Viktor Uspaskich (ALDE). – (LT) Signor Presidente, vorrei annunciare che appoggio questa decisione, anche se all’inizio la mia scheda non funzionava ed è per questo che desidero annunciarlo. Ora passerò a discutere della questione in esame, onorevoli colleghi, ovvero la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di modifica degli obblighi contabili annuali delle microentità. Questo progetto ha suscitato un’accesa discussione a quasi tutti i livelli, sia all’interno dell’Unione europea, sia negli Stati membri. Sono convinto che occorra predisporre regole comuni per l’Unione europea. Tuttavia, vorrei sottolineare che la riduzione degli oneri amministrativi che gravano sulle microentità non deve portarci a violare le condizioni di concorrenza leale nei mercati interni degli Stati membri, né all’interno del mercato comunitario. Penso che occorra istituire una sola imposta per le microentità, imposta che già esiste in alcuni Stati. Se fosse possibile, essa potrebbe essere calcolata in base al numero di dipendenti, al fatturato o al territorio, a seconda del tipo di settore. Così quelle società non sarebbero più tentate di praticare attività illegali.
Peter Jahr (PPE). – (DE) Signor Presidente, offrendo la possibilità di esonerare le microimprese dall’obbligo di presentare bilanci annuali, il Parlamento europeo sta chiaramente agendo a favore dell’abolizione di obblighi burocratici superflui. Con uno sgravio di circa 6,3 miliardi di euro a livello comunitario, stiamo fornendo anche uno stimolo tangibile alla crescita delle piccole e medie imprese europee. Poiché gli Stati membri possono disporre autonomamente dell’esenzione dall’obbligo di presentare bilanci annuali, mi aspetto che ne approfittino quanti più paesi possibile, soprattutto la Germania. Questo programma non solo consentirà alle imprese coinvolte di risparmiare circa 2 000 euro ciascuna in tempo e denaro, ma è anche un ottimo esempio di come l’Europa abbia a cuore i propri cittadini più di quanto molti ritengano. Sarebbe positivo se in quest’Aula questo esempio potesse essere seguito da molti altri.
Tiziano Motti (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, non ho sostenuto la risoluzione Lehne – purtroppo, perché ci si occupava delle microimprese, che sono la spina dorsale dell'economia – ma ritengo innanzitutto che la risoluzione, così come pensata, creasse delle differenze di competitività tra le imprese dei vari Stati e questo non è quello che vogliamo, soprattutto oggi in tempo di crisi. La tenuta della contabilità, poi, è uno strumento in realtà efficace e necessario proprio per misurarsi sul mercato e anche per ottenere il credito dalle banche, perché è sulla contabilità che si misura il buon andamento della gestione anche di una microimpresa.
Credo che dovremmo invece lavorare per far ottenere alle microimprese incentivi per avere una reale detassazione, che porti i giovani imprenditori e le aziende familiari a essere realmente competitive sul mercato e che permetta finalmente di ottenere credito dagli istituti, che fino ad oggi, mi pare, si siano occupati soprattutto della grande impresa.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signor Presidente, sono molto lieto di appoggiare la relazione Lehne, che aiuterà a ridurre il carico amministrativo che grava sulle microimprese.
Uno degli aspetti che emergere ogni volta che si parla con le piccole imprese è l’eccesso di regolamentazione e burocrazia, il fatto che sono sommerse da una montagna di carte. In effetti, non hanno tutti i torti quando dicono che avrebbe più senso, in quanto microimprese, non essere soggette alle stesse regole e normative valide per le aziende più grandi.
La decisione che abbiamo preso oggi è sensata, è una risposta motivata alle preoccupazioni delle piccole imprese europee, che stanno attraversando un periodo di difficoltà. La maggior parte delle volte proponiamo nuovi atti normativi in quest’Aula, ma oggi ne abbiamo modificato uno. In questo modo, si creerà un miglior contesto imprenditoriale e aumenterà la competitività delle piccole aziende, perciò possiamo dire che ne è valsa la pena.
Vito Bonsignore (PPE). - Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero complimentarmi con il relatore Lehne. L'Unione europea guarda con attenzione al mondo delle imprese – oggi lo ha dimostrato – e in particolare il mio gruppo, i Popolari, da sempre ha posto tra le proprie priorità il sostegno alle piccole e medie imprese. Per questi motivi ritengo molto opportuna l'azione che abbiamo portato avanti, tesa a diminuire la burocrazia e a diminuire i costi che gravano sulle microimprese. Questo provvedimento rappresenta un concreto aiuto per le piccole imprese in questo momento difficile.
Concordo infine sulla flessibilità del provvedimento, che offre agli Stati membri la facoltà di recepire la direttiva nel momento più opportuno: questo al fine di evitare qualsiasi tipo di illegalità che possa scaturire da un'improvvisa ed eccessiva diminuzione dei controlli.
Philippe Lamberts, a nome del gruppo Verts/ALE. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo che il voto che abbiamo espresso sia significativo per due motivi: primo, perché i tre grandi gruppi politici hanno deciso di elaborare una risoluzione comune, che hanno presentato sei minuti prima del termine, impedendo così agli altri gruppi di presentare qualsiasi alto emendamento. Una tale chiusura mentale non è degna di questa Assemblea.
Secondo: se solo fosse stato presentato un testo sensato! Nel momento in cui la Commissione, con le stesse famiglie politiche, riesce a presentarsi qui con cinque obiettivi e sei politiche a sostegno di tali obiettivi, questa Assemblea presenta una risoluzione che non dice assolutamente nulla, ma ha l’appoggio delle tre grandi famiglie politiche.
Ritengo che la risoluzione contribuisca a mettere veramente in ridicolo questa Assemblea, che, in una discussione importante come quella sulla strategia UE 2020, non riesca a fare nient’altro che dichiarare ovvietà.
Ramona Nicole Mănescu (ALDE). – (RO) Come è ben noto, il gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa è stato tra i primi a chiedere un approccio più specifico alla strategia di crescita economica. È proprio per questo che accolgo con favore le modifiche che la strategia UE 2020 sta introducendo in questo ambito.
Tuttavia, ritengo che in taluni ambiti i progressi compiuti non siano stati sufficienti. Vorrei dunque richiamare l’attenzione sul fatto che la strategia 2020 non chiarisce del tutto il proprio legame con la politica di coesione. Penso infatti, signor Presidente, che la politica di coesione, in quanto strumento finanziario volto principalmente allo sviluppo regionale, debba restare concentrata sulle regioni.
Inoltre, la proposta della Commissione assegna al Consiglio e agli Stati membri la funzione primaria di applicare e gestire le politiche derivanti da questa strategia, trascurando però l’importante ruolo svolto dalle autorità locali nel conseguimento di risultati concreti a livello regionale e locale.
Ritengo che il successo della strategia dipenderà in primo luogo dalle modalità di attuazione a livello nazionale, locale e regionale.
Petru Constantin Luhan (PPE). – (RO) I capi di Stato e di governo hanno adottato, nel corso della riunione informale del Consiglio europeo tenutasi l’11 febbraio, una dichiarazione di sostegno all’impegno della Grecia volto a porre rimedio alla propria situazione economica e finanziaria. Inoltre, si è anche discusso del ruolo dell’Unione europea nel 2020, dopo la strategia di Lisbona.
Credo che questa votazione sia un’espressione di solidarietà perché, guardando a UE 2020, le priorità stabilite vanno perseguite in un modo molto più rigoroso, permettendo però di sfruttare le specificità di ogni regione e di risolvere i problemi che ognuna deve affrontare.
La competitività economica deve continuare ad aumentare al fine di creare nuovi posti di lavoro, mentre è necessario investire in diversi campi, tra cui l’istruzione e la ricerca. Credo fermamente che gli specifici problemi di ogni regione e di ogni Stato membro dell’Unione europea saranno analizzati e affrontati in modo adeguato, in base al principio di solidarietà, in modo da poter conseguire gli obiettivi che ci porremo per il 2020.
Gli investimenti nell’istruzione devono essere coadiuvati da infrastrutture che favoriscano l’applicazione pratica delle conoscenze, la coesione sociale e la crescita della competitività economica europea a livello mondiale.
Georgios Papanikolaou (PPE). – (EL) Signor Presidente, è chiaro dalle conclusioni del Consiglio, dalla discussione che ne è seguita in Parlamento a Bruxelles e dalla posizione successivamente adottata dal commissario competente e dai governanti di diversi Stati membri che, in momenti di crisi, in cui alcuni Stati membri devono affrontare gravi problemi economici, occorrono, tra l’altro maggiore solidarietà europea e politiche nuove nell’ambito dell’unione monetaria esistente, per far fronte ad attacchi speculativi contro alcuni Stati membri.
Detto questo, le posizioni adottate in questo momento relativamente alla creazione di istituzioni e strutture comunitarie chiamate ad affrontare tali problemi, come ad esempio il Fondo monetario europeo, sono importantissime. Ci aspettiamo molto dal Consiglio nei giorni a venire e attendiamo altresì l’adozione di misure efficaci per risolvere i problemi in un periodo così critico.
Viktor Uspaskich (ALDE). – (LT) Onorevoli colleghi, vorrei parlare della strategia UE 2020. In linea di principio, appoggiamo qualunque iniziativa punti a migliorare la situazione nell’Unione europea, ma questo non significa che non vi sia spazio per critiche e miglioramenti. A mio parere, lo stesso può dirsi anche della strategia dell’Unione europea per il 2020. Che lo si voglia o no, è necessario ridurre le barriere esistenti tra le normative economiche degli Stati nazionali. Naturalmente, in questo caso non mi riferisco ad ambiti quali la cultura, la tradizione o l’eredità nazionale. Cionondimeno, non bisogna dimenticare che, in termini economici, il mercato dell’Unione europea è un mercato unico e qualunque intervento in senso contrario equivarrebbe ad applicare condizioni diverse a regioni diverse di uno stesso Stato. Pertanto, per quanto Stati membri grandi e piccoli dell’UE possano opporvisi, occorre fissare un termine ultimo per il raggiungimento di condizioni economiche comuni nell’Unione europea. Vedo inoltre con favore l’attenzione rivolta allo sviluppo dell’alta tecnologia, dell’economia della conoscenza e della scienza. Tuttavia, occorre riconoscere che ogni ...
Presidente. – Sono spiacente ma penso che sia sufficiente. Grazie mille, onorevole Uspaskich. La interrompo.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, ho votato contro la relazione, perché la strategia UE 2020 percorre la stessa fallimentare strada neoliberista della strategia di Lisbona, la quale ha aggravato le disuguaglianze regionali e sociali, ha aumentato la povertà e la disoccupazione ed è stata la causa fondamentale della crisi nell’Unione europea. Occorre dunque cambiare radicalmente il contesto in cui la politica economica e sociale viene esercitata, in modo che ruoti attorno alla piena occupazione e a diritti sociali più solidi.
Quando è scoppiata la crisi, i leader dell’Unione europea hanno tenuto un profilo basso in occasione del vertice informale, lasciando ogni Stato membro solo ad affrontare i propri problemi, mentre ora vogliono vigilare sui disavanzi pubblici. Hanno trattato la Grecia come la pecora nera e ora vogliono che siano adottate misure severe ai danni dei lavoratori, in Grecia come in altri paesi.
Occorre dunque sostituire il Patto di Stabilità antisociale e antisviluppo con un patto per lo sviluppo e l’espansione economica descritto nella proposta presentata dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica.
Filip Kaczmarek (PPE). – (PL) L’Unione europea senza dubbio ha bisogno di una nuova strategia che ci aiuti e permetta di creare la nostra risposta alla crisi economica e finanziaria. Uno dei principali elementi della strategia deve essere il rafforzamento della libera circolazione dei cittadini di qualunque categoria: lavoratori, uomini d’affari, scienziati, studenti e persino pensionati, come sancisce la nostra risoluzione. Un’altra caratteristica positiva è la maggiore enfasi data al sostegno alle piccole e medie imprese: senza lo sviluppo di queste aziende non sarà infatti possibile migliorare la situazione dell’Unione.
Alcuni pensano che la strategia dica troppo poco della politica di coesione. Non so se è così, perché, in effetti, in una sua parte si sottolinea il significato fondamentale di tale politica per il futuro dell’Unione. Tuttavia, so che se non si realizzerà questo obiettivo, nessuna strategia migliorerà la situazione.
Vito Bonsignore (PPE). - Signor Presidente, è il momento di diventare adulti politicamente. La crisi ha dimostrato la necessità di avere più attività di coordinamento e di indirizzo in capo a organismi comunitari di grande livello e autorevolezza, più risorse per i progetti infrastrutturali, più attenzione a un vero sostegno alle piccole e medie imprese.
Un grande sforzo va messo in campo per attuare pienamente il mercato interno e con urgenza va tentata una politica fiscale comune. Molti in passato hanno fatto finta di non vedere i bidoni che le banche americane piazzavano sul mercato mondiale, appellandosi a formalismi inutili, anche all'interno dell'Unione. È il tempo della responsabilità ed è il tempo del coraggio. Nella risoluzione che io ho votato insieme al mio gruppo ci sono alcune di queste cose ma ritengo che Barroso, il Consiglio, il Parlamento debbano avere più coraggio.
Ryszard Czarnecki (ECR). – (PL) La nuova strategia dell’UE, in effetti, è la sorella minore della strategia di Lisbona. Se seguirà l’esempio della sua sorella maggiore, non passerà gli esami, né si qualificherà ad alcunché.
Proprio mentre i leader dell’Unione europea parlavano della necessità di adottare la strategia di Lisbona, gli Stati membri limitavano di fatto la libera circolazione dei lavoratori, e anche dei servizi. La nuova strategia, ovviamente, è un piccolo passo avanti rispetto alla versione di qualche mese fa, in cui non si diceva nulla della coesione. Al momento, comunque, sembra più un elenco di desiderata. Verificheremo la strategia nel bilancio settennale dell’Unione europea a partire dal 2014. Spero almeno che non contribuisca al predominio dei vecchi Stati membri sui nuovi.
Zoltán Balczó (NI). – (HU) Ho votato contro la strategia UE 2020. Ho votato contro perché professa chiaramente la propria fede in una politica economica neoliberista e afferma senza mezzi termini di condannare la politica economica protezionista, in altre parole, il ruolo dello Stato nell’economia. La crisi mondiale finanziaria ed economica ha però dimostrato che non possiamo affidare tutto al mercato. Inoltre, la sua concezione imperialista è quanto mai evidente. Essa decreta che, qualora gli Stati membri non le recepiscano in tempo, le normative entreranno in vigore automaticamente, cerca di istituire un’autorità europea di vigilanza e, in alcuni punti, tenta apertamente di utilizzare atti normativi vincolanti per ottenere risultati, invece che consentire decisioni autonome. Questa è la motivazione del nostro voto contrario.
Inés Ayala Sender (S&D). – (ES) Signor Presidente, in qualità di esponente della commissione per il controllo dei bilanci, vorrei dire che io, ovviamente, ho votato a favore della strategia UE 2020 poiché ritenevo che fosse importante che il Parlamento fornisse il suo parere. Tuttavia, nutro una riserva, che vorrei spiegare all’Assemblea: la formulazione del paragrafo 18 contiene un errore, ossia un’affermazione che non corrisponde al vero.
Vi si afferma infatti che la Corte dei conti ha criticato la Commissione e gli Stati membri quando, in realtà, è vero il contrario. Questo perché la gestione dell’80 per cento del bilancio dell’Unione non è stata oggetto di critiche; al contrario, quest’anno, per la prima volta in 11 anni, la Corte dei conti si è congratulata con noi e ha espresso una dichiarazione di affidabilità positiva per poco più del 33 per cento del bilancio gestito dagli Stati membri, ovvero la spesa agricola, e per il perfezionamento del sistema di vigilanza, che ora funziona meglio.
Ritengo dunque che la formulazione del paragrafo 18 disorienti l’opinione pubblica, la quale crederà che l’80 per cento del bilancio è mal gestito e che siamo stati criticati per questo. Vorrei chiarire questo punto per voi, onorevoli colleghi, e per il bene dell’opinione pubblica europea.
Ramona Nicole Mănescu (ALDE). – (RO) Ho votato contro la relazione Goldstone, sebbene inizialmente essa sembrasse un’iniziativa animata da buoni propositi per analizzare da vicino il conflitto tra israeliani e palestinesi e identificare le soluzioni migliori per porre rimedio alla situazione nella regione.
Avrei tuttavia gradito che tale relazione fosse più obiettiva nel rispettare le disposizioni del diritto umanitario e internazionale. In effetti sono rimasta spiacevolmente sorpresa nel notare che nella relazione il governo israeliano viene giudicato con lo stesso metro di valutazione utilizzato per Hamas che, come tutti ben sappiamo, figura nell’elenco dell’Unione europea delle organizzazioni terroristiche. Non credo, pertanto, che tale relazione possa in alcun modo contribuire ad attenuare il conflitto tra israeliani e palestinesi, le tensioni e in generale la situazione nella regione. Per questo motivo ho votato contro la relazione.
Alajos Mészáros (PPE). – (HU) Gli autori della relazione redatta dal team del giudice Richard Goldstone sono a mio parere degli esperti di fama internazionale della cui obiettività e profonda comprensione non abbiamo motivo di dubitare. La relazione non è di parte ed è equilibrata, dobbiamo pertanto creare le condizioni necessarie all’attuazione delle sue raccomandazioni. Ho votato a favore della relazione, sebbene non ne condivida tutti i punti, ma è positivo il fatto di aver sostenuto la posizione adottata dal Parlamento oggi. L’auspicio è che questo contribuisca a limitare gli eccessi dei partiti contrapposti e, nel lungo termine, a realizzare la tanto desiderata pace duratura in Medio Oriente.
Krisztina Morvai (NI). – (HU) Nel dicembre 2008 Israele ha sferrato un violento attacco alla Striscia di Gaza, in seguito al quale hanno perso la vita oltre 1 400 persone, per la maggior parte civili, tra cui 450 bambini. Utilizzando metodi obiettivi e un’ampia raccolta di testimonianze, la relazione Goldstone ha denunciato tali atrocità ed elencato quali norme del diritto internazionale Israele abbia infranto agendo in modo così violento. La delegazione del Movimento per un’Ungheria migliore (Jobbik) al Parlamento europeo ha naturalmente votato a favore della risoluzione sull’approvazione e sull'attuazione delle raccomandazioni Goldstone, e, al contempo, offre le proprie scuse alle vittime palestinesi perché sulla scena internazionale il governo ungherese continua ad adottare, in modo ignobile e in netta contrapposizione rispetto all’opinione pubblica ungherese, una posizione contraria alla relazione Goldstone.
Peter van Dalen (ECR). – (NL) Signor Presidente, la relazione Goldstone è troppo faziosa. Troppe colpe sono state fatte ricadere su Israele, malgrado sia stato Hamas ad abusare degli obiettivi civili e dei civili sfruttandoli come rifugi, depositi di armi e scudi umani. Sfortunatamente la relazione Goldstone non menziona affatto tutto questo.
Questa faziosità è presumibilmente dovuta al fatto che paesi quali l’Arabia Saudita, la Libia e il Pakistan hanno presieduto alla preparazione della relazione da parte della commissione competente delle Nazioni Unite. Tali paesi non sono propriamente famosi nel mondo per il loro brillante stato di servizio in materia di democrazia e libertà d’espressione. Se avete rapporti con paesi del genere, essi non faranno altro che infettarvi. Sfortunatamente, questo è quello che ha condizionato anche Goldstone ed è per questo motivo che ho votato contro la risoluzione comune del Parlamento europeo. In realtà la risoluzione è tanto parziale quanto la relazione Goldstone.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Goldstone. Ritengo sia una vergogna che il Parlamento europeo abbia adottato tale relazione, benché con una maggioranza risicata, perché è stato un atto caratterizzato da molta parzialità e da una grande divergenza di opinioni in quest’Aula.
Desidero commentare un solo punto. Oltre 600 membri del Parlamento europeo hanno più che giustamente votato per l’inclusione di Hamas tra le organizzazioni terroristiche. Malgrado il fatto che abbiamo concordato quasi all’unanimità che Hamas è un’organizzazione terroristica, la maggioranza di noi in quest’Aula ha votato a favore della presente relazione e all’apparenza ha approvato i provvedimenti in essa contenuti e tutti gli 8 000 missili che Hamas ha lanciato contro le infrastrutture civili israeliane.
Ritengo che Israele sia minacciato, ed è per questo che il paese ha dovuto difendere la propria popolazione civile. Considerando questo, è decisamente triste fatto che questa relazione così parziale sia passata, anche se con una maggioranza risicata. Auspico che tale grave macchia sul nostro stato di servizio non si verifichi di nuovo, ma che, in quanto europei, si combatta strenuamente per democrazia, diritti umani e libertà di opinione e ci si adoperi con maggior forza per portare la democrazia in Medio Oriente.
Ryszard Czarnecki (ECR). – (PL) Il giudice Goldstone non può certo venir considerato un modello di obiettività. Ho votato contro la presente relazione perché ho l’impressione che essa cerchi di presentare la situazione in Medio Oriente in bianco e nero, dipingendo Israele come il personaggio cattivo. In realtà la situazione è ben più complessa. Credo si debbano evitare tali giudizi parziali e univoci. Personalmente, sono stato in un posto chiamato Sderot – e credo ci sia stato anche lei, signor Presidente – che è stato l’obiettivo di diverse centinaia di missili lanciati dai combattenti Hamas, come ha dichiarato l’onorevole Takkula di recente. Ritengo pertanto che la presente relazione non sia un atto di cui il Parlamento europeo debba vantarsi in modo particolare in futuro.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, abbiamo sentito molto sulla proporzionalità in questa discussione, e mi chiedo cosa considererebbero proporzionato i nemici di Israele. Mi chiedo se non avrebbero preferito che lo Stato ebraico avesse semplicemente preso una pari quantità di armamento e munizionamento e lo avesse fatto piovere a caso su Gaza. Sarebbe stata questa una risposta proporzionata?
Vorrei anche esaminare la proporzionalità, o mancanza di proporzionalità, nella presente relazione. Leggendo la relazione Goldstone si ha la strana e spaventosa sensazione di star leggendo di un attacco violento in cui l’autore ha omesso di menzionare il fatto che gli eventi si sono svolti durante un incontro di pugilato. Gli eventi sono stati privati di qualsiasi contesto.
Non sto dicendo che Israele debba essere al di sopra delle critiche, né che Piombo fuso sia al di sopra delle critiche. Sono stati commessi degli errori. Israele vuole giungere ad una situazione nella quale vi sia un’entità palestinese stabile che sia al contempo un buon vicino, ma la presente politica di degradare le infrastrutture ostacola il raggiungimento dell’obiettivo. Similmente, la parzialità e il tono della presente relazione hanno allontanato ulteriormente l’idea della soluzione dei due Stati, nella quale un’entità israeliana e una palestinese convivono fianco a fianco come vicini pacifici.
Alexander Graf Lambsdorff (ALDE). – (DE) Signor Presidente, la delegazione del partito liberale democratico tedesco (FDP) al Parlamento europeo ha votato oggi contro la risoluzione, presentata da diversi gruppi, di attuare le raccomandazioni della relazione Goldstone. Non si può votare a favore di una relazione, il cui stesso mandato era molto controverso: non uno Stato membro dell’Unione europea aveva dato il proprio sostegno. Una relazione che mette sullo stesso piano il democratico Israele e un gruppo che l’Unione europea ha ufficialmente inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. Noi non possiamo votare a favore di una relazione che non riesce a prendere nella giusta considerazione le cause più profonde del conflitto.
La nostra scelta di voto, tuttavia, non significa che rifiuteremmo un’indagine sugli eventi connessi all’operazione Piombo fuso. Al contrario. Israele dovrebbe in effetti indagare a fondo su tutti gli aspetti dell’operazione e – qualora sia stata trasgredita la legge – tale trasgressione andrebbe punita. Parimenti, la nostra scelta di voto non significa che sosterremmo la politica dello Stato di Israele nel processo di pace. Siamo molto soddisfatti di vedere che sono nuovamente in corso i negoziati tra Israele e i palestinesi, sebbene indirettamente per il momento.
Anche la visita del vicepresidente americano Biden dimostra che l’amministrazione Obama si impegna seriamente per giungere ad una pace duratura nella regione, e gode pertanto del nostro sostegno. Questo rende ancora più difficile comprendere il fatto che Israele abbia volutamente ignorato il vicepresidente, approvando la costruzione di ulteriori insediamenti in Cisgiordania mentre la visita era ancora in corso, un provvedimento questo che ha suscitato critiche profondamente giuste, e non solo da parte dei palestinesi.
Miroslav Mikolášik (PPE). – (SK) Sono convinto che l’Unione europea debba inviare un chiaro segnale alla Bielorussia sul fatto che è pronta a prendere nuovamente in considerazione relazioni reciproche se la Bielorussia non si asterrà dal violare i diritti umani e i principi democratici e non adotterà delle misure correttive.
Vorrei altresì esprimere indignazione per il decreto del Presidente della Bielorussia in materia di controllo di Internet che, in molti punti, è un’evidente negazione della libertà di parola e di stampa. Un simile provvedimento limita libertà e democrazia in Bielorussia e aggrava la sfiducia dei cittadini e degli altri paesi, Unione europea inclusa, nelle autorità dello Stato e nei loro rappresentanti. Alla luce dei recenti arresti di rappresentanti della società civile e dell’opposizione democratica, è impossibile non vedere il breve lasso di tempo tra l’entrata in vigore del decreto – luglio di quest’anno – e le imminenti elezioni presidenziali all’inizio del prossimo anno.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Desidero ringraziare i colleghi parlamentari per aver redatto la presente risoluzione e per la sua adozione da parte del Parlamento europeo.
Dando il nostro appoggio alla presente risoluzione, ci siamo espressi a favore della difesa dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini, tra cui le minoranze nazionali. Si tratta al contempo di un’iniziativa a difesa dei principi fondamentali di democrazia e tolleranza, che costituiscono le fondamenta dell’Europa. Sono soddisfatto della posizione ufficiale adottata dal Parlamento sulla questione, in sostegno della minoranza polacca in Bielorussia.
Desidero cogliere quest’occasione per ribadire che gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero fungere da esempio per gli altri paesi e per i nostri vicini, e fare attenzione che i diritti delle minoranze nazionali nei nostri Stati membri vengano pienamente rispettati.
Filip Kaczmarek (PPE). – (PL) Ho votato a favore dell’adozione della risoluzione sulla situazione in Bielorussia. Nella risoluzione chiediamo la legalizzazione dell’Unione dei polacchi di Bielorussia guidata da Angelika Borys ed esprimiamo la nostra solidarietà a tutti i cittadini della Bielorussia che non possono godere appieno dei diritti civili.
Ieri ho ricevuto una lettera dell’ambasciatore bielorusso in Polonia, nella quale egli esprime la propria preoccupazione per le intenzioni dei membri del Parlamento europeo di adottare la risoluzione. Egli è del parere che tali intenzioni siano il risultato di una copertura non obiettiva della situazione da parte dei mass media polacchi. Questo non è vero. Le motivazioni hanno radici ben più profonde. Si tratta del rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini e dei diritti delle minoranze, della garanzia di standard minimi e, di conseguenza, del bene della Bielorussia e dei Bielorussi.
Laima Liucija Andrikienė (PPE). – (EN) Signor Presidente, ho dato il mio appoggio alla risoluzione sulla situazione della società civile e delle minoranze nazionali in Bielorussia e oggi desidero esprimere ancora una volta la mia grande preoccupazione per le recenti violazioni dei diritti umani in Bielorussia, perpetrate nei confronti di membri della società civile, delle minoranze nazionali e delle loro organizzazioni. Vorrei esprimere la mia piena solidarietà ai cittadini che non sono in grado di godere di tutti i loro diritti civili.
