Presidente. – L’ordine del giorno reca la dichiarazione della Commissione sulle relazioni UE/Tunisia.
Neelie Kroes, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare il Parlamento per avermi invitata a unirmi alla discussione sulla Tunisia.
Le relazioni UE/Tunisia sono disciplinate da un accordo di associazione firmato nel 1995. La Tunisia è stato il primo paese mediterraneo a firmare un accordo di questo tipo e da allora ha compiuto notevoli progressi.
Nelle relazioni internazionali, la Tunisia costituisce un partner vicino e affidabile per l’Unione. I punti di vista espressi e le posizioni assunte all’interno delle organizzazioni internazionali e in altre sedi sono moderati ed equilibrati. La Tunisia è collaborativa su questioni quali la sicurezza e la migrazione e mantiene buone relazioni con i propri vicini della regione del Mediterraneo meridionale. Inoltre, ha sempre mantenuto un ruolo costruttivo a favore dell’integrazione regionale del Maghreb.
La Tunisia prende parte attivamente alla politica europea di vicinato e i rapporti periodici della Commissione relativi all’applicazione, da parte della Tunisia, del piano d’azione della politica europea di vicinato (PEV) esprimono una chiara valutazione: la Tunisia ha fatto progressi in numerose aree di cooperazione, tra cui il piano d’azione.
Le riforme economiche hanno fatto passi avanti, consentendo una crescita stabile dell’economia tunisina nonché del volume di scambi con l’Unione europea. Sono stati raggiunti traguardi importanti anche in ambito sociale, in aree quali l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la lotta alla povertà e la tutela dei diritti delle donne.
Dall’altro lato, i rapporti sottolineano le lacune in ambito di giustizia, libertà di espressione e di associazione.
Il dialogo politico con la Tunisia è continuo su tutte le materie indicate dal piano di azione, trattate in 10 sottocommissioni e gruppi di lavoro. Il consiglio di associazione UE/Tunisia si è già riunito in varie occasioni e la prossima riunione è in programma fra alcuni mesi.
Il 1° gennaio 2008, la Tunisia è diventata il primo paese del Mediterraneo meridionale a godere di un’area di libero scambio con l’Unione europea per i prodotti industriali, con due anni di anticipo sulla data prevista. L’UE è il primo partner commerciale della Tunisia: il 72,5 per cento delle sue importazioni proviene dall’Unione, che è la destinazione del 75 per cento delle esportazioni tunisine. La cooperazione finanziaria europea ammonta a 75-80 milioni di euro l’anno, per i quali la Tunisia ha dimostrato di avere una buona capacità di assorbimento.
Sono stati avviati negoziati anche sulla graduale liberalizzazione del commercio nei servizi e sul diritto di stabilimento, nonché sull’agricoltura e i prodotti ittici. Le conclusioni di tali negoziati e il ravvicinamento delle legislazioni segneranno una nuova fase nelle relazioni tra Unione europea e Tunisia e consentiranno di progredire verso l’integrazione dell’economia tunisina nel mercato unico europeo.
La Tunisia ha chiesto di portare le sue relazioni con l’Unione a un nuovo livello, con l’attribuzione di uno status avanzato. Riteniamo che tali sforzi siano nell’interesse dell’UE e che la Tunisia dimostrerà un vero e proprio impulso a favore di riforme più democratiche e della libertà di espressione. In mancanza di progressi nell’ambito fondamentale dei diritti umani, i notevoli avanzamenti che ho descritto, nonostante la loro importanza, sarebbero considerati incompleti, particolarmente considerati gli standard regionali.
In conclusione, le relazioni tra Unione europea e Tunisia sono solide e amichevoli e riteniamo che vi sia un grande potenziale per un futuro rafforzamento di tali rapporti.
Presidente. - L’ordine del giorno reca gli interventi dei gruppi politici.
Ioannis Kasoulides, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, la Tunisia contribuisce alla stabilità della regione in quanto partner dell’Unione europea per il Mediterraneo e in quanto primo paese ad aver firmato l’accordo di associazione e primo paese con un piano d’azione per l’attuazione della politica di vicinato. Nella regione, la Tunisia è uno dei paesi più avanzati in ambito di uguaglianza di genere e della tutela dei minori e della famiglia ed è ora in attesa di negoziati per ottenere lo status avanzato di partenariato.
I suddetti accordi includono clausole sulla democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani. Sono in programma discussioni per consentire al Parlamento europeo di compiere progressi in questioni molto importanti e delicate. Se davvero vogliamo raggiungere risultati tangibili senza polemiche e critiche, dobbiamo evitare accuratamente ogni accondiscendenza, dimostrando di parlare da pari e non da superiori o ispettori, dando prova di essere disponibili a considerare le preoccupazioni e sensibilità dei nostri partner.
In tale contesto, sono certo che il governo tunisino risponderà con azioni concrete nelle aree tematiche discusse.
Pier Antonio Panzeri, a nome del gruppo S&D. – Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, se dovessimo dare un giudizio sulle relazioni esistenti tra Unione europea e Tunisia il giudizio non può che essere positivo, anche per la stabilizzazione della regione.
È vero, sul piano economico si sono registrati progressi importanti e anche dal punto di vista sociale ci sono segnali incoraggianti. Tuttavia, sul piano politico, dopo le elezioni presidenziali del 25 ottobre scorso si pone il problema di accompagnare con maggiori atti concreti il percorso delle riforme democratiche. Come sappiamo, nel perseguire la sua politica esterna, l'Unione europea ha l'obiettivo di sviluppare e consolidare la democrazia, lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
La Tunisia ha preso impegni importanti nell'ambito del piano d'azione della politica di vicinato in materia di democrazia, di governance e di diritti umani. Il piano d'azione stabilisce una serie di priorità e fra queste un'attenzione particolare dovrebbe essere accordata all'attuazione e al consolidamento delle riforme, al rafforzamento del dialogo politico e della cooperazione, in particolare in materia di democrazia e di diritti umani, di politica estera e di sicurezza.
È in questo quadro che bisogna operare il rafforzamento delle istituzioni, che permettono di aumentare la partecipazione alla vita politica delle varie componenti della società tunisina, di sviluppare maggiormente il ruolo della società civile, di continuare il sostegno ai partiti politici per allargare la loro partecipazione al processo democratico, di rendere possibile ancor di più il rispetto delle libertà di associazione, di espressione e il pluralismo dei media.
Noi siamo convinti che questi obiettivi possono essere raggiunti ed è logico aspettarsi dei passi in avanti in modo concreto. Il nostro impegno è quello di salvaguardare la relazione di amicizia che lega l'Unione europea alla Tunisia, consolidando il legame esistente anche in vista del confronto che potrà aprirsi attorno all'ipotesi di statuto avanzato per questo paese. Ma servono davvero passi concreti in avanti da parte della stessa Tunisia.
Louis Michel, a nome del gruppo ALDE. – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, onorevoli colleghi, innanzi tutto vorrei ringraziare e congratularmi con il commissario Kroes per la posizione assunta dalla Commissione su questo tema. Concordo pienamente con tale punto di vista, poiché, a mio avviso, è molto più ragionevole della posizione assunta da chi ha convocato la discussione odierna, benché non sia sicuro di sapere da chi arriva la proposta.
Come è stato detto, la Tunisia è stato il primo paese euromediterraneo firmatario di un accordo di associazione ed è un attivo partner nella politica europea di vicinato. Va sottolineato che, come ha ricordato l’onorevole Kasoulides, il 1° gennaio 2008 la Tunisia è diventata l’unico paese mediterraneo ad avere una relazione di libero scambio con l’Unione europea. La cooperazione procede molto bene e la Tunisia sta dimostrando una capacità di assorbimento eccezionale. La Tunisia ha compiuto progressi notevoli, che hanno portato a un alto standard di sviluppo con risultati socioeconomici riconosciuti dalle istituzioni internazionali. In termini economici, tra il 2002 e il 2008 la Tunisia ha raggiunto un tasso medio di crescita del 4,6 per cento. E’ inoltre riuscita a ridurre il peso del proprio debito.
In ambito sociale, sarebbe ingiusto ignorare i progressi compiuti, particolarmente a nome delle donne. I numeri parlano da soli: il 59 per cento degli studenti nell’istruzione superiore sono ragazze. L’istruzione è obbligatoria per tutte le ragazze dai 6 ai 16 anni e le donne costituiscono quasi un quarto della popolazione attiva tunisina.
Certamente questi risultati non possono far passare in secondo piano la necessità urgente di invitare le autorità tunisine a compiere ulteriori passi avanti in ambito di diritti umani e governance; siamo consapevoli che vi sia ancora molto da fare. Come altri onorevoli colleghi, sono particolarmente preoccupato da questo tema, per i valori democratici che sosteniamo. Tuttavia, dobbiamo ricordare che non siamo gli unici a servire tali ideali, che sono alla base anche della società tunisina, una società dinamica e pro-europea.
Per questo dobbiamo dare esito positivo alla richiesta della Tunisia di ottenere lo status avanzato nel partenariato con l’Unione europea. Proprio attraverso questo dialogo troveremo il quadro appropriato per incoraggiare i nostri partner a compiere ulteriori progressi in ambito di governance.
Non dobbiamo condurre il dialogo con compiacenza, ma nemmeno ricorrendo al dogmatismo moraleggiante che l’Europa troppo spesso ostenta e che, per di più, è controproducente.
Non sono indifferente, è chiaro, ad alcune questioni sollevate dai miei colleghi. Abbiamo il diritto di chiedere conto ai nostri partner di circostanze che riteniamo inaccettabili, ma vorrei concludere sottolineando il successo della Tunisia nello stabilire un sistema politico basato sul principio di separazione fra Stato e religione.
Le autorità pubbliche tunisine sono in grado di fornire alla popolazione una serie di servizi di base, che altri paesi della regione non sono ancora in grado di offrire e ritengo che sia doveroso ricordarlo. Sono, dunque, assolutamente ottimista sul futuro delle relazioni fra Tunisia e Unione europea, poiché esse sono modellate in un contesto in cui i partner si rispettano reciprocamente e concordano sulle questioni fondamentali.
Hélène Flautre, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, sono turbata dagli interventi pronunciati, dal Commissario e dai miei colleghi. Ritengo che sia necessario impegnarci per ottenere una visione corretta e obiettiva dell’attuale situazione in Tunisia.
Francamente, quando vi ascolto, ho l’impressione di tornare indietro di alcuni decenni e sentire degli intellettuali occidentali che parlano allegramente dei successi economici e sociali dei paesi dell’URSS, nella totale incapacità di andare a vedere con i propri occhi come sono rappresentati nella pratica in tali paesi i nostri valori condivisi. Quali sono i nostri valori condivisi, onorevole Michel? Diritti umani, democrazia e stato di diritto.
Giustamente, avete tutti affermato che la Tunisia è stato il nostro primo partner a firmare l’accordo di associazione. E’ vero, e per questo la situazione è ancor più preoccupante, signora Commissario, perché non stiamo parlando di lievi lacune o di piccoli passi. No. Stiamo parlando di un declino impietoso dei diritti umani e della democrazia in Tunisia. Siete in grado di nominare anche un solo quotidiano, partito o unione che è stato autorizzato negli ultimi 20 anni? No.
La verità è che le libertà fondamentali sono sistematicamente ignorate e, con esse, i nostri impegni. Non si tratta di una questione di moralizzazione, si tratta di rispettare i valori dell’Unione europea, di rispettare gli impegni assunti firmando l’accordo di associazione.
Per tale motivo, richiedo almeno un’analisi comune della questione. Abbiamo lavorato intensamente per giungere alla discussione odierna, ma ritengo che impiegheremmo meglio il nostro tempo se organizzassimo una delegazione che si rechi in Tunisia e incontri la società civile tunisina e i suoi membri, per valutare i continui soprusi subiti dagli attivisti per i diritti umani, da studenti, sindacalisti, lavoratori e avvocati. Si sono verificati sovvertimenti ai vertici in pressoché tutte le associazioni che hanno dimostrato un certo grado di autonomia nei confronti delle autorità. Ritengo, dunque che vi stiate illudendo.
Ascoltando i vostri interventi, comprendo bene perché non vogliate vedere la reale situazione in Tunisia: ritenete che vi siano interessi economici a rischio, nonché interessi legati alla lotta al terrorismo e all’immigrazione clandestina. Avete espresso chiaramente tali preoccupazioni e continuate a parlare dei progressi in ambito di parità di genere e di politica familiare, progressi che risalgono ai tempi di Bourguiba. Non vi sono stati ulteriori passi avanti da allora.
Per tale motivo, ritengo che se ancora conserviamo un po’ di rispetto per noi stessi, per gli accordi che firmiamo, per la politica di vicinato o per i valori dell’Unione, non possiamo proporre lo status avanzato per la Tunisia. Ve lo dirò chiaramente: proponete tale avanzamento di status e rinuncerete a tutti i requisiti e agli impegni legati ai diritti umani e alla democrazia in tutti i paesi del Mediterraneo. Questo sarà il risultato.
Charles Tannock, a nome del gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, la Tunisia è un paese amico e alleato dell’Unione europea, una società prospera, progressista, moderna e meritocratica, unica all’interno del mondo arabo. La Tunisia, inoltre, assume un approccio intransigente riguardo alla questione dell’estremismo islamico jihadista.
In questo paese si sta formando rapidamente un sistema politico pluripartitico e le donne sono membri equi e a pieno titolo della società. Perché dunque cerchiamo di allontanare la Tunisia e i suoi 10 milioni di cittadini? Forse perché siamo invidiosi dei loro successi, o forse perché è un paese di dimensioni ridotte e non possiede petrolio quindi non presenta vantaggi economici per l’Unione, come, invece, la Libia o l’Arabia Saudita.
A mio avviso, chi ha organizzato la discussione odierna sta compiendo uno sforzo deliberato per sabotare gran parte dei progressi nelle relazioni UE-Tunisia degli ultimi anni. Risulta particolarmente irritante che la presente discussione si stia svolgendo contemporaneamente alla visita di alcuni parlamentari tunisini a Strasburgo i quali, se non sbaglio, sono seduti lassù e stanno assistendo alla discussione.
La Tunisia ha bisogno del nostro sostegno, incoraggiamento e dialogo e non di un flusso costante di invettive. E’ quantomeno ironico che la sinistra, la quale afferma di essere sempre a favore dei diritti delle donne, attacchi la Tunisia, nonostante offra alle donne opportunità e libertà senza precedenti all’interno del mondo arabo.
Il fatto che le autorità tunisine vietino di indossare l’hijab in luoghi pubblici indica la loro determinazione a tutelare i valori di laicità, tolleranza e libertà. Dovremmo rispettare la Tunisia quale partner euromediterraneo avanzato.
Presidente. - Non ero stato informato della presenza di una delegazione tunisina, hanno fatto un cenno con la mano quando l’onorevole Tannock li ha menzionati. Vorrei darvi il benvenuto in galleria.
Marie-Christine Vergiat, a nome del gruppo GUE/NGL. – (FR) Signor Presidente, onorevoli deputati, è per me un piacere assistere alla presente discussione sulla situazione dei diritti umani in Tunisia. Il Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica ha avuto un ruolo molto importante nell’organizzazione della discussione. Ho sempre difeso i diritti umani, ma va ricordato che essi sono uguali in tutto il mondo.
Mi dispiace che la discussione odierna non sia accompagnata da una votazione su una possibile risoluzione. Verba volant, scripta manent. In qualità di partner di più lunga data dell’Unione, la Tunisia riceve le più alte somme di aiuti pro capite tra tutti i paesi del Sud e partecipa con entusiasmo alla creazione di un’area di libero scambio sulle rive del Mediterraneo, a tal punto che i suoi leader iniziano a reclamare i dividendi e a richiedere i benefici di uno status avanzato.
Sono completamente d’accordo con le osservazioni fatte dall’onorevole Flautre e condivido la sua preoccupazione su alcuni punti. Gli accordi di partenariato dell’Unione includono ora alcune clausole sulla democrazia e sui diritti umani che devono essere esaminate con la stessa attenzione riservata a quelle economiche. Il problema, signora Commissario, è che la relazione di attuazione della politica di vicinato non è soddisfacente su questo tema. Ci troviamo davanti a un perfetto esempio di applicazione di “due pesi e due misure”.
Il 25 ottobre il signor Ben Ali é stato rieletto presidente per il quinto mandato, ottenendo oltre l’89 per cento dei voti. Questo dato da solo indica lo stato della democrazia nel paese. Una democrazia chiusa, nella quale gli attivisti per i diritti umani, magistrati, avvocati, giornalisti, in breve, chiunque osi sfidare il regime viene perseguitato, arrestato e, in alcuni casi, addirittura torturato.
Fin dallo scorso settembre, vi è stata una vera e propria deriva verso uno Stato di polizia autoritario, come dimostra il caso di Taoufik Ben Brik, che sarà processato il prossimo sabato. Potemmo anche citare Zouhair Makhlouf, arrestato per aver parlato delle condizioni ambientali nel proprio paese, e Fahem Boukadous arrestato per aver partecipato a manifestazioni di lavoratori nel paese.
Sì, questa é la situazione sociale in Tunisia. Gli attivisti per i diritti umani, come Kamel Jendoubi, Sihem Bensedrine, Sana Ben Achour e Kemais Chamari sono vittime di una campagna stampa vergognosa. Sadok Chourou é rimasto chiuso in prigione per 16 anni e Radhia Nasraoui, il suo avvocato, è stata più volte infangata e ha visto la sua carriera irrimediabilmente rovinata.
Gli studenti sono arrestati e condannati in modo totalmente arbitrario, come tutti gli altri. I loro passaporti sono trattenuti o non rinnovati e ad alcuni attivisti per i diritti umani è impedito di lasciare il territorio per testimoniare. Sono vietate le riunioni di associazioni indipendenti dal potere costituito, i loro ospiti sono seguiti e non dispongo di tempo sufficiente per fornire un quadro esauriente della realtà della politica sociale tunisina.
Perché il governo tunisino impiega tanto tempo per rispondere alla relazione ONU? Perché ha rifiutato di accogliere gli osservatori europei se le elezioni sono così democratiche come affermano? I fatti sono chiari e sono raccontati sempre più spesso dai giornali dei nostri paesi.
La Commissione e il Consiglio devono tenerne conto. La Tunisia deve rispettare i propri impegni in materia di democrazia e diritti umani. Non è accettabile l’assegnazione dello status avanzato. Sì, sono a favore di partenariati equi! E sì, tutti i paesi del mondo devono essere trattati allo stesso modo, a patto che tengano fede ai propri impegni. Concludo qui, signor Presidente.
Gerard Batten, a nome del gruppo EFD. – (EN) Signor Presidente, sembra che, in generale, la situazione della Tunisia sia positiva. La società tunisina è la più stabile dell’Africa settentrionale. Dispone di ciò che tecnicamente è definito democrazia anche se, secondo i canoni occidentali, si può parlare di semi-democrazia, ma non dovremmo criticarli per questo, poiché hanno compiuto molti progressi. Vi è una politica ufficiale per il raggiungimento della democrazia piena e la Tunisia è una società stabile con un alto livello di sicurezza personale, raggiunto grazie alla repressione degli estremisti islamici e comunisti, un prezzo che vale la pena di pagare. La politica ufficiale tunisina è la ricerca dell’unità culturale, la creazione di una nazione: questa è una lezione che molti Stati europei, incluso il mio, il Regno Unito, dovrebbero imparare.
Economicamente, la Tunisia sta facendo progressi. Solo il 7 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Gli standard sanitari tunisini sono fra i migliori dei paesi del Nord Africa, con un’aspettativa di vita relativamente lunga. Politicamente, la costituzione limita il numero di seggi che possono essere occupati da un partito alla Camera dei deputati, dove il 20 per cento dei seggi è riservato ai partiti di minoranza. Mi sembra una norma particolarmente illuminata se confrontata con il sistema uninominale britannico che, a mio avviso, è una cospirazione contro gli elettori per mantenere il partito Conservatore e quello Laburista in Parlamento e lasciare fuori tutti gli altri. Potremmo, dunque, imparare qualcosa dalla Tunisia.
A proposito del Regno Unito, il mio partito, lo UKIP, è stato criticato la scorsa settimana da alcuni estremisti islamici e presunti liberali quando ha proposto un piano secondo il quale i volti delle persone devono essere scoperti nei luoghi pubblici e negli edifici privati, se così disposto dagli occupanti. Guardate invece cosa ha fatto la Tunisia: la legge n. 208 vieta l’hijab, il che va ben oltre qualsiasi altra proposta. Il ministro per gli Affari religiosi, Boubaker El Akhzouri, ha criticato aspramente l’hijab come “contrario all’eredità culturale” del paese, considerando l’abbigliamento islamico “un fenomeno straniero” nella società. Questo è molto interessante, considerando che proviene da un paese islamico. Più cose scopro sulla Tunisia, migliore è l’impressione che ne traggo. Tuttavia, ho visto alcuni dati secondo i quali sono necessari 70 milioni di euro per progetti fondamentali nel quadro della politica europea di vicinato. I miei elettori, alcune tra le persone più povere di Londra, non possono permettersi una spesa simile. Vogliamo scambi, amicizia e cooperazione con la Tunisia ma non derubando i contribuenti nel Regno Unito. Aiutiamo la Tunisia a rafforzare la democrazia e a creare maggiore prosperità e, se vogliono un consiglio, aiutiamoli a rimanere lontani dall’Unione europea e a mantenere la propria libertà e indipendenza.
Andreas Mölzer (NI). – (DE) Signor Presidente, le relazioni commerciali tra Unione europea e Tunisia sono strette e multisfaccettate. La Tunisia riceve 80 milioni di euro all’anno in aiuti finanziari ed è un brillante esempio di politica di sviluppo di successo. Economia emergente, la Tunisia ha assunto una posizione di primo piano nel Maghreb, è stato il primo paese mediterraneo a creare un’area di libero scambio con l’Unione e ora ne sta raccogliendo i frutti con una solida crescita economica. La Repubblica tunisina dovrebbe dunque avere un ruolo costruttivo nelle deliberazioni riguardanti la tabella di marcia per il commercio nella zona EuroMed oltre il 2010 e la cooperazione con i paesi del Maghreb.
Ora, potremmo pensare che la situazione sia rosea, se non fosse per la presenza di un paragrafo che collega gli aiuti europei all’accordo di partenariato per il rispetto dei diritti umani. Qui sta la contraddizione: il denaro utilizzato per stimolare l’economia tunisina è utilizzato anche per sostenere un apparato dittatoriale antidemocratico. E’ un problema comune dei nostri aiuti allo sviluppo e di associazione. Il problema deve essere risolto perché l’Unione europea non può promuovere, nemmeno indirettamente, la violazione dei diritti umani in Tunisia, Congo o, ovviamente, Turchia, paese candidato.
Salvatore Iacolino (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Tunisia, come tutta la regione del Maghreb, rappresenta un'area strategica rilevante. Ha un'enorme potenzialità di crescita ed è area attrattiva di forti interessi, non soltanto economici, soprattutto europei.
Anche di recente sono stati attivati programmi con l'Unione europea che tendono alla cooperazione transfrontaliera. È tempo quindi di rilanciare, semmai, i rapporti intrapresi dall'Unione europea con i paesi africani frontalieri, a cominciare proprio dalla Tunisia, valorizzando appieno le potenzialità di quest'area e sostenendone il relativo sviluppo sociale ed economico, tuttavia in un quadro di libertà e di sicurezza.
Il legame fra i popoli del Mediterraneo è l'elemento portante per dare coesione e forza ad un ambizioso programma di sviluppo economico e sociale. Sul piano politico si può dire che la Tunisia è un paese dove la democrazia è ancora relativamente giovane, ma il piano di azione definito sembra in linea con le attese dell'Unione europea.
La nascita di nuovi partiti e una discreta presenza femminile in Parlamento in seguito alle elezioni di fine ottobre 2009 certificano un significativo avanzamento della partecipazione democratica. Va in ogni caso potenziata e difesa la libertà di stampa così come le pari opportunità uomo-donna e più generalmente i diritti fondamentali della persona.
È in questo contesto che si può agevolare il completamento del percorso intrapreso dalla Tunisia rimuovendo ogni possibile limite alla piena espansione in quel territorio della persona umana e tutto questo all'interno di uno statuto più avanzato.
La centralità della Tunisia nel Mediterraneo e il processo di modernizzazione avviato in quel paese impongono un approccio serio ed equilibrato che porti ad una compiuta affermazione dei valori in cui l'Unione europea crede. Sulla strada della democrazia il Parlamento europeo oggi più che mai non si può permettere errori.
Il dialogo costruttivo ed una diplomazia attenta possono invece consolidare ulteriormente un rapporto destinato ad essere rafforzato in un paese che in alcuni settori – giustizia e libertà di associazione – dev'essere aiutato a crescere, ma un paese, lo ripeto, che è assolutamente centrale e nevralgico nella politica di stabilità del Mediterraneo.
Carmen Romero López (S&D). – (ES) Rispettare la Tunisia significa anche rispettare la sua opposizione democratica, la quale sta cercando di organizzarsi, ma é continuamente repressa; significa rispettare la sua società civile, ossia l’opposizione del futuro. Vorrei rivolgere il mio saluto agli onorevoli parlamentari presenti a questa discussione, ma voglio rivolgere il mio saluto anche ai possibili parlamentari del futuro, che in questo momento sono minacciati e forse arrestati. Per tale motivo, riteniamo importante che la società civile si organizzi e che l’opposizione democratica sia rispettata, anche se non ancora organizzata.
In Spagna, e posso affermarlo in quanto eurodeputata spagnola, abbiamo conosciuto una società in cui l’opposizione democratica era torturata e repressa durante la dittatura. L’opposizione, quando non è terrorista, bensì democratica, ha dei valori, i valori del futuro. Per tale motivo, dobbiamo aiutare l’opposizione, che attualmente non è organizzata, ma è democratica e che sta lottando per i valori della transizione tunisina e per la loro consolidazione. Dobbiamo aiutarla a organizzarsi.
Dobbiamo dare il nostro sostegno all’opposizione affinché possano essere i leader e i protagonisti del futuro, all’opposizione o al governo, perché la rotazione è fondamentale all’interno di una società democratica.
Per questo l’escalation di violenze cui stiamo assistendo, e che potrebbe aumentare d’intensità in futuro, non è il miglior biglietto da visita per ottenere lo status avanzato.
Sappiamo che la Tunisia è membro del partenariato euromediterraneo, dalla forte vocazione mediterranea e democratica. Per tale motivo, in questo periodo, chiediamo che contribuisca al proprio consolidamento democratico e che sia in grado di organizzarsi in modo da poter essere un partner leale, che contribuisca a rendere il Mediterraneo un’area emergente con valori democratici.
Questo è quanto desideriamo per il futuro, nonché per la Tunisia.
Tomasz Piotr Poręba (ECR). – (PL) Signor Presidente, la Tunisia è senza dubbio un partner con il quale l’Unione europea dovrebbe mantenere relazioni a nome della regione del Mediterraneo e a livello bilaterale. Pur tenendo a mente le questioni economiche, in quanto Unione europea dovremmo insistere sulla trasparenza delle procedure democratiche e sullo stato di diritto nel paese.
Nonostante la Tunisia sia un paese stabile, purtroppo non è un paese in cui sono rispettati tutti gli standard democratici. Le organizzazioni non governative internazionali affermano che le forze di sicurezza locali torturano i prigionieri e agiscono nell’impunità, perché sono protette da ufficiali di alto rango. La libertà di stampa e la libertà di espressione sono notevolmente ridotte e la situazione dei giornalisti è considerata una delle peggiori tra tutti i paesi arabi. La repressione spesso ha uno sfondo religioso. Le persecuzioni delle minoranze cristiane sono sempre più inquietanti. Il governo tunisino non tollera espressioni di protesta o l’esistenza di un’opposizione indipendente.
Proprio perché la Tunisia è stata il primo paese mediterraneo a firmare un accordo di associazione con l’Unione europea, dobbiamo insistere sull’osservanza dei termini di tale accordo. Il rispetto dei diritti umani e degli standard democratici in Tunisia deve essere imposto come condizione per la prosecuzione della cooperazione con tale paese.
Dominique Baudis (PPE). – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, per evitare ogni ritratto caricaturale, e ne abbiamo già sentiti alcuni questa mattina, vorrei citare alcuni dati obiettivi sulla Tunisia, uno Stato partner dell’Unione europea.
La situazione sociale si è sviluppata molto positivamente, con un notevole aumento del reddito medio pro capite e ora, la grande maggioranza della popolazione tunisina possiede i criteri per essere definita appartenente alla classe media. Oltre il 90 per cento dei tunisini beneficia di una copertura sociale, oltre un quarto del bilancio tunisino è destinato all’istruzione e grazie a tali risorse, la Tunisia è stata uno dei primi paesi a raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio in ambito di istruzione primaria.
Infine, come ha sottolineato l’onorevole Michel poco fa, i diritti delle donne sono riconosciuti e garantiti. A livello universitario, il numero di studentesse è superiore a quello dei loro colleghi maschi e il 40 per cento dei professori sono donne; il 25 per cento di politici, funzionari locali e giornalisti sono donne. Molti paesi invidierebbero tali statistiche.
Sylvie Guillaume (S&D). – (FR) Signor Presidente, vorrei unire la mia voce a coloro che già hanno denunciato la situazione particolarmente preoccupante in cui si trova il giornalista e scrittore Taoufik Ben Brik in Tunisia.
Sulla scia di numerosi arresti di giornalisti e sindacalisti, vittime di violenza e maltrattamenti, e in seguito al rifiuto di consentire l’ingresso nel paese ai giornalisti stranieri durante le elezioni presidenziali, continua la repressione contro gli oppositori politici e gli attivisti per i diritti umani. In seguito a un processo farsa e all’incarcerazione lontano dalla famiglia, che rende le visite difficili, Taoufik Ben Brik si trova in uno stato di salute che fa temere per la sua vita.
Come è possibile non definire questa situazione come un violento attacco contro qualcuno che infastidisce il potere? Per tale motivo, non possiamo semplicemente utilizzare gli scambi come soluzione per ogni problema. Al contrario, ritengo che sia fondamentale una ferma e rapida reazione dell’Unione europea, che richieda la scarcerazione di Taoufik Ben Brik e di altri prigionieri di coscienza.
La situazione dei diritti umani in Tunisia ha subito un preoccupante declino e si ripercuote sulla cooperazione europea con tale paese. Un miglioramento tangibile costituirebbe un requisito fondamentale nell’apertura di negoziati sullo status avanzato del partenariato UE-Tunisia.
Michael Gahler (PPE). – (DE) Signor Presidente, abbiamo delle buone basi per la cooperazione con la Tunisia. L’accordo di associazione e l’accordo di libero scambio sono già stati citati. Il commissario Kroes ha menzionato la possibilità di integrare l’economia tunisina all’interno del mercato unico. E’ il massimo che si possa fare per un paese esterno all’Unione europea e ciò costituisce una solida base. La Tunisia è un partner stabile e un paese amico, che dimostra un grande potenziale per l’ulteriore consolidamento delle nostre relazioni, per citare nuovamente il commissario Kroes.
Considerando tali strette relazioni, possiamo parlare ai nostri colleghi delle questioni che ci preoccupano. Personalmente, sono in contatto con i nostri colleghi tunisini, presenti oggi in Aula, e ritengo sia possibile, e necessario, parlare di ogni argomento.
In questo contesto, tuttavia, non dobbiamo annullare tutti i benefici ottenuti solamente per cancellare i fallimenti. In Tunisia, troviamo anche una situazione in cui il paese, uno Stato arabo che vuole svilupparsi in modo laico, è minacciato dagli estremisti. Io sono a favore di chiunque agisca contro gli estremisti islamici.
