’energia, il primo dal punto di vista del mercato e il secondo dal punto di vista normativo. E’ questa la chiave della politica europea sul cambiamento climatico e dei suoi obiettivi a Copenaghen. Abbiamo bisogno di nuovi investimenti nell’energia, di tecnologie innovative e di nuovi operatori. Dopotutto, possiamo ottenere una riduzione significativa delle emissioni di biossido di carbonio, sia a livello europeo che globale, solo se sviluppiamo e adottiamo nuove tecnologie. Le decisioni europee adottate di recente saranno un aiuto in tal senso. Ma dobbiamo ancora compiere ulteriori passi avanti su questa strada.

 
  
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  Marian-Jean Marinescu (PPE), per iscritto. (RO)

Il raggiungimento di un accordo a Copenaghen conferirà il necessario slancio al coordinamento globale delle azioni da intraprendere contro il cambiamento climatico. La crisi climatica deve essere affrontata tenendo conto del suo inestricabile legame con la crisi economica. Avremo così la possibilità di passare da un’economia insostenibile, basata su risorse naturali limitate, a un’economia sostenibile. Oltre a promuovere una strategia a favore della sicurezza dell’approvvigionamento energetico e dell’efficienza energetica, l’Europa deve definire un piano per gli investimenti nelle nuove tecnologie energetiche. La promozione di tecnologie verdi a livello europeo non consente solo di trovare una soluzione alternativa alla crisi energetica, ma anche di promuovere la crescita economica e di creare nuovi posti di lavoro. D’altra parte, il raggiungimento di un accordo a Copenaghen offre l’opportunità di collegare tra loro, in futuro, il sistema europeo di scambio delle emissioni e i sistemi equivalenti o simili approntati a livello regionale o federale negli Stati Uniti e in altri paesi. Ultimo punto, ma non per questo meno importante, l’Unione europea deve adottare una posizione uniforme in modo tale da conservare il proprio ruolo di capofila nei negoziati, partecipando altresì attivamente alle iniziative volte a rafforzare i partenariati esistenti in ambito climatico con i paesi in via di sviluppo, nonché a costituire nuovi partenariati laddove non ve ne siano.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. (PL) Un mese e mezzo prima del vertice di Copenaghen e a fronte di un cambiamento climatico dimostratosi inevitabile, il mondo si aspetta da noi un intervento specifico, tale da dimostrare responsabilità e attenzione nel comune impegno ad agire per conto dei nostri popoli e della tutela della loro sicurezza. Conosciamo tutte le relazioni del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, da cui si evince chiaramente che il fenomeno del riscaldamento globale verificatosi nel corso degli ultimi 50 anni è dovuto per lo più all’attività dell’uomo. Le questioni correlate al clima sono diventate la priorità geopolitica ed economica numero uno del ventesimo secolo, una priorità che richiede decisioni audaci e fondate su misure a lungo termine.

Per poter ottenere un consenso a livello mondiale è necessario siglare trattati sul clima volti a definire nuovi modelli per la riduzione dei gas serra dopo il 2012. Il protocollo di Kyoto ha rappresentato il primo passo verso un cambiamento della mentalità dei governi mondiali sul tema della tutela ambientale. Dovremmo portare avanti questo approccio. Il problema, tuttavia, è che non possiamo limitarci a ridurre le emissioni di gas serra dei paesi sviluppati quali Stati Uniti e Cina.

E’ fondamentale sostenere i paesi più piccoli e più poveri, che hanno difficoltà a introdurre fonti energetiche alternative pulite. Tale sostegno non assume soltanto connotati economici, ma si esplica anche nell’educazione e nella condivisione di esperienze per la creazione di economie verdi. Nel momento in cui prendiamo delle decisioni, non possiamo perdere di vista i cittadini. Dovremmo informarli e educarli, convincendoli a investire nella tutela dell’ambiente. Come con ogni misura politica nell’ambito della sicurezza, il sostegno e la cooperazione dei cittadini sono indispensabili.

 
  
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  Sirpa Pietikäinen (PPE), per iscritto.(FI) Signora Presidente, onorevoli colleghi, ogni giorno si ottengono nuovi risultati nelle ricerche sull’evoluzione del cambiamento climatico, i quali suggeriscono che il fenomeno sta avanzando costantemente, a un ritmo imprevisto. Se vogliamo preservare il pianeta dovremo inaugurare un’economia a basso tenore di carbonio entro l’anno 2050. Alla luce di questi studi, gli obiettivi climatici dell’Unione europea non possono essere definiti eccessivamente ambiziosi. Conosciamo tutti la gravità del problema. Ciononostante, si spreca ancora tempo nel tentativo di capire se sia vero al cento per cento o meno che è l’uomo a causare il cambiamento climatico. Questa mancata volontà di adottare le giuste contromisure è incomprensibile, in particolare se si considera che sappiamo ormai da molto tempo come modificare il corso degli eventi e conosciamo le tecnologie necessarie a tal fine – tecnologie che possono migliorare, al contempo, la qualità della vita. Vi è una spiegazione psicologica a questa inerzia. Alcuni dei nostri modelli comportamentali si oppongono ostinatamente al cambiamento e, nel momento in cui decidiamo di cambiare, procediamo a rilento. L’unico problema è che in questo caso non ci è rimasto tempo. Una delle questioni principali, in questa parte conclusiva dell’anno, è rappresentata dalla disponibilità dell’Unione europea a impegnarsi con determinazione per garantire che l’accordo di Copenaghen sia all’altezza della sfida posta dal clima. L’Unione deve mostrare un impegno chiaro nei confronti di una riduzione delle emissioni pari al 30 per cento entro il 2020 e all’80 per cento entro il 2050. L’accordo dovrà comprendere, inter alia, un impegno credibile da parte dell’Unione europea ad aiutare i paesi in via di sviluppo nell’ambito del trasferimento delle informazioni e delle tecnologie, accompagnata da fondi adeguati a titolo di assistenza.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Nel corso dei prossimi 50 anni, il cambiamento climatico avrà un impatto significativo su importanti settori dell’economia quali l’agricoltura, l’energia, i trasporti, gli ecosistemi, il turismo e la salute.

Il cambiamento climatico avrà una sua ripercussione anche sulle famiglie, sulle aziende e su alcune fasce della popolazione, in particolare gli anziani, i disabili e le famiglie a basso reddito. L’Unione europea è decisa ad adottare un’azione rapida per ridurre le emissioni di gas serra. Non è tuttavia sufficiente contenere le emissioni di gas serra per alleviare l’impatto del cambiamento climatico. Occorre un’ulteriore azione per porre un freno al fenomeno sul breve termine.

Gli effetti del cambiamento climatico dovrebbero essere più gravi del previsto e faranno sentire il proprio peso indipendentemente dalle misure adottate per ridurne l’impatto. Di conseguenza sono necessari provvedimenti tesi a potenziare il grado di resistenza dei sistemi naturali e umani di fronte all’impatto del cambiamento climatico. In altre parole: politiche di adattamento.

Tali politiche vengono applicate nell’Unione europea, ma sono necessarie anche politiche a livello globale. Ecco spiegato il motivo per cui la conferenza di Copenaghen deve essere un successo internazionale. Abbiamo bisogno di un patto globale di solidarietà per sviluppare economie verdi, promuovendo tecnologie pulite in grado di garantire posti di lavoro, nonché di tutelare l’ambiente e la salute della popolazione.

 
  
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  Pavel Poc (S&D), per iscritto.(CS) L’Unione europea è leader mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico. Questa posizione ci conferisce inevitabilmente la responsabilità di aiutare i paesi in via di sviluppo. Quando forniamo assistenza, dobbiamo assumerci anche la responsabilità delle sue conseguenze. Se i paesi in via di sviluppo si vedranno assegnare 30 miliardi di euro all’anno per gli sforzi profusi a favore del contenimento degli effetti del cambiamento climatico, le finalità perseguite da questo provvedimento devono essere la giustizia climatica e la solidarietà. Non ci possiamo permettere un obiettivo o un risultato che accenda nuove tensioni dando vita a distorsioni nello sviluppo socio-politico. I rapporti tra i paesi in via di sviluppo e il mondo sviluppato sono complessi. Nel momento in cui trasferiamo risorse, dobbiamo considerarne tutte le potenziali conseguenze sugli aiuti allo sviluppo, anche in ambito politico e sulla popolazione. La maggior parte delle risorse dovrebbe essere destinata a sostenere l’istruzione e la società dell’informazione. Neppure in seno al Parlamento europeo siamo tutti d’accordo nell’affermare che il cambiamento climatico costituisca una minaccia reale. Se non ci rendiamo conto della realtà rappresentata dal cambiamento climatico e delle sue conseguenze nei paesi interessati, la nostra assistenza non sarà altro se non una tangente pagata per la nostra prosperità ai governi dei paesi che non possono godere dello stesso livello di benessere. Se gli ambiziosi obiettivi dell’Unione europea non trovano riflesso nell’operato di altri partner di rilievo, quali Stati Uniti, Cina, India e i paesi dell’America centro-meridionale, l’Unione europea dovrà dedicarsi al rafforzamento delle proprie misure e a meccanismi interni di adattamento, in particolare per quanto attiene alla salute e alla sicurezza dei suoi abitanti.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto.(EN) I negoziati di Copenaghen relativi ai finanziamenti destinati ai paesi in via di sviluppo saranno fondamentali se vogliamo che questo vertice sia un successo. Alcuni paesi africani hanno già fatto sapere che non accetteranno il tipo di accordo di cui abbiamo bisogno a Copenaghen se non prevede adeguate misure per il finanziamento delle misure di contenimento e di adattamento nei paesi in via di sviluppo. Sono due gli aspetti chiave in questo senso: il primo è che i fondi pubblici assegnati ai paesi in via di sviluppo devono provenire da fonti nuove e aggiuntive e non dai bilanci già previsti per gli aiuti allo sviluppo. Il secondo punto è che in questo contesto non si può ricorrere solo a fondi pubblici: oltre agli aiuti forniti direttamente, ci si potrebbe attivare per incoraggiare il settore privato a investire nelle economie a basso tenore di carbonio. La disponibilità del settore privato a investire nei paesi in via di sviluppo dipenderà dagli accordi internazionali sui sistemi di scambio delle emissioni. Gli accordi in questo ambito garantiranno la coerenza delle politiche e la stabilità necessarie per infondere fiducia nel settore privato e convincerlo a investire in maniera adeguata nei paesi in via di sviluppo. I negoziati, pertanto, devono puntare sia a impegni di ampio respiro in termini di finanziamenti pubblici che a misure concrete per garantire l’afflusso di investimenti dal settore privato.

 
  
  

(La seduta, sospesa alle 11.55, riprende alle 12.00)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. PITTELLA
Vicepresidente

 

6. Rettifica (articolo 216 del regolamento): vedasi processo verbale
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7. Turno di votazioni
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  Presidente. – L'ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)

 

7.1. Statuto dell'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA) (A7-0026/2009, Herbert Reul) (votazione)

7.2. Atti obsoleti del Consiglio nel settore della politica agricola comune (A7-0018/2009, Paolo De Castro) (votazione)

7.3. Delega dei compiti di analisi in laboratorio (A7-0017/2009, Paolo De Castro) (votazione)

7.4. Riduzione delle aliquote d'accisa a Madera e nelle Azzorre (A7-0039/2009, Danuta Maria Hübner) (votazione)

7.5. Conservazione degli uccelli selvatici (versione codificata) (A7-0024/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)

7.6. Apparecchi a gas (versione codificata) (A7-0025/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)

7.7. Fornitura di servizi di media audiovisivi (versione codificata) (A7-0029/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)

7.8. Protezione dei lavoratori contro l'amianto (versione codificata) (A7-0033/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)

7.9. Controlli veterinari per gli animali che provengono da paesi terzi (versione codificata) (A7-0028/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)

7.10. Rete d'informazione contabile agricola sui redditi e sull'economia delle aziende agricole (versione codificata) (A7-0031/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)

7.11. Norme di polizia sanitaria per gli scambi intracomunitari e le importazioni di pollame e uova da cova (versione codificata) (A7-0027/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)

7.12. Animali della specie bovina riproduttori di razza pura (versione codificata) (A7-0032/2009, Lidia Joanna Geringer de Oedenberg) (votazione)

7.13. Accordo CE/Mauritius sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0019/2009, Simon Busuttil) (votazione)

7.14. Accordo CE/Seychelles sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0012/2009, Simon Busuttil) (votazione)

7.15. Accordo CE/Barbados sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0013/2009, Simon Busuttil) (votazione)

7.16. Accordo CE/Saint Christopher e Nevis sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0014/2009, Simon Busuttil) (votazione)

7.17. Accordo CE/Antigua e Barbuda sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0015/2009, Simon Busuttil) (votazione)

7.18. Accordo CE/Bahamas sull'esenzione dal visto per soggiorni di breve durata (A7-0016/2009, Simon Busuttil) (votazione)

7.19. Progetto di bilancio rettificativo n. 9/2009: terremoto in Italia, sezione III - Commissione (A7-0023/2009, Jutta Haug) (votazione)

7.20. Mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (Germania) (A7-0022/2009, Reimer Böge) (votazione)

7.21. Richiesta di revoca dell'immunità di Marek Siwiec (A7-0030/2009, Diana Wallis) (votazione)

7.22. Meccanismo di valutazione per monitorare l’applicazione dell'acquis di Schengen (A7-0035/2009, Carlos Coelho) (votazione)
 

- Dopo la votazione sulla proposta della Commissione:

 
  
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  Karel De Gucht, membro della Commissione.(FR) Signor Presidente, ieri, il mio collega Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione, ha sottolineato che le proposte mirano a introdurre norme comuni per il meccanismo di valutazione nonché a renderlo più efficace, mantenendo al contempo la fiducia reciproca tra gli Stati membri.

La Commissione europea è convinta che il Parlamento debba essere coinvolto nella valutazione di Schengen, al contrario di quanto accade oggi. I cittadini devono poter conoscere i risultati di queste valutazioni.

I trattati in vigore non consentono tuttavia di coinvolgere il Parlamento mediante la procedura di codecisione. Di conseguenza, la Commissione mantiene le proprie proposte in conformità ai trattati vigenti.

Ciononostante, una volta entrato in vigore il trattato di Lisbona, la questione sarà riaperta e la Commissione indicherà, al momento opportuno, la base giuridica che ritiene più adeguata per il meccanismo proposto, coinvolgendo il Parlamento europeo quanto più possibile.

La Commissione potrebbe, pertanto, presentare proposte modificate oppure proposte nuove, secondo il caso.

 
  
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  Carlos Coelho, relatore.(PT) Sono grato per i chiarimenti forniti dalla Commissione europea, ma vorrei ricordare al Parlamento che, com’è emerso con chiarezza dalla discussione, sebbene il Servizio giuridico del Parlamento europeo abbia riconosciuto la legittimità della base giuridica dell’iniziativa della Commissione, esso ha altresì affermato che, secondo il trattato vigente, la Commissione europea avrebbe potuto prendere la stessa iniziativa sulla base di una formula giuridica che avesse consentito al Parlamento europeo di partecipare alla codecisione.

Poiché non è stato così, propongo che l’iniziativa sia rinviata alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, di modo che la Commissione europea possa rivedere la propria iniziativa. A quel punto, entro il termine previsto dall’articolo 56 del regolamento, questo Parlamento potrà aspettarsi di ricevere un’iniziativa dalla Commissione che rispetti la codecisione e che conferisca al Parlamento europeo la meritata facoltà di intervenire per sostenere una maggiore sicurezza nella zona Schengen.

 
  
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  Presidente. – Grazie onorevole Coelho. Non c'è bisogno di sottoporre a votazione questa richiesta, perché nel momento in cui la Commissione ha deciso di mantenere la propria proposta, quest’ultima viene automaticamente rinviata in commissione, così come richiesto dall'onorevole Coelho.

 

7.23. Meccanismo di valutazione per verificare l’applicazione dell'acquis di Schengen (A7-0034/2009, Carlos Coelho) (votazione)
 

- Dopo la votazione sulla proposta della Commissione:

 
  
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  Karel De Gucht, membro della Commissione.(FR) Signor Presidente, lo scenario è lo stesso. La posizione della Commissione è, pertanto, identica.

 
  
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  Presidente. – Bene, credo che, ovviamente, anche su questa seconda relazione si rinvia in commissione, avendo la Commissione europea deciso di mantenere la sua proposta.

 

8. Dichiarazioni di voto
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Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

- Relazione Busuttil (A7-0013/2009)

 
  
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  Antonio Masip Hidalgo (S&D).(ES) Signor Presidente, ho votato a favore delle relazioni riguardanti le Bahamas, le Barbados, la Federazione di Saint Christopher (Saint Kitts) e Nevis e le Seychelles. Di queste relazioni ho condiviso i punti relativi al superamento degli aspetti burocratici degli accordi, alla libertà di circolazione dei cittadini nonché al carattere di reciprocità che devono avere tutte queste azioni.

Ciononostante, con il massimo rispetto per questi paesi sovrani e amici, vorrei approfittare delle buone relazioni poste in evidenza da questi accordi per aiutare tutti questi paesi – che, insisto, sono sovrani e amici –a restare indenni da una pandemia ancora più letale dell’influenza: i paradisi fiscali. Si è già discusso di questo in seno al G20 e in molte altre sedi.

Purtroppo, i paradisi fiscali hanno contribuito in modo assai significativo alla crisi economica che ci affligge. Si sta facendo qualcosa, forse non ancora abbastanza, al fine di eliminare i paradisi fiscali più attivi, ma non siamo ingenui: potrebbero esserne creati degli altri.

In Spagna, sta facendo notizia il caso Gürtel, che riguarda non soltanto una vasta rete di corruzione, ma anche la fuga di capitali. Esorto dunque i rappresentanti della Commissione e del Consiglio a cogliere l’opportunità di questi accordi per insistere sulla loro estraneità al fenomeno, che, prima o poi, dobbiamo esigere nel quadro di una politica più ampia e più radicale contro i paradisi fiscali.

 
  
  

- Relazione Coelho (A7-0034/2009)

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE).(PL) Signor Presidente, il trattato di Schengen ha permesso un salto di qualità in gran parte dei paesi dell’Unione europea. Sebbene sia trascorso poco tempo dalla sua entrata in vigore, spesso dimentichiamo com’era l’Europa quando esistevano le frontiere e le difficoltà connesse agli spostamenti da uno Stato membro all’altro. L’accordo di Schengen rappresenta un ulteriore successo dell’integrazione europea, ma comporta anche una grande responsabilità: la responsabilità di tutelare ampi tratti delle nostre frontiere terrestri, che grava in capo ai nuovi Stati membri.

Insieme agli aspetti positivi, esistono quelli negativi, visto che sono state introdotte troppe restrizioni alla circolazione dei residenti dei paesi che condividono una frontiera con l’Unione europea, ovvero principalmente i paesi di nuova adesione, come la Polonia e la Lettonia. Come conseguenza di tali difficoltà, sussistono gravi limitazioni alla libera circolazione attraverso le nostre frontiere orientali, e non solo. E’ sorta una nuova divisione, una specie di barriera tra paesi che avevano – e hanno ancora – relazioni strette perché accomunati da una storia, da vincoli familiari e, soprattutto, dalla vicinanza geografica.

In conformità alle disposizioni di Schengen, è stato introdotto un sistema comune di controllo interno, applicato dai servizi competenti dei paesi dell’Unione europea firmatari dell’accordo. Sembrerebbe, tuttavia, che questo sistema di controllo sia applicato con indebita severità, il che non contribuisce a costruire un’immagine positiva dell’unità dell’Unione europea.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

- Relazione Reul (A7-0026/2009)

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa relazione. Sostengo pienamente l’adesione allo Statuto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA) da parte della Comunità europea. Il principale obiettivo di quest’organismo è quello di promuovere le migliori prassi nel settore delle energie rinnovabili, sia nell’Unione europea sia nel mondo. Lo Statuto dell’agenzia prevede altresì che essa promuova e sostenga l’uso di risorse rinnovabili in tutto il mondo.

L’adesione allo Statuto dell’agenzia da parte della Comunità consentirà a quest’ultima di accedere più agevolmente e direttamente alle informazioni riguardanti le attività nel settore delle energie rinnovabili, sia a livello europeo sia quello mondiale. Allo stesso tempo, lo status di membro dell’agenzia permetterà alla Comunità di monitorare più efficacemente i progressi conseguiti dagli Stati membri nel raggiungimento dell’obiettivo obbligatorio per le energie rinnovabili entro il 2020.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione. Attualmente, manca una strategia coordinata in materia di energie rinnovabili tanto a livello europeo quanto a livello mondiale. Esiste dunque un forte divario tra i paesi che hanno conseguito importanti progressi e risultati nel campo delle energie rinnovabili e i paesi che sono ancora arretrati in questo settore.

Se si desidera accelerare il processo che consentirà di aumentare la percentuale di energia da fonti rinnovabili, diversi paesi dovrebbero operare sinergicamente, mentre i paesi all’avanguardia dovrebbero condividere le loro migliori prassi. A mio avviso, quest’Agenzia potrebbe far propri questi obiettivi, dando nuovo impulso e nuove linee direttrici all’intero settore del rinnovabile.

 
  
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  Maria da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Accolgo con favore l’adesione da parte della Comunità europea all’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA). Quest’Agenzia mira a promuovere l’adozione e l’uso sostenibile di tutte le forme di energia rinnovabile, tenendo conto del contributo di queste ultime alla conservazione dell’ambiente, alla tutela climatica, alla crescita economica e alla coesione sociale (in particolare la riduzione della povertà e lo sviluppo sostenibile), all’accessibilità e sicurezza dell’approvvigionamento energetico, allo sviluppo regionale e alla responsabilità intergenerazionale.

L’agenzia ha altresì l’obiettivo di fornire consulenza tecnica, finanziaria e politica ai governi dei paesi in via di sviluppo, contribuendo così alla loro transizione verso una società a basso tenore di carbonio.

L’uso delle energie rinnovabili rappresenta uno degli obiettivi principali del pacchetto integrato sull’energia e i cambiamenti climatici.L’Agenzia contribuirà inoltre alla realizzazione degli obiettivi del pacchetto, segnatamente l’obiettivo di portare al 20 per cento il contributo delle energie rinnovabili al consumo totale di energia entro il 2020.

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) IRENA è stata istituita ufficialmente il 26 gennaio 2009. Scopo dell’organizzazione è diventare un centro di riferimento per la promozione di una rapida transizione verso l’uso di energie sostenibili. Lo Statuto dell’organizzazione è stato completato. E’ essenziale, pertanto, che l’agenzia diventi operativa quanto prima. Sono favorevole all’adozione dello Statuto che è stato presentato e, di conseguenza, ho espresso un voto a favore della relazione.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Condivido l’adesione allo Statuto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili da parte della Comunità europea. Detta Agenzia mira a diventare un centro di eccellenza per le energie rinnovabili, che consentirà di aiutare i governi a sfruttare le fonti di energia rinnovabile, a divulgare know-how e migliori prassi, nonché a fornire formazione in materia. E’, pertanto, auspicabile che la Comunità sia rappresentata presso un’istituzione i cui obiettivi coincidono con un suo ambito di competenza e il cui Statuto è già stato sottoscritto da venti Stati membri.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Il Portogallo è il sesto paese dell’Unione a 27 per dipendenza energetica, per cui investire nelle tecnologie pulite è di primaria importanza.

Sostengo un progetto nazionale per le energie rinnovabili, che dedichi particolare attenzione all’energia eolica, all’energia delle onde (date le eccezionali condizioni offerte dalla costa portoghese), all’energia solare termica e fotovoltaica e alla microgenerazione.

Sono, inoltre, favorevole alla ricerca e sviluppo di metodi, tecnologie e strategie che consentano l’immagazzinamento dell’energia rinnovabile eccedente.

Sono alfiere di una politica energetica che tenga conto delle sfide economiche e delle esigenze sociali, promuovendo al contempo lo sviluppo sostenibile, senza imporre oneri ambientali che ricadano sulle generazioni future.

La riduzione della nostra dipendenza energetica ha sempre rappresentato per me un impegno costante, e sono certo che la strada da intraprendere stia nel sostegno e nello sviluppo delle energie rinnovabili: mi compiaccio pertanto del fatto che il Portogallo sia uno dei membri fondatori dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA).

E’ inoltre per questo motivo che sostengo l’adesione della Comunità europea allo Statuto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA).

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Nel votare a favore di questa relazione, vorrei sottolineare l’importanza di creare un’organizzazione internazionale intesa a promuovere e sostenere l’uso delle energie rinnovabili in tutto il mondo, tenendo conto dei vantaggi che tali energie possono apportare alla tutela ambientale e climatica, nonché alla crescita economica e alla coesione sociale, riducendo altresì la povertà e garantendo la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e lo sviluppo regionale.

Alla conferenza di Bonn del gennaio 2009, la Romania, primo paese firmatario, ha esercitato la vicepresidenza della prima sessione, ed è stata inoltre invitata a entrare nel comitato amministrativo di IRENA, ovvero l’organo principale che funge temporaneamente da segretariato dell’Agenzia in attesa che questa cominci a funzionare a pieno regime. Attualmente, lo Statuto è stato sottoscritto da 137 paesi, tra i quali 24 Stati membri dell’Unione europea.

 
  
  

- Relazione De Castro (A7-0018/2009)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di regolamento del Consiglio recante abrogazione di alcuni atti obsoleti del Consiglio nel settore della politica agricola comune, poiché è necessario eliminare dall’acquis comunitario quegli atti che non siano più pertinenti. L’obiettivo è quello di migliorare la trasparenza e la certezza giuridica della legislazione comunitaria, in vista dell’accordo interistituzionale “Legiferare meglio” sottoscritto dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione. Di recente, l’accordo è stato confermato nella comunicazione della Commissione intitolata "Una PAC semplificata per l’Europa: un successo per tutti"; io sono relatore del Parlamento europeo per questa comunicazione, a nome del gruppo dell'Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo. Pertanto, nell’ambito di questa strategia, è opportuno eliminare dalla legislazione in vigore gli atti che abbiano perso efficacia.

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Alla luce dell’enorme mole di leggi europee, diventa essenziale procedere incisivamente all’abrogazione degli atti che abbiano perso validità. Per questo motivo, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Ritengo sia fondamentale che tutti i soggetti coinvolti nella politica agricola comune (PAC) siano a conoscenza del quadro giuridico vigente nonché delle norme applicabili in un determinato momento.

Riconosco che, conformemente al principio della certezza giuridica, gli atti obsoleti non possano restare in vigore nell’ordinamento giuridico comunitario fino a data da destinarsi.

Considerando la fondamentale importanza della PAC per i governi e i cittadini dell’Unione, è mia convinzione che essa debba essere quanto più semplice e chiara possibile riguardo alla sua applicazione e alle norme vigenti.

La PAC svolge un ruolo centrale nella vita dell’Unione, riveste un’enorme importanza pratica e non può ridursi a un groviglio di regole, normative, atti e decisioni che hanno perso validità, minandone l’efficacia.

Alla luce di tutto questo, sostengo la proposta della Commissione di abrogare gli atti obsoleti nel settore della politica agricola comune.

 
  
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  Alan Kelly (S&D), per iscritto. (EN) L’oggetto della votazione riguarda la necessità che le istituzioni europee abroghino gli atti del Consiglio che, con il passare del tempo e lo sviluppo della tecnologia, diventino obsoleti e privi di efficacia, per preservare il corretto funzionamento dell’Unione. Questa votazione riguarda alcuni atti del Consiglio nel settore della politica agricola comune. Credo che alcuni aspetti della PAC richiedessero ormai da tempo un riesame. Se si desidera attuare correttamente le politiche e utilizzarle a vantaggio dei cittadini europei, i relativi atti devono essere attinenti al mondo agricolo odierno. Sono, inoltre, fermamente convinto che si debba intervenire per sfatare l’immagine dell’Unione come macchina burocratica che i cittadini europei percepiscono. Gli atti obsoleti servono soltanto a confondere, senza avere alcuna utilità reale. Sono questi gli aspetti della politica comunitaria che appannano l’immagine dell’Unione europea tra i cittadini e li dissuadono dall’interagire con essa. Per concludere, sono fermamente convinto che, se l’Unione europea desidera continuare a svolgere un ruolo importante, allora occorre sempre votare a favore dell’ammodernamento delle sue leggi e politiche.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. (PL) E’ con grande piacere che ho votato a favore dell’approvazione della risoluzione sul regolamento recante abrogazione di alcuni atti obsoleti nel settore della PAC, in quanto continuiamo a sentir dire che vi sono troppe norme nell’Unione europea, con conseguenze negative per il corretto funzionamento dell’economia del mercato. Ciò vale in particolare per la PAC, nell’ambito della quale, nonostante siano state apportate numerose semplificazioni e sia stata eliminata tutta una serie di normative, restano in vigore diversi atti non più necessari.

Molti di questi atti hanno perso effetto giuridico, mentre il contenuto di altri è stato incorporato in documenti successivi. Tale situazione impone oneri molto gravosi, in termini di tempo e costi, ai nostri agricoltori ed è causa di lungaggini amministrative. Credo, pertanto, che sia essenziale procedere a un ulteriore aggiornamento, consolidamento e semplificazione del diritto comunitario, nonché all’abrogazione di numerosissimi atti giuridici, di modo che le disposizioni in vigore siano semplici, chiare e comprensibili. Ciò avvicinerà ancor più l’Unione europea ai suoi cittadini.

 
  
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  Oldřich Vlasák (ECR), per iscritto. (CS) Vorrei spiegare le ragioni del mio voto circa la proposta di regolamento del Consiglio recante abrogazione di alcuni atti obsoleti del Consiglio relativi alla politica agricola comune. Durante il processo dell’integrazione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato molti atti. Al momento della nostra adesione all’Unione europea, l’acquis comunitario contava quasi 80 000 pagine, metà delle quali riguardanti l’agricoltura. E’, pertanto, positivo che gli organismi dell’Unione europea abbiano convenuto, su base interistituzionale, che il diritto comunitario debba essere aggiornato e condensato.

Le leggi prive di effetto duraturo dovrebbero essere eliminate dall’acquis comunitario al fine di migliorare la trasparenza e la certezza del diritto comunitario. Di recente la Commissione ha dichiarato obsolete 250 leggi in materia agricola. Ora stiamo parlando di circa 28 atti privi di utilità da un punto di vista pratico, ma che formalmente esistono ancora, e di sei atti diventati obsoleti. Sebbene io abbia dato il mio sostegno a questa proposta, sono fermamente convinto che vi siano altre opportunità di snellire la legislazione europea e di ridurre la burocrazia di Bruxelles e, pertanto, chiedo alla Commissione di proseguire l’opera di semplificazione del diritto europeo.

 
  
  

- Relazione De Castro (A7-0017/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) E’ necessario condurre analisi di laboratorio al fine di verificare che determinati organismi nocivi non siano presenti sul territorio dell’Unione europea. Le normative attualmente in vigore non consentono ad alcuni laboratori cui potrebbe essere delegato questo incarico di effettuare le analisi, in quanto non conformi all’articolo 2, paragrafo 1, lettera g, punto ii, della direttiva 2000/29/CE. Sono favorevole a consentire a detti laboratori di svolgere questi compiti, purché siano rispettate alcune condizioni. Ho dunque votato a favore della relazione.

 
  
  

- Relazione Hübner (A7-0039/2009)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione che autorizza il Portogallo ad applicare una riduzione delle aliquote di accisa al rum, ai liquori e alle acqueviti prodotti e consumati nelle Azzorre e a Madera, poiché considero questa misura fondamentale per contribuire alla sussistenza delle piccole imprese specializzate in queste produzioni, che si trovano in una posizione concorrenziale estremamente svantaggiata dovendo affrontare la liberalizzazione dei mercati e l’aumento delle vendite di bevande alcoliche nella zona.

La riduzione di questa imposta contribuirà altresì a un maggiore equilibrio economico e sociale in quelle regioni, assicurando così la sostenibilità e persino la creazione di posti di lavoro, che sono essenziali per la salvaguardia delle economie locali.

 
  
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  John Attard-Montalto (S&D), per iscritto. (EN) Il governo di Malta dovrebbe adottare iniziative simili per l’isola di Gozo. Tutti gli Stati membri dell’Unione europea che includano regioni insulari hanno richiesto misure di questo tipo e hanno ricevuto dall’Unione europea l’autorizzazione a introdurre tali disposizioni ad hoc, che differiscono da una regione insulare all’altra, ma sono accomunate da un obiettivo: migliorare le condizioni economiche al fine di controbilanciare gli aspetti negativi delle regioni insulari. L’isola di Gozo soffre di gravi svantaggi, come la doppia insularità, la distanza, le piccole dimensioni del territorio e una topografia ostile. I paesi molto più grandi di Malta, come Portogallo, Italia e Grecia, sono stati in grado di ottenere misure speciali in modo da fornire incentivi allettanti per le regioni insulari. Le isole più piccole dell’arcipelago maltese sono particolarmente vulnerabili.

L’isola di Gozo ha bisogno di assistenza tramite l’introduzione di misure speciali di questo genere. Spetta al governo maltese individuare quali misure speciali sarebbero più adeguate e, successivamente, chiedere all’Unione europea di poter adottare tali misure. E’ compito del governo di Malta ridurre i disagi tristemente diffusi sull’isola di Gozo.

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Si tratta di una proroga della deroga fiscale concessa al Portogallo nel 2002 per alcune regioni autonome. Condivido tale proroga e, per questo, ho espresso un voto favorevole sulla relazione.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione Hübner sulla proposta di decisione del Consiglio che autorizza il Portogallo ad applicare una riduzione delle aliquote di accisa al rum e ai liquori prodotti e consumati nella regione autonoma di Madera nonché ai liquori e alle acquaviti prodotti e consumati nella regione autonoma delle Azzorre. Tenendo conto delle caratteristiche specifiche di queste regioni ultraperiferiche, ritengo che tale proroga sia essenziale per la sopravvivenza dell’industria locale di questi prodotti e per la protezione dei posti di lavoro del settore.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Considerata l’importanza che la produzione rispettivamente di rum e acquavite, nonché di liquori in entrambe le regioni, riveste per l’agricoltura e, di conseguenza, per l’economia e l’occupazione delle regioni autonome portoghesi di Madera e delle Azzorre, è essenziale che la riduzione delle aliquote di accisa applicate a questi prodotti continui, onde evitare forme di concorrenza sleale nel mercato interno.

L’eliminazione delle aliquote di accisa determinerebbe un aumento dei prezzi di vendita al dettaglio che, a sua volta, ridurrebbe ulteriormente la competitività di tali prodotti rispetto a prodotti simili importati dal resto dell’Unione europea e, pertanto, metterebbe a repentaglio la sussistenza dei prodotti tradizionali. L’effetto sull’industria locale e sull’economia regionale sarebbe disastroso a livello socioeconomico, considerando le conseguenze che si produrrebbero per le aziende agricole a conduzione familiare di quelle regioni.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) La proposta approvata durante la plenaria di oggi da una maggioranza schiacciante prevede una proroga della concessione del 2002, che autorizzava il Portogallo a ridurre le aliquote di accisa sul rum e i liquori prodotti e consumati a Madera nonché sui liquori e le acquaviti prodotti e consumati nelle Azzorre. Sin dall’inizio di questo iter, ho fatto il possibile per garantire che questa misura, scaduta alla fine del 2008, fosse rinnovata con carattere d’urgenza. Dopo aver ottenuto il sostegno unanime della commissione per lo sviluppo regionale, questo risultato è stato confermato dalla votazione di oggi, che mantiene la riduzione dell’imposta dal gennaio 2009 fino al 2013.

I produttori di rum e liquori di Madera incontrano continui ostacoli a causa della posizione geografica ultraperiferica, dell’insularità, delle difficoltà orografiche e climatiche nonché per le esigue dimensioni delle aziende agricole. Se non potessero più beneficiare di questa concessione, sarebbero obbligati ad aumentare i prezzi. Ciò condizionerebbe la loro attività e l’occupazione da essa dipendente, con conseguenze nefaste per la regione.

 
  
  

- Relazione Geringer de Oedenberg (A7-0024/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Il documento consiste di una mera codificazione di testi senza modificazioni sostanziali. Concordo con tale codificazione e, per questo motivo, ho votato a favore della relazione.

 
  
  

- Relazione Geringer de Oedenberg (A7-0025/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Ancora una volta si tratta di una codificazione che non introduce alcun cambiamento sostanziale e che mi trova d’accordo. Ho, pertanto, votato a favore di questa relazione.

 
  
  

- Relazione Geringer de Oedenberg (A7-0029/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) La relazione è una mera codificazione di testi già esistenti e, pertanto, ho espresso un voto a favore.

 
  
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  Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. (RO) Il coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative negli Stati membri in materia di diffusione di programmi televisivi è vitale per la creazione di uno spazio mediatico in cui il tema principale sia l’unità nella diversità. Per noi è altrettanto importante far sì che tutti i cittadini europei possano avere accesso alla legislazione europea. La relazione sulla proposta di direttiva sui servizi di media audiovisivi nella versione codificata, presentata precedentemente alla plenaria, è una misura meramente tecnica e giuridica i cui benefici sono, comunque, indiscutibili. La codificazione di una legislazione in costante cambiamento è una misura che conferisce maggiore chiarezza e trasparenza al diritto comunitario, semplificando la comprensione da parte dei cittadini dell’Unione europea. In questo caso, la proposta di codificazione consiste nel sostituire la vecchia direttiva del 1989 con una nuova direttiva (senza modificarne il contenuto) alla quale siano stati aggiunti gli atti che l’hanno integrata nel corso degli anni. Sono favorevole a questa iniziativa in quanto, a parte il suo carattere tecnico, non è possibile trascurarne il valore come sostegno a un adeguato funzionamento dei servizi di mezzi audiovisivi, nonché in termini di trasparenza.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) Concordo con il testo di questa relazione poiché il pluralismo dell’informazione dovrebbe costituire un principio fondamentale dell’Unione europea. La diversificazione dei mezzi di comunicazione di massa consente una molteplicità di punti di vista, che rappresenta una caratteristica essenziale di una società democratica.

Quest’argomentazione presenta anche un risvolto economico. I servizi dei mezzi audiovisivi convenzionali (come la televisione) e quelli di più recente introduzione (per esempio, i video su richiesta) offrono eccellenti opportunità di occupazione in Europa, particolarmente attraverso le piccole e medie imprese che, a loro volta, daranno impulso alla crescita economica e agli investimenti.

 
  
  

- Relazione Geringer de Oedenberg (A7-0033/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Questa relazione riguarda la codificazione della legislazione sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto. Sono d’accordo con tale codificazione e, pertanto, ho espresso un voto a favore.

 
  
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  Elisabeth Morin-Chartier (PPE), per iscritto. (FR) Come la maggioranza dei colleghi, ho votato a favore del miglioramento della trasparenza e chiarezza della legislazione comunitaria. In effetti, adottando questa risoluzione, il Parlamento europeo ha assecondato la volontà della Commissione europea di “ripulire” i testi attraverso la codificazione della legislazione sulla protezione dei lavoratori contro l’amianto. Tale risoluzione permetterà una migliore applicazione di queste norme, essenziali per i lavoratori.

 
  
  

- Relazione Geringer de Oedenberg (A7-0028/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) La presente relazione riguarda la codificazione della legislazione sui controlli veterinari per gli animali che sono introdotti nella Comunità. Ho, pertanto, votato a favore.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE), per iscritto (SK) Onorevoli colleghi, saluto con favore l’approvazione della relazione Geringer de Oedenberg sulla proposta di direttiva del Consiglio che fissa i principi relativi all'organizzazione dei controlli veterinari per gli animali che provengono dai paesi terzi e che sono introdotti nella Comunità. La nuova direttiva evidentemente contribuirà a chiarire e a rendere più comprensibili le attuali e numerose disposizioni giuridiche in questo settore. La direttiva si concentra sulla codificazione di leggi senza modificarne l’effettivo contenuto.

Dal punto di vista dei cittadini europei, semplificando e chiarendo il diritto comunitario si contribuisce ad aumentare la certezza giuridica e, a mio avviso, la codificazione effettuata dalla direttiva rappresenta, pertanto, un passo nella direzione giusta, che porta all’applicazione efficace del diritto positivo. Al contempo, concordo sul fatto che l’armonizzazione dei principi a livello comunitario contribuirà non solo a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento, ma anche alla stabilizzazione di un mercato interno in cui sono stati eliminati i controlli alle frontiere interne, nonché alla tutela degli animali introdotti nella Comunità.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) In base alle normative attuali, laddove sia scoperto un carico non conforme alle normative sulla tutela degli animali, le autorità, dopo aver proceduto al suo “sequestro” al fine di tutelare gli animali stessi, devono riconsegnare al proprietario eventuali animali giovani non vaccinati che siano stati separati dalla madre prematuramente, una volta posto rimedio al problema. Nella pratica, naturalmente, ci si approfitta senza pudore di questo tipo di situazione.

Questa codificazione sarebbe una buona occasione per modificare il regolamento comunitario sul trasporto degli animali, di modo che i cuccioli possano essere sequestrati ogniqualvolta i carichi non siano conformi alle normative, eliminando così questa scappatoia. Purtroppo, abbiamo permesso che andasse persa questa occasione. Nonostante tutto, la codificazione nel suo complesso sembra introdurre un miglioramento della normativa sulla tutela degli animali, ragion per cui ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Poiché l’alimentazione rappresenta un fattore significativo per la salute della popolazione e dato che gli animali sono una fonte essenziale di prodotti alimentari, è particolarmente importante che sia garantita una tutela globale in questo ambito, e ciò deve essere realizzato, tra le altre cose, mediante controlli veterinari. Questi ultimi rivestono una grande importanza presso le frontiere esterne della Comunità, specialmente perché le norme dei paesi terzi in questo ambito spesso sono meno rigorose di quelle dell’Unione europea.

Occorrono, pertanto, normative più mirate, più uniformi e più chiare allo scopo di garantire che gli stessi controlli all’importazione siano effettuati lungo tutte le frontiere esterne,. L’attuale proposta della Commissione a favore della codificazione della direttiva del Consiglio che fissa i principi relativi all'organizzazione dei controlli veterinari per gli animali che provengono dai paesi terzi e che sono introdotti nella Comunità fa un passo in questa direzione e, pertanto, riceve il mio sostegno.

 
  
  

- Relazione Geringer de Oedenberg (A7-0031/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Questa relazione consiste in una codificazione senza modifiche sostanziali e, pertanto, ho espresso un voto a favore.

 
  
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  Elisabeth Morin-Chartier (PPE), per iscritto. (FR) Come la maggior parte dei colleghi parlamentari, ho votato a favore del miglioramento della trasparenza e della chiarezza della normativa riguardante le reti per la raccolta dei dati contabili relativi ai redditi e all’attività delle aziende agricole al fine di migliorare la normativa e, soprattutto, di rendere il testo più leggibile.

 
  
  

- Relazione Geringer de Oedenberg (A7-0027/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) La presente relazione consiste in una mera codificazione della normativa sulle norme di polizia sanitaria per gli scambi intracomunitari. Concordo con tale codificazione e, pertanto, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) Innanzi tutto, l’allevamento del pollame costituisce una parte significativa delle attività economiche del settore agricolo, oltre a rappresentare una fonte di reddito per una parte della forza lavoro. In secondo luogo, le uova e il pollame rientrano tra le derrate alimentari più comuni. Per tali ragioni, anche il commercio di questi prodotti dovrebbe essere regolamentato con chiarezza e in maniera uniforme, se non altro per proteggere la salute dei cittadini.

L’attuale proposta della Commissione per una versione codificata della direttiva del Consiglio relativa alle norme di polizia sanitaria per gli scambi intracomunitari e le importazioni in provenienza dai paesi terzi di pollame e uova da cova difende gli interessi di coloro che lavorano nel settore agricolo e coloro che commerciano nel settore, nonché i cittadini dell’Unione europea in quanto consumatori, ragion per cui sostengo la proposta.

 
  
  

- Relazione Geringer de Oedenberg (A7-0032/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) La proposta è una codificazione che non apporta modifiche sostanziali. Pertanto, ho votato a favore.

 
  
  

- Relazione Busuttil (A7-0019/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Questa relazione propone l’esenzione dal visto per soggiorni di breve durata tra la Comunità europea e la Repubblica di Mauritius. Concordo con tale disposizione e, pertanto, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Sono a favore di questo accordo negoziato tra la Comunità europea e la Repubblica di Mauritius, che istituisce l’esenzione dal visto per l’ingresso e per soggiorni di breve durata allo scopo di agevolare gli spostamenti dei cittadini. I cittadini dell’Unione europea e della Repubblica di Mauritius che si rechino nel territorio della controparte per un periodo massimo di tre mesi su sei saranno esenti dall’obbligo di visto. Fanno eccezione il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda, che non sono vincolati da questo accordo, e la limitazione territoriale nei confronti di Francia e Olanda, in virtù della quale questo accordo va applicato soltanto ai territori europei di detti paesi.

Ricordo che chiunque viaggi con la finalità di esercitare un’attività retribuita durante un breve soggiorno non potrà beneficiare di questo accordo e continuerà a essere soggetto alle norme pertinenti a livello comunitario e nazionale in materia di obbligo o esenzione del visto, nonché di accesso all’occupazione. L’accordo può essere sospeso o revocato, ma quella decisione può soltanto essere presa rispetto a tutti gli Stati membri. Sono, inoltre, a favore dell’applicazione provvisoria dell’accordo in attesa della sua entrata in vigore.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Questo accordo stipulato tra la Comunità europea e la Repubblica di Mauritius prevede l’esenzione dall’obbligo del visto per i cittadini dei paesi in questione che si rechino nel territorio della controparte per un periodo massimo di tre mesi su sei.

Ho espresso un voto contrario alla conclusione dell’accordo poiché mantenere l’obbligo del visto costituisce un controllo certo sull’immigrazione indesiderata, mentre l’esenzione dal visto per periodi fino a tre mesi offrirebbe abbastanza tempo per costruirsi una rete sociale a coloro che, in realtà, hanno programmato di fermarsi per un periodo più lungo.

 
  
  

- Relazione Busuttil (A7-0012/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Questa relazione prevede l’esenzione dal visto per soggiorni di breve durata tra le Seychelles e la Comunità europea. Do il mio sostegno all’accordo e, pertanto, voto a favore della relazione.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Sono a favore di questo accordo negoziato tra la Comunità europea e le Seychelles, che istituisce l’esenzione dal visto per l’ingresso e per soggiorni di breve durata allo scopo di agevolare gli spostamenti dei cittadini. I cittadini dell’Unione europea e delle Seychelles che si rechino nel territorio della controparte per un periodo massimo di tre mesi su sei saranno esenti dall’obbligo di visto. Fanno eccezione il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda, che non sono vincolati da questo accordo, e la limitazione territoriale nei confronti di Francia e Olanda, in virtù della quale questo accordo va applicato soltanto ai territori europei di detti paesi.

Ricordo che chiunque viaggi con la finalità di esercitare un’attività retribuita durante un breve soggiorno non potrà beneficiare di questo accordo e continuerà a essere soggetto alle norme pertinenti a livello comunitario e nazionale in materia di obbligo o esenzione del visto, nonché di accesso all’occupazione. L’accordo può essere sospeso o revocato, ma quella decisione può soltanto essere presa rispetto a tutti gli Stati membri. Sono, inoltre, a favore dell’applicazione provvisoria dell’accordo in attesa della sua entrata in vigore.

 
  
  

- Relazione Busuttil (A7-0013/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Questa relazione prevede l’esenzione dal visto per soggiorni di breve durata tra la Comunità europea e le Barbados. Do il mio sostegno all’accordo e, pertanto, voto a favore della relazione.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Sono a favore di questo accordo negoziato tra la Comunità europea e la Repubblica delle Barbados, che istituisce l’esenzione dal visto per l’ingresso e per soggiorni di breve durata allo scopo di agevolare gli spostamenti dei cittadini. I cittadini dell’Unione europea e della Repubblica delle Barbados che si rechino nel territorio della controparte per un periodo massimo di tre mesi su sei saranno esenti dall’obbligo di visto. Fanno eccezione il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda, che non sono vincolati da questo accordo, e la limitazione territoriale nei confronti di Francia e Olanda, in virtù della quale questo accordo va applicato soltanto ai territori europei di detti paesi.

Ricordo che chiunque viaggi con la finalità di esercitare un’attività retribuita durante un breve soggiorno non potrà beneficiare di questo accordo e continuerà a essere soggetto alle norme pertinenti a livello comunitario e nazionale in materia di obbligo o esenzione del visto, nonché di accesso all’occupazione. L’accordo può essere sospeso o revocato, ma quella decisione può soltanto essere presa rispetto a tutti gli Stati membri. Sono, inoltre, a favore dell’applicazione provvisoria dell’accordo in attesa della sua entrata in vigore.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Le relazioni che abbiano dinanzi, riguardanti gli accordi tra la Comunità europea e numerosi piccoli Stati isola come Mauritius e le Barbados, prevedono un’esenzione dal visto qualora i cittadini dei paesi interessati si rechino nel territorio della controparte per un periodo massimo di tre mesi su sei. Respingo questo allentamento dei requisiti di ingresso e, pertanto, ho votato contro la conclusione di questi accordi, poiché il mantenimento dell’obbligo di visto costituisce un ostacolo alla criminalità e, di conseguenza, limita notevolmente l’immigrazione indesiderata.

