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Discussioni
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Mercoledì 10 febbraio 2010 - Strasburgo Edizione GU
1. Apertura della seduta
 2. Recente terremoto ad Haiti (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 3. Situazione in Iran (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 4. Situazione nello Yemen (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 5. Tratta di esseri umani (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 6. Risultati del vertice di Copenaghen sul cambiamento climatico (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale
 7. Misure di attuazione (articolo 88 del regolamento): vedasi processo verbale
 8. Relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Croazia - Relazione 2009 sui progressi realizzati dall'ex Repubblica iugoslava di Macedonia - Relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Turchia (discussione)
 9. Turno di votazioni
  9.1. Meccanismo dell’inversione contabile alla cessione di beni e servizi a rischio di frodi (A7-0008/2010, David Casa) (votazione)
  9.2. FESR: ammissibilità degli interventi nel settore dell’alloggio a favore delle comunità emarginate (A7-0048/2009, Lambert van Nistelrooij) (votazione)
  9.3. Cooperazione amministrativa nel settore fiscale (A7-0006/2010, Magdalena Alvarez) (votazione)
  9.4. Assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure (A7-0002/2010, Theodor Dumitru Stolojan) (votazione)
  9.5. Recente terremoto ad Haiti (B7-0087/2010) (votazione)
  9.6. Situazione in Iran (B7-0086/2010) (votazione)
  9.7. Situazione nello Yemen (B7-0021/2010) (votazione)
  9.8. Tratta di esseri umani (votazione)
  9.9. Risultati del vertice di Copenaghen sul cambiamento climatico (B7-0064/2010) (votazione)
  9.10. Promozione della buona governance in materia fiscale (A7-0007/2010, Leonardo Domenici) (votazione)
  9.11. Parità tra donne e uomini nell’Unione europea — 2009 (A7-0004/2010, Marc Tarabella) (votazione)
  9.12. Obiettivi prioritari della conferenza delle parti della CITES (votazione)
  9.13. Relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Croazia (B7-0067/2010) (votazione)
  9.14. Relazione 2009 sui progressi realizzati dall’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (B7-0065/2010) (votazione)
  9.15. Relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Turchia (B7-0068/2010) (votazione)
 10. Dichiarazioni di voto
 11. Correzione e intenzioni di voto: vedasi processo verbale
 12. Approvazione del processo verbale della seduta precedente: vedasi processo verbale
 13. Accordo UE/Stati Uniti d’America sul trattamento e sul trasferimento di dati di messaggistica finanziaria dall’Unione europea agli Stati Uniti ai fini del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi (discussione)
 14. Body scanner - Funzionamento dei servizi di intelligence nel quadro delle strategie anti-terrorismo (discussione)
 15. Situazione in Ucraina (discussione)
 16. Tempo delle interrogazioni (interrogazioni al Consiglio)
 17. Composizione del Parlamento: vedasi processo verbale
 18. Effetti della crisi economica sul commercio mondiale (discussione)
 19. Accordo di libero scambio UE - Corea del Sud (discussione)
 20. Ordine del giorno della prossima seduta: vedasi processo verbale
 21. Chiusura della seduta


  

PRESIDENZA DELL’ON. PITTELLA
Vicepresidente

 
1. Apertura della seduta
Video degli interventi
  

(La seduta è aperta alle 8.30)

 

2. Recente terremoto ad Haiti (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

3. Situazione in Iran (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

4. Situazione nello Yemen (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

5. Tratta di esseri umani (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

6. Risultati del vertice di Copenaghen sul cambiamento climatico (proposte di risoluzione presentate): vedasi processo verbale

7. Misure di attuazione (articolo 88 del regolamento): vedasi processo verbale

8. Relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Croazia - Relazione 2009 sui progressi realizzati dall'ex Repubblica iugoslava di Macedonia - Relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Turchia (discussione)
Video degli interventi
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  Presidente. − L'ordine del giorno reca, in discussione congiunta, le dichiarazioni del Consiglio e della Commissione su:

– la relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Croazia [2009/2767(RSP)]

– la relazione 2009 sui progressi realizzati dall'ex Repubblica iugoslava di Macedonia [2009/2768(RSP)]

– la relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Turchia [2009/2769(RSP)].

 
  
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  Diego López Garrido, presidente in carica del Consiglio. (ES) Signor Presidente, vorrei iniziare ribadendo il fermo impegno della presidenza in carica del Consiglio a favore dell’allargamento dell’Unione europea. Il nostro lavoro a questo riguardo seguirà la linea del rinnovato consenso sull’allargamento, approvato in occasione del Consiglio europeo del dicembre 2006, e delle conclusioni del Consiglio dell’8 dicembre 2009. Come evidenziato nella risoluzione del Parlamento di cui stiamo per discutere, la prima metà di quest’anno sarà fondamentale per i negoziati con la Croazia, che sono entrati nella fase finale. Resta tuttavia ancora molto da fare prima di poter giungere a una conclusione positiva. Dovremo analizzare capitoli difficili come la concorrenza, la pesca, il sistema giudiziario e i diritti fondamentali, l’ambiente e la politica estera, di sicurezza e difesa. Dovremo anche chiudere provvisoriamente alcuni capitoli che hanno implicazioni finanziarie.

Ci attende dunque un lungo lavoro. Il nuovo commissario, Štefan Füle, che è stato mio omologo quando ero ministro degli Affari europei – colgo l’occasione per dargli il benvenuto e congratularmi per la sua nomina – dovrà occuparsi a fondo, nell’ambito dell’allargamento, del caso della Croazia: già la prossima settimana prevediamo infatti di organizzare una prima conferenza intergovernativa a livello ministeriale per aprire i capitoli sulla pesca e sull’ambiente, due capitoli molto importanti che, come potete immaginare, richiederanno lavoro e impegno.

Vorrei ricordarvi le conclusioni sulla Croazia adottate dal Consiglio a dicembre. Le conoscete già, ma vorrei porre l’accento su alcuni punti. Il Consiglio ha elogiato la Croazia per i notevoli sforzi compiuti l’anno scorso e per i progressi realizzati nell’insieme, citando altresì una serie di misure finanziarie per i negoziati di adesione della Croazia e prendendo nota del fatto che i negoziati stavano entrando nella fase finale.

Il Consiglio ha sottolineato che, partendo dai progressi già conseguiti, la Croazia dovrà compiere un salto di qualità in settori fondamentali quali il sistema giudiziario, la pubblica amministrazione e la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Il paese deve inoltre tutelare i diritti delle persone appartenenti alle minoranze, garantendo anche il ritorno dei rifugiati e gli opportuni procedimenti penali per crimini di guerra, prima di poter vantare trascorsi convincenti in questi settori.

Inoltre il Consiglio ha preso atto della cooperazione della Croazia con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, sebbene reputi che siano necessari ulteriori sforzi. Riteniamo che in questo ambito si possano raggiungere nuovi obiettivi.

Ovviamente, abbiamo accolto con favore anche la firma dell’accordo di arbitrato sulla disputa tra Croazia e Slovenia per la definizione delle frontiere. L’accordo è stato firmato il 4 novembre a Stoccolma e ratificato dal parlamento croato il 20 novembre. Il Consiglio ha esortato la Croazia a intensificare gli sforzi al fine di risolvere tutte le questioni bilaterali in sospeso, soprattutto le controversie sui confini.

Il Consiglio ha altresì accolto con favore la costituzione, in dicembre, poco più di un mese fa, di un gruppo di lavoro per preparare la bozza del trattato di adesione della Croazia. Infine, l’attuazione del partenariato per l’adesione rivisto sarà essenziale per preparare, in ultima istanza, l’integrazione del paese nell’Unione. Come ho già ricordato, ci aspetta ancora molto lavoro.

Dato che questa è una discussione congiunta su Croazia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia e Turchia, vorrei precisare che i Balcani occidentali costituiscono una delle principali priorità dell’Unione europea. La stabilità della regione riveste infatti primaria importanza per noi, e il 2010 segnerà varie tappe fondamentali nel processo di transizione: si registreranno progressi nelle domande di adesione – come abbiamo appena detto – un nuovo impulso per la rete di accordi di stabilizzazione e associazione, una più stretta cooperazione regionale e il progresso verso un regime di visti più liberale.

Sappiamo che la prospettiva di adesione all’Unione – quella che chiamiamo la prospettiva europea dei Balcani occidentali – è il principale catalizzatore di stabilità e riforme in questi paesi. E’ sicuramente una prospettiva concreta, ma non è un diritto automatico.

Passando ora al’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, vorrei iniziare riassumendo brevemente la situazione generale del paese con riferimento alla risoluzione del Parlamento europeo, il cui relatore è l’onorevole Thaler. La risoluzione descrive con grande chiarezza una situazione dinamica e foriera di opportunità per l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, evidenziando altresì molte delle sfide che il paese si trova ad affrontare: frequente inottemperanza alla legge, corruzione, l’insufficiente attuazione delle raccomandazioni dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e dei diritti dell’uomo, lo stanziamento di fondi per un’effettiva decentralizzazione, accesso alla giustizia, maggiore partecipazione delle donne alla vita politica, sostegno alle organizzazioni della società civile, una disoccupazione costantemente elevata, problemi ambientali, eccetera.

La risoluzione sottolinea l’importanza di disporre di un calendario per l’apertura dei negoziati nonché la volontà comune di trovare, non appena possibile, una soluzione accettabile per il problema del nome del paese, che, come sapete, è attualmente oggetto di un contenzioso con la Grecia.

Desidero esprimere le mie considerazioni su alcuni degli eventi cui fa riferimento la risoluzione, come le elezioni locali in marzo e aprile – che secondo l’OSCE hanno rispettato le norme stabilite – e la sesta riunione del consiglio di stabilizzazione e associazione, tenutasi nel luglio 2009 e ormai conclusa, che ha evidenziato che il paese tiene effettivamente fede agli impegni assunti nell’ambito di tale accordo. L’ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha continuato a lavorare ai suoi rapporti con l’Unione europea, ed è per questo motivo che la Commissione europea ha riconosciuto i progressi concreti conseguiti e ha raccomandato l’apertura dei negoziati di adesione.

Nelle conclusioni dello scorso dicembre, il Consiglio ha riconosciuto i progressi di cui parla la Commissione e ha accettato di ritornare sul tema nei prossimi mesi. Il Parlamento europeo, come sapete, ha preso atto di queste conclusioni del Consiglio, datate all’8 dicembre 2009.

Inoltre, il 19 dicembre è entrato in vigore il regime di esenzione dall’obbligo di visto, in conformità con il sistema di Schengen, per i cittadini dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia.

Dovremmo anche citare una serie di aspetti specifici relativi all’ex Repubblica iugoslava di Macedonia: relazioni interetniche, divergenze di opinione tra gli slavi macedoni sull’antichità del paese e diversità di vedute sui rapporti con i paesi vicini. Tutti questi temi si ritrovano in varie sezioni della risoluzione del Parlamento.

Per riassumere, aldilà dell’adozione e dell’applicazione delle leggi, vorrei dire che alcuni aspetti meritano grande attenzione: alcuni rientrano nell’accordo quadro di Ohrid, altri sono di carattere puramente nazionale e altri ancora riguardano i paesi vicini.

Le istituzioni europee ritengono che nel futuro dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia ci sia l’adesione all’Unione europea e che tali aspirazioni dovranno assumere la forma di una piena integrazione nazionale, in conformità con l’accordo quadro di Ohrid. E’ quello che l’Unione europea crede e continuerà a credere.

Infine, vorrei cogliere questa opportunità per analizzare più nei dettagli lo stato dei negoziati con la Turchia e presentare i piani della presidenza spagnola per questo importante fronte dell’allargamento.

E’ importante – e lo voglio precisare sin dall’inizio – che i negoziati con la Turchia proseguano e che non si interrompa il processo in atto. Proseguendo e intensificando il lavoro delle presidenze precedenti, speriamo di convincere tutti della necessità di registrare progressi, laddove possibile.

I negoziati sono entrati in una fase che potremmo definire un po’ più complicata o problematica, che impone alla Turchia di intensificare il proprio impegno per soddisfare le condizioni previste. Ci aspetta una serie di capitoli negoziali che pongono grandi difficoltà tecniche. E’ tuttavia importante – e voglio precisare anche questo punto subito – che la Turchia faccia passi avanti sulle riforme riguardanti l’Unione europea.

Attualmente, come sa fin troppo bene il nuovo commissario, il lavoro tecnico si concentra su quattro capitoli negoziali: appalti pubblici; concorrenza; sicurezza alimentare, politica veterinaria e fitosanitaria; politica sociale e occupazione. Dobbiamo sottolineare che anche il capitolo sull’energia è importante ed è diventato particolarmente attuale dopo la firma dell’accordo Nabucco.

In occasione dell’ultima tornata, il Parlamento ha discusso della Turchia e, in particolare, della democratizzazione del paese. Al processo di iniziativa democratica, come lo definisce il governo turco, si contrappongono infatti alcune decisioni preoccupanti, come la sentenza, emessa di recente dalla Corte costituzionale, che mette al bando un partito politico. Il tema, molto spinoso, è stato affrontato anche in questa sede.

Nonostante i progressi compiuti, sono dunque necessari ulteriori sforzi per fare in modo che la Turchia soddisfi pienamente i criteri di Copenaghen in una serie di settori, tra i quali libertà di espressione, libertà di stampa, libertà di religione de iure e de facto per tutte le comunità religiose, rispetto dei diritti patrimoniali, dei diritti sindacali, dei diritti delle persone appartenenti alle minoranze, supervisione civile delle forze militari, diritti delle donne e dei bambini e misure antidiscriminatorie e di parità di genere. Tutto ciò è chiaramente ripreso sia nella risoluzione del Parlamento sia nelle conclusioni del Consiglio dell’8 dicembre.

Vorrei citare alcuni altri aspetti delle conclusioni del Consiglio, che per esempio ha sottolineato che la Turchia deve assicurare un impegno inequivocabile in vista dello sviluppo di buoni rapporti di vicinato e della soluzione pacifica delle controversie in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, ricorrendo, se necessario, alla Corte internazionale di giustizia. In questo contesto, l’Unione ha esortato la Turchia – come abbiamo fatto noi nelle riunioni bilaterali con questo paese – a evitare qualsiasi tipo di minaccia, causa di attrito o azione che potrebbe compromettere i buoni rapporti di vicinato e la soluzione pacifica delle controversie.

Il Consiglio ha altresì notato con profondo rammarico che la Turchia non ha ancora attuato il protocollo aggiuntivo dell’accordo di associazione, il cosiddetto protocollo di Ankara, e che non ha compiuto progressi sufficienti verso la normalizzazione dei rapporti con la Repubblica di Cipro.

Nella prima metà del 2010, in seno al consiglio di associazione e nel comitato di associazione con la Turchia, avremo la possibilità di valutare l’evoluzione dei nostri rapporti: sarà un’eccellente opportunità per esaminare problemi rilevanti come i criteri politici, i progressi compiuti nell’adeguamento della legislazione nazionale e nell’applicazione dell’acquis.

Abbiamo inoltre programmato una serie di incontri per il dialogo politico a livello ministeriale, tra dirigenti politici, e questo ci consentirà di analizzare i nostri rapporti nel più ampio contesto internazionale. A questo riguardo, il Consiglio si aspetta che la Turchia sostenga i negoziati in corso in seno all’ONU sul problema al quale ho appena fatto riferimento, ossia Cipro, in ottemperanza alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU in materia e in linea con i principi su cui è fondata l’Unione.

Signor Presidente, onorevoli deputati, attendo con interesse di sentire il vostro punto di vista e risponderò a qualsiasi commento o domanda che desideriate pormi.

 
  
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  Presidente. − Do ora la parola al Commissario Štefan Füle, facendogli anche gli auguri perché è il primo giorno di lavoro.

 
  
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  Štefan Füle, membro della Commissione. (EN) Signor Presidente, innanzi tutto, mi fa molto piacere che il mio primissimo impegno ufficiale dall’assunzione dell’incarico, avvenuta qualche ora fa, sia qui al Parlamento europeo. Ritengo anche che sia una fortunata coincidenza che la primissima discussione della nuova Commissione con quest’Assemblea riguardi proprio l’allargamento. In terzo luogo, sono lieto che il Parlamento europeo abbia espresso un convinto sostegno all’allargamento in tre relazioni.

Le risoluzioni dimostrano l’impegno del Parlamento europeo rispetto alle prospettive di adesione della Croazia, dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e della Turchia. E’ un chiaro segnale che l’allargamento continuerà a costituire una priorità del Parlamento europeo e, insieme ai miei colleghi, farò del mio meglio per portare a buon fine questa storia di successo. Sono molto lieto che il mio amico, il ministro degli Affari esteri López Garrido, abbia appena confermato il suo pieno sostegno a questo processo a nome del Consiglio e della presidenza.

Per quanto concerne la Croazia, apprezzo la relazione equa ed equilibrata del Parlamento e desidero congratularmi con il relatore, onorevole Swoboda. La relazione evidenzia i progressi compiuti dalla Croazia rispetto ai criteri previsti per l’adesione ma, allo stesso tempo, riconosce i passi che è ancora necessario compiere per concludere i negoziati. La sua relazione rafforza così i messaggi e l’impegno della Commissione. Vorrei sottolineare che la conclusione dei negoziati nel 2010 è ancora possibile, a condizione che la Croazia faccia passi avanti verso il rispetto di tutti i criteri ancora in sospeso. La palla è chiaramente nel campo della Croazia.

Negli ultimi anni, la Croazia ha fatto enormi passi avanti ma rimangono da affrontare altre sfide importanti. E’ una valutazione che condividiamo. La Croazia deve concentrarsi, in particolare, sul proseguimento della riforma del sistema giudiziario e della pubblica amministrazione, sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, sul rispetto dei diritti delle minoranze, compreso il ritorno dei rifugiati, nonché sui processi per crimini di guerra e sulla piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia.

Giudichiamo incoraggianti i progressi conseguiti di recente nella lotta alla corruzione, e speriamo che le indagini sugli illeciti conducano a risultati concreti. Per quanto riguarda la cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, che rappresenta una condizione imprescindibile, il procuratore capo Brammertz ha confermato che non si è ancora giunti a una piena cooperazione. Ha tuttavia riconosciuto i recenti passi positivi, come la costituzione di una task force che ha l’obiettivo di intensificare le indagini. Spero che il lavoro di questa task force possa produrre presto risultati concreti. Infine, l’accordo di arbitrato del novembre 2009 tra Slovenia e Croazia sulla risoluzione della controversia bilaterale sulle frontiere ha dato nuovo impulso al processo negoziale; confido che la Croazia colga quest’opportunità per impegnarsi ancor di più ad affrontare gli altri problemi ancora in sospeso.

Per quanto riguarda l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, il 2009 è stato un anno positivo per le riforme. Grazie al consenso politico tra tutte le principali forze politiche, il paese è stato in grado di compiere progressi significativi in settori di primaria importanza e ha ottenutola liberalizzazione dei visti: la Commissione potrebbe dunque raccomandare l’avvio dei negoziati di adesione. Noto con piacere che il Parlamento e la Commissione concordando sull’opportunità di avviare i negoziati, come dimostra la relazione costruttiva e lungimirante dell’onorevole Thaler. La sfida per il paese è ora quella di mantenere il ritmo delle riforme.

Mentre il paese ha soddisfatto i criteri politici, il lavoro da fare resta ancora molto. Una visione condivisa del futuro e un dialogo politico efficace tra le forze politiche saranno cruciali per garantire il progresso. E’ necessario un impegno continuo, in particolare per attuare in ogni sua parte l’accordo quadro di Ohrid, migliorare i rapporti interetnici e garantire lo stato di diritto e un sistema giudiziario indipendente e per avviare procedimenti penali efficaci per i casi di corruzione ad alto livello.

La crisi economica non ha risparmiato il paese, che purtroppo già registrava un tasso di disoccupazione tra i più elevati in Europa. Ora più che mai, sono necessarie una gestione macro-economica prudente e misure attive per il mercato del lavoro, per contenere e poi ridurre la disoccupazione.

Come voi, anch’io sono convinto che l’inizio dei negoziati di adesione sia fondamentale per mantenere vivo lo slancio riformatore nel paese e che – aspetto altrettanto importante – rafforzerà la prospettiva europea per la regione nel suo insieme. Tale iniziativa è dunque nell’interesse strategico della stessa Unione europea: è questo il messaggio che trasmetterò agli Stati membri e al paese in modo da portare avanti il processo.

A proposito della Turchia, vorrei ringraziare la vostra relatrice, onorevole Oomen-Ruijten, per essersi impegnata ad adottare un approccio sempre equo ed equilibrato nella stesura della relazione. La Commissione non muta gli impegni assunti con la Turchia in merito al processo di adesione, proprio perché esso rappresenta un importante incentivo per le riforme politiche ed economiche.

Il lavoro sui criteri politici rimane della massima importanza, con particolare riguardo alle libertà fondamentali. Negli scorsi anni sono state attuate numerose riforme epocali, alcune delle quali sarebbero state quasi impossibili solo qualche anno fa. La settimana scorsa, è stato abrogato il protocollo di sicurezza che consentiva all’esercito di intervenire senza autorizzazione in caso di minacce alla sicurezza. E’ un risultato storico nei rapporti tra civili e militari. Osserveremo con grande attenzione gli sviluppi successivi a questa conciliazione. Anche la presentazione di un progetto di legge per la creazione di un’istituzione competente in materia di diritti umani e la tanto attesa strategia anti-corruzione, adottata in linea di principio dal governo turco il 21 gennaio, sono segnali positivi.

Continuiamo a sostenere l’apertura democratica avviata dal governo. Il successo di questa iniziativa esige la partecipazione e il sostegno di tutti i partiti politici e di tutti i segmenti della società. La Commissione ha tuttavia qualche preoccupazione a seguito della sentenza della Corte costituzionale che ordina lo scioglimento di un partito parlamentare filo-curdo, il DTP. Deploriamo altresì gli arresti compiuti nel sud-est alla fine di dicembre e condanniamo gli attentati terroristici che si sono verificati nello stesso periodo. Nessuna di queste evoluzioni sembra potere concretamente favorire un’apertura democratica.

 
  
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  Hannes Swoboda, autore. (DE) Signor Presidente, in primo luogo, desidero rivolgere un sentito ringraziamento al Consiglio e al commissario Füle per le loro dichiarazioni, in particolare sul tema della Croazia. Le loro parole illustrano che sia il Consiglio sia la Commissione sono determinati a completare al più presto questo processo. Convengo inoltre con il commissario Füle sulla concreta possibilità di completare i negoziati con la Croazia quest’anno, se ci saranno la buona volontà necessaria e le opportune politiche. Spetta anche e soprattutto alla Croazia compiere i passi decisivi.

In questa fase, posso dire che la Croazia ha compiuto notevoli progressi, in particolare negli ultimi mesi e in materia di corruzione. Il paese ha dimostrato che nessuno può ignorare la legge o essere sollevato dall’obbligo di applicare misure contro la corruzione: è un segnale importante. La Croazia ha inoltre concluso un accordo con la Slovenia che il parlamento nazionale ha poi ratificato con una certa rapidità, dimostrando che la determinazione a soddisfare i requisiti necessari è forte ed è comune. Spero che lo stesso possa avvenire presto anche in Slovenia. Sono convinta che il governo sloveno sostenga senza riserve l’accordo e spero che i problemi politici interni possano essere presto risolti e che l’accordo possa essere ratificato.

Resta tuttavia ancora del lavoro da fare. E’ già stato osservato che la lotta contro la corruzione è un fattore importante. Tuttavia, la situazione non cambierà da un giorno con l’altro. Ci sono molti problemi irrisolti in questo settore, ma sono certa che il governo e gli organismi pubblici competenti siano determinati a portare avanti questa battaglia anche senza pressioni politiche.

Per quanto riguarda la riforma del sistema giudiziario, non si tratta unicamente di contrastare la corruzione, ma anche di affrontare una serie di altri nodi, come la formazione dei giudici. La Croazia deve ancora compiere molti passi avanti per poter creare un sistema giudiziario moderno e spero che possa riuscirci presto.

Per quanto riguarda la cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, il commissario Füle ci ha fornito una descrizione precisa e complessa della situazione. Il procuratore capo Brammertz ha assicurato alla commissione per gli affari esteri che si sta svolgendo un lavoro approfondito. Si tratta solo di trovare alcuni documenti relativi alla causa contro il generale Gotovina, ma lo stesso Brammertz ha affermato di non sapere se questi documenti esistano ancora o se siano già stati distrutti. E’ anche possibile che alcuni di essi non siano mai esistiti. Spero tuttavia che la Croazia faccia tutto quanto in suo potere a questo riguardo. Vorrei che la task force citata dal commissario Füle fosse fortemente sostenuta anche da esperti di altri paesi, senza però dare automaticamente il beneplacito agli sforzi compiuti dalla Croazia. Credo tuttavia che in questo settore si siano compiuti molti progressi e spero che i pochi punti ancora in sospeso siano chiariti nelle prossime settimane o nei prossimi mesi, in modo da convincere il procuratore capo Brammertz che potrà contare sulla nostra piena cooperazione.

Molto è stato fatto anche per quanto riguarda il ritorno dei rifugiati e degli sfollati interni. Sono ancora in sospeso alcuni problemi complessi e di non facile soluzione. Nei casi in cui le persone sono fuggite da case che non erano di loro proprietà, case in cui abitavano in affitto, come per esempio le abitazioni popolari dell’ex Iugoslavia, è difficile organizzare il loro ritorno e fare in modo che possano riavere una casa. Sebbene molti manifestino il desiderio di tornare, la crisi economica e la disoccupazione rendono forse sconsigliabile un afflusso così massiccio verso regioni in cui i livelli di disoccupazione sono già elevati.

E’ vero che in questo settore i progressi non sono certo mancati. Sono sicuro che il governo attuale e, spero, anche l’opposizione, possano cooperare per adottare le ultime misure. Negli ultimi mesi, è emerso sempre più chiaramente che l’adozione di un approccio comune alle problematiche europee è decisiva per la Croazia. E’ necessario che, da più fronti, si manifesti una determinazione comune per risolvere i problemi in sospeso e, nonostante le differenze interne, fare capire che questa è la strada che porta in Europa e che la Croazia deve arrivarci più rapidamente possibile.

(Applausi)

 
  
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  Zoran Thaler, autore. (SL) Il 2009 è stato un anno positivo per l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (FYROM), paese candidato. L’ha confermato la Commissione dell’Unione europea e l’hanno confermato le due presidenze in carica, prima quella svedese e ora quella spagnola. Ed è anche quello che ho affermato nel mio progetto di relazione.

Le autorità di Skopje hanno affrontato e rispettato le priorità fondamentali del partenariato di adesione, generalmente note come criteri. In secondo luogo, la FYROM è stata il primo paese della regione ad adempiere a tutti gli obblighi in materia di liberalizzazione dei visti: l’obiettivo è stato raggiunto già nel luglio dello scorso anno, mentre il regime di esenzione dall’obbligo di visto è entrato in vigore il 19 dicembre. Il paese ha altresì risolto la disputa sulle frontiere con il Kosovo e ha collaborato con successo ad alcune iniziative regionali, come la zona di libero scambio dell’Europa centrale (CEFTA) e il processo di cooperazione dell’Europa sud-orientale, oltre ad aver collaborato positivamente con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia all’Aia. La settimana scorsa, il parlamento della FYROM ha inoltre approvato una risoluzione su Srebrenica.

A cosa punta il Parlamento con questa risoluzione e con la mia relazione sui progressi conseguiti dalla Macedonia? Vogliamo soprattutto cercare di offrire un aiuto. Vogliamo sostenere i progressi compiuti dal paese sulla strada della stabilità verso l’Unione europea. Non dimentichiamo che la FYROM è stata l’unica repubblica dell’ex Iugoslavia che sia riuscita ad evitare le guerre di Milošević.

In secondo luogo, vogliamo aiutare uno dei nostri Stati membri, la Grecia, e di conseguenza l’Unione europea nel suo insieme: occorre infatti ricordare che qualsiasi paese può prosperare solo se lo fanno anche i suoi paesi vicini. E’ un dato empirico e dimostrabile. Per questo esorto i nostri amici greci a cercare di dirimere la disputa in corso insieme al governo di Skopje e ad ammorbidire la posizione assunta nei confronti del loro vicino settentrionale. Esorto la Grecia a proporsi come un leader onesto, giusto e di ampie vedute, un mentore e uno sponsor dei Balcani. I Balcani di oggi ne hanno bisogno.

A questo riguardo vorrei in particolare accogliere con favore l’Agenda 2014, un’iniziativa varata dal nuovo governo greco di Papandreou. Ottima iniziativa! La Grecia ha tutto il mio appoggio. Cerchiamo di fare tutto il possibile per raggiungere questo obiettivo. Diamo prova di solidarietà sia verso la Grecia, uno dei nostri Stati membri, sia verso la Repubblica di Macedonia. La solidarietà deve essere reciproca.

Dobbiamo anche ricordare che i Balcani sono come una corsa in bicicletta. Fino a che si muovono, fino a che pedalano per andare avanti, tutto va più o meno bene, ma se si fermano, ci sarà un blocco; se ci sarà un punto morto, cadremo e cadremo tutti. Se ci fermassimo adesso, pace, stabilità, sicurezza e coesione sociale verrebbero a mancare.

In conclusione, vorrei sottolineare un altro aspetto. L’ex Repubblica iugoslava di Macedonia è un paese candidato dal 2005. Dobbiamo essere tutti consapevoli delle conseguenze delle nostre decisioni o della nostra inazione. Ogniqualvolta visito Skopje, spiego sempre che la ricerca di una soluzione con la Grecia, loro vicino, spetta in primis a loro.

Rivolgiamo allora un appello alle autorità di Skopje, Atene e Sofia, nonché alla presidenza spagnola, al commissario Füle, all’Alto rappresentante per la politica estera, baronessa Ashton, e al Parlamento: facciamo tutto il possibile, ognuno entro la propria sfera di competenza, per contribuire alla soluzione di questo problema. Così potremo avere dei Balcani diversi e migliori di quelli degli ultimi venti anni.

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten, autore.(NL) Vorrei iniziare ringraziando calorosamente e dando il benvenuto al commissario Füle: congratulazioni per la sua nomina. Sono impaziente di poter avviare una solida collaborazione con lei.

Signor Presidente, desidero ringraziare tutti i miei colleghi, che, ciascuno con il proprio contributo costruttivo, ci hanno consentito di raggiungere un consenso sulla maggior parte dei punti. Vorrei anche ribadire che il mio obiettivo in quanto relatrice del Parlamento è quello di riuscire a trasmettere un messaggio chiaro, equilibrato e coerente. E credo che ci riusciremo solo se creeremo insieme un’ampia maggioranza.

Vorrei inviare tre messaggi alla Turchia: in primo luogo – come recita l’inizio della relazione – l’attuazione di un confronto aperto; in secondo luogo, la costituzione; infine, l’applicazione della legislazione. Inizierò dal dibattito aperto e dall’apertura democratica. In un’ottica molto obiettiva, accogliamo con favore l’ampio confronto avviato lo scorso anno dal governo turco sui diritti dei curdi, degli aleviti, e sul ruolo dell’esercito, eccetera.

Tuttavia, signor Presidente, la sentenza della Corte costituzionale dello scorso dicembre ha consentito la ripresa degli attacchi terroristici. C’è stata un’ondata di arresti di iscritti al DTP e sui deputati al parlamento turco incombe ancora la minaccia di arresto. Sembra dunque probabile che il dibattito aperto e positivo in corso dall’estate rischi di concludersi prematuramente. Naturalmente, signor Presidente, in quanto rappresentante del popolo, rispetto le sentenze dei tribunali; so inoltre che la Corte costituzionale ha detto, a proposito della messa al bando di partiti politici, che la Turchia dovrebbe ora impegnarsi con entusiasmo per dare seguito alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa e della commissione di Venezia. Chiedo alla Turchia di farlo e di fare in modo che simili deprecabili situazioni non si ripetano.

Signor Presidente, questo mi porta a ricordare un’altra sentenza della Corte, ossia l’annullamento della legge che limita la competenza giurisdizionale del tribunale militare. Noi, in quanto parlamentari, non possiamo criticare la sentenza, tuttavia essa dimostra ancora una volta che la base di queste sentenze, ossia la costituzione, è inadeguata nel senso che – e devo fare molta attenzione alle parole che scelgo – si presta sempre alla pronuncia di sentenze di questo tipo. Per questo esortiamo ancora una volta la Turchia a procedere senza indugio a una riforma della costituzione: è questo l’unico provvedimento che può consentire di attuare le riforme vere, così necessarie per ammodernare la società turca.

Signor Presidente, la mia terza osservazione fondamentale riguarda l’attuazione e l’applicazione della legislazione adottata. Anche nei settori dei diritti delle donne, della libertà di religione e del maltrattamento degli indiziati, le norme stabilite devono essere rispettate in tutta la Turchia. Signor Presidente, chiedo pertanto che si presti maggiore attenzione all’applicazione e al rispetto della legge.

Passerò ora agli emendamenti. Per quanto riguarda Cipro, ho cercato di giungere a un compromesso chiaro e condiviso con i relatori ombra. La Turchia deve sapere che il protocollo aggiuntivo che è stato concordato deve essere approvato senza indugio. Al paragrafo 34, ho invitato tutte le parti a cercare di individuare una soluzione al problema della divisione di Cipro. Con questo paragrafo, chiedo specificatamente alla Turchia di inviare segnali positivi.

Signor Presidente, nel nuovo paragrafo 48 sottolineiamo che i vertici di entrambi i paesi devono essere esortati ad avere coraggio, in modo da giungere presto a una soluzione per l’isola. E’ assolutamente necessario. Vorrei dire all’onorevole Cornelissen che, sebbene il suo emendamento sulla violenza contro le donne sia probabilmente un po’ ridondante, il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) lo sosterrà, come previsto.

Infine, signor Presidente, vorrei nuovamente ribadire che, anche quest’anno, il mio obiettivo è quello di elaborare una relazione che proponga un messaggio molto chiaro, critico ma anche equilibrato. Ritengo che, se adottiamo questa relazione a larga maggioranza, troveremo anche una soluzione adeguata per la Turchia, ammodernando il paese e assicurandogli condizioni di prosperità per tutti i suoi cittadini.

 
  
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  Bernd Posselt, a nome del gruppo PPE.(DE) Signor Presidente, le nostre aspettative verso il Consiglio e la Commissione sono chiare. Ci aspettiamo che quest’anno siano completati i negoziati con la Croazia e che siano avviati quelli con la Macedonia. Questo naturalmente prevede il riconoscimento del fatto che la politica in materia di gruppi minoritari in questi due paesi è effettivamente migliore di quella di molti Stati membri dell’Unione europea e che tutte le minoranze e i gruppi etnici in entrambi i paesi sono rappresentati nei rispettivi governi. Commissario Füle, il modo in cui la Croazia ha gestito il problema del ritorno dei rifugiati potrebbe, se me lo consente, servire da modello per altri Stati. Vorrei pertanto essere molto chiaro su questo: dobbiamo spiegare a questi paesi che devono continuare a impegnarsi. Tuttavia, è del tutto inaccettabile dire che la palla è solo nel campo della Croazia. La Croazia ha ratificato l’accordo sui confini e vorrei associarmi all’invito rivolto dall’onorevole Swoboda al parlamento sloveno a fare lo stesso. Il Consiglio deve ancora aprire tre capitoli del negoziato e vorrei chiedere al rappresentante spagnolo del Consiglio dei ministri di fare in modo che siano aperti durante la presidenza spagnola. Questo consentirà alla Croazia, se sarà trattata con imparzialità, di completare i negoziati quest’anno.

Per quanto riguarda il vergognoso blocco della Macedonia a causa del suo nome, nemmeno in questo caso la palla è solo nel campo della Macedonia. La responsabilità è invece di uno Stato membro dell’Unione europea che sta opponendo una resistenza contraria al diritto internazionale. A questo punto, vorrei essere chiaro: l’Unione europea deve comportarsi in modo credibile; in altri termini, dobbiamo essere esigenti con gli altri, ma dobbiamo anche essere all’altezza dei nostri stessi standard, altrimenti perderemo tutta la nostra credibilità. Ritengo sia per noi importante lavorare per fare in modo che la votazione del Parlamento sulla Croazia, dopo una lunga e perigliosa strada, si tenga quest’anno. Poi gli osservatori potranno venire qui, proprio come sono venuti e sono stati da noi accolti gli osservatori cechi, sloveni e ungheresi. Spero che quest’anno o l’anno prossimo possano svolgersi in Croazia le elezioni europee e che i deputati croati si possano unire a noi in Parlamento e contribuire a preparare l’adesione di altri Stati dell’Europa meridionale, primo tra i quali la Macedonia.

 
  
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  Kristian Vigenin, a nome del gruppo S&D.(BG) Signor Presidente, Commissario Füle, vorrei associarmi alle congratulazioni che le sono già state rivolte per la sua nomina a nuovo membro della Commissione europea e sottolineare quanto sia significativo che la prima discussione in Parlamento in presenza della nuova Commissione riguardi proprio l’allargamento.

E’ superfluo ripetere che l’allargamento si è rivelato una delle politiche di maggior successo dell’Unione europea. Le rivolgo i miei migliori auguri. Il nostro Parlamento farà tutto quanto in suo potere per sostenerla in questo impegno, perché noi qui al Parlamento europeo siamo i più convinti fautori dell’espansione di questa regione di sicurezza, prosperità e diritti dei cittadini che è l’Unione europea.

A tal riguardo, credo che le dichiarazioni dei tre relatori illustrino con chiarezza il serio lavoro svolto dalla commissione per gli affari esteri e dai relatori stessi. Desidero congratularmi con loro e ricordare che le tre relazioni che stiamo discutendo oggi sono state approvate a larga maggioranza in seno alla commissione per gli affari esteri. Credo che lo stesso avverrà oggi.

Desidero sottolineare che intendiamo utilizzare le relazioni per ricordare ai tre paesi coinvolti che manterremo invariato il nostro impegno in tale ambito, segnalando tuttavia che ci sono problemi che non si possono eludere e rispetto ai quali i tre paesi devono agire, sebbene la discussione generale probabilmente diluirà un po’ il nostro messaggio. Tali problemi sono principalmente legati al fatto che il Parlamento europeo non può e non vuole chiudere gli occhi di fronte a una serie di questioni legate al rispetto dei criteri di Copenaghen, che sostengono la tutela dei diritti fondamentali, della libertà di stampa e della libertà di associazione, nonché la tutela dei diritti delle minoranze, i buoni rapporti di vicinato, eccetera.

Vorrei soffermarmi brevemente su tre temi che, a mio parere, sono di importanza fondamentale per compiere passi verso l’adesione dei tre paesi. Primo, è chiaro, per quanto riguarda la Croazia, che la strada verso l’adesione del paese è già aperta. L’accordo concluso con la Slovenia è estremamente importante, ma ne chiediamo la ratifica al più presto, in modo che ci sia possibile concludere entro la fine dell’anno i negoziati con la Croazia.

Per quanto riguarda la Macedonia, speriamo che l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia dia prova della flessibilità necessaria. Speriamo inoltre che il nuovo governo greco possa trovare una soluzione al problema del nome, affinché si possa fissare una data per l’avvio dei negoziati con la Macedonia entro quest’anno.

Per quanto riguarda la Turchia, la questione di Cipro non può essere elusa. Fino a quando non ci saranno progressi su questo fronte, la Turchia non potrà sperare di compiere progressi sostanziali nel processo di integrazione.

 
  
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  Ivo Vajgl, a nome del gruppo ALDE.(SL) Con la risoluzione sulla Croazia che oggi il Parlamento approverà riconosciamo i progressi compiuti dal paese in termini di osservanza dei requisiti di accesso all’Unione europea. Il paese ha portato avanti riforme democratiche e armonizzato la propria legislazione con i requisiti dell’acquis ponendosi in cima all’elenco dei paesi aventi la prospettiva di diventare membri dell’Unione europea a tutti gli effetti. Come sottolineato nella nostra relazione, dovrebbe essere possibile concludere i negoziati con la Croazia già entro quest’anno.

Prendiamo atto con molto piacere della rapidità con la quale il nuovo primo ministro croato Kosor ha fatto progressi in settori nei quali finora c’erano stati notevoli ostacoli, vale a dire la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, l’applicazione di un programma di riforma amministrativa, l’intervento contro i crimini di guerra e l’introduzione di una tutela giuridica e costituzionale nei confronti delle minoranze etniche e di altro tipo.

Firmando un accordo arbitrale sul confine con la Slovenia il nuovo governo croato non solo ha eliminato un ostacolo al processo negoziale ma ha anche preparato il terreno alla soluzione di altre questioni aperte. E’ importante che la Croazia continui ad affrontare i contenziosi ancora in atto sui confini con gli altri paesi vicini e faccia in modo che i negoziati siano condotti in buona fede e in base al principio pacta sunt servanda.

Desidero inoltre far notare che la risoluzione, preparata sotto l’eccellente guida del relatore, l’onorevole Swoboda, ha anche sottolineato in modo obiettivo e concreto i settori nei quali la Croazia ha ancora un ancora bel po’ di lavoro da svolgere. Tra questi ricordo la cooperazione con il tribunale dell’Aia, l’intensificazione degli sforzi per perseguire la corruzione, il riassetto dell’economia e delle finanze e maggiore impegno e sincerità nell’eliminare gli ostacoli al rientro dei profughi serbi in Croazia, dal momento che questo è anche il loro paese.

Le relazioni positive sui progressi compiuti dalla Croazia e dall’ex Repubblica iugoslava di Macedonia dovrebbero essere considerate sia un segnale chiaro dell’apertura dell’Unione europea in materia di allargamento verso tutti i paesi dei Balcani occidentali sia una conferma degli impegni presi nei confronti di tali paesi, inclusa la Turchia, sempre che essi rispettino tutti i criteri, un aspetto che dipende principalmente dai paesi stessi. Desidero concludere porgendo i miei migliori auguri al nuovo commissario Füle che sicuramente farà un ottimo lavoro.

 
  
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  Franziska Katharina Brantner, a nome del gruppo Verts/ALE.(EN) Signor Presidente, a nome del gruppo Verde/Alleanza libera europea desidero innanzi tutto dare un cordiale benvenuto in Aula al commissario Füle. Saremo lieti di lavorare con lei e di poter avviare presto un rapporto di cooperazione. Ringrazio anche l’onorevole Swoboda per il suo apporto alla relazione sulla Croazia. Ritengo che vi sia stata un’ottima collaborazione della quale ringrazio anche i miei colleghi.

Faccio notare che avremmo preferito un unico dibattito sui tre paesi ma in tre sezioni separate perché crediamo che sarebbe stato più logico piuttosto che metterli tutti insieme in un unico calderone, ma questo è solo un aspetto marginale.

(DE) Il gruppo Verde/Alleanza libera europea è favorevole all’adesione della Croazia e siamo molto lieti dei rapidi progressi compiuti dal paese. L’adesione della Croazia in tempi brevi invierà un segnale importante in materia di politica di sicurezza a tutti i Balcani occidentali in quanto farà capire che la promessa fatta a Salonicco a tutti i paesi dei Balcani occidentali dai capi di Stato e di governo è ancora valida. La credibilità e la validità di questa promessa incentiverà fortemente tutti gli Stati della regione ad introdurre importanti riforme che renderanno tali paesi più sicuri, stabili e prosperi.

Per quanto concerne la Croazia va sottolineato che occorre rafforzare e rendere più trasparente il servizio pubblico. Il fattore decisivo in questo caso non sarà solo l’introduzione di nuove leggi ma anche, e soprattutto, il recepimento delle leggi a livello amministrativo. Noi del gruppo Verde/Alleanza libera europea vorremmo vedere risultati migliori in questo settore. Crediamo che l’unica soluzione ai problemi della corruzione e della criminalità organizzata consista nel recepimento sistematico delle nuove leggi e delle nuove direttive. Lo stesso va detto in materia di giustizia: il sistema giudiziario è un aspetto particolarmente importante che non è stato ancora oggetto di negoziato. Gli annunci fatti dal governo croato sono positivi in tal senso, ma dovranno essere seguiti da iniziative concrete che migliorino di fatto la situazione nei tribunali: anche in questo caso vorremmo vedere maggiore trasparenza e meno interferenze politiche.

Per questo motivo abbiamo presentato quattro emendamenti che vi invito ad approvare. Il primo riguarda la lotta alla corruzione: vorremmo che venissero incluse anche l’edilizia e la pianificazione urbanistica dal momento che è proprio in questo settore che sono assegnati gli appalti pubblici più consistenti.

In secondo luogo vorremmo introdurre al paragrafo 19 un riferimento al fatto che la situazione dei gay e delle lesbiche nel paese non è soddisfacente: si sono infatti verificate ripetute aggressioni ai danni di persone appartenenti a queste minoranze. Il governo croato ci ha assicurato che su alcuni di questi casi verrà condotta un’indagine: riteniamo che questo sia un segnale molto positivo e chiediamo alle autorità croate di applicare rapidamente la legge contro la discriminazione.

Desidero infine sottolineare che non abbiamo una visione in relazione alla politica energetica della Croazia e per questo motivo vi chiediamo di sostenere l’emendamento n. 7 presentato dal nostro gruppo. Ci auguriamo comunque che la Croazia possa entrare presto a far parte dell’Unione europea.

 
  
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  Charles Tannock, a nome del gruppo ECR.(EN) Signor Presidente, anche il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei è a favore dell’allargamento dell’Unione europea. Non solo crediamo che un mercato unico più ampio possa apportare notevoli benefici ma, a differenza di alcuni deputati di quest'Aula, ci aspettiamo anche uno stemperamento dell’ambizione federalista dell’Unione europea. Riteniamo tuttavia che i candidati debbano sottostare a norme rigorose e severe come previsto dai criteri di Copenaghen.

Siamo quindi pienamente favorevoli all’approccio scrupoloso adottato dalla Commissione nel preparare i candidati all’adesione e apprezziamo la volontà di far tesoro delle esperienze precedenti in materia di allargamento. Mi riferisco in particolare all’adesione della Bulgaria e della Romania, dove esistono ancora problemi in sospeso nei settori della criminalità organizzata e della corruzione. Assieme all’Islanda, se verrà ammessa, la Croazia è indubbiamente il paese più pronto ad entrare a far parte dell’Unione europea e la sua adesione contribuirà a stabilizzare la situazione dei Balcani occidentali. Pur riconoscendo che il contenzioso sul confine con la Slovenia è una questione ancora aperta, crediamo che non si possa consentire alle controversie bilaterali di ritardare il processo di adesione della Croazia. L’Italia, dopo tutto, non ha impedito l’adesione della Slovenia nonostante le divergenze sui confini e sulle minoranze che esistevano a quel tempo.

Come risulta chiaramente dalla relazione della Commissione, la Croazia ha compiuto notevoli progressi nell’ottemperare i parametri negoziali, e l’impegno del paese nei confronti delle aspettative dell’Unione è forte. Anche la Macedonia è tornata sulla giusta rotta verso l’adesione: consideriamo favorevolmente la liberalizzazione dei visti comunitari per Macedonia, Serbia e Montenegro e riteniamo che il Consiglio debba consentire immediatamente la ripresa dei negoziati di adesione della Macedonia.

Il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei crede che la controversia in atto con la Grecia sul nome del paese, una questione quasi comica, debba essere risolta in modo rapido e ragionevole. Il presidente Ivanov ha contribuito a sostenere le ambizioni europee della Macedonia e ci auguriamo che la sua richiesta di incontrare il nuovo presidente greco rieletto sia accolta nell’ambito di relazioni amichevoli e di buon vicinato. Nel frattempo la richiesta di adesione della Turchia resta problematica, se non altro per i problemi in materia di diritti umani. Il grave caso verificatosi di recente di una ragazza che è stata sepolta viva per aver parlato con dei ragazzi aggiunge frecce all’arco di coloro che dicono che per la Turchia non c’è posto nell’Unione europea. Il mancato riconoscimento di Cipro, la mancata applicazione del protocollo di Ankara e l’impasse nella ratifica del trattato per ristabilire le relazioni con l’Armenia sono deludenti.

Infine, come relatore permanente del Parlamento sul Montenegro, desidero aggiungere che a mio parere il paese, dove mi sono recato in visita di recente, è sulla buona strada per presentare la sua candidatura e spero che ciò possa avvenire il prima possibile.

Anch’io infine desidero cogliere l’opportunità per congratularmi, a nome del mio gruppo, con il commissario Füle per la sua nomina di ieri. Il mio gruppo intende collaborare pienamente con lui ai compiti impegnativi che lo attendono.

 
  
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  Takis Hadjigeorgiou, a nome del gruppo GUE/NGL.(EL) Desideriamo innanzi tutto sottolineare che siamo favorevoli all’integrazione della Turchia: lo siamo davvero e ci crediamo fermamente. Riteniamo sia necessario, soprattutto nell’interesse della Turchia, ridurre il limite elettorale dei posti in Parlamento al fine di tutelare i diritti di tutte le minoranze e salvaguardare i diritti dei lavoratori, come il diritto allo sciopero e alla contrattazione collettiva.

Trovare una vera soluzione politica al problema dei curdi, riconoscere il genocidio degli armeni, normalizzare le relazioni con i paesi confinanti e porre fine all’occupazione di Cipro sono alcune delle questioni che la Turchia dovrà affrontare. Come sottolineato dal Consiglio, il paese deve sottostare pienamente, con urgenza, senza ulteriori ritardi e in maniera non discriminatoria al protocollo addizionale dell’accordo di Ankara.

Ignorando il diritto internazionale la Turchia impedisce alla Repubblica di Cipro di esercitare il proprio diritto sovrano nella propria area economica esclusiva. Per questo motivo ribadiamo di non essere d’accordo sull’apertura di un capitolo sull’energia.

Per concludere desidero sottolineare l’intenzione di alcuni deputati di votare a favore di un emendamento che chiede a tutte le parti in causa di contribuire a risolvere la questione cipriota. Sono certo che tutti daranno una mano in tal senso ma non è forse inaccettabile che tutti siano considerati ugualmente responsabili della situazione, ponendo la vittima e l’occupante sullo stesso piano? Se vogliamo ottenere una soluzione al problema di Cipro dobbiamo sottolineare le responsabilità della Turchia. Dobbiamo parlare apertamente con la Turchia, di cui peraltro sosteniamo l’integrazione, un concetto che desidero ribadire nel concludere il mio intervento. Ma ciò che sosteniamo è l’integrazione della Turchia nell’Unione europea e non l’integrazione dell’Unione europea nella Turchia.

 
  
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  Bastiaan Belder, a nome del gruppo EFD.(NL) Pur rischiando di far arrabbiare nuovamente la diplomazia turca – avrete notato la loro reazione a molti degli emendamenti del Parlamento europeo – esorto il Consiglio e la Commissione ad inserire i seguenti cinque punti nell’agenda dei prossimi negoziati con le autorità turche.

1. Attribuzione di una personalità giuridica a tutte le comunità religiose del paese come prerequisito fondamentale per la realizzazione della libertà di culto in Turchia.

2. Cessazione immediata della campagna di odio contro i cristiani turchi accusati di attività che con termine doppiamente negativo vengono definite “attività missionarie” nelle scuole e sui media locali, come se i cristiani turchi fossero per definizione sovversivi decisi a minare le fondamenta dello Stato.

3. Cessazione immediata delle marcate discriminazioni delle minoranze non islamiche nell’assegnazione di importanti cariche civili e militari in seno all’apparato governativo turco.

4. Introduzione di misure efficaci di governo contro la crescita dell’antisemitismo nella vita pubblica turca. Recentemente un accademico turco ha parlato di clima avvelenato e mi fa piacere che il clima sia ancora sufficientemente disteso da consentire ad un accademico di dire una cosa simile. Occorre introdurre efficaci misure di governo contro la crescita dell’antisemitismo nella vita pubblica turca e il primo ministro Erdoğan dovrebbe dare il buon esempio.

5. Riallineamento delle relazioni con la Repubblica islamica dell’Iran con la politica transatlantica su Teheran e il suo controverso programma nucleare. La Turchia deve dire chiaramente qual è la sua posizione in relazione alla questione sempre più urgente del programma nucleare di Teheran. Come paese membro della NATO e candidato dell’Unione europea, la Turchia deve dichiarare chiaramente la propria posizione, deve operare una scelta chiara.

Chiedo al Consiglio e alla Commissione di prendere sul serio i criteri di Copenaghen e le urgenti critiche rivolte alla Turchia di cui ho parlato e, ancora una volta, faccio i miei migliori auguri al commissario per la sua nuova carica. Mi auguro che si possa avviare presto una consultazione costruttiva e conto sul fatto che i criteri di Copenaghen verranno presi sul serio e che si possa quindi cominciare lavorare alla modernizzazione della Turchia, un paese che anch’io rispetto molto e desidero possa entrare a far parte dell’Unione.

 
  
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  Barry Madlener (NI).(NL) Commissario Füle, le porgo il benvenuto in Aula. Signor Presidente, il partito olandese per la libertà (PVV) di cui faccio parte ha scelto di operare indipendentemente in questo Parlamento. In questo caso abbiamo avviato una positiva collaborazione con il gruppo Europa della Libertà e della Democrazia e con l’onorevole Messerschmidt al quale vanno i miei sentiti ringraziamenti.

Signor Presidente, innanzi tutto desidero sottolineare che il mio partito non è favorevole all’adesione né della Croazia, né della Macedonia né tantomeno della Turchia. L’occupazione di Cipro da parte della Turchia è illegale, lo sappiamo tutti, e ciononostante continuiamo a trattare con il paese senza condannare veramente il suo operato. Non imponiamo sanzioni – praticamente non ne abbiamo imposta nessuna alla Turchia – e a mio parere questo è un comportamento troppo debole. Ecco il motivo per cui ho presentato un emendamento che condanna l’occupazione ed esorta la Turchia a ritirare immediatamente le sue truppe da Cipro e mi auguro che il Parlamento lo sostenga.

Faccio notare inoltre che la libertà di stampa è attualmente in grave pericolo in Turchia. Quando mi sono recato in visita nel paese la stampa è stata allontanata: ebbene, desidero condannare tale comportamento e questo è il motivo per il quale ho presentato l’emendamento n. 16.

Onorevoli deputati, desidero soffermarmi sull’Iran, un paese canaglia. Ahmadinejad è un dittatore islamico: terrorizza il suo popolo, sostiene di voler cancellare Israele dalla carta geografica e lo dice apertamente, lavora a missili a lunga gittata, conduce regolarmente test missilistici e ieri ha iniziato ad arricchire i missili con l’uranio, un elemento utilizzato per le armi nucleari. Onorevoli colleghi, non possiamo che esprimere la nostra forte condanna nei confronti di tale comportamento. La Turchia vuole accedere all’Unione europea ma considera il governo iraniano un grande amico e tale atteggiamento dev’essere fermamente condannato. Per questo motivo ho presentato l’emendamento n. 17 e conto sul vostro sostegno.

Per concludere desidero dire qualcosa a proposito dei negoziati con la Turchia. Ritengo che la Turchia, che conta sull’Iran come su un paese amico, che occupa Cipro, che opprime i cristiani, che viola i diritti delle donne, che fa parte dell’Organizzazione della conferenza islamica, che applica la legge Sharia che limita i diritti umani e che è un paese islamico non possa aderire all’Unione. Non dovremmo consentire che ciò avvenga e per questo motivo ho presentato gli emendamenti nn. 18 e 19 che mirano a porre fine ai negoziati di adesione augurandomi il sostegno del Parlamento.

 
  
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  Eduard Kukan (PPE).(EN) Signor Presidente, innanzi tutto desidero congratularmi con l’onorevole Thaler per la sua relazione e ringraziare lui e tutti gli altri deputati per il lavoro molto costruttivo che hanno svolto nel preparare il progetto di risoluzione. Do il benvenuto al commissario Füle cui faccio anche i miei migliori auguri per il lavoro che l’aspetta.

Il partito popolare europeo ritiene che l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia abbia fatto notevoli progressi nel corso dell’ultimo anno. Tali progressi, indirizzati a soddisfare gran parte dei criteri per l’avvio dei negoziati di adesione all’Unione europea, sono significativi e degni di nota. Il fatto che la Commissione abbia raccomandato l’apertura dei negoziati con l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia dovrebbe essere considerato un chiaro segnale della direzione giusta verso cui si sta dirigendo il paese.