Per quel che concerne le altre questioni, sono convinto che faremo progressi nelle discussioni in corso. Possiamo parlare di qualunque argomento con la Tunisia, perché è un partner affidabile. Attendo dunque con interesse la prosecuzione del nostro dialogo.
Cristian Dan Preda (PPE). – (FR) Signor Presidente, come è già stato sottolineato, la Tunisia è un partner importante dell’Unione europea; è stato ricordato anche il ruolo fondamentale del settore sociale in tale paese. Vorrei aggiungere alcuni aspetti politici rilevanti: la Tunisia è una società multipartitica, anche se in modo limitato, con una quota per l’opposizione, certamente, ma comunque è una società multipartitica. Abbiamo parlato anche della questione della parità di genere.
In tutti i nostri paesi, i paesi europei, le opinioni politiche coesistono con la libertà di stampa ed è questo fattore che segna la differenza poiché in Tunisia tale libertà esiste, ma è limitata e vi sono giornalisti in difficoltà.
La domanda a questo punto sorge spontanea: un avvicinamento all’Unione europea aumenterebbe tale libertà? A mio avviso, un avvicinamento all’Unione potrebbe consentire alla Tunisia di integrare i progressi sociali con un notevole passo avanti in ambito politico.
Harlem Désir (S&D). – (FR) Signor Presidente, signora Commissario, lei ha affermato di augurarsi che la Tunisia compia progressi in ambito di riforme democratiche e di libertà di espressione. Ha ragione, essendo tali speranze in linea con l’accordo di associazione e gli impegni che la Tunisia si è assunta nei confronti dell’Unione europea.
Per tale motivo, sono molto sorpreso dai commenti dell’onorevole Baudis e dell’onorevole Michel, i quali sembrano invitarla a ignorare tale aspetto della nostra relazione e cooperazione con la Tunisia e a rinunciare all’articolo 2 dell’accordo di associazione.
La strada che porta al raggiungimento degli impegni è ancora molto lunga, a giudicare dal caso, citato dalla mia collega, l’onorevole Guillaume, del giornalista indipendente Taoufik Ben Brik, in prigione dallo scorso ottobre in seguito a un processo in cui i suoi avvocati e le procedure erano in evidente violazione della legge. Oltre all’inaccettabile revoca della sua libertà, la sua salute sta peggiorando e i suoi permessi di visita sono stati ridotti.
Pertanto le domando, signora Commissario: la Commissione intende intervenire nel quadro del Consiglio di associazione per richiedere l’immediata liberazione del signor Ben Brik e per assicurarsi che siano presi in considerazione il suo stato di salute e la sua situazione, almeno per motivi umanitari?
Malika Benarab-Attou (Verts/ALE). – (FR) Signor Presidente, il 14 gennaio ho incontrato i membri della delegazione tunisina. Abbiamo avuto un franco scambio di opinioni e abbiamo discusso i rispettivi punti di vista.
In quanto franco-algerina, sono impegnata nei confronti della regione magrebina conducendo una campagna a favore di un Maghreb unito, pluralista e democratico. La questione dei diritti umani è per me di importanza centrale ed è uno dei valori fondamentali dell’Unione europea. La discussione su tale questione, come appare in Tunisia, è centrale e pertinente.
Ieri mattina ho incontrato la moglie del signor Ben Brik, che sta portando avanti uno sciopero della fame, nonché alcuni attivisti della rete euromediterranea dei diritti umani e posso dire di essere preoccupata. Sembra che il signor Ben Brik sia a rischio di vita a causa della malattia e delle condizioni di detenzione. Sono certa che vi rendete conto che se tale preoccupazione dovesse trasformarsi in realtà, la responsabilità ricadrà pesantemente sulle autorità tunisine.
Oltre alle relazioni commerciali dobbiamo tenere conto anche delle questioni sociali. Il fenomeno dei giovani tunisini che si gettano nel Mediterraneo è il risultato di una società chiusa che non offre alcuna prospettiva ai propri giovani. La difesa dal fondamentalismo e dai problemi economici non deve fungere da pretesto per ignorare i diritti umani, in relazione ai quali sono necessari passi avanti reali. Non stiamo parlando di un accanimento moralizzatore, ma di una situazione urgente che l’Unione europea deve contribuire a risolvere.
Alf Svensson (PPE). – (SV) Quando si parla dei paesi del nord Africa, spesso si tende a fare di tutta l’erba un fascio e ritengo che ciò vada a svantaggio della Tunisia.
E’ stata citata l’uguaglianza. Rispetto ad altri paesi arabi, la Tunisia rappresenta un’eccezione per la sua legislazione a tutela di minori e donne. Come è già stato ricordato, le università tunisine hanno un numero maggiore di studentesse rispetto ai loro colleghi maschi e il tenore di vita è aumentato, le infrastrutture del paese sono in buone condizioni e, dalle elezioni, il parlamento ha eletto, o nominato, una commissione per i diritti umani.
La volontà della Tunisia di cooperare con l’Unione europea è un’opportunità che dovremmo cogliere al volo. Ora la Tunisia ha inviato una delegazione in visita a Bruxelles e Strasburgo e ha chiesto sostegno nel suo lavoro di promozione dei diritti umani tramite lo sviluppo e il consolidamento dei legami con l’Unione: a mio avviso, sarebbe contrario ai principi dell’Unione europea negare un’accoglienza positiva a tali richieste e non sviluppare ulteriormente le nostre relazioni.
Rosario Crocetta (S&D). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, per me che vado dal 1982 in Tunisia due-tre volte l'anno e il 6 gennaio scorso da cattolico sono entrato a sentire la messa, come faccio regolarmente, mi risulta veramente difficile pensare alla Tunisia come un paese che opprime la libertà religiosa.
Ci sono dei problemi, però guai a guardare questi paesi, paesi che cercano una via di sviluppo, con l'occhio dei paesi occidentali, perché se noi utilizzassimo questo parametro, i parametri che stamane qualcuno sta utilizzando nei confronti della Tunisia, probabilmente alcuni paesi europei non potrebbero entrare all'interno dell'Unione perché il livello di violenza e di negazione delle libertà che c'è in alcuni paesi europei è superiore a quello che c'è in Tunisia.
Allora, la questione è partire da un fatto concreto: che ci troviamo di fronte a un paese che ha abolito l'integralismo islamico, che cerca di portare avanti una politica di cooperazione e di pace con l'Europa, che cerca di evolvere. Ci sono dei problemi: io credo che il modo per risolvere questi problemi è intensificare il dialogo e l'amicizia e aiutare questi paesi a fare di più.
Neelie Kroes, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, ringrazio gli onorevoli parlamentari per essere stati così aperti e diretti e per aver presentato le proprie osservazioni in modo che, sebbene alcuni gruppi abbiano approcci differenti, l’enfasi sia sempre rivolta al modo per trovare una soluzione.
Ciò detto, vorrei iniziare con un’osservazione in risposta all’intervento dell’onorevole Désir che ha fatto riferimento a un’osservazione dell’onorevole Michel. Sono certa che l’onorevole Michel possa parlare per sé, ma poiché siamo stati parte della stessa squadra in una vita precedente, per così dire, conosco la sua posizione riguardo alla presente questione. Se l’onorevole Désir intende dire che il suggerimento che ci è giunto sia quello di non fare nulla, non è la stessa impressione che ho avuto io, e mi auguro sinceramente che non sia l’impressione che hanno trasmesso le mie dichiarazioni iniziali.
Certamente, vi sono differenze di approccio. Alcuni invocano un dialogo paritario, come promosso dall’onorevole Kasoulides. Vi sono state richieste di legami di amicizia. Questi approcci richiedono di sedersi intorno a un tavolo e discutere i vari temi con l’obiettivo di raggiungere un accordo reciproco su come risolvere determinate questioni su cui tutti concordiamo. Non vi è alcun dubbio a riguardo, poiché i diritti umani e la libertà di espressione sono una parte fondamentale di ogni accordo.
Con queste premesse, vorrei soffermarmi brevemente su alcune delle questioni sollevate. In primo luogo, istituzioni rafforzate: in tutti gli incontri previsti nei prossimi mesi, cercheremo di promuovere e incoraggiare la creazione di un dialogo regolare quale mezzo per fare progressi fondamentali in termini di diritti umani e democrazia.
Nei prossimi mesi, si terrà un incontro della sottocommissione sui diritti umani e potete stare certi che avrà luogo un dialogo sostanziale, che tratterà questioni che coinvolgono tutti noi e il modo in cui affrontarle.
Per quel che concerne le violazioni dei diritti umani in Tunisia, gli oratori hanno sempre menzionato il fatto che la Tunisia sia stata criticata per il suo curriculum sui diritti umani. Dalle elezioni presidenziali e legislative dello scorso ottobre, è stata intensificata la repressione contro partiti dell’opposizione, giornalisti e attivisti per i diritti umani. La comunità internazionale ha affermato chiaramente che tale comportamento da parte delle autorità è inaccettabile e contrario agli impegni internazionali della Tunisia. Dunque, per ribadire quanto ho già affermato, all’interno dell’Unione europea non possono esservi fraintendimenti: gli impegni sono impegni e questa è la linea da mantenere.
La Tunisia deve senz’altro mostrare un impegno maggiore nei confronti dei valori comuni quali il rispetto dei diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto. Dovrebbe, tra l’altro, rispettare anche i propri impegni internazionali in tale ambito. La Commissione porterà avanti la nostra politica di impegno e dialogo, particolarmente nel quadro degli organi creati dall’accordo di associazione.
Nel contempo, l’Unione fornisce il proprio sostegno per migliorare la governance e promuovere riforme in ambito di giustizia attraverso la cooperazione e l’assistenza tecnica. La nostra priorità è compiere dei progressi con la Tunisia, ad esempio promuovendo attivamente le organizzazioni della società civile e gli attivisti per i diritti umani tramite lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani.
Vi sono notevoli sforzi anche in ambito di cooperazione giudiziaria. L’Unione ha stanziato 17,5 milioni di euro a un fondo per un progetto di assistenza tecnica per la modernizzazione dell’apparato giudiziario. Alcuni onorevoli membri di questa Camera hanno criticato l’iniziativa perché finanzia il sistema giudiziario del presidente tunisino.
Il progetto ha varie componenti: formazione di giudici e avvocati, sostegno tecnico ai tribunali, infrastrutture e informazione migliorata per i cittadini. Quando il progetto sarà completo, valuteremo i risultati. Concordo sul fatto che operare in tale area ci espone a determinati rischi politici, ma, se vogliamo promuovere una riforma, dobbiamo agire, altrimenti la cooperazione europea sarà confinata unicamente al settore economico. Concordiamo tutti sul fatto che non sarebbe l’approccio più corretto e non sarebbe coerente con gli obiettivi della nostra politica generale riguardo alle relazioni con la Tunisia.
Per quel che concerne la questione affrontata dall’onorevole Flautre e dall’onorevole Vergiat, lo status avanzato della Tunisia, ritengo che tale priorità debba essere assegnata alla prosecuzione e al consolidamento del dialogo con la Tunisia. Siamo consapevoli del fatto che si tratta di un alleato importante per l’UE nella regione e che ha compiuto notevoli progressi in termini di modernizzazione economica e sociale, ma probabilmente la questione si riduce alla differenza fra chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi lo vede mezzo vuoto. Ciò detto, riteniamo necessario continuare la nostra politica di sostegno alle forze tunisine che operano per la modernizzazione economica, politica e sociale del paese. Siamo a favore delle proposte della Tunisia nell’ottica di un rafforzamento delle nostre relazioni. Il Consiglio e la Commissione esamineranno tali questioni attentamente e sono disponibile a comunicarvi ogni sviluppo.
Dall’altro lato, sebbene sia nell’interesse dell’Unione consolidare le relazioni con la Tunisia, ritengo che lo status avanzato richieda un forte impegno da parte della Tunisia in termini di diritti umani e governance, e quindi dovrà guadagnarselo.
Presidente. – La discussione è chiusa.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Edward Scicluna (S&D), per iscritto. – (EN) La discussione odierna mi sembra fuori luogo in un momento in cui il dialogo fra Tunisia e Unione europea sta riprendendo sia a livello parlamentare, sia a livello di Commissione. Il dialogo con la Commissione ha affrontato anche la questione della programmazione degli incontri di numerose sottocommissioni nel quadro dell’Accordo di associazione Tunisia-UE (inclusa la sottocommissione sui diritti umani e la democrazia), mentre il dialogo a livello di Parlamento europeo ha assunto la forma della recente visita a Bruxelles di un’importante delegazione parlamentare tunisina, in rappresentanza di quattro partiti politici rappresentati alla camera dei deputati tunisina, oltre all’incontro interparlamentare UE-Tunisia in programma a marzo 2010 a Bruxelles. In un momento in cui sta riprendendo un dialogo importante e costruttivo tra Tunisia e Unione europea, ritengo sia inappropriato dare luogo a una discussione che potrebbe rovinare i progressi raggiunti. Assicuriamoci che la Tunisia e altri Stati non-UE adottino gli standard europei nella sfera politica, economica e sociale, ma facciamolo all’interno di un dialogo strutturato e ben organizzato.
3. Discussioni su casi di violazione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto
3.1. Recenti violenze contro le minoranze religiose in Egitto e Malesia
Presidente. - L’ordine del giorno reca la discussione sulle recenti violenze contro le minoranze religiose in Egitto e Malesia(1).
Marietje Schaake, autore. – (EN) Signor Presidente, durante la settimana del Natale copto, ha avuto luogo un attentato che ha ferito o ucciso 20 egiziani copti. Nonostante l’attacco possa essere considerato un atto criminale di pochi individui, vi sono numerosi altri episodi che richiamano la nostra attenzione sul rispetto delle minoranze religiose in Egitto.
La violenza e l’odio in nome della religione non possono essere accettati. Le persone hanno il diritto universale alla libertà di religione e alla libertà dalla religione. La diversità religiosa ed etnica richiede una società vigile in grado di riconciliare le differenze in un dibattito aperto, una società in cui persone di ogni provenienza sociale o convinzione possano essere certe di veder garantite le proprie libertà.
Una società aperta può essere garantita solo quando la separazione fra Stato e Chiesa è sancita dalla costituzione e attraverso il sistema di governo. Le misure di sicurezza non possono rappresentare l’unico mezzo per gestire una società pluralista. Eppure le leggi per lo stato d’emergenza sono in vigore da 28 anni. Una discussione libera costituisce forse la medicina più potente contro l’estremismo e la violenza. Per tale motivo, la libertà di espressione, sia online sia offline, può essere considerata lo strumento migliore in mano al governo egiziano per risolvere le tensioni nella società.
E’ molto difficile comprendere o accettare che 30 attivisti, politici e blogger siano stati arrestati dalle forze governative mentre erano in viaggio verso Nag Hammadi, città dell’Egitto meridionale, per presentare le proprie condoglianze alle famiglie delle vittime della violenza settaria. Questi arresti sono un esempio particolarmente calzante delle regolari interferenze del governo egiziano nel diritto dei cittadini alla libertà di espressione.
C’è qualcosa di profondamente sbagliato quando le persone sono trattate come criminali semplicemente per aver cercato di dimostrare solidarietà ai propri concittadini. Troppe volte si è fatto ricorso all’ormai logora scusante del mantenimento dell’ordine pubblico. Dal 2008, gli egiziani non possono ottenere una linea telefonica non registrata, ma il controllo non è totale. Sono in vigore nuove norme secondo le quali gli utenti di wi-fi devono pagare per la connessione, per la quale devono fornire un indirizzo di posta elettronica dove ricevere uno username e una password. Questo consente un controllo attivo degli utenti da parte del governo. E’ inoltre in fase di discussione in parlamento una proposta di legge sulla regolamentazione della rete che propone pene detentive per la “pubblicazione di contenuti multimediali senza il permesso del governo”.
Eppure, la costituzione egiziana recita: “Sono garantite la libertà di espressione o libertà di opinione. Ogni individuo ha il diritto di esprimere la propria opinione e renderla nota verbalmente, per iscritto, tramite fotografie o qualsiasi altro mezzo che rientri nei limiti della legge”. L’autocritica e le critiche costruttive sono la garanzia della salute delle strutture nazionali.
Esorto il governo egiziano a non introdurre leggi di emergenza che limitano le libertà fondamentali alla luce delle presenti tensioni settarie. E’ necessaria una risposta adeguata ai crimini commessi in nome della religione. Tuttavia, non dovrebbe essere usata come scusa per reprimere la totalità della popolazione, con leggi che limitano la libertà di espressione e di parola. Quando le libertà fondamentali saranno tutelate dalla costituzione e tutti i livelli della legislazione saranno liberi, solo allora sarà possibile una società aperta in Egitto. Il governo egiziano dovrebbe guidare i propri cittadini sulla strada verso la libertà e l’Europa dovrebbe essere il suo alleato principale nel cammino.
Fiorello Provera, Autore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la risoluzione che ho presentato prende spunto da alcuni fatti tragici avvenuti recentemente in Egitto e in altri paesi del mondo – proprio ieri in Nigeria – per proporre all'attenzione di questa assemblea una situazione sempre più grave e intollerabile di persecuzioni e uccisioni nei confronti delle comunità cristiane.
Non si tratta di una risoluzione contro il governo egiziano, che si è attivato per assicurare alla giustizia i responsabili, ma di un momento di riflessione su un problema vasto e preoccupante. Ogni anno migliaia di cristiani sono uccisi nel mondo, Vietnam, Corea del Nord, Cina, Nigeria, Malesia e milioni di altri sono perseguitati nei modi più diversi per la loro fede nella loro vita quotidiana. Questi attacchi crescono di numero e di virulenza nel silenzio o nell'indifferenza e meritano provvedimenti urgenti.
Innanzitutto l'impegno di tutti per far cambiare il clima di odio religioso che si sta diffondendo e favorire la tolleranza e l'accettazione delle diversità. L'Europa conosce bene la tragedia delle guerre che per secoli hanno contrapposto cattolici e protestanti, senza parlare dell'Olocausto ebraico. Proprio per la sua storia l'Europa deve impegnarsi su questo fronte.
Un'altra iniziativa potrebbe essere la verifica delle legislazioni nazionali, nell'ambito delle quali troviamo norme persecutorie nei confronti dei cristiani o di altre minoranze religiose. La collaborazione delle organizzazioni non governative potrebbe essere molto utile in questo progetto, ma anche laddove esiste un diritto alla libertà religiosa bisogna vigilare affinché questo sia concretamente attuato.
Questo dibattito potrebbe essere l'occasione per lanciare la proposta di realizzare un rapporto del Parlamento europeo sulla libertà religiosa nel mondo.
Mario Mauro, Autore. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, è la libertà religiosa, infatti, il tema di questa risoluzione, non quindi una crociata identitaria o il tentativo di mettere in difficoltà questo o quel governo, ma la denuncia del fatto che oggi, nel mondo, accade di morire perché si crede in Cristo o si è discriminati perché la mia fede è diversa dalla tua.
Tutti i gruppi politici si sono trovati perciò concordi sull'esistenza di un problema di libertà religiosa e sull'esigenza di affrontarlo in modo serio e costante nella comunità internazionale.
Chiediamo quindi al Consiglio e alla Commissione e soprattutto all'Alto rappresentante per la politica estera, di prestare un'attenzione particolare alla situazione delle minoranze, inclusa quella cristiana, affinché vengano supportate e intraprese iniziative volte a promuovere il dialogo e il rispetto tra le comunità, sollecitando tutte le autorità religiose nella promozione della tolleranza e stroncando sul nascere gli episodi di odio e di violenza.
Véronique De Keyser, autore. – (FR) Signor Presidente, l’episodio avvenuto in Egitto avrebbe potuto avere luogo in qualsiasi altro Stato. Un’automobile passa di fianco all’entrata di una chiesa copta e spara sulla folla. Il risultato: sette morti (sei copti e un agente di polizia). Le autorità egiziane reagiscono rapidamente: il procuratore decide “che le tre persone accusate degli eventi di Nag Hammadi saranno giudicate dalla Corte di sicurezza dello stato di emergenza con l’accusa di omicidio premeditato”.
In Malesia, le comunità cristiane e musulmane discutono sul nome di Allah, disputa che risulta in razzie e saccheggi delle chiese.
Queste notizie, che possono essere descritte come luoghi comuni, hanno conseguenze in tutto il mondo, Europa compresa. L’aumento dell’intolleranza religiosa e del fanatismo mette a repentaglio una delle libertà fondamentali, la libertà di religione per tutti, sia per i fedeli, sia per gli agnostici. In tutto il mondo, hanno luogo crimini contro minoranze, siano esse cristiane, ebraiche o musulmane. In tutto il mondo, uomini e donne non religiosi sono uccisi o arrestati perché non rispettano i riti, i dogmi o le pratiche religiose di cui si sono liberati.
In qualità di persona non religiosa, do il mio pieno sostegno a questa risoluzione, un appello alla tolleranza e non una stigmatizzazione nei confronti di Egitto e Malesia. Ad ogni modo, lasciando da parte i casi appena citati, vorrei sottolineare la responsabilità di uno Stato attento al diritto dei propri cittadini alla libertà di espressione. Ritengo che uno Stato laico, in virtù della sua struttura, sia la migliore garanzia dello spazio necessario per le varie convinzioni religiose. In questo modo lo Stato può tutelare al meglio i propri cittadini e può promuovere un dialogo fra le sue comunità.
PRESIDENZA DELL’ON. VIDAL-QUADRAS Vicepresidente
Ryszard Antoni Legutko, autore. – (EN) Signor Presidente, le notizie sulla violenza contro i cristiani in Egitto e in Malesia rappresentano solo la punta di un iceberg. Ci sono tre questioni che desidero sollevare.
In primo luogo, i cristiani sono divenuti oggetto di violenze brutali in molti paesi del mondo, non solo in questi due. In secondo luogo, i cristiani sono diventati il gruppo religioso più perseguitato al mondo. Le cifre sono stupefacenti: si tratta di milioni, non di migliaia o centinaia di migliaia. In terzo luogo, la reazione della società, dei governi e dell'Unione europea è stata finora insoddisfacente: timida, debole, pusillanime, politicamente corretta, a volte poi non vi è stata alcuna reazione del tutto.
Dobbiamo agire con risolutezza, altrimenti chi perseguita i cristiani riterrà di avere la nostra tacita benedizione. Vogliamo davvero questo?
Heidi Hautala, autore. – (FI) Signor Presidente, è deplorevole che al mondo ci siano così tanti conflitti mascherati da religione. A questo proposito, va detto che nel mondo esistono numerose tendenze fondamentaliste legate alle religioni cristiana, islamica e altre. Personalmente, nel caso del buddismo mi sono imbattuto in un numero minore di tendenze fondamentaliste. In ogni caso, è importante che il Parlamento europeo prenda una posizione quando si verificano episodi di violenza tra gruppi religiosi.
Vorrei dire, tuttavia, che ieri è stato portato all'attenzione del Parlamento l’arresto arbitrario di 33 difensori dei diritti umani quando hanno cercato di intervenire a sostegno dei cristiani copti vittime delle violenze, di cui alla presente risoluzione. Ora vorrei dire alle autorità egiziane che dobbiamo garantire che non si impedisca in questa maniera di soccorrere persone in difficoltà. Dobbiamo insistere sul fatto che in altre situazioni i difensori dei diritti umani non sono imprigionati o trattati ingiustamente. In questo caso, è innegabile che questi 33 difensori dei copti sono stati trattati crudelmente in carcere e sono stati segregati in condizioni disumane.
Mi auguro che in futuro il Parlamento rivolga sempre la propria attenzione ai casi di violenza nei confronti di qualsiasi gruppo religioso, e non si concentri solo sulla persecuzione dei cristiani.
(Applausi)
Bernd Posselt, a nome del gruppo PPE/DE. – (DE) Signor Presidente, Tunisia, Egitto e Malesia hanno una grande tradizione di tolleranza. Ne sono la riprova i nomi di Tunku Abdul Rahman, fondatore dello Stato indipendente della Malesia, e del presidente Sadat, il cui intervento qui al Parlamento europeo è stato come una Magna Charta della coesistenza cristiano-islamica.
Proprio per questo dobbiamo sostenere i governi di questi paesi nella loro lotta contro l'estremismo islamico e contro gli attacchi rivolti ai cristiani. Naturalmente, noi in Europa, continente prevalentemente cristiano, abbiamo il dovere di difendere i cristiani di tutto il mondo: se non noi, chi lo farà?
Ma chiaramente qui è in gioco la libertà di religione in quanto tale e vorrei ringraziare il governo malese perché il 9 gennaio il capo supremo della federazione, lo Yang di-pertuan Agong, e il primo ministro hanno assunto una ferma posizione in materia. Auguriamo loro successo nella lotta per la tolleranza religiosa, lotta della quale questo paese è stato ed è tuttora un fulgido esempio; si tratta di un aspetto che dobbiamo tutelare nei rapporti con l’Egitto, la Tunisia e la Malesia, in quanto partner in grado di discutere apertamente di questioni relative ai diritti umani.
Peter van Dalen, a nome del gruppo ECR. – (NL) Signor Presidente, la libertà di religione è un elemento essenziale dei diritti umani. Purtroppo, stiamo assistendo a un momento particolarmente difficile per i cristiani in molti paesi nei quali domina la fede islamica. E’ il caso, tra gli altri paesi, dell’Egitto dove i copti ortodossi, ma anche cattolici, cristiani protestanti ed ebrei, sono istituzionalmente collocati in posizione di svantaggio. I musulmani che si convertono al cristianesimo, per esempio, subiscono oppressioni e lo si può riscontrare dai loro documenti d'identità, nei quali è precisato che sono musulmani, in quanto l’apostasia religiosa è proibita dalla legge.
Nel corso degli ultimi dieci o venti anni in particolare, la violenza contro i copti è cresciuta enormemente. Sono già stati segnalati oltre cento attacchi, con migliaia di vittime. L'atteggiamento del governo egiziano, a mio parere, manca di fermezza; solamente tre uomini sono stati arrestati, ma in generale le violenze contro i cristiani sono tollerate. Invito il Consiglio e la Commissione a impegnarsi direttamente nel dialogo con l’Egitto per garantire che il governo adotti un approccio diverso. Se Il Cairo si rifiuta di farlo, ritengo che questo debba influenzare le nostre relazioni bilaterali con l'Egitto.
Joe Higgins, a nome del gruppo GUE/NGL. – (EN) Signor Presidente, chiunque sia impegnato per i diritti democratici e la libertà di espressione religiosa condanna esplicitamente l'assassinio dei cristiani in Egitto e gli attacchi incendiari contro le chiese cristiane in Malesia. Va segnalato il crescente numero di esecrabili attacchi ai danni delle minoranze religiose nella stessa Europa.
In Malesia, la tattica del divide et impera su basi razziali e religiose è stata utilizzata a lungo da varie parti del contesto economico e delle élite al potere. In tal senso, l'attuale governo del Fronte nazionale è colpevole di ipocrisia: mentre annuncia pubblicamente una politica di “una sola Malesia” che vuole accogliere tutte le religioni e le minoranze, manovra dietro le quinte sfruttando le divisioni religiose e razziali per rafforzare la propria posizione presso la maggioranza musulmana della popolazione malese, come ha fatto in relazione alla sentenza “Allah”.
In Malesia vi sono profonde divisioni economiche. E’ la società più disparitaria dell’intero sud-est asiatico. L’attuale governo comanda sulla base del capitalismo clientelare portando a uno sfruttamento diffuso nei luoghi di lavoro e a una forte limitazione dei diritti sindacali. Il contesto ideale per la libertà religiosa e la democrazia in Egitto, in Malesia o altrove è di giustizia e democrazia economica, quando ricchezza e potere sono nelle mani della grande maggioranza dei lavoratori e dei poveri e non delle grandi aziende e degli amici intimi dei capitalisti.
Daniël van der Stoep (NI). – (NL) Signor Presidente, ieri in Olanda è iniziato un terribile processo politico contro il leader del nostro partito, Geert Wilders, parlamentare olandese e capo del Partito per la libertà in seno al Parlamento olandese. Wilders è processato per aver espresso il proprio parere e perseguitato dall'élite di sinistra perché mette in guardia i Paesi Bassi, l'Europa e il mondo rispetto all’ideologia fascista che va sotto il nome di islam. Questa è un’oltraggiosa vergogna!
Signor Presidente, l'islamizzazione dei Paesi Bassi e dell'Europa minaccia la cultura giudaico-cristiana e umanistica del nostro continente. E mentre molti, anche in quest’Aula, si piegano e permettono all’uragano dell’islamizzazione di travolgerli, il Partito per la libertà lotta per difendere la cultura europea. Signor Presidente, gli atti barbarici che hanno avuto luogo in Malesia, Egitto e in molti altri paesi del mondo, come questa settimana in Nigeria, sono il risultato di un’ideologia intollerante e fascista nota col nome di islam. Nei paesi islamici, i non musulmani sono sistematicamente umiliati e assassinati. Gli eventi in Malesia e in Egitto non possono essere considerati episodi isolati, ma hanno origine nell’ideologia che esige rispetto per se stessa ma non ne offre a sua volta. Partecipando alla lotta contro l'islamizzazione dell'Europa, a fianco del Partito per la libertà, questo Parlamento può garantire che mai questi terribili eventi abbiano luogo nel nostro continente. Chiediamo a tutti voi di farlo.
Filip Kaczmarek (PPE). – (PL) Signor Presidente, molto spesso qui in Parlamento parliamo di diverse fobie e dei loro effetti negativi a livello sociale. Penso alla xenofobia e all'omofobia che purtroppo non esauriscono l'elenco delle fobie. Vi è anche un fenomeno chiamato “cristianofobia”, la fobia verso il cristianesimo. Come per le altre fobie, gli effetti sociali sono anche qui dannosi e talvolta tragici, e proprio per questo motivo dovremmo occuparci dei casi di violazione dei diritti dei cristiani in tutto il mondo.
Ci occupiamo di casi che coinvolgono i seguaci di diverse religioni e anche persone che non professano alcuna religione. Anche i cristiani non devono essere privati del nostro aiuto. Facciamo questo perché la libertà religiosa è uno dei valori fondamentali dell'Unione europea e proprio per questo condanniamo e condanneremo ogni forma di violenza, discriminazione e intolleranza nei confronti dei capi o dei seguaci di ogni religione. La violenza perpetrata a causa delle convinzioni della vittima è abominevole e non c’è alcun dubbio che meriti la nostra condanna.
Konrad Szymański (ECR). – (PL) Signor Presidente, la libertà religiosa è un diritto riconosciuto da oltre 50 anni dalle convenzioni internazionali ed europee per i diritti umani. Allo stesso tempo, da molti anni assistiamo ad una crescente ondata di odio religioso, che ha più volte colpito i cristiani in tutto il mondo. Il ruolo del comunismo anti-cristiano oggi è stato ripreso principalmente dall'islam militante. L’Egitto e la Malesia hanno le garanzie costituzionali di libertà religiosa ma sotto la pressione degli ambienti radicali islamici, la libertà religiosa dei cristiani non è sufficientemente protetta.
L'Unione europea, che ha a disposizione nuovi strumenti di politica estera, deve coinvolgersi in misura maggiore nella lotta contro la cristianofobia, fonte di pestaggi, saccheggi e omicidi. E’ solo per un pregiudizio ideologico se oggi l'Unione europea lo fa con esitazione. E’ in gioco la nostra credibilità.