Desidero anche condannare in modo risoluto l’arresto di Angelika Borys, presidente dell’Unione dei polacchi di Bielorussia, e anche di Anatoly Lebedko, leader del partito di opposizione, il partito civico unito, e del leader di Forze democratiche unite in Bielorussia, che in diverse occasioni è stato nostro ospite in quest’Aula.
Il popolo bielorusso non è purtroppo in grado di beneficiare dei molti progetti e proposte che l’Unione europea sta finanziando come parte della nostra politica di vicinato con i paesi più orientali.
Hannu Takkula (ALDE). – (FI) Signor Presidente, per quanto attiene alla situazione in Bielorussia, considero estremamente importante che noi, in quanto europei, ricordiamo quali sono i nostri valori.
Desidero portare questo alla vostra attenzione a causa del recente e deplorevole risultato della votazione sulla relazione Goldstone e perché in tutte le questioni, siano esse legate alla Bielorussia, al Medio Oriente, all’Estremo Oriente o all’Africa, non dobbiamo dimenticare i principi fondamentali che ci guidano. Essi sono: democrazia, diritti umani e libertà di opinione. Questi sono i valori che ci uniscono e che cerchiamo di promuovere. Dobbiamo portare questo messaggio in Bielorussia. Dobbiamo assicurare che anche là i diritti delle minoranze vengano presi in considerazione, e che vengano riconosciute le minoranze religiose, che sono state là perseguitate in vari modi, così come i diritti umani e la libertà di professare una religione.
E’ estremamente importante che noi, in quanto europei, garantiamo di portare il messaggio europeo anche in Bielorussia, offrendo così anche là una speranza.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, sebbene io condivida molto di quanto formulato nella presente risoluzione, mi chiedo se siamo nella posizione migliore per fare la predica alla Bielorussia sulle carenze della sua democrazia. Noi deploriamo che la Bielorussia abbia un parlamento debole, che approva senza controllare, ma guardatevi intorno. In questa sede noi approviamo automaticamente e docilmente le decisioni del nostro politburo di 27 membri. Ci lamentiamo del fatto che, sebbene vi siano le elezioni, essi le manipolino; noi d’altra parte teniamo dei referendum, li organizziamo onestamente ma poi non teniamo conto dei risultati. Ci lamentiamo della sopravvivenza dell’apparato dell’Unione sovietica, eppure manteniamo la nostra politica agricola comune, il nostro capitolo sociale, la nostra settimana di 48 ore e il resto dell’apparato del corporativismo dell’euro.
Nessuna meraviglia che i vecchi partiti comunisti degli Stati COMECON guidassero la campagna del ‘sì’ quando i loro paesi hanno fatto domanda per aderire alla Evropeyskiy soyuz. Per alcuni di loro, in effetti, è stato come tornare a casa; mi vengono in mente le spaventose pagine conclusive di La fattoria degli animali, quando gli animali spostano lo sguardo dall’uomo al maiale e dal maiale all’uomo e scoprono di non saperli distinguere.
Bruno Gollnisch (NI). – (FR) Signor Presidente, a parte contestare il contenuto reale della presente risoluzione, vorrei anche contestarne il principio.
I patrioti francesi, fiamminghi, ungheresi, tedeschi e austriaci sono oggetto di continue persecuzioni legali, professionali e politiche, e questo in mezzo all’indifferenza, anzi all’appoggio di quest’Aula, che sostiene di costituire un esempio per il mondo intero e specialmente per color che si trovano al di fuori dei suoi confini.
La settimana scorsa, ad esempio, abbiamo adottato una risoluzione sull’Ucraina, nella quale è presente una disposizione che molti patrioti ucraini considerano giustamente un insulto al loro eroe nazionale, Stepan Bandera. In verità egli ha tentato, in circostanze particolarmente difficili, di seguire una via tra due forme di totalitarismo: quella di Hitler e quella dei Sovietici. Questo non lo rende meno eroico agli occhi di molti ucraini, che giustamente si sentono umiliati dalla maggioranza in quest’Aula.
In genere gli eroi nazionali hanno combattuto contro i loro vicini. Il mio amico Nick Griffin, un vero patriota britannico, si sente offeso dal fatto che Giovanna d’Arco è per noi un’eroina nazionale? Certamente no! Personalmente vorrei che il nostro Parlamento mostrasse le stesse riserve nei confronti degli eroi di altri paesi stranieri.
Kay Swinburne, a nome de gruppo ECR. – (EN) Signor Presidente, l’ECR ammette che l’industria dei servizi finanziari non può aspettarsi di sfuggire alla crisi senza pagarne lo scotto. Sono stati provocati danni enormi con un comportamento avventato e per riparare al malfatto i responsabili dovranno pagarne il prezzo. Bisogna inoltre creare dei nuovi sistemi per assicurare che ciò non succeda mai più e che vi siano risorse finanziarie disponibili per le emergenze, per stabilizzare i fallimenti sistemici.
Nell’ambito degli accordi internazionali forse è giunto il momento di tassare le operazioni finanziarie. A prescindere dai dubbi sugli aspetti concreti della realizzazione di un tale sistema, nessun provvedimento andrebbe escluso fintanto che gode dell’appoggio dell’intera comunità internazionale e fintanto che vi sono le garanzie a tutela del suo funzionamento e del fatto che non può essere eluso.
La risoluzione di oggi gode del nostro appoggio, fatto salvo, per due motivi, il paragrafo 7. Innanzi tutto siamo contrari a concedere all’Unione europea nuovi poteri di imposizione fiscale. Tale paragrafo – per quanto sia stato enunciato con cura – suggerisce che questo sia un risultato auspicato. In secondo luogo, lo scopo di una tassazione delle operazioni finanziarie non dovrebbe essere quello di raccogliere denaro per i progetti preferiti, per quanto validi. Al contrario, deve essere quello di assicurare la stabilità finanziaria futura e proteggere da eventi come quelli che hanno scatenato il recente caos economico.
La presente risoluzione, così com’è, è troppo incentrata su una soluzione basata sulla tassazione delle operazioni, implica poteri d’imposizione fiscale europei e non nazionali, suggerisce l’utilizzo del denaro raccolto per finanziare progetti di sviluppo e di cambiamento climatico, anziché stabilizzare il settore finanziario, e infine suggerisce che una tassa europea potrebbe essere fattibile senza la partecipazione di tutti. Per questi motivi abbiamo votato contro questa specifica proposta di risoluzione.
Joe Higgins (GUE/NGL). – (EN) Signor Presidente, mi sono astenuto sulla risoluzione sulla tassazione delle operazioni finanziarie perché essa è assolutamente inadeguata a contrastare le scandalose speculazioni antisociali nel mondo di giganteschi hedge fund e di banche cosiddette ‘prestigiose’ come la Goldman Sachs.
The Wall Street Journal ha riferito di recente di una cena privata svoltasi l’8 febbraio a New York, alla quale erano presenti i 18 hedge fund principali e durante la quale si è discusso di speculazioni contro l’euro. Sono mesi ormai che questi squali finanziari conosciuti come hedge fund – che controllano oltre 2 000 miliardi di euro – stanno deliberatamente speculando contro l’euro, e contro la Grecia in particolare, allo scopo di ricavarne profitti miliardari.
Incredibilmente, la Commissione europea non solo non riesce a muovere un dito per fermarli, ma in effetti cospira con questi criminali finanziari vessando i lavoratori e i poveri in Grecia, pretendendo che il loro standard di vita venga fatto a pezzi per pagare il riscatto chiesto da questi parassiti.
Non abbiamo bisogno di una tassazione finanziaria. Ciò che serve è ottenere la proprietà pubblica e il controllo democratico di questi hedge fund e delle banche principali, e utilizzare le loro immense risorse per investimenti che metteranno fine alla povertà e di cui beneficerà la società, piuttosto che distruggerla per avidità privata.
Mario Borghezio (EFD). –Signor Presidente, ci siamo astenuti ma il motivo fondamentale è pronunciarmi contro l'evidente intenzione dell'Unione europea e della Commissione di istituire una tassa, come dimostrano le recenti dichiarazioni del Commissario Šemeta rilasciate all'European Voice, secondo cui sarebbe in procinto di varare una tassa minima sulle emissioni.
Noi siamo contro l'idea di concedere all'Unione europea il potere di imposizione fiscale diretta, una prerogativa incostituzionale in quasi tutti gli Stati membri, perché viola il principio della "No taxation without representation". Ci opporremo in tutti i modi a un tentativo di introdurre un'imposizione diretta, forti anche della sentenza del giugno 2009 della Corte costituzionale tedesca.
Voglio ricordare che un anticipo lo ha già dato il presidente Van Rompuy quando, nella misteriosa riunione tenutasi una settimana prima della sua nomina al gruppo Bilderberg (che non è proprio il massimo della trasparenza mondialista), ha annunciato – addirittura ha preso l'impegno! – della proposta della tassa diretta europea sulla CO2, che comporterebbe immediati aumenti nei prezzi dei carburanti, nei servizi, eccetera, quindi un danno per i cittadini europei.
Questa proposta di tassa UE è incostituzionale!
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, non sono convinto delle argomentazioni a favore di una tassazione delle operazioni finanziarie, ma accetto le motivazioni sincere dei sostenitori della proposta. E’ una questione sulla quale le persone di buona volontà possono giungere a conclusioni diverse.
Ciò per cui non esiste alcuna argomentazione possibile è l’imposizione di una simile tassazione esclusivamente nell’Unione europea. Una tassa Tobin imposta solo a livello regionale comporterebbe una fuga di capitali verso quelle giurisdizioni dove una tale tassazione non è pertinente, dunque qual è il motivo per il quale quest’Aula ha appena votato a così grande maggioranza per un sistema che andrà a svantaggio dell’Unione europea?
La risposta è che soddisfa un certo tipo di parlamentare in quest’Aula in quanto attacca i banchieri, attacca la City di Londra e, soprattutto, fornisce all’Unione europea una fonte indipendente di reddito, che le permetterà di non doversi più rivolgere agli Stati membri.
Insieme alle varie altre proposte che vediamo presentare per l’armonizzazione della supervisione finanziaria – la direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi, eccetera – essa costituisce un’epica minaccia alla City di Londra, di cui siamo testimoni, così come della consegna dell’Unione europea alla povertà e all’irrilevanza.
Syed Kamall (ECR). – (EN) Signor Presidente, chiunque osservi la recente crisi finanziaria si chiederà come abbiamo consentito che norme e supervisione ci portassero ad una situazione nella quale siamo arrivati ad avere banche considerate troppo grandi per poter fallire e i miliardi dei contribuenti utilizzati per tenere in piedi tali banche.
L’idea quindi di una tassa sulle operazioni finanziarie a livello globale potrebbe sembrare ragionevole, volendo aiutare le vittime della crisi finanziaria e anche le persone nei paesi più poveri.
Se si pensa tuttavia a come questa tassa verrebbe imposta in realtà, e al suo impatto reale, e si segue il suo percorso nei mercati finanziari, nella realtà, troveremmo banche che trasferiscono questi costi sui loro clienti. Questo avrebbe anche un grosso impatto su quelli di noi che vogliono intrattenere scambi commerciali con i paesi in via di sviluppo o sugli imprenditori nei paesi in via di sviluppo che vogliono intrattenere scambi commerciali con il resto del mondo, e colpirebbe i costi assicurativi, parte estremamente vitale del commercio internazionale.
Se vogliamo veramente affrontare la questione, non dovremmo consegnare il denaro dei contribuenti – si tratta di miliardi – a governi corrotti o incompetenti. Dovremmo garantire la rimozione delle barriere tariffarie sia nell’Unione europea che nei paesi poveri per assistere gli imprenditori nei paesi più poveri nel creare ricchezza e salvare le persone dalla povertà.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Apprezzo gli sforzi dell’Unione europea riguardo all’introduzione di un regime unico per le operazioni bancarie nell’area dell’euro.
D’altra parte, vedo già le banche abusare dell’introduzione di queste nuove norme servendosene per aumentare le commissioni che esse addebitano ai loro clienti. D’altronde se le nostre banche, sotto la pressione dell’Unione europea, ritoccano i pagamenti per le operazioni SEPA transfrontaliere nell’area dell’euro, così da renderle equiparabili alle operazioni nazionali, le commissioni per il deposito e il prelievo di denaro presso le filiali aumenterebbero simultaneamente. A tutti noi è chiaro che i costi delle banche per la gestione del contante nelle filiali non è mutato affatto a seguito delle nuove norme.
Dobbiamo pertanto dichiarare forte e chiaro che lo sfruttamento da parte delle banche delle nuove regole introdotte nell’area dell’euro per aumentare i loro profitti a discapito dei nostri cittadini è palese ottusità. E’ pertanto nostro dovere monitorare con attenzione l’applicazione del nuovo regolamento sugli istituti finanziari.
Jarosław Kalinowski (PPE). – (PL) Ho votato a favore dell’adozione della risoluzione perché non posso accettare, in qualità di rappresentante del mio elettorato, che ci si accordi alle loro spalle e contro la loro volontà su qualunque questione. Il trattato di Lisbona ha conferito al Parlamento europeo nuovi poteri, che sono anche il motivo per il quale il Parlamento europeo dovrebbe essere in grado di fare il guardiano dei diritti dei cittadini.
Concordo con gli autori della risoluzione, che criticano le modalità con le quali vengono tenuti segreti i negoziati della Commissione sull’Accordo commerciale anticontraffazione così come la mancanza di cooperazione con il Parlamento europeo sulla questione. Questo atto è diretto contro il prevalente diritto comunitario sull’accesso universale alle informazioni riguardanti le attività degli enti pubblici, e inoltre riduce il diritto alla privacy. E’ pertanto un bene che il Parlamento europeo si sia interessato alla questione della trasparenza dei negoziati della Commissione europea, così come alla questione della contraffazione e della sua prevenzione.
Marian Harkin (ALDE). – (EN) Signor Presidente, per quanto riguarda l’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA), gli attuali negoziati non sono affatto trasparenti. Utilizzare l’attuale formula di negoziazione per giungere a un accordo globale è assolutamente contrario ai processi trasparenti e democratici che dovremmo attenderci dai nostri legislatori. A prescindere dal contenuto dell’accordo, è inaccettabile evitare il giudizio pubblico quando si delineano politiche che incideranno direttamente su così tanti cittadini europei.
Per quanto attiene al contenuto, dobbiamo prestare la massima attenzione al Garante europeo della protezione dei dati che si è espresso in termini forti su tali negoziati. Egli incoraggia risolutamente la Commissione europea ad avviare un dialogo aperto e trasparente sull’ACTA. Egli afferma altresì che mentre la proprietà intellettuale è importante per la società e va protetta, essa non andrebbe posta al di sopra dei diritti fondamentali degli individui alla privacy, alla protezione dei dati e di altri diritti come la presunzione di innocenza, la tutela giurisdizionale effettiva e la libertà di espressione. Egli dichiara infine che una politica di disconnessione forzata da Internet (‘three strikes’) limiterebbe grandemente i diritti e le libertà fondamentali dei cittadini europei.
Si tratta di una questione molto importante per tutti i cittadini europei, e il modo in cui la Commissione e il Parlamento la affronteranno sarà molto rivelatrice sulla loro responsabilità e sulla trasparenza.
Syed Kamall (ECR). – (EN) Signor Presidente, uno degli aspetti importanti della presente proposta di risoluzione era che eravamo riusciti a giungere ad un’alleanza trasversale in quest’Aula.
Un punto di intesa era il fatto che, in mancanza di informazioni sensate circa questi negoziati, ciò che si vedeva sulla blogosfera, e non solo, erano voci che suggerivano proposte quali la confisca dei computer portatili e dei lettori MP3 alle frontiere. Ciò che era piuttosto chiaro in tutta quest’Aula era che volevamo informazioni e maggiore trasparenza sui negoziati sull’Accordo commerciale anticontraffazione.
Il messaggio è giunto forte e chiaro al commissario ieri sera, e sono molto contento che egli abbia promesso di fornirci maggiori informazioni. Se la Commissione porta avanti i negoziati a nome di 27 Stati membri e dell’Unione europea, è essenziale per noi conoscere quale sia la posizione negoziale, e anche avere una valutazione dell’impatto di ciò che si sta proponendo, che mostri come inciderà sull’industria europea.
Accolgo con favore i commenti espressi ieri sera dal commissario e rimango in attesa di una maggiore trasparenza.
Jaroslav Paška (EFD). – (SK) Ciò che mi preoccupa sono le pratiche e procedure della Commissione europea nel negoziare l’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA).
I negoziati avvengono in segreto, a porte chiuse, senza informare debitamente il Parlamento europeo e i suoi membri, che alla fine dovrebbero approvare tale documento. Ritengo che si debbano modificare le procedure riguardo a quando la Commissione europea presume che il Parlamento si assumerà la responsabilità di qualsiasi accordo sottoposto al suo vaglio. E non sarà un buon segno né verso l’opinione pubblica europea, né verso il mondo esterno se dovremo rimandare ripetutamente i trattati internazionali alla Commissione europea per una revisione. Tale condotta non è indicativa di una buona comunicazione tra le più importanti istituzioni dell’Unione europea.
Syed Kamall (ECR). – (EN) Signor Presidente, come molti di noi sanno, il sistema SPG è pronto per una revisione, mentre il sistema attuale sta per finire.
Un aspetto molto importante quando si considera il SPG e il SPG+ è che durante i negoziati sugli accordi di partenariato economico, nelle regioni proposte, erano presenti molti singoli stati contrari a sottoscrivere un accordo con l’Unione europea.
Uno degli aspetti che ho sempre criticato degli accordi di partenariato economico è che essi adottano un approccio unico al commercio. Durante la discussione con la Commissione è emerso un altro fattore allarmante: uno dei funzionari ha annunciato che gli accordi di partenariato economico non riguardavano solo il commercio, ma anche l’esportazione del modello europeo di integrazione regionale.
Vi sono singoli paesi che vogliono siglare accordi con l’Unione europea e vogliono poter esportare i loro beni e servizi in Europa su base preferenziale. Pertanto, ciò che dovremmo proporre è di offrire a quei paesi che vogliono stringere un accordo commerciale, ma non rispondono ai criteri degli accordi di partenariato economico, il SPG+ come alternativa, e dovremmo cercare di essere maggiormente flessibili.
Mi auguro che in questo modo aiuteremo gli imprenditori a creare ricchezza e a salvare dall’indigenza i poveri in molti di questi paesi.
Daniel Hannan (ECR). – (EN) Signor Presidente, quasi inosservati, il Sud America e l’America centrale stanno scivolando in una forma di autocrazia, una specie di neocaudillismo. In Nicaragua, Venezuela, Ecuador e Bolivia abbiamo assistito all’ascesa di regimi che se non proprio dittatoriali di certo non sostengono la democrazia parlamentare. Si tratta di presidenti che, benché eletti legittimamente, iniziano poi a smantellare qualsiasi controllo sul loro potere: la commissione elettorale, la Corte suprema, le camere del parlamento e, in molti casi, sospendono la costituzione e la riscrivono ‘rifondando’ – come dicono loro – lo Stato in base a principi socialisti.
Con tutto quello che sta succedendo, la Sinistra chi sceglie di criticare in quella parte del mondo? Uno dei pochi regimi che gode genuinamente del sostegno popolare, quello di Álvaru Uribe in Colombia, che gode del sostegno di più di tre quarti della popolazione perché egli ha ripristinato l’ordine in quell’infelice paese e ha represso i paramilitari sia di destra che di sinistra. Dimostrano di possedere uno straordinario senso delle priorità quei deputati di quest’Aula che hanno scelto di prenderlo di mira. Dovreste vergognarvi.
(ES) E’ un errore facilitare il compito dei paramilitari, che vergogna!
Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signor Presidente, ringrazio il collega Albertini per l'ottimo lavoro svolto su questo tema centrale per la politica europea. Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona le competenze dell'Unione in materia di politica estera e sicurezza comune sono cresciute e credo che siamo qui in molti ad auspicare maggiori responsabilità e un maggiore coinvolgimento in materia di politica estera dell'istituzione di cui facciamo parte.
Condivido in particolar modo l'invito rivolto all'alto rappresentante PESC a consultare la commissione parlamentare competente del Parlamento europeo in occasione delle nomine per i posti dirigenziali del costituendo Servizio europeo per l'azione esterna e a garantire al Parlamento europeo, oltre che al Consiglio, l'accesso alle informazioni riservate.
Ritengo quindi che la strada intrapresa con questa relazione sia un primo, importante passo avanti verso una politica estera europea forte, determinata a far valere il proprio ruolo e peso politico sullo scenario internazionale.
Nicole Sinclaire (NI). – (EN) Signor Presidente, ho votato contro gli emendamenti 17D e 19 che attaccavano la NATO e chiedevano la rimozione delle basi NATO presenti nell’Unione europea. Ebbene, una delle ultime argomentazioni di coloro che credono in questo progetto europeo è che l’Unione europea abbia mantenuto la pace in Europa negli ultimi 50 o 60 anni. Bene, vorrei in effetti dire che questa è una menzogna e che è stata la NATO in realtà, con le proprie forze, ad aver mantenuto la pace in Europa.
Credo sia una vergogna che quest’Aula abbia consentito di votare un tale emendamento. Ho notato che il gruppo che in realtà ha presentato l’emendamento rappresenta ciò che rimane di un’ideologia fallita che ha tenuto le proprie popolazioni dietro a dei muri e ha violato i loro diritti umani fondamentali. Sono state le forze della NATO che hanno protetto il resto dell’Europa da questo incubo. Desidero venga messa agli atti la mia gratitudine verso gli USA e il Canada e le altre nazioni della NATO per averci salvato da quest’incubo. Ritengo sia nell’interesse del Regno Unito cooperare con tutti questi paesi contro quella nuova forma di totalitarismo che è l’Unione europea.
Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signor Presidente, ho votato a favore perché volevo sottolineare che l'auspicio di un accrescimento delle sinergie e della collaborazione in campo militare e civile tra l'Unione europea e gli Stati membri, seppur nel rispetto di alcune posizioni non allineate o neutrali, sia una posizione largamente condivisibile.
Ritengo altresì importante l'istituzione di meccanismi di coordinamento quale un Centro operativo permanente dell'Unione europea, sotto l'autorità dell'alto rappresentante PESC, che consenta un coordinamento efficace delle pianificazioni congiunte di operazioni civili e militari. Ciò al fine di eliminare problemi, disfunzioni e ritardi che l'attuale sistema purtroppo fa registrare.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL). – (EL) Signor Presidente, la ringrazio per la sua pazienza. Ho votato contro la presente relazione perché essa ribadisce le pericolose linee guida contenute nel trattato di Lisbona per la strategia europea di sicurezza e di difesa. In altre parole, essa chiede la militarizzazione dell’Unione europea, legittima l’intervento militare, riconosce la supremazia della NATO e la sua stretta relazione con l’UE e perfino promuove – in un momento di crisi e forti bisogni sociali – un aumento della forza militare.
Ritengo che, ora che l’architettura del mondo è più che mai al vaglio, l’Unione europea debba adottare una politica pacifica e una percezione politica diversa della sicurezza, seguire una politica estera e di difesa indipendente, emancipata dagli Stati Uniti, cercare di dirimere le divergenze internazionali con strumenti politici e fare da guida per il rispetto del diritto internazionale e la valorizzazione del ruolo dell’ONU.
Ritengo che una tale politica esprima meglio le opinioni dei cittadini europei.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) L’adozione della presente relazione da parte di un’ampia maggioranza denota l’attenzione che dobbiamo avere per le piccole e medie imprese. Attualmente 5,4 milioni di microentità sono obbligate a redigere conti annuali, sebbene la loro sfera di attività sia limitata ad una specifica area o regione locale. Se tali società non sono coinvolte in attività transfrontaliere o non operano nemmeno a livello nazionale, l’obbligo di rendicontazione serve solo a creare un inutile onere amministrativo, che impone dei costi a queste società commerciali (circa 1 170 di euro).
E’ per questo motivo che la presente relazione raccomanda che gli Stati membri esonerino dall’obbligo di redigere conti annuali le società che per essere considerate microentità soddisfano due dei criteri seguenti: somma globale dell’attivo inferiore a 500 000 euro, importo netto del volume d’affari non superiore a 1 milione di euro e/o consistenza del personale in media durante l’intero anno finanziario pari a 10 addetti. Le microentità continueranno ovviamente a tenere documenti contabili conformemente alla normativa nazionale di ciascuno Stato membro.
Nell’attuale crisi che l’Europa sta attraversando, il settore privato costituito da piccole e medie imprese (pertanto microentità incluse) va incoraggiato, e al contempo va considerato, in questo difficile clima, come un settore atto ad assorbire la forza lavoro licenziata dal settore aziendale statale o privato.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Voto a favore della relazione Lehne relativa ai conti annuali delle microentità perché sono a favore di misure attive per la de-burocratizzazione e di provvedimenti a sostegno delle piccole e medie imprese che, in Portogallo e in Europa, sono per la maggior parte responsabili della creazione di posti di lavoro. Sollevo tuttavia la questione della nascita di future ineguaglianze sul mercato interno: poiché gli Stati membri potranno scegliere se applicare o meno il presente provvedimento, avremo paesi con regole diverse per le stesse società.
Bisognerà fare attenzione a garantire che non vi siano ripercussioni negative sulle modalità con le quali tali regole verranno trasposte, in relazione agli sforzi attuali di lotta contro le frodi e l’evasione fiscale e anche contro i crimini economici e finanziari (a prescindere se a livello nazionale, europeo o internazionale). Bisognerà anche prestare attenzione a proteggere gli azionisti e i creditori.
Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) L’ultimo allargamento, avvenuto in due riprese, dell’Unione europea ha portato numerosi benefici sia ai vecchi che ai nuovi Stati membri e, al contempo, ha posto una serie di sfide. Ritengo che la decisione di concedere determinate agevolazioni alle microentità debba essere regolamentata a livello comunitario e non finire nell’ambito delle responsabilità di ciascuno Stato membro. Questo è l’unico modo per riuscire a ridurre la burocrazia per le microentità e creare un equilibrio. Bisognerà prestare particolare attenzione alla rimozione di tutti quegli ostacoli che intralciano l’attività delle microentità e scoraggiano le persone dall’ottenere il sostegno finanziario dell’Unione europea.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Mercoledì il Parlamento europeo ha approvato una proposta mirata all’abolizione dell’obbligo da parte delle piccole e medie imprese di pubblicare i loro conti annuali. Nel tentativo di ridurre gli oneri amministrativi, la Commissione europea ha proposto che i paesi che lo desiderano possano esentare le proprie piccole e medie imprese da quest’obbligo annuale, imposto dall’attuale normativa europea, di pubblicazione dei conti. Io ero contraria a questa abrogazione perché, in seguito alla proposta della Commissione, scomparirà per più del 70 per cento delle aziende europee l’armonico quadro normativo europeo.
La possibilità di esentare le microentità dall’obbligo di redigere e pubblicare i conti annuali non servirà a ridurre gli oneri amministrativi. Il mio timore ora è che se gli Stati membri applicheranno in modo non uniforme la possibilità di esentare le microentità, il mercato unico ne risulterà diviso.
Questo è uno dei motivi per i quali i deputati belgi e il governo belga si oppongono strenuamente alla proposta europea (il Belgio ha anche mobilitato una minoranza di blocco in seno al Consiglio dei ministri, dove la proposta deve ancora venire votata).