Il Parlamento dovrebbe quindi sostenere con fermezza tale raccomandazione e, approvando la risoluzione, inviare un segnale positivo alla Macedonia e a tutta la regione. Spero che il Consiglio europeo confermi la decisione della Commissione e la richiesta inclusa nella risoluzione e possa dare il via libera in tempi brevi ai negoziati con l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia senza ulteriori indugi. Credo che nel frattempo i negoziati sulla questione del nome possano avanzare e le relazioni con i paesi confinanti possano migliorare.

L’ex Repubblica iugoslava di Macedonia dev’essere all’altezza della sfida che l’aspetta e dimostrare di rispettare i criteri di Copenaghen in base ai quali verrà valutata la sua ambizione di divenire membro dell’Unione europea.

 
  
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  Raimon Obiols (S&D).(ES) Credo che la relazione sulla quale voteremo oggi, relativa ai progressi compiuti dalla Turchia sulla via dell’adesione europea, sia molto positiva. E’ una relazione onesta che si può anche criticare, ma è equilibrata e mi congratulo con la relatrice, l’onorevole Oomen-Ruijten, per il suo lavoro.

Ovviamente il nostro gruppo politico avrebbe sottolineato maggiormente alcuni aspetti diversi; pur tuttavia abbiamo cercato di ottenere un ampio consenso perché crediamo che la relazione debba ricevere più sostegno possibile dall’Aula.

Occorre inviare un segnale forte in questo senso, un messaggio positivo a dimostrazione della nostra buona volontà ma al contempo anche rigoroso in modo da incentivare il processo negoziale e stimolare l’avanzamento di riforme che possano rendere più moderna e democratica la Turchia. Dobbiamo essere chiari su questo punto: occorre superare questa fase di lungaggini e indecisione nel processo negoziale.

Stando ai sondaggi d’opinione il consenso sull’adesione della Turchia è in calo e la percezione pubblica deve cambiare. Per raggiungere questo fine occorre far sì che i negoziati e le riforme continuino e che l’Unione europea dimostri coerenza e rispetti gli impegni presi evitando di mandare segnali contraddittori che creano incertezza. Naturalmente la Turchia dovrà fare passi decisivi sulla strada delle riforme.

Due possibili scenari ci si aprono dinanzi: un circolo vizioso di divisioni, conflitti e mancanza di fiducia oppure un circolo virtuoso di negoziati seri, rigorosi e non ambigui.

Se questa relazione riuscirà a dare un contributo anche modesto per progredire in questa direzione penso che potremo ritenerci soddisfatti.

 
  
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  Jorgo Chatzimarkakis (ALDE).(DE) Signor Presidente, come capo della delegazione competente desidero innanzi tutto congratularmi con l’onorevole Thaler per la sua relazione molto equilibrata. Skopje ha avviato diverse riforme ed è sulla strada giusta verso l’adesione all’Unione europea: ci fa molto piacere e lo valutiamo positivamente. La liberalizzazione dei visti è stato forse il segno più evidente e tangibile, una pietra miliare nella nostra cooperazione. L’obiettivo è stato raggiunto grazie alla stretta collaborazione tra gli Stati membri dell’Unione e rappresenta un’apertura allo scambio e alla cooperazione.

Non dobbiamo tuttavia dimenticare che la Macedonia è stata ammessa come candidato all’adesione quattro anni fa e da allora abbiamo sempre continuato a chiederci quando sarebbe entrata a far parte dell’Unione europea. Mi appello a tutte le parti affinché il conflitto sul nome, attualmente al centro dell’attenzione, venga superato. Dobbiamo approfittare dello slancio generato dalla decisione adottata in dicembre dal Consiglio e dal nuovo governo greco, uno slancio che giorno dopo giorno si affievolisce sempre più. Faccio notare che se decideremo di mettere in primo piano altri argomenti come la crisi finanziaria l’obiettivo dell’adesione della Macedonia finirà per diventare sempre più lontano. Sicuramente non vogliamo che ciò accada ed è per questo che dobbiamo continuare ad agire in questo campo.

 
  
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  Marije Cornelissen (Verts/ALE).(NL) Nel corso degli ultimi sei mesi ho colto tutte le opportunità che mi si sono presentate per recarmi nei Balcani e in Turchia e per confrontarmi con la popolazione di quei paesi. E’ incredibile quanto stia accadendo in quei paesi in vista all’adesione: importanti svolte politiche ma anche, e soprattutto, cambiamenti di ordine pratico che vanno a vantaggio della popolazione ivi residente.

In Montenegro, per esempio, è stata finalmente riconosciuta l’esistenza dell’omosessualità e in Turchia si è stabilito un buon rapporto tra i centri di accoglienza per le donne e la polizia. Dovremmo essere entusiasti dei risultati ottenuti in quei paesi e di ciò che sta andando bene ma al contempo dobbiamo anche essere molto chiari su ciò che resta ancora da fare.

Il Parlamento europeo e gli Stati membri devono continuare ad insistere sui criteri fissati all’inizio del processo ma devono anche evitare di indebolire il processo di adesione frapponendo nuovi ostacoli.

Soffermiamoci per un momento sulla Macedonia: credo che tutti siano concordi sul fatto che il problema del nome debba essere risolto e anche sulla necessità che l’Unione europea fornisca più sostegno possibile in tal senso. I problemi bilaterali di per sé non possono rappresentare un ostacolo al processo di adesione. Questo vale per la Macedonia ma anche per la Croazia, la Serbia, la Turchia, il Kosovo e l’Islanda. Per la popolazione di quei paesi la prospettiva dell’adesione è troppo importante da poter essere condizionata dalla risoluzione di un conflitto bilaterale.

Chiedo quindi ai deputati di votare a favore del nostro emendamento, il n. 4, che mira ad inserire il paragrafo 30, articolo 2 nella relazione sulla Macedonia. E chiedo a tutti di tenere presente, nel votare su queste tre relazioni, quanto è importante il processo di adesione.

 
  
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  Tomasz Piotr Poręba (ECR).(PL) Signor Presidente, signor Commissario, innanzi tutto mi congratulo con lei, Commissario Füle, per la sua nomina. Sono certo che collaboreremo in modo efficace e proficuo nell’ambito dei lavori per l’ulteriore allargamento dell’Unione europea. E sono anche sicuro che lei porterà a termine il processo negoziale dell’Unione europea con la Croazia entro la fine dell’anno e che avvierà in tempi rapidi i negoziati con la Macedonia. Spero che tutto ciò possa avvenire entro la fine dell’anno.

Nel mio intervento desidero sottolineare il ruolo eccezionale della Croazia come futuro Stato membro dell’Unione europea, in particolare nel contesto della difesa dei nostri valori comuni e della sicurezza del nostro continente. Consideriamo positivamente il fatto che alcune unità militari croate siano già presenti in Kosovo e in Afghanistan come truppe NATO e che circa 300 militari, diplomatici e funzionari di polizia croati stiano partecipando alle operazioni della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza in tre regioni dell’Afghanistan. Questo nostro nuovo alleato ha coraggiosamente sostenuto la lotta contro il terrorismo in diverse missioni NATO e sono certo che l’adesione della Croazia all’Unione europea contribuirà ad aumentare la stabilità in una parte d’Europa che solo pochi anni fa è stata teatro di un terribile conflitto e di una pulizia etnica.

Se la Croazia completerà tutte le riforme forse potrà portare a termine il processo negoziale con l’Unione europea entro la fine dell’anno. Si tratta di un obiettivo positivo che chiedo a tutti di sostenere. Dovremmo apprezzare il fatto che Zagabria abbia introdotto numerose riforme specialmente nel settore della giustizia, in quello della pubblica amministrazione, nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Ammettere la Croazia nella famiglia degli Stati membri dell’Unione europea rientra nella nostra strategia di costruzione di un continente democratico e prospero. L’esempio di questo paese balcanico conferma che il processo di allargamento dell’Unione europea fornisce un forte incentivo all’introduzione di riforme politiche ed economiche nei paesi che aspirano all’adesione. Teniamolo a mente quando valuteremo il nostro vicino più orientale, l’Ucraina.

 
  
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  Niki Tzavela (EFD).(EL) Signor Presidente, lo scorso anno la sfaccettata politica estera della Turchia ha creato confusione sia nella comunità internazionale che nella componente laica della società turca. Dove si sta dirigendo la Turchia? Sta andando verso un’Europa multiculturale o verso uno stato panislamico?

Desidero ricordare all’Aula il comportamento del paese nei confronti dell’Iran, il suo linguaggio diplomatico inaccettabile verso Israele, il conflitto con l’Egitto sui confini di Gaza e la recente decisione del governo turco di abolire i visti d’ingresso per sette paesi arabi. Come sappiamo molti di quei paesi ospitano associazioni estremiste islamiche i cui membri possono ora entrare agevolmente in Europa e nel mondo occidentale. La questione dell’abolizione dei visti ha fatto indignare la società laica in Turchia.

Se introdurremo nuove sanzioni contro l’Iran la posizione della Turchia nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rappresenterà il punto di partenza per capire qual è il futuro della Turchia moderna, e allora parleremo della Turchia in modo diverso in quest’Aula.

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Per motivi comprensibili l’opinione pubblica europea è decisamente contraria all’adesione della Turchia, un paese islamico non europeo. La Commissione precedente aveva promesso che avrebbe sospeso i negoziati con la Turchia se fosse emerso che il paese stava venendo meno ai propri obblighi democratici e che avrebbe condotto i negoziati di pari passo con il processo di riforma. Nessuna delle due promesse è stata mantenuta: al contrario, con il passare del tempo sono stati aperti nuovi capitoli mentre la Turchia torna sui suoi passi invece di progredire con partiti politici delegittimati, sindaci curdi arrestati, cristiani che sono oggetto di intimidazioni, violenze e discriminazioni a livello amministrativo. Scrittori e studiosi cristiani sono costretti a nascondersi senza contare fenomeni quali i matrimoni forzati e i cosiddetti delitti d’onore.

Che scadenza fisserà la Commissione per il riconoscimento da parte della Turchia di tutti gli Stati membri dell’Unione europea? Quando verrà rispettato il protocollo di Ankara? Quando cesserà l’occupazione illegale di Cipro da parte delle truppe turche?

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE).(ES) Signor Presidente, come i colleghi anch’io desidero congratularmi con il commissario Füle per la sua nomina e spero che l’eccellente impressione che ha dato alla commissione per gli affari esteri venga confermata nel corso del suo mandato, specialmente nel delicato settore dell’allargamento.

Desidero spendere qualche parola sulla Turchia. Innanzi tutto mi congratulo con la relatrice, l’onorevole Oomen-Ruijten per gli eccellenti risultati ottenuti in commissione.

La sua relazione, relativa agli anni 2008 e 2009 sottolinea gli sforzi compiuti dalla Turchia nel cercare di soddisfare le condizioni e i criteri di Copenaghen senza esagerare né minimizzare.

A mio parere, tuttavia, tali sforzi vanno valutati nel contesto e nella situazione politica in cui versa attualmente il paese: sette anni di governo islamico moderato di Erdoğan, con elezioni previste per luglio del 2011, un paese che sta rinascendo dopo l’operazione Sledgehammer e dopo l’annullamento del protocollo Emasya che ha dato grande potere all’esercito e, in particolare, un paese il cui governo ha vietato le attività del Partito della società democratica in Turchia.

Dato il contesto, signor Commissario, il caso della Turchia dovrà essere trattato con grande cautela. La Turchia dovrà rispettare le condizioni e i requisiti dei criteri di Copenaghen e, ovviamente, attenersi al protocollo di Ankara. Tuttavia in questa situazione particolare non occorre dire che l’invio di un segnale sbagliato potrebbe avere gravissime conseguenze per la sicurezza dell’Unione europea, specialmente dal momento che il partito al governo non detiene la maggioranza parlamentare di tre quinti di cui ha bisogno per modificare la costituzione. Tale segnale potrebbe realmente causare preoccupanti perturbazioni in un paese già instabile che è un partner strategico per l’Occidente nel contesto dell’Alleanza atlantica.

Dobbiamo usare la massima cautela nel processo negoziale in modo da non commettere errori.

 
  
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  Richard Howitt (S&D).(EN) Signor Presidente, innanzi tutto desidero rinnovare pubblicamente le mie congratulazioni al commissario Füle. Signor Commissario, l’abbiamo fatta svegliare presto stamani per il suo primo giorno di lavoro e temo che non sarà l’unica volta.

In Turchia c’è notevole scetticismo nell’opinione pubblica sulla possibilità che l’Unione europea mantenga la propria promessa, uno scetticismo analogo a quello che lei si trova a fronteggiare all’interno dell’Unione, signor Commissario. Il suo compito sarà quello di essere equo e obiettivo perché è così che si ottiene un rapporto di fiducia con l’opinione pubblica. E dovrà anche portare argomenti validi a favore dell’allargamento e vincere lo scetticismo, un compito nel quale sarà sostenuto dal nostro gruppo.

Per quanto concerne la Turchia, il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici resta a favore dell’adesione e delle riforme. La relazione della Commissione sottolinea che gli sforzi per avviare le riforme sono stati ripresi ma dovrebbero intensificarsi: noi siamo d’accordo. Nel commentare la relazione, la prima presentata in cinque anni al Parlamento, desidero quindi chiarire qual è il comportamento che a nostro avviso il Parlamento dovrebbe tenere nei confronti della Turchia. Ringrazio la relatrice e le esprimo il mio rispetto per l’impegno profuso nel cercare di ottenere consenso in Parlamento e ringrazio anche tutti i deputati della collaborazione. Mi auguro che in futuro la relatrice cerchi l’accordo dei gruppi politici prima di presentare in Aula emendamenti a compromessi precedentemente concordati in commissione dato che non ci sono differenze di rilievo tra di noi.

Ma la vera prova del fuoco per la relatrice sarà quella di assicurarsi che il Parlamento usi la propria influenza al fine di garantire, anno dopo anno, progressi costanti nella preparazione della Turchia all’adesione, un’operazione che richiede qualità dirigenziali qui come nel paese.

Desidero esprimere ai nostri colleghi ciprioti la nostra partecipazione al dolore e all’ingiustizia che stanno subendo. Nel nostro gruppo abbiamo cercato di inserirvi nel nostro consenso ma in questo momento cruciale siamo determinati ad assumere posizioni che sostengano gli sforzi di riconciliazione al fine di garantire la giustizia ad entrambe le comunità e di non pregiudicare l’esito sulla base di nessuna delle due posizioni.

Ad alcuni deputati desidero dire che c’è bisogno di critica costruttiva nei confronti della Turchia, dobbiamo dimostrare di essere amici critici. Ma voglio altresì sottolineare che coloro che in questo dibattito intervengono contro la Turchia sono una minoranza: troppi di voi sono motivati da intolleranza religiosa nei confronti dell’Islam e cercano di trarre vantaggio politico creando volontariamente false paure in materia di immigrazione. Queste argomentazioni sono odiose e sgradevoli come voi.

Alla maggioranza dei deputati di quest’Aula favorevoli all’adesione della Turchia desidero invece dire che non dobbiamo stancarci di ripeterlo. Le voci stridule di coloro che rifiutano la Turchia non devono coprire le nostre voci. Ci aspettiamo che le nostre controparti turche continuino ad introdurre cambiamenti dolorosi nella società, cambiamenti che hanno un impatto problematico a livello di politica interna.

Queste riforme sono positive di per sé ma coloro che tra noi sostengono di volere l’adesione devono fare in modo che valga la pena compiere tali sforzi mettendo in pratica ciò che diciamo di voler fare, aprendo e chiudendo capitoli, mettendo in atto le promesse del Consiglio e agendo in buona fede.

 
  
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  Norica Nicolai (ALDE).(RO) Nel mio intervento intendo far riferimento solo alla Macedonia e sottolineare che la relazione descrive i progressi compiuti dal paese e si esprime a favore della decisione politica di avviare i negoziati di adesione.

Non voglio insistere sul fatto che la relazione è equilibrata nel modo in cui descrive in dettaglio gli aspetti positivi e negativi con i quali il paese si sta confrontando.

Mi limiterò invece a sottolineare due aspetti: i sondaggi di opinione condotti in Macedonia hanno rivelato che il paese è uno dei più “euro-ottimisti” della regione e credo che il sostegno da parte della popolazione sia una condizione necessaria al successo del processo negoziale. In secondo luogo ritengo che, come Stato membro dell’Unione europea, la Grecia debba comprendere i modelli europei di riconciliazione con la storia e sforzarsi di far sì che la controversia sul nome della Macedonia non rappresenti un ostacolo ai progressi del paese verso l’Europa perché un atteggiamento diverso sarebbe contrario allo spirito e al destino europeo.

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE).(FR) Signor Presidente, desidero innanzi tutto dare il benvenuto al commissario Füle e congratularmi con lui.

Lunedì a Istanbul si è tenuta la dodicesima udienza del processo dei presunti assassini di Hrant Dink. Per la prima volta osservatori ufficiali che seguono il processo hanno avuto l’impressione che il tribunale stesse realmente cercando di stabilire la verità e che il pubblico ministero avesse sottolineato il collegamento tra il processo dei presunti assassini di Dink e altri processi in corso, come quelli della rete armata Ergenekon.

Tale fatto è estremamente importante dal momento che in tal modo sono gli assassinii politici, l’intolleranza sociale e l’impunità ancora presente nella società ad essere messi sotto processo. Inoltre, come hanno detto chiaramente le famiglie delle vittime di tali assassinii politici in riferimento allo “Stato profondo” della Turchia, essi si considerano la “famiglia profonda” di Hrant Dink. Ve lo dico perché le cose si stanno evolvendo e perché attualmente, all’interno della società civile turca, il desiderio e il movimento di riforma finalizzato a promuovere la democrazia e i diritti sono veramente molto potenti.

Desidero anche citare un altro esempio di cui attualmente parlano tutti i giornali: qualcuno ha già menzionato i delitti d’onore e il caso della sedicenne sepolta sotto un pollaio dalla famiglia per aver parlato con dei ragazzi. Questo è un crimine orribile e i membri di quella famiglia naturalmente dovranno essere incarcerati.

Il fatto è che alcuni anni fa questo tipo di crimini non compariva nei titoli di cronaca ed è quindi positivo vedere che oggi la società turca non tollera più i cosiddetti “delitti d’onore” che sono crimini barbari. La società turca è quindi una società in movimento, persino in ebollizione, e credo che quando parliamo della Turchia dobbiamo essere consapevoli del fatto che qualsiasi riforma introdotta nel paese va ad incidere profondamente sui rapporti tra i cittadini, le istituzioni, la storia turca e la democrazia, elementi assolutamente cruciali.

Credo quindi che il processo debba avvenire nella massima sincerità: oggi il paese riconosce la nostra sincerità che corrisponde alla nostra capacità di sostenere il complesso e critico processo storico di Cipro. L’Unione europea deve dire chiaramente a Cipro che siamo pronti a fornire sostegno e garanzie a qualsiasi accordo tra il nord e il sud dell’isola usando tutti i mezzi a nostra disposizione, compresi quelli economici e finanziari, e che siamo anche decisi a far sì che la legislazione comunitaria non possa impedire di ottenere un consenso a Cipro. Dobbiamo andare avanti con decisione: il futuro dell’adesione della Turchia all’Unione europea dipende anche da questo.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (ECR).(EN) Signor Presidente, non mi trovo spesso d’accordo con l’onorevole Flautre ma in questo caso condivido diverse delle sue osservazioni. Innanzi tutto credo sia necessario dimostrare maggior onestà nei confronti della Turchia. Sono certo che tutti noi vorremmo avere un buon rapporto con la Turchia e che molti di noi, probabilmente la maggioranza, vorremmo che la Turchia entrasse un giorno a far parte dell’Unione europea, un’Unione diversa da quella che viene sviluppata oggi. Alcuni riconoscono che l’adesione del paese muterebbe inevitabilmente la natura del progetto europeo spingendolo verso un’integrazione politica che non desidera, ed è proprio per questo che oppongono resistenza.

Desidero porre due domande alla Commissione. Che ne è stato dei negoziati con la Turchia? Perché sono aperti solo pochi capitoli? In un momento in cui tutti i paesi europei si preoccupano della sicurezza energetica e la Turchia si trova in una posizione geografica chiave per consentire il passaggio di gasdotti e oleodotti dal Mar Caspio come mai non è stato aperto un capitolo sull’energia? Inoltre, con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali a Cipro e con i colloqui sull’unificazione in corso, Cipro è ben presente nei nostri pensieri. Ovviamente non si può discutere della Turchia in quest’Aula senza fare riferimento a Cipro ma forse sarebbe più utile sforzarsi di fornire maggior sostegno sulla questione invece di limitarsi a criticare sempre la Turchia. Perché chiediamo solo alla Turchia di usare la propria influenza quando la Grecia e la Repubblica di Cipro, entrambi Stati membri dell’Unione, hanno anch’essi un ruolo chiave?

Certo sono d’accordo che la presenza delle forze militari nella parte settentrionale di Cipro dovrebbe essere ridotta. In effetti propongo regolarmente agli emissari turchi di attuare una riduzione unilaterale delle truppe come misura finalizzata a creare un rapporto di fiducia ma sappiamo tutti che se il piano Annan venisse applicato la presenza delle truppe turche verrebbe ridotta a 650 unità e quella delle truppe greche a 950. E’ scandaloso che non sia stato fatto alcun progresso sull’avvio di rapporti commerciali internazionali con Cipro del Nord. Come mai l’Unione europea non ha mantenuto la promessa fatta nel maggio del 2004 di porre fine all’isolamento di Cipro del Nord?

Di tutti i posti al mondo dove l’Unione europea potrebbe essere utile e potrebbe esercitare un’influenza positiva spicca l’isola di Cipro dove tuttavia siamo assenti. Non dobbiamo incolpare la Turchia delle difficoltà interne dell’Unione europea.

 
  
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  Charalampos Angourakis (GUE/NGL) . – (EL) Signor Presidente, la nostra posizione contro l’allargamento dell’Unione europea è coerente con la nostra posizione contraria all’integrazione della Grecia, il mio paese, nell’Unione europea e con la nostra lotta per liberarla dalla sua macchina imperialista.

L’intero processo dell’allargamento va di pari passo con il rafforzamento della NATO e l’occupazione dei Balcani occidentali da parte della NATO, con la secessione del Kosovo e la destabilizzazione della Bosnia-Erzegovina, con l’Unione europea che mette in discussione i confini e la stabilità dell’area, con l’uso della forza contro il popolo serbo e con le nuove frizioni e dissidi presenti nei Balcani.

Le cosiddette questioni bilaterali non sono affatto bilaterali ma internazionali e questo è il motivo per cui sono le Nazioni Unite ad occuparsene. Nel frattempo nell’area dei Balcani è in atto una terribile crisi, causata ovviamente dalle riforme che sono state imposte alla popolazione di quei paesi per poter avviare il processo di adesione all’Unione europea.

Il processo va di pari passo con l’intransigenza di Ankara sulla questione di Cipro, con il casus belli dell’Egeo sostenuto da Frontex, che contesta i confini dell’area, con il veto alle attività sindacali e con altre disposizioni antidemocratiche in Turchia.

Questo è uno dei motivi per cui sosteniamo i lavoratori di questi paesi contrari all’integrazione in quanto crediamo che essi debbano poter lottare per i propri diritti.

 
  
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  Lorenzo Fontana (EFD). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, le Presidenze svedese e spagnola hanno fatto dell'adesione della Turchia all'Unione europea un tema prioritario, come se fosse ormai irreversibile.

Secondo noi, l'adesione della Turchia non è né realistica né opportuna per molti motivi. In primo luogo, perché la Turchia non è geograficamente situata in Europa; in secondo luogo, perché la Turchia è uno Stato sempre più islamizzato e Ankara è di fatto un membro leader della più grande organizzazione panislamica mondiale, l'OCI; in terzo luogo, perché le minoranze religiose sono perseguitate e hanno uno statuto di inferiorità; in quarto luogo, perché la Turchia continua a negare ufficialmente il genocidio di un milione e mezzo di cristiani armeni e occupa militarmente e politicamente Cipro, violando così il diritto internazionale.

Inoltre, dobbiamo ricordare che con la Turchia nell'Unione europea avremmo alle frontiere paesi come Iraq, Iran e Siria. Infine, dobbiamo anche ricordare che nel 2030 la Turchia, con 90 milioni di abitanti, sarebbe il paese più popolato dell'Unione europea. Questo significa che avrebbe il maggior numero di parlamentari e la percentuale di voto più importante nel Consiglio europeo, per cui l'equilibrio europeo sarebbe sicuramente destabilizzato.

 
  
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  Diane Dodds (NI).(EN) Signor Presidente, come molti altri colleghi chiedo maggior onestà e realismo nel dibattito parlamentare in relazione alla Turchia. Mi associo a quei colleghi che hanno chiesto di fornire sostegno a Cipro affinché possa giungere a una qualche risoluzione con la Turchia.

Desidero informarvi di un problema che è stato sottoposto alla mia attenzione: diversi cittadini che rappresento hanno subito gravi perdite finanziarie a causa di truffe immobiliari in Turchia. Dopo la mia elezione a deputato dello scorso luglio sono stata contattata da diversi elettori che hanno investito notevoli somme di denaro nel settore immobiliare, da 50 000 a 150 000 euro, e poi hanno perso i loro investimenti a seguito di attività in molti casi chiaramente fraudolente. Chiedo alla Commissione di interessarsi alla questione e di intervenire in modo proattivo.

 
  
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  Elmar Brok (PPE). (DE) Signor Presidente, Presidente del Consiglio López Garrido, Commissario, finora la politica di allargamento ha avuto successo anche se, come abbiamo visto nel corso dell’ultima ondata di adesioni, dovremo concentrarci maggiormente sullo sviluppo interno dei paesi in questione per quanto concerne lo stato di diritto, la corruzione e questioni analoghe. Credo che ciò stia avvenendo nei negoziati in corso. A mio avviso abbiamo fatto ottimi progressi con la Croazia e il processo di adesione potrebbe essere completato in tempi brevi. Tuttavia è importante, naturalmente, che in ogni caso vengano rispettati i criteri di Copenaghen, ivi compresa la capacità di integrazione dell’Unione europea perché dobbiamo essere consapevoli dei possibili rischi di un allargamento eccessivo.

Rispetteremo i nostri obblighi nei confronti dei Balcani occidentali anche se in alcuni casi l’iter potrebbe essere lungo. Dobbiamo esserne consapevoli in modo da non sollevare false speranze. D’altro canto è chiaro che la prospettiva europea è uno strumento valido e forse l’unico strumento utilizzabile per esercitare una certa pressione su questi paesi affinché essi proseguano il processo interno di riforma sia per quanto concerne la maturità del mercato che il sistema politico.

Quanto alla Turchia, ritengo vi siano alcuni problemi nel paese: mi riferisco a come si è comportata con Berlino, penso a Cipro, alla libertà di culto, alla libertà di pensiero, all’interdizione dei partiti politici ed ad altre questioni analoghe. Mi chiedo se verranno adottate le misure necessarie dal punto di vista della mentalità, e non della forma, per far sì che la Turchia possa divenire membro dell’Unione e se l’Unione europea sia veramente in grado di integrare la Turchia.

Commissario Füle, lei ha una grande opportunità dato che ha molte competenze comprese quelle relative alla politica di allargamento e a quella di vicinato, entrambe collegate alla prospettiva europea anche se utilizzano strumenti diversi. Questo è il motivo per cui il suo lavoro è interessante e le auguro di svolgerlo con successo.

 
  
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  Michael Cashman (S&D).(EN) Signor Presidente, accolgo favorevolmente le relazioni sull’adesione e desidero fare alcune osservazioni innanzi tutto sulla Macedonia e sulla Croazia e quindi sulla Turchia. Intervengo dopo l’illustre collega, onorevole Brok, che ha fatto riferimento ai criteri di Copenaghen. Desidero ribadire che i criteri di Copenaghen non sono negoziabili, specialmente per quanto concerne i diritti delle minoranze e i diritti umani, e in questo senso la Macedonia e la Croazia non rispettano l’acquis comunitario, specialmente per quanto riguarda la non-discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale.

Desidero dire ad entrambi i paesi che la procedura di adesione rappresenta un’opportunità per allineare le vostre leggi e per spiegare ai vostri cittadini che è necessario farlo e che entrare a far parte dell’Unione non vuol dire entrare in un club con un menu à la carte dove ognuno sceglie ciò che vuole. Rinforzeremo con rigore l’acquis comunitario, specialmente per quanto concerne l’articolo 19 che dà all’Unione il diritto di combattere la discriminazione per motivi di razza, di etnia, di religione, di convinzioni, di età, di invalidità e di orientamento sessuale – si tratta di un elenco molto importante. Perché importante? Perché una persona potrebbe subire una discriminazione in base ad uno solo di questi motivi: escluderne uno vanificherebbe quindi ciò che si è fatto per tutti gli altri. I diritti delle lesbiche, dei gay e dei bisessuali non sono negoziabili e occorre introdurre subito una legge contro la discriminazione. La prova del nove per qualsiasi civiltà non consiste nel verificare come viene trattata la maggioranza ma come vengono trattate le minoranze che costituiscono questa maggioranza.

Per quanto concerne la Turchia, ritengo che siano stati fatti progressi e mi fa piacere citare Ban Ki-moon che dice che sono stati fatti passi avanti su Cipro. Il Parlamento dovrebbe felicitarsene. L’onorevole Dodds ha ragione: se vogliamo che si giunga ad una risoluzione dobbiamo essere assolutamente onesti e riconciliare le parti. Ma in materia di discriminazione invito i paesi a fare di più.

La non-discriminazione è nella costituzione ma dev’essere anche riflessa nelle leggi specialmente per quanto concerne i diritti delle lesbiche, dei gay, dei bisessuali e dei transessuali che vengono spesso uccisi unicamente per il fatto di essere transessuali. Bisogna quindi consentire alla Turchia di proseguire su questa strada in base agli stessi termini e alle stesse condizioni. Se indeboliamo i principi di adesione rimarremo senza principi.

 
  
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  Alexander Graf Lambsdorff (ALDE).(DE) Signor Presidente, innanzi tutto voglio dire che sono abbastanza sorpreso che debba essere proprio il britannico Cashman, di cui peraltro ho grande stima, a ricordarci che un paese che aderisce all’Unione europea dev’essere coinvolto in toto dato che l’Unione non è un club con menu à la carte. Lo trovo alquanto singolare.

Passo tuttavia al tema della Turchia. E’ stato già detto che la Turchia ha una società in movimento e questo è vero. Tuttavia se vogliamo essere onesti dobbiamo spiegare che non si tratta di un movimento lineare verso i valori europei: la Turchia infatti si muove in avanti e indietro. Consideriamo ad esempio le forze armate. Ovviamente siamo lieti che sia stata varata una legge che impedisce all’esercito di intervenire senza previa autorizzazione politica: è una misura che riteniamo positiva. Tuttavia va anche detto che la delibera della corte costituzionale ha anche un altro lato della medaglia dato che impedisce ai rappresentanti della forze armate di essere giudicati nei tribunali civili: questo, naturalmente, non è un aspetto positivo.

Onorevole Cashman, è vero che, in materia di libertà di parola e di espressione, nel paese è in atto un vivace dibattito su un certo numero di argomenti che precedentemente erano un tabù, tra cui i diritti delle minoranze e delle minoranze sessuali. Valutiamo molto positivamente tale fenomeno ma segnaliamo che al contempo YouTube è stato vietato ed esistono norme che creano un quadro d’incertezza a livello giuridico sulla questione della libertà di parola e d’opinione, un aspetto particolarmente importante per noi del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa. E’ inoltre in atto una “guerra privata” contro il gruppo Doğan, un fatto che riteniamo molto spiacevole.

Un altro problema è costituito dalla condizione delle donne. Naturalmente è positivo che i cosiddetti delitti d’onore, che sono crimini barbari, siano oggetto di dibattito nei media ma crediamo veramente che la società turca si stia muovendo in maniera lineare verso l’adozione dei valori europei sull’eguaglianza? Io non credo.

Desidero infine soffermarmi su ciò che ha detto l’onorevole Howitt. C’è un processo in corso, i negoziati di adesione, che occorre seguire in buona fede ma l’adesione non è un processo automatico. Nel corso di tale processo non abbiamo responsabilità solo nei confronti del candidato all’adesione ma anche e principalmente nei confronti dell’Unione europea. Ovviamente la nostra politica di allargamento dev’essere credibile e occorre adottare un approccio onesto nei confronti dei candidati all’adesione. Devo dire però che mi disturba il fatto che esista un’alleanza tra i Verdi, che vogliono un’Europa forte e allargata il prima possibile, e deputati come l’onorevole Van Orden che desiderano ammettere quanto prima alcuni paesi in modo da indebolire l’Unione europea. Lo trovo molto singolare.

La prospettiva di adesione esiste ma verrà messa in atto soltanto quando verranno soddisfatti tutti i criteri.

(L’oratore accetta di rispondere all’interrogazione presentata secondo la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)

 
  
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  Michael Cashman (S&D).(EN) Signor Presidente, l’onorevole Lambsdorff ha rivolto un’accusa al Regno Unito: gli chiedo di spiegare all’Aula quando il Regno Unito avrebbe violato gli obblighi previsti dal trattato.

 
  
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  Alexander Graf Lambsdorff (ALDE).(DE) Signor Presidente, non ho detto che il Regno Unito ha violato gli obblighi previsti dal trattato; ho solo fatto riferimento al fatto che il Regno Unito ha deciso di non partecipare a importanti settori della politica di integrazione europea come Schengen, l’euro, la Carta sociale europea e, se ho capito bene, anche la Carta del diritti fondamentali, settori non proprio marginali.

 
  
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  Ulrike Lunacek (Verts/ALE).(DE) Signor Presidente, desidero innanzi tutto respingere l’accusa dell’onorevole Lambsdorff che ha affermato che il gruppo Verde/Alleanza libera europea vuole l’allargamento ad ogni costo. Il mio gruppo è chiaramente a favore dell’allargamento dell’Unione alla Turchia e ai Balcani ma solo a patto che i criteri vengano rispettati. Per quanto riguarda la Turchia desidero sottolineare che, nonostante tutti i problemi che sono stati sollevati oggi, credo che il governo turco abbia la volontà di andare avanti nel processo di adesione. Il ministero degli interni, per esempio, ha annullato un protocollo che finora aveva consentito all’esercito di intervenire in modo indipendente sulle questioni di sicurezza: si tratta di un’iniziativa molto importante. Mi auguro che la maggioranza dei deputati sostenga l’emendamento n. 10 che mira a non perdere di vista l’obiettivo dell’adesione. Solo in questo modo l’Unione europea potrà mantenere la propria credibilità per quanto concerne le promesse fatte in materia di adesione, dopo che la Turchia avrà soddisfatto tutti i criteri.

Sulla questione della Macedonia sono stati fatti molti progressi in diversi settori, lo riconosco e mi fa piacere. Tuttavia, per tornare a un aspetto cui l’onorevole Cashman ha fatto riferimento, non è giusto che un governo introduca leggi antidiscriminatorie che non contemplino anche gli orientamenti sessuali. Secondo la legge europea i diritti umani non sono negoziabili e mi auguro che la maggioranza in quest'Aula voti a favore del nostro emendamento sui diritti umani comuni all’Europa.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (ECR).(PL) Signor Presidente, desidero congratularmi con lei, Commissario Füle, e dirle che spero lei riesca a dimostrare, come Commissario, le stesse qualità che ha dimostrato come candidato: la sua audizione è stata eccellente. Voglio rassicurare l’onorevole Lambsdorff sul fatto che l’onorevole Van Orden ama molto l’Europa ma non vuole che la burocrazia europea si frapponga tra l’Europa e i suoi cittadini.

Oggi discutiamo di allargamento ed è positivo parlarne perché, non nascondiamocelo, l’Unione europea sta attraversando una crisi istituzionale e l’allargamento rappresenta uno dei modi che le consentirebbe di uscirne. L’ampliamento potrebbe darci una certa energia, un certo vigore e vale quindi la pena imboccare questa strada. Un’Europa senza i Balcani non è Europa. L’adesione della Croazia, un paese europeo con una cultura europea e una storia europea, dovrebbe avvenire prima possibile. Tuttavia dobbiamo anche essere realisti sull’ammissione in tempi rapidi di paesi come la Serbia, il Montenegro, la Macedonia e la Bosnia-Erzegovina. Questo è veramente molto importante. L’ammissione della Turchia è qualcosa di più lontano e sicuramente non avverrà entro i prossimi dieci anni.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL).(EL) Signor Presidente, il fatto che il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica sia a favore dell’allargamento dell’Unione europea, specialmente per quanto concerne i Balcani occidentali, non significa che non sia anche preoccupato.

In primo luogo temiamo che l’Europa allargata possa non essere un continente solidale con una coesione sociale ma un mercato, e in secondo luogo riteniamo che la politica di allargamento presenti problemi a livello di diritto internazionale. Mi riferisco alla relazione sull’ex Repubblica iugoslava di Macedonia dove il relatore non risolve unilateralmente il problema del nome, come risulta al paragrafo 17, ed evita sistematicamente di dire che la soluzione viene e deve essere cercata all’interno delle Nazioni Unite. Il riferimento alle Nazioni Unite rende il problema internazionale – in effetti non si tratta certo di un problema bilaterale – ed invia un segnale più chiaro che auspicarsi semplicemente che il problema si risolva da solo.

Per quanto si possa esclamare “o tempora o mores!” il fatto che l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia partecipi – e lo ripeto, partecipi – alle missioni militari dell’Unione europea in Afghanistan va visto come un importante contributo da parte di un paese che ha scarse risorse economiche e militari, così come il fatto che riconosca unilateralmente il Kosovo, andando contro la risoluzione delle Nazioni Unite 1244/1999.

Ritengo che un allargamento politico che presenti problemi a livello di diritto internazionale sia di per sé problematico.

 
  
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  Jaroslav Paška (EFD). (SK) Le relazioni sulla Croazia e sulla Macedonia siano state preparate molto bene e a mio avviso dovremmo congratularci con i relatori per il lavoro svolto e sostenere l’approvazione delle relazioni.

Per quanto concerne la Turchia ho l’impressione che si giochi a nascondino. Le autorità turche sostengono di fare degli sforzi per cambiare la società ma in realtà la società sta cambiando poco. Ci sono padri che vendono le figlie o le scambiano per del bestiame, e uomini che comprano le donne e le trattano come schiave.

Credo fermamente che il processo di convergenza delle civiltà sarà lento e complicato: non sarà semplice né per noi né per la società turca. Ritengo quindi che dovremo armarci di pazienza e prepararci a negoziati lunghi; in tali negoziati tuttavia dovremo agire con correttezza e lealtà e parlare apertamente di tutti i problemi esistenti. Trovare una soluzione è nel nostro interesse e anche nell’interesse dei turchi e la conclusione del processo sarà una conquista sia per l’Europa sia per la Turchia.

 
  
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  Ioannis Kasoulides (PPE).(EN) Signor Presidente, noi del gruppo del Partito popolare europeo siamo tutti favorevoli a seguire le raccomandazioni della Commissione secondo le quali l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia dovrebbe avviare i negoziati di adesione. Siamo anche consapevoli del fatto che, affinché i negoziati possano incominciare, l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e la Grecia devono raggiungere un accordo sul problema del nome.

Tale questione è un vero problema per la Grecia: nessun governo greco riuscirebbe a sopravvivere se consentisse l’avvio dei negoziati senza aver raggiunto un accordo sul nome – è una realtà politica. A prescindere da come i colleghi giudichino la questione, noi intendiamo essere buoni consiglieri e vogliamo dare all’ex Repubblica iugoslava di Macedonia consigli amichevoli e flessibili. Ignorare il problema del nome e definirlo addirittura “comico”, per esempio, significherebbe diventare cattivi consiglieri dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e non servire alla sua causa.

La Turchia dovrebbe sapere quanto è esteso il dossier di un paese con una popolazione numerosa come la sua. Il dossier tiene conto della capacità dell’Unione europea di assorbire l’allargamento, delle ristrettezze di bilancio e così via. La Turchia dovrebbe quindi sapere quanto più agevole sarebbe la sua adesione, quanto più priva di ostacoli e di capitoli congelati, senza il peso del problema di Cipro. Il paese deve collaborare sulla questione delle garanzie, sulla presenza delle truppe e sul diritto di intervento unilaterale di cui Cipro non ha certo bisogno.

 
  
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  Victor Boştinaru (S&D).(EN) Signor Presidente, mi rallegro dei progressi fatti dalla Croazia nel cammino verso l’adesione all’Unione europea: sicuramente rappresentano un importante passo avanti nella direzione dell’integrazione europea per tutta la regione dei Balcani occidentali. Spero che il 2010 sia un buon anno per la Croazia e anche per i Balcani occidentali ma desidero anche sottolineare che è necessario considerare e affrontare in modo adeguato la questione dei profughi e degli sfollati interni, come sottolinea l’ultima relazione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Come sapete nel 2005 la Croazia, la Bosnia-Erzegovina, la Serbia e il Montenegro hanno firmato un accordo a Sarajevo, la cosiddetta dichiarazione di Sarajevo. Scopo dell’accordo era risolvere il problema dell’altissimo numero di profughi e di sfollati interni a seguito del conflitto nella regione. La questione è ancora in sospeso e mi auguro che la Croazia confermi finalmente di essere pronta a riavviare la dichiarazione di Sarajevo e a porre fine ad una situazione che considero molto delicata, e che lo faccia prima dell’adesione.

Mi congratulo con la Commissione che si è impegnata a riavviare i negoziati in primavera e ribadisco al Parlamento che il problema dovrà essere risolto una volta per tutte prima che la Croazia entri nell’Unione.

Un’ultima osservazione sulla Turchia: nel valutare il paese vi invito a non farvi influenzare da pregiudizi religiosi ed etnici e da luoghi comuni.

 
  
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  Lena Ek (ALDE).(SV) Signor Presidente, come vicepresidente della delegazione parlamentare sulla Croazia mi auguro che arrivi presto il giorno in cui i deputati croati potranno sedere assieme a noi qui in Parlamento. La Croazia ha fatto notevoli sforzi per ottenere l’adesione e ha preso molte decisioni difficili per potersi adattare alla dimensione europea. Tuttavia importanti tasselli del mosaico dovranno ancora essere messi al loro posto prima che il processo di adesione possa essere completato.

La questione che mi sta più a cuore è quella del decentramento che consentirebbe di avvicinare il più possibile le decisioni politiche alla popolazione. Quando si aggiunge un quarto livello decisionale, come nel caso dell’adesione all’Unione europea, è estremamente importante che i cittadini sappiano quali sono le decisioni adottate a livello locale, regionale, nazionale e comunitario, un aspetto sul quale, come indica la relazione, c’è ancora molto da fare.

Altri punti deboli sono la certezza del diritto, la lotta alla corruzione e la situazione delle donne nel mercato del lavoro, settori in cui la Croazia deve ancora compiere grossi sforzi. Mi rendo conto tuttavia che sono stati fatti enormi progressi e che il nuovo governo croato attribuisce grande importanza a tali questioni. Mi auguro quindi di non dover attendere a lungo perché i colleghi croati possano sedere qui in Parlamento.

 
  
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  Michail Tremopoulos (Verts/ALE).(EL) Signor Presidente, oggi, come del resto nel corso di tutto il XX secolo, i Balcani cercano di trovare un equilibrio tra il difficile retaggio nazionalista del passato e la necessità di avere subito prospettive comuni a livello europeo.

La proposta di risoluzione odierna sull’ex Repubblica iugoslava di Macedonia cerca appunto di trovare questo delicato equilibrio ma senza riuscirci molto bene. La pressione esercitata per avviare rapidamente i negoziati ci fa temere che si stia lanciando il segnale sbagliato sulla questione del nome. Rinviare la decisione all’infinito, tuttavia, potrebbe a sua volta incoraggiare un comportamento improduttivo.

Valuto positivamente alcuni degli emendamenti ma desidero sottolineare che i nazionalismi di qualsiasi natura danneggiano in primo luogo il paese. La Grecia deve trovare un proprio equilibrio: come greco macedone chiedo maggior calma. Nella controversia sul nome occorre che le due autodeterminazioni facciano in modo che il nome della Macedonia possa coesistere. Tale compromesso fungerebbe da catalizzatore nella creazione di un rapporto di fiducia reciproca, e ciò sarebbe d’importanza vitale in questo momento di crisi ecologica che richiede la collaborazione dei vicini più prossimi.

 
  
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  Edvard Kožušník (ECR). (CS) Ringrazio gli onorevoli deputati che hanno lavorato alla relazione e do il benvenuto al nuovo commissario augurandogli di riuscire a portare avanti con successo il suo interessante mandato. Ho solo tre osservazioni da fare dato che molto di quanto intendevo dire è stato già detto nel corso del dibattito. A mio avviso dovremmo sottolineare il fatto che l’ampliamento dovrebbe essere visto come una delle possibili soluzioni al problema della crescita economica dell’Unione europea, un aspetto di cui dovremmo tenere conto. Poi desidero soffermarmi sul significato del termine “complessivo”. Credo che occorra avere una visione complessiva della situazione dei Balcani: non possiamo concentrarci su un solo paese, sia esso la Croazia o la Macedonia, ma dobbiamo affrontare la questione nel suo complesso coinvolgendo anche, per esempio, paesi come la Serbia. Anche nel caso della Turchia dobbiamo dire chiaramente se siamo favorevoli o contrari: non possiamo gettare fumo negli occhi della Turchia quando le promettiamo l’adesione. Dobbiamo dire chiaramente sì oppure no.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL). (ES) Signor Presidente, signor Commissario, Presidente in carica del Consiglio, in questo momento l’Unione europea dovrebbe seguire con attenzione i negoziati ad alto livello che sono in corso tra i leader delle due principali comunità di Cipro.

La Turchia non si sta comportando affatto bene nei negoziati dato che non propone alcuna soluzione ragionevole. L’Unione europea deve quindi farle pervenire un messaggio chiaro e inequivocabile. La Turchia non può mantenere 40 000 soldati nella parte settentrionale di Cipro contravvenendo al diritto internazionale. Non può continuare ad occupare la città di Famagosta violando la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non può continuare ad inviare nel nord dell’isola coloni che finiscono per soffocare la comunità turco-cipriota. Ecco quello che sta facendo adesso la Turchia.

L’Unione europea, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento devono inviare un messaggio chiaro alla Turchia: se la Turchia continuerà a mantenere la sua posizione non potrà mai entrare a far parte dell’Unione europea. Questo è il messaggio che dovrebbe essere fatto pervenire in questa difficile fase dei negoziati sulla riunificazione di Cipro, che è uno Stato membro dell’Unione europea.

 
  
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  Nikolaos Salavrakos (EFD).(EL) Signor Presidente, la Turchia è un paese grande che non solo presenta i problemi sociali interni descritti nelle relazioni ma che anche, a mio avviso, agisce in maniera contraddittoria a livello di politica estera.

Quindi, mentre il governo turco cerca di dimostrare di essere moderato, le forze armate del paese si dimostrano aggressive sia nei confronti della Grecia, violando costantemente lo spazio aereo dell’Egeo, sia nei confronti di Frontex contro cui si accaniscono. Faccio notare che nonostante Grecia e Turchia appartengano entrambe alla NATO e quindi siano alleati, la Turchia minaccia la Grecia con un casus belli in termini di estensione delle proprie acque territoriali e di mancato riconoscimento dello Stato di Cipro, uno Stato membro dell’Unione europea.

Il governo turco, infine, sembra attualmente incapace di tutelare la sovranità popolare del paese e sta progettando un nuovo tipo di protettorato ottomano come è emerso chiaramente nella riunione tenutasi a Sarajevo all’inizio di novembre cui ha preso parte il ministro Davutoglu. Trovo singolari le iniziative del governo turco in termini di aperture all’Iran, in contraddizione con le posizioni dalla comunità internazionale e dell’Unione europea.

Non dovremmo inoltre trascurare il fatto che, contravvenendo alla tabella di marcia, la Turchia consente e forse incoraggia il passaggio di immigrati clandestini nel proprio territorio verso i paesi dell’Unione europea e non rispetta l’obbligo di consentire il diritto di attracco e atterraggio alle navi e agli aerei di Cipro.

 
  
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  Gunnar Hökmark (PPE).(EN) Signor Presidente, ringrazio l’onorevole Swoboda per la sua relazione sulla Croazia che riconosce gli sforzi e i risultati raggiunti dal governo croato. Credo sia importante dire che il paese si sta avvicinando all’adesione e sottolineare – mi rivolgo alla presidenza del Consiglio – che occorre concludere i negoziati con la Croazia entro il 2010.

Ma credo anche che valga la pena sottolineare che gli sforzi fatti dalla Croazia non sono stati fatti per noi ma per rendere la Croazia un paese migliore con una società migliore per i suoi cittadini. Grazie a questi sforzi il paese è diventato un vicino migliore che collabora con l’Europa: la lotta contro il crimine organizzato e la corruzione devono infatti essere transfrontaliere ed è positivo per noi poter constatare i progressi ottenuti dalla Croazia.

Lo stesso vale per altri paesi candidati. I risultati raggiunti sono positivi per l’Europa e devo dire che, data l’esperienza acquisita in materia di allargamento, abbiamo pochissimi rimpianti in relazione ai risultati raggiunti. E dovremmo cercare di vedere le cose dalla stessa prospettiva quando parliamo della Turchia, della Macedonia o degli altri paesi dei Balcani occidentali. Quando introducono le riforme questi paesi divengono buoni vicini. E quando noi chiudiamo loro la porta in faccia corriamo il rischio di generare nuovi problemi e nuove minacce per i valori europei. Dobbiamo invece sottolineare che pensiamo si debba proseguire insieme per ottenere un allargamento dell’Europa che si basi sui criteri che sosteniamo pienamente.

 
  
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  Luigi Berlinguer (S&D). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, la chiusura del negoziato con la Croazia entro il 201 è un obiettivo possibile e la relazione Swoboda sottolinea in modo equilibrato i progressi e i passi ancora da compiere.

Ora, è la giustizia il settore in cui occorrono ancora incisive riforme. Non basta infatti completare le necessarie riforme di sistema, approvare nuove leggi e cooperare, come necessario, con il Tribunale penale per l'ex Iugoslavia.

Io insisto sulla necessità di creare una vera cultura e mentalità giuridica in linea con gli standard europei. Diventano cruciali l'indipendenza della magistratura, che è un problema centrale, nonché la formazione, il reclutamento e la carriera dei magistrati, l'assenza cioè di condizionamenti di vario tipo esercitati dal governo sui giudici. Faccio appello alla Commissione a considerare la necessità di misure incisive in questo senso nel corso della fase finale del negoziato.

 
  
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  Andrew Duff (ALDE).(EN) Signor Presidente, desidero dare il benvenuto al commissario Füle. I colloqui tra Christofias e Talat hanno raggiunto, come sappiamo, un punto critico e affinché essi abbiamo un esito positivo ci sarebbe bisogno di un’intesa a livello di opinione pubblica. E’ assolutamente necessario creare un rapporto di fiducia e la Turchia dovrebbe inviare segnali positivi in tal senso. Purtroppo il dossier sul commercio sembra essere completamente bloccato; cominciare a ritirare le truppe potrebbe essere un gesto difficile ma intelligente da parte della Turchia per avere il sostegno dell’opinione pubblica nel sud come nel nord dell’isola, dimostrando che esiste veramente la prospettiva di un accordo definitivo.

Sappiamo tutti che se il problema di Cipro non verrà risolto adesso, le possibilità di progredire nell’adesione della Turchia sono veramente limitate. Ora è giunto il momento di agire e spero che la Commissione, nel replicare a questo dibattito, intenda rispondere agli oratori che hanno sollevato la questione di Cipro.

 
  
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  Mario Mauro (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, vogliamo favorire l'adesione della Croazia e proprio per questo chiediamo alle autorità croate che i beni nazionalizzati ai cittadini italiani alla fine della Seconda guerra mondiale e tuttora di proprietà di istituzioni statali o comunali, anche alla luce del diritto europeo, siano restituiti ai legittimi proprietari.

Vogliamo favorire l'adesione di FYROM e proprio per questo chiediamo che venga rispettato il metodo del consenso, proprio della storia dell'Unione europea, e chiediamo che le istituzioni europee accompagnino con cordialità la riflessione di tutti gli Stati membri sulle ragioni che ancora ostacolano questo percorso.

Vogliamo parlare con la Turchia un linguaggio di verità. La relazione Oomen-Ruijten ha questo merito: non nega le difficoltà del percorso e non pone pregiudizi, ma ha come punto di riferimento certo i criteri di Copenaghen. Bene fa quindi il Parlamento a denunciare con forza le violazioni dei diritti umani e il deficit di democrazia.

Ma non è in quest'Aula che vanno cercati coloro che rendono quasi paradossale il percorso di questa richiesta di adesione. Essi vanno cercati tra gli esponenti dei molti governi che promettono a ogni incontro ufficiale ciò che hanno interesse a negare nei corridoi. Invece, proprio sulla base della relazione Oomen-Ruijten, è utile insistere per rafforzare gli strumenti di partenariato privilegiato, in attesa di una evoluzione che è legata non ai pregiudizi ma all'assunzione piena e responsabile dei contenuti dell'acquis comunitario.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. KRATSA-TSAGAROPOULOU
Vicepresidente

 
  
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  Kinga Göncz (S&D). (HU) Signora Presidente, vorrei formulare alcuni commenti in merito alla relazione sulla Croazia e la Macedonia. Ritengo infatti doveroso sottolineare come sia fondamentalmente nell’interesse dell’Unione europea avanzare nel processo di adesione dei paesi dell’Europa sudorientale perché stabilità, prosperità e progressi nella riforma della regione sono importanti non soltanto per i paesi candidati, bensì per l’Unione nel suo complesso. Nel caso dei due paesi in questione, per alcuni aspetti le relazioni di vicinato sono in una situazione di stallo. Credo che sia estremamente importante dare prova di saggezza politica, coraggio e reciproca buona volontà per risolvere questi problemi da parte non soltanto dei paesi candidati, ma anche degli Stati membri dell’Unione. E’ accaduto nel caso della Croazia e sinceramente spero che l’impegno della presidenza spagnola permetta anche di registrare progressi per quel che riguarda la controversia sul nome tra Macedonia e Grecia. Come terzo membro della terna presidenziale, l’Ungheria vorrebbe continuare a contribuire a tale processo.

 
  
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  Nadja Hirsch (ALDE).(DE) Signora Presidente, in primo luogo vorrei complimentarmi con il neoeletto commissario Füle. Mi complimento inoltre con i relatore, onorevole Swoboda, per la qualità della sua relazione che illustra in maniera estremamente equilibrata i progressi compiuti in Croazia, indicando nel contempo con grande chiarezza gli ambiti in cui il paese deve ancora adoperarsi per poter portare a compimento il processo di adesione.

Significativo è anche come le statistiche tratte da un sondaggio di Eurobarometro condotto nell’autunno dello scorso anno dimostrino che l’84 per cento dei croati è insoddisfatto della democrazia nel paese. Ciò vuol dire che non soltanto occorre riformare il sistema giudiziario, bensì è anche necessario migliorare la condizione delle minoranze, come pure è importante assicurare che sia garantita la libertà di stampa. Tali riforme devono essere intraprese, attuate e, soprattutto, sostenute dalla popolazione. In termini formali, i criteri possono essere sicuramente rispettati molto rapidamente, ma è necessario che l’intera popolazione appoggi il processo e accolga favorevolmente l’adesione della Croazia all’Unione europea.

 
  
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  Jarosław Leszek Wałęsa (PPE).(PL) Signora Presidente, l’adesione della Turchia all’Unione europea è motivo di grandi controversie in alcuni ambiti. Affinché il processo sia attuato in un clima di reciproca comprensione, è necessario garantire un livello di qualità elevato. Il soddisfacimento di condizioni rigorose, ma chiare e comprensibili per ambedue le parti e accettate da entrambe, costituisce la base per accogliere nuovi membri, il che vale anche per la Turchia.