Bogusław Sonik (PPE). – (PL) Signor Presidente, vorrei sostenere l'idea del mio collega, l’onorevole Provera, a favore della redazione di una relazione sulla libertà religiosa. Vorrei ricordare a tutti che nella precedente legislatura, io e l'onorevole Mauro abbiamo presentato la proposta di una relazione sulla situazione dei cristiani nei paesi di religione islamica in cui sono in minoranza. Purtroppo l'Ufficio di presidenza non ha dato seguito alla proposta, ma forse varrebbe la pena di scrivere una relazione di questo genere. Ecco, io avanzo di nuovo la stessa proposta.
La risoluzione che stiamo adottando oggi dovrebbe inviare un messaggio chiaro. La minoranza copta costituisce il 10 per cento della popolazione dell’Egitto, ma anche se fosse solo lo 0,5 per cento, il ruolo del Parlamento europeo è di reagire, soprattutto in una situazione in cui i diritti umani vengono violati in maniera così drastica.
Ho letto con attenzione la lettera inviata all’onorevole Buzek dal presidente dell'assemblea del popolo nella quale garantisce che gli eventi di cui ho parlato sono stati incidenti isolati. Trovo difficile crederlo. In Egitto i copti sono perseguitati da molti anni. Proviamo, questa volta, a fare in modo che il nostro aiuto per questa minoranza oppressa non si esaurisca in vuote dichiarazioni.
Ryszard Czarnecki (ECR). – (PL) Signor Presidente, qui non si tratta solo dell'Egitto e della Malesia, ma anche del Sudan, della Nigeria, di molti altri paesi in Africa e in Asia e molte società che trattano i cristiani come un male necessario, e talvolta come un nemico. Non nascondiamo questi fatti, non facciamo come lo struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia. Questo è un problema reale e il Parlamento di un’Europa cristiana, di tradizioni cristiane e con un patrimonio cristiano deve parlarne.
Dobbiamo però anche prendercela con noi stessi. Un attimo fa, l’onorevole intervenuto prima di me ha giustamente ricordato i peccati di omissione del Parlamento europeo nella precedente legislatura. Ricordo la discussione di qualche settimana fa, quando abbiamo giustamente condannato gli attacchi e l'oppressione nei confronti della minoranza musulmana degli uiguri in Cina. Allora alcuni gruppi politici hanno respinto gli emendamenti volti a sottolineare che anche i cristiani soffrono in Cina e sono vittime di discriminazioni. Non possiamo permettere una situazione in cui noi difendiamo alcune minoranze religiose, ma difendiamo meno o per niente altre.
Eija-Riitta Korhola (PPE). - (FI) Signor Presidente, abbiamo sentito preoccupanti notizie sui crimini contro i cristiani in Egitto e in Malesia. Per quanto riguarda quest’ultimo paese vorrei prima di tutto dire che siamo profondamente preoccupati per gli attacchi alle chiese in quello che è sempre stato, tradizionalmente, un paese tollerante e moderato.
In secondo luogo, vorrei citare il lavoro esemplare delle ONG islamiche in favore della tolleranza religiosa. Le dichiarazioni del primo ministro malese sull'utilizzo del nome di Allah hanno innescato una dimostrazione di pubblico malcontento rivolta contro le comunità cristiane. Tuttavia, l'atteggiamento esemplare da parte delle ONG islamiche e la fermezza delle autorità pubbliche sulle dichiarazioni del primo ministro hanno calmato la situazione. E’ un peccato che non lo si sia registrato nella nostra risoluzione finale, perché a mio avviso qui rivolgiamo troppo raramente l'attenzione agli aspetti positivi. Non dovrebbero essere lodati anche i musulmani, quando vi sono i motivi per farlo?
La tolleranza religiosa deve essere promossa sia da chi detiene il potere politico, sia a livello più bassi. E’ importante rendersi conto che sono stati commessi errori, nonché riconoscere i progressi e sostenerli.
Dominique Baudis (PPE). – (FR) Signor Presidente, le azioni di criminali fanatici che hanno ucciso alcuni cristiani in Egitto non possono essere attribuite a un intero popolo e al suo governo. Sarebbe ingiusto ritenere l'Egitto e gli egiziani responsabili di questo terribile massacro, per il quale i veri colpevoli saranno assicurati alla giustizia.
Non dobbiamo confondere le azioni di un criminale con la politica di un intero paese! Non marchiamo i fanatici e un intero popolo con la stessa accusa. Con i nostri tentativi di frapporci tra i cristiani copti e i loro concittadini musulmani, non facciamo altro che gettare benzina al fuoco degli estremisti, che vogliono rappresentare i cristiani orientali come mandanti dell’Occidente.
László Tőkés (PPE). - (HU) E’ una notizia di alcuni giorni fa: il regime egiziano ha arrestato diversi attivisti per i diritti dei copti in viaggio verso il teatro dei crimini che hanno avuto luogo presso l'insediamento di Nag Hammadi, al fine di difendere e sostenere la comunità cristiana copta; molti membri di questa comunità erano peraltro stati assassinati il giorno di Natale. Le autorità egiziane, acquiescenti nei confronti della maggioranza musulmana, stanno cercando di minimizzare gli atti di violenza commessi contro la minoranza copta e ora bloccano la lecita autodifesa dei cristiani con pregiudizi discriminatori verso una sola delle parti in conflitto. L'amministrazione degli Stati Uniti si è espressa in modo inequivocabile contro tutto questo. Sapendo che la comunità cristiana copta, considerata egiziana d'origine, per oltre 1500 anni è stata sottoposta a frequenti e crudeli repressioni, l'Unione europea deve muovere in sua difesa con più forza e minore ambiguità di quanto stia facendo.
Anna Záborská (PPE). – (SK) Grazie per aver portato ancora una volta l'attenzione sulle violazioni della libertà religiosa in alcuni paesi, come già nel 2007 e nel 2008. Mi chiedo se sia la debolezza dell'Unione europea o la sua indifferenza a impedirle di promuovere in modo più coerente il rispetto dei diritti umani in questo campo. Noi continuiamo a sentire le stesse lamentele e a proporre le stesse misure.
L’Egitto e la Malesia sono tra quei paesi dove i cristiani vivono in condizioni estremamente pericolose: persecuzioni, espulsione dalle proprie case, rapimenti, omicidi e chiusura delle chiese. Questo sta accadendo dal Magreb all'Iran, in India, Cina, Pakistan e in molti altri paesi. In genere i cristiani sono perseguitati da parte di gruppi estremisti, ma questo rappresenta un pericolo per tutti, siano essi cristiani, ebrei o musulmani. Chiedo che i rappresentanti dell’Unione europea e delle delegazioni del Parlamento europeo sfruttino ogni occasione per migliorare il dialogo, la tolleranza religiosa e il rispetto e la coesistenza delle culture diverse.
Mitro Repo (S&D). - (FI) Signor Presidente, sono particolarmente preoccupato per la situazione in Egitto a causa dei risvolti storici, etnici e politici ad essa connessi. In realtà, i cristiani copti sono ancora una minoranza considerevole in Egitto: circa il 10 per cento della popolazione, ovvero otto milioni di persone, ed è per questo preciso motivo che sono un’ex-maggioranza. Sono orgogliosi di questo, come anche della loro tradizione cristiana orientale. E’ per questo che la provocazione che hanno subito lo scorso gennaio in concomitanza con il Natale è stata particolarmente evidente e premeditata. Molti copti sono stati costretti con la violenza a cambiare la propria fede e ci sono stati casi di stupro e altri crimini.
La situazione in Egitto è un pessimo esempio per gli altri paesi in cui esiste la possibilità che si inneschi la stessa spirale di vendetta, ed è proprio per questo che l'Unione europea deve vigilare, intervenire immediatamente quando ci sono disturbi, e sottolineare l’importanza di un dialogo pacifico tra i gruppi religiosi.
Ivo Vajgl (ALDE). - (SL) Quando avviene un omicidio, in particolare per motivi religiosi, si può fare poco se non prenderne inorriditi le distanze e condannarlo.
Ma questi nuovi incidenti e delitti in Medio Oriente stanno, evidentemente, a riprova di un generale aumento e una continua intolleranza verso la libertà religiosa e della mancanza di rispetto nei confronti di chi è diverso. Esistono molte aree in cui i valori religiosi non sono rispettati.
Il gruppo dell'Alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa ha proposto che questo dibattito venga rimandato, o piuttosto, che la discussione sul rispetto dei diritti umani e delle libertà religiose in Egitto e Malesia si tenga separatamente, poiché dobbiamo affrontare il problema con molta sensibilità e attenzione verso ogni singolo paese. L’Egitto non è certamente uno dei peggiori esempi di intolleranza religiosa, anzi.
Charles Tannock (ECR). - (EN) Signor Presidente, purtroppo nel mondo islamico si registra una generale tendenza all’aumento della militanza jihadista rivolta contro le conviventi comunità non musulmane: in particolare, e il più delle volte, questo significa le comunità dei cristiani.
I copti, una delle più antiche chiese cristiane nel mondo, hanno una grande rappresentanza a Londra, città che io rappresento. I loro leader sono venuti da me lamentando il peggioramento della situazione in Egitto, orchestrato dalla Fratellanza musulmana. Nonostante gli sforzi del governo del presidente Mubarak per proteggere i copti, la situazione è andata deteriorandosi.
Siamo testimoni di analoghe vicende con i cristiani assiri in Iraq, i cristiani della Palestina e del Pakistan e ora, come vediamo per la prima volta, anche in Malesia.
A mio avviso, questo Parlamento ha per troppo tempo ignorato i diritti delle minoranze cristiane nel resto del mondo, ma esse cercano protezione dall'Unione europea e dagli Stati Uniti. Accolgo quindi con favore la risoluzione.
Gerard Batten (EFD). - (EN) Signor Presidente, nei paesi islamici è in crescita la persecuzione dei cristiani e delle altre minoranze religiose. I cristiani, che hanno vissuto per quasi 2000 anni in paesi come l'Egitto e nel bacino del Mediterraneo, sono sempre più perseguitati e scacciati dalle proprie terre d’origine. Questo a causa del crescente potere dell’intollerante ideologia estremista e fondamentalista islamica: l’islamofascismo.
La persecuzione delle minoranze cristiane e di altre minoranze in tutto il mondo islamico è ampiamente trascurata dai media occidentali che non dovrebbero limitarsi a riferire i fatti della persecuzione, ma dovrebbero spiegare al grande pubblico le ragioni per cui sta accadendo. Dovrebbero spiegare chi sta operando in questo modo, ovvero i fanatici musulmani, e perché lo stanno facendo: a causa dell’intollerante e violenta intransigenza nell’ideologia islamica.
I governi democratici di tutto il mondo devono esercitare la massima pressione diplomatica su paesi come l'Egitto per far cessare questa intollerabile persecuzione.
Neelie Kroes, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, la Commissione è profondamente turbata e addolorata da quanto è successo la sera del Natale copto a Nag Hammadi, nell’Egitto meridionale, ovvero per la tragica morte di sei copti e di un poliziotto musulmano per colpi di fucile da un’auto in corsa.
Siamo convinti che le autorità si siano prontamente attivate per trovare e arrestare le persone sospettate di questo orribile crimine, e un'indagine approfondita per portare i responsabili davanti alla giustizia invierà un chiaro segnale che nella società egiziana la violenza fondata sulle motivazioni religiose non è accettabile.
La costituzione egiziana prevede la libertà di fede e la libera pratica della religione. Tuttavia, riceviamo denunce di discriminazione contro i copti e contro altre minoranze religiose, come i bahá'í, nei luoghi di lavoro e da parte del sistema giudiziario. Siamo consapevoli delle difficoltà incontrate nei tribunali egiziani da molti cristiani convertiti, come Maher El Gohary e Mohammed Hegazy. Abbiamo sollevato questi problemi nel corso del nostro regolare dialogo politico con l'Egitto.
Ci rendiamo conto che il governo sta cercando di rispondere ad alcune rimostranze dei copti, per esempio rimuovendo gli ostacoli che ritardano e limitano la costruzione e la ristrutturazione delle chiese. Accogliamo con favore e incoraggiamo iniziative in tal senso e sollecitiamo il governo a identificare e affrontare alla radice le cause delle tensioni religiose nella società egiziana, nonché a porre fine a tutte le forme di discriminazione nei confronti di chi appartiene ad altre religioni.
Gli atti di vandalismo contro le chiese in Malesia in seguito ad una sentenza della Corte suprema in merito all'uso della parola “Allah”, suscitano gravi preoccupazioni. Gli attacchi sono stati fermamente condannati dal governo, come anche dall'opposizione, compresi il Pan Malaysian Islamic Party e 130 organizzazioni non governative musulmane. Il governo ha aumentato le misure di sicurezza per salvaguardare tutti i luoghi di culto e ha anche ribadito il proprio impegno per proteggere l'armonia sociale e religiosa della Malesia e una cultura basata sulle diversità etniche e religiose.
La costituzione federale malese stabilisce che l'islam è la religione della federazione, ma anche che le altre religioni possono essere praticate in pace e in armonia in qualsiasi parte della federazione.
Noi incoraggiamo le autorità ad avviare al più presto un dialogo interreligioso, che comprenda tutte le fedi e le appartenenze religiose e che promuova la comprensione reciproca, cosicché la Malesia possa continuare a svilupparsi pacificamente in armonia etnica e sociale. A tale proposito, il ministero malese degli Affari interni ha la specifica responsabilità di spiegare ai propri cittadini, in modo approfondito e oggettivo, la questione in gioco.
Condanniamo fermamente gli atti di intolleranza nei confronti di qualsiasi persona per motivi di religione e di convinzioni personali, ovunque si verifichino. Purtroppo nessun paese ne è immune. Chiediamo alle autorità pubbliche di tutelare al massimo tutte le comunità religiose, tra cui i cristiani, dalla discriminazione e dalla repressione.
La Commissione attribuisce la massima priorità alla libertà di religione o alle convinzioni personali, quali principi fondamentali della politica dei diritti umani dell'Unione europea, sollevando la questione nel dialogo politico con i paesi in cui il problema persiste, sostenendo i progetti delle istituzioni locali per i diritti umani e promuovendo attivamente la libertà di religione o le convinzioni personali nel contesto del forum delle Nazioni Unite.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà alle ore 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Carlo Casini (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, nell'esprimere il voto favorevole sulla risoluzione comune sottolineo la particolare gravità delle violenze compiute in Malesia per una questione esclusivamente nominalistica.
È oggettivamente sicuro che sia i cristiani sia i musulmani credono in un solo Dio che è Dio di tutti gli uomini credenti e non credenti. Il fatto che sia chiamato con parole diverse è assolutamente secondario. Pretendere che il Dio musulmano sia solo musulmano e perciò possa essere invocato soltanto dai musulmani, con un nome tradizionalmente musulmano significa tornare alla visione ancestrale e tribale, secondo la quale esisteva un Dio per ciascun gruppo umano. Contraddire cioè l'idea monoteista che rende grandi e vicine le religioni universali che, come il Cristianesimo e l'Islam, si oppongono all'idolatria ed il politeismo.
Non meno grave è la persecuzione dei copti in Egitto. Sulle sponde del Mediterraneo sono fiorite le religioni monoteiste, le quali pretendono di essere e sono forze di fraternità e di pace. È invece drammatico che proprio sulle sponde del Mediterraneo a Gerusalemme, città sacra per chi crede in Dio, Allah e Jahvé, si trovi il focolaio più grande di conflitti.
Proprio l´Egitto è il paese più forte dell'area dove cristiani e musulmani devono convivere pacificamente per un ruolo pacificatore in tutta l'area del sud del Mediterraneo.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Appoggio la proposta di risoluzione comune sui recenti attacchi contro le comunità cristiane perché condanna fermamente ogni forma di violenza, discriminazione o intolleranza fondata sulla religione o su convinzioni personali. Ritengo sia vitale sostenere tutte le iniziative che mirano a favorire il dialogo e il rispetto reciproco tra le comunità e a tutelare diritti fondamentali quali la libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Uomini e donne di tutto il mondo continuano a subire le più brutali forme di persecuzione semplicemente perché credono in Dio come accade dall'Atlantico agli Urali. Oggi, facendo seguito alle dichiarazioni di Cina, India, Iraq, Pakistan, Turchia e Vietnam, tra gli altri, il Parlamento ha condannato la persecuzione dei cristiani in Egitto e Malesia.
L'Europa assiste a tutto questo con relativa indifferenza. Vi è anche chi difende questa carenza di azione, invocando il rispetto per la cultura e la libertà di culto altrui. Il silenzio dell'Europa su tale questione, davvero sorprendente in una regione le cui origini, cultura e tradizioni sono impregnati della fede cristiana, rischia di diventare assordante.
Questo richiama alla mente il commento del cardinale arcivescovo di Bologna in merito a precedenti persecuzioni che giustamente illustrano lo spirito del nostro tempo, commento nel quale osservava che la gente è più pronta a preoccuparsi della sorte degli orsi polari che delle migliaia di cristiani che vivono un’esistenza sotto costante minaccia.
Jacek Olgierd Kurski (ECR), per iscritto. – (PL) E’ iniziato un altro anno, il 2010, con la sanguinosa persecuzione dei cristiani in molte parti del mondo. Come Parlamento europeo, non possiamo restare passivi di fronte a questi crimini e atti di violenza. La situazione dei cristiani è altrettanto drammatica in paesi non menzionati nella risoluzione di oggi, come la Corea del Nord, l’Iraq, l’India e il Sudan, e gli attacchi contro i cattolici sono in aumento anche in Vietnam. Come deputato della Polonia, paese con una tradizione cristiana che ha profonde radici e una lunga tradizione di rispetto, nel quale coesistono molte comunità religiose, vorrei esprimere solidarietà alle famiglie delle vittime. Le autorità egiziane e malesi devono garantire ai cristiani e ai membri delle altre comunità e minoranze religiose la possibilità di godere di tutti i diritti umani e libertà fondamentali, altrimenti saranno oggetto di sanzioni da parte dell'Unione europea. Per questo motivo dovremmo approvare la risoluzione sui recenti attacchi contro le comunità cristiane.
Csaba Sógor (PPE), per iscritto – (HU) I recenti attacchi contro le comunità cristiane in Egitto e in Malesia possono essere visti da due diverse prospettive. In primo luogo, dobbiamo sottolineare che l'Unione europea, in quanto comunità di Stati europei con un alto livello di democrazia e stato di diritto, non deve tacere di fronte a tali eventi, in nome della tolleranza religiosa e del rispetto dei diritti umani e delle minoranze, indipendentemente dal luogo del mondo in cui si verifichino. Ai governi che si impegnano a mantenere buone relazioni con noi dobbiamo far capire che l'Europa pretende che le norme dei diritti umani universali, ampiamente accettate, siano rispettate dai propri interlocutori, e che lo sviluppo futuro delle relazioni può essere influenzato dai problemi relativi ai diritti umani. Allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare le violazioni dei diritti umani che si verificano sul territorio della stessa Unione europea.
In alcuni casi, la tolleranza religiosa, e il rispetto dei diritti umani e delle minoranze, compresi quelli dei membri delle chiese di minoranza, devono essere ulteriormente sviluppati anche negli Stati membri dell'Unione europea. Se l'Europa vuole essere un esempio per il mondo, deve garantire che nessuno sul proprio territorio subisca discriminazioni per le sue convinzioni religiose, origine etnica o appartenenza a una minoranza nazionale. Anche la legge egiziana garantisce la libertà religiosa, ma nella pratica i cristiani vivono la situazione opposta. Purtroppo, possiamo trovare simili esempi di discrepanza tra legge e pratica quotidiana anche negli Stati membri dell'Unione europea.
Presidente. - L’ordine del giorno reca sette proposte di risoluzione sulle violazioni dei diritti umani in Cina, in particolare il caso di Liu Xiaobo(1).
Renate Weber, autore – (EN) Signor Presidente, il mese scorso, Liu Xiaobo, noto scrittore e attivista politico, è stato condannato a 11 anni “per incitamento alla sovversione del potere dello Stato”. E' stato arrestato più di un anno fa dopo la stesura della Charta 08, un documento firmato da oltre 10 000 comuni cittadini cinesi che chiedono le cose più normali in una società democratica: il diritto alla libertà di parola, elezioni libere e stato di diritto.
La persecuzione di Liu Xiaobo, basata esclusivamente sulle sue iniziative di pace, e l’accanimento giudiziario che ha dovuto subire sono sicuramente incompatibili con le norme dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciute a livello internazionale. Pertanto dobbiamo chiedere con forza la liberazione incondizionata e immediata di Liu Xiaobo.
In questi ultimi anni, le relazioni tra Unione europea e Cina si sono concentrate principalmente sugli aspetti economici, lasciando in secondo piano la questione della democrazia del paese e le brutali violazioni dei diritti umani che si sono verificate sistematicamente.
Pochi giorni fa, per la prima volta, un funzionario di polizia ha ammesso che Gao Zhisheng, il famoso avvocato dei diritti umani e candidato al Premio Nobel per la pace nel 2008, era scomparso dopo un anno di detenzione nelle mani delle autorità cinesi. Molti temono che possa essere morto. Poche settimane fa, il governo cinese ha ignorato un appello dell'Unione europea e ha eseguito la condanna a morte di un cittadino britannico.
E’ preoccupante vedere come il governo cinese ignori i propri impegni internazionali nel campo dei diritti umani. E’ lecito chiedersi perché mai, in queste circostanze, la Cina abbia presentato la sua candidatura al Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite: è semplicemente per legittimare il modo in cui sopprime i diritti umani?
Nell’aprile del 2009 il governo cinese ha promulgato un piano nazionale sui diritti umani, un lungo documento che sembra solamente un pezzo di carta. Non ci deve essere alcun dubbio. Quest’Aula, il Parlamento europeo, ha l'obbligo di valutare attentamente i risultati del dialogo tra l’Unione europea e la Cina sui diritti umani.
Tunne Kelam, autore. – (EN) Signor Presidente, la Cina ha registrato impressionanti progressi economici, una parte dei quali è stata compiuta con metodi in palese conflitto con le regole umane universalmente accettate. Si sono dimostrate vane le speranze che eventi come i giochi olimpici potessero motivare le autorità cinesi a mostrare maggiore rispetto per le regole democratiche. Al contrario, gli atti di repressione sono aumentati, e noi dobbiamo trarre delle conclusioni da questa realtà.
Oggi, il Parlamento europeo esprime preoccupazione per la sorte di Liu Xiaobo, studioso e attivista di primo piano dei diritti dell'uomo, firmatario della Charta 08, la quale sollecita riforme costituzionali e tutela dei diritti umani. Questo documento è stato coraggiosamente sottoscritto da oltre 10 000 cittadini cinesi. Il mese scorso Liu Xiaobo è stato condannato a 11 anni di prigione. Chiediamo oggi il suo rilascio immediato e incondizionato ed esprimiamo la nostra solidarietà con le azioni pacifiche dei cittadini cinesi in favore di riforme democratiche e della salvaguardia dei diritti dell'uomo, in favore delle quali il governo cinese ha assunto una serie di impegni.
Véronique De Keyser, autore. – (FR) Signor Presidente, le risoluzioni d'urgenza rappresentano sempre un esercizio difficile, perché il più delle volte riflettono impotenza politica anziché una situazione di emergenza umanitaria. Il fare nomi e cognomi e la strategia della vergogna che applichiamo ogni mese sono l'ultima risorsa. Questo significa chiaramente che tutti gli altri mezzi di dialogo o di pressione si sono dimostrati inefficaci e che, trovandoci noi stessi impotenti ad agire, condanniamo.
Nel caso della Cina, non sono sicura che l'aumento del numero di risoluzioni urgenti – marzo 2009, novembre 2009, gennaio 2010 e marzo 2010, con l’altra risoluzione prevista – sia produttivo. Questo non perché io sottovaluti la difficoltà che la Cina sta avendo nel gestire la transizione verso la democrazia, ma perché credo che, stando costantemente all'attacco, non sia l'obiettivo ad essere sbagliato ma la strategia. Ci sono altri strumenti politici più convincenti.
Sono stata la prima a chiedere risoluzioni sugli uiguri e a nutrire la speranza, purtroppo vana, che in questo modo si sarebbero evitate le sentenze capitali. A nome del nostro gruppo, vorrei dare il mio sostegno a Liu Xiaobo, il dissidente di Tienanmen recentemente condannato, il cui unico crimine è la sua passione per la democrazia. Mi rifiuto tuttavia di mettere alla gogna la Cina ogni due mesi, semplicemente perché non la farà recedere. Al contrario, questo fondamentale partner commerciale, questo paese che ha un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha una crescita tumultuosa e si trova nel bel mezzo di un cambiamento democratico, di cui abbiamo bisogno per combattere il cambiamento climatico, questo paese deve essere un interlocutore al quale si possono dire verità spiacevoli, ma che si rispetta per gli sforzi in cui si impegna. E’ questo rispetto che manca nella risoluzione.
Per queste ragioni politiche il mio gruppo ha ritirato la propria firma. Tuttavia, per garantire che non vi sia alcuna ambiguità in merito alla questione dei diritti umani, alla quale attribuisco valore almeno quanto voi, il mio gruppo voterà a favore di tutti gli emendamenti che vi fanno riferimento. Per quanto riguarda l'esito finale del voto, dipenderà dagli emendamenti che abbiamo presentato.
Marie-Christine Vergiat, autore. – (FR) Signor Presidente, la Cina è un grande paese con una storia ricca e un enorme potenziale di sviluppo. L’aver ospitato i giochi olimpici a Pechino lo scorso anno non ha avuto i risultati che alcuni si attendevano.
Il rapporto che l'Unione europea è in grado di mantenere con la Cina è di particolare importanza. E’ nostro dovere di parlamentari dire forte e chiaro cosa riteniamo importante e cosa inaccettabile.
La situazione dei diritti umani in Cina è inaccettabile. Il caso di Liu Xiaobo, colpevole di chiedere riforme democratiche nel suo paese insieme a oltre 10 000 dei suoi concittadini, ne è un esempio. Posso dire che, a mio parere, una simile mobilitazione in quel paese è un successo piuttosto che un crimine.
Dobbiamo chiedere il rilascio del signor Xiaobo e di tutti gli uomini e le donne che come lui sono perseguitati e imprigionati per aver commesso un solo reato, quello di difendere i diritti umani e, più in particolare, uno dei diritti più fondamentali: la libertà di espressione.
Come uno dei miei onorevoli colleghi ha detto, proprio di recente un cittadino britannico è stato giustiziato, nonostante fosse malato di mente. Questa è la prima volta in oltre cinquanta anni che un europeo viene giustiziato in Cina. Infatti, la libertà di espressione viene violata ogni giorno di più, come ci ha recentemente rivelato Google, che nondimeno ha fama di essere l'operatore che offre, se non la migliore, almeno la protezione meno peggiore per gli utenti di Internet.
E’ risaputo che per stabilirsi in Cina, gli operatori devono soddisfare la richiesta delle autorità cinesi di installare filtri software, richiesta alla quale anche Google alla fine ha ceduto. Non possiamo accettare che un governo eserciti la pirateria su Internet e neghi agli utenti la libertà di espressione.
Le istituzioni europee devono unire le forze e intervenire sulla questione. Gli utenti cinesi di Internet devono avere la possibilità di accedere a informazioni senza censura. L'Unione europea ha il dovere di sostenere le attività svolte su Internet che si rifiutano di aiutare le autorità cinesi a censurare la rete o, peggio ancora, ad arrestare i difensori dei diritti umani, i democratici, o i giornalisti, come nel caso di Xiaobo nell’aprile 2005.
Infine, onorevoli colleghi, non posso concludere il mio intervento senza chiedervi di ricordare i morti di piazza Tienanmen: nella notte del 3 giugno 1989 molte centinaia di giovani cinesi hanno perso la vita. Sono passati venti anni, un anniversario triste che saremmo onorati di commemorare rendendo omaggio a quelle giovani vittime. Non tutti gli eventi del 1989, però, hanno meritato un pari livello di attenzione.
Charles Tannock, autore. – (EN) Signor Presidente, il fatto che ancora una volta in quest'Aula stiamo discutendo di violazioni dei diritti umani in Cina indica che l’autoritaria leadership comunista di Pechino è determinata a reprimere ogni dissenso politico.
Tale circostanza non deve impedirci di affrontare la questione in Parlamento. Ritengo non solo che abbiamo il dovere di farlo, ma anche che è un nostro dovere nei confronti delle vittime delle violazioni dei diritti umani in Cina, come Liu Xiaobo, alla maggior parte delle quali è stata negata la parola. Proprio per questo ancora oggi ne stiamo discutendo.
Nel 2008 l'assegnazione del Premio Sacharov a Hu Jia ha mostrato al mondo la serietà che noi deputati riconosciamo aòla questione dei diritti umani in Cina, paese per noi veramente importante. Le grandi dimensioni e il raggio d'azione mondiale, la forza militare e il potere economico impongono all'Unione europea di puntare a un partenariato strategico basato sul rispetto reciproco e sulla sicurezza.
Forse alla fine il nostro rapporto con la Cina si baserà anche sui nostri valori comuni di democrazia, diritti umani e stato di diritto: possiamo solamente sperarlo. Credo che tutti auspichiamo, comunque, che arrivi il giorno in cui potremo davvero vedere questi principi messi in pratica nella Repubblica popolare cinese. E’ stato detto che questi ideali sono in qualche modo estranei all’Asia. Ho sempre guardato alla democratica Taiwan e alla grande India con le sue tradizioni democratiche secolari, paesi in cui questi ideali prosperano in una società libera, per mettere in dubbio l'idea che la Repubblica popolare cinese non possa essere democratica.
Heidi Hautala, autore. – (FI) Signor Presidente, per il caso di Liu Xiaobo è significativo che ora ben 10 000 persone hanno apertamente espresso il loro sostegno e penso che il Parlamento europeo debba riconoscere il loro coraggio e rendergliene merito.
Allo stesso tempo, dobbiamo ricordarci che la Cina ha promesso di migliorare la propria situazione dei diritti umani. La Cina ha cercato di aderire al Consiglio dei diritti dell'uomo affermando il proprio impegno nella promozione e protezione dei diritti umani e che, in questo campo, avrebbe propugnato gli standard più elevati. Questo è quanto la Cina ha promesso davanti alle Nazioni Unite ed è a questo che noi dobbiamo fare riferimento.
La risoluzione parla anche di dialoghi sui diritti umani tra l'Unione europea e la Cina, e per quanto vorremmo essere ottimisti, il risultato finale è che non sono stati affatto di beneficio. Le istituzioni dell'Unione europea devono riflettere anche tra di loro su come migliorare le proprie strategie per far capire alla Cina che anche i suoi impegni in materia di diritti umani sono affari nostri, e che il futuro della cooperazione dipende in modo cruciale da questo aspetto.
Infine, potremmo interrogarci sul perché la politica dell'Unione europea verso la Cina sia così incoerente e contraddittoria, e cosa si può fare al proposito. Il Parlamento europeo, da parte sua, sosterrà certamente la Commissione in uno sforzo congiunto per definire una nuova strategia nei confronti della Cina.
Cristian Dan Preda, a nome del gruppo PPE/DE. – (RO) “Dobbiamo porre fine alla prassi di considerare le parole come reati”. Questo ha affermato Liu Xiaobo nella Charta 08, il documento politico che ha lanciato e che è stato sostenuto, come già detto, da migliaia di cinesi. Liu Xiaobo è stato condannato a 11 anni di prigione e sarà privato dei suoi diritti politici per altri due anni per aver avanzato una simile dichiarazione e per il suo continuo sostegno ai diritti umani. Credo che questa condanna sia sintomatica dell’intensificazione della campagna delle autorità cinesi contro gli attivisti dei diritti umani. Un'ulteriore riprova è l'annuncio di questa domenica della condanna a nove anni di reclusione di Tzu Yong Jun, uno dei leader del movimento di piazza Tienanmen.
