L'ordine del giorno reca la Dichiarazione dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza / Vicepresidente della Commissione sulla situazione nello Yemen.
Catherine Ashton, http://it.wikipedia.org/wiki/Alto_rappresentante_dell%27Unione_per_gli_affari_esteri_e_la_politica_di_sicurezza" \o "Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza" e vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, sappiamo bene perché lo Yemen è all’ordine del giorno della seduta odierna. Abbiamo seguito gli spostamenti dell’attentatore di Detroit dagli Stati Uniti all’Europa, all’Africa fino allo Yemen. Questo ci ha ricordato, ancora una volta, che la nostra sicurezza è a rischio se non aiutiamo i paesi come lo Yemen, alle prese con sfide multiple su più fronti.
Il terrorismo è l’obiettivo più immediato, ma non è altro che un componente di un sistema più ampio di sfide tra loro interconnesse. Nel nord regna l’instabilità, alimentata dal conflitto armato con i ribelli Houthi. Vi sono conflitti per i diritti sulla terra e sull’acqua nonché tensioni di lunga data con la parte meridionale del paese, che si sente emarginata dall’unificazione del 1991. Finora il governo è riuscito a garantire, nel complesso, una certa stabilità ma, con il progressivo esaurirsi delle risorse petrolifere, lo Stato si trova a dover lottare per tenere sotto controllo alcune regioni del territorio nazionale.
A questo si aggiungono il problema della pirateria nel Golfo di Aden, il contrabbando, i flussi migratori e la tratta di esseri umani dal Corno d’Africa e adesso anche l’aumento del terrorismo di matrice jihadista. Lo Yemen sta assistendo a una notevole crescita demografica e l’insoddisfazione dei giovani cresce giorno dopo giorno. Un consenso politico inclusivo all’interno del paese circa una possibile via d’uscita appare tuttora irraggiungibile.
In questa situazione, tuttavia, è ravvisabile un punto fermo: nessuno di noi può permettere che dal Corno d’Africa all’Afghanistan regni la semianarchia. Saremo noi stessi a doverne pagare lo scotto.
Negli ultimi diciotto mesi, per l’Unione europea lo Yemen è stata una priorità nell’ambito della sua strategia antiterrorismo e del suo approccio onnicomprensivo alla costruzione dello Stato e allo sviluppo. In ottobre il Consiglio è pervenuto a conclusioni di ampio respiro sullo Yemen. Ora stiamo tentando di far convogliare attorno a tale strategia tutti gli attori chiave del processo. L’iniziativa britannica di organizzare un vertice di alto livello con lo Yemen e sullo Yemen la prossima settimana non avrebbe potuto essere più appropriata.
Punto chiave del vertice sarà il tema della sicurezza.
E’ attualmente in fase di elaborazione un importante pacchetto sulla sicurezza volto a sostenere le iniziative governative fra le quali: la formazione e il materiale per le forze di polizia, un quadro giuridico e una giustizia penale migliori, interventi contro la radicalizzazione e a favore della prevenzione dei conflitti. Tutto questo andrà a sommarsi agli 11 milioni di euro stanziati nel quadro del programma di sviluppo della Commissione, da due anni a questa parte, per la formazione degli agenti di polizia e per la giustizia minorile.
Il radicamento di Al-Qaeda nello Yemen è indice di problemi più profondi. Il legame intercorrente fra le sfide di natura economica, politica, sociale e di sicurezza è fondamentale. Per questo serve un approccio trasversale. E’ altresì essenziale che lo Stato sviluppi la propria capacità di rispondere alle esigenze della popolazione in tutto il paese. L’Unione europea proporrà di aumentare di un terzo i fondi per lo sviluppo previsti per il periodo 2011-13. Gli aiuti umanitari dell’ECHO proseguiranno anche nel 2010, nonostante i problemi, più volte segnalati al governo yemenita, di accesso agli stessi da parte degli sfollati.
Nessun aiuto può, tuttavia, sostituire l’impegno e l’azione del governo. L’impegno del presidente Saleh a favore di un dialogo nazionale potrà effettivamente dare vita a un nuovo consenso se tutte le parti interessate verranno coinvolte e i loro interessi tutelati. La comunità internazionale dovrebbe continuare ad appoggiare questo dialogo nel tempo. E’ l’unica soluzione possibile.
In ultima istanza – punto altrettanto importante – gli attori chiave a livello regionale, prima fra tutti l'Arabia Saudita, devono partecipare all’impegno comune di collaborare con il paese. Il vertice di Londra offre la possibilità di coinvolgere l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, fra gli altri, in un significativo dialogo internazionale sullo Yemen e con lo Yemen. Attendo con interesse le discussioni.
José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra, a nome del gruppo PPE. – (ES) Baronessa Ashton, dopo il duro colpo messo a segno dai talebani ieri in Afghanistan dove, non dimentichiamolo, 100 000 nostri soldati lottano per la libertà e dopo l'attentato sventato a Detroit a Natale, credo sia legittimo chiedersi se il terrorismo sia oggi più forte rispetto a quando quel barbarico attentato alla libertà ha abbattuto le torri gemelle di New York.
Abbiamo parlato dell’Iran, vediamo ogni giorno quello che accade in Afghanistan, in Pakistan, in Medio Oriente, in Somalia, ma anche nel cuore del nostro stesso continente, basti ricordare gli attentati di Madrid e di Londra. La domanda che dobbiamo porci – dal momento che tutti dobbiamo trarre delle conclusioni da questi episodi – è se stiamo agendo correttamente.
E’ vero, signora Presidente, vi è un fattore nuovo in gioco: oggi abbiamo eserciti apparentemente senza nemici e nemici senza eserciti. Il presidente Obama, tuttavia, è immediatamente intervenuto dopo l’attacco sventato a Detroit e il generale Petraeus si è recato nello Yemen per la terza volta nel giro di un brevissimo arco di tempo. Gli Stati Uniti hanno messo a punto un pacchetto consistente di aiuti economici e una politica che sta dando i suoi frutti.
Baronessa Ashton, ci ha appena illustrato le misure concrete che l’Unione europea intende adottare e ha accennato alla necessità di ulteriori finanziamenti oltre agli 11 milioni di euro già previsti. Dal 2009 al 2010, le somme stanziate dagli Stati Uniti sono passate da 67 a 167 milioni di dollari.
Per questo motivo, Baronessa Ashton, le rivolgo la seguente domanda: ritiene che, di fronte al terrorismo, le nozioni di politica estera, sicurezza, difesa, cooperazione e aiuti allo sviluppo – e includerei anche cultura e civiltà – si fondano in un unico concetto e che, la risposta ai pericoli e alle minacce che ci colpiscono tutti in egual misura, dovrebbe essere altrettanto suddivisa in egual misura fra le parti coinvolte?
Ha parlato di coordinamento con gli Stati Uniti. Potrebbe gentilmente illustrarci i termini in cui tale cooperazione, così importante e necessaria, si sta realizzando?