Si può, inoltre, presupporre che coloro che soggiornano nell’Unione europea per tre mesi, avvalendosi di tale esenzione dall’obbligo di visto, potrebbero stabilire numerosi contatti che consentano loro di passare poi alla clandestinità. Va evitato ad ogni costo un aumento delle attività criminali e illecite.

 
  
  

- Relazione Busuttil (A7-0014/2009)

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Sono a favore di questo accordo negoziato tra la Comunità europea e la Federazione di Saint Christopher (Saint Kitts) e Nevis, che istituisce l’esenzione dal visto per l’ingresso e per soggiorni di breve durata allo scopo di agevolare gli spostamenti dei cittadini. I cittadini dell’Unione europea e della suddetta Federazione che si rechino nel territorio della controparte per un periodo massimo di tre mesi su sei saranno esenti dall’obbligo di visto. Fanno eccezione il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda, che non sono vincolati da questo accordo, e la limitazione territoriale nei confronti di Francia e Olanda, in virtù della quale questo accordo va applicato soltanto ai territori europei di detti paesi.

Ricordo che chiunque viaggi con la finalità di esercitare un’attività retribuita durante un breve soggiorno non potrà beneficiare di questo accordo e continuerà a essere soggetto alle norme pertinenti a livello comunitario e nazionale in materia di obbligo o esenzione del visto, nonché di accesso all’occupazione. L’accordo può essere sospeso o revocato, ma quella decisione può soltanto essere presa rispetto a tutti gli Stati membri. Sono, inoltre, a favore dell’applicazione provvisoria dell’accordo in attesa della sua entrata in vigore.

 
  
  

- Relazione Busuttil (A7-0015/2009)

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Sono a favore di questo accordo negoziato tra la Comunità europea e Antigua e Barbuda, che istituisce l’esenzione dal visto per l’ingresso e per soggiorni di breve durata allo scopo di agevolare gli spostamenti dei cittadini. I cittadini dell’Unione europea e di Antigua e Barbuda che si rechino nel territorio della controparte per un periodo massimo di tre mesi su sei saranno esenti dall’obbligo di visto. Fanno eccezione il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda, che non sono vincolati da questo accordo, e la limitazione territoriale nei confronti di Francia e Olanda, in virtù della quale questo accordo va applicato soltanto ai territori europei di detti paesi.

Ricordo che chiunque viaggi con la finalità di esercitare un’attività retribuita durante un breve soggiorno non potrà beneficiare di questo accordo e continuerà a essere soggetto alle norme pertinenti a livello comunitario e nazionale in materia di obbligo o esenzione del visto, nonché di accesso all’occupazione. L’accordo può essere sospeso o revocato, ma quella decisione può soltanto essere presa rispetto a tutti gli Stati membri. Sono, inoltre, a favore dell’applicazione provvisoria dell’accordo in attesa della sua entrata in vigore.

 
  
  

- Relazione Busuttil (A7-0016/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Questa relazione prevede l’esenzione dal visto per soggiorni di breve durata tra le Bahamas e gli Stati membri dell’Unione europea. Do il mio sostegno all’accordo e, pertanto, voto a favore della relazione.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Sono a favore di questo accordo negoziato tra la Comunità europea e il Commonwealth delle Bahamas, che istituisce l’esenzione dal visto per l’ingresso e per soggiorni di breve durata allo scopo di agevolare gli spostamenti dei cittadini. I cittadini dell’Unione europea e del Commonwealth delle Bahamas che si rechino nel territorio della controparte per un periodo massimo di tre mesi su sei saranno esenti dall’obbligo di visto. Fanno eccezione il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda, che non sono vincolati da questo accordo, e la limitazione territoriale nei confronti di Francia e Olanda, in virtù della quale questo accordo va applicato soltanto ai territori europei di detti paesi.

Ricordo che chiunque viaggi con la finalità di esercitare un’attività retribuita durante un breve soggiorno non potrà beneficiare di questo accordo e continuerà a essere soggetto alle norme pertinenti a livello comunitario e nazionale in materia di obbligo o esenzione del visto, nonché di accesso all’occupazione. L’accordo può essere sospeso o revocato, ma quella decisione può soltanto essere presa rispetto a tutti gli Stati membri. Sono, inoltre, a favore dell’applicazione provvisoria dell’accordo in attesa della sua entrata in vigore.

 
  
  

- Relazione Haug (A7-0023/2009)

 
  
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  Gerard Batten (EFD), per iscritto. (EN) Noi parlamentari europei dell’UKIP ci siamo astenuti in quanto non crediamo che l’Unione europea debba assumersi la responsabilità di inviare il denaro dei contribuenti alle vittime del terremoto in Italia. A quelle vittime va tutta la nostra comprensione, ma riteniamo che le donazioni debbano giungere dai governi e dalle organizzazioni benefiche nazionali.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Come ho sottolineato in precedenza riguardo alla relazione Böge (A7-0021/2009) sul terremoto dell’Abruzzo, ritengo che la solidarietà tra gli Stati membri dell’Unione europea e il sostegno europeo per gli Stati colpiti da catastrofi naturali lancino un chiaro segnale che l’Unione europea, nell’adottare strumenti di aiuto speciali come il Fondo di solidarietà dell’Unione europea, dimostra di saper restare unita di fronte alle avversità e questo è qualcosa di cui possiamo essere davvero orgogliosi.

Così, in vista della possibilità che la Commissione europea possa presentare bilanci rettificativi nell’eventualità di “circostanze inevitabili, eccezionali o impreviste”, compreso il terremoto in Italia, ho votato a favore di questa relazione riguardante la rettifica del bilancio dell’Unione europea. In questo modo, i residenti della zona colpita potranno vedere un rapido risarcimento dei danni provocati dal terremoto e un veloce ripristino delle condizioni di vita normali grazie alla mobilizzazione di 493,78 milioni di euro dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Visto che è stata approvata una mobilizzazione dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea pari a 493 771 159 euro a favore dell’Italia, e dato che il suddetto Fondo non dispone di un proprio bilancio, occorre procedere alla rettifica del bilancio comunitario al fine di garantire la disponibilità dell’importo concordato. Essendo d’accordo con la necessità di stanziare quanto prima le risorse necessarie, ci rammarichiamo del fatto che la proposta presentata dalla Commissione europea preveda, tra altre voci di bilancio, una riduzione dei finanziamenti destinati a importanti programmi comunitari rispetto al quadro finanziario pluriennale precedente e a quello attuale.

A titolo esemplificativo, possono essere menzionate le riduzioni previste per il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, lo strumento finanziario d'orientamento della pesca – programmi dell’Unione europea appartenenti al quadro comunitario precedente, 2002-2006 – oppure LIFE+, lo strumento finanziario per l’ambiente. A nostro avviso, non solo il Fondo di solidarietà dovrà essere necessariamente adeguato in modo da dotarlo di una linea di bilancio con risorse proprie, ma il suo finanziamento non dovrebbe avvenire a costo dei suddetti programmi comunitari mentre, al contempo, si insiste sul rafforzamento delle spese militari e di propaganda. I fondi che ora sono destinati al Fondo di solidarietà si sarebbero, invece, potuti attingere da queste voci di bilancio.

 
  
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  Barry Madlener (NI), per iscritto. (NL) Il Partij voor de Vrijheid (Partito per la libertà olandese, PVV) è a favore dell’assistenza nelle emergenze, tuttavia spetta ai singoli Stati membri, e non all’Unione europea, fornire tale assistenza.

 
  
  

- Relazione Böge (A7-0022/2009)

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Concordo che bisognerebbe predisporre un sostegno supplementare per i lavoratori che soffrono le conseguenze dei grandi cambiamenti strutturali nei flussi commerciali mondiali e che si dovrebbe aiutarli a reinserirsi nel mercato del lavoro. E’ essenziale che l’assistenza finanziaria per i lavoratori in esubero sia disponibile quanto prima e che le risorse del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), vitali per il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori in esubero, siano utilizzate con maggiore efficacia. Desidero sottolineare che gli Stati membri dovrebbero fornire informazioni più dettagliate sull’applicazione di importanti obiettivi di parità tra uomini e donne e non discriminazione attraverso le misure finanziate tramite il FEG.

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) Questa relazione è a favore della mobilizzazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. Concordo sul fatto che la mobilizzazione di questo fondo sia necessaria in questo caso e, per tale ragione, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Lena Ek, Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. (SV) Siamo del tutto consapevoli degli effetti negativi della crisi economica sul mercato del lavoro e sulla società nel suo complesso. Desideriamo esprimere la nostra profonda solidarietà a coloro che sono stati colpiti dalla crisi e siamo lieti di vedere l’introduzione di misure, come la formazione, che assisteranno le singole persone a superare queste difficoltà. Ciononostante, siamo convinti che il libero scambio sia fondamentalmente una forza positiva che va a beneficio dello sviluppo dell’Europa nel suo intero. Vorremmo, pertanto, vedere una gestione della crisi finanziaria affrontata in primo luogo tramite strumenti basati sul mercato, che promuovano il commercio libero ed equo.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La disoccupazione è uno dei principali problemi che interessano lo Spazio economico europeo. Anche prima che sorgesse l’attuale crisi finanziaria, che ha accresciuto e aggravato alcuni sintomi preesistenti, risulta evidente il serio impatto della globalizzazione e della conseguente rilocalizzazione delle imprese sulla vita di molte persone. Le particolari difficoltà dell’epoca in cui viviamo risultano evidenti se si considerano insieme con questi problemi l’attuale mancanza di fiducia dei mercati e la contrazione degli investimenti. In questo senso, sebbene io sia a favore della regolamentazione del mercato interno, ritengo che l’eccezionalità della crisi giustifichi contromisure eccezionali per combatterla.

Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è uno degli strumenti che l’Unione europea ha a propria disposizione per aiutare i lavoratori disoccupati in queste circostanze. Credo che il caso dei lavoratori della Nokia GmbH, nei pressi della città tedesca di Bochum, giustifichi l’aiuto europeo, come fu già fatto in Portogallo. Indipendentemente da tali aiuti, che sono innegabilmente utili, l’Unione europea deve anche adoperarsi per promuovere un mercato europeo più solido e creativo, capace di generare investimenti e occupazione. Solo così sarà possibile affrontare il problema in maniera efficace, seria e sostenibile.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) In questo caso si è trattato di rispondere a una richiesta di assistenza da parte della Germania per gli esuberi nel settore delle telecomunicazioni, specialmente tra i lavoratori della Nokia GmbH, che soddisfacevano i criteri di ammissibilità definiti nel regolamento del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione.

In realtà, la mobilizzazione di questo fondo attenua però solo alcune delle gravi conseguenze della crisi economica e finanziaria. Serve una rottura con le politiche neoliberali che stanno causando un autentico disastro economico e sociale in molti paesi dell’Unione europea, in particolare in Portogallo.

Nonostante il nostro voto a favore di questa relazione, non possiamo non notare l’insufficienza delle misure proposte, che sono meri palliativi, e la vera ingiustizia del regolamento, che beneficia maggiormente i paesi con retribuzioni e sussidi di disoccupazione più elevati.

Per tale ragione, insistiamo su un cambiamento delle politiche e sulla necessità di un vero piano di sostegno per la produzione e la creazione di posti di lavoro con diritti.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE), per iscritto. (EN) Signor Presidente, ho votato a favore dell’investimento, tramite il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG), di circa 5,6 milioni di euro nella regione tedesca della Renania settentrionale-Vestfalia, teatro di licenziamenti di massa fin dagli anni novanta. In conseguenza alla chiusura, nel 2008, dell’impianto di produzione di Bochum della società di telecomunicazioni finlandese Nokia e alla sua rilocalizzazione in mercati più convenienti, nella regione sono stati licenziati altri 2 300 lavoratori. Poiché sono finlandese, mi sta particolarmente a cuore la difficile situazione dei lavoratori che hanno perso il posto di lavoro a causa della chiusura dell’impianto di produzione Nokia a Bochum. Questo è stato infatti l’ultimo di una serie di eventi che hanno aggravato la disoccupazione nella zona. Saluto dunque con grande favore gli investimenti del FEG nella regione quale strumento per migliorare le opportunità di occupazione per gli abitanti della Renania settentrionale-Vestfalia.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Abbiamo votato a favore di questo testo pensando ai dipendenti della Nokia e al loro ingiusto licenziamento. Teniamo a sottolineare, comunque, che non siamo soddisfatti di aver dovuto votare per la migliore proposta tra le peggiori: assistenza nella ricerca di un lavoro nel quadro di assurdi licenziamenti di massa da parte di un leader mondiale della telefonia mobile, la Nokia, licenziamenti qui descritti come uno dei vari rischi posti da una globalizzazione alla quale bisogna adattarsi.

Denunciamo questa logica di “adeguamento” alla globalizzazione, poiché è così che l’Unione europea chiama tragedie sociali e umane come questa, che vedono società che registrano utili record delocalizzare all’estero allo scopo di incrementare ancor più i profitti, rovinando la vita di centinaia di lavoratori e di un’intera regione. Questo palliativo caritatevole proposto (il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione) non può far dimenticare che l’Unione europea è, in effetti, direttamente responsabile del dramma sofferto dai lavoratori in esubero, a causa della sua scelta a favore della libera ed equa concorrenza. Invece di sostenere tali “adeguamenti” alle enormi incertezze provocate dall’economia capitalista, l’Unione europea dovrebbe vietare tali pratiche e tutelare i cittadini europei.

 
  
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  Elisabeth Morin-Chartier (PPE), per iscritto. (FR) Questa relazione è a favore della mobilizzazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) in seguito agli esuberi verificatisi in Germania. Sono totalmente d’accordo con la mobilizzazione del fondo – in questo caso è necessario – pertanto, come la maggior parte dei miei colleghi deputati, ho votato a favore di questa relazione. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è uno dei meccanismi disponibili all’Unione europea per aiutare i lavoratori che siano stati licenziati in seguito alle ripercussioni della globalizzazione. Ritengo che il caso dei dipendenti della Nokia GmbH e della zona di Bochum, in Germania, richieda la mobilizzazione degli aiuti europei, proprio come è stato fatto in precedenza nel caso del Portogallo.

 
  
  

- Relazione Wallis (A7-0030/2009)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. (EN) L’onorevole Siwiec è stato accusato di aver offeso il sentimento religioso altrui durante un evento svoltosi alcuni anni fa. Dopo aver esaminato i fatti, ritengo che non sia opportuno revocare l’immunità. Anche il relatore è dello stesso avviso e, pertanto, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Ole Christensen, Dan Jørgensen e Christel Schaldemose (S&D), per iscritto. (DA) Nella votazione di oggi, ci siamo espressi a favore della revoca dell’immunità dell’onorevole Siwiec. Ciò significa che egli potrebbe essere rinviato a giudizio in Polonia come qualsiasi altro cittadino. Desideriamo esprimere tutta la nostra comprensione all’onorevole Siwiec e, per quanto possa valere la nostra opinione, anche noi crediamo che le accuse mosse nei suoi confronti siano infondate e abbiano una motivazione politica.

Riteniamo, tuttavia, che si debba permettere che egli sia giudicato da un tribunale come chiunque altro, poiché occorre avere fiducia nel rispetto dei principi fondamentali della democrazia e dello stato di diritto da parte della Polonia, trattandosi di un prerequisito necessario per essere uno Stato membro dell’Unione europea. Per la stessa ragione, noi, per principio, esprimiamo sempre un voto a favore della revoca dell’immunità dei deputati di questo Parlamento, indipendentemente dal caso di cui si tratti.

 
  
  

- Relazione Coelho (A7-0035/2009)

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) La creazione dello spazio Schengen abolendo i controlli alle frontiere interne e l’introduzione della libera circolazione nell’ambito del territorio dell’Unione europea si annoverano tra i risultati più importanti raggiunti dall’Unione europea. Tenendo conto della permeabilità delle frontiere, occorrono standard assai elevati per l’effettiva applicazione dell’acquis di Schengen al fine di poter mantenere un maggiore livello di fiducia reciproca tra gli Stati membri, che include anche la loro capacità di attuare le misure che accompagnano l’abolizione dei controlli alle frontiere interne.

Occorre migliorare il meccanismo di valutazione per controllare l’attuazione dell’acquis di Schengen. La necessità di mantenere un elevato livello di sicurezza e di fiducia richiede una collaborazione efficace tra i governi degli Stati membri e la Commissione europea.

Tenendo conto dell’importanza di questa iniziativa legislativa e della sua pertinenza in termini di diritti e libertà fondamentali, è increscioso che il Parlamento europeo stia svolgendo un ruolo consultivo invece che di colegislatore, come invece gli spetterebbe. Di conseguenza, ho votato contro la proposta legislativa della Commissione.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa relazione, in quanto la posizione del relatore è in linea con i principi delle libertà dei cittadini, della giustizia e degli affari interni. L’introduzione di un meccanismo di valutazione è significativa per tutti gli Stati membri. Dato che non si prende in considerazione la procedura di codecisione, la proposta della Commissione europea limita le opportunità di collaborazione tra gli Stati membri. La proposta stilata di recente dalla Commissione europea dovrà essere emendata una volta entrato in vigore il trattato di Lisbona.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La creazione, mediante gli accordi di Schengen, di uno spazio europeo libero da controlli frontalieri ha rappresentato un passo importante nella costruzione di un mercato interno aperto caratterizzato dalla libera circolazione di persone e di merci. Ciononostante, se questo spazio deve realizzare il suo potenziale, che io riconosco, deve esistere anche un efficace meccanismo di valutazione della sua applicazione nei diversi Stati membri.

Concordo, pertanto, con il rafforzamento delle competenze volte a controllare Schengen, in particolare tramite valutazioni (questionari e visite locali, sia programmate sia non annunciate) e meccanismi di post-valutazione, in modo da garantire una supervisione adeguata del modo in cui i vari Stati membri operano, collaborano e controllano le proprie frontiere esterne nell’ambito degli accordi di Schengen.

Sono consapevole che eventuali lacune o intoppi nel funzionamento del sistema comportino seri rischi per la sicurezza interna dell’Unione europea e mettano a repentaglio lo stesso spazio Schengen come spazio di libertà, ma anche di sicurezza.

Non concordo, invece, con il rafforzamento del carattere comunitario di tale valutazione potenziando le competenze dell’Unione europea a svantaggio del sistema intergovernativo che finora era prevalso nel Gruppo di valutazione di Schengen.

Per tali ragioni, voto affinché sia respinta la proposta della Commissione europea.

 
  
  

- Relazioni Coelho (A7-0034/2009) e (A7-0035/2009)

 
  
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  Jacky Hénin (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Si osa parlare di acquis di Schengen, ma poiché vivo a Calais, posso testimoniare in prima persona che, se da una parte gli accordi di Schengen hanno favorito la libera circolazione dei capitali e delle merci, dall’altra sussistono ancora numerosi problemi.

Al di là della bella utopia di un’Europa senza frontiere, ogni giorno ci dobbiamo confrontare con la drammatica realtà di Schengen: condizioni di vita disumane per gli immigrati.

L’Unione europea e gli Stati membri stanno facendo poco o nulla per affrontare questo dramma. La Francia, da parte sua, non si sta facendo onore con le sue operazioni mediatico-poliziesche di caccia all’uomo, come quella della “giungla” di Calais.

Pertanto, anche in termini di azioni umanitarie in senso stretto, l’Unione europea è totalmente assente, lasciando che le autorità locali affrontino i problemi da sole.

Smettiamo di versare lacrime di coccodrillo e comportiamoci finalmente da esseri umani responsabili. Ciò che accade a Calais è un problema politico di rilievo per l’Unione europea. La sua soluzione non giungerà né dalla fortezza Europa di Schengen né da misure umanitarie puntuali. Abbandoniamo le politiche di libero scambio, blocchiamo la libera circolazione dei capitali, incoraggiamo la sovranità alimentare, dichiariamo l’acqua ed energia beni pubblici mondiali e combattiamo le disuguaglianze socio-economiche.

 

9. Correzioni e intenzioni di voto:vedasi processo verbale
 

(La seduta, sospesa alle 12.30, riprende alle 15.05)

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. BUZEK
Presidente

 

10. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
Video degli interventi

11. Tempo delle interrogazioni al Presidente della Commissione
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni al presidente della Commissione.

Interrogazioni libere

 
  
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  Paulo Rangel , vicepresidente del gruppo PPE.(PT) Signor Presidente, signor Presidente della Commissione, vorrei inaugurare questo primo dibattito congratulandomi con lei per questo nuovo strumento di supervisione politica e per il significato che esso riveste per il progresso e lo sviluppo della democrazia parlamentare in Europa. Saranno i cittadini europei a trarne il massimo beneficio attraverso i propri rappresentanti.

Alla luce degli ultimi sviluppi – il referendum in Irlanda, la ratifica da parte della Polonia e le dichiarazioni rilasciate recentemente dal presidente della Repubblica ceca – qual è la sua valutazione sul processo finalizzato all’entrata in vigore del trattato di Lisbona? Il presidente della Commissione ha preso dei provvedimenti? Qual è la data che si è prefissato per l’entrata in vigore? E ancora, in riferimento a tale data provvisoria, la Commissione ha già intrapreso delle misure per la transizione dei trattati – dal trattato di Nizza al trattato di Lisbona – o stiamo ancora aspettando, per così dire, di vedere cosa succederà?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(PT) In primo luogo, onorevole Rangel, la ringrazio per le congratulazioni. Sono lieto che il Parlamento europeo abbia introdotto questa procedura. Si tratta di uno strumento di cui dispone anche il Portogallo, e me n’ero occupato sia come capo dell’opposizione che come primo ministro, quindi spero che favorisca la discussione con gli onorevoli deputati.

Per rispondere alla domanda specifica che mi ha rivolto, la questione mi pare ovvia: tutti i paesi hanno già democraticamente approvato il trattato di Lisbona. L’Irlanda lo ha fatto mediante una consultazione referendaria e gli altri paesi per mezzo del parlamento. Il processo di ratifica è ancora in corso nella Repubblica ceca. Stiamo attendendo che venga completata la procedura presso la Corte costituzionale, ma una volta terminata, il processo di ratifica sarà definitivamente chiuso in virtù di un principio giuridico generale, riconosciuto nel diritto comunitario e nel diritto internazionale, ossia il principio di leale cooperazione tra Stati membri e istituzioni, nonché in virtù del principio di buona fede nella negoziazione degli accordi internazionali.

 
  
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  Paulo Rangel , vicepresidente del gruppo PPE.(PT) Presidente della Commissione, dopo aver ascoltato la sua risposta, vorrei sapere: nella fase attuale di attesa per la formazione della Commissione qual è la sua posizione su questo tema specifico? Avremo una Commissione facente funzione fino al momento in cui la Repubblica ceca alla fine ratificherà il trattato o si procederà alla nomina dei nuovi commissari?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(PT) Il Consiglio europeo ha deciso che potrà nominare i nuovi commissari quando vi sarà chiarezza giuridica sul trattato, e il processo non è ancora stato completato.

A partire dal 1° novembre la Commissione pertanto si occuperà solamente delle questioni ordinarie. Naturalmente speriamo che il processo si concluda quanto prima, stiamo facendo tutto il possibile in vista della prossima Commissione e continueremo a farlo. Per essere sincero, onorevoli deputati, devo ammettere che la tempistica non dipende interamente da noi: dipende anche dalla conclusione del processo di ratifica nella Repubblica ceca.

 
  
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  Stephen Hughes, vicepresidente del gruppo S&D.(EN) L’anno prossimo il numero dei disoccupati in Europa potrebbe salire a 27 milioni, trasformando questa crisi economica e finanziaria in una crisi sociale. Alla luce di tale premessa, conviene sul fatto che il piano di ripresa economica varato lo scorso dicembre non sia di per sé sufficiente? In particolare, conviene sulla necessità di introdurre un ulteriore stimolo – l’entità indicata dal CES è dell’1 per cento del PIL – in modo da favorire una strategia positiva di accesso al mercato del lavoro volta a proteggere un’occupazione che poggi su basi solite e a creare nuovi posti di lavoro, promuovendo modalità intelligenti di condivisione?

Che cosa farà a livello comunitario per promuovere l’occupazione nel settore ambientale e tra i giovani? E’ stata proposta, ad esempio, la creazione di una piattaforma strategica unica atta a riunire gli attori principali affinché si adoperino insieme per favorire la crescita, l’innovazione e i posti di lavoro in tutti i settori e a coordinare gli strumenti esistenti, come le piattaforme tecnologiche, i gruppi di esperti settoriali e le iniziative tecnologiche congiunte. Pensa sia opportuno mettere in atto tale iniziativa a livello europeo?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Penso che senza il piano di ripresa economica la situazione sarebbe ben peggiore. In realtà, si è creato un vero e proprio effetto cuscinetto in ragione delle misure adottate. Abbiamo calcolato che la spesa nel 2009 e nel 2010 è stata pari a circa il 5 per cento del PIL dell’Unione, ossia a circa 550 miliardi di euro. Mi pare quindi che qualcosa sia stato fatto. Dobbiamo riconoscerlo.

Sono a favore di tutte le iniziative che riguardano le piattaforme combinate cui ha fatto accenno per far fronte ai vari problemi. L’occupazione rimane la questione più importante. Come sapete, l’ho dichiarato molte volte e infatti ho chiesto la convocazione di un vertice su questo tema. Alcuni Stati membri lo hanno minimizzato. Probabilmente lei, onorevole Hughes, potrebbe aiutarci a convincere alcuni Stati membri e alcuni governi che hanno deciso di limitare l’importanza del vertice sull’occupazione, poiché credo che l’occupazione sia il problema più importante che dobbiamo affrontare nel prossimo futuro.

 
  
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  Stephen Hughes, vicepresidente del gruppo S&D.(EN) Mi adopererò senz’altro presso questi Stati membri. Per ritornare all’idea della strategia di accesso al mercato, ritiene che la spesa volta a ridurre fattivamente la disoccupazione non debba essere vista come un ulteriore carico sulle finanze pubbliche, ma come un modo per garantire sostenibilità?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) In realtà, è proprio quello che stiamo facendo. Alcune delle misure speciali che sono state prese dagli Stati membri – si veda il Kurzarbeit in Germania, per esempio – sono volte ad aumentare la spesa, riducendo in qualche modo la produttività, il che, a mio avviso, è giustificato da un punto di vista sociale. Lo stesso vale per il sistema gallese che è stato approvato nel Regno Unito. Vi sono pertanto esempi positivi in cui, per motivi sociali, c’è stata una maggiore flessibilità ed è aumentata la spesa sociale, ma si è trattato di misure tese a scongiurare l’aumento della disoccupazione, che al momento rimane la mia preoccupazione principale.

 
  
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  Guy Verhofstadt, presidente del gruppo ALDE. – (NL) Signor Presidente, la mia interrogazione non sarà certo una sorpresa per il presidente della Commissione. Venerdì la signora commissario Kroes ha annunciato che esistono indicazioni non trascurabili del fatto che gli aiuti concessi a Opel dalla Germania infrangerebbero le norme europee sugli aiuti di Stato e sul mercato interno e metterebbero in una situazione di svantaggio gli stabilimenti di altri paesi. Il commissario Verheugen, d’altro canto, non aveva rilevato alcun problema; anzi, in un programma radiofonico aveva affermato che Opel era già sulla strada giusta.

Ieri un collega della CDU, l’Unione cristiano-democratica tedesca, aveva persino chiesto una segnalazione parlamentare sulla signora commissario Kroes. L’ha additata come un commissario molto controverso, priva di ogni senso di oggettività e anti-tedesca, affermando altresì che non può gettare scompiglio in Europa a due settimane dalla fine del mandato. A mio parere, la signora commissario Kroes sta solamente facendo il proprio lavoro e quindi la domanda che le rivolgo è molto semplice, signor Presidente: sosterrà la signora commissario Kroes, sì o no?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Ho sempre sostenuto i miei commissari, compresa la signora commissario Kroes. Ovviamente ella ha preso la sua decisione – ossia ha chiesto delucidazioni al governo tedesco – solo dopo aver avuto il mio consenso. Ora stiamo attendendo una risposta dalle società interessate.

Sono grato che, grazie al buon livello di cooperazione, si stiano compiendo progressi molto positivi in questa vicenda. A seguito dei dubbi che la signora commissario aveva espresso sulla correttezza della procedura di assegnazione, GM e Opel Trust verificheranno che le offerte di acquisto di Opel siano conformi a condizioni commerciali. Confido che si giungerà a una soluzione in ottemperanza alle norme sul mercato interno e sugli aiuti di Stato.

Ho affermato a più riprese che non possiamo scendere a compromessi quando sono in gioco le norme sul mercato interno e sulla concorrenza in Europa. Altrimenti non esisterebbero più né un mercato interno né il nostro progetto comune europeo.

 
  
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  Guy Verhofstadt, presidente del gruppo ALDE. – (NL) Non ho altre domande. Desidero solamente far notare che il presidente della Commissione ha affermato molto chiaramente in questa sede che anch’egli sottoscrive la lettera inviata dalla signora commissario Kroes, lettera che ha avuto l’avallo dell’intera Commissione. E’ un punto molto importante, in quanto significa che il commissario Verheugen dovrebbe stare più attento quando afferma che non vi sono problemi. I problemi o ci sono o non ci sono.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) A parte il fatto che la lettera aveva il mio sostegno, avevo detto io stesso alla signora commissario Kroes di inviarla prima che lei lo facesse, quindi la mia posizione su questo punto è cristallina.

Onorevole Verhofstadt, bisogna essere chiari. Si tratta di tre persone che all’interno della Commissione hanno il diritto di esprimere un’opinione, ma le posizioni della Commissione sono quelle espresse dal presidente a nome del collegio e dal commissario competente.

 
  
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  Rebecca Harms, co-presidente del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, spinta dalla grande preoccupazione per il possibile fallimento dei negoziati sul cambiamento climatico di Copenhagen, ieri la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare ha riaffermato le vecchie istanze del Consiglio europeo e le ha adottate con grande urgenza e con un sostegno molto forte. La commissione ha chiesto al Consiglio discutere nuovamente della necessità di prevedere un obiettivo di riduzione dell’anidride carbonica del 30 per cento per l’Unione europea, aprendo alla possibilità di arrivare al 40 per i paesi industrializzati, e ha proposto – ed è questo un fattore chiave per i negoziati internazionali – che l’Europa stanzi 30 miliardi di euro al Fondo per il clima a favore dei paesi in via di sviluppo entro il 2020. Che cosa farà lei e che cosa può fare per portare all’attenzione del Consiglio queste importanti, necessarie e giustificate istanze?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Come ho dichiarato pubblicamente in occasione dell’evento di alto livello svoltosi a New York e anche a Pittsburgh, sono molto preoccupato per la lentezza con cui si trascinano i negoziati di Copenhagen.

In questi negoziati sono tre i potenziali ostacoli, e non riguardano solamente il finanziamento: la vistosa mancanza di ambizione per quanto concerne le richieste di riduzione delle emissioni di alcuni paesi industrializzati che non fanno parte dell’Unione europea; la riluttanza dei principali paesi in via di sviluppo – le grandi economie emergenti – ad avanzare proposte convincenti sulle proprie azioni di mitigazione; la mancanza di un’offerta finanziaria solida da mettere sul tavolo negoziale da parte dei paesi industrializzati. Sono questi i tre ostacoli.

Spero che l’Unione europea mantenga la propria posizione di leadership e che il Consiglio europeo presenti una proposta finanziaria congrua entro la fine del mese. Mi auguro che avremo il tempo di discuterne più in dettaglio domani, poiché il cambiamento climatico sarà uno dei temi principali di discussione al prossimo Consiglio europeo. La Commissione si batterà di certo per avere un programma ambizioso dal momento che, come ho sempre affermato, il cambiamento climatico non è solo una questione ambientale, ma è anche un fattore di sviluppo.

 
  
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  Rebecca Harms, co-presidente del gruppo Verts/ALE. – (DE) Presidente della Commissione, in una serie dibattiti aventi fini informativi, anche con alti funzionari ONU, ci è stato detto che gli sforzi dell’Unione europea al momento sono inferiori a quelli della Cina e, per quanto riguarda le attività in corso, a quelli del Giappone. Come può ancora affermare che ricopriremo un ruolo di leadership?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Sarei estremamente felice se le cose stessero in questo modo, ma purtroppo non è vero. Finora l’Unione europea è l’unico polo che si è impegnato a rispettare obiettivi vincolanti, che ora sono stati introdotti nella legislazione.

Accogliamo con favore alcuni sviluppi positivi, ovverosia l’annuncio politico reso dal nuovo primo ministro giapponese – mi sono congratulato personalmente con lui – ma finora si tratta solo di un annuncio politico. Accogliamo con favore alcuni dei piani nazionali annunciati dalla Cina, ma finora la Cina non ha acconsentito a renderli vincolanti nell’ambito dei negoziati di Copenhagen.

Siamo lieti anche per altri sviluppi positivi, ma in realtà siamo noi a essere in prima fila a livello mondiale nella lotta contro il cambiamento climatico. Vorrei che ci fosse qualcun altro con noi ai primi posti, perché a volte non è facile essere in testa da soli. Ma la realtà è che gli altri devono ancora arrivare al nostro livello di ambizione.

 
  
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  Michał Tomasz Kamiński, presidente del gruppo ECR. (PL) Signor Presidente, prima di tutto la ringrazio, in quanto lei è la prova vivente che le promesse fatte dai politici vengono mantenute. Quando mia moglie mi chiede di fare qualcosa e vuole sapere se lo farò, io le dico sempre: “Sì, dopo tutto sono un politico”. Lei presidente oggi ha dimostrato che mantiene la sua parola di politico. Infatti è qui con noi e risponde in maniera esauriente alle interrogazioni dell’Assemblea.

Signor Presidente, nel discorso che ha fatto in questa sede ha affermato che è estremamente importante rafforzare il mercato unico e che tale rafforzamento è la ricetta per superare la crisi in Europa. Signor Presidente, a nome del mio gruppo vorrei sapere cosa intende fare nei prossimi mesi affinché, potenziando il mercato unico, si possa in qualche misura neutralizzare la grave crisi economica che stiamo attraversando.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) La ringrazio molto, onorevole Kamiński. In realtà, nei miei orientamenti politici – che sono state approvate dal Parlamento europeo mediante il grande sostegno che avete espresso per la mia rielezione – ho affermato che il mercato interno è una priorità e che dobbiamo contrastare il nazionalismo economico in ogni sua forma.

Ho delle buone notizie per voi tutti. Proprio oggi ho affidato a Mario Monti l’incarico di redigere una relazione sul futuro del mercato unico, in cui saranno presentate opzioni e raccomandazioni per varare un’iniziativa volta a rilanciare il mercato unico. Sono molto lieto che egli abbia accettato, in quanto si tratta di un modo per beneficiare di conoscenze tecniche esterne e per creare sostegno, spero insieme al Parlamento europeo, al fine di dare un nuovo impulso al mercato interno, rendendolo al contempo più in linea con le esigenze del XXI secolo. A mio avviso, si tratta di una questione particolarmente importante per i consumatori e anche per le piccole e medie imprese che talvolta risentono delle pressioni dovute a comportamenti scorretti nel mercato comune.

 
  
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  Michał Tomasz Kamiński, presidente del gruppo ECR. (PL) Signor Presidente, per concludere vorrei che lei sapesse quanto è importante per noi, per il nostro gruppo, che in questo lavoro volto a rafforzare il mercato unico, in questa costruzione della nostra Europa comune, lei non abbia dimenticato le differenze che esistono in Europa. Lei non ha dimenticato che noi siamo paesi che da poco sono membri dell’Unione e che per certi versi subiamo uno svantaggio economico. Sappiamo che lei ha sempre agito in maniera molto leale verso i nuovi Stati membri e spero che continuerà a farlo.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Credo che il mercato interno sia il mezzo ideale per proteggere tutti gli Stati membri, siano essi nuovi o vecchi, grandi o piccoli, ricchi o poveri. E’ una politica improntata alla giustizia, poiché è il modo migliore per proteggere i più deboli, ossia i consumatori che di solito sono appunto la parte più vulnerabile.

Il mercato interno consente altresì di proteggere le piccole e medie imprese dai grandi monopoli o oligopoli. Pertanto è proprio questo aspetto – lo spirito del mercato interno – l’acquis dell’Unione europea che è così importante.

 
  
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  Lothar Bisky, presidente del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, lei ci chiede di lasciare da parte i programmi di stimolo economico e di ridurre rapidamente il disavanzo di bilancio negli Stati membri. Però, stando alle sue ultime previsioni, la crescita nell’Unione europea dovrebbe assestarsi su un modesto 0,1 per cento nel quarto trimestre del 2009. Per l’anno 2009 questo dato si traduce in una diminuzione del 4 per cento. Secondo le sue stesse previsioni, il tasso di disoccupazione nell’UE è destinato a superare l’11 per cento nel 2010.

Non pensa che, tagliando drasticamente la spesa pubblica troppo presto, si potrebbero stroncare sul nascere i timidi segni di ripresa? O ritiene che il settore finanziario per il momento abbia risolto il problema e che quindi sia la gente a dover pagare il prezzo della crisi? Infatti lei sta già imponendo condizioni scandalose sui finanziamenti comunitari di emergenza ai popoli della Lettonia, dell’Ungheria e della Romania: salari più bassi, riduzione delle pensioni, meno servizi pubblici e un inasprimento dell’IVA. E’ questa la sua idea di Europa sociale?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Innanzi tutto, proprio perché siamo preoccupati per i dati che ha citato – e complessivamente credo siano dati precisi – posso confermare che sono queste le nostre previsioni. Come ho detto già diverse volte, stiamo approntando la strategia di uscita, ma non ne stiamo raccomandando l’attuazione per ora. Pertanto dobbiamo mantenere i programmi di stimolo. I ministri delle Finanze si sono incontrati e hanno convenuto di non mettere in atto la strategia prima del 2011. Dobbiamo quindi mantenere il programma di stimoli proprio a fronte delle nostre preoccupazioni, nella fattispecie nel comparto sociale e in particolare per la disoccupazione.

Tuttavia, come sapete, la crisi è stata altresì provocata da enormi squilibri, dall’entità della spesa pubblica e dalla smodatezza nelle finanze. Non dobbiamo continuare ad applicare un modello insostenibile, quindi a un certo punto dobbiamo ripristinare la sostenibilità. E’ in gioco anche la solidarietà verso le generazioni future.

 
  
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  Lothar Bisky, presidente del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signor Presidente, se ho capito bene, il 2011 potrebbe essere l’anno in cui sarà messa in atto la strategia di uscita.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Non posso confermarlo in questo momento, ma posso dire che molto probabilmente la strategia di uscita non sarà attuata prima di questa data. Dipende dal consenso dei ministri delle Finanze e, a proposito, è questa la posizione che l’Unione europea ha presentato al G20.

Ora bisogna adoperarsi anche per il coordinamento globale di queste politiche. Ciò non significa che tutte le regioni del mondo dovranno prendere le stesse decisioni allo stesso momento, ma nel corso della presente crisi abbiamo visto che, nel bene e nel male, siamo collegati e dobbiamo cercare di articolare le strategie d’uscita a livello globale.

Ad ogni modo, la strategia con tutta probabilità non verrà messa in atto prima del 2011, ma dobbiamo continuare a monitorare molto attentamente la situazione economica.

 
  
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  Nigel Farage, co-residente del gruppo EFD.(EN) Presidente Barroso, sono molto lieto di vederla in questa sede. E’ bene che vi sia la possibilità di chiedere conto all’esecutivo del proprio operato.

Come sa, non sono sempre stato uno dei suoi più accesi sostenitori, ma devo ammettere che lei è stato molto bravo. E’ riuscito a ignorare l’esito del referendum francese, è riuscito a ignorare l’esito del referendum olandese ed è riuscito a costringere gli irlandesi alla sottomissione per la seconda volta. Quindi è quasi riuscito a far passare il suo trattato.

Ora ovviamente è arrivato il momento di scegliere il presidente – la figura globale importante dell’Unione europea. Gli scommettitori danno per favorito Tony Blair. Mi chiedevo se lei condivide il mio ragionamento: l’ex primo ministro britannico ha sempre sostenuto l’adesione del Regno Unito alla moneta unica, ha rinunciato allo sconto di 2 miliardi di sterline all’anno per il suo paese e ha tenuto un approccio complessivo positivo verso la posizione del Regno Unito nell’Unione europea – si è rifiutato infatti di concedere il referendum ai cittadini britannici. Questi non sono forse tutti fattori che possono giocare a suo favore per la presidenza? Non era forse questo il patto che io avevo già previsto nel 2005? Era tutto concordato?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Innanzi tutto, onorevole Farage, non sia così triste per l’esito del referendum in Irlanda. Non è stato un grande risultato: ha votato solamente il 67 per cento! Quando c’è un vero dibattito con interlocutori veri, dobbiamo dimostrare che può esserci un grande sostegno per l’Europa. In realtà, si è trattato di una dichiarazione di indipendenza dallo United Kingdom Independence Party, perché lei è andato in Irlanda a fare campagna elettorale e gli irlandesi hanno detto “no” a lei e al suo partito.

(Applausi)

Ora, per quanto concerne il futuro presidente del Consiglio, non intendo esprimere alcun commento. E’ una decisione che spetta al Consiglio europeo. Voglio però dirle molto francamente che non esistono accordi segreti e non vi sono programmi segreti. Altrimenti lo saprei. Quindi non vi sono accordi o negoziati nascosti. Posso dire invece che il presidente del Consiglio deve essere un europeista convinto e deve garantire una coerenza costante, poiché non credo sia giusto che il Consiglio stravolga completamente il proprio programma ogni sei mesi. Caldeggio vivamente una presenza forte da parte del Consiglio europeo, in modo che sia conferita coerenza e congruenza a questa istituzione, che agisca di concerto con la Commissione e che si impegni totalmente verso il progetto europeo e le tematiche comunitarie.

 
  
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  Nigel Farage, co-presidente del gruppo EFD.(EN) Presidente Barroso, sono deluso. Questo spazio è dedicato al Tempo delle interrogazioni e sarebbe stato più semplice rispondere “sì” o “no”, ma non importa. A prescindere dal fatto che sia o meno Tony Blair, il punto è che il presidente non sarà eletto democraticamente. Nemmeno lei è stato eletto democraticamente. In realtà, non è questa forse la prassi comune per l’intera Unione europea? L’UE non è un’organizzazione meravigliosa che conferisce potere reale a ex primi ministri in pensione che sono ormai tagliati fuori? Lei avrebbe potuto rendere democratica l’Unione europea con questo trattato. Ha invece scelto di non farlo. La democrazia nazionale è importante o conta di più l’Unione europea per lei?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Proprio perché l’Unione europea non è il genere di Stato integrato che lei sembra temere così tanto, il presidente del Consiglio non viene eletto a suffragio universale, ma viene nominato dai capi di Stato e di governo d’Europa che sono stati democraticamente eletti. E’ proprio questa la logica. Io, oltre ad aver avuto il sostegno unanime dei capi di Stato e di governo democraticamente eletti, ho avuto anche il sostegno di un’ampia maggioranza del Parlamento. Pertanto ritengo di avere una forte legittimità democratica.

(Applausi)

In passato, quando ero un politico nazionale, sono stato democraticamente eletto al parlamento nazionale all’età di 29 anni e posso dirle che è più difficile essere eletto presidente della Commissione che diventare primo ministro nella maggior parte dei nostri paesi!

 
  
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  Krisztina Morvai (NI).(HU) Ho indetto una conferenza stampa per domani alle 15.00 sulla situazione di crisi dei diritti umani che persiste dal 2006. Rivolgo un invito cordiale al presidente e ai colleghi e spero che sarete presenti. Stando alle informazioni del servizio nazionale di assistenza legale, un numero elevatissimo di sentenze giudiziarie confermano che in Ungheria nell’autunno del 2006 sono stati perpetrati atti intimidatori brutali da parte della polizia, soprattutto il 23 ottobre, nel corso delle commemorazioni del cinquantenario della rivoluzione. Su ordine del governo la polizia ha commesso una serie di atrocità; ad esempio, ha aperto il fuoco su 14 persone e molti sono stati colpiti agli occhi, perdendo la vista. Vi sono stati prigionieri politici e diverse centinaia di persone innocenti hanno subito torture.

Signor Presidente, sa che l’onorevole Göncz, vicepresidente della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affair interni, faceva parte del governo che ha ordinato siffatte azioni? Vorrei sentire la sua opinione in merito a questa vicenda e rispettosamente la invito a prendere parte alla conferenza stampa di domani, spero che verrà.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Seguo la situazione negli Stati membri, ma bisogna fare dei distinguo: la Commissione non ha il potere di intervenire in determinate questioni interne degli Stati membri e questo è il tipo di tematica su cui non possiamo rispondere in questa sede, poiché si tratta di un dibattito interno che riguarda l’Ungheria.

Come Commissione abbiamo la facoltà di intervenire in qualsiasi questione che attenga ai diritti umani fondamentali in relazione all’attuazione del diritto comunitario. Non rientrano però in questa casistica i fatti cui ha fatto riferimento l’onorevole deputata. Pertanto vi chiedo di non rivolgermi domande che potrebbero essere meglio affrontate nei parlamenti nazionali invece che qui al Parlamento europeo.

 
  
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  Krisztina Morvai (NI).(HU) Può confermare che la libertà di assemblea, la libertà di opinione, i diritti umani e persino la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, alla luce di quanto ha appena affermato, non rientrano nel diritto comunitario? I diritti umani non rientrano nel sistema di valori e nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea? In tal caso sono stata informata male.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Ovviamente i diritti umani attengono all’Unione europea, ma siamo dotati di un sistema che si basa sullo stato di diritto e si presume che tutti gli Stati membri, compreso il suo, siano governati ai sensi di tale principio. Lei pertanto ha la possibilità di rivolgersi alla magistratura nazionale e può presentare appello alla Corte europea dei diritti umani o alla Corte europea di giustizia del Lussemburgo. Esiste quindi un sistema dei diritti umani.

Io non posso e non voglio entrare nelle discussioni politiche nazionali in atto tra diversi partiti politici.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio molto, signor Presidente. Ringrazio altresì i presidenti dei gruppi politici per essersi mantenuti nel tempo di parola a loro disposizione e per aver condotto il dibattito così bene. Ringrazio altresì il presidente Barroso. Dobbiamo rispettare i tempi, se vogliamo avere un dibattito vivace. Pertanto ringrazio tutti.

Conseguenze della crisi finanziaria sull’occupazione e sulla coesione sociale

 
  
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  Corien Wortmann-Kool (PPE).(NL) Signor Presidente, la mia interrogazione riguarda le misure anti-crisi. Per quanto attiene gli obiettivi di emissione nell’ambito del cambiamento climatico, l’Europa è più avanti rispetto agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, però, sono più avanti nel settore degli investimenti privati nelle innovazioni tecnologiche e nella sostenibilità, che sono fattori estremamente importanti per le piccole e medie imprese e per l’occupazione.

In realtà, la questione costituisce altresì una delle colonne portanti del suo piano anti-crisi per la ripresa. Fino a che punto intende spingersi in questo ambito? Quando raggiungeremo lo stesso livello degli Stati Uniti? Ovvero cosa sta facendo la Commissione? E cosa può fare per garantire che questo traguardo sia raggiunto? Generalmente le nostre piccole e medie imprese si trovano ancora a doversi scontrare con molti ostacoli e quindi non riescono a fruire del potenziale di crescita. Cosa state facendo per completare il mercato interno, un mercato che, in fin dei conti, è una fonte primaria di crescita per l’occupazione?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Ho già risposto a un deputato che era intervenuto prima, spiegando alcune idee sul mercato interno, ma per quanto concerne l’argomentazione che lei ha chiaramente esposto in tema di tecnologia, sono pienamente d’accordo. Siamo indietro rispetto agli Stati Uniti e ad altri paesi per quanto attiene gli investimenti nelle nuove tecnologie.

Per tale ragione, ad esempio, nel pacchetto di misure speciali, abbiamo approvato un piano di ripresa economica per l’Europa. Abbiamo posto l’accento sugli investimenti in determinati settori, relativi al programma sul clima e alla sicurezza energetica. Stiamo collegando queste due tematiche. Proprio per questo recentemente abbiamo presentato il piano SET ed esortiamo al contempo gli Stati membri a stanziare più risorse per finanziare le tecnologie verdi, ossia tutta la tecnologia atta a consentirci di rendere l’economia più compatibile con l’ambiente e più sostenibile.

Di certo è un tema di cui dovremo tenere conto nelle prossime prospettive finanziarie. Come sapete, presenteremo la revisione del bilancio prima della fine dell’anno. In tale occasione vi sarà altresì la possibilità di discutere approfonditamente delle priorità su cui puntare in futuro in materia di investimenti.