Robert Dušek (S&D), per iscritto. – (CS) La relazione sulla proposta di direttiva sui conti annuali delle società regolamenta l’obbligo di presentare i conti nel caso delle microentità. Lo scopo del presente provvedimento è di ridurre gli oneri amministrativi e così contribuire ad accrescere competitività e crescita economica delle microentità. Accolgo con favore la proposta del relatore che offre agli Stati membri la libera scelta e permette loro di esentare le microentità dall’obbligo di presentare i conti annuali, ponendole cioè al di fuori dell’ambito della presente direttiva. Se si tratta di entità che si limitano a operano in mercati regionali e locali senza un campo d’azione transfrontaliero, esse non dovrebbero essere gravate da ulteriori obblighi derivanti dalla normativa europea che si applica al mercato europeo. Per questi motivi, concordo con la formulazione della relazione.
Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la relazione Lehne perché l’abolizione degli obblighi di rendicontazione per queste microentità non ridurrà i costi reali delle attività e creerà molta incertezza giuridica. Una tale esenzione minerà la fiducia necessaria per i rapporti tra microimprese e parti terze (clienti, fornitori, banche).
E’ necessario avere informazioni affidabili per ottenere credito. Senza un sistema contabile, i banchieri e le altri parti interessate, che continueranno a richiedere tali informazioni, saranno inclini a trovare una scusa per ridurre i prestiti, e una simile situazione andrà a discapito delle microimprese.
Astrid Lulling (PPE), per iscritto. – (DE) Oggi ho votato contro la relazione Lehne in quanto ritengo che la riduzione delle spese amministrative per le piccole e medie imprese debba essere parte di un approccio uniforme e globale per tutta l’Unione europea.
Qualora venisse attuata la presente proposta, oltre il 70 per cento delle società europee – certamente oltre il 90 per cento in Lussemburgo – sarebbe esentato dall’obbligo di produrre conti annuali standard.
Di conseguenza andrebbe perduto un importante strumento decisionale per una gestione responsabile delle imprese coinvolte.
Qualora gli Stati membri non applicassero in modo uniforme tale esenzione per le microimprese – il che è altamente probabile –si avrebbe una frammentazione del mercato comune.
Tale provvedimento è pertanto inadeguato. In particolare quelle società che conducono attività di commercio transfrontaliero verrebbero poste in condizioni di svantaggio. L’unica soluzione sensata è quella di semplificare le norme per tutte le microimprese in Europa su base europea.
Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. – (RO) Specialmente in un momento in cui la crisi economica ha colpito duramente le piccole attività, è nostro dovere cercare di offrire loro tutte le agevolazioni che potrebbero aiutarle a riprendersi e sostenere nuovamente l’economia europea. In questo contesto ridurre la burocrazia è importante. Accolgo con favore la decisione adottata oggi e spero che il maggior numero possibile di Stati membri la attuerà in modo ideale ed efficace, a beneficio dei piccoli imprenditori e dell’economia in generale.
Georgios Papastamkos (PPE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione Lehne perché concede agli Stati membri la facoltà di prendere in considerazione le varie ripercussioni che l’applicazione della direttiva potrebbe avere sulle loro questioni interne, in particolare per quanto riguarda il numero di società che rientrano nel suo ambito. L’importanza transfrontaliera delle attività delle microentità è trascurabile. Inoltre, la pubblicazione dei conti annuali salvaguarda la trasparenza ed è la conditio sine qua non per l’accesso, da parte delle microentità, al mercato del credito, ai contratti d’appalto pubblici e ai rapporti interaziendali.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la relazione Lehne e la proposta della Commissione. Esse rappresentano un passo indietro in termini di mercato interno e costituiscono un rischio evidente di distorsione della concorrenza tra le piccole PMI europee.
Siamo chiari, le conseguenze della presente proposta sono state sottovalutate in modo deplorevole. Inoltre, non si è tenuto conto del fatto che, in mancanza di una direttiva europea, ogni Stato membro imporrà le proprie regole sulla questione. Non c’è pertanto da meravigliarsi nel vedere tutte le organizzazioni delle PMI, le organizzazioni europee e quelle belghe nel mio caso (l’Unione del ceto medio e la Federazione delle imprese in Belgio) opporsi in massa a tale proposta.
Sì, mille volte sì a una riduzione degli oneri amministrativi per le aziende, in particolare per le PMI, ma una riduzione coerente, ottenuta per mezzo di una proposta di revisione generale della quarta e della settima direttiva sul diritto societario.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) La proposta presentataci implica che gli Stati membri potranno esentare determinate imprese (microentità) dall’obbligo di redigere e pubblicare i loro conti annuali. Naturalmente sono ampiamente favorevole alla riduzione degli oneri amministrativi per le aziende, in particolare per le PMI e le microimprese. Tuttavia, la proposta della Commissione manca dolorosamente il bersaglio: innanzi tutto non è chiaro se il sistema proposto ridurrebbe veramente gli oneri amministrativi per tali attività (i dati statistici attualmente compilati dovranno essere raccolti con altri mezzi) e, in secondo luogo, il presente testo, che lascia ad ogni Stato membro la decisione di applicare o meno l’esenzione, rischia di frammentare il mercato interno (nell’eventualità – altamente probabile – che alcuni Stati membri applichino l’esenzione ed altri no). La presente proposta avrebbe dovuto essere ritirata e si sarebbe dovuta considerare la questione di semplificare gli oneri amministrativi per le piccole imprese (diritto societario, semplificazione dei requisiti di rendicontazione finanziaria, contabilità, revisione dei conti, eccetera) come parte di una revisione generale, prevista per il prossimo futuro, della quarta e della settima direttiva sul diritto societario. Ho votato dunque contro la relazione Lehne sui conti annuali di taluni tipi di società per quanto riguarda le microentità.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) L’obiettivo della presente proposta si ricollega alla semplificazione del contesto imprenditoriale e, in particolare, alla necessità di fornire informazioni finanziarie da parte delle microimprese, allo scopo di rafforzare la loro competitività e il loro potenziale di crescita.
In questo contesto, accolgo con favore le modifiche incluse nella relazione riguardo alla riduzione degli oneri amministrativi per le microimprese, in quanto credo che costituisca un provvedimento importante per stimolare l’economia europea e combattere la crisi. Questo perché le attività delle microimprese hanno una portata limitata ai singoli mercati locali o regionali dove la produzione di conti annuali diventa un’impresa onerosa e complessa.
Non appoggio tuttavia l’idea di esentare le microimprese dal dovere di presentare conti annuali. Tale decisione, in effetti, spetta a ciascuno Stato membro, poiché potrebbe avere delle implicazioni dirette sulla lotta alle frodi, all’evasione fiscale e ai crimini economici e finanziari, così come sulla protezione di azionisti e creditori.
Sostengo pertanto di trovare delle soluzioni equilibrate allo scopo di adeguare le modalità di applicazione del presente provvedimento, piuttosto che avere l’obbligo specifico nel documento di mantenere registrazioni riguardo alle transazioni commerciali e la posizione finanziaria. E’ pertanto con alcune riserve che voto a favore della presente relazione.
Marianne Thyssen (PPE), per iscritto. – (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’adozione nel marzo 2009 dello Small Business Act da parte del Parlamento ha dato l’avvio a una serie di proposte politiche mirate a rendere il contesto imprenditoriale in Europa più adatto alle PMI, attraverso diversi provvedimenti, tra cui la semplificazione amministrativa. L’abolizione del sistema contabile per quelle che sono state definite ‘microentità’ sembra – a prima vista – un atto significativo di semplificazione amministrativa ma, data l’importanza delle informazioni finanziarie per tutti i soggetti interessati, inclusi i finanziatori, le autorità fiscali e i partner commerciali, questo al contrario spalancherà in realtà la porta a più burocrazia e a costi più elevati. Inoltre, alle società verrà negato uno strumento utile per la successione aziendale interna.
Sostengo tuttavia la richiesta della commissione per i problemi economici e monetari che l’impatto del significato di una qualsiasi esenzione concessa alle microentità sia oggetto di una valutazione approfondita e posta nel contesto di una revisione generale della quarta e della settima direttiva. La presente proposta non contiene a mio parere gli strumenti necessari per affrontare la questione della burocrazia in modo efficace.
Per questi motivi ho votato contro la proposta della Commissione. Dato che la relazione del mio stimato collega, l’onorevole Lehne, si basa sugli stessi principi sui quali si basa la proposta della Commissione, non mi trovavo nemmeno nella posizione di sostenere la sua relazione. Rimango in attesa di una decisione saggia e ben ponderata del Consiglio.
Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della proposta di esentare le microentità (piccole imprese) dalla normativa europea sugli standard contabili. Si tratta di una proposta estremamente importante in quanto ridurrà l’onere superfluo della burocrazia per le piccole imprese e aiuterà più di cinque milioni di aziende a risparmiare ciascuna circa 1 000 GBP. L’Unione europea si è impegnata a ridurre del 25 per cento gli oneri per le piccole e medie imprese entro il 2012 e questa legge è un passo di vitale importanza lungo il cammino per raggiungere tale obiettivo. Queste piccole imprese rappresentano spesso il primo passo verso futuri datori di lavoro di successo, ed essi vanno favoriti, soprattutto in tempi di recessione.
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Lehne sui conti annuali delle microentità perché, sebbene la valutazione d’impatto della Commissione europea sia, a mio parere, incompleta e insufficiente, volevo adottare una posizione che fosse chiaramente in favore della semplificazione degli obblighi contabili imposti alle microimprese. Dal punto di vista economico e sociale non ha alcun senso per una microimpresa essere soggetta agli stessi controlli amministrativi delle imprese ben più grandi. Le microimprese rappresentano oltre l’85 per cento delle attività europee; in altre parole, esse sono la spina dorsale della nostra economia, che ha urgente bisogno di una spinta. Credo pertanto che un’armonica riduzione dei loro obblighi vada nella giusta direzione, purché con l’assicurazione che ciò non intralcerà il loro accesso al credito. La valutazione dovrebbe pertanto essere condotta in maniera globale, tenendo conto dell’intero contesto economico nel quale le microimprese operano, dei loro rapporti con le banche, con i centri di gestione – nel caso delle imprese francesi – e, naturalmente, con i clienti. Non dobbiamo sempre pensare in termini di obblighi, ma dobbiamo avere fiducia nei nostri imprenditori e artigiani che hanno bisogno che noi riduciamo i loro oneri amministrativi.
Françoise Castex (S&D), per iscritto. − (FR) Ho votato contro la presente proposta perché, nel lungo periodo, essa rischia di ritorcersi contro le PMI e, riducendo il loro accesso al credito, privarle delle condizioni di trasparenza e di fiducia che sono essenziali per la loro gestione e il dinamismo delle loro attività. Non credo che si possa da una parte richiedere alle banche una maggiore trasparenza, criticandole per la mancanza di trasparenza dei mercati finanziari che ha portato all’attuale crisi, e dall’altra cercare di abolire gli strumenti di trasparenza che sono cruciali per gli stessi operatori economici e per le politiche di regolamentazione economica che vogliamo seguire a livello europeo. Semplificare gli obblighi contabili per le PMI, e in particolare per le microimprese, rimane un’impellente necessità. La Commissione europea deve rivedere con urgenza la quarta e la settima direttiva sul diritto societario, che da sole possono offrire una soluzione globale, equa e coerente.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Accolgo con favore l’adozione della relazione Lehne che contribuirà senz’altro a ridurre gli oneri gestionali delle microimprese. Le piccole imprese spesso si lamentano della normativa, della burocrazia e degli oneri eccessivi che di frequente mettono in pericolo la loro sopravvivenza finanziaria. Le microimprese hanno ragione di sostenere che non dovrebbero essere soggette alle stesse regole delle attività più grandi. Ci auguriamo che le norme proposte nella presente relazione portino a un giro d’affari maggiore e a una maggiore competitività per le microimprese. La presente relazione dà comunque agli Stati membri la flessibilità di trasporre la direttiva nei tempi più appropriati in modo da evitare qualsiasi difficoltà che potrebbe emergere dalla riduzione della regolamentazione. Le microimprese potranno tuttavia continuare a redigere i conti annuali su base volontaria, sottoporli a revisione e inviarli al registro nazionale. Le microimprese manterranno in ogni caso i registri delle vendite e delle operazioni per le informazioni amministrative e fiscali. La Commissione prevede un risparmio complessivo tra i 5,9 e i 6,9 miliardi di euro per le 5 941 844 microimprese, se tutti gli Stati membri applicheranno tale esenzione. In Portogallo 356 140 imprese portoghesi sarebbero interessate a tale esenzione qualora venisse adottata dal governo portoghese.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la proposta di direttiva sui conti annuali di taluni tipi di società, adottata mercoledì 10 marzo 2010. Mentre sono favorevole a una riduzione significativa dell’onere normativo sostenuto dalle PMI, credo che i requisiti contabili costituiscano anche strumenti di gestione cruciali per i partner esterni (banchieri, clienti, fornitori, eccetera). Riducendo l’accesso al credito, è probabile che nel lungo termine questa proposta privi le PMI delle condizioni di trasparenza e di fiducia che sono indispensabili per la loro gestione e il dinamismo delle loro attività. E’ paradossale da un lato richiedere alle banche una maggiore trasparenza, criticandole per la mancanza di trasparenza dei mercati finanziari che ha portato all’attuale crisi, e dall’altra cercare di abolire gli strumenti di trasparenza che sono cruciali per gli stessi operatori economici e per le politiche di regolamentazione economica che vogliamo seguire a livello europeo.
Anna Záborská (PPE), per iscritto. – (FR) Il Parlamento europeo, così come il Comitato economico e sociale europeo, appoggia l’obiettivo perseguito dalla Commissione presentando la presente iniziativa. Essa, al fine di consentire alle microentità di rispondere alle numerose sfide strutturali insite in una società complessa – grazie alla piena attuazione della Carta europea per le piccole imprese e conformemente a un processo integrato nella strategia di Lisbona – esenta le microentità da requisiti amministrativi e contabili che sono onerosi e assolutamente sproporzionati rispetto alle necessità e alle strutture interne delle microentità e degli utilizzatori principali delle informazioni finanziarie. Considero positiva la proposta di semplificazione della Commissione. Essa mira a garantire che il quadro normativo contribuisca a stimolare lo spirito imprenditoriale e di innovazione tra le microimprese e le piccole imprese affinché esse diventino più competitive e volgano a proprio vantaggio il potenziale del mercato interno. Tuttavia, le microentità dovranno comunque essere soggette all’obbligo di tenere registrazioni attestanti le loro transazioni commerciali e la situazione finanziaria come standard di base ai quali gli Stati membri sono liberi di aggiungere ulteriori obblighi. Tutto considerato, credo che stiamo aiutando le piccole e medie imprese riducendo la burocrazia, e accolgo con favore questa iniziativa.
Luís Paulo Alves (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione perché promuove il rafforzamento del coordinamento economico tra i paesi europei, una maggiore coerenza tra il Patto di stabilità e di crescita e altre strategie europee, l’attuazione di programma sociale ambizioso nella lotta contro la disoccupazione, una maggiore flessibilità in materia di età pensionabile e la promozione delle piccole e medie imprese.
Vorrei inoltre sottolineare il fatto che la riforma invita alla Commissione a introdurre nuovi incentivi per gli Stati membri che attuano la strategia UE 2020, penalizzando in futuro gli Stati membri inadempienti. E’ una misura fondamentale per il successo della strategia, dato che i problemi che ci troviamo ad affrontare sono comuni e richiedono una soluzione a livello comunitario.
Accolgo altresì con favore la decisione del Consiglio europeo per il maggiore realismo strategico dimostrato, che le conferisce maggiore chiarezza e, pur riducendo il numero degli obiettivi, li definisce meglio.
Da ultimo, non posso non ricordare l’inclusione dell’agricoltura in questa strategia. Il settore agricolo non era infatti contemplato nella proposta iniziale e costituisce senza dubbio un obiettivo fondamentale, se vogliamo che l’Europa realizzi i suoi scopi, sia a livello economico, alimentare e ambientale, sia in termini di miglioramento della qualità di vita nelle zone rurali, un fattore che può generare occupazione.
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. – (RO) La strategia UE 2020 deve risolvere i problemi derivanti dalla crisi economica e finanziaria mediante misure mirate a intervenire sui punti sensibili delle economie degli Stati membri. Se la strategia di Lisbona non è stata un successo al 100 per cento per la pletora di obiettivi fissati, la strategia di superamento della crisi deve concentrarsi su alcuni obiettivi chiari e quantificabili, ad esempio: fornire soluzioni per combattere efficacemente la disoccupazione, soprattutto giovanile; la promozione e il sostegno alle piccole e medie imprese, che creano il maggior numero di posti di lavoro e di innovazioni; infine, l’aumento degli stanziamenti di bilancio comunitari e nazionali a favore della ricerca e dello sviluppo fino al 3 per cento.
Dobbiamo renderci conto che il margine di manovra delle politiche sociali in Europa diminuirà in ragione dell’invecchiamento della popolazione, mentre l’aumento della produttività potrà essere ottenuto solo con un aumento degli investimenti in tecnologia e istruzione. Se vogliamo un mercato del lavoro più competitivo, dobbiamo riformare i sistemi di previdenza sociale e sostenere regimi occupazionali più flessibili. Allo stesso tempo, tale strategia deve sostenere lo sviluppo di metodi di produzione che rispettino l’ambiente e la salute dei cittadini.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. – (PT) Il 3 marzo, la Commissione europea ha presentato la strategia UE 2020: “Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”. La proposta definisce cinque obiettivi quantificabili per l’Unione europea da qui al 2020, costituirà il quadro di riferimento del processo e deve essere tradotta in obiettivi nazionali: occupazione, ricerca e innovazione, cambiamento climatico ed energia, istruzione e lotta contro la povertà.
La strategia si concentra su obiettivi concreti, realistici e adeguatamente quantificati: l’aumento dell’occupazione dal 69 per cento fino ad almeno il 75 per cento; l’aumento della spesa per ricerca e sviluppo (R&S) fino al 3 per cento del PIL; riduzione della povertà del 25 per cento; riduzione del tasso di abbandono scolastico dall’attuale 15 al 10 per cento; aumento dal 31 per cento al 40 per cento del numero di giovani al di sotto dei 30 anni con un titolo di studio universitario.
Ho votato a favore della risoluzione sulla strategia UE 2020 perché gli obiettivi annunciati delineano il cammino dell’Europa e la strategia risponde in modo chiaro e oggettivo ai problemi derivanti dalla crisi economica e finanziaria, intervenendo sulla disoccupazione, la regolamentazione finanziaria e la lotta contro la povertà. Questi problemi forniranno un punto di riferimento che ci consentirà di valutare il progresso conseguito.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della risoluzione. Dato che non riusciremo a risolvere gli attuali problemi sociali ed economici a livello nazionale, dobbiamo cercare di farlo a livello europeo e internazionale. La strategia UE 2020 dovrebbe, prima di tutto, costituire una misura efficace per superare la crisi economica e finanziaria, dato che il suo obiettivo è quello di creare posti di lavoro e favorire la crescita economica.
L’elevato tasso di disoccupazione in Europa è il tema più importante del dibattito attuale, considerando che gli Stati membri accusano un costante aumento della disoccupazione, oltre 23 milioni di uomini e donne sono già senza lavoro e, di conseguenza, sorgono gravi difficoltà sociali e quotidiane. Questa risoluzione del Parlamento europeo si concentra dunque in particolare sulla creazione di posti di lavoro e sulla lotta contro l’isolamento sociale.
Inoltre, il Parlamento chiede alla Commissione non solo di tenere conto della disoccupazione e dei problemi sociali, ma di individuare strumenti efficaci per risolverli, affinché questa nuova strategia abbia un impatto concreto sulla vita dei cittadini. Vorrei segnalare che l’Europa ha già imparato dai propri errori, dalla propria incapacità di attuare completamente gli obiettivi già definiti nella strategia di Lisbona. La nuova strategia per il prossimo decennio deve dunque basarsi su un solido sistema di gestione e garantire la responsabilità. Di conseguenza, votando oggi a favore di questa risoluzione, chiedo alla Commissione e al Consiglio europeo di concentrarsi sui principali problemi sociali dell’Europa e di definire obiettivi più chiari, realistici e facilmente realizzabili, anche se in un numero più esiguo.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Accolgo con favore il confronto che ha avuto luogo di recente durante il Consiglio informale dell’11 febbraio sugli orientamenti per UE 2020, la nuova strategia per l’Europa. Mi congratulo con la Commissione per la sua iniziativa e chiedo una maggiore cooperazione con il Parlamento su un tema così importante per il futuro dell’Europa. E’ essenziale investire nella conoscenza e nelle riforme che favoriscono il progresso tecnologico, l’innovazione, l’istruzione e la formazione e che promuovono la prosperità, la crescita e l’occupazione a medio e lungo termine. Vorrei anche sottolineare che questa strategia deve essere corroborata da idee concrete, quali l’agenda digitale. E’ essenziale sfruttare al massimo questo potenziale affinché l’Europa possa riprendersi dalla crisi economica in modo duraturo. La politica di coesione svolge un ruolo altrettanto importante nel sostegno alla crescita e all’occupazione. La strategia UE 2020, nella sua dimensione regionale, dovrebbe pertanto fare di questa priorità uno dei pilastri per la costruzione di una società più ricca, più prospera e più giusta. Ricordo la necessità di sviluppare meccanismi di finanziamento e governo che abbiano conseguenze pratiche per l’attuazione di questa strategia.
Anne Delvaux (PPE), per iscritto. – (FR) Si nutrivano grandi speranze nei confronti della strategia di Lisbona, i cui obiettivi economici, sociali e ambientali erano tanto necessari quanto ambiziosi. Il programma che le succede, la cosiddetta strategia UE 2020, che abbiamo votato oggi, mi sembra molto meno ambizioso. Sebbene si conservino alcuni obiettivi, come il 3 per cento del PIL da destinare alla ricerca e il mantenimento del Patto di stabilità e crescita (3 per cento), è tuttavia deplorevole che l’occupazione e la dimensione ambientale (che risulta molto ridotta) non si articoli in senso orizzontale. Siamo ancora molto lontani da una vera strategia per lo sviluppo sostenibile globale.
Ciononostante, ho appoggiato questa proposta perché è chiarissimo che, di fronte alla crisi e alle sue numerose conseguenze, soprattutto per l’occupazione, non possiamo stare a guardare. Accolgo con favore l’approvazione dei paragrafi relativi al varo di un ambizioso programma sociale e al miglioramento del sostegno alle PMI. In breve, è necessario un nuovo slancio. Speriamo che la strategia UE 2020 possa imprimerlo, e speriamo soprattutto che i 27 Stati membri facciano del loro meglio per attuare questa strategia.
Harlem Désir (S&D), per iscritto. – (FR) La strategia UE 2020 è destinata a sostituire la strategia di Lisbona. Il rischio è soprattutto che se ne prolunghino i difetti, approdando alla stessa mancanza di risultati e suscitando la stessa delusione. Non è né una vera e propria strategia di ripresa né una nuova prospettiva per le politiche economica, sociale, di bilancio e fiscale dell’Unione. Alla miriade di buone intenzioni corrisponde soltanto la completa assenza di nuovi strumenti con i quali attuarle.
L’Europa ha bisogno di un’ambizione diversa, mentre i cittadini si aspettano risposte più convincenti. Dall’inizio della crisi, il numero dei disoccupati è cresciuto nell’ordine dei sette milioni. Le banche sono tornate a speculare, i fondi hedge non sono stati regolamentati e viene chiesto ai cittadini di stringere la cinghia quando si operano tagli drastici ai servizi pubblici e alla previdenza sociale. La crisi greca rivela inoltre la nostra mancanza di solidarietà.
Per questo l’Europa deve discutere un progetto diverso per il futuro, basato su un vero e proprio coordinamento economico, una ripresa caratterizzata dalla solidarietà, una strategia di crescita verde, una comunità dell’energia, un bilancio di coesione, risorse proprie, investimenti nell’istruzione, ricerca, armonizzazione fiscale e sociale, lotta contro i paradisi fiscali e tassazione delle operazioni finanziarie internazionali.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune sul seguito del Consiglio europeo informale dell’11 febbraio 2010. Per realizzare un’economia di mercato sociale sostenibile, più intelligente e più verde, l’Europa deve definire e concordare le proprie priorità. Nessuno Stato membro può fornire una risposta a queste sfide agendo da solo. L’Unione europea non può essere semplicemente la risultante di 27 politiche nazionali. Lavorando insieme per un obiettivo comune, il risultato sarà superiore alla somma delle sue parti.
Questo consentirà all’Unione europea di assumere un ruolo di leader mondiale, dimostrando che è possibile coniugare il dinamismo economico con l’attenzione per gli aspetti sociali e ambientali. Consentirà all’Unione europea di creare nuovi posti di lavoro in settori quali energia rinnovabile, trasporti sostenibili ed efficienza energetica. A tale scopo, devono essere rese disponibili risorse finanziarie adeguate che possano permettere all’Unione europea di cogliere le opportunità esistenti e di sfruttare nuove fonti di competitività globale.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La Commissione europea ha pubblicato la strategia Europa 2020, che sostituisce la sfortunata strategia di Lisbona e che pone all’Europa sfide importanti e ambiziose. Queste sfide riguardano fondamentalmente cinque settori considerati strategici dalla Commissione: (i) occupazione; (ii) ricerca e innovazione; (iii) cambiamenti climatici ed energia; (iv) istruzione e (v) lotta contro la povertà.
Sono effettivamente settori fondamentali, se l’Europa vuole superare la crisi e riaffermare il proprio ruolo di attore di peso sul mercato globale, con un elevato livello di sviluppo e un’economia competitiva in grado di generare ricchezza, occupazione e innovazione. L’Unione europea deve dimostrarsi ambiziosa per superare i problemi posti dalla crisi, ma non per questo deve essere ridimensionata l’opera di consolidamento del bilancio richiesta agli Stati membri, alla luce della debolezza dei loro conti pubblici e dei deficit eccessivi. Per questa stessa ragione, ritengo fondamentale che siano rafforzati gli obiettivi della strategia UE 2020.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Il principio di solidarietà dovrebbe costituire la base della strategia UE 2020: solidarietà tra cittadini, generazioni, regioni e governi. In questo modo, riusciremo a combattere la povertà e garantire la coesione economica, sociale e territoriale, grazie a una crescita economica sostenibile. Questo principio di solidarietà deve costituire la garanzia del modello sociale europeo.
Dobbiamo decidere in merito alla riforma dei sistemi di previdenza sociale e alla garanzia di diritti sociali minimi a livello comunitario, che possano facilitare le libera circolazione di lavoratori, personale specializzato, imprenditori, studenti e pensionati. In virtù di questo principio e in ragione della necessità di assicurare la sostenibilità, l’uso efficiente delle risorse è diventato una condizione imprescindibile.
Questa strategia deve generare posti di lavoro. Non possiamo accettare che l’Unione europea abbia circa 23 milioni di uomini e donne disoccupati. E’ pertanto fondamentale sostenere l’imprenditoria e garantire un alleggerimento degli oneri burocratici e fiscali per le piccole e medie imprese.