David-Maria Sassoli, a nome del gruppo S&D. – Signora Presidente, signora Alto rappresentante, onorevoli colleghi, il nostro gruppo è molto preoccupato per la situazione nello Yemen perché lì c'è una minaccia globale: il fallito attentato diretto a far esplodere un aereo statunitense, le minacce nei confronti delle ambasciate straniere, l'intensificarsi degli attentati ad opera di Al-Qaeda, l'ultimo in Afghanistan, devono essere tenuti in alta considerazione.
Purtroppo la situazione interna dello Yemen non aiuta, dobbiamo infatti considerare che si tratta di uno dei paesi più poveri del mondo, ha gravi problemi legati alle risorse idriche, registra una disoccupazione elevata e un'economia fortemente legata alle entrate derivanti dal petrolio e gas, che vengono stimate in esaurimento nel giro dei prossimi dieci anni.
Ritengo quindi fondamentale un intervento dell'Unione europea che si concretizzi sotto forma di stretta collaborazione tra la Commissione europea, dal punto di vista degli aiuti umanitari e lo sviluppo, e l'Alto rappresentante della politica estera per quello che riguarda la sicurezza comune, la collaborazione con le forze di polizia, il controllo delle frontiere.
Non posso non esprimere la nostra preoccupazione per le repressioni anche a danno di rappresentanti dell'opposizione politica in quel paese, giornalisti, difensori dei diritti umani, di cui parlano da tempo le organizzazioni umanitarie impegnate in quel paese. Considero pertanto una priorità, signora Ashton, quella di garantire alle organizzazioni che si occupano di aiuti umanitari di poter entrare nel territorio yemenita per operare nella massima sicurezza.
Auspico inoltre uno sforzo dell'Unione europea per impegnare lo Yemen a rispettare gli impegni assunti nel 2006 in occasione della conferenza internazionale dei donatori, cioè ad intensificare il processo di riforme politiche ed economiche, per accrescere la democrazia e le condizioni di vita della popolazione.
Dall'attentato dell'11 settembre abbiamo capito che la messa in sicurezza di aree a rischio dipende da quanto siamo disposti noi a scommettere su migliori condizioni di vita. La democrazia, signora Ashton, parte da qui, dalla capacità di accorciare le distanze tra i paesi ricchi e i paesi più poveri.
Holger Krahmer, a nome del gruppo ALDE. – (DE) Signora Presidente, è a mio avviso sintomatico per l’Unione, in generale, e per il Parlamento, in modo particolare, dover affrontare discussioni scontate sulla situazione di certi paesi, ormai ben nota da tempo. Capita spesso, purtroppo, che da avvenimenti improvvisi e inaspettati scaturiscano, in questa sede, pretese politiche, a mio avviso, talvolta discutibili. Non diamo una gran immagine di noi stessi se, dopo un attentato terroristico sventato su un aeroplano, non riusciamo a far altro che intavolare una banalissima discussione sullo Yemen. Dovremmo capire, invece, che servirebbe una strategia che ci consenta gestire questa situazione.
Credo, inoltre, che il quadro yemenita vada analizzato con particolare cautela, soprattutto dal momento che si tratta di uno stato fallito in cui vaste zone del paese non sono controllate governo. Dovremmo valutare i rischi che questo comporta per l’Europa, fra i quali si annoverano l’addestramento dei terroristi in loco e la situazione della costa yemenita, dove la pirateria è all'ordine del giorno. Tutti noi – e forse anche la baronessa Ashton – dovremmo tenere presenti i suddetti rischi. A mio avviso il punto è questo: come possiamo aiutare il governo yemenita a riprendere il controllo del paese e, di conseguenza, a limitare i rischi succitati? Tutte le altre questioni relative al processo di costruzione del paese a lungo termine vanno sì considerate, ma a mio avviso, in questo momento, non ha senso redigere, in questa sede, un elenco di obiettivi politici di ampia portata – che vanno dalla libertà dei mezzi di comunicazione ai diritti delle donne; se così facessimo non verremmo presi sul serio né riusciremmo a raggiungere il nostro obiettivo nel paese. Dovremmo concentrarci, invece, sugli interventi concreti da effettuare per risolvere il problema più urgente.
Franziska Katharina Brantner, a nome del gruppo Verts/ALE. – Vorrei riprendere brevemente quanto detto dall’oratore che mi ha preceduto. La crisi nello Yemen non è certo una novità: è una situazione che perdura da decenni e già la valutazione intermedia della Commissione aveva fatto esplicito riferimento al peggioramento della situazione politica nel paese.
A mio avviso, dovremmo concentrarci proprio sul contesto politico: il vecchio conflitto fra il governo e gli Houthi nel nord, la tensione nel sud – aspetti da lei già citati – e adesso anche l’estendersi del conflitto del nord all’intera regione, coinvolgendo anche l’Arabia Saudita e l’Iran.
Il punto è: cosa dobbiamo fare esattamente? Qualcuno ha proposto l’adozione di uno strumento di stabilità a favore di una missione PSDC, con l’obiettivo investire nella formazione di più persone, ma ritengo che un approccio di questo tipo non sia sufficiente poiché non si tratta di una risposta a una banale situazione di crisi, salvo che per crisi non si intenda una condizione permanente.
Dovremmo promuovere un maggior coinvolgimento nello Yemen del Consiglio di cooperazione del Golfo e non soltanto dell’Arabia Saudita. Sarebbe fondamentale che questa organizzazione riuscisse a riunire tutti i partiti del paese, il governo, l’opposizione, i secessionisti del sud, gli Houthi e gli attori regionali in una sorta di processo di pace che ritengo vada promosso e finanziato, ad esempio, dallo strumento di stabilità. Credo sia proprio questo il suo scopo.
Ritengo che avviare una nuova missione PSDC e un nuovo percorso di formazione nel quadro dello strumento di stabilità senza un obiettivo politico ben preciso sia del tutto inutile. Vi invito caldamente a sfruttare lo strumento di stabilità in quanto tempestivo campanello d’allarme propedeutico all’avvio di un processo politico nonché alla promozione e al finanziamento dello stesso. Credo che ne valga la pena.
Vorrei soffermarmi su un altro punto: lei ha già menzionato la questione della parità di genere; credo che sia necessario un investimento consistente in quest’ambito. L’aumento demografico costituisce una delle preoccupazioni maggiori per i paesi interessati. Come tutti noi sappiamo bene, non è possibile risolvere il problema senza una corretta pianificazione familiare e, di conseguenza, senza diritti per le donne.
So che non sosterrà l’aumento dei diritti per le donne, ma credo che per poter aiutare davvero la società yemenita la parità di genere e, in modo particolare, la pianificazione familiare, siano essenziali.
Adam Bielan, a nome del gruppo ECR. – (PL) Signora Presidente, negli ultimi tempi i riflettori di tutto il mondo sono stati puntati sullo Yemen, in seguito alla rivendicazione da parte di Al-Qaeda dell'attentato – fortunatamente sventato – su un volo di linea statunitense lo scorso Natale. Sappiamo tuttavia da molto tempo che il continuo deterioramento della sicurezza del paese consente ai gruppi terroristici di trovarvi rifugio e procedere alla pianificazione e all’organizzazione di attentati futuri. Ben prima dell’11 settembre, data che noi tutti ricordiamo perfettamente, il terrorismo aveva già iniziato a diffondersi nella regione. Basti pensare all’attentato al cacciatorpediniere USS Cole del 12 ottobre del 2000, rivendicato da Al-Qaeda.