Vorrei dunque ringraziare la relatrice, onorevole Oomen-Ruijten, per la sua approfondita relazione sui progressi compiuti dalla Turchia nel 2009. Quest’anno la relazione è più critica e, purtroppo, giustamente richiama l’attenzione sugli scarsi progressi registrati dalla Turchia, specialmente per quanto concerne le libertà dei cittadini e il sistema giudiziario. Tuttavia, lo scorso anno non si è registrato soltanto un ristagno nel processo di democratizzazione. E’ dunque necessario essere critici laddove non si sono compiuti progressi o la situazione è peggiorata, ma anche dimostrare che apprezziamo i cambiamenti per il meglio perché se da un lato la necessità di rafforzare i principi dello Stato di diritto viene trascurata, e la costituzione si basa su tale diritto per cui l’azione dovrebbe diventare prioritaria, dall’altro la Turchia sta profondendo grande impegno nei negoziati intrapresi. Prendo quindi atto con favore dei cambiamenti e del desiderio della Turchia di proseguire le riforme per soddisfare i criteri di Copenaghen.

Le buone intenzioni, come è ovvio, non sono tutto. Ankara deve ancora raccogliere molte sfide sulla via dell’adesione all’Unione europea, sfide indubbiamente impegnative. Confido tuttavia nella capacità del paese di superare ogni ostacolo e gli auguro il successo che merita nella riforma delle sue strutture interne.

 
  
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  Debora Serracchiani (S&D). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, l’adesione della Croazia all’Unione europea accentua il consolidamento dell’identità europea, capace di esprimere i valori comuni della nuova Europa senza oscurare, ma anzi integrando, le specificità delle sue tante anime.

La Repubblica di Croazia ha fatto sforzi apprezzabili nell’adeguamento ai parametri richiesti, in particolare nel contrasto al crimine organizzato attraverso nuove misure antimafia, ma ha bisogno di compiere ulteriori sforzi specie nel settore giudiziario, prima che possano essere concluse le negoziazioni del 2010.

Altri passi avanti possono essere fatti dalle istituzioni della Repubblica di Croazia per armonizzarsi con quanto previsto dal primo protocollo della Convenzione europea dei diritti umani, firmato a Parigi nel 1952, valutando la restituzione ai legittimi proprietari dei beni nazionalizzati.

 
  
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  Sophia in 't Veld (ALDE).(EN) Signora Presidente, in primo luogo vorrei porgere anch’io il benvenuto in Aula al commissario Füle.

La relatrice ha sottoposto alla nostra attenzione una proposta di risoluzione estremamente equilibrata. La Turchia ha effettivamente compiuto progressi notevoli, ma occorre affrontare con urgenza alcuni aspetti preoccupanti. Il fenomeno esecrabile dei delitti d’onore deve essere soffocato, come anche quello delle uccisioni dei transessuali. Non più tardi di ieri abbiamo appreso dell’ennesima uccisione di una transessuale ad Antalya. Il governo turco deve garantire urgentemente che le uccisioni di transessuali non restino più impunite.

Mi rivolgo inoltre nuovamente al governo turco affinché garantisca la libertà di associazione e ponga fine ai tentativi sistematici di bandire le organizzazioni LGTB. La risoluzione giustamente chiede a gran voce la libertà di religione ed espressione. Per un liberale, queste libertà sono il cuore della democrazia e costituiscono prerequisiti non negoziabili per l’adesione all’Unione.

Se tuttavia chiediamo alla Turchia di rispettare gli standard comunitari, dobbiamo fare in modo di rispettarli noi stessi. E’ una questione di credibilità e autorità morale. Omofobia, educazione religiosa obbligatoria e limitazioni imposte alla libertà di stampa devono essere parimenti combattute negli attuali Stati membri.

 
  
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  Cristian Dan Preda (PPE).(RO) Signora Presidente, come si sottolinea anche nella relazione Oomen-Ruijten, nel 2009 la Turchia ha assunto un chiaro impegno in termini di riforma e buone relazioni con i suoi vicini. Le autorità hanno inoltre incoraggiato il dibattito pubblico su alcuni temi che rivestono un’importanza fondamentale per il processo di riforma come il ruolo del sistema giudiziario, i diritti delle minoranze etniche e il ruolo dell’esercito nella vita politica del paese.

D’altro canto, la firma dell’accordo relativo al progetto Nabucco è prova dell’impegno profuso dalla Turchia per creare sicurezza nell’approvvigionamento energetico dell’Europa, come dimostrano anche i negoziati intrapresi dal paese per aderire alla Comunità europea per l’energia.

La Turchia ha dimostrato il ruolo fondamentale che svolge come attore nella regione stabilendo relazioni normali con l’Armenia, nonché migliorando le relazioni con l’Iraq e il governo regionale curdo. Analogamente non possiamo, come è ovvio, dimenticare la sua cooperazione con la sinergia per il mar Nero, istituita tre anni fa allo scopo di promuovere stabilità e riforme nei paesi del bacino.

Vorrei infine che nessuno di noi dimenticasse alcuni motivi fondamentali che dovrebbero farci propendere per l’adesione della Turchia all’Unione europea. La Turchia è manifestamente un membro della famiglia europea ed è un partner importante nel dialogo tra civiltà. Avvicinare una Turchia secolare, democratica e moderna all’Unione europea rappresenta sicuramente un bene prezioso per la nostra comunità.

 
  
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  Csaba Sándor Tabajdi (S&D).(HU) Signora Presidente, sono molto lieto che il portafoglio dell’allargamento sia affidato al commissario Füle, il quale, politico dell’Europa centrale, gode di una posizione privilegiata per comprendere il pesante fardello che grava sull’Europa sudorientale e i Balcani occidentali in termini di conflitti etnici e interetnici e controversie bilaterali tra vicini. I Balcani occidentali, come l’area dei Balcani in generale, non sono mai stati stabili, se si eccettua il breve periodo della Iugoslavia di Tito. L’adesione all’Unione rappresenta l’unica possibilità per stabilizzare la regione, come lo hanno dimostrato le adesioni del 2004 e del 2007, visto per esempio il loro notevole effetto positivo sulle relazioni tra Ungheria e Romania.

Al tempo stesso, vorrei richiamare l’attenzione del commissario Füle e del Parlamento sul fatto che tutti i problemi interetnici, tutte le questioni importanti e le relazioni di vicinato devono essere risolti prima dell’adesione perché dopo, in tali ambiti, l’Unione europea diventa impotente. Basti pensare al problema irrisolto dei russi in Lettonia o alla Slovacchia, in cui le politiche del governo Fico hanno inasprito le relazioni tra maggioranza slovacca e minoranza ungherese.

Pertanto, nel caso dei Balcani occidentali, dove questi problemi sono ancora più complessi, è particolarmente importante risolverli per ciascun paese. La Croazia è un vicino dell’Ungheria; è dunque della massima importanza che la Croazia diventi membro quanto prima dell’Unione europea. E’ essenziale che la Croazia affronti le proprie responsabilità per quanto concerne la guerra e consenta il rientro dei profughi. Questo aspetto è sicuramente fondamentale. Occorre poi intraprendere quanto prima negoziati con la Macedonia, come già sottolineato dall’onorevole Thaler nella sua eccellente relazione. Infine, per quel che riguarda la Turchia, fintantoché ai curdi non verrà concessa l’autonomia nell’accezione più ampia del termine, fintantoché i diritti di donne e minoranze sessuali non saranno garantiti e la Turchia non avrà chiesto scusa per il genocidio armeno, non potrà diventare membro dell’Unione europea.

 
  
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  Metin Kazak (ALDE).(FR) Signora Presidente, onorevoli colleghi, vorrei complimentarmi con l’onorevole Oomen-Ruijten per il suo scrupoloso lavoro. Mi pare tuttavia che vi sia una differenza tra il testo adottato lo scorso anno e quello che oggi ci viene proposto sulla Turchia.

Nella sua risoluzione del 2009, il Parlamento sottolineava i negoziati a Cipro, ma non stabiliva alcun prerequisito associato alle colonie o alla situazione di Famagusta. Tali aspetti sono trattati nei sei capitoli negoziali gestiti nel quadro delle Nazioni Unite. Ritengo pertanto che l’assunzione da parte del Parlamento di una posizione così forte e unilaterale possa nuocere ai negoziati e farci perdere di vista l’imparzialità.

Come ribadiva l’ex commissario il 16 novembre 2006, la restituzione di Famagusta ai suoi legittimi abitanti è un elemento che deve essere affrontato a livello di Nazioni Unite nell’ambito di una composizione generale della questione di Cipro.

Citerei un’altra conclusione del Consiglio. Nel 2004 la comunità turco-cipriota aveva chiaramente espresso il desiderio di avere un futuro con l’Unione europea. Il Consiglio ha deliberato di porre fine all’isolamento di quella comunità e agevolare la riunificazione di Cipro incoraggiando lo sviluppo economico della comunità turco-cipriota.

(Applausi)

 
  
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  György Schöpflin (PPE).(EN) Signora Presidente, vorrei porgere il benvenuto al commissario Füle e al ministro. Non possiamo che rallegrarci tutti dei progressi compiuti dalla Croazia nel completamento del suo processo di adesione. Gli ambiti principali del governo devono essere adeguati all’acquis e alcuni di questi cambiamenti – va detto con chiarezza – probabilmente andranno contro la linea tradizionale e le aspettative. Negoziare la trasformazione richiede quindi un importante atto di volontà politica.

Vorrei però aggiungere che vale la pena di compiere tale sforzo, specialmente per uno Stato relativamente piccolo come la Croazia, ma in un contesto analogo parimenti anche per gli altri Stati dei Balcani occidentali. L’adesione all’Unione europea, penso che sia indubbio, offre tutta una serie di vantaggi in termini politici, economici, culturali e di sicurezza.

Il problema più complesso per quanto concerne l’adeguamento sta invece altrove. Una cosa è cambiare le strutture di governo, tutt’altra cosa è cambiare gli atteggiamenti della società introducendo elementi radicalmente diversi, forme e contenuti sviluppati nell’Unione europea. Spesso la distanza è notevole e sicuramente vi saranno figure all’interno della società, talune peraltro molto potenti, che intravedranno soltanto svantaggi nel nuovo assetto.

Non facciamoci illusioni in merito. Le autorità croate non soltanto devono concludere i negoziati con l’Unione europea, ma nel contempo devono anche fare il possibile per modificare gli atteggiamenti sociali, compito che potrebbe rivelarsi più arduo.

 
  
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  Maria Eleni Koppa (S&D).(EL) Signora Presidente, le tre relazioni oggi in discussione esprimono la ferma posizione del Parlamento europeo rispetto al continuo processo di allargamento. Vi sono tuttavia differenze notevoli.

Vorrei esordire complimentandomi con l’onorevole Swoboda per la sua relazione sulla Croazia. Siamo tutti lieti che il paese a breve aderirà all’Unione europea.

Per quel che riguarda la Turchia, il messaggio trasmesso dalla relazione eccezionalmente equilibrata dell’onorevole Oomen-Ruijten resta lo stesso degli anni precedenti. La Turchia deve onorare ogni suo obbligo contrattuale, come li hanno onorati tutti i precedenti paesi candidati. L’adesione è e deve essere lo scopo ultimo. Non possiamo però avere un’adesione à la carte personalizzata per la Turchia. La Turchia è un grande paese che ha bisogno di accettare il fatto che la riforma continua, il rispetto dei diritti umani, un giusto contributo alla risoluzione della questione di Cipro, buone relazioni di vicinato e l’eliminazione del casus belli contro uno Stato membro sono passi che la avvicineranno all’Unione.

Quanto all’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, la relazione dell’onorevole Thaler trasmette al paese un messaggio positivo. La Grecia, dal canto suo, invita i leader macedoni a venire al tavolo negoziale in buona fede in maniera che si possa trovare una soluzione reciprocamente accettabile nel quadro delle Nazioni Unite. Il governo greco sa che il processo richiede grande slancio ed è realmente determinato a giungere a una composizione della questione. Dall’altra parte ci aspettiamo un atteggiamento altrettanto onesto.

 
  
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  Andrey Kovatchev (PPE).(BG) Signora Presidente, signor Commissario Füle, benvenuto in Aula. Le auguro nel suo lavoro tutto il successo che merita. Ringrazio poi gli onorevoli Swoboda, Thaler e Oomen-Ruijten per le loro relazioni obiettive ed equilibrate.

Il Parlamento europeo ha manifestato in numerose occasioni il desiderio politico che i paesi dei Balcani occidentali aderiscano all’Unione dimostrando la propria disponibilità ad assisterli in maniera che possano soddisfare rapidamente i criteri di adesione. La Croazia è quasi giunta al traguardo. Spero sinceramente che il trattato di adesione per il paese venga sottoscritto quest’anno. L’ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha compiuto progressi nel rispetto dei criteri per l’avvio del processo di preadesione. Il Consiglio europeo dovrebbe confermare la decisione presa dalla Commissione europea alla fine dello scorso anno e intraprendere il processo di adesione. Affinché ciò accada, ritengo che l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia debba compiere ulteriori sforzi per risolvere i problemi con i suoi vicini in uno spirito europeo. Se le autorità di Skopje daranno prova della volontà politica di non sfruttare la storia, antica o più recente, e contestare le attuali intenzioni politiche o nazionali, è possibile giungere a un compromesso. La storia deve unirci, non dividerci. Lasciamo che gli storici giungano alle loro conclusioni accademiche, senza tuttavia ostacolare il destino europeo di alcun paese candidato. L’incitazione all’odio non può essere tollerata. Mi riferisco, in particolare, ai libri di testo che gli alunni usano a scuola, che non devono contenere descrizioni in cui si istigano atteggiamenti ostili nei confronti di altri Stati membri.

Per rafforzare la fiducia nei Balcani non occorre soltanto un sistema di liberalizzazione dei visti, ormai introdotto e operativo, cosa della quale sono lieto, bensì anche, a mio parere, la commemorazione comune di eroi e date storiche condivisi da alcuni paesi balcanici. Spero che le raccomandazioni formulate nelle relazioni vengano tenute presenti dalle istituzioni competenti degli Stati membri. Auguro a Croazia, Macedonia e Turchia ogni bene nel loro viaggio europeo.

 
  
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  Evgeni Kirilov (S&D).(EN) Signora Presidente, dovremmo continuare a sostenere la prospettiva di adesione all’Unione per i paesi dei Balcani occidentali. L’intero processo rafforza la stabilità e dovremmo mantenere lo slancio impresso.

In quanto relatore per le agevolazioni di visto all’interno della delegazione alla commissione parlamentare mista UE-ex Repubblica iugoslava di Macedonia, ritengo che introdurre un sistema di esenzione di visto nel paese abbia rappresentato un incentivo importantissimo per il suo popolo. L’ultima relazione della Commissione sottolinea che l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha conseguito progressi in molti ambiti, il che è lodevole.

Provengo da un paese vicino, la Bulgaria, e noi, paesi vicini, osserviamo alcune tendenze preoccupanti. A mio parere, la questione del nome non dovrebbe essere affrontata per prima. La costruzione della nazione macedone è iniziata dopo la seconda guerra mondiale e ora gran parte della popolazione si definisce macedone. Dobbiamo però tenere fede ai nostri valori: non possiamo accettare che la costruzione di una nazione si confonda con la retorica nazionalista o una grossolana manipolazione della storia, tornando a un passato remoto. Inoltre, affermare l’identità nazionale non dovrebbe generare sentimenti xenofobici nei confronti di cittadini che si dichiarano di origine bulgara, che sono purtroppo oggetto di abusi verbali e fisici e vengono persino perseguitati legalmente con motivazioni costruite artificiosamente.

 
  
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  Marietta Giannakou (PPE).(EL) Signora Presidente, vorrei complimentarmi con il commissario e augurargli il successo che merita nell’importantissimo ambito in cui è subentrato.

L’Europa può e ha il diritto di continuare ad allargarsi: questo è un dato di fatto. Nei Balcani occidentali in particolare, i popoli hanno diritto a un destino migliore e una corretta condivisione di valori realmente europei.

Va tuttavia notato che, soprattutto nel caso dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, sarebbe meglio se, per diventare membro dell’Unione, il paese non sfruttasse a proprio piacimento la storia come arma; è necessario che il paese si abitui a contribuire alle procedure delle Nazioni Unite e risolvere i propri problemi con la diplomazia, non la propaganda. Pertanto, l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, se vuole presto un futuro, deve essere esortata ad agire.

Desidero complimentarmi con l’onorevole Oomen-Ruijten per la sua eccellente relazione sulla Turchia, nonché con l’onorevole Swoboda e, ovviamente, l’onorevole Thaler, sebbene taluni aspetti del suo approccio e della sua relazione non mi trovino concorde.

Dobbiamo assolutamente comprendere che se i compromessi non dovessero rispecchiare la verità e la realtà, i problemi in futuro riemergeranno. D’altro canto, per quel che riguarda la Turchia, vorrei aggiungere che sono stati profusi sforzi, ma non è intervenuto alcun cambiamento radicale che ci consenta di affermare che il paese sta risolvendo i suoi problemi diplomaticamente, ossia ritirando o iniziando a ritirare le proprie truppe da uno Stato europeo, Cipro.

 
  
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  Wolfgang Kreissl-Dörfler (S&D).(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, anch’io vorrei complimentarmi con il neoeletto commissario Füle e augurargli buona fortuna per questo importantissimo compito.

Lei ha già ribadito chiaramente alla commissione che i negoziati con la Turchia riguardano la sua adesione e non la folle idea di un partenariato privilegiato, che non è mai stato pubblicizzato adeguatamente da quanti sono a suo favore. Lei, tuttavia, ha anche affermato con chiarezza, e gliene siamo profondamente grati, che ambedue le parti, Turchia e Unione europea, devono assolvere i rispettivi obblighi e impegni. In questo caso, onorevole Posselt, vale il principio pacta sunt servanda, una frase che sicuramente le suona familiare, visto che è stata ripetutamente pronunciata dal suo ex prestigioso leader.

Un altro punto è anche estremamente importante, a mio parere. Come è ovvio, la Turchia ha ancora molto da fare, ma lo stesso vale per l’Unione europea, che si tratti della questione di Cipro, dell’attuazione dei diritti delle minoranze in Turchia o degli aspetti politici e militari. Un elemento è però chiaro. Il processo non sarà mai lineare. Lo abbiamo imparato dalla storia dell’Unione europea. Basti guardare i processi e le procedure riguardanti il trattato di Lisbona. Vi saranno sempre progressi e regressi nel processo in Turchia.

Un altro elemento evidente è che quando avrà soddisfatto tutti i requisiti, quando potrà accettare l’acquis communautaire, la Turchia sarà un paese diverso, ma anche il trattato di Lisbona avrà comportato cambiamenti perduranti nell’Unione europea. Dobbiamo esserne consapevoli. Come ho detto, ambedue le parti devono assolvere i rispettivi impegni.

 
  
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  Alojz Peterle (PPE).(SL) Signora Presidente, se l’Unione europea realmente vuole svolgere un ruolo più incisivo sulla scena internazionale, deve fare in modo da rafforzare il proprio ruolo anche in Europa. Ciò significa portare a termine il progetto di un’Europa unita lungo l’asse sud-est. Abbiamo bisogno non soltanto di una prospettiva europea, ma anche di dinamismo e stimolo.

Sono lieto dei progressi che abbiamo potuto osservare in tutti i tre paesi oggi in discussione e mi complimento con i relatori, onorevoli Oomen-Ruijten, Thaler e Swoboda, per un lavoro ben svolto. Mi compiaccio in particolar modo del fatto che tutti i tre paesi abbiano prestato particolare attenzione allo sviluppo di relazioni con i vicini.

Si è anche accennato all’accordo di arbitrato tra Slovenia e Croazia. E’ un dato di fatto che i governi sloveno e croato vedono il principale elemento di tale accordo sotto una luce completamente diversa, il che non ispira esattamente fiducia reciproca. Invito ambedue i governi a sfruttare le opportunità bilaterali per concordare un’interpretazione uniforme dell’accordo e promuovere un’atmosfera di relazioni di buon vicinato, un’atmosfera che possa permettere di concludere con esito positivo il processo di adesione.

Mi complimento vivamente con il commissario Füle per aver assunto questo ruolo di responsabilità e gli auguro il successo che merita nel conseguimento di questi ambiziosi obiettivi, così come auguro ogni bene e una buona dose di saggezza alla presidenza spagnola.

 
  
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  Emine Bozkurt (S&D).(NL) Signora Presidente, i vicini si prendono cura l’uno dell’altro sostenendosi reciprocamente. Quando le cose vanno bene nel vicinato, vanno bene anche per la gente che vi abita. Orbene, Turchia e Cipro sono vicini, ma quando guardano oltre le rispettive recinzioni, non si vedono l’un l’altra; vedono invece i turco-ciprioti, intrappolati tra due fronti.

Per garantire che tutti gli abitanti di Cipro siano nuovamente in grado di vivere veramente insieme, occorre una soluzione in cui tutti i vicini svolgano la propria parte. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon la scorsa settimana ha espresso la convinzione che una soluzione per Cipro possa essere a portata di mano. Questo Parlamento ha un ruolo importante da assolvere offrendo un contributo positivo alla situazione di Cipro, ricercando costruttivamente soluzioni ed eliminando ostacoli anziché erigerli. Sì, la Turchia deve essere indotta a compiere sforzi affinché tale soluzione si avvicini. Questo è quanto chiediamo nella relazione sulla quale siamo in procinto di votare. Non è però soltanto la Turchia a doversi impegnare. Tutte le parti interessate devono svolgere la propria funzione per creare un’atmosfera positiva in cui sia possibile trovare una soluzione affidabile. In ultima analisi, questo è ciò che tutti vogliamo: una soluzione.

Dobbiamo inoltre collaborare per quanto concerne un altro paese candidato, la Macedonia, in riferimento alla questione del suo nome, in maniera che i negoziati possano iniziare. Come Stati membri, dobbiamo prestare attenzione a non diventare parte del problema, contribuendo invece alla ricerca di una soluzione.

L’ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha compiuto notevoli progressi e può fungere da esempio per gli altri paesi dei Balcani, offrendo anche l’opportunità di rafforzare la stabilità nella regione. Dobbiamo dunque impegnarci in tale ambito affinché prosperino i nostri principali prodotti di esportazione: democrazia, diritti umani, pace e sicurezza.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE). (SK) Signora Presidente, la Croazia sta dando prova della propria volontà di aderire all’Unione intraprendendo chiari passi verso il soddisfacimento dei criteri, volontà politica che emerge dalle riforme della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario e dalla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Nel sistema giudiziario, si è avuto un aumento della trasparenza, una riduzione del numero di azioni pendenti e procedimenti eccessivamente lunghi. Un fattore significativo è rappresentato dalla continua denuncia di crimini di guerra, ambito nel quale la Croazia sta collaborando a tutti gli effetti con il Tribunale penale internazionale. La Croazia sta inoltre dimostrando un buon livello di armonizzazione normativa con l’acquis communautaire realizzando notevoli cambiamenti a livello legislativo e istituzionale allo scopo di combattere la criminalità organizzata e la mafia rafforzando la cooperazione transfrontaliera con le autorità preposte all’applicazione della legge nei paesi vicini.

Il settore bancario in Croazia è solido, gli investitori hanno fiducia nello stato dell’economia e si è mantenuta la stabilità macroeconomica. Ancora occorre completare il programma di privatizzazioni su piccola scala e ridurre l’interferenza dello Stato nell’economia. A mio parere, la riconciliazione tra croati etnici e serbi etnici, la maggiore salvaguardia dei diritti delle minoranze e l’integrazione dei profughi, compresa la ricostruzione delle abitazioni, sono elementi particolarmente lodevoli. Esorto pertanto la Croazia a sviluppare ulteriormente una cultura della responsabilità politica e avviare un dibattito pubblico sull’adesione e le sue conseguenze, perché soltanto un terzo della popolazione attualmente giudica proficua l’adesione all’Unione. Mi complimento infine con il neoeletto commissario Füle augurandogli ogni bene per il suo nuovo incarico.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D).(EN) Signora Presidente, porgo il benvenuto al commissario Füle e mi complimento con gli autori per queste tre relazioni estremamente equilibrate. Non vi è dubbio che la prospettiva dell’adesione all’Unione abbia indotto la Turchia a cambiare per il meglio. Dopo tutto, questo paese musulmano è unico nel senso che ha intrapreso i primi passi per adeguarsi ai valori europei quasi 100 anni fa e, nonostante i venti della storia, non è stato sviato in questo suo cammino. La Turchia è il più occidentale degli Stati orientali e il più orientale degli Stati occidentali, per cui il suo ruolo esclusivo non è soltanto europeo, bensì anche globale.

Ankara deve accelerare le riforme, ricercare con maggiore determinazione un compromesso sul problema di Cipro e compiere ulteriori passi per la riconciliazione con l’Armenia. Sostengo tuttavia con vigore la posizione del gruppo S&D secondo cui la prospettiva di adesione della Turchia all’Unione non dovrebbe essere modificata da alcuna Ersatzlösung o sue varianti.

 
  
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  Francisco José Millán Mon (PPE).(ES) Signora Presidente, in primo luogo vorrei porgere il benvenuto al commissario. In questo decennio, la politica di allargamento ha rappresentato insieme all’euro il massimo successo dell’Unione. Orbene, tale politica non deve essere frenata. Non possiamo inoltre non tenere fede agli impegni assunti con i paesi candidati, sebbene si debbano anche rispettare i ben noti principi del consolidamento e della condizionalità.

Non dovremmo del pari dimenticare la capacità di integrazione dell’Unione europea o la necessità di comunicare con i cittadini sul tema dell’allargamento, i suoi vantaggi e le sue conseguenze.

Visto il tempo limitato a mia disposizione, formulerò soltanto alcuni brevi commenti. In linea di principio, i paesi candidati dovrebbero risolvere prima qualsiasi controversia territoriale o problema analogo esistente tra loro o con gli Stati membri, in maniera da non rallentare poi il funzionamento dell’Unione.

Nel caso della Turchia, vorrei in particolare sottolineare quanto sia importante mantenere e addirittura accelerare il ritmo delle riforme, che sono necessarie anche per la stessa Turchia.

Apprezzo altresì il recente impegno manifestato dalla Turchia nei confronti del progetto Nabucco, un’iniziativa estremamente importante per la diversificazione energetica in Europa. Devo tuttavia ammettere che sono rimasto in qualche modo sorpreso dal gesto compiuto lo scorso autunno dal governo turco a sostegno delle autorità iraniane. Ritengo infatti che la politica estera di un paese candidato debba essere allineata a quella dell’Unione.

Infine, la scorsa settimana, ho letto un’intervista con il ministro degli affari europei turco dalla quale apparentemente emergeva che la Turchia avrebbe abolito visti per paesi come Siria, Libano e Libia. Ne sono rimasto alquanto sorpreso perché un paese candidato dovrebbe allineare anche la propria politica in materia dei visti a quella dell’Unione, non muoversi nella direzione opposta.

Gradirei ricevere conferma di tale informazione.

 
  
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  Antigoni Papadopoulou (S&D).(EL) Signora Presidente, l’onorevole Oomen-Ruijten ha profuso un impegno enorme per presentare una relazione equilibrata e per questo la ringraziamo. Gli emendamenti nn. 13 e 14 del gruppo Verts/ALE hanno sconvolto questo equilibrio, ragion per cui vi chiedo di votare contro.

Nei negoziati condotti sulla questione di Cipro, la Turchia, tramite Talat, ha formulato proposte inaccettabili restando intransigente e massimalista. Per questo è sbagliato chiedere a tutte le parti di sostenere le trattative in atto. La parte sulla quale occorre esercitare pressioni è la Turchia in quanto potenza occupatrice. La Turchia deve immediatamente ritirare tutte le proprie truppe, porre fine all’occupazione e smettere di tenere in ostaggio la comunità turco-cipriota perché è la Turchia, non la comunità turco-cipriota, la responsabile del cosiddetto isolamento di tale comunità. La Turchia deve restituire la città assediata di Varosha e cessare gli insediamenti illegali e le violazioni di proprietà greco-cipriote.

La chiave della risoluzione del problema di Cipro e dei progressi per quanto concerne l’adesione è nelle mani della Turchia. Il piccolo paese di Cipro non chiede né più né meno che una soluzione nell’inderogabile rispetto dell’acquis comunitario e delle risoluzioni delle Nazioni Unite. I ciprioti non sono cittadini di seconda classe di una qualche sorta di colonia ottomana o altro impero. Siamo cittadini europei con diritti europei.

 
  
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  Doris Pack (PPE).(DE) Signora Presidente, onorevoli colleghi, a questo punto è proprio giunto il momento che l’Unione intraprenda infine negoziati con la Macedonia. La Macedonia ha soddisfatto le condizioni impostele e attende che i negoziati inizino dal 2005. La Grecia ha avuto talmente tanta solidarietà dagli altri 26 Stati membri che ora non dovrebbe opporre un veto all’inizio dei negoziati con la Macedonia, sua vicina. La questione del nome è puramente bilaterale, anche se le Nazioni Unite si sono dichiarate pronte a prestare assistenza al riguardo.

In merito alla Croazia, vorrei dire che il paese sta combattendo la corruzione con tanto vigore che altri paesi, compresi alcuni Stati dell’Unione europea, dovrebbero ispirarsi al suo esempio. La mia seconda osservazione riguarda il rimpatrio dei profughi, già citato dall’onorevole Boştinaru, che a mio parere è stato gestito in maniera esemplare. Come rammentata il collega Swoboda, molte situazioni non possono essere risolte nel modo in cui noi immaginiamo che possano esserlo.

La mia terza osservazione riguarda la cooperazione con il Tribunale internazionale per i crimini di guerra dell’Aia. La Croazia ha consegnato tutti i suoi criminali ricercati anni fa. I documenti relativi alla guerra interna richiesti non sono più reperibili o non sono mai esistiti. Per tali questioni è dunque necessario adottare un approccio improntato al buon senso. Il governo sta cercando i documenti e ha costituito una task force, ma può soltanto fare una verifica. Qualora i documenti dovessero risultare irrintracciabili, è importante procedere, alla luce del fatto che la Croazia collabora con il tribunale da anni e, dunque, ha in larga misura rispettato le condizioni impostele. Spero vivamente che il capitolo venga presto aperto in maniera da poter concludere i negoziati con la Croazia entro la fine dell’anno.

 
  
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  Ismail Ertug (S&D).(DE) Signora Presidente, signor Presidente in carica del Consiglio, signor Commissario, vorrei innanzi tutto augurarle tutto il successo che merita per il suo futuro lavoro. E’ difficile ignorare l’ambivalenza della questione di Cipro. Noi nell’Unione europea non dobbiamo tralasciare questioni apparentemente sgradevoli o tentare di far finta che non esistano. Non abbiamo tenuto fede alla nostra promessa. Questo è un dato di fatto, e la questione dei doppi standard va risolta.

Sappiamo che per quanto concerne la questione di Cipro il protocollo di Ankara deve essere attuato. Non vi è dubbio al riguardo. Tuttavia è anche chiaro, come il Consiglio ha affermato nel 2004, che è necessario porre fine l’isolamento di Cipro del nord. Sono lieto che Cipro del sud stia prestando al nord il sostegno necessario, ma non era questa l’intenzione dell’Unione europea. La sua intenzione era che tutti, l’intera Unione europea, ponessero termine all’isolamento. Per superare l’ostacolo finale in tale ambito, dobbiamo compiere un passo avanti e far cessare l’isolamento.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE).(EN) Signora Presidente, per la nuova Commissione, e porgo un caloroso benvenuto al commissario Füle, ora è tempo di rinnovare l’impegno dell’Unione nei confronti dell’allargamento concludendo i negoziati di adesione con la Croazia entro la fine dell’anno e avviando i negoziati con la Macedonia.

Quest’ultima ha compiuto progressi straordinari, nonostante le molteplici difficoltà, e dovrebbe essere incoraggiata a proseguire. Vorrei pertanto invitare ambedue le parti a risolvere la controversia sul nome in uno spirito europeo di apertura e generosità, come ha chiesto ieri il presidente Barroso.

Anche la Turchia ha compiuto progressi notevoli. Se pensiamo all’Ucraina, ci rendiamo conto della differenza che la sola prospettiva dell’adesione può fare. L’adesione della Turchia è vista favorevolmente, sempre che il paese rispetti i criteri di Copenaghen. Con un nuovo commissario, non possiamo perdere tempo tentando di persuadere la Turchia a iniziare a ritirare le truppe da Cipro e attuare il protocollo di Ankara. Penso che ciò possa considerarsi una condizione per procedere nei negoziati. Quanto a me, non avrei nulla in contrario all’adesione della Turchia se dovesse essere facile costruire una chiesa cristiana ad Ankara tanto quanto erigere una moschea a Bruxelles.

 
  
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  Jürgen Klute (GUE/NGL).(DE) Signora Presidente, vorrei commentare due aspetti della questione turca. In generale si discute, giustamente, di conflitti etnici. Vi è ancora da fare in tale ambito e permangono alcune difficoltà. Ciò che tuttavia viene solitamente trascurato è il fatto che in Turchia sussistono ancora problemi notevoli per quanto concerne i diritti dei sindacati e dei lavoratori. Il governo turco continua a opporsi ai sindacati che sostengono i propri aderenti, vale a dire i lavoratori turchi, in alcune circostanze persino avvalendosi dell’intervento della polizia. E’ accaduto di recente durante la controversia che ha coinvolto i lavoratori di Tekel. Questo è uno dei commenti che intendevo formulare. Una società democratica deve salvaguardare i diritti dei lavoratori e dei sindacati, ed è importante combattere per tali diritti. Anche l’Unione europea li sostiene, specialmente nel suo ruolo di Unione sociale.

Il secondo elemento è la privatizzazione. La Turchia si sta adeguando all’Unione europea e ciò include l’area della privatizzazione. I lavoratori di Tekel, di cui 12 000 attualmente in sciopero, rischiano di perdere il posto o lo hanno già perso a seguito della privatizzazione. Nell’industria tabacchiera, tuttavia, non sono soltanto occupati i lavoratori di Tekel. Sono circa 500 000 gli addetti alla tabacchicoltura nella Turchia sudorientale ad aver perso il posto di lavoro negli ultimi anni con il risultato che dall’essere uno dei maggiori paesi produttori ed esportatori di tabacco ora la Turchia è diventata importatrice. Una settimana fa ho avuto modo di recarmi ad Ankara e parlare con i dipendenti di Tekel. Se, a seguito della privatizzazione, il taglio di posti di lavoro e la distruzione di interi comparti dell’industria dovessero proseguire, il popolo turco perderà l’entusiasmo per l’adesione all’Unione. Dobbiamo pertanto concentrarci sugli aspetti sociali dell’Unione; desidero ribadirlo ancora una volta.

 
  
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  Krzysztof Lisek (PPE).(PL) Signora Presidente, signor Commissario, le porgo un caloroso benvenuto come tutti, augurandole molta perseveranza per i suoi prossimi anni di lavoro. So che il primo giorno non dovremmo parlare della fine del nuovo mandato parlamentare. Le auguro, ovviamente, molti altri mandati, signor Commissario, ma il mio desiderio è che, quando si rivolgerà a noi alla fine del suo incarico, potrà intervenire in una nuova Unione europea allargata, composta forse addirittura da 30 Stati.

Signor Commissario, a parte il lavoro da lei svolto per i paesi importanti di cui oggi stiamo parlando in questa sede, vorrei chiederle anche di prestare attenzione ad altri paesi che anelano all’adesione all’Unione europea. Esattamente come me, lei proviene da uno Stato che ha da poco aderito all’Unione e ritengo che lei, io e tutti i colleghi parlamentari provenienti da tutti i nuovi Stati membri comprendiamo quanto sia stata importante l’adesione all’Unione per le nostre società. Gli stessi benefici auguriamo ai paesi di cui oggi ci occupiamo.

Come polacco, ho un piccolo sogno con il quale concluderò il mio intervento. Il mio sogno è che la Croazia, la nazione che al momento ha compiuto i maggiori progressi nei negoziati, possa riuscire ad accedere all’Unione europea durante l’ormai imminente presidenza polacca.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI).(DE) Signora Presidente, ancora una volta la relazione sulla Turchia non è una relazione sui progressi compiuti, bensì una relazione sulle lacune osservate nel paese. L’Unione europea chiede alla Turchia di adoperarsi maggiormente nel campo dei diritti delle minoranze, ma anziché risolvere la questione dei curdi come si era detto che avrebbe fatto, la Turchia sta ipotizzando di bandire il partito della società democratica (DTP) pro-curdo. Per il quarto anno consecutivo, il governo di Ankara non ha attuato il protocollo aggiuntivo all’accordo di associazione, ma attraverso i suoi ambasciatori chiede ai principali Stati membri dell’Unione di risolvere la questione di Cipro. A mio parere, i tanto attesi negoziati sull’isola mediterranea non sono motivo di celebrazione perché l’ultima proposta turco-cipriota va contro il consenso esistente su alcuni elementi, per cui rappresenta di fatto un passo indietro.

Questo è quanto in merito ai risultati positivi che, a detta della presidenza spagnola, potevamo aspettarci. La Turchia non fa parte dell’Europa né geopoliticamente né culturalmente né spiritualmente. Diritti umani, diritti delle minoranze e diritto internazionale restano concetti estranei al paese. A mio giudizio, l’unica risposta onesta in linea con gli auspici dei cittadini europei consisterebbe nel porre fine ai negoziati di adesione in vista di un partenariato privilegiato.

 
  
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  Georgios Koumoutsakos (PPE).(EL) Signora Presidente, signor Commissario, le porgiamo il benvenuto e le auguriamo il successo che merita nel suo lavoro. Oggi stiamo dibattendo, tra l’altro, i progressi compiuti dalla Turchia verso l’Europa. Ieri abbiamo discusso della difficile situazione economica in cui versano alcuni paesi della zona dell’euro, specialmente la situazione critica con cui deve confrontarsi la Grecia.

Questi due dibattiti si intersecano in un punto poiché hanno un terreno comune, vale a dire l’ingente e continua spesa della Grecia per la difesa militare, pari all’incirca al 5 per cento del suo prodotto interno lordo, e non perché lo voglia. Ovviamente, parte di tale somma serve a onorare i suoi obblighi di membro della NATO. Tuttavia, la maggior parte del denaro viene spesa perché dobbiamo far fronte a una politica specifica messa in atto da un paese vicino che è un paese candidato, la Turchia.

La Turchia attua ufficialmente una politica di minaccia bellica nei confronti della Grecia, nota come casus belli, e non è semplicemente una minaccia sulla carta; la Turchia ha l’abitudine di violare lo spazio aereo e sorvolare anche isole greche abitate dell’Egeo orientale.

Tutto questo deve cessare e il Parlamento europeo deve trasmettere un messaggio forte in tal senso ad Ankara. Se vi saranno miglioramenti al riguardo, i suoi progressi verso l’Europa riacquisteranno valore, assieme, come è ovvio, a tutti gli altri impegni che il paese deve onorare.

 
  
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  Monica Luisa Macovei (PPE).(EN) Signora Presidente, nella sua politica di vicinato, l’obiettivo dell’Unione è sempre stato esportare stabilità e non importare instabilità.

Per questo mi rivolgo agli Stati membri e ai paesi candidati affinché non promuovano conflitti bilaterali a livello di Unione. Essendo un avvocato, vorrei ricordare che, attraverso l’accordo interinale tra Grecia ed ex Repubblica iugoslava di Macedonia sottoscritto nel settembre 1995, la Grecia aveva accettato di non opporsi alla domanda di adesione a organizzazioni internazionali o regionali da parte dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, purché presentate con la denominazione indicata dalle Nazioni Unite, ossia appunto ex Repubblica iugoslava di Macedonia. Le istituzioni comunitarie fanno riferimento a tale paese come all’ex Repubblica iugoslava di Macedonia. Tali disposizioni sono giuridicamente vincolanti in termini di diritto internazionale. La Grecia non ha dunque alcuna base giuridica per opporsi al processo di adesione del paese. Le decisioni vanno prese sulla base dei risultati del paese richiedente.

Alla luce di ciò, sostengo i dibattiti sui progressi compiuti e gli ambiti in cui sono ancora necessari miglioramenti. Dobbiamo parlare dei meriti e sorvegliare da vicino l’attuazione delle riforme. In base ai progressi osservati, la Commissione ha proposto che al paese fosse indicata una data per l’avvio dei negoziati. Mi unisco alla Commissione nel chiedere al Consiglio di indicare una data iniziale per i negoziati di adesione al suo vertice previsto nel marzo 2010.

 
  
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  Eleni Theocharous (PPE).(EL) Signora Presidente, signor Commissario, anche se oggi adottassimo questa risoluzione estremamente forte a favore della Turchia, il paese non smetterà di presentare un notevole deficit democratico poiché viola palesemente i diritti umani di milioni di persone e ancora occupa la Repubblica di Cipro, uno Stato membro dell’Unione europea.

Tuttavia, per quanto riguarda Cipro, molti insistono sulla necessità di ripartire la responsabilità tra vittima e carnefice. Non possiamo accettare il crimine e la violenza armata rivolgendoci alle parti coinvolte. Perché mai dovremmo rivolgerci a loro? Nel Parlamento europeo, santuario della democrazia, non possiamo udire espressioni indegne come Cipro del nord e Cipro del sud e parlare di elezioni per Cipro del nord, dove il 70 per cento del cosiddetto corpo elettorale è costituito da colonialisti illegali.

E’ chiaro che, se la soluzione non dovesse rispettare i diritti umani dei cittadini di Cipro, l’intero sistema di valori dell’Unione europea sarebbe messo a repentaglio. Come è ovvio, i negoziati proseguono, ma si sono arenati a causa delle richieste massimaliste della Turchia. Poiché stiamo valutando la Turchia e non altri paesi, alla Turchia chiediamo di agevolare il processo negoziale compiendo due passi inequivocabili: in primo luogo, iniziando il ritiro immediato dell’esercito occupatore; in secondo luogo, restituendo la città occupata di Famagusta ai suoi residenti legittimi.

 
  
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  Giovanni Collino (PPE). – Signora Presidente, onorevoli colleghi, diamo atto alla Croazia degli sforzi compiuti in questi anni per rispondere ai requisiti richiesti per l’adesione all’Unione europea. Condivido la relazione che il Ministro López ha illustrato questa mattina.

Resta però una questione irrisolta, che va inquadrata nell’ottica del negoziato delle questioni bilaterali Croazia-Italia, che rischia di lasciare comunque un’ombra sul processo di adesione. Mi riferisco al mancato risarcimento economico e morale dei danni subiti e alla mancata restituzione dei beni confiscati agli italiani che, a seguito del Secondo conflitto mondiale, hanno dovuto abbandonare quelle terre da esuli.

Chiediamo alla Croazia, in vista della sua adesione all’Unione europea, di accelerare il percorso intrapreso per dare un finale di conciliazione, costruttivo e felice, a questa vicenda triste e ancora irrisolta.

Chiediamo alla Croazia di far sì che vi sia una risposta affermativa verso i diritti di quelle persone che aspettano da tanto tempo tutto questo, anche alla luce del diritto europeo.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE).(EN) Signora Presidente, vorrei formulare un breve commento sulla Turchia.

La Turchia presenta ancora gravi problemi nel campo dei diritti umani. Una delle questioni irrisolte è rappresentata dalla definizione dei diritti delle minoranze etniche e religiose: curdi, cristiani, aleviti e altri. Tali minoranze subiscono continue violazioni dei loro diritti. Cipro e Grecia sono e resteranno della massima importanza per l’Unione europea.

Pertanto, signor Commissario, occorre dire con chiarezza ai nostri partner turchi che è estremamente difficile parlare di integrazione europea della Turchia fintantoché i problemi legati alle minoranze etniche e religiose del paese restano irrisolti.

 
  
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  Kyriakos Mavronikolas (S&D).(EL) Signora Presidente, nell’odierno dibattito abbiamo bisogno di giungere a messaggi chiari per la Turchia ricordando che non ha agito specificamente per risolvere vari problemi con i paesi vicini.

Per quanto concerne in particolare la questione di Cipro, visto che abbiamo udito proposte volte a inserire un riferimento nella relazione al problema dell’isolamento dei turco-ciprioti, ritengo che l’Unione europea dovrebbe e debba agire nel quadro delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Ciò significa che le terre occupate illegalmente non possono essere riconosciute; al contrario, qualsiasi aiuto dovrà essere concesso attraverso lo Stato legale, come avviene attualmente.

Nel contempo, la Turchia dovrà ritirare l’esercito allo scopo di eliminare questo importante ostacolo che si frappone agli sforzi generali profusi per superare la difficoltà di contatto con i turco-ciprioti.

 
  
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  Jelko Kacin (ALDE).(SL) Signora Presidente, mi complimento con tutti i relatori per i loro documenti equilibrati e con lei, signor Commissario, augurandole tutto il successo che merita nell’assolvimento del suo importante ruolo.

Vorrei sottolineare che gli Stati membri dell’Unione europea non stanno comunicando nella maniera migliore possibile con i paesi dei Balcani occidentali. Alcuni di essi stanno ipotizzando date irrealistiche. Il 2014, data suggerita oggi da qualcuno, genera false speranze e aspettative irrealistiche fuorviando i politici e l’opinione pubblica di questi paesi. Consolideremo le forze europeiste soltanto se adotteremo un approccio realistico comportandoci in maniera opportuna. Le false promesse sono controproducenti sia per noi sia per loro. Vi invito pertanto a essere giusti, corretti e credibili.

 
  
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  Konrad Szymański (ECR).(PL) Signora Presidente, sono consapevole di quanto sia estremamente difficile, nelle circostanze sociali della Turchia, per il governo di Ankara fare qualunque cosa per migliorare la democrazia e i diritti umani. Me ne rendo perfettamente conto, ma vorrei richiamare l’attenzione su un problema che non si è sottolineato a sufficienza nell’odierno dibattito. Penso al problema della libertà di religione, ancora soggetta a limitazioni in Turchia, specialmente per quanto riguarda i cristiani. In Turchia vi è ancora il problema degli ostacoli con cui si scontrano le comunità religiose per quel che riguarda il loro stato giuridico. Le comunità cristiane, nonostante l’introduzione della legge sulle fondazioni, si imbattono in difficoltà notevoli per il recupero dei beni confiscati. Il patriarcato ecumenico ha diritti limitati in termini di formazione del clero e libera elezione del patriarca ecumenico. Sono estremamente grato al relatore per aver sottolineato tutti questi aspetti nella relazione. Nel contempo però mi rammarico perché la questione è stata completamente ignorata nell’intervento del presidente in carica del Consiglio López Garrido. Signor Presidente in carica del Consiglio, un commento personale: i diritti umani mal si sposano con l’ideologia.

 
  
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  John Bufton (EFD).(EN) Signora Presidente, vorrei intrattenervi per un attimo sulla questione della Turchia.

Mi preoccupa il fatto che nel 2003 il partito dell’indipendenza britannico del quale sono membro abbia affermato in questo Parlamento che vi sarebbero state gravi conseguenze a seguito dei movimenti migratori dai nuovi Stati membri nel nostro paese, il Regno Unito. Il mio timore è che, se la Turchia dovesse aderire all’Unione, 70 milioni di persone acquisiranno il diritto di venire nel Regno Unito. Il Regno Unito è saturo. Abbiamo milioni di disoccupati. La pressione che grava sui nostri servizi pubblici è incredibile. Il pensiero dell’adesione della Turchia è del tutto inaccettabile.

Ci è stata negata la possibilità di scegliere. I britannici non hanno potuto votare il trattato di Lisbona. Abbiamo sicuramente bisogno nel nostro paese di una discussione in merito alla necessità o meno della nostra presenza all’interno del Parlamento europeo. Temo che l’adesione della Turchia sia la goccia che farà traboccare il vaso. Sono convinto che ora siamo arrivati a un punto in cui l’intera situazione europea sta per crollare, con l’euro e tutto il resto. L’adesione della Turchia non farebbe altro che peggiorare nettamente le cose.

Signor Commissario, è il suo primo giorno di lavoro. Timbri il cartellino. Lo prenda da me, un gallese del Regno Unito: l’unica certezza è che non vogliamo l’adesione della Turchia.

 
  
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  Zoltán Balczó (NI).(HU) Signora Presidente, per quanto concerne l’adesione della Turchia, vi è un punto fondamentale da chiarire: che cosa pensiamo che sia l’Unione europea? Riteniamo ancora importanti i valori, e intendo i valori europei condivisi? Questi valori si fondano sugli insegnamenti della cristianità, prescindendo dal numero di credenti praticanti. Crediamo che il patrimonio culturale europeo sia importante come forza di coesione? Orbene, se la risposta è affermativa, non vi è posto per la Turchia nell’Unione europea. Come è ovvio, il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di istituire con il paese il miglior partenariato possibile. Un altro elemento importante è che la sua adesione creerebbe un precedente. Il ministro degli affari esteri israeliano ha affermato che il paese è stato paziente, ma che intende risolutamente diventare membro dell’Unione europea. Concluderei dunque dicendo che nella Comunità europea non vi è neanche spazio per Israele.

 
  
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  Csaba Sógor (PPE).(HU) Signora Presidente, in merito alla tutela delle minoranze, Croazia e Macedonia, sebbene abbiano compiuto progressi, sono ben lungi dall’aver raggiunto risultati ottimali al riguardo. Che cosa possiamo fare? L’Unione europea potrebbe incoraggiarli attraverso la sua protezione esemplare delle minoranze, ma che cosa accade di fatto nell’Unione? Sarebbe un segno positivo se Francia e altri ratificassero la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, la Slovacchia revocasse le proprie misure discriminatorie contro le minoranze (penso alla legge sulle lingue) e la Grecia ammettesse che nel suo territorio vivono minoranze e ne garantisse i diritti come singoli e comunità. In Romania auspicabilmente vi sarà una legge sulle minoranze, benché si sia ben lontani dall’avere elementi delle minoranze ai vertici del comando dell’esercito e l’autonomia sia temuta più della quattordicesima armata russa transinistriana. Il Parlamento potrebbe incoraggiare gli attuali Stati membri a dare il buon esempio stabilendo norme per la salvaguardia delle minoranze obbligatorie per l’intero territorio dell’Unione.

 
  
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  Danuta Jazłowiecka (PPE).(PL) Signora Presidente, signor Commissario, il 2009, secondo una relazione predisposta dal gruppo internazionale di crisi doveva essere decisivo per l’integrazione della Turchia nell’Unione europea. Si attendeva una svolta nei negoziati di adesione o la totale sospensione delle trattative. Oggi i negoziati sono ancora in corso su ulteriori ambiti correlati all’adesione. La presidenza spagnola, è vero, afferma di volere che Ankara aderisca alla Comunità quanto prima, ma vi sono sempre più segnali del fatto che Ankara sta ridefinendo il proprio ruolo nell’ordinamento mondiale. La sua adesione alla Comunità non parrebbe prioritaria. L’abolizione del visto per Giordania, Libia, Iran e Siria, un peggioramento delle relazioni con Israele, un consolidamento delle relazioni con il Sudan, la firma di un accordo per intraprendere relazioni diplomatiche con l’Armenia e il blocco di un’intesa con Cipro sono tutti elementi che dimostrano come Ankara si stia sempre più orientando verso la cooperazione con i propri vicini, anche a costo di indebolire la sua posizione nei negoziati di adesione.

Tuttavia, la questione della sicurezza energetica e della posizione geografica cruciale della Turchia significano che il paese sta lentamente diventando indispensabile per garantire gli interessi europei. E’ dunque probabile che, a breve, l’adesione della Turchia all’Unione europea diventi più importante per noi di quanto non lo sia per la stessa Turchia. Mi rivolgo pertanto alla Commissione e al Consiglio affinché ridefiniscano le prospettive di adesione della Turchia all’Unione europea.

 
  
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  Alf Svensson (PPE).(SV) Signora Presidente, ritengo estremamente importante riconoscere e sottolineare i progressi compiuti anche dai paesi candidati coinvolti in negoziati. Lo ritengo importantissimo in termini puramente psicologici. E’ inoltre innegabile che i negoziati con l’Unione europea abbiano creato condizioni migliori per i popoli di questi paesi. I negoziati sono di per loro un elemento positivo.

Sono certo che tutti concordiamo sul fatto che la Turchia debba compiere sforzi notevoli. La libertà di religione, la libertà di espressione e la libertà di stampa sono elementi imprescindibili. Ritengo però anche indispensabile ribadire che i negoziati con la Turchia non sono semplicemente trattative con lo Stato turco o la nazione turca perché la Turchia rappresenta una sorta di chiave o ponte per l’intera regione. Va pertanto tenuto presente che le relazioni dell’Unione con la regione si deterioreranno notevolmente se dovessimo nuovamente chiudere la porta.

 
  
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  Chrysoula Paliadeli (S&D).(EN) Signora Presidente, avrei apprezzato la possibilità di spiegare ai membri di questo Parlamento i motivi per i quali i greci sono così sensibili alla questione del nome dell’ex Repubblica di Macedonia. Purtroppo, mi occorrerebbe più di un minuto.

Questa storia, che risale alla fine degli anni Quaranta, è una storia triste che ha finito per creare una falsa idea sui greci. Posso assicurarvi che i greci non sono né nazionalisti né espansionisti. Tutto ciò che fanno è resistere all’uso di un nome che fa parte della loro tradizione storica e archeologica antica.

Capisco che l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, in quanto nuovo Stato indipendente, stia vivendo una fase etnogenica tardiva. Gli accademici seri a Skopje non sostengono le tendenze nazionalistiche del loro primo ministro. Preferiscono tacere anziché esporsi contro la perifrasi in voga che, come giustamente osserva la relazione Thaler, probabilmente aumenterà le tensioni.

Vorrei che il nostro Parlamento e la nuova Commissione tentassero di contribuire con una soluzione al problema del nome, non incoraggiando le tendenze nazionalistiche del governo dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, bensì sostenendo la posizione dei greci, i quali lottano per un compromesso morbido che, infine, sembrerebbe soddisfare il popolo macedone più del popolo greco.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D).(LT) Signora Presidente, gli odierni dibattiti hanno dimostrato come, sebbene i parlamentari abbiano opinioni diverse in merito ai progressi compiuti dalla Turchia, tutti probabilmente concordiamo sul fatto che il prerequisito di base per l’adesione all’Unione è la corretta attuazione delle riforme fondamentali. Oggi penso che sia prematuro fissare date concrete, ma dobbiamo comunque osservare ed esigere progressi in Turchia perché gli avvenimenti recenti, con il divieto imposto all’attività di alcuni partiti politici, destano preoccupazione e non dimostrano impegno da parte della Turchia nel rispetto delle libertà e dei diritti civili e politici. Dobbiamo tuttavia offrire alla Turchia l’opportunità di riesaminare le proprie azioni e sperare che in futuro divenga un paese libero e democratico.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE).(RO) Signora Presidente, la Croazia continua a essere nella fase più avanzata tra gli Stati dei Balcani occidentali sulla via dell’adesione all’Unione europea e potrebbe costituire un esempio per i paesi della regione per quanto concerne le loro prospettive di adesione in termini di soddisfacimento dei criteri e delle condizioni di adesione.

Apprezzo i progressi registrati in tema di riforma interna, confermati anche dalla relazione di valutazione del 2009. Il metodo per rispettare i necessari criteri di adesione, specialmente quelli che rientrano nel capitolo 23, giustizia e diritti fondamentali, costituisce un’importante pietra miliare nei progressi compiuti dal paese per il raggiungimento degli standard europei.

Sosteniamo l’adesione della Croazia all’Unione europea, a condizione che si fondi sul rigoroso rispetto dei criteri di adesione, tra cui la piena collaborazione con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia.

La Croazia concluderà i negoziati di adesione quest’anno. Di fatto, il documento che oggi stiamo dibattendo è l’ultima relazione di valutazione prodotta dal Parlamento europeo. Confidiamo nella possibilità il prossimo anno di votare sul trattato per l’adesione della Croazia all’Unione europea, che trasmetterà un segnale positivo all’intera regione.

 
  
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  Milan Zver (PPE).(SL) Signora Presidente, signor Commissario, mi complimento con lei per il nuovo incarico e le auguro di avere successo in tale ambito.

Sono molto lieto che le tre relazioni siano positive e i relatori abbiano riscontrato che i paesi in questione hanno compiuto progressi in termini di ammodernamento, come noi lo intendiamo dalla prospettiva europea. La cosa più importante è che i tre paesi mantengono tutti standard elevati in materia di rispetto dei diritti umani. L’Europa deve essere rigida al riguardo, come rigida deve essere nell’esortare tali paesi a risolvere i loro problemi nelle relazioni con i vicini.

Vorrei infine sottolineare che non appoggerò la relazione sulla Croazia, principalmente perché non tratta correttamente la Slovenia.