Di conseguenza, credo sia essenziale sollevare la questione dei diritti umani nel prossimo vertice Unione europea-Cina, come indicato nell'articolo 9 della risoluzione.
Ritengo, come sostenuto in precedenza dall’onorevole Hautala, che il dialogo non sia sufficiente per i diritti umani. La questione deve essere affrontata nel quadro degli incontri al vertice, perché finora il dialogo non ha prodotto alcun risultato.
Zigmantas Balčytis, - a nome del gruppo S&D. – (EN) Signor Presidente, l'Unione europea sta attualmente negoziando un nuovo accordo quadro con la Cina che consentirà di definire un percorso per l'ulteriore sviluppo delle relazioni economiche con questo paese.
I rapporti sono molto stretti, ma non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte alle ripetute violazioni dei diritti umani e dello stato di diritto.
L'Unione europea deve rafforzare il dialogo con la Cina sui diritti umani, dialogo istituito nel 2000 che si è rivelato inefficace. L'UE, e in particolare l'Alto rappresentante, devono garantire una politica estera comune coordinata ed efficace nei confronti della Cina, e basata sul rispetto dei diritti umani.
Helga Trüpel, a nome del gruppo Verts/ALE. – (DE) Signor Presidente, quando la Cina è stata scelta per ospitare i giochi olimpici, all’inizio ho sperato, dopo tutte le promesse di migliorare la situazione dei diritti umani, che forse questo sarebbe accaduto davvero.
Durante e dopo le Olimpiadi, abbiamo purtroppo dovuto ammettere che non vi era stato alcun miglioramento, quanto invece un peggioramento della situazione dei diritti umani. Ora, a seguito della sentenza contro Liu Xiaobo, abbiamo anche visto la polizia impedire una manifestazione omosessuale, con la chiara minaccia di tradursi in un’era glaciale per la politica per i dissidenti, i difensori dei diritti umani e gli omosessuali.
Per questo motivo chiediamo l'immediata scarcerazione di Liu Xiaobo e degli altri difensori dei diritti umani e in particolare chiediamo alla Cina – se vuole essere un partner riconosciuto dalla comunità internazionale – di porre fine alle sue isteriche misure di censura e metodi di controllo.
Questo, naturalmente, vale in particolare per Internet. Non possiamo accettare il controllo politico della rete. Difendere la libertà di espressione in tutte le nazioni del mondo è un elemento essenziale dei diritti fondamentali. I diritti umani sono universali e indivisibili, tanto qui in Europa quanto negli Stati Uniti, in Sudan o in Cina. La Repubblica popolare cinese dovrà abituarsi all’idea, se vuole davvero svolgere un ruolo diverso.
Sono fermamente convinto che noi in quanto europei, proprio perché abbiamo a cuore la cooperazione nei settori della politica di protezione del clima, della politica ambientale e della regolamentazione dei mercati finanziari, dobbiamo far comprendere alla Cina nel quadro delle nostre relazioni ufficiali al vertice che deve urgentemente modificare la sua politica dei diritti umani.
Lorenzo Fontana, a nome del gruppo EFD. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, uno dei problemi più rilevanti che riguardano i diritti umani in Cina è lo sfruttamento dei lavori forzati nei laogai, i campi di concentramento cinesi.
Questa questione, oltre ad essere una vera e propria schiavitù moderna, interessa concretamente anche l'economia europea. È infatti sicuro che vi sia moltissima merce proveniente dal mercato cinese che è prodotta dai detenuti nei laogai, con evidente abbattimento dei costi della manodopera e conseguente concorrenza sleale nei riguardi della merce europea.
Basandosi anche sull'esperienza degli Stati Uniti, che già hanno approvato alcune leggi per il divieto delle importazioni di merci cinesi prodotte nei laogai, l'Europa può e deve fare il possibile affinché venga impedito l'accesso al suo interno di merci prodotte parzialmente o totalmente dal lavoro forzato.
Per prima cosa si deve intraprendere una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulla questione; si deve poi pretendere che tutti i prodotti importati in Europa abbiano gli stessi parametri di igiene e sicurezza richiesti ai produttori europei e introdurre una normativa sull'etichettatura che consenta la tracciabilità dei prodotti.
Inoltre si deve chiedere agli imprenditori che investono in Cina di seguire regole precise riguardanti i diritti dei lavoratori. Infine bisogna costituire delle norme e soprattutto farle rispettare, affinché vi sia il divieto assoluto di importare merci prodotte con il lavoro forzato.
Sono convinto che solo così possiamo veramente aiutare il popolo cinese nella lotta per i diritti umani. In caso contrario rimarremo dei complici che non vogliono la libertà di queste persone.
Edward McMillan-Scott (NI). - (EN) Signor Presidente, ho l'onore di essere il vicepresidente del Parlamento europeo responsabile per la democrazia e i diritti umani. Giustamente, la risoluzione si concentra su Liu Xiaobo, il principale autore della Charta 08, disponibile in inglese sul mio sito web http://charter08.eu" .
Dopo la mia ultima visita a Pechino nel maggio 2006, tutti i dissidenti con cui ho avuto rapporti sono stati arrestati, incarcerati e, in alcuni casi, torturati: fra questi, Hu Jia, per esempio, è ancora in prigione e necessita di cure mediche, oppure Gao Zhisheng, che secondo quanto riferito è scomparso dopo tre anni e mezzo di carcere, arresti domiciliari e torture che l’hanno spinto per due volte a tentare il suicidio. Nel 2005 le lettere aperte di Gao al regime prepararono il terreno alla Charta 08. La sua indagine sulle persecuzioni nei confronti del gruppo spirituale buddista Falun Gong ha dato vita a un ampio movimento di sostegno in tutta la Cina. Ritengo che le autorità debbano far riapparire Gao Zhisheng e scarcerarlo.
Non ci devono essere dubbi: il Parlamento europeo non rinuncia alle riforme in Cina e, naturalmente, in Tibet.
Eija-Riitta Korhola (PPE). - (FI) Signor Presidente, è intollerabile che gli interessi commerciali debbano fare la parte del leone nelle relazioni tra Unione europea e Cina, e che l'insistenza sul rispetto dei diritti umani e sullo sviluppo democratico sia, più o meno, impiegata come una cortese formula di saluto.
Ho seguito con interesse il coraggio dimostrato dalla società del motore di ricerca Google e i suoi piani per porre fine alla cooperazione con le autorità cinesi a causa del controllo delle pagine web e della censura, anche lasciando il paese. Allo stesso tempo, Google chiede apertamente libertà di parola per gli utenti di Internet cinesi.
Condivido la preoccupazione dei miei onorevoli colleghi per il trattamento di Liu Xiaobo e degli altri prigionieri politici cinesi, e mi auguro che il Consiglio e la Commissione prendano in esame il caso Xiaobo in occasione del prossimo vertice tra l'Unione europea e la Cina. Gli accordi attualmente in corso di negoziazione devono rimarcare con molta chiarezza che il futuro sviluppo delle relazioni commerciali con la Cina è legato a filo doppio al dialogo politico e al rispetto dei diritti umani.
Gesine Meissner (ALDE). – (DE) Signor Presidente, abbiamo trattato numerosi argomenti in merito al modo migliore per rivolgerci alla Cina esercitando pressioni, poiché è evidente che questo paese si fa impressionare da poche cose. L'onorevole De Keyser ha detto che per questa ragione il suo gruppo ha ritirato la firma. Non credo che questo sia il modo giusto di procedere. In quanto Unione europea, che ha sancito i diritti umani nella Carta dei diritti fondamentali e nel trattato di Lisbona, tutti noi dobbiamo continuare a segnalare le violazioni dei diritti umani fondamentali. Al momento non abbiamo a nostra disposizione altre possibilità. Quando troveremo a qualcosa di meglio, io sarò subito lì a porgere il mio sostegno.
Tuttavia, non si tratta solo di Liu Xiaobo, ma anche di Gao Zhisheng, che è scomparso e, da quanto abbiamo sentito oggi, probabilmente si è suicidato, benché molti credano che sia stato brutalmente ucciso. Questa situazione è inaccettabile. In occasione dei giochi olimpici, abbiamo scoperto che, se andiamo in Cina a stringere contatti, non cambia assolutamente nulla per quanto riguarda la situazione dei diritti umani. Abbiamo tutti sperato nel contrario, ma non è accaduto e dobbiamo continuare con i nostri appelli urgenti.
Neelie Kroes, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, l'Unione europea ha chiaramente espresso profonda preoccupazione per le sproporzionate sanzioni nei confronti dell’esponente di punta della difesa dei diritti umani, Liu Xiaobo, condannato a 11 anni di reclusione per il suo ruolo come autore della Charta 08, un progetto di riforma democratica basato sui diritti in Cina, e per la pubblicazione su Internet di una serie di saggi in materia di diritti umani.
Attribuiamo grande importanza alla libertà di pensiero e di espressione: sono pietre miliari, ne siamo tutti consapevoli, del nostro sistema democratico. Il verdetto nei confronti del signor Liu è del tutto incompatibile con il diritto alla libertà di espressione sancito dalla convenzione internazionale sui diritti civili e politici, di cui la Cina è uno dei firmatari. Attribuiamo grande importanza, tra l'altro, alla tutela del diritto di espressione e di orientamento sessuale, come ha ricordato l'onorevole Trüpel.
L'Unione europea ha cercato di assistere al processo e siamo profondamente dispiaciuti che i nostri osservatori siano stati esclusi dall’aula del tribunale. I dettagli del processo, che comunque abbiamo avuto modo di conoscere, indicano chiaramente che a Liu non è stata accordata la possibilità di presentare una difesa adeguata e che non ha ricevuto un processo equo. L'Unione europea continuerà a chiedere al governo cinese di rilasciare incondizionatamente il signor Liu e di porre fine alle persecuzioni e alla detenzione degli altri firmatari della Charta 08.
La nostra politica complessiva nei confronti della Cina è un impegno costruttivo nel quadro del nostro partenariato strategico. In passato, in diverse occasioni abbiamo accolto con favore i progressi della Cina in materia di diritti sociali ed economici, nonché il recente lancio del piano d'azione cinese sui diritti umani. D'altro canto vi sono problemi estremamente gravi per quanto riguarda i diritti civili e politici e una serie di recenti sviluppi, come quelli che i deputati di questo Parlamento hanno sollevato nella proposta di risoluzione.
L'impegno dell'Unione europea per i diritti umani viene comunicato nel corso dei nostri regolari contatti a livello politico e, in particolare, nel nostro dialogo con le autorità cinesi sui diritti umani. L'ultima sessione, come sapete, si è tenuta il 20 novembre 2009 a Pechino. La forza del nostro rapporto ci permette di discutere tali questioni con franchezza. Lo scorso anno, al dodicesimo vertice tra Unione europea e Cina, tenutosi a Nanchino, il problema dei diritti umani è stato sollevato sia durante le discussioni sia in conferenza stampa.
Gli onorevoli Vergiat e Korhola hanno citato gli attacchi informatici contro Google. La Commissione ritiene che questo sia un altro sviluppo preoccupante nel quadro dei problemi per la libertà di espressione in Cina. Stiamo ovviamente monitorando la situazione con attenzione e siamo consapevoli che sono in corso consultazioni tra la società e le autorità cinesi, ma continueremo a vigilare in caso di attacchi simili contro imprese dell'Unione europea.
Mi sia concesso di rassicurare questo Parlamento: continueremo a sollevare tali questioni, anche ad alti livelli, richiamando la Repubblica popolare cinese ai suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani. Ricordiamo anche la garanzie costituzionali cinesi sulla libertà di espressione. Noi tutti condividiamo l'obiettivo di una Cina più aperta e trasparente, che si attenga alle norme internazionali sui diritti umani e che collabori per affrontare le sfide globali. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo continuare a lavorare allo sviluppo del nostro partenariato strategico.
Vorrei rispondere a un quesito dell'onorevole De Keyser. Per quanto riguarda l’esecuzione del cittadino britannico Akmal Shaikh, l'Unione europea l’ha condannata nei termini più duri possibili. Si rammarica profondamente che la Cina non abbia ascoltato i ripetuti inviti da parte dell'Unione europea e di uno dei suoi Stati membri affinché la condanna a morte nei confronti di Shaikh potesse essere commutata.
Presidente. – La discussione è chiusa.
La votazione si svolgerà alle ore 12.00.
Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)
Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. – (RO) Il diritto alla vita e il diritto di libera espressione e di pensiero costituiscono il fondamento della costruzione europea e della nostra visione del mondo. Quando uno dei nostri partner, in questo caso la Cina, viola ripetutamente questi diritti, abbiamo l’obbligo di rispondere. Tuttavia, non dobbiamo farlo mettendo alla gogna e accusando la Cina ignorando le differenze di cultura e di civiltà che ci separano. Questa risoluzione, relativa alla violazione dei diritti umani in Cina, in particolare nel caso di Liu Xiaobo, è la prova di un approccio semplicistico alle questioni che la società cinese si trova ad affrontare. Noi di certo non abbiamo adottato la nostra posizione in contrasto con il principio dell’inviolabilità dei diritti umani alla base della risoluzione, con il quale concordiamo pienamente. L’abbiamo fatto, invece, per il modo in cui quel principio è stato trasmesso. Per ottenere i risultati che vogliamo abbiamo bisogno di mantenere un’atmosfera priva di conflitti tra noi e la Cina. Questo è l'unico modo in cui possiamo contribuire allo sviluppo della Cina verso una società che attribuisca profonda importanza al rispetto dei diritti umani.
Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. – (EN) “Don’t be evil” è il motto di Google, messo in discussione a seguito delle critiche mosse all’azienda nel corso degli anni per quanto riguarda la sua politica in Cina. Gruppi per i diritti umani hanno accusato Google di aiutare il governo cinese nella repressione dei loro cittadini e in particolare degli attivisti dei diritti umani. A quanto pare, Google sarà meno cattivo in futuro. La sua decisione di gestire un motore di ricerca senza filtri in Cina merita i nostri più sentiti complimenti. Annunciando il cambiamento nella sua politica in Cina Google mette a rischio i profitti provenienti dal mercato Internet più grande al mondo e abbandona potenzialmente quasi 400 milioni di utenti. In questo caso specifico Google ha dimostrato che una grande multinazionale può davvero essere fedele alla propria politica etica. Con ancora i suoi fondatori a dirigere l'azienda, Google ha tutte le possibilità di riflettere i propri valori e idee fondamentali in ogni sua azione futura e se continuerà a prosperare sarà la dimostrazione che non vi è alcun conflitto tra perseguire il guadagno e agire in modo sostenibile e umano.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Ci sono state ricorrenti violazioni dei diritti umani in Cina, e non possiamo astenerci dal condannarle. Il fatto che l'Unione europea sia uno dei principali partner economici della Cina accresce la nostra responsabilità nel condannare tutte le azioni che violano i diritti di ogni cittadino, in special modo di quanti difendono la libertà di espressione e i diritti umani in questo paese. E’ fondamentale che la Repubblica popolare cinese rispetti e onori gli impegni assunti dinanzi al Consiglio dei diritti umani.
Alajos Mészáros (PPE), per iscritto. – (SK) Più un paese è esteso e indipendente economicamente dal punto di vista economico, tanto più è difficile chiedere che rispetti i diritti umani. Trovo inaccettabile che nelle sue relazioni con la Cina l'Unione europea continui a porre in primo piano gli interessi economici. A quasi ogni riunione al più alto livello diplomatico, siamo in grado solamente di fare un timido richiamo alla questione delle violazioni dei diritti umani in questo paese. In Europa, purtroppo, abbiamo avuto molte esperienze negative con la prassi dei regimi comunisti in materia di soppressione dei diritti umani. Sono quindi convinto che il vero numero di violazioni dei diritti umani sia molto più elevato di quanto i nostri dati ci portano a credere. Per questo motivo, dobbiamo portare la Cina a rispettare i diritti umani quanto prima, anche a costo di sacrifici economici e politici. In caso contrario, gli sviluppi in Cina potrebbero avere un impatto negativo sugli sviluppi complessivi della situazione politica in Asia, con conseguenti ripercussioni sull'economia e la politica mondiali.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Ho votato in favore della risoluzione che condanna le violazioni dei diritti umani, perché sia come persone sia come cittadini non dobbiamo tollerare o consentire tali reati. Una condotta dannosa per le persone, per la loro libertà e i loro diritti, che sono stati definiti molti anni fa, si pone in contrasto con le basi su cui sono costruite le democrazie occidentali. Il dialogo avviato tra Unione europea e Cina nel 2000 non ha portato gli effetti desiderati; dobbiamo quindi chiederci se abbiamo fatto tutto il possibile e, se così non è stato, dobbiamo applicare le disposizioni delle risoluzioni sull’efficacia della cooperazione economica. I diritti umani devono diventare la base del dialogo tra Unione europea e Cina e gli interessi delle persone devono stare al di sopra degli interessi economici.
L'arresto e la condanna del militante della pace e attivista per i diritti umani Liu Xiaobo, che ha chiesto una maggiore democrazia in Cina, è un chiaro segnale che le nostre attuali misure non sono efficaci. Vale quindi la pena prendere altre misure, oltre alle risoluzioni, che rendano possibile un maggiore rispetto per i diritti per cui sta lottando Liu Xiaobo, insieme a migliaia di cinesi e a molti altri in tutto il mondo.
Trenta anni fa in Cina sono state avviate delle riforme che hanno dimostrato al mondo che qualcosa stava cambiando e che si poteva intervenire per il bene della società. Ci aspettiamo la stessa cosa oggi. Vogliamo avere un partner che rispetti i principi che, per noi, sono fondamentali.
Presidente. - L’ordine del giorno reca la discussione su sei proposte di risoluzione sulle Filippine(1).
Fiorello Provera, autore. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, è ormai una triste abitudine la serie di uccisioni che avvengono in tutto il mondo per motivi politici, religiosi eccetera, ma si rimane stupefatti per l'inumanità con la quale sono state uccise cinquantasette persone in fila durante una riunione politica per sostenere una candidatura presidenziale nelle Filippine.
Un massacro attuato a freddo da un gruppo armato in nome di una rivoluzione di cui si fatica a capire il senso. Questa uccisione di massa non è peraltro un fenomeno isolato in questo paese, che conosce aree di rivolta armata che durano da anni anche per motivi religiosi come nella regione di Mindanao.
Oltre alle doverose espressioni di cordoglio per questi fatti sanguinosi, credo si debba offrire una collaborazione forte al governo filippino per capire in quale modo l'Europa possa essere utile a risolvere le forti contraddizioni e le contrapposizioni armate che insanguinano questo sfortunato paese.
Martin Kastler, autore. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 23 novembre 2009 il massacro nella provincia di Maguindanao nelle Filippine è stata una giornata nera per i diritti umani e un barbaro atto di terrorismo. 57 persone sono state uccise, donne sono state violentate, molti altri sono rimasti feriti: è un messaggio di sangue. Come giornalista, mi ha colpito in particolare che tra le vittime vi erano 30 giornalisti. Secondo l’International crisis group, in nessun altro caso sono stati assassinati tanti giornalisti in una sola occasione. Per questo motivo è opportuno che il Parlamento europeo esprima una dichiarazione chiara, come stiamo facendo oggi, con questo progetto di risoluzione.
Tuttavia, come gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiani), chiediamo che il testo attuale venga attenuato in tre punti attraverso una votazione per parti separate. Dobbiamo sostenere il governo filippino nella sua lotta contro il terrorismo e la violenza, e quindi emendare le osservazioni troppo accusatorie che gli rivolgiamo. Chiedo quindi a nome del gruppo PPE un voto separato sul considerando F, che accusa le Filippine di mostrare tutti i sintomi di un sistema giuridico che non funziona.
Al paragrafo 2, vorremmo eliminare l'insinuazione su quelli che sono definiti ritardi iniziali nell'inchiesta.
Infine, nel paragrafo 6 si sostiene che alcune persone scomparse siano invece detenute nelle carceri filippine. Anche questa è attualmente un’insinuazione non provata e dovrebbe, a nostro parere, venire eliminata.
Charles Tannock, autore. – (EN) Signor Presidente, questo orrendo crimine a Maguindanao deve senza dubbio essere oggetto della nostra più ferma condanna in quanto dimostra la misura in cui l'illegalità si è radicata in alcune zone delle Filippine.
Vi sono diversi motivi per questo avvilente sviluppo: la conformazione naturale delle isole dell'arcipelago Filippine – tra loro lontane – la debolezza del governo centrale, la corruzione, la povertà, e un’insurrezione terroristica islamista in corso nel sud sostenuta da Al-Qaeda.
Questo crimine, apparentemente a sfondo politico, deve essere visto nel suo più ampio contesto sociale e storico. Non dobbiamo ignorare gli sforzi che, nei 25 anni successivi alla caduta del cleptocratico dittatore Ferdinand Marcos, il governo filippino ha compiuto per sviluppare una cultura politica democratica. Né si deve sottovalutare la minaccia mortale rappresentata dai terroristi di Abu Sayyaf e il modo in cui stanno destabilizzando l'intera società delle Filippine.
Un impegno costruttivo e un’assistenza mirata offrono le migliori possibilità di aiutare le Filippine, un paese che condivide i nostri valori comuni in molti modi, al fine di fondare l’operato del governo centrale e delle amministrazioni locali sullo stato di diritto.
Marc Tarabella, autore. – (FR) Signor Presidente, signor Commissario, onorevoli colleghi, lo scorso novembre ho avuto l'opportunità di accogliere al Parlamento europeo la signora Edita Burgos, madre di Jonas Burgos. Il 28 aprile 2007 questo giovane filippino è stato rapito da uomini armati in un affollato centro commerciale di Manila. Da quel giorno, né la sua famiglia né i suoi cari hanno più avuto notizie di lui. Jonas Burgos è una delle centinaia di persone scomparse o uccise nelle Filippine. Tali omicidi vengono commessi nella totale impunità e molto raramente gli esecutori vengono portati davanti alla giustizia.
In vista delle elezioni del maggio 2010, temiamo un aumento della criminalità e il rapimento di chi si oppone al governo in carica. Condanniamo il massacro del 23 dicembre scorso a Maguindanao e ci auguriamo che venga fatta luce sulle uccisioni e sulle torture subite dal convoglio di Ismael Mangudadatu.
Rui Tavares, autore. – (PT) Signor Presidente, poco più di due decenni fa, aprendo la strada a un’ondata democratica in Asia, le Filippine avevano suscitato la speranza in tutto il mondo per i diritti umani in quell’area, e per l’aumento dei diritti dei lavoratori, degli studenti, dei popoli e per la normalità elettorale e democratica in quei paesi.
Ora che l'attenzione del mondo si è rivolta altrove, non possiamo lasciare che la situazione democratica nelle Filippine si deteriori. Nel corso degli ultimi anni si sono verificati alcuni casi molto preoccupanti di corruzione e, in particolare, di violenza e molestie rivolte contro l'opposizione durante le elezioni.
L'evento più inquietante, e oggetto della nostra risoluzione, è stato il massacro di Maguindanao: l'assassinio di 46 persone che avevano seguito il convoglio elettorale della candidata dell'opposizione Mangudadatu. Si presume che l’attentato sia ad opera di un gruppo legato al clan dominante nella provincia di Maguindanao, il clan Ampatuan.
Tra gli altri aspetti, vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che in questo massacro sono stati assassinati 30 giornalisti. Questo dato rende l’attentato il più grande massacro di giornalisti nella storia mondiale.
A quanto pare, al Parlamento poco importa quanto stiamo dicendo, il che è una vergogna, ma non possiamo permettere che la distrazione del mondo, dopo solo venticinque anni, lasci scivolare le Filippine in una situazione per la quale da miglior esempio di democrazia questo paese finisca per essere conosciuto come il peggiore.
Devono essere svolte indagini in merito a questo massacro e bisogna chiedere alla presidente Arroyo, che appartiene al clan Ampatuan, di continuare le indagini fino alla loro conclusione con procedura d’urgenza. E’ importante che le Filippine sappiano che l'Europa vigila e osserva attentamente gli sviluppi della situazione nel paese.
Barbara Lochbihler, autore. – (DE) Signor Presidente, il motivo di questa urgenza è il brutale assassinio di 57 persone al seguito del corteo di un politico che stava andando a registrarsi come candidata alle elezioni per la carica di governatore provinciale. Anche alcuni ufficiali della polizia locale sono rimasti coinvolti nell’attentato ad opera di una milizia locale.
Questo attacco brutale è un estremo esempio del preoccupante incremento di esecuzioni extragiudiziali a sfondo politico e di sparizioni di persone che si registrano da anni, senza che vengano mai svolte delle indagini.
Il governo non ha mostrato alcuna palese volontà di adottare misure decisive per contrastare questa tendenza. Su centinaia di casi, soltanto due sono stati sottoposti a indagine e non un solo funzionario di alto livello è stato processato. Nel 2008 il relatore speciale delle Nazioni Unite per le esecuzioni extragiudiziarie ha scritto: “Le uccisioni hanno eliminato leader della società civile, compresi difensori dei diritti umani, sindacalisti e propugnatori della riforma agraria, intimidito molti dei protagonisti della società civile e ristretto il dibattito politico del paese”.
Questo è il clima in cui le Filippine si preparano alle elezioni di maggio. Vi è il pericolo di altri omicidi politici ed è quindi della massima urgenza che il governo filippino adotti misure efficaci per porre fine a questa situazione.
Vorrei proporre un emendamento orale. Il paragrafo 6 afferma: “a rilasciare tutte le persone scomparse ancora prigioniere”. Vorremmo sostituirlo con: “a compiere ogni sforzo per assicurare che tutti coloro che sono stati rapiti siano restituiti sani e salvi alle loro famiglie.”
Justas Vincas Paleckis, a nome del gruppo S&D. – (LT) Se a un cittadino dell'Europa centrale fosse chiesto che cosa sta accadendo nelle Filippine, probabilmente non sarebbe in grado di rispondere e direbbe che lì la situazione è tranquilla perché i media non ne parlano. La vita quotidiana nelle Filippine è invece fatta di assassinii politici, guerra di clan, persone sepolte vive, massacri a colpi di motosega: uno Stato in guerra. Poco tempo fa, 57 persone, la metà delle quali giornalisti, sono state uccise; è stato il maggiore massacro di giornalisti mai verificatosi nel mondo. Ci rivolgiamo al governo e chiediamo di porre immediatamente fine a tali eventi, sciogliere le milizie private e porre finalmente termine all'impunità, soprattutto durante le prossime elezioni.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D). – (PL) Signor Presidente, nelle Filippine per il 10 maggio sono previste le elezioni presidenziali e amministrative. E’ ora il momento di fare il possibile per assicurare che si tratterà di elezioni eque. Prima di tutto, bisogna identificare i responsabili dell’attentato del mese di novembre costato la vita a 57 persone fra giornalisti, familiari e colleghi di lavoro della signora Ismael Mangudadatu, candidata alla carica di governatore della provincia di Mindanao. Finora, le forze di polizia locali non hanno mostrato alcuna determinazione nell’individuare i colpevoli. Sono stati commessi talmente tanti errori nel corso dell'inchiesta da quasi autorizzare l'uso della forza in politica. Il governo filippino deve affrontare i criminali che hanno usato le recenti campagne elettorali per mettere in atto sequestri di persona a sfondo politico e uccidere oltre 100 candidati.
Le Filippine dovrebbero adottare misure per un uso efficiente degli strumenti a disposizione nel quadro del programma di sostegno alla giustizia tra Unione europea e Filippine, istituito per rafforzare il sistema giudiziario e costruire la società civile. Le elezioni di maggio, quindi, non saranno solo una verifica dell’efficienza delle autorità filippine, ma anche dell'efficacia dei nostri strumenti di aiuto.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). – (ES) Vorrei brevemente dire che abbiamo iniziato un nuovo anno con un nuovo trattato, ma con le stesse cattive abitudini di prima. Manca ancora la partecipazione del Consiglio alle discussioni su questioni urgenti, e continua a mancare anche quel dialogo interistituzionale che dovrebbe permettere di rispondere a questi casi.
Nel caso specifico delle Filippine, devo sottolineare ancora una volta che anche se questa situazione non ha l'impatto di altre, come quella di Haiti, il fatto che negli ultimi dieci anni quasi 1000 persone siano scomparse o siano state uccise significa che vi è un problema strutturale che richiede misure strutturali.
Non possiamo sempre agire in base alle ultime notizie. Abbiamo bisogno di intervenire sulla base dei reali problemi e il fatto che attualmente le vittime siano principalmente difensori dei diritti umani e giornalisti non significa soltanto che non possiamo passare sotto silenzio questi avvenimenti, ma anche che dobbiamo dare una risposta forte e attiva.
Ryszard Czarnecki (ECR). – (PL) Signor Presidente, la difesa dei diritti umani è il carattere distintivo dell'Unione europea. Mi dispiace molto che questo elemento non sia importante per la presidenza spagnola, e che qui al momento non vi siano rappresentanti del Consiglio. E’ una situazione molto preoccupante e assolutamente scandalosa. Stiamo parlando di diritti umani, vogliamo difenderli, ma qui non c'è nessuno del Consiglio, e nessun rappresentante del paese che guiderà l'Unione europea nei prossimi sei mesi. E’ una situazione assolutamente inaccettabile.
Sarò breve, perché vogliamo votare. Le Filippine sono un paese con una tradizione cristiana che risale a una cultura in parte europea. I diritti umani nelle Filippine devono essere rispettati, perché spesso in Asia non lo sono. Dobbiamo parlarne apertamente e manifestare solidarietà a tutti coloro che nelle Filippine sono vittime di discriminazioni. E’ compito del Parlamento europeo parlare di questo argomento.
Neelie Kroes, membro della Commissione. – (EN) Signor Presidente, rappresento l'Alto commissario e rappresento la Commissione.
Il massacro di Maguindanao, sull'isola di Mindanao del 23 novembre 2009, in cui sono state uccise 57 persone, ha evidenziato il problema di lunga data dei diritti umani nelle Filippine, in relazione alla scomparsa o all'uccisione di cittadini e all'effettiva impunità di cui i colpevoli hanno goduto in passato.
In questa occasione il governo ha agito rapidamente ed ha intrapreso un'azione decisa per perseguire i colpevoli. E’ importante rompere la cultura dell'impunità e porre fine a questi crimini.
Il governo ha intrapreso alcune importanti iniziative per il rafforzamento dei diritti umani. L'attuale amministrazione della presidente Arroyo ha abolito la pena di morte e nel contesto dell'Associazione delle nazioni dell’Asia sud-orientale si è impegnata in favore dell’inclusione delle disposizioni sui diritti umani nella Carta recentemente adottata dall'ASEAN.
Un obiettivo ancora da raggiungere è porre fine, sulla base di un accordo di pace equo per tutte le parti, del conflitto con i ribelli musulmani di Mindanao che dura da 40 anni. Sembrano esservi nuovi progressi e crescono le speranze per il raggiungimento di un accordo entro la fine dell'anno. Va notato che il massacro di Maguindanao è il risultato di una lotta tra famiglie politiche, tutti musulmani per inciso, e che come tale non era legato ai conflitti tra municipalità.
L'Unione europea ha un dialogo consolidato con il governo delle Filippine nel corso del quale entrambe le parti discutono un ampio ventaglio di questioni, tra cui i diritti umani. Stiamo anche negoziando un partenariato di cooperazione con le Filippine che comprende importanti impegni in merito ai diritti umani. Sosteniamo attivamente il governo nei suoi sforzi volti a migliorare il rispetto dei diritti umani.