Lo Yemen è un paese estremamente importante, soprattutto per la sua posizione geografica. Non dimentichiamo che ogni giorno passano dallo Stretto di Bab-el-Mandeb, lungo 26,5 km e situato tra lo Yemen e il Gibuti, 3,5 milioni di barili di petrolio grezzo, ovvero il 4 per cento della produzione petrolifera mondiale. Allo stesso tempo, è un paese con una situazione interna molto complicata. A parte Al-Qaeda, ben radicata in tutto il paese, non dimentichiamo la violenta rivolta sciita nella provincia di Saada, nel nord, e la violenza generata dai movimenti secessionisti nel sud. Se a questo aggiungiamo le conseguenze della crisi alimentare mondiale di due anni fa, la recente crisi finanziaria, l’esaurimento delle riserve petrolifere del paese – che costituiscono il 75 per cento delle entrate – e, in ultima istanza, la sempre più grave carenza di risorse idriche, vediamo un paese in ginocchio, obiettivo perfetto per Al-Qaeda che, a causa dei problemi che sta affrontando in Afghanistan, è alla ricerca di una nuova base operativa.
Di conseguenza, a prescindere dall’azione militare che, in un modo o nell’altro, sembra inevitabile date la passività e l’impotenza delle autorità locali, la comunità internazionale, inclusa l’Unione europea – e mi riferisco esplicitamente all’Alto rappresentante Ashton – deve svolgere un ruolo attivo nel processo di ricostruzione delle istituzioni del paese.
Sabine Lösing, a nome del gruppo GUE/NGL. – (DE) Signora Presidente, i mezzi di comunicazione stanno già mobilitando la popolazione come terzo fronte della lotta al terrorismo. In questo momento, tuttavia, le opzioni strategiche a disposizione degli Stati Uniti e degli Stati membri dell’Unione nello Yemen e nella regione del Corno d’Africa non possono essere adottate liberamente. Il problema è che le élite governative del presidente Saleh stanno, da un lato, discriminando e reprimendo barbaramente la popolazione sciita nel nord del paese e, dall’altro, conducendo una guerra contro i secessionisti del sud, nell’ex Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, motivo di grande sofferenza per la popolazione locale. Non esiste una prova concreta del legame fra la popolazione sciita e Al-Qaeda, ma questa ipotesi viene sfruttata dal corrotto governo de facto e autocratico del paese come scusa per ottenere aiuti militari consistenti.
Non dovremmo appoggiare il governo nell’istituzione di forze di sicurezza: farlo equivarrebbe a versare altra benzina sul fuoco. Gli aiuti dovrebbero beneficiare tutte le regioni, a prescindere dal loro orientamento religioso, etnico o politico. Va avviato e promosso un processo di riconciliazione che coinvolga le Nazioni Unite e tutti gli attori locali – inclusi i paesi confinanti come l’Iran. Non dobbiamo fornire un sostegno unilaterale al governo contro i ribelli. Non si dovrebbe proseguire oltre con l’Operazione Atlanta, o quanto meno, non nella regione continentale perché ciò andrebbe esclusivamente a vantaggio degli interessi geo-strategici dei paesi occidentali industrializzati.
Dovremmo impegnarci al massimo per evitare che l’Unione europea non segua le tracce degli Stati Uniti adottando anche nello Yemen la sbagliatissima strategia dell’esacerbazione del conflitto.
Fiorello Provera, a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, lo Yemen più che una nuova frontiera del terrorismo, come l'ha definito qualcuno, è un paese dalla stabilità precaria.
Lo scarso controllo del territorio da parte del governo centrale e la permeabilità delle frontiere permettono lo sviluppo di traffici illeciti, migrazioni incontrollate, pirateria e attività terroristiche. La risposta alle nuove sfide di Al-Qaeda nello Yemen dovrebbe consistere però non soltanto nella pressione militare, ma anche nell'aiuto ad un migliore controllo del territorio da parte delle autorità locali. Ripeto, autorità locali e non soltanto governo.
La stabilità dello Yemen si dovrebbe però realizzare in un'ottica di ownership nazionale e regionale, senza imporre soluzioni esterne o preconfezionate spesso estranee alla realtà locale e fallimentari. Questo faciliterebbe un maggiore impegno dello stesso Consiglio di cooperazione del Golfo, la cui partecipazione finanziaria a progetti locali sarebbe cruciale. L'Unione europea dovrebbe collaborare insieme ai partner dello Yemen, G8 e paesi del Golfo, con contributi finanziari e progettuali condivisi dal governo yemenita.
Concludo: politiche anche eccellenti ma di lungo periodo vanno però accompagnate da un immediato e forte sostegno alla sicurezza e al controllo del territorio, senza i quali si rischiano il fallimento dello Stato yemenita e un enorme sviluppo del terrorismo nell'area.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signora Presidente, sappiamo bene che attualmente lo Yemen è un terreno fertile per gli estremisti islamici; è un paese molto povero, privo di misure di sicurezza efficaci e con un’altissima densità di armi, un paese devastato dai conflitti e a corto di risorse idriche. E’ un paese il cui governo non sembra nemmeno in grado di tenere sotto controllo la propria capitale.
Lo Yemen si è così trovato al centro della lotta al terrorismo ed è quindi un altro paese in cui la presenza di estremisti islamici è una sfortunata conseguenza dei fallimenti politici statunitensi del passato. Nel corso della discussione questo aspetto andrebbe tenuto debitamente in considerazione, assieme ai sorvoli da parte della CIA, le carceri segrete e le tragiche conseguenze delle campagne statunitensi finora registrate in Medio Oriente.
A mio avviso sarebbe troppo semplicistico identificare il terrorismo con la povertà, così come sarebbe da irresponsabili lasciarci manovrare dalla politica statunitense e credere ciecamente che i problemi dello Yemen si possano risolvere soltanto incrementando gli aiuti militari sul territorio. Al presidente-dittatore non dispiace affatto incassare milioni e milioni in aiuti militari dall’Occidente, ma in passato ha più volte spalleggiato gli integralisti islamici per reprimere definitivamente gli oppositori al regime.
E’ evidente che non possiamo restare con le mani in mano mentre il paese si trasforma da rifugio per jihadisti, come è stato finora, in base operativa e campo di addestramento. E’ altresì fondamentale capire come migliorare gli aiuti allo sviluppo, fosse anche solo per mettere fuori gioco una parte delle reclute jihadiste del paese.
In ultima istanza, l’Unione europea non deve diventare ufficialmente un sottoposto degli Stati Uniti. Al contrario, l’Unione deve assumere il ruolo di mediatore imparziale per promuovere il dialogo e gettare le basi per una soluzione politica di lungo termine.
Laima Liucija Andrikienė (PPE). – Signora Presidente, avrei un’osservazione e due quesiti da rivolgere alla baronessa Ashton. Sembra che l’Unione europea si trovi dinanzi a un dilemma. Da una parte, dobbiamo intensificare gli interventi contro i terroristi che minano direttamente la sicurezza dei cittadini europei. Nello Yemen, i gruppi estremisti islamici sono oggi più attivi che mai, e lo stesso gruppo di Al-Qaeda considera lo Yemen una delle basi più importanti per la pianificazione di attentati contro l’Occidente e per la formazione delle milizie e di potenziali kamikaze.