 
  
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  Iuliu Winkler (PPE) . – (RO) Signora presidente, la politica esterna di allargamento più efficace che l’Unione europea possa attuare nei Balcani occidentali consiste nell’espandersi nella regione. Ciò garantirà pace e instaurerà democrazia in un’area che, ahimè, nella storia recente si è imposta soltanto come “polveriera dell’Unione europea”.

Nel contempo, la politica estera più efficace per i nuovi Stati dei Balcani occidentali consiste nell’appartenere all’aera di stabilità e prosperità dell’Unione europea. In tale processo abbiamo bisogno di strumenti. Apprezzo pertanto le relazioni di valutazione sulla Croazia e la Macedonia, che sono strumenti preziosi.

Credo altresì che occorrano strumenti economici, oltre alla cooperazione regionale, economica e commerciale, anche in materia di investimenti, che hanno già dato prova della loro efficacia. Penso che tali strumenti debbano essere valutati dalla Commissione europea e dai governi di Croazia e Macedonia.

 
  
 

(L’oratore formula all’onorevole Flautre un’interrogazione con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)

 
  
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  Barry Madlener (NI).(NL) Signora Presidente, in realtà era mia intenzione formulare un’interrogazione al leader della delegazione per la Turchia, onorevole Flautre. Non so se posso farlo ora. Per questo ho esibito il cartellino blu. Posso porre una domanda all’onorevole Flautre?

Onorevole Flautre, vorrei chiederle se alla luce del terribile delitto d’onore commesso in Turchia, lei concorda nell’affermare che dovremmo presentare richiesta affinché venga condotta un’inchiesta approfondita su tale pratica in uso nel paese? Nello Stato da cui provengo, i Paesi Bassi, registriamo una prevalenza sconvolgente di delitti d’onore tra i turchi, come del resto in Germania. Credo che si tratti soltanto della punta di un iceberg e si commettano moltissimi delitti d’onore in Turchia. Possiamo chiedere al commissario Füle di svolgere un’indagine sui delitti d’onore commessi nel paese?

 
  
 

(L’onorevole Flautre accetta di rispondere a un’interrogazione presentata con la procedura del cartellino blu ai sensi dell’articolo 149, paragrafo 8, del regolamento)

 
  
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  Hélène Flautre (Verts/ALE).(FR) Signora Presidente, una domanda, sì, ma quale? Rivolta a chi e a quale scopo? Ritengo che la nostra delegazione, di cui lei fa parte, onorevole Madlener, si sia impegnata e continui a essere fermamente impegnata sul fronte dei diritti umani e della parità di genere, come anche nella realizzazione di ogni iniziativa intrapresa per contrastare la violenza nei confronti delle donne.

Ne ho parlato poc’anzi nel mio intervento. Credo che i cosiddetti delitti d’onore, che sono reati organizzati su base familiare o tribale, siano difficilmente difendibili. Oggi è molto consolante vedere come nessuno in Turchia ricorra più a questo genere di pratica criminale arcaica.

 
  
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  Diego López Garrido, presidente in carica del Consiglio. – (ES) Signora Presidente, onorevoli parlamentari, vi ringrazio per questo approfondito dibattito incentrato su alcuni eccellenti risoluzioni presentate dal Parlamento europeo e mi complimento con gli autori, onorevoli Swoboda, Thaler e Oomen-Ruijten.

Penso che si possa affermare che la maggioranza di voi ha parlato a favore del processo di allargamento come parte essenziale dell’integrazione europea. Come rammentava l’onorevole Brok, l’allargamento è stato un successo per l’Unione europea e altri parlamentari hanno citato alcuni esempi di successi nel processo di allargamento, che rappresenta anche un elemento vitale del progresso verso la riforma democratica e l’approfondimento democratico nei paesi che si stanno accostando all’Unione europea, quelli che hanno intrapreso il processo di adesione alla Comunità e quelli che si muovono in tale prospettiva. Come ha sottolineato l’onorevole Mauro, ciò implica sempre un impegno per soddisfare i criteri di Copenaghen, che costituiscono un altro elemento di ampio consenso, mostrando dunque assoluto rispetto per i diritti umani.

Concordo pienamente con l’onorevole Cashman quando asserisce che un paese si distingue per il modo in cui tratta le minoranze, non le maggioranze, sebbene anch’esse siano importanti. Questo è dunque il metro che dobbiamo adottare per misurare il rispetto per i diritti umani e, di conseguenza, il soddisfacimento dei criteri di Copenaghen.

Un altro aspetto in merito al quale tutti concordiamo è che la prospettiva europea è un elemento fondamentale per i progressi dei paesi dei Balcani occidentali, come hanno sottolineato gli onorevoli Giannakou e Winkler, il che risponde agli interessi non soltanto dei paesi in questione, ma, come ha affermato l’onorevole Göncz, anche dell’Unione europea.

In merito alla Croazia, tutti conveniamo sulla necessità di aprire quanto prima nuovi capitoli, ma va detto che attualmente 28 dei 35 capitoli sono già stati aperti e 17 sono stati provvisoriamente chiusi. La presidenza spagnola continuerà ad adoperarsi per conseguire ulteriori progressi nei negoziati, assieme al Consiglio europeo e al Consiglio, affinché presto possano giungere alla fase conclusiva. Per questo ho detto poc’anzi che il ciclo di riunioni di adesione con la Croazia inizierà immediatamente.

Ci aspettiamo che la roadmap dei negoziati di adesione possa essere completata quest’anno, come ha proposto l’autore della relazione, onorevole Swoboda, e come hanno chiesto alcuni parlamentari, tra cui gli onorevoli Hökmark, Berlinguer e Lisek, i quali hanno espresso la speranza che la presidenza polacca possa essere testimone dell’adesione della Croazia all’Unione europea.

Pertanto, per quel che riguarda la Croazia, come ha sottolineato l’onorevole Poręba, si sono compiuti progressi. Indubbiamente, non tutto il lavoro è concluso; vi sono ancora, per esempio, lacune in campo giuridico, come ha ribadito l’onorevole Serracchiani.

Riteniamo dunque di essere giunti a una fase importante di chiusura per l’adesione della Croazia e speriamo che i negoziati possano concludersi quanto prima con l’adesione della Croazia a seguito del processo di ratifica dei corrispondenti trattati dell’Unione europea.

Passando alla Macedonia, la discussione si è principalmente concentrata sulla questione del nome. Ovviamente il nome non è uno dei requisiti di Copenaghen, ma è chiaro che buone relazioni di vicinato svolgono un ruolo fondamentale nel processo per forgiare la politica nazionale in tutti i paesi candidati.

I paesi candidati, come gli Stati membri, devono dunque dare prova della massima sensibilità in questioni delicate come questa. Occorre anche ricordare che il punto di partenza per i negoziati è l’unanimità, ossia un accordo unanime tra gli Stati membri esistenti.

La soluzione avanzata poc’anzi dagli onorevoli Posselt, Kasoulides, Cornelissen, Chatzimarkakis, Göncz e Paliadeli si fonda sia sui negoziati in atto sotto l’egida delle Nazioni Unite sia su un contatto bilaterale tra ex Repubblica iugoslava di Macedonia e Grecia. Sebbene questa naturalmente sia una questione di notevole rilevanza, l’Unione europea in sé non prende di fatto parte a tali discussioni nel quadro delle Nazioni Unite.

Al momento, pertanto, non penso che si possa dire con precisione quando la controversia sarà risolta; nondimeno, posso con sicurezza affermare che la presidenza spagnola si complimenta anch’essa con il primo ministro Gruevski e il primo ministro Papandreou per la volontà di rinnovare un dialogo diretto. Ciò dimostra capacità di leadership in ambedue gli interlocutori e certamente condurrà al clima e all’atteggiamento di apertura a cui l’onorevole Tremopoulos ha fatto riferimento nel suo intervento.

Riteniamo che il governo dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia sia in grado di far procedere i negoziati. La prospettiva di adesione all’Unione europea ha sempre rivestito grande importanza per il paese nel suo complesso, il che significa anche per i suoi gruppi etnici, piccoli o grandi che siano.

Infine, per quanto concerne la Turchia, ho udito moltissimi interventi, per cui vorrei esordire dicendo che i negoziati proseguono a un ritmo ragionevole. Non sono stati dunque sospesi, e lo dico in risposta al commento dell’onorevole Van Orden sulla celerità dei negoziati.

Sotto la presidenza spagnola speriamo di aprire altri capitoli negoziali. Ne ho citati alcuni, ma ovviamente non possiamo prevederne il ritmo in quanto i negoziati dipendono dai progressi compiuti dalla Turchia nelle riforme e dal soddisfacimento dei criteri previsti da parte del paese. Per di più, come tutti sapete, in ogni caso per ciascuna fase e ciascun capitolo del processo occorre un accordo unanime.

La tutela dei diritti umani e il soddisfacimento dei criteri di Copenaghen sono stati un tema ricorrente in molti interventi ed esplicitamente citato nella relazione dell’onorevole Oomen-Ruijten. Va detto che la Turchia deve adoperarsi maggiormente in tale ambito, deve cioè profondere maggiore impegno, e lo dico in risposta agli onorevoli Belder, Salafranca e altri, nonché agli onorevoli Angourakis e Klute, i quali si sono soffermati sulla promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Non posso non concordare con loro, ma è anche vero che il processo negoziale continua a essere il principale strumento dell’Unione europea per influenzare i progressi compiuti e sebbene progressi si siano registrati, restano comunque insufficienti. Tale aspetto è stato anche sottolineato negli interventi di altri parlamentari come gli onorevoli Obiols, Flautre, Lunacek, Preda e Balčytis. Penso che si debba restare ben consapevoli di tale elemento nel valutare in maniera equilibrata i nostri negoziati con la Turchia.

Cipro è stata tema di tantissimi interventi. L’isola rappresenterà ovviamente un fattore decisivo nei prossimi mesi. Va detto che i negoziati attualmente in corso tra i leader delle due comunità dell’isola sono positivi e si è instaurata un’atmosfera di maggiore fiducia.

Superfluo aggiungere che la composizione della questione di Cipro eliminerebbe questo ostacolo, tutti gli ostacoli o perlomeno alcuni di quelli che si frappongono all’adesione della Turchia all’Unione e, qualunque cosa accada, trasmetterebbe un segnale positivo importante alla regione nel suo complesso; l’obiettivo fondamentale, come ha sottolineato giustamente l’onorevole Howitt, dovrebbe essere la riconciliazione.

Tutti concordiamo, come è ovvio, sul fatto che la Turchia debba attenersi al protocollo aggiuntivo. Vi sono state continue richieste in tal senso e ogni volta che dialoghiamo con la Turchia il Consiglio le rammenta tale impegno, che dovrà essere onorato. L’8 dicembre 2009, il Consiglio ha adottato una serie di conclusioni nelle quali si è affermato che in assenza di progressi al riguardo manterrebbe in essere le misure adottate nel 2006, il che avrebbe un effetto perdurante sull’avanzamento generale dei negoziati.

Gli onorevoli Koppa e Salavrakos hanno accennato anche ad altre circostanze: violazioni dello spazio aereo e incidenti nell’Egeo. Ribadisco dunque che le relazioni di vicinato sono un requisito indispensabile per misurare i progressi della Turchia nei negoziati. Le conclusioni del Consiglio dell’8 dicembre, da me citate a più riprese, trasmettono al paese un messaggio chiaro in tal senso. Posso assicurarvi che la presidenza seguirà la questione molto da vicino e se ne occuperà a tutti i livelli laddove appropriato.

In ogni caso, signora Presidente, la posizione della presidenza in merito ai negoziati con la Turchia è assolutamente chiara. Siamo d’accordo con il rinnovato consenso sull’allargamento deciso dal Consiglio nel dicembre 2006, e ciò significa che l’obiettivo dei negoziati è sicuramente la futura adesione della Turchia all’Unione europea.

 
  
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  Štefan Füle, membro della Commissione. – (EN) Signora Presidente, sono molto grato per questa opportunità iniziale di partecipare a uno scambio di punti di vista sui paesi candidati all’adesione con il Parlamento europeo. Durante la mia audizione ho promesso che sarei venuto ad ascoltare il Parlamento e mi sarei avvalso della sua consulenza. Orbene, l’odierno dibattito è stato una chiara prova della ricchezza, della saggezza e della profondità che caratterizzano quest’Aula.

Vorrei formulare due osservazioni di carattere generale. In primo luogo, prendo molto sul serio le promesse fatte durante le audizioni. Non mi interessa avere due monologhi. Mi interessa invece intrattenere un dialogo con questa Camera che rispecchi il vero spirito del trattato di Lisbona.

Vorrei inoltre formulare un’ulteriore osservazione generale, argomento al quale ho accennato un paio di volte durante la mia audizione. Nel parlare ai paesi candidati e ai paesi potenziali candidati, ho sempre sottolineato i seguenti quattro principi. Il primo è un rigoroso impegno nei confronti dei criteri di Copenaghen; non sono criteri negoziabili. Il secondo è un rigoroso impegno nei confronti delle libertà e dei diritti fondamentali, compresi i diritti religiosi e delle minoranze, nonché, ovviamente, i diritti delle donne. Il terzo è che il processo deve essere onesto e riflettere credibilità da entrambi i lati e a tutti i livelli. Il quarto è che non sottovaluterò la questione della capacità di integrazione.

In merito alla Croazia, sia la risoluzione del parlamento sia la posizione della Commissione sottolineano che la Croazia può contare su Parlamento e Commissione come alleati affidabili. Se il paese riesce a soddisfare tutte le condizioni ancora non rispettate, confido nel fatto che i negoziati di adesione possano concludersi quest’anno. La Commissione e credo l’attuale e futura presidenza, come anche il Parlamento europeo, sosterranno il paese nel conseguimento del suo obiettivo.

Quanto all’ex Repubblica di Macedonia, vorrei ribadire ancora una volta come il paese sia stato oggetto di una raccomandazione della Commissione in cui si propone che vengano intrapresi negoziati di adesione sulla base dei suoi meriti. Nondimeno, il paese continua a dover far fronte a molte sfide pressanti, non da ultimo i criteri politici. Come si è sottolineato nel corso della discussione, ora si è aperta una finestra di opportunità per risolvere la questione del nome e mi sto impegnando a fondo per sostenere le trattative in atto.

In merito alla Turchia, siamo tutti consapevoli del fatto che il cammino che ci attende è tutt’altro che facile, sia per la Turchia sia per l’Unione europea, come molti hanno già affermato nel corso del dibattito. So tuttavia che il governo turco è ancora impegnato in un’apertura democratica. Chi avrebbe immaginato soltanto cinque anni fa che la società e i politici turchi avrebbero potuto discutere apertamente e approfonditamente la questione curda, le relazioni civili-militari, la riapertura del seminario di Halki o le relazioni con la Romania?

Resto nondimeno preoccupato per le limitazioni imposte alla libertà di stampa e al pluralismo dei mezzi di comunicazione. Occorrono ulteriori cambiamenti a livello giuridico per tutelare giornalisti, attivisti che operano per i diritti umani e politici da azioni legali e condanne per l’espressione di opinioni non violente.

Per quanto concerne i negoziati di adesione, l’apertura dell’importante capitolo relativo all’ambiente lo scorso dicembre rappresenta uno sviluppo incoraggiante che porta il numero di capitoli aperti a 12. Confido nel fatto che quest’anno riusciremo ad aprirne altri. La Turchia, tuttavia, deve profondere maggiore impegno per poter soddisfare criteri indubbiamente impegnativi. E’ dunque necessario che proseguano con rigore i necessari preparativi.

La Commissione apprezza anche il dialogo rafforzato con la Turchia in merito alla migrazione, che dovrebbe portare a risultati tangibili, in particolare per quanto concerne rimpatri e controlli di frontiera. In risposta a una domanda specifica posta da uno dei vostri colleghi, vorrei ribadire che la Commissione è al corrente dei recenti sviluppi in materia di abolizione dei requisiti di visto per Libano e Siria da parte della Turchia. Il direttore generale della Commissione responsabile di tali aspetti si recherà ad Ankara la prossima settimana per una serie di negoziati. Questo sarà uno degli argomenti che discuterà in quell’occasione vi riferirò in merito non appena verrò messo al corrente degli esiti delle discussioni.

Su richiesta, vorrei inoltre esprimere la seguente posizione della Commissione. Tutte le misure che la Commissione ha proposto e intrapreso sono sempre state intese a porre fine all’isolamento della comunità turco-cipriota come mezzo per agevolare la riunificazione di Cipro in linea con le conclusioni del Consiglio dell’aprile 2004. Stiamo erogando il pacchetto di assistenza di 259 milioni di euro per lo sviluppo sociale ed economico sostenibile della comunità turco-cipriota e la sua piena partecipazione all’Unione europea dopo la composizione e la riunificazione. Il regolamento sulla linea verde sta facilitando i contatti economici e personali tra turco-ciprioti e greco-ciprioti. Il regolamento sugli scambi, che prevede condizioni speciali a livello commerciale per la comunità turco-cipriota, è ancora al vaglio del Consiglio.

Tornando alla Turchia, il processo di riforma deve proseguire e l’Unione europea deve continuare ad incoraggiare processo e progressi. La Commissione conferma il suo impegno nel processo di adesione della Turchia. La nostra capacità di esercitare pressione e influenza in Turchia diventerà tanto più credibile e forte se i nostri impegni resteranno inequivocabili.

Confido in una cooperazione estremamente proficua e intensa nel prossimo quinquennio.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Comunico di aver ricevuto tre proposte di chiusura della discussione dalla commissione per gli affari esteri ai sensi dell’articolo 100, paragrafo 2, del regolamento(1).

La discussione è chiusa.

La votazione si svolgerà durante le odierne votazioni.

Dichiarazioni scritte (articolo 149 del regolamento)

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) L’odierna relazione riconosce alcuni passi positivi compiuti dalla Turchia, paese candidato dal 2005, verso l’adesione all’Unione europea, sebbene chieda di accelerare il ritmo delle riforme. Ricordo che nel dicembre 2006 i negoziati sono stati parzialmente sospesi a causa del rifiuto del paese di applicare l’unione doganale con la Comunità a Cipro. Il conflitto con Cipro va risolto e il paese deve continuare a compiere progressi in termini di democrazia e tutela dei diritti umani, lotta alla corruzione, miglioramento della libertà di stampa, trasparenza politica, maggiore rapidità ed efficacia della giustizia, consolidamento delle leggi antidiscriminatorie riguardanti il genere, l’orientamento sessuale e le minoranze religiose, nonché riforma del servizio civile. Il governo turco continua a dare prova della volontà politica di procedere con le riforme e ha sostanzialmente migliorato la situazione delle libertà fondamentali e potenziato lo sviluppo democratico nel paese. Dobbiamo pertanto continuare a compiere progressi nei negoziati al fine di garantire l’adesione della Turchia come paese che può svolgere un ruolo cruciale di mediazione nei conflitti tra Israele e Palestina e piattaforma affinché Iraq e Iran trovino un terreno comune.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Signor Presidente, Onorevoli colleghi, la relazione contiene indubbiamente spunti interessanti anche per chi, come me e molti di voi, è contrario alla membership della Turchia nell’UE. Quanto esposto nella relazione dà conto di mancanze talvolta gravi da parte turca rispetto ai parametri basilari per l’adesione all’Unione. Abbastanza rigidi sono anche alcuni passaggi della risoluzione proposta dalla commissione AFET. Non si tratta di documenti che si oppongono all’ipotesi di un futuro ingresso della Turchia; tuttavia accolgo con grande piacere i rilievi che questo Parlamento intende fare circa i “non-progressi” compiuti dalla Turchia. Chi come me avversa l’adesione di Ankara all’UE vi trova conferma delle proprie tradizionali obiezioni sull’argomento: persistono in Turchia restrizioni alle libertà fondamentali, violazioni dei diritti umani, continua l’atteggiamento tutt’altro che pacifico verso Cipro e la Grecia, rimangono discriminazioni la questione delle minoranze etniche e religiose: tutte problematiche che evidentemente l’Europa non può ignorare. Tutto questo oltre alle consuete preoccupazioni sull’alterità culturale e geografica della Turchia rispetto all’Europa e sui problemi che deriverebbero dall’ingresso di un Paese direttamente confinante con più di 80 milioni di abitanti: aspetti che continueranno a supportare la mia risoluta convinzione circa l’inopportunità della membership turca, in un’Europa che è unita soprattutto dallo spirito del cristianesimo.

 
  
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  Robert Dušek (S&D), per iscritto. – (CS) Da un lato il metodo e la portata del processo democratico in Turchia e del processo di avvicinamento all’Unione sono fondamentali. Dall’altro la discussione sulla futura adesione della Turchia all’Unione non può essere accantonata. Ogni allargamento comporta considerazioni di bilancio che spingono a valutare se l’adesione di un determinato paese all’Unione possa rappresentare un contributo o prevarranno le perdite finanziarie. Temo che nell’attuale situazione di crisi con la politica agricola comune e, di conseguenza, con il bilancio europeo, non possiamo permetterci un allargamento a un paese in cui 7 milioni di abitanti contano sull’agricoltura per la propria sopravvivenza (nell’Unione europea il dato è pari a 10,4 milioni). A fini comparativi, nelle attuali circostanze, la spesa per la sola Turchia fino al 2025 sarebbe dell’ordine di 10 miliardi di euro, mentre per tutti i 10 nuovi Stati membri del cosiddetto “allargamento orientale” sarebbe dell’ordine di 8 miliardi di euro. I pagamenti diretti agli agricoltori turchi e i pagamenti per lo sviluppo rurale e il sostegno al mercato, nelle attuali condizioni legislative, rappresenterebbero la fine dell’agricoltura e degli agricoltori europei. Alla luce delle enormi dimensioni, del numero di abitanti e della situazione economica di questo paese candidato, la sua adesione all’Unione europea farebbe gravare un fardello pesantissimo sul bilancio, oltre a comportare un calo del 9 per cento del PIL pro capite per l’Unione. Per questi motivi, dobbiamo discutere nuovamente e in maniera più approfondita l’adesione della Turchia all’Unione, unitamente alle relative riforme della PAC.

 
  
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  Martin Kastler (PPE), per iscritto. – (DE) E’ lodevole che la nuova democrazia macedone abbia compiuto ulteriori progressi in tutti gli ambiti sociali ed economici. Apprezzo moltissimo il fatto che le elezioni locali e presidenziali nel marzo 2009 si siano svolte in maniera regolare. Ciò è indice della crescente democratizzazione dell’intera regione che si è rispecchiata in Macedonia. La Macedonia ha soddisfatto tutti i criteri per la liberalizzazione dei regolamenti in materia di visto e pertanto, dal 19 dicembre 2009, i suoi cittadini godono dell’esenzione di visto, il che rappresenta un importante passo avanti. La Macedonia, tuttavia, deve ancora attuare diverse riforme. Spero vivamente che potremo avvalerci dell’esperienza maturata durante la prima fase dell’allargamento orientale dell’Unione europea per aiutarla in tale processo. Penso in questo contesto all’attuazione delle riforme istituzionali, dove le fondazioni politiche e una serie di varie organizzazioni non governative hanno ottenuto risultati degni di nota. Vi sono due ambiti in cui dovremmo rafforzare la nostra cooperazione per quanto concerne la trasformazione e gli standard europei. Si tratta della riforma della pubblica amministrazione, del sistema giudiziario e della polizia. Personalmente vorrei che nell’immediato futuro la controversia sul nome tra Macedonia e Grecia venisse accantonata. E’ importante che i progressi verso l’unificazione dell’Europa non si blocchino a causa di disaccordi bilaterali.

 
  
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  Bogdan Kazimierz Marcinkiewicz (PPE), per iscritto. – (PL) La Croazia, in ragione della sua situazione geopolitica e delle relazioni storiche, dovrebbe indiscutibilmente accedere all’Unione europea il più rapidamente possibile. Nonostante numerose tensioni con i vicini e i conflitti etnici emersi durante la guerra civile, non riesco a immaginare un’Europa pienamente integrata e unita senza la Croazia. I negoziati intrapresi nel 2004 hanno rappresentato uno sviluppo promettente e, se non dovessero interrompersi, potrebbero concludersi quest’anno, considerato che per portarli a termine mancano ancora 28 capitoli. L’adesione della Croazia alla NATO nell’aprile 2009 ha sicuramente rafforzato la sua richiesta di adesione all’Unione. La stabilizzazione in quello storicamente noto come “calderone balcanico” potrà essere garantita soltanto dall’adesione della Croazia. Spero che all’inizio del 2012, prendendo posto nel Parlamento europeo, potrò stringere la mano a colleghi croati.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) Apprezzo i progressi compiuti dalla Croazia, specialmente nella lotta alla corruzione. E’ necessario intraprendere misure contro la corruzione nelle istituzioni. Occorre inoltre modificare l’atteggiamento di base e la popolazione deve essere maggiormente informata in merito alla corruzione, che purtroppo è ancora parte della vita quotidiana nel paese. Per quanto concerne il rapporto della Croazia con i suoi vicini, è piacevole vedere come ora si ipotizzi un compromesso sulla controversia del confine con la Slovenia. Spero inoltre che il riconoscimento del Kosovo da parte della Croazia non provochi un inasprimento della tensione nei Balcani occidentali, specialmente con la Serbia, che ora comprensibilmente dimostra una certa preoccupazione. Visti gli evidenti progressi che la Croazia ha compiuto e la mia convinzione che il paese sia culturalmente, politicamente e storicamente parte dell’Europa, voto a favore della proposta di risoluzione. Se la Croazia rispetterà tutte le condizioni, ritengo che potrà aderire presto all’Unione europea.

 
  
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  Kristiina Ojuland (ALDE), per iscritto. – (ET) In riferimento al mio intervento del 20 gennaio, vorrei sapere quale tipo di misure ha attuato il governo turco secondo le informazioni in possesso del Consiglio e della Commissione per coinvolgere la popolazione nella realizzazione del processo di democratizzazione e delle riforme necessarie per l’integrazione nell’Unione europea. La relazione di valutazione della Turchia del 2009 sottolinea le lacune riscontrate nel rispetto dei criteri di Copenaghen, ponendo in particolare l’accento sui criteri politici, che includono l’attuazione della democrazia e dello Stato di diritto, i diritti umani e la tutela dei diritti delle minoranze. Nella relazione di valutazione si è osservato che attraverso lo strumento di assistenza allo sviluppo nell’ultimo anno si sono erogati alla Turchia 567 milioni di euro. Gli stanziamenti sono stati impiegati per la maggior parte per la realizzazione delle necessarie riforme del sistema politico e giudiziario, nonché per lo sviluppo della società civile. Nel contempo, si è affermato con chiarezza che l’uso di tali strumenti era stato decentrato, il che significa che le autorità turche, accreditate dalla Commissione, hanno amministrato l’assistenza erogata. Consiglio e Commissione, essendo interessati a condurre i negoziati di adesione per la Turchia il più rapidamente possibile, il che significa che le attuali lacune vanno colmate, dovrebbero disporre di una sinossi precisa delle azioni concrete attuate dal governo turco per conseguire tale obiettivo. Sulla sua home page, la Commissione ha di fatto riportato in forma visiva alcuni progetti per abolire lo sfruttamento minorile, acquisire un’istruzione di base, coinvolgere i disabili nella società e creare una linea riservata alle donne turche che subiscono violenze in ambito domestico. Queste azioni, tuttavia, sono sufficienti per coagulare l’indispensabile sostegno pubblico della base affinché le riforme necessarie vengano attuate immediatamente con successo? Alla luce dei contenuti della relazione di valutazione, quale tipo di progetti o misure urgenti ulteriori sono stati previsti per superare gli ostacoli che si sono manifestati negli ambiti problematici?

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Quando una serie di paesi dell’Europa centrorientale ha aderito all’Unione europea in occasione del suo grande allargamento, il 1° maggio 2004, la cortina di ferro che divideva l’Europa è stata finalmente abbattuta. All’epoca non tutti i paesi dell’Europa centrorientale sono entrati a far parte della famiglia europea. E’ anche diventato chiaro che il “grande allargamento” avrebbe dovuto proseguire con l’adesione di diversi altri paesi della regione. Nel 2007, Romania e Bulgaria sono diventate Stati membri dell’Unione, ma con il loro ingresso l’allargamento dell’Unione non può comunque considerarsi concluso.

Al momento il paese più prossimo all’adesione è la Croazia. Sono decisamente a favore della conclusione più rapida possibile dei negoziati da parte del paese in maniera che possa accedere all’Unione europea. Mi rivolgo pertanto a entrambi gli interlocutori coinvolti nelle trattative affinché diano prova della massima flessibilità e della volontà di pervenire a un accordo. Mi rivolgo inoltre specificamente alla Croazia affinché intensifichi gli sforzi profusi per conformarsi ai requisiti comunitari in ambiti quali l’organizzazione della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario e il miglioramento dei meccanismi legati alla lotta effettiva contro la criminalità organizzata e la corruzione. Vorrei infine unirmi al coro di appelli affinché la Croazia dimostri la massima buona volontà nel cooperare con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE), per iscritto. – (ET) Tra i prerequisiti per concludere il processo negoziale iniziato con la Turchia nel 2005, il paese deve soddisfare tutti i criteri di Copenaghen e allinearsi da ogni punto di vista alla capacità di integrazione dell’Unione. La Turchia ha di fatto iniziato ad attuare le riforme previste in tal senso, sviluppando buoni relazioni di vicinato e conformandosi progressivamente ai criteri di adesione dell’Unione. Sostengo tali azioni e appoggio l’adesione della Turchia all’Unione europea, sempre che, come è ovvio, le condizioni per il suo ingresso siano pienamente soddisfatte. Oggi però mi preoccupa il fatto che recentemente i messaggi positivi in merito alle riforme abbiano iniziato a diradarsi, mentre persistono gravi problemi nel paese per quanto concerne l’applicazione delle norme di legge, specialmente gli articoli che istituirebbero diritti delle donne, non discriminazione, libertà di parola e credo, approccio della tolleranza zero nei confronti della tortura e misure anticorruzione. Mi rivolgo alla Turchia affinché continui a impegnarsi e moltiplichi i propri sforzi per soddisfare pienamente i criteri di Copenaghen e consolidi il sostegno nella società turca alle necessarie riforme, garantendo parità a tutti i cittadini, prescindendo da genere, razza od origine etnica, fede o credo, disabilità, età od orientamento sessuale.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Ritengo che sia nell’interesse di ambedue le parti, l’Unione europea e la Turchia, proseguire nel processo di allargamento. Per questo la Turchia deve accelerare il processo di riforma in maniera da onorare gli impegni assunti.

Vorrei fornirvi qualche esempio al riguardo. La normativa sulla parità di genere è armonizzata, ma occorre profondere maggiore impegno per applicarla in maniera da ridurre i divari tra uomini e donne in termini di partecipazione al mercato del lavoro, politica e processo decisionale, nonché accesso all’istruzione. Sono stati compiuti progressi in tema di protezione dell’ambiente, specialmente con la firma del protocollo di Kyoto in quest’“epoca di adeguamento agli effetti del cambiamento climatico”. Molto tuttavia resta ancora da fare per quanto concerne la qualità dell’acqua, la conservazione della natura e gli OGM (organismi geneticamente modificati).

Accolgo con favore i progressi compiuti dalla Turchia, ma nel contempo appoggio la richiesta formulata ad Ankara di profondere maggiore impegno nel processo di riforma in maniera da poter entrare a far parte della cerchia europea.

 
  
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  Bogusław Sonik (PPE), per iscritto. – (PL) Uno dei criteri fondamentali di Copenaghen che dovrebbe essere indiscutibilmente osservato affinché un paese possa diventare uno degli Stati membri dell’Unione europea è il rispetto per i diritti umani. Vorrei dunque richiamare l’attenzione su famosi casi di violazione dei diritti delle donne.

Quasi quotidianamente la stampa ci segnala ulteriori uccisioni di donne, i cosiddetti “delitti d’onore”. La stampa si sta attualmente occupando del caso della sedicenne Medine Memi, assassinata brutalmente da suo padre e suo nonno. E’ già sconvolgente che i due abbiano potuto togliere la vita alla giovane perché aveva parlato con alcuni ragazzi, ma la maniera in cui questa atrocità è stata perpetrata è ancora più sconvolgente. I risultati dell’autopsia dimostrano che Medine, seppellita in un pollaio, era ancora viva quando è stata sotterrata ed è rimasta cosciente sino all’ultimo. La sofferenza inimmaginabile patita da questa giovane morente è stata inflitta per riparare il “disonore” subito dalla famiglia. E’ deplorevole che il caso di Medine non sia un incidente isolato, bensì una pratica barbara diffusa. La ragazza, temendo per la propria vita, aveva riferito le sue paure varie volte alla polizia senza alcun esito, visto che ogni volta era stata rimandata a casa.

L’assassinio, fenomeno profondamente radicato nella tradizione turca per generazioni, è spesso interpretato con una certa acquiescenza nel caso degli uomini, che asseritamente agirebbero per restituire l’onore sottratto alla loro famiglia. Un paese che ancora non è riuscito ad affrontare questo problema continua a essere diviso dall’Unione da un baratro profondo, perché l’Europa si erge in difesa dei valori fondamentali. Questa differenza rappresenta un grave ostacolo nella costruzione di un’identità comune.

 
  
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  Traian Ungureanu (PPE), per iscritto. – (RO) Spero che la relazione di valutazione di quest’anno incoraggi la Turchia a migliorare il coordinamento della propria politica esterna con quella dell’Unione. La regione del mar Nero dovrebbe essere una zona prioritaria in cui la Turchia, partner fondamentale dell’Unione europea, contribuisce a conseguire gli obiettivi europei fissati nel quadro della sinergia per il mar Nero.

Il coinvolgimento della Turchia per garantire la sicurezza energetica dell’Unione è altrettanto importante. Lo scorso hanno ho dichiarato la mia soddisfazione per la partecipazione della Turchia al progetto Nabucco con la sottoscrizione dell’accordo intergovernativo, esprimendo però profonda preoccupazione per l’intenzione della Turchia di collaborare con la Russia nel progetto South Stream. Esorto dunque la Turchia a impegnarsi esplicitamente nell’attuazione del progetto Nabucco.

Apprezzo la richiesta della relatrice di armonizzare le politiche energetiche tra Turchia e Unione, specialmente avviando negoziati di adesione sul capitolo energia e includendo la Turchia nella Comunità europea per l’energia.

 
  
  

PRESIDENZA DELL’ON. PITTELLA
Vicepresidente

 
  

(1) Cfr. processo verbale.


9. Turno di votazioni
Video degli interventi
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  Presidente. − L’ordine del giorno reca il turno di votazioni.

(Per i risultati dettagliati della votazione: vedasi processo verbale)

 

9.1. Meccanismo dell’inversione contabile alla cessione di beni e servizi a rischio di frodi (A7-0008/2010, David Casa) (votazione)

9.2. FESR: ammissibilità degli interventi nel settore dell’alloggio a favore delle comunità emarginate (A7-0048/2009, Lambert van Nistelrooij) (votazione)
  

- Dopo la votazione

 
  
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  Jörg Leichtfried (S&D).(DE) Signor Presidente, non ho alcuna difficoltà con l’apparecchio. Volevo semplicemente formulare un suggerimento. Alcuni colleghi hanno l’abitudine di non leggere ad alta voce il numero durante le votazioni per appello nominale. Poiché adesso abbiamo parecchie votazioni per appello nominale e schermi meravigliosi, forse potrebbe comportarsi così anche lei.

 
  
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  Presidente. – Va bene, grazie per la cortesia. Io lo facevo per completezza di informazione, ma voi le potete leggere, per cui ometto la lettura.

***

 

9.3. Cooperazione amministrativa nel settore fiscale (A7-0006/2010, Magdalena Alvarez) (votazione)
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  Sharon Bowles (ALDE).(EN) Signor Presidente, il parere sul quale il Parlamento europeo ora voterà in merito alla proposta di direttiva della Commissione sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale non pregiudica in alcun modo la posizione finale che il Parlamento assumerà rispetto all’attuazione dell’articolo 291 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e le conseguenze per le procedure basate sulla decisione 1999/468/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, specialmente per quanto concerne la procedura normativa con scrutinio o la posizione che il Parlamento vorrà assumere sugli atti delegati in altre normative.

 

9.4. Assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure (A7-0002/2010, Theodor Dumitru Stolojan) (votazione)

9.5. Recente terremoto ad Haiti (B7-0087/2010) (votazione)

9.6. Situazione in Iran (B7-0086/2010) (votazione)
  

- Prima della votazione

 
  
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  José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE).(ES) Signor Presidente, prima di votare su questa proposta di risoluzione relativa all’Iran, vorrei soltanto segnalare alla Camera che vi è stato un tentativo di occupazione dell’ambasciata italiana a Teheran e incidenti analoghi si sono anche verificati presso le ambasciate di altri Stati membri, come quella tedesca, francese, britannica e olandese.

Signor Presidente, nel paragrafo 24 la proposta di risoluzione chiede che venga istituita una delegazione dell’Unione europea in Iran; il mio gruppo non vorrebbe che l’adozione di tale paragrafo, usato in altre risoluzioni del Parlamento europeo, venga interpretato come segno di compiacenza nei confronti di detti eventi. Chiederei pertanto al commissario Füle di dire alla signora vicepresidente incaricata della Commissione Ashton che nell’applicazione del mandato previsto dalla risoluzione le circostanze appena citate dovrebbero essere rammentate. Credo che l’onorevole Gahler sia in procinto di chiedere l’aggiunta di un emendamento orale al testo della risoluzione in maniera da poter proteggere in Iran gli interessi diplomatici degli Stati membri.

 
  
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  Michael Gahler (PPE).(DE) Signor Presidente, l’argomento è stato discusso con i gruppi. Leggerò rapidamente il testo in inglese:

(EN)“E’ preoccupato per la natura delle dimostrazioni che hanno avuto luogo davanti alle ambasciate degli Stati dell’Unione europea a Teheran il 9 febbario 2010, orchestrate dalla milizia Basij e invita le autorità iraniane ad assicurare la sicurezza delle missioni diplomatiche”.

 
  
 

(L’emendamento orale è accolto)

- Dopo la votazione

 
  
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  Lena Kolarska-Bobińska (PPE).(EN) Signor Presidente, a nome degli autori della risoluzione appena adottata sull’Iran, chiederei che i servizi parlamentari traducessero il testo in farsi in maniera che il regime e il popolo iraniani possano comprendere appieno il chiaro messaggio trasmesso oggi dal Parlamento europeo.

(Applausi)

 
  
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  Presidente. – Grazie collega per questo prezioso suggerimento che trasmetteremo agli uffici competenti.

 

9.7. Situazione nello Yemen (B7-0021/2010) (votazione)

9.8. Tratta di esseri umani (votazione)

9.9. Risultati del vertice di Copenaghen sul cambiamento climatico (B7-0064/2010) (votazione)
  

- Prima della votazione

 
  
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  Jo Leinen, a nome del gruppo S&D. – (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a seguito della deludente conclusione della conferenza sul clima di Copenaghen, il Parlamento si avvale di questa risoluzione per chiarire che non vi è alternativa alla protezione del clima e, in vista della prossima conferenza in Messico, dobbiamo intensificare e non ridurre l’impegno da noi profuso in tale ambito.

Sarò breve. L’emendamento n. 6 del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo aveva questo scopo. Essendo però stato formulato in maniera confusa lo ritiriamo. Appoggiamo nondimeno gli emendamenti nn. 1 e 9 del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici e del gruppo Verde/Alleanza libera europea, in cui si chiede all’Unione europea di impegnarsi maggiormente in vista dell’appuntamento in Messico. La protezione del clima non deve giungere a un punto di stallo. Chiederei pertanto il vostro sostegno.

 
  
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  Rachida Dati (PPE).(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, per quanto concerne l’emendamento n. 21 da me presentato, vorrei in primo luogo ringraziare i colleghi per avermi sostenuta nella presentazione di un emendamento che sancisce il principio dell’introduzione di una carbon tax ai confini dell’Unione europea.

Vorrei inoltre ribadire che quando parliamo ai cittadini dobbiamo esprimerci senza ambiguità: durante le campagne non possiamo dire che l’Europa li sta proteggendo e proteggerà le loro aziende e i loro posti di lavoro, per poi dimenticare l’impegno assunto una volta eletti. Vorrei semplicemente sottolineare che questo emendamento mi ha consentito di stimolare il dibattito, ed è per questo che ora intendo ritirarlo in maniera che il dibattito si sviluppi ulteriormente in sede di Consiglio.

 
  
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  Presidente. – L’emendamento è pertanto ritirato.

- Prima della votazione sull’emendamento n. 10

 
  
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  Satu Hassi (Verts/ALE).(EN) Signor Presidente, l’emendamento n. 10 presentato dai verdi non contrasta con l’emendamento n. 1. L’emendamento n. 1 ci esorta a innalzare il nostro livello di ambizione a più di 20. L’emendamento n. 10, il nostro, riguarda una chiarificazione delle condizioni a meno 40. L’emendamento n. 10 è dunque integrativo e non incompatibile con l’emendamento n. 1, ragion per cui dovrebbe essere votato.

 
  
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  Presidente. – I servizi non sono d’accordo sull’opinione che lei ha espresso, però io voglio chiedere al presidente della commissione competente qual è il suo avviso in merito.

 
  
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  Jo Leinen, a nome del gruppo S&D.(DE) Signor Presidente, concordo con la collega Hassi. E’ una nuova idea in merito alla quale dovremmo votare.

 

9.10. Promozione della buona governance in materia fiscale (A7-0007/2010, Leonardo Domenici) (votazione)

9.11. Parità tra donne e uomini nell’Unione europea — 2009 (A7-0004/2010, Marc Tarabella) (votazione)

9.12. Obiettivi prioritari della conferenza delle parti della CITES (votazione)
  

- Prima della votazione sull’emendamento n. 12

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE). (EN) Non abbiamo votato il testo originale.

 
  
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  Presidente. – Abbiamo approvato l’emendamento 7 e decade il paragrafo. Quindi, qualche volta ha ragione la Presidenza.

 
  
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  Gay Mitchell (PPE).(EN) Signor Presidente, potremmo ripetere la votazione visto che alcuni hanno pensato che il voto riguardasse l’articolo al quale faceva riferimento l’altro collega? Siamo qui per votare assolvendo il compito che ci è stato affidato alle elezioni o no? La prego di ripetere la votazione in maniera che l’Aula possa prendere la giusta decisione.

 
  
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  Presidente. – Non possiamo creare un precedente, i voti non si possono ripetere. Tra l’altro c’è uno scarto di 130 voti. Non è uno scarto minimo, non penso che si possano ribaltare e modificare i risultati del voto.

 

9.13. Relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Croazia (B7-0067/2010) (votazione)
  

- Prima della votazione sull’emendamento n. 35

 
  
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  Hannes Swoboda, autore. – (DE) Signor Presidente, dopo aver discusso la questione con l’onorevole Brantner del gruppo Verde/Alleanza libera europea, vorrei raccomandare di votare a favore della prima parte e contro la seconda, contrariamente alla lista che abbiamo predisposto.

 

9.14. Relazione 2009 sui progressi realizzati dall’ex Repubblica iugoslava di Macedonia (B7-0065/2010) (votazione)
  

- Prima della votazione sull’emendamento n. 18

 
  
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  Ulrike Lunacek, a nome del gruppo Verts/ALE. – (EN) Signor Presidente, questo emendamento si riferisce al fatto che il governo di Skopje ha presentato un progetto di legge contro la discriminazione che elimina l’orientamento sessuale dall’intero pacchetto. La decisione è semplicemente inaccettabile, ma non voglio dare a nessuno la possibilità di votare contro questo emendamento sui diritti umani appellandosi alla controversia sul nome in atto con l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia, per cui chiedo di sostituire all’espressione “governo macedone” l’espressione “governo dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia”.

 
  
 

(L’emendamento orale è accolto)

- Prima della votazione sull’emendamento n. 4

 
  
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  Zoran Thaler, autore. – (EN) Signor Presidente, nell’emendamento n. 4, contrariamente alla proposta di voto, suggerisco di votare contro in ragione dell’accordo con i colleghi greci.

 

9.15. Relazione 2009 sui progressi realizzati dalla Turchia (B7-0068/2010) (votazione)
  

- Prima della votazione sull’emendamento n. 13

 
  
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  Ria Oomen-Ruijten, autore. – (EN) Signor Presidente, vorrei semplicemente richiamare l’attenzione sul fatto che l’emendamento n. 20 al paragrafo 35 è ritirato.

 

10. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
  

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

Relazione van Nistelrooij (A7-0048/2009)

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, appoggio con convinzione la relazione del collega van Nistelrooij, cui vanno i miei complimenti.

In passato, attraverso alcune iniziative e interrogazioni, avevo chiesto la possibilità di utilizzare fondi dell’Unione europea a favore dell’housing sociale per quelle categorie più bisognose ed emarginate, che sono anche quelle categorie che gli enti locali fanno rientrare nelle graduatorie in base al reddito, come succede nelle grandi capitali e nelle grandi aree urbane.

L’alloggio, e in special modo l’alloggio per le fasce più deboli della società, è diventato una vera e propria emergenza per molte grandi città europee. Ritengo quindi che la relazione del collega van Nistelrooij vada nella giusta direzione, ma ritengo anche che sia auspicabile un successivo aumento delle risorse indirizzate alla risoluzione delle problematiche di emergenza legata all’housing sociale.

 
  
  

Relazione Alvarez (A7-0006/2010)

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D).(EN) Signor Presidente, ho appoggiato la relazione perché ritengo che rappresenti un passo avanti nella lotta alla frode e all’evasione fiscale su scala europea. Nonostante la volontà degli Stati membri di collaborare nel campo della fiscalità, non si sono conseguiti risultati tangibili e la frode fiscale resta a livelli estremamente elevati nell’Unione europea, il che implica fin troppe ripercussioni negative per le nostre economie e i nostri cittadini.

Apprezzo moltissimo i nuovi miglioramenti proposti, che auspicabilmente comporteranno risultati tangibili nella lotta alla frode e all’evasione fiscale, specialmente l’ampliamento del campo di applicazione della direttiva su tutte le imposte, tra cui i contributi previdenziali, lo scambio automatico di informazioni e una maggiore cooperazione tra Stati membri per quanto concerne la fiscalità.

 
  
  

Relazione Domenici (A7-0007/2010)

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Signor Presidente, vorrei intervenire in merito alla relazione Domenici per dire che vale la pena di sottolineare come abbiamo espresso un forte sostegno qui, a Strasburgo, alle misure per migliorare la trasparenza e la condivisione di informazioni in maniera che l’amministrazione fiscale negli Stati membri possa essere più efficiente. E’ un peccato che ci sia voluta una crisi economica per indurci a compiere tale passo. Il tallone di Achille è rappresentato dall’esistenza di paradisi fiscali in vari Stati insulari, diversi dei quali sono sostenuti da fondi comunitari. Spetta pertanto a noi confrontarci con la questione e far sentire tutto il peso dell’Unione europea. I tentativi compiuti da singoli Stati membri di stipulare accordi bilaterali non hanno portato ad alcun risultato concreto, come si evince da fatto che è costato ai 27 Stati membri il 2,5 per cento del loro PIL nel 2004.

 
  
  

Relazione Alvarez (A7-0006/2010)

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signor Presidente, il massimo vincolo per un governo è rappresentato dalla concorrenza esterna. Uno Stato può aumentare le imposte soltanto fino a un certo livello prima che il denaro inizi ad andare all’estero e le entrate a venir meno. Come ha teorizzato Milton Friedman, la concorrenza tra governi nell’erogazione dei servizi e i loro livelli di impostazione fiscale è produttiva quanto la concorrenza tra imprese e singoli. Per questo è così preoccupante vedere l’Unione europea orientarsi verso l’armonizzazione fiscale e l’esportazione di costi elevati da un paese all’altro.

Se è emerso un tema dalle recenti audizioni di nomina della Commissione, è stato il desiderio di un flusso di entrate dedicato per l’Unione europea e una misura dell’armonizzazione fiscale. Ciò spiega il motivo per il quale la quota del PIL mondiale dell’Unione europea sta calando, perché siamo passati dal 36 per cento 20 anni fa all’odierno 25 per cento e siamo destinati a raggiungere il 15 per cento nell’arco di un decennio.

La buona notizia è che l’elettorato non apprezza questa situazione. Come nel Massachusetts, gli europei non vogliono una fiscalità senza rappresentanza e sono certo che voteranno di conseguenza.

 
  
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  Syed Kamall (ECR).(EN) Signor Presidente, la maggior parte delle persone, pensando a questo argomento, direbbe che la cooperazione pare una cosa ragionevole. Chi potrebbe dissentire dalla cooperazione? Perlomeno finché non si analizzano i dettagli di ciò che spesso si intende quando si discute di cooperazione fiscale all’interno dell’Unione e a livello comunitario.

Prendiamo l’esempio di un paese audace come le isole Cayman. A differenza del sogno verde e socialista di mantenere poveri i paesi in via di sviluppo in modo da potervi mandare il nostro denaro destinato all’assistenza e sentirci sollevati dalla nostra colpa di bianchi borghesi, questo paese ha realmente cercato di sottrarsi alla povertà, non dipendendo da banane e zucchero, bensì da servizi di alto livello come quelli finanziari. In questo tentativo, però, le isole Cayman sono contestate da tutti gli europei, politici in prima fila. Il paese non evita la tassazione. Ciò che cerca di evitare è la doppia tassazione. I cittadini dei paesi europei ancora pagano tasse nei rispettivi Stati membri. E’ tempo di smetterla con questo imperialismo.

 
  
  

Relazione Stolojan (A7-0002/2010)

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signor Presidente, se dovessimo elencare i paesi con i cittadini più ricchi, gli Stati con il più alto PIL pro capite al mondo, resteremmo colpiti dal fatto che molti di essi sono estremamente piccoli. I primi 10 sono micro-Stati: Liechtenstein, Lussemburgo, Brunei, Jersey e così via.

Il primo grande paese a figurare nell’elenco dei più ricchi sono gli Stati Uniti grazie allo straordinario stratagemma in virtù del quale si governano come una confederazione di entità statali, devolvendo un’enorme autonomia legislativa e fiscale alle sue parti costitutive. Per questo è gravissimo aver sentito non più tardi di ieri il nuovo presidente del Consiglio europeo parlare della necessità di un governo economico europeo in risposta alla crisi finanziaria in Grecia. Proprio quando un governo diventa più grande e distante, diviene più inefficiente, dissipatore e corrotto. Se i colleghi dubitano di questa mia affermazione, suggerirei loro di guardarsi intorno.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0072/2010

 
  
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  Iva Zanicchi (PPE) . – Signor Presidente, onorevoli colleghi, il drammatico terremoto di Haiti non ha scosso violentemente solo il suolo di questo sfortunato paese, ma anche le coscienze di tutti noi.

L’interesse e la vicinanza della comunità internazionale al popolo di Haiti sono stati un importante esempio di solidarietà e umanità. L’Unione europea ha reagito prontamente a questa tragedia, prendendo impegni finanziari immediati a lungo termine per oltre 300 milioni di euro, ai quali vanno poi aggiunti oltre 92 milioni di euro già forniti dai singoli Stati membri.

In questo senso, tengo moltissimo a sottolineare la prontezza e l’efficacia degli aiuti italiani, fra cui l’invio della portaerei Cavour che, oltre ad aver messo a disposizione tutte le sue avanzatissime strutture sanitarie, ha anche trasportato ad Haiti 135 tonnellate di materiale fornito dal World Food Programme e 77 tonnellate di materiale della Croce Rossa Italiana.

Grazie signor Presidente, ci tenevo a sottolineare questo.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, 200.000 morti, 250.000 feriti gravi, 3 milioni di persone colpite direttamente dal sisma, oltre ai 2 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti alimentari: sono cifre enormi per la catastrofe immane che ha colpito Haiti.

L’Unione europea ha fatto la sua parte e la sta ancora facendo, è il più importante donatore internazionale. Tuttavia, devo sottolineare che l’Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera non si è recata immediatamente sul posto per coordinare i nostri aiuti. Avremmo preferito che la signora andasse con sollecitudine a fare il suo lavoro e che, ad Haiti, si fosse occupata lei di aiutare gli altri.

Il Ministro degli esteri italiano Frattini, tra le altre cose, ha proposto che il debito di Haiti, uno dei paesi più poveri al mondo, venga cancellato. Ora, io chiedo al Parlamento di sostenere questa proposta, all’Unione di farsene interprete e quindi di chiedere a tutti i paesi creditori di aderire alla proposta dell’Italia per cancellare i debiti di Haiti.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Signor Presidente, forse tardi, ma alla fine abbiamo adottato una risoluzione su misure specifiche per aiutare Haiti. E’ importante che tali misure si concentrino sulla ripresa a lungo termine di quest’isola drammaticamente impoverita. In quanto vicepresidente dell’assemblea ACT-UE responsabile dei diritti umani, ritengo importante che l’assistenza europea sia decisamente orientata verso la garanzia di cure sanitarie e istruzione a lungo termine per le migliaia di orfani direttamente ad Haiti. Dobbiamo inoltre prevenire il rischio di traffico di minori. Mi preoccupano tuttavia le notizie riportate oggi dai giornali secondo cui gli haitiani starebbero protestando perché, nonostante tutti gli sforzi, non hanno ancora una tenda in cui alloggiare o cibo e acqua a sufficienza. Sono altresì indignata per il fatto che l’alto rappresentante per gli affari esteri, baronessa Ashton, non abbia rinunciato al suo fine settimana per arrivare prima sull’isola. Non è un buon inizio per una migliore politica esterna dell’Unione dopo la ratifica del trattato di Lisbona.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, è estremamente importante che l’Unione europea, l’economia più grande del mondo, sia decisamente coinvolta nell’assistenza prestata alla zona calamitata di Haiti dopo il terremoto. E’ raro che terremoti come questo possano essere previsti. Sopraggiungono inaspettatamente. Di conseguenza, noi membri della comunità globale siamo di fatto chiamati a dare prova di solidarietà e interesse per esseri umani nostri fratelli.

Come dice un vecchio detto, siamo forti quanto il nostro anello più debole. Ora si misura anche la solidarietà dell’Unione. Dobbiamo dedicare grande impegno nel prenderci cura del nostro anello più debole, i nostri fratelli di Haiti, e garantire che l’assistenza prestata dall’Unione europea giunga a destinazione e sia efficace. L’efficacia dell’aiuto e dell’impegno economico sarà valutata rispetto a tali criteri.

Ovviamente anche gli Stati membri devono partecipare e vi partecipano, come molte comunità cristiane con contatti diretti a livello della base. Così facendo, possiamo assicurare che l’assistenza giunga a coloro che ne hanno bisogno.

 
  
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  Diane Dodds (NI).(EN) Signor Presidente, venerdì sarà trascorso un mese dal terremoto che ha devastato Haiti. Le vittime oggi stimate sono 230 000; 300 000 i feriti. Ciò dovrebbe indurci a fare quanto in nostro potere per garantire che ai sopravvissuti venga prestata assistenza per ricostruire la propria vita e il paese. Per questo ho appoggiato la risoluzione comune presentata, ma vorrei che fosse verbalizzata la mia opposizione al concetto di una forza di protezione civile europea.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signor Presidente, durante la discussione sulla presente risoluzione, ancora una volta abbiamo visto come il Parlamento innalzi il virtuale al di sopra del reale, il simbolico al di sopra dell’effettivo. Si è tanto parlato della necessità che l’assistenza ad Haiti fosse targata “Europa” e del bisogno di istituire il principio di una forza di protezione civile europea. La baronessa Ashton è stata molto criticata per la sua assenza, per non aver dato un volto europeo alle cose.

Nel frattempo, come è ovvio, gli americani hanno fornito assistenza concreta con straordinaria immediatezza. Qual è stato il ringraziamento? Sono stati accusati da un ministro francese di aver occupato il paese. E’ chiaro che per quest’Aula gli americani sbagliano sempre, qualunque cosa facciano. Se intervengono, sono imperialisti. Se non lo fanno, sono isolazionisti.

Personalmente vorrei prendere le distanze e domandare se l’Unione europea non ha forse preoccupazioni più pressanti e più vicino a casa che innalzare bandiere nei Caraibi. La Grecia è sull’orlo del crollo fiscale. Siamo in procinto di ordinare un’iniezione di liquidità in piena violazione dell’articolo 125 dei trattati. Quando avremo rimesso in ordine le cose da noi, probabilmente saremo in condizioni di dare lezioni ad altri.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0078/2010

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE). (SK) Signor Presidente, la situazione dei diritti umani in Iran continua a deteriorarsi, nonostante la risoluzione del Parlamento europeo del 22 ottobre sull’Iran che, a mio giudizio, non ha esercitato la necessaria pressione morale. Particolarmente sconvolgente e deprecabile, secondo me, è l’esecuzione di delinquenti minorenni. Sinora ne sono stati giustiziati circa 140 in Iran. Un caso recente, per esempio, è stato quello del diciassettenne Mosleh Zamani nel dicembre 2009.