 
  
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  Presidente. – Onorevoli colleghi, vi chiedo di non fare domande supplementari. L’elenco degli oratori è molto lungo e sarebbe molto più interessante se più deputati avessero la possibilità di esporre le proprie interrogazioni.

 
  
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  Sylvana Rapti (S&D).(EL) Signor Presidente, nel 2008 la Commissione molto giustamente ha emesso una raccomandazione atta a favorire l’integrazione di un maggior numero di persone nel mercato del lavoro.

Prima di tutto desidero chiederle se, oltre a questa raccomandazione e alle misure adottate dagli Stati membri, la Commissione europea intenda prendere ulteriori provvedimenti per rafforzare il metodo aperto di coordinamento nel settore sociale. Mi riferisco a misure compatibili con politiche industriali consone e volte ad aumentare l’occupazione.

In secondo luogo il 2010 è stato dichiarato – come tutti sappiamo – l’anno europeo per la lotta contro la povertà. Il nostro obiettivo consiste nel rafforzare la coesione sociale. La mia domanda è molto semplice, signor Presidente: metterà in gioco tutta la sua energia? Avrà il coraggio – lei personalmente – di battersi affinché siano fissati obiettivi quantitativi sul tema della povertà? La prego di non rinviarmi agli Stati membri, come ha fatto quando ha tenuto una riunione informativa con il gruppo S&D al Parlamento.

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Ho già detto prima che la mia preoccupazione principale è l’occupazione, ma per lottare contro la disoccupazione occorre essere non soltanto reattivi, ma anche proattivi. Questo obiettivo può essere conseguito mediante la revisione della strategia di Lisbona e mediante una visione integrata per il 2020.

Dobbiamo basare la strategia a lungo termine dell’Unione europea su nuove fonti di crescita sostenibile, ad esempio, nel settore dei cosiddetti “colletti bianchi” e nei servizi sociali, dove sono stati creati 3,3 milioni di nuovi posti di lavoro dal 2000, ovverosia il 16 per cento di tutti i nuovi posti di lavoro.

Si prevede, inoltre, che il mercato dei prodotti e dei servizi verdi raddoppierà entro il 2020, creando enormi opportunità nel settore ambientale, quindi stiamo promuovendo un esercizio di mappatura nell’Unione europea per riuscire a individuare in anticipo i profili e le qualifiche necessarie. Sono infatti determinato a lavorare su questa nuova strategia per rafforzare la priorità sociale, come vi ho già detto quando abbiamo discusso delle linee politiche generali per il prossimo mandato.

 
  
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  Elizabeth Lynne (ALDE).(EN) Come sappiamo, centinaia di migliaia di persone stanno perdendo il lavoro a causa dell’attuale crisi economica e molti hanno un’età che li pone in una situazione di grave svantaggio nella ricerca di una nuova occupazione. Ammesso che la direttiva sull’occupazione del 2000 sia debitamente messa in atto in tutti gli Stati membri, molti di questi lavoratori più anziani non sanno ancora quali sono i diritti cui possono accedere grazie a questa direttiva e molti Stati membri disattendono le norme.

Benché alcuni lavoratori siano consapevoli dei propri diritti, troppo spesso non riescono ad agire a livello individuale senza un qualche sostegno. Al momento non disponiamo ancora di una normativa atta a proteggere i cittadini contro le discriminazioni in materia di accesso a beni e servizi, ma disponiamo della direttiva sull’occupazione. Può dirci che azione è in atto contro gli Stati membri che non la attuano debitamente e quali sono i meccanismi che potrebbero essere attivati per aiutare i lavoratori più anziani e i lavoratori disabili ad affermare i loro diritti?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Quando gli Stati membri non ottemperano alle direttive, vengono avviate procedure di infrazione, quindi, ogniqualvolta emerge un caso specifico noi possiamo agire avviando la procedura. Per quanto riguarda il tema generale cui lei ha fatto accenno, posso dirle che sono oltre cinque milioni gli europei che hanno perso il lavoro a causa della crisi.

Le categorie più colpite sono i giovani e gli immigrati. La disoccupazione ora si attesta al 9,1 per cento nell’Unione europea, ma il tasso di disoccupazione raddoppia tra i giovani (19,8 per cento) e gli immigrati (19,1 per cento). Sono queste le principali preoccupazioni che nutriamo in materia sociale. Rimane altresì una priorità importante la lotta contro la povertà infantile. Ovviamente stiamo seguendo la situazione anche per quanto riguarda gli anziani, come prevedono le direttive in vigore.

 
  
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  David Casa (PPE).(MT) Credo sia opportuno discutere della promozione dell’occupazione nell’Unione europea. Ma ritengo che dovremmo pensare anche alla salvaguardia dei posti di lavoro affinché non vadano persi. Il mio governo è intervenuto all’apice della crisi. Con tale intervento sono stati salvati migliaia di posti di lavoro, ma ovviamente è stato necessario aumentare la spesa nel settore sociale. Non crede che la Commissione debba adoperarsi di più per garantire che ciò avvenga in tutti gli Stati membri? So che lei citerà il Fondo di adeguamento alla globalizzazione, che è stato recentemente emendato, e il fatto che viene usato a tutela di un maggior numero di lavoratori. Però, a mio parere, dobbiamo fare del nostro meglio per garantire un’effettiva protezione dell’occupazione in modo che i lavoratori non siano costretti ad accedere a tale fondo. Credo debba essere questo il nostro obiettivo adesso.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Oltre ad aver modificato le norme del Fondo di adeguamento alla globalizzazione, abbiamo altresì riprogrammato il Fondo sociale europeo con l’iniezione di 1,8 miliardi di euro per dare nuovo impulso a politiche attive nel mercato del lavoro.

Per quanto concerne la politica di coesione, anche in questo ambito abbiamo apportato dei cambiamenti per semplificare le norme e abbreviare i tempi dei pagamenti. Anche questa è una politica importante. Ho già accennato ai 550 miliardi di euro del piano di stimoli e ovviamente potrei citare anche il Fondo di adeguamento alla globalizzazione come pure altre proposte che abbiamo avanzato.

Purtroppo gli Stati membri hanno bocciato la proposta di sospendere il cofinanziamento per il Fondo sociale. L’avevamo presentata al Consiglio, che però l’ha respinta. Spero ancora che con il vostro sostegno riusciremmo a farla passare, perché vi sono alcuni paesi che non hanno proprio i mezzi finanziari per coprire la parte complementare del Fondo sociale con risorse proprie. Pertanto stiamo usando al massimo tutti gli strumenti di cui disponiamo a livello comunitario per sostenere gli sforzi che gli Stati membri riescono a compiere a contrasto della disoccupazione.

 
  
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  Alejandro Cercas (S&D). (ES) Signor Presidente, la ringrazio per questo interessante dibattito di oggi.

Per quanto attiene all’occupazione, lei ha affermato che alcuni Sati membri non hanno partecipato al vertice di Praga. Ma la cosa più grave, signor Presidente, è che il Consiglio dinanzi alla più grande crisi della storia europea – ogni giorno sono 10 000 gli europei che perdono il lavoro e ciò accade tutti i giorni – non ha preso alcun provvedimento serio, non c’è stato neanche un vertice sull’occupazione. Lei inoltre avrebbe potuto dire che la Commissione dispone di un programma dell’anno scorso, che già allora era obsoleto e che adesso non è affatto idoneo a soddisfare le esigenze impellenti di milioni e milioni di cittadini, di un’intera generazione di europei e dell’intero Stato sociale il cui futuro è a repentaglio.

Signor Presidente, le chiedo di affermare la sua leadership: occorre una guida attiva, una guida che rompa l’apatia e la mancanza di trasparenza. Lei deve far presente al Consiglio che non si può continuare così. Occorre una Commissione che, oltre a occuparsi della gestione ordinaria delle risorse e delle attività, in questo momento difficile – e so che è difficile anche per lei, signor Presidente – si ponga alla testa all’Europa, promuovendo un grande accordo istituzionale teso a infondere speranza a un’intera generazione di europei.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(PT) Stiamo facendo tutto il possibile e, come ho detto quando ho presentato il programma, ci stiamo concentrando maggiormente sulle questioni sociali, perché si è delineata una situazione di emergenza dal punto di vista sociale.

Ad esempio, è stato questo il motivo per cui ho annunciato che occorre esaminare l’impatto sociale in tutta la nuova legislazione. Stiamo dunque promuovendo i principi dell’inclusione comune attiva nella politica comunitaria. E sempre per tale motivo posso dire agli Stati membri che sosteniamo l’investimento nel sociale. La spesa in tale comparto, che nel 2008 rappresentava il 28 per cento del PIL, arriverà al 31 per cento nel 2010; l’aumento quindi sarà pari a 3 500 miliardi!

Stiamo compiendo un vero e proprio sforzo in questo ambito, ma ovviamente, onorevole Cercas, la verità è che deve essere uno sforzo collettivo della Commissione, del Parlamento e degli Stati membri.

 
  
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  Gerald Häfner (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, l’Europa è sinonimo di libertà, democrazia e solidarietà o, per dirlo altrimenti, di responsabilità sociale ed ecologica. Tuttavia, lei e la Commissione da lungo tempo vi concentrate esclusivamente sul fattore della libertà – e nella fattispecie solo sulla libertà economica, sulla libertà intesa puramente in senso economico – e sulla regolamentazione di numerosi settori in cui non è necessaria alcuna regolamentazione. Però, quando sono in gioco miliardi di euro sui mercati finanziari mondiali, badate bene a non interferire e a non legiferare, in quanto, a vostro avviso, in questo modo si conseguono i risultati migliori per tutti.

Abbiamo visto i risultati catastrofici che ne sono conseguiti e le chiedo di spiegarmi chiaramente come e mediante quali progetti e piani intende dimostrare in maniera credibile al Parlamento e ai popoli d’Europa che lei e la Commissione avete imparato da questa catastrofe e che quindi cambierete radicalmente atteggiamento.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Prima di tutto la questione della credibilità è un suo punto di vista soggettivo. Credo che la risposta a questa domanda sia stata data dal Parlamento con la nuova investitura che mi ha conferito recentemente, dando così prova che l’Assemblea mi reputa credibile e in grado di portare avanti questa politica.

In realtà, stiamo perseguendo la nostra politica per fronteggiare la crisi economica e finanziaria. Abbiamo assunto decisioni importanti. Stiamo in prima fila a livello mondiale con le misure normative e di supervisione che abbiamo varato recentemente. Sulla base della relazione che ho commissionato al gruppo Larosière, abbiamo presentato alcune proposte che spero saranno approvate dal Consiglio e dal Parlamento.

Proprio oggi, in occasione di una riunione della Commissione, abbiamo approvato la comunicazione sui derivati, che ovviamente dovrà essere seguita da una normativa concreta. Di conseguenza, stiamo reagendo alla crisi economica in tutti i suoi aspetti, anche a livello normativo e di supervisione, e ho già preso alcune decisioni nel corso del presente mandato; la prossima Commissione seguirà questa strada, poiché, a mio avviso, è la più consona alla situazione che si è venuta a creare.

 
  
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  Veronica Lope Fontagné (PPE).(ES) Signor Presidente, desidero parlare degli aiuti approvati ai sensi del quadro di riferimento temporaneo volti ad arginare i problemi innescati dalla crisi economica e, nella fattispecie, desidero parlare della vicenda Opel.

Vorrei sapere se la Commissione sta verificando l’eventualità che gli aiuti ricevuti dalla Germani ai sensi del quadro temporaneo dipendessero da un accordo pregresso sulla distribuzione geografica delle misure di ristrutturazione, in quanto siffatto caso non sarebbe in linea con i fini previsti per questo genere di aiuti.

Se così fosse, vorrei sapere se, a suo avviso, l’azienda dovrebbe avere la libertà di rivedere la distribuzione e la ristrutturazione di Opel secondo i propri criteri economici e di produzione, mantenendo il maggior numero possibile di posti di lavoro.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(PT) Ho già risposto a questa domanda, ma aggiungo che nutrivamo dei dubbi sul modo in cui è stata condotta questa procedura. La Commissione aveva espresso le proprie riserve e ora General Motor e Opel Trust stanno esaminando le modalità dell’offerta d’acquisto per verificare se in realtà tale offerta poggiava effettivamente su condizioni commerciali.

La Commissione europea farà tutto quanto è in suo potere per assicurarsi che la soluzione ottemperi alle normative sul mercato interno e alle norme sugli aiuti di Stato e ovviamente saremo obiettivi e rigorosi nell’applicare le regole.

 
  
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  Vicky Ford (ECR).(EN) Tutti i paesi europei, nessuno escluso, sono accumunati dalla crescente disoccupazione − un fenomeno che ovviamente non implica solamente una crisi sociale, ma comporta altresì un onere supplementare per le casse pubbliche degli Stati membri in ragione dell’aumento dei costi dello Stato sociale, della diminuzione del gettito fiscale e dell’aumento della formazione.

Alla luce di tali premesse conviene sul fatto che noi, in quanto deputati al Parlamento, e la Commissione dovremmo essere ancora più cauti nelle spese che gravano sul settore pubblico? Se ne conviene, prima di tutto, come ci consiglia di votare nel dibattito sul bilancio previsto per giovedì?

In secondo luogo, perché continuiamo a riunirci a Strasburgo?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Poiché sostengo la proposta di bilancio per l’anno prossimo, le consiglio di votare “sì”.

Per quanto concerne la questione della cautela e del rigore, sono d’accordo con lei. Dobbiamo essere estremamente cauti con il denaro dei contribuenti e dobbiamo puntare alle priorità. Oggi sussiste una chiara emergenza sociale in alcuni Stati membri. Vi sono problemi di esclusione sociale e di povertà che sicuramente sono fonte di preoccupazione per tutti i deputati di quest’Aula, quindi dobbiamo cercare di capire quale possa essere il modo migliore di procedere.

Come sapete, la Commissione è stata estremamente rigorosa, in linea con il patto di stabilità e di crescita, e si è impegnata, anche a nome di tutta l’Unione, a rispettare le norme di sostenibilità. Ovviamente non pensiamo che i problemi possano essere risolti solo mediante lo stanziamento di risorse finanziarie, ma in realtà vi sono situazioni, come quella attuale, in cui si deve prestare un’attenzione particolare all’emergenza sociale. E’ stato necessario ricorrere a misure eccezionali dinanzi ad una situazione che non ha precedenti. Come sempre, bisogna usare equilibrio nel giudizio.

 
  
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  Ádám Kósa (PPE).(HU) Signor Presidente della Commissione, ai sensi del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione europea i sussidi ai disabili sono stati ridotti al 75 per cento dell’importo massimo. Infatti, dal 1° gennaio 2009 il tema dell’occupazione dei disabili e delle persone con una ridotta capacità lavorativa è stato ridimensionato a seguito della crisi. Di conseguenza, le fonti di occupazione per i disabili hanno subito una significativa contrazione in ragione delle ristrettezze di bilancio. E’ questa inoltre la ragione per cui è stato messo a repentaglio il sostegno erogato a livello nazionale in molti paesi, come l’Ungheria, per la costituzione di un’équipe per la creazione di occupazione. Si dice che la colpa sia dell’Unione europea. Pertanto desidero rivolgerle una domanda. La Commissione europea nel contesto della crisi come intende gestire i diritti dei disabili in materia di lavoro, la necessità di preservare i loro posti di lavoro e il principio di parità di retribuzione per un pari lavoro? La normativa cui ho fatto riferimento è stata varata prima della crisi.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Come l’onorevole deputato certamente sa, la Commissione europea ha avanzato una proposta – una direttiva orizzontale – sulla non-discriminazione che riguarda anche la disabilità. Ora la proposta è nelle vostre mani e nelle mani del Consiglio europeo. Pertanto spero vivamente che sia approvata, poiché siamo sicuramente contrari a ogni forma di discriminazione contro i disabili.

Molti dei problemi cui ha fatto accenno sono stati affrontati a livello nazionale, perché le misure connesse al sostegno concreto devono essere assunte dai sistemi nazionali di previdenza sociale. Tuttavia, a livello di Unione europea stiamo facendo tutto quanto è in nostro potere per varare un quadro vincolante che ci obblighi, insieme agli Stati membri, a rispettare il principio di non discriminazione e a garantire una protezione speciale ai disabili.

 
  
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  Pervenche Berès (S&D).(FR) Presidente Barroso, quest’Assemblea l’ha nominata a capo della Commissione europea. Il prossimo compito cui deve assolvere con urgenza è la formazione della Commissione affinché essa possa servire l’Europa, traghettandola fuori dalla crisi. Alla luce di tali premesse, come intende usare gli inadeguati strumenti comunitari di cui disponiamo in modo da ottimizzarli? E come prevede di suddividere i portafogli per affrontare tutte le varie questioni? So bene che tutto dipende dai colloqui che avrà con i capi di Stato e di governo, ma, signor Presidente, avrete già una visione comune. Come si possono collegare le strategie di cui possiamo avvalerci? Come si possono suddividere i portafogli in modo da tener conto degli insegnamenti che abbiamo tratto dalla crisi?

Per quanto attiene agli strumenti, citerò un solo esempio. Il Fondo di adeguamento alla globalizzazione adesso mal si coniuga con le strategie sugli aiuti di Stato che ci impediscono di mettere in atto politiche industriali idonee per uscire dalla crisi. Quali sono le sue proposte? Che mandato chiederà ai capi di Stato e di governo? E che suddivisione prevede per i portafogli?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(FR) La distribuzione dei portafogli non è una competenza che attiene ai capi di Stato e di governo, bensì al presidente della Commissione; e di certo userò questa prerogativa nella maniera che riterrò più appropriata.

Ho già fatto alcuni annunci durante la discussione che abbiamo avuto in questa sede in merito al programma della prossima Commissione, ma in realtà sono anche in contatto con i capi di Stato e di governo.

Posso dirvi che proprio oggi ho inviato una lettera a tutti, chiedendo di segnalarmi anche candidati donne per il collegio. Infatti mi preme assicurare un equilibrio tra uomini e donne; senza un’iniziativa in questo senso, praticamente non ci sarebbero donne, poiché i governi di solito indicano solo candidati uomini per la Commissione.

Pertanto proprio oggi ho inviato questa lettera.

Per quanto riguarda la distribuzione, non vi saranno grandi cambiamenti. Ho già annunciato le principali innovazioni nel corso del dibattito che abbiamo avuto. In particolare, vi sarà un commissario competente per la giustizia e i diritti fondamentali e un commissario incaricato delle azioni in tema di cambiamento climatico e ovviamente ora ho bisogno di uomini e donne competenti e impegnati sul fronte europeo, che siano in grado di assolvere con successo ai propri compiti nei vari portafogli in linea con le priorità dell’azione comunitaria.

 
  
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  Graham Watson (ALDE).(EN) Finora la creazione di ricchezza e le misure sul benessere si sono ampiamente basate sul consumo e quindi l’industria è stata spronata a non prestare molta attenzione al valore reale delle materie prime utilizzate – anche laddove sono a basso prezzo – o al costo reale degli scarti prodotti.

La Commissione come intende garantire che la crescita in futuro abbia una natura diversa? Come intende evitare che, dopo altri vent’anni di crescita, si crei una situazione per cui il pianeta non sarà in grado di sostenere le azioni che mettiamo in atto oggi, mentre la società non potrà permettersi i costi reali di un siffatto modo di vita?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Ringrazio l’onorevole Watson per questa importante domanda. In realtà, è proprio questo il fulcro del programma dei prossimi cinque anni: investire di più nella crescita intelligente e verde, nella crescita sostenibile. E’ molto importante.

Dobbiamo comprendere che il modello del futuro non sarà come quello del passato. Io sono a favore di una forte base industriale in Europa – ma desidero una forte base industriale in una nuova era di sostenibilità in cui dobbiamo pensare allo sviluppo verde e alle tecnologie verdi. E’ in questo ambito che possiamo creare nuovi prodotti, nuovi mercati. E’ un buon esempio.

Per tale ragione stiamo organizzando il nostro programma futuro sulla base di quelle che nei miei orientamenti politici ho chiamato “le nuove fonti di crescita”, poiché con le fonti tradizionali non riusciremo a vincere la battaglia della competitività con le grandi economie emergenti come India e Cina.

Pertanto l’innovazione deve essere al centro del nostro programma per la crescita, mentre le nuove fonti di crescita promuoveranno la transizione verso un’economia a bassa produzione di carbonio: sviluppo e innovazione verdi e intelligenti. Credo che l’innovazione sarà la chiave dello sviluppo dell’economia europea in futuro.

 
  
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  Emilie Turunen (Verts/ALE).(DA) Presidente Barroso, la crisi finanziaria ha provocato una crisi economica di portata storica, motivo per cui la disoccupazione in Europa sta salendo vertiginosamente. La disoccupazione tra i giovani – la fascia al di sotto dei 25 anni – si attesta al 19,8 per cento, come lei stesso ha indicato, e in Spagna oltre un giovane su tre in questa fascia d’età è senza lavoro. Stiamo sconvolgendo un’intera generazione e finora, signor Presidente Barroso, lei non ha fatto praticamente nulla per risolvere il problema. Oggi ha affermato di essere molto preoccupato e sono lieta che lo abbia detto – ma vorrei vedere anche dei fatti. Anche se la prerogativa della politica per l’occupazione spetta agli Stati membri, l’Europa deve assumersi delle responsabilità e lanciare delle iniziative.

Chiedo che sia intrapresa un’azione su tre fronti. Prima di tutto il commissario Špidla aveva promesso cinque milioni di tirocini per i giovani in Europa. Che cosa ne è stato? In secondo luogo si stanno varando pacchetti per la crescita e il risanamento in tutta Europa. Perché questi pacchetti non prevedono programmi mirati per l’occupazione giovanile? In terzo luogo che cosa farà per assicurare un profilo sociale più incisivo e un piano più solido per i giovani nella nuova strategia post-Lisbona?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Ribadisco che ci siamo avvalsi appieno di tutti gli strumenti a nostra disposizione. Disponiamo di strumenti comunitari, ma vi sono anche strumenti che sono nazionali. Possiamo quindi lavorare con gli Stati membri per ricavarne il massimo beneficio e per scambiare le migliori prassi, sollecitando i governi a metterle in atto.

Il commissario Špidla, che ha svolto un ottimo lavoro in circostanze molto difficili, in realtà, insieme alla Commissione, ha chiesto agli Stati membri di creare cinque milioni di tirocini. Stiamo diffondendo le migliori prassi. Ad esempio, le prassi delle aziende private francesi sono molto valide per la promozione di formazione interna e di tirocini mediante finanziamenti pubblici, ma parte dei finanziamenti provengono dalle aziende stesse.

In effetti, questa è davvero una priorità e la affronteremo con tutti gli strumenti di cui disponiamo – il Fondo sociale europeo, il Fondo di adeguamento alla globalizzazione, il Fondo di coesione – raddoppiando lo strumento per il sostegno alla bilancia dei pagamenti per i nuovi Stati membri e per i paesi che non appartengono all’area dell’euro.

Ci siamo avvalsi pienamente dei nostri strumenti, ma dobbiamo lavorare con gli Stati membri in maniera rafforzata per affrontare queste preoccupazioni sociali e, come lei ha specificatamente indicato, il tema della disoccupazione giovanile.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, per ridurre la povertà e la disoccupazione, dobbiamo creare posti di lavoro corredati di diritti, dobbiamo sostenere la produzione e migliorare i servizi pubblici universali gratuiti. In altri termini dobbiamo investire in politiche diverse. Dobbiamo fare l’opposto di quanto è stato fatto sinora.

Ad esempio, nel particolare periodo in cui stiamo vivendo siamo rimasti sbigottiti leggendo uno studio della direzione generale per l’occupazione e di Eurofund. Infatti per l’industria tessile lo studio prevede due scenari in cui si evidenzia una perdita tra il 20 e il 50 per cento dell’occupazione a livello UE entro il 2020, mentre un terzo scenario indica una perdita del 50 per cento nel comparto all’interno dell’Unione. Allora, come è possibile conciliare questa situazione con le nuove proposte volte a liberalizzare gli scambi internazionali senza tener conto delle conseguenze in Portogallo e negli altri paesi dell’Unione europea in cui vi sono settori molto sensibili, come l’industria tessile, l’agricoltura nonché una pletora di micro e di piccole imprese che vengono soffocate a causa di queste politiche?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(PT) Non credo che asserragliarsi in Europa possa essere una soluzione per il Portogallo o per altri paesi europei. L’Europa è al primo posto a livello mondiale per esportazioni di merci e di servizi e non c’è nulla da guadagnare ad adottare politiche protezionistiche. Vi sono, però, alcuni settori, spesso denominati “settori tradizionali”, in alcuni paesi europei, in particolare, ma non solo, in Europa meridionale, che sono particolarmente vulnerabili alle nuove condizioni della concorrenza mondiale, motivo per cui stiamo compiendo uno sforzo particolare per adattarci. Come ho detto in una risposta che ho dato prima, dobbiamo cercare nuove fonti di crescita e di competitività all’interno dell’Europa. Ma non dobbiamo chiuderci e sigillare l’Europa, altrimenti corriamo il rischio che anche gli altri mercati si chiudano a loro volta, respingendo le nostre esportazioni.

Dobbiamo investire nell’innovazione, nella formazione, nelle nuove fonti di crescita e puntare a essere più competitivi, e al contempo – come lei stessa ha affermato – garantire che ciò non avvenga a spese degli standard sociali che sono importanti in Europa. Non stiamo suggerendo di abbassare gli standard sociali. Anzi, stiamo cercando di spronare gli altri a innalzarli, ma certamente non credo che l’Europa debba chiudersi al mondo esterno. Ritengo che sia nei migliori interessi dell’Europa mantenere aperti i mercati globali.

 
  
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  John Bufton (EFD).(EN) Presidente Barroso, la crisi finanziaria nel Regno Unito è molto grave. Uno dei molti settori che arrancano è il comparto agricolo. Dal 1° gennaio 2010 la situazione è destinata a peggiorare notevolmente con l’introduzione dell’EID, ossia il sistema di marchiatura elettronica per gli ovini. L’attrezzatura utilizzata per effettuare le letture elettroniche sugli animali però non è precisa. Mi è stato riferito che è precisa solamente al 79 per cento.

Se lei viaggia in macchina, signor Presidente Barroso, e i freni della sua vettura funzionano solo al 79 per cento, prima o poi è destinato ad avere un incidente. Temo quindi che il settore agricolo ovino abbia la stessa probabilità di arrivare al collasso con l’introduzione dell’EID e della relativa attrezzatura che è inadeguata. La cosa strana è che, se l’EID entrerà in vigore in gennaio, sapremo quanti sono gli ovini nel Regno Unito, dove sono e quali sono i loro movimenti, però nel Regno Unito – in ragione dell’immigrazione priva di restrizioni – non abbiamo idea di quanti siano gli abitanti nel paese, dove siano o quali siano i loro movimenti. Parlerà alla Commissione affinché il sistema EID sia introdotto su base volontaria fino a che l’attrezzatura non sarà affidabile al 100 per cento?

 
  
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  Presidente. – Questa è una domanda molto specifica. Preferiamo le interrogazioni generali sulla crisi e sulle modalità per superarla. Il presidente della Commissione europea non può essere informato sui temi specifici che attengono ai singoli paesi, quindi siate più generici nelle interrogazioni.

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Vorrei solamente dire che non mi piacciono molto i paragoni tra pecore e persone. Credo sia un po’ di cattivo gusto, davvero.

(Applausi)

In effetti ci siamo impegnati ad attuare il metodo di identificazione di cui lei ha parlato, ma ovviamente vogliamo essere cauti. Se vi sono problemi nell’attuazione, siamo pronti a compiere una valutazione. Tuttavia, ritengo che le misure che sono già state prese per la marcatura degli ovini in genere siano positive. Per ora stiamo a vedere come funzioneranno in pratica.

 
  
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  Zoltán Balczó (NI).(HU) Presidente Barroso, la crisi finanziaria globale che ha avuto inizio negli Stati Uniti si è estesa all’economia reale, provocando la perdita di milioni di posti di lavoro e una situazione di crisi sociale. L’Unione europea si sta adoperando in modo da prendere provvedimenti in vicende che vedono coinvolte società come Opel e, laddove vengono messi in atto dei piani, possono anche essere erogati aiuti diretti. Parallelamente, però, sono le piccole e medie imprese a creare occupazione, la maggior parte dell’occupazione.

Signor Presidente, crede che le misure a sostegno delle PMI siano sufficienti? L’Ungheria si trova in una posizione particolarmente difficile, in quanto le banche commerciali sono tutte straniere. In tal caso possono essere stanziati aiuti di Stato o si tratterebbe di nazionalismo economico, cui voi avete dichiarato guerra, o dogmatismo di mercato?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) La mia risposta è chiaramente “no”: quello che abbiamo fatto non è sufficiente. Dobbiamo fare di più per le PMI, credo siano una priorità. Abbiamo approvato la normativa sulle piccole imprese, ed è buona cosa. Siamo intervenuti in merito al problema dei ritardi nei pagamenti, riducendo i tempi; anche questo provvedimento è stato positivo ed è stato molto apprezzato dalle PMI. Ovviamente stiamo cercando di limitare tutte le procedure burocratiche e amministrative che impongano oneri amministrativi alle PMI, e ci siamo impegnati a semplificare la vita a queste imprese. Come ha detto lei, e ne convengo, esse costituiscono uno dei settori più importanti per la creazione di posti di lavoro, e questo elemento infatti è stato preso in considerazione nella nostra politica.

Un’altra misura che abbiamo adottato recentemente, e che non ho ancora menzionato oggi, è stato l’aumento a 500 000 euro della soglia per gli aiuti di Stato consentiti come sostegno diretto erogato dagli Stati membri ad alcune piccole e medie imprese che si trovano in una situazione particolarmente difficile. Credo che le PMI debbano rimanere una priorità nella nostra azione mirata alla sostenibilità, in cui figura anche l’occupazione di lungo termine.

 
  
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  Seán Kelly (PPE). (GA) Signor Presidente, prima di tutto ringrazio il presidente Barroso che è qui tra noi oggi e risponde alle nostre domande in maniera aperta, onesta e sollecita.

(EN) Purtroppo il presidente Barroso è stato accusato di non essere stato eletto democraticamente e di aver costretto gli irlandesi alla sottomissione.

Rivolgendomi all’onorevole Farage, tengo a fargli presente che nemmeno lui è stato, per così dire, democraticamente eletto dagli irlandesi. Aggiungo inoltre che la scelta dell’espressione “costringere alla sottomissione”, ossia in inglese “bully into submission” è particolarmente infelice, poiché l’Irlanda per 700 anni era nota come “L’altra isola di John Bull”, poiché John Bull – ossia il Regno di Gran Bretagna – cercava di costringere gli irlandesi alla sottomissione. Grazie al cielo si tratta di un capitolo ormai chiuso e quindi posso procedere con la mia interrogazione.

Con le nuove competenze che il trattato di Lisbona conferisce all’Unione europea, il presidente Barroso pensa di affidare a un commissario la responsabilità esclusiva per portare avanti nuove proposte e nuove misure tese a mettere in atto queste competenze?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) Mi dispiace, ma non ho capito bene la domanda; se propone di affidare a un nuovo commissario le nuove competenze derivanti dal trattato di Lisbona, la risposta è “no”, non credo sia opportuno, in quanto tali competenze si suddividono tra molte aree diverse e quindi non si può chiedere a una persona di assumersele tutte.

Rispondendo a un’altra domanda, ho già spiegato quali saranno le innovazioni per quanto concerne i portafogli. Ve ne potrebbero essere altre, ci sto lavorando. Dopo tutto si tratta di un lavoro interattivo che coinvolge anche gli Stati membri. Ad esempio, l’Irlanda non ha ancora proposto un candidato per la Commissione.

Cinque anni fa è avvenuta la stessa cosa, è un processo interattivo in cui devo anche vedere le persone che gli Stati membri segnalano come candidati alla carica di commissario. Certamente farò del mio meglio per trovare persone competenti – uomini e donne (lo dico anche a beneficio dell’Irlanda!) – in modo da formare un collegio di europei convinti, che siano competenti ed esperti in tutte le aree, dall’economia, alla politica in generale, all’energia, l’ambiente, la giustizia, i diritti fondamentali e via dicendo: la serie di competenze è immensa e quindi ci vuole una squadra molto capace.

 
  
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  Presidente. – Questa è la prima volta che il Parlamento ospita una sessione domande/risposte con il presidente della Commissione, quindi le rinnovo i miei ringraziamenti, presidente Barroso. Per noi questo è stato un evento speciale, desidera esprimere qualche commento di carattere generale su questa prima sessione?

 
  
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  José Manuel Barroso, presidente della Commissione.(EN) La ringrazio molto, signor Presidente, e ringrazio tutti i deputati per questo esercizio. Mi è piaciuto molto. Credo sia un’ottima iniziativa. Devo dirvi molto sinceramente che per me è molto difficile comprimere in un minuto tutte le varie argomentazioni o perlomeno le mie argomentazioni principali, soprattutto perché il più delle volte non parlo nella mia lingua. Uso le lingue che ritengo più accessibili e quindi per me è uno sforzo in più.

Ad ogni modo, sta a voi decidere il formato. Sono disponibile a discutere con voi, in quanto i dibattiti liberi, i confronti accesi, provocatori e controversi ad apportare un valido contributo per rafforzare lo spazio democratico europeo.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

 

12. Progetto di bilancio generale 2010 (sezioni I, II, IV, V, VI, VII, VIII, IX) - Progetto di bilancio generale 2010 (sezione III - Commissione) (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca, in discussione congiunta:

– la relazione (A7-0038/2009) presentata dall’onorevole Surján, a nome della commissione per i bilanci, sul progetto di bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2010, sezione III – Commissione (7-0127/2009 – 2009/2002(BUD)) e la lettera rettificativa n. 1/2010 (SEC(2009)1133) al progetto di bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2010;

– la relazione (A7-0037/2009) presentata dall’onorevoleMaňka, a nome della commissione per i bilanci, sul progetto di bilancio generale dell’Unione europea per l’esercizio 2010,

sezione I – Parlamento europeo,

sezione II – Consiglio,

sezione IV – Corte di giustizia,

sezione V – Corte dei conti,

sezione VI – Comitato economico e sociale europeo,

sezione VII – Comitato delle regioni,

sezione VIII – Mediatore europeo,

sezione IX – Garante europeo della protezione dei dati

(C7-0128/2009 – 2009/2002B(BUD)).

 
  
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  László Surján, relatore.(HU) Signor Presidente, parlerò nella mia lingua madre, poiché, ceterum censeo, protesto contro ogni genere di normativa atta a restringere l’uso della madrelingua. Il bilancio per l’esercizio 2010 è stato stilato all’ombra della crisi finanziaria. Signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, onorevoli colleghi, siamo tutti chiamati a far fronte alla crisi in un modo o nell’altro. La crisi si è fatta certamente sentire tra gli investitori, ha reso più difficile l’accesso al credito, ha innescato un aumento della disoccupazione e ha provocato una contrazione della produzione. L’Unione europea è in grado di reagire? Ha qualcosa da dire sui pericoli provocati dal cambiamento climatico o dal terrorismo? E’ in grado di proteggere le sue frontiere? Accoglie i rifugiati adottando un approccio equo? Il Parlamento vorrebbe un bilancio che sia in grado di dare una risposta affermativa a tutte queste domande e l’Assemblea è assai compatta in questo auspicio.

Non vi sono grandi differenze tra i gruppi politici e per questo, in veste di relatore, li ringrazio tutti. Sussiste, però, una seria differenza di opinioni tra il Consiglio e il Parlamento. A causa della crisi il Consiglio vorrebbe un bilancio quanto più contenuto, il che è comprensibile guardando la questione dal punto di vista dei parlamenti e dei governi nazionali. Il Parlamento europeo invece, partendo dal presupposto che ha moltissimi strumenti di cui avvalersi, ritiene di doverli mettere in atto in maniera ancora più efficiente ed efficace in modo da produrre un impatto maggiore, proprio per poter superare la crisi. Che cosa significa tutto ciò in termini di cifre? Prima si pensava a un bilancio settennale per il 2010. Poi, vista la situazione attuale, si è optato per un bilancio di 134 miliardi di euro a livello di pagamenti. Oltretutto, il Consiglio si sta orientando per 120 miliardi di euro, mentre il Parlamento non crede che la cifra di 134 miliardi sia realistica, tenendo conto dei problemi dei governi nazionali, e alla fine proporrà 127 miliardi di euro, sempre che nel voto di giovedì vengano seguite le raccomandazioni della commissione per i bilanci.

Dobbiamo ovviamente chiederci che senso abbia fare promesse basate su un ciclo di sette anni o su un ciclo di cinque, se vogliamo mantenerle. E’ questa in effetti la situazione che si è venuta a creare, poiché ogni anno il bilancio annuale si rimpicciolisce sempre più rispetto all’esercizio precedente. Il problema più grave però è un altro. Nel bilancio annuale figurano molti impegni che alla fine rimangono senza alcun seguito. Gli impegni inevasi per entità superano il valore di un intero bilancio annuale e aumentano di anno in anno. Pertanto è imperativo aumentare il livello dei pagamenti. Altrimenti si produrrà la stessa situazione cui assistiamo ogni anno: il Consiglio riduce pezzo per pezzo la bozza della Commissione, mentre il Parlamento chiede importi più consistenti.

Mi preme, però, farvi presente che talvolta le cose non stanno proprio così. Le proposte non vengono dal nulla, non sono state stilate meccanicamente, mettendo insieme ritagli qui e là e a causa della crisi tutti cercano di serrare i cordoni della borsa. Per tale motivo, per certi acquisti, la commissione per i bilanci approva gli importi più modesti del Consiglio. In altri casi, ad esempio, sull’assegnazione dell’organico a funzioni specifiche, abbiamo altresì tenuto conto del modo in cui vengono svolte tali funzioni. Al contempo bisogna ricordare quanto sia facile compiere errori in quest’ambito. Se li abbiamo fatti, non vogliamo compromettere l’attuazione dei programmi e, qualora si dovesse prospettare questa eventualità nel corso dell’anno, saremo sempre pronti a rettificare la situazione, ma vogliamo prima di tutto un’attuazione corretta e una pianificazione precisa. Dobbiamo verificare se con il denaro speso si sono conseguiti i benefici attesi e se sono stati centrati gli obiettivi che ci eravamo prefissati.

Ad esempio, la politica della comunicazione è stata spesso insoddisfacente, ma vi possono anche essere molte altre ragioni, ben più complesse, per spiegare le sconfitte nelle consultazioni referendarie e la bassa affluenza. Pertanto sarebbe un errore ridurre le risorse per la comunicazione. Proponiamo invece di istituire delle riserve per alcune linee, in modo da poterle liberare facilmente nel momento in cui, sulla base di analisi fattive, sarà approntata una promettente strategia di comunicazione. Dobbiamo inoltre essere più attenti in futuro a verificare il grado di raggiungimento dei nostri obiettivi. La Corte dei conti europea recentemente ha pubblicato uno studio sui successi e sulle lotte del settore caseario. Il Parlamento si aspetta che la Commissione presenti presto la lettera di rettifica sul funzionamento del Fondo per il latte. Riteniamo inoltre debba essere introdotta una linea di bilancio distinta e una riserva di un’entità adeguata.

Deve essere creata una base giuridica che tenga conto delle osservazioni della Corte dei conti e che contribuisca a risolvere positivamente i problemi che affliggono il settore. Pertanto, il problema non verte solo sui finanziamenti, ma bisogna migliorare e rendere più specifico il sostegno dell’Unione europea. Per tale ragione chiedo ai colleghi di votare per un bilancio valido e fattivo, con il minor margine possibile di dissenso. Inutile dire che ne discuteremo ancora. E’ solo naturale che ogni gruppo politico voglia anche promuovere le proprie idee, cercando di elevare il proprio profilo. Ad ogni modo, sono certo che raggiungeremo un accordo sulle questioni più importanti. Anche nel caso del Fondo per il latte, il fondo stesso è più importante dell’assegnazione dei finanziamenti che alla fine sarà decisa. La commissione per i bilanci ha proposto un importo gestibile. Grazie per l’attenzione.

 
  
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  Vladimír Maňka, relatore. (SK) Proprio perché siamo in un periodo di crisi dobbiamo dimostrare ai cittadini e anche a noi stessi che, quando si tratta di conseguire obiettivi politici, ci avvaliamo tutte le risorse che abbiamo a disposizione nel modo più efficace possibile.

In genere le istituzioni redigono il proprio bilancio sulla base degli esercizi precedenti. Dopo tutto la soluzione più semplice consiste nel moltiplicare il bilancio dell’anno precedente per il tasso di inflazione. Ripetendo tale processo di bilancio anno dopo anno, però, si possono creare delle deformazioni e delle imprecisioni, oltre ad uno spreco di risorse. Vogliamo quindi a garantire che i bilanci siano redatti in base alle esigenze reali. In ogni istituzione le richieste di bilancio devono corrispondere a una reale necessità di funzioni da espletare. Ogni istituzione e ogni unità devono adoperarsi al massimo per conseguire un risparmio. A tal fine, potrebbe rendersi necessario organizzare meglio il lavoro, ridistribuire le risorse esistenti in modo da focalizzarsi sulle priorità o ridurre la burocrazia.

Nei miei interventi in commissione e anche in plenaria ho citato parecchi esempi positivi in cui sono state scoperte delle riserve. Riusciremo a individuare altri difetti e renderemo ancora più efficiente il lavoro delle singole unità e delle istituzioni, se procederemo in maniera sistematica. Il bilancio per il 2010 infatti prevede questo approccio sistematico.

I deputati che facevano parte del Parlamento nella scorsa legislatura ricorderanno che abbiamo sempre cercato di migliorare la cooperazione tra le istituzioni. Vi sono sempre state riserve e molte sono persino aumentate negli ultimi anni. La fonte di finanziamento è comune. Se tutti ci limitiamo a gestire il nostro angolino e ci chiudiamo verso gli altri, rifiutando la comunicazione e la cooperazione, sarà difficile utilizzare efficacemente le nostre risorse.

Per tale ragione la commissione per i bilanci ha deciso di allestire una riserva orizzontale del 5 per cento per tutte le istituzioni per la traduzione esterna. Altrimenti come possiamo motivare le istituzioni a utilizzare in prima battuta la propria capacità di traduzione interna invece di rivolgersi automaticamente a fornitori esterni? Il nostro obiettivo in tutte queste aree consiste nel favorire l’uso delle risorse inutilizzate che le varie istituzioni possono rendere disponibili alle altre.

Le spese per l’acquisto e l’affitto dei fabbricati costituiscono una delle voci di spesa più ingenti delle istituzioni. Nel 2005 lo spazio complessivo degli edifici usati dalle istituzioni a Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo superava i 2 milioni di metri quadri. I fabbricati non sempre sono stati acquistati nell’area più appropriata, al momento giusto o al prezzo più basso. Secondo la Corte dei conti, le istituzioni non collaborano in quest’area e non fissano nemmeno le proprie politiche. Quando si acquista un edificio nuovo e non si vagliano più alternative, allora è difficile ottenere le condizioni migliori. Per tale ragione ci aspettiamo che la presidenza del Parlamento europeo appronti una strategia adeguata a lungo termine entro fine anno in materia di attivi e fabbricati, in cui si tenga conto anche dei requisiti di ristrutturazione e dei costi per la sicurezza.

Onorevoli colleghi, se vogliamo lavorare in maniera responsabile ed efficiente, dobbiamo sapere con precisione quali sono le risorse cui possiamo attingere. Pertanto mi preme enfatizzare la necessità di creare un sistema per la gestione delle informazioni. Mediante questo ausilio il nostro lavoro diverrà coerente ed efficiente. L’amministrazione presenterà presto il progetto alla commissione per i bilanci. Nessuno dei progetti di bilancio delle istituzioni prevede i costi connessi all’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Quando il trattato sarà messo in atto, dovremo adoperarci per riorganizzare le risorse esistenti prima che vengano presentate richieste di risorse supplementari. Se l’organico delle istituzioni consegue un risparmio finanziario attraverso l’efficienza del lavoro, la commissione per i bilanci non intravede alcun ostacolo a consentire l’uso di tali risorse per altre priorità dell’istituzione.

D’altro canto, se un’istituzione consegue un risparmio in ragione di eventi imprevisti, tale risparmio teoricamente dovrebbe essere restituito ai contribuenti. Vorrei ringraziare gli onorevoli colleghi della commissione per i bilanci per aver sostenuto la proposta in maniera unanime. Credo fermamente che il sistema di bilancio dell’Unione europea debba essere sviluppato in modo tale da favorire l’intraprendenza e le soluzioni innovative.

 
  
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  Hans Lindblad, presidente in carica del Consiglio. (SV) Signor Presidente, onorevoli deputati, cari giovani – e vedo che ve ne sono seduti in galleria e sono loro il futuro dell’Europa – è un grande onore per me oggi presenziare alla discussione in prima lettura sul bilancio per il 2010.

L’Europa sta attraversando la peggiore crisi economica dalla seconda guerra mondiale. Vengono soppressi posti di lavoro, la disoccupazione è in aumento e vi sono disavanzi record nelle finanze pubbliche. La disciplina di bilancio e una sana gestione economica possono però favorire un’inversione di tendenza, mentre una corretta politica strutturale può rafforzare la ripresa – che speriamo arrivi presto – e renderla più sostenibile.

A tal fine, il Consiglio ha concordato unanimemente un bilancio calibrato che prevede l’investimento delle risorse nell’istruzione, nella ricerca, nelle infrastrutture, nella coesione, nella gestione oculata delle risorse pubbliche, fissando un margine per gli eventi imprevisti. In altre parole, intendiamo investire nei fattori che sappiamo essere importanti per la crescita e la prosperità. Rimango aperti gravi problemi. Sono necessari dei finanziamenti per il piano europeo di ripresa economica e per il sostegno al settore caseario.

Stavolta però le finanze pubbliche dell’Europa non sono mai state così disastrose e la commissione per i bilanci propone un aumento del 10 per cento dei pagamenti! Riuscite a citarmi una singola area, a parte i costi della disoccupazione, in cui ci possiamo permettere un simile aumento? A dispetto dei notevoli disavanzi di bilancio – l’8 per cento del PIL in Francia, il 6 per cento in Germania, il 14 per cento nel Regno Unito e in Irlanda – la commissione per i bilanci reputa che gli Stati membri debbano finanziare una spesa più ingente e maggiori costi amministrativi. Vuole finanziamenti per l’amministrazione!

Mi preoccupa in particolare il fatto che un livello così elevato di spesa possa ostacolare il finanziamento del piano di ripresa economica. E sono altresì preoccupato, in quanto la proposta della commissione non prevede alcuna riserva per gli imprevisti.

Dobbiamo concordare un bilancio che sia alla portata degli Stati membri e di cui possiamo rendere conto ai cittadini. Dobbiamo definire un piano di ripresa economica che possa fungere da volano per lo sviluppo dell’Europa. Tenendo conto dell’accordo che abbiamo raggiunto in aprile, sono certo che riusciremo nel nostro intento. Dobbiamo risolvere la complessa questione del comparto caseario. Considerando l’eccellente cooperazione che abbiamo avuto sinora, sono certo che riusciremo a superare questo complesso problema nella situazione difficile e intricata in cui ci troviamo.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ANGELILLI
Vicepresidente

 
  
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  Algirdas Šemeta, membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, sono molto lieto di avere l’opportunità di parlarvi oggi, prima che concludiate la prima lettura del progetto di bilancio per il 2010 con la votazione di giovedì.

Prima di tutto, desidero ringraziare il Parlamento per aver ripristinato il progetto di bilancio preliminare in molti ambiti.

La Commissione ritiene molto positiva l’interessamento dimostrato dal Parlamento affinché il bilancio sia adoperato come uno strumento per superare l’attuale crisi, stimolando la crescita economica, la competitività, la coesione e la tutela dei posti di lavoro.

Anche la Commissione vede di buon occhio l’inserimento in prima lettura della lettera rettificativa che chiede un aumento degli stanziamenti per la Palestina, per il cambiamento climatico, nonché per le misure di accompagnamento a favore dei paesi ACP.

Per quanto riguarda i punti fondamentali dell’attuale procedura di bilancio, la Commissione ha compreso perfettamente che il Parlamento considera prioritario il finanziamento della seconda fase del piano europeo di ripresa economica. Permettetemi di dire che si tratta di una priorità anche per la Commissione. Da quel punto di vista, capisco la logica che soggiace al cosiddetto “emendamento asteriscato” del Parlamento europeo relativo allo sforamento dell’attuale tetto di spesa nell’ambito del piano di ripresa.

La prossima settimana, la Commissione presenterà un pacchetto volto a far fronte alle esigenze collegate al piano di ripresa, per giungere a una soluzione concertata in occasione della conciliazione di novembre.

In questa fase, la Commissione non ha ancora individuato tutte le fonti di finanziamento per l’intero importo destinato ai progetti in ambito energetico previsti dal piano di ripresa per il 2010, ma si adopererà per attingere a tutte le possibili risorse e colmare qualunque lacuna prima della conciliazione di novembre.