L’attentato sventato sul volo della Northwest Airlines è la dimostrazione più recente della minaccia che abbiamo di fronte. D’altra parte, non va dimenticato che le autorità yemenite sono state più volte accusate da varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani di tortura, trattamento disumano ed esecuzioni extragiudiziali. Gli arresti arbitrari e le perquisizioni delle abitazioni sono reati all’ordine del giorno, che continuano a essere perpetrati con il pretesto di dover combattere il terrorismo.
In questo contesto, Baronessa Ashton, e in riferimento alle conclusioni del Consiglio sullo Yemen, che sostegno può offrire l’Unione europea al paese in termini di lotta al terrorismo? L’Unione ritiene altresì che la soluzione alla crisi nella regione non possa essere di natura militare. Allo stesso tempo, tuttavia, Washington ha siglato un accordo con le autorità yemenite per incrementare la cooperazione militare nel paese. Gradirei, a questo punto, conoscere il suo parere e la posizione dell’Unione europea in merito alla decisione degli Stati Uniti di impegnarsi ulteriormente nella lotta al terrorismo nello Yemen, in particolare, attraverso l’accordo in materia di servizi segreti militari e addestramento.
Richard Howitt (S&D). – Signora Presidente, accolgo con favore la seduta odierna in vista del Consiglio “Affari esteri” della prossima settimana e del vertice di Londra convocato dal primo ministro Brown.
La nostra attenzione è stata probabilmente monopolizzata dall’attentato sventato negli USA. In questa sede chiedo che l’attenzione della comunità internazionale si rivolga anche alle trattative di liberazione dell’ingegnere britannico, Anthony S., e degli altri cinque ostaggi europei che lavoravano presso un ospedale locale yemenita, rapiti lo scorso giugno.
I nostri interventi futuri dovrebbero, tuttavia, considerare anche le esigenze interne al paese e non soltanto quelle esterne. Mi riferisco alla lotta alla malnutrizione, più elevata rispetto ad alcuni paesi dell’Africa subsahariana come il Niger; alle violazioni dei diritti umani, come messo in luce dall’onorevole Andrikienė, in un paese che si trova all’undicesimo posto a livello mondiale per numero di esecuzioni, anche sui bambini. Detto questo, come comunità internazionale, non possiamo permettere che i terroristi ci battano sul tempo, ancor prima che ci venga data la possibilità di adottare misure in materia di capacità, governance e sviluppo nei paesi più fragili del mondo.
Accolgo con favore la dichiarazione odierna dell’Alto rappresentante in materia di aiuti e colgo l’occasione per chiederle di adoperarsi affinché gli incontri della prossima settimana portino al paese un contributo effettivo in termini di aiuti finanziari da parte di tutti, dal momento che l’appello lanciato dalle Nazioni Unite a favore dello Yemen ha generato meno dell’1 per cento dei fondi necessari. Come affermato dall’onorevole Brantner, spero che i suddetti incontri portino a un cessate il fuoco e, auspicabilmente, anche a una conferenza di pace in seguito alle recenti ondate di violenza che hanno coinvolto gli Houthi nel nord del paese; che consentano l’accesso agli aiuti umanitari nella regione; che le riserve petrolifere del paese vengano sfruttate per investire nello sviluppo economico e sociale degli yemeniti; che l’Europa si impegni al fine di trovare soluzioni durature alla questione dei prigionieri yemeniti, il più vasto contingente rimasto a Guantánamo Bay.
Auspico altresì che l’Alto rappresentante vagli la possibilità di avviare un progetto PSDC condiviso fra l’Unione europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo in materia di addestramento alla sicurezza, ambito in cui i nostri sforzi sono essenziali per molti paesi.
In ultima istanza, Bin Laden può anche venire dal villaggio di Al-Rubat, nello Yemen, ma è l’assenza dell’impegno della comunità internazionale che fa sì che molti giovani yemeniti diventino dei fondamentalisti in suo nome. Quello che serve è l’impegno della comunità internazionale.
Charles Goerens (ALDE). – (FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, un attentato sventato è sufficiente a non considerare banale il concetto di diritto alla sicurezza dei cittadini. La protezione delle nostre società ci obbliga a perseguire costantemente un giusto equilibrio tra sicurezza e libertà.
Il diritto alla protezione, in particolare da un attentato terroristico, è sancito dall’articolo 188R del trattato di Lisbona e, ancor più precisamente, dall’articolo (credo che volesse dire comma) 4, che attribuisce all’Unione europea e agli Stati membri il diritto di agire in modo efficace. Lo stesso comma stabilisce che il Consiglio Europeo deve valutare, con cadenza regolare, le minacce che incombono sull’Unione. Mi preme chiedere all’Alto rappresentante Ashton di confermare se e in che misura l'Unione europea e gli Stati membri hanno agito in ottemperanza alla suddetta clausola.
Dal suo punto di vista, si sente di affermare che le mancanze da parte dei servizi segreti statunitensi – palesatesi in occasione del recente attentato sventato sul volo 253 da Amsterdam a Detroit – non si sarebbero registrate nell’Unione grazie alla cooperazione vigente al suo interno?
Vi è un quesito fondamentale ai fini della presente discussione: il nome del sospetto terrorista era noto ai servizi segreti europei? A tutti i servizi segreti europei? In caso di risposta negativa, che conclusioni si aspetta di trarre? Ritiene che, in questo momento, il livello di coordinamento e scambio di informazioni tra i servizi segreti sia tale da poter escludere mancanze di questo tipo all'interno dell'Unione?
L’Alto rappresentante considera sufficiente la capacità dei servizi segreti degli Stati membri di cooperare nello spirito di solidarietà sancito dall’articolo 188R?
I cittadini hanno il diritto di pretendere un controllo impeccabile della minaccia terroristica. Risulterebbe loro difficile comprendere perché, da un lato, l’Unione europea continua a trasferire dati SWIFT di carattere personale agli Stati Uniti, mentre dall’altro, nell’Unione si registrano lacune in materia di prevenzione e servizi segreti.
Geoffrey Van Orden (ECR). – Signora Presidente, purtroppo già da molto tempo lo Yemen è una vera e propria incubatrice del terrore, aspetto a cui è stata dedicata scarsa attenzione nel corso degli anni. Conflitti, illegalità e corruzione sono fenomeni fra loro interconnessi.
Non dimentichiamo che se le truppe britanniche sono intervenute nello Yemen all’inizio del XIX secolo l’hanno fatto per mettere fine alla pirateria nel Golfo di Aden e sono riuscite nel loro intento per oltre un secolo. Negli ultimi tempi, lo Yemen è diventato, da un lato, una vera e propria incubatrice del terrore, obiettivo di attentati terroristici, dall’altro, ha esportato il terrorismo in altri paesi. I gruppi terroristici sanno bene come cogliere le possibilità offerte dagli Stati falliti. Dobbiamo intervenire su questo fronte.