Purtroppo sembra che vietare l’esecuzione di minori non sia una priorità politica sulla scena internazionale. L’Iran non subisce alcuna conseguenza per questa sua inveterata pratica spaventosa, nonostante il fatto che la Repubblica islamica dell’Iran sia firmataria della Convenzione sui diritti del fanciullo e della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici. Mi rivolgo pertanto all’Unione affinché compia passi specifici e decisi avvalendosi pienamente delle nuove possibilità previste dal trattato di Lisbona.

 
  
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  Marco Scurria (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei intervenire perché, come è già stato ricordato prima, l’ambasciata italiana e altre ambasciate sono state oggetto di attacchi ieri a Teheran.

Questo ci aiuta a dover prendere intanto in considerazione il fatto che questo Parlamento e l’Unione dovrebbero esprimere anche formalmente solidarietà al nostro paese e a tutti i paesi coinvolti in questo attacco. Tuttavia, siccome dovremmo anche dare dei segnali chiari, io chiedo ufficialmente che domani l’Europa non sia presente alle celebrazioni per l’anniversario della rivoluzione della Repubblica islamica e che questo sia un segnale chiaro che mandiamo alle autorità iraniane.

Lo dico anche in un giorno particolare per noi italiani, perché questa è la giornata del ricordo. È per questo che porto come tanti italiani – e mi auguro che anche lei Presidente possa portare – questa coccarda tricolore, per ricordare i tanti italiani che in questa giornata sono stati infoibati e sono stati costretti ad abbandonare le proprie terre.

In questo ricordo, vorrei che la nostra solidarietà a chi in questo momento lotta per la democrazia e per la libertà in Iran sia evidente. Vorrei quindi che le nostre autorità non vadano alle celebrazioni per l’anniversario della Repubblica islamica.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Signor Presidente, è importante aver dichiarato chiaramente attraverso il nostro voto odierno che insistiamo affinché il programma nucleare iraniano sia portato sotto il controllo internazionale, anche se il parlamento iraniano sta bloccando la ratifica del protocollo sulla non proliferazione delle armi nucleari. La presidenza del Consiglio deve garantire che la questione sia inserita all’ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio “sicurezza”. Accolgo con favore il consenso creatosi attorno all’idea che la baronessa Ashton protesti contro l’incidente avvenuto presso l’ambasciata italiana perché riguarda non solo l’Italia, bensì l’intera Unione. La nostra dichiarazione odierna dimostra anche che Commissione, Consiglio e Parlamento parlano all’unisono. Sono lieta che tutti conveniamo sul fatto che l’accordo commerciale con l’Iran debba essere subordinato a impegni in materia di sicurezza e diritti umani.

 
  
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  Salvatore Tatarella (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’assalto alle ambasciate europee, in particolare all’ambasciata italiana, e le minacce rivolte all’indirizzo del presidente del Consiglio italiano sono un fatto gravissimo che merita censura. Ancor più grave ci sembra la repressione sistematica di ogni opposizione all’interno dell’Iran, e ancor più grave ci sembra il progetto nucleare della Repubblica iraniana.

Tutto questo è stato possibile anche grazie all’atteggiamento attendista e troppo tollerante dell’Occidente. Oggi, dopo il fallimento anche della mano tesa del Presidente Obama, all’Occidente non resta che minacciare e attuare immediatamente un sistema di sanzioni che siano efficaci e gravi, seppur selettive per non colpire la popolazione.

So bene che la Russia e la Cina sarebbero contrarie alle sanzioni, però l’Unione europea deve fare ogni sforzo per convincere queste potenze ad accettare le sanzioni che sono l’alternativa all’opzione armata.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, è molto evidente che la situazione in Iran ha raggiunto il punto di crisi. Dalle elezioni presidenziali vi sono state dimostrazioni in cui l’opposizione è stata trattata con estrema durezza, i diritti umani sono violati e sussiste anche la minaccia delle armi nucleari, che rappresenta una grave minaccia in Medio Oriente, soprattutto per Israele, ma anche per l’intera Europa.

Sembrerebbe che nell’Unione siamo incapaci di parlare all’Iran. Forse è a causa delle differenze culturali, perché la teologia sciita e l’umanesimo europeo, il pensiero post-illuminista, sono decisamente agli antipodi. Stando così le cose, dobbiamo trovare una nuova via.

In ogni caso, però, dobbiamo essere chiari e difendere i valori europei anche nei nostri rapporti con gli iraniani. E’ inoltre necessario impegnarsi al massimo affinché l’Iran sappia quali sono le nostre regole del gioco: democrazia, diritti umani e libertà di parola. Avendo votato questa risoluzione, è estremamente importante che venga anche tradotta in farsi e arabo, le principali lingue parlate in loco, in maniera che tutti possano comprendere il regime e gli orientamenti che l’Unione intende stabilire nella regione.

 
  
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  Ryszard Czarnecki (ECR).(PL) Signor Presidente, ho avallato la risoluzione sull’Iran consapevole del fatto che il paese rappresenta uno dei problemi più gravi e delle sfide più impegnative per il mondo e per l’Europa. Nel contempo, però, non ho appoggiato gli emendamenti proposti alcuni nostri colleghi che volevano identificare l’Iran come nemico dell’Occidente. Dovremmo prendere atto della grande cultura e storia di questo paese. Le attuali autorità in Iran forse stanno negando questa grande storia e cultura, ma dovremmo considerare le future autorità iraniane un partner. Continuiamo a ricevere informazioni su ulteriori esecuzioni e condanne a morte. Dobbiamo dar prova di una solidarietà umana fondamentale nei confronti di coloro che vogliono un Iran migliore, un Iran che sarà partner dell’Occidente, non nemico.

 
  
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  Gianni Vattimo (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, volevo dichiarare che mi sono astenuto nella votazione della risoluzione sull’Iran per due motivi principali.

Il primo motivo è di carattere specifico. Nella risoluzione si dà come ovvio che le elezioni che hanno dato la vittoria ad Ahmadinejad siano state fraudolente. Tutto questo non è assolutamente provato e, per giunta, ancora di recente un uomo come il Presidente Lula ha dichiarato di trovare queste cose ridicole.

Il secondo motivo è che l’Iran è sotto minaccia di interventi militari continui da parte degli Stati Uniti e di Israele, e noi non ricordiamo neanche questo. Mi pare che una risoluzione equilibrata, favorevole alla pace in quella regione, non dovrebbe avere questo tono di legittimazione anticipata della guerra imminente.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0029/2010

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE).(ET) Signor Presidente, ho appoggiato la risoluzione in discussione perché ritengo che l’attuale quadro legislativo dell’Unione sul traffico di esseri umani non sia molto efficiente e non sia stato adeguatamente attuato. Dobbiamo affrontare il tema ripetutamente.

E’ deplorevole il fatto che la gravità del fenomeno del traffico di esseri umani non sia stata compresa dai parlamenti di 16 Stati membri tra cui, mi corre l’obbligo di rammentarlo, il mio stesso paese, i quali non hanno ritenuto necessario ratificare e adottare la convenzione del 2005 del Consiglio sulla tratta degli esseri umani. Spero che la risoluzione da noi adottata in data odierna trasmetta un segnale e ricordi loro quanto è importante concentrarsi sulla lotta al traffico di esseri umani ed evitare altre vittime.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Signor Presidente, vorrei cogliere l’opportunità per lodare il lavoro delle colleghe Bauer e Busuttil, che hanno negoziato con difficoltà compromessi consentendomi di votare a favore della relazione e sono lieta che anche i socialisti abbiano tenuto fede alla parola data. La relazione ora risponde anche ai temi sensibili contenuti nel programma del PPE, come il sostegno a quanti forniscono assistenza a persone lungo il confine in merito al loro sfruttamento a fini commerciali e anche una definizione delle condizioni per rilasciare permessi di soggiorno, assicurare l’accesso al mercato del lavoro e promuovere il ricongiungimento familiare.

 
  
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  Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE).(PL) Signor Presidente, viviamo nel XXI secolo e ci consideriamo nazioni civilizzate, ma il problema della tratta degli esseri umani resta irrisolto e, al contrario, si aggrava. Le vittime di tale traffico sono soprattutto donne e bambini. La punizione che può essere inflitta ai criminali non è abbastanza severa da fungere da deterrente dissuadendoli dallo svolgere un siffatto genere di attività. L’Europa deve intraprendere azioni più risolute per arginare questa pratica vergognosa. Appoggio pertanto la risoluzione che chiede lo sviluppo di strumenti efficaci per la lotta contro tale fenomeno e un miglior coordinamento dell’azione tra Stati membri e gli organi operativi competenti dell’Unione europea nella speranza di conseguire effetti salutari.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, il traffico di esseri umani è sempre un atto contro l’umanità. E’ importantissimo che noi in Europa compiamo passi tangibili per contrastarlo.

Naturalmente ho votato a favore della risoluzione, ma mi preoccupa ciò che significherà nella pratica. Non sarà forse che con questa risoluzione ci stiamo mettendo in pace la coscienza? Non deve essere così: abbiamo bisogno di agire concretamente.

La tratta degli esseri umani è anche tuttora un grave problema all’interno dell’Unione europea. Dobbiamo compiere ogni sforzo possibile per lottare contro il fenomeno, che colpisce principalmente donne e bambini. Al riguardo spero che l’Unione europea e anche gli Stati membri attuino misure concrete e inizino ad agire. Come ho affermato poc’anzi, il traffico di esseri umani è sempre contro l’umanità, e la dignità umana è un valore che non può essere oggetto di compromessi. Noi, come europei, siamo chiamati a difenderlo, in ogni circostanza.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0064/2010

 
  
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  Marisa Matias, a nome del gruppo GUE/NGL. – (PT) Signor Presidente, vorrei dire che avremmo apprezzato moltissimo che si fosse adottata una risoluzione più forte su Copenaghen rispetto a quella che oggi abbiamo votato. Abbiamo nondimeno votato a favore perché riteniamo che sia fondamentale per il Parlamento esprimere la sua profonda delusione per l’accordo emerso da Copenaghen, accordo che non è vincolante, benché vi sia un impegno implicito o esplicito da parte nostra a renderlo tale entro l’anno in corso. Il problema però si sta aggravando, il tempo passa e dobbiamo onorare la nostra dichiarazione di impegno.

Per questo motivo, mi rivolgerei all’Unione europea affinché smetta di usare gli altri come pretesto. E’ molto facile astenersi dall’agire perché altri non fanno nulla. Abbiamo assunto invece una posizione forte e da quella dobbiamo procedere. Addurre scuse è un atteggiamento irresponsabile e indifendibile. Vi sono molte cose che possiamo fare per mantenere tale posizione. Una di queste potrebbe consistere nel ridefinire il bilancio dell’Unione per garantire nostri fondi per combattere il cambiamento climatico, cosa che finora non è stata. Un altro passo potrebbe consistere nello stanziare ulteriori fondi per aiutare i paesi in via di sviluppo, anziché abolire o ridurre gli aiuti umanitari esistenti. Altrimenti si tratterà di un cinico tentativo di rispondere ai problemi del cambiamento climatico scatenando e ignorando contemporaneamente altri problemi che ne metteranno a repentaglio la sopravvivenza. Non è possibile risolvere ulteriori problemi senza ulteriori risorse.

Abbiamo pertanto bisogno di assumere un impegno e non possiamo più permetterci di attendere per farlo. Abbiamo assunto una posizione ferma a Copenaghen. Teniamo fede all’impegno assunto perché si tratta di persone reali e problemi concreti che dobbiamo affrontare adesso. Per questo oggi qui ci stiamo assumendo tale responsabilità.

 
  
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  Alajos Mészáros (PPE).(EN) Signor Presidente, colgo l’opportunità per sostenere la risoluzione.

Il vertice di Copenaghen è stato una delusione sotto molti profili. L’Unione europea non è riuscita soprattutto a dimostrare un approccio efficiente e unito per trattare la questione del cambiamento climatico né a rafforzare la sua leadership politica al riguardo. Ritengo pertanto che l’adozione dell’odierna risoluzione sia un atto della massima importanza per dare prova dell’immutato spirito e dell’incrollabile determinazione dell’Unione come forza trainante a livello mondiale nella lotta al cambiamento climatico. Dobbiamo valorizzare e promuovere ulteriori attività volte ad affrontare la questione del cambiamento climatico.

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signor Presidente, personalmente credo che sia completamente sbagliato concentrarsi sulla riduzione delle emissioni di CO2 nella lotta al cambiamento climatico. In primo luogo, molti dimenticano che la ricerca sulle cause del cambiamento climatico è ancora agli albori; in secondo luogo, è completamente scorretto e scientificamente infondato definire il cambiamento climatico come fenomeno generato da una sola causa. Ciò significa che concentrarsi unicamente sul CO2 non renderà il mondo un posto migliore.

Ritengo invece importante concentrare la nostra attenzione sul risparmio delle risorse. Ridurre il consumo di combustibili fossili e sfruttare maggiormente le materie prime e le energie rinnovabili limiterà il nostro impatto sull’ambiente, migliorerà l’efficienza e creerà un mondo migliore per i nostri figli e nipoti. Un uso più efficiente e sostenibile delle risorse è un approccio decisamente più prezioso per noi, la nostra società e l’ambiente rispetto alla semplice riduzione delle emissioni di CO2, prescindendo dal costo.

 
  
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  Anja Weisgerber (PPE).(DE) Signor Presidente, come è stato già sottolineato, i negoziati sul clima di Copenaghen sono stati deludenti per l’Unione europea. Il risultato è stato distante dalla posizione comunitaria e da quella che dobbiamo assumere per salvaguardare il clima. L’unico aspetto positivo è rappresentato dal riconoscimento dell’obiettivo dei due gradi perché potrebbe portare ai necessari impegni di riduzione.

Ora dobbiamo chiederci che cosa possiamo imparare dall’insuccesso dei negoziati e come dovremmo procedere. E’ importante che vi sia un periodo di riflessione per esaminare in maniera critica i vari punti lungo il cammino che abbiamo seguito. Dobbiamo domandarci come possiamo progredire insieme ad altri Stati. Come possiamo garantire che l’Unione sia anch’essa presente al tavolo negoziale quando Stati Uniti, Cina e India si riuniranno per giungere a un compromesso? Come possiamo negoziare in maniera più efficace con i paesi in via di sviluppo e le economie emergenti? E’ essenziale che tali negoziati abbiano luogo sotto l’egida delle Nazioni Unite?

Infine, vorrei concludere dicendo quanto sono lieta per il fatto di aver potuto votare la risoluzione perché a mio parere essa continua a sottolineare il ruolo pionieristico svolto dall’Unione europea. Adesso dobbiamo rispondere ai quesiti che ponevo poc’anzi e proseguire il nostro cammino a livello sia interno sia internazionale.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Signor Presidente, il progetto di risoluzione riguardante l’esito del vertice di Copenaghen sul cambiamento climatico è stato il risultato del lavoro approfondito svolto dai membri di diverse commissioni ed è legato alla strategia a lungo termine di una vera politica verde per onorare gli obiettivi economici dell’Unione in un mondo globalizzato. Devo però protestare contro la serie di proposte di emendamento irresponsabili formulate da socialisti e verdi, specialmente per quanto concerne i tentativi di incrementare gli obiettivi a lungo termine concordati per le riduzioni delle emissioni al 40 per cento, il divieto al nucleare o la tassa transitoria europea per il cambiamento climatico. Non apprezzo neanche il fatto che il gruppo ERC sminuisca la questione del cambiamento climatico e mi irrita l’assurdo atteggiamento critico nei confronti del primo ministro danese, anziché ringraziarlo per l’accurata preparazione del vertice di Copenaghen.

 
  
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  Albert Deß (PPE).(DE) Signor Presidente, ho votato contro la proposta di risoluzione perché a mio parere mancano alcuni elementi determinanti. Di recente vi sono state sempre più segnalazioni di dati falsi forniti da esperti di clima. E’ importante che ne discutiamo e che le nostre opinioni siano rese note.

Per garantire che non vi siano equivoci, vorrei spiegare che da molti anni mi adopero per ridurre l’uso da parte nostra dei combustibili fossili e, di conseguenza, il nostro impatto sull’ambiente. Non comprendo tuttavia l’allarmismo associato all’espressione “cambiamento climatico”. Ho maturato una grande esperienza nella mia lunga carriera di politico. All’inizio degli anni Ottanta, si diceva che in Germania nel 2000 non sarebbe rimasto un solo albero, mentre la Germania non è mai stata così verde. E’ vero che il clima sta cambiando, ma ciò è accaduto nel corso di tutta la storia e continuerà ad accadere in futuro. Per questo ho votato contro la proposta di risoluzione.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signor Presidente, in occasione della sua prima conferenza stampa dopo la nomina a presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy ha celebrato il fatto che il 2009 era stato il primo anno di governo globale e ha fatto espressamente riferimento al vertice di Copenaghen come passo verso la gestione economica globale del nostro pianeta.

E’ un peccato che alcune persone stiano cavalcando l’agenda ambientale come mezzo per fare avanzare una diversa un’agenda, un’agenda fondata essenzialmente sul desiderio si strappare il potere ai politici nazionali eletti e concentrarlo nelle mani delle tecnocrazie internazionali.

La tragedia non sta soltanto nel fatto che diventiamo meno democratici: sta piuttosto nel fatto che perdiamo il consenso che avremmo potuto coagulare per affrontare i problemi ambientali. Sinistra o destra, conservatori o socialisti, tutti possiamo concordare sull’idea che vogliamo una diversità di approvvigionamento energetico e non vogliamo inquinanti iniettati nell’atmosfera, ma viene attuata soltanto una serie di politiche, quelle ispirate allo statalismo e al corporativismo; si applicano cioè all’ambiente le stesse politiche che di fatto socialmente e politicamente hanno fallito. L’ambiente è nel complesso troppo importante per essere lasciato alla sinistra.

 
  
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  Syed Kamall (ECR).(EN) Signor Presidente, ascoltando la discussione in Parlamento ci rendiamo conto come molti colleghi lamentino il fatto che l’Unione europea non è stata ascoltata nei recenti dibattiti a Copenaghen.

Forse dovremmo analizzare il motivo di tale esito. Pensiamo al nostro comportamento qui, nel Parlamento europeo. Tanto per iniziare, abbiamo due sedi parlamentari. Veniamo a Strasburgo, per cui teniamo questo edificio acceso e riscaldato anche quando non ci siamo. Manifesta ipocrisia! Quanto al regime delle spese, è un regime che incoraggia gli europarlamentari a prendere taxi e macchine con autista perché se si prende un mezzo pubblico non sia ha diritto ad alcun rimborso. Ipocrisia! Passando di sera davanti alle sedi del Parlamento, ci accorgiamo che sono illuminate a giorno, senza attuare alcuna forma di risparmio. La nostra politica agricola comune, che molti deputati in questa sede sostengono, non soltanto danneggia le economie dei paesi in via di sviluppo, bensì anche lo stesso ambiente.

Pertanto, prima di rivolgerci al resto del mondo, è tempo di rimettere in ordine a casa nostra.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE).(FI) Signor Presidente, ho appoggiato l’emendamento n. 43, in cui tutti sono esortati a prendere atto dei recenti scandali a livello climatico, scandali che sono molto più gravi in termini di conseguenze di quanto quest’Aula vorrebbe credere. Dobbiamo poter commissionare una ricerca scientifica indipendente, altrimenti non avremo basi per elaborare le nostre politiche.

Mi sono occupata di cambiamento climatico per tutti i dieci anni della mia carriera parlamentare. Ho attivamente ricercato una politica in materia di clima per l’Europa attraverso una normativa sullo scambio di emissioni, che non fosse soltanto ambiziosa, bensì anche razionale, in maniera da non limitarci a spostare le emissioni da un luogo a un altro. Ora la nostra strategia è burocratizzata e inefficace: non stiamo agendo come pionieri e non dovremmo proseguire lungo il vecchio cammino.

Il peggio è che l’Unione europea non segue ciò che adesso sta accadendo nell’ambito della ricerca sul clima. Abbiamo elaborato soluzioni da panico sulla base di informazioni distorte. Le false dichiarazioni contenute nella relazione del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico rappresentano un problema così grave che dovremmo chiedere le dimissioni di Rajendra Pachauri dall’incarico di responsabile del gruppo e rivalutare ciò che sappiamo in merito all’evoluzione del cambiamento climatico in rapporto all’attività umana e all’efficacia delle nostre azioni politiche al riguardo.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI).(FR) Signor Presidente, la risoluzione del Parlamento dimostra che in tale ambito, come in molti altri, la nostra istituzione non ha assolutamente alcun potere di giudizio per quanto concerne i dogmi che ci assalgono.

Molti esperti ritengono infatti che la famosa curva esponenziale del riscaldamento globale a “stecca da hockey” sia in realtà una costruzione grafica. I ghiacciai non si stanno sciogliendo ovunque. In ogni caso, contrariamente a quanto dichiarato dal gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, non si stanno sciogliendo in Himalaya. I livelli dell’acqua non sono in procinto di aumentare e inondare il Bangladesh, al contrario! Il delta del Gange si sta innalzando a causa di depositi alluvionali. Gli orsi bianchi, dei quali si teme l’estinzione, non sono mai stati così prolifici come lo sono adesso. L’alternanza tra periodi caldi e freddi si è verificata varie volte nella nostra storia, anche abbastanza di recente, prescindendo dall’attività umana. E’ un fenomeno di origine probabilmente astronomica, non causato dai cosiddetti gas a effetto serra.

Fino a che tutti questi interrogativi non avranno trovato risposta, possiamo soltanto ritenere che si tratti di un colossale dogma ideologico architettato per giustificare l’introduzione di un governo mondiale.

 
  
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  Giommaria Uggias (ALDE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei motivare il voto sull’emendamento 12 per affermare con chiarezza che l’Italia dei Valori è contraria alla produzione di energia nucleare.

Su questo tema delicato ci siamo già schierati in campagna elettorale, inserendo tale tema nel nostro programma. Da ultimo, stiamo perseguendo concretamente questo obiettivo attraverso un atto significativo che abbiamo affermato durante il nostro recente congresso in Italia. Abbiamo lanciato una grande battaglia per promuovere un referendum popolare contro una legge del governo italiano che sovverte la maggioranza delle espressioni di voto che gli italiani hanno già pronunciato con un referendum popolare.

Lo facciamo perché vogliamo un futuro pulito, con energie rinnovabili, basato sulle energie solari e sull’eolico. Lo facciamo soprattutto perché, come stavo dicendo prima, noi vogliamo che venga affermata la volontà degli italiani e non di una minuta minoranza oggi seduta nel Parlamento italiano.

 
  
  

Relazione Domenici (A7-0007/2010)

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signor Presidente, proprio nel momento in cui la buona gente nel Massachusetts votava contro l’eccessiva tassazione e l’eccessivo governo, i nostri stessi commissari promuovevano i loro piani per armonizzare la tassazione nell’Unione europea e creare un flusso di entrate distinto per Bruxelles. Come spiegare questa differenza tra le due Unioni?

Sembra che la spiegazione vada ricercata nel DNA che sta alla base dei due sistemi politici. Gli Stati Uniti sono stati fondati a seguito di una rivolta popolare contro un governo distante e autocratico e contro una tassazione vessatoria, mentre, come è ovvio, l’Unione europea, alla prima riga del primo articolo del suo trattato costitutivo, si impegna a creare un’unione sempre più stretta. Nel farlo, si contrappone con determinazione alla concorrenza, la curva esterna, che rappresenta il principale vincolo imposto a un governo. Per questo ora, agendo secondo le sue dottrine costitutive, assistiamo a questa intolleranza nei confronti della concorrenza fiscale mascherata da attacco ai paradisi fiscali, che di fatto sono giurisdizioni con un sistema più efficiente in grado di mantenere le imposte più basse. La realtà è che la concorrenza fiscale, i paradisi fiscali se insistete nel definirli così, rappresentano il principale mezzo per mantenere il governo piccolo e il cittadino grande e libero.

 
  
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  Syed Kamall (ECR).(EN) Signor Presidente, a questo punto occorre chiedersi: perché tutta questa attenzione per le questioni fiscali, la cooperazione fiscale e il governo fiscale?

Per trovare una risposta, è sufficiente analizzare le prove fornite da alcuni Stati membri. Abbiamo paesi che hanno accumulato un indebitamento consistente. Nel mio stesso paese, il governo britannico ha speso denaro che non ha e ora deve ripianare un notevole deficit di bilancio. Anche prima della crisi finanziaria, avevamo paesi che, come è noto, non riscuotono imposte sufficienti per coprire i servizi pubblici necessari ai loro cittadini. Spendiamo inoltre il denaro dei contribuenti per supportare imprese fallite e mal amministrate, per non parlare delle banche mal gestite.

Per cui, in realtà, che cosa dovremmo fare? Dovremmo in primo luogo incentivare una soluzione per tutti i problemi a cui ho appena accennato, ma dovremmo anche non dimenticare mai che la concorrenza fiscale è un ottimo strumento in quanto incoraggia i governi a usare meno denaro dei cittadini fornendo loro servizi più efficienti.

 
  
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  Vicky Ford (ECR).(EN) Signor Presidente, oggi il nostro Parlamento ha votato un documento sulla frode e l’evasione fiscale, documento che non aveva l’appoggio del mio gruppo. Sebbene sia personalmente favorevole a molte misure suggerite per fermare la frode e l’evasione fiscale, il documento si è spinto ben oltre, destando tre principali preoccupazioni.

In primo luogo, il fatto di agire contro coloro che commettono frodi non può essere sfruttato subdolamente da quanti vogliono rafforzare l’armonizzazione fiscale in tutta Europa per chi tra noi paga onestamente le tasse. Da tempo il Parlamento difende il diritto degli Stati membri di stabilire autonomamente le aliquote per le imposte sulle persone giuridiche e dovremmo continuare a farlo.

In secondo luogo, il documento ipotizza un tributo europeo in determinati ambiti della fiscalità. Noi personalmente ci siamo opposti ai progetti di imposta comunitaria allorquando sono stati sottoposti a questo Parlamento.

Il terzo aspetto riguarda la condivisione di informazioni. Indubbiamente dovremmo condividere alcune informazioni, ma dovremmo sempre valutarne portata, finalità e vantaggi, ricordando che non tutte le circostanze sono identiche.

 
  
  

Relazione Tarabella (A7-0004/2010)

 
  
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  Astrid Lulling, a nome del gruppo PPE. – (FR) Signor Presidente, è un peccato che una maggioranza entusiasta della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere si stia adoperando tanto per sovraccaricare la nostra posizione in merito alla relazione annuale della commissione sull’uguaglianza di genere tra uomini e donne nell’Unione europea con considerazioni e richieste controproducenti per le donne e pregiudizievoli, tra l’altro, per le loro opportunità di occupazione.

Sebbene alcune considerazioni siano sicuramente animate da buone intenzioni, non dimentichiamo che troppa protezione distrugge ogni forma di protezione. Tuttavia, l’ostacolo insormontabile per il mio gruppo è stato nuovamente il diritto al libero aborto sociale, che viene presentato come facile metodo per il controllo delle nascite.

Il nostro gruppo non dissente dall’osservazione che le donne devono avere il controllo dei propri diritti in materia di sessualità e procreazione. Noi riteniamo peraltro che le giovani in particolare debbano essere maggiormente informate nel campo della salute sessuale e riproduttiva. Nondimeno, chiedere nella stessa frase “un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto” dimostra che gli autori del testo non operano la distinzione essenziale tra i due servizi e non li pongono sullo stesso piano rispetto al controllo delle nascite. Con questo siamo in disaccordo.

Inoltre, alla luce del principio della sussidiarietà, la normativa nel campo dell’aborto legale è responsabilità degli Stati membri. Non è dunque nostro compito, nell’Unione, interferire nella questione. Abbiamo profuso grande impegno per pervenire a un consenso con l’autore della relazione, onorevole Tarabella, e lo abbiamo fatto nell’interesse nella lotta contro ogni forma di discriminazione non ancora eliminata.

Mi duole che una maggioranza della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, e anche purtroppo del Parlamento, abbia cercato di istigare controversie politiche e ideologiche anziché concentrarsi su quello che avrebbe dovuto essere il principale obiettivo delle nostre attività: adoperarsi per giungere alla parità di trattamento e opportunità per uomini e donne. Mi dispiace che, per questi motivi, il mio gruppo non abbia potuto votare a favore della relazione.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE).(PL) Signor Presidente, anch’io ho votato contro la relazione, e l’ho fatto nonostante sia un sostenitore dell’uguaglianza di genere. Non posso tuttavia accettare che l’aborto nella relazione venga trattato come diritto specificamente interpretato e, come affermava l’onorevole Lulling, un metodo per il controllo delle nascite. Nel mio paese, l’aborto non è inteso in questa maniera. Sono persuaso che il modo in cui vediamo l’aborto sia una questione interna. E’ anche pericoloso che la relazione violi il principio della sussidiarietà, e lo fa su un tema delicato.

 
  
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  Elżbieta Katarzyna Łukacijewska (PPE).(PL) Signor Presidente, la parità tra donne e uomini è un tema importante. Molto è stato conseguito al riguardo, ma vi sono ancora ambiti in cui le donne sono trattate peggio degli uomini. Le donne guadagnano ancora meno, sono maggiormente a rischio di povertà e per loro è più difficile sviluppare una carriera accademica o imprenditoriale. La relazione del Parlamento prende atto di questi problemi e sottolinea la necessità di introdurre misure specifiche per garantiscano l’uguale partecipazione di uomini e donne al mercato del lavoro e all’istruzione.

Mi dispiace di non aver potuto, purtroppo, appoggiare la proposta. Ho votato contro la relazione perché contiene disposizioni volte a rendere l’aborto generalmente disponibile nell’Unione europea. In primo luogo, la decisione in tali ambiti è a mio avviso appannaggio esclusivo degli Stati membri. In secondo luogo, la questione delle gravidanze indesiderate è un grave problema, ma non possiamo introdurre una normativa che tratti l’aborto come libero mezzo contraccettivo, come neanche concordo sul fatto che l’aborto possa esimere l’individuo dal riflettere sulle conseguenze e le responsabilità associate al fatto di divenire sessualmente attivi. Penso che la vita umana meriti di meglio.

 
  
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  Tiziano Motti (PPE) . – Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi abbiamo inteso rafforzare il ruolo della donna nella nostra comunità.

Questa risoluzione ha molti punti che mi trovano ovviamente concorde e devo dire che molti assorbono la mia attività politica personale, soprattutto se parliamo dell’accesso al mondo del lavoro e della tutela delle donne da qualsiasi forma di violenza.

Tuttavia, non posso non evidenziare che questa risoluzione è diventata anche un minestrone in cui un abile cuoco ha tentato di cucinare – anzi, ha cucinato – ingredienti molto diversi. Mi spiego meglio: si è parlato di violenza, di tutela contro la violenza e si è messo poi in un’unica riga la contraccezione e l’interruzione di gravidanza, l’aborto, due temi che sono in realtà molto distanti e sui quali devono essere fatte riflessioni molto diverse. Sull’aborto, per esempio, si richiama l’attenzione e la riflessione sulla sacralità della vita.

Questa scelta non mi ha permesso di votare positivamente la risoluzione e mi sono dovuto astenere. Credo che questa fine strategia per ottenere un consenso politico e anche mediatico non faccia il reale interesse delle donne europee.

 
  
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  Siiri Oviir (ALDE).(ET) Signor Presidente, diversamente dai colleghi che mi hanno preceduta, sono stata tra i 381 parlamentari che hanno sostenuto l’adozione di questo testo, un numero pari al decuplo dei membri della nostra commissione per i diritti della donna. Pari diritti, pari opportunità e uguaglianza tra i generi nella vita quotidiana sono sicuramente nel nostro interesse. Pari diritti per donne e uomini non è un fine in sé, bensì un prerequisito per raggiungere gli obiettivi generali dell’Unione europea e un uso razionale del nostro stesso potenziale.

Il fatto che a questo punto discutiamo l’argomento da 40 anni indica chiaramente quanto complesso e sfaccettato sia il tema e quanto necessaria sia una politica integrata per risolvere tali questioni. Spero che questa non sia un’altra strategia sulla carta, per cui vorrei ribadire ciò che è stato sottolineato anche nella relazione, vale a dire l’importanza dell’attuazione e della supervisione.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Signor Presidente, neanch’io ho votato per la relazione controversa e squilibrata dell’onorevole Tarabella sull’uguaglianza di genere e mi dispiace che, eccettuati i parlamentari del PPE, 381 deputati abbiano votato a suo favore. Forse non l’hanno letta. In diverse proposte, la relazione interferisce con i poteri esclusivi degli Stati membri, specialmente per quanto concerne le politiche pro-famiglia e gli ambiti eticamente sensibili. Inoltre, realmente vogliamo creare e finanziare una qualche nuova istituzione per monitorare la violenza ai danni delle donne nell’Unione? Realmente non sappiamo che l’Unione dispone di strumenti, un ufficio e una normativa per verificare il rispetto dei diritti umani, sia delle donne sia degli uomini? Realmente crediamo di avere bisogno di una carta dei diritti della donna in aggiunta alla carta dei diritti fondamentali di tutti i cittadini europei, già adottata e vincolante? La relazione fa anche riferimento ai cosiddetti obiettivi di Barcellona, sebbene questi siano contrari alle raccomandazioni di esperti perché nella prima infanzia i bambini hanno bisogno di cure familiari continue, non di essere depositati in asili nido sulla base delle raccomandazioni di Barcellona. Gli asili nido dovrebbero rappresentare soltanto l’ultima risorsa. Le raccomandazioni contenute nella relazione potranno non essere vincolanti, ma la stupidità umana è contagiosa e pertanto il Parlamento non dovrebbe appoggiare queste scelte. Vi sono state soltanto 75 astensioni e mi compiaccio per il fatto che 253 membri del PPE abbiano votato contro la relazione.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signor Presidente, il trattato di Roma contiene una frase sull’argomento, laddove sancisce la “parità delle retribuzioni fra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro”, una frase che non presenta alcuna ambiguità. Noi tutti riteniamo di capire ciò che significa.

Ciò che tuttavia è accaduto nei decenni successivi è che, attraverso un processo di attivismo giudiziario, la Corte europea ha progressivamente esteso il significato di tale frase oltre qualunque ipotesi di una persona ragionevole. In primo luogo, essa ha stabilito che “parità delle retribuzioni” significa parità di diritti pensionistici, parità di ferie, eccetera. Dopodiché essa ha stabilito che “parità di lavoro” significa lavoro di valore equivalente. Come può un datore di lavoro giudicarlo? Dipende dall’impegno con il quale si lavora? Occorre tenere presente la disponibilità di richiedenti opportunamente qualificati? Nel caso South-West Trains in Gran Bretagna si è poi esteso il concetto ai diritti dei coniugi di unioni omosessuali. Ora parliamo di diritti in materia di procreazione.

Vi è un’argomentazione a favore di tutto questo. Si può assumere il punto di vista che lo Stato non dovrebbe regolamentare i contratti tra datori di lavoro e dipendenti, oppure si può ritenere che tale normativa sia necessaria. Tuttavia, prescindendo dalla posizione per la quale si propende, certamente è un’argomentazione che avrebbe dovuto essere formulata da rappresentanti eletti, che possono votare pro e contro. E’ oltraggioso che ci sia imposta da un tribunale. Un tribunale con una missione è una minaccia; una corte suprema con una missione è una tirannia.

 
  
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  Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE).(PL) Signor Presidente, anche il mio cognome, Skrzydlewska, è molto difficile, ma sono abituata al fatto che molti non sono in grado di pronunciarlo correttamente.

Durante l’odierna votazione ci siamo espressi sulla relazione riguardante l’uguaglianza tra donne e uomini nell’Unione europea nel 2009. Nondimeno, tra le disposizioni riguardanti i problemi associati alla discriminazione ai danni delle donne e la loro situazione più ardua sul mercato del lavoro, ve ne erano alcune che esortavano gli Stati membri ad agevolare l’accesso universale all’aborto e ai servizi correlati alla salute sessuale e riproduttiva. Vorrei sottolineare che tutto ciò che riguarda l’aborto va deciso dai singoli Stati membri. Pertanto, nel voto finale mi sono schierata contro la relazione perché ritengo che, combattendo per il diritto a un pari trattamento per donne e uomini, tale diritto non debba essere subordinato a scelte legate a questioni sessuali.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE).(DE) Signor Presidente, sono molto lieto che noi del gruppo del partito popolare europeo (democratici-cristiani) e dei democratici europei abbiamo votato contro questa deplorevole relazione ideologica presentata da socialisti, verdi e, in particolare, liberali. Si tratta di un attacco al diritto alla vita di un feto e al principio della sussidiarietà. Sono soprattutto indignato per il modo in cui i liberali sono diventati i tirapiedi della sinistra agendo contro il principio della sussidiarietà.

Questo tipo di relazione nuoce alla nostra accettazione da parte dei cittadini e dei paesi candidati. Anche alcuni elementi ideologici riguardanti la Croazia e la Macedonia nelle relazioni di valutazione ci stanno arrecando danno. Per questo dobbiamo spiegare chiaramente alla gente il significato dell’acquis communautaire, in merito al quale sono assolutamente favorevole, delle responsabilità dell’Unione e di un pericoloso nonsenso ideologico. Per richiamarmi alla metafora del collega italiano: siamo ovviamente a favore del minestrone, ma contrari a che vi si aggiunga cianuro.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0069/2010

 
  
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  Daniel Hannan (ECR).(EN) Signor Presidente, vorrei raccontarvi la storia di due paesi africani. Nel 1978, il Kenya ha vietato la caccia agli elefanti, decisione seguita da una distruzione pressoché totale dei branchi di elefanti in Kenya. Grossomodo negli stessi anni, era il 1979, in Rhodesia, come ancora veniva chiamata, gli elefanti sono stati dichiarati appartenenti al terreno sul quale si muovevano, prescindendo da chi ne fosse il proprietario. Risultato? Numericamente gli elefanti sono esplosi.

Noi in quest’Aula non vediamo l’elefante come lo vedono gli africani. Noi non siamo minacciati dall’elefante; l’elefante non calpesta i nostri raccolti, non distrugge i nostri villaggi, non arreca danno alla salute umana. L’unico modo per impedire alle popolazioni locali di reagire in maniera logica, vale a dire eliminare una pericolosa minaccia, consiste nel fornire loro un incentivo affinché la trattino come risorse rinnovabile. Questo è ovviamente ciò che la Rhodesia – ora Zimbabwe – è riuscita a fare. La politica ambientale dovrebbe riconoscere la saggezza aristotelica di base secondo cui per occuparsi di qualcosa occorre esserne proprietari.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0067/2010

 
  
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  Romana Jordan Cizelj (PPE).(SL) Signor Presidente, sono favorevole all’adesione della Croazia all’Unione europea, ma non dovrebbe avvenire a spese degli interessi nazionali della Slovenia. Mi riferisco naturalmente alla controversia sul confine tra Slovenia e Croazia, che non è un concetto puramente astratto, bensì uno che interessa le vite dei cittadini.

Qui a Strasburgo il Parlamento europeo si è rivolto al parlamento sloveno affinché ratifichi l’accordo di arbitrato quanto prima. Ciò, come è ovvio, rappresenta un’interferenza con le competenze del Parlamento sloveno. Mi chiedo inoltre se qualcuno si sia domandato perché la Slovenia non abbia ancora ratificato l’accordo. In merito vorrei precisare che nell’agosto 2007 tutti i gruppi parlamentari avevano dichiarato che qualsiasi soluzione avrebbe dovuto essere in linea con il principio dell’uguaglianza.

Naturalmente mi chiedo anche perché qualcuno mai dovrebbe obiettare a tale principio. Eppure il principio non è sancito dall’accordo di arbitrato, ragion per cui ho votato contro la proposta di risoluzione che non lo rispecchia.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Signor Presidente, oggi sono stata lieta di appoggiare la relazione sui principali progressi compiuti dalla Croazia nei preparativi all’adesione all’Unione. Esistono legami duraturi tra cechi e croati. Decine di migliaia di famiglie si recano nel paese ogni anno coltivandovi amicizie. Per noi, pertanto, si tratta di una relazione eccellente perché dimostra che la Croazia sarà pronta all’adesione il prossimo anno. Ritengo che il processo di ratifica dell’accordo di adesione non sarà interrotto da alcuna forma di campagna politica interna nei Ventisette che ha accompagnato il trattato di Lisbona, così come penso che i parlamenti di Slovenia e Croazia troveranno una giusta soluzione alle loro controversie sul confine.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0065/2010

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Signor Presidente, anche in questo caso sarò estremamente breve. Siamo dinanzi a un’altra relazione valida sui Balcani e anche la Macedonia sta avanzando con successo lungo il cammino per il soddisfacimento dei criteri politici che rappresentano un prerequisito per l’avvio dei negoziati di adesione e l’introduzione di un regime di esenzione di visto con l’Unione. Le recenti elezioni hanno offerto un contributo in tal senso, dimostrando chiaramente che i cittadini del paese vogliono condividere gli standard internazionali in uno spirito di coesistenza pacifica. Ritengo inoltre che le istituzioni democratiche riusciranno a rafforzare le trattative con la Grecia in vista di soluzioni amichevoli nelle aree problematiche.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0068/2010

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Signor Presidente, sempre brevemente volevo dire che abbiamo adottato una relazione molto schietta sul modo in cui la Turchia può responsabilmente emendare la propria legislazione secondo il modello comunitario e anche sul fatto che i criteri politici nel campo dei diritti umani, specialmente rispetto alle donne e alle minoranze religiose, non sono ancora stati soddisfatti, proprio come resta aperta la questione di Cipro. Nonostante ciò, la maggioranza dei parlamentari ha appoggiato alcuni anni fa l’avvio dei negoziati. Apprezzo il fatto che la Turchia stia procedendo verso la democrazia e l’Europa, ma vorrei ribadire nuovamente che una soluzione migliore alle relazioni economiche sarebbe consistita nell’istituire un partenariato privilegiato anziché promettere l’adesione alla Turchia, con i suoi 70 milioni di abitanti. Sarei inoltre molto franca alla luce del fatto che, come temo, un accordo di adesione non sarebbe comunque approvato in un futuro referendum.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE).(DE) Signor Presidente, sono lieto che l’Aula abbia respinto con una maggioranza ampia e chiara il tentativo dei socialisti e dei verdi di fissare l’obiettivo della piena adesione della Turchia. Il processo deve restare aperto e, per dirla in maniera ancor più inequivocabile, deve essere immediatamente orientato verso uno speciale status personalizzato o un partenariato privilegiato.

La Turchia non è un paese europeo, ma è il nostro più importante partner ai margini dell’Europa. Per questo vogliamo una stretta collaborazione, ma in risposta all’onorevole Kreissl-Dörfler che ne ha parlato prima, senza che la Turchia diventi un membro delle istituzioni europee e senza piena libertà di circolazione. Vogliamo invece una stretta cooperazione economica e politica, un concetto estremamente preciso che credo possa essere applicato perché la maggior parte dei turchi e degli europei non sono favorevoli alla piena adesione. Sarebbe dunque più sensato non sprecare ulteriormente le nostre energie, concentrandoci invece unicamente sull’obiettivo del partenariato.

 
  
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  Miroslav Mikolášik (PPE). (SK) Signor Presidente, qualsiasi paese che stia compiendo sforzi per aderire all’Unione europea deve essere non soltanto formalmente completo, bensì anche identificarsi internamente con i requisiti minimi nel campo della democrazia e del rispetto per i diritti umani.

Secondo la relazione di valutazione per il 2009, la Turchia ha ancora un lungo cammino da percorrere. Forse si è impegnata nell’attuare le riforme, stabilire buoni rapporti di vicinato e compiere graduali progressi verso gli standard e i valori dell’Unione, ma è il quarto anno che non riesce ad applicare le disposizioni derivanti dall’accordo di associazione tra Unione europea e Turchia.

A mio parere è inaccettabile considerare l’adesione di un paese in cui i diritti delle donne e la libertà di religione, pensiero ed espressione sono violati, in cui tortura, discriminazione e corruzione vengono tollerate e l’esercito continua a interferire con la politica estera e la vita politica. Le riforme dovrebbero anche comportare la trasformazione del sistema elettorale attraverso una riduzione della soglia del dieci per cento al fine di garantire una democrazia più pluralista.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

Relazione Casa (A7-0008/2010)

 
  
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  Sophie Briard Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) La relazione dell’onorevole Casa sul sistema comune di imposta sul valore aggiunto per quanto concerne le regole di fatturazione è stata adottata da una maggioranza estremamente ampia di parlamentari, me compresa. Con questo sistema, le regole di fatturazione dell’IVA risulteranno semplificate grazie a una maggiore armonizzazione dei requisiti europei e all’uso diffuso della fatturazione elettronica. L’entrata in vigore della direttiva consentirà pertanto di ridurre l’onere amministrativo a carico delle imprese e potenziare l’impegno per combattere la frode fiscale a livello di IVA.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’odierna proposta riguarda la creazione di un sistema di autovalutazione su base sperimentale facoltativa nel campo della fornitura di prodotti o della prestazione di servizi potenzialmente oggetto di frode. Secondo la Commissione europea, ciò si è reso necessario perché vi sono ancora parecchi casi di frode fiscale a livello di IVA, e la Commissione dispone anche di informazioni su presunti casi di frode legata allo scambio di licenze di emissione di gas a effetto serra.

Sulla base di tali dati, la relazione del Parlamento propone che gli Stati membri che votano a favore del sistema siano obbligati a fare lo stesso per il regime di scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra.

Riteniamo che la natura sperimentale della proposta possa avere qualche merito, per cui appoggiamo gli emendamenti formulati dal Parlamento, segnatamente la proposta di relazione per valutare “l’efficacia e l’efficienza globali della misura che dà attuazione al meccanismo in parola nonché il rapporto costi/benefici di detta misura onde rivalutare se sia opportuna una proroga o un ampliamento del suo raggio d’azione”.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) La presente relazione tratta temi importanti legati alla frode, anche nel campo delle emissioni di gas a effetto serra. La Commissione deve riferire in merito all’efficacia del meccanismo dell’inversione contabile per valutare se possa essere il caso di estenderlo ad altri ambiti.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’adozione della direttiva 2006/112/CE ha rappresentato un passo importante nella lotta contro l’evasione fiscale. Nonostante tutti i suoi elementi validi, però, non è risultata abbastanza efficace da permettere di affrontare la cosiddetta “frode carosello” nel campo dell’IVA. A questo tipo di frode va imputata gran parte della perdita di gettito fiscale negli Stati membri e ha rappresentato uno dei metodi più diffusi. In un momento di crisi economica in cui la lotta alla frode fiscale è tanto più importante vista la gravità della perdita di reddito, dobbiamo profondere il massimo impegno in tale lotta perché ciò avrà ripercussioni notevoli non soltanto sulla nostra risposta all’attuale crisi internazionale, bensì anche sulla possibilità di perseguire le politiche sociali appropriate.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – L’idea alla base della proposta della Commissione europea mi ha visto tra i primi fautori.

In seno alla commissione per i problemi economici e monetari abbiamo analizzato e in parte migliorato il documento della Commissione. Concordo con il relatore, in particolare, sulle precisazioni che sono state apportate relativamente all’applicazione facoltativa del meccanismo dell’inversione contabile e agli obblighi di comunicazione. Gli Stati membri, infatti, dovrebbero avere la facoltà di scegliere tra l’obbligo di comunicazione puntuale per ciascuna operazione o quello di comunicazione globale per tutte le operazioni.

La proposta in esame rafforza la sicurezza delle quote ETS rispetto ai truffatori, riducendo al tempo stesso le formalità amministrative per le imprese oneste.

Ritengo, infine, che il Parlamento debba essere pienamente informato dei risultati di una tale applicazione temporanea del meccanismo dell’inversione contabile.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Ho votato a favore della relazione Casa con grande convinzione. In veste di primo vicepresidente della commissione per il controllo dei bilanci e relatore di un documento adottato nel settembre 2008 sulla frode fiscale nel campo dell’IVA, ho ripetutamente argomentato la necessità di combattere efficacemente la frode in tale ambito poiché costituisce un elemento fondamentale del gettito fiscale degli Stati membri e del corretto funzionamento del mercato interno. Una forma comune e particolarmente grave di frode di questo genere è nota come frode “carosello” per evadere l’IVA. Si stima che l’ammontare complessivo di entrate non riscosse vada dai 20 ai 100 miliardi di euro all’anno, una somma notevole della quale sicuramente si potrebbe fare buon uso nei momenti di crisi economica.

I criminali attivi in tale ambito sono dotati di grande inventiva. E’ emerso di recente che stanno anche perseguendo le loro attività criminali nel quadro del regime di scambio di emissioni. I trasferimenti di diritti di emissioni tra parti tassabili nell’ambito del regime, che avvengono esclusivamente per via elettronica, sono considerati servizi, tassabili nel paese in cui ha sede il beneficiario. Si acquistano così crediti di carbonio presso fonti in altri Stati membri che usufruiscono di esenzioni IVA per poi rivenderli a imprese nel proprio Stato membro a un prezzo comprensivo di IVA, che però non viene successivamente versata all’erario nazionale. E’ fondamentale combattere questo tipo di attività criminale.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) Apprezzo l’applicazione dell’inversione contabile per l’IVA, sebbene a mio parere contenga un errore. Faccio un esempio: il soggetto A vende un prodotto al soggetto B; il soggetto B lo vende al soggetto C; il soggetto C lo vende al consumatore finale o a un soggetto non tenuto a versare l’IVA. Il soggetto A non è tenuto a versare l’IVA perché non è il venditore finale. Paga l’IVA soltanto il soggetto C che effettua la vendita dei prodotti finali al consumatore. Il neo in tutto questo sta nel fatto che il soggetto B non è tassato in alcun modo, nonostante la sua attività consista essenzialmente nell’acquistare a un prezzo inferiore per rivendere a un prezzo superiore. Si propone pertanto che il soggetto B versi all’erario l’IVA sulla differenza di prezzo. Il regime presenta parecchi elementi positivi, eccetto uno: nessuno si rivolgerà all’erario per un rimborso IVA; se il soggetto C è un frodatore, semplicemente non pagherà l’IVA come venditore finale. In altre parole, applicando l’inversione contabile all’IVA, non vi sarà un saldo negativo in quanto nessuno richiederà un rimborso, e ritengo che il regime sarà estremamente agevole da amministrare in quanto le anagrafi tributarie nazionali potranno far emergere con estrema facilità le differenze di prezzo dei prodotti. Se sono in errore sarei lieto di ricevere una replica scritta in merito all’idoneità o inidoneità del regime da me proposto.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. – (FR) La risoluzione è volta a emendare la direttiva sull’IVA del Consiglio 2006/112/CE per consentire l’applicazione temporanea del meccanismo dell’inversione contabile in maniera da combattere la frode riguardante lo scambio di certificati di emissione e transazioni in merito a taluni prodotti potenzialmente oggetto di frode. La frode fiscale è un problema importante a livello di regolare funzionamento del mercato interno e pone a rischio il gettito fiscale degli Stati membri. Per questo diversi di loro hanno chiesto di poter combattere i meccanismi fraudolenti avvalendosi di un meccanismo di inversione contabile mirato a taluni settori potenzialmente oggetto di frode e taluni prodotti. La forma più diffusa di frode si manifesta quando un fornitore con partita IVA fattura forniture di prodotti per poi scomparire senza versare l’IVA dovuta su di essi, lasciando gli acquirenti (anch’essi con partita IVA) con fatture valide che consentono loro di detrarre l’IVA. I ministri delle finanze nazionali non riscuotono pertanto l’IVA dovuta sui prodotti in questione e devono rimborsare all’operatore successivo a monte nella catena dell’IVA l’IVA da loro corrisposta. Gli Stati membri subiscono in tal modo una duplice perdita. Per questo ho votato a favore della risoluzione legislativa.

 
  
  

Relazione van Nistelrooij (A7-0048/2009)

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. – (RO) Consentire ai cittadini di avere accesso a un alloggio, specialmente le fasce vulnerabili appartenenti a comunità che vivono in condizione di grave indigenza ed emarginazione, deve essere una preoccupazione fondamentale della nostra società. Il sostegno finanziario dei Fondi strutturali può dare un contributo notevole agli sforzi profusi dalle autorità nazionali per risolvere il problema. Sia il Parlamento europeo sia il Consiglio hanno chiesto alla Commissione europea, in varie occasioni, di agire a favore della promozione dell’inclusione di tali comunità. A seguito del voto odierno, abbiamo ricevuto un nuovo regolamentato emendato che consentirà a tutti i 27 Stati membri di utilizzare il denaro del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per ristrutturare o sostituire gli alloggi nelle comunità emarginate, sostenendo in tal modo i gruppi più svantaggiati della società.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Devo rilevare che nella relazione manca un’indicazione di massima dei destinatari degli eventuali provvedimenti: si fa riferimento al concetto di "comunità emarginate", ma non si precisa il contenuto di un´espressione che, anche solo sociologicamente, può assumere molteplici definizioni. Gli unici riferimenti -peraltro già nella proposta della Commissione- riguardano le comunità rom. Che nella relazione si chieda che il riferimento ai rom non sia ostativo di interventi verso altre categorie socialmente emarginate, non offre alcuna garanzia che della parte di FESR da destinarsi alle politiche abitative possano giovarsi altri soggetti "socialmente emarginati" sulla base di situazioni di particolare difficoltà economica, lavorativa e familiare. Infine, secondo la relazione presentata al Parlamento sarebbe da attribuirsi alla Commissione Europea la facoltà di determinare i criteri in base ai quali parte del FESR potrà assegnarsi agli interventi a favore delle comunità emarginate: tale disposizione pare concedere esclusivamente alla Commissione un largo margine di discrezionalità nel determinare i suddetti criteri; da questi criteri dipenderanno di fatto la portata e la sostanza del provvedimento, in una fase in cui il Parlamento non avrà prevedibilmente modo di agire ed esprimersi. In attesa del futuro seguito parlamentare della relazione, e trattandosi della prima lettura, mi astengo dal voto.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Appoggio questo accordo quadro perché la cooperazione tra il Parlamento europeo e la Commissione europea è particolarmente importante per rafforzare la stabilità dell’Unione europea e l’efficacia del suo lavoro. Secondo detto accordo, una volta che si è sottoposta al Parlamento europeo una richiesta di iniziativa legislativa, la Commissione è tenuta a rispondere entro un mese elaborando un’idonea normativa comunitaria entro un anno. Se l’Unione europea dovesse rifiutarsi di predisporre l’atto richiesto, dovrà giustificare dettagliatamente la propria decisione. Sinora soltanto la Commissione europea poteva assumere l’iniziativa di una normativa comunitaria. Nel trattato di Lisbona si dispone invece che la maggioranza del Parlamento europeo ha il diritto di creare una normativa dell’Unione. Parlamento e Commissione collaboreranno strettamente nella fase iniziale di qualsiasi richiesta di iniziativa legislativa proveniente dai cittadini. Per la firma di trattati internazionali alle discussioni parteciperanno anche esperti del Parlamento europeo. Nell’accordo al Parlamento sarà concesso il diritto di partecipare come osservatore a taluni negoziati internazionali dell’Unione, nonché il diritto di ottenere maggiori informazioni sui trattati internazionali.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Sono lieto di votare a favore di questo emendamento al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per ampliare lo scopo dei suoi interventi nel settore dell’edilizia in maniera da aiutare le comunità emarginate in tutti gli Stati membri. Sinora gli interventi realizzati in tale ambito potevano concretizzarsi unicamente nel quadro di progetti di sviluppo urbano riguardanti la ristrutturazione di alloggi. A mio parere tale criterio è irragionevole e discriminatorio poiché, come nel caso del Portogallo, la maggior parte di queste famiglie vive in sistemazioni di fortuna in zone rurali. Queste sono le persone più bisognose e non dovrebbero essere escluse in ragione della loro ubicazione. Apprezzo dunque l’emendamento del Parlamento, che sostiene la coesione territoriale.