La Commissione è preoccupata per le attuali difficoltà del settore lattiero-caseario e teniamo in debita considerazione la proposta del Parlamento di creare un Fondo per il latte ad hoc e la posizione assunta dai ministri dell’Agricoltura. In linea con la proposta presentata ieri dalla mia collega, il commissario Fischer Boel, la lettera rettificativa del bilancio per il 2010 che sarà presentata la prossima settimana proporrà che 280 milioni di euro siano utilizzati per affrontare le conseguenze immediate della crisi per i produttori di latte.

Questa nuova proposta intacca gli stanziamenti inizialmente destinati al finanziamento del disavanzo del piano europeo di ripresa economica, ma, come ho già detto, la Commissione compirà ogni sforzo per reperire le risorse necessarie in tempo per la riunione di conciliazione.

Vorrei ora richiamare la vostra attenzione su una serie di temi rispetto ai quali la prima lettura del Parlamento suscita qualche perplessità.

Il Parlamento europeo sta proponendo un aumento globale del livello dei pagamenti di circa il 10 per cento rispetto al 2009, pari a circa il 4 per cento in più rispetto alla proposta della Commissione. Se, da un lato, condivido il desiderio del Parlamento europeo di sostenere la crescita economica tramite i programmi comunitari, dall’altro dovremmo anche tenere conto delle somme che possono essere ragionevolmente stanziate senza compromettere una sana gestione finanziaria. La Commissione non ha motivo, a questo punto, di discostarsi dalle stime presentate nel progetto di bilancio preliminare.

Per quanto riguarda le linee di sostegno amministrativo dei programmi di spesa, le cosiddette “linee B e A”, comprendo bene che il Parlamento europeo desideri adottare un approccio piuttosto restrittivo nelle attuali circostanze. Tuttavia, è importante anche fornire i mezzi amministrativi adeguati per gestire le crescenti dotazioni finanziarie dei programmi, se vogliamo che si dia adeguata esecuzione a questo bilancio. La Commissione spera che si possa rimediare a questo problema in seconda lettura.

Il Parlamento ha inoltre votato una serie di riserve che, se mantenute nel bilancio definitivo, avranno ripercussioni negative sull’esecuzione del bilancio stesso. La riserva sugli stipendi, se mantenuta nel corso dell’anno, si ripercuoterebbe sull’assunzione di nuovi funzionari nel 2010 in sostituzione del personale che lascerà la Commissione,.

Permettetemi di concludere assicurandovi che, in conformità all’accordo interistituzionale, la Commissione esporrà la propria posizione sugli emendamenti adottati dal Parlamento ai primi di novembre mediante la cosiddetta “lettera di eseguibilità”; spero quindi che il Parlamento possa tenerne conto nell’ambito della seconda lettura.

La Commissione continuerà ad agire da onesto intermediario e compirà ogni sforzo possibile per contribuire a spianare la strada a un esito positivo di questa procedura di bilancio, tenendo presente che il finanziamento della seconda tranche del piano europeo di ripresa economica rappresenta un’autentica sfida, di fronte alla quale tutti i nostri sforzi devono andare nella stessa direzione. Conto sul vostro sostegno per conseguire un risultato soddisfacente ed equilibrato in questo campo.

 
  
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  Annemie Neyts-Uyttebroeck, relatore per parere della commissione per gli affari esteri.(EN) Signora Presidente, sono onorata di parlare a nome della commissione per gli affari esteri.

Ogni anno constatiamo che la Sezione IV del bilancio riceve risorse nettamente inferiori al necessario. Ogni anno notiamo che, nel corso del tempo, la Commissione e il Consiglio devono ricorrere a una varietà di misure specifiche, in deroga ai normali metodi di bilancio, per finanziare voci della cui esistenza tutti eravamo al corrente già fin dall’inizio. La situazione in Palestina, purtroppo, è uno degli esempi più lampanti.

Detto questo, noto che vi sono alcuni elementi positivi. Prendo atto dei fondi supplementari destinati alla strategia per il Mar Baltico, e vedo anche che gli stanziamenti per una serie di strategie specifiche a favore della democrazia e dei diritti dell’uomo sono stati aumentati. Desidero concludere dicendo che, soprattutto nel 2010, non dovremo dimenticare che entrerà in funzione il servizio europeo per l’azione esterna – uno sviluppo tanto probabile quanto auspicabile. Dovremo quindi erogare i fondi necessari.

 
  
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  Gay Mitchell, relatore per parere della commissione per lo sviluppo.(EN) Signora Presidente, non intendo chiedere che il bilancio vada incontro al collasso; chiedo semplicemente di tener fede agli impegni presi nei confronti dei paesi in via di sviluppo. In quei paesi ogni anno muoiono undici milioni di bambini. I loro abitanti non sono colpiti soltanto dalla crisi finanziaria, come lo siamo noi, ma anche dal fatto che sono venute meno le rimesse (superiori all’assistenza finanziaria loro destinata) dei loro familiari che abitano nei paesi sviluppati, a loro volta in gravi difficoltà. La sofferenza di queste persone è duplice, visto che subiscono anche le conseguenze dei mutamenti climatici.

Voglio soltanto garanzie che onoreremo i nostri impegni nei loro confronti. Se il nostro PNL diminuisce di una determinata percentuale, anche i nostri contributi destinati a loro diminuiscono. Pertanto invito a rispettare la quota percentuale che avevamo promesso. La chiarezza nella linea di bilancio (in modo da poter misurare qui in Parlamento quanto sono onorati tali impegni) e l’addizionalità sono fattori assolutamente centrali in tale contesto. Vi prego, in tutto questo, non chiedete ai poveri del mondo di farsi carico di un fardello che non sono in grado di sopportare.

 
  
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  Jean-Pierre Audy, relatore per parere della commissione per il controllo dei bilanci.(FR) Signora Presidente, signor Ministro, signor Commissario, onorevoli colleghi, la commissione per il controllo dei bilanci ha prodotto un parere contenente una serie di suggerimenti. Vi ruberò un minuto per illustrarvene tre.

Il primo riguarda la ricerca, e in particolare il Sesto e il Settimo programma quadro. Ai fini della certezza giuridica, è consigliabile, signor Commissario, che la Commissione europea si astenga dal ricalcolare i rendiconti finanziari di progetti già approvati e finanziati servendosi di nuove interpretazioni dei criteri di ammissibilità.

Chiediamo ancora una volta alla Commissione di non discostarsi dai metodi contabili e di calcolo riconosciuti e certificati a livello nazionale e internazionale.

Il secondo punto è rappresentato dall’inclusione nel bilancio delle pensioni del personale dell’Unione. Proponiamo che le richieste pensionistiche presentate agli Stati membri dal personale dipendente, stimate a 37 miliardi di euro al 31 dicembre 2008, siano contabilizzati tra le attività.

Suggeriamo altresì che il bilancio comprenda l’esatto ammontare di tali pensioni, e non solo gli importi già versati, perché questi ultimi non tengono conto degli importi versati per le pensioni future. Vorrei riproporre la possibilità di redigere uno studio sulla creazione di un fondo pensionistico comunitario; sosteniamo inoltre l’operato dell’Ufficio per la lotta antifrode, che occorre rafforzare affinché possa condurre attività di monitoraggio al di fuori dei confini dell’Unione.

 
  
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  Juan Fernando López Aguilar, relatore per parere della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.(ES) Signora Presidente, in seno alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni ci siamo sforzati di incrementare il bilancio a disposizione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che è cresciuto del 13,5 per cento a partire dal 2009.

In particolare, sono stati ampliati i capitoli relativi alle frontiere esterne, ai rimpatri, alla politica dei visti, alla libera circolazione delle persone, ai diritti fondamentali e alla cittadinanza. Il capitolo sulla giustizia in materia civile e penale, nella fattispecie, è stato incrementato del 4,7 per cento.

Tuttavia, il capitolo relativo alla sicurezza e salvaguardia delle libertà è aumentato del 95 per cento in seguito all’integrazione di Europol nel bilancio comunitario. Si tratta dunque di una novità rispetto al bilancio 2009.

Abbiamo adottato un emendamento per aumentare la dotazione finanziaria del Frontex, mandando un chiaro messaggio di impegno nella gestione del fenomeno dell’immigrazione, nonché di tutti gli aspetti dei flussi migratori, all’insegna del rispetto per i diritti umani.

Da ultimo, ritengo opportuno sottolineare che in commissione abbiamo adottato un emendamento di bilancio per 5 milioni di euro per agevolare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi. Pertanto, la sezione al titolo 18 riguardante lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia ha raggiunto i 105 milioni di euro, contribuendo a rafforzare la gestione amministrativa e finanziaria degli Stati membri.

 
  
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  Jutta Haug, relatore per parere della commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. – (DE) Onorevoli colleghi, non è un segreto che la commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare ritenga ogni volta – anche quest’anno – che i finanziamenti erogati e previsti nel bilancio europeo non siano assolutamente sufficienti per offrire programmi ambientali efficaci, per preservare la nostra biodiversità e per lottare contro i mutamenti climatici con una qualche possibilità di successo. Il fatto che il Consiglio operi ulteriori tagli a questi fondi, peraltro già così esigui, è più incomprensibile che mai. E’ per questo che il “ritorno al progetto preliminare di bilancio” è la risposta canonica.

Due sono le cose che occorre far comprendere bene alla Commissione: la prima è che ci attendiamo che inserisca le cosiddette “entrate con destinazione specifica” per le agenzie che dipendono in parte dai diritti percepiti (per esempio l’Agenzia europea per i medicinali di Londra o l’Agenzia europea per le sostanze chimiche di Helsinki) nel progetto preliminare di bilancio, astenendosi dal ricavare un margine artificiale omettendole. Il secondo punto è che ci aspettiamo che la Commissione presenti quanto prima una proposta relativa alle modalità di finanziamento della campagna anti-fumo Help dopo la scadenza del Fondo per il tabacco. Lo vedete: ogni volta si ripete la stessa situazione.

 
  
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  Lena Ek, relatore per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia.(SV) Signora Presidente, oggi la concorrenza a livello mondiale è agguerritissima. I paesi in via di sviluppo detengono il 20 per cento della ricchezza mondiale. Nel giro di 15 anni, tale percentuale salirà al 34 per cento. Nel 2025, ovvero tra 15 anni, la Cina e l’India rappresenteranno assieme il 20 per cento degli investimenti globali in ricerca e sviluppo. Mentre al di fuori dei confini europei si compiono questi investimenti, la burocrazia soffoca gli istituti di ricerca, le università e l’industria europee.

Ci troviamo di fronte a tre crisi che vanno risolte contemporaneamente: la crisi climatica, la crisi occupazionale e la crisi finanziaria. La commissione per l’industria, la ricerca e l’energia offre una sola risposta a queste crisi: investire nella ricerca e nell’innovazione. Sia il Consiglio sia la Commissione concordano sul fatto che questa sia una priorità, nell’ambito del processo di Lisbona, del Settimo programma quadro e del piano europeo di ripresa economica. In pratica, la loro idea di priorità consiste però nell’operare tagli del 7 per cento. Posso dire soltanto che sono lieta che il Consiglio non stia “stabilendo ulteriori priorità” in questi settori così importanti!

Questa “neo-lingua” di orwelliana memoria è inaccettabili. Occorrono stanziamenti più cospicui per la ricerca e lo sviluppo. Dobbiamo collaborare per ridurre la burocrazia, e ci auguriamo che il Consiglio e il commissario per la scienza e la ricerca si concentrino su questo punto. Soprattutto, chiediamo di compiere notevoli sforzi nel campo della ricerca e dell’innovazione: è qui che si creeranno posti di lavoro ed è qui che va ricercato il futuro dell’Europa e della competitività europea, non nei tagli al settore.

 
  
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  Cristian Silviu Buşoi, relatore per parere della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori.(EN) Signora Presidente, rispetto al bilancio per il 2009, la proposta della Commissione per il 2010 prevede un modesto aumento delle linee di bilancio riguardanti il mercato interno e la politica doganale, mentre le risorse stanziate per la politica dei consumatori restano stabili. Nel progetto di bilancio per il 2010, il Consiglio ha ridotto i fondi, soprattutto per le linee di bilancio riguardanti lo sviluppo del mercato interno. Ritengo che un mercato interno ben funzionante in questi tempi di crisi economica possa contribuire alla ripresa economica.

Nel campo della politica doganale, il bilancio garantirà l’adozione di misure di cooperazione e di coordinamento, rafforzando in tal modo la sicurezza e la protezione delle frontiere esterne, sostenendo la lotta ai traffici illeciti e alle frodi, oltre a migliorare l’efficienza dei sistemi doganali. Ritengo che i provvedimenti nel campo dell’educazione dei consumatori siano prioritari, soprattutto il rafforzamento dell’alfabetizzazione finanziaria. La crisi ha mostrato quanto sia importante la politica dei consumatori, loro con particolare riguardo all’educazione, per aiutarli a prendere decisioni economiche responsabili. Per tutti questi motivi, la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori ha chiesto di destinare 1 milione di euro a un’apposita linea di bilancio per il programma Solvit, che rappresenta un ottimo esempio di come sia possibile aiutare le aziende e i cittadini. Infine, è stato approvato uno stanziamento pari a 1 milione di euro al fine di proseguire le misure di monitoraggio del progetto pilota per il consolidamento di un quadro di valutazione e del relativo studio di mercato nel campo della politica dei consumatori, a titolo di azione preparatoria.

 
  
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  Danuta Maria Hübner, relatore per parere della commissione per lo sviluppo regionale.(EN) Signora Presidente, per il 2010 ci occorre un bilancio che sfrutti efficacemente tutte le politiche europee per fare uscire dalla crisi l’economia europea, mantenendo allo stesso tempo i nostri obiettivi e impegni sul lungo periodo, ovvero crescita sostenibile, coesione economica e sociale, nonché i nostri obblighi nei confronti del mondo esterno, ivi compresi i paesi candidati.

Nel progetto di bilancio, il Consiglio ha eliminato automaticamente 36 linee relative alle spese amministrative, oltre ad altre linee che accompagnano lo strumento di assistenza preadesione (IPA). L’argomentazione addotta, ovvero il ridotto assorbimento, non è giustificata perché il quadro necessario per l’attuazione dell’IPA non poteva essere completato prima di luglio del 2009. Dal 2010 in poi, la Commissione europea dovrà valutare e approvare svariati progetti di ampio respiro, che richiederanno l’assunzione a breve termine di numerosi consulenti tecnici esterni. Il 2010 sarà anche l’anno in cui avrà inizio l’effettiva attuazione di operazioni che richiederanno l’esecuzione di controlli ex ante da parte della Commissione su un gran numero di offerte e di contratti.

I tagli di bilancio indicano che la sana gestione finanziaria dell’assistenza preadesione e tutti i relativi aspetti politici sono effettivamente messi a repentaglio. Dovremmo dunque tenerci pronti per reagire positivamente alla richiesta della Commissione europea di ripristinare il livello del progetto preliminare di bilancio in quest’ambito.

 
  
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  Elisabeth Jeggle, relatore per parere della commissione per l’agricoltura. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, in qualità di relatrice della commissione per l’agricoltura in merito al bilancio vorrei ringraziare il relatore generale, onorevole Surján, per la sua costante disponibilità a discutere al fine di raggiungere un compromesso. E’ un obiettivo essenziale, se si considera che la politica agricola comune al momento è l’unico ambito politico di competenza esclusivamente comunitaria.

E’ positivo che i fondi per il latte., la frutta a scuola e alcuni altri progetti siano stati incrementati. La creazione di scorte e le restituzioni all’esportazione due anni fa erano persino etichettate come sorpassate, mentre in questo momento esse costituiscono strumenti indispensabili per superare la crisi dei mercati. Chiediamo dunque un aumento di circa 81 milioni di euro per l’accumulo di scorte dal 2009 al 2010 e di circa 440 milioni di euro per le restituzioni all’esportazione, e voteremo quindi a favore di tali provvedimenti, sebbene in realtà in questo momento siano insufficienti.

Come nel passato, avrei preferito ovviamente 600 milioni di euro per il Fondo di compensazione per i prodotti lattiero-caseari. I 300 milioni di euro che ora chiediamo per il 2010 sono assolutamente necessari e chiedo che tale denaro sia messo permanentemente a bilancio come Fondo per i prodotti lattiero-caseari. Questo sarebbe il segnale giusto da dare: un importante segnale.

La situazione dei mercati agricoli è drammatica. La Commissione ripone da troppo tempo le sue speranze nell’autoregolamentazione. Anche i mercati agricoli hanno bisogno di un quadro e di norme, tanto in materia di bilancio quando a livello generale.

 
  
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  Carmen Fraga Estévez, relatore per parere della commissione per la pesca.(ES) Signora Presidente, ringrazio molto il relatore e la commissione per i bilanci per aver adottato tutti gli emendamenti della commissione per la pesca.

Per noi l’aspetto più importante è costituito dall’emendamento che auspica una maggiore flessibilità nel finanziamento concesso ai consigli consultivi regionali per la pesca. Oltre a essere scarsi, i fondi sono così soggetti a interpretazioni e alla discrezionalità della Commissione che i consigli non possono spendere neanche quel poco che hanno a disposizione; questa richiesta ci è stata rivolta all’unanimità dai sette consigli esistenti.

Una modifica che consideriamo particolarmente opportuna prevede l’elaborazione di una strategia esaustiva per la lotta alla pirateria, che prenda in seria considerazione la situazione dei pescherecci, particolarmente vulnerabili alle aggressioni nelle acque di tutto il mondo.

Per quanto riguarda la ricerca e il Settimo programma quadro, come negli anni passati, abbiamo dimostrato prudenza e abbiamo chiesto che, ora che la ricerca in materia di pesca non ha più una rubrica di bilancio distinta, almeno non diminuisca la percentuale degli investimenti. Tutte le decisioni in materia di gestione della pesca si fondano infatti sulla conoscenza dell’ambiente e delle specie marine, soprattutto se si considera che uno dei nostri nuovi obiettivi è l’adozione di un approccio basato sugli ecosistemi per tutte le norme di legge incluse nella politica comune della pesca.

 
  
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  Helga Trüpel, relatore per parere della commissione per la cultura e l’istruzione. – (DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti della Commissione e del Consiglio, perché i tagli del Consiglio, che vanno attuati ogni anno in vari ambiti di intervento, sono così insensati, così errati e così scarsamente lungimiranti? La risposta è: perché non sono orientati all’interesse comune europeo, ed è proprio questo che critico a livello politico. Anche voi, in qualità di Consiglio, e gli Stati membri siete vincolati da una responsabilità europea comune, e la nostra spesa europea è una spesa per il nostro interesse europeo comune.

E’ assolutamente incomprensibile che, a questo punto,si possano tagliare i fondi per la formazione e l’istruzione. Uno dei nostri programmi di maggior successo è il programma di scambi studenteschi, che consente ai nostri giovani di studiare in Europa, di viaggiare per il mondo. Perché tagliare proprio quella voce? Occorre fare di più per la cultura, per gli scambi culturali e per il gemellaggio tra le città, perché sono queste iniziative a rendere l’Europa più concreta e a favorire la sua accettazione a partire dal basso. E come possiamo operare tagli alla politica delle comunicazioni, laddove abbiamo concordato sull’esigenza di informare concretamente gli elettori e i cittadini dei risultati positivi dell’Unione europea? Purtroppo non posso che constatare, come è già stato sottolineato, che questo tipo di tagli è del tutto controproducente dal punto di vista politico.

 
  
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  Pervenche Berès, relatore per parere della commissione per i problemi economici e monetari.(FR) Signora Presidente, a nome della commissione per i problemi economici e monetari, oggi desidero porre in evidenza due punti.

Il primo riguarda l’attuazione di strutture di supervisione di livello europeo. In seguito alla crisi, o piuttosto nel bel mezzo della crisi, tutti comprendono come l’Unione debba dotarsi di strutture che le permettano di monitorare i mercati bancari, assicurativi e finanziari. Al termine dell’ultima legislatura, abbiamo raggiunto un accordo con il Consiglio incentrato per destinare determinate somme alle autorità che avrebbero dovuto prefigurare quelle che oggi istituiamo. Ma il progetto di bilancio così come è oggi non rispetta tale accordo politico, che fu concluso dal precedente Parlamento. Spero che gli emendamenti che sono stati ripresentati siano adottati in modo da conformarsi a quest’accordo politico, il quale è stato concluso per permettere all’Unione di dotarsi, alla fine, di organi di vigilanza.

Cambiando argomento, vorrei sottolineare la questione della politica fiscale. Gli strumenti di politica fiscale hanno subito tagli benché a livello internazionale si chieda una maggiore governance in campo tributario. Per combattere concretamente i paradisi fiscali, l’Unione deve inoltre dotarsi delle risorse necessarie per condurre questa politica con coerenza. Non daremo il segnale giusto riducendo le competenze della Commissione in questo ambito.

 
  
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  György Schöpflin, relatore per parere della commissione per gli affari costituzionali.(EN) Signora Presidente, è ormai piuttosto evidente da anni che le istituzioni dell’Unione europea sono molto meno familiari ai cittadini europei di quanto dovrebbero.

L’Unione europea è un organismo democratico, il contatto con i cittadini è dunque nell’interesse di entrambe le parti. Le azioni dell’Unione europea, e le loro motivazioni, dovrebbero essere perfettamente conosciute dai cittadini: essi partecipano direttamente ai provvedimenti dell’UE, e, chiaramente, l’Unione è un soggetto interessato all’opinione pubblica europea.

Esistono diversi modi per dare espressione a questo interesse reciproco. La comunicazione è tra i principali, ed è per questo motivo che il bilancio deve contenere una voce dedicata alla comunicazione delle attività dell’Unione europea a un più vasto pubblico.

 
  
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  Edit Bauer, relatore per parere della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere.(HU) A nome della commissione per l’uguaglianza, vorrei richiamare la vostra attenzione su un solo tema durante il minuto a mia disposizione. Si tratta dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere e del suo finanziamento. In base alla codecisione del Parlamento, nel 2007 l’Istituto è stato costituito a Vilnius. Si potrebbe supporre che il tempo trascorso da allora sia stato sufficiente perché l’Istituto divenisse operativo. Purtroppo, la situazione è molto più grave: l’Istituto attualmente conta soltanto un direttore e un assistente. Vorrei ringraziare la commissione per i bilanci e il relatore, onorevole Surján, per aver ritenuto saggio il suggerimento della commissione per l’uguaglianza, secondo cui non è possibile tagliare automaticamente il bilancio in base alle entrate di quest’anno, perché se così fosse, l’Istituto sarebbe impossibilitato a entrare in funzione in futuro. Non soltanto dobbiamo garantire la crescente spesa per il personale nel futuro bilancio annuale, dobbiamo anche creare una riserva per i fondi stanziati per le sue attività, in modo che l’Istituto possa svolgere il proprio ruolo.

 
  
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  Alain Lamassoure, a nome del gruppo PPE.(FR) Signora Presidente, in qualità di presidente della commissione per i bilanci, vorrei rispondere all’inattesa pubblicazione di un progetto di comunicazione della Commissione sulla revisione del bilancio. Il commissario ci dirà se si tratta di una svista.

Ad ogni modo, vorrei lanciare un avvertimento: benché non includa alcuna cifra, il solo contenuto notevolmente innovativo, e a volte provocatorio, di questo testo sembra inopportuno per una Commissione alla scadenza del suo mandato e per una revisione intermedia dell’accordo pluriennale firmato nel 2006. Il presidente della Commissione deve pertanto chiarire urgentemente il calendario delle proposte finanziarie che intende presentare, sia con la Commissione uscente, sia con il nuovo collegio. La modifica delle priorità di bilancio, e quindi di quelle politiche, non rientra tra le questioni di ordinaria amministrazione. La commissione per i bilanci sarà pronta a discuterne, ma sulla base delle proposte provenienti da una Commissione pienamente legittimata, dotata di un mandato quinquennale, e pronta ad assumersi la propria responsabilità politica su iniziative di questa portata.

 
  
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  Francesca Balzani, a nome del gruppo S&D. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, è proprio sul bilancio che il Parlamento può e deve esprimere tutta la sua forza di istituzione direttamente eletta dai cittadini, per assicurare a questo fondamentale strumento di crescita e anche di equità e di giustizia, tutta la sua capacità di risposta alle esigenze dei cittadini. Il bilancio deve sapersi fare vero e vivo, deve saper ascoltare e rispondere.

In questa direzione abbiamo lavorato per far esprimere alla proposta di bilancio 2010 tutta la sua flessibilità, in un momento di particolare crisi economica e finanziaria. Ma il bilancio deve essere anche credibile, possibile, reale e in questo senso la scelta fondamentale è stata quella di non irrigidire troppo le disponibilità finanziarie per gli anni futuri, limitando lo sforamento al tetto massimo di spesa, contenuto nelle prospettive del quadro pluriennale finanziario, solo ai casi in cui ci fosse davvero una priorità assoluta. È il caso del Recovery Plan.

Sempre nella stessa direzione, cioè in quella di trovare un bilancio come vera capacità di risposta alle esigenze dei cittadini, abbiamo costruito precisi emendamenti sul piano dei pagamenti per rendere immediatamente disponibili il massimo livello di risorse possibili.

Il bilancio europeo è costruito su due binari, quello degli impegni e quello dei pagamenti. Gli impegni sono serie intenzioni politiche, ma sono anche azioni vere e reali. Salgono pertanto i pagamenti, così come la proposta di bilancio presentata dalla commissione bilancio di 127 miliardi di euro a fronte dei 120 miliardi della proposta del Consiglio e dei 122 della proposta della Commissione.

Nella stessa direzione, nella stessa linea politica come gruppo ci siamo fortemente opposti alla creazione di riserve, che non sono risorse vere, immediatamente disponibili per i cittadini. La politica di costituzione delle riserve nei momenti di crisi va ridotta al minimo indispensabile, ai casi in cui davvero una riserva sia tecnicamente indispensabile. Perché nei momenti di crisi sul bilancio non è utile scrivere numeri, ma costruire un bilancio utile e immediatamente attivo.

Ci sono poi altri temi che meritano un'attenzione particolare. Come gruppo ci siamo assunti l'importante responsabilità di ripresentare l'emendamento per il fondo latte per 600 milioni di euro, perché così è stato votato dalla commissione agricoltura all'unanimità, quindi con la partecipazione di tutti i deputati e di tutti i gruppi, e anche di ripresentare un emendamento per un progetto di microcredito per 37 milioni di euro che, e questo è molto importante, non metta a rischio l'esecuzione di altri programmi sulla rubrica 2.

Perché c'è un rischio particolare nei momenti di crisi: che non si vada effettivamente a incrementare le risorse sul bilancio, ma che le si sposti da una linea all'altra del bilancio. Ed è contro questo rischio che il Parlamento come istituzione direttamente eletta, portatrice di un ruolo diverso dal Consiglio e dalla Commissione, deve essere particolarmente attento nella sua azione anche di controllo.

 
  
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  Anne E. Jensen, a nome del gruppo ALDE.(DA) Signora Presidente, vorrei iniziare ringraziando l’onorevole Surján per la costanza dimostrata nel cercare di tenere assieme le diverse voci di questo iter di bilancio. Qualcuno ora dice che molti Stati membri stanno incontrando serie difficoltà nella gestione delle finanze pubbliche, e che dovremmo anche mettere un freno alla spesa. E’ vero, ma non esiste bilancio pubblico più controllato di quello comunitario. Noi del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa appoggiamo l’esito del voto in commissione per i bilanci, e siamo favorevoli al progetto di bilancio avanzato dall’onorevole Surján.

Per noi, il finanziamento degli investimenti, nel quadro del piano di ripresa, per la politica energetica e climatica e l’attenzione verso la ricerca e l’innovazione sono state le priorità più importanti del bilancio per il 2010. Vogliamo che il bilancio comunitario persegua questa stessa strada anche in futuro: in altre parole, dobbiamo concentrarci su questi ambiti. Giudichiamo deprecabile che né la Commissione, né il Consiglio abbiano indicato dove reperire il denaro per questi investimenti nel piano di ripresa – investimenti appoggiati non solo da noi eurodeputati, ma anche dai capi di Stato e di governo dell’Unione europea. E’ vergognoso dover assistere sempre al ripetersi della stessa scena, per cui si riesce a calcolare la spesa ma non si riescono a trovare fondi adeguati. Pertanto appoggiamo la proposta dell’onorevole Surján di riesaminare il quadro finanziario pluriennale e di valutare se il denaro per gli investimenti nel settore dell’energia possa essere recuperato dai fondi inutilizzati del bilancio agricolo.

Il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa è favorevole anche alla proposta di stanziare 300 milioni di euro a favore di un Fondo lattiero-caseario che attutisca gli effetti della crisi in cui versano i produttori lattiero-caseari. Anche noi pensiamo che la crisi sia grave e che occorra affrontarla. Personalmente, non sono un fautore del nuovo Fondo perché la Commissione dispone già degli strumenti adatti per aiutare il settore e ha altresì stanziato quasi mezzo miliardo di euro a tal fine. La commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale intendeva destinare 600 milioni di euro a un Fondo per i prodotti lattiero-caseari oltre a questo mezzo miliardo. A tal proposito, ritengo che l’esito del voto in sede di commissione per i bilanci, ovvero i 300 milioni di euro, siano l’espressione di una soluzione più realistica.

Questo progetto di bilancio elimina una serie di tagli del Consiglio e fornisce una valutazione più realistica delle esigenze di pagamento per l’anno a venire. L’accordo pluriennale ha inoltre dimostrato di essere un quadro più rigido e inflessibile, soprattutto in relazione alla categoria 1a, che comprende la ricerca, l’istruzione e i trasporti, e la categoria 3, comprendente la politica in materia giuridica e di asilo, la politica culturale e informativa, nonché la politica estera, mentre il tetto della categoria 4 impone scadenze troppo restrittive.

Vorrei anche ringraziare l’onorevole Maňka per il suo lavoro sul bilancio delle altre istituzioni. Il bilancio del Parlamento resta nei limiti del 20 per cento della spesa amministrativa totale dell’Unione, e questo pur accollandosi la spesa relativa al compenso degli eurodeputati fissato dal nuovo Statuto. Il nostro gruppo ritiene che occorra cercare di evitare eccessivi aumenti nello stanziamento a favore dei partiti politici, ma abbiamo accettato il progetto di bilancio attualmente in discussione, e vorrei ringraziare l’onorevole Maňka anche perché ha concentrato la propria attenzione sulla spesa per le traduzioni e sulla politica immobiliare del Parlamento. E’ veramente giunto il momento della cooperazione interistituzionale e di redigere una relazione sulla politica immobiliare del Parlamento per un certo numero di anni. E’ da tempo che lo chiediamo: ora possiamo finalmente veder realizzata la nostra proposta.

 
  
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  Helga Trüpel, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, anch’io vorrei iniziare ringraziando gli onorevoli Surján e Maňka per i loro sforzi di cooperazione. Passo dunque a discutere della dichiarazione dell’onorevole Surján, secondo il quale il Consiglio desidera soprattutto approvare un bilancio di ridotta entità. A nostro parere, questa è proprio la direzione sbagliata da prendere nei tempi di crisi. In questi momenti, occorre avere il coraggio politico di agire e aumentare le spese a favore di investimenti giusti e duraturi nel tempo. Dopo tutto, ci troviamo di fronte a una crisi ambientale ed economica e alla diffusione della fame e della povertà nel mondo.

Se noi europei vogliamo agire correttamente, dobbiamo cambiare i nostri obiettivi politici. Dobbiamo trasformarci in una società sostenibile, è necessario un New Deal verde, in particolare rispetto alla strategia di Lisbona, occorrono tecnologie più sostenibili, tecnologie verdi ed efficienti, nuovi sistemi di propulsione e, naturalmente, anche nuovi materiali che siano veramente rispettosi dell’ambiente. Ciò significa anche che occorre investire di più in ricerca e sviluppo. Come ho già messo in evidenza per conto della commissione per la cultura e l’istruzione, l’Unione europea deve investire maggiormente nel settore della formazione e dell’istruzione, nonché nel miglioramento dell’educazione per i nostri talenti, perché solo così potremo essere certi che le risorse non andranno sprecate, ma daranno buoni frutti sia per i cittadini coinvolti sia per successo della nostra economia.

Tuttavia – ed è questo che rende il New Deal verde una sfida a tutto tondo – dobbiamo anche modificare la politica dei Fondi strutturali e farne uno strumento da adoperare in chiave ambientale per l’adeguamento degli edifici esistenti e di nuovi concetti di mobilità sostenibile. Dobbiamo cambiare la nostra politica agricola per renderla più ambientalista. Ma anche la produzione energetica può svolgere un ruolo importante nell’economia rurale e fare uso di tecniche ecocompatibili e rispettose dell’ambiente. Al momento, vedo che i progetti in questo settore sono ancora troppo pochi, ma occorre proseguire in questa strategia.

Passerò ora agli scontri riguardanti i produttori di latte: noi verdi riteniamo che, in questo momento, i produttori lattiero-caseari debbano essere aiutati. Ma non è sufficiente erogare finanziamenti: le risorse vanno stanziate per la politica giusta in questo campo. Sono necessarie quote, norme corrette, quadri e regolamenti. Se davvero vogliamo stanziare queste risorse adesso (mi riferisco ai 280 milioni di euro di cui stiamo discutendo), allora occorre destinarle direttamente ai produttori e alle loro organizzazioni.

Intendiamo anche ridistribuire i fondi. Non riteniamo che occorra spendere 449 milioni di euro per i sussidi all’esportazione nel settore lattiero-caseario, perché non farebbero altro che rovinare gli altri mercati, soprattutto quello africano. Proponiamo che i 300 milioni di euro e oltre che oggi spendiamo per la produzione di tabacco siano riassegnati e messi veramente a disposizione dei piccoli produttori lattiero-caseari. Sarebbe una scelta più ecologica e molto più vantaggiosa per questi produttori rispetto alle misure in piedi oggi.

La mia nota conclusiva riguarda il piano di ripresa. In ultima istanza, voteremo a favore del piano soltanto in seconda lettura se sarà chiaro che seguirà veramente un approccio verde e sostenibile. Noi vogliamo una politica energetica ecologica, vogliamo la banda larga nelle zone rurali e vogliamo reti elettriche paneuropee. Tali iniziative segnerebbero veramente un passo avanti verso una politica rivolta al futuro. E’ questo che ci attendiamo dai negoziati delle prossime settimane.

 
  
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  James Elles, a nome del gruppo ECR.(EN) Signora Presidente, le mie osservazioni riguarderanno il bilancio della Commissione e desidero congratularmi con l’onorevole Surján per tutto ciò che ha fatto in qualità di relatore generale. In assenza del coordinatore del nostro gruppo, l’onorevole Bokros, che si trova in Ungheria per un lungo impegno da cui non poteva liberarsi, mi è stato chiesto di presentare la posizione del nostro gruppo oggi. Mi rendo conto che questo è il terzo gruppo di cui mi sono fatto portavoce in questa Assemblea da quando sono deputato: non sono io che sono cambiato, ma i gruppi.

Ad ogni modo, i tre punti che vorrei sollevare nella discussione odierna sono i seguenti. In primo luogo, la situazione generale è grave, come è già stato constatato a livello finanziario ed economico. I nostri livelli di disavanzo sono arrivati ai massimi storici in diversi Stati membri, come ha sottolineato il presidente del Consiglio. Infatti, in alcuni Stati la discussione non verte sui settori cui destinare le risorse, bensì dei tagli necessari a far rientrare le spese, come accade nel mio paese. Si tratta dunque di una discussione molto eterogenea, il cui fulcro è come garantire che l’Unione europea operi efficientemente.

In questa sede ci troviamo però a esaminare il bilancio. Per quanto riguarda il bilancio che redigeremo per il 2010, siamo ovviamente soltanto agli inizi. Stiamo ancora muovendo i primi passi, ma il nostro gruppo analizzerà molto attentamente la qualità delle uscite: come ha detto il commissario, dovrà trattarsi di uscite in cui il denaro potrà essere impiegato razionalmente, senza risultare in alcun modo eccessivo per la situazione generale in cui ci troviamo.

Il mio ultimo commento si riferisce alle osservazioni pronunciate dal nostro presidente della commissione per i bilanci, onorevole Lamassoure. Dobbiamo sfruttare questa occasione (è il primo anno di un Parlamento quinquennale) per guardare al futuro. Dobbiamo sapere dalla Commissione, se possibile, quando potremo avere una revisione intermedia, che forma avrà, come potremo guardare al futuro, e non solo in vista della revisione intermedia, nonché come affronteremo le prospettive finanziarie future, come ha spiegato l’onorevole Böge nella relazione presentata al precedente Parlamento. Non da ultimo, occorre sapere in che modo avvieremo un processo interistituzionale che analizzi le tendenze a lungo termine e che ci permetta di operare la giusta analisi del bilancio, perché senza questi presupposti è veramente difficile pianificare per il futuro.

 
  
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  Miguel Portas, a nome del gruppo GUE/NGL.(PT) Vorrei cominciare dall’aspetto più positivo: giovedì voteremo lo stanziamento di oltre 3 miliardi di euro in autorizzazioni di pagamento da destinare ai Fondi strutturali e ai programmi di stampo sociale.

Il Consiglio in realtà non mette in discussione questa politica, ritenendo che non si debbano chiedere altri soldi agli Stati membri. Spero che il ministro svedese mi perdonerà se dico che questo è un punto di vista che ricorda i conti della serva. Viviamo in tempi eccezionali e ritengo che, al contrario, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento debbano avere il coraggio di prendere di petto il problema del finanziamento di questo bilancio, facendone un bilancio eccezionale.

Nonostante le spese che approveremo giovedì, questo bilancio continuerà a eludere la crisi, dimostrandosi piuttosto adatto all’ordinaria amministrazione. E’ inutile affidarci a interventi blandi in un contesto di tale complessità: ci occorre piuttosto. un’altra politica per le zone rurali. Non abbiamo soltanto bisogno di Fondi strutturali per i nostri territori, ma anche di una politica sociale europea che completi le politiche di ciascuno dei nostri Stati. E’ il coraggio ciò di cui abbiamo veramente bisogno!

Oggi, il numero di coloro che vivono sotto la soglia della povertà (79 milioni) è pari a quello di inizio secolo. Regna l’incertezza sugli standard necessari per contrastare i cambiamenti climatici. Il principale tema di cui occuparci è il finanziamento del bilancio europeo e delle prospettive finanziarie future. E’ questo il punto cruciale, e non venite a dirci che non ci sono i soldi, perché in realtà ci sono: possiamo andarli a cercare tra gli evasori fiscali, nella tassazione delle plusvalenze di borsa e nei paradisi fiscali.

Signora Presidente, onorevoli relatori, il problema del bilancio è di tale portata che noi deputati dovremmo dare l’esempio operando dei tagli. Ho avanzato alcune proposte relative alle spese di viaggio. Oggi, quando è in viaggio, un eurodeputato percepisce il proprio stipendio e un rimborso per le spese di viaggio, la distanza percorsa e il tempo impiegato. Tutto ciò è ridicolo e incomprensibile. Spero che giovedì avremo almeno la decenza di riconsiderare questo stato di cose.

 
  
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  Marta Andreasen, a nome del gruppo EFD.(EN) Signora Presidente, è incredibile che, in questi tempi di crisi economica e finanziaria, la Commissione europea proponga di aumentare del 5 per cento circa il bilancio 2010.

Ma è ancora più increscioso che, mentre il Consiglio, nella prima lettura di luglio, propose una riduzione di circa il 2 per cento del progetto preliminare di bilancio, questo Parlamento stia ora chiedendo un ulteriore aumento del 5 per cento.

Il bilancio 2010 finirebbe quindi per superare i 127 miliardi di euro in stanziamenti di pagamento, corrispondenti all’1,08 per cento del reddito nazionale lordo dell’UE.

E’ così che il Parlamento vuole portare il bilancio più vicino ai cittadini? E’ encomiabile finanziare i giochi olimpici speciali in Polonia e Grecia e il festival olimpico invernale della gioventù europea nella Repubblica Ceca, o persino Xacobeo 2010, ma i nostri elettori hanno altre priorità nella vita, per esempio pagare il mutuo e offrire un’istruzione adeguata ai propri figli.

Attualmente l’Unione europea costa al Regno Unito 45 milioni di sterline al giorno, che, con l’aumento proposto, diventeranno 50 milioni di sterline se non oltre, al netto della compensazione.

Credetemi, nel Regno Unito vi sono molte altre priorità su cui investire questi fondi. Ora la Commissione europea ha avvertito la Gran Bretagna che rischia di fallire a causa dell’alto livello del suo debito nazionale, il paese sarebbe ben felice di ottenere una sensibile diminuzione dei propri contributi al bilancio comunitario, e sono sicuro che anche altri paesi ne sarebbero lieti.

Anno dopo anno, la Corte dei conti non è in grado di assicurarci che il bilancio UE viene speso legalmente e regolarmente. Non a caso, ero veramente preoccupato dagli scarsi controlli sul denaro dei contribuenti quando ero capocontabile della Commissione europea nel 2002.

Ciononostante, il Parlamento intende versare altro denaro nelle casse dell’Unione. Non fate affidamento su di me per approvare un qualunque aumento del bilancio. Se davvero volete sovvenzionare progetti che contrastino la crisi, dovreste trovare settori in cui sia possibile tagliare il bilancio.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI).(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, non è soltanto nelle cifre che la crisi si fa sentire, ma anche nel crollo dei mercati e nei miliardi di euro spesi per puntellare le banche e per far ripartire l’economia. La notiamo anche nell’esplosione del numero dei disoccupati. Questa crisi si nota soprattutto nelle paure e ansietà quanto mai concrete dei cittadini dell’Unione europea, che temono per il loro posto di lavoro e per le loro pensioni. I nostri cittadini sono preoccupati per il cambiamento climatico, per le scorte energetiche e per la limitazione dei propri diritti individuali nel contesto della lotta al terrorismo.

L’Unione europea può dare un contributo positivo per cercare di acquietare le paure assolutamente giustificate dei propri cittadini, anche se, al momento, è necessario rendere più efficaci ed efficienti i processi di sua competenza. A questo proposito, penso in primo luogo al Fondo europeo di adeguamento per la globalizzazione, per esempio, nel caso della Nokia, e al Fondo di solidarietà per aiutare le vittime del terremoto in Italia. Affinché il denaro di questi Fondi giunga effettivamente agli interessati, penso sia importante riprogettare queste procedure per renderle più efficienti e per garantire una supervisione cristallina, perché il Fondo di adeguamento per la globalizzazione non va assolutamente interpretato come un sostegno dell’Unione alle multinazionali.

L’Europa è da tempo garanzia di pace e benessere. Lavoriamo assieme per far sì che continui a essere proprio questo!

Angelika Werthmann (NI).(FR) Noi siamo l’Europa.

 
  
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  Hans Lindblad, presidente in carica del Consiglio.(SV) Signora Presidente, onorevoli colleghi, signor Commissario, a causa del leggero ritardo accumulato, sarò costretto a lasciare il Parlamento tra breve, perché il mio volo parte tra 45 minuti. Farò in modo che tutto ciò che sarà detto mi sia riferito. La discussione odierna è stata interessante, e sono state avanzate molte proposte valide. E’ difficile fissare delle priorità, eppure occorre farlo. Per quanto riguarda la ricerca, posso dire all’onorevole Ek che stiamo investendo nel comparto il 7,3 per cento in più rispetto al bilancio 2009, una percentuale considerevole, a mio parere.

Nella sua proposta, il Parlamento investe risorse e aumenta le spese in misura significativa rispetto al 2009; occorre però tenere presente che l’Unione europea si trova in una fase di recessione. Le finanze pubbliche dell’Unione si stanno riducendo di circa il 7 per cento: non lo si può ignorare.

Il Consiglio sta investendo di più, ma anche più selettivamente. Stiamo investendo in provvedimenti che stimolino la crescita, mentre siamo più misurati in ambiti quali la spesa amministrativa. Allo stesso tempo, stiamo lieti che anche il Parlamento stia compiendo importanti passi in tal senso.

A seguito del dibattito odierno e delle discussioni che ho avuto in precedenza con i rappresentanti del Parlamento, ritengo che, assieme alla Commissione, potremo giungere a un accordo su un bilancio veramente positivo per l’avvenire.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE).(PT) Onorevoli colleghi, sono convinto che il bilancio dell’Unione europea per il 2010 ci aiuterà a superare la crisi economica che stiamo attraversando oggi. Uno degli effetti della crisi è la disoccupazione. Desidero dunque porre in evidenza l’importanza della modifica che abbiamo apportato per rafforzare il programma Erasmus e per promuovere e agevolare la creazione del primo impiego per i giovani.

Per quanto riguarda il bilancio del Parlamento, sono entusiasta del fatto che le nostre principali proposte siano state prese in considerazione, sia nel bilancio stesso, sia nel progetto di risoluzione. Il nostro obiettivo è cercare l’eccellenza nell’iter legislativo. Noi riconosciamo l’importanza del multilinguismo, ovviamente, ma riteniamo che il nostro principale obiettivo sia l’eccellenza legislativa, e a tal fine occorre disporre delle risorse necessarie affinché i deputati possano conseguirla.

Per migliorare la trasparenza e il rigore abbiamo proposto un bilancio di base che andrebbe attuato all’inizio di ogni ciclo legislativo. Abbiamo altresì proposto di stanziare riserve per entrambi gli obiettivi (trasparenza e rigore), quindi anche riserve, ad esempio, per la politica della comunicazione – per cui desideriamo attuare un’analisi costi/benefici. Dovrebbero esservi anche riserve per cercare di ridurre la burocrazia esistente, per esempio nella contrattazione degli assistenti, inoltre intendiamo “obbligare” l’amministrazione a cercare di ridurre questa burocrazia. Siamo anche d’accordo in merito alla politica immobiliare, e crediamo anche noi che debba trattarsi di una politica a lungo termine.

Infine, voglio esprimere le mie congratulazioni ai relatori, onorevoli Surján e Maňka. Speciali congratulazioni vanno al relatore, onorevole Surján, per aver resistito alla tentazione di fare demagogia a proposito del Fondo per il latte, per esempio, per aver compiuto enormi sforzi e per non aver tentato l’impossibile per vendere all’estero.

 
  
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  Göran Färm (S&D).(SV) Signora Presidente, onorevoli colleghi, la presidenza svedese ha criticato la commissione per i bilanci per aver voluto aumentare gli stanziamenti di pagamento nelle attuali circostanze. In pratica, si riferisce all’esecuzione del bilancio dell’Unione. Ritengo queste critiche assurde per una serie di motivi. In primo luogo, i ministri delle Finanze del Consiglio si sono sempre rifiutati di pagare, fino al punto che gran parte del bilancio comunitario non è mai eseguita. Invece, ingenti somme vengono restituite agli Stati membri sotto forma di compensazioni. Ciò è assurdo, perché gli impegni di spesa contenuti nel bilancio sono lì per essere eseguiti, non per essere restituiti agli Stati membri. Siamo pronti a dar battaglia su questo punto. Ci si chiede dunque se la politica della presidenza sia in realtà quella di fare grandi promesse sotto forma di impegni cui non tiene mai fede.

In secondo luogo, quest’anno gli argomenti a favore sono più convincenti del solito. Dovremmo incrementare l’esecuzione delle misure del Fondo sociale che concernono, tra l’altro, la creazione dei posti di lavoro, lo sviluppo delle competenze e altre misure affini.

La critica della presidenza è rivolta non soltanto al Parlamento europeo, ma anche alla Commissione, perché la maggior parte dei nostri interventi vertono sul ripristino della proposta di bilancio della Commissione al netto dei tagli che il Consiglio intende imporre, oltre alle misure per la creazione di posti di lavoro. Noto inoltre che la presidenza ha criticato il fatto che la commissione per i bilanci stia aumentando alcuni stanziamenti amministrativi, mentre la Commissione ci sta criticando proprio per l’opposto, ovvero per aver accettato alcuno dei tagli del Consiglio. Il nostro principio guida consisteva nell’incrementare gli stanziamenti amministrativi necessari a garantire l’esecuzione di importanti politiche, ma non per altri fini. La discussione sul bilancio di quest’anno sembra destinata a divenire una sorta di scontro tra il Consiglio e la Commissione.

Per quanto riguarda il piano europeo di ripresa economica, il bilancio comunitario non è di dimensioni tali da poter essere utilizzato per una politica di stimoli di tipo keynesiano, ma può essere sfruttato in alcuni ambiti di portata ridotta ma strategici, come il piano di ripresa. Dato che oggi abbiamo un alto livello di disoccupazione, non può che essere positivo proporre investimenti che sarebbero comunque stati effettuati e che contribuiscono a riunire l’Europa in un vero e proprio mercato interno, per esempio gli stanziamenti per le infrastrutture energetiche. Tuttavia, a quasi anno dall’avvio del piano, non abbiamo ancora ricevuto proposte concrete dal Consiglio o dalla presidenza svedese in merito alle possibili fonti di finanziamento. Siamo pronti a discuterne, ma ovviamente non ha senso sottrarre risorse ad altre aree prioritarie, che contribuiscono anch’esse all’occupazione, all’apprendimento permanente o al miglioramento dell’energia e del clima, per esempio.

