Laima Liucija Andrikienė (PPE). – (EN) Signor Presidente, mi fa piacere che il numero complessivo di irregolarità nell’utilizzo dei fondi europei stia calando. Trovo particolarmente incoraggiante che sia diminuito in misura considerevole, del 34 per cento, il numero delle irregolarità nel settore agricolo. Un ruolo forte e competitivo per l’OLAF è uno dei fattori che ha contribuito al miglioramento di questa situazione. Accolgo con favore la proposta contenuta nella nostra risoluzione di intensificare la cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione nel settore fiscale.
Devo tuttavia esprimere la mia profonda preoccupazione per il fatto che le attività fraudolente sono aumentate nei nuovi Stati membri, soprattutto in Romania e Bulgaria. Nei dieci paesi che hanno aderito all’Unione nel 2004 sono cresciute del 10 per cento, mentre nei due paesi citati sono salite del 152 per cento. Mi associo pienamente agli inviti rivolti a Romania e Bulgaria affinché potenzino la loro capacità amministrativa di gestione dei finanziamenti comunitari e migliorino i controlli e la trasparenza delle procedure degli appalti pubblici a tutti i livelli.
Laima Liucija Andrikienė (PPE). – (EN) Signor Presidente, desidero anzitutto ringraziare l’onorevole Deutsch per la sua eccellente relazione. La discussione concreta che abbiamo avuto oggi e la nostra risoluzione, che ho appoggiato, rappresentano un ottimo punto di partenza per le attività future della Banca europea degli investimenti, specialmente alla luce della strategia Europa 2020.
Vorrei inoltre sollecitare ancora una volta i governi europei a incrementare la capacità di prestito della BEI a favore dei paesi vicini, soprattutto quelli a est, che hanno grande bisogno di prestiti e investimenti e subiscono i contraccolpi della crisi. In futuro dovrà essere garantita ancor più che in passato la compatibilità tra gli obiettivi politici della politica europea di vicinato e le direttive della BEI in materia di prestiti.
Proposta di risoluzione sulle atrocità di massa a Jos, Nigeria (RC-B7-0247/2010)
Laima Liucija Andrikienė (PPE). – (EN) Signor Presidente, in gennaio e marzo abbiamo assistito in Nigeria ad atrocità di massa che hanno causato la morte di molte centinaia di persone, compresi donne e bambini. Ciò di cui la Nigeria ha bisogno innanzi tutto è un processo di riconciliazione e della coesistenza pacifica tra i musulmani del nord e i cristiani del sud.
In secondo luogo, non va dimenticato che, sebbene la Nigeria sia uno dei principali produttori di petrolio al mondo, la sua popolazione vive in condizioni di povertà, senza poter beneficiare dello sviluppo generale del paese. E’ pertanto necessario affrontare e contrastare in modo serio ed efficace la corruzione, che è molto diffusa.
In terzo luogo, per poter ottenere almeno qualche progresso visibile, gli aiuti dell’Unione europea alla Nigeria dovrebbero mirare ad affrontare i problemi più importanti e le questioni più delicate.
Bastiaan Belder (EFD). – (NL) Signor Presidente, le ultime notizie che ho ricevuto questa settimana sui cristiani a Jos sono estremamente preoccupanti. Anche nelle scorse settimane sono stati trovati i cadaveri di nostri correligionari – intendo dire cristiani – in numerosi punti della città nigeriana. Sabato 24 aprile, per esempio, i membri di una banda di giovani musulmani hanno ucciso a pugnalate due giornalisti che lavoravano per un mensile cristiano. Gli assassini hanno poi utilizzato i telefonini delle loro vittime per dire agli ignari amici e parenti di queste ultime: “Li abbiamo uccisi tutti, venite a vedere”.
Signor Presidente, fatti del genere sono tipici del clima di violenza mista a impunità che c’è in Nigeria – un clima le cui vittime principali sono i cristiani e che dall’inizio dell’anno ha causato la morte di centinaia di persone a Jos e nei dintorni. E’ significativo che un osservatore abbia parlato di sistematica persecuzione religiosa e lanciato un appello alla comunità internazionale – quindi anche alle istituzioni comunitarie – affinché riconoscano che l’estremismo islamico ha un ruolo chiave nell’esplosiva situazione della Nigeria, soprattutto per quanto riguarda i fatti di Jos, che si trova al crocevia tra il nord musulmano e il sud cristiano.
Purtroppo – e questo è anche il motivo della mia critica – una denuncia del genere è del tutto assente nella proposta di risoluzione comune, come si può vedere leggendo il paragrafo 5. La proposta non solo non prende una posizione ferma nei confronti dell’estremismo islamico che sta prevalendo in Nigeria, ma anzi, ancor peggio, chiede che siano evitate – e cito – “spiegazioni generali e semplicistiche basate unicamente sulla religione”. Anch’io sono contrario a spiegazioni a senso unico, ma semplificazioni eccessive come questa da parte dell’Unione europea, del Parlamento europeo non aiutano i cristiani della Nigeria, le cui vite in questi giorni sono sospese tra speranza e paura – per usare un eufemismo. Questa è la critica che volevo formulare e il motivo per cui mi sono astenuto dal voto.
Seán Kelly (PPE). – (EN) Signor Presidente, trovo scioccante che un paese che dispone di cospicue risorse petrolifere come la Nigeria sia sconvolto da simili atrocità di massa. Allo stesso tempo, però, riallacciandomi alle parole pronunciate dal vicepresidente degli Stati Uniti, credo che la soluzione vada ricercata attraverso il dialogo, dialogo e ancora dialogo, unito a istruzione, istruzione e ancora istruzione, se vogliamo riportare la pace nel paese.
Ho apprezzato la citazione da parte del vicepresidente Biden del verso del poeta irlandese William Butler Yeats “una bellezza terribile è nata”. Speriamo che in Nigeria quella bellezza terribile si trasformi in una bellezza splendida e che la pace e la prosperità prevalgano. L’Unione europea ha un ruolo importante da svolgere in tale contesto – e naturalmente nella discussione odierna – e con la nostra votazione abbiamo messo un paletto. Lo apprezzo molto.
Presidente. − Il processo verbale di questa seduta sarà sottoposto all’approvazione del Parlamento all’inizio della prossima tornata. Se non ci sono obiezioni, le risoluzioni adottate nella seduta odierna saranno immediatamente trasmesse ai destinatari e agli organi in esse citati.
Dichiarazioni di voto scritte
Relazione Méndez de Vigo (A7-0116-2010)
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa raccomandazione perché essa mette in evidenza il carattere innovativo, costruttivo e democratico della convocazione di convenzioni per la revisione dei trattati (ad esempio, la convenzione del 1999-2000 che ha redatto la carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la convenzione del 2002-2003 che ha preparato la proposta di trattato che adotta una costituzione per l’Europa), riconoscendo allo stesso tempo il carattere di assoluta eccezionalità della revisione dei trattati resasi ora necessaria a seguito dell’attuazione delle misure transitorie collegate all’entrata in vigore del trattato di Lisbona.
In sostanza, il sistema delle convenzioni deve essere utilizzato perché stiamo parlando di revisioni dei trattati che vanno al di là di semplici aggiustamenti tecnici o provvisori. Pertanto, seguendo l’esempio del relatore onorevole Méndez de Vigo, è positivo che il Parlamento europeo “concede la sua approvazione al Consiglio europeo per la modifica del protocollo n. 36 nel quadro di una conferenza intergovernativa, senza convocare una convenzione”.
Liam Aylward e Pat the Cope Gallagher (ALDE), per iscritto. – (GA) I deputati Pat the Cope Gallagher e Liam Aylward hanno richiamato l’attenzione sul fatto che soltanto l’Irlanda e Malta eleggono i propri rappresentanti al Parlamento europeo con il sistema proporzionale, che è applicato anche dall’Irlanda del Nord nel caso delle elezioni europee. Noi siamo del tutto contrari al ricorso a sistemi elettorali uniformi o identici per le elezioni dei membri del Parlamento europeo. Sin dalla fondazione dello Stato irlandese è stato dimostrato che il sistema elettorale proporzionale è un sistema giusto ed equo.
David Casa (PPE), per iscritto. − (EN) Questa votazione riguardava la possibilità di convocare una convenzione per la revisione dei trattati alla luce dell’attuazione di misure transitorie per quanto concerne la composizione del Parlamento europeo. Considerando diversi fattori, quali la convenzione svoltasi dal 22 febbraio 2002 al 18 giugno 2003 e quella che ha redatto la carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sono favorevole alla posizione del relatore che appoggia la proposta del Consiglio di emendare il protocollo n. 36 nel quadro di una conferenza intergovernativa, invece che convocando una convenzione.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. − (PT) L’entrata in vigore del trattato di Lisbona ha cambiato la composizione del Parlamento europeo, che non avrà più 736 membri ma 751. Ci saranno diciotto nuovi deputati in rappresentanza di dodici Stati membri. Poiché il trattato di Lisbona fissa un limite massimo al numero di eurodeputati di ogni Stato membro, la Germania avrà tre seggi in meno. Non essendo possibile interrompere il mandato di un eurodeputato nel corso della legislatura, il Parlamento avrà temporaneamente 754 membri e sarà perciò necessario emendare il trattato in modo da elevare in via transitoria il limite massimo di 751 deputati. Credo che sarebbe stato preferibile applicare la nuova composizione del Parlamento in occasione delle elezioni del 2014, e non già durante la legislatura corrente; riconosco tuttavia che sussiste un ampio consenso a favore dell’applicazione immediata di queste modifiche. Per tale motivo sono d’accordo sul fatto che la conferenza intergovernativa che sarà convocata, appunto, per approvare le norme transitorie riguardanti il periodo rimanente della legislatura corrente non debba essere preceduta da una convenzione. Tale procedura, però, non deve costituire un precedente.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Il difetto del sistema europeo delle convenzioni, che si rifà all’esperienza di Francia e Stati Uniti, era la sua presunzione di legittimità, legittimità che il sistema, però, a quell’epoca non aveva ancora. Penso perciò che la convenzione che ha approvato la proposta di trattato che adotta una costituzione per l’Europa abbia ecceduto i poteri che le erano stati conferiti. Speravo con tutto il cuore che i risultati sarebbero stati positivi, ma le circostanze all’epoca non lo hanno permesso. Penso dunque che il ritorno alla formula delle conferenze intergovernative sia il modo più realistico per garantire il dialogo tra i governi degli Stati membri, il quale dovrebbe concentrarsi sui problemi specifici che è chiamato a risolvere – come quello su cui abbiamo votato.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della decisione di non convocare una convenzione per la revisione dei trattati relativamente alle misure transitorie sulla composizione del Parlamento europeo. Ho votato a favore perché credo che non sia necessario convocare una convenzione per approvare un emendamento alle norme del trattato sull’Unione. Concordo sul fatto che il Consiglio dovrebbe modificare il protocollo n. 36 nel quadro di una conferenza intergovernativa, senza convocare una convenzione.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Sono totalmente d’accordo con il relatore e desidero ricordare ancora una volta che nella maggioranza prestabilita di Stati membri sono già stati nominati nuovi deputati al Parlamento in conformità delle norme attualmente vigenti. Restiamo perciò in attesa dell’applicazione della proposta del Consiglio che modifica il protocollo n. 36. Grazie ad essa, i nostri nuovi colleghi potranno venire qui in Parlamento in qualità di osservatori subito dopo l’approvazione della modifica del protocollo e, dopo la sua entrata in vigore, cominceranno a svolgere il loro incarico di deputati al Parlamento europeo a pieno titolo.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) Il relatore è contrario alla convocazione di una convenzione perché le modifiche al trattato sono soltanto misure transitorie. Non condivido tale posizione perché sono in gioco anche questioni di democrazia. La Francia ha un sistema elettorale diverso e quindi non ha la possibilità di “dare una spinta” a candidati eletti democraticamente e direttamente da una lista. E’ per questo motivo che ho votato contro la relazione.