Al momento il Regno Unito sta offrendo il proprio aiuto in misura sproporzionata rispetto agli altri. Auspico che la conferenza di Londra esorti anche altri paesi a impegnarsi di più. Mi riferisco all’Unione europea e ad altri Stati regionali.
Ovviamente non possiamo pretendere di domare tutti i focolai del terrore esistenti; di conseguenza, dobbiamo migliorare la sicurezza nei nostri paesi e adottare misure di controllo frontaliero più efficaci. Temo che l’Unione non abbia la giusta motivazione a questo proposito, di conseguenza ogni singolo paese dovrà fare la sua parte.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL) . – (EL) Signora Presidente, gli yemeniti sono vittime del conflitto e dell’intervento imperialisti. Le potenze imperialiste stanno, a mio avviso, fomentando i conflitti interni di matrice etnica, razziale e religiosa. Da anni si avvalgono spesso della forza militare. Stanno mettendo a repentaglio la soluzione pacifica delle differenze in modo da tenere sotto controllo le riserve di energia e i canali di trasmissione energetica della zona.
Gli sviluppi del paese sono sempre stati il risultato delle scelte imperialistiche della NATO e della politica di sostegno al regime profondamente reazionario e anticonformista del paese. Dopo il considerevole aumento degli aiuti finanziari e militari da parte degli Stati Uniti con il pretesto di sconfiggere al-Quaeda; l’inclusione dello Yemen fra i paesi-rifugio per i terroristi; Il bombardamento di alcune zone del paese da parte delle forze armate saudite e la presenza di truppe straniere, non sorprende l’incremento degli interventi militari a carattere imperialistico. Questo aspetto è stato confermato dal marasma che ha fatto seguito all’attentato sventato sul volo Delta. Credo che la popolazione locale risponderà intensificando la lotta alle misure repressive a agli interventi imperialistici di cui sono vittime.
Andrew Henry William Brons (NI). – Signora Presidente, come avrebbe detto Lady Bracknell, già commettere un errore nei confronti del mondo musulmano è spiacevole, ma commetterne due è sintomo di totale noncuranza.
Commetterne tre o più è indice di stupidità, follia o di un atteggiamento deliberatamente provocatorio. Lo Yemen è oggi considerato il nuovo Afghanistan. Le truppe statunitensi sono già in loco in qualità di consulenti. Quanto manca perché gli USA e i loro alleati, Gran Bretagna inclusa, dispieghino delle truppe di terra contro Al-Qaeda?
Cosa dovrebbe fare l’Occidente per contrastare questa minaccia? Dovrebbe innanzitutto porre fine alle guerre nei paesi islamici che stanno uccidendo soldati occidentali, i civili e rendendo ancor più estremisti i giovani islamici nei loro paesi e all’estero. Dovrebbe riportare a casa i propri soldati e impiegarli per la sicurezza dell’Unione, al fine di proteggere i nostri cittadini e le infrastrutture.
Dovrebbe adottare una politica genuinamente neutrale nei confronti del Medio Oriente e abbandonare la politica di parte degli Stati Uniti; dovrebbe bloccare l’immigrazione dai paesi islamici e convincere i fondamentalisti in Occidente che sarebbero molto più felici fra i propri correligionari.
Angelika Niebler (PPE). – (DE) Signora Presidente, Baronessa Ashton, onorevoli colleghi, negli ultimi mesi le condizioni della popolazione e il quadro politico ed economico generale dello Yemen è peggiorato in modo drammatico. Noi europei dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere per stabilizzare il paese.
Alto Rappresentante, la prego di fare in modo che lo Yemen non diventi un nuovo Afghanistan. Dobbiamo fare il possibile per sconfiggere il terrorismo internazionale, ma riusciremo nell’intento soltanto sostenendo anche il processo di pace. Dobbiamo far sì che la pace regni nella regione e sostenere gli sforzi del governo locale in questa direzione. Al governo yemenita andrebbe segnalata, ancora una volta, la necessità di garantire l’assenza di discriminazioni nel paese; solo così potrà regnare la pace. La pace ha bisogno di strutture democratiche a tutela dei diritti delle minoranze. Questo è il percorso europeo, forse diverso da tutti gli altri. Alto Rappresentante, le chiedo, in nome della nuova carica che riveste, di non lesinare sforzi nel seguire questo percorso europeo assieme a noi.
Senza stabilità politica non vi è alcuna speranza per lo Yemen. Grazie alla stabilità politica, l’economia locale potrà riprendersi, si potrà istituire un sistema economico nazionale e si potranno dare nuove speranze per il futuro ai cittadini. Le chiedo di impegnarsi a fondo in questa direzione. Le chiedo, altresì, di far valere la sua autorità e far sì che le truppe ausiliarie in loco possano fornire assistenza umanitaria. Lo Yemen conta più di 130 000 rifugiati somali. La situazione sul campo è drammatica. Ripongo tutte le mie speranze in lei, Baronessa Ashton, nella convinzione che saprà sfruttare appieno il suo ruolo. Interceda anche a favore dei sei prigionieri, tutti cittadini europei – un britannico e cinque tedeschi – tenuti in ostaggio in Yemen. Forse può fare qualcosa per liberarli. Grazie per l’attenzione.
Zigmantas Balčytis (S&D). – (LT) Concordo con la Commissione e con quanti hanno affermato che la situazione nello Yemen è molto tesa. Il paese è devastato e indebolito dalle incessanti guerre tra partiti e dai movimenti separatisti, mentre la popolazione vive nell’estrema povertà. Questa instabilità politica ed economica è fonte di preoccupazione per i paesi confinanti della penisola arabica e rappresenta una minaccia non soltanto per la sicurezza regionale, ma anche per quella globale. La recente intensificazione delle attività dei gruppi terroristici è fonte di profonda preoccupazione. Non dimentichiamo l’attentato sventato o le continue minacce alle ambasciate estere nello Yemen. Gli Stati Uniti hanno già dichiarato che dedicheranno particolare attenzione alla situazione di questo paese. Di conseguenza, oltre ad attuare una politica estera comune, credo che sia dovere del Parlamento, della Commissione e delle altre istituzioni – soprattutto dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona – allineare e coordinare i propri interventi con quelli della comunità internazionale.
Ivo Vajgl (ALDE). – (SL) Parlerò in sloveno, quindi vi prego di seguire l’interpretazione. Lo Yemen è un paese gravemente colpito da conflitti di matrice religiosa e tribale nonché vittima degli errori commessi in passato dalle politiche coloniali e statunitensi. Come qualche collega ha già affermato, abbiamo a che fare, innanzitutto, con il Vicino e il Medio Oriente – una regione instabile e costellata da problemi irrisolti – e in secondo luogo, con la madre di tutte le guerre, quella israelo-palestinese.
Lo Yemen rappresenta tutti questi problemi e non dobbiamo illuderci di avere banalmente a che fare con una semplice realtà locale. Lo Yemen sta lottando contro una guerra civile, i roccaforte di Al-Qaeda, uno Stato debole, dei servizi segreti inefficienti, una scarsa sicurezza e le forze armate militari. Cosa possiamo mai aspettarci dal vertice di Londra?