E’ un peccato che il ministro sia dovuto andare via perché avevo una domanda da porgli. La porrò in ogni caso, forse risponderà con altri mezzi. La presidenza svedese ha dichiarato che la strategia per il Mar Baltico è uno dei suoi temi prioritari, ma, allo stesso tempo, non ha proposto alcun finanziamento per la stessa. Ritengo sia sorprendente, perché ciò significa che tutti i provvedimenti necessari devono essere finanziati da altre fonti già stanziate per altri importanti obiettivi. Non vi sarà alcun contributo netto per la strategia del Mar Baltico. Detto questo, mi domando come può la presidenza svedese sostenere che la strategia per il Mar Baltico sia tra le priorità. Noi chiediamo di stanziare 20 milioni di euro, equivalenti a 200 milioni di corone svedesi: è un importante contributo.

 
  
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  Jacek Włosowicz (ECR).(PL) Signora Presidente, come è noto a tutti, le voci di bilancio più importanti per l’esercizio 2010 e una valutazione del bilancio erano già state delineate nella risoluzione del 10 marzo di quest’anno. Nella sua risoluzione, il Parlamento ha aspramente criticato i ristretti margini applicati alla maggior parte dei capitoli del quadro finanziario pluriennale. E’ preoccupante che in questa bozza il Consiglio abbia ridotto ulteriormente il progetto iniziale. Le sproporzioni che ne derivano tra impegni e pagamenti erano così elevate che contraddicevano il fondamentale principio della prudenza.

Mi attendevo una maggiore attenzione, se non la massima attenzione, per la crisi economica in cui ci troviamo tuttora, ma chiaramente il Parlamento deve lottare da solo per gli interessi dei cittadini e persuaderli che l’Europa non è la causa dei problemi, bensì che è in grado di trovare rimedi efficaci. E’ per questo che appoggio su tutta la linea il progetto di bilancio, che prevede fondi per l’attuazione di un piano di ripresa economica, e penso che debba essere una delle priorità del Parlamento. I tagli introdotti dal Consiglio limiterebbero però la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro, oppure le renderebbero semplicemente impossibili, vanificando peraltro gli sforzi volti a risolvere la questione energetica per i nostri cittadini. Nel contesto della crisi agricola, per esempio nel settore lattiero-caseario, non vi è la possibilità di prorogare programmi che favorirebbero un aumento nel consumo di prodotti agricoli, per esempio pubblicizzando il consumo di latte e di frutta negli istituti scolastici.

Penso dunque che il progetto di bilancio, così come è oggi, non sia in grado di centrare gli obiettivi fissati dall’Unione europea. Dai pochi punti che ho ricordato, si può già osservare come vi siano ambiti del bilancio comunitario che possono effettivamente garantire il superamento dei problemi da risolvere, mentre in molti altri settori le voci di bilancio sono pianificate in base ai livelli storici, come se la situazione e i problemi attuali non esistessero. Non si prefigurano le sfide future e, laddove lo si faccia, i tentativi di influenzarne lo sviluppo risultano insufficienti. Penso che al Parlamento, quindi a noi, spetti l’obbligo di puntare a decisioni più dinamiche per rispondere ai problemi esistenti in Europa, senza trascurare la trasparenza nella gestione dei fondi. E’ questo che il compito affidatoci dai nostri elettori sei mesi fa.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ROTH-BEHRENDT
Vicepresidente

 
  
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  Jürgen Klute (GUE/NGL).(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, non è ancora possibile prevedere quali saranno gli effetti dell’attuale crisi economica internazionale. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che la crisi non ha ancora colpito il mercato del lavoro con tutta la sua forza. E cosa fa l’Unione europea in una situazione come questa, nella quale un numero sempre maggiore di persone è minacciato dalla povertà e dalla disoccupazione e teme per la propria stessa esistenza? Essa decide di includere nuove aree di attenzione nel proprio bilancio. Per essere più precisi, essa adegua le proprie risorse finanziarie allo scopo di favorire la chiusura dei confini, i progetti militari ad alto contenuto tecnologico e un monitoraggio sempre più sofisticato dei cittadini europei.

Sembra incredibile, ma vi sarà un aumento del 16 per cento per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il prossimo anno il Fondo destinato alla sicurezza dei confini esterni beneficerà di un aumento del 12 per cento. La spesa per la ricerca sulla sicurezza militare strategica verrà quasi raddoppiata e ammonterà in totale a 215 milioni di euro.

Secondo il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica questo significa che l’Unione europea sta abbandonando il proprio principio fondante, ovvero fungere da progetto di pace per l’Europa. Il presente progetto di bilancio segue al contrario la logica del trattato di Lisbona e l’obbligo da parte degli Stati membri di modernizzare costantemente il proprio apparato militare e rendere sicuri i confini esterni.

La sinistra europea chiede che l’Unione attui piuttosto una politica di pace coerente. Anziché un’Agenzia europea degli armamenti, noi chiediamo un’Agenzia per il disarmo. L’Europa deve far convergere le proprie risorse sulle strategie per la risoluzione dei conflitti civili, quali un corpo di pace civile europeo e la promozione di studi indipendenti su pace e conflitti. È nostra convinzione che il presente bilancio ci indirizzi più verso la guerra che verso la gestione delle crisi e pertanto la sinistra del Parlamento europeo non lo sosterrà.

 
  
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  Bastiaan Belder (EFD).(NL) Signora Presidente, il bilancio del 2010 è stato redatto in circostanze economiche e finanziarie particolari. Apprezzo molto il fatto che il relatore, l’onorevole Surján, intenda fissare delle priorità di bilancio. Appoggio il suo operato laddove dette priorità riguardino compiti fondamentali dell’Unione europea e linee di particolare rilevanza per la ripresa economica. Tuttavia il risultato complessivo si riduce troppo spesso a un aumento delle spese, sebbene il Consiglio avesse già effettuato nel progetto di bilancio dei tagli meno rigorosi rispetto agli anni passati.

Desidero ringraziare esplicitamente l’onorevole Surján per il suo atteggiamento aperto e costruttivo, ben palese nel caso dell’emendamento da me presentato, volto a migliorare il settore dell’assistenza all’infanzia, e nello specifico la deistituzionalizzazione. La commissione ha adottato a larga maggioranza l’emendamento attinente al Fondo sociale europeo. L’Unione europea e gli Stati membri devono aiutare a garantire che i bambini degli istituti possano crescere in famiglia per quanto possibile. In un momento come questo, nel quale ci stiamo concentrando sulle misure economiche, non dobbiamo dimenticare una spesa di grande rilevanza sociale come questa. Altrimenti saranno questi bambini a risentire di questo periodo di difficoltà economiche, e ciò non sarebbe degno dell’Unione europea.

 
  
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  Daniël van der Stoep (NI).(NL) Signora Presidente, i parlamentari di quest’Aula discutono spesso di solidarietà tra gli Stati membri. E’ ovvio, perché è facile mostrarsi solidali quando sono altri a pagare di tasca propria.

I dati del 2008 sono stati pubblicati il 23 settembre. Più di qualsiasi altro popolo europeo, sono ancora una volta gli olandesi a sentire fino a che punto l’ignobile sogno europeista stia divorando le loro buste paga. Gli olandesi – i somari della classe – sono chiaramente, di nuovo, i maggiori contribuenti netti: ciascun cittadino olandese paga ogni anno all’Europa la sbalorditiva somma di 267 euro.

Il PVV, il maggiore partito politico olandese nei sondaggi di opinione, continuerà a contrastare questa situazione. Il fatto che i Paesi Bassi siano il terzo maggiore contribuente dopo la Germania e l’Italia - se si considerano i contributi netti per il 2008 - è ugualmente una vergogna. Il PVV intende garantire che i cittadini olandesi non vengano più trattati come il bancomat dell’Europa.

Mettiamo fine al denaro per le nazioni corrotte, al Fondo di adeguamento alla globalizzazione e al Fondo di coesione, al circo itinerante e ai progetti della sinistra, e restituiamo ai panettieri, macellai e fruttivendoli olandesi il loro denaro, che hanno guadagnato con fatica. Dopotutto, è probabile che anche nel caso del bilancio per il 2010 i cittadini olandesi si ritroveranno a dover pagare lo scotto e a metter mano alla propria borsa, mentre i parlamentari di 19 dei 27 paesi qui presenti giocano a fare Babbo Natale con il denaro altrui.

Si parla di ”solidarietà”, ma si tratta di furto bello e buono. Il PVV non si sognerebbe mai di adottare un bilancio per l’Unione europea così sproporzionatamente sfavorevole per i cittadini olandesi.

 
  
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  Salvador Garriga Polledo (PPE).(ES) Signora Presidente, se il trattato di Lisbona entrerà in vigore – come tutti noi auspichiamo – disporremo a partire da gennaio di nuovi poteri di codecisione inerenti all’intero bilancio, che varranno naturalmente anche per il settore agricolo. Forse noi della commissione per i bilanci saremo più contenti una volta che il trattato di Lisbona sarà entrato in vigore.

Tuttavia, nuovi poteri significano anche nuove responsabilità che avranno ripercussioni su tutti noi, parlamentari, membri del Consiglio o della Commissione, indistintamente. Il primo degli obblighi è l’adempimento di responsabilità e impegni interistituzionali. Ne citerò due.

Innanzi tutto, il finanziamento del piano europeo di ripresa economica. E’ una vergogna. I negoziati stanno andando avanti da un anno e non siamo ancora riusciti a ottenere 5 miliardi di euro, con un bilancio globale dell’Unione europea che quest’anno supera i 130 miliardi.

Non siamo ancora riusciti a trovare una soluzione. Prima di tutto abbiamo perso l’eccedenza di bilancio del 2008 e ora la copertura finanziaria non è più garantita. Qualora il Consiglio cercasse di economizzare su altre voci di bilancio, ci troveremmo in una posizione di netto svantaggio durante i negoziati perché l’impegno precedente prevedeva il finanziamento delle attività del piano di ripresa con nuovi fondi.

La seconda questione riguarda il Fondo per il settore lattiero-caseario. Dobbiamo attenerci ai principi e alle esigenze dettate dalla disciplina di bilancio, che esigono un margine nella categoria 2. Il Consiglio e la Commissione hanno appena accettato 280 milioni di euro.

Desidero rivolgere una domanda alla Commissione, perché è molto importante essere sicuri di ciò che voteremo tra due giorni. Questi 280 milioni di euro che abbiamo approvato, che voi avete approvato, provengono da fondi non spesi nel 2009 o è lecito ipotizzare che vi state impegnando sulle risorse per il 2010, sulle quali quest’Aula non ha ancora espresso il proprio voto? Riteniamo che questa domanda necessiti di un’immediata risposta da parte del commissario.

Ad ogni modo, questi 280 milioni di euro non fanno parte del Fondo per il settore lattiero-caseario, si tratta piuttosto di un intervento una tantum. Il suddetto Fondo è un altro intervento a lungo termine che implica una ristrutturazione e un impegno finanziario da parte della Commissione e del Consiglio.

 
  
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  Ingeborg Gräßle (PPE).(DE) Signora Presidente, il mio gruppo desidera congratularsi vivamente con il relatore, a maggior ragione se si considera che, con il bilancio per il 2010, abbiamo inaugurato un cantiere aperto. E’ un’istantanea: mancano elementi importanti che deriveremo in seguito al trattato di Lisbona, inclusi gli obblighi che ci assumiamo in base al trattato; pertanto il nostro lavoro si basa sulla possibilità e sull’obbligo di rivedere il bilancio in tempi relativamente brevi, sebbene a quel punto l’attenzione sarà probabilmente rivolta più ai diritti del Parlamento che non ai contenuti del bilancio.

Il presidente in carica del Consiglio ha dichiarato che ci sarebbe stato un aumento del 7,3 per cento dei fondi per la ricerca. Abbiamo contribuito al raggiungimento di questo risultato, e lo accogliamo con favore perché lo stanziamento di queste risorse aggiuntive serve per le innovazioni e perché in questo modo dovremo guadagnarci il pane in futuro. Al contempo, dobbiamo tuttavia considerare anche le regole in base alle quali accordiamo questi fondi e garantire che non vengano stanziati in modo da renderne impossibile l’accesso ai ricercatori, ai quali è effettivamente destinato, perché essi non sanno destreggiarsi in un intrico di regole. A questo punto, desidero dunque chiedere una maggiore collaborazione tra la commissione per i bilanci e la commissione per il controllo dei bilanci.

La commissione per il controllo dei bilanci discuterà giovedì di due riserve che non sono state approvate dalla commissione per i bilanci. In qualità di portavoce del nostro gruppo all’interno della commissione per il controllo dei bilanci, chiedo che queste riserve vengano accettate. Una delle riserve riguarda il personale della Commissione, e più precisamente il controllo dei dipendenti, un’idea della commissione per i bilanci. In questa fase, siamo molto bene informati sul 30 per cento dell’organico della Commissione ma non sappiamo nulla del restante 70 per cento, che non è ancora coperto. Questa riserva mira a ottenere informazioni sul 70 per cento di cui al momento non sappiamo nulla.

La seconda riserva riguarda il regolamento finanziario che, come programmato, verrà sottoposto a revisione alla fine di quest’anno. Con questa riserva noi intendiamo offrire un modesto contributo alla Commissione, perché riteniamo che servano delle semplificazioni e che vadano attuate alcune proposte nel regolamento finanziario. Sono estremamente grata al commissario Šemeta per il fatto che, sotto la sua guida la Commissione, ha condotto per la prima volta una consultazione tra i beneficiari dei sussidi sull’argomento "Ostacoli e difficoltà nell’avviamento della procedura". Intendo sostenere anche questa riserva in quanto coinvolge l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF). Da novembre dello scorso anno la Commissione si rifiuta di fornirci un documento di lavoro, ostacolando così il proseguimento delle consultazioni sull’OLAF e sulla sua base giuridica. È importante quindi ottenere la maggioranza su queste due riserve.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio molto onorevole Gräßle. Siccome lei si rivolge direttamente alla Commissione, esorterei il signor commissario ad ascoltare con attenzione ciò che lei ha da dire poiché sarà così facilitato poi nel risponderle.

 
  
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  Lambert van Nistelrooij (PPE).(NL) Signora Presidente, desidero dare il mio contributo presentando il punto di vista della commissione per lo sviluppo regionale. E’ questa commissione che definisce la politica incentrata sul cittadino, che è necessaria in particolare nel contesto dell’attuale crisi.

Innanzi tutto desidero ringraziare l’onorevole Surján, che ha contribuito a cogliere i segnali positivi. In tempi di crisi è inaccettabile che si violino gli accordi finanziari – specie nella politica regionale – e si riducano gli importi. Guardo dunque con grande favore alle correzioni ora in atto.

E’ necessario rimanere all’erta in un periodo di crisi, e il Parlamento europeo e la Commissione lo hanno dimostrato con le proposte adottate prima della sospensione dei lavori. Godiamo di una maggiore flessibilità, siamo in grado di fornire prima i nostri bilanci e possiamo, ad esempio, investire di più in abitazioni e edifici a basso consumo energetico.

Approvo anche le risorse aggiuntive stanziate per tre progetti pilota. I rappresentanti delle regioni si sono incontrati a Bruxelles le scorse settimane, in occasione degli Open Days, e hanno dichiarato di poter utilizzare al meglio queste risorse per migliorare la partecipazione in politica, in tutti i settori. Questa è la politica incentrata sul cittadino alla quale mi riferivo.

Ho appena ascoltato l’onorevole van der Stoep, un altro deputato olandese, dichiarare che egli boccia l’assegnazione di queste risorse. Consideriamo, ad esempio, i progetti linguistici transfrontalieri: essi incoraggiano la partecipazione dei cittadini e noi siamo felici di dare il nostro appoggio a iniziative di questo tipo. Vi era un punto critico, ma l’onorevole Surján ha risolto brillantemente la questione. Durante la discussione è stato detto che queste risorse, le risorse regionali, dovrebbero finanziare il New Deal verde.

Ovviamente, la politica della sostenibilità è un’ottima cosa, ma adottare integralmente una simile proposta creerebbe moltissime aspettative irreali nelle regioni e anche tra i colleghi. Le norme relative ai Fondi strutturali specificano gli interventi attuabili nei settori dell’innovazione, della politica della sostenibilità e dell’ecologia. E’ quindi opportuno farvi riferimento solo a titolo d’esempio, piuttosto che dichiarare che adegueremo il regolamento.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, Presidente mi permetta di ringraziare per il lavoro svolto la commissione bilancio che con riferimento alle necessità del mondo agricolo ha ricercato un quadro complessivo di risorse da poter destinare alla soluzione di un problema, quello degli allevatori e del latte, che sicuramente preoccupa oggi molti paesi europei.

Tuttavia, la necessità di avere un margine minimo non ha consentito di andare oltre i 300 milioni di euro per il fondo del latte. Questo comunque è un intervento forte, se queste risorse, come è stato chiesto al Commissario, sono risorse aggiuntive e prevedono ovviamente un pacchetto di interventi adeguati. Dall'altro lato però sentiamo che qualche altro gruppo propone, in modo probabilmente anche populista, una istanza di gran lunga superiore, consapevoli però che queste risorse non potranno in alcun modo essere trovate e solo per dare un messaggio esterno di un certo tipo.

Mi permetta inoltre di sottolineare come un altro tema all'interno del bilancio debba trovare un adeguato respiro: quello della politica immobiliare di lungo periodo. Con il trattato di Lisbona, con le nuove competenze che avrà il Parlamento, con la necessità ovviamente di rafforzare i rapporti con i parlamenti regionali, con i nuovi ambiti tematici, avremo la necessità di avere più spazi all'interno degli uffici di Bruxelles e per questo credo che sarà necessario, visto che ormai il 97% degli attuali edifici risulta occupato, attivare una politica seria per la costituzione di un quartiere europeo ancora più grande che possa dare un'idea precisa di unitarietà all'Europa anche con un'adeguata politica edilizia.

 
  
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  Damien Abad (PPE).(FR) Signora Presidente, desidero per prima cosa ringraziare il relatore, l’onorevole Surján, per la presentazione di un bilancio equilibrato che risponde alla doppia sfida di finanziare il piano di ripresa e istituire un Fondo per il latte.

Desidero presentare due osservazioni riguardo all’istituzione di questo Fondo per il settore lattiero-caseario, per cui noi del gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano) e dalla commissione per i bilanci abbiamo proposto una dotazione di 300 milioni di euro.

Innanzi tutto voglio denunciare la demagogia di alcuni parlamentari, che chiedono una dotazione di più di 600 milioni di euro per questo Fondo. Sarebbe una scelta semplicemente impraticabile e soprattutto irresponsabile, dato che un simile importo comporterebbe dei drastici tagli alle dotazioni per altri settori dell’agricoltura o comprometterebbe la copertura finanziaria del piano di ripresa.

Di conseguenza, il finanziamento del Fondo per il latte andrebbe a scapito dei nostri agricoltori e disoccupati, e questo è di certo economicamente inefficace e socialmente ingiusto.

Desidero anche esprimere la mia sorpresa, per non dire il mio disappunto, nel vedere il commissario, signora Fischer Boel, prendersi sui media tutto il merito per questo Fondo, come se la commissione per i bilanci non vi avesse lavorato o il lavoro svolto fosse stato inutile.

Infine, essendo il più giovane dei parlamentari francesi, desidero condividere con voi la mia delusione per la copertura finanziaria del programma “Gioventù in azione”, poiché, paradossalmente, è proprio nel bel mezzo di una crisi economica che ci apprestiamo, per la prima volta in dieci anni, a ridurre le risorse per questo programma.

 
  
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  Paul Rübig (PPE).(DE) Signora Presidente, Commissario, credo che con questo bilancio siamo riusciti ancora una volta a elaborare nuove strategie. Sono contento che quest’Aula abbia deciso di dare il proprio appoggio allo "Small Business Act" per l’Europa con almeno 1 milione di euro per gli stanziamenti d’impegno e 500 000 euro per i pagamenti. Il commissario Verheugen ha promesso di utilizzare questi fondi di conseguenza.

E’ stata aumentata anche la dotazione per il programma di ricerca per le piccole e medie imprese. Questo è particolarmente importante in una situazione di crisi. E’ necessario consolidare in modo significativo anche il programma Solvit. Esso riguarda il superamento dei confini all’interno del mercato unico, che rappresenta spesso una sfida molto particolare per le piccole e medie imprese.

Sono soddisfatto che il programma Erasmus per giornalisti sia finalmente un punto all’ordine del giorno e che il programma Erasmus per giovani imprenditori stia operando con successo.

 
  
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  Georgios Stavrakakis (S&D). (EL) Signora Presidente, sebbene sia un fatto comunemente accettato che i Fondi strutturali e i Fondi di coesione siano gli elementi di punta nella lotta contro una crisi economica, con il taglio dei relativi stanziamenti il Consiglio sta purtroppo inviando segnali contraddittori.

A differenza del Consiglio e della Commissione, ci stiamo adoperando per garantire un adeguato finanziamento del piano europeo di ripresa economica, rafforzando le infrastrutture nel campo dell’energia, la ricerca e l’innovazione.

Al contempo è necessario garantire la funzionalità delle infrastrutture e degli strumenti comunitari esistenti nel settore della protezione civile, nella fattispecie rafforzando ulteriormente la capacità di reazione rapida dell’Unione europea in caso di calamità naturali, preparando così la strada alla creazione di una forza di protezione civile europea.

Da ultimo, è necessario ribadire che uno sviluppo ecologico e il consolidamento di ricerca e innovazione devono rappresentare un elemento essenziale nel bilancio comunitario per un ambiente pulito e funzionante in tutti i settori.

 
  
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  Riikka Manner (ALDE).(FI) Signora Presidente, Commissario, desidero innanzi tutto ringraziare il relatore per l’ottima relazione. Il piano di ripresa a contrasto della crisi finanziaria e la crisi nel settore lattiero-caseario hanno reso molto difficile la procedura di preparazione del bilancio per il prossimo anno. Ci si pongono ancora altre sfide e attendiamo con grande interesse la proposta di finanziamento del piano di ripresa che la Commissione presenterà la prossima settimana.

Sono state sollevate questioni importanti in quest’Aula, alcune in merito alla crisi del settore lattiero-caseario. Da parte mia, desidero citare un solo caso specifico. La congiuntura economica fa sì che gli Stati membri stringano i cordoni della borsa per il prossimo bilancio. La disciplina di bilancio da parte degli Stati membri è, in parte, perfettamente comprensibile in questa situazione di disordine economico, ma è imperdonabile che negli ultimi anni sia stato necessario rimborsare agli Stati membri gli stanziamenti inutilizzati nel bilancio per i Fondi strutturali. Il motivo di questa inerzia è il sistema di gestione e di controllo, che va semplificato con urgenza. Considerata l’attuale congiuntura economica, è essenziale che i Fondi strutturali vengano utilizzati in modo efficace nelle regioni più periferiche al fine di sostenere le misure di ripresa.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D).(EN) Signora Presidente, durante la crisi economica e finanziaria il Galles ha beneficiato della politica di coesione e dei Fondi strutturali per le rubriche 1A e 1B. Quindi, sebbene il piano di ripresa fosse gradito e in verità necessario, non ci troviamo ora costretti a tagliare importanti linee alla rubrica 1 per finanziare gli 1,98 miliardi di sterline richiesti. Temo però che questo possa succedere e temo anche che le proposte in merito facciano parte di un più ampio piano d’attacco alla politica di coesione. Mi riferisco al documento di revisione del bilancio presentato dalla direzione generale del Bilancio e citato oggi dall’onorevole Lamassoure.

So che tale documento prevede la possibilità di rinazionalizzare i finanziamenti destinati all'obiettivo convergenza, mitigare la concorrenza e respingere lo stato di transizione per le regioni che escono dal programma di convergenza. Ritengo che gli onorevoli colleghi debbano opporsi a tali provvedimenti. In effetti gradirei sentire il parere della Commissione su queste proposte, perché danneggerebbero la politica di coesione e luoghi come il Galles e regioni analoghe.

 
  
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  Sidonia Elżbieta Jędrzejewska (PPE).(PL) Signora Presidente, siamo tutti consapevoli della difficile situazione nella quale ci troviamo a causa della crisi economica e finanziaria. Sono pertanto particolarmente soddisfatta che la commissione per i bilanci e lo stesso relatore siano favorevoli all’emendamento relativo ai giochi olimpici speciali. Se mi è consentita una spiegazione, i giochi olimpici speciali sono gare sportive per persone diversamente abili, gare che permettono loro di esprimersi e di partecipare appieno alla società. Sono molto contenta che sia stato possibile organizzare i giochi olimpici estivi speciali europei a Varsavia nel 2010 e i giochi olimpici estivi speciali mondiali ad Atene nel 2011. Desidero cogliere quest’occasione per lanciare un appello al Consiglio affinché accolga con favore questo impegno finanziario, e per chiedere alla Commissione europea un aiuto per le questioni pratiche relative all’organizzazione annuale di quest’evento.

 
  
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  Marek Józef Gróbarczyk (ECR).(PL) Signora Presidente, il bilancio proposto deve costituire uno strumento diretto nella lotta contro la crisi. Un ramo dell’industria che ha particolarmente subito le ripercussioni della crisi mondiale è quello della cantieristica e del trasporto marittimo. Per giunta, la Commissione europea ha contribuito a mettere in ginocchio l’industria navale in Europa con la sua politica restrittiva. Per quanto attiene alla Polonia, le iniziative della Commissione europea hanno distrutto il settore navale del paese e fatto sì che migliaia di persone restassero disoccupate. Questo modo di procedere consolida le economie dei paesi dell’Estremo Oriente. Desidero pertanto lanciare un appello e ribadire che è importante che il bilancio del prossimo anno preveda fondi per salvare quest’industria, l’industria cantieristica, in tutta l’Europa.

 
  
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  Janusz Władysław Zemke (S&D).(PL) Signora Presidente, il bilancio per il prossimo anno prevede anche un aumento delle risorse per la sicurezza e la difesa. Alcuni politici hanno commentato e sollevato riserve in merito. Tali osservazioni sono state ascoltate durante la discussione. Vorrei pertanto rivolgere al commissario una domanda precisa: a cosa sono destinati questi fondi supplementari per la difesa? Sono per una missione congiunta di qualche tipo oppure per la promozione di nuove tecnologie o programmi militari congiunti? Se così fosse, ritengo che sarebbe indubbiamente un passo nella giusta direzione, perché anche l’esercito mette a punto nuove tecnologie e può creare nuovi posti di lavoro in settori all’avanguardia. Desidero pertanto maggiori informazioni sull’argomento.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(EN) Signora Presidente, di recente il governo irlandese ha deciso di abbandonare il programma REPS per gli agricoltori. Questo sistema, come molti altri, era cofinanziato dall’Unione europea. Vorrei sapere che cosa succede alle risorse stanziate qualora non vengano utilizzate dal governo in questione, se questo si verifica anche in altri paesi, dove va a finire il denaro e come viene utilizzato quando non viene adoperato dal paese al quale è destinato.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D).(LT) Desidero innanzi tutto congratularmi con il commissario Šemeta, che oggi ha partecipato probabilmente per la prima volta a una simile discussione, con l’approvazione del Parlamento.

Tuttavia, sulla questione del bilancio per il 2010, tutti noi oggi non possiamo non ammettere che la situazione è alquanto mutata da quando abbiamo discusso il bilancio per il 2009. Si è discusso veramente molto di solidarietà e di soluzione dei problemi legati all’attuale crisi finanziaria. Da quanto ho capito, il bilancio per il 2010 avrebbe dovuto essere leggermente diverso. Volenti o nolenti dobbiamo tenere conto della situazione reale, che comporta ogni giorno nuove sfide. Desidero esprimere le mie congratulazioni al Parlamento che, alcuni giorni fa, a Bruxelles, ha approvato all’unanimità il sostegno ad alcuni Stati che hanno subito le conseguenze di vari problemi naturali. Credo che lo stesso genere di problemi esista anche in alcuni degli altri piccoli Stati membri dell’Unione europea, che al momento non dispongono di fondi. Ritengo pertanto che in futuro sia necessario mettere a punto provvedimenti specifici che consentano a quegli Stati di uscire dalla crisi finanziaria.

 
  
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  Algirdas Šemeta, membro della Commissione.(EN) Signora Presidente, sarò molto breve. Desidero innanzi tutto ringraziare tutti i membri del Parlamento per le proposte sul bilancio per il 2010, con l’auspicio che nella successiva procedura di bilancio troveremo soluzioni opportune al fine di giungere a un bilancio valido per il prossimo esercizio.

Volevo semplicemente rispondere in modo concreto all’importantissima questione del Fondo per il latte spiegando che ieri il commissario, signora Fischer Boel, ha dichiarato che la Commissione s’impegna a elaborare una proposta per determinate somme, e cioè 280 milioni di euro. La Commissione discuterà la questione la prossima settimana e presenteremo una proposta concreta conformemente al regolamento interno. Questi i miei brevi commenti alla discussione.

 
  
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  Presidente. – La ringrazio, commissario Šemeta. Vi erano anche altre domande da parte degli onorevoli colleghi, ma mi par di capire che lei non intenda rispondere direttamente all’onorevole Garriga e agli altri deputati. Forse vorrà far pervenire loro le sue risposte per iscritto. Sono certo che l’apprezzerebbero molto, visto che gli onorevoli deputati Gräßle, Garriga e altri ancora hanno posto altre domande.

 
  
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  László Surján, relatore. – (HU) Desidero innanzi tutto rivolgermi al Consiglio, sebbene il ministro degli Esteri sia dovuto andare via. Concordo pienamente sull’esistenza di un problema, e mi trova altresì assolutamente d’accordo sul fatto che le priorità da lui indicate, ad esempio l’istruzione e la ricerca, coincidono con quelle del Parlamento. Esiste anche un ampio consenso sugli obiettivi. Tuttavia vi è un grande divario su quali siano gli strumenti da utilizzare. Dobbiamo in qualche modo giungere a un accordo in proposito entro la metà di novembre. Il commissario ha dichiarato di gradire i provvedimenti che il Parlamento stava adottando per ripristinare le linee presenti nel bilancio preliminare della Commissione. Vorrei che comprendesse che non sono poche le linee coinvolte: infatti, come ho già ricordato, abbiamo cercato di adottare una posizione ricorrendo a un approccio morbido.

Ritengo tuttavia necessario citare alcune idee espresse durante la discussione che io non condivido. Non posso accettare l’atteggiamento di quanti descrivono le somme trasferite da un paese contributore a un altro paese beneficiario in segno di solidarietà come un furto. Non credo che sia questo l’intento. L’Unione europea si fonda sulla solidarietà tra gli Stati membri. Di fatto, so di un paese contributore i cui governanti affermano che le loro entrate sono aumentate notevolmente grazie all’allargamento, che ha consentito loro l’accesso a un mercato enorme.

L’Unione europea non si può misurare in termini di rapporto tra versamenti e contributi. E’ una valutazione mendace e fuorviante, che rovinerà tutto il nostro futuro comune. D’altra parte, desidero anche attirare l’attenzione dei miei colleghi sul fatto che alcune persone in quest’Aula hanno presentato ogni proposta, peraltro con grande entusiasmo, al passato remoto: così fu sollevata e definita, e così sarà. La votazione di giovedì verterà su un progetto e un messaggio politico. Il messaggio politico riguarda il modo in cui questo Parlamento desidera guidare l’Unione europea verso pascoli più verdi.

Chiedo anche al Consiglio di comprendere che il relatore non rappresenta l’opinione di un singolo individuo, né quella di un partito, o solo l’opinione della commissione per i bilanci. Molte persone, provenienti da commissioni e gruppi politici diversi, hanno preso la parola in quest’Aula, ma tutti con lo stesso messaggio: serve un bilancio migliore, più pratico e più incisivo. Il mio tempo è terminato. Vi ringrazio per la vostra rispettosa attenzione.

 
  
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  Vladimír Maňka, relatore. (SK) Desidero ringraziare per la discussione in quest’Aula e anche per la cooperazione in seno alla commissione per i bilanci, ai gruppi politici e in sede di procedura arbitrale.

Desidero ringraziare il segretario generale del Parlamento europeo e tutti i rappresentanti delle direzioni generali del Parlamento europeo. E’ da gennaio che stiamo lavorando insieme alla ricerca delle soluzioni migliori per utilizzare in modo efficace le risorse finanziarie dei cittadini europei. Desidero ringraziare i relatori ombra e i coordinatori. Durante le discussioni ho avuto la sensazione che stessimo effettivamente cercando soluzioni positive. E’ anche grazie a voi che abbiamo trovato queste soluzioni, molte delle quali sono inserite nella mia relazione. Desidero ringraziare i miei consulenti e il personale della commissione per i bilanci. Le numerose discussioni avute con i rappresentanti di tutte le istituzioni hanno contribuito a farci ottenere una visione più oggettiva della questione e, più importante ancora, abbiamo scoperto dove cercare le soluzioni che ci occorrono.

Apprezzo molto l’accordo derivante dalle procedure arbitrali riguardo all’esecuzione di una verifica contabile organizzativa della direzione generale della Società dell’informazione e dei media e dei servizi di sicurezza, allo scopo di valutare se le risorse vengano utilizzate nel miglior modo possibile. In passato, solo la Corte dei conti aveva accettato ispezioni esterne del proprio lavoro, che hanno dato buoni risultati. In seguito alla verifica contabile, la Corte dei conti ha ridotto i costi amministrativi e potenziato la produttività.

In passato la commissione per i bilanci ha collaborato in modo costruttivo anche con altre istituzioni. Anche in quest’occasione, nella stesura dei bilanci per le istituzioni europee, abbiamo lavorato insieme per trovare le soluzioni più valide. Nei casi in cui le richieste delle istituzioni erano giustificate, abbiamo reintegrato alcune delle richieste originali che il Consiglio aveva ridotto. Desidero esprimere tutto il mio apprezzamento per l’iter di stesura del bilancio adottato presso queste istituzioni, che peraltro redigono i propri bilanci tenendo conto non solo del tasso di inflazione, ma anche delle esigenze reali.

 
  
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  Presidente. – Con questo si conclude la discussione congiunta. La votazione si svolgerà giovedì, alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto.(PT) Il progetto di bilancio comunitario per il 2010 è fin troppo esiguo, considerando che ci troviamo nel mezzo di una crisi economica e sociale, con drammatiche ripercussioni sull’occupazione e sulle condizioni di vita di molte persone. Il fatto che sia persino inferiore, di circa 6 miliardi di euro, rispetto a quanto concordato nel quadro finanziario pluriennale per il 2010, è inaccettabile. Considerata la grave realtà sociale in molti Stati membri, in particolare nei paesi beneficiari del Fondo di coesione come il Portogallo, riteniamo che il bilancio vada rivisto e aumentato con urgenza. Abbiamo presentato alcune proposte a tale scopo, tra le quali:

- un maggiore sostegno finanziario alle politiche di coesione e strutturali;

- la rivalutazione delle regole N+2 e N+3, che a oggi hanno comportato una perdita di circa 106 milioni di euro per il Portogallo nell’ambito del quadro finanziario precedente;

- un aumento della percentuale di confinanziamento comunitario dei Fondi di coesione e strutturali.

E’ deplorevole che altre proposte dal forte impatto sociale e ambientale non siano state approvate durante le discussioni sul bilancio, tra le quali ad esempio:

- un programma di sviluppo per l’industria portoghese;

- un programma a sostegno dell’industria tessile e dell’abbigliamento;

- un programma a sostegno delle piccole attività di pesca costiera e artigianale;

- un aumento dei fondi per il programma LIFE+.

 
  
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  Louis Grech (S&D), per iscritto.(EN) In seguito all’adozione del bilancio per il 2010 e considerando gli sviluppi positivi in Irlanda per il trattato di Lisbona, ritengo sia necessario operare una revisione globale della procedura di bilancio allo scopo di migliorare l’iter complessivo e renderlo più efficace, pertinente e visibile ai cittadini europei. Al riguardo, ritengo che questa revisione dovrebbe puntare principalmente a una maggiore trasparenza del processo decisionale e della fase di attuazione. A tale scopo, dovremmo prendere in considerazione l’introduzione di standard di controllo e meccanismi statistici uniformi in tutti gli Stati membri, per ottenere un riscontro più affidabile sui risultati di bilancio. Inoltre, la procedura di bilancio dovrebbe garantire un migliore equilibrio tra stabilità a lungo termine e flessibilità, al fine di rispondere al continuo mutamento delle esigenze e preservando al contempo il principio di sussidiarietà con l’offerta di chiari vantaggi e di un valore aggiunto rispetto ai bilanci nazionali. Occorre anche lavorare ancora su determinati ambiti politici. L’Europa si trova oggi di fronte a sfide importanti a causa della crisi finanziaria, del cambiamento climatico, dell’approvvigionamento energetico, della sicurezza e dell’immigrazione. Apprezzo gli sforzi della Commissione in proposito, ma credo che, per essere efficace, il nostro approccio debba essere più deciso, coordinato e olistico.

 
  
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  Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. (RO) La stesura di un bilancio non è mai un processo facile, tanto più durante una crisi economica. Tali circostanze lo rendono però un compito ancora più importante. La gestione di una crisi della portata di quella attuale, a livello comunitario, dipende anche dall’equilibrio che si crea durante i negoziati tra le istituzioni europee competenti. Il Parlamento europeo svolge indubbiamente un ruolo cruciale in questa discussione. Il piano di ripresa economica e il Fondo europeo per il latte hanno rappresentato i nodi fondamentali delle discussioni riguardanti il bilancio per il 2010, evidenziando in un certo qual senso la rigidità del quadro finanziario 2007-2013, poiché si tratta di nuovi progetti finanziari e quindi di nuovi fondi. Il bilancio comunitario deve sfruttare appieno i margini finanziari a sua diposizione per rispondere alla crisi economica. Tuttavia, questo bilancio avrà probabilmente un impatto limitato se gli Stati membri non assumeranno un ruolo arrivo nella gestione delle risorse disponibili. Dobbiamo inviare un segnale forte alle capitali d’Europa, e in particolar modo a Bucarest nel mio caso. L’impegno di quest’Assemblea per ottenere quante più risorse possibile per i fondi europei risulterà vano se nei nostri paesi di origine il potere costituito non adotterà i provvedimenti necessari ad accedere ai fondi e utilizzarli in maniera efficace.

 
  
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  Lívia Járóka (PPE), per iscritto.(HU) Desidero cogliere quest’opportunità per esprimere la mia soddisfazione per il fatto che il programma pilota per l’integrazione sociale dei rom, proposto dal Parlamento europeo nel 2009, sia stato inserito anche nel bilancio comunitario per il 2010. La direzione generale della Politica regionale della Commissione europea ha invitato a fare domanda per il programma alla fine di luglio. L’obiettivo era di concepire soluzioni originali e complesse per affrontare i problemi di ampio respiro che affliggono le comunità rom. L’obiettivo esplicito del progetto è quello di studiare – basandosi sull’esperienza attuale – provvedimenti tali da promuovere l’integrazione dei rom attraverso l’istruzione, opportune misure sociali ed economiche, la cooperazione transfrontaliera e la condivisione delle migliori prassi.

In base alla proposta originaria del gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano), il programma si fonda da una parte sullo sviluppo dell’istruzione primaria e dall’altra sulla promozione del lavoro autonomo e sulla concessione di microcrediti. Vi saranno inoltre delle campagne di informazione e di sensibilizzazione legate al progetto pilota. La speranza è che questo progetto offra l’occasione di redigere degli orientamenti per un piano d’azione comunitario mirato all’integrazione sociale dei rom e che contribuisca – grazie alla diffusione delle idee che si dimostreranno valide – alla stesura di un piano d’azione comunitario di regolamentazione che vada al di là degli strumenti attualmente a disposizione.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. (PL) Desidero sollevare un tema di fondamentale importanza per l’economia e l’occupazione, non solo del mio paese. Aspettiamo di ricevere nel prossimo futuro una proposta da parte della Commissione sull’eventuale estensione degli attuali dazi antidumping, applicati all’importazione di calzature con tomaie di pelle dalla Cina e dal Vietnam. I singoli Stati membri hanno posizioni molto diverse in merito. Considerando gli elevati livelli di occupazione nell’industria, il mantenimento degli attuali dazi è di estrema importanza. Non esiste alcuna controindicazione di carattere tecnico all’ampliamento della normativa vigente. Vorrei pertanto chiedere alla Commissione la garanzia che la proposta in merito si fondi sui risultati tangibili di un’indagine, prendendo contemporaneamente atto del fatto che questa è un’occasione per verificare le promesse fatte non troppo tempo fa dal presidente della Commissione sulla tutela dei posti di lavoro.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto.(EN) Sostengo la relazione sul progetto di bilancio per il 2010 perché si tratta di testo equilibrato, che tiene conto delle priorità comunitarie in modo realistico.

E’ opportuno evidenziare due questioni: gli aumenti dei pagamenti per le linee principali (il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo e il Fondo di coesione) nel settore dello sviluppo regionale e la creazione del cosiddetto Fondo per il latte. Gli aumenti dei pagamenti sono importanti in quanto promuoveranno l’attuazione della politica strutturale negli Stati membri a beneficio di tutti i cittadini europei. L’istituzione di un apposito Fondo per il latte rappresenterà un segnale forte, inviato dalle istituzioni europee agli agricoltori europei.

Un terzo punto fondamentale nel bilancio è rappresentato dalla politica energetica, che assume rilievo particolare nel 2010, l’anno in cui verrà adottato un nuovo piano energetico per il periodo 2010-2014, rivolto alla promozione della sicurezza e della competitività nel settore dell’energia dell’Unione europea.

Nei prossimi anni la Commissione dovrebbe considerare prioritari anche gli investimenti nelle infrastrutture, specialmente nei nuovi Stati membri, considerando il loro effetto positivo sulla coesione economica e territoriale.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. (RO) L’istituzione del Fondo per il latte invierebbe un segnale importante agli agricoltori europei, evidenziando altresì la sincera preoccupazione delle istituzioni europee per la crisi che il settore lattiero-caseario ha subito. Quello dei latticini è infatti uno dei mercati più volatili ed è stato duramente colpito dall’attuale crisi economica.

Una soluzione così radicale come l’istituzione di un Fondo a sostegno della modernizzazione del settore è evidentemente preferibile a un palliativo, come potrebbe essere il ritorno a metodi tradizionali di controllo della produzione tramite le quote latte. Tutti noi desidereremmo un finanziamento maggiore. Tuttavia, la somma proposta per questo Fondo – 300 milioni di euro - è il massimo consentito dal bilancio. Qualora superassimo detto massimale, sarebbe impossibile per il Consiglio dei ministri approvare l’istituzione del fondo.

Servono al contempo nuovi provvedimenti per promuovere l’utilizzo dei fondi per lo sviluppo rurale da parte degli allevatori. Credo che i provvedimenti più utili consistano nel miglioramento dell’accesso alle informazioni, nello scambio di buone prassi e nella diffusione di istruzioni circa l’iter di presentazione della domanda per i Fondi, che in alcuni Stati membri, al momento non sono utilizzati quanto potrebbero.

 

13. Sostegno alla governance democratica nel quadro delle relazioni esterne (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L'ordine del giorno reca la discussione sull'interrogazione orale (O-0093/2009) al Consiglio presentata dagli onorevoli Albertini e Hautala, a nome della commissione per gli affari esteri, e dall’onorevole Joly, a nome della commissione per lo sviluppo, sul sostegno alla governance democratica nel quadro delle relazioni esterne(B7-0213/2009).

 
  
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  Heidi Hautala, autore.(FI) Signora Presidente, sono felice che, durante la presidenza di turno, la Svezia abbia assegnato grande importanza alla democrazia nel quadro delle relazioni esterne. Dal punto di vista della sottocommissione per i diritti dell'uomo, desidero porre l’accento sul fatto che democrazia e diritti umani sono inseparabili. E’ un dato chiaro e lampante se si considerano le differenti definizioni di democrazia che esistono. Vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che le Nazioni Unite, ad esempio, hanno tentato di definire il concetto di democrazia nel 2005. La loro definizione comprende un lungo elenco di fattori, che vanno da un sistema politico pluralista allo stato di diritto, dalla trasparenza di governo alla libertà dei media, eccetera. Questo ci dimostra chiaramente che i diritti umani non possono venir separati dalla democrazia.

Volendo utilizzarle, l’Unione europea dispone di un’ampia gamma di risorse atte a promuovere la democrazia nel mondo. Nel loro complesso, la politica per lo sviluppo e la politica estera e di sicurezza comune coprono l’intero spettro. Le risorse disponibili sono il dialogo con gli altri paesi, vari strumenti finanziari, la partecipazione alle organizzazioni internazionali e l’osservazione elettorale, fattori evidentemente per noi molto importanti.

Esistono però anche situazioni che ci portano a ipotizzare un qualche intervento negativo. Desidero sottoporre all’attenzione del ministro Malmström il fatto che la prossima settimana il Consiglio "Affari generali e relazioni esterne" si appresta a discutere la revoca del bando all’esportazione di armi verso l’Uzbekistan. Credo che tutto stia a indicare che questo è il segnale sbagliato da inviare, giacché l’Uzbekistan non ha veramente dato ascolto alle richieste della comunità internazionale. La comunità internazionale, Unione europea inclusa, ha chiesto al paese di effettuare un’indagine internazionale indipendente in merito ai tragici e spaventosi eventi verificatisi nella primavera del 2005 in Andizhan, durante i quali la democrazia fu davvero soppressa completamente. Vorrei anche sentire il parere del ministro Malmström in proposito. Come possiamo promuovere la democrazia se alcuni Stati membri vogliono ora porre fine al bando all’esportazione delle armi?

Vorrei anche ribadire che la democrazia non si può esportare. Non è un prodotto d’esportazione. Non è un elemento che si possa introdurre dall’esterno, ed è proprio per questo motivo che vorrei sottolineare l’importanza del coinvolgimento della società civile nel processo, perché solo in questo modo la democrazia può svilupparsi in modo organico: dalla base della società.

Vorrei ricordare che la Russia è un partner che rifiuta sistematicamente di accettare la partecipazione delle ONG al dialogo con l’Unione europea sui diritti umani. A mio parere, non potremo accettare questa situazione in futuro.

Da ultimo, desidero ricordare che il sostegno della democrazia dovrebbe essere una delle priorità della politica estera e di sicurezza comune e della politica per lo sviluppo dell’Unione. Servono anche maggiori risorse: lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani dispone, ad esempio, di risorse molto esigue, dovremmo aumentarne i fondi.

 
  
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  Eva Joly, autore.(FR) Signora Presidente, Ministro Malmström, Commissario, onorevoli colleghi, democrazia e diritti umani sono inscindibili. Un regime democratico si riconosce in definitiva dal rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali.

Dobbiamo pertanto rallegrarci del fatto che il 19 maggio il Consiglio ha segnalato la necessità che l’Unione europea adotti un approccio più sistematico per quanto riguarda la governance democratica.

Gli sforzi compiuti fino a quel momento erano stati molto modesti. Il conflitto israelo-palestinese ne è un esempio evidente. Sebbene la missione inviata a osservare le elezioni palestinesi del 2006 abbia riconosciuto la legittimità del risultato, l’Unione europea e i suoi Stati membri hanno deciso di boicottare il governo eletto, così come hanno boicottato il governo di unità nazionale che si è formato in seguito per uscire dalla fase di stallo.

Dove sono la credibilità e la coerenza dell’Unione europea quando le sue stesse decisioni contrastano in modo così netto con i suoi tanto decantati principi? E cosa dire degli Stati membri che rifiutano di sostenere la relazione Goldstone? Le conclusioni della relazione sono equilibrate e giuste, e il loro unanime sostegno rappresenterebbe un passo in direzione della pace.

Le maggiori potenze stanno distruggendo questa speranza, e lo fanno per mancanza di coraggio e mancanza di fedeltà verso i loro stessi valori.

Organizzare missioni di osservazione elettorale pertanto non basta, specialmente se ci si rifiuta poi di riconoscerne il risultato. Dobbiamo essere coerenti con noi stessi e adottare un approccio globale su queste questioni.

Il Consiglio dovrebbe adottare rapidamente un programma d’azione basato su queste linee, elaborando una vera strategia per i diritti umani, imperativa a tutti i livelli dell’Unione. Dobbiamo delineare in modo chiaro le nostre priorità e integrarle formalmente in tutti gli strumenti a nostra disposizione: politica estera, politica dei diritti umani e politica per lo sviluppo.

Quale monitoraggio effettueremo nei paesi terzi nei quali l’Unione europea osserva le elezioni al fine di garantire, a lungo termine, il rispetto del pluralismo politico e la partecipazione della società civile?

Quali sono le nostre richieste circa la creazione di una magistratura indipendente e di istituzioni trasparenti e responsabili nei confronti dei cittadini?