Siiri Oviir (ALDE), per iscritto. − (ET) Esaminando la questione con precisione e sotto il profilo giuridico, risulta evidente che la decisione che stiamo per adottare modificherà il trattato di Lisbona, il quale prevede la convocazione di una convenzione. Tuttavia, poiché l’ambito di applicazione della proposta è limitato a semplici misure transitorie, confidando nel principio di proporzionalità ho appoggiato la soluzione provvisoria proposta da 479 colleghi, cioè di affidare il compito di decidere in merito a una conferenza intergovernativa piuttosto che a una convenzione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato contro la relazione perché sono contrario al fatto che non si convochi una convenzione per deliberare in materia di revisione dei trattati.
Rafał Trzaskowski (PPE), per iscritto. – (PL) La scelta di non convocare una convenzione è stata una delle decisioni più difficili riguardanti i diciotto nuovi deputati al Parlamento europeo. Abbiamo preso tale decisione proprio in segno di rispetto di questo strumento, il cui scopo è aumentare la legittimità delle decisioni concernenti le norme fondamentali del diritto comunitario. Non si tratta di un precedente. Per le modifiche di tutte le materie importanti previste dai trattati continuerà a essere richiesta anche in futuro la convocazione di una convenzione. Ringrazio il relatore onorevole Méndez de Vigo e i coordinatori per aver adottato questa decisione, perché non è stata una scelta facile. C’è un problema riguardo alla nomina dei diciotto nuovi deputati, perché alcuni Stati membri non hanno seguito la procedura corretta. Abbiamo tuttavia deciso che il principio più rilevante è quello della rappresentatività. La cosa più importante è che il Parlamento europeo abbia quanto prima possibile una rappresentanza equilibrata. Invitiamo pertanto gli Stati membri a concludere questo processo nei tempi più rapidi possibile, garantendo contemporaneamente l’elezione diretta di tutti i deputati.
Relazione Méndez de Vigo (A7-0115-2010)
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore dell’eccellente relazione dell’onorevole Méndez de Vigo. E’ in effetti necessario ricorrere a una misura transitoria per contemperare l’osservanza del trattato di Lisbona con il disposto dell’articolo 5 dell’atto del 1976 sull’elezione dei membri del Parlamento europeo attraverso il suffragio universale diretto. Si deve perciò portare a 754 il numero degli eurodeputati per il periodo rimanente della legislatura 2009-2014.
Inoltre, mi compiaccio per la formulazione del paragrafo 6 della relazione, laddove si chiede l’applicazione di un sistema uniforme per l’elezione dei deputati al Parlamento europeo: “informa il Consiglio europeo che intende elaborare a breve proposte intese a stabilire le disposizioni necessarie per permettere l’elezione dei suoi membri a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri e secondo principi comuni a tutti gli Stati membri, e che il Parlamento avvierà tale riforma elettorale in conformità dell’articolo 48, paragrafo 2, del trattato sull’Unione europea e dell’articolo 223 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea; insiste inoltre sulla convocazione di una convenzione incaricata della riforma del Parlamento per preparare la revisione dei trattati”.
Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) Il Parlamento europeo ha dato la sua approvazione alla nomina di diciotto nuovi deputati in corso di legislatura. In tal modo, questo Parlamento, eletto nel giugno 2009 secondo la procedura prevista dal trattato di Nizza, si adegua alle disposizioni del trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1o dicembre 2009.
Ho votato contro tale decisione e l’ho fatto per un motivo che, a mio parere, è di vitale importanza: durante la campagna per le elezioni europee del giugno 2009 la maggior parte degli Stati membri ritenevano altamente probabile che la ratifica del trattato di Lisbona fosse imminente e hanno impostato di conseguenza le modalità di svolgimento delle elezioni. Non è andata così in Francia, dove non si è fatto nulla per garantire una transizione tranquilla da 72 a 74 membri del Parlamento europeo.
La soluzione infine escogitata, cioè la nomina di due membri dell’Assemblea nazionale, è inaccettabile. Dal 1979 gli eurodeputati vengono eletti dai cittadini europei a suffragio universale diretto, non nominati dalle assemblee parlamentari nazionali. Ed è proprio l’elezione a suffragio universale diretto che ci legittima a parlare a nome di tutti gli europei. Il fatto che il Parlamento abbia accettato il compromesso francese costituisce un preoccupante precedente che testimonia della sua incapacità di attenersi ai trattati.
Philip Bradbourn (ECR), per iscritto. − (EN) Siamo favorevoli a provvedimenti volti a consentire ai diciotto deputati nuovi di occupare il loro seggio al Parlamento europeo. Tuttavia non si dovrebbe concedere loro lo status di osservatore fino a quando le misure transitorie non saranno entrate in vigore e i nuovi membri potranno diventare deputati a pieno titolo. In qualità di osservatori, essi avrebbero diritto a ricevere lo stipendio e il rimborso spese prima di poter esercitare il diritto di voto, cosa che sarebbe sbagliata, e per tale motivo la nostra delegazione ha votato contro la relazione.
Françoise Castex (S&D), per iscritto. – (FR) Condanno nel modo più fermo la decisione presa dalla Francia in merito alla nomina dei due nuovi deputati al Parlamento europeo, per effetto dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona.
A differenza degli altri undici paesi interessati da questa riforma, i quali avevano anticipato l’elezione sulla base, ovviamente, dei risultati delle elezioni europee del giugno 2009, il governo francese ha invece deciso semplicemente di nominare i nuovi eurodeputati scegliendoli tra i membri del parlamento nazionale: un’offesa alla democrazia.
Inoltre, noi socialisti francesi non ritenevamo che gli altri sedici eurodeputati dovessero pagare il prezzo di questa totale mancanza di preparazione da parte francese; pertanto, alla fine abbiamo sostenuto la convocazione di una conferenza intergovernativa che permetta ai nuovi eurodeputati eletti – dapprima in qualità di osservatori – di partecipare e di svolgere le loro funzioni di rappresentanti dei cittadini europei, che li hanno eletti avendo in mente quest’unico scopo.
Carlos Coelho (PPE), per iscritto. − (PT) Le ultime elezioni europee, quelle del 2009, si sono tenute prima dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona, di modo che la composizione del Parlamento europeo era ancora quella prevista dal trattato di Nizza, con 736 membri. Il Consiglio europeo ha accolto la proposta avanzata a tale proposito dal Parlamento nel 2007, la quale porta il numero degli eurodeputati da 750 a 751. Personalmente ritengo preferibile che la nuova composizione del Parlamento europeo valga soltanto a partire dalle prossime elezioni europee, nel 2014; esiste tuttavia un ampio consenso sull’opportunità di applicarla già ora. Sarà quindi necessario stabilire adesso le modalità di elezione dei diciotto membri nuovi (suddivisi tra dodici Stati membri). Il nuovo trattato fissa un limite massimo per il numero di eurodeputati di ciascuno Stato membro; ne consegue che la Germania perderà tre seggi. Non essendo possibile interrompere il mandato di un deputato in corso di legislatura, il Parlamento avrà provvisoriamente 754 membri. Sono d’accordo con la raccomandazione del relatore, l’onorevole Mendez de Vigo, secondo cui i nuovi deputati devono assumere l’incarico tutti lo stesso giorno, onde evitare distorsioni regionali della rappresentanza nel Parlamento. Non sono d’accordo sul fatto che i deputati nuovi vengano nominati dalle autorità nazionali; credo che i deputati al Parlamento europeo siano legittimati esclusivamente dall’elezione diretta.
Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Il trattato di Lisbona aumenta il numero dei deputati al Parlamento europeo da 736 a 751. Poiché, però, le elezioni del 2009 si sono svolte prima dell’entrata in vigore del trattato, sono stati eletti solamente 736 deputati. Il Parlamento europeo ha dunque dovuto adottare nuove norme sulla propria composizione nel periodo rimanente della legislatura. La delegazione del Movimento democratico non ha votato a favore di questo testo per due motivi. Non può condividere la proposta del Consiglio di convocare una conferenza intergovernativa senza una convenzione cui partecipino rappresentanti dei parlamenti nazionali, capi di Stato e di governo, Parlamento e Commissione. Tale procedura accelerata viola non solo lo spirito ma anche la lettera dei trattati, oltre a costituire un precedente inopportuno. La nomina di due membri del parlamento nazionale francese tra i diciotto eurodeputati nuovi rappresenta un grave attacco alla legislazione primaria, la quale stabilisce che i deputati al Parlamento europeo siano eletti con suffragio universale diretto e non nominati dai rispettivi parlamenti nazionali. L’unico risultato positivo di questa vicenda sarà il merito di aver attirato l’attenzione sulla necessità di rivedere, a lungo termine, la procedura di elezione del Parlamento e, più nello specifico, sulla richiesta che abbiamo avanzato già parecchio tempo fa di eleggere una parte degli eurodeputati in una circoscrizione europea.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione perché in essa si sostiene che i diciotto deputati nuovi, in rappresentanza di dodici Stati membri, possono entrare in carica dopo essere stati eletti. E’ deplorevole che il Consiglio non abbia preso i necessari provvedimenti in tempo utile per consentire a questi deputati di assumere l’incarico subito dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Il fatto che il trattato di Lisbona non sia entrato in vigore in tempo per poter essere immediatamente applicato alle elezioni della legislatura 2009-14 del Parlamento europeo ha causato un problema che, credo, è stato poi risolto in modo ragionevole e tale da tenere conto delle inevitabili difficoltà tipiche dei periodi di transizione. Quindi, se non è né sensato né legittimo privare deputati eletti del loro mandato, non è sensato neppure impedire agli Stati membri che beneficiano di un aumento del numero dei loro rappresentanti di nominarli in conformità delle norme che disciplinano i rispettivi sistemi elettorali. L’eccezionalità della situazione giustifica pienamente l’eccezionalità delle soluzioni adottate.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) E’ stato approvato l’aumento del numero complessivo dei deputati al Parlamento europeo di quindici unità (dai 736 previsti dal trattato di Nizza a 751), con diciotto nuovi seggi da distribuire tra dodici Stati membri. Alla Germania sono stati assegnati tre seggi in meno per rispettare il numero massimo stabilito dal trattato UE. Dato che il trattato di Lisbona non è entrato in vigore prima delle elezioni europee del 2009, esse si sono svolte in conformità delle disposizioni del trattato di Nizza; ciò significa che attualmente il Parlamento europeo ha 736 membri invece di 751. Dall’altro canto, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona i diciotto deputati nuovi in rappresentanza dei dodici Stati membri interessati possono legittimamente assumere il loro incarico. Non è possibile interrompere il mandato di un deputato durante la legislatura né, quindi, ridurre di tre unità il numero attuale dei deputati della delegazione tedesca. Sono pertanto del parere che l’emendamento del protocollo n. 36 chiesto dal Consiglio europeo sia una diretta conseguenza delle nuove norme del trattato di Lisbona e rappresenti una soluzione valida, che consentirà a tutti gli Stati membri che hanno diritto a seggi aggiuntivi di nominare i loro nuovi deputati. Questi diciotto nuovi membri del Parlamento europeo devono insediarsi tutti nello stesso momento per evitare di toccare l’equilibrio generale delle rappresentanze nazionali qui in Parlamento.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Come abbiamo sostenuto e come emerge dalla relazione, il trattato di Lisbona non solo attua politiche neoliberiste, militariste e federaliste, ma è anche uno strumento pieno di ambiguità e contraddizioni, come nel caso delle disposizioni del protocollo n. 36 sulla composizione del Parlamento europeo. Accecati dall’arroganza, i promotori del trattato non hanno voluto rendere flessibili tali disposizioni, dopo aver fatto di tutto per sottrarsi alla manifestazione della volontà popolare nei paesi comunitari impedendo l’indizione di referendum, al fine di evitare nuovi “no”, dopo quelli dei francesi e degli olandesi, al cosiddetto “trattato costituzionale”. Anche gli irlandesi hanno detto di no a questa parodia di testo, ed è stato solo dopo molte pressioni e ricatti che hanno finalmente espresso un voto favorevole – che è giunto, però, ad elezioni europee ormai avvenute.