Inoltre, a differenza della proposta iniziale della Commissione europea, che ne limitava l’attuazione ai nuovi Stati membri, questi nuovi regolamenti ampliano l’ambito di applicazione a tutti gli Stati, evitando in tal modo un’insensata discriminazione tra famiglie europee emarginate. Si tratta infatti di un problema globale che interessa migliaia di famiglie in tutta Europa. In Portogallo la situazione è particolarmente grave a causa della crisi economica che il paese sta attraversando e la povertà estrema di molte famiglie.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. – (EN) Sono a favore di questa relazione che estende l’eleggibilità degli interventi edilizi nelle comunità emarginate al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Secondo le nuove disposizioni, tutti gli Stati membri potranno avvalersi di tali fondi comunitari per migliorare le condizioni di nuclei familiari emarginati, fondi che prima non erano utilizzabili dagli Stati membri che hanno aderito dal 2004. Il degrado fisico del parco immobiliare nega ai suoi occupanti il diritto a condizioni di vita decenti e rappresenta un notevole ostacolo all’integrazione e alla coesione sociale. Questo regolamento consentirà ai progetti di ristrutturazione edilizia di attingere dai fondi del FESR, ma per contrastare i rischi di segregazione tali iniziative dovranno rientrare in un quadro di integrazione sociale più ampio nel campo della sanità, dell’istruzione e degli affari sociali.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La Commissione europea sta tentando di modificare le disposizioni dei regolamenti applicabili al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) allo scopo di consentire ai nuovi Stati membri di avvalersi di tali fondi per interventi nel settore abitativo a favore delle comunità emarginate delle zone rurali.

Tale emendamento vale soltanto per i nuovi Stati membri che, non dimentichiamolo, hanno grandi comunità di migranti emarginate che vivono nelle zone rurali. Ciò giustifica l’adozione di una norma speciale nel quadro dei regolamenti del FESR.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Adoperandosi per affrontare la povertà e migliorare le condizioni di vita dei gruppi più svantaggiati della popolazione, dove la privazione è stata esacerbata dalla grave crisi degli ultimi anni, l’Unione europea ha il dovere di salvaguardare e promuovere politiche sostenute per l’inclusione sociale. A parte le questioni igieniche, il degrado delle condizioni abitative aggrava e spesso causa un rischio di segregazione ed emarginazione. Le condizioni di vita sono fondamentali per l’autostima e il senso di valore sociale di ogni cittadino. Insieme all’istruzione, alla sanità e all’occupazione, svolgono un ruolo essenziale nella costruzione, nello sviluppo e nel consolidamento di qualunque tentativo di vita sostenibile, sia esso individuale o familiare.

E’ importante però assicurare che le strategie di intervento nell’Unione europea non operino distinzioni sulla base del genere, della razza o dell’etnia. Se vogliamo che l’Europa abbia una società più equilibrata, è parimenti importante evitare che emergano e si espandano ghetti o zone facilmente associabili con una comunità emarginata o particolarmente svantaggiata. Le politiche di inclusione sociale devono anch’esse rivolgersi a chi ne ha maggiormente bisogno senza operare alcuna distinzione tra cittadini europei.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Il presente regolamento consente agli Stati membri di utilizzare il Fondo europeo di sviluppo regionale in maniera integrata e sensata. Mettendo il denaro esistente a disposizione delle comunità emarginate, molte delle quali vivono in sistemazioni di fortuna in zone rurali e non potevano usufruirne secondo le precedenti regole, questo nuovo regolamento contribuirà in maniera significativa alla realizzazione del piano di ripresa economica per l’Europa.

 
  
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  Erminia Mazzoni (PPE), per iscritto. – Espongo qui le ragioni che mi hanno portata votare in favore dei seguenti emendamenti. Innanzitutto ho creduto che fosse necessario allargare il perimetro geografico della proposta all’intera UE-27, poiché i problemi ai quali intendiamo ovviare attraverso il presente regolamento sono riscontrabili in tutta l’Unione europea. Pertanto non se ne comprende la limitazione ai soli nuovi Stati membri UE-12. In secondo luogo, ho creduto giusto di ripristinare la precedente versione della parte finale dell’articolo 7 ("the Commission shall adopt", invece di "may adopt"), affinché la Commissione continui a svolgere la funzione originariamente assegnatale dal regolamento nel campo della valutazione e fissazione di criteri per gli interventi, al fine di garantire efficacia e del valore aggiunto della politica, anche in considerazione del suo costo.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) La situazione degli alloggi nell’Unione europea è critica. Ci occorre una politica europea che garantisca un alloggio decente per tutti, una politica abitativa sociale comunitaria che sia ambiziosa e vincolante. Ovviamente è stato essenziale che il Parlamento abbia adottato una posizione in merito alla ristrutturazione delle abitazioni insalubri e la sostituzione degli edifici fatiscenti con alloggi decenti, ma parimenti essenziale e altrettanto urgente è che l’Unione trasformi la disponibilità di una sistemazione decente in un diritto fondamentale. Ha un dovere in tal senso e i mezzi per garantirlo. L’Unione europea non può permettersi di diventare una regione socialmente sottosviluppata.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’adozione dell’odierna relazione è molto importante perché apporta una modifica al Fondo europeo di sviluppo regionale che aiuterà gli emarginati delle nostre società, prescindendo dal fatto che vivano nelle aree urbane o altrove.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato per la presente relazione e intendo sottolineare che queste revisioni periodiche dei testi che disciplinano l’uso dei fondi europei sono apprezzabili. Molte limitazioni stabilite da tali regolamenti non sono più adeguate all’attuale situazione economica e sociale, per cui occorrono nuove forme di intervento. Un altro esempio al riguardo è l’ammorbidimento delle condizioni per l’uso dei fondi del FESR al fine di migliorare l’efficienza energetica degli edifici, approvato dal Parlamento la scorsa primavera.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – L’attuale crisi economica mondiale rappresenta per l’Unione europea una sfida difficile, che richiede, nelle sue politiche, risposte rapide, flessibili ed efficaci.

Con le sue risorse finanziarie complessive di 347 miliardi di euro per il periodo di programmazione 2007-2013, la politica europea di coesione è la maggiore fonte di investimenti nell’economia reale, in grado di aiutare l’Europa e le sue regioni a riprendersi dalla crisi e a ritrovare fiducia e ottimismo.

Concordo con l’esigenza di trattare la questione degli alloggi per le comunità emarginate nel contesto di una modifica del regolamento FESR. Poiché le disposizioni vigenti non possono applicarsi alle comunità emarginate, la modifica proposta viene a colmare una lacuna nella legislazione, al fine di affrontare in maniera più appropriata il problema delle precarie condizioni di vita di queste popolazioni.

Questo provvedimento rispetta il principio di sussidiarietà, ampliando le possibilità a disposizione degli Stati membri per fornire sostegno a interventi in materia di alloggi riguardanti le comunità emarginate, nel modo da essi ritenuto più appropriato e mantenendo nel contempo l’approccio integrato quale condizione minima per l’attuazione dell’intervento.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi congratulo con il collega van Nistelrooij per l’ottimo testo proposto, che è stato ulteriormente migliorato attraverso i numerosi emendamenti presentati in commissione REGI che hanno permesso di estendere questa misura all’insieme dei paesi membri dell’Unione europea.

Il testo odierno permetterà di trasformare in realtà i sogni di tante persone che desiderano avere una casa. Sono certo che così facendo mostreremo ai cittadini la capacità del Parlamento di trovare soluzioni alle sfide poste dall’apertura delle frontiere e dalla libera circolazione delle persone. È per tale ragione che voterò a favore della relazione.

 
  
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  Maurice Ponga (PPE), per iscritto. – (FR) Apprezzo l’odierna adozione da parte di una larga maggioranza (558 voti contro 57) della relazione dell’onorevole van Nistelrooij. Adottando l’odierna relazione il Parlamento trasmette un messaggio forte ai cittadini e risponde alle preoccupazioni sociali manifestate in particolare dalle eurocittà. La relazione offre la possibilità di usare il FESR per ristrutturare e sostituire alcuni edifici esistenti e creare nuove strutture volte ad aiutare le comunità emarginate nei contesti rurali o urbani di ciascuno dei 27 Stati membri.

Tale ampliamento dai 12 Stati che hanno aderito nel 2000 e nel 2007 a tutti gli Stati membri suggerisce soluzioni ai problemi che l’insalubrità degli alloggi pone ad alcune comunità emarginate di tutta l’Unione. Sarà pertanto possibile introdurre un approccio integrato e sostenibile a livello comunitario. Inoltre, l’ampliamento si inserisce perfettamente nella finalità del 2010, anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Sono lieto che il Parlamento abbia votato per questi emendamenti e spero che le regioni interessate lo trovino uno strumento utile per risolvere un problema urgente e fondamentale di queste comunità.

 
  
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  Marie-Thérèse Sanchez-Schmid (PPE), per iscritto. – (FR) Ho appoggiato la relazione sin dall’inizio, specialmente per quanto concerne l’ampliamento dell’ambito di intervento a tutti gli Stati membri dell’Unione. Essa infatti consente ai 27 di avvalersi del FESR per finanziare la costruzione di nuovi alloggi per le comunità emarginate, nonché ristrutturare e sostituire edifici esistenti.

La grave crisi economica che ha colpito l’Europa e interessato tutti i suoi Stati membri ha ulteriormente aggravato i problemi abitativi. L’Unione europea doveva intervenire e mettere in campo tutti gli strumenti a sua disposizione per venire in aiuto di coloro che abitano in alloggi inadeguati, specialmente le comunità emarginate che prima non potevano usufruire delle risorse del FESR.

Grazie agli emendamenti che i membri della maggioranza presidenziale hanno presentato in sede di commissione per lo sviluppo regionale, ora possono avvalersi dei fondi non soltanto ai nuovi Stati membri dell’Unione, bensì tutti i 27 Stati membri, che accusano tutti le medesime difficoltà. Le regioni interessate potranno pertanto sostituire gli alloggi insani nelle comunità socialmente escluse e sviluppare soluzioni globali, integrate e durature ai loro problemi abitativi.

La relazione conferisce all’Unione mezzi concreti per aiutare i suoi cittadini. Speriamo che ciò rappresenti un passo verso un’Europa sociale vicina alla gente.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) La relazione oggi approvata modifica i regolamenti del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) ampliandone il campo di intervento nel settore abitativo a favore delle comunità emarginate, visto che attualmente il fondo è utilizzabile soltanto nel contesto di iniziative di sviluppo urbano. Gli emendamenti che i miei colleghi e io abbiamo proposto, oggi confermati in Parlamento, consentiranno ai vecchi Stati membri, e non soltanto ai nuovi, come suggerito nella proposta originale della Commissione, di usufruire anch’essi di questa nuova fonte di finanziamento nel quadro del FESR.

Ho inoltre cercato di evitare quello che giudico un precedente che escluderebbe i vecchi Stati membri, specialmente il Portogallo, da tali fondi e, forse, dall’uso di ulteriori risorse aggiuntive dell’assistenza comunitaria. Ribadisco che il tempo per il quale un paese è stato membro dell’Unione europea non dovrebbe essere un criterio per l’assegnazione di fondi strutturali. La politica di coesione post-2013 dovrebbe continuare a concentrarsi sul principio della solidarietà, rivolgendosi alla coesione territoriale, elemento fondamentale per le regioni ultraperiferiche come Madeira, ma anche a una maggiore flessibilità e trasparenza, basandosi su un approccio orientato ai risultati che ricompensi le regioni che hanno dimostrato di fare un uso esemplare degli aiuti comunitari, anziché penalizzarle.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) Per migliorare l’assorbimento dei fondi dell’Unione per la ristrutturazione di edifici e abitazioni, vista la prassi in uso negli Stati membri e la difficoltà di cofinanziamento, si dovrebbe proporre che i governi nazionali creino un fondo comune nel quale potrebbero accantonare risparmi in maniera da coprire il cofinanziamento con denaro statale. In altre parole, finché il cofinanziamento non sarà coperto dallo Stato, i proprietari di edifici e abitazioni dovranno corrispondere lo stesso importo in termini assoluti che hanno versato sino alla ristrutturazione. Il motivo è che spesso i proprietari di immobili e abitazioni non possono né coprire un cofinanamento con denaro proprio né ottenere un mutuo bancario a tal fine. Apprezzo il secondo elemento dell’iniziativa, vale a dire l’incanalamento dei fondi stanziati per la ristrutturazione nelle zone rurali.

La maggior parte delle abitazioni private nei villaggi è dotata di riscaldamento autonomo, il che significa che il pagamento del riscaldamento non è centralizzato, per cui si propone che venga fissato un importo mensile in termini assoluti che nel tempo possa coprire il cofinanziamento di tali abitazioni, il che agevolerebbe gli Stati membri nell’applicazione legale del cofinanziamento per la ristrutturazione di alloggi rurali.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. – (FR) Questa norma prevede il sostegno finanziario del FESR per interventi nel settore abitativo a beneficio delle comunità emarginate dei nuovi Stati membri. Un’ampia maggioranza di queste comunità vive in zone rurali e sistemazioni di fortuna (in zone sia rurali che urbane) e non può usufruire del sostegno del FESR. E’ possibile intervenire nel settore abitativo durante operazioni di sviluppo urbano o ristrutturazione di abitazioni esistenti. Gli interventi nel settore abitativo nelle zone rurali o la sostituzione di alloggi mediocri in zone urbane o rurali non possono essere sostenuti dal FESR. Per evitare una discriminazione ingiustificata, gli interventi a favore dei rom non dovrebbero escludere altri gruppi che versano in condizioni sociali ed economiche analoghe. Inoltre, poiché l’intervento costituisce soltanto parte di un problema complesso, esso va affrontato nel quadro di un approccio integrato multidimensionale a livello nazionale basato su forti partenariati e tenuto conto di vari aspetti tra cui istruzione, affari sociali, integrazione, cultura, sanità, occupazione, sicurezza e così via. L’obiettivo della proposta è fornire condizioni abitative accettabili nel contesto di un approccio integrato.

 
  
  

Relazione Alvarez (A7-0006/2010)

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Frode ed evasione fiscale rappresentano un attacco alla costruzione di un’Europa più giusta, forte e paritaria in termini di sviluppo sociale ed economico. Le conseguenze di ciò sono diventate tanto più evidenti e gravi in quest’epoca di profonda crisi economica e finanziaria perché i bilanci degli Stati membri sono stati duramente colpiti e fortemente indeboliti dalla necessità di spesa e investimento pubblico nella politica sociale. Vale la pena di notare che la frode fiscale nell’Unione europea supera i 200 miliardi di euro all’anno, più del 2 per cento del PIL.

Nel contesto del mercato aperto e della libera circolazione di prodotti e persone, i meccanismi di controllo e sorveglianza sono diventati ancora più complessi in ragione dei diritti inalienabili di sovranità si ogni Stato membro. A peggiorare le cose, operatori economici senza scrupoli, soprattutto motivati dall’opportunità di guadagnare denaro facile sfruttando la crisi economica, si rivolgono a metodi di elusione fiscale sempre più sofisticati e ingegnosi.

L’odierna proposta rafforza la cooperazione amministrativa tra Stati membri dell’Unione nel campo della tassazione poiché il processo di integrazione europea mostra un chiaro squilibrio tra la normativa prodotta e i meccanismi di controllo e sorveglianza.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Nutriamo alcuni dubbi circa la formulazione della proposta che tenta di ampliare l’ambito di intervento della direttiva “istituendo una clausola generale che comprende tutti i tipi di imposte” e il fatto che sarà applicabile ai contributi previdenziali obbligatori dovuti allo Stato membro, a una sua suddivisione o agli istituti previdenziali di diritto pubblico creati allo scopo.

Non concordiamo con l’idea che i funzionari di uno Stato membro debbano avere la facoltà di agire nel territorio di altri Stati membri, ragion per cui riteniamo che la proposta del Parlamento di limitare la questione ai casi in cui sussista perlomeno un accordo tra Stati membri sia l’approccio corretto.

Nutriamo altresì dubbi in merito al requisito dello scambio automatico di informazioni sulle abitudini fiscali di singoli soggetti, sebbene vi siano alcuni riferimenti alla protezione dei dati, specialmente nella relazione del Parlamento.

Osserveremo con estrema attenzione come tali temi saranno affrontati man mano che prosegue la loro trattazione.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Benché io ritenga che gli Stati membri dell’Unione dovrebbero mantenere il controllo sui rispettivi sistemi di tassazione, è chiaro che per poter contrastare l’evasione fiscale occorre una certa cooperazione a livello di Unione e anche con paesi terzi. Credo che il compromesso oggi raggiunto possa rappresentare uno strumento utile nella lotta alla frode e all’evasione.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato risolutamente contro la relazione Alvarez sulla cooperazione amministrativa nel campo della tassazione perché mi duole il fatto che la lotta per le libertà dei cittadini, di cui il Parlamento dovrebbe farsi paladino, sia mutevole e incoerente.

Quando all’ordine del giorno vi è l’introduzione degli autoscanner o l’accordo SWIFT con gli Stati Uniti, i fieri difensori delle libertà individuali fanno sentire la loro voce, anche se significa creare tensione diplomatica.

Quando invece si tratta della protezione dei dati bancari, il bene improvvisamente diventa male.

Lo scambio automatico senza restrizioni, che costituisce la base delle relazioni Alvarez e Dominici, è il dispositivo che ti radiografa a ogni movimento; è l’accordo SWIFT su scala ancora più vasta.

Questa incoerenza non è giustificabile neanche in nome dell’efficienza.

Lo scambio automatico di tutti i dati su ogni non residente in Europa sfocerà in un flusso di dati ingestibile. Il precedente nel campo della tassazione dei risparmi dovrebbe far suonare un campanello di allarme.

Ai miei colleghi preoccupati dall’eccesso di burocrazia che questo costrutto potrebbe comportare rispondo che l’unica soluzione consiste nell’opporsi a esso sin dal principio, anziché poi sorprendersi delle sue disastrose conseguenze.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Sin dalla precedente legislazione, che ha reso prioritaria per l’Unione europea la lotta alla frode e all’evasione fiscale, in tale ambito sono state adottate diverse proposte legislative. La cooperazione amministrativa nel campo della fiscalità è una parte fondamentale della strategia comune per combattere la frode e l’evasione fiscale. La lotta efficace contro la frode e l’evasione fiscale ha avuto un impatto notevole sui bilanci nazionali e la perdita di entrate notevoli per la spesa pubblica in generale, specialmente nel campo della sanità, dell’istruzione e della ricerca.

La frode e l’evasione fiscale violano il principio della parità di trattamento fiscale a discapito di cittadini e imprese che assolvono i propri obblighi in tale ambito, distorcendo la concorrenza, per cui minando il corretto funzionamento dei mercati. In quest’epoca di crisi è tanto più importante per noi ricorrere a tutti i metodi a nostra disposizione per combattere la frode e l’evasione fiscale allo scopo di far fronte ai costi eccezionali che derivano dalla necessità di porre rimedio agli effetti della crisi e ridurre il più possibile i considerevoli disavanzi di bilancio.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – L’importanza della proposta risiede nelle gravi conseguenze che la frode fiscale nell’UE (stimata superiore al 2% del PIL) ha sui bilanci degli Stati membri, sul principio di giustizia fiscale, che ne risulta indebolito, e sul funzionamento dei mercati, a causa di una distorsione della concorrenza.

La proposta presentata dalla Commissione costituisce un passo importante per disporre di strumenti più efficaci di cooperazione per la lotta contro la frode e l’evasione fiscale su scala europea. La direttiva proposta comporta un balzo sia quantitativo che qualitativo: quantitativo perché stabilisce nuovi obblighi, qualitativo perché amplia e precisa gli obblighi già esistenti.

Si concorda con l’inclusione di tutti i tipi di imposte dirette e indirette, fatta eccezione per l’IVA e per le accise, introducendo lo scambio automatico di informazioni tra amministrazioni fiscali al posto dello scambio su richiesta.

La proposta permetterà di disporre di strumenti più efficaci di cooperazione contro la frode e l’evasione fiscale, creando un sistema affidabile, di facile utilizzo ed efficace. Questo costituisce un contributo per un’adeguata integrazione fiscale imprescindibile al progetto europeo e un ulteriore passo verso una reale armonizzazione delle politiche fiscali.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Come il gruppo GUE/NGL ho votato a favore di questa relazione volta a intensificare la lotta alla frode e all’evasione fiscale perché tale lotta è importante nel contesto di crisi economica in cui i nostri Stati membri stanno vivendo. Affrontare tali temi ci sembra prioritario alla luce della crisi economica in cui versano gli Stati membri in un momento in cui il rigore di bilancio grava ancora più pesantemente sugli Stati più piccoli.

Secondo alcune stime, la frode fiscale ammonterebbe a 200 miliardi di euro, ossia il 2 per cento del PIL e il doppio delle somme stanziate dall’Unione per il cosiddetto piano europeo di ripresa economica.

Inoltre, la relazione del Parlamento introduce la necessità di migliorare la protezione dei dati, principio importante visto che si parla di scambio di dati e informazioni.

Come la relazione, eserciteremo pressioni sulla Commissione e il Consiglio affinché spieghino al Parlamento in che maniera si è tenuto conto della sua posizione e quali progressi sono stati compiuti in materia di cooperazione tra Stati membri nella lotta alla frode e all’evasione fiscale.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. – (FR) Lo scopo della direttiva è migliorare la cooperazione amministrativa nel campo della tassazione. Ora più che mai abbiamo bisogno di aiutarci reciprocamente in tale ambito. La mobilità dei contribuenti, il numero di transazioni transfrontaliere e la globalizzazione degli strumenti finanziari si sono notevolmente evoluti. E’ difficile per gli Stati membri valutare in maniera corretta l’ammontare di tasse e tributi. Questa difficoltà crescente sta avendo ripercussioni sul funzionamento dei sistemi fiscali e comportando una doppia tassazione che incoraggia la frode e l’evasione fiscale, mentre il controllo è sempre nelle mani delle autorità nazionali. Ciò sta mettendo a repentaglio il funzionamento regolare del mercato interno. Lo scambio automatico di informazioni tra Stati membri sarebbe obbligatorio per compensi di amministratori, dividendi, plusvalenze, royalty, prodotti nel ramo assicurazione vita non coperti da altri strumenti giuridici comunitari riguardanti lo scambio di informazioni e misure analoghe, oltre che pensioni, proprietà immobiliari e redditi che ne risultano. Per migliorare lo scambio di informazioni tra le varie autorità nazionali, si propone anche di introdurre il monitoraggio dei casi in cui gli Stati membri si sono rifiutati di fornire informazioni o svolgere inchieste amministrative. Tutti questi provvedimenti contribuiscono a combattere la frode fiscale, ragion per cui ho votato a favore della risoluzione legislativa.

 
  
  

Relazione Stolojan (A7-0002/2010)

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) E’ singolare che la Commissione europea riconosca che “le disposizioni in materia di libertà di circolazione contenute nel trattato dell’Unione europea rendono difficile agli Stati membri chiedere garanzie per il pagamento delle tasse dovute sul loro territorio”.

Non è quindi il caso di osservare che, anziché adottare ripetutamente norme che poi si dimostrano “insufficienti”, alla luce degli “scarsi risultati finora ottenuti” sarebbe più semplice affrontare il problema alla radice, e cambiare le norme relative alla libertà di circolazione?

Nutriamo comunque dubbi sull’attuazione della proposta che afferma: “il campo di applicazione dell’assistenza reciproca in materia di recupero andrebbe esteso ad altre imposte e dazi, oltre a quelli già contemplati ora, poiché il mancato pagamento di qualsiasi tipo di imposta o dazio incide sull’adeguato funzionamento del mercato interno. Il campo di applicazione andrebbe esteso anche ai contributi previdenziali obbligatori”.

Non concordiamo con la proposta di concedere ai funzionari di uno Stato membro l’autorità di agire nel territorio di altri Stati membri, e riteniamo perciò che il suggerimento del Parlamento – di limitare l’applicazione ai casi in cui vi sia accordo tra gli Stati membri – costituisca perlomeno l’approccio corretto.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La maggior mobilità di persone e capitali è uno dei principi su cui si fonda l’Unione europea, e ha costituito un lusinghiero e importante successo; essa però comporta alcuni svantaggi, tra cui le più vaste possibilità di evitare il pagamento di imposte e dazi, che si offrono a chi voglia frodare il fisco. I sistemi di assistenza reciproca oggi in vigore si sono dimostrati chiaramente insufficienti, e il voto odierno dovrebbe introdurre in questo settore gli indispensabili miglioramenti.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) Per quanto riguarda il recupero dei crediti risultanti da dazi e imposte, la situazione nell’Unione europea è tutt’altro che rosea. Le statistiche ci informano che il tasso globale di recupero si colloca appena al 5 per cento. Per migliorare l’efficacia delle attività di recupero dei crediti, occorre una cooperazione più stretta a livello degli Stati membri. Alla luce di tali considerazioni, ho votato a favore della proposta sull’assistenza reciproca in questo settore. Mi auguro che riusciremo davvero a eliminare i punti deboli delle misure esistenti, che hanno provocato mancanza di trasparenza e di coordinamento tra gli Stati nonché ingiustificati ritardi nel processo di recupero.

La nuova direttiva si propone di definire più chiaramente le norme sulla cui base le autorità degli Stati membri forniscono l’assistenza, insieme ai diritti e ai doveri delle parti interessate. Verranno elaborati titoli standard per agevolare l’adozione di misure esecutive o cautelari, al fine di evitare i problemi legati al riconoscimento o alla traduzione degli strumenti emanati da altre autorità. La Commissione promuoverà una proficua cooperazione fra gli Stati membri e assicurerà un monitoraggio permanente delle eventuali denunce relative alla carenza di scambio di informazioni o di assistenza.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il crescente numero di richieste, presentate dagli Stati membri, per l’assistenza in materia di recupero dei crediti risultanti da alcune imposte, cui si aggiunge la scarsa efficienza nella raccolta dei crediti stessi (ferma appena al 5 per cento) dimostra la necessità di emendare la direttiva del Consiglio 1976/308/CEE. Questa risoluzione è indispensabile per risolvere i problemi di lentezza, disparità e mancanza di coordinamento e di trasparenza.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. L'attuale sistema di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte e altre misure è contraddistinto da lentezza, disparità e mancanza di coordinamento e di trasparenza. È necessaria pertanto un'azione a livello comunitario per potenziare e migliorare l'assistenza in materia di recupero tra gli Stati membri.

In questo senso, la proposta offre titoli uniformi per l'adozione di misure esecutive o cautelari, al fine di evitare i problemi legati al riconoscimento e alla traduzione degli strumenti emanati da altri Stati membri, e un modulo standard per la notifica dei documenti relativi ai crediti nel territorio di un altro Stato membro.

L'introduzione di un modulo standard uniforme per la notifica degli atti e delle decisioni relativi al credito risolverà i problemi di riconoscimento e di traduzione degli strumenti emanati da un altro Stato membro. Questo strumento sarà fondamentale per lo sviluppo del commercio intracomunitario e per il rafforzamento del mercato interno.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. (FR) La direttiva del Consiglio si prefigge una radicale revisione del funzionamento dell’assistenza reciproca per il recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte e altre misure. Le disposizioni nazionali per il recupero si applicano solo entro il territorio di ciascuno Stato membro; le autorità amministrative non sono in grado di recuperare direttamente dazi e imposte al di fuori del proprio Stato membro. Contemporaneamente, la mobilità dei capitali e delle persone aumenta, e chi vuole frodare il fisco sfrutta le limitazioni territoriali delle competenze delle autorità nazionali per organizzare la propria insolvenza nei paesi in cui ha accumulato debiti fiscali. Le prime disposizioni in materia di assistenza reciproca per il recupero furono inserite nella direttiva 76/308/CEE (consolidata nella direttiva 2008/55/CE) sull’assistenza reciproca per il recupero di crediti derivanti da prelievi, dazi, imposte ed altre misure. Questo strumento si è però dimostrato inadeguato a rispondere ai cambiamenti registratisi nel mercato interno nel corso degli ultimi trent’anni. E’ quindi necessario abrogare la direttiva vigente e mettere a punto un sistema perfezionato di assistenza per il recupero nel mercato interno, che assicuri procedure rapide, efficaci e uniformi in tutta l’Unione europea. Ecco i motivi per cui ho votato a favore di questa risoluzione.

 
  
  

Proposta di risoluzione RC-B7-0072/2010

 
  
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  John Stuart Agnew, David Campbell Bannerman, Derek Roland Clark e William (The Earl of) Dartmouth (EFD), per iscritto. (EN) Lo United Kingdom Independence Party sostiene senza riserve l’opera di soccorso, ed è angosciato per le terribili perdite di vite umane e la tragica situazione delle popolazioni colpite dalla catastrofe, ma non possiamo legittimare l’azione dell’Unione europea, che spende centinaia di milioni di denaro dei contribuenti e nutre l’ambizione militaristica e diplomatica di intervenire nella crisi aggirando la responsabilità democratica degli Stati nazionali.

Incoraggiamo naturalmente governi e singole persone a offrire aiuti in natura e in denaro per soccorrere le popolazioni colpite e ricostruire il paese. Tuttavia, quest’opera va compiuta in trasparenza insieme all’opinione pubblica, e non si può affidare ai segreti maneggi di burocrati privi di legittimazione elettorale ma gonfi di ambizioni di grandeur internazionale.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto.(GA) Ho votato a favore di questa risoluzione e degli aiuti finanziari che l’Unione europea fornirà per il sostegno a lungo termine, il quale verrà gestito congiuntamente con le autorità locali e la popolazione haitiana. Tale denaro si deve utilizzare per affrontare le cause fondamentali della povertà a Haiti, aiutare il paese a rafforzare la propria struttura democratica e a costruire un’economia sostenibile.

Recentemente le condizioni a Haiti sono migliorate, grazie al cielo, e gli aiuti umanitari vengono distribuiti con metodi efficaci e in ordine di priorità; tale risultato si deve alla cooperazione e al coordinamento delle organizzazioni internazionali, delle organizzazioni non governative e della popolazione di Haiti, che hanno unito i loro sforzi.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) La situazione di Haiti costituisce un’importante prova di solidarietà sia per l’Unione europea che per l’intera comunità internazionale. Il prossimo vertice dell’Unione deve offrire una soluzione decisiva, ben coordinata e univoca, tale da soddisfare le necessità che si registrano oggi a Haiti in fatto di ricostruzione e di aiuti, in conseguenza di una delle peggiori calamità naturali della storia moderna. Occorre dare risposta all’appello elevato dal Parlamento europeo e alla richiesta fatta alla Commissione europea, di presentare una proposta specifica per l’istituzione di una forza di protezione civile che sia in grado di reagire rapidamente nel caso di una calamità naturale in qualsiasi parte del mondo.

La lezione di Haiti non va dimenticata, e in questo caso l’Unione europea deve dimostrare non solo di conoscere il significato della parola “solidarietà”, ma anche di essere un’istituzione adattabile e flessibile, capace di far tesoro anche di un’esperienza tragica come quella attuale. L’UE dispone di tutti i dati e gli strumenti per partecipare alla ricostruzione a lungo termine di Haiti. Occorre coordinare la nostra azione con quella degli Stati Uniti e del Canada, in modo che l’intera comunità internazionale possa parlare con una voce sola. Il popolo di Haiti, così gravemente provato dalla storia e dalla natura, deve ricevere dalla comunità internazionale gli strumenti necessari per risollevarsi con le proprie mani dalla sua drammatica situazione.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Registro con soddisfazione l’impegno assunto dall’Unione europea per l’invio di aiuti al popolo di Haiti dopo il terremoto che ha colpito quel paese in gennaio. Già prima del terremoto, più del 70 per cento della popolazione haitiana viveva al di sotto della soglia di povertà, mentre il debito estero del paese ammontava a 890 milioni di dollari statunitensi. La comunità internazionale ha ora il dovere di contribuire all’elaborazione di una strategia di ricostruzione per il paese, che sia sostenibile a breve, medio e lungo termine.

Ci troviamo in un momento cruciale, per quanto riguarda il coordinamento dell’opera di ricostruzione fra donatori internazionali di aiuti, autorità haitiane e società civile; apprezzo quindi la decisione, recentemente presa dal G7, di cancellare i debiti di Haiti, compresi quelli contratti con istituzioni di credito multilaterali. E’ essenziale aiutare questo paese a riprendersi dal terremoto, ma la comunità internazionale deve anche cogliere quest’opportunità per risolvere il problema delle disuguaglianze economiche, sociali e politiche che affliggono Haiti.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Il terremoto che ha colpito l’isola di Haiti il 12 gennaio 2010, uccidendo migliaia di persone, provocando devastazioni terribili e gettando il paese nel caos, ci impone di offrire al popolo di Haiti una solidarietà senza riserve. Ho avuto il piacere e l’onore di contribuire all’elaborazione di questa risoluzione del Parlamento. Desidero in primo luogo porgere i miei più sinceri ringraziamenti a quei professionisti il cui generoso e tempestivo intervento – effettuato tramite il Centro di monitoraggio e informazione – ha contribuito a salvare vite umane e ad alleviare le necessità più urgenti in fatto di assistenza sanitaria, risorse idriche, igiene, indumenti, e così via. Ciò ha dimostrato che l’investimento richiesto dal Parlamento nel corso degli anni può avere un positivo impatto pratico.

D’altra parte, come dopo lo tsunami che ha colpito l’Asia, dobbiamo imparare da quanto è avvenuto. Facendo seguito alla relazione Barnier del 2006, la Commissione europea deve presentare al più presto misure legislative per la creazione di una forza di protezione civile dell’Unione europea, unica, indipendente e permanente, in grado di svolgere missioni di soccorso e assicurare un approccio integrato alle fasi degli aiuti d’emergenza, del risanamento e della ricostruzione. Desidero infine ringraziare gli Stati membri, le ONG e la società civile per tutti gli aiuti umanitari che hanno fornito.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. Il terremoto che ha devastato Haiti il 12 gennaio scorso, provocando 200.000 morti e circa 250.000 feriti, richiama gli Stati membri dell'Unione europea e tutta la Comunità internazionale a un concreto e comune impegno per la ricostruzione del paese.

Tale coordinamento si è dimostrato efficace nell'immediato e ha visto lo stanziamento in via preliminare di somme consistenti da parte della Commissione europea e dei singoli Stati membri. Ritengo di fondamentale importanza impostare lo sforzo comune affinché la ricostruzione sia sostenibile nel medio e lungo periodo e affinché la popolazione di Haiti sia il principale beneficiario di tale impegno.

Mi unisco all'appello delle organizzazioni umanitarie internazionali affinché l'enorme numero di bambini rimasti orfani a seguito del sisma non diventino vittima di trafficanti di esseri umani. Ritengo pertanto necessario un piano per supervisionare tale emergenza assicurando che i bisogni primari delle fasce più deboli della popolazione siano al primo posto tra le priorità di Europa e Stati Uniti.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sul terremoto a Haiti, che ha provocato 200 000 morti e 250 000 feriti. Esprimo sentite condoglianze e viva solidarietà al popolo di Haiti e di altre nazioni, al personale delle organizzazioni internazionali – comprese le Nazioni Unite e la Commissione europea – e alle famiglie delle vittime di questa tragedia. Vorrei sottolineare il duro lavoro compiuto da alcuni Stati membri dell’Unione europea attraverso il meccanismo di protezione civile dell’Unione e con il coordinamento del Centro di monitoraggio e informazione. Sono anche favorevole alla proposta di valutare la risposta europea alla crisi umanitaria di Haiti, in modo che la Commissione europea possa presentare proposte che migliorino la capacità dell’Unione di rispondere rapidamente a future calamità.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto.(PT) Il 12 gennaio 2010 resterà nella storia di Haiti come uno dei giorni più spaventosi che quella nazione abbia mai vissuto. Un popolo e un paese già oppressi dalla povertà e dal sottosviluppo sono stati improvvisamente devastati da una calamità naturale di micidiale crudeltà e di impressionanti dimensioni.

Le decine di migliaia di vittime, registrate da statistiche già superate nel momento stesso in cui comparivano, e la disperata angoscia dello sguardo di chi aveva perso tutto sono motivi più che sufficienti per giustificare la mobilitazione della comunità internazionale e della società civile in tutto il mondo; rivolgo il mio elogio a quest’operato. Tale ondata di solidarietà nobilita chi vi ha partecipato, ma sarà indispensabile continuare gli aiuti anche in futuro, quando gli occhi del mondo si rivolgeranno a un altro paese.

Nonostante gli sforzi internazionali, il paese si potrà ricostruire solo se i responsabili e i cittadini stessi saranno capaci di mettersi alla guida del processo e di assumersi le rispettive responsabilità.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La tragedia che ha colpito Haiti, a causa del terremoto del 12 gennaio di quest’anno, ha posto alla solidarietà che lega popoli e nazioni una sfida di nuovo tipo. In virtù della sua identità storica e culturale, oltre che della sua importanza nell’economia globale, l’Unione europea deve fungere da esempio, incoraggiando l’invio di aiuti al popolo haitiano e la ricostruzione di uno dei paesi più poveri della terra. Dobbiamo urgentemente preparare la strada all’impiego di strumenti finanziari e logistici che riducano al minimo le sofferenze delle vittime della catastrofe, e assicurino poi alla popolazione il rapido ripristino delle condizioni di vita essenziali. Nel frattempo, occorre però valutare e garantire preliminarmente le condizioni atte a promuovere lo sviluppo sostenibile del paese, per debellare la situazione di povertà estrema che affligge un vastissimo numero di haitiani. Oltre agli incentivi in favore di un’agricoltura remunerativa, dell’industrializzazione e di un ciclo di sviluppo sostenibile per la commercializzazione dei prodotti, ritengo essenziale promuovere una vigorosa strategia di valorizzazione ambientale, in quanto Haiti costituisce un evidente e drammatico esempio dei terribili effetti che il cambiamento climatico può comportare per l’umanità. Di conseguenza ho votato a favore.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Di fronte alle spaventose scene di totale distruzione che ci giungono da Haiti, è indispensabile offrire una solidarietà tempestiva, sincera ed efficace che giovi ad alleviare le sofferenze del popolo haitiano. Contemporaneamente, occorre respingere e condannare qualsiasi tentativo di sfruttare la tragedia del popolo haitiano con l’occupazione militare del paese, e difendere inequivocabilmente la sovranità e l’indipendenza di Haiti; ma nel documento in esame manca qualsiasi accenno in questo senso. E’ deplorevole che questa risoluzione giunga in forte ritardo rispetto alle dichiarazioni di alcuni capi di Stato e funzionari delle Nazioni Unite, relative allo spiegamento di decine di migliaia di militari statunitensi nel paese. Haiti e il suo popolo hanno bisogno di vigili del fuoco, medici, ospedali e di generi di prima necessità.

La risposta dell’Unione europea – che riscuote l’apprezzamento della risoluzione – è consistita nella “decisione del Consiglio di inviare 350 agenti della polizia militare”. Vale la pena di ricordare la tempestiva assistenza fornita a Haiti da paesi come Cuba, che ha prontamente inviato 400 medici, salvando vite umane e scongiurando epidemie, costruendo infrastrutture mediche e distribuendo generi di prima necessità, oppure il Venezuela, che ha offerto la riduzione del debito e fornito combustibili.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Riteniamo che in questo momento la cosa più importante sia fornire tutti gli aiuti umanitari, la cooperazione e il sostegno alla ricostruzione che il popolo di Haiti merita per la sua dignità e il suo coraggio. Purtroppo si è sprecato troppo tempo per la protezione e non tutto è andato nel modo migliore. Abbiamo già denunciato il fatto che alcune entità, e in particolare gli Stati Uniti, si siano preoccupate assai più di rafforzare la propria presenza militare nel paese che delle condizioni della popolazione haitiana.

Ci rammarichiamo che la risoluzione approvata non difenda Haiti e il suo popolo con sufficiente decisione. Un buon punto di partenza sarebbe stata la denuncia di qualsiasi persona o paese che cerchi di sfruttare questa tragedia per tornare al neocolonialismo. Dietro il dispiegamento di migliaia di soldati nordamericani in armi sembra di scorgere proprio una tendenza del genere, benché la maggioranza della popolazione versi in condizioni di povertà, vittima dello sfruttamento delle multinazionali e dell’interferenza di entità esterne, tra cui soprattutto gli Stati Uniti.

Continueremo a esprime la nostra sincera solidarietà al popolo di Haiti.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Ho sostenuto questa risoluzione per sottolineare il vasto sforzo di solidarietà che l’Unione europea deve attuare per soccorrere questo paese, così crudelmente devastato poco meno di un mese fa. Dopo la fase dell’emergenza, occorre articolare un’assistenza di lungo periodo, soprattutto a favore delle persone più vulnerabili e delle strutture governative, che oggi non possono fare altro che trasferire la propria autorità alle forze statunitensi. Infine, l’Europa deve imparare da queste tragedie, per riuscire a rispondervi, in futuro, in maniera più rapida ed efficiente, assicurando aiuti umanitari ottimali alla popolazioni che più ne hanno bisogno.

 
  
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  Richard Howitt (S&D), per iscritto. (EN) I deputati laburisti al Parlamento europeo esprimono la più profonda solidarietà a tutti gli abitanti di Haiti la cui vita è rimasta sconvolta da questo spaventoso terremoto, e sostengono senza riserve l’attività internazionale di soccorso. Abbiamo appoggiato questa risoluzione per segnalare con forza che il Parlamento europeo e gli europarlamentari laburisti stanno, insieme, a fianco della popolazione haitiana nell’opera di lungo periodo, necessaria per ricostruire le infrastrutture, le comunità e le singole vite umane spezzate e sconvolte dalla catastrofe. Apprezziamo particolarmente il fatto che questa risoluzione metta in rilievo la decisione, presa dal Regno Unito e dagli altri paesi del G7, di rinunciare alla propria parte del debito internazionale di Haiti, e inviti gli altri paesi a fare altrettanto.

Non concordiamo però con il paragrafo 24 della risoluzione, in quanto riteniamo che qualsiasi proposta tesa a migliorare la risposta dell’Unione europea alle calamità vada effettuata nel quadro di una consultazione e di una deliberazione complete e meditate, non nell’immediata scia di una tragedia umanitaria, sia pure spaventosa come questa. In particolare, questo paragrafo pregiudica gli accordi volontari già sottoscritti dagli Stati membri dell’Unione; inoltre, non è opportuno sottovalutare le capacità di risposta nazionali, soprattutto se pensiamo che l’unità permanente di risposta del Regno Unito è entrata in azione nel giro di un’ora, dopo il terremoto che ha sconvolto Haiti.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Nelle ultime settimane, abbiamo tutti visto le terribili sequenze filmate del disastro che si è abbattuto sul popolo haitiano. Come sempre avviene nel caso di gravi calamità naturali, l’attenzione della stampa e degli altri media è effimera, e i titoli vengono ben presto dedicati ad altri argomenti. Non sarebbe però accettabile che i leader politici si dimostrassero altrettanto volubili, e bene ha fatto il nostro Parlamento a cercare di mantenere questa catastrofe tra i punti più importanti del proprio ordine del giorno. La risoluzione constata la valida opera svolta finora sia dalle Istituzioni comunitarie che dagli organismi interni agli Stati membri, e c’è da auspicare che l’alto rappresentante dell’Unione prenda buona nota dei punti specifici che il Parlamento ha messo oggi in rilievo.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE), per iscritto. (EN) Secondo le autorità haitiane, il terremoto ha provocato in totale più di 230 000 vittime; siamo quindi di fronte a una catastrofe ancor più grave dello tsunami che ha colpito l’Asia nel 2004. Dopo la fase degli aiuti di emergenza, la nostra attenzione deve ora gradualmente rivolgersi allo sviluppo a lungo termine di Haiti che, essendo uno dei paesi più poveri del mondo, era del tutto impreparata a far fronte a una calamità di queste dimensioni. Apprezzo vivamente gli impegni assunti recentemente per la riduzione del debito di Haiti, ed esorto tutti i paesi donatori a contribuire a una ricostruzione sostenibile a lungo termine. Infine, alcuni colleghi sono rimasti perplessi per la decisione della baronessa Ashton di non visitare Haiti immediatamente dopo il terremoto. Tali critiche si possono considerare fondate se si ritiene che tale visita avrebbe potuto produrre risultati utili per gli haitiani; se invece si pensa che tutto si sarebbe risolto in una manifestazione propagandistica per dimostrare la presenza dell’Unione europea, allora dobbiamo concludere che la decisione della baronessa è stata assolutamente corretta.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE), per iscritto. (FI) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione su Haiti. Il terremoto abbattutosi su quel paese ha provocato sofferenze umane immense: i morti e i feriti si contano a centinaia di migliaia, mentre Port-au-Prince è quasi completamente distrutta. Secondo le stime, il numero di coloro che hanno bisogno di assistenza esterna oscilla fra i due e i tre milioni.

Ai parenti delle vittime va la solidarietà dei cittadini europei, ma ora è indispensabile agire. Sono ovviamente essenziali i tempestivi impegni assunti su vasta scala dall’Unione europea nel settore dell’assistenza. La tardiva reazione della nuova amministrazione degli affari esteri ha suscitato un giustificato sconcerto. E’ ovvio che in futuro l’alto rappresentante dell’Unione europea avrà la responsabilità di garantire una risposta più rapida e coordinata da parte dell’UE stessa. Haiti avrà bisogno di aiuti per molto tempo ancora; le sue ferite hanno bisogno di cure, e le sue case vanno ricostruite una per una.

Secondo il filosofo Ludwig Wittgenstein non esiste sofferenza tanto grande, che una singola persona non possa sopportare. Ritengo che egli intendesse esprimere all’incirca il concetto seguente: non esiste nel mondo unità di coscienza più vasta della coscienza di un singolo individuo. Il dolore non si può sommare; non esiste una coscienza collettiva che subisca una sofferenza maggiore di una singola coscienza. La sofferenza delle masse è sempre la sofferenza della singola persona; ma proprio da qui sgorga la speranza. Madre Teresa ha detto, sembra, che se avesse considerato le masse non avrebbe mai ottenuto alcun risultato. Se riesco ad aiutare una persona, avrò aiutato la più vasta unità possibile: il mondo intero di una persona.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) A mio avviso l’Unione europea deve promuovere un miglior coordinamento e un intervento di profilo più elevato nell’attività di sostegno allo Stato haitiano. In questo momento, le difficoltà più impegnative sono costituite dalle strozzature logistiche (la limitata capacità dell’aeroporto di Port-au-Prince per gli atterraggi e lo scarico di beni), e dalla necessità di trovare una soluzione al problema dei senzatetto, soprattutto in previsione dell’imminente stagione delle piogge.

Dobbiamo pensare al futuro e individuare metodi che ci consentano di agire con più rapida efficienza in situazioni analoghe. Ho sostenuto questa risoluzione perché essa chiede al Commissario responsabile per la cooperazione internazionale, l’aiuto umanitario e la risposta alle crisi di svolgere un ruolo di primissimo piano nel coordinare la risposta alla crisi dell’Unione europea, avvalendosi delle competenze create dal trattato di Lisbona per coordinare la risposta dell’Unione europea alle future crisi.

E’ poi di fondamentale importanza che la Commissione europea presenti al Parlamento, quanto prima possibile, proposte sulla creazione di una forza di protezione civile europea, basata sul meccanismo di protezione civile dell’UE. In tal modo l’Unione potrà riunire mezzi appropriati per organizzare nel giro delle 24 ore successive a una catastrofe un primo aiuto umanitario d’urgenza.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Lo spaventoso terremoto che il mese scorso ha devastato Haiti ha provocato danni enormi, e l’opera globale di soccorso dovrà comportare un vasto impegno a lungo termine. Sono lieto che l’Unione europea abbia risposto rapidamente, stanziando finora 196 milioni di euro per l’assistenza. Sostengo la risoluzione, che invita l’Unione europea a effettuare un efficace e coordinato sforzo umanitario, che garantisca a Haiti assistenza a lungo termine e ricostruzione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il terremoto che ha colpito Haiti il 12 gennaio 2010 non ha solo mietuto un immenso numero di vittime; esso incide ancora sulla vita quotidiana di circa tre milioni di persone che hanno disperato bisogno di aiuti umanitari. Il ruolo della politica estera dell’Unione europea è stato chiarito, e i valori che l’Unione europea cerca di promuovere mirano fra l’altro a contribuire alla pace e alla sicurezza nel mondo, nonché alla protezione dei diritti umani. Dobbiamo quindi registrare con soddisfazione tutti gli sforzi compiuti dagli Stati membri per aiutare quel paese a emergere da questa sciagura con le caratteristiche di una democrazia completamente funzionante e con un’economia in grado di sostentare la popolazione. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che il popolo haitiano deve sempre rappresentare, insieme al governo del paese, parte integrante del processo complessivo di ricostruzione.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Nel voto sulla risoluzione RC-B7-0072/2010 concernente Haiti mi sono astenuto, poiché stimo urgente inviare nella regione professionisti civili come medici, architetti e vigili del fuoco, non reparti militari. Haiti potrà raggiungere l’indispensabile stabilità politica, economica e sociale solo se la libertà del paese verrà protetta dalle interferenze straniere. Le istituzioni finanziarie come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, nonché i partner commerciali di Haiti, devono immediatamente cancellare il debito estero del paese.

Inoltre, sostengo le misure adottate dai paesi dell’Alternativa bolivariana per le Americhe (aiuti finanziari tramite il Fondo umanitario, sostegno energetico e promozione di iniziative produttive e agricole) che dimostrano la fraterna solidarietà esistente fra i diversi paesi. Astenendomi, ho voluto sottolineare il fatto che la ricostruzione di Haiti non si può compiere militarizzando gli aiuti, ma piuttosto eliminando i meccanismi che hanno causato la povertà di fondo che affligge il paese; penso per esempio al debito estero, di cui ho chiesto la cancellazione.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Già prima del terremoto Haiti era un paese povero in cui più di due milioni di persone versavano in condizioni di insicurezza alimentare e centinaia di migliaia di orfani popolavano gli orfanotrofi o addirittura le strade. Per la popolazione di Haiti è naturalmente importante la ricostruzione a lungo termine di infrastrutture e istituzioni dello Stato; ma non dobbiamo dimenticare che la distribuzione degli aiuti non procede senza intoppi, e che molte donne e molti bambini si trovano in una situazione di vulnerabilità estrema. In questo caso dobbiamo agire con cautela. La proposta di risoluzione sembra affrontare correttamente la maggioranza di questi problemi, e quindi ho votato a favore.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. (PL) Il terremoto che ha colpito Haiti nel gennaio di quest’anno è una delle più gravi catastrofi umanitarie del ventunesimo secolo. Le dimensioni della calamità sono aggravate dal fatto che l’azione distruttiva del sisma si è abbattuta su uno dei paesi più poveri del pianeta. La tragedia ha attirato su Haiti gli sguardi del mondo intero. Gli aiuti umanitari non devono fermarsi alla ricostruzione dell’isola, ma devono estendersi alla ristrutturazione dei rapporti sociali vigenti nel paese, in uno spirito di rispetto per la dignità umana e la giustizia sociale. A tale scopo, è essenziale non solo concedere aiuti a fondo perduto a Haiti, ma anche assicurare al paese e all’intera società haitiana la possibilità di riprendere la propria vita su basi interamente nuove.

Mi unisco perciò all’invito a cancellare il debito internazionale di Haiti. Mi oppongo inoltre alle soluzioni da cui, come risultato degli “aiuti”, possa scaturire un incremento del debito di Haiti. Tenendo conto di tutti questi elementi, ho deciso di votare a favore della proposta di risoluzione comune del Parlamento europeo sul recente terremoto di Haiti.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune sul recente terremoto ad Haiti.

In particolare, concordo con quanto affermato nei paragrafi 4, 8 e 9, soprattutto nelle parti in cui si chiede che l'UE si occupi, a titolo prioritario, dell'assistenza agli sforzi di ricostruzione e al miglioramento della situazione umanitaria, con particolare attenzione ai gruppi vulnerabili, come donne e bambini, e dell'offerta di riparo, strutture mediche, assistenza logistica e prodotti alimentari; si invitano tutti gli Stati membri a prepararsi a rispondere a ulteriori richieste di assistenza da parte delle Nazioni Unite; si plaude all'impegno preliminarmente assunto dalla Commissione di stanziare 30 milioni di euro in aiuti umanitari; si accoglie con favore la decisione da parte dei paesi del G7 di cancellare il debito internazionale di Haiti e si invita inoltre il Fondo monetario internazionale a cancellare completamente il debito in sospeso del paese; e si sottolinea che qualsiasi tipo di assistenza di emergenza post-sismica deve essere fornita sotto forma di sovvenzioni e non di prestiti che generano un debito.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. (FR) In caso di calamità naturale, gli aiuti umanitari devono giungere senza il minimo indugio. A Haiti, solo gli Stati Uniti sono stati in grado di fornire aiuti umanitari efficaci non intralciati da ritardi burocratici. E’ chiaro inoltre che le agenzie umanitarie più rapide ed efficienti sono quelle regolarmente condannate dalle risoluzioni della nostra illustre Assemblea: la Chiesa cattolica e le iniziative umanitarie promosse dalle organizzazioni cristiane. In questa risoluzione, che sostengo senza riserve, il Parlamento invita la comunità internazionale a far sì che il popolo e il governo di Haiti siano i protagonisti del processo di ricostruzione, in modo da divenire poi padroni del proprio destino. I deputati del nostro Parlamento sostengono inoltre gli sforzi compiuti dall’Unione europea per promuovere la produzione alimentare locale, ripristinando le infrastrutture danneggiate e rendendo disponibile il materiale necessario (sementi, fertilizzanti e attrezzature) ai piccoli coltivatori, in particolare in vista della semina primaverile che inizierà in marzo, e rappresenta il 60 per cento della produzione alimentare nazionale. In questo momento, mentre la comunità internazionale investe nella costruzione di infrastrutture antisismiche, desidero ricordare che anche gli edifici religiosi sono stati colpiti, e che quindi i finanziamenti internazionali si devono destinare anche alla ricostruzione di chiese e seminari.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0078/2010

 
  
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  John Stuart Agnew, Andrew Henry William Brons, David Campbell Bannerman, Derek Roland Clark e William (The Earl of) Dartmouth (EFD), per iscritto.(EN) Lo United Kingdom Independence Party è gravemente preoccupato per la situazione in Iran e invita i governi di entrambi gli schieramenti a individuare una soluzione diplomatica, ma soprattutto pacifica, per la crisi politica e umanitaria che affligge attualmente quel paese. L’Unione europea non deve ingerirsi in questa vicenda, poiché ciò non farebbe che inasprire una situazione già tesa. Il fatto che a condurre i negoziati siano burocrati comunitari non responsabili nei confronti di nessuno, anziché rappresentanti politici eletti, produrrà un pessimo risultato sia per l’Iran che per il resto del mondo. I negoziati andrebbero intrapresi in collaborazione con altri governi nazionali, e non imposti dall’alto dall’Unione europea. Molti paesi vogliono rimanere neutrali – come per esempio l’Irlanda – e il fatto che l’Unione li rappresenti su questo problema indebolisce gravemente la legittimità democratica della loro politica.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questo documento con grande senso di responsabilità, nella speranza che la risoluzione possa dare i suoi frutti. Elogio lo sforzo unitario compito dai diversi gruppi politici rappresentati in Parlamento, che ha consentito alla nostra Assemblea – la casa della democrazia europea – di parlare con una voce sola, accentuando il robusto spirito pragmatico della risoluzione; quest’ultima indica all’Unione europea i metodi, le soluzioni e le misure specifiche per affrontare il regime iraniano. In tale contesto, ribadisco la necessità di: a) condannare decisamente le imprese che forniscono alle autorità iraniane la tecnologia e le attrezzature necessarie per le operazioni di censura e di sorveglianza, attività che dovrebbe essere vietata alle imprese europee; b) richiedere, o piuttosto esigere, il riconoscimento della necessità di rispettare la Convenzione di Vienna e le norme diplomatiche; c) introdurre sanzioni più estese contro organizzazioni e funzionari iraniani operanti all’estero e responsabili della repressione e della limitazione delle libertà in Iran, oltre che di quelli legati alla violazione degli impegni internazionali sottoscritti dall’Iran in campo nucleare; e d) nonostante tutto, promuovere un costante e ancor più profondo dialogo con l’Iran, specialmente con la società civile.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sulla situazione in Iran, in quanto mi preoccupano le continue violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate in quel paese, soprattutto per quel che riguarda la libertà di associazione, espressione e informazione, e inoltre perché sostengo le aspirazioni democratiche del popolo iraniano.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto.(PT) Negli ultimi mesi dall’Iran ci sono giunte due notizie, e nessuna delle due, purtroppo, è confortante. In primo luogo, i progressi compiuti nelle attività di arricchimento dell’uranio a scopi nucleari, e in secondo luogo la repressione dell’ala moderata guidata da Mir Hossein Mousavi, che sta contestando i risultati delle recenti elezioni presidenziali. Questi due sviluppi, inquietanti di per sé, presi insieme divengono causa di timori ancor più gravi.