Alto Rappresentante, a mio avviso il compito più difficile sarà definire un approccio di ampio respiro, ma è proprio quello che dobbiamo fare. Soltanto così potremo risolvere i problemi dello Yemen. Dobbiamo definire un approccio economico e allo sviluppo e offrire allo Yemen l’assistenza necessaria al rafforzamento delle sue capacità statali e amministrative.
Ritengo, tuttavia, che la seconda relazione che vorrei ci illustrasse, Baronessa Ashton, riguardi il fatto che non dobbiamo lasciarci ingannare – nessuno deve farlo – e credere che si tratti banalmente di un altro problema o di un’altra questione risolvibile con l’intervento militare. Temo che siano molti gli indicatori, soprattutto nei media, che suggeriscono che ci stiamo preparando su un nuovo fronte, per un nuovo conflitto armato. Non potrebbe accadere nulla di peggiore nello Yemen; un episodio del genere finirebbe per guastare ulteriormente i rapporti nell’intera regione. Abbiamo già imparato molto dalle avventure militari del passato, dal Vicino e Medio Oriente all’Afghanistan, per citarne solo alcuni.
Struan Stevenson (ECR). – Signora Presidente, prima si è parlato del deterioramento della situazione dei diritti umani e del crudele regime fascista in Iran. Abbiamo visto come i mullah abbiano esportato il terrorismo in Palestina e in Libano e come stiano ora portando il loro vile marchio di terrore anche nello Yemen.
Alla fine di ottobre, i funzionari yemeniti affermarono di aver intercettato una nave carica di armi provenienti dall’Iran. All’epoca arrestarono cinque istruttori iraniani. Sia gli istruttori, sia le armi dovevano raggiungere i ribelli Houthi.
L’Iran è maestro nel combattere le guerre per procura; l’ha già fatto in Palestina e in Libano. Adesso vuole fomentare un conflitto regionale – anche in questo caso per procura – contro l’Arabia Saudita sunnita. Baronessa Ashton, se riuscirà ad affrontare con decisione la questione iraniana eliminerà anche, in buona parte, il cancro che sta consumando il Medio Oriente.
Cristiana Muscardini (PPE). - Signora Presidente, Alto rappresentante, onorevoli colleghi, la profonda crisi politica, economica e sociale dello Yemen è legata alla presenza operativa di Al-Qaeda sul suo territorio e alla visione jihadista che la anima.
Lo Yemen è uno dei paesi più poveri del mondo e la gestione degli scontri interni è irta di difficoltà per le origini religiose del conflitto tra le minoranze sciite e sunnite. Come sottolinea la proposta di risoluzione sono indispensabili aiuti, collaborazione, sostegno per l'implementazione di programmi sociali di assistenza. Ma dobbiamo sottolineare i rischi che anche l'Occidente corre se non si affrontano con lucidità e intransigenza i problemi della sicurezza.
I motivi che spingono i terroristi a formarsi militarmente e a educarsi ad azioni di martirio rappresentano il frutto dell'ideologia della jihad che si sta sempre più estendendo e radicando anche sul continente africano e anche a causa dell'indifferenza e superficialità con la quale la comunità internazionale si è occupata, o meglio non si è occupata, di Al-Qaeda e delle sue emanazioni in Somalia, in Sudan, come nello Yemen.
Dobbiamo ricordare il rapporto di causa-effetto tra la presenza terrorista nello Yemen e le aggregazioni di destabilizzazioni che vengono effettuate nei confronti della Somalia, che è una pedina mossa dalle forze di Al-Qaeda nello Yemen, le quali a loro volta sono, più che dai wahabiti dell'Arabia Saudita, dipendenti dagli ayatollah iraniani, ricevendo armi e denaro. Il sostegno allo Yemen non può essere disgiunto dalla questione della sicurezza.
Arnaud Danjean (PPE). – (FR) Signora Presidente, Alto Rappresentante Ashton, avete ragione quando affermate che, ai fini della sicurezza nello Yemen, è prioritario porre fine ai conflitti al suo interno. Non vanno confuse, tuttavia, le cause con le conseguenze: non volendone assolutamente minimizzare la minaccia, la causa alla radice dell’instabilità nello Yemen non è il terrorismo. Quest’ultimo si sviluppa proprio perché c’è instabilità, a sua volta causata dai conflitti interni. In quest’ottica l’Unione europea dovrebbe prioritariamente sostenere e incentivare gli sforzi a favore del dialogo a livello nazionale con il presidente Saleh.
A livello regionale – come abbiamo appena sentito – sussistono dei legami con la crisi somala e la crisi del Corno d’Africa. Si registrano flussi migratori consistenti, ma anche fenomeni di traffico di armi e spostamenti di combattenti jihadisti fra lo Yemen e la Somalia. A questo proposito, mi preme conoscere la posizione dell’Unione in merito al rafforzamento della capacità di sorveglianza marittima, che riguarda anche lo Yemen.
Filip Kaczmarek (PPE). – (PL) Signora Presidente, lo Yemen è il paese più povero del mondo arabo. L’ho visto con i miei occhi, non molto tempo fa. Senza alcun dubbio la povertà amplifica, o quanto meno contribuisce ad amplificare, i già tanti problemi esistenti nel paese.
Purtroppo, tuttavia, in un mondo globalizzato come il nostro, i problemi dello Yemen stanno diventando problemi di tutti noi. I conflitti interni a cui si fa riferimento nella bozza di risoluzione e di cui abbiamo parlato quest’oggi andrebbero risolti con mezzi politici e le parti in conflitto dovrebbero rispettare i diritti umani e il diritto internazionale umanitario. L’Unione europea dovrebbe impegnarsi per evitare un ulteriore inasprimento della crisi attuale. I nostri aiuti allo sviluppo, se efficaci e ben impiegati, possono contribuire alla stabilizzazione politica, economica e sociale del paese.
La catastrofe, tuttavia, è dietro l’angolo. Qualcuno ha parlato della crisi idrica e dell’esaurimento delle riserve di petrolio grezzo, ma non va dimenticato il problema dell’abuso di khat, da parte del 90 per cento degli yemeniti: si tratta di un arbusto che produce effetti narcotizzanti e allucinogeni e che si sta pian piano sostituendo ad altre colture. A titolo di esempio, un tempo lo Yemen esportava caffè; oggi non può più farlo perché al suo posto viene coltivato il khat, appunto.
Poiché abbiamo a che fare con veri e propri problemi strutturali, il governo yemenita e la comunità internazionale non devono semplicemente adottare misure provvisorie; infatti, anche qualora riuscissimo a fermare Al-Qaeda nello Yemen senza però eliminarne le cause alla radice, i problemi inevitabilmente si ripresenterebbero.
Marietta Giannakou (PPE). – (EL) Signora Presidente, abbiamo visto e sappiamo tutti molto bene che la situazione nello Yemen è drammatica dal punto di vista socio-economico e della coesione sociale. L’acqua scarseggia, le riserve petrolifere si stanno esaurendo e gli abitanti coltivano narcotici.