Questa relazione testimonia il tentativo di alcuni deputati al Parlamento europeo di consolidare l’orientamento federalista dell’Unione invocando una legittimazione democratica che il trattato, invece, non ha. Questi deputati stanno inoltre cercando di subordinare ulteriormente le legislazioni nazionali agli interessi comunitari per mezzo di proposte che mirano a imporre un’unica procedura elettorale in tutti gli Stati membri, intervenendo così in una materia che è di competenza nazionale dei singoli paesi dell’Unione, nonché chiedendo la convocazione di una convenzione cui affidare la riforma del Parlamento europeo per preparare la revisione dei trattati.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Che la revisione dei trattati passi attraverso una conferenza intergovernativa oppure una convenzione è del tutto irrilevante per il nodo cruciale di questa problematica. Non si sa bene se per incompetenza, negligenza o un errato calcolo politico, un singolo paese, la Francia, si è rifiutato di anticipare le conseguenze che l’entrata in vigore del trattato di Lisbona comporta per la sua rappresentanza al Parlamento europeo, nonostante i ripetuti solleciti da parte di diversi gruppi, compreso il mio. Di conseguenza, la Francia è oggi l’unico tra i 27 Stati membri che vuole nominare due nuovi eurodeputati in modo indiretto, attraverso una decisione del parlamento nazionale, il cui sistema di voto è profondamente ingiusto. Tutto ciò avviene in violazione dei trattati stessi, oltre che in violazione dell’atto del 1976, in base al quale i membri del Parlamento europeo devono essere eletti mediante suffragio universale diretto. E tutto ciò avviene, per di più, con la complicità del gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, il quale, pur avendo subito un duro colpo alle elezioni europee del 2009, erediterà uno dei due seggi aggiuntivi. Questo significa fare complotti tra sodali, con l’appoggio del Parlamento europeo. Sfortunatamente, per sorvolare su questa anomalia, il relatore si nasconde dietro il carattere transitorio di tali misure. Come sarebbe a dire “transitorio”? I nuovi deputati francesi al Parlamento europeo siederanno qui per quattro anni, ossia per oltre l’80 per cento della durata della legislatura. Dai colleghi mi sarei aspettato maggiore fermezza sia nella scelta delle parole sia nella difesa dei principi democratici.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di numerosi emendamenti in cui si sottolinea come la decisione della Francia di chiamare membri del proprio parlamento nazionale a ricoprire l’incarico di deputati al Parlamento europeo sia inaccettabile. I nuovi deputati francesi siederanno quindi in quest’Aula a fianco di altri 16 deputati che sono stati invece eletti durante la consultazione del 7 giugno 2009. A mio modo di vedere, questa scelta, che è chiaramente frutto di totale impreparazione, è in contrasto con i principi democratici fondamentali e solleva rilevanti interrogativi quanto alla legittimazione democratica del Parlamento europeo. Dall’altro canto, non dobbiamo impedire l’arrivo degli altri eurodeputati nuovi, la cui designazione è perfettamente conforme allo spirito dei trattati. Questa vicenda dimostra l’assoluta necessità di dotarci in futuro di una procedura uniforme per l’elezione dei membri del Parlamento europeo mediante suffragio universale diretto. Tale riforma dovrà realizzarsi per mezzo di una convenzione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato contro la relazione a causa del nostro emendamento principale, nel quale abbiamo chiesto che i membri del Parlamento europeo siano eletti a suffragio universale diretto.
Relazione Méndez de Vigo (A7-0115/2010 – A7-0116-2010)
Carlo Casini (PPE), per iscritto. − Ho espresso il mio voto convinto a sostegno delle due relazioni elaborate dal collega Mendez de Vigo. La mia soddisfazione è duplice: la commissione che presiedo ha proceduto speditamente, raggiungendo un'intesa di massima che ha consentito l'accordo accolto oggi in plenaria con ampissima maggioranza.
In quest'ottica ho appoggiato l'idea di un voto contrario sul paragrafo 5, introdotto con un mio emendamento in commissione, per sottolineare che la designazione dei nuovi 18 deputati dovrà essere il più possibile conforme a quanto stabilito nell'Atto elettorale del 1976, che esige l'elezione diretta da parte dei cittadini europei. Bisognerà perciò preferire un metodo automatico che consenta l'entrata in Parlamento dei candidati che alle ultime elezioni europee sono risultati i primi dei non eletti. Tuttavia, se il sistema elettorale nazionale non dovesse consentire questo calcolo, si potrà ricorrere ad una designazione ad opera dei parlamenti nazionali.
Mara Bizzotto (EFD) , per iscritto. − La crisi politica in Kyrgyzstan rappresenta l’ennesimo episodio di destabilizzazione dell’area centro-asiatica, un’area che sappiamo essere cruciale per l’Europa vista la rilevanza della questione dell’approvvigionamento di energia e materie prime, e per USA e Russia tenendo conto della posizione strategica del Paese. E’ purtroppo questo l’esito deludente della rivoluzione del 2005, quella rivoluzione che aveva fatto sperare in un cambiamento concreto delle dinamiche politiche della piccola ex-Repubblica sovietica, e che sembrava annunciare, assieme alle vicende degli stessi anni in Ucraina e Georgia, un futuro geopolitico più sereno nell’intera area. Purtroppo oggi il Kyrgyzstan raccoglie i frutti amari di un cambiamento che non è arrivato, e la risoluzione che votiamo contiene le necessarie e opportune indicazioni che questo Parlamento deve dare agli organismi comunitari che si interesseranno direttamente della questione kyrgyza nelle sedi internazionali e diplomatiche. La speranza è che Commissione e Consiglio lavorino coerentemente a tali indicazioni, e soprattutto con una tempestività che, in altre circostanze anche recenti, è purtroppo colpevolmente mancata. Con i migliori auspici che l'azione europea possa incidere positivamente sulla stabilizzazione kyrgyza, voto a favore della risoluzione comune.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Un risultato della disintegrazione dell’Unione Sovietica è il Kirghizistan, che è diventato oggetto di contesa tra le grandi potenze e sembra essere precipitato in una fase di agitazione politica e disintegrazione del tessuto politico e sociale – un processo che le istituzioni europee e i governi degli Stati membri farebbero bene a seguire con maggiore attenzione. Bisogna porre rimedio alla relativa ignoranza da parte europea delle repubbliche dell’Asia centrale e trovare canali di contatto e comunicazione tali da consentire un migliore accesso a una maggiore quantità di informazioni e a un controllo più dettagliato della situazione in ciascuna repubblica. Mi compiaccio della fermezza con cui l’Unione europea ha posto al centro della propria agenda per il Kirghizistan le questioni della libertà, della democrazia e dei diritti umani. Mi auguro altresì che il governo provvisorio dimostri con i fatti di essere all’altezza delle sue promesse e intraprenda riforme che tengano conto di tali questioni. L’annuncio dell’indizione di elezioni e di un referendum costituzionale è un segnale incoraggiante per il prossimo futuro.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Secondo il parere di osservatori indipendenti, le elezioni presidenziali tenutesi l’anno scorso in Kirghizistan, che hanno portato alla rielezione del presidente Bakiyev, sono state macchiate da frodi su ampia scala. Inoltre, dopo un inizio di stampo democratico, il governo di Bakiyev ha preso una svolta autoritaria. A seguito di dimostrazioni di massa, il presidente Bakiyev è stato costretto a fuggire dalla capitale e il suo posto è stato preso da un governo provvisorio guidato dal leader dell’opposizione Roza Otunbayeva, la quale ha emesso un decreto sulla successione al potere e l’ordine di rispettare la costituzione kirghisa. Nel frattempo, Bakiyev è fuggito dal paese per rifugiarsi in Kazakistan. Il Kirghizistan è oggetto di particolare interesse da parte degli Stati Uniti e della Russia a causa della sua posizione strategica nel cuore dell’Asia centrale. L’Unione europea e l’Asia centrale devono confrontarsi con lo stesso tipo di sfide: approvvigionamento energetico, lotta contro il cambiamento climatico, controllo del traffico di stupefacenti e contrasto del terrorismo. Per tare motivo l’Unione deve impegnarsi attivamente con il governo provvisorio al fine di cercare e sfruttare ogni occasione per promuovere il buon governo e l’indipendenza del potere giudiziario e per conseguire altri obiettivi della politica comunitaria previsti dalla strategia per l’Asia centrale.