Ciò non significa che dobbiamo dimenticarci dell’industria e dell’agricoltura. Occorre rimettere in moto la reindustrializzazione dell’Europa. Dobbiamo inoltre puntare a un’agricoltura sostenibile con prodotti di qualità. A tale fine, è necessario favorire lo sviluppo sostenibile del nostro settore primario e assumere un ruolo di capofila in settori quali la ricerca scientifica, la conoscenza e l’innovazione.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La strategia Europa 2020, considerata il successore della cosiddetta strategia di Lisbona, deve iniziare da un’adeguata valutazione dei metodi utilizzati da quest’ultima. In questo modo, si scoprirebbe come le iniziative attuate – segnatamente la liberalizzazione di importanti settori economici, la deregolamentazione e la maggiore flessibilità del diritto del lavoro – abbiano prodotto questo stato delle cose: aumento della disoccupazione, precarietà, povertà ed esclusione sociale, oltre a stagnazione e recessione economica.
La Commissione e il Parlamento ora cercano di proseguire lungo la stessa linea. Il cammino tracciato è chiaro e la retorica sociale e ambientale che si cerca di esibire non è sufficiente a nascondere i difetti: attenzione incondizionata per il mercato unico, perseguimento della liberalizzazione, commercializzazione di sempre più aspetti della vita sociale, precarietà dei posti di lavoro e disoccupazione strutturale.
E’ inoltre assodato che questo approccio raccoglie il consenso sia della destra sia dei socialdemocratici. In fin dei conti, entrambi gli schieramenti sono stati fedeli protagonisti della strategia negli ultimi anni. Questa strategia, in sostanza, non è niente di più che la risposta offerta dalle due tendenze del sistema alla crisi strutturale che ha investito il sistema stesso. Portando avanti questa impostazione, la strategia sarà di per sé l’origine di nuove crisi, sempre più gravi, si scontrerà inevitabilmente con una certa resistenza e sarà osteggiata dai lavoratori e dal popolo.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La bocciatura della nostra proposta di risoluzione è deplorevole. Non solo avanzavamo l’idea di tenere un ampio dibattito sulle proposte già presentate dalla Commissione europea e condurre una valutazione completa dei risultati della strategia di Lisbona, con l’obiettivo di trarne le dovute conclusioni per la nuova strategia Europa 2020; abbiamo anche presentato una serie di nuove proposte, tese a privilegiare l’aumento della produttività e la creazione di posti di lavoro con diritti, la soluzione del problema della disoccupazione e della povertà e la garanzia dell’uguaglianza nel progresso sociale. Le nuove proposte avrebbero costituito un nuovo quadro macroeconomico per promuovere lo sviluppo sostenibile, rafforzare la domanda interna e rispettare l’ambiente, sulla base di un innalzamento dei salari, della piena occupazione con diritti e della coesione economica e sociale.
Abbiamo votato contro la risoluzione comune adottata perché non interviene sul problema alla radice, non propone misure alternative al Patto di stabilità e non propone di porre fine alla liberalizzazione o alla flessibilità del mercato del lavoro che sono all’origine dell’accentuazione della precarietà del lavoro e della riduzione dei salari. In questo modo, consentiamo alla Commissione europea di continuare a sostenere più o meno la stessa impostazione, che ha già provocato oltre 23 milioni di disoccupati e ha lasciato più di 85 milioni di persone in condizioni di povertà.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto. – (PL) Signor Presidente, negli ultimi due decenni, l’Unione europea ha ottenuto successi in molti settori, dai tre ambiziosi allargamenti all’introduzione della valuta comune, l’euro. I cittadini dell’Unione europea lavorano meno degli americani o dei giapponesi (10 per cento in meno in termini di ore annue) e vanno in pensione prima. Durante un periodo di crisi non è facile mantenere questi stessi privilegi:, mi fa pertanto piacere sentire parlare delle misure decisive adottate dal Consiglio europeo e della Commissione europea, tese a definire una strategia Europa 2020 estesa.
Allo stesso tempo, prima dei Consigli europei di marzo e di giugno di quest’anno, che conferiranno alla strategia la sua forma definitiva, nutriamo ancora molti dubbi sul documento della Commissione europea presentato il 3 marzo di quest’anno. Primo, quale tipo di dati saranno utilizzati come parametro per definire gli obiettivi nazionali dei 27 Stati membri dell’Unione? Quali premi o penali spettano agli Stati membri che, rispettivamente, ottemperano o non ottemperano agli obiettivi fissati dalla strategia? Infine, in tutto questo processo quale ruolo è stato riservato al Parlamento europeo visto che, finora, la strategia Europa 2020 è stata guidata esclusivamente dal Consiglio e dalla Commissione? Dobbiamo trovare le risposte a queste domande prima del Consiglio europeo di giugno, altrimenti, per citare il presidente Barroso, l’Unione perderà il suo “momento della verità”.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo l’amara sconfitta della strategia di Lisbona, il cui obiettivo era quello di fare dell’Europa l’economia della conoscenza più competitiva al mondo entro il 2010, ora abbiamo la strategia UE 2020, che non è altro che il suo prolungamento. Flessibilità sul mercato del lavoro (in altri termini, precarietà dei lavoratori), l’inasprimento della concorrenza a livello comunitario e internazionale, la riforma in senso liberista dei sistemi di previdenza sociale nazionali e il rispetto più assoluto dello stupido Patto di stabilità e di crescita …
Ci sono tutti gli ingredienti per farne una strategia di disintegrazione nazionale e sociale, come la strategia di Lisbona prima di essa. Le uniche innovazioni sono quelle ispirate dai vostri nuovi capricci: rendere obbligatoria e vincolante la governance economica europea, anche se l’Europa di Bruxelles si è dimostrata del tutto inefficace di fronte alla crisi mondiale, e tendere verso la governance mondiale in nome del presunto riscaldamento del pianeta, che si rivela sempre di più come un pretesto ideologico. Voteremo contro questo testo.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato contro la risoluzione perché non pone un’enfasi sufficiente sull’obiettivo della piena occupazione. Secondo, le nostre priorità dovrebbero concentrarsi maggiormente sulla lotta contro la povertà e sulla crescita sostenibile. Il Parlamento europeo si lascia anche sfuggire l’occasione di porre l’accento sulla lotta a ogni forma di lavoro precario mediante una direttiva sul lavoro a tempo parziale, l’introduzione di una serie di diritti sociali garantiti a prescindere dal tipo di contratto di lavoro e con l’adozione di misure volte a contrastare gli abusi in materia di subappalti e le esperienze di lavoro non retribuite. Infine, la risoluzione preferisce non tenere conto della necessità di armonizzare la base imponibile, una misura fondamentale per la creazione di un modello sociale europeo. Non c’è dubbio che il Parlamento europeo abbia perso un’importante occasione per la costruzione di un’Europa sociale e sostenibile.
Cătălin Sorin Ivan (S&D), per iscritto. – (RO) Ci siamo tutti resi conto di come stanno le cose: la strategia 2020 non prevede politiche verdi o sociali sufficienti. Va inoltre osservato che gli obiettivi sono vaghi e la crisi economica non è gestita in modo proporzionato alla sua gravità. Per questo ritengo che lo scopo della risoluzione votata durante la plenaria del Parlamento europeo stia nell’apportare contributi importanti al progetto europeo per i prossimi dieci anni.
Sebbene il nostro ruolo di europarlamentari si limiti alla lettera del trattato, possiamo comunque fornire un contributo sostanziale. Dobbiamo tuttavia chiedere agli Stati membri di dare prova di volontà politica e di riflettere sulla nostra posizione in modo costruttivo.
Obiettivi quali “un’economia sociale di mercato” e “un bilancio che rifletta una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile” sono fondamentali per superare le conseguenze della crisi economica.
Gli investimenti a favore dell’istruzione, la promozione della mobilità degli studenti e l’apprendimento di nuove competenze in grado di rispondere alle esigenze del mercato richiedono l’elaborazione di piani d’azione realistici.
Peter Jahr (PPE), per iscritto. – (DE) Nel contesto della strategia UE 2020, l’agricoltura svolgerà un ruolo importante per il successo futuro dell’Europa. In particolare, quando si tratta di occupazione e crescita sostenibile e di cambiamento climatico, alla politica agricola europea spetta un ruolo di primo piano, essendo essenziale per preservare posti di lavoro nelle zone rurali e periurbane. Non dovremmo inoltre dimenticare che l’agricoltura garantisce un approvvigionamento alimentare di alta qualità a 500 milioni di europei, offre 40 milioni di posti di lavoro e ha un fatturato annuo di circa 1,3 bilioni di euro. La produzione di energia rinnovabile crea altri posti di lavoro e contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 e la dipendenza dai combustibili fossili. L’agricoltura è innovativa, crea valore ed è la vera fonte di cicli economici regionali sostenibili. Occorre pertanto dedicare alla politica agricola europea maggiore attenzione nel contesto di questa nuova strategia.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Vorrei attirare la vostra attenzione su un’incongruenza tra gli obiettivi della strategia 2020 e gli effetti che deriveranno dalle modifiche proposte alle priorità di bilancio per il periodo 2014-2020. Uno di questi obiettivi è il miglioramento delle condizioni ambientali. La modifica delle priorità del bilancio evidenzia una riduzione dei fondi disponibili per la politica agricola comune, il che significa che nel 2020 l’agricoltura dovrà essere estremamente efficiente se non addirittura del tutto industriale. Il settore diventerà dunque una minaccia per l’ambiente, costringendo di conseguenza l’Unione europea ad allontanarsi dal modello agricolo europeo, che dedica particolare attenzione all’ambiente, al paesaggio, alla biodiversità, al benessere degli animali, allo sviluppo sostenibile e ai valori culturali dell’ambiente rurale Un’antica perla di saggezza ci suggerisce che “il meglio è nemico del bene”. Dovremmo fare attenzione a evitare che, nell’intento di prenderci cura dell’ambiente, non gli arrechiamo invece danni.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) L’obiettivo della futura strategia dell’Unione europea è quello di accettare le sfide attuali e future e gestirle nel miglior modo possibile. Nel contesto della strategia UE 2020, il settore agricolo, in particolare, rivestirà un ruolo significativo rispetto alle nuove sfide definite dall’Unione europea, come la tutela dell’ambiente e del clima, le energie rinnovabili, la biodiversità, la crescita e l’occupazione sostenibili, soprattutto nelle zone rurali. L’Europa deve essere consapevole che circa 40 milioni di posti di lavoro dipendono direttamente o indirettamente dall’agricoltura.
La priorità principale deve però continuare a essere la sicurezza dei prodotti alimentari di alta qualità che 500 milioni di europei consumano, soprattutto in considerazione delle stime secondo cui la produzione alimentare raddoppierà entro il 2050. La politica agricola europea deve pertanto essere oggetto di maggiore attenzione nell’ambito di questa nuova strategia.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La strategia UE 2020 è l’ultima opportunità per l’Unione europea di affermarsi come potenza economica mondiale, dopo il fallimento della strategia di Lisbona. Nel contesto della crisi economica mondiale, la strategia UE 2020 si porrà come il modello che tutti gli Stati membri devono seguire per traghettarci verso una nuova era, con nuovi paradigmi in grado di promuovere lo sviluppo sostenibile sulla base delle migliori pratiche.
Dopo la perdita di milioni e milioni di posti di lavoro in tutta l’Unione europea, la lotta contro la disoccupazione deve essere la sua priorità assoluta: dobbiamo riuscire a creare posti di lavoro e offrire ai nostri lavoratori un livello più elevato di formazione e qualificazione; tale obiettivo sarà raggiungibile soltanto offrendo il nostro pieno sostegno alle piccole e medie imprese, che consentono la creazione della maggior parte dei posti di lavoro. Tuttavia, perché la strategia UE 2020 abbia successo, non possiamo permetterci di ripetere gli stessi errori della strategia di Lisbona, in particolare il disimpegno e l’irresponsabilità degli Stati membri.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune del Parlamento europeo (RC-B7-0151/2010). La strategia UE 2020 si propone di definire nuovi obiettivi, che riguarderanno non solo l’azione politica, ma anche il nostro stesso modo di pensare. Per superare efficacemente la crisi, dobbiamo creare strumenti e meccanismi comuni, che non solo vanificheranno gli effetti dell’attuale crisi finanziaria, ma ci consentiranno anche di reagire adeguatamente, se non di evitare, eventuali crisi future. La Commissione, il Parlamento e tutte le istituzioni dell’Unione europea dovrebbero ricordare che lavorare per il bene comune dei cittadini europei è una delle loro priorità. Dal nostro più importante, i problemi dei cittadini sono la nostra principale preoccupazione ed è proprio a loro che dovremmo rivolgerci fornendo consulenza, offrendo aiuto e agendo concretamente. In un contesto di crisi, problemi quali la disoccupazione, la povertà e l’esclusione sociale sono all’ordine del giorno. Se vogliamo costruire un’Europa moderna, pienamente innovativa, basata sullo sviluppo e coesa, in futuro dobbiamo garantire ai nostri cittadini un senso di sicurezza. Sono deluso dal fatto che le proposte iniziali per la strategia UE 2020 non contengano alcun riferimento al settore agricolo. La ricostruzione economica e la realizzazione degli obiettivi della politica ambientale fanno parte della politica agricola. Se questa politica non sarà integrata nella strategia UE 2020, e anche in tutti i programmi successivi, non avremo alcuna possibilità di conseguire questi obiettivi, non solo gli ambiti che ho appena citato, ma anche in molti altri.
Georgios Papastamkos (PPE), per iscritto. – (EL) Ho votato contro la seconda parte del paragrafo 6 della proposta di risoluzione comune sulla strategia UE 2020 perché rivela l’intenzione di smantellare ulteriormente lo Stato sociale europeo tradizionale. L’Unione europea dovrebbe garantire maggiore visibilità alla sua impostazione sociale, respingendo le pressioni competitive che, sulla scena internazionale, vengono esercitate dalle forze che hanno chiaramente azzerato le prestazioni e le strutture previdenziali o che applicano il dumping sociale. Apparentemente la politica sociale e la politica occupazionale vengono adattate in modo selettivo e flessibile alle forze di mercato.
La strategia unificante tende a cercare l’integrità istituzionale in qualunque aspetto coinvolga le forze di mercato; da un punto di vista politico, sarebbe però scorretto disciplinare l’impatto degli elementi di disaggregazione esistenti (come disoccupazione, disuguaglianze regionali e mancanza di coesione sociale). Ora più che mai, i tempi indicano l’esigenza di un’Europa più sociale.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore di questa risoluzione perché credo che la strategia UE 2020 debba fornire una risposta efficace alla crisi economica e finanziaria e conferire nuovo slancio e una coerenza europea al processo di ripresa nell’Unione, tramite la mobilitazione e il coordinamento di strumenti nazionali ed europei.
Ritengo sia necessaria una migliore cooperazione con i parlamenti nazionali e la società civile, perché il coinvolgimento di altri attori accrescerà la pressione sulle amministrazioni nazionali affinché producano risultati.
Allo stesso tempo, credo che l’industria europea debba approfittare del suo ruolo di apripista nei settori dell’economia sostenibile e delle tecnologie verdi di mobilità, sfruttando il suo potenziale di esportazione. In questo modo sarà possibile ridurre la dipendenza dalle risorse e facilitare l’adempimento degli obiettivi 20-20-20 in materia di cambiamenti climatici.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Nel 2010 l’Europa non è l’economia più competitiva del mondo ed è ben lungi dall’esserlo: con una riduzione del PIL del 4 per cento e 23 milioni di disoccupati, il suo stato di salute non è esattamente eccellente. Se l’Unione europea ha bisogno di scuotersi per riportare l’economia e l’occupazione in un circolo virtuoso, deve farlo definendo obiettivi simili, ma utilizzando un’impostazione completamente diversa da quella della strategia di Lisbona. L’Unione deve inoltre tenere conto dei negoziati che la attendono in settori quali energia, cambiamento climatico, industria e agricoltura. Per questo condivido la determinazione e il pragmatismo della nuova strategia 2020. Garantire che il 75 per cento delle persone in età attiva abbia effettivamente un lavoro e vincere la scommessa di portare gli investimenti nella ricerca al 3 per cento del PIL sono ora più che mai obiettivi che l’Europa deve realizzare. Resta però da vedere se poi vi sarò o meno un’effettiva cooperazione tra le 27 capitali. Per questo chiediamo di prevedere sanzioni e incentivi per gli allievi buoni e cattivi della strategia 2020 (sezione 14): le sanzioni da una parte e gli incentivi dall’altra, il bastone e la carota. E’ un sistema vecchio come il mondo, ma funziona.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato “no” alla proposta di risoluzione RC7-0151/2010 presentata oggi al voto al Parlamento per lo stesso motivo per il quale noi verdi non abbiamo votato a favore della Commissione Barroso II: mancano le ambizioni. Questa volta, tocca ai più grandi gruppi del Parlamento deluderci con l’adozione di una risoluzione che è pura esibizione – non contiene nemmeno una proposta economica, sociale o ambientale. Credo che gli europei si aspettino di più da questo Parlamento.
Il Parlamento europeo è relegato in secondo piano durante l’elaborazione della strategia UE 2020. Ora che il Parlamento, anche se in ritardo, ha una possibilità di reagire, i suoi maggiori gruppi politici complottano per produrre una risoluzione vuota. Si è sprecata un’occasione per riportare il Parlamento al centro del dibattito sul merito e ridargli un ruolo di protagonista in quanto istituzione.
Richard Seeber (PPE), per iscritto. – (DE) La questione di capire quale dovrebbe essere il ruolo dell’Unione europea in termini di occupazione e sviluppo economico nel 2020 è di importanza fondamentale. Soprattutto in tempi di crisi economica come quelli attuali, la strategia UE 2020 dovrebbe fungere da motore, un motore in grado di portarci fuori da questo stato di incertezza. Tutto ciò rende ancora più importante scegliere gli obiettivi in modo tale per cui possano essere effettivamente realizzati. La politica non è un fine in sé ma ha lo scopo di creare programmi realistici con i quali la popolazione e l’economia riescano a tenere il passo. L’economia sostenibile deve essere un fattore fondamentale nel dare forma al futuro immediato.
E’ un obiettivo che dobbiamo raggiungere passo dopo passo, soprattutto in ragione del cambiamento climatico. Anche il tema della sicurezza delle materie prime in futuro riguarderà sempre di più l’Europa, motivo per il quale dovremmo sin d’ora preparare la strada per l’uso sostenibile delle risorse e orientare la politica europea in questa direzione.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Ho votato contro la risoluzione comune, perché i tre gruppi principali la stanno ovviamente usando per sostenere l’impostazione della Commissione Barroso II, che tratta tutto come ordinaria amministrazione. I miei elettori si aspettano un’impostazione diversa e vogliono che la strategia UE 2020 conduca a un New Deal verde, una rivoluzione verde del XXI secolo in grado di conciliare lo sviluppo umano con i limiti fisici della terra.
L’Unione europea continua a credere ciecamente nella politica dell’incremento acritico del PIL. Tuttavia, i verdi e gli ambientalisti vogliono trasformare la strategia Europa 2020 da una strategia tesa al semplice aumento del PIL in un concetto politico più ampio per il futuro dell’Unione europea come Unione sociale e sostenibile che porrà la protezione della popolazione e dell’ambiente al centro delle sue politiche, cercherà di garantire il benessere umano e di creare le migliori opportunità possibili per tutti. A nostro avviso, il PIL deve includere una serie di indicatori di benessere oltre a indicatori in grado di tenere conto di fattori economici esterni e di pressioni ambientali. Il mio gruppo ha pertanto presentato un testo di otto pagine che spiega nei dettagli la nostra impostazione alternativa. Preferisco questo testo al compromesso dei tre gruppi più grandi.
Marc Tarabella (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della risoluzione sulla strategia UE 2020 perché è stato approvato il paragrafo 6, che cita la ristrutturazione dei sistemi di sicurezza sociale e parla di una maggiore flessibilità per i lavoratori. Per il resto, la risoluzione assomiglia a un gran calderone di intenzioni più o meno buone a scapito di obiettivi quantitativi e qualitativi precisi. Sembra quindi che non si sia tenuto conto del quasi totale fallimento della strategia di Lisbona 2010.
Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) La strategia Europa 2020 si propone di definire un piano per il futuro per la realizzazione della crescita economica e la promozione dell’occupazione all’interno dell’Unione europea. Deve essere sviluppata sulla base di obiettivi che si riferiscono a un’economia di mercato sociale sostenibile, a una società della conoscenza sostenibile e al ruolo delle PMI nella promozione dell’occupazione.
Una politica di coesione solida, moderna e flessibile deve essere un elemento centrale di questa strategia. Integrata nel nuovo trattato di Lisbona, la politica di coesione, attraverso un’applicazione orizzontale, riveste un ruolo fondamentale quando si tratta di rispondere alle nuove sfide dell’Unione europea. In questo contesto, l’obiettivo della coesione territoriale europea può essere considerato fondamentale.
Le priorità della coesione europea non devono essere tese unicamente a promuovere la competitività a livello europeo, attraverso lo stanziamento efficiente di fondi, ma anche ad aiutare le regioni sfavorite a superare le loro difficoltà economiche e sociali e a ridurre le disuguaglianze esistenti.
Deve altresì essere rilevato il ruolo attivo delle regioni europee nella promozione di questa strategia. Merita inoltre di essere sottolineata l’importanza della governance a vari livelli. Sarà auspicabile una profonda condivisione degli obiettivi, dei compiti e delle responsabilità relativi alla strategia Europa 2020 tra l’Unione europea, gli Stati membri e gli enti locali e regionali.
Per le succitate ragioni, ho votato a favore della proposta di risoluzione.
Marianne Thyssen (PPE), per iscritto. – (NL) Signor Presidente, onorevoli colleghi, a breve termine è vitale elaborare una strategia di superamento della crisi, tuttavia a medio termine ci vuole qualcosa di più. Se davvero vogliamo dare un’opportunità all’economia di mercato sociale, il nostro modello sociale, abbiamo bisogno di una crescita economica più solida, una crescita verde che ci renda competitivi e crei nuovi posti di lavoro. E’ cruciale investire ulteriormente in ricerca e sviluppo, in prodotti, processi produttivi e servizi innovativi, se vogliamo mantenere il nostro tenore di vita nell’economia globale.
Questo impulso verso una riforma strutturale si ritrova nella “strategia 2020” proposta dalla Commissione. E’ anche fondamentale che la Commissione cambi linea e mira spostando la sua attenzione su una serie di obiettivi più piccoli che siano misurabili e tagliati su misura per i singoli Stati membri. Come giustamente propone la risoluzione, la strategia non riuscirà a garantire che gli obiettivi dichiarati siano realizzabili. L’assenza di un vero e proprio meccanismo sanzionatorio in caso di mancato rispetto degli obiettivi, o anche in caso di sforzi insufficienti per realizzarli, significa che questa “strategia 2020” ha gli stessi identici difetti di quella che l’ha preceduta.
La risoluzione comune fornisce una buona base per ulteriori discussioni con la Commissione, il Consiglio e il presidente del Consiglio europeo. Ho pertanto votato con convinzione a favore della risoluzione.
Georgios Toussas (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La proposta di risoluzione comune del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo e del gruppo dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa sulla strategia UE 2020 è espressione della decisione comune della faccia politica del capitale di servirsi di qualsiasi mezzo per portare a termine il proprio attacco selvaggio e attuare i piani dei monopoli contro la base, contro le classi lavoratrici e i lavoratori di tutta l’Unione europea. La strategia UE 2020 costituisce il seguito e il prolungamento della strategia di Lisbona, una strategia contraria alla base, che definisce gli obiettivi e i piani strategici del monopolio capitalista e mette i diritti sociali fondamentali e il diritto al salario dei lavoratori su un letto di Procuste. Per essere più precisi, assistiamo a una diffusa applicazione della famigerata “flessicurezza” combinata a “formazione permanente”, “formazione e riqualificazione” e “mobilità” dei lavoratori”, abolizione dei contratti collettivi, lavori condivisi, drastici tagli a salari e pensioni, aumento dell’età pensionabile e modifiche radicali in materia di previdenza sociale, sanità, welfare e istruzione. Inoltre regala al capitale elevate somme provenienti dalle casse dello Stato sotto forma di sovvenzioni e incentivi per lo “sviluppo verde”. Il partito comunista greco ha votato contro questa risoluzione del Parlamento europeo sulla strategia UE 2020.
Anna Záborská (PPE), per iscritto. – (FR) Molto tempo fa, Jacques Delors era solito dire che non ci si può innamorare di un mercato unico o di una moneta comune. Io sono innamorata di un’Unione che prende sul serio le necessità reali delle famiglie negli Stati membri, nel pieno rispetto delle competenze nazionali ed europee. Tuttavia, leggendo la strategia UE 2020 e la nostra risoluzione parlamentare, mi rendo conto che le nostre ambizioni si limitano a un timido amoreggiare con l’economia di mercato. Non c’è alcun riconoscimento dell’investimento dei cittadini nella coesione sociale o nella solidarietà tra le generazioni. Non dovremmo forse cambiare la nostra prospettiva sui rapporti di lavoro e la creazione del valore aggiunto che va a vantaggio della società nel suo insieme? La Commissione propone un obiettivo quantificato per la lotta contro la povertà. Questa iniziativa riporterà inevitabilmente indietro il processo di scrematura, che difficilmente può aiutare i cittadini più poveri. L’assenza di un elenco di indicatori di povertà dimostra involontariamente che non si è compreso il vero significato della povertà. Povertà significa molto di più che essere semplicemente senza lavoro, e chi vive una situazione di povertà estrema quotidianamente non cerca semplicemente un posto di lavoro, ma vuole un adeguato accesso ai diritti esistenti. La strategia Europa 2020 dovrebbe reagire a questa situazione con maggiore entusiasmo e determinazione. Mi sono astenuta.
Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho letto sia la relazione del giudice Richard Goldstone che le conclusioni dell’ambasciatrice Dora Hold, che di fatto smontano molte delle tesi contenute nella relazione della commissione delle Nazioni Unite guidata dal giudice Goldstone. Confrontandole ho notato una certa parzialità nella relazione Goldstone e dunque ho deciso di non sostenere la risoluzione sull'attuazione delle raccomandazioni in merito a Israele ed alla Palestina in essa contenute.
E’ necessario analizzare le azioni in modo trasparente e imparziale prendendo in considerazione entrambe le parti coinvolte nel conflitto. La relazione Goldstone omette il motivo che ha dato il via all’operazione israeliana a Gaza: circa 12 000 attacchi con razzi e mortai contro obiettivi civili israeliani. In seguito al ritiro delle truppe israeliane da Gaza, il numero di attacchi missilistici è aumentato del 500 per cento. Mentre nel 2004 e nel 2005 sono stati sferrati rispettivamente 281 e 179 attacchi contro obiettivi israeliani, in seguito al ritiro da Gaza (nel settembre 2005) il numero degli attacchi è salito a 946 nel 2006, a 783 nel 2007 e a 1 730 nel 2008.
Nessuno Stato membro dell’Unione europea ha votato in favore dell’adozione della relazione Goldstone all’interno del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Il rispetto del diritto internazionale deve costituire una priorità per tutte le parti coinvolte.
Andrew Henry William Brons (NI), per iscritto. – (EN) Abbiamo deciso di astenerci da tutte le votazioni su Israele e Palestina. Non potremmo votare in favore di una risoluzione che implica l’attribuzione all’Unione europea del potere di gestire la politica estera e che non è in linea con la nostra politica di neutralità sul conflitto. E noi assumiamo una posizione neutrale nei confronti di Israele, dei palestinesi e degli altri paesi arabi e musulmani. Tuttavia il nostro atteggiamento neutrale non deve essere interpretato come indifferenza. Nello specifico riteniamo che gli attacchi contro i civili sono assolutamente inaccettabili, indipendentemente che vengano condotti da Stati o da organizzazioni. Oltretutto spereremmo che il conflitto potesse concludersi con una riconciliazione pacifica.