Che si può dire di questo paese così instabile, in cui un governo sempre più estremista imprigiona, tortura e uccide gli oppositori che protestano nelle strade, ma che contemporaneamente persegue un ambizioso piano di arricchimento dell’uranio per la produzione di energia nucleare?

Benché il regime fondamentalista degli ayatollah proclami la purezza delle sue intenzioni e dichiari che gli scopi del suo programma nucleare sono esclusivamente pacifici, la comunità internazionale non ne è convinta e considera, non ingiustificatamente, l’Iran come una minaccia sempre più grave.

Oltre a denunciare fin dall’inizio la brutale repressione che ha colpito gli esponenti moderati iraniani, l’Unione europea, i suoi alleati e gli altri attori internazionali devono lottare per rafforzare e inasprire le sanzioni contro Teheran e non escludere alcuna azione concertata per sventare questa minaccia.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Difendiamo la libertà di espressione e la democrazia, e siamo anche noi convinti della necessità di manifestare la nostra preoccupazione per gli sviluppi registrati in Iran negli ultimi mesi, e in particolare per la repressione delle masse popolari perpetrata dalle forze di sicurezza iraniane; il testo che ci è stato proposto, tuttavia, non offre il metodo migliore per risolvere questo problema.

A nostro parere, la doverosa manifestazione di preoccupazione per gli sviluppi della situazione non può ignorare la grave minaccia alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Iran, posta dall’escalation diplomatica e militare messa in atto dall’amministrazione statunitense, anche con la concentrazione di forze militari americane nella regione. Non dobbiamo dimenticare che anche questi elementi mettono a repentaglio i diritti del popolo iraniano e rappresentano un pericolo proprio per le forze che continuano a battersi per la democrazia, il progresso e la giustizia sociale in Iran. Il testo adottato però non fa parola di tutto questo.

Il diritto di decidere il futuro dell’Iran spetta esclusivamente al popolo iraniano e alle sue forze politiche e sociali. Alle organizzazioni democratiche e al popolo iraniano, che si battono per la giustizia sociale e il progresso del paese, va la nostra solidarietà.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Ho sostenuto la risoluzione che condanna l’atteggiamento dell’Iran, sia per quanto riguarda le intenzioni di quel paese in campo nucleare, sia pensando alle violazioni della libertà di espressione che quel popolo deve quotidianamente subire. E’ inaccettabile che le autorità iraniane ricorrano alla violenza contro i dimostranti, e altrettanto intollerabili sono la censura sulla stampa e gli ostacoli frapposti all’informazione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) I disordini sociali cui attualmente assistiamo in Iran, la repressione sistematica della popolazione e degli oppositori, le restrizioni poste alla libertà di stampa e alla libertà di espressione, la mancata abolizione della pena di morte e la continuazione del programma nucleare contro la volontà della comunità internazionale destano acuta preoccupazione. E’ ancor più inquietante apprendere che, il mese scorso, l’Iran ha collaudato, con esito positivo, un nuovo missile a lunga gittata, che minaccia la sicurezza regionale e globale. La recente cancellazione della prevista visita della delegazione del Parlamento dimostra chiaramente, ancora una volta, che questo paese non è disposto a cooperare. Tutto questo ci induce a condannare le politiche perseguite dal governo iraniano.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Molti sono i paesi in cui la situazione della democrazia e dei diritti umani è assai preoccupante. L’Unione europea deve perseverare nello sforzo di mutare questo fosco quadro, ricorrendo ad appelli e a metodi analoghi. Le iniziative dell’Iran non devono sorprenderci, né possiamo stupirci se quel paese cerca di diventare una potenza nucleare; ciò è frutto, tra l’altro, anche della malaccorta politica degli Stati Uniti. La situazione si può disinnescare solo con gli strumenti della democrazia, ma in questa vicenda l’Unione europea non deve farsi strumentalizzare dagli Stati Uniti. La proposta di risoluzione constata che non sono stati compiuti progressi apprezzabili, e che il dialogo rappresenta l’unica soluzione. Sono d’accordo.

 
  
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  Sławomir Witold Nitras (PPE), per iscritto. (PL) Mi dichiaro favorevole a questa risoluzione, che intende manifestare con chiarezza la posizione dell’Unione europea sul rispetto dei fondamentali diritti umani in Iran. Come quasi tutti noi, sono indignato per il trattamento subito dall’opposizione iraniana: la condanna a morte di Mohammed Reza Alizamani e Arash Rahmani per la loro attività politica costituisce, a mio avviso, una violazione di tutti gli standard vigenti nel mondo moderno; mi rallegro che l’Unione europea stia assumendo in proposito una posizione nettissima. Contemporaneamente, mi rammarico che non ci sia stata una reazione altrettanto decisa quando una dimostrazione indetta dall’opposizione russa a Mosca e San Pietroburgo il 31 gennaio 2010 è stata impedita; ne sono stati anche arrestati i promotori, tra cui Oleg Orlov, direttore di Memorial, l’organizzazione che l’anno scorso ha ricevuto il premio Sacharov. Ritengo che l’alto rappresentante dell’Unione dovrebbe reagire a questa vicenda con dinamismo non minore di quello dimostrato nel caso dell’Iran, in armonia con le ferme critiche rivolte alle autorità russe dal presidente del Parlamento europeo, l’onorevole Buzek.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) E’ di estrema importanza riallacciare il dialogo con l’Iran; di conseguenza mi rammarico profondamente per il rinvio della visita della delegazione dell’Unione europea in quel paese, e mi auguro che essa possa venire programmata nuovamente al più presto possibile. Nella situazione attuale, in Iran il rispetto per la democrazia e i diritti umani è palesemente scarso; tuttavia, l’inasprimento delle sanzioni contro quel paese non sarebbe un approccio opportuno. Anche gli oppositori del governo iraniano sono contrari al varo di sanzioni più severe, che si ripercuoterebbero principalmente sulla popolazione del paese. A parte questo, l’Unione europea applica ancora una volta un duplice metro di giudizio; nel caso di importanti partner economici come la Cina o l’India, si affretta a chiudere gli occhi. Per tali motivi mi sono astenuto.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della proposta di risoluzione sull'Iran, in particolare dopo i recenti attacchi avvenuti anche ieri contro l'ambasciata italiana e francese.

È necessario, infatti, che l'Unione europea si faccia portavoce di una posizione chiara nei confronti del regime di Teheran. Le autorità iraniane hanno una responsabilità nel fomentare questo pericoloso clima di intolleranza e intimidazione verso alcuni paesi dell'Unione europea. L'assalto alle ambasciate è stato perpetrato da coloro che vogliono tarpare le ali della democrazia e sono contro la libertà.

Auspico che le Istituzioni europee prendano al più presto una posizione netta di condanna dell'accaduto e valutino misure diplomatiche da intraprendere nei confronti dell'Iran.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (ECR), per iscritto. (EN) Il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei si è schierato a favore di una forte risoluzione sull’Iran; invochiamo una decisa azione internazionale nei confronti della crescente capacità nucleare dell’Iran. Ci rammarichiamo vivamente, perciò, che il Parlamento europeo non abbia colto l’occasione per unirsi agli appelli internazionali invocanti ulteriori sanzioni. E’ inoltre opportuno precisare che a Teheran, fortunatamente, non ci sono “ambasciate dell’Unione europea”; esistono invece ambasciate nazionali.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. (FR) La Repubblica islamica dell’Iran condanna con intransigente perseveranza i soprusi inflitti ai musulmani nelle varie parti del mondo; tuttavia, i mullah non intendono desistere dalle persecuzioni commesse contro i cristiani, né spendere parole di deplorazione per le condizioni in cui questi ultimi si trovano. La conversione al cristianesimo è considerata una forma di apostasia, e viene punita con la pena di morte. Purtroppo il Parlamento europeo non ha il coraggio di condannare la situazione dei martiri cristiani in Iran. Papa Giovanni Paolo II ha detto: “Le persecuzioni… prendono diverse forme di discriminazione dei credenti, e di tutta la comunità della Chiesa. Queste forme di discriminazione sono talvolta applicate nel momento stesso in cui viene riconosciuto il diritto alla libertà religiosa, alla libertà di coscienza, e questo sia nella legislazione dei diversi Stati che nei documenti di carattere internazionale ... Oggi, alla prigione, ai campi di internamento e di lavori forzati, all’espulsione dalla propria patria si sono aggiunte altre pene meno dure ma più sottili: non più la morte cruenta, ma una sorta di morte civile: non solo la segregazione in un carcere o in un campo, ma la restrizione permanente della libertà personale o la discriminazione sociale”. Se il Parlamento considera con serietà il proprio appello per il rispetto dei diritti umani, deve pronunciarsi con maggior decisione a favore dei cristiani perseguitati in Iran.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0021/2010

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto.(PT) Lo Yemen minaccia di diventare il nuovo Afghanistan: il campo di addestramento preferito di Al-Qaeda e il focolaio da cui si diffonderanno in tutto il mondo islamico fondamentalisti e terroristi.

La situazione di degrado, se non di completo collasso sociale, politico ed economico, segnata dalla guerra civile e dall’assenza di qualsiasi governo realmente capace di esercitare un controllo efficace sull’intero territorio del paese, ha privato il paese di qualsiasi traccia di un quadro di legge e ordine che possa arginare l’emergenza e il propagarsi di queste esplosioni di violenza ed estremismo.

Ne consegue che la comunità internazionale deve affrontare il problema yemenita con un approccio più lucido e fermo, mentre gli aiuti erogati a questo paese devono essere accuratamente mirati a migliorare concretamente le condizioni di vita della popolazione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La situazione complessiva dello Yemen desta grave inquietudine in tutto il mondo, e alla luce delle recenti minacce terroristiche l’Unione europea deve svolgere un ruolo sempre più attivo per impedire che lo Yemen si trasformi in un altro Stato fallito nell’ambito della comunità internazionale.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Nel quadro della lotta contro il terrorismo è salito ora alla ribalta lo Yemen, focolaio di estremisti islamici. Combattere la povertà e incrementare gli aiuti militari non basterà a far scomparire i problemi di quel paese; occorre invece aumentare gli aiuti allo sviluppo per fare il vuoto intorno almeno ad alcuni dei nuovi militanti jihadisti. In fine, l’Unione europea non deve ridursi al ruolo di ufficiale pagatore degli Stati Uniti, ma deve anzi proporsi come mediatore imparziale per avviare il dialogo e aprire la strada a una soluzione politica a lungo termine. Questa proposta di risoluzione sceglie un approccio di tal genere, e quindi ho votato a favore.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (ECR), per iscritto. (EN) Benché io approvi l’indirizzo complessivo di questa risoluzione sull’attuale situazione nello Yemen, e abbia anzi partecipato alla sua stesura, non posso concordare con il riferimento, contenuto nel testo, al ruolo di coordinamento che il futuro Servizio europeo di azione esterna dovrà svolgere in relazione allo Yemen; durante l’elaborazione del documento ho chiesto di eliminare i riferimenti al Servizio di azione esterna, ma gli altri gruppi politici hanno rifiutato. Il Servizio di azione esterna è un prodotto diretto del trattato di Lisbona, trattato che non approvo e che è privo di qualsiasi legittimità democratica. Questo Servizio dovrà disporre di una rete di “ambasciate dell’Unione europea” e, sotto l’occhio vigile dell’alto rappresentante dell’Unione e vicepresidente della Commissione, avrà il compito di elaborare e attuare la politica estera e militare dell’Unione europea.

Da molto tempo mi batto per evitare che l’Unione europea abbia un ruolo in questi due settori politici, che a mio avviso devono rimanere prerogativa esclusiva degli Stati membri sovrani.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0029/2010

 
  
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  John Stuart Agnew, David Campbell Bannerman, Derek Roland Clark e William (The Earl of) Dartmouth (EFD), per iscritto. (EN) Lo United Kingdom Independence Party si oppone senza riserve alla tratta di esseri umani, che è una forma moderna di schiavitù. Invochiamo le pene più severe per i criminali che si macchiano di questo reato e le misure più drastiche per stroncare tale attività. Non possiamo però accettare che l’Unione europea utilizzi la tratta di esseri umani come pretesto per armonizzare le politiche in materia di immigrazione e frontiere, passando sopra la testa dei governi eletti. Spetta agli elettori, tramite la scheda che depongono nell’urna, e ai rappresentanti politici eletti, decidere su tali questioni; l’Unione europea non ha certo il diritto di effettuare l’ennesimo colpo di mano politico a danno del principio di responsabilità politica. Se all’interno dell’Unione le frontiere non fossero aperte, e ogni paese avesse la propria politica in materia di immigrazione, sarebbe assai più facile debellare la grande criminalità organizzata e la tratta di esseri umani.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto.(GA) Ho votato a favore di questa proposta di risoluzione, poiché dobbiamo conferire priorità pratica ma anche morale alla lotta contro la tratta di esseri umani e all’uso della tratta come risorsa nel mercato del lavoro.

Sulla base del trattato di Lisbona, l’Unione europea ha il potere e anche l’opportunità di rafforzare la politica europea nei confronti della tratta di esseri umani. Come ho detto nel corso del dibattito su questa risoluzione, si tratta di un problema che deve avere un posto di primo piano nel nostro ordine del giorno. A causa dell’importante ruolo che svolge nelle questioni commerciali globali e dell’impegno con cui protegge i diritti umani, l’Unione europea ha la responsabilità di combattere la tratta di esseri umani, e in particolare il lavoro infantile.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (EN) La tratta di esseri umani è uno dei crimini più gravi e ripugnanti, che non si può combattere efficacemente senza un coerente approccio politico fondato sulla prevenzione, sulla protezione delle vittime e su sanzioni più efficaci contro i trafficanti. La libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea ha recato notevoli vantaggi ai nostri cittadini, ma contemporaneamente ha offerto nuove opportunità ai trafficanti. Ogni anno, decine di migliaia di giovani donne e bambini, provenienti dai nuovi Stati membri, cadono vittime della tratta di esseri umani. Al Parlamento europeo toccherà un ruolo cruciale nella lotta contro questo crimine odioso; spetterà a noi far sì che prevenzione, protezione e sostegno alle vittime figurino sempre tra i punti più importanti del programma politico. Dobbiamo richiedere che gli Stati membri attuino fino in fondo le vigenti politiche comunitarie e gli altri strumenti riguardanti la tratta di esseri umani, e poi assicurare il varo di sanzioni e pene più severe.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché l’Unione europea deve combattere l’immigrazione illegale e la tratta di esseri umani. A causa della crescente disoccupazione, aumenterà il numero delle potenziali vittime della tratta di esseri umani e dello sfruttamento a fini di lavoro forzato. Soprattutto, coloro che hanno perso il lavoro nel proprio paese natale – e insieme al lavoro anche ogni speranza di vita migliore – si spingeranno a cercare successo altrove: è una situazione che può essere sfruttata da bande criminali. L’area principale della tratta, che riguarda bambini, in particolare, donne e ragazze, non cambia da molti anni. Lo sfruttamento sessuale in condizioni affini alla schiavitù è particolarmente diffuso nell’Europa orientale, che funge da via di transito per la tratta di esseri umani diretta verso occidente. Dobbiamo preparare una strategia di misure per combattere la tratta di esseri umani, imperniata soprattutto sulla lotta contro la tratta, sulla prevenzione e la protezione delle vittime, e infine sulle pene. Tutti gli Stati membri devono adottare misure severe per combattere la tratta di esseri umani e garantire il coordinamento delle legislazioni nazionali. Dobbiamo puntare a una collaborazione più stretta fra tutte le parti interessate al problema della tratta di esseri umani.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Questa moderna forma di schiavitù ha conosciuto negli ultimi anni un’allarmante diffusione, ed è diventata la terza attività più lucrativa, tra le varie forme di criminalità organizzata. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2009 le vittime sono state 270 000, mentre Europol fa rilevare che la tratta di donne a fini di sfruttamento sessuale non è diminuita e la tratta a fini di lavoro forzato è in crescita. E’ una situazione inaccettabile, e non si può consentire che alcune scappatoie giuridiche la agevolino ulteriormente. Occorre una risposta tempestiva, globale, complessiva e coordinata, di carattere sia legislativo che operativo. Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, invito la Commissione a presentare al più presto una nuova proposta, che renda la creazione di una coerente politica europea per una lotta efficace contro la tratta di esseri umani una delle priorità essenziali della Commissione stessa. Tale proposta dovrà estendersi a tutte le facce del problema, compresi gli aspetti relativi ai paesi di origine, transito e destinazione, ai responsabili del reclutamento, del trasporto e dello sfruttamento, e ad altri intermediari, clienti e beneficiari.

Allo stesso tempo, dobbiamo garantire un’assistenza immediata per proteggere adeguatamente vittime e testimoni. Bisogna poi attivarsi per sfruttare al meglio alcuni strumenti che, purtroppo, attualmente vengono sempre impiegati in misura insufficiente da organismi come Europol, Eurojust e Frontex.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. (RO) Sostengo con grande convinzione l’opportunità di creare una piattaforma permanente a livello comunitario, grazie alla quale le politiche sulla tratta di esseri umani possano abbracciare aspetti legati alle questioni sociali e all’inclusione sociale e insistere su programmi adeguati e modalità efficaci per garantire il reinserimento sociale delle vittime, comprese misure relative al mercato del lavoro e al sistema di previdenza sociale.

 
  
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  Lena Ek, Marit Paulsen e Olle Schmidt (ALDE), per iscritto. (SV) A nostro avviso la formulazione originale dei paragrafi 13 e 15 (concernenti la distinzione tra vittime della tratta e immigrati clandestini, e i permessi di soggiorno per coloro che sono minacciati dalla tratta) è preferibile, ma intendiamo votare a favore degli emendamenti a questi paragrafi, per raggiungere un compromesso; grazie a tale compromesso, le vittime della tratta di esseri umani otterranno un permesso di soggiorno temporaneo e le agenzie di controllo delle frontiere acquisteranno conoscenze più precise dei problemi connessi alla tratta. E’ un primo passo; preferiamo che la risoluzione venga adottata subito, e continueremo a lavorare perché le vittime della tratta abbiano diritto alla residenza permanente.

 
  
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  Ioan Enciu (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sulla prevenzione della tratta di esseri umani, nella convinzione che sia estremamente importante imprimere un salto di qualità alla lotta contro la tratta, fenomeno che ha assunto dimensioni allarmanti e rappresenta una grave violazione dei diritti umani fondamentali.

Il progetto di direttiva che sarà presto presentato al Parlamento europeo deve prevedere severe pene a livello europeo contro chiunque sia coinvolto in questa tratta. Occorre emendare la legislazione degli Stati membri per armonizzare le sanzioni e far sì che ai trafficanti venga comminato il massimo della pena, mentre ora la situazione varia sensibilmente da un paese all’altro.

Da tale punto di vista, si rende necessario un approccio transfrontaliero per intensificare la cooperazione con i paesi di origine e di transito, in alcuni dei quali i trafficanti si vedono infliggere solo ammende irrisorie. Allo stesso tempo, è necessario offrire protezione e assistenza alle vittime della tratta, soprattutto donne e bambini che – secondo i dati – rappresentano circa l’80 per cento di tutte le vittime.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della risoluzione sulla prevenzione della tratta di esseri umani, per ribadire la necessità che la Commissione e il Consiglio mantengano la lotta contro questo flagello tra le proprie più importanti priorità, sia pure in un periodo di crisi economica e finanziaria. Gli Stati membri che non lo hanno ancora fatto devono attuare completamente a livello nazionale tutte le politiche comunitarie in materia di tratta e ratificare senza indugio gli altri strumenti giuridici in materia, per garantire alle vittime un livello più elevato di assistenza e protezione.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La tratta di esseri umani rappresenta oggi, per le sue vittime, una disumana forma moderna di schiavitù. Per i responsabili – organizzazioni criminali che gestiscono prostituzione, sfruttamento sessuale, adozioni illegali, lavoro forzato, immigrazione illegale e commercio illegale di esseri umani – si tratta di un’attività estremamente redditizia.

Purtroppo, questo fenomeno ripugnante alligna anche all’interno dell’Unione europea. Esorto quindi la Commissione europea ad adottare misure severe e rigorose per combattere la tratta di esseri umani. L’approccio dev’essere triplice: (i) protezione adeguata delle vittime – in gran maggioranza donne e bambini – per tutelarne i diritti più fondamentali, come la vita, la libertà, l’integrità fisica e morale e l’autodeterminazione sessuale; (ii) misure preventive per le indagini e lo smantellamento delle reti che promuovono la tratta di esseri umani e ne traggono profitto; e infine, (iii) pene severe per il traffico e lo sfruttamento di esseri umani – quale che sia l’odioso fine per cui esso è praticato – e pene proporzionate ai reati commessi.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Come si afferma nella risoluzione adottata, è necessario prendere misure urgenti “contro la tratta di esseri umani sulla base di un approccio olistico, incentrato sui diritti umani, che verta sulla lotta contro il traffico, sulla prevenzione e sulla protezione delle vittime”. E ancora, occorre “adottare un approccio incentrato sulle vittime, vale a dire che ogni potenziale categoria di vittime deve essere identificata, mirata e protetta, con particolare attenzione ai bambini e altri gruppi a rischio”.

Ci rammarichiamo però che siano stati respinti gli emendamenti da noi presentati a questa risoluzione, i quali erano dedicati per l’appunto alle cause sottese alla tratta di esseri umani e ai metodi per combatterla; in particolare:

- Lotta contro la disoccupazione, l’emarginazione e la povertà quali cause della tratta di esseri umani, con particolare riguardo all’esigenza di una mutata politica economica e sociale che metta al primo posto il rafforzamento dei diritti sociali e occupazionali, la diffusione di posti di lavoro provvisti di diritti, l’efficienza dei servizi pubblici e il progresso economico e sociale.

- Rafforzamento della cooperazione e della solidarietà con i paesi d’origine dei migranti, soprattutto tramite un’azione mirante a sviluppare la loro economia, migliorare l’accesso alla conoscenza, cancellare il loro debito e tassare le transazioni finanziarie.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto.(FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo votato contro questa risoluzione sulla tratta di esseri umani, benché si tratti di uno dei più spregevoli crimini esistenti. Abbiamo agito in questo modo in primo luogo perché state sfruttando politicamente questo fenomeno per ampliare ulteriormente i poteri dell’Europa di Bruxelles, delle sue Istituzioni e delle sue numerose agenzie, che tuttavia continuano a dar prova di inefficienza. In secondo luogo – e soprattutto – abbiamo agito in questo modo perché voi state sfruttando l’attenzione, cui normalmente le vittime avrebbero diritto, per creare una nuova pompa di aspirazione da utilizzare per l’immigrazione: assistenza sociale e giuridica, permesso di soggiorno automatico, accesso al mercato del lavoro, accesso semplificato al ricongiungimento familiare e alla previdenza sociale. Tutto questo verrebbe concesso senza esigere che la vittima cooperi con le autorità per aiutarle a catturare i trafficanti e a smantellare le reti criminali. In tal modo, per entrare in Europa, un immigrato clandestino non dovrà fare altro che dichiararsi vittima di un’organizzazione che gli estorce migliaia di euro. Di conseguenza – checché ne pensiate – gli immigrati clandestini richiederanno questo status e voi glielo concederete! Siete degli irresponsabili!

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della risoluzione sulla prevenzione della tratta di esseri umani presentata dai gruppi di centro e di sinistra del Parlamento europeo, perché dobbiamo affermare in modo netto e inequivocabile che le vittime della tratta – che sono in gran parte donne e bambini – devono ricevere assistenza e protezione incondizionate. Queste vittime dovrebbero godere di un diritto prioritario all’assistenza legale gratuita, mentre le pene per i trafficanti andrebbero inasprite; occorre inoltre trovare il modo per scoraggiare la domanda di servizi da parte dei potenziali acquirenti. Siamo di fronte a una forma di inaccettabile violenza contro le donne, e occorre intraprendere un’azione comune per prevenire la tratta, proteggerne le vittime e perseguirne i responsabili.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) All’interno dell’Unione europea molti conducono una vita decorosa e relativamente agiata, ma in realtà in tutto il territorio dell’Unione – e persino nelle zone più ricche – molte persone vivono in stato di schiavitù. La stessa natura transfrontaliera della tratta di esseri umani assegna alle Istituzioni dell’Unione europea un ruolo cruciale nella soluzione di questo problema e di conseguenza accolgo con soddisfazione la risoluzione odierna.

 
  
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  Lívia Járóka (PPE), per iscritto. (HU) La tratta di esseri umani è una delle più gravi violazioni dei diritti umani; può presentarsi sotto forme svariate, dallo sfruttamento sessuale al lavoro forzato, dal commercio di organi alla schiavitù domestica, e le vittime sono in primo luogo donne e bambini. Il quadro giuridico vigente oggi nell’Unione europea per la lotta contro la tratta di esseri umani è inadeguato; è essenziale perciò che l’Unione, valendosi del mandato previsto dal trattato di Lisbona, intraprenda un’azione assai più vigorosa contro questo fenomeno, in particolare per l’assistenza e la protezione da offrire ai gruppi a rischio, soprattutto ai bambini. In questo senso, l’iniziativa di istituire un coordinatore antitratta dell’Unione europea è apprezzabile, così come è positivo il fatto che la proposta inviti gli Stati a infliggere pene deterrenti, proporzionate alla gravità del reato. E’ pure assai importante l’affermazione, contenuta nella proposta di risoluzione, per cui il consenso di una vittima nei confronti dello sfruttamento è sempre irrilevante ai fini del perseguimento e le vittime hanno diritto all’assistenza, indipendentemente dalla loro volontà di collaborare nei procedimenti giudiziari.

Inoltre è essenziale coinvolgere il più possibile la società civile nell’azione istituzionale tesa a stroncare la tratta di esseri umani, e avviare poi campagne di informazione e sensibilizzazione nei confronti dei gruppi più a rischio. E’ auspicabile che gli Stati membri recepiscano senza indugio nella propria legislazione quest’approccio integrato che abbraccia la prevenzione, le sanzioni e la protezione delle vittime; con la ratifica degli opportuni strumenti giuridici, essi compiranno un grande passo in avanti verso l’eliminazione di questa moderna forma di schiavitù.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE), per iscritto. (PL) Signor Presidente, ho votato per l’adozione della risoluzione sulla tratta di esseri umani; la tratta è uno dei soprusi più crudeli che l’uomo possa infliggere ai suoi simili, ed è terribile constatare quanto sia diffuso questo spaventoso fenomeno. Non riesco a trovare giustificazioni né attenuanti per coloro che, in tal modo, calpestano tutti i valori che più ci stanno a cuore. La tratta di esseri umani è la negazione della libertà, della dignità e dell’uguaglianza. Mi auguro che il Parlamento contribuisca ad arginare e, in futuro, a eliminare completamente la tratta.

 
  
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  Timothy Kirkhope (ECR), per iscritto. (EN) Il gruppo ECR è unanime nel ritenere che la tratta di esseri umani sia un fenomeno intollerabile, da bloccare al più presto. Ci sembra però molto improbabile che questa risoluzione rappresenti uno strumento adeguato per affrontare alla radice il problema della tratta, e di conseguenza abbiamo deciso di esprimere voto contrario. A giudizio del gruppo ECR, la risoluzione adotta un approccio centrato sulle vittime, che prescrive agli Stati membri i metodi per venire in aiuto alle vittime, una volta che esse siano cadute preda della tratta; in tal modo si presuppone che l’incidenza della tratta stessa sia inevitabile. Il gruppo ECR, invece, ha firmato, insieme al gruppo PPE, una risoluzione che invoca una collaborazione più intensa fra Stati membri, polizia e agenzie di controllo delle frontiere, per salvaguardare i dati personali e lasciare ai singoli Stati membri la decisione sull’assistenza da prestare alle vittime.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Tutte le forme di schiavitù, moderne o non moderne, vanno condannate con la massima severità. Questa risoluzione ha il merito di cercare di proteggere le vittime della violenza dalla disumanizzata brama di profitto e dalla miseria psicologica e sociale che ne deriva. Deploriamo tuttavia che essa si occupi solamente delle vittime delle reti criminali che agiscono nell’economia sommersa, poiché la tratta di esseri umani ha anche un corrispondente legale, che non è meno spregevole.

Il neoliberismo, ossessionato dal profitto, continuamente teso a mettere i lavoratori in concorrenza reciproca e a effettuare delocalizzazioni, infligge a sua volta ai cittadini una violenza simbolica e fisica insieme. Li costringe a emigrare contro la propria volontà e li getta in situazioni di tale difficoltà, da far aumentare il numero dei suicidi legati alle condizioni di lavoro. Opprimere i cittadini in tal modo, ridurli a mere variabili di un sistema inefficiente e malsano, a strumenti da utilizzare negli interessi delle élite finanziarie, senza mai tener conto della loro vita che viene anzi messa a repentaglio: cos’è tutto questo se non l’equivalente di quella forma di proprietà degli esseri umani che chiamiamo schiavitù? Certo, la criminalità va combattuta, ma non è meno indispensabile lottare contro l’iniquità istituzionalizzata e fare dell’Unione europea un’unione per l’emancipazione dei cittadini.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La tratta di esseri umani viola i diritti umani più fondamentali e costituisce una forma di schiavitù basata sullo sfruttamento sessuale e sullo sfruttamento del lavoro. Secondo le stime internazionali, la tratta di esseri umani costituisce la terza forma più redditizia di traffico illegale. Dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, l’azione dell’Unione europea in materia di cooperazione giudiziaria e di polizia si è chiaramente rafforzata. La lotta contro la tratta di esseri umani deve costituire uno dei principali obiettivi dell’Unione e il Parlamento – grazie al suo ruolo di colegislatore – svolgerà in questo quadro un ruolo di primo piano. Anche in tempi di crisi economica e finanziaria, la lotta contro la tratta di esseri umani deve perciò rappresentare sempre una delle massime priorità dell’Unione europea.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. (PL) La tratta di esseri umani è uno dei più gravi flagelli dell’inizio di questo secolo; non si può certo dire che esageri chi la definisce una moderna forma di schiavitù. Si tratta di un’attività enormemente redditizia, controllata da bande criminali organizzate e pericolosissime. Sostengo senza riserve la proposta di risoluzione (B7-0029/2010) sulla prevenzione della tratta di esseri umani, che è stata presentata da un’ampia coalizione dei gruppi politici presenti in Parlamento. A mio avviso la Commissione europea ha il dovere di elaborare un piano d’azione per stroncare una volta per tutte la tratta di esseri umani. Contemporaneamente, mi unisco agli autori della risoluzione nel caldeggiare la nomina di un coordinatore antitratta dell’Unione europea che agisca sotto la supervisione del commissario per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza. Mi auguro che ciò possa costituire un rinnovato stimolo a intensificare l’azione contro la tratta di esseri umani.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. (RO) La tratta di esseri umani è un mercato in espansione, paragonabile ormai al traffico di armi o di droga; si tratta di un fenomeno diffuso in tutto il mondo, ma più acuto nei paesi sottosviluppati. Secondo la relazione del gruppo di lavoro delle Nazioni Unite, le vittime della tratta provengono dagli ambienti sociali più diversi: possono essere agiate o poverissime, istruite o completamente analfabete, giovanissime o donne anziane. Per combattere con maggiore efficacia questo fenomeno in espansione, dobbiamo coordinare le informazioni in modo migliore. Da questo punto di vista, sarebbe una cosa preziosa se Eurojust, Europol e Frontex pubblicassero ogni anno una relazione congiunta sulla tratta di esseri umani. Se l’Unione europea vuole assumere una posizione guida in tema di rispetto dei diritti umani, deve cooperare più attivamente con i paesi terzi per contribuire a stroncare questo fenomeno. Occorrono inoltre finanziamenti più generosi per i programmi miranti a combattere la tratta di esseri umani, ed è necessario instaurare un coordinamento più stretto fra le istituzioni degli Stati membri che partecipano alla lotta contro la tratta.

 
  
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  Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. (PL) La tratta di esseri umani è la forma più flagrante di violazione dei diritti umani. Il numero delle vittime di questa moderna forma di schiavitù cresce di anno in anno, e i reati di questo tipo vengono individuati solo in percentuale assai modesta. Approvo quindi la risoluzione del Parlamento europeo sulla prevenzione della tratta; siamo di fronte a un’attività che va combattuta con tutti i mezzi possibili, a cominciare da una campagna informativa ampia e sistematica che illustri le dimensioni del fenomeno e sensibilizzi in materia l’intera società. Non basta fornire singole informazioni occasionali sui casi di tratta che sono stati scoperti; ogni volta, bisogna invece segnalare gli indirizzi delle istituzioni che partecipano alla lotta contro questa forma di criminalità.

La relazione presentata nel gennaio 2010 dal Centro di assistenza legale e dalla fondazione La Strada, intitolata “Prevenzione della tratta di donne dall’Europa centrale e orientale. Informazione – Prevenzione – Individuazione – Intervento”, fa rilevare che in Polonia non si applicano le procedure miranti a garantire i diritti delle vittime della tratta. Uno dei problemi più spinosi è rappresentato dal lungo lavoro necessario per inserire nel codice penale una definizione aggiornata di tratta degli esseri umani. Nel 2005, è stata firmata a Varsavia la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani; i giuristi hanno impiegato tre anni a ratificarla. Ancora oggi non disponiamo di una definizione vincolante di tratta degli esseri umani, e questa circostanza da un lato intralcia le procedure preparatorie e i procedimenti giudiziari, ma dall’altro ostacola anche il rispetto dei diritti umani in Polonia.

 
  
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  Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto. (DA) Il mio voto a favore non va interpretato come un’approvazione di quegli emendamenti alla risoluzione che implicano un ulteriore trasferimento di poteri dagli Stati membri all’Unione europea, tra cui per esempio:

- la possibilità, per l’Unione, di stabilire in questo campo sanzioni più severe,

- i riferimenti al trattato di Lisbona, che comportano un rafforzamento dell’azione dell’Unione nelle questioni penali,

- e l’istituzione in questo settore di un quadro legislativo superiore.

 
  
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  Eva-Britt Svensson (GUE/NGL) , per iscritto. (SV) Ho votato a favore della risoluzione B7-0029/2010, sulla tratta di esseri umani, perché essa riguarda un problema importantissimo e indica un lungo elenco di misure che è indispensabile adottare per debellare la tratta. Il mio sostegno alla risoluzione non va però interpretato come un’approvazione di quegli emendamenti alla risoluzione che implicano un ulteriore trasferimento di poteri dagli Stati membri all’Unione europea, tra cui per esempio la possibilità, per l’Unione, di stabilire in questo campo sanzioni più severe, i riferimenti al trattato di Lisbona che comportano un rafforzamento dell’azione dell’Unione nelle questioni penali e l’istituzione in questo settore di un quadro legislativo superiore.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della risoluzione perché partecipo personalmente alla lotta contro la tratta di esseri umani in Slovacchia. Sono stata io a lanciare la campagna “Sapete dov’è ora vostro figlio?” Inoltre, nel corso del dibattito sulla procedura di bilancio la commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha adottato un emendamento mirante a lanciare una campagna pluriennale sui media, intitolata anch’essa “Sapete dov’è ora vostro figlio?”; tale campagna, svolta in stretta collaborazione con le organizzazioni della società civile, mira a rendere i genitori più consapevoli delle proprie responsabilità, a migliorare la protezione dei bambini contro tutte le forme di violenza, e a combattere più efficacemente la tratta di bambini. Questa nuova risoluzione, cui va il mio più vivo e convinto apprezzamento, si articola su cinque punti fondamentali: aspetti generali, raccolta di informazioni, prevenzione, perseguimento e infine protezione, sostegno e assistenza per le vittime. La Commissione è invitata ad adottare iniziative – soprattutto in materia di informazione e prevenzione – per individuare le cause di fondo della tratta e i fattori che, nei paesi di origine e di destinazione, possono facilitarla. Confido che i genitori vengano efficacemente sensibilizzati sulla grave responsabilità che loro compete nei confronti dei figli, per evitare che bambini e adolescenti cadano vittime della tratta di esseri umani.

 
  
  

Proposta di risoluzione RC-B7-0064/2010

 
  
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  John Stuart Agnew e William (The Earl of) Dartmouth (EFD), per iscritto. (EN) Lo United Kingdom Independence Party ritiene che la protezione ambientale sia un problema importante; pur mettendo in dubbio i presupposti scientifici su cui si fondava la Conferenza di Copenaghen, non ci opponiamo all’adozione, a livello nazionale, di misure per la protezione dell’ambiente.

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione poiché sono convinto che l’Unione europea debba elaborare un nuovo paradigma di sviluppo per far fronte al cambiamento climatico. La prossima revisione del bilancio dovrà mettere a disposizione risorse sufficienti per misure che possano rispondere a questa importante sfida. Non possiamo perdere di vista l’impegno che abbiamo assunto nella lotta contro il cambiamento climatico. Come europei, dobbiamo impegnarci a raggiungere l’obiettivo di una riduzione delle emissioni di CO2 superiore al 20 per cento entro il 2010. La cooperazione degli altri partner internazionali sarebbe inoltre importante per realizzare un ambizioso accordo completo e giuridicamente vincolante, coerente con l’obiettivo di evitare un riscaldamento superiore ai 2 °C. Ritengo inoltre che le iniziative in corso di adozione nell’Unione europea per promuovere e incoraggiare l’economia verde, la sicurezza energetica e la riduzione della dipendenza energetica debbano rimanere una priorità. L’Unione potrebbe prendere esempio dalle politiche attuate nella mia regione – le Azzorre – ove già ora il 30 per cento circa dell’energia proviene da fonti rinnovabili.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Sia l’Europa che il resto del mondo riponevano grandi speranze nella Conferenza di Copenaghen. L’Unione europea era pronta a fungere da leader in questa riunione, per uscirne con un trattato giuridicamente vincolante; il Vertice, però, si è concluso senza riuscire affatto a chiarire in che direzione debba muoversi la lotta contro il cambiamento climatico. L’accordo di Copenaghen, che non indica né obiettivi né impegni di qualche respiro, è un risultato insoddisfacente. L’ambizioso 20-20-20 dell’Unione europea è forse destinato a rimanere un sogno remoto se questo problema non viene risolto a livello globale. Con il suo servizio di azione esterna, l’Unione deve porsi senza indugio alla guida di una strategia diplomatica in questo settore, soprattutto per garantire che l’Europa, nelle trattative con gli altri paesi, parli con una voce sola e mantenga una posizione fedele ai propri principi; in tal modo sarà possibile concludere al più presto possibile un accordo internazionale vincolante in materia di cambiamento climatico.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Accolgo con favore la proposta di risoluzione sui risultati della quindicesima conferenza delle parti (COP 15), che reca anche la mia firma, e apprezzo pure i risultati dei negoziati tra i vari gruppi politici, che sono rappresentativi dell’interesse sempre più generalizzato che questo problema suscita, nonché del futuro sostenibile che costituisce l’obiettivo. Ancora una volta desidero esprimere la mia delusione per l’esito del Vertice di Copenaghen, ed esorto l’Unione europea a riassumere il proprio ruolo guida nella lotta contro il cambiamento climatico, per contribuire al varo di un accordo giuridicamente vincolante che comporti obiettivi di riduzione misurabili, notificabili e verificabili in occasione della COP 16, che avrà luogo quest’anno in Messico.

Se vogliamo che l’industria europea diventi più competitiva e crei più occupazione, è essenziale investire in un futuro sostenibile in cui rientrino protezione del clima, sicurezza energetica, riduzione della dipendenza e uso efficiente delle risorse. Alla luce di queste considerazioni, esorto i paesi industrializzati a intensificare gli investimenti nella ricerca in nuove tecnologie, sia per ridurre le emissioni di CO2, sia per giungere a un uso più efficiente e sostenibile delle risorse naturali.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) La proposta contiene alcuni elementi positivi: riconosce per esempio la mancanza di obiettivi a medio e lungo termine nonché il carattere confuso e l’esiguità dei finanziamenti destinati ai paesi in via di sviluppo. Nella votazione mi sono però astenuto, perché sono stati respinti tutti gli emendamenti presentati dal mio gruppo, che richiedevano l’adozione di ulteriori misure per ridurre le emissioni di CO2 del 40 per cento almeno entro il 2020 sulla base di un accordo giuridicamente vincolante, il rifiuto dell’energia nucleare in quanto energia “pulita”, un incremento degli aiuti finanziari ai paesi poveri e in via di sviluppo per incoraggiare lo sviluppo e il trasferimento di tecnologie, e infine la promozione di un’economia verde socialmente sostenibile, che rafforzi gli investimenti e l’occupazione e migliori la qualità della vita; e ancora, mi sono astenuto perché non è stato approvato l’importante emendamento che proponeva l’introduzione di una tassa dello 0,01 per cento sulle transazioni finanziarie, il quale avrebbe potuto procurare 20 000 milioni di euro all’anno per aiutare i paesi in via di sviluppo a combattere il cambiamento climatico e ad adattarvisi. Non possiamo andare in Messico guidati solamente dall’esile e scoraggiante accordo di Copenaghen; dobbiamo riesaminare radicalmente il nostro approccio politico al cambiamento climatico, in modo da raggiungere un accordo adeguato in occasione dei prossimi negoziati. A tale scopo è indispensabile riconoscere e correggere gli errori commessi a Copenaghen, cosa che però la risoluzione del Parlamento europeo non fa assolutamente.

 
  
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  Spyros Danellis (S&D), per iscritto. (RO) Il fatto che il Vertice di Copenaghen venga unanimemente giudicato il “desolante fallimento” del tentativo di concludere un accordo globale per la limitazione delle emissioni di gas a effetto serra, responsabili del surriscaldamento terrestre, riconferma la totale assenza di coordinamento tra gli Stati membri dell’Unione europea rispetto agli Stati Uniti e ai paesi emergenti.

L’accordo di Copenaghen non indica neppure un obiettivo in termini di limite accettabile per l’aumento della temperatura globale. Mi auguro però che sia possibile raggiungere un esito positivo e una decisa posizione europea sugli effetti del cambiamento climatico, in occasione della conferenza prevista per il febbraio del prossimo anno, nel corso della quale le nazioni del mondo dovranno presentare i propri piani per il taglio di emissioni entro il 2020.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune sull’esito della Conferenza di Copenaghen, poiché in linea generale approvo il contenuto delle misure proposte, e in particolare di due di esse. Alludo in primo luogo all’assoluta necessità che l’Unione europea si esprima con una sola voce nei negoziati internazionali, perché solo in tal modo potremo garantirci un ruolo guida nelle trattative su questo importante problema. Si tratta di una questione le cui conseguenze si ripercuoteranno sulle generazioni future, e che quindi esige un’azione decisa, autorevole, immediata e accorta, analoga a quella con cui l’Unione europea ha affrontato altre situazioni (per esempio la crisi finanziaria). Per raggiungere tale obiettivo è indispensabile una nuova “diplomazia del clima”; a tale scopo, come si sottolinea ai punti 5 e 15 del documento, è indispensabile l’apporto non solo dell’Unione europea, ma anche della Cina e degli Stati Uniti.

Il secondo punto su cui desidero richiamare l’attenzione è la necessità che i paesi in via di sviluppo, le economie emergenti, adottino per il cambiamento climatico le medesime norme valide per gli Stati membri dell’Unione europea. Alla luce di tali considerazioni, insieme ad alcuni colleghi ho proposto l’introduzione di una tassa sul carbonio per i prodotti importati da paesi terzi: è uno spunto per far germogliare in futuro quest’idea, che a mio avviso rappresenta un passo particolarmente importante.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sull’esito della Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici. Il risultato della quindicesima conferenza delle parti (COP 15) è stato deludente. L’Unione europea deve perciò fare ogni sforzo, a livello di diplomazia esterna, ed esprimersi con una sola voce per garantire il varo di un accordo internazionale giuridicamente vincolante che consenta di limitare l’aumento della temperatura globale a non più di 2°C.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Alla luce della situazione di stallo con cui si è conclusa la Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici, è importante che l’Unione europea prosegua senza esitazioni sulla strada che ha percorso finora, impegnandosi seriamente a perseguire lo sviluppo sostenibile e a ridurre le emissioni di carbonio senza mettere a repentaglio l’industria europea.

Le nuove politiche climatiche, soprattutto nel contesto della crisi generale, non devono perdere di vista l’efficienza economica, e non devono assolutamente mettere in discussione la sostenibilità economica dei paesi europei. Per tale motivo invoco per la politica energetica un nuovo approccio, basato sull’energia pulita, su un uso più efficiente delle risorse naturali a nostra disposizione e su cospicui investimenti nel campo della ricerca e di tecnologie più ecocompatibili; in questo modo potremo mantenere all’Europa la sua competitività, e creare occupazione in un quadro di sviluppo sostenibile.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea ha sempre svolto un ruolo guida nei negoziati internazionali sui cambiamenti climatici. Tuttavia, nonostante le sue ambizioni, l’ultima conferenza sul clima svoltasi a Copenaghen si è risolta in un fallimento per tutti coloro che erano decisi a concludere un accordo vincolante. Si tratta di un esito ben lontano sia dalla posizione dell’Unione in materia, sia dai requisiti minimi indispensabili per la protezione del clima. Alla luce del deludente risultato del Vertice di Copenaghen, il Parlamento vuole segnalare chiaramente all’opinione pubblica europea e al mondo il proprio immutato impegno nella lotta contro il cambiamento climatico. Ora stiamo preparando la prossima conferenza in Messico, ove tutte le parti dovrebbero sforzarsi di intensificare il proprio impegno. Non possiamo ripetere gli errori già commessi a Copenaghen; dobbiamo chiederci che cosa non ha funzionato a dovere nel corso di quei negoziati, e quali siano le mosse più opportune per includere Stati Uniti, Cina e India nel processo negoziale.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La risoluzione in esame non offre una valutazione critica – che sarebbe invece indispensabile – del fallimento di Copenaghen. Anziché effettuare una rigorosa analisi delle responsabilità che la stessa Unione europea ha avuto in questo fallimento, la maggioranza della nostra Assemblea preferisce indulgere alla ricerca di capri espiatori come la Cina (le cui emissioni atmosferiche pro capite di diossido di carbonio sono meno della metà di quelle dell’Unione) e ora anche i paesi dell’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America. Quest’atteggiamento, determinato soltanto dalla faziosa cecità dei più eminenti leader politici, incrina e stravolge l’autentico significato della Conferenza di Copenaghen. Significativamente, si insiste sull’efficacia degli strumenti di mercato come lo scambio dei diritti dei emissione, ignorandone l’inefficacia e gli effetti perversi che l’esperienza del loro utilizzo ha già ampiamente dimostrato. Ancora una volta, si trascura la necessaria discussione dei cosiddetti meccanismi flessibili come il Meccanismo di sviluppo pulito.

Analogamente, non si stima necessario rispettare la sovranità dei paesi in via di sviluppo nella definizione e nell’attuazione delle cosiddette strategie di adattamento. Non si può certo sperare che una soluzione equa e sostenibile del problema del cambiamento climatico, o di altri problemi ambientali, scaturisca proprio dall’irrazionale sistema che tali problemi ha provocato; quel che occorre è invece un altro modello economico e sociale che si opponga al capitalismo.

 
  
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  Adam Gierek (S&D), per iscritto. (PL) Questa risoluzione dimostra che i seguaci delle opinioni del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) non hanno capito proprio nulla. Il più grave punto debole della COP 15 è stato l’incapacità di comprendere: la sensibilità dei paesi terzi e dei paesi in via di sviluppo, oltre che di alcuni Stati membri dell’Unione, in tema di “giustizia climatica”; il fatto che le due massime superpotenze – Cina e Stati Uniti – sono in concorrenza reciproca sia economica che militare; e infine il fatto che gli “ambiziosi” piani per limitare le emissioni di CO2 si basavano sul paradigma del riscaldamento climatico antropogenico, che non gode di soverchia credibilità scientifica. Le affermazioni allarmistiche dell’IPCC si devono considerare estremamente irresponsabili, poiché le decisioni politiche ed economiche prese sulla loro base incideranno sulla vita di numerose generazioni future. Tali decisioni non devono perciò fondarsi sulle opinioni di coloro che cercano solamente di mettere in pratica una tesi prestabilita, ossia la teoria per cui è l’umanità a causare il riscaldamento globale. La credibilità scientifica dell’IPCC è stata offuscata da vicende come quelle del Climategate, la falsificazione delle tendenze della temperatura globale (Russia e Australia), e del Glaciergate.

Occorre perciò riesaminare immediatamente tutte le norme giuridiche, basate sulle dichiarazioni dell’IPCC, che ostacolano lo sviluppo dell’economia europea. Per quanto riguarda il cambiamento climatico – una questione importantissima per la civiltà intera – è giunto il momento che la Commissione europea fondi il suo operato su una propria meta-analisi della ricerca climatica, svolta da un gruppo di climatologi indipendenti dalle opinioni della Commissione e da qualsiasi pressione politica. Queste due condizioni non figurano nella risoluzione, e quindi ho espresso voto contrario.

 
  
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  Robert Goebbels (S&D), per iscritto.(FR) Ho votato contro la risoluzione poiché essa contiene un eccessivo numero di pii desideri. A Copenaghen abbiamo potuto constatare in quale conto il resto del mondo tenga il “ruolo guida” dell’Unione europea in materia di cambiamento climatico. Il cosiddetto accordo di Copenaghen è stato negoziato dal presidente Obama con la Cina, l’India, il Brasile, il Sud Africa e pochi altri paesi, mentre i vari Barroso, Sarkozy e soci non sono stati neppure invitati. Anziché imporre nuovi oneri alle nostre economie e ai nostri cittadini, cerchiamo piuttosto di investire nelle tecnologie del futuro. L’anno scorso, la Cina è diventata il principale esportatore a livello mondiale di attrezzature per turbine eoliche e di cellule fotovoltaiche. L’Europa deve entrare in questa battaglia tecnologica anziché infliggersi questa sorta di punizione collettiva, che fuori d’Europa non fa impressione a nessuno e non attirerà certo imitatori.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Il mio voto su questa risoluzione esprime la delusione per l’accordo raggiunto infine a Copenaghen nell’ultimo scorcio del 2009: un accordo che giudico inadeguato, privo di ambizioni e di qualsiasi impegno quantificabile; mi rammarico inoltre che non sia stato adottato l’emendamento, presentato dal mio gruppo, che chiedeva l’introduzione di una tassa annuale dello 0,01 per cento sulle transazioni finanziarie, allo scopo di finanziare la lotta contro il cambiamento climatico nei paesi più poveri e più direttamente colpiti, con un introito prevedibile di 20 miliardi di euro all’anno. Infine, se l’Unione europea desidera esercitare un peso significativo nei negoziati internazionali di questo tipo, deve imparare a esprimersi con una sola voce, per non perdere l’opportunità di svolgere un ruolo cruciale nelle questioni del cambiamento climatico globale. A questo scopo occorre fissare obiettivi ambiziosi, che prevedano la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di oltre il 20 per cento entro il 2020.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Nella lotta contro il cambiamento climatico il Vertice di Copenaghen ha veramente rappresentato una grande occasione sprecata. Il mio paese, la Scozia, ha adottato, in materia di cambiamento climatico, la legislazione più ambiziosa del mondo intero, e il governo scozzese ha recentemente instaurato con quello delle Maldive una collaborazione che può servire da modello per un accordo internazionale. La risoluzione odierna invoca “riunioni bilaterali tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali” per agevolare l’intesa reciproca; mi attendo che anche il parlamento scozzese venga invitato a queste riunioni, in considerazione della posizione di avanguardia mondiale che ha assunto.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Questa risoluzione fa registrare, da parte di gruppi di destra che l’hanno firmata, progressi non disprezzabili: si ricorda l’operato dell’IPCC in materia di cambiamento climatico; si chiede di approfondire il coinvolgimento della società civile nei lavori per la conferenza del Messico; si invita l’Unione europea a porsi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra superiori al 20 per cento proposto per il 2020. Tutto questo però non basta, e gli elogi tributati al mercato del carbonio fanno venire meno qualsiasi plausibilità; non sono neppure sufficienti gli aiuti offerti ai paesi del Sud, nei cui confronti abbiamo contratto un debito climatico.

Analogamente, l’obiettivo proposto in questa sede, di mirare a una riduzione del 30 per cento delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020, è assai distante dal 40 per cento raccomandato dall’IPCC. E ancora, non si fa alcun riferimento alla Conferenza mondiale dei popoli sul cambiamento climatico, patrocinata dal presidente della Bolivia Morales Ayma; fino a oggi, però, questa è l’unica iniziativa che proponga ai popoli del mondo di riconoscere i diritti propri dell’ecosistema e di istituire una corte di giustizia climatica.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Le grandi speranze sorte intorno al celebrato Vertice di Copenaghen sono state stroncate. I paesi su cui grava la responsabilità più pesante in questo campo non hanno elaborato una posizione consensuale sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Si tratta di un problema che preoccupa tutto il mondo e che occorre risolvere rapidamente. Per la sedicesima conferenza delle parti (COP 16), che si terrà in Messico, servono maggiore trasparenza e un più rilevante apporto della società civile. L’Unione europea deve porsi alla testa della lotta contro il cambiamento climatico, e tutti i paesi, dagli Stati Uniti ai cosiddetti paesi emergenti – tra cui la Cina – che sono grandi inquinatori, devono assumersi le proprie responsabilità in una lotta in cui lo spazio per le nuove opportunità si riduce costantemente. Qui è in gioco il futuro sostenibile dell’umanità, e se non agiremo in tempo utile potremmo raggiungere il punto di non ritorno.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Nel voto sulla risoluzione RC-B7-0064/2010, concernente l’esito della Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici, mi sono astenuto, nella convinzione che la Conferenza si sia conclusa con un fallimento, in quanto l’accordo di Copenaghen non è giuridicamente vincolante e non fissa obiettivi globali per la riduzione delle emissioni. Nel corso del Vertice i paesi sviluppati non hanno riconosciuto il debito climatico che hanno contratto nei confronti dei paesi in via di sviluppo, né hanno mostrato alcun rammarico per le dannose conseguenze dei vigenti meccanismi di mercato (scambio delle emissioni di carbonio). Astenendomi ho voluto manifestare la mia profonda delusione per il risultato del Vertice, che non è stato certo all’altezza delle aspettative dei cittadini.

L’Unione europea deve assumersi una volta per tutte le proprie responsabilità e fare ogni sforzo per ridurre le emissioni di CO2 del 40 per cento entro il 2020. Giudico perciò necessario proporre un nuovo modello economico e sociale da contrapporre al capitalismo, e accolgo con favore la decisione del presidente della Bolivia, Evo Morales, che ha indetto la Conferenza mondiale dei popoli sul cambiamento climatico e i diritti della Madre Terra.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. (PL) Il Vertice sul clima di Copenaghen è stato giustamente considerato un fallimento da quasi tutti gli osservatori. E’ difficile scacciare il sospetto che a Copenaghen i leader mondiali abbiano giocato d’azzardo e, anziché cercare di elaborare il miglior accordo possibile, abbiano piuttosto tentato di addossarsi a vicenda la responsabilità per la mancata conclusione di un accordo. E’ preoccupante che l’Unione europea, pur avendo raggiunto una posizione comune, non sia poi riuscita a utilizzarla come piattaforma per concludere un accordo con gli altri paesi. L’Unione deve iniziare a operare affinché la conferenza COP 16 in Messico si risolva positivamente. L’accordo sul clima che l’Unione stessa dovrebbe promuovere dovrà avere tre caratteristiche fondamentali: dovrà essere giuridicamente vincolante, solidale e ambizioso. Desta perciò inquietudine la decisione presa nel corso del Vertice UE di Siviglia, in base alla quale l’Unione europea, entro il 2020, non limiterà le proprie emissioni di più del 20 per cento rispetto al 1990.