Jacek Olgierd Kurski (ECR), per iscritto. – (PL) In qualità di coautore della proposta di risoluzione del Parlamento europeo sul Kirghizistan, voglio ringraziare i colleghi che oggi hanno votato a favore di questo documento. Particolarmente notevole è l’intenzione annunciata dal governo provvisorio kirghiso di cominciare a lavorare a una riforma costituzionale e alla rapida creazione delle condizioni per l’indizione di elezioni parlamentari democratiche. Si spiega così l’appello rivolto al governo provvisorio affinché rispetti gli impegni internazionali assunti dal paese e garantisca che il processo elettorale sarà libero e corretto. Seguiamo con ansia gli eventi in Kirghizistan, anche perché siamo interessati a che non venga interrotto il corridoio che assicura gli approvvigionamenti per la NATO e le altre forze internazionali che partecipano alla missione in Afghanistan. E’ vitale che l’Unione europea e il Parlamento europeo seguano con grande attenzione la situazione in Kirghizistan, che sia fornita l’assistenza di base e promosso il dialogo tra tutti i gruppi della società kirghisa.
Bogdan Kazimierz Marcinkiewicz (PPE), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore della proposta di risoluzione sul Kirghizistan perché penso che, in quanto membro della delegazione competente per l’Asia centrale, sia mio dovere dare almeno questo sostegno a un paese che, nelle settimane scorse, si è trovato in una situazione così difficile. La risoluzione chiede che sia posta fine alle violenze, sia avviato il dialogo tra le parti in lotta e siano rispettati il diritto alla libertà, i diritti umani e i principi dello stato di diritto; sottolinea altresì l’importanza di un quadro costituzionale coeso e stabile, in grado di garantire la democrazia. Penso quindi che il programma di aiuti internazionali dovrebbe essere messo in pratica quanto più rapidamente possibile e che l’Unione europea dovrebbe mettersi alla guida della attuazione di tale programma.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) L’attuale situazione in cui si trova il Kirghizistan è preoccupante, tanto più perché si tratta di un paese posto in un luogo molto importante dell’Asia centrale, in una collocazione importante dal punto di vista geostrategico in quanto prossima all’Afghanistan e adiacente alla valle di Ferghana. C’è bisogno di un’indagine internazionale sotto la guida delle Nazioni Unite che faccia luce sulle responsabilità. E’ importante che il rappresentante speciale per l’Asia centrale segua la vicenda molto da vicino, collaborando strettamente con l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) La proposta di risoluzione del Parlamento europeo RC-B7-0246/2010 del 6 maggio 2010 sulla situazione in Kirghizistan è la voce comune dell’Europa che parla a quel paese e alle sue autorità. La proposta di risoluzione sul Kirghizistan è un segnale importante proveniente dall’Unione europea e dall’Europa intera. Dobbiamo dimostrare tanto ai cittadini quanto alle autorità del Kirghizistan, e non soltanto per mezzo di risoluzioni come questa, che appoggiamo il rafforzamento della democrazia e lo sviluppo della società, la sicurezza della popolazione e una crescita sostenibile.
Il Parlamento europeo deve essere un’istituzione che sostiene ogni occasione possibile per affermare la democrazia e non accetta alcuna eccezione a tale regola. I cambiamenti in atto in Kirghizistan sono la conseguenza degli eventi degli ultimi due anni nonché del carattere transitorio delle speranze associate alla Rivoluzione dei tulipani. Le frodi elettorali e il larvato autoritarismo che si va affermando nel paese non possono essere e non saranno seguiti con indifferenza. Le uniche misure che possiamo sostenere e sosterremo sono misure democratiche, perché la democrazia è il fondamento dell’Unione europea. Da parte nostra non vi può essere consenso a misure d’altro tipo. Mi auguro che la risoluzione sul Kirghizistan sia soltanto uno dei molti passi che compiremo. Questo è ciò che l’intera Europa si attende da noi.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione, unendomi così all’ampia maggioranza del Parlamento, e a favore dei due emendamenti orali presentati durante la votazione.
Vilja Savisaar (ALDE), per iscritto. − (ET) Quanto successo in Kirghizistan all’inizio di aprile – è già passato un mese – ha avuto gravi ripercussioni sia a livello interno sul governo del paese sia sulle sue relazioni internazionali. Grazie a tali eventi, la Russia ha potuto accrescere la propria influenza in Kirghizistan tanto militarmente quanto economicamente, come del resto era da attendersi visti i precedenti legami economici tra i due paesi. Allo stesso tempo, la Russia ha promesso di dare aiuti economici sia attraverso un sostegno finanziario diretto sia vendendo a prezzi convenienti il gas e i prodotti petroliferi. La relazione di oggi richiama in gran parte l’attenzione sul fatto che l’Unione europea e le Nazioni Unite devono contribuire a garantire l’elezione di un governo democratico e la cessazione delle violazioni dei diritti umani in quel paese.
E’ sicuramente vero che c’è la volontà di ridurre la corruzione sia nel settore pubblico che nel sistema giudiziario, e a tal fine sarà forse necessario riformare il settore pubblico e garantire l’indipendenza del sistema giudiziario. Tutto questo, però, è direttamente collegato alla situazione economica del paese e pertanto ci sarà bisogno della cooperazione tra Unione europea, Nazioni Unite e Russia, perché altrimenti il Kirghizistan non sarà considerato una questione prioritaria ma, al contrario, tutte le grandi potenze cercheranno di sfruttare la sua situazione per i propri fini. Sono quindi favorevole a questa risoluzione, che invita tutte le parti a collaborare per garantire il rispetto dei diritti umani e lo sviluppo della democrazia, nonché per sostenere la riforma del settore pubblico e l’indipendenza del sistema giudiziario. Credo, però, che ci vorrà un po’ di tempo prima che il Kirghizistan possa raggiungere il grado di democrazia auspicato; a questo scopo, infatti, è necessario che gli incarichi siano affidati non in base alle parentele ma sulla scorta di procedure aperte e trasparenti.
Proposta di risoluzione: Veicoli elettrici (B7-0261/2010)
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Accolgo con favore la recente comunicazione sui veicoli ecologici ed efficienti. L’immissione sul mercato di automobili elettriche potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo per l’industria europea. Non dimentichiamo però che attualmente l’Europa è il leader mondiale nel settore automobilistico: non possiamo mettere a repentaglio questo vantaggio competitivo. Invito quindi la Commissione e gli Stati membri a creare le condizioni necessarie per dare vita a un mercato interno dei veicoli elettrici; sottolineo inoltre l’esigenza di armonizzare gli standard per le batterie e i punti di ricarica compatibili nei vari Stati membri. E’ importante pure accordare incentivi fiscali, che prevedano prezzi adeguati per l’energia elettrica destinata ai consumatori, e un altro fattore essenziale sarà l’ammodernamento delle reti elettriche. Esorto quindi a incrementare gli investimenti per la ricerca e lo sviluppo nei settori delle reti intelligenti e della tecnologia delle batterie, così da utilizzare le materie prime in maniera più efficiente. Chiedo dunque di fare ogni sforzo per conservare all’Europa la supremazia mondiale nell’industria automobilistica.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione poiché sono convinta che i veicoli elettrici possano contribuire a realizzare le priorità della strategia “Europa 2020”, che consistono nello sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, nonché nella promozione di un’economia più efficiente dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse: in altre parole, di un’economia più ecocompatibile e competitiva.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Nel momento in cui il dibattito sulle emissioni di CO2 è diventato ineludibile, in quanto elemento centrale della discussione sul cambiamento climatico, e la volatilità dei prezzi dei carburanti ha reso insostenibile l’attuale dipendenza dal petrolio e dai suoi derivati – almeno a lungo termine – è importante individuare alternative. Per tale motivo, l’innovazione posta al servizio delle esigenze sociali ed economiche deve ricercare soluzioni scientificamente ed economicamente sostenibili. I veicoli elettrici costituiscono una significativa innovazione, dall’elevato potenziale di mercato, soprattutto nel lungo periodo, in quanto producono una riduzione delle emissioni di CO2 e di altri inquinanti, migliorando allo stesso tempo l’efficienza energetica e promuovendo l’innovazione basata sulla leadership tecnologica. Queste considerazioni dimostrano chiaramente che è indispensabile elaborare una strategia europea per i veicoli elettrici, che aiuti l’industria a sviluppare una tecnologia pulita e sostenibile e incoraggi la creazione di un mercato unico dei veicoli elettrici. Devo comunque ribadire ancora una volta che la formulazione di una strategia europea non deve implicare l’introduzione di un complicato e massiccio apparato normativo destinato a gravare in maniera soffocante sull’industria, mettendone a repentaglio lo sviluppo e la sostenibilità.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Le sfide poste dai cambiamenti climatici, dalle emissioni di CO2 e da altri inquinanti, nonché dalla volatilità dei prezzi dei carburanti hanno creato un clima positivo per lo sviluppo dei veicoli elettrici a livello mondiale. I veicoli elettrici contribuiscono a realizzare le priorità della strategia “Europa 2020”, stimolando innovazione e conoscenza (crescita intelligente), promuovendo un’economia più verde e più efficiente in termini di sfruttamento delle risorse (crescita sostenibile), e innescando la crescita dell’economia con la creazione di posti di lavoro (crescita inclusiva). E’ importante far diminuire l’elevato costo dei veicoli elettrici, imputabile per lo più al costo delle batterie, e a questo scopo si richiedono ricerca e innovazione. Apprezzo quindi sia la priorità accordata dalla presidenza spagnola allo sviluppo dei veicoli elettrici, nel contesto della lotta contro il cambiamento climatico, sia la comunicazione della Commissione su una strategia europea per i veicoli ecologici ed efficienti dal punto di vista energetico, del 27 aprile 2010. Stimo indispensabile creare le condizioni per dar vita a un mercato unico dei veicoli elettrici, assicurando contemporaneamente un’efficiente coordinamento delle politiche a livello di Unione europea per evitare impatti negativi, soprattutto sull’occupazione. Un tale coordinamento incoraggia pure la compatibilità e l’interoperabilità.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Riteniamo che lo sviluppo delle automobili elettriche costituisca un’alternativa indispensabile ai veicoli che utilizzano combustibili fossili. In considerazione dell’inquinamento atmosferico derivante da tali veicoli, nonché dell’inesorabile esaurimento, tra pochi decenni, delle riserve di combustibili fossili (in particolare del petrolio) – nella deprecabile ma probabile eventualità che non muti l’attuale paradigma energetico – lo sviluppo dei veicoli elettrici spicca come una delle più importanti opzioni da prendere in esame. Non possiamo però ignorare i limiti e i problemi che questi veicoli ancora presentano, e che del resto abbiamo ricordato nel corso del dibattito. Tali limiti e problemi – lo abbiamo rilevato – sconsigliano di assumersi rischi commerciali o pubblicitari, e sottolineano piuttosto “la necessità di ulteriori attività di R&S per migliorare le caratteristiche e ridurre il costo dei veicoli elettrici”. Soprattutto, “l’obiettivo di un sistema dei trasporti per lo più decarbonizzato entro il 2050”, citato nella relazione, deve comprendere lo sviluppo sempre più intenso di vari tipi di trasporto pubblico e di massa, nonché la promozione del loro utilizzo in modo da renderli accessibili a tutti; in tale processo ai veicoli elettrici spetta un ruolo di primo piano.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione, che rende tra l’altro possibile la normalizzazione delle batterie per le automobili elettriche, dal momento che l’Unione europea e i nostri concittadini hanno tutto da guadagnare dalla formazione di un mercato europeo dei veicoli elettrici, e magari dalla creazione di un mercato globale. Queste misure, dunque, rafforzano la posizione dell’Unione europea nel quadro della lotta all’inquinamento e della protezione dell’ambiente, favorendo l’uso di veicoli ecologici, qualunque sia il tipo di veicolo; esse inoltre incoraggiano il sostegno alla ricerca e all’innovazione, con conseguenze positive per la competitività dell’industria europea nel campo della tecnologia. L’adozione di questa proposta di risoluzione segnerà probabilmente l’aurora di un nuovo modello di società, deciso ad affrontare le varie sfide (di natura ambientale, sociale, tecnologica, demografica e di altro tipo) che ci attendono. Confido che le altre istituzioni europee ci sostengano in quest’impresa.