In accordo con il governo, abbiamo lanciato una Missione di assistenza giuridica Unione europea-Filippine. Si tratta di un'azione tempestiva finalizzata a consolidare le competenze delle autorità giudiziarie delle Filippine, compresa la polizia e il personale militare, per aiutarle ad indagare sui casi di esecuzioni extragiudiziali e a perseguire i colpevoli. Metteremo in atto un sistema di monitoraggio per sviluppare la fiducia. La Missione di assistenza giuridica Unione europea-Filippine ha una durata iniziale di 18 mesi, prorogabile, ed è finanziata nell'ambito dello strumento per la stabilità. Sono attivi anche altri progetti a livello locale per promuovere il rispetto dei diritti umani, tra i quali il monitoraggio dell'applicazione degli impegni internazionali, le azioni a sostegno della ratifica dello Statuto di Roma della Corte internazionale di giustizia, e l'educazione degli elettori.
L'Unione europea sta inoltre contribuendo al processo di pace a Mindanao, soprattutto con il sostegno ai servizi sociali e alle attività di rafforzamento della fiducia, ma siamo pronti a fare di più se ci saranno dei progressi.
Presidente. – La discussione è chiusa. La votazione si svolgerà a seguire.
Vorrei ricordare all'onorevole Lochbihler di presentare il suo emendamento orale al momento opportuno, durante la votazione.
7.1. Recenti violenze contro le minoranze religiose in Egitto e Malesia (votazione)
7.2. Violazioni dei diritti umani in Cina, in particolare il caso di Liu Xiaobao (votazione)
7.3. Filippine (votazione)
Barbara Lochbihler, autore. – (EN) Signor Presidente, vorremmo sostituire la seguente frase presente nel paragrafo 6: “rilasciare tutti le persone scomparse ancora prigioniere”.
Al suo posto vorremmo inserire la frase seguente: “fare qualsiasi sforzo per assicurarsi che chiunque sia stato sequestrato ritorni sano e salvo dalla sua famiglia”.
(L’emendamento orale è accolto)
7.4. Strategia europea per la regione del Danubio (votazione)
Filip Kaczmarek (PPE). – (PL) Signor Presidente, io ho votato a favore della strategia europea per la regione del Danubio perché ritengo che l’Unione europea necessiti di simili strategie regionali. Sono convinto che la loro applicazione possa influenzare positivamente lo sviluppo regionale e, di conseguenza, la vita degli abitanti della regione in questione, migliorando la qualità di vita. Gli abitanti dell’Unione europea sono naturalmente al centro delle azioni del Parlamento e dell’Unione europea e per questo ho votato a favore dell’adozione della risoluzione.
Bernd Posselt (PPE) . – (DE) Signor Presidente, ritengo che la strategia europea per la regione del Danubio sia profondamente europea. Lega un membro fondatore dell’Unione europea con i due membri di più recente adesione, la Bulgaria e la Romania. Unisce anche il prossimo paese candidato, la Croazia, con un paese che sta lottando per ottenere lo status di candidato, ovvero la Serbia. Sono lieto di costatare che l’obiettivo è di includere la Repubblica ceca, il Montenegro e alcuni altri paesi che, storicamente e geograficamente, appartengono a questa regione, sebbene non si affaccino direttamente sul Danubio.
Vorrei chiedere che non si trascuri la Baviera che, se fosse indipendente, sarebbe il secondo Stato più esteso sulle sponde del Danubio dopo la Romania. La Baviera è particolarmente interessata alla strategia europea per la regione del Danubio. Pertanto, sono lieto che ora si porti avanti questa strategia.
***
Daniel Hannan (ECR) . – (EN) Signor Presidente, è evidente ancora una volta come l’Unione europea prediliga l’apparenza alla sostanza, la motivazione al risultato. Abbiamo appena votato una serie di risoluzioni che condannano le violazioni dei diritti umani in Cina, ma cosa sta facendo l’Unione europea in concreto? Isoliamo Taiwan, abbiamo espresso un accordo di principio sulla vendita di armi al regime comunista di Pechino, con il quale stiamo collaborando per rispondere al sistema americano del GPS, definito “imperialismo tecnologico” dal presidente Chirac.
Ecco come l’ipocrisia è diventata un principio di base! Piagnucoliamo sui diritti umani e poi passiamo soldi ad Hamas; ci rifiutiamo di trattare con i dissidenti anticastristi a Cuba, non rispettiamo la democrazia all’interno dei nostri confini quando i referendum non vanno nel modo giusto, ma ci convinciamo di essere delle brave persone solo per la nostra proposta di risoluzione sui diritti umani!
Sarà uno spettacolo straordinario inviare la baronessa Ashton, in qualità di nostra rappresentante per gli affari esteri, in Iran, a Cuba e in posti come questi per dire loro che hanno una democrazia inadeguata, quando proprio lei, in tutta la sua carriera, non si è mai sottoposta a votazioni e non ha mai invitato i suoi compatrioti a votare a favore o contro di lei.
Infine, se me lo permettete, vorrei congratularmi con quelle brave persone del Massachusetts che hanno preso posizione contro una tassazione e un governo eccessivi. Sono stati gli abitanti del Massachusetts a dar vita a una rivoluzione per allontanarsi dall’idea che le tasse possano essere imposte senza il consenso popolare. Anche l’Europa ha di nuovo bisogno di una simile rivoluzione.
Mirosław Piotrowski (ECR). – (PL) Signor Presidente, sono soddisfatto poiché il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulle violenze contro le minoranze cristiane. I membri del Parlamento europeo non devono rimanere in silenzio di fronte alle violenze subite dalle minoranze cristiane nel mondo perché questo problema mina le fondamenta e le radici delle nazioni appartenenti all’Unione europea. Per rendere la nostra voce credibile, avremmo dovuto adottare i due emendamenti presentati dal gruppo dei Conservatori e Riformisti europei per prendere le distanze dal decreto della Corte europea dei diritti dell’uomo sui crocifissi. Mi rincresce che non sia stato così perché dobbiamo ricordare il ruolo fondamentale che la cristianità ha svolto nella formazione dell’identità storica e culturale dell’Europa e promuovere e proteggere tali valori nel mondo così come all’interno dell’Unione europea.
Presidente . – Collega, l’ho fatta parlare anche se non ne avrebbe avuto diritto perché le dichiarazioni di voto sono ammissibili soltanto sulla Strategia per il Danubio e non sulle risoluzioni d’urgenza. Comunque lei ormai ha parlato, quindi lo dico per le prossime occasioni, non ci sono dichiarazioni di voto sulle urgenze. Quindi lo dico anche per gli oratori che si sono iscritti: la dichiarazione di voto può essere effettuata solo sulla Strategia europea per il Danubio.
Ryszard Czarnecki (ECR) . – (PL) Signor Presidente, anch’io vorrei parlare della discriminazione di cui sono stati vittima i cristiani in Africa e in Asia, ma parlerò, invece, della nostra strategia che riguarda una questione estremamente importante. Non dimentichiamoci che il Danubio è il secondo fiume più lungo d’Europa dopo il Volga, attraversa 10 Stati europei e 17 Stati si trovano nel suo bacino fluviale. Questo tema comporta una certa responsabilità e rappresenta una sfida per l’Unione europea perché alcuni di questi paesi stanno attualmente attraversando una grave crisi. Mi riferisco anche ad alcuni Stati membri dell’Unione europea. L’Unione sta dimostrando una certa solidarietà in questo senso e spero che si comporti allo stesso modo in altre circostanze.
Bogusław Liberadzki (S&D) . – (PL) Signor Presidente, io ho votato a favore della risoluzione sulla strategia per il Danubio. Perché? Perché dimostra che l’Unione europea è aperta nei confronti di determinate regioni, regioni che hanno una caratteristica in comune: un lungo fiume che le attraversa. Vorrei esprimere la mia soddisfazione per il fatto che gli emendamenti proposti dal gruppo dei Conservatori e dei Riformisti europei non sono stati accettati. Questo ha reso più chiara la nostra risoluzione. Vorrei che a seguito della risoluzione in questione si spostasse l’attenzione anche su altre regioni caratteristiche, compreso il bacino dell’Oder.
Maria Da Graça Carvalho (PPE) , per iscritto. – (PT) Accolgo con favore le conclusioni del Consiglio europeo del 18 e 19 giugno 2009 in cui si chiede alla Commissione europea di stabilire una strategia europea per la regione del Danubio entro il 2011. Il mio voto va a favore della proposta di risoluzione qui presentata. La regione del Danubio sta affrontando diverse sfide e una strategia mirata migliorerà i collegamenti e i sistemi di comunicazione, la tutela dell’ambiente e sarà uno stimolo per la crescita, la creazione di posti di lavoro e la sicurezza. E’ importante che la Commissione sfrutti al massimo l’esperienza di gestione acquisita grazie alla strategia per il Mar Baltico e che la sua strategia si basi sulla determinazione di governi e cittadini degli Stati membri e delle regioni di superare le prossime sfide comuni. E’ fondamentale anche allineare questo programma alla strategia dell’UE per il 2020 e alla relazione della Commissione dal titolo “Regioni 2020”, per affrontare le principali sfide che l’Europa si trova attualmente di fronte, come la globalizzazione, le tendenze demografiche, il cambiamento climatico e l’impiego e la fornitura di energia. Vorrei esortare il Parlamento a sviluppare un processo di riflessione sul futuro della politica europea di coesione e a creare nuove possibili strategie per altre regioni affinché queste si adeguino ai cambiamenti e alle pressioni del mondo globale.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D) , per iscritto. – (RO) Ritengo che l’importanza di rafforzare la strategia europea per la regione del Danubio faciliterà le azioni esterne dell’UE nelle sue immediate vicinanze, evidenziando il ruolo potenziale che potrebbe svolgere nell’aiutare a portare la stabilità nelle regioni dell’Europa sud-orientale e orientale, attuando progetti specifici a sostegno dello sviluppo economico e sociale. Il fatto che gli Stati membri sulle sponde del Danubio si siano assunti la responsabilità di promuovere a livello europeo la proposta di una strategia per la regione del Danubio conferma la loro capacità di fornire un contributo specifico alla promozione delle maggiori iniziative per la continuazione del processo di integrazione europeo.
Ioan Enciu (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della risoluzione congiunta sul Danubio del Parlamento europeo per la creazione di una strategia europea a favore della regione come questione estremamente urgente. Tale strategia darà un considerevole slancio alla cooperazione interregionale e avrà i seguenti obiettivi: lo sviluppo e la modernizzazione del trasporto via fiume sull’asse fluviale Reno/Mosa-Meno-Danubio, così come il trasporto su strada e su ferrovia nella regione del Danubio; lo sviluppo e l’impiego efficiente delle risorse energetiche rinnovabili con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio e aumentare la sicurezza energetica; la tutela dell’ambiente attraverso l’applicazione di progetti che mirano al ripristino e alla protezione degli ecosistemi nella regione; l’assimilazione efficace dei fondi europei e l’attrazione di investimenti, e la promozione del turismo. Tutto ciò è compreso nella strategia UE per il 2020.
Tale strategia avrà un impatto positivo sulla Romania, in particolare sui collegamenti del paese con le reti di trasporto europee, la tutela del patrimonio nazionale del delta, lo sviluppo socio-economico delle località che si trovano nel bacino del Danubio e in altre aree.
Diogo Feio (PPE) , per iscritto. – (PT) Credo fermamente che si potrà ottenere il pieno sviluppo dell’Unione europea solo attraverso politiche di sviluppo adeguate per tutte le regioni europee che rispettano le proprie diversità, necessità e caratteristiche specifiche.
Ritengo che la coesione sociale implichi la creazione di strategie distinte per le diverse regioni, la promozione dello sviluppo sostenibile nel contesto del rispetto dell’ambiente e lo sfruttamento economico del proprio potenziale.
Sono consapevole che le strategie macroregionali mirano alla promozione di uno sviluppo regionale equilibrato all’interno dell’UE, utilizzando le risorse esistenti.
Infine, ma non meno importante, riconosco l’importanza strategica, territoriale, ambientale e culturale del Danubio nell’Europa centrale. Per tutte queste ragioni, il mio voto va a favore di questa proposta di risoluzione per una strategia europea per la regione del Danubio.
José Manuel Fernandes (PPE) , per iscritto. – (PT) La presente risoluzione sostiene una strategia per la regione del Danubio attraverso un approccio coerente e basato sul territorio per questo importante fiume e permette lo sviluppo sostenuto e integrato di una regione che si estende su 14 paesi europei.
La strategia proposta permetterà di stabilire una politica coordinata e integrata che potrà raggiungere effetti sinergici, promuovere la coesione e favorire la crescita economica e la competitività, senza tralasciare la protezione dell’ambiente.
Gli obiettivi da raggiungere e armonizzare comprendono la modernizzazione dei porti, il miglioramento della navigabilità del fiume (con corridoi per il trasporto merci, interconnessioni e l’intermodalità con il Mare del Nord), il miglioramento della qualità delle acque, la tutela dell’intero bacino del Danubio e la tutela dell’ecosistema compreso nella rete Natura 2000.
La Commissione dovrebbe quindi iniziare presto un processo di consultazioni con tutti i paesi sulle sponde del Danubio in modo tale da stabilire e allineare la strategia in questione al prossimo quadro finanziario pluriennale entro la fine dell’anno.
João Ferreira (GUE/NGL) , per iscritto. – (PT) Appoggiamo la creazione di una strategia per la regione del Danubio basata su una consultazione preventiva e sulla cooperazione tra i paesi e le regioni che si trovano lungo il fiume. Una strategia di questo genere aiuterà a promuovere la coesione economica e sociale e la coesione territoriale in queste regioni senza metterle a repentaglio. La strategia richiede di migliorare lo stato ecologico del Danubio, oltre allo sviluppo di un piano completo per la conservazione e il ripristino del patrimonio naturale.
La strategia si dimostra inoltre positiva grazie alla proposta di migliorare l’ambiente multiculturale del Danubio, il dialogo culturale e di proteggere il suo patrimonio culturale e storico. Come sostiene la relazione, crediamo che l’applicazione della strategia non debba violare le responsabilità del governo regionale e locale, dato che si basa sulla cooperazione tra i paesi e le aree della regione.
Jacek Olgierd Kurski (ECR), per iscritto. – (PL) La strategia per la regione del Danubio che abbiamo preparato e che abbiamo votato oggi rende possibile la promozione della cooperazione regionale e transfrontaliera. Il bacino del Danubio unisce oggi oltre 10 paesi europei – Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Serbia, Bulgaria, Romania, Moldova e Ucraina – la maggior parte dei quali sono Stati membri o paesi che aspirano a diventare tali. Per questo motivo, la regione del Danubio è un elemento significativo che riunisce diversi programmi facenti parte della politica di coesione dell’Unione europea, così come programmi per paesi candidati e paesi compresi nella politica europea di vicinato. Oggi abbiamo praticamente adottato un progetto generale di sostegno all’area del bacino del Danubio, ma il fatto che il programma rimanga sulla carta o che il modello venga riempito con contenuti specifici dipende dalla possibilità di trovare nuovi mezzi che non colpiscano o riducano il pool designato per la politica di coesione nei singoli paesi. Spero che una strategia per la regione del Danubio contribuisca ad aumentare la prosperità, uno sviluppo sostenibile e duraturo, crei nuovi posti di lavoro e maggior sicurezza nella regione.
Petru Constantin Luhan (PPE) , per iscritto. – (RO) Ho votato a favore della creazione di una strategia di sviluppo per il Danubio che ci permetterà di chiedere alla Commissione di redigere questo documento il prima possibile, tenendo in considerazione le consultazioni specifiche con gli esperti del settore e delle regioni coinvolte, identificando le risorse finanziarie disponibili e comprendendo i paesi terzi. Tale strategia deve concentrarsi sulla tutela dell’ambiente e la qualità dell’acqua, sul potenziale economico e sulle reti transeuropee di trasporto. La risoluzione sulla strategia europea per la regione del Danubio enfatizza il ruolo e l’importanza delle ampie consultazioni con gli attori locali, che deve organizzare la Commissione in modo tale da rappresentare il più fedelmente possibile gli interessi dei cittadini.
La risoluzione stabilisce che qualsiasi strategia relativa alle macroregioni deve essere incorporata alla politica di coesione, che è la politica di coordinamento a livello europeo. In aggiunta, si dovrà svolgere un’analisi sul valore aggiunto derivante da tale strategia in termini di coesione territoriale europea. Ritengo necessario stabilire un rapporto tra la strategia RTE-T (rete transeuropea di trasporto), nella quale il Danubio compare al punto 18, e la nuova strategia di sviluppo territoriale ed economico, cosicché lo sviluppo avvenga in modo completo.
Nuno Melo (PPE) , per iscritto. – (PT) Data l’importanza strategica della regione del Danubio, grazie alla sua ubicazione, è fondamentale instaurare strette relazioni tra tutti i paesi della regione, particolarmente con quelli che ancora non fanno parte dell’Unione europea. Questo aiuterà l’integrazione in vista di un futuro allargamento. L’applicazione di tutte le raccomandazioni approvate in questa proposta di risoluzione è cruciale per la presentazione di una strategia dell’Unione europea per la regione del Danubio entro la fine del 2010.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La strategia per la regione del Danubio rappresenta un modello ragionevole di coordinamento delle misure dell’Unione europea per questa regione. In aggiunta alle questioni riguardanti il fiume, come il miglioramento della qualità dell’acqua e le condizioni ecologiche, il programma che la Commissione sta elaborando potrebbe portare anche a sinergie in campo economico e amministrativo. Ho votato a favore della relazione presentata poiché avanza buone proposte in questo senso.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D) , per iscritto. – (PL) Appoggio la risoluzione sulla strategia europea per la regione del Danubio. La coesione territoriale è considerata, nel trattato di Lisbona, una delle priorità dell’Unione europea e l’azione della strategia per la regione del Danubio riguarda molti settori di sostegno, come la politica sociale, la cultura e l’istruzione, la tutela dell’ambiente, le infrastrutture e uno sviluppo economico duraturo. Il principale impatto della strategia e le soluzioni che prevede in questi settori dimostrano che si dovrebbero stabilire e applicare le strategie europee. La regione del Danubio necessita di sostegno e della nostra azione perché questa questione riguarda molti paesi europei, sei dei quali sono Stati membri dell’Unione europea e gli altri sono potenziali candidati. L’influenza della regione è importante anche per altri paesi che non vi sono direttamente associati.
L’idea di stabilire regioni funzionali, le macroregioni, è partita dalla strategia per le regioni del Mar Baltico. La strategia per il Danubio, così come altre strategie macroregionali istituite dall’UE, ha come obiettivo principale rafforzare l’integrazione attraverso la cooperazione a livello regionale e locale. E’ estremamente importante che i governi, le amministrazioni locali, le organizzazioni non governative e i cittadini collaborino con l’Unione europea sullo sviluppo e la realizzazione delle soluzioni adottate perché, insieme a noi, formano l’Unione europea.
Artur Zasada (PPE), per iscritto. – (PL) Si dovrebbe sostenere qualsiasi iniziativa europea che miri a coordinare e rafforzare le iniziative regionali e contribuisca a una maggiore cooperazione economica, migliorando le infrastrutture dei trasporti e la tutela dell’ambiente. La strategia per la regione del Danubio conferma la sempre maggiore importanza dell’approccio macroregionale alla politica regionale dell’Unione europea. Grazie al documento adottato oggi, si rafforzeranno le relazioni tra i vecchi, i nuovi e i potenziali futuri Stati membri dell’UE da un lato e l’Europa centrale e la regione del Mar Nero dall’altro. Ritengo che in un futuro non molto lontano, si approverà allo stesso modo il concetto di un corridoio basato sulla linea dell’Oder che collegherebbe il Mar Baltico al Mar Adriatico, dalla Svezia attraversando la Polonia, la Repubblica ceca, la Slovacchia, l’Ungheria e la Croazia.
Presidente . – Non è possibile collega. Ho già spiegato che non si può fare un intervento di dichiarazioni di voto sulle risoluzioni d’urgenza. Si può fare soltanto sulla Strategia europea per il Danubio. Vi chiedo scusa, ma non è una mia volontà.
9. Correzioni e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
10. Misure di attuazione (articolo 88 del regolamento): vedasi processo verbale
11. Decisioni concernenti taluni documenti: vedasi processo verbale
12. Dichiarazioni scritte inserite nel registro (articolo 123 del regolamento): vedasi processo verbale
13. Trasmissione dei testi approvati nel corso della presente seduta: vedasi processo verbale
14. Calendario delle prossime sedute: vedasi processo verbale
INTERROGAZIONI AL CONSIGLIO (La Presidenza in carica del Consiglio dell’Unione europea è l’unica responsabile di queste risposte)
Interrogazione n. 10 dell’onorevole McGuinness (H-0498/09)
Oggetto: Società che pubblicano elenchi commerciali ingannevoli
Quale avvertenza può offrire il Consiglio alle migliaia di cittadini europei vittime di società che pubblicano elenchi commerciali ingannevoli come la European City Guide, che opera dalla Spagna, e altre?
Può il Consiglio dare assicurazione a quest’Aula dell’impegno dell’Unione europea a porre fine alle pratiche di pubblicità ingannevole tra imprese?
(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di gennaio 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
L’onorevole parlamentare può essere certo dell’impegno del Consiglio nella lotta contro le pratiche vietate di pubblicità ingannevole, siano esse relative a transazioni tra aziende o tra queste e i consumatori, e, soprattutto, della sua insistenza per un’attuazione completa ed efficace della direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali (che regolamenta i rapporti tra imprese e consumatori), e della direttiva 2006/114/CE, concernente la pubblicità ingannevole, che regolamenta le transazioni tra aziende e che si applicherebbe ai casi riportati dall’onorevole parlamentare.
Far applicare in modo rigoroso ed efficace tali disposizioni, tuttavia, è responsabilità dei tribunali e delle autorità nazionali.
Non spetta pertanto al Consiglio esprimersi su singoli casi di presupposte pratiche sleali.
Per concludere, richiamiamo altresì all’attenzione dell’onorevole parlamentare l’articolo 9 della direttiva 2006/114/CE, che impone agli Stati membri di comunicare alla Commissione tutte le misure adottate nell’attuazione di tale documento. Finora il Consiglio non ha ricevuto dalla Commissione nessuna indicazione relativa a problemi o mancanze nell’attuazione di tale direttiva da parte di nessuno Stato membro, né la Commissione ha sottoposto proposte di misure legislative supplementari.
Interrogazione n. 11 dell’onorevole Ţicău (H-0500/09)
Oggetto: Protezione delle infrastrutture di comunicazione elettronica e dei dati di carattere personale
Il Consiglio dei Ministri dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia del 17 e 18 dicembre 2009 ha affermato nelle sue conclusioni la necessità di sviluppare una nuova agenda digitale per l’Unione europea che faccia seguito alla strategia i-2010. Pertanto, il Consiglio UE ha sottolineato l’importanza di elaborare soluzioni per l’identificazione elettronica degli utenti di mezzi e servizi elettronici che garantiscano la tutela sia dei dati personali che della privacy.
Quali misure intende inserire il Consiglio nella futura agenda digitale dell’UE per il periodo fino al 2020 e, in particolare, quali misure prevede ai fini della protezione delle infrastrutture di comunicazione elettronica e dell’elaborazione di soluzioni per l’identificazione elettronica che garantiscano la tutela sia dei dati personali che della privacy?
(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di gennaio 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
Molto è già stato fatto nel campo dell’identificazione elettronica. Nell’ambito del settimo programma quadro per le attività di ricerca, sono stati avviati diversi progetti legati alla gestione dell’identità ed esistono altresì dei progetti cofinanziati dall’Unione europea nell’ambito del programma di sostegno alla politica in materia di informazione e di comunicazione del programma quadro per la competitività e l’innovazione. La revisione, recentemente adottata, del quadro normativo per le reti e i servizi di comunicazione elettronica migliora la situazione anche per quanto attiene al diritto alla privacy dei cittadini.
L’onorevole parlamentare ricorderà altresì l’operato dell’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione, istituita per aumentare le capacità dell’Unione europea, degli Stati membri e della comunità imprenditoriale di prevenire, far fronte e rispondere a tale genere di problemi.
Il 18 dicembre 2009, il Consiglio ha adottato delle conclusioni relative a una “Strategia post-i2010 - Verso una società dei saperi aperta, verde e competitiva”, che sottolineavano l’importanza di elaborare soluzioni in materia di identificazione elettronica che garantiscano la protezione dei dati e il rispetto della privacy dei cittadini, nonché un miglior controllo delle loro informazioni personali in rete. Il Consiglio, inoltre, ha adottato una risoluzione su un approccio europeo cooperativo in materia di sicurezza delle reti e dell’informazione in cui sottolineava l’importanza di una strategia globale europea più incisiva in materia di sicurezza delle reti e dell’informazione.
In entrambi i documenti il Consiglio invita la Commissione a presentare delle proposte. Questa primavera dovrebbe essere già presentata una nuova agenda digitale, in cui confluiranno anche le conclusioni di dicembre.
Il Consiglio è pronto ad agire per rafforzare la sicurezza della rete. Il futuro sviluppo di internet e di nuovi, importanti servizi dipendono in gran parte da tali questioni. Esamineremo con grande attenzione qualunque nuova proposta la Commissione vorrà sottoporci.
Interrogazione n. 12 dell’onorevole Crowley (H-0502/09)
Oggetto: Fortuna Land Scam
Molti investitori dall’Irlanda hanno perduto somme rilevanti in un programma di investimenti dubbi creato da una società spagnola di Fuengirola. Quali azioni possono essere avviate, a livello sia nazionale sia dell’Unione europea, per aiutare questi investitori a recuperare i loro investimenti, considerando che molti di loro hanno perso i risparmi di una vita intera?
(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di gennaio 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
Comprendiamo le preoccupazioni di tutti gli investitori che hanno perso i propri risparmi e anche di coloro che hanno effettuato degli investimenti sulla base delle indicazioni della società citata dall’onorevole parlamentare.
Fatta questa premessa, spetta ora alle autorità competenti degli Stati membri interessati da questa o altre situazioni similari intraprendere le misure necessarie per procedere con le proprie indagini e fornire aiuto agli investitori che hanno subito un danno.
Le autorità spagnole hanno effettivamente avviato delle investigazioni criminali a tale proposito, ma non spetta alla presidenza del Consiglio esprimersi in merito.
Interrogazione n. 13 dell’onorevole Gallagher (H-0504/09)
Oggetto: Riforma del Fondo di solidarietà dell’UE
Il Consiglio tiene in sospeso una proposta di semplificare e migliorare il Fondo di solidarietà dell’UE (2005/0033) fin da quando il Parlamento europeo l’ha adottata in prima lettura, nel 2006. Negli ultimi anni l’Europa ha subito gravi fenomeni meteorologici con maggiore frequenza. Ad esempio, le recenti inondazioni in Irlanda hanno causato notevoli danni a molte abitazioni, attività commerciali, aziende agricole, strade e impianti di approvvigionamento idrico. È essenziale attribuire la priorità alla riforma del Fondo di solidarietà dell’UE.
Quali misure intende la Presidenza entrante adottare per sbloccare la situazione in seno al Consiglio?
(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di gennaio 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
Il Fondo di solidarietà dell’Unione europea è stato creato a seguito dei disastri provocati dalle precipitazioni straordinarie che hanno colpito l’Europa centrale nell’estate del 2002. Il 6 aprile 2005, la Commissione ha sottoposto al Consiglio una proposta di revisione del regolamento, volta in particolar modo ad ampliarne il mandato a calamità non naturali, ad abbassare la soglia minima dei danni riportati a causa del disastro e ad aggiungere un ulteriore criterio, di ordine politico. Nel proprio parere del maggio 2006, il Parlamento ha approvato tale proposta con alcune modifiche.
Nondimeno, dopo aver esaminato la proposta in questione, le discussioni in seno al Consiglio hanno portato alla conclusione che non vi era abbastanza sostegno per una revisione del regolamento nei termini proposti dalla Commissione.
Interrogazione n. 14 dell’onorevole Czarnecki (H-0507/09)
Oggetto: Modificazione della struttura demografica degli Stati membri dell’Unione europea
Può il Consiglio indicare se ha osservato la significativa modificazione della struttura demografica degli Stati membri dell’Unione europea? Tale situazione è il risultato di due fattori: un rapido invecchiamento della popolazione dei 27 Stati membri e un importante aumento del numero di immigrati originari di paesi extraeuropei.
Intende il Consiglio elaborare un programma volto a incoraggiare l’attuazione, nel territorio dell’Unione, di una politica di promozione delle nascite, a favore della famiglia, al fine di invertire tale tendenza?
(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di gennaio 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
Quella demografica è una delle principali sfide a lungo termine dell’Unione europea e, indubbiamente, come sottolineato dall’onorevole parlamentare, essa è strettamente collegata alle questioni della famiglia.
Ciò detto, rimane di responsabilità degli Stati membri ideare e attuare disposizioni specifiche in materia di politica a favore della famiglia. Per quanto attiene alla politica sociale, secondo quanto stabilito dai trattati, l’Unione europea può sostenere e integrare le attività degli Stati membri “attraverso iniziative volte a migliorare la conoscenza, a sviluppare gli scambi di informazioni e di migliori prassi, a promuovere approcci innovativi e a valutare le esperienze fatte”(1).
Le questioni demografiche e sociali, tuttavia – incluse quelle relative alla famiglia, ove appropriato – rimangono all’ordine del giorno del Consiglio. Il 30 novembre 2009, il Consiglio ha fatto propri i pareri redatti dai comitati per la protezione sociale e per l’occupazione sulla futura agenda dell’Unione europea dopo il 2010, ritenendo che il prolungamento della vita lavorativa e la promozione di una migliore conciliazione tra la vita privata e la vita professionale rimarranno un fattore essenziale(2)per la strategia dell’Unione dopo il 2010, e che l’invecchiamento della popolazione e la globalizzazione rimangono tra le principali sfide della strategia europea per l’occupazione(3).
Inoltre, nelle proprie conclusioni(4), il Consiglio ha riconosciuto “che a causa dei cambiamenti demografici si prevede una diminuzione della percentuale di popolazione in età lavorativa nei prossimi decenni e che l’Europa passerà da quattro a solo due persone in età lavorativa che sostengono una persona anziana. In tale contesto le politiche per rafforzare la parità di genere e migliorare la conciliazione di vita professionale, vita familiare e vita privata sono essenziali per raggiungere gli obiettivi comuni fissati relativi a tassi di occupazione più elevati nonché per realizzare gli obiettivi della crescita economica e della coesione sociale nell’Unione europea”.
Per concludere, nel proprio programma per l’occupazione e le questioni sociali(5), la presidenza spagnola riconosce che l’Europa sta iniziando ad affrontare l’invecchiamento demografico non solo come una sfida, ma anche come un’opportunità per le politiche sociali.
Essa ritiene che i tempi siano maturi perché l’Unione europea adotti un’iniziativa per la promozione del prolungamento della vita attiva; ad esempio, essa sostiene l’eventuale decisione della Commissione di dichiarare il 2012 l’anno europeo del prolungamento della vita attiva e dei rapporti intergenerazionali. Essa organizzerà, inoltre, una conferenza sul prolungamento della vita attiva a La Rioja, dal 29 al 30 aprile 2010.