Questa vaghezza persistente sul posto accordato ai diritti umani nelle nostre politiche è riprovevole e controproducente. E’ giunto il momento di un chiarimento, se vogliamo che l’Unione europea e i suoi valori fondamentali vengano considerati più seriamente a livello internazionale.

 
  
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  Cecilia Malmström, presidente in carica del Consiglio.(SV) Signora Presidente, onorevoli deputati, nel quadro del consenso europeo in materia di sviluppo, il termine “povertà” assume una molteplicità di significati. Povertà significa assenza di potere, opportunità e sicurezza. Lo sviluppo è ostacolato dall’assenza di libertà, e la libertà è limitata se non c’è democrazia. E’ difficile avere la pace senza la democrazia. Di conseguenza, non vi può essere sviluppo senza pace. Entrambe le condizioni richiedono il rispetto assoluto dei diritti umani. Questi concetti sono collegati e serve un quadro generale coeso per utilizzare al meglio le politiche e gli strumenti esistenti a sostegno di una governance democratica.

Desidero ringraziare il Parlamento europeo per il grande interesse e il sostegno dimostrati. Dopo essere stata deputata europea per sette anni e membro della commissione per gli affari esteri, sono ben consapevole della dedizione e dei contributi concreti apportati dal Parlamento al sostegno della governance democratica nel quadro delle relazioni esterne.

L’iniziativa delle presidenze ceca e svedese è già stata più volte oggetto di discussione in quest’Aula, anche con la mia collega, il ministro Carlsson.

Punto di partenza dell’iniziativa è il ruolo fondamentale svolto dalla governance democratica non solo nella cooperazione allo sviluppo dell’Unione europea, ma anche nella politica estera e di sicurezza comune. Questo è fuori discussione. Questa iniziativa si prefigge tuttavia l’obiettivo di compiere un passo ulteriore. In quanto protagonista mondiale, forte dei suoi 27 Stati membri e del Parlamento europeo, e in quanto principale donatore al mondo, l’Unione europea deve svolgere un ruolo di primo piano nel sostegno alla governance democratica nel quadro delle relazioni esterne. Vi è anche una valenza simbolica in questo, poiché la speranza è che i nostri successi in casa siano d’ispirazione per i nostri partner nel mondo. Tuttavia, l’iniziativa mira a incidere anche sul livello pragmatico e operativo, prefiggendosi altresì di garantire il pieno utilizzo degli strumenti politici e giuridici a disposizione dell’Unione e delle nostre istituzioni, in modo coordinato ed efficace.

Non partiamo da zero. Abbiamo già realizzato molto Abbiamo esperienza nel sostegno alla governance democratica nel quadro delle relazioni esterne. Si tratta di un’area prioritaria nei rapporti con i paesi ACP – fissato nell’accordo di Cotonou – e con altre regioni come l’Asia, l’America latina e l’Europa dell’est. Abbiamo valide norme sui diritti umani, che includono il dialogo con paesi terzi e sette strategie comunitarie comuni.

Ovviamente, esiste però un ampio margine di miglioramento: possiamo fare di più, e possiamo fare meglio. L’essenza della democrazia richiede un nuovo quadro politico, e l’attuale ripartizione dei compiti tra i vari pilastri non sempre risponde alle necessità esistenti. Si usano diversi strumenti in parallelo, e non sempre in modo coerente: un approccio simile indebolisce l’impatto delle nostre azioni e potrebbe ripercuotersi anche sulla nostra visibilità e credibilità, oltre a limitare le opportunità di attuare una cooperazione efficace. Pertanto, senza inventare nuovi strumenti o modelli, vogliamo semplicemente promuovere un coordinamento e una coerenza maggiori nel nostro operato a sostegno alla democrazia.

Come possiamo agire? Individuando strategie specifiche per adoperare gli strumenti comunitari più efficacemente all’interno di un quadro uniforme.

Possiamo trarre ispirazione da alcuni dei nostri successi passati. Il coinvolgimento nei Balcani occidentali ne è un esempio: si combinano strumenti del primo e del terzo pilastro e, al contempo, si mira a promuovere le necessarie riforme politiche, ivi compresa la creazione delle istituzioni. E’ per questo motivo che si sta creando un ambiente stabile per la democrazia. Le due funzioni che il rappresentante speciale dell’Unione europea svolge contemporaneamente contribuiscono a conseguire un coordinamento e una coerenza maggiori tra i vari strumenti comunitari. Ma serve anche umiltà, perché ci troviamo ad affrontare sfide imponenti nella regione.

Voglio essere chiara. Alcune persone – forse non i presenti – temono che questa iniziativa imponga nuove condizioni per gli aiuti allo sviluppo. Si tratta ovviamente di una questione delicata, ma il dialogo sui diritti umani e sulla democrazia con i nostri partner non potrà mai comportare condizionalità.

A che punto siamo? I gruppi di lavoro coinvolti hanno avviato il confronto sulle proposte per le conclusioni del Consiglio, basandosi su diversi contributi. Stiamo continuando il lavoro iniziato dalla presidenza ceca, che ha organizzato una tavola rotonda dedicata al rapporto tra Unione europea e governance democratica.

Ho letto anche una relazione molto interessante dell’Istituto internazionale per la democrazia e l'assistenza elettorale che mette a confronto gli intenti delle nostre attività di sostegno alla governance democratica con la percezione da parte dei nostri partner.

E’ troppo presto per valutare questa iniziativa, ma desidero sottolineare che il processo sta già dando un valore aggiunto: i responsabili degli ambiti sviluppo e diritti umani collaborano più da vicino, mentre i gruppi di lavoro su sviluppo e diritti umani del Consiglio discutono in sessioni parallele o congiunte. Questo è un punto importante dell’intera iniziativa e costituisce già di per sé un valore aggiunto. Ci stiamo adoperando affinché le conclusioni del Consiglio vengano approvate dal Consiglio "Affari generali e relazioni esterne" di novembre.

Una delle proposte in discussione è la necessità di interventi mirati per ciascun paese, basati su di un’analisi approfondita della situazione nel paese stesso, da inserire nel sostegno alla governance democratica a livello comunitario, influenzando la scelta dello strumento appropriato.

Un’altra proposta riguarda la necessità di un vero e proprio partenariato, basato sul dialogo e sulle consultazioni, in cui il sostegno alla democrazia venga considerato un argomento a sé e in cui le varie discussioni siano più coerenti e coordinate.

Il sostegno dell’Unione europea ai processi elettorali nel mondo è importante. Il Consiglio e il Parlamento sono ampiamente d’accordo al riguardo. Condividiamo la preoccupazione del Parlamento, che traspare talvolta, riguardo alla necessità di andare oltre le sole elezioni. Il sostegno elettorale deve diventare parte di un processo continuo, che preveda l’osservazione degli sviluppi politici a lungo termine. Ciò significa che la nostra attenzione va rivolta al periodo pre-elettorale, agli eventi in concomitanza con le elezioni e all’intervallo tra le due consultazioni, al fine di garantire che vi siano meccanismi funzionanti riguardo all’attribuzione delle responsabilità.

Non sottolineerò mai abbastanza il ruolo dei nostri parlamenti, cioè il ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, nel processo di sostegno alla governance democratica: essi devono partecipare appieno alle attività comunitarie.

Mi auguro che il trattato di Lisbona entri in vigore nel prossimo futuro. Queste nuove “regole del gioco” per l’Unione porteranno a un’Europa più democratica ed efficiente. Il trattato contribuirà anche a rafforzare il ruolo dell’Europa sulla scena internazionale con l’istituzione del Servizio europeo per l'azione esterna. Dopotutto, l’idea di base consiste nel migliorare l’armonizzazione tra le politiche esterne dell’Unione e creare un ponte tra il lavoro della Commissione e quello del Consiglio, così che le loro politiche vadano nella stessa direzione. Oltre al Servizio europeo per l'azione esterna, migliorerà il quadro politico per il sostegno alla governance democratica, così che l’Unione europea potrà dare un sostegno ancora più efficace allo sviluppo nelle varie parti del mondo.

Il sostegno dell’Unione europea alla governance democratica è essenziale. Se uno Stato democratico non è in grado di soddisfare le necessità di base dei propri cittadini e stimolare lo sviluppo economico e sociale, si creerà malcontento riguardo al funzionamento della democrazia. Il governo rischierà così di perdere sia la sua legittimità che il sostegno politico.

Desidero ringraziare i deputati europei per essersi fatti promotori della questione. Apportate il vostro contributo grazie all’impegno profuso, alla normativa vigente, alle vostre relazioni e ai vostri contatti con i parlamenti di tutto il mondo, nonché con la partecipazione alle missioni europee di osservazione elettorale. Per tutti questi motivi, siete uno dei motori della governance democratica e mi auguro che il Parlamento europeo continuerà a svolgere questo ruolo anche nel futuro.

 
  
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  Véronique De Keyser, a nome del gruppo S&D.(FR) Signora Presidente, come si può portare la democrazia in uno Stato? Ebbene, facendo affidamento sulla società civile e rafforzandola, combattendo la povertà e l’esclusione, favorendo l’emancipazione delle donne.

L’Europa non è stata così ingenua da credere di poter portare la democrazia con bombe e carri armati, sebbene alcuni Stati membri siano forse stati vittime di questo malinteso. L’Europa deve pertanto assumere il proprio ruolo di potenza soft. E’ un compito difficile e ingrato. Si è dotata di uno strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, che oggi è come un neonato: fragile ma promettente, se verrà trattato con molta cura. Le ONG possono presentare qui progetti anche senza il sostegno dei propri governi, e questo è fondamentale.

Tuttavia anche il finanziamento delle missioni di osservazione elettorale pesa sull’esiguo bilancio di questo strumento. Si tratta di missioni cruciali, che nell’arco di circa dieci anni hanno dimostrato la loro utilità, e per le quali il Parlamento ha già richiesto un aumento delle risorse e sicuramente maggiori azioni di controllo – grazie ministro Malmström – ma anche una maggiore coerenza politica sulle modalità di controllo della loro legittimità, e qui condivido pienamente le parole dell’onorevole Joly riguardo ad alcune delle nostre missioni. Non è normale per un paese che si avvia verso un processo elettorale democratico non ricevere assistenza durante la fase di consolidamento.

Coloro che hanno una visione a breve termine sono sicuri che la democrazia sia costosa. Ma è meno costosa della guerra, questo è certo, e di questo il Servizio europeo per l'azione esterna terrà senz’altro conto durante la sua attività.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. ROUČEK
Vicepresidente

 
  
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  Charles Goerens, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, può esistere la democrazia in assenza di libertà? No. Esiste una libertà senza diritti? Certo che no. La presente discussione verte dunque sulla questione dei diritti umani.

Joseph Ki-Zerbo, un grande studioso burkinabè, ha dato la seguente risposta a questa domanda: “Chi vive nella povertà assoluta non è libero perché non ha la possibilità di scegliere tra diverse alternative”. La povertà è sinonimo di mancanza di libertà. Esiste pertanto una correlazione stretta tra libertà, democrazia e diritti umani.

Non stupisce pertanto il lungo elenco di rimandi a questo aspetto nei testi quadro che disciplinano i rapporti tra l’Unione europea e i paesi terzi, tra cui si annovera anche la convenzione di Cotonou che contiene una clausola sui diritti umani e la democrazia nel contesto del dialogo politico con i paesi ACP. La promozione della democrazia solleva alcune questioni di fondo legate alla definizione di condizionalità intelligenti.

Le precedenti constatazioni ci inducono a concludere che la democrazia spesso non è l’origine dello sviluppo, quanto piuttosto il suo risultato. I partenariati tra l’Unione europea e i paesi terzi non possono ignorare questo dato di fatto. Non potremo compiere progressi se non diamo prova di determinazione, ma anche di una buona dose di pazienza. Oggi sono numerosi i paesi impegnati in un processo di democratizzazione. L’Europa può prendersi il merito di avere affiancato questo processo mediante una strategia che fa propri alcuni imperativi quali la lotta contro la povertà, la codificazione dei diritti umani, la promozione dei principi democratici e lo stato di diritto. Nonostante tutte le critiche, condivisibili, appena espresse contro questa politica, sono comunque convinto che quanto si è dimostrato valido in passato dovrebbe servirci da guida anche nelle nostre azioni future.

 
  
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  Richard Howitt (S&D). (EN) Signor Presidente, la democratizzazione consente di avviare un processo pacifico nella politica, nell’avvicendarsi politico e nella gestione del potere all’interno di una società, nonché di rispettare i diritti umani. Il sostegno alla democrazia è strumentale ai nostri obiettivi di politica estera di prevenzione dei conflitti e di riduzione della povertà. Consapevole di questo, è stato un piacere per me presentare questo emendamento del Parlamento europeo in cui sollecitiamo un consenso europeo a favore della democratizzazione e vorrei congratularmi per l’iniziativa lanciata in questo ambito dalla presidenza svedese.

Sono persuaso che la democratizzazione dovrebbe permeare tutte le politiche condotte dall’Unione europea nei confronti di paesi terzi. Non posso esimermi dal condannare il gruppo dei Riformatori e Conservatori europei che si oppone al paragrafo 10 del nostro testo, dando quasi per sottinteso che l’Europa ha il diritto di predicare la democrazia e comportarsi altrimenti dinanzi a paesi non democratici quando le conviene. Non è così.

Inoltre, come ha affermato il ministro Malmström, per costruire la democrazia non bastano le elezioni; occorre costruire una società civile pluralista. In quest’ottica, l’Europa dovrebbe finanziare le ONG che promuovono la partecipazione civile, favoriscono l’inclusione di gruppi marginali, offrono una formazione in materia agli uomini di legge, incoraggiano la libertà di espressione e di associazione, rafforzano il sistema partitico in parlamento. Si tratta a tutti gli effetti di sostenere un movimento civile.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE).(EN) Signor Presidente, desidero affrontare la questione della crescita della democrazia nei paesi dell’est che confinano con l’Unione. Negli ultimi anni si è registrato uno stallo e, in taluni casi, una regressione per quanto concerne gli standard democratici in questi paesi. Specialmente gli sviluppi in Georgia e Moldova sono motivo di preoccupazione.

Una politica democratica non può che reggersi su una società civile funzionante, e sottolineo l’aggettivo, ma la società civile è praticamente inesistente presso i nostri vicini orientali. Desidero complimentarmi con la Svezia, che detiene attualmente la presidenza, per essere stata tra le fautrici dell’iniziativa per il partenariato orientale. Tale politica ha le potenzialità per avvicinare maggiormente i paesi del confine orientale all’UE. Purtroppo il partenariato orientale non fornisce in molti casi incentivi sufficienti a incoraggiare questi paesi a intraprendere un penoso e lungo processo di riforma.

A titolo di domanda supplementare, vorrei conoscere la posizione del Consiglio su questo tema. In altre parole, quali sono i vostri progetti? Vogliamo agire con maggiore incisività al fine di garantire il rafforzamento della democrazia in questa zona come anche in altre aree fragili e turbolente?

 
  
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  Heidi Hautala (Verts/ALE).(FI) Signor Presidente, desidero spiegare al ministro Malmström che, a mio avviso, l’Unione soffre di due debolezze quando si tratta di promuovere la democrazia e i diritti umani nel mondo. Le aspirazioni dei diversi Stati membri sono spesso in conflitto e divergenti. Il divieto di esportare armi all’Uzbekistan sembra esemplare in tal senso, giacché non tutti gli Stati membri sono del medesimo avviso. Come possiamo perseguire una politica comune in queste condizioni?

Inoltre, l’Uzbekistan rappresenta anche il classico esempio di un paese che afferma di non avere nulla da imparare dall’Unione europea quanto a democrazia e diritti umani, poiché l’Unione stessa soffre di talune carenze e criticità. Come liberarci da questa politica dei due pesi e delle due misure? Siamo usi a tenere sermoni agli altri, ma non sempre mettiamo in pratica quanto predichiamo. Credo che anche l’idea da lei menzionata di un resoconto sulla democrazia di un’organizzazione si rifacesse alla nozione di due pesi e due misure.

 
  
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  Cecilia Malmström, presidente in carica del Consiglio. – (SV) Signor Presidente, desidero porgere un ringraziamento ai deputati che hanno dimostrato di avere a cuore questo argomento. Concordiamo appieno sulla necessità di rafforzare il rilievo della democrazia nella politica estera comunitaria. In questo momento di crisi economica è vieppiù importante che questa dimensione non venga trascurata. Sappiamo che svariati paesi in via di sviluppo hanno risentito duramente della crisi; la recessione è fonte di frustrazioni e tensioni sociali. Se in questo frangente vengono a mancare delle istituzioni democratiche funzionanti, la situazione potrebbe degenerare pericolosamente. E’ importante che esistano istituzioni democratiche sicure e una società civile forte in grado di affrontare crisi come quella attuale.

Il partenariato orientale è uno strumento importantissimo, anche per il sostegno alla democrazia, sul quale abbiamo lavorato intensamente. A dicembre si terrà una riunione dei ministri degli Esteri, a seguito della quale speriamo di poter varare numerose iniziative specifiche nei primi mesi del 2010. Il partenariato orientale è uno strumento essenziale per rafforzare la democrazia nei paesi contermini.

L’onorevole Hautala ha sollevato la questione dell’Uzbekistan. Certo, la situazione è molto grave, segnatamente in relazione al rispetto dei diritti umani. Come ha riconosciuto l’onorevole Hautala, l’imposizione di sanzioni richiede un’unanimità alla quale il Consiglio non è addivenuto. Condividiamo comunque l’obiettivo di un rafforzamento della democrazia e dei diritti umani in Uzbekistan. Auspichiamo di ottenere questo risultato tramite un maggiore impegno, e speriamo di trovare modalità alternative di consolidamento della democrazia tramite un monitoraggio continuo della situazione dei diritti umani e prendendo in esame il tipo di rapporti che dovremmo intrattenere con l’Uzbekistan. Esistono altri modi di esercitare un’influenza che possono rivelarsi più efficaci di un embargo sulle armi. Sono pochi i paesi che commerciano armi con l’Uzbekistan, sicché un simile divieto avrebbe probabilmente una valenza più simbolica che altro. Forse possiamo trovare altre vie. Tuttavia, come ho già spiegato, dobbiamo ottenere innanzi tutto l’unanimità in seno al Consiglio, dove si lascia ancora attendere.

Per essere credibile sul capitolo dei diritti umani e della democrazia nei rapporti con l’esterno, l’Unione deve dimostrarsi forte anche al suo interno. I punti deboli non mancano. Forse non sono paragonabili alle ingiustizie terribili perpetrate in altri paesi, ma anche l’UE soffre di alcune debolezze al suo interno. Dobbiamo vigilare sempre su questi aspetti se vogliamo dimostrarci credibili nei rapporti esterni.

Da ultimo, vorrei ringraziarvi per questa discussione, nonché per l’eccellente risoluzione che il Parlamento ha presentato. Non ho ancora avuto la possibilità di leggere tutti gli emendamenti, ma credo che la risoluzione presentata sia ottima e collimi perfettamente con le ambizioni della presidenza svedese. Come ho detto, speriamo di riuscire ad adottare le conclusioni del Consiglio in occasione della riunione del Consiglio “Affari generali” che si terrà a novembre. Auspichiamo di proseguire con il Parlamento la discussione su questo tema.

 
  
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  Presidente. – La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà martedì 22 ottobre, alle 11.00.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Sottoscrivo senza esitazioni questa richiesta di un quadro politico più coerente ed efficace dell’Unione europea in materia di sostegno alla democrazia, promozione dei valori democratici e rispetto dei diritti umani nel mondo. L’Unione europea si fonda su questi medesimi valori di democrazia e diritti umani. Tra i criteri di Copenaghen che stabiliscono le condizioni di adesione all’Unione per i paesi candidati si citano infatti “la stabilità delle istituzioni garanti della democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro tutela”. Il trattato di Lisbona ribadisce peraltro l’impegno dell’Unione a proseguire la propria azione esterna sulla base dei suoi principi costitutivi. Un obiettivo chiave della politica estera e di sicurezza comune è proprio quello di consolidare la democrazia, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani. Chiedo l’istituzione tempestiva del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) al fine di sostenere la costruzione della democrazia e che tale servizio sia democraticamente chiamato a rispondere del suo operato dinanzi al Parlamento europeo. La democrazia è un valore universale. La democratizzazione e il buongoverno non sono fini a se stessi ma strumentali alla riduzione della povertà, allo sviluppo sostenibile, alla pace e alla stabilità. Democrazia, sviluppo e rispetto dei diritti umani, ivi compresi i diritti economici, sociali e culturali, sono interdipendenti e si rafforzano reciprocamente.

 

14. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni alla Commissione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca il Tempo delle interrogazioni (B7-0212/2009).

Saranno prese in esame le interrogazioni rivolte alla Commissione.

Prima parte

 
  
  

Annuncio l’interrogazione n. 21 dell’onorevole Kratsa-Tsagaropoulou (H-0311/09)

Oggetto: Percentuale di donne che occupano posti di responsabilità nel mercato del lavoro

Recenti statistiche registrano una sottorappresentazione persistente delle donne in posti di responsabilità nel mercato del lavoro europeo: nella maggior parte delle imprese europee si conta in media solo donna ogni dieci uomini membri di consigli di amministrazione.

Come valuta la Commissione le iniziative assunte dagli Stati membri per promuovere la nomina di un maggior numero di donne in posti di responsabilità nel settore economico? Quali sono le buone prassi finora individuate soprattutto nell'ambito del funzionamento della rete europea delle donne per quanto riguarda i processi decisionali politici ed economici? È essa favorevole alle proposte tendenti a fissare una quota di donne nei consigli di amministrazione delle grandi imprese? Quali proposte e iniziative intende portare avanti in vista della valutazione finale della tabella di marcia per la parità tra uomini e donne, come pure per la revisione delle linee direttrici della strategia di Lisbona nel 2010?

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. (CS) Signor Presidente, onorevoli deputati, seppure negli ultimi anni sia aumentato il numero di donne che partecipano ai processi decisionali, il potere politico ed economico rimane fermamente nelle mani degli uomini. Pregiudizi e stereotipi sul ruolo delle donne e degli uomini, le difficoltà nel trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata, oltre alle varie forme di discriminazione manifesta o occulta, rappresentano degli ostacoli che impediscono alle donne di accedere a posizioni di responsabilità e di potere.

Negli ultimi decenni, la presenza delle donne in politica è aumentata nella maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea. Questi mutamenti sono a tutt’oggi alquanto lenti e purtroppo la percentuale complessiva di donne che rivestono posizioni di potere rimane bassa. In ambito economico, la proporzione di donne investite di poteri decisionali è assai deludente. Nei consigli di amministrazione delle maggiori aziende private europee seggono in media nove uomini per ogni donna. Soltanto il 3 per cento di queste aziende ha un consiglio di amministrazione presieduto da una donna.

La Commissione è altamente motivata a favorire una migliore rappresentazione delle donne in posizioni di preminenza e sostiene le iniziative assunte in quest’ambito dagli Stati membri occupandosi della raccolta, dell’analisi e della diffusione di dati raffrontabili in questo settore, sostenendo le reti delle parti interessate e incoraggiando lo scambio di esperienze e di metodi affermati a livello europeo. La rete europea a sostegno delle donne che rivestono posizioni manageriali, istituita dalla Commissione nel giugno 2008, ha sottolineato l’importanza di misure volte a sostenere il tutoraggio, sviluppare reti di sostegno per le donne, migliorare il profilo professionale di donne che assumono ruoli importanti e incoraggiare le donne a candidarsi a posizioni dirigenziali. Nel corso del 2010 la Commissione organizzerà attività informative e una condivisione dei metodi di maggiore successo.

La Commissione esprime soddisfazione per le iniziative varate da numerosi Stati membri a sostegno dell’inserimento delle donne in posizioni dirigenziali, in particolare tramite eventi culturali nel settore privato, programmi formativi per le donne interessate a carriere ai vertici, lo sviluppo di un documento o un marchio per le aziende che promuovono le pari opportunità, l’introduzione di codici di buone prassi nelle aziende ed eventi che incoraggiano l’equilibrio tra lavoro e vita privata, nonché la lotta contro i pregiudizi fondati sul genere.

La questione delle quote per le donne nei consigli di amministrazione delle aziende di maggiori dimensioni è in fase di discussione. A mio avviso, sarebbe opportuno in questo ambito fare tesoro dell’esperienza scandinava che parte da un’impostazione radicale. Spetta comunque esclusivamente agli Stati membri decidere la strategia da adottare, sulla scorta delle loro circostanze specifiche. Vorrei sottolineare che l’articolo 141, paragrafo 4, del trattato consente agli Stati membri di adottare “misure di azione positiva”. Tuttavia, la Corte di giustizia europea ha interpretato in senso restrittivo questa facoltà e proibito l’adozione automatica di tali misure, stabilendo che ogni caso deve essere esaminato individualmente sulla scorta di criteri obiettivi.

La Commissione intende presentare una nuova comunicazione strategica in materia di pari opportunità entro la metà del 2010 che sarà accompagnata da una valutazione d’impatto particolareggiata e terrà conto dei risultati ottenuti durante l’attuazione del piano in essere per il periodo 2006-2010. Rimane una priorità della Commissione quella di favorire maggiormente l’insediamento di donne in posizioni di comando. Inoltre, la Commissione avanzerà una proposta all’inizio del nuovo anno in relazione a una nuova strategia per la crescita e l’occupazione post-2010. L’uguaglianza di genere sarà un elemento centrale di questa nuova strategia.

Onorevoli deputati, desidero ribadire che una rappresentazione paritaria di uomini e donne non è soltanto un principio politico, democratico ed etico, ma rimane nella sostanza una questione economica fondamentale, giacché possiamo sperare di crescere in futuro soltanto se la società è in grado di sfruttare tutti i talenti disponibili nel migliore dei modi. Posso affermare senza remore che l’uguaglianza di genere e un’adeguata presenza di donne in posizioni di comando rappresentano di per sé un elemento trainante della competitività europea.

 
  
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  Rodi Kratsa-Tsagaropoulou (PPE) . – (EL) Signor Commissario, rinnovo il mio ringraziamento per l’impegno con cui promuove la presenza delle donne in ruoli di responsabilità. Vorrei però precisare che la mia interrogazione era più specifica. All’indomani della revisione degli obiettivi di Lisbona e della valutazione del piano d’azione, vorrei sapere se la Commissione europea intende proporre provvedimenti specifici per ovviare alla mancata nomina delle donne a incarichi di responsabilità nel mondo del lavoro.

I modelli esistenti, come quello norvegese da lei menzionato, saranno una fonte d’ispirazione per la definizione di un documento di orientamento? In quale rapporto si pone ciò con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea? Quest’ultima ha un effetto positivo o scoraggia la Commissione europea dal prendere posizione a favore di una certa direzione?

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. (CS) La ringrazio per questa interrogazione supplementare. Credevo di essermi espresso con chiarezza sulla questione, ma forse è opportuno che sia ancora più esplicito. In linea di massima, la Commissione ritiene che le pari opportunità siano un elemento portante della competitività europea, a prescindere da qualsiasi considerazione di ordine morale. Questa forma di uguaglianza sarà dunque assolutamente prioritaria nelle strategie future e in tutti i documenti pertinenti stiamo proponendo gli opportuni provvedimenti per avanzare su questo fronte. Preciso che siamo obbligati a tenerci entro i limiti del trattato, ovviamente, ma che intendiamo sfruttare tutte le possibilità offerteci da tale strumento legislativo.

 
  
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  Jörg Leichtfried (S&D). (DE) Signor Presidente, signor Commissario, sono bellissime parole le sue, ma chi fa il politico di mestiere deve sempre verificare se alle parole seguono i fatti. Le rivolgo dunque una domanda: com’è possibile che negli scorsi cinque anni io abbia avuto occasione di collaborare soltanto con alti funzionari uomini della Commissione? Perché l’organico della Commissione non risponde ai requisiti delle pari opportunità? Anche per il futuro, sembra che tale disparità non potrà essere colmata. Non sarebbe opportuno che la Commissione si ponesse a modello positivo e fosse così più credibile nelle sue iniziative?

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. (CS) Ritengo opportuno sottolineare che la Commissione vanta oggi una presenza di donne senza precedenti. Parimenti importante è tenere presente che le mie colleghe sono state responsabili, e lo sono tuttora, dei portafogli più strategici, senza alcuna ombra di dubbio. Potrei menzionare Neelie Kroes, Dalia Grybauskaite e altre, giacché tutte le mie colleghe sono state investite di mandati molto importanti. In una prospettiva di genere, la Commissione si sta comportando in maniera esemplare, ma ovviamente la designazione dei commissari è nelle mani degli Stati membri e se gli Stati membri non candidano anche donne ciò si riflette inevitabilmente sulla composizione della Commissione. Se mi soffermo sulla struttura amministrativa europea posso dirvi che, come già sapete, la Commissione ha in mente di migliorare la situazione anche nel lungo termine, poiché siamo ancora molto lontani da una distribuzione equa degli impieghi tra i due sessi e posso dire con soddisfazione che, grazie agli sforzi del commissario Kallas, abbiamo compiuto progressi tangibili, come dimostrato da un raffronto tra i numeri iniziali e la situazione odierna. Nondimeno, non posso darle torto quando afferma che la situazione non è affatto soddisfacente.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE).(EN) Signor Presidente, teniamo questa discussione ogni anno e mi colpisce che sia necessario ricorrere alla politica per avere più persone, segnatamente donne, impegnate nella Commissione, nel Consiglio e nel Parlamento, che pur non sembra incline a tale cambiamento. Le modalità di funzionamento di questo consesso non si conciliano con le necessità delle persone, uomini e donne, che hanno figli e ci si trova costretti a fare una scelta. Personalmente ho scelto la carriera politica ma conosco persone che hanno preferito restare a casa. Credo che la nostra discussione dovrebbe assumere toni più realistici e pragmatici.

 
  
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  Vladimír Špidla, membro della Commissione. (CS) Ho spiegato nella mia premessa che esistono diverse situazioni positive e negative. E’ scontato che tutti noi operiamo le nostre scelte di vita alla fine, ma è altresì vero che alcune istituzioni, talune politiche o certi accordi conferiscono alle persone una libertà di scelta molto superiore rispetto ad altri. Personalmente sono persuaso della necessità, a prescindere dal resto, di un modello costituzionale per garantire le pari opportunità e l’eradicamento di qualsiasi forma di discriminazione, diretta o indiretta, giacché al momento non è vero che agli uomini e alle donne vengono concesse le medesime possibilità di scelta. Le donne si trovano purtroppo ancora in una posizione svantaggiata che, se non altro, si concretizza nell’impossibilità di accedere a posizioni con potere decisionale nell’economia e nella politica.

 
  
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  Presidente. – Poiché gli autori non sono presenti, le interrogazioni nn. 22 e 23 decadono.

Parte seconda

 
  
  

Annuncio l’interrogazione n. 24 dell’onorevole Posselt (H-0304/09)

Oggetto: Studio delle lingue nelle regioni frontaliere

Ritiene la Commissione che sia a livello degli Stati membri che a livello UE siano adottati provvedimenti sufficienti ad insegnare meglio la lingua dei loro vicini ai giovani che vivono nelle regioni frontaliere interne, come pure se a tale riguardo le minoranze nazionali e le euroregioni transfrontaliere possano svolgere uno specifico ruolo positivo?

 
  
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  Leonard Orban, membro della Commissione.(RO) Ai sensi dell’articolo 149 del trattato CE, i contenuti dell’insegnamento e l’organizzazione dei sistemi d’istruzione rientrano nelle competenze esclusive degli Stati membri. Come enunciato nel medesimo articolo, l’Unione europea contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo la loro azione. Nondimeno, la Commissione ritiene che le lingue d’elezione per l’insegnamento nelle scuole degli Stati membri debbano tenere conto dell’ubicazione geografica e della presenza di minoranze nazionali.

Questo aspetto è stato sottolineato nella comunicazione del settembre 2008 intitolata “Il multilinguismo: una risorsa per l’Europa e un impegno comune”, dove si ribadiva la necessità di un maggiore impegno al fine di incrementare il numero delle lingue d’insegnamento, segnatamente della seconda lingua straniera, tenendo in considerazione le specificità locali. Nell’ambito delle procedure volte a espandere le opzioni per le lingue d’insegnamento, la Commissione europea suggerisce che s’instauri un dialogo tra gli enti d’istruzione anche tramite il programma Comenius Regio, per esempio, o partenariati con le organizzazioni locali interessate e gemellaggi con istituzioni di altri paesi.

I programmi comunitari per l’istruzione, la formazione e i giovani favoriscono l’apprendimento di tutte le lingue parlate nell’Unione europea, comprese quelle delle minoranze, e sostengono anche i giovani che si recano all’estero per apprendere tali lingue.

I programmi che promuovono la cooperazione territoriale transfrontaliera possono essere utilizzati anche per finanziare iniziative relative alla formazione e all’inclusione sociale, ivi compreso lo studio delle lingue. A titolo esemplificativo possiamo menzionare il progetto Avenir éducatif commun, finanziato nell’ambito del programma transfrontaliero Francia-Regno Unito per il periodo 2007-2013, che intende istituire una rete transfrontaliera di scuole incentrata in particolare sullo studio delle lingue e sull’avviamento professionale. Il costo complessivo è di 2,2 milioni di euro e la partecipazione è estesa a partner di entrambe le sponde della Manica.

Un ulteriore esempio relativo a un’altra area europea è il progetto gestito all’interno di tre programmi transfrontalieri che coinvolgono Vienna, segnatamente quello Austria-Repubblica Ceca, Austria-Slovacchia e Austria-Ungaria. Il progetto si prefigge di preparare i giovani alla realtà di una regione transfrontaliera centro-europea e offre loro le basi educative per acquisire diverse capacità linguistiche, interculturali, di comunicazione e di conoscenza. Il costo complessivo del progetto è di 791 000 euro.

 
  
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  Presidente. – Chiedo cortesemente all’onorevole Posselt se intende formulare un’interrogazione supplementare.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE).(DE) Signor Presidente, lei stesso è uno splendido esempio di poliglossia. Vorrei sapere innanzi tutto dal commissario se un progetto analogo a quello realizzato dall’Austria in collaborazione con Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia non potesse essere avviato anche tra Ungheria e Slovacchia, con evidenti ricadute positive a livello politico. Come seconda osservazione aggiungere che nelle aree di confine bisognerebbe, a mio avviso, valorizzare l’apprendimento delle lingue dei paesi limitrofi, ad esempio il ceco dovrebbe essere appreso nella Baviera orientale, ma tale insegnamento non dovrebbe essere contemplato solo per la scuola dell’obbligo. A Schirnding esiste per esempio una scuola materna bilingue ceco-tedesco. Sarebbe possibile estendere le sovvenzioni anche alle scuole materne? Peraltro sono interessato anche alla formazione per gli adulti, lungo l’intero arco della vita, che darebbe anche alla generazione più matura residente nelle aree di confine l’opportunità di apprendere la lingua del paese confinario.

 
  
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  Leonard Orban, membro della Commissione.(RO) La ringrazio per queste domande supplementari. In relazione a un eventuale progetto tra Ungheria e Slovacchia, se questo venisse presentato alla Commissione, lo valuteremmo senz’altro con la massima attenzione. Desideriamo infatti contribuire alla definizione di soluzioni di reciproca soddisfazione per entrambi i paesi.

Con riferimento alla sua seconda domanda desidero menzionare un’iniziativa relativa all’apprendimento precoce delle lingue straniere che abbiamo varato lo scorso settembre. Tale iniziativa si articola sull’arco di più anni e ha già riscosso un certo successo; essa propone tra l’altro una campagna presso gli Stati membri per incoraggiare i genitori con figli di età compresa tra i 2 e i 6 anni a stimolarli all’apprendimento delle lingue straniere.

La seconda parte della sua domanda riguardava la formazione permanente, che è l’obiettivo principale della politica che stiamo sviluppando. Esistono moltissimi progetti incentrati sull’apprendimento delle lingue straniere e sull’acquisizione della abilità interculturali per gli individui che non rientrano più nel sistema scolastico, ivi comprese le persone che seguono un percorso di formazione professionale, quelle con minori opportunità, per così dire, nonché i pensionati e i disoccupati. Questa situazione trova riscontro nelle nostre modalità di finanziamento dei diversi progetti, oltre ad essere chiaramente descritta nel documento strategico che la Commissione ha approvato nel 2008.

Vogliamo che tutti i cittadini dell’Unione europea, e non solo i giovani, abbiano gli strumenti e le possibilità per apprendere almeno due lingue straniere.

 
  
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  Janusz Władysław Zemke (S&D).(PL) Signor Commissario, la ringrazio per le notizie interessanti che ci ha fornito, sebbene nella sua risposta si sia concentrato sulle scuole e non abbia menzionato gli sforzi compiuti in numerose città di confine per la costituzione di università transfrontaliere. Un esempio tra tanti è l’Università di Viadrina, sorta a Francoforte sull’Oder lungo il confine tra Polonia e Germania. Vorrei dunque sapere se tra le varie istituzioni scolastiche cui ha fatto riferimento siano ammissibili a un finanziamento anche questo tipo di istituti di formazione superiore e accademica, che è sorto in diverse città situate lungo le frontiere nazionali interne dell’Unione europea?

 
  
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  Leonard Orban, membro della Commissione.(RO) Le università in grado di proporre progetti che soddisfano i requisiti posti dal programma di formazione permanente per il periodo 2007-2013 potranno ricevere i finanziamenti della Commissione europea. A tal proposito vorrei farle presente che esiste un vasto numero di progetti finanziati dalla Commissione europea in cui svariate università dell’Unione europea partecipano in qualità di partner. In sintesi, la mia risposta è senz’altro affermativa. Decisiva in tal senso è la qualità del progetto presentato dai partner.

 
  
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  Paul Rübig (PPE).(DE) Signor Presidente, esistono diversi programmi Erasmus per studenti, giovani imprenditori e adesso anche per giornalisti. Crede che sarebbe possibile utilizzare i programmi Erasmus anche per migliorare le comunicazioni nelle aree di confine e in tal caso quale sarebbe l’aspetto prioritario?

 
  
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  Leonard Orban, membro della Commissione.(RO) A questa interrogazione posso rispondere con un “sì” senza tentennamenti. Per quanto concerne il programma Erasmus, quello che nacque circa 20 anni fa pur non essendo visto di buon occhio da diverse agenzie dell’UE è diventato uno dei programmi più affermati dell’Unione europea.

Nelle mie frequenti visite alle capitali degli Stati membri e a numerose regioni dell’Unione europea ho avuto modo di constatare gli effetti davvero positivi di questo programma. A proposito delle università polacche e tedesche cui abbiamo accennato poc’anzi, rammento con piacere una visita all’università di Varsavia, durante la quale conobbi moltissimi studenti tedeschi che, grazie al programma Erasmus, potevano soggiornare in Polonia e acquisire una conoscenza di base del polacco e della cultura polacca, in altre parole quello che definiamo un sapere interculturale.

Questi studenti dimostrano chiaramente l’efficacia e l’utilità di tale sapere. Al termine di questa mia risposta desidero ricordarvi che il presidente della Commissione Barroso ha annunciato l’intenzione di promuovere, nel corso del suo prossimo mandato, le iniziative mirate a rafforzare e incrementare la mobilità dei giovani onde consentire loro di acquisire queste competenze sempre più indispensabili.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 25 dell’onorevole Chountis (H-0320/09)

Oggetto: Disinteresse della Commissione nei confronti dell'inchiesta sullo scandalo Siemens

Lo scandalo Siemens costituisce il più grave caso di corruzione verificatosi nell'Unione europea nel corso degli ultimi cinque anni. Dall'inchiesta giudiziaria, dalle sentenze emesse dai tribunali, dalle confessioni degli indagati e da quanto dichiarato pubblicamente dalla stessa società risulta che partiti politici e persone che ricoprono incarichi di responsabilità in vari paesi, tra cui la Grecia, hanno incassato tangenti al fine di avvantaggiare la società nell'aggiudicazione di appalti e forniture per il settore pubblico e di enti pubblici, molti dei quali beneficiari di cofinanziamenti da parte di fondi comunitari.

Considerando che da quando è venuto alla luce lo scandalo Siemens il commissario responsabile della lotta contro le frodi, Siim Kallas, risponde, nel quadro del controllo parlamentare, che l'inchiesta non è di competenza dell'Unione europea e che da parte degli Stati membri non è stato richiesto l'intervento dell'Ufficio di lotta contro le frodi (OLAF), può la Commissione far sapere in che modo la stessa Commissione e l'Ufficio di lotta contro le frodi, il quale è competente per indagare su casi di frode ai danni del bilancio comunitario, hanno salvaguardato il denaro dei cittadini europei? In che modo la Commissione e l'OLAF hanno dato il loro contributo in questo grave caso esigendo completa trasparenza? Quali sono le conclusioni della Commissione e dell'OLAF in questo affare?

 
  
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  Siim Kallas, vicepresidente della Commissione.(EN) La Commissione vigila con estrema attenzione su tutti i casi di corruzione in Europa, ma voglio precisare che attualmente il numero di casi in cui è direttamente o indirettamente coinvolta la Siemens e in cui sono stati spesi fondi comunitari è alquanto esiguo. Di seguito illustrerò quattro dei casi in questione.

Alcuni fatti su cui sta attualmente indagando l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), conclusi nell’ultimo trimestre del 2003 e relativi ad aiuti esterni, sono oggetto di un procedimento giudiziario in Germania. L’OLAF sta seguendo attentamente lo svolgimento del processo presso la magistratura tedesca.

Un secondo caso dell’OLAF riguarda progetti finanziati dalla Banca europea per gli investimenti (BEI): le indagini sono ancora in corso e concernono le procedure di appalto pubblico.

L’OLAF sta valutando un altro caso, concernente anch’esso progetti finanziati dalla Banca europea per gli investimenti, in relazione alle procedure di appalto pubblico adottate al fine di stabilire se sussistano sospetti sufficientemente fondati di frode o irregolarità a danno degli interessi finanziari dell’UE. In base all’esito di tale valutazione, l’OLAF deciderà se procedere o meno.

Il quarto caso concerne una sentenza pronunciata il 4 novembre 2008 dalla Corte suprema spagnola a seguito di una malversazione dei fondi strutturali in cui era implicata in origine anche la Siemens. Le indagini delle autorità nazionali furono svolte nella metà degli anni novanta e il relativo procedimento giudiziario è stato seguito attentamente dall’Unità di coordinamento della lotta antifrode (UCLAF) e successivamente dall’OLAF. La sentenza prevedeva tra l’altro pene detentive per diverse persone e numerose ammende per falsificazione. E’ opportuno precisare tuttavia che in questa fattispecie la Siemens fu assolta in prima istanza dal tribunale penale di Madrid il 22 giugno 2006.

In queste fattispecie occorre tenere presente che l’OLAF non è un’agenzia di polizia, bensì un organismo che opera in stretta collaborazione con gli Stati membri, i quali hanno un obbligo di comunicazione nei confronti dell’Ufficio antifrode che ovviamente segue e interviene su tutti i casi in cui sono coinvolti o sottoposti a indagine fondi dell’Unione europea.

Questo è il quadro generale della situazione. L’OLAF interviene in stretto coordinamento con le altre istituzioni internazionali attive nella lotta contro le malversazioni di fondi destinati agli aiuti umanitari e ad altri progetti.

Nel caso in cui l’onorevole deputato stesse alludendo a eventuali dettagli specifici e pertinenti di qualche caso di cui egli è a conoscenza, la Commissione lo incoraggia a trasmettere tali informazioni all’OLAF che provvederà a vagliarle e a prendere le decisioni del caso in sintonia con il proprio mandato.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL) . – (EL) Signor Presidente, signor Commissario, l’atteggiamento dei greci nei confronti dello scandalo Siemens è stato illustrato fedelmente dalla stampa. In pratica, la sensazione è che questo scandalo, il più importante verificatosi in Grecia dal dopoguerra, sia destinato a cadere in prescrizione a seguito della seconda sentenza della Corte costituzionale tedesca, la quale ha stabilito che l’ex amministratore delegato di Siemens Hellas e mente della frode, il signor Christoforakos, non può essere estradato dalla Germania alla Grecia.

Questa è la sensazione diffusa. Questa è la piega che hanno preso gli eventi in Grecia in relazione a uno scandalo in cui, stando alle confessioni e alle condanne dei tribunali tedeschi, sono implicati funzionari pubblici che per anni hanno intascato denaro sporco per aggiudicare un numero imprecisato di appalti e contratti alla Siemens.

Ripeto la mia interrogazione, signor Commissario. Tutti sanno che la maggioranza di questi appalti concerneva lavori cofinanziati, ma solo i suoi servizi – come purtroppo la sua risposta odierna mi conferma – fingono di non saperlo e si rifugiano dietro a quelle che considero interpretazioni arbitrarie della normativa comunitaria. A ogni domanda segue sempre la medesima risposta: forniteci informazioni, stiamo indagando, teniamo la situazione sotto controllo. Adesso voglio una risposta precisa. Commissario, è vostro dovere spendere oculatamente il denaro dei contribuenti europei. Quali misure adotterà la Commissione per condurre dinanzi alla giustizia coloro che hanno violato con certezza la legislazione comunitaria in materia di appalti?

 
  
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  Siim Kallas, vicepresidente della Commissione.(EN) Per l’ambito che mi compete ai fini dello scarico del bilancio, comparirò a breve dinanzi a questo Parlamento e alla commissione per il controllo dei bilanci e illustrerò i provvedimenti che bisognerebbe adottare al fine di proteggere il denaro dell’Unione e assicurarsi che sia utilizzato in maniera idonea. Si tratta infatti di un argomento molto vasto.

Ribadisco che, se lei è in possesso di informazioni relative a un utilizzo improprio dei fondi stanziati nell’ambito di progetti cofinanziati, saremmo più che lieti, insieme alla direzione regionale della Politica regionale e agli altri servizi della Commissione, di ricevere tali informazioni. Le posso assicurare che simili comunicazioni sono trattate con la massima serietà.

Inoltre, per quanto concerne l’estradizione di una persona da uno Stato membro all’altro, questa è di competenza esclusiva degli Stati membri e nessuna direzione generale del mio ambito di competenza può fare alcunché per favorire una simile procedura giudiziaria.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 26 dell’onorevole Mitchell (H-0336/09)

Oggetto: Contrabbando di sigarette e gettito fiscale

Un comunicato stampa rilasciato in agosto dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode riportava la condanna di un grosso contrabbandiere di sigarette negli Stati Uniti. Si tratta certamente di un evento positivo, ma resta comunque il fatto che il traffico illegale di sigarette costa all'UE una cifra pari a 9,5 miliardi di euro l'anno in gettito fiscale mancato, e che questo denaro finisce nelle mani di criminali ed è stato utilizzato per finanziare organizzazioni terroristiche come la Real IRA.

Qual è la strategia della Commissione per affrontare il fatto che il 97% delle sigarette illegali elude la legittima rete fiscale a danno dei contribuenti europei e successivamente a scapito della sicurezza europea?

 
  
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  Siim Kallas, vicepresidente della Commissione.(EN) Desidero ringraziare l’onorevole parlamentare per un’interrogazione che mi consente di ritornare su questo grave problema che arreca danno ai bilanci degli Stati membri. Anche questo è un ambito in cui sono gli Stati membri a intervenire, ma è fondamentale la cooperazione tra di essi, peraltro il nostro servizio, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), è molto attivo e svolge un ruolo importante nella lotta contro il contrabbando internazionale di sigarette.

L’OLAF persegue una strategia chiara, essenzialmente assistendo le autorità di polizia di tutta l’Unione europea nei loro casi, organizzando e coordinando le operazioni su scala europea. L’operazione Diabolo del 2007 ha riguardato prodotti contraffatti cinesi trasportati di contrabbando in territorio comunitario in container; l’operazione Mudan nel 2008 ha contrastato il fenomeno crescente del contrabbando di sigarette tramite posta, mentre Diabolo II ha perseguito i medesimi obiettivi della prima operazione Diabolo e si è svolta durante lo scorso settembre.

L’OLAF allerta i partner sulle minacce emergenti e collabora con gli Stati membri, promovendo in ultima analisi una forma di cooperazione internazionale. L’operato dell’Ufficio dimostra che tale cooperazione dovrebbe essere potenziata e devo altresì dire che si sono verificati due fatti molto importanti durante il mandato quinquennale di questa Commissione in cui l’OLAF si è dimostrato estremamente utile.

Mi riferisco all’accordo con Philip Morris e al successivo accordo siglato con Japan Tobacco nel dicembre 2007, con cui due delle più importanti imprese del settore hanno riconosciuto le loro inadempienze nell’assicurare un commercio legittimo delle sigarette ed effettuato versamenti considerevoli nelle casse comunitarie. Esse si sono inoltre impegnate a una collaborazione stretta contro il contrabbando di sigarette, anche se ciò non è favorevole ai loro interessi.

Questi sono due risultati di vasta portata e il più recente accordo con Japan Tobacco è stato firmato da tutti gli Stati membri.