Iosif Matula (PPE), per iscritto. – (RO) Sono favorevole a promuovere i veicoli elettrici come priorità di medio e lungo termine. Dobbiamo individuare le modalità più opportune per incoraggiare gli Stati membri a varare una strategia comune per la normalizzazione dei veicoli elettrici. Il successo di tale strategia ridurrà decisamente i costi per gli utenti, rendendo quindi più invitanti i veicoli elettrici. Un carente coordinamento a livello europeo comporta costi elevati, e non solo per gli utenti: i produttori industriali dovranno standardizzare le varie specifiche industriali, con un impatto diretto sui costi. Di conseguenza, se intendiamo muoverci nella direzione desiderata dobbiamo concentrarci, a mio avviso, sulle procedure di normalizzazione. Dobbiamo trovare il modo per incoraggiare i consumatori europei a utilizzare automobili elettriche, e penso che da questo punto di vista le autorità locali possano svolgere un ruolo importante; esse potranno infatti incoraggiare i consumatori europei con l’esempio, oltre che fornendo impianti infrastrutturali e agevolazioni connesse alle varie imposte, come quelle riguardanti i parcheggi o l’inquinamento. Credo che l’uso di automobili elettriche da parte delle istituzioni europee costituirebbe un esempio e un segnale oltremodo positivo. In via di esperimento, sarebbe opportuno formare al più presto una piccola flotta di automobili elettriche, quale alternativa agli attuali modi di trasporto.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) I crescenti timori suscitati dalle emissioni di CO2 e dal cambiamento climatico hanno reso urgentemente necessario sviluppare rapidamente i veicoli elettrici, per farne una possibile valida alternativa ai veicoli utilizzati attualmente. Un uso più intenso di questo modo di trasporto reca un decisivo contributo alla realizzazione degli obiettivi della strategia “Europa 2020”. L’Unione europea deve perciò investire massicciamente nella creazione di una rete di distribuzione che copra effettivamente il territorio europeo. Occorre poi adottare anche misure decisive per eliminare una serie di ostacoli che oggi rendono poco invitante questo modo di trasporto.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Nel contesto delle nostre risorse sempre più limitate, i veicoli elettrici hanno sicuramente il potenziale per diventare un’alternativa veramente ecocompatibile, a patto che vi sia, da parte nostra, la costanza di svilupparli. Tuttavia, questo sarà possibile solo qualora sia il processo di produzione, sia il funzionamento stesso delle automobili avvengano realmente a bassa intensità di risorse e secondo criteri ecocompatibili. I sistemi di propulsione elettrici e ibridi muovono oggi appena i primi passi, e dobbiamo varare un quadro standardizzato senza concedere a questa tecnologia una posizione privilegiata rispetto a sistemi di propulsione alternativi. Nella proposta attuale si concede attenzione troppo scarsa ai sistemi di propulsione alternativi, e per questo mi sono astenuto.
Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Il sostegno allo sviluppo dei veicoli elettrici può produrre parecchi vantaggi. Incoraggiare la diffusione delle automobili elettriche significa recare un notevole contributo alla lotta contro il cambiamento climatico – con il passaggio a tecnologie più pulite e più avanzate – ed equivale ancora a promuovere l’innovazione e a limitare la nostra dipendenza energetica. Lo sviluppo di questa tecnologia comprende ancora alcuni aspetti cui occorrerà dedicare grande attenzione: per esempio l’eliminazione di ostacoli amministrativi e di altra natura che potrebbero avere effetti negativi sulla circolazione delle automobili verdi, e l’erogazione di incentivi per la riqualificazione dei lavoratori dell’industria automobilistica, in maniera da consentire loro di acquisire le competenze necessarie. Mi sembra che la proposta di risoluzione sia un testo veramente equilibrato – affronta infatti tutti i problemi appena ricordati – e quindi ho votato a favore.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Per valutare l'impatto delle misure discusse bisogna analizzare le statistiche rilevate dalla Commissione. In effetti, nel 2007, il 72% della popolazione europea viveva in aree urbane, che sono la chiave della crescita e dell'occupazione. Le città necessitano di sistemi di trasporto efficienti per sostenere l'economia e il benessere dei loro cittadini.
Circa l'85% del PIL dell'UE viene generato nelle città. Le aree urbane hanno oggi il compito di rendere il trasporto sostenibile in termini ambientali (CO2, inquinamento atmosferico, rumore), competitivi (congestione) e sociali (cambiamenti demografici, inclusione, salute). Far fronte a questa sfida è altresì essenziale per il successo della strategia globale dell'UE volta a combattere i cambiamenti climatici, raggiungere l'obiettivo 20-20-20 e promuovere la coesione.
Nove cittadini su dieci, all'interno dell'UE, ritengono che la situazione del traffico nella loro area debba essere migliorata. Sono convinto che un'azione coordinata a livello dell'UE possa aiutare a rafforzare i mercati delle nuove tecnologie per veicoli puliti e dei carburanti alternativi. In questo modo, si possono incoraggiare gli utenti a preferire, a termine, veicoli o modi di trasporto più puliti, a utilizzare infrastrutture meno congestionate o a viaggiare in orari diversi. Promuovo con convinzione queste iniziative che mirano, nel medio-lungo termine, a migliorare le nostre abitudini compatibilmente con lo sviluppo economico ed industriale dell'intera Unione.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho seguito il mio gruppo, votando a favore di questa risoluzione, benché non sia stato approvato il nostro emendamento che voleva affrettare la revisione della legislazione sulle norme di omologazione.
Proposte di risoluzione: Regolamento sull’esenzione per categoria nel settore automobilistico (B7-0245/2010)
Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) In Europa 380 000 aziende si occupano di distribuzione e servizi di manutenzione dei veicoli a motore; si tratta quasi sempre di piccole e medie imprese, che danno lavoro a 2,8 milioni di addetti. Sin dal 1985, il settore automobilistico è soggetto a una normativa di esenzione per categoria nel quadro del diritto europeo sulla concorrenza, a causa delle caratteristiche specifiche del settore stesso: situazione oligopolistica, nonché sofisticato livello tecnico e lungo arco di vita dei prodotti. Oggi però la Commissione propone di abolire l’esenzione vigente per la vendita di veicoli nuovi; solo la postvendita (servizi di riparazione e manutenzione e fornitura di pezzi di ricambio) rimarrebbe soggetta a uno specifico regime di esenzione. Questa proposta di risoluzione, che ho già sostenuto in seno alla commissione per i problemi economici e monetari e a favore della quale ho nuovamente votato oggi in Assemblea plenaria, reca un messaggio chiaro da parte del Parlamento europeo. Essa fa seguito a minuziose consultazioni con il settore automobilistico, e invita la Commissione a tener conto di parecchi elementi suscettibili di destabilizzare l’equilibrio di potere tra fabbricanti e distributori di veicoli, a danno dei consumatori.
George Sabin Cutaş (S&D), per iscritto. – (RO) Ho deciso di votare a favore di questa proposta di risoluzione, in quanto essa mette in luce i problemi inerenti alla proposta della Commissione europea sul regolamento sull’esenzione per categoria nel settore automobilistico.
La raccomandazione, formulata dall’esecutivo europeo, di modificare alcune clausole del regolamento attualmente vigente in questo campo, imponendo specificamente ai concessionari automobilistici l’obbligo di effettuare l’80 per cento delle proprie vendite con una singola marca automobilistica, rischia di rafforzare la dipendenza dei concessionari dalle case produttrici, e quindi di limitare la concorrenza nel settore, con effetti negativi sulle opzioni a disposizione dei consumatori.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Ora che la Commissione europea ha iniziato il processo di revisione della legislazione concernente i veicoli a motore – in particolare il regolamento (CE) n. 1400/2002 (“MVBER”) e il regolamento (CE) n. 2790/1999 (“GBER”), è importante notare che l’Unione e i suoi Stati membri si trovano oggi di fronte a una crisi economica e finanziaria senza precedenti, che ha esercitato un reale e profondo impatto sull’industria automobilistica: su un settore, cioè, che continua a essere fondamentale per l’economia europea e contribuisce all’occupazione, all’innovazione tecnologica e alla competitività. Alla luce di tali considerazioni, i nuovi regolamenti devono tener conto dell’esigenza di creare – a medio e lungo termine – le condizioni per la sostenibilità del settore automobilistico europeo, consentendogli di mantenere una posizione di avanguardia in materia di tecnologia e innovazione e allo stesso tempo di rimanere economicamente sostenibile. Alla luce del provvedimento che abbiamo appena votato in materia di veicoli elettrici, il nuovo quadro normativo deve incentivare la produzione e l’utilizzo di questo tipo di veicoli, nonché la ricerca ambientale e lo sviluppo di automobili dal minore impatto ambientale e con emissioni più basse.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Abbiamo votato contro questa proposta di risoluzione che, in linea di principio, approva la revisione in corso di svolgimento per il quadro normativo in materia di concorrenza applicabile alle attività di distribuzione e riparazione nel settore automobilistico. In realtà, la proposta approva l’abolizione dell’esenzione e l’applicazione del diritto generale in materia di concorrenza. Come al solito, con l’alibi di una consultazione preliminare, prevarranno le lobby più influenti o efficienti, ma non necessariamente più rappresentative del settore, per non parlare del dogma della concorrenza che andrebbe a vantaggio di tutti. Dall’altro lato, saranno vanificati gli sforzi compiuti dai professionisti del settore per adeguarsi alla legislazione oggi vigente. Certo, che sia per fare o per disfare, comunque ci si sta muovendo; resta da vedere se l’obiettivo della Commissione – e in particolare della direzione generale per la concorrenza – è quello di giustificare la propria esistenza producendo leggi, anziché applicare regolamenti che soddisfino l’esigenza di qualità e sicurezza di servizi e prodotti: un’esigenza che si fa sentire dappertutto, ma in primo luogo nel settore automobilistico.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) I cambiamenti proposti dalla Commissione sono contrari, in particolare, agli interessi delle piccole e medie imprese del settore automobilistico. Inoltre, questo settore è governato da un folto numero di complessi regolamenti (relativi per esempio alla sicurezza e all’ambiente) e quindi il diritto in materia di concorrenza deve basarsi sulle caratteristiche specifiche di questo mercato. Per tale motivo ho votato contro la proposta della Commissione.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Nel luglio 2002 la Commissione ha adottato un regolamento di esenzione per categoria in materia di accordi di distribuzione di autoveicoli, in sostituzione del regolamento n. 1475/95.