La presidenza spagnola promuoverà altresì azioni congiunte da parte degli Stati membri per rispondere al meglio agli importanti cambiamenti sociali e demografici che gli Stati membri devono fronteggiare, attraverso, ad esempio, uno scambio più intenso dio informazioni, di apprendimento reciproco e migliori pratiche. Verrà data enfasi sia alle varie iniziative volte alla conciliazione tra vita privata e familiare e vita professionale, sia all’aumento dei livelli occupazionali, specialmente per i lavoratori più anziani.
Preparato congiuntamente da tre ministri spagnoli, per il lavoro e l’occupazione, per la salute e gli affari sociali e per le pari opportunità.
Interrogazione n. 15 dell’onorevole Andrikienė (H-0002/10)
Oggetto: Attuazione delle priorità della Presidenza spagnola nelle relazioni UE-America latina
Una delle priorità chiave della Presidenza spagnola sono le relazioni UE-America latina.
Quali obiettivi vorrebbe raggiungere la Presidenza spagnola nel settore del commercio internazionale con l’America latina?
Gli accordi di libero scambio con paesi quali la Colombia e il Perù saranno conclusi nel corso della Presidenza spagnola? Quali sono i problemi più importanti tuttora irrisolti?
(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di gennaio 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
Il rafforzamento delle relazioni UE-America latina è indubbiamente una delle massime priorità della presidenza spagnola.
Nel progetto di programma di 18 mesi(1) elaborato dalla presidenza spagnola e dalle future presidenze belga e ungherese, le tre presidenze hanno sottolineato che sarà posta particolare attenzione alla conclusione degli accordi di associazione con l’America centrale e alla firma dell’accordo multilaterale con i paesi della Comunità andina, nonché alla ripresa e al progresso dei negoziati dell’accordo di associazione con Mercosur.
Per quanto attiene ai negoziati per gli accordi di associazione con l’America centrale, è attualmente in fase di discussione con i paesi di tale regione un possibile calendario per la ripresa dei negoziati in modo da concluderli ad aprile di quest’anno. Dobbiamo vedere, a tale proposito, soprattutto come si evolve la situazione in Honduras nei prossimi mesi, dopo gli ultimi eventi che si sono verificati in questo paese.
Per quanto concerne specificatamente l’accordo di libero scambio con la Colombia e il Perù, i negoziati sono a uno stadio molto avanzato e la presidenza spagnola si adopererà in ogni modo per concluderli entro il primo semestre del 2010. La prossima tornata avrà luogo questa settimana a Lima. Devono essere risolte ancora diverse questioni, come quelle relative al commercio (accesso al mercato, norme d’origine, proprietà intellettuale) e l’introduzione delle cosiddette “clausole politiche” (sui diritti umani e sulle armi di distruzione di massa). Tuttavia, sia la Colombia che il Perù hanno dimostrato la propria volontà di trovare un compromesso, quindi le prospettive che i negoziati vadano a buon fine sono buone. Se nell’immediato futuro dovesse essere raggiunto un accordo, verrebbero avviate le procedure per la firma dello stesso a margine del vertice UE-America centrale che si terrà a Madrid dal 17 al 18 maggio.
Il ruolo del Parlamento europeo nel processo che porterà alla conclusione e all’entrata in vigore di tali accordi internazionali è determinato dalle nuove disposizioni del trattato di Lisbona, nel rispetto delle basi giuridiche del singolo accordo.
Quando i negoziati con il Mercosur furono sospesi, nel 2004, erano già stati compiuti notevoli passi avanti sul piano del dialogo politico e della cooperazione. L’Unione europea nel suo complesso, e la presidenza spagnola in particolare, attribuiscono grande importanza alla ripresa dei negoziati, che potrebbero riprendere se si presentassero le giuste condizioni. Queste ultime devono essere verificate con attenzione prima che l’Unione europea decida di riprenderli.
Interrogazione n. 16 dell’onorevole Toussas (H-0004/10)
Oggetto: L’Unione europea approva l’elevazione dei nazisti al rango di eroi?
Il 18 dicembre, poche ore prima che il governo della Georgia procedesse ad abbattere con la dinamite un monumento antifascista nella città di Kutaisi, all’Assemblea generale dell’ONU è stata presentata una risoluzione che condanna l’operazione di giustificazione del nazismo portata avanti da alcuni paesi europei e Stati membri dell’UE, come i paesi baltici e altri, che proclamano eroi i componenti delle bande fasciste delle “Waffen SS”, mentre con decisioni governative demoliscono e dissacrano monumenti della resistenza antifascista e della vittoria dei popoli. A favore della risoluzione si è pronunciata la stragrande maggioranza dei paesi membri dell’ONU (127) mentre solo gli Stati Uniti d’America hanno votato contro, con l’appoggio dei 27 Stati membri dell’UE, che si sono astenuti.
Il Consiglio è pregato di rispondere ai seguenti quesiti. L’astensione dell’UE sulla risoluzione costituisce approvazione e sostegno della riabilitazione ed elevazione al rango di eroi, in alcuni Stati membri e in altri paesi europei, dei componenti delle bande fasciste e dei collaboratori dei criminali di guerra nazisti? Approvano l’UE e il Consiglio l’abbattimento – in alcuni Stati membri e in altri paesi – dei monumenti che ricordano la vittoria antifascista? Il rifiuto dell’UE di condannare la trasformazione in eroi dei criminali fascisti responsabili di delitti contro l’umanità s’inquadra nel tentativo antistorico di equiparare nazismo e comunismo?
(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di gennaio 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
L’Unione europea ha sempre espresso in modo chiaro il proprio forte impegno nella lotta mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza. Tale posizione è stata ribadita nella dichiarazione rilasciata dalla presidenza svedese a nome dell’Unione europea, per motivare la decisione di astenersi dal voto durante la 64a sessione del terzo comitato dell’Assemblea generale sulla risoluzione sull’inammissibilità delle pratiche che contribuiscono a scatenare forme moderne di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e l’intolleranza.
Come indicato in tale dichiarazione, nel corso dei negoziati sul testo della risoluzione, l’Unione ha dichiarato di essere pronta a cercare il modo di garantire che tale documento rappresenti una risposta seria e concreta alle forme moderne di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e l’intolleranza.
Purtroppo, tuttavia, non è stato tenuto conto di alcune delle più gravi preoccupazioni espresse dall’Unione europea e da altre delegazioni. Come in passato, invece di affrontare globalmente le preoccupazioni relative ai diritti umani per quanto attiene al razzismo e alla discriminazione razziale – di cui una delle forme più gravi è l’insorgenza di violenza razzista e xenofoba – la proposta di risoluzione ha optato per un approccio selettivo, ignorando tali gravi preoccupazioni e, anzi, distogliendo l’attenzione da esse.
Un esempio particolarmente deprecabile delle carenze presenti nella proposta è l’uso inaccurato di citazioni dalle sentenze emesse dal tribunale di Norimberga.
Essenzialmente, la proposta ha mancato altresì di riflettere la considerazione fondamentale che la lotta contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza deve rispettare le disposizioni degli articoli 4 e 5 della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale e non deve violare altri diritti umani o libertà fondamentali già riconosciuti.
Concludendo, la proposta di risoluzione rischiava di violare la libertà del Relatore speciale della Nazioni Unite di relazionare al Consiglio dei diritti dell’uomo e all’Assemblea generale su tutti gli aspetti delle forme moderne di razzismo, discriminazione razziale e xenofobia.
Per tutte queste ragioni, l’Unione europea ha deciso di astenersi dal voto.
Interrogazione n. 17 dell’onorevole Angourakis (H-0005/10)
Oggetto: Arresto del sindaco di Nazareth
Il 29 dicembre è stata lanciata una bomba a mano contro l’abitazione di Ramez Jeraisy, sindaco di Nazareth, che collabora con il Partito comunista israeliano in seno al Fronte democratico per l’uguaglianza e la pace.
L’attentato è avvenuto in coincidenza con l’anniversario dell’attacco omicida di Israele a Gaza, che ha segnato l’inasprimento dell’aggressività dello Stato israeliano, mentre si moltiplicano i casi di aggressioni anticomuniste e antidemocratiche. Contemporaneamente vengono proibite manifestazioni pubbliche e viene perseguito per la sua attività pacifista Mohammad Barakeh, deputato e membro del comitato centrale del Partito comunista israeliano.
Condanna il Consiglio le aggressioni anticomuniste e antidemocratiche di Israele?
(EN) La presente risposta, elaborata dalla presidenza, che non è di per sé vincolante per il Consiglio o i suoi membri, non è stata fornita oralmente durante il Tempo delle interrogazioni al Consiglio della tornata di gennaio 2010 del Parlamento europeo svoltasi a Strasburgo.
Desidero ringraziare l’onorevole parlamentare per questa interrogazione.
Attacchi violenti ai danni dei cittadini – siano essi dipendenti pubblici oppure no, e indipendentemente dalle loro opinioni politiche – costituiscono atti criminali che devono essere indagati e perseguiti tramite le corrette procedure giudiziarie. Qualunque attacco violento motivato da ragioni politiche, inoltre, non può conciliarsi con i valori democratici fondamentali dell’Unione europea, in particolar modo con la libertà di espressione e di orientamento politico, la non-discriminazione e lo Stato di diritto. Tale norma si applica anche per i casi in cui i cittadini sono perseguiti per ragioni politiche da parte dei propri governi o servizi dell’apparato statale.
Per quanto attiene agli incidenti cui si riferisce l’onorevole parlamentare, non vi sono prove a sostegno della motivazione di carattere politico né per il lancio della granata contro l’abitazione del sindaco di Nazareth, attualmente oggetto di investigazioni da parte della polizia giudiziaria israeliana, né per la persecuzione del membro del Knesset, Muhammad Barakeh, che ha personalmente scelto di non invocare la propria immunità parlamentare. Il conflitto di Gaza all’inizio del 2009 è stato oggetto di una serie di dichiarazioni da parte dell’Unione europea, Consiglio incluso, in cui si sottolineava, fra l’altro, che entrambe le parti dovevano rispettare i diritti umani e il diritto internazionale umanitario.
Vorrei assicurare all’onorevole parlamentare che il Consiglio attribuisce particolare importanza ai valori e ai principi democratici ed è pronto a condannarne il mancato rispetto ove opportuno ed in presenza di prove concrete.
INTERROGAZIONI ALLA COMMISSIONE
Interrogazione n. 18 dell’onorevole Aylward (H-0488/09)
Oggetto: Sicurezza dei prodotti e ritiro dei prodotti difettosi
Alla luce delle recenti preoccupazioni in materia di sicurezza sollevate da taluni passeggini e giocattoli da bambini venduti nell’Unione europea, quale azione sta intraprendendo la Commissione per far sì che i consumatori europei, in particolare i bambini, siano protetti e che la necessità di ritirare taluni prodotti non si verifichi con maggiore frequenza?
Inoltre, che cosa può fare la Commissione per garantire che il ritiro di prodotti nel caso di merci non sicure o difettose, si svolga nel modo più efficace e rapido necessario a garantire il minimo disturbo per i consumatori?
I giocattoli e i prodotti per bambini non sono assimilabili a nessun altro prodotto di consumo. La loro sicurezza è una delle massime priorità nell’ambito della sicurezza dei prodotti di consumo.
La Commissione ha recentemente intrapreso un’ampia gamma di attività volte ad aumentare il livello della sicurezza di giocattoli e prodotti per bambini in Europa. Essa ha promosso leggi e norme, incentivato azioni transfrontaliere di sorveglianza del mercato attraverso il sostegno finanziario, cooperato con l’industria dei giocattoli e preso impegni con i nostri partner internazionali.
La nuova direttiva 2009/48/CE sulla sicurezza dei giocattoli(1) è stata adottata il 18 giugno 2009. Grazie alle nostre discussioni costruttive, la direttiva ora contiene più severe prescrizioni di sicurezza e può essere adattata rapidamente all’individuazione di nuovi rischi, in particolar modo per quanto attiene agli agenti chimici.
La sicurezza degli articoli utilizzati per la cura generica del bambino, come culle e carrozzine, è regolata dalla direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti(2). La direttiva stabilisce una serie di disposizioni generali che impongono a tutti gli operatori della catena di approvvigionamento di introdurre sul mercato solo prodotti sicuri. La sicurezza dei bambini è una delle principali preoccupazioni anche nell’attuazione di tali leggi.
Diverse norme europee fungono da punto di riferimento. Le norme che si applicano alla sicurezza dei giocattoli dovranno essere riviste in modo che rispettino la nuova direttiva in materia. Recentemente è stata effettuata una verifica su diversi articoli per la cura del bambino, generalmente impiegati nel nutrimento, nella pulizia o nel riposo dei neonati e dei bambini piccoli. La Commissione, pertanto, richiederà a brevissimo l’adozione di nuove norme di sicurezza europee per articoli per l’igiene del bambino, come vaschette o poltroncine da bagno, e prodotti utilizzati nell’ambiente di riposo del bambino, nel quadro di una più ampia azione in tale materia.
Dalla fine del 2008, la Commissione ha allocato 500 mila euro per incentivare un’azione coordinata di sorveglianza incentrata sui giocattoli per i bambini piccoli. Le autorità di 15 paesi europei hanno già testato 200 campioni di giocattoli per verificare il fattore di rischio di piccoli componenti (calamite incluse) e metalli pesanti. I giocattoli non che si sono dimostrati a norma e sono stati giudicati pericolosi stati ritirati dal mercato.
La Commissione ha invitato altresì l’industria del giocattolo a intraprendere azioni volte a garantire che vengano prodotti e distribuiti sul mercato europeo solo giocattoli sicuri. Due accordi volontari con la Toy Industries of Europe e con i rappresentanti di rivenditori al dettaglio e importatori hanno impegnato l’industria del settore in diverse attività, come l’istruzione e la formazione o lo sviluppo di linee guida che aiutino le aziende a stabilire adeguati sistemi di controllo della sicurezza.
Nell’ambito delle attività internazionali, la cooperazione con la Cina ha già portato al blocco alle frontiere cinesi di centinaia di giocattoli pericolosi e articoli per la cura del bambino, nonché di diversi titoli di esportazione rilasciati dalle autorità cinesi. Esperti in materia di sicurezza dei giocattoli dell’Unione europea, della Cina e anche degli Stati Uniti discutono regolarmente di sicurezza dei giocattoli, preoccupazioni comuni, possibili azioni e ambito di applicazione per la convergenza dei rispettivi requisiti.
Poiché gli operatori economici sono i primi responsabili per la sicurezza dei propri prodotti, essi dovrebbero adottare sempre un approccio proattivo per identificare elementi potenzialmente problematici a livello di produzione. Quando si verificano degli incidenti, dovrebbero essere in atto procedure appropriate per organizzare in tempi rapidi un ritiro ben mirato. Molte aziende prendono seriamente le proprie responsabilità derivanti dalla legislazione in materia di sicurezza dei prodotti e agiscono con rapidità. Tuttavia, poiché alcuni attori non sono in grado di condurre un’adeguata gestione dei rischi, bisognerebbe garantire alle autorità nazionali preposte all’applicazione della legge le risorse necessarie a controllare le azioni di questi e a richiedere ulteriori misure restrittive qualora quelle adottate su base volontaria dovessero essere considerate tardive o insufficienti per far fonte a tutti i rischi. E’ per questa ragione che la Commissione plaude fortemente al grande interesse e al ruolo promotore del comitato IMCO nella discussione sull’intensificazione della sorveglianza del mercato per la sicurezza del consumatore.
Direttiva 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2001, relativa alla sicurezza generale dei prodotti, GU L 11 del 15.1.2002.
Interrogazione n. 20 dell’onorevole Ţicău (H-0501/09)
Oggetto: Quadro europeo per la fatturazione elettronica (e-invoice)
Nel 2007 la Commissione ha collaborato con un gruppo di esperti, rappresentanti di istituti bancari e di imprese, e con organismi di normalizzazione per identificare gli ostacoli esistenti e definire un quadro europeo per agevolare il passaggio alla fatturazione elettronica.
Nel 2008 la Commissione ha istituito una task force con l’incarico di definire, entro la fine del 2009, un quadro europeo per la fatturazione elettronica. Visti i benefici che un tale quadro normativo europeo arrecherebbe tanto alle imprese quanto alle autorità finanziarie e fiscali, può la Commissione indicare l’esito del lavoro del gruppo di esperti incaricato nel 2008 di elaborare detto quadro? In particolare, quali misure intende adottare la Commissione al fine di elaborare e applicare un quadro europeo per la fatturazione elettronica (e-invoice), e qual è il calendario di attuazione di tali misure?
Rispetto a quelle cartacee, le fatture elettroniche offrono consistenti vantaggi di carattere economico per le aziende di qualunque dimensione. Tuttavia, buona parte del potenziale della fatturazione elettronica rimane inutilizzato, soprattutto tra le piccole e medie imprese, a causa del persistere di ostacoli tecnici e normativi al suo pieno utilizzo. Alla fine del 2007 la Commissione ha istituito un gruppo di esperti indipendente con il compito di definire un quadro europeo per la fatturazione elettronica (e-invoice) in grado di sostenere l’erogazione di servizi di fatturazione elettronica in modo aperto, competitivo e interoperabile in tutta Europa.
Il gruppo di esperti ha ultimato il proprio lavoro e adottato una relazione finale, includendovi la proposta di un quadro europeo per la fatturazione elettronica (e-invoice), a novembre del 2009. Gli ostacoli principali per l’adozione della fatturazione elettronica identificati dal gruppo di esperti comprendono: requisiti obbligatori per le fatture elettroniche incoerenti tra gli Stati membri dell’Unione europea – in particolar modo per quanto attiene l’accettazione di fatture elettroniche da parte delle autorità ai fini dell’IVA –, interoperabilità tecnica insufficiente tra le soluzioni di fatturazione elettronica esistenti, mancanza di un contenuto standard comune tra le fatture elettroniche. Per affrontare tali problematiche, il quadro europeo per la fatturazione elettronica (e-invoice) proposto comprende un codice di base per gli adempimenti legali e fiscali in linea con la revisione della direttiva IVA proposta dalla Commissione. Tale quadro, inoltre, contiene un pacchetto di raccomandazioni per l’interoperabilità e una guida sulle norme relative ai contenuti. Il quadro si basa su un pacchetto di requisiti economici, con particolare attenzione verso le piccole e medie imprese.
La relazione del gruppo di esperti è stata pubblicata dalla Commissione sul sito dell’Unione europea e le raccomandazioni ivi espresse sono attualmente oggetto di una consultazione pubblica aperta a tutte le parti interessate fino alla fine di febbraio 2010(1). I risultati di tale consultazione pubblica, nonché le raccomandazioni del gruppo di esperti, saranno discussi in una conferenza di alto livello sulla fatturazione elettronica, attualmente pianificata per aprile 2010, sotto l’egida della presidenza spagnola.
In base alla relazione del gruppo di esperti e alla consultazione pubblica, la Commissione europea determinerà se è necessario adottare ulteriori iniziative, specialmente per eliminare gli ostacoli a livello comunitario, in modo da cogliere i benefici per la competitività che comporterebbe un passaggio alla fatturazione elettronica in tutta Europa. Sulla base dei risultati di tale verifica, la Commissione valuterà quali ulteriori passi sia necessario compiere per promuovere l’adozione della fatturazione elettronica entro l’autunno del 2010. La Commissione, inoltre, vorrebbe ricordare la propria proposta di revisione della direttiva IVA, in particolar modo per quanto attiene l’accettazione della fatturazione elettronica, attualmente in fase di discussione in seno agli altri organi di legislazione.
Interrogazione n. 21 dell’onorevole Posselt (H-0480/09)
Oggetto: Posizione della formazione professionale e degli scambi
Come opera la Commissione per migliorare la posizione della formazione professionale rispetto alla formazione accademica nell’UE e quali sono le prospettive future dello scambio transfrontaliero di giovani nel settore della formazione professionale?
La Commissione promuove la partecipazione all’istruzione e formazione sia generica che professionale, specialmente tenendo conto delle crescenti necessità formative della società a seguito della crisi e per effetto dell’invecchiamento della popolazione.
Nell’ambito del cosiddetto processo di Copenaghen, la Commissione, unitamente agli Stati membri, ha lavorato duramente per aumentare la qualità e l’attrattiva dell’istruzione e formazione professionali.
Un elemento fondamentale di tale processo è lo sviluppo di un quadro europeo comune e di strumenti volti a incentivare la reciproca fiducia, la trasparenza, il riconoscimento e la qualità delle certificazioni, semplificando la mobilità dei discenti tra i vari paesi e sistemi di istruzione.
I più importanti fra questi strumenti sono http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-policy/doc44_en.htm" quadro europeo delle qualifiche, l’http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-policy/doc46_en.htm" , il Sistema europeo di crediti per l’istruzione e la formazione professionale e il Quadro europeo di riferimento di assicurazione delle qualità.
All’interno del http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-programme/doc78_en.htm" , il programma http://ec.europa.eu/education/lifelong-learning-programme/doc82_en.htm" fornisce un importante sostegno finanziario per l’attuazione delle politiche in materia di istruzione e formazione professionali nonché per la mobilità transfrontaliera di docenti e discenti nel medesimo ambito. Nel 2008, ben 67 740 persone hanno potuto beneficiare di un periodo di mobilità attraverso il programma Leonardo da Vinci. Tuttavia, poiché questo dato rappresenta solo circa l’1 per cento della popolazione potenzialmente interessata, è necessario altresì un forte sostegno da parte degli attori nazionali, regionali e locali, nonché delle parti interessate al fine di rendere la mobilità la regola più che l’eccezione. Nell’ambito della strategia “UE 2020”, la Commissione sta valutando una nuova ed ambiziosa iniziativa “Youth on the Move”, che dovrebbe incentivare la mobilità dei giovani discenti a tutti i livelli di istruzione.
Interrogazione n. 22 dell’onorevole Chountis (H-0482/09)
Oggetto: Partite di calcio truccate, modelli negativi per la gioventù
Un rapporto dell’UEFA Union des Associations Européennes de Football svela uno scandalo di partite di calcio truccate durante lo scorso campionato. È chiaro che tali fatti costituiscono modelli negativi per la gioventù in quanto snaturano il concetto di sport ne è stravolto dalle enormi somme mobilitate attraverso gioco d’azzardo e scommesse.
Considerato che l’articolo 165, paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce che “l’azione dell’Unione è intesa: ... a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l’equità e l’apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l’integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani tra essi”, può la Commissione riferire se ha fatto luce sulla vicenda e come la commenta?
Quali provvedimenti ritiene essa che l’UEFA dovrebbe prendere nei confronti delle federazioni, delle squadre, dei dirigenti e degli atleti che sono coinvolti nello scandalo? Stanti le somme enormi dilapidate ogni anno in scommesse legali o clandestine che sono la causa di eventi sportivi truccati, quali misure intende prendere la Commissione?
Falsare i risultati degli incontri mina la funzione sociale ed educativa dello sport e ne distorce l’etica sia a livello professionale che dilettantistico, in quanto rappresenta una minaccia diretta all’integrità delle competizioni sportive. Simili episodi sono spesso associati a scommesse clandestine e corruzione e generalmente coinvolgono reti criminali internazionali.
A causa della popolarità mondiale dello sport e della natura transfrontaliera delle immagini degli incontri e delle scommesse sportive, la dimensione del problema spesso supera il mandato delle autorità nazionali. Ai sensi dell’articolo 165 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea – che stabilisce che l’azione dell’Unione è intesa a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l’equità e l’apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport – nonché a seguito delle richieste di alcuni attori del settore, la Commissione affronterà la questione degli incontri truccati, in quanto rischia di minare i valori dello sport in Europa.
In tale contesto, la Commissione si è consultata con l’UEFA in merito al recente scandalo di partite di calcio truccate, attualmente oggetto di indagine da parte delle autorità tedesche. La Commissione ha offerto all’UEFA il proprio sostegno per sensibilizzare il pubblico a livello comunitario sui problemi legati all’alterazione degli incontri sportivi.
Per quanto attiene alle scommesse clandestine, la Commissione non è a conoscenza di nessuna presunta responsabilità da parte di noti operatori europei per quanto attiene l’alterazione di dette partite. Nell’ambito delle proprie attività relative alle scommesse sportive transfrontaliere autorizzate in seno al mercato interno, i servizi della Commissione stanno monitorando una serie di organismi normativi nazionali che operano a stretto contatto con fornitori online di tali servizi al fine di individuare attività illecite. Gli allibratori stessi, inoltre, al fine di attirare clienti, hanno istituito, assieme alle federazioni sportive, sistemi autonomi di allarme tempestivo in modo da individuare il verificarsi di attività fraudolente all’interno di singoli eventi sportivi.
Relativamente al più ampio problema della corruzione, la Commissione sta ideando un meccanismo per monitorare gli sforzi degli Stati membri nella lotta contro tale fenomeno sia nel settore pubblico che in quello privato.
La Commissione sosterrà il movimento sportivo e altri attori del settore – come aziende che si occupano di scommesse e mezzi di comunicazione di massa – nei loro sforzi di eliminare casi di partite truccate a livello comunitario. A tale proposito, la Commissione sostiene forme di partenariato che vedano gli attori del settore a fianco delle aziende che si occupano di scommesse sportive al fine di sviluppare sistemi di allarme tempestivo volti a prevenire frodi e scandali relativi a incontri sportivi truccati. Esse, infatti, rappresentano esempi di buon governo nel settore delle scommesse sportive.
La Commissione sosterrà altresì la cooperazione tra il settore pubblico e privato finalizzata a trovare il modo migliore di far fronte all’alterazione degli incontri e ad altre forme di corruzione e criminalità finanziaria nello sport europeo.
Interrogazione n. 23 dell’onorevole Strasser (H-0497/09)
Oggetto: Misure previste per lo sport in quanto nuovo ambito di competenza
Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona il settore dello sport rientra negli ambiti di competenza dell’Unione europea.
Quali sono le misure di sostegno, coordinamento e integrazione degli interventi degli Stati membri in tale settore che la Commissione intende adottare nei prossimi dodici mesi?
Per quanto concerne l’attuazione delle nuove disposizioni in materia di sport, spetta alla Commissione definire le azioni necessarie a raggiungere gli obiettivi stabiliti nel trattato. I principi guida della stessa mireranno a garantire che tutte le azioni proposte portino valore aggiunto all’Unione europea. La futura Commissione deciderà in merito a singole, più specifiche, azioni.
Prima di formulare le proprie proposte, nella prima metà del 2010, la Commissione probabilmente organizzerà un’ampia consultazione pubblica comprensiva di un’apposita discussione con gli Stati membri e il movimento sportivo. Le future proposte dovrebbero riflettere i risultati di tale consultazione e discussione e tener conto altresì dell’esperienza acquisita in materia di questioni societarie, economiche e di governo con l’attuazione del libro bianco sullo sport(1). Su tali basi, le proposte della Commissione per un’azione comunitaria mireranno certamente, fra l’altro, alla promozione del buon governo e delle funzioni sociali, salutari ed educative dello sport.
L’implementazione delle azioni preparatorie nel campo dello sport per il 2009 e 2010, come proposto dal Parlamento europeo, fornisce già sostegno da parte del bilancio comunitario ad attività pluralistiche in settori come salute, istruzione, pari opportunità, antidoping e volontariato e aiuterà sicuramente la Commissione a proporre argomenti adatti per il programma per lo sport.
La Commissione collaborerà a strettamente con Parlamento e Consiglio per garantire un’attuazione coerente di tali nuove competenze.
Interrogazione n. 24 dell’onorevole Messerschmidt (H-0474/09)
Oggetto: Minacce turche di divieto d’ingresso per Geert Wilders
Il governo turco minaccia di rimandare indietro un’intera delegazione di parlamentari olandesi, se Geert Wilders, del Partito della Libertà, partecipa alla visita in programma nel gennaio 2010.
Le minacce della Turchia appaiono grottesche all’interrogante in considerazione del fatto che la delegazione olandese visita un paese che ha chiesto l’adesione all’UE e che pertanto ci si può aspettare abbia una comprensione approfondita di valori quali la democrazia e la libertà di espressione.
Ciò nondimeno, è proprio il ministro degli Esteri della Turchia, che appartiene al partito di governo di orientamento islamico, l’autore della minaccia.
La Commissione è del parere che le minacce del governo turco di negare l’ingresso in Turchia a un politico olandese eletto democraticamente siano espressione di quel modo di pensare illuminato e democratico che può essere considerato uno dei pilastri fondamentali per l’adesione all’UE di un paese, e ritiene inoltre la Commissione che ciò sia compatibile con i criteri di Copenaghen che esigono democrazia, Stato di diritto e diritti umani?
Si rimanda all’articolo “La Turchia minaccia Wilders di un divieto di ingresso” sul giornale danese Jyllands-Posten del 26/11/2009.
A dicembre 2009 una delegazione di membri della camera bassa del parlamento neerlandese ha cancellato una visita in Turchia, già pianificata.
La ragione indicata per tale cancellazione è stata la dichiarazione di un portavoce del governo turco in merito alla prevista presenza dell’onorevole Geert Wilders, membro di detta camera. Sulla base di tale dichiarazione, la delegazione ha concluso che non sarebbe stata ricevuta dal governo turco.
A seguito di ciò, il presidente del comitato per l’armonizzazione con l’Unione europea della Grande Assemblea nazionale turca ha dichiarato che i parlamentari turchi si rammaricavano della cancellazione di detta visita.
Alla Commissione non risulta che la Turchia intendesse rifiutare ai parlamentari neerlandesi l’accesso al proprio territorio.
La Commissione, inoltre, non ritiene vi sia nessuna connessione tra tale cancellazione e i criteri di Copenaghen.
Interrogazione n. 25 dell’onorevole Higgins (H-0475/09)
Oggetto: Formazione paneuropea e sostegno per i laureati disoccupati
Dato l’impressionante livello di disoccupazione tra quanti si sono laureati da poco (in tutta Europa) la Commissione ha considerato la possibilità di realizzare una rete di formazione paneuropea e di sostegno per questi laureati? I vantaggi di un programma siffatto sono numerosi – ai laureati sarebbe offerta l’opportunità di acquisire un’esperienza lavorativa essenziale, di adattare le loro conoscenze agli aspetti pratici della vita lavorativa, di evitare la “fuga dei cervelli” e di contribuire anche alla società con la loro istruzione.
La Commissione ha attribuito priorità alla questione della disoccupazione giovanile nell’ambito della strategia di Lisbona e della strategia europea per l’occupazione ben prima che la crisi fosse avvertibile. Essa ha identificato le principali sfide assieme agli Stati membri che, nel 2005, hanno intrapreso azioni volte ad includere l’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro nell’ambito patto europeo per la gioventù. In tale contesto, bisognerebbe prestare particolare attenzione a migliorare la transizione dal mondo scolastico e accademico al mercato del lavoro, ad esempio rafforzando i legami tra i sistemi di istruzione e detto mercato e sviluppando programmi di formazione sul campo (tirocini) in seno alle aziende.
Anche prima dell’esplosione della crisi e nonostante gli Stati membri avessero già iniziato a intervenire in tale settore, molti giovani laureati hanno riscontrato difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro. Con la ripresa della crisi, la disoccupazione giovanile è aumentata drammaticamente, più che per qualunque altro gruppo in seno al mercato del lavoro.