E' la stessa situazione in cui si trovava l'Afghanistan 26 anni fa, quando, in quest'Aula (in realtà nella vecchia sede del Parlamento europeo) ci preparavamo ad affrontare la situazione con la discussione sui narcotici per il futuro dell'Afghanistan. Se non vengono immediatamente attuati degli interventi a favore dello sviluppo e se non viene accettata la presenza delle Nazioni Unite a tutti i livelli, lo Yemen si troverà senza alcun dubbio nella stessa situazione dell’Afghanistan di oggi, traboccante di problemi irrisolti.
I modi per combattere il terrorismo non sono molti; certo è che quello adottato dall’Occidente non rientra fra questi. L’unico modo di impedire che lo Yemen si trasformi in un avamposto di Al-Qaeda consiste nel raggiungere un accordo con tutti i paesi arabi e non soltanto con l’Arabia Saudita; dobbiamo pertanto impegnarci affinché il paese abbandoni la filosofia tribale e il conflitto civile a favore dei diritti democratici.
Cristian Dan Preda (PPE). – (RO) In realtà l’attentato terroristico sventato lo scorso 25 dicembre sul volo Amsterdam-Detroit è servito a mettere in luce un fatto fondamentale. Ha richiamato l’attenzione della comunità internazionale sulla gravità della situazione nello Yemen, paese in cui, come sappiamo tutti molto bene, sono in corso non uno, ma ben tre conflitti armati. A parte la battaglia che vede protagonisti i separatisti nel sud del paese, il conflitto del nord, nella provincia di Saada, ha ripreso vigore in seguito all’offensiva lanciata dall’esercito del governo circa sei mesi fa contro i ribelli sciiti al-Houthi e in seguito ai bombardamenti contro le basi di Al-Qaeda.
Lo scorso 5 gennaio, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha fatto riferimento alla situazione umanitaria del paese, oggi fonte di profonda preoccupazione e destinata a peggiorare ulteriormente se questi conflitti non si fermeranno. In vista della conferenza internazionale che si terrà a Londra la settimana prossima, ritengo che l’Unione europea debba perseguire una risposta coordinata per garantire la stabilità del paese, la quale potrebbe contribuire, a sua volta, alla sicurezza internazionale.
A mio avviso, la strada per raggiungere l’unità, la stabilità e la democrazia nello Yemen passa necessariamente dalla redazione di un piano di ampio respiro di sostegno militare ed economico e di lotta al terrorismo, che andrà accompagnato da misure specifiche per lo sviluppo economico del paese. Grazie per l’attenzione.
Alf Svensson (PPE). – (SV) Lo Yemen non è soltanto il paradiso di Al-Qaeda. L’abbiamo evidenziato nel corso della discussione odierna. Il paese rischia di diventare un vero e proprio campo di battaglia per due delle maggiori potenze della regione: l’Arabia Saudita e l’Iran. Il governo yemenita ha più volte accusato l’Iran di appoggiare i ribelli sciiti, accusa smentita da quest’ultimo ma avanzata anche dai mezzi di comunicazione sauditi.
Fra le prove a sostegno delle suddette accuse si annoverano l’affermazione da parte del governo yemenita di aver bloccato, nell’ottobre del 2009, un carico di armi iraniane destinate ai ribelli e il fatto che i mezzi di comunicazione iraniani, negli ultimi mesi, abbiano affrontato più spesso – e con un occhio di riguardo – la questione della lotta dei ribelli sciiti. Nello Yemen, dall’offensiva lanciata dall’Arabia Saudita il 4 novembre del 2009 ad oggi, sono morti ottantadue soldati sauditi nel conflitto con i ribelli.
Come già sottolineato, lo Yemen è il paese più povero del mondo arabo, ma va anche detto che si è trovato schiacciato fra le due maggiori potenze della regione: l’Iran e l’Arabia Saudita. Alto Rappresentante Ashton, è in grado di confermare quanto detto e di analizzare la situazione?
Janusz Władysław Zemke (S&D). – (PL) Signora Presidente, concordo con la valutazione presentata dall’Alto rappresentante Ashton. Ha ragione, Alto Rappresentante Ashton, quando afferma che se vogliamo cambiare la situazione nello Yemen servono sia interventi umanitari sia, forse, militari. Se le misure da adottare sono molte e di ampio respiro servirà anche coordinamento poiché non spetta esclusivamente all’Unione europea contribuire al miglioramento della situazione nel paese. Vi sono anche molte altre istituzioni. A questo proposito, mi preme trovare una risposta alla seguente domanda: non crede che gli interventi dell'Unione e delle Nazioni Unite sul fronte umanitario dovrebbero essere meglio coordinati? In ambito militare e di perlustrazione serve anche una maggiore cooperazione con la NATO e i servizi segreti – e mi riferisco in modo particolare ai servizi segreti di determinati paesi. Deve esserci un maggior coordinamento delle suddette misure: solo così sarebbero di gran lunga più efficaci.
Paul Rübig (PPE). – (DE) Signora Presidente, Baronessa Ashton, il mio quesito concerne le forme di cooperazione che, a suo parere, l’Unione europea dovrebbe sviluppare nello Yemen, ad esempio, nel settore delle piccole e medie imprese o in materia di approvvigionamento idrico ed energetico, dal momento che la comunicazione e la creazione di nuovi contatti potrebbero svolgere un ruolo determinante per il futuro del paese. Quali sono i programmi ai quali, Alto Rappresentante, andrebbe data priorità?
Marek Siwiec (S&D). – (PL) Signora Presidente, per poco il presidente del Parlamento europeo non ha dovuto esprimere le proprie condoglianze alle famiglie dei quasi 300 passeggeri del volo che da Amsterdam era diretto a Detroit. Avrebbe dovuto farlo ieri. Non è successo per puro caso. E’ stato necessario questo drammatico episodio perché il mondo si accorgesse del problema dello Yemen, nuova fonte del terrorismo.
E noi siamo qui, inermi, di fronte a una situazione molto simile a quella già vissuta con l’Afghanistan. Siamo qui, inermi, di fronte a quello che sta accadendo nello Yemen mentre l’Europa e questo edificio pullulano di incauti difensori dei diritti umani, dispiaciuti per i prigionieri di Guantánamo. Quei prigionieri sono stati liberati e stanno pianificando nuovi attacchi. Ci saranno altri morti e noi diremo che non c’è nulla che possiamo fare.
Appoggio pienamente quanto affermato dall’onorevole Zemke – senza cooperazione a livello militare, senza la cooperazione dei servizi segreti e senza la cooperazione delle istituzioni impegnate nella lotta al terrorismo finiremo per mettere a repentaglio la salute e la vita dei nostri cittadini.
Catherine Ashton, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione. – Signora Presidente, siamo nuovamente alle prese con una discussione di alta levatura e di ampio respiro relativa a una regione del mondo della quale ci stiamo occupando ormai da diversi anni. Riflettevo sul fatto che, per il periodo 2007-2010, la Commissione ha stanziato 100 milioni di euro in aiuti e ne stanzierà altrettanti. Cionondimeno, si tratta di un ambito che, ancora una volta, ci ha indotti a riflettere sull’importanza di un intervento coordinato e a lungo termine, come già messo in luce da molti di voi.