L’obiettivo principale della politica di concorrenza della Commissione è di permettere alle imprese interessate di beneficiare di una zona di sicurezza tramite l’adozione di regolamenti di esenzione per categoria, allo scopo di garantire un’effettiva sorveglianza dei mercati. Le esenzioni per categoria contribuiscono quindi alla certezza giuridica e all’applicazione coerente delle regole comunitarie. Mi preme rilevare come l'importanza di questa discussione consiste, in effetti, nel delineare gli orientamenti di base del futuro quadro giuridico che, dopo la scadenza del regolamento, dovrebbe disciplinare gli accordi relativi alla distribuzione degli autoveicoli e ai relativi servizi di assistenza dopo la vendita.
Pertanto, per definire l’adeguato campo di applicazione dell’esenzione per categoria applicabile al settore automobilistico, sprono la Commissione a tener conto delle condizioni della concorrenza sui mercati rilevanti e della necessità di operare una distinzione di base tra i mercati della vendita di autoveicoli nuovi e i mercati dei servizi di riparazione e manutenzione e/o della distribuzione dei pezzi di ricambio. Ribadisco l'importanza di sostenere tali proposte che scoraggino iniziative individuali a favore della concorrenza da parete dei rivenditori e dei riparatori e incentivino lo sviluppo del settore.
Robert Rochefort (ALDE), per iscritto. – (FR) Il cosiddetto regolamento sull’“esenzione per categoria”, introdotto a livello europeo nel 2002 per incrementare la concorrenza nel settore automobilistico e recare ai consumatori benefici tangibili, sta giungendo alla data di scadenza. Nella sua proposta di revisione, la Commissione introduce cambiamenti che avranno preoccupanti conseguenze per i consumatori, in termini di varietà di scelta, qualità e prezzo. Per tale motivo, con questa proposta di risoluzione – cui personalmente ho dato il mio sostegno – noi affermiamo chiaramente le nostre riserve su alcune tra le proposte in discussione. Penso in particolare all’obbligo della “monomarca”, che avrà ripercussioni negative sulla scelta dei consumatori e sull’indipendenza dei concessionari nei confronti delle case produttrici. Esprimo inoltre i miei timori per l’assenza di un’adeguata garanzia di accesso – per tutte le parti interessate – alle informazioni tecniche e ai pezzi di ricambio; in pratica ciò limiterà la libertà di scelta del concessionario o dell’officina cui il consumatore potrebbe rivolgersi. Non dimentichiamo infine che la Commissione deve affrontare la questione delle nuove misure anticoncorrenziali che vincolano i consumatori, quali i servizi postvendita di qualsiasi natura vincolati all’obbligo esclusivo di rivolgersi, per riparazioni o manutenzione, alla rete di distribuzione di una marca specifica.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione, così come ha fatto la gran maggioranza dei colleghi.
Regina Bastos (PPE), per iscritto. − (PT) Il cancro è una delle principali problematiche sanitarie che si devono affrontare oggi in Europa: esso rappresenta la seconda causa di morte nell’Unione europea, con 3 milioni di nuovi casi e 1,7 milioni di decessi all’anno. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, almeno un terzo di tutti i casi di cancro è prevenibile. E’ quindi essenziale che le parti interessate di tutta l’Unione europea intraprendano uno sforzo collettivo per lottare contro il cancro. Uno degli scopi della proposta della Commissione, relativa a un partenariato europeo per la lotta contro il cancro per il periodo 2009-2013, è quello di sostenere gli sforzi degli Stati membri volti a contrastare il cancro mediante l’istituzione di un quadro per individuare e condividere le informazioni, le capacità e le conoscenze nel campo della prevenzione e della lotta al cancro nonché mediante il coinvolgimento in uno sforzo collettivo delle parti interessate in tutta l’Unione europea. Sono favorevole all’obiettivo di ridurre il carico delle malattie neoplastiche mediante l’introduzione, entro il 2013, di uno screening del 100 per cento della popolazione per l’individuazione del cancro al seno, alla cervice uterina e al colon-retto, invitando altresì gli Stati membri a dare piena attuazione alle linee guida. Per le ragioni appena illustrate, ho votato a favore della relazione “Lotta contro il cancro: un partenariato europeo”.
Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. − (LT) Ho votato a favore di questa relazione, in quanto il partenariato europeo per la lotta contro il cancro per il periodo 2009-2013, proposto dalla Commissione europea, è un’ottima iniziativa per migliorare l’efficacia della lotta contro questa terribile malattia. Il cancro è uno dei settori principali in cui si esplica l’azione comunitaria nel campo della salute pubblica, dal momento che questa malattia – diagnosticata ogni anno a 3,2 milioni di europei – rappresenta la seconda causa di morte dopo le patologie cardiache. Il partenariato proposto dalla Commissione mira a sostenere gli sforzi degli Stati membri volti a contrastare il cancro mediante l’istituzione di un quadro per individuare e condividere le informazioni, le capacità e le conoscenze nel campo della prevenzione e della lotta al cancro. Vorrei sottolineare che solo coinvolgendo le parti interessate di tutta l’Unione europea in uno sforzo collettivo per lottare contro il cancro potremo ridurre in maniera significativa il numero di casi di questa malattia in Europa. Condivido l’appello rivolto dal Parlamento europeo alla Commissione e agli Stati membri per sviluppare ulteriormente e consolidare le iniziative che offrono ai pazienti oncologici un sostegno diretto o indiretto. Concordo anche sul fatto che la Commissione e gli Stati membri devono far sì che in tutti gli Stati membri i pazienti che ne hanno bisogno abbiano parità di accesso ai farmaci antitumorali. Di conseguenza, il partenariato per la lotta contro il cancro avviato dalla Commissione rappresenta un importantissimo passo in avanti verso l’obiettivo di un partenariato sociale e politico comune fra tutti coloro che, in Europa, vogliono ridurre l’incidenza del cancro nel nostro continente.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Le previsioni relative a una crescita esponenziale del numero di casi di cancro diagnosticati intendono far squillare un forte segnale d’allarme per la comunità internazionale. Nell’Unione europea, a una persona su tre verrà diagnosticato il cancro nell’arco della vita; in effetti questa crudele malattia è la seconda più comune causa di morte in Europa. Con la proposta di risoluzione che ha adottato, il Parlamento europeo intende richiamare l’attenzione sul fatto che in Europa esistono ancora disparità inaccettabili per quel che riguarda lo screening e il trattamento dei tumori. Un terzo dei casi di cancro diagnosticati hanno esito fatale per il paziente perché vengono diagnosticati troppo tardi. Si tratta di una realtà che l’Europa deve cambiare ricorrendo a programmi di informazione e di educazione dei cittadini, e agevolando l’accesso a servizi medici di elevata qualità. Ultima, ma non meno importante osservazione, l’Unione europea attualmente non fa abbastanza, per quanto riguarda la ricerca su questa malattia di cui troppo poco si sa. Nella lotta contro il cancro, ricerca e prevenzione sono le principali direttrici di attacco; è una strategia che produrrà risultati nel medio periodo. L’incidenza dei casi di cancro deve cominciare a diminuire, affinché l’Europa possa raggiungere l’ambizioso traguardo fissato dalla Commissione europea: si tratta di ridurre del 15 per cento il numero dei nuovi casi di cancro entro il 2020, tenendo conto dell’attuale tendenza all’aumento dei casi per effetto della crescita e dell’invecchiamento della popolazione.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Accolgo con favore la proposta della Commissione di creare un partenariato europeo contro il cancro per il periodo 2009-2013, perché ritengo che la lotta contro il cancro dovrebbe essere considerata una componente essenziale della strategia in materia di salute. Tuttavia, come forma di prevenzione primaria, invito ad applicare misure che incoraggino stili di vita sani, come fattore essenziale per il miglioramento della salute. Anche i fattori ambientali incidono sulla salute, ed è quindi necessario affrontare i problemi ambientali responsabili dello sviluppo di specifici tipi di cancro. Per tali motivi è importante adottare un approccio trasversale e integrato in campi d’azione come l’istruzione, l’ambiente, la ricerca e i problemi sociali, oltre che un coordinamento più stretto fra i vari centri di ricerca sul cancro dell’Unione europea. Richiamo l’attenzione sulla necessità di utilizzare in maniera più efficace i finanziamenti per la lotta contro il cancro previsti ai sensi del Settimo programma quadro, e di varare inoltre programmi di ricerca su vasta scala. Sarebbe inoltre importante inserire nella prospettiva finanziaria i fondi da destinare alla prevenzione del cancro.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) E’ essenziale adottare un approccio globale alla lotta contro il cancro, poiché questa malattia si sta diffondendo a livello mondiale quasi con il ritmo di un’epidemia ed è una delle principali cause di morte nel mondo, responsabile di quasi il 13 per cento del numero totale dei decessi registrati nel 2004 (quasi 1,7 milioni di morti all’anno); poiché essa ha rappresentato la seconda causa di morte nel 2006, allorché la maggioranza dei decessi è stata causata dal cancro ai polmoni, al colon-retto e al seno; e infine, perché a un europeo su tre, nel corso della vita, viene diagnosticato un cancro, mentre un europeo su quattro alla fine ne muore. E’ quindi necessario un deciso impegno in favore della prevenzione e di piani di screening nazionali, poiché sappiamo che una prevenzione adeguata e un trattamento precoce permettono di evitare quasi il 30 percento dei casi. E’ anche essenziale ridurre le disuguaglianze nei trattamenti; richiamo l’attenzione sull’inaccettabile situazione che si registra in Portogallo, ove farmaci antitumorali efficaci e innovativi – soprattutto per il cancro al seno e ai polmoni – vengono rifiutati ai pazienti per motivi puramente finanziari.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Il cancro è una delle principali problematiche sanitarie che si devono affrontare in tutto il mondo. Attualmente, esso rappresenta la seconda causa di morte in Europa, con 3 milioni di nuovi casi e 1,7 milioni di decessi ogni anno. La Commissione europea propone un partenariato europeo contro il cancro per il periodo 2009-2013. In quanto problema sociale e politico, il cancro richiede azioni comuni a livello europeo, nazionale, regionale e locale. Il trattato di Lisbona sancisce con precisione che l’Unione ha la competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri. Uno dei settori di tali azioni, a livello europeo, riguarda la tutela e il miglioramento della salute umana (articolo 2E). L’Unione europea ha già approvato due importanti strumenti basati su prove di efficacia per affrontare la prevenzione: il Codice europeo contro il cancro e le raccomandazioni del Consiglio sullo screening dei tumori al seno, alla cervice uterina e al colon. Sono quindi lieto che questa proposta di risoluzione raccomandi di mobilitare il settore pubblico in generale, per investire in una decisa e coerente opera di prevenzione del cancro.