In preparazione dell’agenda politica generale dell’Unione europea per il futuro (“UE 2020”), bisognerebbe prestare la dovuta attenzione a favorire l’accesso dei giovani al mercato del lavoro e a creare nuovi posti di lavoro. Bisognerebbe altresì migliorare i meccanismi per garantire una ricezione efficace di tale politica. Il 24 novembre 2009, la Commissione ha identificato, in seno al documento di consultazione su EU 2020, una serie di settori chiave in cui agire, tra cui la promozione dell’acquisizione di nuove competenze, l’educazione alla creatività e all’innovazione e lo sviluppo dell’imprenditorialità. La strategia UE 2020 si baserà altresì sulla cooperazione a livello di politiche comunitarie tra istruzione e politiche giovanili attraverso i programmi di lavoro “istruzione e formazione 2020” e “gioventù 2010-2018”.
L’Unione europea ha istituito una serie di strumenti per aiutare i giovani alla ricerca di un lavoro anche nell’ambito dell’iniziativa EURES: una sezione del portale EURES è dedicata alle opportunità di lavoro per i laureati(1). Gli Stati membri, inoltre, possono ricorrere al Fondo sociale europeo per implementare le riforme all’interno dei propri sistemi di istruzione e formazione. Per il periodo 2007-2013, sono stati allocati 9,4 milioni di euro per promuovere lo sviluppo di sistemi di formazione permanente e ulteriori 12,4 miliardi di euro per aumentare la partecipazione a corsi di istruzione e formazione durante l’intero arco della vita.
Nel contesto dell’iniziativa avviata dalla Commissione al fine di sviluppare e rafforzare il dialogo e la cooperazione fra la formazione superiore e il mondo del lavoro (COM(2009) 158 def.: Un nuovo partenariato per la modernizzazione delle università: il forum dell’UE sul dialogo università-imprese), la Commissione, in collaborazione con il ministero per l’istruzione, la gioventù e lo sport della Repubblica ceca e con l’università di Masaryk, sta organizzando, dal 2 al 3 febbraio 2010 a Brno, una conferenza a tema in cui presentare e discutere le azioni possibili e quelle esistenti, avviate in collaborazione con gli istituti di istruzione superiore, le aziende e le autorità pubbliche per far fronte all’attuale crisi.
Interrogazione n. 26 dell’onorevole Nitras (H-0483/09)
Oggetto: Strategia di cooperazione nel campo della sicurezza energetica e della solidarietà nel quadro del trattato di Lisbona
Il trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, è il primo trattato a prevedere e regolare una politica comune in materia di sicurezza e solidarietà energetiche tra gli Stati membri. A questo proposito, l’interrogante chiede alla Commissione di fornire informazioni sulla strategia e sulla visione di detta politica alla luce del nuovo trattato.
Quali azioni intende perseguire la Commissione per proteggere gli Stati membri dall’eventualità che i paesi terzi interrompano la fornitura di gas? Quale sarà il calendario degli investimenti nell’infrastruttura energetica, che costituisce un elemento fondamentale della strategia di sicurezza? Dispone la Commissione di un piano di sviluppo di detta infrastruttura nella direzione nord-sud?
La politica energetica dell’Unione europea è stata sviluppata, finora, in base a vari articoli dei trattati. Il trattato di Lisbona fornisce, per la prima volta, una base giuridica completa per un ulteriore sviluppo della politica energetica comunitaria. La sicurezza dell’approvvigionamento è indicata chiaramente come uno degli obiettivi da perseguire e tale politica sarà sviluppata ed attuata in uno spirito di solidarietà.
L’approccio alla sicurezza energetica, stabilito nel secondo riesame strategico della politica energetica, è stato ratificato dagli Stati membri, pertanto la riduzione della vulnerabilità a possibili interruzioni dell’approvvigionamento di gas, attraverso la cooperazione e l’ulteriore sviluppo di interconnettori in Europa, dovrebbe sostenere una posizione forte dell’Unione nelle contrattazioni energetiche internazionali. La cooperazione in seno all’Unione europea viene portata avanti anzitutto grazie a un mercato interno dell’energia ben funzionante, contraddistinto da norme comuni e infrastrutture adeguate, come nella proposta di regolamento sulla sicurezza d’approvvigionamento per il gas. Per quanto attiene alla solidarietà, essa deve essere stabilita molto prima del verificarsi di qualunque crisi in seno agli Stati membri e alle aziende potenzialmente a rischio. Gli Stati membri devono operare congiuntamente in anticipo sulla valutazione del rischio e l’azione preventiva, incluso lo sviluppo delle infrastrutture e dei piani di emergenza. La cooperazione regionale è particolarmente importante per la gestione delle crisi. Il ruolo della Commissione sarà essenzialmente quello di aiutare e coordinare: essa può verificare la situazione, dichiarare lo stato di emergenza a livello comunitario, dispiegare rapidamente la task-force di monitoraggio, convocare il Gruppo di coordinamento del gas, attivare i meccanismi di protezione civile e, fattore fondamentale, fungere da mediatore con i paesi terzi. La Commissione auspica che sarà possibile raggiungere quanto prima un accordo sulla proposta di regolamento.
E’ necessario investire nelle infrastrutture energetiche, soprattutto per la sicurezza d’approvvigionamento. Le disposizioni del terzo pacchetto per il mercato interno dell’energia stanno già apportando dei miglioramenti alla pianificazione delle infrastrutture in Europa, incluse quelle relative alla sicurezza energetica. La proposta di regolamento sulla sicurezza d’approvvigionamento per il gas stabilisce uno standard per l’infrastruttura e il programma energetico europeo per la ripresa sta regolando il sostegno finanziario ai progetti in materia di infrastruttura energetica, inclusi quasi 1,44 miliardi di euro per le interconnessioni del gas, i terminali di gas naturale liquefatto, l’immagazzinamento e i flussi inversi. Il programma per le reti trans europee nel settore dell’energia verrà rivisto nel corso del 2010 per garantire che sia correttamente incentrato sulle infrastrutture energetiche per rispondere alle necessità del mercato interno e rafforzare la sicurezza d’approvvigionamento.
Le interconnessioni nord-sud nell’Europa centro-orientale sono state identificate come un elemento chiave della sicurezza energetica in seno al secondo riesame strategico della politica energetica. Questo lavoro verrà sviluppato anche nell’ambito del trattato della Comunità dell’energia. Le interconnessioni nord-sud hanno un ruolo prominente anche in seno al piano d’interconnessione del mercato energetico del Baltico, concordato dagli Stati membri interessati e ora in fase di attuazione.
Interrogazione n. 27 dell’onorevole Mazzoni (H-0484/09)
Oggetto: Introduzione di una fiscalità di vantaggio per agevolare lo sviluppo di alcune regioni economiche
Considerati l’articolo 87, paragrafo 1 e paragrafo 3, lettera e), del trattato CE(1), come pure il paragrafo 37 della risoluzione del Parlamento europeo 2005/2165(INI)(2) , nonché la sentenza C-88/03(3) della Corte di giustizia delle Comunità europee, ritiene la Commissione di voler definitivamente superare la posizione rigida che assume la fiscalità di vantaggio regionale/locale incompatibile con il divieto comunitario di aiuti concessi dagli Stati, soprattutto riguardo alle modalità di accertamento del requisito della selettività territoriale, autorizzando la concessione di aiuti di natura fiscale, quando questi siano destinati ad agevolare lo sviluppo di alcune attività o di alcune regioni economiche?
Ritiene inoltre la Commissione che tale evoluzione interpretativa possa essere recepita introducendo nel regolamento (CE) n.1083/2006(4)la possibilità di considerare la fiscalità agevolata compatibile con le regole di equilibrio del mercato?
La Commissione ricorda all’onorevole parlamentare che, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ex articolo 87 del trattato CE, la Commissione può dichiarare compatibili “gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione” nonché “gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse”.
A tale proposito, nel rispetto degli “orientamenti in materia di aiuti di Sato a finalità regionale 2007-2013”, la Commissione ha già approvato la carta nazionale degli aiuti a finalità regionale, che indica quali regioni hanno effettivamente diritto a tali aiuti ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea(5).
Per quanto attiene alla domanda se la Commissione ritiene “di voler definitivamente superare la posizione rigida che assume la fiscalità di vantaggio regionale/locale incompatibile con il divieto comunitario di aiuti concessi dagli Stati, soprattutto riguardo alle modalità di accertamento del requisito della selettività territoriale”, la Commissione vorrebbe ricordare che, conformemente alle soluzioni giurisprudenziali dei casi relativi ad Azzorre(6)e Paesi Baschi(7), la regione è considerata “autonoma” per quanto attiene alle norme che regolamentano gli aiuti di Stato quando sono rispettati i tre criteri relativi all’autonomia istituzionale, procedurale ed economico-fiscale. Inoltre, come stabilito nella giurisprudenza, le regioni che sono considerate autonome ai sensi di tali soluzioni giurisprudenziali possono adottare misure fiscali di natura generica senza per questo violare le norme che regolamentano gli aiuti di Stato. Resta da vedere se e quali regioni siano autonome dal punto di vista istituzionale, procedurale ed economico-fiscale.
Ciò premesso, la Commissione vorrebbe sottolineare che qualunque norma fiscale specifica solo per alcune regioni è passibile di rappresentare un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
D’altro canto, secondo la Commissione, l’articolo 107, paragrafo 3, lettera e), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea cui si riferisce l’onorevole parlamentare non offre una base giuridica specifica per promuovere lo sviluppo regionale. La Commissione ritiene, al contrario, che misure adeguate che tengano conto delle necessità di aree meno sviluppate siano già state create o possano esserlo ai sensi dei regolamenti di esenzione per categorie di aiuti di Stato, o che possano essere notificate ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ex articolo 88 del trattato CE) e verificate ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, lettere a) o c) dello stesso trattato.
Per quanto concerne il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio(8), l’articolo 54, paragrafo 4, stabilisce che “per gli aiuti concessi dagli Stati alle imprese ai sensi dell’articolo 87 del trattato, gli aiuti pubblici concessi nell’ambito dei programmi operativi osservano i massimali stabiliti in materia di aiuti di Stato”. Pertanto, per qualunque misura fiscale possa costituire un aiuto di Stato, l’autorità di gestione deve accertare che sia compatibile con le norme che regolamentano gli aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La Commissione ricorda all’onorevole parlamentare che il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio(9)è inteso a fornire disposizioni generali in materia di fondi strutturali più che determinare la compatibilità delle misure di aiuto dello Stato.
“Possono considerarsi compatibili con il mercato comune: […] e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione” .
“Il Parlamento [...] sostiene pertanto un approccio più efficiente alla concessione degli aiuti regionali, che si concentri sugli investimenti nelle infrastrutture e sugli aiuti orizzontali nelle regioni svantaggiate o meno sviluppate dell’Unione europea, compresa l’introduzione di condizioni fiscali vantaggiose per periodi transitori non superiori a cinque anni”.
“Un ente regionale o territoriale, nell’esercizio di poteri sufficientemente autonomi rispetto al potere centrale, stabilisce un’aliquota fiscale inferiore a quella nazionale ed applicabile unicamente all’interno del territorio di sua competenza, il contesto giuridico rilevante per valutare la selettività di una misura fiscale potrebbe limitarsi all’area geografica interessata dal provvedimento, qualora l’ente territoriale, in virtù del suo statuto e dei suoi poteri, ricopra un ruolo determinante nella definizione del contesto politico ed economico in cui operano le imprese”.
Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell’ 11 luglio 2006 , recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il regolamento (CE) n. 1260/1999, GU L 210 del 31.7.2006
Interrogazione n. 28 dell’onorevole Stevenson (H-0485/09)
Oggetto: Deroga dall’identificazione elettronica degli animali delle specie ovina e caprina
Isole periferiche popolate da soli 22 000 abitanti, le Shetland presentano un solo punto di entrata e, allo stato attuale, tutti gli animali delle specie ovina e caprina in arrivo in questo territorio sono sottoposti ad esame veterinario e ad analisi del sangue, e registrati. Ciò significa che le Shetland sono già ben attrezzate per tracciare i movimenti degli animali in modo rapido ed efficace, e quindi la registrazione dei movimenti dei singoli ovini attraverso l’identificazione elettronica (IDE) risulterebbe onerosa per i produttori senza comportare vantaggi aggiuntivi ai fini del controllo delle malattie nel Regno Unito o in Europa. La messa in atto del sistema IDE servirebbe solo a far sì che i pochi allevatori di pecore che ancora rimangono nelle Shetland – molti dei quali tengono le loro greggi nelle zone più periferiche e si troverebbero quindi a dover far fronte a costi di adeguamento considerevoli – abbandonino la loro attività.
Tenuto conto dell’adeguatezza di queste misure di tracciabilità e controllo delle malattie in materia di salute animale e dell’isolamento geografico delle Shetland, intende la Commissione concedere a tali isole una deroga dall’applicazione del regolamento IDE?
Il regolamento (CE) n. 21/2004 del Consiglio(1)ha introdotto il principio dell’identificazione delle specie ovina e caprina con un approccio graduale. La Commissione, tuttavia, ha già introdotto, attraverso le procedure di comitato, una serie di misure volte a favorire ulteriormente un’attuazione graduale dei requisiti per l’identificazione elettronica che si dovrebbero applicare ai capi di bestiame nati dopo il dicembre 2009.
In particolare, le misure adottate dalla Commissione ad agosto 2009 ridurranno in modo dimostrabile i costi, specie per gli allevatori di piccoli greggi. Ora è possibile effettuare una lettura degli animali ai punti critici di controllo (ad esempio al mercato, al macello o presso il centro di raccolta) anziché presso l’azienda di provenienza. Tale emendamento è stato particolarmente apprezzato dall’industria ovina del Regno Unito.
Le attuali norme, tuttavia, non conferiscono alla Commissione il potere di concedere deroghe alle disposizioni di base contenute nel regolamento, come quelle richieste dall’onorevole parlamentare.
Regolamento (CE) n. 21/2004 del Consiglio, del 17 dicembre 2003, che istituisce un sistema di identificazione e di registrazione degli animali delle specie ovina e caprina e che modifica il regolamento (CE) n. 1782/2003 e le direttive 92/102/CEE e 64/432/CEE, GU L 5 del 9.1.2004.
Interrogazione n. 29 dell’onorevole Papanikolaou (H-0490/09)
Oggetto: Programmi di insegnamento di lingue per gli immigrati
Il tempo di adattamento e quindi di integrazione degli immigrati in una società dipende in gran parte dall’apprendimento della lingua del paese in cui risiedono. La conoscenza della lingua è uno strumento indispensabile per l’integrazione professionale e sociale degli immigrati, contribuisce a ridurne l’emarginazione e l’isolamento e può andare a beneficio sia degli immigrati sia dei paesi di accoglienza.
Può la Commissione riferire se gli Stati membri dell’UE dispongono di programmi sufficienti per l’insegnamento della lingua dello Stato che ospita gli immigrati? In caso affermativo, quali di questi programmi sono finanziati dall’UE? Di quali dati dispone essa in merito all’applicazione di siffatti programmi da parte della Grecia?
Dispone essa di dati quantitativi riguardo a questo tipo di programmi quali ad esempio il numero di immigrati che ne beneficiano e l’efficacia dei programmi stessi?
Ritiene essa che occorra incoraggiare questo tipo di iniziativa? In caso affermativo, in che modo?
Ai sensi dell’articolo 165 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, gli Stati membri sono pienamente responsabili del contenuto dell’insegnamento e dell’organizzazione del proprio sistema di istruzione, nonché delle proprie diversità culturali e linguistiche. I programmi nazionali per gli immigranti sono di competenza delle singole autorità nazionali, pertanto i dati relativi agli stessi dovrebbero essere richiesti a dette autorità(1).
Sulla base dei dati raccolti da Eurydice, tutti i sistemi di istruzione degli Stati membri forniscono supporto linguistico ai bambini immigrati(2). Due terzi delle relazioni nazionali del 2009 relative all’attuazione del programma Istruzione e formazione 2010(3), inoltre, fanno riferimento a misure di sostegno specifiche per lo sviluppo linguistico dei bambini e dei giovani provenienti da un contesto migratorio e dodici relazioni indicano corsi di lingua obbligatori per gli immigrati adulti.
Nel settore dell’istruzione della formazione, l’Unione europea mira a contribuire allo sviluppo dell’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra gli Stati membri e, ove necessario, sostenendo e implementando le loro azioni. La promozione dell’apprendimento delle lingue e della diversità linguistica è un obiettivo generico del programma di apprendimento permanente 2007-2013. Mentre quest’ultimo è aperto praticamente a tutte le persone e a tutti gli enti coinvolti nell’istruzione e nella formazione, è ciascun paese partecipante a definire i criteri per la partecipazione alle proprie azioni e ai propri progetti da parte dei cittadini terzi provenienti da altri paesi aderenti allo stesso programma. Attualmente esso può sostenere le seguenti attività orientate all’apprendimento linguistico come elemento all’interno di un progetto più complesso o anche come progetto a sé stante: collaborazione tra scuole e regioni (sottoprogramma Comenius) o tra organizzazioni per l’apprendimento degli adulti (sottoprogramma Grundtvig), assistenza ai futuri insegnanti e la formazione degli insegnanti in servizio (Comenius), preparazione linguistica finalizzata alla mobilità interna (Erasmus e Leonardo); tirocinio di studenti (Erasmus), workshop per l’apprendimento linguistico degli adulti (Grundtvig), progetti, reti e conferenze multilaterali (Comenius, Erasmus, Leonardo, Grundtvig, Key Activity Languages).
La Commissione, in passato, ha sostenuto l’acquisizione della lingua del paese ospitante da parte degli immigranti adulti anche tramite altri canali, come il Fondo sociale europeo. La relazione nazionale greca del 2009 relativa all’attuazione del programma “Istruzione e formazione 2010” cita il programma formativo “Insegnamento del greco come lingua seconda per i lavoratori immigrati”, gestito dall’istituto per la formazione continua degli adulti (IDEKE), che, nel quadriennio 2004-2008, ha fornito corsi di lingua greca a 15 873 persone. Similarmente, la relazione di attuazione del programma nazionale di riforma per la crescita e l’occupazione del 2009 cita un programma in atto per l’apprendimento del neogreco presso centri di formazione professionale certificati per 8 400 immigrati o rimpatriati disoccupati.
La Commissione ritiene che gli sforzi di insegnare agli immigrati le lingue dei paesi ospitanti dovrebbero essere intensificati a livello nazionale. Nel proprio recente libro verde su migrazione e mobilità – sfide e opportunità per i sistemi di istruzione dell’Unione europea(4), la Commissione sottolinea l’importanza dell’apprendimento linguistico ai fini dell’integrazione e dell’inclusione sociale. Nelle proprie conclusioni sull’istruzione dei bambini provenienti da un contesto migratorio,(5)il Consiglio invita gli stati membri a sviluppare politiche adeguate per l’insegnamento della lingua del paese ospitante ed esaminare come far sì che gli alunni provenienti da un contesto migratorio possano mantenere e sviluppare la conoscenza della propria madrelingua.
Alcuni dati relativi a tali argomenti possono essere reperiti nei seguenti studi di Eurydice: http://eacea.ec.europa.eu/education/eurydice/documents/key_data_series/095it.pdf http://eacea.ec.europa.eu/ressources/eurydice/pdf/044DN/044_EL_EN.pdf
Progetto di relazione congiunta 2010 del Consiglio e della Commissione sull’attuazione del programma di lavoro “Istruzione e formazione 2010”. COM(2009)640 def.; SEC(2009) 1598
COM(2008) 423 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0423:fin:it:pdf e http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0423:FIN:it:pdf
Interrogazione n. 30 dell’onorevole El Khadraoui (H-0492/09)
Oggetto: Aiuti UE all’accoglienza di migranti interni
La lotta alla discriminazione è uno dei compiti fondamentali dell’UE. La discriminazione di determinati gruppi di popolazione può infatti determinare flussi di profughi all’interno dell’UE. Proprio questo è il problema dinanzi al quale si trova la città di Gand, che negli ultimi tre anni ha assistito ad un afflusso di profughi, in particolare rom, il quale è arrivato a costituire circa il 2,5% della sua popolazione totale.
Tutto ciò crea problemi alla rete di assistenza sociale fornita dalla città, come illustra la lettera da voi ricevuta lo scorso novembre (2009-2174-01).
Può l’UE erogare aiuti a favore dell’accoglienza di profughi interni nell’UE? Quali ulteriori misure può la Commissione adottare per affrontare e prevenire siffatte situazioni?
L’Unione europea svolge un ruolo importante nella lotta contro la discriminazione dei rom grazie a un ampio ventaglio di strumenti legislativi, politici e finanziari a propria disposizione.
Anzitutto, la direttiva 2000/43/CE(1)vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sulla razza o l’origine etnica nei settori dell’occupazione, dell’istruzione, della protezione sociale (inclusa l’assistenza sanitaria) e dell’accesso a beni e servizi. La Commissione si assicura che la direttiva venga attuata correttamente ed efficacemente in seno agli Stati membri.
Secondariamente, la Commissione promuove il coordinamento tra gli Stati membri delle politiche in materia di protezione sociale e di inclusione sociale attraverso il cosiddetto metodo di coordinamento sociale aperto. Esso si basa su obiettivi condivisi a livello comunitario e su una serie di indicatori utili a misurarne il progresso. La Commissione e il Consiglio valutano e regolarmente e relazionano sui progressi effettuati attraverso le relazioni congiunte sulla protezione sociale e l’inclusione sociale. La bozza di relazione congiunta del 2010 redatta dalla Commissione sarà adottata breve e sottoposta al Consiglio dei Ministri a marzo 2010 sotto l’egida della presidenza spagnola del Consiglio.
In terzo luogo, i fondi strutturali dell’Unione europea, e in particolar modo il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo di sviluppo regionale, forniscono sostegno finanziario a progetti volti a fronteggiare il problema dell’esclusione dei rom. A seguito di una richiesta del Consiglio europeo, la Commissione ha presentato un documento di lavoro interno che fornisce una panoramica degli strumenti e delle politiche comunitari per l’inclusione dei rom a luglio 2008(2). Prima del secondo vertice sui rom, che si terrà a Cordoba l’8 aprile 2010, verrà presentata una relazione di controllo.
Per quanto attiene alle Fiandre, la Commissione sottolinea che sia il Fondo sociale europeo che il Fondo europeo di sviluppo regionale possono supportare progetti volti a promuovere l’integrazione dei rom. Per il periodo di programmazione 2007-2013, la priorità 2 del programma operativo del Fondo sociale europeo per le Fiandre s’incentra sulla promozione dell’inclusione sociale di gruppi svantaggiati attraverso forme di assistenza ad hoc. Tali misure includono orientamento e formazione ad hoc, convalida di competenze e capacità, esperienze lavorative e formazione sul posto di lavoro. La priorità 4 del programma del Fondo europeo di sviluppo regionale per le Fiandre permette di finanziare piccoli progetti urbani a livello di quartiere o di distretto ad Anversa o Gand.
Vale la pena di notare che la selezione dei progetti cofinanziati dal Fondo sociale europeo o dal Fondo europeo di sviluppo regionale, in virtù del principio di sussidiarietà, è di competenza degli Stati membri o delle autorità di gestione competenti, nel rispetto dei criteri indicati in seno ai programmi operativi. La Commissione, pertanto, invita l’onorevole parlamentare a contattare le autorità di gestione fiamminghe competenti per informazioni più dettagliate.
Se i rom che affluiscono in Belgio provengono da pesi extracomunitari e chiedono asilo o ottengono rifugio o protezione sussidiaria, il Belgio può richiedere l’assistenza dell’Unione europea anche attraverso il Fondo europeo per i rifugiati(3). Uno degli obiettivi primari di tale fondo è sostenere e promuovere gli sforzi compiuti dagli Stati membri per “accogliere rifugiati e sfollati e sopportare le conseguenze di tale accoglienza”. E’ possibile fornire aiuti finanziari, ad esempio, per progetti nazionali volti a migliorare le infrastrutture o i servizi di accoglimento per i richiedenti asilo o i beneficiari di protezione internazionale.
Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica GU L 180 del 19.7.2000, pagg. 22–26
Decisione n. 573/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007, GU L 144/1.
Interrogazione n. 31 dell’onorevole Iotova (H-0493/09)
Oggetto: Accoglienza e alloggio dei detenuti provenienti dal campo di prigionia statunitense di Guantánamo nei paesi dell’Unione europea
L’opinione pubblica bulgara è profondamente preoccupata per la richiesta, presentata ufficialmente dagli USA al governo bulgaro, di ospitare dei detenuti provenienti dal campo di prigionia statunitense di Guantánamo. La preoccupazione è destata dalla mancanza di informazioni sugli eventuali accordi conclusi tra gli USA e l’UE circa i criteri e le misure adottate al riguardo.
L’interrogante ritiene che tale decisione comporti il rischio di attacchi terroristici contro la Bulgaria e contro ogni stato dell’UE che accolga detenuti da Guantánamo.
Quali impegni concreti ha assunto la Commissione riguardo all’accoglienza e all’alloggio dei detenuti provenienti dal campo di prigionia statunitense di Guantánamo nei paesi dell’Unione europea dopo la chiusura di tale struttura?
Nel caso in cui siano stati assunti impegni in tal senso, non ritiene la Commissione che sia necessario pubblicare una Comunicazione che illustri precisamente le modalità e le condizioni dell’operazione?
L’Unione europea e la Commissione hanno invitato insistentemente alla chiusura del centro di detenzione di Guantánamo Bay. Con le conclusioni del Consiglio “Giustizia e affari interni” del 4 giugno 2009 e l’annesso meccanismo per lo scambio di informazioni, nonché con la dichiarazione congiunta dell’Unione europea, dei suoi Stati membri e degli Stati Uniti d’America sulla chiusura del centro di detenzione di Guantánamo Bay e sulla futura cooperazione in materia di lotta al terrorismo del 15 giugno 2009, l’Unione europea ha stabilito una base di supporto per la chiusura di Guantánamo.
Entrambi gli accordi stabiliscono chiaramente che le decisioni relative all’accoglienza dei detenuti provenienti da tale struttura e la determinazione del loro stato giuridico sono esclusivamente di responsabilità e competenza dello Stato membro o paese Schengen ospitante. La Commissione non ha assunto alcun impegno relativamente all’accoglienza e all’alloggio dei detenuti provenienti dal campo di prigionia statunitense di Guantánamo nei paesi dell’Unione europea dopo la chiusura di tale struttura.
Interrogazione n. 32 dell’onorevole De Angelis (H-0494/09)
Oggetto: Ristrutturazioni aziendali e futuro dei lavoratori europei
Un numero sempre più consistente di imprese e di siti industriali europei in crisi hanno potuto beneficiare del sostegno dell’UE in fatto di riconversione e formazione del quadro dipendente. Nondimeno, dopo aver beneficiato dei contributi del FSE, alcune realtà industriali hanno poi disatteso gli impegni precedentemente assunti. È, questo, il caso dello stabilimento di Anagni della Videocon, che impiega attualmente circa 1.400 dipendenti, i quali, in assenza di una assunzione di responsabilità da parte della proprietà indiana, il prossimo 21 dicembre verranno messi in Cassa integrazione guadagni e nel corso del 2010 potrebbero essere licenziati.
Quali iniziative immediate intende la Commissione assumere per scongiurare la chiusura dello stabilimento di Anagni e degli altri stabilimenti soggetti a riconversioni che, sebbene annunciate e finanziariamente sostenute dall’UE, non hanno prodotto effetti tangibili sul piano della ripresa produttiva di quei siti?
La Commissione è consapevole dell’impatto della crisi economica senza precedenti che sta colpendo gli Stati membri, inclusa l’Italia, dove si trova lo stabilimento di Anagni.
La Commissione ha proposto una serie di misure volte a limitare l’impatto della crisi sulla situazione sociale ed occupazionale dell’Unione europea. A tale proposito, nell’ambito del piano europeo di ripresa economica(1), la Commissione ha proposto, fra l’altro, di modificare le norme che regolamentano il fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione(2). La Commissione, inoltre, ha proposto di modificare il regolamento n. 1083/2006 recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione per quanto attiene alcuni aspetti relativi alla gestione finanziaria.
La Commissione ricorda che essa non ha la facoltà di prevenire o interferire nelle decisioni delle aziende in materia di ristrutturazione, a meno che si verifichino violazioni delle leggi comunitarie. Il quadro giuridico comunitario fornisce diverse direttive che stabiliscono le procedure di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori che possono essere applicate in caso di chiusura di un’azienda, in particolar modo le direttive 98/59/CE(3), 2009/38/CE(4)e 2002/14/CE(5) del Consiglio.
Le informazioni fornite dall’onorevole parlamentare non permettono alla Commissione di accertare se in questo caso si è verificata una violazione della legislazione comunitaria. Ad ogni modo, la Commissione ricorda che spetta alle autorità nazionali competenti, ed in particolar modo ai tribunali nazionali, garantire la corretta ed efficace applicazione delle norme nazionali di trasposizione di tali direttive alla luce delle circostanze specifiche di ogni caso, nonché assicurare il rispetto di tutti i doveri di un datore di lavoro.
Per quanto attiene ai contributi ricevuti dal Fondo sociale europeo, la Commissione verificherà se sono state rispettate le condizioni di ammissibilità, in modo da intervenire attraverso le autorità nazionali o regionali competenti e recuperare le somme allocate.
Concludendo, non è chiaro se il caso riportato dall’onorevole parlamentare rispetti i requisiti del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione. La Commissione non ha ricevuto nessuna richiesta di assistenza da parte di detto fondo per il caso in questione, né ha avuto discussioni informali con le autorità italiane in merito a una richiesta di questo tipo.
La Commissione può analizzare il caso e proporre un contributo soggetto all’autorizzazione dell’autorità di bilancio solo dopo aver ricevuto tale richiesta. Ad ogni modo l’assistenza del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione si rivolge specificatamente ai lavoratori e non può in nessun modo beneficiare l’azienda o influenzare le decisioni di quest’ultima circa la possibile chiusura di una fabbrica.
Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, GU L 225 del 12.8.1998
Direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009 , riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (rifusione), Direttiva 2009/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009 , riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie (rifusione)
Direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori, GU L 80 del 23.3.2002
Interrogazione n. 33 dell’onorevole McGuinness (H-0499/09)
Oggetto: Diminuzione delle popolazioni di api
Può la Commissione illustrare quali azioni ha intrapreso in risposta alla proposta di risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione nel settore dell’apicoltura, approvata il 20 novembre 2008 (P6_TA (2008)0567)? Qual è il commento della Commissione sullo studio dell’EFSA recentemente pubblicato sulla mortalità delle api (03.12.2009)? Intende la Commissione intervenire nell’immediato secondo le raccomandazioni contenute nelle relazioni?
La Commissione è ben consapevole dei problemi che investono il settore dell’apicoltura, evidenziati nella risoluzione del Parlamento europeo del 20 novembre 2008 [B6-0579/2008/P6_TA-PROV(2008)0567].
La Commissione ha già intrapreso diverse azioni in merito alla salute delle api, e, in particolare, essa ha:
rivisto il regolamento relativo ai limiti di residui di medicinali veterinari negli alimenti; questo dovrebbe contribuire ad aumentare la disponibilità di medicinali veterinari per le api;
proposto un nuovo regolamento relativo alla commercializzazione dei prodotti fitosanitari che, fra le altre cose, rafforza ulteriormente i criteri di accettabilità per l’esposizione alle api mellifere stabiliti dalla direttiva 91/414. Il regolamento, nel frattempo, è stato adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio;
sottoposto l’autorizzazione per l’utilizzo di insetticidi già approvati a rigorose misure per la mitigazione dei rischi da parte degli Stati membri;
sostenuto diversi progetti di ricerca per un finanziamento totale di circa 5 milioni di euro.
La Commissione ha stabilito altresì una piattaforma di coordinamento interno per garantire sinergie e un uso ottimale delle risorse.