Credo che le osservazioni dell’onorevole Salafranca siano state riprese in svariati interventi relativi al modo in cui possiamo garantire un coordinamento efficace in termini di sicurezza e collaborazione a livello politico ed economico per dare risposta alle preoccupazioni del paese. L’onorevole Giannakou ha sollevato la questione dell’esaurimento delle risorse idriche e petrolifere. Se non sbaglio, si prevede che lo Yemen sarà il primo paese a esaurire le proprie risorse idriche entro il 2015, una sfida grave e reale.
Per affrontarla dobbiamo definire un approccio integrato; molti di voi si sono chiesti quale sia la strategia da perseguire. Consentitemi di elencarne alcuni componenti chiave: in prima istanza la questione della sicurezza e della lotta al terrorismo. In vista della riunione di Londra dobbiamo collaborare in modo efficace su questo punto, questione già citata da molti di voi: mi riferisco al pacchetto di assistenza e all’impegno nei confronti degli interventi già avviati, ad esempio la missione Atlanta al largo della costa del paese e l’importanza che essa riveste.
Stiamo ora affrontando la questione relativa al miglioramento della sorveglianza marittima, problematica al centro di un recente scambio di opinioni che ho avuto con il ministro della difesa spagnolo per capire come agire ai fini di un migliore e più efficiente coordinamento in materia di sicurezza marittima, sempre tenendo presenti la lunghezza della costa e l’estensione dell’area da coprire.
Siamo riusciti, a mio avviso, nell’intento di definire un approccio di ampio respiro volto a collegare l'un l’altro i vari elementi in gioco e a coinvolgere i paesi confinanti. Onorevole Brantner, lei ha fatto esplicito riferimento al Consiglio di cooperazione del Golfo. Concordo con lei: una parte consistente del nostro approccio consiste nel collaborare attivamente con i paesi della zona e auspico che la riunione di Londra riesca a coinvolgere e far venire in nostro aiuto tutti gli Stati chiave della regione.
La riunione di Londra ci offre la possibilità di un confronto, un confronto con gli Stati Uniti e con altri paesi. Ci impegneremo assieme agli Stati Uniti. E’ scorretto considerare il loro approccio limitato esclusivamente alla lotta al terrorismo: sostengono e hanno adottato appieno un intervento, per così dire, “alla radice”, ancora una volta costituito dall’insieme di operazioni necessarie a garantire un adeguato sostegno al paese.
Per quanto concerne specificamente la questione della sicurezza, si terrà nel fine settimana in Spagna un vertice informale dell'Unione europea sugli affari interni. In quell’occasione sarà presente la controparte statunitense e affronteremo le questioni sollevate da alcuni di voi.
Concordo con quanti sostengono che non sia facile come scrivere una letterina a Babbo Natale. Dobbiamo essere selettivi quando si tratta di scegliere come agire per poter fare la differenza; aiutare lo Yemen a creare al suo interno quel dialogo così necessario alla popolazione e tentare di risolvere alcuni dei conflitti interni è importante quanto qualsiasi altro nostro intervento.
Per quanto concerne la forma di aiuto più appropriata per il paese, credo che anche gli strumenti di stabilità possano essere utilizzati specificamente al fine di garantire un sostegno, sebbene non possano né potranno mai sostituire il tentativo di aiutare il governo a trovare quel dialogo che soltanto il paese, dal suo interno, può creare. Tutte le parti coinvolte devono impegnarsi nei confronti dello Yemen per affrontare i problemi di maggiore rilevanza per quest’ultimo.
A mio avviso, la discussione odierna è stata molto proficua ed è per me fonte di profonda soddisfazione dal momento che mi consente di definire mentalmente i punti dell’agenda che presenterò al Consiglio “Affari esteri” prima, e a Londra poi, dove ci impegneremo nei confronti del governo, come già sottolineato, in tutti gli ambiti in cui possiamo garantire un sostegno continuo nel tempo per aiutare il paese a svilupparsi economicamente, ad affrontare la minaccia del terrorismo e a gestire l’appoggio da parte dei paesi confinanti.
Credo che sia fondamentale, in ultima istanza, riconoscere la drammatica situazione degli ostaggi, già citata più volte: sei ostaggi, di cui un britannico e una famiglia tedesca composta da cinque persone, fra i quali anche dei bambini. So che il ministro degli esteri tedesco Westerwelle si è recentemente recato nello Yemen. Abbiamo affrontato questo argomento proprio questa settimana: il nostro pensiero andrà sempre ai prigionieri che in questo momento stanno soffrendo. Affronteremo tutti questi punti in occasione della riunione di Londra ed esprimo i miei più sentiti ringraziamenti a tutti voi per aver sollevato questioni di tale levatura.
Presidente. − La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà nel corso della prima tornata di febbraio.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Assistiamo da tempo alla convergenza di importanti interessi geo-strategici nella vasta regione che comprende il Medio e il Vicino Oriente, l’Asia centrale e l’Africa settentrionale, inclusi il Mar Rosso e il Golfo di Aden, area in cui lo Yemen riveste una posizione strategica (al confine con la Somalia). Per difendere questi interessi si utilizzano sempre più spesso e con sempre maggiore aggressività mezzi militari. L’attuale situazione vigente nello Yemen e le terribili sofferenze che devono sopportare i suoi abitanti andrebbero analizzate alla luce di questo quadro generale. Il crescente coinvolgimento delle forze armate statunitensi e dell’Unione europea nella regione deve essere riconosciuto e, di conseguenza, condannato. Ne è stata una dimostrazione brutale e ripugnante, fortemente condannata da tutti noi, il bombardamento con missile da crociera e per mano degli USA di una presunta base terroristica di Al-Qaeda, ma che in realtà ha portato soltanto alla morte di decine e decine di civili. La vera soluzione alla complessità dei problemi e alle minacce per la regione deve partire dalla smilitarizzazione della zona, dal rispetto della legislazione nazionale e della sovranità del popolo e da una cooperazione genuina, con lo scopo di risolvere i gravi problemi sociali esistenti.
Bogdan Kazimierz Marcinkiewicz (PPE), per iscritto. – (PL) Signora Presidente, per quanto concerne la questione della sicurezza e della stabilizzazione politica ed economica dello Yemen – problema palesatosi abbastanza spesso negli ultimi tempi – mi preme esprimere la mia preoccupazione in quanto membro della Delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con la penisola arabica. Lo Yemen, il paese più povero del mondo arabo, è diventato un centro di grande interesse per i gruppi terroristici i quali, approfittando della sua debolezza, l’hanno trasformato in una base per la pianificazione di attentati contro obiettivi esterni ai confini yemeniti. Gli osservatori ritengono che lo Yemen sia sull’orlo del collasso a causa della ribellione sciita nel nord, del movimento separatista nel sud e dell’attività terroristica di Al-Qaeda.
Chiedo, dunque, che vengano rafforzati i rapporti bilaterali con lo Yemen e che vengano definiti dei piani ad hoc per l’effettivo miglioramento della sicurezza e della situazione politica, soprattutto in relazione al vertice speciale organizzato dal primo ministro Brown e previsto per il 28 gennaio a Londra.