Nessa Childers (S&D), per iscritto. – (EN) Ho avuto modo di visitare Gaza all’inizio di quest’anno e ho visto con i miei occhi la vitalità con la quale il Parlamento interviene in quest’area. Le raccomandazioni Goldstone devono essere attuate nella loro interezza, e io seguirò la questione anche nei prossimi mesi.
Derek Roland Clark (EFD), per iscritto. – (EN) Pur riconoscendo che il conflitto tra Gaza e la Cisgiordania è una tragedia umanitaria, non voterò a sostegno dell’esercizio di un’influenza internazionale da parte delle istituzioni europee, dal momento che io non riconosco l’Unione europea. La mia votazione il 10 marzo 2010 su questo tema è dettata dalla mia coscienza.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. – (EN) Ho sostenuto questa risoluzione che sottolinea come il rispetto per i diritti umani internazionali e per il diritto internazionale sia una precondizione essenziale per una pace giusta e duratura nel Medio Oriente. Essa esprime inoltre delle preoccupazioni in merito alle pressioni esercitate da parte delle autorità di Israele e di Gaza sulle ONG che hanno collaborato con l’indagine Goldstone; invita a porre fine in modo incondizionato al blocco della Striscia di Gaza e chiede all’Europa di esortare pubblicamente israeliani e palestinesi ad attuare le raccomandazioni Goldstone. La stessa relazione Goldstone giunge alla conclusione che l’altissimo tasso di mortalità tra i civili, inclusi 300 bambini, è il risultato di una politica israeliana basata sull’uso sproporzionato della forza, in violazione al diritto internazionale. Stabilisce altresì che l’assedio di Gaza è equivalente ad una punizione collettiva inflitta a 1,5 milioni di cittadini, in violazione al diritto internazionale. Invita le parti firmatarie della convenzione di Ginevra (Irlanda compresa) a perseguire legalmente i responsabili di tali politiche e della loro attuazione. Sto preparando una denuncia formale alle forze di polizia irlandesi sulla base dei dati contenuti nella relazione Goldstone, per permettere alle autorità competenti di considerare la possibilità di aprire un procedimento penale in Irlanda contro i responsabili.
Göran Färm, Anna Hedh, Olle Ludvigsson, Marita Ulvskog and Åsa Westlund (S&D), per iscritto. – (SV) Noi socialdemocratici svedesi non crediamo che Hamas debba essere incluso nella lista UE delle organizzazione terroristiche. Siamo molto critici sia nei confronti di Hamas che, in egual misura, degli attacchi che ha compiuto a danno dei cittadini israeliani ma, al contempo, temiamo che una condanna incondizionata da parte dell’UE potrebbe peggiorare la situazione e spingere Hamas ad un’ulteriore chiusura. Non crediamo che la decisione dell’UE di proseguire sulla strada dell’isolamento politico di Hamas in seguito al suo successo in delle elezioni libere e democratiche sia corretta. Riteniamo che l’UE debba valutare se sia meglio ottenere dei risultati per mezzo dell’isolamento e delle sanzioni o piuttosto con l’utilizzo del dialogo critico e della cooperazione.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Chiunque, come me, abbia seguito per anni il conflitto israelo-palestinese, non può che giungere alla triste conclusione che i numerosi tentativi sinceri di raggiungere una pace duratura continuano a rivelarsi insufficienti a convincere e motivare quanti hanno optato per la violenza ad abbandonare definitivamente questa strada. La vittoria elettorale di Hamas e la divisione in due parti del territorio palestinese, ognuno sotto una diversa autorità, hanno aggravato considerevolmente una situazione già difficile.
Fintantoché Hamas non accetterà l’esistenza legittima dello Stato di Israele, il dialogo non sarà niente più che una commedia. Da parte sua, Israele dovrà preoccuparsi di assumere posizioni appropriate e proporzionate, per non mettere a repentaglio la legittimità internazionale di cui gode al momento. Al pari di Yitzhak Rabin, anche io credo che la pace diplomatica non sia propriamente una vera pace, ma è sicuramente un importante passo per raggiungerla. E’ necessario lavorare in questa direzione e rimuovere gli ostacoli che impediscono di giungere ad una pace autentica. La relazione del giudice Goldstone identifica alcuni degli ostacoli causati da entrambe le parti, ovvero abusi e gravi crimini per i quali è necessario che si proceda con delle indagini, dei procedimenti penali e infine delle condanne.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) E’ necessario prestare attenzione al conflitto armato che è iniziato a Gaza il 27 dicembre 2008 e che è terminato il 18 gennaio 2009, causando la morte di più di 1 400 palestinesi e di 13 israeliani. Alla perdita di vite umane si è aggiunta la distruzione di numerosi edifici civili.
L’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e gli Stati membri devono lavorare ad una posizione comune dell’UE per decidere come reagire alla relazione sulla missione d’inchiesta sul conflitto a Gaza e nel sud di Israele.
Vorrei sottolineare che il rispetto del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario è fondamentale per raggiungere una pace equa e duratura nel Medio Oriente.
Sono d’accordo con la proposta di assegnare all’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e agli Stati membri il compito di controllare l’attuazione delle raccomandazioni contenute nella relazione Goldstone, avvalendosi della consultazione delle missioni esterne dell’UE e delle ONG che sono attive in questo campo.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) L’adozione di questa risoluzione sul conflitto di Gaza da parte del Parlamento rappresenta un passo positivo, dal momento che riconosce le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele. Questo dimostra l’impatto esercitato dalla relazione Goldstone sul processo di pace in Medio Oriente, avendo reso note al Parlamento le costanti violazioni del diritto internazionale compiute da Israele.
La verità è che la relazione Goldstone contiene prove incontrovertibili delle violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dalle forze israeliane su territorio palestinese durante le operazioni militari del 2008.
Per questo motivo, chiediamo che le conclusioni di questa relazione vengano adottate immediatamente e che le raccomandazioni che contiene vengano messe in pratica. Chiediamo al contempo ai funzionari dell’Unione europea di garantire che non si proceda ad un rafforzamento dell’accordo di associazione UE-Israele fintantoché non si porrà fine alle violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani fondamentali che Israele continua a commettere nei territori palestinesi occupati.
Charles Goerens (ALDE), per iscritto. – (FR)Questa è l’ennesima valutazione a posteriori degli errori compiuti da ognuna delle parti coinvolte nel conflitto. Se le stesse cause producono gli stessi effetti, vale la pena interrogarsi sulle cause, posto che gli effetti sono sempre disastrosi. Le stesse cause sono: il lancio di missili contro città israeliane, la controffensiva sproporzionata da parte di Israele, le condizioni terribili in cui versano gli abitanti di Gaza e lo sfruttamento della loro disperazione da parte delle fazioni più radicali. Vi propongo un’idea: perché non cominciare a sostenere solo quelle forze, da entrambe le parti, che hanno sinceramente optato per la pace? Tali forze esistono su entrambi i fronti e sono troppo spesso accusate di avere tradito i loro stessi popoli proprio perché sognano un futuro in cui si potranno superare le divisioni in una regione che troppo a lungo è stata il palcoscenico di uno dei conflitti più pericolosi dell’intero pianeta.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato in favore della risoluzione che prevede l’attuazione delle raccomandazioni contenute nella relazione Goldstone perché è estremamente importante far pressione, non in modo aggressivo ma determinato, affinché le autorità israeliane e palestinesi si impegnino a svolgere delle indagini imparziali e trasparenti sulla tragedia consumatasi a Gaza nel 2008-2009. Gli Stati membri, da parte loro, devono impegnarsi ancora di più per soddisfare tali richieste dai loro partner israeliani e palestinesi. Il diritto internazionale umanitario deve essere rispettato da tutte le parti coinvolte nel conflitto, e l’obiettivo dell’Unione europea deve essere garantire il rispetto di questi principi.
Joe Higgins (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione poiché evidenzia le circostanze atroci in cui versa la maggior parte della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza oggi e, soprattutto, perché invita all’apertura “immediata” e “incondizionata” di tutti i confini di Gaza. Sostengo in pieno il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione ed il diritto a difendersi dai ripetuti attacchi dell’esercito e delle forze di Stato israeliane. Tuttavia sono fortemente contrario alle idee del fondamentalismo islamico di destra e di Hamas. Mi oppongo anche ai singoli attacchi contro i lavoratori ebrei, che dividono ulteriormente i componenti della classe lavoratrice israeliana e palestinese oltre a fornire un pretesto al governo israeliano e ad altri gruppi di estrema destra per sferzare ulteriori attacchi contro il popolo palestinese. Il governo israeliano non tutela gli interessi dei cittadini palestinesi né quelli dei lavoratori israeliani. Gli attacchi agli standard di vita e ai diritti democratici devono essere sconfitti dai lavoratori israeliani e da quelli palestinesi insieme. L’unica soluzione per giungere ad una pace duratura nella regione è un Israele socialista a fianco di una Palestina socialista, i cui confini siano decisi insieme da entrambe le comunità e che siano parte di una confederazione socialista e democratica del Medio Oriente.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Sostengo con determinazione i dati contenuti nella relazione Goldstone e sono lieto che il Parlamento ne abbia appoggiato le raccomandazioni. Mi auguro che il processo per una pace duratura tramite una soluzione a due Stati venga confermata dal contenuto della relazione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea dovrebbe dimostrare grande interesse per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese che, oltre ad essere costato la vita a molte persone, determina ormai da anni grande instabilità nella regione e nel mondo.
Eppure ritengo vi siano delle differenze tra ciò che fa Israele, in qualità di Stato democratico e sovrano che condivide e promuove i valori fondamentali delle società occidentali, e quanto fanno movimenti radicali come Hamas che, la maggior parte delle volte, si rifiuta di riconoscere l’esistenza dello Stato di Israele, ponendo un ostacolo alla piena risoluzione del conflitto.
Questo non ci impedisce di condannare, in ogni circostanza, gli atti di violenza verificatisi da entrambe le parti, che hanno sconvolto il mondo e che non possono che spronarci ad aumentare il nostro impegno per promuovere la comprensione.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La mozione congiunta odierna per una risoluzione sulla relazione Goldstone dimostra, una volta in più, l’impegno dell’UE per una valutazione ed un’analisi oneste degli eventi che si sono verificati durante il conflitto a Gaza. Il 26 febbraio 2010, entrambe le parti sono state nuovamente invitate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a condurre delle indagini credibili e a presentare ulteriori relazioni entro cinque mesi. Le autorità palestinesi hanno istituito adesso una commissione investigativa indipendente, il che è un’ottima notizia. Le azioni intraprese dall’Unione europea a livello internazionale devono concentrarsi sul rispetto completo dei principi e degli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. Analogamente, il rispetto del diritto internazionale umanitario e delle disposizioni del diritto internazionale dei diritti umani sono una precondizione concreta per il processo di pace, che dovrebbe portare alla nascita di due Stati che convivano in pace ed in sicurezza. Con questa risoluzione l’UE sta cercando di sollecitare il raggiungimento di un accordo comune sulle misure che si evincono dalla relazione della missione d’inchiesta dell’ONU condotta dal giudice Goldstone, sul conflitto a Gaza e nel sud di Israele. La relazione propone che venga richiesta pubblicamente l’attuazione delle sue raccomandazioni e che ci si assuma la responsabilità per tutte le violazioni del diritto internazionale, tra cui i presunti crimini di Guerra, e per questo motivo il mio è un voto a favore.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) La mozione congiunta per una risoluzione sulla relazione Goldstone illustra il desiderio dell’Unione europea di indagare in merito agli eventi legati al conflitto di Gaza in modo equo e meticoloso. Il 26 febbraio 2010 anche l’Assemblea generale ha richiesto che venisse condotta un’indagine entro cinque mesi in merito agli incidenti e alle presunte gravi violazioni dei diritti umani. Secondo le informazioni più recenti, finora solo i palestinesi hanno risposto all’appello, il che è una vergogna. A mio avviso, l’Unione europea deve impegnarsi attivamente all’interno delle organizzazioni e dei comitati internazionali per il rispetto e l’attuazione del diritto internazionale. Proprio il rispetto del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale sui diritti umani da parte di entrambe le parti del conflitto costituisce una precondizione basilare perché si possa constatare un minimo miglioramento nel processo di pace legato al conflitto del Medio Oriente. La decisione di Israele di costruire degli insediamenti potrebbe invece determinare un ulteriore battuta d’arresto. La risoluzione congiunta prevede che vengano attuate le raccomandazioni contenute nella relazione della missione d’inchiesta dell’ONU condotta dal giudice Goldstone, sul conflitto a Gaza e nel sud di Israele, e per questo motivo il mio voto è “sì”.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) I diritti umani devono essere rispettati da tutte le parti del conflitto del Medio Oriente. E’ necessario verificare ogni sospetta violazione dei diritti umani, indipendentemente da chi venga commessa, utilizzando comunque un approccio identico verso tutte le parti del conflitto. La relazione Goldstone è un documento che ha suscitato diversi sentimenti e che è stato motivo di contrasti e oggetto di accuse di parzialità. In molti hanno evidenziato che tutti i fattori che hanno condotto al conflitto non vengono trattati in modo uguale. La comunità internazionale tuttavia non deve rivolgere le spalle al conflitto. Le raccomandazioni contenute nella relazione Goldstone includono la proposta di condurre delle indagini internazionali sui presunti crimini compiuti da una qualunque delle parti del conflitto. La realtà del conflitto del Medio Oriente pone un interrogativo sulla possibilità di farlo. Sussiste il rischio concreto che il Parlamento europeo non sia in grado di monitorare le azioni intraprese da Hamas, ma solo quelle compiute da Israele. In considerazione di tali circostanze, ho deciso di votare contro l’adozione della risoluzione congiunta durante la votazione finale.
Zuzana Roithová (PPE), per iscritto. – (CS) Non ho sostenuto la risoluzione congiunta dei socialisti, dei liberali, del gruppo della sinistra e dei verdi sull’applicazione delle raccomandazioni della relazione Goldstone su Israele. Suddetta relazione è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel novembre dello scorso anno da appena 5 dei 27 Stati membri dell’Unione europea. Il motivo è che la relazione non è stata analizzata con la dovuta responsabilità a livello del Consiglio dei diritti umani e dunque l’Assemblea generale ha votato una relazione poco equilibrata che descrive Israele al pari di un’organizzazione terroristica. Sono uno di quei politici che si battono per un’indagine obiettiva e inflessibile su tutti i casi di presunte violazioni dei diritti umani nel conflitto di Gaza. Tuttavia è in gioco la credibilità delle conclusioni dell’inchiesta. Non possiamo permettere che un’inchiesta in corso, che deve ancora essere ultimata, venga politicizzata. L’obiettivo, dopo tutto, dovrebbe essere il raggiungimento di una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese e il futuro benessere di due Stati indipendenti, Israele e Palestina, e non una lotta di potere per l’influenza su questa regione tra l’Europa e gli Stati Uniti.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato in favore della mozione per la risoluzione RC7-0136/2010 sulle raccomandazioni Goldstone, principalmente perché insiste nel richiedere che l’UE assuma una posizione decisa sulle indagini di follow-up successive alla relazione Goldstone e che venga richiesta pubblicamente l'attuazione delle sue raccomandazioni e l’assunzione di responsabilità per tutte le violazioni del diritto internazionale. Essa esorta entrambe le parti a svolgere, entro cinque mesi, indagini che soddisfino gli standard internazionali e ribadisce il proprio invito alla vicepresidente della Commissione ed alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e agli Stati membri a monitorare attivamente l'attuazione delle raccomandazioni contenute nella relazione Goldstone. Aggiunge oltretutto nuovi punti a quanto dichiarato dal Parlamento in passato, dal momento che ad esempio chiede che l’alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione valuti i risultati delle indagini effettuate da tutte le parti e riferisca in merito al Parlamento europeo, ricorda che la responsabilità e la credibilità dell’UE e dei suoi Stati membri implicano un controllo attento delle indagini e esprime la sua preoccupazione per i recenti attacchi contro le ONG che hanno partecipato all'elaborazione della relazione Goldstone e alle indagini di follow-up, facendo anche riferimento alle misure restrittive loro imposte.
Olle Schmidt and Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. – (SV) Non è il momento migliore per adottare una risoluzione su Israele. Possiamo aspettarci a breve una valutazione completa della relazione Goldstone e ritengo che non dovremmo anticiparla. La situazione è delicata e il conflitto tra le parti si è polarizzato. Non dobbiamo peggiorare la situazione adottando una risoluzione che risulterà sicuramente insoddisfacente per tutte le parti coinvolte. Ritengo inoltre anomalo che l’UE adotti una risoluzione su un mandato che non è stato sostenuto da nessuno degli Stati membri dell’UE all’interno del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Marek Siwiec (S&D), per iscritto. – (PL) Non ritengo che la risoluzione congiunta sull’attuazione delle raccomandazioni contenute nella relazione Goldstone su Israele e Palestina rifletta pienamente le posizioni espresse dai deputati del Parlamento europeo durante il dibatto svoltosi a Bruxelles il 24 febbraio. La risoluzione non rappresenta in modo adeguato la posizione della maggioranza dei gruppi politici che hanno contribuito alla sua stesura. La relazione a cui fa riferimento la risoluzione – la relazione Goldstone – non è imparziale e non considera tutti i fattori che hanno condotto al conflitto in modo corretto. Oltretutto la risoluzione congiunta non fa riferimento alle circostanze che hanno determinato il conflitto, né contiene alcun accenno agli 8 000 attacchi contro i civili israeliani condotti da Hamas e da altri gruppi armati o al fatto che Hamas abbia ignorato il cessate il fuoco.
Il punto 7 del documento a cui mi riferisco indica chiaramente che il Parlamento europeo non sarà in grado di monitorare le azioni intraprese da Hamas, ma solo quelle compiute da Israele. Una posizione di questo tipo riduce la credibilità del sistema giudiziario e delle istituzioni israeliane e mina la loro capacità di condurre indagini. Per questo motivo, alla votazione finale, ho votato contro l’adozione della risoluzione congiunta. <
Catherine Soullie (PPE), per iscritto. – (FR) Ridurre il conflitto israelo-palestinese ad un mero confronto del numero dei morti sui vari campi di battaglia non può che distorcere la nostra percezione di questa guerra, che dura ormai da troppo tempo. Concordiamo tutti sul fatto che sia difficile trovare una soluzione a questo conflitto, dal momento che le cause stesse sono complesse e ben radicate. Guardare le cose semplicemente in termini di bianco e nero è dunque impossibile in questa regione del mondo.
La missione condotta dal giudice Goldstone aveva unicamente il compito di elencare le violazioni del diritto internazionale. Sebbene non tutte le conclusioni della relazione siano prive di fondamento, ho ritenuto, per onestà intellettuale, che fosse giusto votare contro queste risoluzioni, che approvano l’approccio e le conclusioni di un testo che ritengo manchi di imparzialità ma, soprattutto si basa su obiettivi incompleti.
E’ vero, dobbiamo denunciare e porre fine agli abusi che vengono commessi da una o dall’altra parte belligerante nella regione, ma dobbiamo prestare molta attenzione alla procedura a cui ricorriamo se vogliamo che venga stabilita la giustizia nella regione in modo tale da proseguire sul percorso di una pace duratura.
Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Ho votato in favore della risoluzione congiunta sulla relazione Goldstone, non da ultimo perché riconosce che i cittadini di Gaza continuano a vivere in condizioni inaccettabili in conseguenza del blocco e perché richiede un’apertura definitiva e incondizionata dei valichi di frontiera. Il testo approvato preme per l’attuazione delle raccomandazioni contenute nella relazione Goldstone e per l’assunzione della responsabilità per le violazioni del diritto internazionale, inclusi i presunti crimini di guerra. La relazione è il frutto di un’inchiesta equilibrata e approfondita, basata su visite in loco e interviste ai testimoni.
La relazione sostiene che le parti coinvolte abbiano commesso delle violazioni del diritto internazionale umanitario e invita gli ufficiali superiori israeliani ad assumersi la responsabilità per: l’uso indiscriminato del fosforo bianco, la mancata distinzione tra civili e combattenti, le conseguenze sugli individui del blocco, che rappresenta uno strumento di punizione collettiva e una violazione della legge marziale.
La relazione contiene sufficienti elementi per richiedere che il Segretario generale delle Nazioni Unite ed il Consiglio di sicurezza avviino dei procedimenti legali, il che sarebbe il modo migliore per garantire che tutti i dubbi e le discussioni in merito agli eventi verificatisi a Gaza vengano cancellati. Mi rammarico che il gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) non abbia sostenuto questo testo.
Charles Tannock (ECR), per iscritto. – (EN) Il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei non riconosce buona parte della relazione Goldstone e dunque non ha votato in favore della mozione del Partito popolare europeo per la risoluzione né la mozione congiunta per la risoluzione. Il gruppo a cui appartengo nutre serie preoccupazioni sulla legittimità e l’imparzialità della relazione stilata dal giudice Goldstone e, soprattutto, non vuole che membri delle forze armate israeliane o politici vengano accusati di crimini di guerra. Siamo a favore di negoziati continui per la pace e la sicurezza nella regione, sosteniamo una soluzione a due Stati e riconosciamo le problematiche umanitarie causate dal conflitto in atto nella regione.
Róża Gräfin Von Thun Und Hohenstein (PPE), per iscritto. – (PL) L’Unione europea, nel suo ruolo di attore globale deve solo pensare al bene dei propri cittadini, ma deve anche mantenere una prospettiva globale. Per questa ragione, le decisioni prese dai deputati al Parlamento europeo dovrebbero basarsi sulla realtà che si limita a quella europea. Votare una risoluzione sull’attuazione delle raccomandazioni della relazione Goldstone, prima che la relazione stessa sia stata adottata dalle Nazioni Unite, è un errore.
Tralasciando il fatto che non c’è stato abbastanza tempo per discutere la relazione, non ci è neppure stata fatta una presentazione della relazione che includesse una descrizione dettagliata delle diverse argomentazioni. In una situazione in cui gli Stati membri dell’Unione europea non dimostrano la volontà di intraprendere azioni concrete rispetto alla situazione tra Israele e Palestina, l’adozione da parte del Parlamento europeo di un qualunque tipo di risoluzione non contribuisce al processo di pace nel Medio Oriente.
Per queste ragioni, mi sono astenuto dal votare sulla risoluzione del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) e ho votato contro la risoluzione congiunta presentata dagli altri partiti. Nutro riserve specialmente rispetto ai punti J e 10 della risoluzione congiunta che, se da una parte sottolineano la situazione tragica in cui versano gli abitanti della Striscia di Gaza, non spiegano però che questa è una conseguenza diretta del ruolo di Hamas – un gruppo che la comunità internazionale considera un’organizzazione terroristica. Oltretutto, non posso condividere il punti 2 e 4 della risoluzione che richiedono l’attuazione delle raccomandazioni della relazione Goldstone, dal momento che non sono tutte legittime.
Dominique Vlasto (PPE), per iscritto. – (FR) Grazie alla relazione Goldstone è stato possibile rilevare il bisogno di condurre quanto prima indagini indipendenti, al fine di risalire alla realtà dei fatti e alle responsabilità delle parti coinvolte e di giungere a delle conclusioni su eventuali violazioni del diritto internazionale e del diritto umanitario commesse durante il conflitto di Gaza. Tali indagini devono essere condotte in modo onesto da parte delle autorità israeliane e palestinesi. Mi auguro che sarà così possibile riprendere agevolmente i negoziati ed è per questo che sostengo senza alcuna riserva l’importanza delle indagini. Vorrei anche sottolineare che il conflitto di Gaza ha determinato il fallimento di numerosi progetti finanziati dall’Unione europea e volti ad attenuare la crisi umanitaria che ha colpito la popolazione, che soffre per la carenza di beni di prima necessità e che non ha accesso ai principali servizi pubblici. La popolazione in loco ha bisogno di sperare e di credere che si possa giungere ad una rapida risoluzione della questione israelo-palestinese. Solo in queste circostanze sarà possibile raggiungere una pace giusta e duratura tra uno Stato palestinese ed uno Stato israeliano, che possano vivere vicini in pace e sicurezza.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Ho ricordato di recente all’Assemblea che la Bielorussia non ha elezioni libere, che le libertà di espressione, di riunione e di manifestazione non esistono e che aumenta sempre più il numero degli atti di repressione commessi dalle autorità. Oltretutto, i prigionieri politici non sono stati ancora liberati, non è stata abolita la pena di morte e non esiste garanzia alcuna né della separazione dei poteri, con particolare riguardo all’indipendenza della magistratura, né del rispetto dei diritti umani.
Il recente intervento della polizia contro l’Unione dei polacchi di Bielorussia e la negazione dei diritti che i suoi rappresentanti rivendicavano infliggono l’ennesimo colpo alla fiducia dell’Europa nei confronti della dittatura bielorussa. Si richiede dunque l’intervento di tutti i democratici europei, e in particolare delle istituzioni comunitarie e dei governi degli Stati membri, affinché si controlli rigorosamente la situazione e si intraprenda un’azione risoluta e coordinata nei confronti delle autorità di Minsk, che hanno fatto propria la peggiore eredità comunista. L’Unione europea non può essere partner della Bielorussa, uno Stato che non rispetta né le leggi nazionali né il diritto internazionale. Come recita un detto del mio paese: “meglio soli che male accompagnati”!
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea non dovrebbe riconoscere la legittimità del parlamento bielorusso fin quando il paese non avrà elezioni libere. Esorto dunque le autorità bielorusse a riformare radicalmente la legge elettorale nazionale, in conformità alle raccomandazioni dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani.
Le aggressioni delle autorità bielorusse contro i rappresentanti della minoranza nazionale polacca sono del tutto riprovevoli, alla pari dei processi politici e dall’evidente assoggettamento della magistratura al governo. L’Unione europea non può avallare le limitazioni imposte dalle autorità bielorusse all’accesso a Internet o la mancata tutela di una serie di libertà: stampa, riunione pacifica e associazione, culto per le Chiese diverse da quella ortodossa bielorussa, oltre agli altri diritti e alle libertà politiche.
Ritengo che il grado di cooperazione tra la Comunità e le autorità bielorusse dovrebbe essere direttamente proporzionale al rispetto dei diritti umani nel paese. Condivido inoltre le perplessità circa la dichiarazione, debole e tardiva, che il vicepresidente della Commissione e alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ha rilasciato sulla repressione della minoranza nazionale polacca.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Dopo la fine della guerra fredda, i rapporti tra la Bielorussia e l’Occidente si sono evoluti nel segno di una nuova comprensione e l’Unione europea ha avviato un dialogo positivo, volto a fornire al paese tutti gli incentivi necessari a compiere progressi nel campo della democrazia e dei diritti umani.
Ciononostante, l’Unione non può accettare nessuna iniziativa che contrasti con i principi internazionali e la normativa sui diritti delle minoranze nazionali, né può assumere posizioni relativistiche sui diritti umani.