Su richiesta della Commissione, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha recentemente pubblicato uno studio sulla mortalità delle api nell’Unione europea e le sue cause. Tale studio indica che la moria di sciami è dovuta a molteplici fattori, come agenti patogeni, cambiamento climatico, uso di pesticidi e medicamenti veterinari. Il grado di incidenza di molti di questi fattori, tuttavia, rimane poco chiaro. Il progetto di ricerca BEE DOC, che partirà a marzo 2010, dovrebbe fornire maggiori informazioni sull’argomento. La relazione dell’EFSA evidenzia altresì che gli Stati membri sono dotati di sistemi di sorveglianza per la mortalità e le malattie delle api molto diversi e questo non aiuta una migliore comprensione dei problemi di salute delle api.
A questo proposito, nei prossimi mesi, la Commissione intende discutere assieme a esperti, parti interessate e autorità competenti degli Stati membri l’istituzione di un laboratorio europeo di riferimento per le api, nonché di una rete comunitaria per una sorveglianza più armonizzata della salute delle api.
La Commissione mira a sostenere le api e gli altri insetti impollinatori attraverso la promozione della connettività degli habitat e l’integrazione della politica per la biodiversità con le politiche di altri settori. I programmi di sviluppo rurale forniscono diverse misure che interessano anche gli apicoltori, tra cui servizi di consulenza, formazione, sostegno alla modernizzazione delle aziende agricole e vari tipi di misure agroambientali favorevoli alla salute delle api.
Come spiegato in precedenza, la Commissione ha già intrapreso diverse azioni volte a far fronte al malessere delle api e continuerà a farlo, anche alla luce delle nuove informazioni scientifiche che si renderanno disponibili.
Interrogazione n. 34 dell’onorevole Crowley (H-0503/09)
Oggetto: Assistenza ai professionisti del settore medico
La Commissione vorrà indagare la possibilità di istituire un programma comunitario per assistere i professionisti del settore medico che soffrono di dipendenze o di patologie connesse allo stress?
Stress, dipendenze – tra cui l’abuso di alcol – e disturbi mentali sono diventate indubbiamente una delle principali sfide sui posti di lavoro dell’Unione europea. Lo stress può portare a disturbi mentali, come l’esaurimento e la depressione, che possono ridurre sensibilmente la capacità delle persone di lavorare, spesso per lunghi periodi. Lo stress è la seconda patologia legata al lavoro più diffusa nell’Unione, dopo il mal di schiena.
In alcuni Stati membri, i disturbi mentali sono diventati la causa principale di incapacità al lavoro e prepensionamento. I cali di produttività provocati dai disturbi mentali sono enormi: si stima che nel 2007 si aggirassero intorno ai 136 miliardi di euro.
E’ dimostrato che stress, dipendenze ed esaurimenti sono diffusi anche tra il personale medico. Di fatto sembra che i professionisti del settore sanitario siano più a rischio di patologie mentali che non quelli di altri settori. La forte pressione sul posto di lavoro, lo scarso feedback sulle prestazioni e la mancanza di sostegno emotivo possono contribuire a questo stato di cose.
Quello sanitario è uno dei settori che crea maggiore occupazione dell’Unione europea. In seno a una società che sta invecchiando, la disponibilità di una forza lavoro sostenibile nel settore sanitario, che goda essa stessa di buona salute, è viepiù importante.
La Commissione, pertanto, concorda sull’importanza di assistere i professionisti del settore medico nell’affrontare dipendenze, stress e altre patologie mentali.
La Commissione, tuttavia, non ha le competenze o le risorse per avviare in tutta l’Unione un programma di assistenza rivolto specificatamente ai professionisti del settore sanitario.
Il ruolo dell’Unione dovrebbe risiedere, piuttosto, nei seguenti settori:
- aumentare la consapevolezza in materia di posti di lavoro salutari puntando su valide argomentazioni economiche;
- aumentare la consapevolezza e diffondere dati sulle patologie che interessano i professionisti del settore sanitario;
- evidenziare le migliori pratiche e sviluppare direttive atte a farvi fronte;
- incoraggiare le parti sociali del settore sanitario a effettuare la valutazione dei rischi sul posto di lavoro obbligatoria ai sensi della direttiva quadro 89/391/CEE(1)e attuare gli accordi quadro sociali sullo stress da lavoro (2004) e sulla violenza e le molestie (2007).
E’ stato svolto, è in atto o è previsto un elevato numero di attività in questo senso, tra cui le sopracitate iniziative di politica sociale e le attività della Bilbao Agency e della Dublin Foundation.
Nel corso del 2010 la Commissione valuterà le conclusioni riportate nella relazione sulla consultazione del libro verde relativo al personale sanitario europeo, pubblicato sul sito della Commissione relativo alla sanità pubblica a dicembre 2009. La Commissione rifletterà sul risultato di tale consultazione pubblica per vedere come l’Unione europea possa contribuire a far fronte alle sfide con cui deve confrontarsi il personale sanitario europeo e, all’inizio del 2011, organizzerà una conferenza sulla salute mentale negli ambienti lavorativi nell’ambito del patto europeo per la salute ed il benessere mentali.
Attraverso tali iniziative ed attività, l’Unione europea invia importanti segnali e fornisce notevole sostegno a tutti gli attori del settore lavorativo, inclusi i professionisti del settore sanitario e le rispettive organizzazioni sindacali.
Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, GU L 183 del 29.6.1989.
Interrogazione n. 35 dell’onorevole Gallagher (H-0505/09)
Oggetto: Pesca allo sgombro
Quando, a giudizio della Commissione europea, sarà adottata la modifica del regolamento (CE) n. 1542/2007(1) della Commissione relativo alle procedure di sbarco e di pesatura per le aringhe, gli sgombri e i sugarelli per includere le zone VIII a, b, c, d, e, IX e X nel campo di applicazione del regolamento stesso, e da quale data entrerà in vigore?
Alla luce del parere scientifico del CIEM, negli ultimi anni la componente meridionale dello sgombro è stata costantemente oggetto di pesca eccessiva da parte della Spagna, che ha superato di almeno due volte la propria quota. Quali misure di controllo e procedure di indagine intende la Commissione applicare per assicurare che tale pratica non continui? Sarà attuato un sistema di rimborso?
La Commissione tratterà con urgenza la modifica del regolamento (CE) n. 1542/2007 relativo alle procedure di sbarco e di pesatura per le aringhe, gli sgombri e i sugarelli non appena il nuovo collegio dei membri della Commissione entrerà in servizio.
La Commissione, inoltre, è lieta di informare l’onorevole parlamentare che la presunta pesca eccessiva che ha denunciato è stata oggetto di contatti ad altro livello tra la Commissione e la Spagna. La Commissione ha espresso le proprie serie preoccupazioni circa il presunto superamento della quota di pesca e la Spagna è stata invitata a prendere la questione seriamente.
La Spagna ha reagito positivamente alle preoccupazioni della Commissione e lo scorso anno ha chiuso la pesca della componente meridionale dello sgombro fin dal 10 giugno 2009. Il regolamento (CE) n. 624/2009 della Commissione, del 15 luglio 2009, recante divieto di pesca dello sgombro nelle zone VIIIc, IX e X e nelle acque comunitarie della zona COPACE 34.1.1 per le navi battenti bandiera spagnola ha inserito tale chiusura nella legislazione comunitaria. I dati provvisori relativi alle catture trasmessi dalla Spagna alla Commissione non hanno indicato la necessità di avviare una procedura di rimborso.
La Commissione vorrebbe assicurare all’onorevole Parlamentare che cercherà di avviare ulteriori indagini in materia e che farà del proprio meglio per evitare sfruttamenti futuri degli stock della componente meridionale dello sgombro.
Interrogazione n. 36 dell’onorevole Czarnecki (H-0506/09)
Oggetto: Stabilità del mercato finanziario in Polonia
Il 18 dicembre 2009 la Banca centrale europea ha pubblicato la relazione semestrale sulla stabilità finanziaria nella zona euro, asserendo che le banche di detta zona dovranno prelevare 187 miliardi di euro dalle loro riserve nel 2010. Le perdite che risultano dalla cattiva situazione economica in Europa centrale e orientale (PECO) sono uno dei due motivi principali invocati. In questo contesto, il commento sulla relazione della BCE pubblicato dal Wall Street Journal cita esplicitamente Unicredit.
La Commissione non è del parere che le pratiche commerciali e le procedure di contabilità del gruppo Unicredit contribuiscano a mascherare le perdite finanziarie effettive, il che, a medio e a lungo termine, potrebbe nuocere alla stabilità del sistema finanziario nell’Unione europea? Penso a questo proposito al mantenimento artificiale dei risultati e delle liquidità di Unicredit Ucraina da parte della Banca Pekao SA grazie all’acquisto di crediti in sofferenza e alla costante crescita dei finanziamenti, il che costituisce una minaccia per la stabilità del mercato finanziario polacco in quanto a tutt’oggi la Pekao SA non si è dotata delle riserve che esige la legislazione europea (norme IFRS) per i propri investimenti in Ucraina.
La Commissione è del parere che il drenaggio finanziario della filiale Pekao SA da parte della società madre Unicredit è conforme alla legislazione comunitaria? Il fatto di imporre alle filiali, nel quadro del “Progetto Chopin” (Polonia, Romania, Bulgaria), contratti svantaggiosi con la società Pirelli Real Estate SpA, sotto la protezione di Unicredit, nel contesto di un conflitto di interessi manifesto del Direttore generale di Unicredit, Alessandro Profumo (membro del Consiglio di Amministrazione di una società del Gruppo Pirelli, al momento della firma dei contratti), non è in contrasto con le regole della concorrenza applicabili nell’ambito dell’Unione europea?
Uno degli obiettivi principali dell’Unione europea è creare un quadro giuridico comune per il settore finanziario comunitario volto a garantire una solida vigilanza prudenziale, la trasparenza e una sana governance degli operatori del mercato. Una struttura giuridica comune è essenziale per la stabilità finanziaria e per una giusta competizione del settore finanziario europeo.
L’Unione europea, pertanto, ha adottato diversi atti legislativi, come la “direttiva sui requisiti patrimoniali” (direttiva 2006/48/CE(1)), che stabilisce regole relative [all’accesso] all’attività degli enti creditizi [ed il suo esercizio], nonché la vigilanza prudenziale su detti enti, il regolamento IAS (regolamento (CE) n. 1606/2002(2)), che obbliga le società registrate a utilizzare le norme IFRS per la redazione dei loro conti consolidati, e la direttiva 2006/43/CE(3), che impone che i rendiconti finanziari siano rivisti da revisori esterni autorizzati.
A seguito della crisi finanziaria, la Commissione ha aumentato significativamente i propri sforzi per aumentare la stabilità finanziaria attraverso la propria appartenenza all’omonimo Consiglio e, più specificatamente, attraverso diverse nuove proposte come, ad esempio, quelle relative alle agenzie di rating del credito, alla cartolarizzazione, alla supervisione dei gruppi bancari transfrontalieri e alla revisione generale dell’architettura comunitaria di controllo basata sulla relazione De Larosière. Molte delle proposte della Commissione sono già state adottate in prima lettura grazie alla stretta e costruttiva collaborazione tra il Parlamento e il Consiglio.
La Commissione, inoltre, sta lavorando anche su altre iniziative che aumenteranno la capacità del settore bancario di assorbire le scosse economiche. La Commissione, ad esempio, indirà a breve una consultazione sull’aumento della qualità del capitale di vigilanza, su nuovi requisiti di liquidità, nonché sui cuscinetti anticiclici per le banche.
Se da un lato la Commissione monitora da vicino la corretta e puntuale attuazione delle leggi comunitarie da parte degli Stati membri, dall’altro l’esecuzione di tali leggi e la supervisione del comportamento sul mercato delle singole istituzioni finanziarie è di competenza delle autorità nazionali.
Per quanto attiene qualunque potenziale impatto delle pratiche aziendali del gruppo Unicredit sulla stabilità del mercato finanziario in Polonia, la Commissione, senza prendere posizione sul caso specifico, vorrebbe far notare che:
sebbene la Pekao SA faccia parte (sia una filiale) del gruppo Unicredit, essa è soggetta al controllo dell’agenzia di supervisione finanziaria polacca (KNF). Oltretutto, in quanto banca registrata polacca, essa deve rispondere autonomamente ai requisiti minimi europei di solvibilità;
per quanto concerne la stabilità del settore bancario interessato, la Polonia ha istituto un apposito comitato per la stabilità finanziaria, composto dal ministro per le Finanze, dal governatore della banca nazionale polacca e dal presidente dell’agenzia di supervisione finanziaria polacca;
il gruppo Unicredit Group è soggetto alla supervisione delle autorità italiane (Banca d’Italia e Consob);
Unicredit, in quanto banca italiana, come tutte le altre banche europee registrate, deve redigere le proprie relazioni finanziarie consolidate nel rispetto delle norme IFRS adottate dall’Unione europea con il regolamento 1606/2002/CE, che garantisce un elevato livello di trasparenza.
Da un punto di vista del diritto societario, si deve notare che non vi sono regole, nella legislazione comunitaria, che vietino il trasferimento di attività tra una filiale e la propria casa madre o stabiliscano condizioni specifiche per transazioni di questo tipo. In particolar modo, il progetto della cosiddetta nona direttiva sul diritto societario(4) che avrebbe dovuto regolamentare i rapporti all’interno di gruppi aziendali transfrontalieri, è stato definitivamente abbandonato nell’ambito del piano d’azione sul diritto societario del 2003(5) a causa del mancato sostegno da parte degli Stati membri e delle comunità economiche che non avevano ravvisato la necessità di un quadro normativo così completo. Le transazioni tra le case madri e le proprie filiali, ad ogni modo, sono considerate transazioni societarie del gruppo e sono quindi soggette a doveri di trasparenza. Pertanto, tali transazioni devono essere indicate nei rendiconti finanziari delle aziende, nel rispetto del principio contabile internazionale (IAS) n. 24, che impone all’ente di divulgare la natura delle relazioni all’interno di un gruppo nonché di fornire le informazioni sulle transazioni e sui saldi monetari correnti necessarie alla comprensione del possibile effetto di tale relazione sui rendiconti finanziari.
Oltre ai tali doveri di trasparenza, le norme stabilite dalla cosiddetta seconda direttiva sul diritto societario(6)in materia di distribuzioni agli azionisti si applicano a tutte le imprese pubbliche a responsabilità limitata, indipendentemente dal fatto che facciano parte dello stesso gruppo di aziende oppure no. L’articolo 15 di tale direttiva impedisce, fra l’altro, che le distribuzioni possano portare a una riduzione dell’attivo netto di un’azienda al di sotto dell’importo del capitale sottoscritto aumentato delle riserve di legge, proteggendo così la stabilità finanziaria dell’azienda.
Per quanto attiene al presunto “drenaggio finanziario” da parte di Unicredit ai danni della filiale polacca, la Commissione non è a conoscenza di particolari problemi al riguardo. Le statistiche disponibili suggeriscono che le banche internazionali hanno effettivamente diminuito la loro esposizione al settore bancario polacco nella seconda metà del 2008 e all’inizio del 2009, ma, successivamente, l’hanno aumentata nuovamente nel corso del secondo trimestre del 2009. Questo lascia intendere che la riduzione dell’esposizione, che potrebbe aver interessato anche il rapporto tra Unicredit e Pekao, potrebbe essere stata temporanea e dovuta a un calo nel credito. La Commissione continuerà a monitorare gli sviluppi in quest’area.
Per concludere, in specifico riferimento alla preoccupazione espressa circa la possibilità che il comportamento di Unicredit abbia potuto essere “in contrasto con le regole della concorrenza applicabili nell’ambito dell’Unione europea”, dalle informazioni fornite nell’interrogazione, sembra che tali regole, in particolare quelle antitrust, non siano gli strumenti appropriati per affrontare le questioni sollevate e le presunte pratiche di Unicredit o dei suoi dirigenti. Tali questioni, infatti, non si riferiscono a una collusione, né a un accordo anticoncorrenziale tra aziende di unno stesso gruppo, né a una qualunque forma di abuso di posizione dominante.
Direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006 , relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (rifusione), GU L 177 del 30.6.2006.
Regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, relativo all’applicazione di principi contabili internazionali, GU L 243 dell’ 11.9.2002.
Direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2006 , relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio e abroga la direttiva 84/253/CEE del Consiglio, GU L 157 del 9.6.2006.
Bozza di proposta della Commissione per una nona direttiva conformemente all’articolo 54, paragrafo 3, lettera g) del trattato CEE relativa ai legami tra imprese e, in particolare ai gruppi (III/1639/84).
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo - Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell’Unione europea - Un piano per progredire (COM(2003)284 def.).
Seconda direttiva 77/91/CEE del Consiglio, del 13 dicembre 1976, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati Membri, alle società di cui all’articolo 58, secondo comma, del Trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa, GU L 26 del 31.1.1977.
Interrogazione n. 37 dell’onorevole Belet (H-0001/10)
Oggetto: Scanner corporali
Le autorità olandesi intendono introdurre all’aeroporto di Schiphol, entro il mese di gennaio 2010, scanner ad onde millimetriche (scanner corporali), in particolare per i voli diretti negli Stati Uniti. Gli scanner sono necessari in quanto in grado di individuare sostanze e fluidi pericolosi.
La Commissione ritiene che la decisione delle autorità olandesi sia giustificabile, in quanto la sicurezza dei passeggeri ha la precedenza sul diritto assoluto alla riservatezza dei passeggeri stessi?
Secondo la Commissione, a quali condizioni gli scanner corporali sono accettabili? È sufficiente che le immagini ottenute non possano essere immagazzinate o trasmesse?
Quali misure supplementari prevede di adottare a breve termine la Commissione per salvaguardare la sicurezza dei passeggeri, in particolare sui voli per gli Stati Uniti? La Commissione intende proporre, già nelle prossime settimane, una regolamentazione sugli scanner corporali?
Non sono state adottate regole comunitarie sull’uso di scanner corporali come possibile metodo di controllo dei passeggeri prima dell’imbarco. Per legge, gli Stati membri hanno il diritto di introdurre scanner corporali per effettuare delle prove o come misura di maggiore sicurezza(1).
La sicurezza può essere raggiunta solo attraverso un approccio composito. Gli scanner corporali, in virtù della loro efficacia, possono far parte di un approccio di questo tipo, fintanto che i criteri di riservatezza, protezione dei dati e salute sono rispettati. Anche la sicurezza aerea s’inserisce in un approccio di più ampio respiro, in quanto le misure di sicurezza degli aeroporti rappresentano solo l’ultima linea di difesa.
La Commissione, in stretto contatto con Parlamento e Consiglio, sta valutando la necessità di un approccio a livello europeo che garantisca che l’introduzione degli scanner corporali rispetti i criteri di riservatezza, protezione dei dati e salute.
Gli standard operativi per gli scanner corporali devono esser ideati in modo che rispettino i requisiti relativi ai diritti fondamentali incorporati nella legislazione comunitaria, come la protezione dei dati. Qualunque intrusione nella privacy dei passeggeri dev’essere proporzionata e ben giustificata, il che implica un’attenta valutazione. Le misure adottate devono essere rigorosamente limitate al minimo necessario per far fronte alla possibile minaccia. Tali condizioni potrebbero comprendere quanto segue: strumenti di salvataggio delle informazioni limitati che impediscano assolutamente l’uso o il recupero dell’immagine una volta lasciato andare il passeggero, bassa risoluzione delle aree del corpo non identificate come contenenti possibili oggetti a rischio o, in alternativa, una revisione totalmente da remoto, senza contatti con il controllore se non quelli automatici predefiniti. La possibilità di ricorrere a scanner corporali negli aeroporti potrebbe essere accompagnata dall’obbligo di utilizzare l’ultima tecnologia disponibile in fatto di tutela della privacy in modo da ridurre l’intrusione al minimo. Qualunque utilizzo di scanner corporali, inoltre, dovrà prevedere un’informazione adeguata ai passeggeri. Per concludere, nessuna delle tecnologie utilizzate deve rappresentare un rischio per la salute. Ciò detto, è opportuno notare che simili tecnologie esistono.
Nelle settimane e nei mesi a venire, la Commissione continuerà le proprie considerazioni e valutazioni sulle potenziali nuove misure di sicurezza e la loro compatibilità con il rispetto dei diritti fondamentali, e le proprie verifiche dell’efficacia di misure e strumenti già a disposizione. Sarà sulla base di tali verifiche che la Commissione potrà proporre misure europee sull’uso degli scanner corporali.
Non è pertanto probabile che la Commissione proponga leggi in materia nelle prossime settimane.
In assenza di una base giuridica comunitaria, gli scanner corporali non possono sostituire gli attuali mezzi di controllo utilizzati nel rispetto della legislazione comunitaria vigente, ad eccezione di brevi periodi di prova.
Interrogazione n. 38 dell’onorevole Andrikienė (H-0003/10)
Oggetto: Seguito dell’attuazione della strategia del Mar Baltico
La strategia del Mar Baltico è stata una delle priorità chiave della Presidenza svedese dell’Unione europea.
Come proseguirà la Commissione l’attuazione di detta strategia sotto il nuovo trio di Presidenze (Spagna, Belgio e Ungheria) nel corso dei prossimi 18 mesi?
Quali passi ha in programma la Commissione per il prossimo futuro e in una prospettiva più lunga allo scopo di creare una base solida per l’attuazione della strategia del Mar Baltico?
La Commissione si è impegnata a promuovere l’attuazione della strategia dell’Unione europea per i paesi del Mar Baltico, in stretta collaborazione con gli Stati membri.
Spetta al consiglio dell’Unione europea – al Consiglio “Affari generali” – garantire l’andamento politico generale della strategia. Questo comportare rilasciare raccomandazioni sulla base delle relazioni della Commissione agli Stati membri e alle parti interessate. Altre formazioni del Consiglio potrebbero affrontare questioni specifiche in seno a detta strategia e il Consiglio europeo sarà informato periodicamente sui progressi fatti.
La preparazione e l’assistenza alle discussioni del Consiglio “Affari generali” saranno intraprese dalla Commissione coerentemente con le responsabilità della stessa in materia di verifica, coordinamento e relazione su tale strategia. Per garantire che la Commissione sia in possesso di tutte le informazioni utili sui progressi e gli sviluppi della strategia, sarà necessario istituire strutture e procedure che coinvolgano gli Stati membri e le parti interessate.
La Commissione, in particolare, indirà un gruppo di lavoro ad alto livello degli alti funzionari di tutti gli Stati membri per una consultazione sul progresso della strategia. Tale gruppo potrà, se necessario, invitare ulteriori membri provenienti da parti interessate fondamentali come le organizzazioni non governative o da specifici ministeri. Esso fornirà pareri alla Commissione circa il contenuto della relazione periodica sulla strategia che quest’ultima dovrà redigere e le raccomandazioni relative a qualunque modifica necessaria alla strategia e al suo piano d’azione.
Il lavoro di base per l’attuazione della strategia sarà svolto dai 15 coordinatori delle aree prioritarie e dagli 80 responsabili di progetto di bandiera. I coordinatori delle aree prioritarie provengono principalmente dai ministeri degli Stati membri, mentre i responsabili di progetto di bandiera possono provenire anche da regioni, università, organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative. Il loro ruolo sarà garantire che la strategia passi dalle parole alle azioni. La Commissione fornirà il sostegno necessario perché tali attori chiave svolgano il proprio compito.
La Commissione organizzerà altresì un forum annuale già nel 2010 per mantenere l’elevata visibilità e la spinta della strategia. Tale forum coinvolgerà la Commissione e altre istituzioni comunitarie, Stati membri, autorità locali e regionali, nonché organi intergovernativi e non governativi e sarà aperto al pubblico. Questo primo forum permetterà alla Commissione di verificare se le strutture realizzate funzionano in modo efficace o se è necessario apportare delle modifiche.
Interrogazione n. 39 dell’onorevole Toussas (H-0006/10)
Oggetto: Tragica morte di nove marinai a bordo dell’Aegean Wind
Nove marinai sono andati incontro a una tragica morte il giorno di Natale a causa di un incendio divampato a bordo di un’imbarcazione di 26 anni, la Aegean Wind, battente bandiera greca. Questo ultimo “incidente” marittimo va ad aggiungersi alla lista di quelli che hanno mietuto numerose vittime, tra i quali quelli che hanno visto coinvolti il traghetto Express Samina, le navi mercantili Dystos e Iron Antonis, le petroliere Erika e Prestige. Gli Stati membri e l’UE adattano la propria politica marittima alle esigenze di concorrenza e profitto degli armatori e, ignorando le legittime rivendicazioni dei marinai, autorizzano l’utilizzo di imbarcazioni obsolete e in cattivo stato di mantenimento, intensificano la pressione lavorativa sui marinai, riducono numericamente l’equipaggio e impongono ritmi giornalieri lavorativi estenuanti di 16-18 ore con conseguenze devastanti per la sicurezza della vita in mare.
Sa la Commissione se l’Aegean Wind rispondeva alle norme basilari di sicurezza, il cui rispetto avrebbe evitato la morte di parte dell’equipaggio, se la nave era dotata dei necessari sistemi di protezione, sicurezza e lotta antincendio e se questi ultimi funzionavano normalmente? Si dispone di informazioni e valutazioni da parte dell’EMSA riguardo alle cause della morte dei marinai?
La nave per carico misto Aegean Wind ha preso fuoco nel mar dei Caraibi, al largo della costa venezuelana, il 25 dicembre 2009, uccidendo nove e ferendo cinque dei 24 membri dell’equipaggio. La Commissione deplora la perdita di tali vite e i danni alla salute e ringrazia le autorità venezuelane per l’assistenza fornita soprattutto ai membri dell’equipaggio feriti.
Poiché le indagini sull’incidente, di responsabilità delle autorità greche, sono ancora in corso, la Commissione non è in grado di rilasciare alcuna dichiarazione circa le origini dell’incidente. Tutti i certificati di classificazione, tuttavia, sono sati rilasciati in occasione dell’ultima verifica speciale nel 2007 e, a seguito della recente convalida a giugno 2009, sono valevoli fino al 2012. Similmente, le verifiche per i certificati obbligatori a bordo dell’imbarcazione sono state effettuate non più tardi di giugno 2009, confermando la validità di tutti i certificati obbligatori richiesti ai sensi delle convenzioni SOLAS (salvaguardia della vita umana in mare) e MARPOL (prevenzione dell’inquinamento causato da navi). Per concludere, la nave ha ottenuto il nuovo certificato di gestione della sicurezza a marzo 2008, con una normale validità di cinque anni. Sarebbe opportuno notare, inoltre, che l’imbarcazione era regolarmente oggetto di ispezioni da parte degli Stati di approdo e non è mai stata trattenuta nel corso degli ultimi 10 anni. L’ultima ispezione, effettuata dalla guardia costiera statunitense il 14 ottobre 2009 in Texas, non ha rivelato nessuna carenza.
Al momento, la legislazione internazionale impone agli Stati membri di effettuare indagini in caso di sinistri per verificare se è possibile scoprire qualcosa. Quello cui si riferisce l’onorevole parlamentare dev’essere considerato un sinistro molto grave secondo la definizione di cui all’articolo 3 della direttiva 2009/18/CE(1), che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che fa parte del terzo pacchetto sulla sicurezza marittima. Per sinistri di questo tipo, la direttiva impone agli Stati membri di far condurre un’inchiesta di sicurezza a un organo indipendente al fine di determinare le cause dell’incidente e individuare misure atte a prevenire il ripetersi di simili incidenti in futuro. Gli Stati membri dovranno pubblicare una relazione sull’argomento nell’arco di un anno. Tale direttiva dev’essere recepita entro il 17 giugno 2011. Sebbene l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) non abbia nessun ruolo nelle indagini relative a incidenti in mare, essa raccoglie le informazioni sugli incidenti marittimi fornite dagli Stati membri e dalle fonti commerciali. Dopo il recepimento della direttiva 2009/18/CE, gli Stati membri dovranno notificare tutti i sinistri e gli incidenti marittimi tramite la piattaforma europea di informazione sui sinistri marittimi gestita dall’EMSA.
Per quanto concerne l’orario di lavoro a bordo, la Commissione desidera segnalare che la direttiva 1999/63/CE(2)relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare stabilisce sia un numero massimo di ore di lavoro – 14 ore su un periodo di 24 ore e 72 ore su un periodo di 7 giorni – sia un numero minimo di ore di riposo – 10 ore su un periodo di 24 ore e 77 ore su un periodo di 7 giorni.
Direttiva 2009/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009 , che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che modifica la direttiva 1999/35/CE del Consiglio e la direttiva 2002/59/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, GU L 131 del 28.5.2009.
relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare, GU L 167 del 2.7.1999.
Interrogazione n. 40 dell’onorevole Angourakis (H-0007/10)
Oggetto: Persecuzione dei membri del Partito per una società democratica (DTP)
Due giorni dopo che l’Unione europea si era congratula con il governo turco per i progressi compiuti sulla via della “democratizzazione” del Paese e della risoluzione dei problemi con la comunità curda, la Corte costituzionale turca ha deciso di dichiarare fuori legge il Partito per una società democratica (DTP). Inoltre, la stessa Corte ha privato dei diritti politici 37 membri del DTP per un periodo di cinque anni e ha revocato il mandato parlamentare al presidente del partito, Ahmet Turk, e ad Aysel Tugluk. Secondo il sindaco di Diyarbakir, a seguito di una operazione coordinata delle autorità turche, 81 membri del partito in oggetto, tra cui nove sindaci democraticamente eletti, sono stati arrestati e posti in stato di fermo.
Intende la Commissione condannare tali azioni, che sono intese a terrorizzare e a impedire lo svolgimento dell’attività politica e che costituiscono una flagrante violazione dei diritti democratici fondamentali dei cittadini turchi?
La Commissione ha espresso serie preoccupazioni a seguito di recenti sviluppi, quali gli attacchi terroristici nel sudest del paese, la chiusura del Partito per una società democratica (DTP) e l’arresto dei membri di tale partito, sindaci inclusi. La Commissione ritiene che simili sviluppi non creino le giuste premesse per una concreta attuazione della democratizzazione avviata dal governo turco nell’estate del 2009.
Il sudest della Turchia ha bisogno di pace, democrazia e stabilità, che possano portare allo sviluppo economico, sociale e culturale. La democratizzazione mira ad aumentare il livello di democrazia e gli standard di vita di tutti i cittadini turchi. Tale iniziativa ha fatto sperare che, dopo decenni di violenza, la questione curda potesse essere risolta con il dialogo e nell’ambito delle istituzioni democratiche del paese. Il suo successo dipende dalla partecipazione e dal sostegno di tutte le parti politiche e di tutti i segmenti della società.
Al contempo, la Commissione condanna il terrorismo nel modo più assoluto. Essa invita tutte le parti coinvolte a fare altrettanto e ad agire nell’ambito delle istituzioni democratiche della Turchia al fine di migliorare i diritti e le libertà di tutti i cittadini turchi, indipendentemente dalla loro origine etnica, linguistica, religiosa o culturale.
La Commissione continuerà a seguire da vicino la situazione, sulla base delle disposizioni in materia stabilite dalla convenzione europea per i diritti dell’uomo, dalla giurisprudenza della corte europea per i diritti dell’uomo e dalle raccomandazioni della commissione di Venezia del Consiglio d’Europa sul quadro giuridico e la prassi della Turchia in materia di chiusura dei partiti politici. A tale proposito, la Commissione ribadisce che la legislazione turca in materia di partiti politici dev’essere allineata agli standard europei.