E’ stata ribadita la condizione per aumentare al 30 per cento l’obiettivo di riduzione, ossia che prima gli altri paesi devono emettere una dichiarazione in tal senso. In questo momento, però, a giudicare dalla situazione internazionale, solo l’Unione europea può dare l’impulso necessario per giungere a riduzioni più significative. In questo campo nessuno prenderà il posto dell’Unione, e l’Unione stessa non deve rinunciare al ruolo di promotore globale di metodi radicali nella lotta contro il riscaldamento globale. L’Unione deve mettere a disposizione 7,2 miliardi di euro e impegnarsi a utilizzarli a favore dei paesi meno sviluppati e più minacciati dal cambiamento climatico.

 
  
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  Frédérique Ries (ALDE), per iscritto.(FR) Imparare dal fallimento del Vertice di Copenaghen: ecco la priorità indicata al Parlamento europeo da questa risoluzione, a favore della quale ho votato. Sappiamo benissimo che cosa non va: il metodo delle Nazioni Unite non funziona più, gli Stati Uniti e la Cina si sono comportati come avversari nella lotta contro la deregolamentazione climatica e l’Unione europea non è stata capace di esprimersi con una sola voce. Conosciamo quindi i mali, ma dobbiamo ancora trovare i rimedi che ci consentano di concludere un accordo a Cancún nel novembre 2010.

Per conservare il proprio ruolo guida, l’Europa dovrà dar prova di un approccio innovativo al problema del clima e offrire una soluzione più convincente dell’obiettivo di una semplice riduzione globale delle emissioni per mezzo del sistema altamente speculativo dello scambio di emissioni di gas a effetto serra – strumento che, tra l’altro, è stato appena respinto dal governo statunitense. E’ giunto il momento di passare a un metodo diverso, proponendo un ponte “tecnologico” tra i paesi industrializzati e le regioni e i piccoli Stati maggiormente esposti al cambiamento climatico. Un intreccio di ambiziose misure in materia di tecnologie pulite, efficienza energetica nell’edilizia e nei sistemi di trasporto e promozione di un’occupazione verde potrà infondere nuova vita alle speranze di domani, alla speranza di raggiungere un accordo in occasione del prossimo Vertice di Cancún, alle speranze più vive di una visione comune del mondo.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. (PL) La Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici non ha offerto una soluzione e non è neppure riuscita a produrre un accordo su qualche tipo di decisione o risoluzione finale in merito alla portata o alle dimensioni delle restrizioni delle emissioni, né sui mezzi finanziari che a tale scopo saranno destinati. Non mi pare tuttavia che si possa parlare di un fallimento, anche se l’esito non ha certamente soddisfatto le aspettative dell’Unione europea. Si trattava in realtà di aspettative irrazionali, sia per quanto riguarda le dimensioni delle riduzioni proposte per le emissioni di gas a effetto serra, sia per quanto riguarda le attese finanziarie legate alla lotta contro il cambiamento climatico. Oltre a questo la rivendicazione di un ruolo guida nel processo di lotta contro il cambiamento climatico tradiva una certa arroganza. A mio avviso, ci troviamo ancora in una fase in cui sarebbe inopportuno adottare decisioni definitive e o vincolanti, fra le altre ragioni anche perché non disponiamo ancora di dati scientifici attendibili sul cambiamento climatico e sul ruolo svolto dall’attività umana in tale processo. Recentemente abbiamo assistito alle controversie esplose in materia, a conferma della variegata disparità di opinioni che si registra in merito agli effetti del riscaldamento globale. A favore dell’opportunità di rinviare una decisione definitiva milita anche un altro argomento: la crisi economica, che obbliga i paesi a risparmiare e a tagliare le spese. In un difficile periodo di recessione economica, va data priorità ai temi sociali come la lotta contro la disoccupazione e l’impoverimento della società, il sostegno all’imprenditorialità e altre misure atte a stimolare la crescita economica.

 
  
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  Peter Skinner (S&D), per iscritto. (EN) Sebbene l’esito definitivo del Vertice di Copenaghen sia stato considerato deludente, molte considerazioni ci stimolano a compiere ulteriori sforzi. In questo campo, non ci sono proprio alternative a un’azione collettiva.

Dal momento che l’Unione europea continuerà a svolgere un ruolo essenziale nel cammino verso la prossima conferenza in Messico, bisogna adoperarsi in ogni modo per ottenere consenso politico a livello globale. E’ grazie a una riflessione sui problemi delineati da molti scienziati e altri osservatori, che i cittadini si stanno decidendo a sostenere le proposte avanzate in materia di cambiamento climatico. Chi si limita a diffondere un’atmosfera di paura e ostilità fa ben poco per articolare le argomentazioni a proprio favore.

La linea adottata dai governi dell’Unione europea, guidati dal ministro Ed Miliband, si è guadagnata un vasto consenso e offre concrete speranze di giungere a un accordo. Il nostro Parlamento deve continuare a sostenere tale approccio.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. (NL) Ho votato a favore di questa risoluzione in quanto essa esorta ad adottare una posizione più decisa nei negoziati su una politica climatica globale. Inoltre, l’assenza di i un accordo internazionale non è affatto una ragione per rimandare ulteriori misure politiche comunitarie che applichino l’impegno – già preso dall’Unione europea – di tagliare le nostre emissioni del 20 per cento entro il 2020.

Il Parlamento ribadisce l’intenzione di elevare questa riduzione fino al 30 per cento. La nostra Assemblea fa bene ad affermare esplicitamente che le iniziative prese per promuovere e incentivare l’economia verde e la sicurezza energetica e per limitare la dipendenza energetica renderanno sempre più facile ottenere l’impegno a realizzare una riduzione del 30 per cento.

E’ importante imparare dal fallimento di Copenaghen. Dobbiamo perciò affrontare un’importante autocritica: l’Unione europea non è stata capace di costruire fiducia, nel corso dei negoziati, tramite specifici impegni preliminari per finanziamenti governativi internazionali a favore di misure climatiche nei paesi in via di sviluppo. Ed è altrettanto importante riconoscere che il contributo collettivo dell’Unione europea alla riduzione delle emissioni e al finanziamento delle esigenze di adattamento dei paesi in via di sviluppo entro il 2020 non può essere inferiore ai 30 miliardi di euro all’anno. Mi auguro che la Conferenza del Messico produca un risultato positivo.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. (DE) Ho votato contro la risoluzione. Purtroppo, numerosi emendamenti validi sono stati respinti. In materia di protezione del clima, molti sembrano aver smarrito qualsiasi senso della realtà. Sono stati respinti i commenti critici e il corretto lavoro scientifico sulla protezione del clima, e si approva invece che l’Europa vada avanti da sola. Questa non mi sembra affatto una politica responsabile nei confronti dei nostri cittadini.

 
  
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  Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Mi sono astenuta nel voto sulla risoluzione del Parlamento europeo concernente la Conferenza di Copenaghen, poiché essa non affronta adeguatamente il fallimento di quel vertice, anche se il Parlamento ha nettamente condannato le carenze palesate dall’Unione europea in tale occasione.

Sono state certamente adottate alcune misure positive: per esempio quelle che invitano la Commissione a dimostrarsi più ambiziosa in materia di emissioni di gas a effetto serra e a concedere finanziamenti adeguati per eliminare tali emissioni.

Altri emendamenti sono però inaccettabili, in quanto abbandonano la regolamentazione al mercato, grazie ai permessi di emissione, ai meccanismi di sviluppo pulito, e così via. Si richiede per di più all’Unione europea di avviare negoziati con gli Stati Uniti per istituire un mercato transatlantico del carbonio.

Mi dolgo infine che sia stato respinto l’invito a introdurre una tassa Tobin verde, il cui ricavato avrebbe potuto aiutare i paesi in via di sviluppo a combattere il cambiamento climatico.

Una soluzione seria, coerente e duratura del problema del cambiamento climatico non può certo derivare dalla logica del sistema che ha provocato il problema stesso. L’Unione europea ha il dovere di spingersi in avanti per offrire un esempio, senza preoccuparsi della posizione assunta dagli altri Stati, e a tale scopo deve dotarsi delle risorse necessarie.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. (FR) La Conferenza di Copenaghen si è risolta in un fallimento. Quest’accordo costituisce però un primo passo che raccoglie la maggioranza delle parti e fornisce la base su cui assumere impegni per la riduzione delle emissioni, nonché per finanziare, misurare, notificare e verificare le azioni di mitigazione del cambiamento climatico e infine per combattere la deforestazione. Nel sostenere la risoluzione, ho espresso l’auspicio che venga istituita a livello internazionale una “diplomazia del clima”, allo scopo precipuo di proteggere il Creato. Il Parlamento ha anche annunciato che il contributo collettivo dell’Unione alla riduzione del cambiamento climatico e all’aiuto ai paesi in via di sviluppo per il loro adattamento non dovrà essere inferiore ai 30 000 milioni di euro all’anno tra oggi e il 2020, tenendo anche conto che tale cifra potrà crescere con l’emergere di nuove conoscenze sulla gravità del cambiamento climatico e sui costi relativi. Tralasciando ogni forma di romanticismo ambientale, dobbiamo sempre tener presente l’industria europea. Giudico perciò essenziale, per la competitività dell’industria europea, che anche gli altri paesi industrializzati al di fuori dell’Unione compiano sforzi analoghi e che i paesi in via di sviluppo e le economie emergenti si impegnino a effettuare riduzioni adeguate. Se veramente desideriamo instaurare la giustizia climatica, gli obiettivi di riduzione devono essere misurabili, significativi e verificabili per tutti.

 
  
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  Iva Zanicchi (PPE), per iscritto. Ho espresso voto favorevole riguardo alle proposte di risoluzione sui risultati del vertice di Copenhagen sul cambiamento climatico, anche se con qualche perplessità.

A Copenhagen, dove io ero presente come delegata del Parlamento europeo, si è raggiunto un accordo non legalmente vincolante. Questo, oltre a non rappresentare una risposta adeguata nella lotta globale al cambiamento climatico, lascia irrisolto il problema della distorsione delle condizioni di concorrenza internazionale a danno delle imprese europee che, a differenza delle principali concorrenti di altri paesi come Stati Uniti e Cina, devono già rispettare ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni.

Ritengo che l'Unione europea debba lavorare alla definizione di un'efficace strategia in vista dei prossimi appuntamenti internazionali, una strategia che miri a promuovere le eco-tecnologie, l'efficienza energetica e le fonti rinnovabili e che dia vita a un sistema globale di lotta ai cambiamenti climatici realmente efficace e che non alimenti ulteriori distorsioni della concorrenza internazionale.

 
  
  

Relazione Domenici (A7-0007/2010)

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. (EN) Mi sono astenuta dal voto sulla relazione Domenici, benché le proposte in essa contenute siano nella gran maggioranza assai ragionevoli. Occorre avviare un sistematico dibattito sulle varie questioni trattate nel testo. Da un lato, occorre garantire che i vari regimi di imposta sulle società non permettano alle imprese di sfuggire al dovere di sostenere l’intera compagine sociale, con una quota dei propri profitti, per mezzo di un equo regime di imposta sulle società. Dall’altro, occorre però considerare con attenzione particolare l’impatto negativo che una CCCTB potrebbe avere sui paesi piccoli come l’Irlanda, i cui livelli di prosperità e occupazione dipendono in larga misura dalla capacità del paese di attrarre investimenti esteri.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa relazione sulla promozione della buona governance in materia fiscale, elemento chiave per la ricostruzione dell’economia globale; essa richiede trasparenza, scambio di informazioni, cooperazione transfrontaliera e concorrenza fiscale leale. Essa scoraggerebbe l’evasione e la frode fiscale, a vantaggio competitivo delle aziende che rispettano le norme fiscali, e allevierebbe le pressioni che inducono i governi ad abbassare le aliquote fiscali con l’effetto di trasferire l’onere fiscale sui lavoratori e sui nuclei familiari a basso reddito, determinando la necessità di dannosi tagli nei servizi pubblici. Qualunque tipo di accordo europeo su una base imponibile consolidata comune per le società (CCCTB) deve tener conto delle esigenze delle regioni geograficamente marginali dell’Unione europea – come l’Irlanda – e della loro capacità di attrarre investimenti diretti esteri. Una CCCTB non implica un’aliquota fiscale comune; la tassazione delle società è di competenza esclusiva di ciascuno Stato membro. L’idea di fondo della CCCTB è piuttosto quella di istituire una base giuridica comune per il calcolo dei profitti delle imprese che abbiano sede in almeno due Stati membri. Per quanto riguarda la CCCTB, ecco quanto leggiamo nella relazione: il Parlamento “ricorda che l’introduzione di una base imponibile consolidata comune contribuirebbe ad affrontare, all’interno dell'Unione europea, i problemi relativi alla doppia imposizione e al prezzo di trasferimento all’interno di gruppi consolidati”. Apprezzo quindi la proposta avanzata dal governo irlandese, nella legge finanziaria di quest’anno, di regolamentare i prezzi di trasferimento delle imprese transnazionali.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Siamo assai lieti che la relazione affermi esplicitamente che essa “condanna fermamente il ruolo svolto dai paradisi fiscali nell’incoraggiare e nel trarre profitto dall’evasione fiscale, dall’elusione fiscale e dalla fuga di capitali; esorta pertanto gli Stati membri a considerare prioritaria la lotta contro i paradisi fiscali, l’evasione fiscale e la fuga illecita di capitali”.

Apprezziamo pure l’osservazione che, per quanto riguarda “gli sforzi compiuti nel quadro delle iniziative guidate dall’OCSE”, i “risultati rimangono insufficienti per far fronte alle sfide rappresentate dai paradisi fiscali e dai centri offshore e devono essere seguiti da azioni decisive, efficaci e coerenti” e inoltre che “gli impegni assunti dal G-20 sino ad oggi non sono sufficienti ad affrontare le sfide poste dall’evasione fiscale, dai paradisi fiscali e dai centri offshore”.

Era però essenziale non limitarsi a esporre un elenco di buone intenzioni, ma invece piuttosto condurre una lotta efficace per eliminare paradisi fiscali e centri offshore, soprattutto in quanto si tende a drammatizzare il problema del deficit pubblico allo scopo di perseguire e addirittura accentuare quelle medesime politiche neoliberistiche che, ancora una volta, costringeranno i lavoratori e i cittadini a pagare il prezzo della crisi.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto.(FR) Per voi, la buona governance in materia fiscale non significa lotta contro le frodi, tassazione tollerabile o buon uso dei fondi pubblici; significa invece braccare con ostinata ferocia i contribuenti (soprattutto i contribuenti europei) e scambiare automaticamente informazioni sui loro conti correnti senza che essi abbiano commesso alcun reato. Non parlo affatto di grandi imprese o di persone ricchissime, che avranno sempre i mezzi per sgusciare dalla rete; parlo del cittadino medio europeo.

I vostri discorsi sui paradisi fiscali sono ipocriti: vi scagliate contro il Liechtenstein e i Caraibi ma non dite una parola sul massimo paradiso fiscale europeo – la City – né su quelli degli Stati Uniti. E tacete anche sul fattore grazie al quale questi paradisi esistono: l’inferno fiscale che impera oggi nella maggioranza degli Stati membri dell’Unione, schiantati dal debito e dai deficit. La spesa pubblica infatti è esplosa per far fronte alle conseguenze sociali delle vostre politiche economiche e dei costi esorbitanti dell’immigrazione di massa. Gli Stati membri non possono più finanziare il proprio debito se non ricorrendo ai mercati e sottoponendosi alle loro condizioni; oggi, per uno Stato come la Francia, questo significa che una percentuale tra il 15 e il 20 per cento delle spese di bilancio è destinata unicamente al pagamento degli interessi. Non ci presteremo a fungere da alibi morale a una politica siffatta.

 
  
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  Marian Harkin (ALDE), per iscritto. (EN) Usare la CCCTB per combattere la doppia imposizione è come prendere una mazza per rompere una nocciolina. Per tale ragione ho votato contro il paragrafo 25.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) L’attuale crisi economica ha portato alla ribalta un certo numero di settori importantissimi, che è necessario riformare sia in Europa che nel resto del mondo. La buona governance in materia fiscale è un elemento importantissimo di un’economia sana e all’Unione europea spetta un ruolo cruciale per la promozione della buona governance internazionale in questo campo.

 
  
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  Arlene McCarthy (S&D), per iscritto. (EN) Secondo le stime, l’evasione e la frode fiscale comportano ogni anno la perdita di 200 miliardi di euro – denaro rubato ai contribuenti dei paesi ricchi e alle popolazioni più povere dei paesi in via di sviluppo. E’ necessario combattere questo flagello, e la mia delegazione sostiene la relazione in esame, la quale segnala con decisione che il Parlamento europeo non intende concedere impunità alle frodi, all’evasione o ai paradisi fiscali.

Apprezzo particolarmente la netta affermazione che il nostro obiettivo dev’essere quello di rendere norma generale lo scambio automatico di informazioni. Gli studi dimostrano che proprio questo è il modo efficace per affrontare l’evasione fiscale e tutelare gli introiti dello Stato. Chi si oppone a quest’invito agisce negli interessi di una ristretta élite di persone e di imprese ricchissime che sfruttano i paradisi fiscali, e contro gli interessi della gran massa dei cittadini, che pagano le imposte e fanno affidamento sui servizi finanziati dalle imposte stesse.

La relazione fa riferimento alla prossima valutazione d’impatto sulla base imponibile consolidata comune per le società, che viene suggerita. Non ci opponiamo certo a ulteriori analisi, ma prima di prendere in esame la possibilità di sostenere tale proposta, la mia delegazione chiede il sostegno di valide prove a favore. La relazione invita poi a esaminare le possibili opzioni per l’introduzione di sanzioni contro i paradisi fiscali; siamo favorevoli, senza però pregiudicare la nostra posizione finale.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Una buona governance in materia fiscale è un essenziale elemento di garanzia in settori cruciali come i principi della trasparenza, dello scambio di informazioni e della concorrenza fiscale leale. La crisi finanziaria ha intensificato le pressioni su tutti gli aspetti della lotta contro la frode e l’evasione fiscale, oltre che della lotta contro i paradisi fiscali. Nel momento in cui milioni di persone in tutto il mondo subiscono gli effetti della crisi, sarebbe assurdo non combattere coloro che non tengono fede alle proprie responsabilità. Con quest’iniziativa l’Unione europea segnala ai paesi terzi che essa si sta efficacemente battendo contro tutti gli aspetti dei paradisi fiscali. La lotta contro tali paradisi in tutto il mondo non è solo una questione di giustizia fiscale ma, anche e soprattutto, di giustizia sociale.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. Occorre attuare una politica di good governance sia in ambito europeo che extra Unione europea, anche per contrastare la sleale concorrenza fiscale in particolar modo con quei paesi che rappresentano paradisi fiscali. La trasparenza e lo scambio d'informazioni in materia fiscale sono alla base di una concorrenza leale e di un'equa ripartizione dell'onere fiscale.

Inoltre, una buona governance fiscale è un presupposto importante per preservare l'integrità dei mercati finanziari. Le proposte sulla cooperazione amministrativa e la reciproca assistenza nel recupero, che stiamo adottando in questa sessione plenaria, vanno in questa direzione. A livello internazionale, uno degli strumenti che l'UE può utilizzare per promuovere una buona governance in materia fiscale nei paesi terzi è la negoziazione, con tali paesi, di accordi contro le frodi fiscali che includano una clausola sullo scambio d'informazioni.

Le dichiarazioni dei cinque paesi con i quali l'UE ha un accordo in materia di risparmi (Monaco, Svizzera, Liechtenstein, Andorra e San Marino) rappresentano un passo importante per porre fine a una situazione di totale disequilibrio. Tuttavia, tali dichiarazioni devono essere seguite dalla conclusione di accordi giuridicamente vincolanti. Anche in questo settore l'UE deve avere un ruolo propulsivo, dando il buon esempio e ponendosi nel solco di quanto affermato nel G20.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il tema della good governance fiscale, pur essendo sempre stato di grande importanza, ha assunto ancora maggiore rilievo dopo la grande crisi economico-finanziaria che ha colpito il nostro continente due anni or sono.

Negli ultimi anni ne hanno discusso i vertici internazionali ed europei, in particolare quando si sono occupati di lotta all'evasione e ai paradisi fiscali. C'è certamente testimonianza di impegno e di volontà da parte della Commissione, ma occorre senza dubbio mettere in piedi una politica seria che impedisca l'evasione del fisco da parte di società giuridiche fantasma che eludono con semplici clik su Internet le norme in materia di tassazione.

Sono certo che il principio della good governance, fondato sul principio della trasparenza e dello scambio di informazioni, possa costituire la base per perseguire l'obiettivo prioritario dell'Unione europea di lotta ai paradisi fiscali, all'evasione fiscale e alla fuga illecita dei capitali.

Occorre inoltre che l'Unione europea parli con un linguaggio unico in sede internazionale e che si batta per il miglioramento delle normative dell'OCSE e per arrivare allo scambio automatico di informazioni in luogo dello scambio su richiesta. È per tale ragione che voterò a favore della relazione.

 
  
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  Evelyn Regner (S&D), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione sulla promozione della buona governance in materia fiscale perché sono convinta che un’efficace lotta contro l’evasione e la frode fiscale sia questione della massima importanza. Inoltre, dobbiamo superare il blocco che si è creato in sede di Consiglio dei ministri sulle questioni fiscali e rafforzare la buona governance nel settore dell’imposizione fiscale.

 
  
  

Relazioni Alvarez (A7-0006/2010), Domenici (A7-0007/2010)

 
  
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  Robert Goebbels (S&D), per iscritto.(FR) Sono favorevole alla cooperazione internazionale in materia di evasione fiscale, ma dubito che una cooperazione amministrativa tesa allo scambio automatico di tutti i dati concernenti gli averi dei cittadini europei sia il modo migliore per raggiungere l’equità fiscale. Una trattenuta alla fonte su tutte le transazioni finanziarie sarebbe un metodo assai più efficace.

Questa trattenuta alla fonte dovrebbe essere liberatoria. Potrebbe diventare una risorsa comunitaria. La cosiddetta “buona governance” raccomandata dal Parlamento europeo mette a nudo ogni aspetto della sfera privata dei cittadini. Essa distrugge la protezione dei dati individuali che, paradossalmente, il Parlamento europeo vuol proteggere nel dossier SWIFT. Per questi motivi non ho votato a favore di queste relazioni.

 
  
  

Relazioni Alvarez (A7-0006/2010), Stolojan (A7-0002/2010), Domenici (A7-0007/2010)

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) E’ certamente necessario combattere le frodi fiscali, ma questo non deve farci dimenticare che le frodi da sole non avrebbero mai scatenato la crisi economica che stiamo attraversando in questo periodo. Si tratta di una crisi strutturale del capitalismo, che affonda le sue radici nella stessa logica di quel sistema ciecamente celebrato dalle élite europee. Voto a favore di questo testo perché condanno la ricerca del profitto personale a danno dell’interesse generale; su tale logica si fondano sia le frodi fiscali sia il neoliberismo europeo, e per quanto riguarda il fallimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio (comunque modestissimi), le responsabilità del neoliberismo sono assai più pesanti di quelle delle stesse frodi.

L’IVA, che anche questo testo sostiene, è una delle aberrazioni del sistema. Rappresenta una delle imposte più ingiuste del mondo poiché applica la stessa aliquota a tutti i cittadini nonostante le enormi differenze di reddito che sono il segno distintivo del neoliberismo. Purtroppo il testo non affronta il problema fondamentale né cerca di mettere all’ordine del giorno delle politiche europee l’equa ripartizione delle ricchezze prodotte per l’interesse generale.

 
  
  

Relazione Tarabella (A7-0004/2010)

 
  
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  John Stuart Agnew e William (The Earl of) Dartmouth (EFD), per iscritto. (EN) Lo United Kingdom Independence Party crede nell’uguaglianza di uomini e donne, ma respingiamo ogni tentativo, da parte dell’Unione europea, di legiferare in questo settore. Riteniamo infatti che in questo campo siano più opportune misure adottate a livello nazionale.

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione Tarabella perché credo che l’uguaglianza tra uomini e donne nell’Unione europea, riconosciuta dal trattato sull’Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sia un principio fondamentale che non è ancora applicato in maniera uniforme.

Nonostante il divario salariale tra uomini e donne, la segregazione occupazionale e gli stereotipi sessisti, la relazione mira a sottolineare il principio “lavoro uguale, salario uguale”, sancito dai trattati della Comunità già nel 1957. Essa evidenzia che la crisi economica, finanziaria e sociale che ha sconvolto l’Unione europea e il resto del mondo incide sensibilmente sulle donne, sulle loro condizioni di vita, sul loro posto nella società e sull’uguaglianza tra uomini e donne nell’Unione europea.

 
  
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  John Attard-Montalto (S&D), per iscritto. - (EN) Desidero motivare il mio voto alla relazione Tarabella “Parità tra donne e uomini nell’Unione europea – 2009”. Alcuni emendamenti, direttamente o indirettamente, facevano riferimento all’aborto. Malta è contraria all’aborto. I principali partiti politici sono completamente d’accordo sulla questione e una parte importante della società condivide questa opinione. Inoltre, gli aspetti morali e religiosi rappresentano un elemento significativo che non possiamo trascurare.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Nella sua relazione sulla parità tra uomini e donne nell’Unione europea nel 2009, la Commissione europea sottolinea che la necessità di riconciliare la vita familiare con quella professionale, la segregazione settoriale e professionale, le differenze salariali e il ridotto tasso di occupazione femminile rappresentano le principali disparità tra i sessi, disparità che sono state ulteriormente esacerbate dall’attuale crisi economica, finanziaria e sociale. Ho votato contro la relazione, perché credo che essa sia stata distorta con l’introduzione di questioni come l’accesso all’aborto e l’accesso gratuito alla consultazione in tema di aborto. Si tratta di problemi molto delicati sui quali, in base al principio della sussidiarietà, spetta ai singoli Stati membri decidere.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa relazione perché, data la complessa situazione economica, finanziaria e sociale, è più importante che mai applicare uno dei fondamentali principi dell’Unione europea: la parità tra uomini e donne. Ogni Stato membro deve garantire che i lavoratori di entrambi i sessi ricevano pari salario per lavoro di pari valore. Per promuovere la parità tra uomini e donne dobbiamo garantire che gli uni e le altre condividano le responsabilità della casa e della famiglia. E’ importante che il congedo di paternità venga sancito quanto prima dalla direttiva per consentire ai padri di contribuire alla cura dei figli. Le vittime della tratta di esseri umani sono soprattutto donne. Chiedo quindi a quegli Stati membri che devono ancora ratificare la convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani di farlo senza ulteriori indugi.

 
  
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  Carlo Casini (PPE), per iscritto. – Ho votato no alla risoluzione sulla parità tra donne e uomini nell'Unione europea (2009), sebbene condivida gran parte del suo contenuto, perché non si può invocare l'eguaglianza per una determinata categoria di persone negandola ad un'altra categoria di esseri umani.

Mi riferisco al paragrafo 38, dove si pretende di garantire i diritti della donna assicurandole un facile accesso all'aborto. La distruzione dei più piccoli e indifesi, quali sono i bambini non ancora nati, non può essere considerato uno strumento per affermare la dignità e la libertà della donna. È in atto una "congiura contro la vita" che utilizza sperimentate metodiche di inganno. Dobbiamo smascherarle.

Mettere insieme richieste giustissime con pretese ingiustissime, cambiare il significato delle parole sono stratagemmi dimostratisi efficaci nel voto del Parlamento europeo, ma ai quali io intendo sottrarmi. Non si può parlare del dramma dell'aborto, che merita l'attenzione dei politici e non solo dei moralisti, senza riconoscere anche i diritti del nascituro, quanto meno sollecitando un'adeguata educazione al rispetto della vita e organizzando forme di solidarietà in favore delle gravidanze difficili o non desiderate affinché possano giungere al loro esito naturale.

 
  
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  Françoise Castex (S&D), per iscritto. – (FR) Mi congratulo per l’approvazione di questa relazione sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea, che sottolinea l’urgente necessità di un’iniziativa comunitaria, volta a combattere efficacemente la violenza contro le donne. Inoltre, l’approvazione di questa risoluzione integra due dimensioni che ritengo fondamentali. In primo luogo, la raccomandazione per il congedo di paternità a livello europeo. Perché ci sia parità in ambito occupazionale, ci dev’essere parità in ambito sociale e familiare. Questa risoluzione mette la Commissione europea davanti alla responsabilità di legiferare in questo settore. Ma questo voto rappresenta una grande vittoria soprattutto perché riafferma il diritto all’aborto. Nessun testo europeo riaffermava questo diritto dal 2002, a causa delle reticenze di una parte della destra europea. Le donne devono avere il controllo dei propri diritti sessuali e riproduttivi. Certamente molto resta ancora da fare per quanto riguarda l’accesso reale all’informazione, alla contraccezione e all’aborto, ma la relazione Tarabella dev’essere utilizzata come un sostegno fondamentale per far avanzare la legislazione europea in questo settore.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. (EN) Oggi ho votato a favore di questa relazione, che è di natura progressista giacché mira a promuovere la parità tra uomini e donne anche in settori quali il congedo parentale, la custodia dei bambini, la violenza domestica e il divario salariale. Essa inoltre favorisce una consapevolezza dei temi legati alla salute sessuale, sia per gli uomini che per le donne. Tuttavia, non è una proposta legislativa. Si tratta in primo luogo di una dichiarazione di principi che sostengo senza alcuna esitazione. Essa infatti è coerente con i principi sostenuti dai partiti laburisti e socialdemocratici di tutta Europa. E’ opportuno ricordare che i servizi offerti in materia di aborto rientrano interamente ed esclusivamente fra le competenze dei singoli Stati membri; questa relazione non muta in alcun modo tale posizione – né potrebbe farlo.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato contro la relazione sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea nel 2009, poiché credo che sia stata in qualche modo distorta dall’introduzione di temi come l’aborto indotto e l’accesso gratuito alla consultazione in tema di aborto indotto. Si tratta di questioni molto delicate e, sulla base del principio di sussidiarietà, spetta soltanto agli Stati membri decidere.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Sostengo con entusiasmo questa relazione. L’uguaglianza tra uomini e donne è da tempo un principio fondamentale dell’Unione europea ma, nonostante i progressi realizzati in questo settore, rimangono significative disparità. Benché il divario occupazionale tra uomini e donne si stia riducendo, le donne sono più spesso titolari di posti a tempo parziale e/o di contratti di lavoro a durata determinata, e restano principalmente relegate a lavori scarsamente remunerati. Infatti il numero delle donne che in Europa occupa posti di lavoro a tempo parziale è di quattro volte superiore a quello degli uomini. Il divario retributivo tra uomini e donne si è ridotto di pochissimo dal 2000, attestandosi sul 17,4 per cento. Per avere la stessa retribuzione annuale di un uomo, una donna dovrebbe lavorare, in media, fino alla fine del febbraio successivo, per un totale di 418 giorni. La crisi economica, finanziaria e sociale globale ha inferto un duplice colpo alle donne. Esse rappresentano la maggioranza della forza lavoro nel settore pubblico (per esempio, l’istruzione, la sanità e la previdenza sociale) il più colpito dai tagli all’occupazione. Inoltre, a causa dei tagli ai servizi, le donne che si avvalevano di servizi quali la custodia dei bambini, l’assistenza agli anziani, il sostegno scolastico eccetera, sono costrette a lasciare il proprio impiego per farsi carico di tali compiti in prima persona..

 
  
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  Robert Dušek (S&D), per iscritto.(CS) La relazione dell’onorevole Tarabella mette in evidenza con estrema chiarezza il grave ostacolo che si frappone alla parità fra i generi. So che alcuni colleghi non considerano seriamente la questione della disuguaglianza fra i generi e le relative discriminazioni contro le donne. Sono tuttavia consapevole di queste complicazioni. La crisi economica globale ha esacerbato la situazione e sembra che le donne verranno sacrificate sull’altare delle politiche fiscali tese a tagliare i costi, riducendo le prestazioni per maternità e le spese per i servizi sociali. Dal momento che le donne sono tradizionalmente più minacciate dalla povertà e dal basso reddito poiché interrompono o abbandonano la propria carriera professionale per dedicarsi alla famiglia, e danno la precedenza alla carriera dei propri mariti o alla cura dei figli e degli anziani, il relatore propone un adeguato strumento di miglioramento. L’onorevole Tarabella infatti afferma correttamente che l’applicazione del principio “lavoro uguale, salario uguale”, presente nei trattati comunitari dal 1957, è lungi dall’essere uniforme e in alcuni Stati membri, a parità di lavoro, le retribuzioni femminili sono ancora inferiori a quelle degli uomini.

A parte questo, ci sono alcune politiche dell’Unione europea volte ad assistere le famiglie con bambini, le quali tuttavia non menzionano i nuclei familiari costituiti da una sola persona (madre o padre) che vive con i figli. Anche la richiesta di regolamentare a livello europeo il congedo di paternità retribuito è corretta. Un’equa divisione delle responsabilità familiari e domestiche tra uomini e donne contribuirà a risolvere la situazione. Per i motivi che ho ricordato, condivido le valutazioni della relazione 2009/2010 e ho quindi votato a favore della sua approvazione.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione Tarabella sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea, che propone misure e politiche specifiche e innovative sull’uguaglianza di genere. L’elaborazione di una direttiva di prevenzione e lotta a ogni forma di violenza contro le donne, nonché l’introduzione del congedo di paternità nella legislazione europea rappresentano alcune delle proposte che ritengo essenziali per promuovere l’uguaglianza di genere e garantire una più equa condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) C’è qualcosa che non va se il Parlamento chiede rispetto ma non riesce a ottenerlo.

Questioni serie e importanti come queste meritano la nostra attenzione e la ricerca del più ampio consenso; né credo che questo sia difficile da ottenere. Tuttavia, la furtiva e ambigua introduzione di argomenti conflittuali sotto la copertura di queste stesse tematiche sta diventando una pessima abitudine. Ancora una volta, il Parlamento ha svolto il ruolo di semplice cassa di risonanza per gli ordini del giorno più estremisti.

Non posso che respingere la proposta di promuovere la liberalizzazione dell’aborto e il disprezzo per la vita e la dignità umana con il pretesto di sostenere la parità tra uomini e donne, nonché l’illegittimo tentativo di associare le due cause e di manipolare i poteri degli Stati membri in tali questioni.

Quest’ossessione per l’ampliamento del concetto di salute sessuale e riproduttiva, fino a includervi l’aborto e l’imposizione della sua adozione generalizzata, svela i metodi insidiosi adottati da coloro che cercano di mascherare la realtà. Questi eufemismi mirano ad anestetizzare la coscienza ma non possono certo rendere meno brutale la violenza contro le donne né meno deplorevole questa strategia.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) “La violenza contro le donne è forse la più vergognosa violazione dei diritti umani. Non conosce confini geografici, culturali o di stato sociale. Finché continuerà, non potremo pretendere di realizzare un vero progresso verso l’eguaglianza, lo sviluppo e la pace.” Queste sono le parole dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, e purtroppo sono più vere che mai. Oggi la discriminazione di genere sopravvive nel mondo sviluppato e in Europa perché è un problema strutturale, gravido di conseguenze in termini di divario di opportunità. Oggi sussistono differenze tra uomini e donne in materia di istruzione, lingua, cura della casa, accesso al lavoro e carriera professionale. Credo che l’accesso al lavoro e la progressione nello svolgimento delle varie funzioni, sia nel settore pubblico che in quello privato come in politica, debbano basarsi sul merito e sulle qualità dell’individuo, indipendentemente dal genere. Tuttavia ho votato contro la risoluzione a causa dell’introduzione di tematiche delicate come l’accesso all’aborto, questione su cui spetta esclusivamente agli Stati membri decidere.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) E’ stato importante approvare questa risoluzione in Parlamento poiché essa sancisce alcuni fondamentali diritti delle donne che la destra conservatrice vuole mettere in discussione. Nonostante alcuni punti deboli, la relazione è riuscita a porre in evidenza punti importanti come la necessità del congedo di paternità associato al congedo di maternità, il tema dei diritti sessuali e riproduttivi e l’esigenza di intensificare la lotta alle disuguaglianze e alle discriminazioni nei luoghi di lavoro, alla violenza e alla tratta di donne e bambine, e di denunciare la povertà e il lavoro precario e mal pagato a cui molte donne sono costrette.

E’ stato importante, ancora una volta, caldeggiare l’idea che “le donne dovrebbero avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto”.

Oggi, vigilia delle celebrazioni del centesimo anniversario della giornata internazionale della donna e del quindicesimo anniversario della piattaforma di Pechino, questa risoluzione acquista un’importanza particolare. Ci auguriamo che diventi realtà.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. (FR) Sì, le donne devono affrontare difficoltà particolari. Ma, come sempre avviene in quest’Aula, le buone intenzioni si sono trasformate in un’analisi distorta e in proposte deliranti.

Questa relazione descrive una società europea caricaturale, pregna di ostilità quotidiana e sistematica nei confronti delle donne: le politiche volte a favorire la ripresa economica sarebbero sessiste perché tendono ad aiutare settori in cui la manodopera è prevalentemente maschile, come lo sarebbero le politiche ispirate al rigore di bilancio, giacché colpiscono il settore pubblico nel quale invece è più forte la presenza delle donne… D’altro canto, nulla si dice delle conseguenze prodotte dalla massiccia presenza in Europa degli immigrati, che per cultura e tradizioni tendono a relegare le donne in uno status di inferiorità, lontano anni luce dai nostri valori e dalle nostre concezioni.

Ugualmente si tace sulle conseguenze negative del vostro discorso sull’egualitarismo a tutti i costi: poco a poco le donne perdono i propri diritti sociali, specifici e legittimi, ottenuti come riconoscimento del proprio ruolo di madri. Silenzio infine sul salario parentale, unico modo per dare alle donne una vera possibilità di scelta tra vita professionale e vita familiare, o di conciliazione tra le due.

Infine, quando vedo diffondersi l’isteria tra i colleghi che tentano di imporre l’aborto obbligatorio e generalizzato, innalzato al rango di valore fondamentale di un’Europa sulla strada del suicidio collettivo, mi rammarico, mio malgrado, che le loro madri non abbiano abortito.

 
  
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  Jacky Hénin (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Benché io contesti con forza tutte le misure negative adottate dall’Unione europea, che sono numerose, non esito a sostenere quelle misure che si muovono nella direzione giusta. Così in questa relazione si avanzano forti richieste (soprattutto alla Commissione europea) in merito alla lotta contro le disparità di trattamento di cui sono vittime le donne, l’introduzione del congedo di paternità, l’istituzione dell’anno europeo contro la violenza nei confronti delle donne e il diritto all’accesso agevole alla contraccezione e all’aborto. La relazione inoltre insiste sul fatto che le donne devono godere di un accesso gratuito alla consultazione in tema di aborto.

Il mio voto positivo si spiega quindi con i miglioramenti ottenuti, miglioramenti che però devono ancora concretizzarsi.

Infatti non posso che rammaricarmi per il mancato sostegno, da parte della maggioranza del Parlamento, a una Carta europea dei diritti delle donne, a un Osservatorio europeo della violenza tra i sessi e a una Giornata internazionale della parità retributiva. Questo Parlamento inoltre non ha voluto affrontare le cause profonde di queste disuguaglianze, derivanti da un sistema economico affidato solamente alla legge di mercato, che l’Europa applica tutti i giorni.

 
  
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  Ian Hudghton (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Sebbene nell’Unione europea l’uguaglianza di genere sia un diritto fondamentale riconosciuto dal trattato istitutivo dell’Unione stessa, persistono livelli inaccettabili di disuguaglianza in un ampio numero di settori. E’ evidente che rimangono ancora da risolvere enormi problemi, ed è perciò imperativo che le Istituzioni dell’Unione operino per individuare e risolvere questi problemi, in qualsiasi parte dell’Unione si manifestino.

 
  
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  Gunnar Hökmark, Christofer Fjellner and Anna Ibrisagic (PPE), per iscritto. (SV) Oggi, 10 febbraio 2010, i conservatori svedesi hanno votato contro la relazione sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea – 2009 (A7-0004/2010). Condividiamo il desiderio del relatore di migliorare la parità di genere in Europa, ma siamo contrari alle interferenze nella sovranità degli Stati membri, per cui non riteniamo opportuno esigere analisi finanziarie in termini di sesso e di parità uomo-donna (gender budgeting), sollecitare gli Stati membri a non ridurre le prestazioni sociali e imporre quote con strumenti legislativi. L’uguaglianza è un obiettivo da raggiungere a livello individuale, ampliando per ciascun cittadino le opportunità di incidere sulla propria situazione, non attraverso una legislazione su scala europea o una politica d’immagine imperniata su giornate speciali, sull’istituzione di altre autorità europee o su una Carta europea dei diritti delle donne. Disponiamo già di una Carta dell’Unione europea sulle libertà civili e i diritti umani che è stata consolidata dal trattato di Lisbona, e che tratta anche i problemi delle donne. Dobbiamo batterci per il principio della sussidiarietà. Nel corso della votazione finale quindi, abbiamo votato contro la relazione, benché ovviamente ci siano alcuni punti che condividiamo; per esempio sosteniamo incondizionatamente la seguente affermazione: le donne devono avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi.

 
  
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  Monica Luisa Macovei (PPE), per iscritto. (EN) Ho votato a favore del considerando X e di gran parte del paragrafo 38, astenendomi su una parte del paragrafo 38, per i seguenti motivi:

In primo luogo, i diritti sessuali e riproduttivi delle donne devono essere rispettati, soprattutto nell’ambito della parità tra uomini e donne, che è garantita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articolo 23).

Credo però che le donne debbano imparare a difendersi dalle gravidanze indesiderate; in altre parole, se c’è un accesso agevole alla contraccezione e alla consulenza specialistica, l’aborto è più difficile da giustificare.

Molti dei miei elettori in Romania resterebbero delusi se votassi diversamente. Inoltre, come si legge nella relazione del 2006 commissionata dal presidente della Romania, il passato è ancora vivo nella nostra mente; ricordiamo bene quando il partito comunista adottò misure draconiane contro l’aborto per assicurare il controllo del partito sulla vita privata delle donne. Molte donne morirono in seguito ad aborti illegali eseguiti senza assistenza medica.

 
  
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  Erminia Mazzoni (PPE), per iscritto. (IT) Condivido pienamente lo spirito che anima la risoluzione, che ha il pregio di muovere dal presupposto che il dibattito sui cambiamenti demografici sia connesso a quello sulle misure necessarie per fronteggiare l'impatto della crisi economico-finanziaria sul mercato del lavoro.

Considerando che l'analisi sui progressi realizzati rispetto agli obiettivi di Lisbona non è positiva, risulta opportuno l'invito contenuto nella risoluzione ad un'accelerazione dell'adeguamento normativo degli Stati membri, ad un inasprimento delle procedure di infrazione e ad una più adeguata partecipazione delle donne nei settori chiave del mondo del lavoro, che tenga conto dei traguardi raggiunti dalle stesse in campo formativo.

Posta tale premessa, non posso non rimarcare la mia contrarietà assoluta, già segnalata in fase di voto, alla pervicace volontà di promuovere la "società degli aborti", incentivando l'accesso alla libera interruzione di gravidanza.

L'assunto che le donne, per recuperare il proprio diritto alla libertà sessuale, debbano conseguire una facilitazione nelle pratiche di aborto non solo è contro la generale morale laica, ma contraddice le premesse di cui al considerando Z che pone al centro dell'azione europea la promozione di un "maggiore tasso di natalità per far fronte alle esigenze future". Rimane fermo il mio impegno a promuovere una cultura sessuale responsabile.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto.(FR) Le donne sono le principali vittime della crisi economica e sociale, frutto delle politiche neoliberiste dell’Unione europea. Grazie alla crisi, si moltiplicano i posti di lavoro precari e quelli nei quali il tempo parziale è imposto. Le nostre società, ancora pervase dal patriarcato, sono caratterizzate dal violento ritorno della stigmatizzazione per motivi religiosi, e le donne sono ancora le prime vittime di questa involuzione.

E’ perciò con soddisfazione che vediamo il Parlamento mettere all’ordine del giorno una questione cruciale come la parità di genere. Purtroppo il testo non mette in evidenza la natura intrinsecamente iniqua del neoliberismo; il neoliberismo, responsabile di gran parte dei problemi di cui le donne sono vittime, trova un nuovo fertile terreno nelle profonde disuguaglianze uomo-donna.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Nel corso degli anni le disuguaglianze che caratterizzavano i rapporti tra uomini e donne a vari livelli – professione, settore, o stereotipi differenti – si sono fatte più indistinte. L’uguaglianza tra uomini e donne nell’Unione europea sta diventando sempre più una realtà e, benché esistano ancora casi di discriminazioni, cominciamo ad assistere a sviluppi molto positivi.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Benché ci siano stati molti miglioramenti in materia di pari opportunità per le donne, molto resta ancora da fare. Uno dei problemi più urgenti è quello di offrire maggiore sostegno alla riconciliazione della vita professionale e familiare che per molte donne, e soprattutto per le madri che allevano da sole i propri figli, rappresenta un ostacolo insormontabile. Il fatto che ancora oggi il numero di uomini che ricoprono incarichi di responsabilità sia tendenzialmente più alto dimostra che la parità professionale sarà possibile soltanto mutando gli atteggiamenti e non imponendo quote, soprattutto perché le quote sono controverse e possono facilmente generare conflitti. Dal momento che la relazione non riesce a rispondere all’osservazione critica per cui le politiche di approccio integrato della parità tra uomini e donne (gender mainstreaming) possono anche muoversi nella direzione opposta, ho votato contro.

 
  
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  Mariya Nedelcheva (PPE), per iscritto.(FR) La risoluzione sulla parità fra donne e uomini nell’Unione europea mi sembra del tutto equilibrata e mi congratulo con il lavoro svolto dall’onorevole Tarabella per ottenere questo risultato. Esistono ancora oggi flagranti sperequazioni tra uomini e donne a livello occupazionale, soprattutto per quanto riguarda la remunerazione o la necessità di conciliare la vita professionale e quella familiare. In questo settore molto resta ancora da fare.

D’altro canto, per quanto riguarda la tutela dei diritti sessuali e riproduttivi, l’accesso delle donne alla contraccezione e all’aborto è essenziale. Le donne infatti devono poter disporre di una totale autonomia fisica; per questo ho votato a favore delle disposizioni relative alla tutela di questi diritti.

Infine, ho votato contro la proposta di redigere una Carta europea dei diritti delle donne poiché, dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, la Carta dei diritti fondamentali, che comprende i diritti delle donne, è divenuta parte integrante dei trattati. Questa Carta è giuridicamente vincolante e consente di proteggere uomini e donne nello stesso modo.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. (RO) Nel 1967 in Romania fu approvato un decreto che proibiva l’aborto; di conseguenza, le donne persero il diritto di scegliere se portare avanti la gravidanza o interromperla. Questo decreto ebbe un impatto gravemente traumatico sulla società romena, e ci fece comprendere la pericolosità di una simile decisione.

Le donne devono avere il controllo dei propri diritti sessuali e riproduttivi. Per questo motivo ho votato a favore di tutti gli aspetti concernenti l’accesso agevole alla contraccezione e all’aborto menzionati nella relazione Tarabella, e quindi dell’intera relazione.

 
  
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  Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la complessità della relazione in esame oggi si era già evinta durante i lavori in commissione FEMM, dove una risicata maggioranza di tre voti e una corposa assenza di deputati aveva permesso l'approvazione del testo.

Io credo che in materia di protezione delle donne esista una buona legislazione dal 1975. Quindi, piuttosto che sforzarsi a creare nuove direttive, è necessario fare in modo che le norme già esistenti siano pienamente applicate dai governi.

È per tale ragione che, pur non volendo votare contro la relazione, che per alcuni aspetti ha certamente dei risvolti positivi, ho preferito dissociarmi da alcuni aspetti per sottolineare il mio disappunto verso determinati elementi, specie quelli concernenti l'aborto, sui quali la nostra indole cattolica non è disposta a scendere a compromessi.

 
  
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  Cristian Dan Preda (PPE), per iscritto. (RO) Benché non sia contrario all’aborto, ho votato contro il paragrafo 38 perché può essere interpretato come un incoraggiamento a praticarlo. Sono altresì favorevole a rendere più facilmente accessibili la contraccezione e l’educazione sessuale, perché questo è il modo migliore per scongiurare gravidanze indesiderate. D’altro canto credo che alcune comunità, per svariate ragioni, intendano continuare a controllare l’aborto a livello nazionale, e a mio avviso ciò dev’essere loro consentito. In questo campo infatti, si deve applicare il principio della sussidiarietà. Non credo che discutere questo tema nell’ambito della relazione sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea sia la soluzione migliore.

 
  
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  Evelyn Regner (S&D), per iscritto. (DE) Ho votato a favore della relazione sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea perché essa rispetta la mia convinzione fondamentale, per cui le donne hanno il diritto illimitato all’autonomia, in particolare in rapporto ai loro diritti sessuali e riproduttivi, oltre che a un agevole accesso alla contraccezione e all’aborto. Questi diritti costituiscono una parte essenziale del concetto e dell’immagine che una moderna società europea ha di se stessa.

 
  
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  Alf Svensson (PPE) , per iscritto. (SV) In occasione della votazione di ieri, ho votato contro la relazione sulla parità tra donne e uomini, soprattutto perché, a mio avviso, molti punti della relazione, come per esempio la questione delle quote, contrastano con il principio della sussidiarietà. Mi sono astenuto dal voto sul considerando X e sul paragrafo 38, che riguarda l’accesso delle donne all’aborto. A mio avviso, l’attuale formulazione violerebbe il principio della sussidiarietà. Come principio generale, credo che a livello di Unione europea non si debba discutere di questioni su cui i singoli Stati membri hanno il diritto di decidere a livello nazionale. Naturalmente sostengo la posizione svedese su questo tema: la decisione sull’aborto, in ultima analisi, spetta alla donna interessata, non ai legislatori.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea sta attraversando un periodo di grave crisi economica, finanziaria e sociale, che ha onerose conseguenze per la vita professionale e privata delle donne. La segregazione professionale, il divario salariale e la difficoltà di riconciliare la vita professionale con quella familiare impediscono alla donna di partecipare appieno al mercato del lavoro. Nonostante i miglioramenti registrati nei luoghi di lavoro e il crescente numero di donne che occupano posizioni di responsabilità, è comunque necessaria una maggiore sensibilizzazione sulla parità di trattamento. Dobbiamo accogliere con favore questa relazione, che ci offre l’occasione di ridefinire gli orientamenti volti a eliminare le sperequazioni tra uomini e donne nel mercato del lavoro. Soltanto allora infatti l’Unione europea potrà raggiungere i propri obiettivi di crescita, occupazione e coesione sociale. Contesto però l’inclusione di disposizioni concernenti i “diritti sessuali e riproduttivi”, in una relazione che viene presentata in un contesto di crisi economica e che riguarda principalmente l’impatto di tale crisi sulle condizioni lavorative delle donne e sul ruolo delle donne nella società. Per i suddetti motivi, e dal momento che non sono stati approvati gli emendamenti presentati al paragrafo 38, che appoggiavo e ritenevo essenziali per l’economia del documento, ho votato contro la relazione sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea.

 
  
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  Thomas Ulmer (PPE), per iscritto. (DE) Ho votato contro la relazione perché le mie convinzioni più profonde non mi consentono di accettare il diritto illimitato all’aborto e alla libertà riproduttiva. Ritengo infatti che il diritto alla vita sia un diritto fondamentale che dev’essere difeso e rispettato in ogni caso. Le altre parti della relazione sono perfettamente accettabili e dimostrano che l’Europa ha fatto progressi in materia di uguaglianza per le donne. Un altro tratto positivo di questa relazione sta nel fatto che si riconosce un’importanza assai maggiore all’impegno a favore della famiglia.

 
  
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  Marina Yannakoudakis (ECR), per iscritto. (EN) Il gruppo ECR è tra i più convinti sostenitori dell’uguaglianza di genere, e in particolare del principio della parità salariale e delle pari opportunità nel luogo di lavoro. Il nostro gruppo ha quindi deciso di votare a favore dei paragrafi che sostengono l’uguaglianza in questo modo. Il gruppo ECR, tuttavia, ha votato contro questa risoluzione per due motivi specifici. In primo luogo siamo contrari a qualsiasi provvedimento legislativo che consideri la salute, l’istruzione e i diritti riproduttivi delle donne competenze dell’Unione europea e non degli Stati membri. In secondo luogo, benché il gruppo ECR sostenga incondizionatamente la necessità di disposizioni che tutelino la maternità e la paternità, abbiamo deciso di astenerci da simili riferimenti in questa relazione, poiché siamo contrari a qualsiasi politica familiare che venga imposta a livello di Unione europea; è una questione sulla quale spetta ai governi nazionali decidere.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato contro questa risoluzione, che divide gli uomini e le donne invece di unirli. Non c’è niente di innocente nella formulazione del paragrafo 36: “le donne dovrebbero avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto”. Il relatore inoltre insiste sulla necessità di offrire alle donne l’accesso gratuito alla consultazione in tema di aborto. Ma l’aborto rientra fra le competenze esclusive degli Stati membri. Dal momento che questa risoluzione non ha forza giuridica vincolante, non può essere utilizzata per esercitare pressioni a favore della liberalizzazione dell’aborto. Il Parlamento inoltre chiede di combattere gli stereotipi sessisti, in particolare per quel che riguarda il lavoro svolto dalle donne e dagli uomini all’interno della famiglia. La risoluzione insiste sull’importanza delle strutture di accoglienza per i bambini in età prescolare, dei servizi di custodia dei bambini e dei servizi di assistenza per gli anziani e le altre persone non autonome. Il Parlamento quindi cerca di distruggere la famiglia naturale come luogo di socializzazione e solidarietà tra le generazioni; questa risoluzione non offre perciò alcun valore aggiunto né alle donne, né agli uomini, né all’Unione. E’ un peccato, poiché il rispetto per l’altro e la promozione delle pari opportunità per le donne e per gli uomini rappresentano una vera sfida sociale.

 
  
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  Artur Zasada (PPE), per iscritto. (PL) Ho votato contro la risoluzione. Il relatore, onorevole Tarabella, non ha tenuto conto del contesto nazionale. La moralità fa parte della visione del mondo incorporata nel sistema giuridico di un paese. Il tentativo di introdurre nella legislazione polacca la possibilità di godere dell’accesso illimitato all’aborto è innaturale, e ovviamente susciterà opposizione. Agendo secondo coscienza, e tenendo conto delle normative in vigore in Polonia, ho votato contro la risoluzione. Nel far questo, ho dato il chiaro segnale che, conformemente al principio di sussidiarietà, gli unici a poter legiferare su questioni così delicate sono i 27 Stati membri.

 
  
  

Proposta di risoluzione B7-0069/2010

 
  
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  Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. (PT) In generale, ho votato a favore della proposta di risoluzione sugli obiettivi strategici dell’UE per la quindicesima riunione della Conferenza delle parti della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES). Mi sono anche schierato a favore degli emendamenti tesi a inserire il tonno rosso nell’Appendice II CITES, conformemente alle recenti raccomandazioni del comitato ad hoc dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) che ha approvato l’annuncio dell’inclusione del tonno rosso nell’Appendice II CITES. In conseguenza di ciò, l’assemblea generale della commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT) ha fissato una notevole riduzione della pesca di tonno rosso – pari a 13 500 tonnellate – e la Commissione europea ha ribadito la propria preoccupazione per la riduzione degli stock di tonno, impegnandosi a svolgere studi scientifici più attendibili.

Comprendo bene che la perdita di biodiversità è un grave problema di portata mondiale, e ritengo che anche altri animali dovrebbero essere oggetto di proposte di conservazione. Questa conferenza mi sembra cruciale per la sopravvivenza e la sostenibilità di molte specie. In ultima analisi, penso che il divieto totale di commercio internazionale del tonno – con l’inclusione nell’Appendice I – sarebbe prematuro, poiché innescherebbe una crisi nel settore senza avere il sostegno di alcun fatto concreto.

 
  
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  John Attard-Montalto (S&D), per iscritto. (EN) Per quanto riguarda la risoluzione sugli obiettivi strategici per la Conferenza delle parti della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES), ho votato contro l’abolizione della pesca del tonno rosso, poiché questo provvedimento avrà effetti estremamente negativi sulle possibilità di sostentamento dei pescatori maltesi. In gran maggioranza, questi ultimi non sono in grado di dedicarsi alla pesca di specie alternative in zone di pesca alternative, a causa dei metodi tradizionali con cui la pesca stessa viene svolta. A mio parere, inoltre, nel caso del tonno rosso i criteri per l’inclusione nell’Appendice CITES non sono soddisfatti.