Proseguiamo la cooperazione in questo difficile ambito, credo comunque che con questi due importanti accordi lo scenario sia leggermente cambiato e notiamo alcuni modesti progressi.

Il caso menzionato dall’onorevole deputato di condanna e detenzione di un cittadino straniero è molto importante e il frutto di una tra le numerose indagini internazionali coordinate dall’Ufficio ai sensi di tale accordo. Nell’Unione europea sono stati numerosi i casi giudiziari basati sul lavoro dell’OLAF.

Questa è la prima condanna in un paese terzo di un cittadino extracomunitari per il contrabbando di sigarette nell’UE e il risultato di una cooperazione su scala mondiale. Potrei fornirvi un resoconto ancora più dettagliato tramite i funzionari di collegamento operanti in Cina e altrove. E’ nell’interesse di noi tutti promuovere questa cooperazione e lottare contro il contrabbando di sigarette.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE).(EN) Senza considerare i posti di lavoro messi a rischio nelle imprese legittime, le implicazioni sanitarie di questo accordo sono eccezionali. La metà dei degenti nel maggiore ospedale irlandese, il St James’s Hospital, è ricoverata per patologie legate al fumo. Volendo verificare, anche negli altri Stati membri, si riscontrerebbe una situazione analoga. Le sigarette di contrabbando contribuiscono al problema ma non pagano neppure una parte del costo sanitario conseguente.

Mi risulta che il traffico illecito di sigarette verso l’Unione europea sia stimato in 9,5 miliardi di euro, di cui il 97 per cento sfugge ai controlli. Non sarebbe opportuno che la Commissione adottasse una strategia articolata che contempli, per esempio, la possibilità di affrontare il problema tramite un servizio di guardia costiera?

 
  
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  Siim Kallas, vicepresidente della Commissione.(EN) Di recente mi sono recato in un paese al di fuori dell’Unione europea dove non vige il divieto di fumo e mi sono improvvisamente reso conto dell’enorme differenza che intercorre con l’Unione europea, dove almeno non si sente l’odore delle sigarette nei luoghi pubblici. Credo che questo sia stato un provvedimento fondamentale per scongiurare i rischi alla salute.

In relazione alla lotta contro il contrabbando di sigarette, dobbiamo avvalerci al massimo delle forze di polizia. Questa è senz’altro la priorità principale, poiché è compito della polizia di frontiera degli Stati membri sequestrare le sigarette illegali.

Personalmente ho visitato un porto dotato di un’attrezzatura molto sofisticata per l’individuazione dei carichi di sigarette di contrabbando, ma questa rimane una competenza esclusiva di ogni Stato membro. Da parte nostra, possiamo solo agevolare il lavoro, fornire informazioni e aiutare per quanto possibile gli Stati membri. Ma è compito delle guardie confinarie nazionali sequestrare i carichi e bloccarli alle frontiere.

 
  
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  Paul Rübig (PPE).(DE) Signor Commissario, il contrabbando di sigarette si articola in tre flussi: quello di denaro, quello della merce e, da ultimo, quello dei documenti di accompagnamento. Sarebbe possibile introdurre una tassazione o imposizione fiscale ad hoc per i movimenti di denaro che, in definitiva, sono noti e confluiscono qui?

Abbiamo infatti una certa dimestichezza con le imposte sulle transazioni finanziarie che ci consentirebbe di esercitare la pressione fiscale non a livello di prodotto o di documentazione, bensì sulle relative operazioni finanziarie. Sarebbe interessante adottare una simile impostazione con paesi come la Svizzera.

 
  
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  Siim Kallas, vicepresidente della Commissione.(EN) Convengo che la questione sia molto importante per le autorità fiscali. L’accisa sui prodotti del tabacco in Europa è alquanto elevata ma in base all’esperienza maturata nella definizione dell’accordo con Philip Morris e Japan Tobacco so che tale imposta va a colpire in larga misura queste medesime imprese, che sono anche le nostre maggiori produttrici di tabacco. Siamo riusciti a instaurare una cooperazione con loro. Per quanto concerne la Svizzera, non siamo a conoscenza di comportamenti irregolari della Svizzera in questo settore. Tutti gli stati riconoscono i danni causati dal traffico illegale delle sigarette e se avremo qualche indizio non mancheremo di contattare le autorità svizzere.

 
  
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  Presidente. − Poiché l’autore non è presente, l’interrogazione n. 27 decade.

 
  
  

Annuncio l’interrogazione n. 28 dell’onorevole Badia i Cutchet (H-0321/09)

Oggetto: L'istruzione nella nuova strategia politica europea

Nell'attuale contesto di recessione economica, da più parti si è auspicata una nuova strategia europea per l'occupazione e una crescita sostenibile e intelligente. In tale quadro sono state formulate diverse raccomandazioni in settori molto diversi, ma non sono state date indicazioni sull’istruzione, né si conoscono al riguardo iniziative concrete della Commissione o degli Stati membri.

Tenendo conto della necessità di completare l'attuazione, non priva di difficoltà, del processo di Bologna, di ammodernare le università e i centri d'istruzione superiore, di promuovere il triangolo istruzione-innovazione-ricerca, nonché di incoraggiare l’omologazione della formazione professionale a livello europeo, può la Commissione far sapere se intende prendere misure o iniziative in tale campo, nella prospettiva della nuova strategia europea, in modo da conseguire entro il 2010 uno spazio europeo d’istruzione superiore perfettamente integrato, competitivo a livello mondiale, che favorisca l’integrazione sociale e sia di qualità elevata?

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) La ringrazio per questa domanda, così pertinente alla situazione attuale. Vorrei sottolineare che sotto l’insegna della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione la Commissione sta perseguendo da diversi anni il proprio programma di ammodernamento dell’istruzione superiore europea.

Tale programma si sviluppa in particolare attorno a tre ambiti specifici: piano di studi, governance e finanziamenti. Le riforme dei percorsi formativi sono state elaborate nell’ambito del processo di Bologna volto a creare uno spazio europeo d’istruzione superiore entro il 2010.

Com’è noto, il processo di Bologna non è partito su iniziativa della Commissione, bensì da un processo intergovernativo di 46 paesi europei. La Commissione ne riconosce però l’importanza cruciale, vi ha aderito e lo sostiene appieno in ragione della sua rilevanza all’interno del programma di ammodernamento per l’istruzione superiore varato dalla Commissione.

Per citare solo alcune delle iniziative attuate nell’ultimo anno, ricordo la promozione del triangolo della conoscenza mediante la creazione dell’Istituto europeo per l’innovazione e la tecnologia, il lavoro per il riconoscimento dei titoli di studio e di formazione in Europa, l’introduzione di un quadro europeo delle qualifiche per la formazione permanente, il sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti, i supplementi al diploma e i crediti europei per l’istruzione e la formazione professionale.

Tra i nostri obiettivi figura quello di rendere l’istruzione superiore europea più trasparente e raffrontabile; a tal fine sono stati avviati alcuni progetti per la classificazione degli istituti d’istruzione superiore.

La Commissione riconosce dunque l’importanza cruciale del mercato del lavoro di oggi e di domani, oltre a comprendere le criticità che lo contraddistinguono e che penalizzano specialmente i giovani. Ciò ci ha indotti a varare l’iniziativa New skills for new jobs e a creare un forum sul dialogo università-imprese dove stiamo avendo importanti scambi di pareri ed esperienze tra mondo accademico e imprese.

Per quanto concerne lo spazio europeo d’istruzione superiore, i paesi aderenti sono concordi nel riconoscere che, nonostante i risultati ottenuti sinora e dal 1999, il progetto non potrà concludersi nel 2010 ma dovrà protrarsi almeno fino al 2020.

Dal punto di vista della Commissione, il processo di Bologna dovrebbe concentrarsi nei prossimi anni su come incrementare la mobilità nell’istruzione superiore, rafforzare la dimensione sociale garantendo un accesso equo all’istruzione superiore e acquisire una dimensione globale, ovvero sviluppare la cooperazione tra gli istituti d’istruzione superiore europei e i loro partner di tutto il mondo.

 
  
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  Maria Badia i Cutchet (S&D).(ES) Signor Presidente, signor Commissario, per la seconda volta ho oggi il piacere di interrogarla e di ascoltare le sue risposte. La ringrazio per le sue parole, da cui comprendo che giudichiamo nello stesso modo quanto sta accadendo all’interno del processo di Bologna.

La mia domanda riguardava maggiormente sia il futuro immediato che quello meno immediato, giacché la crisi economica in corso sta mettendo in luce l’esistenza di tutta una serie di settori, alcuni dei quali piuttosto maturi, che non creeranno nuova occupazione. E stiamo parlando di nuovi posti di lavoro in una nuova economia che peraltro vogliamo anche definire “verde”.

La mia domanda è dunque: in quale modo questa nuova situazione, questa nuova economia che stiamo cercando di avviare, può tradursi in piani e studi, a livello accademico e di formazione professionale, in particolare nel momento attuale in cui, come sapete perfettamente, abbiamo già cominciato a realizzare il processo di Copenaghen per la formazione professionale?

Vorrei che lei ci illustrasse meglio il suo punto di vista su questo aspetto.

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) Ritengo che l’aspetto da lei evidenziato rappresenti un problema molto importante. Questa mattina abbiamo già discusso dei 78 milioni di lavoratori nell’Unione europea in possesso di qualifiche modeste o elementari ed è palese che entro la data da noi fissata del 2020 non disporremo più di altrettanti impieghi per lavoratori poco qualificati .

Diventa pertanto assolutamente imperativo prepararci per i tempi a venire aggiornando e modernizzando il nostro sistema d’istruzione. Dobbiamo proseguire le nostre analisi e ricerche al fine di individuare le qualifiche e i lavori di domani. Dobbiamo dotare di strumenti adeguati i giovani in particolare, ma anche la generazione di mezzo.

Intendiamo proseguire il nostro lavoro di ricerca entro il quadro strategico di “Istruzione e formazione 2020” per la cooperazione politica e l’apprendimento reciproco. Questo è solo uno degli ambiti in cui vorremmo proseguire la cooperazione con le istituzioni educative e le aziende sulle necessità future, allo scopo di esplorare la gamma più vasta e pertinente possibile di competenze che i nostri cittadini dovranno possedere entro il 2020.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE).(EN) L’istruzione resta senz’altro in larga misura una prerogativa dei governi nazionali, ma un aspetto che il signor commissario potrebbe aiutare a coordinare è il lavoro necessario per porre fine a quello che definirei l’apartheid del sistema d’istruzione. In ampi settori della nostra società i cittadini non hanno semplicemente la possibilità di accedere all’istruzione di terzo grado.

Se prendo l’esempio di Dublino, potrei indicarvi cinque quartieri da cui proviene il 75 per cento dei detenuti del Mountjoy Jail, il nostro più grande penitenziario. E’ superfluo dire che l’accesso all’istruzione di terzo grado in tali quartieri è rimasto molto basso anche nel XXI secolo. Presumo che situazioni analoghe si presentino in tutta Europa. Non sarebbe possibile fissare alcuni standard per porre termine all’apartheid e aprire l’istruzione di terzo grado a tutti?

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) All’inizio della sua interrogazione lei ha analizzato con estrema chiarezza l’attuale divisione del lavoro e delle competenze, ma la Commissione è fortemente impegnata a sostenere qualsiasi iniziativa volta a incrementare la percentuale di cittadini che raggiungono il massimo livello d’istruzione. E’ evidente che solo migliorando il livello di scolarizzazione e l’accesso a un’istruzione accademica di qualità, come lei stesso ha affermato, saremo in grado di mantenere un’economia di punta, oltre a salvaguardare la ricchezza e l’elevato tenore di vita di cui godiamo oggi in Europa.

Penso che la Commissione e gli Stati membri debbano lavorare in stretto contatto su questo fronte al fine di creare le premesse per consentire agli studenti provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati di avere un’opportunità e un accesso adeguati all’istruzione superiore e universitaria.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D).(EN) Al giorno d’oggi, il 19 per cento dei giovani europei abbandona la scuola. L’Unione europea non può conseguire una crescita economica sostenibile se non investe nell’istruzione e nella ricerca. A oggi, solo cinque Stati membri investono oltre il 2 per cento del PIL in ricerca e innovazione.

La crisi economica sta causando una contrazione del PIL degli Stati membri e di conseguenza anche del bilancio comunitario. Sussiste il rischio che le dotazioni di bilancio per l’istruzione e la ricerca saranno ridotte negli anni a venire. Nondimeno, l’Unione europea deve investire nell’istruzione e nell’innovazione per mantenere la propria competitività economica e creare nuovi posti di lavoro.

Quali provvedimenti può adottare la Commissione, in congiunzione con gli Stati membri, al fine di garantire un livello minimo di investimenti nella ricerca e nell’istruzione nei prossimi anni?

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) Sono perfettamente d’accordo con lei nel ritenere estremamente elevata la percentuale di giovani in Europa che abbandonano gli studi. Ci eravamo prefissati di ridurre l’abbandono scolastico al 10 per cento entro il 2010. Oggi appare evidente che tale valore non potrà essere raggiunto perché attualmente ci aggiriamo attorno al 15 per cento. Convengo con lei che ciò non contribuisce di certo a migliorare la qualità dei nostri sistemi d’istruzione in Europa.

E’ altrettanto vero che si moltiplicano le discussioni sul bilancio nelle circostanze attuali, in cui i governi nazionali sono messi alle strette tra gestione del denaro pubblico e finanziamento di pacchetti di incentivi e optano spesso per strategie d’uscita intese a rimettere in piedi le finanze pubbliche nei prossimi anni.

Quali dovrebbero essere le priorità? Dove dobbiamo porre l’accento? Credo abbiate già notato che dalla parte della Commissione si leva sempre una voce convinta a favore del mantenimento di un livello adeguato di finanziamento per la ricerca e l’innovazione nei settori dell’istruzione, perché solo così, a nostro giudizio, potremo mantenere e migliorare la nostra competitività, oltre a preparare i nostri futuri ricercatori e lavoratori in comparti altamente competitivi a prestazioni più eccellenti in futuro.

Non mancherete certo di sentire appelli, da parte della Commissione, affinché i finanziamenti per le attività di tipo educativo, la ricerca e l’innovazione si attestino sui migliori livelli possibili, anche in queste difficilissime condizioni economiche.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 29 dell’onorevole Ticau (H-0327/09)

Oggetto: Misure volte a garantire l'accesso dei giovani a un'istruzione di qualità, a incoraggiarli e sostenerli affinché proseguano gli studi, e a facilitarne l'entrata nel mercato del lavoro

Nell'UE ci sono 96 milioni di giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, che rappresentano quasi il 20% della popolazione totale. Secondo le statistiche Eurostat per il 2007, il 20% dei giovani sotto i 25 anni sono a rischio di povertà, mentre un posto di lavoro stabile è sempre più difficile da trovare a causa della crisi economica e finanziaria. Circa il 15% dei giovani europei abbandona la scuola. Nel febbraio 2009, circa il 17,5% dei cittadini europei sotto i 25 anni non aveva un lavoro, il che significa che il tasso di disoccupazione in tale fascia d'età è ancor più del doppio del tasso di disoccupazione generale a livello dell'UE, che per lo stesso periodo era del 7,9%. Inoltre, molti giovani europei sono costretti ad accettare posti di lavoro temporanei perché non riescono a trovare posti permanenti.

Considerando che il futuro dell'UE dipende dalle giovani generazioni, può la Commissione indicare quali misure intende adottare per garantire ai giovani l'accesso a un'istruzione di qualità, per incoraggiarli e sostenerli affinché proseguano gli studi, e per facilitarne l'entrata nel mercato del lavoro, garantendo così una migliore integrazione dei medesimi nella società?

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, riprendo alcune delle argomentazioni formulate nella risposta precedente, ma si tratta di una questione che riveste un’importanza notevole e tenterò dunque di fornire informazioni supplementari nella mia risposta a questa interrogazione.

Come sapete, ai sensi degli articoli 149 e 150 del trattato CE, i contenuti e l’organizzazione dei sistemi d’istruzione e di formazione sono di competenza degli Stati membri. Spetta infatti agli Stati decidere in merito ai contenuti dei loro piani di studio per l’istruzione e la formazione di ogni ordine e grado.

Nondimeno, la Commissione riconosce l’importanza della questione sollevata dall’onorevole deputato e coadiuva gli Stati membri nell’attuazione delle loro riforme mediante il metodo aperto del coordinamento.

La raccomandazione del 2006 relativa alle competenze chiave per la formazione permanente illustra le competenze fondamentali che i giovani dovrebbero acquisire nel corso della loro istruzione e formazione iniziale per prepararsi alla vita adulta, consentendo loro di sviluppare competenze eccellenti per il lavoro nel futuro. In quest’ottica sarebbe opportuno analizzare anche il quadro strategico precedentemente menzionato per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione (ET 2020). Vorrei sottolineare che, tra le aree prioritarie per il primo ciclo di questo programma, la Commissione intende sviluppare la cooperazione tra gli Stati membri per migliorare le competenze di base di lettura, matematica e scienza, nonché moltiplicare gli sforzi per ridurre il numero di abbandoni scolastici.

Attraverso il processo di Copenaghen, gli Stati membri dell’Unione europea hanno migliorato la loro cooperazione e lo scambio di esperienze, potenziato l’interazione tra la formazione e l’istruzione professionale da una parte e il mercato del lavoro dall’altra, al fine di aiutare i giovani a entrare nel mercato del lavoro con migliori opportunità. Una priorità centrale rimane quella di migliorare l’attrattività e la qualità della formazione professionale, nonché di diffondere il concetto della formazione permanente e delle politiche a questa connesse al fine di rendere la forza lavoro europea flessibile e capace di adattarsi ai cambiamenti del mercato del lavoro.

Volendo fare riferimento ad altri programmi, l’iniziativa per la mobilità all’interno del programma Leonardo è uno strumento estremamente efficace per aiutare i giovani a entrare nel mercato del lavoro. Tale programma riguarda in particolare gli apprendisti e gli altri giovani lavoratori, cui consente di svolgere una parte della loro formazione in un altro paese. Finora i risultati sono stati molto positivi perché queste esperienze lavorative all’estero migliorano competenze che sono utili per i datori di lavoro, come le conoscenze linguistiche e le competenze interculturali.

Ritengo opportuno menzionare in questo ambito anche il programma Erasmus, seppure con un’accezione leggermente diversa. Infatti finora tale programma si è occupato principalmente dello scambio di studenti tra le università, anche se dal 2007 ha cominciato a organizzare anche collocamenti di studenti nelle imprese. L’iniziativa ha riscosso un notevole successo sin dall’inizio; soltanto nel primo anno di attivazione, oltre 20 000 studenti hanno compiuto un’esperienza lavorativa all’estero e sono state oltre 15 000 le aziende coinvolte. Questo è solo un esempio di come possiamo incrementare le prospettive di occupazione dei laureati e migliorare la cooperazione tra università e imprese.

Le ricadute positive del processo di Bologna in termini di mobilità degli studenti e cooperazione tra università e istituti di istruzione superiore sono già state oggetto di discussione e non mi soffermerò dunque su quanto esposto appena pochi minuti fa.

In conclusione, vorrei sottolineare che la Commissione riconosce le difficoltà specifiche cui i giovani devono far fronte quando si affacciano sul mercato del lavoro. Nell’ambito della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione, la Commissione e il Consiglio europeo hanno posto l’accento in particolare sulla necessità di migliorare le prospettive occupazionali dei giovani. Con l’approvazione del Patto europeo per la gioventù nel 2005, gli Stati membri si sono impegnati a concentrarsi maggiormente sull’integrazione dei giovani nell’istruzione, nel lavoro e nella società in genere, ma i primi risultati, di per sé molto promettenti, si sono arenati a causa dell’attuale crisi economica. E’ vero che i giovani sono stati quelli colpiti con maggiore durezza dalla crisi e i primi a perdere il posto di lavoro nella situazione attuale. Nella comunicazione “Un impegno comune per l’occupazione” del giugno 2009, la Commissione ha incoraggiato gli Stati membri e le parti sociali a fare in modo che i giovani possano accedere a un’istruzione e a una formazione di qualità, nonostante il contesto economico difficile, e in particolare ad apprendistati e tirocini di prim’ordine.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D).(RO) Sussiste il rischio che la crisi economica renda più difficoltoso per i giovani trovare un posto di lavoro e che li costringa ad accettare impieghi inferiori al loro livello di qualifica o li condanni a periodi più prolungati di disoccupazione. La Commissione dovrebbe fare in modo che questi giovani abbiano la possibilità di ricevere una formazione nei periodi in cui sono disoccupati e che non siano penalizzati durante la ricerca di lavoro da determinati requisiti, come ad esempio quello di avere maturato un’esperienza pregressa minima che talvolta è di 5-10 anni. Quali misure intende adottare la Commissione a tale riguardo?

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) Convengo assolutamente con lei che, nelle circostanze attuali, la Commissione e gli Stati membri devono dare prova di creatività per migliorare le condizioni dei giovani e aiutarli a mantenere il posto di lavoro oppure, ove l’abbiano perso, per offrire loro una formazione e prepararli meglio all’occasione seguente, al potenziale lavoro successivo. La Commissione sta lavorando fianco a fianco con gli Stati membri e gli esperti. Allo stato attuale, tre sono gli ambiti di riflessione: come utilizzare questo periodo per consentire ai giovani di acquisire le competenze di base necessarie e cruciali; come rendere l’istruzione di qualità più accessibile a tutti e come garantire la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento nelle scuole. Credo che queste siano le premesse fondamentali per preparare i giovani a sormontare questo periodo davvero difficile ed equipaggiarli per affrontare la nuova ondata di lavori che, auspicabilmente, verranno a crearsi una volta superata la crisi.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 30 dell’onorevoleAylward (H-0332/09)

Oggetto: Volontariato nello sport

Può la Commissione illustrare le iniziative che intende portare avanti per promuovere maggiormente il volontariato nello sport a livello europeo?

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) Il volontariato nelle attività del terzo settore riveste un ruolo importante nella politica comunitaria in ragione dei vantaggi che porta alla società in termini di coesione, inclusione, democrazia e cittadinanza, oltre a offrirci un evidente valore economico intrinseco. Il volontariato offre svariate opportunità di istruzione informale e merita un giusto riconoscimento. Esso trova posto in svariati settori, ma in ambito sportivo si struttura secondo caratteristiche specifiche.

L’attività di volontariato nello sport costituisce il pilastro per l’organizzazione, la gestione e lo svolgimento delle attività sportive nei nuovi Stati membri, sicché svolge un ruolo fondamentale a sostegno dell’intera struttura sportiva. Tale importanza del volontariato nello sport è stata riconosciuta a più riprese dall’Unione europea a livello politico. Nel Libro bianco sullo sport del 2007, la Commissione ha riconosciuto esplicitamente il ruolo dell’attività di volontariato quale comune denominatore dell’approccio europeo allo sport. Con il piano d’azione Pierre de Coubertin, il Libro bianco si prefigge di incoraggiare il volontariato nello sport e nelle organizzazioni sportive senza scopo di lucro tramite azioni specifiche, quale per esempio uno studio sul volontariato e lo scambio di buone prassi all’interno del gruppo di lavoro informale dell’Unione “Organizzazione sportiva senza scopo di lucro”.

Alcuni progetti relativi al volontariato nello sport sono stati finanziati tramite i programmi Europa per i cittadini e Gioventù in azione. Un nuovo studio sul volontariato è stato inaugurato nella primavera di quest’anno e descriverà le attività di volontariato in tutti e 27 gli Stati membri. Avremo così a disposizione un’analisi approfondita delle maggiori opportunità e criticità, cui seguirà una raccomandazione agli Stati membri dell’Unione europea, alla società civile e alle organizzazioni sportive. I risultati dello studio sono attesi prima della fine del 2009, dunque li riceveremo senz’altro nelle prossime settimane.

Pensiamo che questo studio consentirà di approfondire la conoscenza del volontariato negli sport, sia in termini sociali che economici, e costituirà il documento di riferimento per rispondere alla richiesta politica di una promozione delle attività di volontariato nello sport e della sua struttura in un contesto comunitario.

Come sancito dalla sua proposta che deve ancora completare l’iter legislativo, la Commissione intende promuovere il volontariato nello sport anche in occasione dell’Anno europeo del volontariato nel 2011. Nell’ipotesi che il trattato di Lisbona entri in vigore, l’attuazione delle nuove disposizioni in materia di sport, che includono anche un riferimento alla promozione delle strutture sportive basate su attività di volontariato a livello comunitario, renderanno necessaria una nuova riflessione. In tale caso, la Commissione terrà consultazioni con tutti i portatori d’interesse al fine di disegnare una politica e iniziative adeguate in grado di fornire un significativo valore aggiunto comunitario.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE).(EN) Porgo i miei ringraziamenti al commissario, in particolare per avere menzionato il Libro bianco sullo sport.

Vorrei accennare al problema dell’obesità, attualmente uno dei maggiori problemi per la sanità pubblica in Europa. Si stima che nell’Unione europea vi siano 22 milioni di bambini sovrappeso e di questi 5,1 milioni sono considerati obesi. L’aumento dell’obesità infantile è fonte di gravi preoccupazioni. Data la forte correlazione tra l’obesità infantile e l’obesità in età adulta, è senz’altro meglio affrontare il problema in tenera età.

Come intende la Commissione collegare il volontariato nello sport e l’idea dello “sport per tutti” con la lotta contro l’obesità infantile in aumento all’interno dell’Unione europea e dei singoli Stati membri? Esiste la possibilità che il suo servizio attivi un programma educativo al fine di assicurare la diffusione di questo messaggio in tutta Europa e in ogni Stato membro?

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) La ringrazio di avere sollevato questo tema molto importante che si ricollega in qualche modo anche all’interrogazione successiva. Concordo in toto con lei sul fatto che l’obesità nei bambini e successivamente negli adulti è uno dei problemi più urgenti che ci troviamo ad affrontare nell’Unione europea. Parlerò in seguito degli studi che abbiamo concluso e valutato su questo argomento, in cui appare evidente la necessità di intervenire su due fronti. Da una parte, dobbiamo lavorare con determinazione al fine di migliorare l’attività sportiva nelle scuole e di incoraggiare l’esercizio fisico anche tra gli adulti. Dall’altra parte, dobbiamo impartire chiare indicazioni alimentari.

Siete senz’altro al corrente di come tramite studi recenti sia stato appurato che negli anni cinquanta la popolazione aveva un apporto calorico giornaliero superiore a quello attuale. A quei tempi si consumavano più grassi ma non esisteva il problema dell’obesità. E’ ovvio che allora le persone si muovevano molto di più e facevano molto più esercizio fisico. Tra le conclusioni che possiamo trarre vi è quella che non possiamo vincere la lotta contro l’obesità soltanto con i consigli dietetici, ma che occorre coniugare questi a un’adeguata attività fisica.

Per quanto attiene allo sport, l’Unione europea non dispone ancora di competenze concrete. Attendiamo di vedere concluso il processo di ratifica del trattato di Lisbona; a quel punto la Commissione avvierà un’ampia consultazione con le parti portatrici d’interessi per preparare iniziative positive, di qualità e fondate su un consenso ampio. Questo è uno dei temi su cui dovremo concentrarci, poiché una maniera per migliorare sensibilmente la situazione tra i bambini consiste nell’aumentare il numero di ore dedicate all’educazione fisica nelle scuole. Non sarà difficile farlo e sono persuaso che i risultati sarebbero estremamente positivi e importanti.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE).(EN) Lei ha detto nella sua risposta all’onorevole Aylward che il volontariato aggiunge un valore economico, oltre a un valore sociale, ed è proprio così. Poiché nella sua risposta ha menzionato anche il 2011 quale Anno europeo del volontariato, vorrei domandare perché la Commissione ha proposto una dotazione di appena 6 milioni di euro per quell’anno, mentre per il 2010 sono previsti 18 milioni di euro.

Il volontariato è gratuito nel senso che viene offerto senza nulla in cambio, ma questo non è un buon motivo perché la Commissione europea non investa nei 100 milioni di volontari che operano nell’Unione europea. Vorrei sentire il suo parere sull’ammontare della dotazione assegnata per tale anno, perché sinceramente ritengo che non sia sufficiente.

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) Mi sono appena consultato con il mio chef de cabinet per fornirle una risposta quanto più precisa possibile. Stando alle informazioni a mia disposizione, all’Anno del volontariato sono stati destinati 8 milioni di euro. Credo che con una programmazione adeguata – sulla quale spero potremo cominciare a lavorare presto, appena la decisione sarà stata presa – e questo importo saremo davvero in grado di evidenziare l’importanza del volontariato, i suoi effetti positivi sulla vita sociale e il risparmio che comporta nell’organizzazione di attività sociali, culturali e di altro genere. Con tale ammontare riusciremo, spero, a conseguire gli obiettivi menzionati nella sua interrogazione.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 31 dell’onorevole Crowley (H-0338/09)

Oggetto: Libro bianco sullo sport

In conformità con gli obiettivi programmatici del Libro bianco sullo sport, quali sono i programmi messi in atto dalla Commissione per evidenziare gli effetti positivi di un miglioramento delle abitudini alimentari in Europa?

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) Questa domanda si ricollega in parte alla precedente risposta su come possiamo diffondere abitudini alimentari migliori, favorire uno stile di vita più sano e dare un valore aggiunto europeo alle politiche nazionali messe in atto in questo ambito.

Innanzi tutto ritengo opportuno menzionare il Libro bianco della Commissione dal titolo “Una strategia europea sugli aspetti sanitari connessi all’alimentazione, al sovrappeso e all’obesità”, in cui è stata sottolineata l’importanza di misure proattive volte a invertire la tendenza verso una sempre minore attività fisica. Le azioni suggerite a favore dell’attività fisica in questo Libro bianco e nel Libro bianco sullo sport si rafforzano e integrano a vicenda.

La Commissione ha costituito un gruppo di alto livello sull’alimentazione e sull’attività fisica, in cui i rappresentanti di tutti gli Stati membri possono scambiare idee e buone prassi al fine di acquisire un quadro d’insieme su tutte le politiche pubbliche sviluppate in questo settore. Come probabilmente sapete, questo gruppo di alto livello si riunisce almeno tre volte l’anno.

Mediante il programma per la sanità pubblica, la Commissione ha finanziato, tra le altre iniziative, la creazione di reti di partenariati locali che si occupano di alimentazione e attività fisica dei giovani.

Tornando al Libro bianco sull’alimentazione, voglio evidenziare che il documento sottolinea il ruolo essenziale del settore privato e delle ONG che ci affiancano in questo sforzo per ridurre efficacemente la tendenza all’obesità.

Il lavoro della piattaforma europea per l’alimentazione, l’attività fisica e la salute sta continuando e le parti aderenti si sono impegnate a intraprendere azioni per tentare di invertire questa tendenza.

Per lo sport, il Libro bianco rimane l’unico e più importante punto di riferimento. Il documento contempla numerose possibilità d’intervento nell’ambito dello sport e della salute, riassunte nella nozione di “Attività fisica di promozione della salute” (HEPA, Health-Enhancing Physical Activity), tra le quali figura anche il sostegno alla rete HEPA. Il Libro bianco propone anche ulteriori possibilità di finanziamento per i progetti in quest’ambito, segnatamente il settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, il programma comunitario per la sanità pubblica, i programmi Gioventù e Cittadinanza, oltre al programma per la formazione permanente.

Gli orientamenti comunitari sull’attività fisica, varati nel 2008, possono contribuire anch’essi a informare i cittadini sui benefici dell’esercizio fisico e del mantenimento di un equilibrio adeguato tra alimentazione ed esercizio fisico.

La Commissione sta realizzando un’azione preliminare in ambito sportivo al fine di preparare le prossime iniziative dell’Unione in base alle decisioni di bilancio prese dal Parlamento; l’azione preliminare del 2009 ha già mostrato chiaramente un picco d’interesse nei confronti della HEPA, cui si rivolge il 64 per cento delle candidature per quest’azione.

 
  
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  Brian Crowley (ALDE). (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il commissario per la sua risposta. In realtà, la mia domanda non era collegata a quella precedente, poiché volevo affrontare la questione da un altro punto di vista.

Il commissario ha menzionato due punti sui quali volevo soffermarmi, ovvero sul tipo di alimenti e sulle consuetudini alimentari da discutere nell’ambito del gruppo per l’alimentazione e la salute, nonché sulla pubblicità mendace e potenzialmente molto dannosa per la salute, diffusa da molte persone del settore, le quali associano lo sport a determinati tipi di prodotti e integratori. Anziché utilizzare prodotti naturali al fine di creare condizioni migliori e più sane per chi desidera allenarsi, queste persone ricorrono a integratori, come per esempio ormoni della crescita concentrati sotto forma di bevande o altre bibite energizzanti che sono vendute per fornire una spinta o una marcia in più ma che in realtà causano gravi problemi alla salute. Volevo pertanto associare il meglio dello sport con le pratiche adottate dagli sportivi per conquistare la loro forma, incoraggiando nel contempo le persone che praticano lo sport a livelli inferiori a rendersi conto che non sarà una bevanda a renderle i migliori sportivi al mondo.

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) Credo che il suo punto di vista sia assolutamente corretto perché chi si reca in una palestra oggi può vedere interi ripiani colmi di svariati prodotti, integratori alimentari, bevande energizzanti, eccetera, ancora prima di essersi esercitato su una sola macchina. Ha perfettamente ragione in merito agli interessi commerciali in questo settore e alla necessità, da parte nostra, di affrontarli con la dovuta cautela al fine di trovare il giusto equilibrio tra la possibilità di offrire buoni prodotti per gli sportivi e la diffusione di informazioni adeguate sul tipo di prodotti che stanno utilizzando.

Penso che una campagna informativa sulle conseguenze negative di questo genere di prodotti potrebbe rivelarsi molto utile. A tutela del consumatore, tali prodotti devono recare una descrizione molto chiara e un’indicazione precisa delle eventuali conseguenze dannose che il loro consumo può arrecare negli sportivi. Condivido appieno l’idea che, da parte nostra, occorra riflettere su come gli effetti positivi dello sport possano essere completamente vanificati dalle conseguenze dovute all’utilizzo di prodotti dannosi per la salute.

 
  
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  Presidente. – Annuncio l’interrogazione n. 32 dell’onorevole Kacin (H-0343/09)

Oggetto: Difficoltà del Teatro stabile sloveno di Trieste

L’UE ha urgente bisogno di un Commissario per i diritti umani. I diritti delle minoranze sono gravemente violati nell’UE, come dimostra l’esempio qui riportato riguardante l’Italia. Uno dei pilastri dell'identità e della cultura nazionali della minoranza slovena in Italia è il Teatro stabile sloveno di Trieste, istituito già nel lontano 1945 dalle autorità comunali, provinciali e regionali italiane.

Il teatro soffre da sempre di difficoltà finanziarie dovute all'irregolarità dei finanziamenti da parte delle autorità italiane, motivo che l'ha costretto in settembre a interrompere la sua programmazione. L’importante impegno di provvedere ai cittadini italiani membri della minoranza slovena incombe alla Repubblica italiana, ma quest’ultima non rispetta i diritti dei propri cittadini e, impedendo l’attività del teatro, esercita una politica di assimilazione attiva di una minoranza. In Slovenia tale atteggiamento è percepito come una grave violazione degli obblighi verso una minoranza, in questo caso quella slovena.

Ciò premesso, cosa può fare la Commissione per preservare il teatro sloveno di Trieste e con esso la lingua slovena?

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione.(EN) Ringrazio l’onorevole deputato per questa interrogazione. E’ chiaro che egli sta saggiando tutte le vie possibili per aiutare e migliorare la situazione di tale teatro. Devo innanzi tutto evidenziare che l’azione comunitaria in ambito culturale poggia sull’articolo 151, il quale sancisce che l’azione della Comunità è intesa a incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e a integrare la loro azione.

Tuttavia la decisione in merito all’assegnazione dei finanziamenti nazionali alle istituzioni culturali spetta agli Stati membri e la Comunità non ha alcuna competenza che autorizzi la Commissione a influire su tali scelte. Nondimeno, il dialogo interculturale e la promozione della diversità culturale sono obiettivi fondamentali per la cultura europea e i progetti transnazionali in questo ambito possono usufruire di una sovvenzione comunitaria nel quadro del programma per la cultura.

Tale programma si propone segnatamente di incoraggiare la creatività e la mobilità degli artisti, l’accesso pubblico alla cultura, la divulgazione dell’arte e della cultura, il dialogo interculturale, la conoscenza della storia e del patrimonio culturale dei popoli europei. I finanziamenti sono destinati esclusivamente a progetti con una dimensione europea, ovvero progetti in cui sono coinvolte almeno tre organizzazioni, oppure sei nel caso di progetti pluriennali, provenienti da diversi Stati membri.

Le sovvenzioni di funzionamento per un’istituzione culturale individuale sono ammissibili solo se questa svolge attività a livello europeo in almeno sette paesi di quelli partecipanti al programma culturale. E’ opportuno menzionare qui la strategia elaborata dalla Commissione per promuovere il multilinguismo nell’Unione europea che riguarda le lingue ufficiali, nazionali, regionali, delle minoranze e dei migranti.

La comunicazione del settembre 2008 dal titolo “Il multilinguismo: una risorsa per l’Europa e un impegno comune” conferma il sostegno della Commissione a tutte le lingue parlate nella Comunità, comprese le lingue parlate dalle minoranze. Questa strategia è attuata in stretta collaborazione con gli Stati membri che mantengono comunque il potere decisionale in merito alla loro politica linguistica interna. La promozione dell’apprendimento linguistico e la diversità linguistica rientrano anche tra gli obiettivi generici del programma per la formazione permanente. Nell’ambito di tale programma, l’Unione europea sostiene progetti e reti che promuovono la diffusione di tutte le lingue presenti sul suo territorio, incluse le lingue delle minoranze.

Parimenti, occorre tenere presente che la protezione delle persone appartenenti a una minoranza è uno dei principi fondanti dell’Unione europea. La Commissione ritiene che gli Stati membri debbano avvalersi di tutti gli strumenti legali disponibili per tutelare i diritti degli individui, compresi quelli che appartengono a una minoranza, e agire proattivamente contro qualsiasi fonte di discriminazione. La Commissione europea ribadisce il proprio impegno a favore della protezione dei diritti fondamentali e della non discriminazione.

 
  
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  Jelko Kacin (ALDE). - (SL) La ringrazio per la sua risposta, signor Commissario. Essa risponde alla mia domanda in linea di principio, ma questa non è una questione di principio. Stiamo parlando di un problema molto specifico che tocca la vita delle persone. La Commissione ritiene invero che la questione dovrebbe rientrare tra le competenze degli Stati membri, ma questo Parlamento è dell’opinione che non tutto in Italia stia andando come dovrebbe. E proprio per questo motivo, domani voteremo in quest’Aula una risoluzione che è il risultato della discussione sulla libertà dei media in Italia. Benché, mi rendo conto, la Commissione ritenga di non avere alcuna autorità in quest’ambito, la maggioranza dei deputati crede che la Commissione possa in realtà occuparsi anche di simili questioni.

Il tema delle minoranze non riguarda semplicemente i diritti dei cittadini, bensì anche lo Stato che è responsabile per i diritti delle proprie minoranze e obbligato a rispettarli. Commissario, mi compiaccio che lei abbia menzionato la discriminazione e la necessità di contrastarla, ma è un dato di fatto che nessuna minoranza può sopravvivere se non le viene riconosciuta una discriminazione positiva. Per rimanere viva, una minoranza ha bisogno di una dose supplementare di comprensione, aiuto e sostegno morale, politico e finanziario. Questa è la discriminazione positiva che intendevo. E nel caso specifico, signor Commissario, stiamo parlando di un’istituzione che è stata creata dallo Stato in questione. Il teatro stabile sloveno è rimasto aperto e funzionante per oltre quaranta, cinquanta anni ma ogni anno si ripete la medesima storia. Rifiutarsi di concedere la sovvenzione fino all’ultimo giorno dell’anno è una forma di pressione politica e lei stesso conoscerà il proverbio diffuso in versioni simili presso tutti i popoli slavi, che recita: “Una borsa vuota non si tiene in piedi”. Occorre un intervento finanziario concreto.

 
  
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  Maroš Šefčovič, membro della Commissione. (EN) Comprendo perfettamente la sua preoccupazione, ma la Commissione è tenuta a operare entro chiari limiti normativi, in particolare per quanto concerne le destinazioni e gli esborsi di bilancio.

Nella mia risposta ho pertanto cercato di indicarle altre possibilità per aiutare il teatro stabile sloveno tramite fonti europee.

Allo stato attuale, l’unico modo in cui la Commissione potrebbe aiutare finanziariamente il teatro sarebbe nell’ambito di un programma culturale cui l’amministrazione del teatro dovrebbe aderire stabilendo una forma di cooperazione con organizzazioni dei paesi limitrofi. Credo che si tratti di una possibilità realizzabile. Peraltro gli effetti positivi si ripercuoterebbero non solo sui teatri, ma anche sugli altri partner con cui il teatro sloveno collaborerebbe in futuro; soltanto a queste condizioni la Commissione può valutare la possibilità di finanziare tali azioni concrete che chiaramente recano l’elemento del valore aggiunto europeo e della cooperazione europea.

Come lei stesso sa, non possiamo finanziare progetti per i quali non esiste una linea di bilancio specifica. Mi rendo perfettamente conto che la discussione su questo tema assume spesso toni molto intensi perché mette in gioco nazioni, nazionalità e lingue. Credo dunque che il Parlamento europeo sia senz’altro un luogo pertinente in cui discutere questo argomento, come lei ha evidenziato nella sua interrogazione supplementare.

 
  
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  Presidente. –Dichiaro concluso il Tempo delle interrogazioni.

 
  
  

Le interrogazioni che, per mancanza di tempo, non hanno ricevuto risposta, la riceveranno per iscritto (vedasi allegato).

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS
Vicepresidente

 

15. Modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 "OCM unico" (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. – L’ordine del giorno reca la discussione sulla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n.1234/2007 recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM) [COM(2009)0152 – C7-0223/2009 – 2009/0152(CNS)].

 
  
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  Mariann Fischer Boel, membro della Commissione.(EN) Signor Presidente, mi consenta innanzi tutto di ringraziarla per avere acconsentito all’impiego della procedura d’urgenza per le due proposte che auspicabilmente miglioreranno la situazione del mercato lattiero-caseario, ossia la proposta di includere il latte nell’ambito di applicazione dell’articolo 186 e quella relativa alla gestione del regime di riacquisto delle quote.

Queste sono le ultime di una lunga serie di proposte che abbiamo adottato a favore del settore lattiero. Ho preso nota della vostra risoluzione dello scorso 17 settembre e spero abbiate osservato che molte delle vostre raccomandazioni sono già state incorporate nella prassi, sono oggetto di studi in corso o saranno integrate nelle proposte odierne.

In relazione alle misure a lungo termine invocate nella vostra risoluzione, abbiamo istituito un gruppo di alto livello che si è già riunito una volta e prevediamo che il documento finale sarà presentato entro la fine di giugno 2010.

Con grande soddisfazione posso dirvi che oggi la realtà del mercato lattiero-caseario è contraddistinta da prezzi in crescita e non vediamo la necessità di un intervento giacché i prezzi di mercato sono superiori ai prezzi limite d’intervento.

Per quanto concerne la mia proposta, l’articolo 186 è una disposizione che attualmente si applica a un ampio ventaglio di prodotti, ma non comprende il latte. La recente volatilità dei prezzi ci ha dimostrato, a partire dal 2007, che è o sarà necessario estendere questo articolo fino a includervi anche il latte, poiché ciò consentirebbe alla Commissione di intervenire con maggiore prontezza.

Ieri, durante il Consiglio “Agricoltura” e nella Comagri ho annunciato questi 280 milioni di euro per le aziende lattiere. Per riuscire a pagare rapidamente questo denaro devo avere la base giuridica nell’articolo 186. L’idea è di suddividere il denaro in dotazioni nazionali in funzione della produzione nella campagna 2008-9 e, ovviamente, entro i massimali delle quote nazionali, distribuendolo in maniera non discriminatoria tra le aziende lattiere più colpite dalla crisi. Ma ripeto, per avvalerci di questa possibilità dobbiamo inserire il latte nell’ambito dell’articolo 186.

Pur avendo annunciato la possibilità di questi 280 milioni di euro, dovete sapere che l’autorità di bilancio, ossia il Parlamento europeo e il Consiglio Ecofin, dovranno esprimersi in merito a tale importo alla riunione Ecofin del prossimo 19 novembre. Come ho detto anche ieri, questi saranno gli ultimi soldi che avrò a disposizione, fatti salvi i 300 milioni di euro necessari come cordone di sicurezza per evitare provvedimenti finanziari drastici. Ci tengo a spiegarvi a chiare lettere che l’articolo 186 non equivale a dare carta bianca alla Commissione e la libertà di proporre qualsiasi idea le salti in testa. Attualmente posso solo dire che una delle ipotesi è l’ammasso privato per vari prodotti, tra cui potrebbe figurare anche il formaggio, a condizione che la situazione del mercato sia tale da giustificarlo.

La seconda parte della proposta concerne la gestione del sistema delle quote. Gli Stati membri hanno già la possibilità di riacquistare quote e adesso intendiamo introdurre la possibilità per gli Stati membri di ridurre il massimale nazionale totale di quote in proporzione alla quantità di quote che hanno acquistato e ritirato dal mercato. Si tratta di un regime volontario perché è risultato evidente nel corso delle nostre discussioni che un sistema obbligatorio non potrebbe funzionare da un punto di vista politico.

Attendo i vostri commenti in merito.

 
  
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  Albert Deß, a nome del gruppo PPE.(DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, sono davvero compiaciuto che oggi il Parlamento abbia approvato a larga maggioranza questa richiesta di utilizzo della procedura d’urgenza. Abbiamo trasmesso così un segnale alle nostre aziende lattiere e non ci siamo sottratti alle nostre responsabilità. Al contrario di uno sparuto numero di colleghi di altri gruppi, noi consideriamo questa proposta come un ulteriore strumento per fornire assistenza alle aziende lattiere in questo momento difficile.

E’ senz’altro vero che questa proposta della Commissione è arrivata molto tardi ed è inferiore alle aspettative, ma rimane pur sempre meglio di niente.

Anche all’interno del mio gruppo esiste una forte divergenza di opinioni in merito al programma di riacquisto proposto. Per essere efficace, tale programma dovrebbe essere obbligatorio, anche se immagino che una simile proposta non otterrebbe la maggioranza né in Parlamento, né in Consiglio. Inoltre essa non sarebbe accettabile per alcuni Stati membri, poiché equivarrebbe a una riduzione del sistema compensativo e delle quote. La decisione di assegnare l’incremento delle quote a taluni gruppi prioritari fa già parte del diritto in vigore.

Sarebbe auspicabile che il latte e i prodotti caseari rientrassero nell’articolo 186 per gli interventi urgenti in caso di perturbazioni del mercato. A tale proposito presenterò tuttavia un emendamento al fine di limitare tale inclusione a un periodo di due anni. Se la sua validità sarà confermata, potremo a suo tempo votare una proroga.

Concludo ringraziandola di nuovo per i 280 milioni di euro. Su questo fronte, signora Commissario, è venuta generosamente incontro al Parlamento. Mi rendo conto che non dispone di altro denaro. Giovedì inviterò a votare a favore del progetto di risoluzione che a quel punto sarà stato forse modificato.

 
  
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  Paolo De Castro, a nome del gruppo S&D. – Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, innanzitutto colgo l'occasione per manifestare tutta la mia soddisfazione per il senso di responsabilità mostrato stamane da questa assemblea, approvando la procedura d'urgenza per inserire il settore lattiero-caseario all'interno dell'articolo 186 dell'OCM unica, così come tanti altri prodotti agricoli.

La rapida estensione a questo settore delle norme che regolano l'intervento per la crisi di mercato ci consente di dare una risposta importante in un momento estremamente difficile che coinvolge l'intera agricoltura e in particolare il settore lattiero-caseario. Ci aspettiamo a questo punto che la Commissione europea possa raccogliere, come ci ha appena riferito il Commissario Mariann Fischer Boel, le sollecitazioni del Parlamento, che in più occasioni hanno sottolineato come le misure fin qui prese si siano rivelate insufficienti rispetto alla gravità della crisi in atto.

L'apertura odierna del Parlamento nei confronti della Commissione esecutiva non va interpretata come un atto di delega piena e in bianco, ma come un gesto di responsabilità all'interno di una situazione drammatica e del tutto eccezionale.

Ci tengo qui a ribadire che il Parlamento ritiene indispensabile in tal senso un suo coinvolgimento in ogni fase del processo decisionale, al fine di garantire il controllo democratico e per questo riteniamo che il Parlamento debba essere preventivamente informato dalla Commissione di come concretamente utilizzerà questi nuovi poteri dati dall'articolo 186 anche per il settore latte.