Kristiina Ojuland (ALDE), per iscritto. – (ET) Signor Presidente, essendo io coautrice della risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione della società civile e delle minoranze in Bielorussia, ho votato a favore del testo. Sebbene lo scorso anno il regime del presidente Lukashenko abbia liberato alcuni prigionieri politici e sia sceso a più miti consigli, l’Unione europea non può ignorare le recenti violazioni dei diritti umani ai danni degli esponenti dell’Unione dei polacchi di Bielorussia. I cittadini bielorussi potranno beneficiare dei vantaggi offerti dal partenariato orientale dell’Unione soltanto se il loro governo tutelerà i diritti umani e le libertà civili nel paese e se saranno varate le opportune riforme democratiche. Le concessioni finora accordate dal regime si sono puntualmente rivelate insufficienti, mentre l’arresto del leader dell’Unione dei polacchi di Bielorussia, Angelika Borys, la mancata registrazione del movimento e il congelamento dei suoi beni hanno inferto l’ennesimo colpo ai rapporti con l’Unione europea. A mio avviso, le continue violazioni dei diritti umani e dello stato di diritto costringono l’UE a valutare la reintroduzione di sanzioni contro il governo bielorusso.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore dell’adozione della proposta di risoluzione comune del Parlamento europeo (RC-B7-0134/2010). Diversi mesi fa quest’Assemblea ha approvato una risoluzione che esortava le autorità bielorusse ad abolire la pena di morte. Oggi ci troviamo ancora una volta a discutere della situazione nel paese, di violazioni dei diritti umani e dei principi alla base della società civile. L’Unione europea ha aperto la porta alla Bielorussia: abbiamo varato le opportune misure, ivi compreso il coinvolgimento del paese nel partenariato orientale; gli abbiamo accordato tutta la nostra fiducia con l’intento di inaugurare un percorso di democratizzazione e rispetto dei diritti civili. Purtroppo nessuna delle nostre speranze si è avverata. L’Unione europea deve dunque dimostrarsi risoluta e assumere una posizione più netta nei rapporti con la Bielorussia, intervenendo incisivamente affinché i diritti delle minoranze vengano rispettati. Spero che questa risoluzione favorirà un cambiamento nella direzione desiderata. In caso contrario, mi aspetto che l’Unione europea riveda il proprio atteggiamento verso il paese e valuti l’imposizione di sanzioni adeguate: qualunque intervento inefficace sarebbe prova di debolezza da parte nostra.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione, che, in realtà, è stata elaborata di concerto tra tutti i gruppi politici, compreso il nostro. Il testo è stato dunque approvato all’unanimità.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) Il mancato rispetto della libertà di parola, gli ostacoli alla registrazione delle organizzazioni politiche e persino sociali nonché l’uso dei media statali a scopi propagandistici indicano una deriva autoritaria dello Stato. L’Unione europea ha offerto il proprio aiuto alla Bielorussia coinvolgendola nel partenariato orientale, il cui obiettivo è il potenziamento della democrazia e dello stato di diritto. Il comportamento della autorità bielorusse nei confronti dell’opposizione e delle organizzazioni non governative non è conforme agli standard internazionali in materia, né si rispettano le norme sulla tutela delle minoranze nazionali. E’ fondamentale individuare una soluzione adeguata, che permetta all’Unione europea di manifestare la propria disapprovazione attraverso misure specifiche, come le sanzioni o le restrizioni sulla concessione dei visti; allo stesso tempo, non dobbiamo isolare il paese dal resto d’Europa perché sarebbe la società a pagarne il prezzo, anziché le autorità oggetto della nostra condanna. Dovremmo presentare alla Bielorussia i vantaggi che tratterrebbe dalla cooperazione con l’Unione europea e garantirle che il grado di ottemperanza agli standard comunitari si rifletterà sul sostegno fornito al paese.
Artur Zasada (PPE), per iscritto. – (PL) Accolgo con favore l’esito della votazione odierna. Abbiamo approvato una risoluzione che condanna i recenti atti di repressione contro la minoranza polacca in Bielorussia. L’adozione del documento per acclamazione assume un valore particolare: è espressione dell’intero Parlamento, di tutti i gruppi politici e dei rappresentati dei 27 Stati membri dell’Unione europea. Mi sembra inconcepibile che la Bielorussia possa beneficiare dei vantaggi del partenariato orientale se prima non ripristinerà la legittimità e i beni dell’Unione dei polacchi di Bielorussia e, aggiungerei, se prigionieri politici come Andrei Bandarenko, Ivan Mikhailau e Arystom Dubski non verranno liberati. Oggi abbiamo inviato un chiaro segnale al paese. Restiamo in attesa di una risposta.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Il Consiglio europeo ha sottolineato l’importanza di rivedere il contratto economico e sociale tra le istituzioni finanziarie e la società che essi servono e assicurare che i benefici pubblici realizzati nei periodi positivi siano protetti dal rischio. In tale contesto, il Consiglio europeo ha incoraggiato il Fondo monetario internazionale (FMI) a considerare, nel corso della revisione, tutte le possibilità, tra cui cui una tassa sulle operazioni finanziarie a livello mondiale. Appoggio la risoluzione e credo che l’Unione europea dovrà concordare una posizione comune al riguardo.
La Commissione europea deve inoltre condurre una valutazione d’impatto relativa alla tassazione generale sulle operazioni finanziarie, esaminandone i pro e i contro. Concordo altresì con il punto della risoluzione in cui si richiede un’analisi, a livello comunitario, dei possibili contributi che il settore finanziario potrebbe apportare per compensare i danni che esso stesso ha arrecato all’economia o i danni causati dagli interventi governativi finalizzati alla stabilizzazione del sistema bancario.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) La proposta di risoluzione in discussione, che fa seguito ai colloqui del G20 condotti nell’ambito del vertice di Pittsburgh e alle richieste avanzate dalle istituzioni internazionali, tra cui l’FMI, potrebbe offrire una soluzione utile sia a evitare nuovi disastri finanziari sia a recuperare gli stanziamenti che gli Stati hanno destinato alle banche per salvarle dal tracollo. Ad ogni modo, l’introduzione di norme simili, mosse da uno spirito innovatore, è benaccetta sia in Francia che in Belgio e anche il Regno Unito ne sta valutando l’opportunità: attendiamo di vederne i risultati.
Secondo le stime di fonti francesi, una tassazione allo 0,005 per cento sottrarrà oltre 20 miliardi di euro alle casse delle banche francesi. Ma come reagirà il settore bancario? Limiterà le operazioni speculative, considerate deleterie, o sfrutterà la mobilità dei capitali per continuare a gestirle attraverso le filiali di Stati in cui tale prelievo non esiste?
Ritengo dunque che l’efficacia di questa tassazione dipenda dall’adozione di un approccio globale, che si traduca ad esempio nella presentazione della proposta a organi internazionali come le Nazioni Unite. Anche in quel caso, è però poco plausibile che si riesca a concertare un’azione congiunta a livello internazionale, come insegna il caso della legislazione sui paradisi off shore.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Nell’appoggiare la risoluzione adottata oggi ad ampia maggioranza (536 voti favorevoli contro 80 contrari e 33 astensioni), la delegazione francese del Modem ha ribadito la richiesta che la Commissione europea conduca una valutazione d’impatto e avanzi proposte concrete sull’imposizione di una tassa sulle operazioni finanziarie. Esorto dunque la Commissione a elaborare una proposta volta a definire la posizione comune dell’Unione in occasione del G20 di giugno. Sarebbe inoltre opportuno capire in che misura tale provvedimento contribuirebbe a stabilizzare i mercati finanziari. La Commissione dovrebbe pronunciarsi sull’ipotesi di utilizzare i proventi per sostenere l’adattamento dei paesi in via di sviluppo al cambiamento climatico e finanziare la cooperazione allo sviluppo, oltre a illustrare i punti su cui potrebbe far leva per persuadere i propri partner a imporre a loro volta una tassazione simile, in modo da evitare la migrazione dei capitali. E’ però ancora più importante che si conduca una valutazione approfondita per garantire che il nuovo prelievo non limiti la competitività dell’Unione o gli investimenti sostenibili e non si ripercuota negativamente sulle piccole e medie imprese e sui singoli investitori.
Harlem Désir (S&D), per iscritto. – (FR) Nel 2000 ho presentato, insieme con l’intergruppo sulla globalizzazione, la prima risoluzione in cui si esortava la Commissione a valutare la fattibilità di una tassazione sui flussi di capitale speculativo. Il testo non fu adottato per una manciata di voti. Sono passati dieci anni e il G20, al pari di diversi Stati membri, non esclude più la possibilità di introdurre una tassa simile e – cosa ancora più importante – la crisi finanziaria ci ha ricordato quali danni possano derivare dalla volatilità dei mercati finanziari.
E’ per questo che accolgo con favore l’adozione, ad ampia maggioranza, della risoluzione sulla tassazione delle operazioni finanziarie. Si tratta di un piccolo passo, ma il messaggio è chiaro: il Parlamento chiede alla Commissione di affrontare finalmente il problema e mettere a punto un piano di attuazione. Questa tassazione avrebbe il duplice vantaggio di contribuire alla stabilizzazione dei mercati e generare un gettito cospicuo, grazie al quale i paesi in via di sviluppo potranno finanziare le misure di adattamento al cambiamento climatico e la lotta alla povertà.
I detrattori della proposta sostengono che sarà efficace solo se adottata a livello internazionale, ma dovremo pur fare il primo passo, come altri paesi hanno fatto con la tassazione sui biglietti aerei. Rimandare la decisione non servirà a nulla: dobbiamo essere noi a indicare la strada.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Il settore finanziario deve assumersi la responsabilità della crisi finanziaria che stiamo attraversando. Finora sono stati l’economia reale, i contribuenti, i consumatori, i servizi pubblici e la società in generale a sostenere i costi e le conseguenze della crisi finanziaria. Diversi Stati membri hanno dunque invocato l’introduzione di una tassazione sulle operazioni finanziarie.
Allo stato attuale, è mutato il quadro politico e normativo di riferimento. Sono state intraprese nuove iniziative di regolamentazione, quali l'azione contro i paradisi fiscali, la rimozione delle lacune normative dai conti di gestione, i requisiti relativi alle operazioni borsistiche e l'utilizzo di repertori di dati relativi alle negoziazioni per la registrazione dei derivati.
L’Unione europea deve adottare una posizione comune nel contesto internazionale del G20 e, a tal fine, la Commissione ha il compito di valutare l’impatto della tassazione globale delle operazioni finanziarie prima del prossimo vertice del G20.
Tale valutazione dovrebbe, in particolare, mettere a confronto gli effetti della tassazione a seconda che la sua introduzione avvenga a livello comunitario o internazionale. Occorre inoltre definirne i costi e l’eventuale contributo alla stabilizzazione dei mercati finanziari.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Le varie considerazioni contenute nel preambolo alla risoluzione che il Parlamento ha appena approvato sono perfettamente condivisibili. Mi riferisco in particolare al punto in cui si afferma che il settore finanziario deve sostenere una congrua parte degli oneri imposti dalla ripresa economica e dallo sviluppo, considerando che finora sono stati l’economia reale, i contribuenti, i consumatori, i servizi pubblici e la società in generale a sostenere gran parte dei costi e delle conseguenze della crisi finanziaria. Ciò detto, la possibilità di introdurre una tassazione sulle operazioni finanziarie non ci convince, perché la sua attuazione sarebbe soggetto a numerose variabili. Abbiamo dunque deciso di astenerci.
Purtroppo si registrano ritardi nell’attuazione delle nuove iniziative di regolamentazione, nell’avanzamento dell'azione promessa contro i paradisi fiscali, nella rimozione delle lacune normative dai conti di gestione, nei requisiti relativi alle operazioni borsistiche e nell'utilizzo di repertori di dati relativi alle negoziazioni per la registrazione dei derivati. E’ necessario compiere un salto di qualità, anziché continuare a procedere a tentoni, facendo solo gli interessi degli speculatori finanziari e dei grandi capitalisti.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) Appoggio la tassazione delle operazione finanziarie e sono lieto che questa iniziativa incontri un così vasto sostegno. La sua efficacia dipende però da un’attuazione globale. Sono dunque favorevole a tutte le misure volte a introdurre questo prelievo sulle operazioni finanziarie.
Arlene McCarthy (S&D), per iscritto. – (EN) Abbiamo votato ad ampia maggioranza per mantenere vivo l’entusiasmo politico per l’introduzione di una tassazione sulle operazioni finanziarie a livello internazionale. E’ evidente che è giunto il momento di intervenire incisivamente per garantire che, alla luce della crisi in atto, il settore finanziario dia il proprio contributo, e la tassazione proposta potrebbe rivelarsi uno strumento fondamentale in tal senso: l’idea incontra vasto sostegno da parte dell’opinione pubblica, delle organizzazioni non governative e dei sindacati di tutta Europa. Questa tassa potrebbe infatti contribuire a limitare le transazioni finanziarie volatili e rischiose, generando peraltro un gettito miliardario da destinare ai paesi in via di sviluppo, i più colpiti dalla crisi finanziaria. La risoluzione in discussione esorta la Commissione ad analizzare le possibili configurazioni della tassa e invia un chiaro segnale: l’Europa punterà a un accordo globale per rispondere alle sollecitazioni dell’opinione pubblica. Trovo deludente che il gruppo ECR e i suoi esponenti conservatori, che si oppongono strenuamente a qualunque forma di tassazione delle operazioni finanziarie, abbiano deliberatamente distorto la votazione odierna, presentandola come un invito a introdurre la tassa nel solo territorio comunitario. Se l’Europa resterà a guardare senza prendere posizione, saremo esclusi dal dibattito internazionale: la nostra votazione conferisce dunque all’Europa il mandato di co-dirigere questo confronto.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il CDS è contrario per principio all’introduzione di una tassazione comunitaria. Occorre inoltre considerare che le tasse sono uno strumento essenziale a disposizione degli Stati membri, soprattutto in tempi difficili come la crisi attuale. Da ultimo, avendo ogni Stato membro facoltà di ricorrere a varie opzioni tributarie, sotto forma di tassa o di imposta, l’eventuale tassazione sarebbe giocoforza più o meno penalizzante a seconda del paese e creerebbe un divario a livello comunitario: questa scelta non avrebbe alcun senso.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) A mio avviso, è innegabile che il settore finanziario debba offrire un congruo contributo alla ripresa e allo sviluppo dell’economica, soprattutto se si considera che i notevoli costi e le conseguenze della crisi finanziaria sono ricaduti sull’economia reale, i contribuenti, i consumatori, i servizi pubblici e la società in generale. Un’eventuale tassazione delle operazioni finanziarie potrebbe ridurre i massicci flussi di capitali speculativi che, di recente, hanno danneggiato per l’ennesima volta l’economia reale e segnare anzi un passo verso la crescita sostenibile. Prima di considerare l’eventualità di introdurre una tassazione, occorre però soppersarne i pro e i contro. La risoluzione proposta dalla commissione per i problemi economici e monetari invoca esattamente una valutazione del genere, ed è per questo che ho espresso voto favorevole. Uno dei nodi fondamentali, che il testo cita brevemente, ma che dovrà essere definito con chiarezza prima di prendere qualunque decisione, riguarda le possibili destinazioni del gettito che la tassazione genererebbe. A mio parere, il prelievo dovrebbe avvenire nel luogo dell’operazione e, in altre parole, dovrebbe essere destinato agli Stati in cui ha sede la borsa interessata. Resta da definire nei dettagli il metodo di calcolo. Se l’Unione europea insisterà a voler riscuotere direttamente la tassa, gli importi corrispondenti dovranno essere detratti dal contributo lordo degli Stati membri coinvolti. Questo provvedimento non dovrà in nessun caso condurre all’istituzione di una competenza comunitaria in materia fiscale.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Oggi ho votato a favore della proposta di risoluzione B7-0133/2010 sulla tassazione delle operazioni finanziarie e sono lieto che, per la prima volta, il Parlamento abbia chiesto una valutazione di fattibilità e di impatto per l’introduzione di una tassazione delle operazioni finanziarie a livello comunitario. Si tratta di un notevole passo in avanti. Adesso occorre spingere la Commissione a proporre misure concrete. I cittadini europei si aspettano che i costi della crisi finanziaria ricadano sugli operatori dei mercati finanziari che l’hanno scatenata. Non possiamo dunque accontentarci di una soluzione minimalista sulla falsa riga della proposta statunitense, con cui si riscuoterebbe appena qualche miliardo di euro (una cifra insufficiente rispetto all’enormità dei costi). La riduzione della povertà, l’azione contro il cambiamento climatico e la gestione della crisi finanziaria impongono di aumentare il gettito fiscale di svariate centinaia di miliardi di euro. Se concepita saggiamente, la tassazione delle operazioni finanziarie potrebbe consentirci di raggiungere lo scopo, limitando al contempo la speculazione sui mercati finanziari.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione sull’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA), che mira a promuovere la creazione di un mercato integrato dei servizi di pagamento in euro. Il testo consentirà di instaurare un’effettiva concorrenza e mettere sullo stesso piano i pagamenti nazionali ed esteri in euro.
Il funzionamento della SEPA continua a essere imperfetto e non soddisfa le effettive esigenze degli utenti. La Comunità europea deve stabilire una scadenza adeguata e vincolante per l’adozione degli strumenti SEPA, dopo la quale tutti i pagamenti in euro dovranno conformarsi alle norme del sistema. E’ altrettanto importante garantire che l’introduzione di questo regime non imputi ulteriori costi ai cittadini europei.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) L’istituzione dell’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA) è essenziale per potenziare il mercato integrato dei servizi di pagamento. La SEPA permetterà inoltre di accrescere la concorrenza, mettendo sullo stesso piano i pagamenti in euro transfrontalieri e nazionali, e potrebbe portare vantaggi diretti nella vita dei cittadini europei.
Alla luce di tali considerazioni, è urgente che i governi nazionali attuino i servizi SEPA e definiscano norme adeguate, affinché l’iniziativa consenta una reale semplificazione degli attuali servizi di pagamento e un abbattimento dei costi a vantaggio dei consumatori.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT)
L’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA) costituirà un mercato integrato dei servizi di pagamento, aperta a un’effettiva concorrenza e in cui non sussistano distinzioni fra pagamenti nazionali e transfrontalieri in euro. Avremmo dovuto fissare una scadenza vincolante per la migrazione verso gli strumenti SEPA, considerando che le pubbliche amministrazioni ricorrono al sistema in misura inferiore alle nostre aspettative.
E’ dunque essenziale che tutte le parti coinvolte – i legislatori, il sistema bancario e gli utenti dei servizi di pagamento – siano coinvolti nella realizzazione della SEPA. Occorre assicurare in tutti gli Stati membri la continuità della validità giuridica dei mandati di addebito diretto esistenti, visto che l’obbligo di firmare nuove autorizzazioni nel periodo di transizione dai regimi nazionali di addebito diretto al sistema SEPA richiederebbe un notevole dispendio di risorse.
La Commissione deve dunque fissare una scadenza per la migrazione verso gli strumenti SEPA che sia chiara, adeguata e giuridicamente vincolante e non superi il termine del 31 dicembre 2012, trascorso il quale tutti i pagamenti in euro dovranno avvenire in conformità alle norme SEPA. La Commissione dovrà assistere gli enti pubblici nel processo di migrazione, elaborando piani nazionali integrati e contestuali.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) L’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA) deve trasformarsi rapidamente in un mercato integrato dei servizi di pagamento. Resta però ancora molto da fare prima che si giunga a tale risultato e, malgrado l’esistenza di direttive che definiscono il quadro SEPA per le carte di pagamento e per il sistema degli addebiti diretti, in realtà nessuno dei sistemi previsti è operativo. E’ dunque necessario superare tutti gli ostacoli all’attuazione del sistema SEPA, affinché possa diventare operativo il più rapidamente possibile, ed è essenziale che il periodo transitorio non si protragga oltre il 21 ottobre 2010.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) L’introduzione dell’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA) semplificherà la vita di milioni di europei. Indipendentemente dallo Stato membro di appartenenza, i cittadini potranno infatti eseguire agevolmente, rapidamente e a costi accessibili un pagamento destinato a cittadini o società di un altro Stato membro, sostenendo le stesse spese che sarebbero state necessarie per un’operazione nazionale. Nell’era dei servizi bancari telematici, tale provvedimento favorirà un aumento della concorrenza tra banche, a tutto vantaggio dei clienti. L’introduzione della SEPA rappresenta il primo passo verso l’attuazione di una delle quattro libertà fondamentali del mercato comune: la libera circolazione di capitali. Una delle principali novità sta inoltre nel fatto che la SEPA consentirà un ravvicinamento economico tra i membri dell’eurozona, i paesi che, pur essendo parte dell’Unione europea, non hanno adottato la moneta unica e gli altri Stati dell’Associazione europea di libero scambio.
Do dunque il mio pieno appoggio alla risoluzione del Parlamento europeo sull’attuazione dell’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA). Allo stesso tempo, esorto la Commissione europea ad assegnare priorità agli interessi dei clienti dei servizi bancari al dettaglio e alla sicurezza del sistema, senza trascurare un’adeguata supervisione dell’introduzione della SEPA.
Kader Arif (S&D), per iscritto. – (FR) La risoluzione sui negoziati ACTA, adottata oggi e di cui sono uno degli iniziatori, ha una valenza estremamente simbolica poiché ha avuto un consenso unanime. E’ un chiaro segnale inviato alla Commissione che ha condotto per due anni nel massimo segreto i negoziati per l’accordo in questione. Il Parlamento richiede la più totale trasparenza per quanto attiene ai negoziati in corso, nonché il rispetto dei trattati; in questo modo anche il Parlamento ha diritto a ricevere le stesse informazioni trasmesse al Consiglio. Sia in termini di metodo sia di quanto conosciamo del contenuto, mi oppongo al modo in cui sono condotti i negoziati ACTA. Nutriamo numerosi dubbi in merito alla possibile messa in discussione dell’acquis communautaire. Oltre al rischio derivante dalla reintroduzione delle risposte graduali, potrebbero essere messi in discussione anche il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini, in termini di libertà di espressione e di tutela della privacy e dei dati personali, e il principio di non responsabilità dei fornitori dei accesso a Internet e degli host. Il Parlamento ha già dato prova del suo impegno nei confronti di questi principi e, qualora la Commissione non modifichi la propria strategia, condurrò una campagna contro la ratifica dei negoziati ACTA da parte di questa Camera, come abbiamo già fatto in relazione all’accordo SWIFT.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione. Una migliore protezione dei diritti sulla proprietà intellettuale e la lotta alla contraffazione e alla pirateria sono, senza ombra di dubbio, questioni fondamentali a livello europeo e globale. Accolgo con favore l’avvio dei negoziati a livello internazionale volti a migliorare i DPI e a combattere la contraffazione e la pirateria in maniera più efficace. Sono rimasto tuttavia deluso dal modo in cui sono stati condotti questi negoziati.
Secondo quanto stabilito dal trattato di Lisbona, il Parlamento europeo deve essere informato immediatamente e nel dettaglio dalla Commissione in tutte le fasi di un accordo internazione; questo non è avvenuto l’accordo ACTA. Il Parlamento dovrà inoltre esprimere il proprio consenso sul trattato ACTA prima della sua entrata in vigore nell’Unione. Come potremo approvare l’accoro se ne siamo tenuti all’oscuro? Spero vivamente che la Commissione europea compia il suo dovere e fornisca tutte le informazioni del caso in merito allo stato dei negoziati.
Jan Březina (PPE), per iscritto. – (CS) Signor Presidente, ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo in merito alla trasparenza e la situazione dei negoziati ACTA poiché condivido gli stessi dubbi dei relatori a riguardo allo stato di avanzamento, ad oggi, dei negoziati. Questi, infatti, si stanno svolgendo in un regime “ristretto”, il che significa che solo la Commissione e gli Stati membri possono avere accesso ai documenti negoziali. Il Parlamento europeo è totalmente tagliato fuori, nonostante il suo consenso sia un presupposto fondamentale per l’entrata in vigore dell’accordo. Concordo sul fatto che i contenuti digitali e il loro trattamento non debbano essere inclusi nel testo dell’accordo; se così fosse, le relative disposizioni non dovrebbero essere di natura repressiva. Credo fermamente che l’accordo ACTA non debba andare oltre le normative vigenti in materia di proprietà intellettuale e che qualunque tipo di sanzione sulla copia dei contenuti digitali debba essere a discrezione dei singoli Stati. La tutela della vita privata e dei dati personali deve rimanere un pilastro della legislazione europea, senza rischiare di essere messa a repentaglio da accordi giuridici internazionali. Sono a favore di un accordo ACTA volto a combattere la contraffazione, una grave minaccia per diritti di proprietà intellettuale. D’altro canto, però, le duplicazioni effettuate per fini personali non dovrebbero incluse; in caso contrario, ci si scontrerebbe con il diritto alla libertà personale e all’informazione. In breve, la contraffazione e la duplicazione non possono essere trattati alla stessa maniera.
Derek Roland Clark (EFD), per iscritto. – (EN) Lo scorso mercoledì, il 10 marzo 2010, abbiamo votato, in quanto gruppo, contro la risoluzione sui negoziati ACTA, perché siamo convinti che non debba esistere un trattato ACTA, in qualunque forma. Si tratta di un’abominevole violazione dei diritti di proprietà individuale. Se avessimo votato a favore della risoluzione, avremmo accettato una simile legislazione, ma abbiamo deciso, su queste basi, di non riconoscere il trattato.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Nonostante il trattato di Lisbona e la codecisione in materia di commercio internazionale, la Commissione e gli Stati membri non stanno di certo facilitando un dibattito pubblico sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA). Una simile mancanza di trasparenza solleva alcuni leciti sospetti, che possono essere diminuiti solo attraverso una consultazione con l’opinione pubblica e con il Parlamento europeo. Se da un lato la lotta alla contraffazione è in effetti legittima e indispensabile, dall’altro il trattato ACTA aumenterebbe ulteriormente il peso dei diritti d’autore e del copyright. Si deve permettere ai fornitori di accesso a Internet di controllare lo scambio digitale di file e di imporre sanzioni agli utenti, inclusa l’interruzione della connessione a Internet? I costi legati a queste attività di monitoraggio sarebbero esorbitanti per i fornitori di accesso a Internet e i controlli molto complicati. La pirateria in rete inoltre non è stata ancora classificata come reato né dalle leggi europee né dal diritto internazionale; l’idea di imporre sanzioni sistematiche su vasta così scala non è quindi giustificabile, a maggior ragione se si considera che l’accesso ad Internet, in nome del diritto all’informazione, rimane ancora una libertà fondamentale. La Commissione dovrà presentare al Parlamento un documento che descriva i negoziati e tutte le posizioni in discussione; in caso contrario, il Parlamento potrebbe respingere questo testo negoziato in segreto, così come è accaduto per l’accordo SWIFT.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della risoluzione sulla trasparenza e la situazione dei negoziati dell’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) poiché sostengo un processo trasparente nella condotta dei negoziati.
Per gli effetti dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Parlamento dovrà dare il suo consenso al testo riguardante l’accordo ACTA prima della sua entrata in vigore nell’Unione. Il contributo del Parlamento è essenziale per garantire che le modalità di applicazione dei diritti di proprietà intellettuale non ostacolino l’innovazione, la concorrenza, la tutela dei dati personali e la libera circolazione delle informazioni.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La contraffazione rappresenta uno dei maggiori flagelli dell’economia globale e, nonostante l’impegno profuso per combatterla, è evidente che vi sia una palese incapacità da parte dei singoli Stati di portare a termine con successo questa lotta. I rischi per la salute e la sicurezza dei consumatori che possono derivare dall’acquisto di alcuni prodotti sono ormai chiari a tutti.