 
  
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  George Lyon, a nome del gruppo ALDE. – (EN) Signor Presidente, anch’io desidero ringraziare la signora commissario per essere venuta qui oggi a spiegare meglio i poteri di cui chiede il conferimento. Signora Commissario, vorrei innanzi tutto ringraziarla per avere risposto positivamente alla risoluzione approvata dal Parlamento il 27 settembre. Mi congratulo per le azioni compiute con l’intento di stabilizzare la situazione assai critica delle aziende lattiere. Saluto con favore anche i 280 milioni di euro annunciati oggi per la ristrutturazione.

Per quanto concerne la prima parte della sua proposta, la domanda che tutti ci poniamo è: perché ci viene chiesto di approvare misure d’urgenza con tanto ritardo e tali misure saranno in grado di favorire la ripresa del mercato? Come lei ha detto nel suo intervento, i primi germogli della ripresa si stanno già dischiudendo. Non sono convinto che le modifiche proposte alle quote faranno poi molta differenza, ma giacché sono decise su base volontaria dagli Stati membri, il mio gruppo non si opporrà certo alla loro concessione.

Con riferimento alla proposta di inserire il latte e i prodotti caseari all’interno dell’articolo 186, so per esperienza che i ministri – o i commissari, in questo caso – si rivolgono di solito ai parlamenti per chiedere i poteri necessari a intervenire e risolvere un problema. Stasera mi sembra che la Commissione sia venuta a chiederci il conferimento di poteri senza spiegarci esattamente quali interventi intende intraprendere.

Per quanto ho evinto dal suo precedente intervento, lei ha affermato di necessitare di questo potere supplementare come base giuridica per erogare i 280 milioni di euro. La pregherei di darmene conferma. E’ per questo che necessita di maggiori poteri? Perché il nostro grande timore diffuso è che stiamo per firmare un assegno in bianco alla Commissione.

Signora Commissario, ha affermato di essere rimasta senza un soldo in tasca, dunque anche se avesse altre idee per ulteriori interventi, non avrebbe la disponibilità finanziaria per fare alcunché di significativo. Il nostro gruppo accetterà di conferire questi poteri a condizione che siano limitati nel tempo e a circostanze eccezionali.

 
  
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  Martin Häusling, a nome del gruppo Verts/ALE.(DE) Signor Presidente, onorevoli deputati, finalmente la discussione è diventata più accesa. La Commissione deve di nuovo assumersi tutta la responsabilità, mentre questa mattina la situazione era alquanto diversa, anche se avremmo voluto un maggiore coinvolgimento del Parlamento. Parliamoci chiaro, noi non siamo contrari agli aiuti finanziari. Ma dobbiamo anche riconoscere che sono solo piccole gocce nell’oceano.

Le decisioni di Lussemburgo non hanno purtroppo favorito un ritorno all’equilibrio tra domanda e offerta che rimane in realtà il punto cruciale. Siamo favorevoli al riacquisto volontario di quote, ma gli effetti saranno modesti a meno di non assistere a una riduzione sostanziale delle quantità.

Come ho già affermato ieri, dobbiamo tenere in seria considerazione la relazione della Corte dei conti e disegnare una politica di ampio respiro, dobbiamo fare tesoro delle parole della Corte dei conti. Essa ha prospettato per il futuro la necessità di controllare l’offerta, pena il collasso finanziario dell’intero sistema; occorre una politica per il settore lattiero-caseario orientata a prodotti di qualità per il mercato europeo.

Come abbiamo invocato più volte, dobbiamo chiudere il prima possibile con le restituzioni alle esportazioni, i cui effetti fatali abbiamo spesso denunciato.

Occorre invero una politica che guardi oltre alla crisi attuale e attendiamo dalla Commissione risposte di più ampio respiro. Purtroppo la Commissione finora di risposte non ne ha fornite, segnatamente su come possiamo rafforzare le organizzazioni dei produttori al fine di conferire loro maggiore potere sul mercato e tenere a freno le catene dei supermercati.

 
  
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  James Nicholson, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, premetto di essere senz’altro favorevole a questa decisione e penso che la discussione di ieri in commissione e di oggi in plenaria ci abbia consentito di giungere a una posizione di maggiore chiarezza sulla situazione. La realtà e credo anche il motivo della frustrazione di molti produttori di latte è che mentre noi percepiamo quelli che l’onorevole Lyon ha definito i primi germogli della ripresa, questo denaro non è ancora arrivato nei loro conti in banca. Ciò è motivo di malcontento tra gli allevatori, poiché molti di essi versano in difficoltà finanziarie da diverso tempo. E’ positivo e utile poterne parlare, perché adesso capisco la necessità di ampliare la portata dell’articolo 186 al fine di fare giungere questo denaro direttamente ai produttori nel più breve tempo possibile. Questo è, a mio avviso, il punto cruciale.

Sono favorevole all’emendamento ipotizzato dall’onorevole Deß e se verrà presentato, credo che vorrei vedere limitata la durata a due o tre anni, quanto basta per completare il lavoro. Il programma di riacquisto delle quote non mi sembra invece convincente. Dobbiamo farlo per tutelare il settore.

 
  
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  Patrick Le Hyaric, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, questa sera sono obbligato a ribadire che le misure finanziarie da lei proposte sono solo una goccia nell’oceano di crisi e disperazione in cui si versano oggi gli allevatori.

In definitiva svincolerete 280 milioni di euro quando appena qualche settimana fa si parlava di 600 milioni. Ciò si traduce in un contributo di 1 000 euro una tantum ad allevatori che perdono oggi tra i 100 e i 200 euro al giorno. Noi sollecitiamo un piano finanziario d’urgenza reale, non un cerottino per il paziente agonizzante.

Nel contempo, intendete utilizzare il denaro pubblico per un programma sistematico di abbattimento delle vacche da latte e di chiusura delle aziende agricole. Così facendo distruggerete il futuro dei nostri allevatori, poiché quelli maggiormente colpiti saranno i giovani, i piccoli allevatori che valorizzano il territorio, producono prodotti lattieri, formaggi di qualità, e salvaguardano l’ambiente.

Come potete proporre questo quando tante famiglie, in Europa e altrove, non hanno di che mangiare, a cominciare dal latte! E aggiungo che un domani, grazie alla vostra iniziativa, il latte scarseggerà.

In questo momento in cui ci vengono intessute le lodi del trattato di Lisbona, possiamo solo stupirci di fronte alla vostra richiesta di applicare questo articolo 186 del regolamento che vi renderà plenipotenziari. Ma plenipotenziari già lo siete e in virtù di questi pieni poteri avete deciso la liberalizzazione delle quote che ci ha fatto precipitare nella crisi odierna e che ha beneficiato esclusivamente i produttori industriali e la distribuzione, come dimostrato dai dati della Corte dei conti europea, secondo cui tra il 2000 e il 2007 i prezzi dei prodotti lattiero-caseari al consumo sono aumentati del 17 per cento mentre i prezzi alla produzione sono diminuiti del 6 per cento.

Signora Commissario, le ribadisco di nuovo che è urgente, estremamente urgente, fornire aiuti ad ampio raggio al mondo agricolo tramite un fondo europeo d’emergenza, tornare a una politica dei prezzi minimi per i prodotti agricoli e non consentire al mercato capitalista di distruggere i nostri agricoltori.

 
  
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  Krisztina Morvai (NI).(HU) Signora Commissario, voterò a favore della proposta, com’è ovvio, anche se mi rendo conto che questa elargizione non risolverà la situazione degli allevatori. Ho comunque tre domande da porre. La prima riguarda la crisi. Cosa dobbiamo imparare, a suo giudizio, da questa crisi? Abbiamo tratto insegnamento da quanto è accaduto? Commissario, la crisi attuale non è stata provocata da un cataclisma naturale, uno tsunami o altro, bensì da una serie di decisioni errate e da una politica agricola fondamentalmente fallimentare. Guardando al futuro, cosa può promettere agli agricoltori? Come potranno scongiurare il ripetersi di una crisi analoga? Vorrei avere una risposta particolareggiata e chiara da parte sua.

La seconda domanda riguarda quanto ha detto alla commissione ieri, ovvero che gli Stati membri possono disporre liberamente di questo denaro. Cosa significa esattamente? Che gli Stati membri potranno distribuire il denaro secondo un principio di equità, non alle grandi aziende agricole ma piuttosto ai piccoli allevatori più bisognosi e la cui sopravvivenza è a rischio? Questa categoria è quella che versa nelle peggiori condizioni. L’altra categoria ampia che dovrebbe essere tenuta in considerazione è rappresentata dagli allevatori dei nuovi Stati membri, in particolare dai piccoli allevatori. Come intende ovviare a questa discriminazione intollerabile in base alla quale noi ungheresi, per esempio, abbiamo dovuto dare in mano all’Unione europea il nostro intero mercato e abbiamo ricevuto in cambio solo una frazione delle sovvenzioni? Come e quando porrete riparo a questa ingiustizia e iniquità?

 
  
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  Giovanni La Via (PPE). - Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, apprezzo l'approccio del Commissario che ha scelto di venire in Parlamento per esporre il pacchetto di interventi relativo al comparto lattiero-caseario.

Con riferimento al contenuto degli interventi proposti, pur rilevando la mancanza di adeguati dettagli operativi in merito agli stessi, mi sembra di ravvisare un orientamento positivo per avviare a soluzione i problemi che attualmente i nostri allevatori stanno vivendo. Non credo comunque che gli interventi proposti, da soli possano essere risolutivi dei problemi che stiamo affrontando. Nonostante ciò credo che sia indispensabile votare la proposta di modifica degli articoli 78 e 79 del regolamento (CE) n. 1234/2007.

Per quanto attiene all'articolo 186 della stessa OCM, rilevo innanzitutto che nelle lettere a) e b) dello stesso viene prevista una differente protezione a prodotti diversi, intervenendo per alcuni quando i prezzi aumentano e diminuiscono sensibilmente, mentre per altri – carni suine, olio d'oliva e altro – solo quando i prezzi salgono in misura rilevante. Mi sembra che sia una discrepanza non accettabile.

Mi permetto comunque di avanzare, anche a nome del PPE, un emendamento finalizzato a far sì che la Commissione informi, preliminarmente all'attivazione degli interventi previsti all'articolo 186, il Parlamento e credo che si possa mettere in relazione questo emendamento con quello che anche i socialisti proponevano poco fa.

Mi permetto infine di sollecitare il Commissario, così come richiesto con la risoluzione del 17 settembre al Parlamento, l'aumento del de minimis per tutti i comparti produttivi a prescindere dai plafond nazionali attualmente attribuiti.

 
  
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  Luis Manuel Capoulas Santos (S&D).(PT) Signor Presidente, signora Commissario, siamo tutti dolorosamente consapevoli della grave situazione del comparto lattiero-caseario in Europa. Il mio gruppo sta sollecitando da mesi l’adozione di misure d’urgenza per salvare migliaia di allevatori sull’orlo della rovina. Allo scopo, abbiamo presentato proposte d’iniziativa propria e sostenuto le iniziative di altri gruppi politici.

Adesso non ci resta molto altro da fare che accogliere le iniziative della Commissione, per quanto insufficienti ci possano apparire. Queste considerazioni hanno indotto il gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento europeo a votare questa mattina a favore della procedura d’urgenza proposta. Comunque proporremo e chiederemo che il Parlamento europeo venga tenuto costantemente al corrente dei provvedimenti adottati nei giorni a venire in virtù dei poteri che conferiamo ora alla Commissione. Continueremo a impegnarci per ripristinare l’equilibrio del mercato affinché possa garantire profitti adeguati ai produttori, come ribadito nel trattato di Lisbona.

 
  
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  Marit Paulsen (ALDE).(SV) Signor Presidente, non sussiste alcun dubbio circa la necessità di intervenire prontamente quando la crisi colpisce alcuni comparti, come si è verificato per le banche, l’industria automobilistica e le aziende lattiero-casearie. Simili crisi si verificano periodicamente. Magari la prossima volta non toccherà al settore lattiero-caseario, ma sarà il turno dei cereali o di altro ancora.

Se mi permette di ampliare la discussione oltre alla questione odierna, vorrei dire che non possiamo continuare a districarci solo tra i problemi immediati. Dobbiamo trovare il tempo, l’energia e la lungimiranza politica necessari a realizzare una politica agricola comune per l’Europa che si dimostri forte, sostenibile, flessibile e che amortizzi gli effetti peggiori della prevedibile instabilità dei prezzi. Voglio un paesaggio vivo in Europa e il paesaggio non può sopravvivere senza allevatori e animali!

 
  
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  Martin Häusling (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, purtroppo José Bové non è potuto essere presente oggi e pertanto parlerò di nuovo io in sua vece. Ho ancora alcune domande per il commissario: crede sinceramente che le proteste si acquieteranno con questi finanziamenti? Come ho già detto, considero la decisione presa questa mattina dal Parlamento una sorta di assegno in bianco, poiché non sappiamo come la Commissione intende utilizzare questi poteri. Ribadisco che la Commissione non è una parte della soluzione, bensì una parte del problema, e rimango di questa opinione.

Ma visto che bisogna vedere le cose come stanno e così è stato deciso, esprimo anch’io un voto favorevole e dico ai colleghi che dobbiamo porre un limite a queste misure. Vogliamo concedere un orizzonte temporale contenuto, dopo il quale il Parlamento potrà di nuovo prendere in mano il timone.

Signora Commissario, ho ancora una domanda che concerne un aspetto di cui si discute in tutti i programmi, ovvero la necessità di continuare il lavoro di ristrutturazione. Come intende lei questa ristrutturazione? Ritiene davvero giusto continuare a dare del denaro per incentivare quasi le piccole aziende a chiudere e poter così pagare altro denaro alle aziende più grandi? Questa politica non ci avvicina ai nostri obiettivi. Dobbiamo piuttosto impiegare il denaro in maniera mirata nelle regioni più svantaggiate al fine di garantire la sopravvivenza in quelle aree delle strutture maggiormente a rischio.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL).(PT) Signor Presidente, signora Commissario, la proposta presentata dalla Commissione prende atto del fallimento della sua politica per il comparto lattiero-caseario ma non interviene sui disastrosi orientamenti alla base di tale politica. I milioni di euro di cui stiamo parlando sono ampiamente insufficienti a compensare i produttori per la riduzione dei prezzi.

Contrariamente a quanto viene affermato, occorre invertire la rotta che la PAC ha imboccato, in cui riforme successive hanno smantellato gli strumenti di regolazione del mercato, delle quote e dei diritti di produzione, inducendo migliaia di produttori ad abbandonare gradualmente il settore. Migliaia di posti di lavoro sono a rischio, esistono famiglie che dipendono completamente dall’agricoltura e dal comparto lattiero-caseario in particolare. Sono in pericolo intere regioni, in cui la terra viene progressivamente abbandonata con tragiche conseguenze sociali e ambientali.

Questo è un campanello d’allarme che chiama a un intervento immediato al fine di ripristinare prezzi equi per i produttori, ma occorreranno più risorse di quelle attualmente messe a disposizione. Soprattutto, lo ribadiamo, la situazione richiede interventi di portata più ampia e non meri palliativi, come la cancellazione dell’incremento annuale delle quote latte, per ritornare ai valori in vigore prima che fosse presa la decisione di un loro incremento, e l’abrogazione della decisione di smantellare il sistema delle quote nel 2015.

 
  
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  Diane Dodds (NI).(EN) Signor Presidente, come la maggioranza dei deputati di quest’Aula, oggi ho votato a favore della procedura d’urgenza in relazione all’articolo 186. Un aiuto finanziario al settore lattiero-caseario è imprescindibile per la sua sopravvivenza e in particolare per la sussistenza dei piccoli allevamenti a conduzione famigliare in Irlanda del Nord.

Signora Commissario, se ha bisogno di emendare l’articolo 186 per attingere a questi 280 milioni di euro, come lei ha affermato, non mancherò di darle il mio sostegno. Possiamo solo sperare che tale denaro sia erogato e distribuito con rapidità. Molti allevatori hanno dovuto aspettare troppo prima di ricevere gli aiuti necessari.

Sono invece poco incline alle proposte relative agli articoli da 65 a 84. E’ quasi certo che essi non avrebbero alcun effetto per il Regno Unito e suscitano in me svariati dubbi, in particolare penso che creerebbero condizioni impari tra le regioni europee e ciò sembra controcorrente rispetto alla politica altrimenti condotta dalla Commissione.

 
  
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  Christophe Béchu (PPE).(FR) Signor Presidente, in politica occorre coerenza. Nel corso delle ultime settimane si sono levate numerosissime richieste da questi banchi che reclamavano un intervento da parte della Commissione. Se ci vengono proposte delle soluzioni, noi voteremo in loro favore anche se – e qui mi associo a quanto detto da altri – sono giunte con molto ritardo ed è stato necessario carpirle con le prese di posizione espresse in seno al Parlamento europeo e dai ministri.

Questo importo che basterà per un periodo brevissimo non risolve, come già detto da diversi deputati, i problemi di fondo relativi al modo di gestire la fine programmata delle quote. Non è concepibile prescindere per i prodotti agricoli da strumenti di regolazione e di gestione della produzione, o da una combinazione di entrambi, se vogliamo essere in grado di affrontare le crisi e di evitare il loro ripetersi in questo comparto.

Ma non è questo il punto adesso. La questione in discussione questa sera, la sola a valere per il momento, riguarda l’articolo 186. Signora Commissario, vorrei semplicemente sapere a cosa dovrebbe servire l’articolo 186, a partire da quando e in quale modo?

 
  
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  Iratxe García Pérez (S&D).(ES) Signor Presidente, signora Commissario, il mese scorso abbiamo discusso una risoluzione parlamentare e le proposte per un intervento nel comparto lattiero-caseario. Oggi ci troviamo ad affrontare due nuovi provvedimenti che riguardano una modifica alla gestione delle quote e il provvedimento relativo all’articolo 186, per i quali abbiamo accettato di utilizzare la procedura d’urgenza, come da lei richiesto.

Tuttavia, signora Commissario, occorre affrontare il comparto nella sua interezza e non è positivo questo centellinamento di proposte su una questione che stiamo affrontando da diversi mesi.

Chiediamo soluzioni comuni, europee. In quest’ambito, il preannunciato aumento dell’aiuto de minimis per tutti i comparti provocherà distorsioni tra gli Stati membri e renderà difficile applicare la PAC in maniera uniforme.

Concludo con una riflessione finale sull’aiuto di 280 milioni di euro in discussione, cui noi ovviamente plaudiamo ma vorrei rammentarle, signora Commissario, che questo Parlamento aveva adottato una risoluzione in cui si stabiliva in 600 milioni di euro il fabbisogno di aiuto per affrontare la crisi del comparto lattiero-caseario.

 
  
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  Britta Reimers (ALDE).(DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, come coltivatrice, considero l’emendamento proposto agli articoli 78 e 79 una deviazione della Commissione dall’altrimenti giusta strada percorsa nella riforma agricola e una proposta che penalizza le aziende più efficienti e lungimiranti.

Guardiamoci dalla frenesia di fare qualcosa a qualunque costo che potrebbe indurci in errore a ridosso dello smantellamento definitivo del regime di quote per il latte, un sistema che si è rivelato piuttosto penalizzante per gli allevatori. Peraltro siamo in ritardo sugli eventi, giacché il mercato sta cominciando ora a riprendersi. Respingo dunque questo emendamento.

E’ facile capire che la Commissione intende utilizzare a proprio vantaggio la richiesta al Parlamento di provvedimenti di urgenza. In vista della prossima entrata in vigore del trattato di Lisbona, essa cerca di garantirsi un margine di manovra permanente e indipendente dal Parlamento tramite l’emendamento dell’articolo 186. Respingo dunque questo emendamento.

Vedo invece con favore la concessione da parte del Parlamento alla Commissione di mandati con una durata temporale limitata nei momenti difficili. Anche per le crisi future, tale conferimento potrebbe essere fatto con la massima celerità tramite l’articolo 142 del regolamento del Parlamento.

 
  
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  Richard Ashworth (ECR).(EN) Signor Presidente, l’industria lattiero-casearia è in crisi e qui desidero porgere un ringraziamento e un complimento al commissario per la tempestività del suo intervento, che ritengo sia stata perfetta. A mio avviso 280 milioni di euro sono un importo realistico che sarà accolto con favore dal comparto. Sono persuaso della necessità di conferire i poteri ai sensi dell’articolo 186 affinché sia possibile distribuire l’aiuto tempestivamente ai produttori e pertanto sono favorevole. Nonostante il mio voto positivo, preferirei che questa concessione non fosse estesa oltre il 2013.

Per quanto concerne il meccanismo di riacquisto delle quote nazionali che, per inciso, concederà la facoltà di imporre multe salate ai produttori che eccedono le quote, formulo alcune riserve. Temo infatti che verrebbero penalizzati i produttori più efficienti e progressisti – spesso quelli più giovani, i giovani che costituiscono la linfa futura del comparto – e si lancerebbe un segnale sbagliato a tutti.

Il mercato è diventato estremamente volatile e a questo settore occorre una strategia di vasto impianto piuttosto che reazioni di breve respiro. Da sempre ho dato fiducia al commissario Fischer Boel per la sua visione ampia sul futuro del comparto e la incoraggio a proseguire su questa strada, improntata a una strategia duratura anziché a risposte a breve termine.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE).(PL) Signor Presidente, spero che il peggio sia ormai passato per i produttori lattiero-caseari. Questo auspicio è corroborato dalla decisione di aiutare gli allevatori con 280 milioni di euro l’anno prossimo. Rimane tuttavia un interrogativo di fondo: cosa fare della produzione di latte e dei produttori nel lungo periodo? La questione più importante per questo comparto concerne il futuro delle quote di produzione del latte.

Attualmente sono stati adottati due diversi sistemi. Il primo consegue alla revisione della politica agricola comune e prevede un graduale incremento delle quote di produzione fino alla loro eliminazione nel 2015. Il secondo, descritto nell’attuale proposta della Commissione europea, intende limitare la produzione di latte tramite un nuovo metodo di calcolo della sanzione in caso di superamento della quota nazionale. Questi due sistemi sono tra loro inconciliabili.

Personalmente sono favorevole a mantenere le quote, ma a condizione che la loro distribuzione tra gli Stati membri dell’Unione europea e i produttori sia basata su criteri obiettivi ed equi. La definizione e l’approvazione di tali criteri sarebbe estremamente difficile, ma forse varrebbe la pena di fare un tentativo. Per quanto concerne l’estensione dell’ambito di applicazione dell’articolo 186, sono favorevole ma credo che dovrebbe essere accompagnata dalla definizione del ruolo ricoperto dalla Commissione e degli strumenti di cui potrà avvalersi.

 
  
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  Alan Kelly (S&D).(EN) Signor Presidente, vorrei dire alla signora commissario che, se mi perdona il gioco di parole, la Commissione ha fatto della crisi nel comparto lattiero-caseario un orecchio di maiale – un modo di dire che utilizziamo in Irlanda per indicare che qualcuno che ha combinato un brutto pasticcio.

Appena 18 mesi fa affermava che i prezzi del latte avrebbero subito un’impennata, mentre in alcuni paesi si sono addirittura dimezzati. Ciò dimostra che la Commissione deve essere in grado di intervenire con maggiore tempestività sul mercato e la proposta odierna si prefigge proprio tale scopo.

Nella mia circoscrizione di Munster in Irlanda, molti allevatori piccoli e grandi, ma in particolare le aziende a conduzione familiare, sono ridotti alla sussistenza o si trovano sull’orlo della bancarotta. Contemplano sconsolati la loro situazione difficile e i miseri spiccioli che ricevono mentre altri, come le banche e i banchieri, vengono salvati con fiumi di denaro.

(Il Presidente prega l’oratore di parlare più lentamente)

La dotazione di 280 milioni di euro per il comparto lattiero-caseario annunciata ieri è senz’altro accolta con favore ma equivale ad apporre un semplice cerotto su un problema molto più vasto. Lo scorso settembre quest’Aula aveva votato affinché fossero messi a disposizione 600 milioni di euro. Tale importo dovrebbe essere mantenuto per dimostrare la nostra solidarietà ai piccoli allevatori in particolare. La prossima priorità della Commissione deve essere quella di affrontare l’intera questione della produzione di latte e di questo sono profondamente convinto. Fino a quando non troveremo una soluzione, i problemi continueranno a ripresentarsi e rimarremo presto a corto di cerotti.

 
  
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  Elisabeth Jeggle (PPE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, è opportuno approvare l’inserimento del latte all’interno dell’articolo 186 e mi auguro che il voto di domani sarà positivo. Non possiamo rimproverare continuamente alla Commissione di agire con eccessiva lentezza, di essere alla continua rincorsa dei problemi, di alimentare speranze che vengono puntualmente deluse.

Adesso ha l’opportunità di agire tempestivamente e dobbiamo offrirle questa possibilità, senza per questo rinunciare alla nostra volontà di controllo. L’emendamento del collega Deß proposto dal gruppo del Partito Popolare Europeo ci consentirebbe di farlo. I 280 milioni di euro sono, come già dichiarato da molti, una goccia nell’oceano. Tuttavia dobbiamo prendere anche atto di trovarci alla fine dell’esercizio finanziario e riconoscere che le nostre risorse sono agli sgoccioli.

Come affrontare l’intera situazione? Noi vorremmo che questi 280 milioni di euro andassero agli allevatori più duramente colpiti dalla crisi. Dietro al mercato lattiero-caseario di cui stiamo parlando ci sono uomini, ambienti rurali che in altre discussioni affermiamo di volere salvaguardare. Signora Commissario, la prego di sostenere questo Fondo per il latte. Nel corso della discussione sul bilancio di questo pomeriggio il commissario si è espresso favorevolmente e voglio rendergliene merito perché mi ha fatto piacere. Abbiamo urgentemente bisogno di questo segnale e il denaro è stato stanziato nel bilancio del 2010.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE).(PT) Signor Presidente, signora Commissario, anch’io mi compiaccio che quest’Aula abbia approvato la procedura d’urgenza perché ritengo che l’inserimento del latte all’interno dell’articolo 186 a questo punto sia necessario e importante.

Ho sostenuto che la gravità della situazione in cui versa il comparto lattiero-caseario richiede interventi urgenti a sua difesa per motivi di ordine economico e sociali. Io provengo da un paese, il Portogallo, e da una zona, le isole Azzorre, in cui il comparto lattiero-caseario è molto importante e radicato in regioni che sono socialmente fragili e in cui sarebbe in effetti cruciale mantenere il sistema delle quote oltre il 2015.

Le misure proposte oggi sono poco consistenti ma comunque necessarie e indispensabili. Anch’io sono circospetta in merito all’utilizzo che la Commissione farà dei nuovi poteri acquisiti, in particolare se considero la scarsa sensibilità dimostrata durante questa crisi, in cui ha proposto provvedimenti deboli, in ritardo e solo a seguito di forti pressioni. Forte di queste considerazioni, vorrei che la Commissione presentasse un allegato all’articolo 186 in cui siano definite le misure per un intervento radicale nel comparto lattiero-caseario al fine di garantirne la sostenibilità.

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, in linea di massima sono favorevole alla sua proposta. Ma non posso esimermi dal criticare un punto, ovvero il regime volontario di riacquisto delle quote latte.

Per avere successo, un simile programma deve essere obbligatorio anziché volontario. Il meccanismo volontario per il riacquisto delle quote è a mio giudizio controproducente e non solo perché con questo sistema retrocediamo faticosamente sull’incremento delle quote che avevamo concesso. Con il riacquisto delle quote latte attribuiamo a tali quote un valore finanziario e peggioriamo le prospettive di un equilibrio; sono costretto a respingere qualsiasi misura passibile di limitare tali prospettive. Proprio in questa fase di progressiva eliminazione del sistema delle quote dobbiamo avvalerci dello strumento del saldo per consentire ai singoli produttori di orientarsi meglio al mercato.

Queste motivazioni mi costringono a respingere questa parte della proposta, anche se approverò il resto nel suo complesso.

 
  
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  Ricardo Cortés Lastra (S&D).(ES) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, confermo che le misure in corso di adozione intendono ovviare in parte alla crisi del settore lattiero-caseario.

Tutti conosciamo le condizioni di allevamento dei nostri agricoltori e capiamo cosa significhino questi aiuti per loro e le loro famiglie.

Gli agricoltori non vogliono vivere costantemente di sussidi. Ci chiedono di poter svolgere il loro lavoro con dignità, di vendere i loro prodotti a prezzi rispettabili ed equi che rispecchino l’impegno e l’investimento messo nel prodotto.

Signora Commissario, a prescindere dalla spinta e dalla fiducia che possiamo dare ai nostri agricoltori tramite queste nuove misure, stiamo per avviare delle riforme di vasta portata che dovranno essere oggetto di ulteriori discussioni in Parlamento.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE).(EN) Signor Presidente, le parole più importanti pronunciate dal commissario sono che i prezzi di mercato stanno cominciando a crescere. Quest’Aula dovrebbe prenderne atto e fare in modo che anche gli agricoltori lo sappiano. Stiamo parlando di 280 milioni di euro a loro disposizione, ma ogni centesimo supplementare che viene loro pagato vale molto di più dei nostri aiuti centellinati. Questo è l’aspetto più importante.

Credo che sia importante menzionare le aspre critiche mosse alla Commissione da alcuni deputati. Dobbiamo riconoscere che la politica d’intervento e le restituzioni alle esportazioni sono servite a mantenere i prezzi, anche se a livelli tragicamente bassi per i produttori, e credo che alcune delle critiche siano superflue ed eccessive. Sono favorevole all’estensione della portata dell’articolo 186 se ciò è necessario per pagare questi 280 milioni di euro che considero più simbolici che sostanziali.

Facciamo tesoro di quanto è avvenuto e pensiamo a cosa accadrà con la riforma della PAC dopo il 2013, di cui si sta già occupando il gruppo di alto livello. Ai gruppi politici che questa sera si sono espressi a favore degli aiuti a questo comparto dico: fate in modo di sostenere anche una politica agricola comune con una dotazione adeguata dopo il 2013, altrimenti le vostre parole sono prive di significato.

 
  
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  José Bové (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, mi scuso di non essere arrivato prima a causa di altri impegni. Ho spiegato al pubblico francese cosa è accaduto ieri a Lussemburgo.

Ritengo che la decisione del Consiglio non sia positiva, giacché l’unica parola che figura nel testo è “ristrutturazione”. In Francia siamo passati da 480 000 produttori di latte nel 1984 a meno di 88 000 oggi.

E adesso ci viene detto che dobbiamo eliminarne altri ancora e che il denaro così recuperato – cito qui il testo – servirà ai produttori che hanno superato la propria quota. L’intento è dunque di concentrare ulteriormente la produzione ed eliminare i produttori di latte delle zone più remote, ma non è la direzione giusta.

Il denaro destinato, questi 280 milioni di euro, com’è stato già detto, ammonta in definitiva a 50 euro al mese per produttore, per un anno. Equivale a una goccia d’acqua, pressoché un affronto dinanzi alla crisi che affligge i produttori.

In relazione all’articolo 186 affermo che in un momento di passaggio alla codecisione sulle questioni agricole, non è accettabile restituire il potere, un assegno in bianco, alla Commissione.

 
  
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  Rareº-Lucian Niculescu (PPE).(RO) Vorrei porre una domanda al commissario, oltre a ringraziarla per essersi presentata oggi in quest’Aula. Lei ha affermato che le risorse promesse per il sostegno al settore lattiero-caseario saranno distribuite tra gli Stati membri sulla base di un fattore storico, in altre parole in funzione delle quote negoziate. Il problema è che diversi Stati membri giudicano iniqua la distribuzione delle quote. In effetti diversi Stati membri insistono sulla deregolamentazione del mercato proprio per questo motivo. Per esempio, alcuni paesi non hanno il diritto di produrre quanto basta a soddisfare il consumo interno. Non ritiene forse che il ricorso al fattore storico favorisce il perdurare di queste ingiustizie...

(Il Presidente interrompe l’oratore)

Sono costretto a sintetizzare la mia domanda per non superare eccessivamente il tempo a mia disposizione. Il commissario ha affermato che i finanziamenti saranno distribuiti tra gli Stati membri sulla base di un fattore storico. Tuttavia diversi Stati membri giudicano iniqua l’attuale distribuzione delle quote. In effetti diversi Stati membri insistono sulla deregolamentazione del mercato proprio per questo motivo. Non ritiene forse che il ricorso al fattore storico favorisce il perdurare di queste ingiustizie?

 
  
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  Mariya Nedelcheva (PPE).(BG) Saluto con favore la decisione del Consiglio e della Commissione di stanziare una dotazione supplementare di 280 milioni di euro a sostegno della produzione lattiero-casearia nel 2010. Questo è un segnale positivo per chi risente quotidianamente delle conseguenze nefaste della crisi. Chiedo che questa risposta opportuna non si limiti a essere una soluzione economica sporadica ma che sia collocata entro una strategia mirata e a lungo termine di recupero, stabilizzazione e sviluppo di questo settore in Europa. Sotto questo punto di vista assumono particolare importanza i provvedimenti che i singoli Stati membri adotteranno. Vorrei fare presente che la Bulgaria può accettare solo parzialmente le proposte di modifica al regolamento n. 1234. Insistiamo affinché sia espressamente documentato che le quote latte nazionali saranno gestite a discrezione degli Stati membri. E’ importante mantenere la possibilità di scegliere il regime di riacquisto e ridistribuzione delle quote latte tramite la riserva nazionale. Non possiamo permetterci di trattenere o riscuotere pagamenti dai produttori perché in Bulgaria questo settore sta attraversando una fase di ammodernamento. Altrimenti i produttori bulgari non saranno in grado di essere competitivi neppure dopo il 2015.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D).(PL) Signor Presidente, guardiamo ovviamente di buon grado a queste nuove soluzioni di aiuto per gli agricoltori che si applicano anche agli agricoltori polacchi. Nondimeno occorre ricordare che quando parliamo di soldi, ed è questo di cui stiamo parlando, è importante anche il modo in cui tali soldi vengono distribuiti. Essi dovrebbero raggiungere i produttori che più risentono degli effetti della crisi e non accetto una politica di distribuzione uniforme a tutti del medesimo importo, che sarebbe in questo caso minimo e che, in sostanza, non aiuterebbe nessuno.

Inoltre permettetemi di soffermarmi un attimo sul passato prima di guardare al futuro. Sono certo che vi ricordate le campagne meravigliose, oltre un anno fa, in cui ai produttori veniva pagato un prezzo eccellente per il latte. Nel contempo essi usufruivano anche dei generosi finanziamenti comunitari destinati all’ammodernamento del comparto lattiero-caseario. E’ importante programmare il futuro sulla base dell’esperienza pregressa e trarre le debite conclusioni dai nostri errori, perché di errori ne abbiamo senz’altro commessi. Parimenti è importante riflettere su come pianificare lo sviluppo futuro di questo comparto, giacché il denaro è disponibile sia sotto forma di sussidi diretti che di fondi per lo sviluppo delle aree rurali. Inoltre disponiamo anche dello strumento delle quote latte.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE).(PL) Signora Commissario, vorrei sapere da lei come intende spendere la Commissione questi 280 milioni di euro. Saranno destinati a ulteriori ristrutturazioni o forse, come voluto da 21 Stati membri, per un’iniezione nel mercato o per i meccanismi di mercato? Gli agricoltori, da parte loro, vogliono che tale denaro sia impiegato a favore di meccanismi di aiuto. Al momento essi non sono in grado di accendere altri prestiti o di migliorare la produttività. Nella situazione attuale non sono nemmeno in grado di proseguire l’ammodernamento perché sono a corto di liquidità. Non vogliono comprare celle frigorifere o macchine per la mungitura in questo momento che non è propizio per ulteriori investimenti. I 280 milioni di euro corrispondono a meno di 2 euro per tonnellata di latte prodotta nell’Unione europea.

Quando la Commissione europea propone ciò che definisce “un meccanismo di gestione del sistema delle quote” essa intende in realtà limitare la produzione. Dobbiamo valutare se non si ripeterà la situazione che è seguita alla riforma del mercato dello zucchero in cui si sono verificati problemi di approvvigionamento. E’ giunta l’ora di restrizioni alla produzione del latte o dei cereali? Sono certo che non è questo ciò che vogliamo.

 
  
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  Herbert Dorfmann (PPE).(DE) Signor Presidente, signora Commissario, mi compiaccio che a poche settimane dalla decisione adottata da questo Parlamento in relazione al latte, lei ci presenti un pacchetto di misure che soddisfa le nostre richieste. Sottoscrivo la sua proposta per l’articolo 186, anche con una limitazione temporale che mi pare ragionevole. Sono favorevole altresì alla concessione differenziata di quote, come da lei proposto.

La proposta di un riacquisto di quote mi lascia invece alquanto perplesso. Per settimane e mesi di fila lei ha affermato che la crisi in corso non è stata provocata dal sistema delle quote, pertanto non capisco il senso di proporre il riacquisto. Inoltre vorrei ancora precisare che questo non può essere un intervento conclusivo. Occorre adottare ulteriori provvedimenti, in particolare per la produzione di latte nelle aree difficili, come le aree montuose, dove semplicemente non esiste alcuna alternativa produttiva.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE). - (DE) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli deputati, anch’io desidero formulare un ringraziamento per i 280 milioni di euro. Mi auguro sinceramente che questo denaro possa raggiungere soprattutto i nostri 40 000 allevatori austriaci che ne hanno urgentemente bisogno. Lei conosce senz’altro la situazione delle zone di montagna e presso le piccole aziende agricole a gestione familiare.

Signora Commissario, l’Austria è sempre stata contraria all’eliminazione del sistema delle quote. Orbene, lei ha scelto di battere una strada che ha percorso con coerenza. Com’è naturale, noi a nostra volta abbiamo cercato di preparare i nostri agricoltori a questo cambiamento e di aiutarli, per quanto possibile. Con tutta la più buona volontà, non riesco a comprendere la sua proposta di un regime volontario di riacquisto delle quote. Se lo applicassimo, si verificherebbe una rivalutazione e un aumento del prezzo di quelle quote che lei intende eliminare. Come possiamo giustificare questa svolta di fronte agli agricoltori austriaci?

 
  
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  Mariann Fischer Boel, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ho seguito attentamente la discussione di questa sera e, da alcuni interventi, si potrebbe ricevere l’impressione che questa sia la prima volta che interveniamo per aiutare il comparto lattiero-caseario nell’Unione europea. Nulla di più sbagliato; sono convinta che almeno una parte di voi sa quanto è stato fatto dall’inizio dell’anno, quando abbiamo avviato l’ammasso pubblico e privato, l’intervento e le restituzioni alle esportazioni. Nel corso dell’estate abbiamo adottato numerose altre misure e credo che dovremmo stilare uno studio specifico per illustrare in maniera particolareggiata ai deputati di questo Parlamento tutti gli sforzi compiuti dallo scorso gennaio.

Con riferimento agli aspetti specifici delle due proposte odierne, devo ribadire che il regime di riacquisto non è una novità. Tale meccanismo è già utilizzabile dagli Stati membri che desiderano aiutare singole aziende a interrompere l’attività. E’ un’alternativa che offriamo senza volerla rendere obbligatoria, una possibilità per aiutare gli allevatori a chiudere l’attività. La loro quota, una volta venduta, può essere tenuta nella riserva nazionale e distribuita in un secondo tempo, a discrezione dello Stato membro. E con questo ho chiarito un aspetto della discussione.

L’altro aspetto che ha suscitato un notevole interesse oggi riguarda l’articolo 186. L’inserimento del comparto lattiero-caseario nell’ambito dell’articolo 186 è dettato esclusivamente dalla necessità di fornire una risposta rapida. Peraltro non vedo alcun motivo per non includere il comparto lattierò-caseario nell’articolo 186, visto che esso comprende già diversi ambiti del settore delle carni. In generale posso dire a chi teme che la Commissione riceva un assegno in bianco e faccia di testa propria che l’articolo 186 è per sua natura un meccanismo positivo, laddove consente di aiutare le persone in difficoltà tramite una reazione molto rapida. Non ha nulla a che fare con un assegno in bianco. Come sapete, il comitato di gestione terrà una discussione in merito.

Ho ascoltato le vostre idee in merito a un periodo limitato a tre o quattro anni. Credo che ciò lederebbe gli interessi degli allevatori, ma ho preso atto della vostra proposta.

A mio giudizio hanno preso piede diverse idee fuorvianti. I 280 milioni di euro non sono destinati alla ristrutturazione. Tale importo offre semplicemente la possibilità di un’erogazione rapida, appena completate le formalità previste e con il benestare del Consiglio Ecofin in novembre e la firma del bilancio per il 2010. Ciò ci consentirebbe di agire immediatamente, mentre non sarebbe possibile farlo senza l’articolo 186. Tale somma non riguarda pertanto le ristrutturazioni. Come ho detto poc’anzi, sono dotazioni nazionali che consentono agli Stati membri di erogare aiuti ai più bisognosi.

Come dovrebbero essere distribuite? Ho detto chiaramente che la distribuzione deve avvenire in base alla produzione. Mi rendo conto che potrebbero esistere altre possibilità ma se cominciamo a discutere al nostro interno sulle modalità di distribuzione, credo che la discussione si protrarrebbe almeno fino alla fine dell’anno prossimo perché non riusciremmo mai a trovare un comune denominatore tra tante proposte brillanti.

In risposta ad alcuni interrogativi specifici, vorrei dire che le organizzazioni di produttori sono un’alternativa eccellente, anzi una necessità, come ho già precisato precedentemente in plenaria, durante la discussione sul sistema per la frutta e gli ortaggi. Se gli agricoltori sprecano tempo ed energia a farsi concorrenza gli uni contro gli altri invece di confrontarsi con il settore forte della distribuzione, è facile immaginare chi ne uscirà vincitore e chi sconfitto. Ribadisco pertanto che dovete collaborare al fine di diventare un anello molto più forte nella filiera alimentare.

Sono perfettamente d’accordo che il problema è globale e c’è un milione di persone che soffre la fame e non è in grado di procurarsi da mangiare ogni giorno. Tanto più sono rimasta addolorata nel vedere gli agricoltori europei riversare al suolo il latte, quando a livello mondiale siamo afflitti dal problema della fame. Questo non ha conferito certo lustro all’agricoltura europea.

Devo confessare di essere rimasta molto colpita dal modo in cui due deputati, gli onorevoli Bové e Häusling, sono riusciti a gestire il loro tempo di parola. Ho osservato attentamente mentre lo facevano. Non so se è una nuova procedura di quest’Aula, quella di farsi sostituire da un altro deputato e intervenire in seguito con la procedura catch the eye. Alquanto astuto, direi.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Dichiaro concluso questo punto all’ordine del giorno.

La votazione si svolgerà giovedì.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Signora Commissario, dopo avere lottato strenuamente per ottenere che la Commissione presentasse questi provvedimenti, non possiamo respingere alcun contributo che essa può offrirci in questo momento così difficile per gli allevatori e le loro famiglie. Purtroppo la Commissione ha atteso a lungo prima di agire ed è intervenuta solo dinanzi alle forti pressioni esercitate da produttori, Parlamento europeo e 21 Stati membri. Desidero avanzare alcune considerazioni sulle misure presentate oggi.

1. Il fondo di 280 milioni di euro è troppo esiguo rispetto ai 600 milioni di euro ritenuti necessari all’unanimità dalla commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale che possiede la competenza tecnica e politica su simili questioni. Tale dichiarazione politica è stata avallata dal Parlamento europeo e oggi non possiamo considerare sufficiente un importo che è meno della metà di quanto da noi richiesto appena un mese fa.

2: L’inserimento del latte all’interno dell’articolo 186 fornisce alla Commissione uno strumento operativo dall’impiego immediato ma ciò non significa che il Parlamento non vigilerà su questa vicenda. Abbiamo ancora bisogno di meccanismi per regolamentare il mercato; dovremmo mantenere il sistema delle quote e imporre trasparenza alla filiera distributiva del latte. Senza tali strumenti, sarà impossibile ripristinare e mantenere la stabilità delle aree rurali in Europa.

 
  
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  Béla Glattfelder (PPE) , per iscritto.(HU) Saluto con favore le misure proposte dalla Commissione europea per aiutare i produttori del comparto lattiero-caseario europeo. Tuttavia tali provvedimenti possono solo alleviare la crisi, senza risolverla. Per porre fine alla crisi occorre rinunciare all’idea di un incremento delle quote latte. Né la Commissione europea, né la signora commissario Fischer Boel personalmente sono inclini a riconoscere che in quest’ambito sono state prese decisioni sbagliate. Sostegno la richiesta degli agricoltori europei di rinunciare all’incremento delle quote.

Parimenti sono contrario all’eliminazione definitiva del regime delle quote nel 2015. Condivido il punto di vista della maggiore organizzazione europea degli agricoltori, la Copa-Cocega, secondo cui il mercato lattiero-caseario debba essere regolamentato anche dopo tale data. La crisi attuale ci insegna innanzi tutto che è necessario disciplinare il mercato lattiero-caseario. In caso contrario, l’andamento dei prezzi diventerà imprevedibile e gli allevatori europei non sono in grado di assorbire le perdite causate da un’eccessiva volatilità del mercato.

Desidero richiamare la vostra attenzione sull’attuale provvedimento d’urgenza e sul fatto che un incremento degli aiuti de minimis da 7 500 euro a 15 000 euro può essere problematico per gli Stati membri con maggiori difficoltà di bilancio. Temo infatti che in tali paesi, tra cui rientra anche l’Ungheria, i governi non saranno in grado di garantire il massimo sostegno e di conseguenza gli agricoltori di tali paesi saranno ulteriormente penalizzati nella concorrenza.

Confido che in occasione del voto di giovedì sul bilancio 2010, il Parlamento europeo avallerà l’emendamento proposto da alcuni deputati, compreso il sottoscritto, volto ad aumentare i finanziamenti per il programma di distribuzione del latte alle scuole.

 
  
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  Marine Le Pen (NI), per iscritto.(FR) Le manifestazioni che i produttori di latte hanno organizzato per settimane di fila nel tentativo estremo di salvare il loro comparto dalla crisi hanno avuto per effetto la costituzione, da parte della Commissione europea, di un Fondo per il latte di 280 milioni di euro. Il commissario Fischer Boel è finalmente capitolata dopo essere rimasta sorda, per settimane di fila, al disagio dei coltivatori sull’orlo della bancarotta. Tuttavia tale provvedimento finanziario è ridicolo e inteso semplicemente a chetare i produttori per qualche tempo. Non potrà in alcun modo risolvere il problema di un comparto destinato all’estinzione insieme all’eliminazione programmata del sistema delle quote. I produttori di latte non chiedono la carità o elargizioni, vogliono un mercato regolamentato in cui vendere il latte a un prezzo che consenta loro di vivere in maniera dignitosa del loro lavoro e garantire un futuro ai loro figli. Con il suo desiderio pervicace di imporre il dogma della libera concorrenza, l’Unione europea finirà con l’abbandonare migliaia di agricoltori in balìa della sola legge del mercato. Questo è il medesimo ultraliberismo che ogni mese mette in strada migliaia di lavoratori dell’industria. E’ assolutamente urgente porre fine a questa carneficina.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (S&D), per iscritto.(HU) Approvo in linea di massima l’accordo raggiunto dai ministri per l’Agricoltura durante la riunione del Consiglio in Lussemburgo relativa a un aiuto specifico di 280 milioni di euro per il comparto lattiero-caseario. A livello comunitario tale aiuto equivale a un importo pressoché irrilevante di un centesimo per litro di latte. Dopo mesi di strenua resistenza, la Commissione ha ceduto in minima parte alla pressione esercitata da produttori, 21 Stati membri, tra cui anche l’Ungheria, e il Parlamento europeo che aveva già richiesto fondi supplementari per il settore in occasione di una riunione informale tenutasi a Bruxelles lo scorso lunedì. Nonostante la lentezza della risposta comunitaria, il governo ungherese è intervenuto rapidamente a sostegno degli allevatori e ha fornito tutti gli aiuti possibili entro i limiti delle risorse di bilancio disponibili. L’Ungheria ha aiutato il comparto lattiero-caseario avvalendosi di tutto il denaro ridestinabile proveniente dagli aiuti per lo sviluppo rurale e dal Programma europeo di sviluppo economico. Oltre all’Ungheria, solo la Lettonia e Malta hanno ottenuto un risultato di pari eccellenza. I produttori lattiero-caseari ungheresi riceveranno all’incirca 3,3 milioni di euro dal fondo complessivo di 280 milioni, un importo corrispondente a circa 890 milioni di fiorini. Il governo ungherese può scegliere a propria discrezione la modalità d’impiego di tale denaro. La Commissione ha semplicemente suggerito che l’aiuto dovrebbe essere diretto ai produttori in maggiori difficoltà e tale indicazione è in sintonia con gli obiettivi del governo ungherese. In seguito all’approvazione del bilancio 2010, l’importo sarà erogato all’inizio dell’anno prossimo.

 

16. Presentazione di documenti: vedasi processo verbale

17. Misure di attuazione (articolo 88 del regolamento): vedasi processo verbale

18. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
Video degli interventi

19. Chiusura della seduta
Video degli interventi
  

(La seduta termina alle 21.10)

 
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