Da un punto di vista commerciale e industriale, questa industria parallela, che sfrutta illegalmente la fama e la creatività di altri, indebolisce il valore dei marchi e rende il loro ruolo speciale meno efficace. In tal modo, ferma restando l’importanza di creare un mercato aperto, libero ed equo, è possibile raggiungere questo obiettivo solo se la contraffazione è respinta in toto e combattuta dai principali produttori. L’Accordo commerciale anticontraffazione potrebbe rappresentare una strada che vale la pena percorrere, ma deve essere prima compreso e discusso in maniera trasparente, al contrario di quanto è accaduto fin’ora.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Nel 2008 l’Unione europea e altri paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici hanno avviato una serie di negoziati per un nuovo accordo multilaterale finalizzato a rafforzare l’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale (DPI) e a prendere misure concrete contro la contraffazione e la pirateria (Accordo commerciale anticontraffazione, ACTA); hanno peraltro concordato una clausola di confidenzialità. Qualunque accordo relativo all’ACTA concluso dall’Unione europea deve rispettare gli obblighi legali imposti dall’UE in materia di tutela della privacy e dei dati personali, come stabilito dalle direttive 95/46/CE e 2002/58/CE, e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia. Per effetto del trattato di Lisbona, il Parlamento dovrà approvare il testo dell’accordo ACTA prima della sua entrata in vigore nell’Unione europea. La Commissione si è impegnata a fornire immediatamente al Parlamento informazioni dettagliate nel corso del processo di negoziazione degli accordi internazionali. Si sarebbe dovuta creare una base giuridica prima dell’avvio dei negoziati sull’ACTA e il Parlamento avrebbe dovuto approvare un mandato negoziale. La Commissione dovrebbe avanzare delle proposte prima dell’inizio del prossimo ciclo di negoziati.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) La condanna generale del Parlamento rispetto alla mancanza di informazioni da parte della Commissione in relazione ai negoziati in corso sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) e i limiti che, con questo comportamento, la Commissione ha cercato di imporre sulla verifica e sul controllo democratico, sono abbastanza palesi. Per questo riteniamo importante che la risoluzione sottolinei che “la Commissione ha l’obbligo giuridico di fornire immediatamente informazioni complete al Parlamento in tutte le fasi dei negoziati internazionali”.
E’ necessario avere procedure democratiche e trasparenti nella condotta dei negoziati, così come un dibattito pubblico sul contenuto, elemento per noi positivo. Intendiamo inoltre sottolineare la necessità di rispettare i “diritti fondamentali, quali la libertà di espressione il diritto alla riservatezza privacy nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà”, nonché la tutela dei dati personali. E’ per i motivi sinora elencati che abbiamo votato a favore.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Questa bozza di Accordo commerciale anticontraffazione, detto ACTA, potrebbe sembrare una buona idea, viste le difficoltà che l’economia e l’occupazione in Europa si trovano ad affrontare come risultato di pratiche non eque nel mondo dell’eccessivo libero scambio che ci è imposto. Tuttavia, come sempre accade quando vi è un elemento potenzialmente pericoloso in un accordo negoziato dalla Commissione, tutto si svolge in segreto.
Mi riferisco, per esempio, all’accordo di Blair House, che ha sacrificato l’agricoltura europea per soddisfare l’appetito delle multinazionali agroalimentari statunitensi. Mi riferisco allo scandaloso accordo multilaterale sugli investimenti (AMI) che ha cercato di dispensare le multinazionali dal rispetto delle norme vigenti nei paesi in cui operavano; fortunatamente questo accordo non è mai stato concluso. In questo caso l’oggetto della discussione è la sessione dell’ACTA riguardante Internet; si tratta essenzialmente dell’introduzione a livello mondiale di una mostruosa legge Hadopi.
Gli agenti di dogana potrebbero controllare i lettori MP3, i telefoni cellulari e i computer portatili di qualunque cittadino sospettato di aver scaricato file illegalmente. I fornitori di accesso a Internet potrebbero essere costretti a interrompere la connessione dei loro clienti o fornire informazioni in merito. Queste misure sono inaccettabili e abbiamo quindi votato a favore di questa risoluzione che invita a una totale trasparenza nei negoziati e minaccia di portare la Commissione dinanzi ai tribunali qualora si rifiuti.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Mi sono espressa a favore della risoluzione volta a ottenere una totale trasparenza da parte della Commissione europea in merito ai negoziati sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA), attualmente condotti in segreto. Oltre al rischio derivante dalla reintroduzione delle risposte graduali, potrebbero anche essere messi in discussione non solo il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini, in termini di libertà di espressione e di tutela della privacy e dei dati personali, ma anche il principio di non responsabilità dei fornitori di accesso a Internet e degli host. Di conseguenza, il Parlamento, in quanto voce dei cittadini europei, non può essere tagliato fuori da questi negoziati e deve ricevere le stesse informazioni fornite al Consiglio; si tratta di un requisito democratico. L’ACTA non deve compromettere l’accesso ai farmaci generici. In questo contesto, considerando i metodi e le preoccupanti voci che circolano a proposito del contenuto dell’Accordo, non posso far altro che esprimermi a favore di una risoluzione che risulta di importanza cruciale per un simile accordo.
Małgorzata Handzlik (PPE), per iscritto. – (PL) Nella risoluzione adottata, il Parlamento ha chiaramente espresso il proprio sostegno per una maggiore trasparenza nei negoziati portati avanti dalla Commissione europea sull’Accordo commerciale anticontraffazione. La pirateria e la contraffazione rappresentano un problema sempre più grave per l’economia, sia a livello europeo sia globale.
Le economie dei paesi in via di sviluppo stanno diventando sempre di più delle economie basate sulla conoscenza. Sono necessari principi chiari ed efficaci per tutelare i diritti di proprietà intellettuale che non vadano a interferire con l’innovazione e la concorrenza, che non rappresentino un ostacolo per il commercio legale e che tutelino la nostra riservatezza e i diritti fondamentali, quali la libertà di espressione. E’ per questo che la risoluzione adottata oggi non si scontra con l’idea di concludere l’accordo. Tuttavia, i negoziati condotti dalla Commissione europea non sono trasparenti.
Il Parlamento e i cittadini europei non sono aggiornati sulla situazione dei negoziati per l’ACTA e la mancanza di informazione solleva perplessità. Desideriamo maggiore trasparenza da parte della Commissione e vogliamo ora sapere quali sono le condizioni che i negoziatori della Commissione stanno accettando a nome di 500 milioni di cittadini europei.
Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. – (DE) I negoziati sull’accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) in merito alle disposizioni sulle norme per i diritti d’autore, alla lotta alla contraffazione e alla pirateria in rete rappresentano indubbiamente un passo importante nell’ambito della tutela della proprietà intellettuale. Purtroppo, però, la politica di informazione della Commissione in merito a questi negoziati lascia molto a desiderare.
La mancanza di trasparenza circa la situazione dei negoziati rende difficile per il Parlamento europeo contribuire in maniera costruttiva alla stesura delle disposizioni e garantire in anticipo che non vi sia alcuna limitazione dei diritti civili dei cittadini europei né alcuna violazione delle direttive sulla tutela dei dati personali. Sostengo la proposta di risoluzione (RC7-0154/2010) e quindi l’invito del Parlamento alla Commissione di articolare la propria politica di informazione in relazione ai negoziati sull’ACTA in maniera trasparente, completa e olistica.
David Martin (S&D), per iscritto. – (EN) La trasparenza nei negoziati sull’ACTA è di importanza cruciale e sono lieto che numerosi eurodeputati abbiano richiesto informazioni complete. Se da un lato sono lieto di sentire che gli individui non saranno incriminati per l’uso personale e che l’accordo ACTA non sarà utilizzato per impedire l’accesso ai medicinali generici nei paesi in via di sviluppo, dall’altro mi auguro che il Parlamento sia messo nelle condizioni di poter accedere a tutti i documenti e possa monitorare le fasi dei negoziati per garantire che sia veramente così.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La mancanza di trasparenza nell’ambito dei negoziati sull’Accordo commerciale anticontraffazione (ACTA) è in opposizione al trattato sul funzionamento dell’Unione europea. E’ di fondamentale importanza che il Consiglio e la Commissione mettano immediatamente a disposizione tutta la documentazione alla base dei negoziati. Il mancato rispetto di questo dovere da parte della Commissione e del Consiglio potrebbe spingere il Parlamento a ricorrere alle vie legali per accedere ai documenti, il che andrebbe a discapito del prestigio delle istituzioni europee coinvolte.
Zuzana Roithová (PPE), per iscritto. – (CS) Vorrei ringraziare i relatori e tutti gli onorevoli colleghi responsabili, con una così ampia maggioranza, della chiara e intransigente posizione del Parlamento contro la mancanza di trasparenza nei negoziati di un accordo internazionale di importanza così elevata. Ci aspettiamo che l’Accordo possa conferire una nuova dimensione internazionale alla lotta contro la contraffazione, senza però limitare il diritto dei cittadini europei alla riservatezza.
Ritengo, inoltre, che il mancato invito alla Cina a sedersi al tavolo dei negoziati rappresenti un problema e nel corso della discussione di ieri, la Commissione mi ha riferito di considerarlo un errore strategico. L’idea che la Cina, il maggiore produttore di prodotti contraffatti al il mondo, firmi in seguito un accordo già negoziato sembra poco realista. Confido nel fatto che l’odierna relazione possa convincere la Commissione a rivedere il proprio approccio nei confronti del Parlamento che, grazie al trattato di Lisbona, ha nuovi poteri decisionali congiunti anche in materia di politica estera.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Mi sono espresso a favore della risoluzione RC7-0154/2010 sull’accordo commerciale anticontraffazione e sono lieto che una grande maggioranza del Parlamento abbia fatto altrettanto. L’ACTA rischia di diventare un accordo sull’assenza di trasparenza da parte della Commissione che, nel corso dei negoziati, dovrebbe rispettare il principio di trasparenza, i diritti umani e il diritto giuridico del Parlamento ad essere informato. La Commissione, invece, sta fallendo la prova del nove per quanto riguarda il suo dovere di informare il Parlamento, secondo quanto stabilito dal trattato di Lisbona. L’Unione europea non può continuare a trattare sull’ACTA se ai cittadini non viene consentito di prendere parte al processo.
E’ assurdo e totalmente inaccettabile che i membri del Parlamento, in segreto, debbano chiedere alla Commissione informazioni sul contenuto degli accordi sui quali noi siamo poi chiamati a esprimerci. Il Parlamento europeo ha dimostrato di non accettare la segretezza e di desiderare una rete Internet aperta a tutti. Gli eurodeputati hanno inoltre dimostrato che il Parlamento non accetterà di essere trattato come uno zerbino. La Commissione è stata caldamente invitata a informarci immediatamente e in modo esaustivo in merito ai negoziati sull’ACTA.
Harlem Désir (S&D), per iscritto. – (FR) L’attuale sistema di preferenze tariffarie generalizzate (SPG) presto volgerà a termine. Ho votato a favore della risoluzione, tra i cui obiettivi specifici vi è il coinvolgimento totale del Parlamento nella revisione del sistema entro il 2012. Questo regime commerciale permette a 176 tra paesi e regioni in via di sviluppo di trarre beneficio da un accesso preferenziale al mercato europeo se ratificano le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sui diritti sociali e le convenzioni delle Nazioni Unite in materia di diritti umani.
La sua attuazione è tuttavia insoddisfacente. Per questo motivo richiediamo, prima della revisione, una relazione sullo stato della ratifica, l’attuazione delle convenzioni, una valutazione d’impatto degli effetti dell’SPG per il periodo 20062009, l’inserimento di una condizione che preveda l’attuazione obbligatoria di 27 convenzioni delle Nazioni Unite e una maggiore trasparenza delle indagini, prevedendo, in particolar modo, consultazioni regolari con il Parlamento.
Mi rammarico che, nel corso di questa votazione, a causa dell’opposizione della destra, non sia stato approvato un emendamento per richiedere una procedura di accertamento in Colombia in merito all’uccisione di numerosi sindacalisti e alle fosse comuni con centinaia di cadaveri della regione de La Macarena.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea è il più grande fornitore al mondo di aiuti umanitari e allo sviluppo. Sappiamo che ogni anno l’UE e gli Stati membri stanziano diversi milioni di euro a favore di programmi di sviluppo, un sostegno necessario e che, in molti casi, fa davvero la differenza.
In quanto sostenitore dell’economia di mercato, sono fermamente convinto che gli aiuti allo sviluppo possono (e devono) essere forniti attraverso politiche commerciali che apportino dei benefici ai paesi in via di sviluppo. Ritengo che proprio in quest’ambito si possa collocare il sistema di preferenze tariffarie generalizzate, che permette ai paesi sviluppati di offrire un trattamento preferenziale e non-reciproco per i prodotti importati dai paesi in via di sviluppo.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Non è totalmente sicuro affermare, come invece figura nella risoluzione, che il sistema di preferenze tariffarie generalizzate (SPG) sia un meccanismo che sostiene i paesi in via di sviluppo. Le conseguenze di questo sistema, infatti, accentuano la dipendenza economica di questi paesi poiché ne condiziona la produzione ai fini dell’esportazione, a discapito del mercato interno. In buona parte sono proprio le società transnazionali, alcune delle quali di paesi europei, e non le popolazioni dei paesi in via di sviluppo, a trarre beneficio da questo sistema.
Alcune delle intenzioni che dovrebbero essere alla base dell’SGP sono quindi in contraddizione con i suoi risultati effettivi.
D’altro canto, dinanzi a una crescente pressione per la liberalizzazione del commercio internazionale, è evidente che l’Unione europea ha utilizzato il fine di questo regolamento come una forma di ricatto per ottenere, attraverso un’insostenibile pressione diplomatica ed economica su questi paesi, l’accettazione dei succitati accordi di libero scambio.
Affinché l’SPG divenga un meccanismo di aiuti allo sviluppo sarà necessario, come noi proponiamo, abolire e quindi rinegoziare il sistema stesso e le altre politiche per gli aiuti allo sviluppo, dando vita a una solidarietà efficace e lottando contro la dipendenza economica e lo sfruttamento delle risorse naturali e umane da parte dei gruppi economici interni all’Unione europea.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Le azioni intraprese dalla Comunità europea a partire dal 1971 in relazione ai paesi in via di sviluppo, attraverso delle preferenze commerciali regolate dal sistema di preferenze tariffarie generalizzate, rappresentano un modo per rendere il commercio globale più equo e, al contempo, per aiutare questi paesi nella loro crescita e sviluppo economico.
I regolamenti attualmente in vigore non avranno più validità a partire dal 2011 e questo richiede un impegno sin d’ora per elaborare un nuovo strumento che possa mantenere e, se possibile, migliorare i vantaggi che il sistema ha apportato ai paesi in via di sviluppo; questo obiettivo aumenta ulteriormente di importanza nel contesto della crisi internazionale da cui stiamo uscendo. Se vogliamo evitare iniquità è tuttavia fondamentale che la nuova lista di paesi che beneficeranno di questo sistema rispecchi effettivamente la loro situazione economica.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della risoluzione comune sul sistema di preferenze tariffarie generalizzate (SPG) (RC7-0181/2010) nonostante sia dispiaciuto e rattristato dal fatto che l’ambasciata colombiana sia riuscita a convincere alcuni dei nostri onorevoli colleghi a omettere qualunque riferimento alla necessità di indagare sulle violazioni ai diritti umani perpetrate in Colombia e a decidere sulla base dei fatti se ritirare o meno le preferenze tariffarie per le merci colombiane.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione del Parlamento europeo sulla politica estera e di sicurezza comune dell’UE, insieme alla corrispondente relazione sulla politica europea di sicurezza e difesa, presentate dall’alleanza anti-popolare dei conservatori, social democratici e liberali del Parlamento, indica chiaramente il costante sostegno dei portavoce politici del capitale per la promozione di una maggiore militarizzazione dell’Unione, in particolar modo in seguito all’entrata in vigore del reazionario trattato di Lisbona, e il loro ruolo attivo nella promozione della politica imperialista europea, degli interventi e delle guerre scatenate nei confronti di paesi terzi e popolazioni in ogni angolo del pianeta per servire gli interessi e la sovranità del monopolio del capitale, cercando di portare avanti una scalata imperialista per la lotta di potere.
La risoluzione invita a:
a) un’efficace organizzazione del servizio europeo per l’azione esterna (fondato con il trattato di Lisbona), il nuovo braccio politico-militare per organizzare, sostenere e mettere in atto gli interventi imperialisti dell’Unione;
b) aumentare le voci di spesa nel bilancio dell’Unione per i suoi interventi politici e militari;
c) integrare in modo più efficace le capacità militari e politiche dell’Unione anche attraverso un legame più forte con la NATO, elemento fondamentale per un migliore esercizio dei suoi interventi imperialistici utilizzando la forza militare.
Il partito comunista greco ha votato contro e condanna questa relazione inaccettabile, che è semplicemente un vero e proprio manuale per attacchi imperialisti contro i popoli.
Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto . – (RO) L’Unione europea deve sviluppare la propria autonomia strategica attraverso una politica estera, di sicurezza e di difesa più potente ed efficace, al fine di difendere i propri interessi a livello globale, garantire la sicurezza dei propri cittadini e promuovere il rispetto dei diritti umani e i valori democratici in tutto il mondo. Grazie ad accordi di sicurezza europea più efficaci gli Stati membri devono dimostrare il loro impegno nel rendere l?unione europea un attore ancor più importante sullo scenario internazionale.
Ritengo che la prossima relazione annuale del Consiglio sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC) dovrà riferirsi direttamente all’attuazione della strategia per la politica estera dell’Unione europea, verificandone l’efficacia; dovrà inoltre presentare le condizioni per stabilire un dialogo specifico e diretto con il Parlamento, incentrato sulla predisposizione di un approccio strategico alla politica estera e di sicurezza comune.
John Attard-Montalto (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato contro l’emendamento n. 18 poiché, dal mio punto di vista, contiene un paradosso: nella parte introduttiva deplora la logica di militarizzazione mentre, in conclusione, afferma che “la PESC è basata su principi pacifici” e sulla demilitarizzazione della sicurezza. La mia posizione è in linea con la posizione internazionale di neutralità del mio paese e, poiché l’emendamento non è del tutto chiaro, ho deciso di non poter votare a favore o astenermi.
Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Sostengo questa relazione, poiché ritengo che una politica estera e di sicurezza comune chiara e ben coordinata possa apportare un contributo significativo al rafforzamento dei poteri dell’Unione europea a livello internazionale. Una delle questioni più importanti della PESC è sicuramente la crescente dipendenza energetica dell’UE dalle fonti di approvvigionamento e dalle vie di transito, con la conseguente necessità di limitare la dipendenza energetica da paesi terzi. Vorrei esortare il vicepresidente della Commissione e alto rappresentante, la Baronessa Ashton, a mettere in atto senza esitazioni le raccomandazioni del Parlamento in merito alla creazione di una politica europea ben concertata e coerente, attraverso alcune misure: la promozione della coesione dell’Unione nel mantenere un dialogo costruttivo con i principali fornitori di energia – in particolare la Russia – e con i paesi di transito; il sostegno delle priorità energetiche dell’UE; la tutela degli interessi degli Stati membri; lo sviluppo di un efficace lavoro diplomatico; la creazione di migliori misure di risoluzione della crisi; la promozione della diversificazione dell’approvvigionamento energetico, dell’impiego di energia sostenibile e dello sviluppo di energia rinnovabile. Sono convinto che solo attraverso un’azione comune l’Unione, in futuro, sarà in grado di garantire un approvvigionamento continuo e sicuro di gas e petrolio agli Stati membri e aumentare la propria indipendenza energetica.
Göran Färm, Anna Hedh, Olle Ludvigsson, Marita Ulvskog e Åsa Westlund (S&D), per iscritto. – (SV) Noi socialisti e democratici svedesi riteniamo che il partenariato tra UE e NATO non debba essere sviluppato soltanto sulla base della Carta delle Nazioni Unite. Riteniamo importante che nella sua formulazione sia incluso anche il punto di vista degli Stati membri e che siano prese in considerazione le diverse posizioni e tradizioni nazionali per quanto riguarda la politica estera, di sicurezza e difesa.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Come molti Stati membri (se non tutti), l’Unione europea si trova ad affrontare un bilancio inferiore alle proprie ambizioni e per niente sufficiente a portare avanti tutte le azioni che si è proposta. La lunga lista dei valori e delle aspettative europei non fa altro che sottolineare maggiormente questa asimmetria.
Il fatto che, per raggiungere l’eccellenza, la politica rappresenti un’attività in cui è necessario prevedere e prendere delle misure, assume una rilevanza particolare quando le tematiche in questione sono di così fondamentale importanza per le nostre vite comuni, come nel caso della politica estera e di sicurezza.
Il trattato di Lisbona e la conseguente istituzione della carica di alto rappresentante dimostra la convinzione degli Stati membri della necessità di reattività, coordinamento e convergenza nell’azione europea in questioni di politica estera e di sicurezza. Solo dopo l’attuazione pratica di queste misure sarà possibile constatare se le disposizioni del trattato sono sufficienti e se quanto è stato stabilito nel suo testo darà i suoi frutti.
Spero che l’Unione sia in grado di far fronte in modo efficace a questa importante sfida.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) La relazione sull’attuazione della strategia europea di sicurezza è un documento annuale redatto dal Parlamento che verifica la politica europea di sicurezza e difesa e presenta una serie di proposte volte a migliorare l’efficienza e la visibilità di questa politica. Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, l’azione esterna dell’UE acquisisce una nuova dimensione e maggiore importanza. Il Parlamento riveste un ruolo fondamentale in quanto custode della legittimità democratica dell’azione esterna. Il servizio europeo per l’azione esterna diventerà il corpo diplomatico europeo e sarà un utile strumento per l’Unione che, fino ad ora, ha potuto far leva esclusivamente sulla rappresentanza nazionale. E’ fondamentale che l’Unione europea disponga delle risorse di bilancio necessarie per raggiungere gli obiettivi della rappresentanza esterna.
Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Vorrei fare riferimento ad alcuni punti nella sezione dedicata ai Balcani occidentali della relazione sugli aspetti principali e le scelte di base della politica estera e di sicurezza comune nel 2008.
E’ necessario considerare che nel corso della riunione del Consiglio “Affari generali e relazioni esterne” del febbraio 2008, è stato stabilito che ogni Stato membro può decidere, in conformità alle prassi nazionali e al diritto internazionale, le proprie relazioni con il Kosovo.
Al contempo, ci aspettiamo di ricevere il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia entro il primo semestre di quest’anno per quanto attiene all’ottemperanza al diritto internazionale della dichiarazione unilaterale di indipendenza proclamata dalle istituzioni provvisorie di autogoverno in Kosovo.
E’ necessario mantenere un approccio equilibrato nel valutare gli sviluppi del processo di stabilizzazione del Kosovo, sempre tenendo in considerazione le tensioni verificatesi nel 2009, anche a novembre, in periodo elettorale. Ritengo vi siano numerose sfide da affrontare, in modo particolare per l’applicazione della legge, la lotta alla corruzione e al crimine organizzato, la protezione dei serbi e delle altre minoranze, la riconciliazione tra le comunità e l’attuazione delle riforme economiche e sociali.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il trattato di Lisbona ha conferito nuove responsabilità al Parlamento europeo in materia di politica estera e di sicurezza comune , responsabilità che siamo pronti ad assumere; siamo pronti a portare il nostro contributo nella scelta delle politiche e dei relativi rappresentanti in tutto il mondo, valutando le candidature proposte dal servizio europeo per l’azione esterna e includendo anche i rappresentanti speciali dell’UE. L’Unione deve dimostrare dinanzi alla comunità internazionale di possedere una politica estera che sta diventando sempre di più rappresentativa, coerente, sistematica ed efficace. L’Unione deve gradualmente diventare l’attore principale nella costruzione della pace a livello mondiale.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Ho votato contro la relazione annuale 2008 del Consiglio al Parlamento europeo sugli aspetti principali e le scelte di base della politica estera e di sicurezza comune (PESC), poiché ritengo che l’obiettivo della PESC sia di definire la politica estera dell’UE e non di difendere il proprio territorio. Non sono d’accordo sul legame tra l’Unione europea e la NATO creato dal trattato di Lisbona; ho invece sostenuto la demilitarizzazione e l’assenza di armamenti. Condanno la logica della militarizzazione dell’Unione europea, che è andata intensificandosi con l’adozione del trattato di Lisbona, e i cambiamenti da questo introdotti, quali il servizio europeo per l’azione esterna e il ruolo dell’alto rappresentante. Attualmente, ci troviamo dinanzi al più elevato livello di militarizzazione mai raggiunto nella storia. Le spese destinate agli armamenti sono maggiori persino rispetto al periodo della guerra fredda. Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica chiede il ritiro da tutte le basi militari statunitensi e l’impiego delle spese militari unicamente per scopi civili, al fine di raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Questa relazione cerca di attribuire all’Unione europea il ruolo di principale attore sulla scena globale; in questo modo però non fornisce alcuna chiara indicazione degli obiettivi o degli orientamenti della politica estera e di sicurezza comune (PESC). La necessità di un maggiore contributo finanziario deve essere quindi respinta; gli impegni internazionali dovrebbero in effetti essere valutati in base alla loro adeguatezza e ai benefici per l’Unione europea. E’ inoltre necessario sviluppare un approccio strategico nell’ambito della PESC. Mi oppongo con fermezza all’abolizione della regola dell’unanimità, soprattutto se l’obiettivo è – come è stato più volte ripetuto – sviluppare ulteriormente il partenariato con la NATO. L’Unione europea deve essere in grado di creare le proprie strutture e deve, ovviamente, avere a disposizione le risorse necessarie. In merito alle numerose operazioni e missioni, dovremmo riconsiderare molte delle attuali 23 diverse operazioni in cui è coinvolta l’Unione europea; per quanto riguarda l’Afghanistan, in particolare, la strategia seguita sotto la guida degli Stati Uniti deve essere considerata un fallimento.
Il coinvolgimento dell’Unione europea deve quindi essere immediatamente riconsiderato. Nel contesto del partenariato orientale, è opportuno sottolineare ancora una volta che gli interessi della Russia devono essere presi in considerazione per il loro valore storico, culturale e geografico e che è preferibile evitare un’azione unilaterale da parte dell’UE. La relazione non tiene conto di tutti questi elementi ed è carente anche in altri ambiti; per questo ho espresso voto contrario.
María Muñiz De Urquiza (S&D), per iscritto. – (ES) Per quanto riguarda le relazioni Albertini e Danjean sulla politica estera, di sicurezza e difesa dell’Unione europea, vorrei chiarire che i voti della delegazione spagnola del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, confermano il non riconoscimento dello Stato indipendente del Kosovo, così come non è stato riconosciuto dalla Spagna, da altri quattro Stati membri dell’Unione europea e da altri 100 Stati membri delle Nazioni Unite.
Sia nella commissione per gli affari esteri sia oggi in quest’Aula, abbiamo sostenuto gli emendamenti che erano in linea con il nostro punto di vista. La posizione della delegazione socialista spagnola è, tuttavia, positiva in merito alla stabilizzazione e al processo di allargamento che coinvolge i paesi dei Balcani occidentali, la Turchia e l’Islanda.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione (A7-0023/2010) sulla relazione annuale sulla PESC, principalmente perché due dei cinque emendamenti dai noi proposti sono stati adottati (uno concerne il dialogo transatlantico dei legislatori e l’altro le aspettative per lo sviluppo di un partenariato strategico tra UE e Cina). Non sono state apportate modifiche sostanziali alla proposta di relazione originale e non vi sono state sorprese tra gli emendamenti adottati; la relazione ha, infatti, ricevuto 592 voti a favore (tra cui il nostro) e 66 contrari.
Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. – (SV) Ho votato contro questa relazione che afferma che i valori e gli interessi dell’Unione europea debbano essere portati avanti a livello mondiale attraverso l’approfondimento del pensiero strategico collettivo europeo. Questa proposta suona come un approccio neocoloniale. Secondo l’onorevole Albertini le competenze dell’UE dovrebbero coprire tutte le aree di politica estera e tutte le questioni in materia di sicurezza, inclusa la politica comune di difesa che dovrebbe condurre a una difesa comune. Su questo punto l’Europa è divisa. Il Parlamento sta richiedendo maggiori stanziamenti di bilancio da parte degli Stati membri in particolare per quanto riguarda la necessità per l’Unione europea di stabilire in tempi brevi una larga presenza presso le Nazioni Unite, che parli ad una sola voce. Gli Stai membri, ovviamente, continueranno a mantenere il proprio posto alle Nazioni Unite, ma l’UE, parlando all’unanimità, eserciterà un’influenza maggiore su di essi. Il Parlamento europeo ritiene che UE e NATO debbano sviluppare un partenariato intenso ed efficace. Queste proposte contrastano con la politica di non-allineamento del mio paese. I cittadini europei non hanno mai avuto l’opportunità di esprimere la propria opinione in merito perché alcuni Stati membri si sono rifiutati di indire dei referendum sul trattato di Lisbona.
Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) La relazione sulla PESC rappresenta un invito ai popoli a combattere una guerra lanciato dal centro imperialista dell’Unione. Segna una nuova escalation nella concorrenza con altri centri imperialisti.
La relazione:
- accoglie con favore 70 000 partecipanti alle 23 missioni militari e “politiche” dell’Unione europea in tutto il mondo, in molti casi in cooperazione con Stati Uniti e NATO;
- è favorevole al controllo marittimo imperialista della Somalia per mano delle forze navali dell’Unione e invita l’UE a creare in Sudan un controllo statale e un meccanismo militare regolare all’estero, che non deve sovvertire il governo del paese;
- sostiene la creazione di una direzione di gestione delle crisi e di pianificazione dal civile e militare e la creazione di un centro operativo permanente dell’UE;
- esorta all’aumento del terrorismo statale e al soffocamento dei diritti democratici in nome della “lotta al terrorismo” e della “radicalizzazione”;
- promuove la rapida organizzazione del servizio europeo per l’azione esterna con competenze politiche e militari;
- invita a organizzare interventi di carattere politico e militare, anche negli Stati membri, nel contesto di un presunto sostegno reciproco previsto dalla clausola di “solidarietà” del trattato di Lisbona.
Il vero interesse dei popoli è sovvertire l’intera politica imperialista e anti-popolare e la struttura stessa dell’Unione europea.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Il Parlamento europeo ha ricevuto, attraverso il voto dei cittadini europei, maggiori poteri in merito a questioni quali il bilancio e il controllo sulla politica estera, di sicurezza e di difesa. Alla luce di questo, i deputati devono essere interpellati dalle altre istituzioni europee nel processo decisionale e nella nomina dei rappresentanti dell’Unione a livello internazionale. I poteri conferiti al Parlamento europeo attraverso il trattato di Lisbona mirano ad aumentare la legittimità delle decisioni in materia di politica estera, di sicurezza e di difesa.
Queste basi giustificano la richiesta di istituire un Consiglio della difesa nel quadro del Consiglio “Affari esteri”, nonché la creazione di un centro operativo permanente dell’UE che si occupi della pianificazione e dell’attuazione delle operazioni militari. La discussione a proposito dello scudo antimissile, forma nella formulazione attuale proposta dall’amministrazione statunitense, deve essere condotta in tutta l’Unione europea con un coinvolgimento attivo del Parlamento.
E’ necessario chiarire che solo l’Unione ha il diritto esclusivo di determinare la politica di sicurezza e di difesa e che non sono giustificati interventi da parte di Stati terzi. L’Unione europea decide su come garantire al meglio la sicurezza dei propri cittadini, ovvero sulla base del raggiungimento del consenso tra Stati membri e non attraverso il coinvolgimento di Stati extracomunitari.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) L’Unione europea è stata spesso definita come un gigante economico e un nano politico e questo significa che non ha ricevuto gli strumenti necessari per perseguire alcuni dei suoi obiettivi, in particolar modo per quanto riguarda la politica estera. In diverse occasioni è emersa la mancanza di unanimità di intenti e di azione tra gli Stati membri.
Nutro alcuni dubbi in merito alla possibilità di cambiare questa situazione a breve termine; credo invece che gli sviluppi della situazione siano piuttosto prevedibili, visto il numero degli Stati membri e i loro interessi e storie specifici. La questione della politica di difesa comune, che va ad inserirsi nella vera e propria essenza del potere sovrano, è storicamente sempre stata un punto di sfiducia per i paesi europei e persino oggi richiede un’attenzione particolare, il che è anche giustificabile.
Tutto questo non deve impedirci di cercare un coordinamento e una cooperazione maggiori al fine di migliorare la nostra sicurezza e difesa comuni. Nonostante la sua natura di potenza leggera, l’Unione dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di diventare il secondo pilastro in un’alleanza atlantica che non può continuare a richiedere che siano gli Stati Uniti a compiere tutti i sacrifici.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Questa relazione, che unisce conservatori di destra e social democratici, rappresenta un pericoloso sintomo di quanto abbiamo più volte denunciato a proposito del trattato di Lisbona, ovvero il suo contributo all’espansione del neoliberalismo, basato sul federalismo e sulla militarizzazione dell’Unione europea in quanto pilastro europeo della NATO.
Al comando delle grandi potenze, l’UE sta cercando di risolvere le proprie contraddizioni e ritrovare il suo posto all’interno di un processo di riorganizzazione delle forze a livello internazionale, basato su una concezione che prevede la concorrenza tra le potenze per le risorse naturali e per una maggiore affermazione dell’Unione europea in quanto blocco economico, politico e militare con delle mire interventiste a livello globale.
In questa sede, la maggioranza della Camera ha proposto la ricetta di quanto ha sostenuto per anni:
- la militarizzazione delle relazioni internazionali e della sicurezza interna sulla base della lotta al terrorismo;
- l’aumento dei bilanci in questi ambiti e la creazione di nuove capacità militari che contribuiranno a una nuova corsa agli armamenti;
- l’adattamento al concetto degli Stati Uniti e della NATO di guerra preventiva e un aumento nel numero degli interventi a livello mondiale.
Il risultato di questi sviluppi potrebbe essere un incremento dei conflitti, lo sfruttamento e la povertà in risposta alla crisi in cui il capitalismo ha trascinato il mondo.
Il cammino verso la pace richiede l’interruzione di simili politiche.
Charles Goerens (ALDE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Danjean, ma vorrei presentare le seguenti considerazioni. 1) La relazione invita all’abolizione dell’Assemblea parlamentare dell’Europa Occidentale (UEO). E’ dunque vano ricercare nella relazione il benché minimo riferimento al lavoro dell’assemblea per favorire ulteriormente l’integrazione europea. E’ spiacevole per il lavoro della commissione per gli affari esteri vedere come spesso alcuni elementi ricevano il plauso, benché siano meno lodevoli di altre idee proposte sinora dall’assemblea di Parigi. 2) Il controllo parlamentare sulle questioni di difesa europea dovrà tenere in debita considerazione il contributo dei parlamenti nazionali. Proprio da questi infatti dipende la decisione di mettere le truppe e le capacità nazionali a disposizione dell’Unione europea per le missioni militari in cui è impegnata per un periodo piuttosto lungo. Lo stesso vale anche per il finanziamento delle operazioni militari che viene stanziato attraverso i bilanci nazionali. Il desiderio di impedire qualunque tipo di lacuna nelle questioni di difesa europea dovrebbe guidarci nella ricerca di una soluzione istituzionale che sia davvero accettabile a livello parlamentare.
Richard Howitt (S&D), per iscritto. – (EN) I deputati laburisti accolgono con favore questa revisione annuale sull’attuazione della strategia europea di sicurezza e la politica di sicurezza e di difesa comune, in particolar modo alla luce dei cambiamenti conseguenti la ratifica del trattato di Lisbona e accolgono di buon grado il ruolo dell’alto rappresentante, la Baronessa Ashton, nella discussione associata in Parlamento.
Abbiamo votato a favore di questa relazione nel suo complesso, ma ci siamo tuttavia espressi contro il paragrafo 20, che propone la creazione di un centro operativo permanente dell’Unione. E’ da sempre stata nostra convinzione, come d’altronde lo è stato per il governo britannico, che non vi sia la necessità di un centro operativo permanente, il quale non farebbe altro che duplicare inutilmente le strutture già esistenti. Per quanto riguarda l’emendamento n. 20 abbiamo deciso di astenerci dalla votazione poiché, nonostante sosteniamo totalmente qualunque passo verso un mondo senza armi nucleari, abbiamo notato un’inesattezza: nella formulazione dell’emendamento, le armi “statunitensi” coincidono la NATO e non con la capacità degli Stati Uniti. Per questo, riteniamo che la questione del ritiro delle armi nucleari dalla Germania o da qualunque altro Stato debba essere oggetto di discussione da parte degli alleati della NATO, inclusi gli Stati Uniti. Non si tratta di un dibattito rivolto esclusivamente all’Unione europea in quanto entità multilaterale separata.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La politica estera e di sicurezza comune e la politica europea di sicurezza e di difesa rappresentano due pilastri che permettono all’Unione europea di divenire uno degli attori principali della comunità internazionale nella lotta alle sfide e alle minacce identificate nella strategia europea di sicurezza.
Nonostante l’Unione europea consideri il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il principale responsabile per il mantenimento e la protezione della pace e della sicurezza a livello mondiale, deve tuttavia disporre di politiche efficaci condivise da tutti gli Stati membri, in modo tale da poter rispondere in maniera efficace alle sfide e alle minacce di natura globale.
Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. – (ES) Ho votato contro la relazione Danjean perché propone una futura politica estera e di sicurezza comune incentrata sulla promozione della militarizzazione dell’Unione europea e del suo interventismo. Ho espresso voto contrario in merito a questo testo perché si riferisce al trattato di Lisbona e alla sua applicazione. Si promuove un passo vero la centralizzazione del potere, senza alcun tipo di meccanismo di controllo parlamentare che trasformerà l’Unione in un attore militare sullo scenario internazionale. Al posto di una cooperazione permanente e strutturata tra UE e NATO – ovvero quanto proposto dalla relazione – sono a favore di tutte quelle attività strettamente condotte nel quadro della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, con una netta separazione tra le due istituzioni.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) La relazione presentata dell’onorevole Danjean sull’attuazione della strategia europea di sicurezza e la politica di sicurezza e di difesa comune è molto completa e affronta numerose tematiche molto importanti per l’Europa. Non vi è tuttavia un riferimento chiaro alla fondamentale elaborazione della politica estera dell’Unione per i prossimi anni e manca inoltre una linea politica ferma. Dall’altro lato, la relazione cerca di rafforzare l’autonomia dell’Unione europea rispetto ad altri attori globali, in particolar modo rispetto agli Stati Uniti, attraverso una forte politica estera, di sicurezza e di difesa, un elemento che accolgo di buon grado. Eppure la relazione si schiera a favore della cooperazione tra UE e NATO e si pone, ad esempio, l’obiettivo di creare strutture istituzionali congiunte. L’invito alla redazione di un Libro bianco sulla politica di sicurezza e di difesa comune che ne definisca in maniera chiara gli obiettivi è nettamente raccomandabile. Nonostante sia critico nei confronti di una crescente centralizzazione dell’Unione europea, sostengo la creazione di un centro operativo permanente dell’Unione.
Un centro simile permetterebbe di pianificare ed eseguire diverse operazioni in maniera più efficiente. Inoltre, evitare duplicati di lavoro porterebbe a un risparmio in termini monetari. La clausola di solidarietà relativa ai disastri naturali cui la relazione fa riferimento, così come la creazione di una forza europea di protezione civile, rappresenta senza alcun dubbio un elemento utile e un obiettivo da raggiungere. Tuttavia, poiché in diversi ambiti le posizioni assunte non erano chiare, mi sono visto costretto ad astenermi dalla votazione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Mi sono astenuto dalla votazione finale sulla relazione annuale sull’attuazione della strategia europea di sicurezza e la politica di sicurezza e di difesa comune (A7-0026/2010). Si tratta di una della relazioni più complesse e delicate che abbiamo saputo gestire in maniera appropriata. Su un totale di 11 emendamenti proposti, ne sono stati approvati due e mezzo (uno dei quali di fondamentale importanza che esorta il vicepresidente/alto rappresentante a superare le differenze tra le capacità di pianificazione civili e militari). Non sono stati approvati altri cambiamenti significativi. Alla fine la relazione è stata approvata con 480 voti a favore e 111 contrari; io e il mio gruppo politico ci siamo astenuti, come ho già detto, dalla votazione.
Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. – (SV) Ho votato contro la relazione poiché si tratta di uno dei documenti più militaristi che abbia mai letto in tutti i miei anni al Parlamento. Quest’Assemblea richiede la creazione di un centro operativo permanente dell’Unione incaricato della pianificazione operativa, della condotta delle operazioni militari e del rafforzamento della cooperazione con la NATO. L’Agenzia europea per la difesa svilupperà la capacità di sorveglianza dello spazio militare. Sarà necessario predisporre la capacità di sorveglianza marittima che, tra l’altro, permetterà di limitare l’immigrazione “clandestina”. La relazione richiede la partecipazione di un maggior numero di Stati membri alle operazioni militari dell’Unione, rispetto al passato. L’UE e il Parlamento devono essere coinvolte nelle discussioni a proposito del concetto strategico della NATO. In quanto cittadina di un paese non allineato, non posso sostenere questa relazione lungimirante.
Traian Ungureanu (PPE), per iscritto. – (RO) Desidero ringraziare tutti gli onorevoli colleghi del Parlamento per il sostegno che mi hanno espresso in plenaria, votando a favore dell’emendamento n. 34 alla relazione Danjean sulla strategia europea di sicurezza.
Ho redatto l’emendamento n. 34 con l’obiettivo di modificare il testo del paragrafo 87 di questa relazione, che si riferisce allo sviluppo dello scudo antimissile sulla scia di un accordo bilaterale tra gli Stati Uniti e gli Stati membri, compresa la Romania. L’emendamento propone la rimozione della raccomandazione di sviluppare questo sistema “in dialogo con la Russia”, sostituendo questa frase con la formulazione più equilibrata di “un dialogo su scala continentale”. Il nuovo progetto statunitense che coinvolge lo sviluppo di un sistema di difesa antimissile è di carattere strettamente difensivo e garantisce la sicurezza dell’intera area dell’Europa orientale e dei Balcani occidentali. Non si tratta di un progetto mirato contro la Russia. Ritengo non vi sia nessun motivo di includere anche la Russia, rendendola un potenziale attore nel processo decisionale dello sviluppo del progetto.
Queste sono le considerazioni alla base dell’emendamento n. 34 e sono lieto sia stato approvato con 358 voti a favore. Questa cifra evidenzia che il sostegno espresso va ben oltre i confini dei gruppi politici e le affiliazioni nazionali, dimostrando l’importanza della proposta di risoluzione e l’esistenza di una maggioranza europea che condivide lo stesso punto di vista.
Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. – (EL) Ritengo che il rafforzamento dell’impegno per impedire la proliferazione di armi nucleari e per raggiungere un mondo libero da tale minaccia sia una priorità assoluta e di importanza cruciale. Il rafforzamento del trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP) attraverso l’impegno da parte di tutti gli Stati membri a sottoscriverlo e applicarlo si inserisce in questo contesto. Ho deciso di astenermi dalla votazione in particolare perché comprende un punto basilare al quale mi sono opposto e che il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica ha cercato, senza successo, di emendare. Mi riferisco alla frase e all’accettazione dell’idea che l’Unione europea possa “può avvalersi di tutti gli strumenti a sua disposizione per prevenire, scoraggiare, arrestare e, ove possibile, eliminare i programmi di proliferazione che rappresentano un motivo di preoccupazione”. Per essere precisi, l’impiego o la minaccia di ricorrere a mezzi militari, in particolar modo con l’Iran, sono soluzioni estremamente pericolose e non porteranno a nessun risultato positivo per la pace; contrastano anzi con la percezione che la sinistra ha delle azioni militari che vedono la partecipazione dell’Unione europea.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) I principi soggiacenti alla firma del trattato di non proliferazione e che risalgono al periodo della guerra fredda continuano ancora oggi ad avere una notevole rilevanza e persino una maggiore urgenza. La caduta del blocco sovietico ha portato alla diffusione di materiale nucleare in diversi Stati; la fine del controllo unificato sull’impiego e l’immagazzinamento di materiale nucleare continua a suscitare forti perplessità in merito a un utilizzo irresponsabile o al suo deterioramento, con conseguenze inimmaginabili per la salute degli abitanti e la sicurezza della regione.
L’incremento del numero dei componenti del “club nucleare”, la minaccia del terrorismo e la relativa facilità con cui è possibile oggi realizzare armi di distruzione di massa sono elementi che contribuiscono ad aumentare l’attuale clima di nervosismo. L’Unione europea deve essere in grado di assumere una posizione comune e coerente in merito a tali questioni, con l’obiettivo di costruire un mondo più sicuro e con una presenza sempre minore di armi nucleari.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) I cambiamenti internazionali forniscono nuove opportunità in merito alla non-proliferazione. All’inizio del suo mandato, il presidente Obama ha dichiarato la sua ambizione di raggiungere un mondo senza armi nucleari e si è impegnato a perseguire attivamente la ratifica di un divieto totale sui test nucleari da parte degli Stati Uniti. L’Unione europea deve dimostrare di essere all’altezza delle sfide connesse alla non proliferazione nucleare, e in particolar modo all’Iran e alla Corea del Nord che continuano ad essere le principali minacce alla sicurezza internazionale. Per quanto attiene alla riduzione degli arsenali nucleari, la priorità è focalizzarsi sui due principali, ovvero le risorse di Russia e Stati Uniti, che posseggono il 95 per cento delle armi nucleari esistenti sul pianeta. Il Parlamento si aspetta che l’Unione europea assuma una posizione comune e ambiziosa nel corso della prossima conferenza di revisione delle parti del trattato di non proliferazione delle armi nucleari.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il disarmo nucleare a livello internazionale è di cruciale importanza e implica la necessità di promuovere e rafforzare il trattato di non proliferazione della armi nucleari (TNP) e di garantirne la ratifica da parte di tutti gli Stati. Nell’attuale contesto internazionale, il pericolo di una nuova corsa agli armamenti nucleari rappresenta una giustificata fonte di preoccupazione.
L’imposizione del disarmo e dell’arresto dello sviluppo, della produzione e dell’immagazzinamento di nuove armi nucleari rappresentano la vera e propria base del trattato di non proliferazione. L’attuale controversia sul programma nucleare iraniano richiede una soluzione pacifica, basata sui negoziati che è necessario riavviare. Qualsiasi azione militare o minaccia dell’impiego della forza saranno controproducenti e comporteranno conseguenze potenzialmente pericolose per la regione. A tal proposito è necessario mostrare la nostra ferma opposizione ai piani che potrebbero, in qualche modo, giustificare un intervento militare, come nel caso del paragrafo G del preambolo della risoluzione comune adottata.
Charles Goerens (ALDE), per iscritto. – (FR) La questione iraniana è al cuore del dibattito nella fase preparatoria della conferenza di revisione delle parti sul trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP). Per riassumere brevemente: l’Iran, nell’accettare il trattato di non proliferazione, ha abbandonato nel tempo la possibilità di sviluppare armi nucleari. Se la Repubblica islamica dell’Iran non dovesse più tener fede agli impegni, ci troveremmo dinanzi a due problemi: in primo luogo, la decisione rappresenterebbe sul breve periodo una minaccia alla stabilità di una regione in cui la maggior parte degli attori è incline ad adottare delle posizioni radicali. In secondo luogo, a medio e lungo termine, il rifiuto da parte dell’Iran di rispettare gli obblighi del TNP creerebbe un grave precedente per quanto riguarda la sicurezza regionale e globale. Sarebbe evidente che il coinvolgimento dei membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che hanno il diritto di veto, e della Germania, non è più sufficiente a sbloccare la situazione. Un segnale forte da parte di Stati Uniti e Russia che dimostri la loro volontà unilaterale di ridurre il proprio arsenale nucleare potrebbe spingere a un senso di responsabilità le potenze nucleari di medie dimensioni, facendo comprendere loro di essere pronte per il disarmo. Infine, un forte gesto da parte delle maggiori potenze potrebbe forse convincere quei paesi che attualmente stanno acquisendo competenze specifiche nell’ambito del nucleare ad abbandonare i loro progetti.
Richard Howitt (S&D), per iscritto. – (EN) I deputati laburisti vorrebbero esprimere il proprio profondo impegno per raggiungere l’obiettivo di un mondo senza armi nucleari. Siamo orgogliosi di vedere che il Regno Unito, in quanto potenza nucleare, stia incanalando gli sforzi verso un accordo di non proliferazione da siglare a maggio a New York, che richiede un consenso globale. Abbiamo sostenuto questa risoluzione con l’obiettivo di inviare un chiaro messaggio: il Parlamento europeo e i deputati laburisti sosterranno tutti gli sforzi necessari per assicurare la possibilità di lasciarci alle spalle quei giorni cupi delle tensioni nucleari e della mutua distruzione.
Abbiamo deciso di astenerci dalla votazione sull’emendamento n. 2 poiché riteniamo che la dottrina militare sia una questione su cui i governi nazionali sono chiamati a decidere e non una prerogativa del Parlamento europeo. Ci siamo uniti al nostro gruppo politico per sostenere l’emendamento n. 3 poiché riteniamo che tutti gli Stati abbiano il diritto di sviluppare l’energia nucleare per scopi civili; in questo caso però spetta ai singoli Stati la responsabilità di vietare lo sviluppo di armi nucleari. I deputati laburisti continueranno a sostenere il disarmo degli Stati con armamenti nucleari, ad impedirne la proliferazione nei nuovi Stati e a contribuire ala raggiungimento dell’obiettivo di un mondo senza armi nucleari.
Sabine Lösing (GUE/NGL), per iscritto. – (EN) Sono pienamente consapevole del fatto che il disarmo nucleare internazionale, e quindi il rafforzamento del TNP e la sua ratifica da parte di tutti gli Stati, siano di importanza cruciale e che sarebbe necessario compiere ogni sforzo per mettere in atto il trattato in tutti i suoi aspetti. Per garantire l’efficacia degli sforzi multilaterali, questi devono essere inseriti in una visione ben articolata per avere un mondo senza armi nucleari nel più breve tempo possibile. Dobbiamo insistere sull’impegno da parte degli Stati con armamenti nucleari ai sensi dell’articolo VI del trattato di non proliferazione – sottoscritto da numerosi paesi – per procedere al completo disarmo, abbandonando così la produzione di armi nucleari su base permanente, poiché questa era una delle promesse fondamentali. Ci opponiamo alla formulazione in questa risoluzione del considerando G: “di avvalersi di tutti gli strumenti a sua disposizione per prevenire”.
Vorrei sottolineare che, in particolare per quanto riguarda l’Iran, qualunque attività militare volta a impedire la proliferazione è totalmente controproducente e molto pericolosa. Sono convinta che il modo migliore per affrontare il problema della proliferazione sia l’abbandono in via definitiva dell’energia atomica, poiché anche l’impiego per scopi civili comporta grandi pericoli e, soprattutto, non permette di escludere con assoluta certezza che tecnologie nucleari a scopi civili non vengano usate per scopi militari.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La proliferazione di armi di distruzione di massa rappresenta una grave minaccia per l’umanità, per la pace e la sicurezza internazionale. Forme estreme di terrorismo, non controllate e spesso di carattere fondamentalista, causano preoccupazioni a livello globale e spingono ad impedire a gruppi e governi guidati dal leader senza scrupoli di dotarsi di queste tecnologie.
E’ dunque fondamentale che i governi in possesso di armo nucleari possano dimostrare che intendono gradualmente ridurre i loro arsenali, dando il buon esempio. Il prossimo vertice, previsto per il mese di aprile di quest’anno, potrebbe apportare un notevole contributo in merito e vi sono grandi aspettative per una maggiore attenzione e controllo sul commercio non autorizzato di materiali nucleari.
Auguriamoci che Stati Uniti e Cina rivestano un ruolo importante nel disarmo nucleare della penisola coreana. E’ infine cruciale che gli Stati non prendano le distanze dal trattato di non proliferazione delle armi nucleari, in quanto interessa tutti noi e non solo alcuni paesi.
Zuzana Roithová (PPE), per iscritto. – (CS) Sono lieta che il Parlamento europeo abbia adottato la relazione in materia di non proliferazione delle armi nucleari. In quanto cristiana, accolgo con favore il fatto che i rappresentanti delle civiltà occidentali, dopo oltre 60 anni dalla fine della guerra, abbiano compreso che l’esistenza delle armi nucleari rappresenta un enorme rischio globale e che abbiamo quindi compiuto notevoli sforzi per ridurne la presenza. Il rifiuto da parte dell’Iran e della Repubblica democratica popolare di Corea di firmare il trattato di non proliferazione delle armi nucleari costituisce un grande rischio. Questi paesi inoltre non sono stati in grado di rispettare gli obblighi internazionali in materia di sicurezza nucleare. Il rifiuto da parte dell’Iran di concedere l’accesso ai propri impianti nucleari agli ispettori dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica costituisce un reale rischio per la sicurezza non solo per gli Stati immediatamente confinanti, ma anche per l’Unione europea. Per concludere, vorrei ringraziare gli onorevoli deputati per l’impegno profuso per rendere il testo della risoluzione il più equilibrato possibile.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Mi sono infine espresso a favore di questa complessa risoluzione (RC7-0137/2010) sul trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Mi compiaccio per l’approvazione del testo originale presentato dal PPE, dai socialisti, dall’ALDE e dal gruppo Verts/ALE e l’adozione di uno dei quattro emendamenti (331 voti a favore, 311 contrari), specialmente perché si tratta, sorprendentemente, di un testo che esorta tutte le parti ad una revisione della propria dottrina militare, rinunciando all’opzione dell’attacco preventivo. Gli sforzi del PPE per eliminare il paragrafo sulle zone esenti da armi nucleari, compreso il Medio Oriente, sono stati vanificati.
Geoffrey Van Orden (ECR), per iscritto. – (EN) Vi sono numerosi elementi della risoluzione con i quali concordiamo. Siamo nettamente a favore di un trattato di non proliferazione delle armi nucleari solido ed efficace; la risoluzione in sé però comprende elementi inutili e per questo il gruppo ECR si è astenuto dalla votazione. Il considerando L mette in discussione il fatto che in cinque Stati membri europei non nucleari siano ancora schierate armi tattiche nucleari. Siamo a favore della presenza di queste armi, perché contribuiscono alla condivisione dei compiti e a garantire l’impegno militare statunitense per la sicurezza europea. In diversi punti vi sono critiche implicite mosse nei confronti degli alleati stretti, mentre il nostro scetticismo dovrebbe essere rivolto verso chi rappresenta una minaccia per la sicurezza internazionale. Né il Regno Unito, né la Francia né tanto meno gli Stati Uniti producono attualmente materiale fissile destinato alle armi; è però diverso affermare che le loro infrastrutture di produzione di materiale fissile, a questo punto, devono essere abbandonate. L’invito alla creazione di una zona denuclearizzata in Medio Oriente è chiaramente rivolto a Israele, che si trova ad affrontare una serie di minacce alla propria esistenza provenienti dai paesi vicini, molti dei quali hanno una storia come produttori di armi nucleari e di distruzione di massa e almeno uno tra questi – l’Iran – continua in questa direzione.