João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Il cancro è una delle principali cause di morte nel mondo e la sua incidenza va crescendo a ritmo allarmante. Consideriamo quindi importante il sostegno che – come si ricorda nella relazione – l’Unione europea offre agli sforzi compiuti dagli Stati membri per combattere il cancro, nonché la promozione di uno sforzo collettivo per condividere le informazioni, le capacità e le conoscenze nel campo della prevenzione e del controllo. La riduzione del numero di casi di cancro che si è registrata in alcuni paesi grazie all’adozione di politiche tese a migliorare la prevenzione e il trattamento dimostra che questa è la strada giusta. La relazione tocca varie questioni importanti, fra cui: la necessità di effettuare la prevenzione primaria e di controllare le malattie che possono generare neoplasie; l’importanza dello screening; l’insufficienza dei finanziamenti attualmente disponibili nell’Unione europea per la lotta contro il cancro, soprattutto per quel che riguarda i finanziamenti pubblici; l’esigenza di ridurre l’esposizione ad agenti cancerogeni derivante da condizioni occupazionali o ambientali; la necessità di aggiornare gli elenchi delle sostanze cancerogene; la protezione dei pazienti oncologici e dei malati cronici sul luogo di lavoro. Tuttavia, la relazione avrebbe potuto essere più radicale su altri temi, e invocare l’eliminazione – anziché la semplice riduzione – delle disuguaglianze in materia di accesso ai trattamenti antitumorali e alle cure connesse.
Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto. – (PL) In qualità di autrice della dichiarazione scritta n. 71/2009 sulla lotta contro il cancro al seno nell’Unione europea, che è stata adottata dal Parlamento europeo, mi rallegro vivamente per la comunicazione della Commissione “Lotta contro il cancro: un partenariato europeo”.
Questo documento analizza il problema del cancro nell’Unione europea e fissa gli obiettivi della lotto contro tale malattia. Benché il servizio sanitario sia de facto gestito dagli Stati membri, l’Unione europea può comunque agire per estendere l’assistenza sanitaria e fungere, per esempio, da ottima piattaforma per lo scambio di buone prassi. Spetterà poi agli Stati membri decidere se utilizzare questo strumento supplementare offerto dalla Commissione europea.
La proposta contiene un obiettivo estremamente specifico, ossia la riduzione dell’incidenza del cancro nell’Unione europea del 15 per cento entro il 2020. Per realizzare questo programma, è necessario ottenere entro il 2013 l’integrazione dei piani per la lotta contro il cancro di tutti gli Stati membri. Il prossimo passo è quello di ridurre del 70 per cento la sproporzione nella mortalità da cancro tra gli europei che affrontano un trattamento per queste patologie. Il divario che, nell’Unione europea, separa gli Stati membri che possono vantare i risultati migliori da quelli ove si registrano i dati peggiori è ancora troppo profondo.
La comunicazione insiste inoltre sulla profilassi, compresa l’introduzione dello screening del 100 per cento della popolazione per l’individuazione del cancro al seno, alla cervice uterina e al colon-retto. Sono lieta che il nostro recente appello, contenuto nella dichiarazione scritta n. 71/2009, sia giunto in un momento favorevole del lavoro della Commissione, cosa – mi auguro – di buon auspicio per un’attuazione rapida e sicura.
Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa relazione riguardante la creazione di un partenariato europeo contro il cancro per il periodo 2009-2013.
Obiettivo di questo partenariato è l’istituzione di un quadro per individuare e condividere le informazioni, le capacità e le conoscenze nel campo della prevenzione e del controllo del cancro. Gli Stati membri devono agire uniti, soprattutto nel settore dello screening. In Europa, una persona su tre verrà colpita dal cancro nell’arco della propria vita; tuttavia, un terzo di tutte le neoplasie è prevenibile, e la prevenzione offre la risposta economicamente più vantaggiosa e la strategia di più lungo termine per ridurre l’incidenza del cancro.
Sono lieta che la maggioranza della nostra Assemblea abbia votato a favore delle proposte che io ho formulato in qualità di relatrice per parere della commissione per l’industria, la ricerca e l’energia, tra cui per esempio la necessità di incoraggiare maggiormente i partenariati di tipo pubblico-privato stimolando la ricerca e lo screening, soprattutto in materia di immaginografia medica.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Benché la sanità sia di competenza di ciascuno Stato membro, abbiamo tutto da guadagnare da un approccio globale alla prevenzione e al trattamento del cancro, e proprio a quest’impostazione va il mio sostegno in questa sede. In tal modo, l’Europa potrà garantire una cooperazione più stretta con le parti interessate (società civile, varie organizzazioni e altri soggetti ancora) per diffondere con la massima efficacia possibile le migliori prassi del settore, ma soprattutto per migliorare l’efficacia dell’assistenza ai pazienti prendendo in considerazione il benessere psicosociale e mentale dei pazienti. Tale partenariato consentirebbe anche di tener conto dei problemi connessi, come per esempio le disuguaglianze che affliggono i pazienti colpiti dalla malattia; si tratta di un elemento fondamentale per migliorare la vita quotidiana dei pazienti. Mi rallegro anche che il 19 aprile sia stata adottata una dichiarazione scritta (da me sostenuta) che invita tutti gli Stati membri dell’Unione a introdurre su scala nazionale lo screening per il cancro al seno, e la Commissione a redigere ogni due anni una relazione di follow-up. Il cancro al seno rimane la principale causa di morte per le donne fra i 35 e i 59 anni di età.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il cancro è la principale causa di morte in tutto il mondo. Attualmente, il cancro viene diagnosticato a un europeo su tre, e un europeo su quattro muore per questa malattia. Purtroppo, l’invecchiamento della società contribuirà a sua volta a rafforzare l’incidenza del cancro nei prossimi decenni. A mio avviso, per arginare quest’incremento dobbiamo migliorare i piani nazionali di lotta contro il cancro, e condurre una campagna d’informazione ancor più efficace, rivolta ai cittadini dell’Unione europea. I bambini devono apprendere uno stile di vita sano fin dai primi anni, poiché ciò avrà per effetto un minor numero di casi di cancro in futuro. Secondo gli esperti, un terzo delle neoplasie è prevenibile, ma per raggiungere tale obiettivo l’Unione europea deve incrementare i finanziamenti per la lotta contro il cancro: in tal modo diventerebbe possibile portare avanti la ricerca scientifica e varare un vasto programma di misure profilattiche antitumorali in tutti i paesi dell’Unione.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) La salute pubblica è una delle priorità dell’Unione europea; la lotta contro tutte le forme di cancro vi rientra, poiché questa malattia è responsabile ogni anno della morte di milioni di cittadini europei. Come tutti sappiamo, la prevenzione e la diagnosi precoce sono elementi essenziali di un’efficace lotta contro il cancro, e quindi i nostri sforzi devono concentrarsi essenzialmente su questi settori. E’ importantissimo intensificare gli sforzi nella lotta contro i tre tipi di cancro che causano il maggior numero di decessi – tumore ai polmoni, al colon e al seno – senza però trascurare gli altri.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) In tutte le parti d’Europa, il cancro rappresenta la minaccia più grave alla salute, e i tassi di mortalità sono elevati. Su tre milioni di persone colpite oggi dalla malattia, 1,7 milioni sono destinate a non sopravvivere; ma una diagnosi e un trattamento precoci potrebbero ridurre notevolmente questo dato. Non dobbiamo solo investire nei trattamenti in tutta Europa; è necessario anche sostenere le misure preventive. Dobbiamo fare della cooperazione transnazionale la nostra priorità, per bloccare la diffusione del cancro in maniera definitiva. Questa relazione va considerata un passo concreto nella direzione giusta, e per questo ho votato a favore.
Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sul tema “Lotta contro il cancro: un partenariato europeo”; è infatti necessario sostenere tutte le misure miranti a combattere il cancro e ridurne al minimo gli effetti. La scienza medica non è ancora in grado di fermare il cancro, che sta diventando uno dei più terribili flagelli sperimentati dall’umanità; è terribile apprendere che, nel 2006, il cancro è stato la seconda più frequente causa di morte. Le cause del cancro sono molte, oppure spesso si rivela impossibile individuarle e diagnosticarle; tuttavia, nel 30 per cento circa dei casi è possibile prevenire il cancro e limitarne gli effetti. A tale scopo è necessario varare adeguati programmi nazionali di screening. L’Unione europea, nell’interesse dei propri cittadini di cui occorre garantire la sicurezza, deve predisporre le opportune metodologie per la diagnosi precoce della malattia, le misure preventive e la terapia avanzata. In molti Stati membri è stato possibile ottenere progressi nella lotta contro il cancro ricorrendo a un ventaglio di misure diverse, tra cui politiche antifumo e metodi di prevenzione specifici. Sarebbe opportuno introdurre misure analoghe in tutta l’Unione, anche se con ritmi più intensi ed efficaci. Per quanto riguarda l’incidenza del cancro e la relativa mortalità, le previsioni per i prossimi anni non sono ottimistiche. E’ amaro dover constatare che – nonostante i diversi metodi di diagnosi e trattamento disponibili – un gran numero di persone sarà condannato a morire di cancro. Facciamo però in modo che i nostri cittadini sappiano che in questo campo non saranno mai lasciati soli.
Frédérique Ries (ALDE), per iscritto. – (FR) Ridurre i casi di cancro nell’Unione europea del 15 per cento entro il 2020: ecco l’ambizioso obiettivo del partenariato europeo contro il cancro per il periodo 2009-2013, e a quest’obiettivo il Parlamento europeo ha espresso oggi il suo sostegno, con il voto sulla relazione Peterle. Si tratta di una risposta all’altezza della posta in gioco, benché – secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità – nel 2010 il cancro sia destinato a diventare la principale causa di morte nel mondo, prima delle patologie cardiovascolari.
Solo nel 2010, 3 milioni di europei verranno colpiti dal cancro, e quasi 2 milioni di persone moriranno per questa malattia. E’ urgente intensificare gli sforzi in materia di screening sistematico dei tumori più comuni: il cancro ai polmoni, al colon-retto e al seno. Incoraggiare una rivoluzione in oncologia significa anche promuovere la ricerca sulle proprietà carcinostatiche di alcuni alimenti e incoraggiare lo screening precoce dei tumori grazie alla tecnica d’avanguardia dei biomarcatori: analisi complesse del sangue o delle urine. Si tratta di misure decisamente dirette a diversificare l’offerta di assistenza ai pazienti, in modo che il 2010 sia l’anno della risposta e l’Unione europea non solo sostenga, ma anzi ispiri i programmi nazionali di lotta contro il cancro.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Naturalmente ho votato a favore di quest’importante relazione, che è un provvedimento cruciale per la prevenzione del cancro.
Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) Sono decisamente favorevole alla relazione del Parlamento europeo sulla comunicazione della Commissione sul tema “Lotta contro il cancro: un partenariato europeo”. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, questa malattie viene diagnostica a un europeo su tre, e un europeo su quattro ne muore. Quest’anno, 3 milioni di europei contrarranno il cancro e quasi 2 milioni, si prevede, moriranno di tale malattia. In Polonia, circa 100 000 persone sono colpite ogni anno dal cancro, e 70 000 ne muoiono. La lotta contro il cancro è uno dei settori in cui l’azione dell’Unione europea in materia di salute pubblica si esplica in modo permanente. Il trattato di Lisbona ha ribadito che l’Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri per la tutela e il miglioramento della salute. Un’azione specifica in questo senso è offerta dall’iniziativa della Commissione intitolata “Partenariato europeo per la lotta contro il cancro per il periodo 2009-2013”. Gli obiettivi di questo partenariato, e in particolare le misure di profilassi che esso prevede, sono essenziali per limitare l’incidenza del cancro; suscitano però inquietudine le limitazioni poste alle risorse finanziarie disponibili per tali obiettivi. La comunicazione fissa obiettivi per un periodo decennale, mentre il bilancio comunitario garantisce unicamente un sostegno finanziario di breve termine. Chiedo quindi un incremento dei sussidi, specialmente per i programmi di profilassi previsti dalla politica regionale e dal Fondo sociale europeo; un uso più efficace delle risorse disponibili nell’ambito del Settimo programma quadro (per esempio un miglior coordinamento della ricerca scientifica); e un incremento delle risorse da programmare nell’ambito della nuova prospettiva finanziaria.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. − (LT) Il cancro costituisce il problema sanitario più grave, sia in Europa che nel mondo intero. Purtroppo, oggi questa malattia continua a diffondersi in proporzioni epidemiche; con oltre 3 milioni di nuovi casi e 1,7 milioni di decessi l’anno, il cancro rappresenta la seconda causa di morte e morbilità in Europa. Attualmente, a una persona su tre nell’Unione europea verrà diagnosticato il cancro nell’arco della vita e gli esperti prevedono che il carico delle malattie neoplastiche aumenterà notevolmente per effetto dell’invecchiamento della popolazione; occorre quindi agire con urgenza per migliorare il controllo e la prevenzione del cancro nell’Unione. In Lituania la situazione è particolarmente grave; gli indicatori statistici per i vari tipi di cancro sono tra i peggiori dell’Unione europea. Accolgo quindi con particolare soddisfazione la risoluzione del Parlamento europeo sulla lotta contro il cancro nell’Unione europea allargata, nonché il partenariato europeo per la lotta contro il cancro per il periodo 2009-2013 proposto dalla Commissione europea, che costituisce un nuovo tentativo di far convergere tutti i soggetti interessati per lavorare insieme in uno spirito di proficuo partenariato. Il cancro non è un problema meramente sanitario, ma anche sociale e politico; per risolverlo sono necessarie azioni congiunte a livello europeo, nazionale, regionale e locale. Sottolineo che il trattato di Lisbona sancisce con precisione che l’Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri. L’obiettivo che tutti condividiamo è quello di sostenere gli sforzi degli Stati membri volti a contrastare il cancro e di istituire un quadro per individuare e condividere le informazioni, le capacità e le conoscenze nel campo della prevenzione e della lotta al cancro.
Jarosław Leszek Wałęsa (PPE), per iscritto. – (PL) Oggi abbiamo votato sulla proposta di risoluzione redatta dal mio collega sloveno del gruppo del Partito popolare europeo (democratico cristiano), onorevole Peterle, sulla lotta contro il cancro. Naturalmente ho approvato la proposta della Commissione europea di istituire un partenariato europeo per la lotta contro il cancro per il periodo 2009-2013. Questa nuova forma di cooperazione è concepita per sostenere gli sforzi degli Stati membri nella lotta contro il cancro. Le statistiche mediche indicano che ogni anno in Europa si registrano 3 milioni di nuovi casi e 1,7 milioni di decessi; ciò significa che ogni anno il cancro si colloca al secondo posto tra le cause di morte e le malattie più gravi. Nel quadro del partenariato europeo gli Stati membri dovrebbero preparare al più presto possibile piani integrati per la lotta contro questa terribile malattia, in modo che entro il 2020 sia possibile ridurne l’incidenza del 15 per cento. Non dobbiamo però dimenticare che in questa impari lotta il fattore più importante è la prevenzione; è questa la misura economicamente più vantaggiosa, perché un terzo dei casi di cancro si possono evitare. Le misure preventive vanno perciò sostenute sia quando rientrano nelle prassi mediche sia nel contesto di stili di vita più sani.
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − L´importanza delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) è da ricondursi al loro ruolo cruciale nell'aver innescato una vera e propria rivoluzione nel mondo della scienza, decretando non soltanto la nascita della società della conoscenza ma rendendo accessibile un approccio sostenibile all´utilizzo delle risorse naturali.
Alla luce di queste considerazioni, nel caso specifico delle nuove tecniche dedicate all'efficienza energetica, non è possibile ignorare che le TIC costituiscono un'importante risorsa per assicurare che il progresso vada di pari passo con il rispetto del pianeta, garantendo che l'economicità dei risparmi possa avvantaggiare tanto l'ambito privato che quello industriale. La politica del risparmio in tema energetico qualificherà la sostenibilità del modello sociale europeo, per questo ho deciso di esprimermi a favore della relazione.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) Il passaggio alla telelettura potrebbe ridurre i consumi energetici fino al 10 per cento a livello europeo, in quanto consentirebbe flussi di informazioni bidirezionali tra i gestori delle reti, i fornitori di energia e i consumatori. Le analisi dimostrano che un uso intelligente delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) può ridurre il consumo energetico degli edifici, che attualmente ammonta al 40 per cento del consumo energetico totale europeo, fino al 17 per cento. Tutti questi dati equivalgono a una riduzione delle emissioni di carbonio fino al 27 per cento nel solo settore dei trasporti.
Il complesso di queste previsioni deve semplicemente stimolarci a sfruttare fino in fondo le tecnologie più avanzate. Anche se non sarà possibile applicare uniformemente queste tecnologie in tutta l’Unione europea nel breve termine, è importante che tutti gli Stati membri siano consapevoli dell’opzione di utilizzare tecnologie avanzate per ridurre le emissioni di carbonio, in considerazione degli obiettivi estremamente ambiziosi contenuti nel programma europeo per il 2020.
I settori delle costruzioni e dei trasporti figurano tra i maggiori consumatori di energia e possono accelerare l’applicazione di sistemi tecnologici avanzati. Allo stesso modo, l’introduzione di nuove tecnologie renderebbe meno dannoso per l’ambiente lo sfruttamento delle risorse naturali, che produrrebbe così meno carbonio.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) svolgono un essenziale ruolo di stimolo per la crescita economica europea. L’influenza che esse esercitano sul settore energetico comporta poi una profonda trasformazione della nostra società, che diviene più decentrata e flessibile; in tale contesto, distribuzione è sinonimo di incremento della ricchezza. L’uso delle TIC e delle tecnologie delle reti ci consente di migliorare l’efficienza del nostro consumo energetico, per esempio attraverso lo sviluppo di reti di distribuzione elettrica, gli edifici intelligenti, le case intelligenti, la telelettura e il trasporto ecoefficiente. E’ comunque importante continuare a sfruttare le opportunità di innovazione che ci vengono offerte dalle TIC. E’ essenziale sviluppare una rete intelligente europea innovativa, dotata di strumenti per misurare e monitorare l’efficienza del consumo energetico, attuando la telelettura conformemente alla tabella di marcia fissata nel terzo pacchetto sul mercato dell’energia. In tal modo i consumatori saranno in grado di gestire il proprio consumo energetico, livellando la curva di richiesta. Inoltre, le TIC possono svolgere un ruolo chiave nel misurare e quantificare gli effetti globali del cambiamento climatico e nel valutare misure di tutela del clima, contribuendo in tal modo a perfezionare la politica climatica.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione sull’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per agevolare la transizione verso un’economia efficiente sotto il profilo energetico e a basse emissioni di carbonio. Le TIC possono assumere un ruolo importante per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, grazie alla riduzione del consumo energetico, all’incremento dell’efficienza energetica e all’integrazione delle energie rinnovabili.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) In un momento in cui la riduzione delle emissioni di CO2 e dei gas a effetto serra rappresenta, insieme agli investimenti in energia rinnovabile e tecnologie “verdi”, un’esigenza prioritaria, questa relazione giunge opportuna e tempestiva. E’ quindi essenziale prendere in considerazione misure relative all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per agevolare la transizione verso un’economia efficiente sotto il profilo energetico, con il minimo costo possibile per i cittadini e le imprese. E’ assolutamente essenziale promuovere una crescita sostenibile, che si rifletta nel benessere della popolazione attuale e nella prosperità dell’economia, ma anche nella solidarietà verso le generazioni future.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono recare un significativo contributo all’efficienza energetica dell’economia dell’Unione europea, soprattutto per quanto riguarda il settore edile e quello dei trasporti. In tale contesto, apprezzo gli sforzi compiuti dalla Commissione per promuovere la telelettura e le reti intelligenti nell’uso, nella distribuzione e nella produzione di energia. Sottolineo soprattutto l’invito, rivolto agli Stati membri, a facilitare la disponibilità di Internet a banda larga a tutti i cittadini dell’Unione europea per garantire un accesso paritario ai servizi on-line.
Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. − (PT) Non c’è dubbio: l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) può agevolare la transizione poiché anche questo è un metodo per ridurre i consumi energetici, migliorare la sicurezza energetica e contribuire ad arginare i danni ambientali, soprattutto per quel che riguarda le emissioni di gas a effetto serra.
Dobbiamo però constatare la lentezza dei progressi compiuti nel mettere a frutto le potenzialità dell’efficienza energetica e dei risparmi energetici, dovuta non solo al gretto egoismo degli attuali gruppi d’interesse economico, ma anche all’esiguo livello degli aiuti disponibili per attuare i necessari cambiamenti.
Sosteniamo quindi varie proposte contenute nella relazione, e specialmente quelle tese a incentivare lo sfruttamento delle TIC nella pianificazione di una nuova politica dei trasporti e a incrementare l’intermodalità nel settore dei trasporti, oppure quelle che invitano la Commissione a sviluppare una visione differente in materia di priorità degli aiuti, tenendo conto delle questioni relative all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per agevolare la transizione verso un’economia efficiente sotto il profilo energetico in vari settori oltre ai trasporti e alla mobilità: per esempio l’industria, la sanità e l’edilizia residenziale.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Già da alcuni anni l'Unione europea si è prefissa importanti obiettivi in termini di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni di carbonio. Il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) è senza dubbio un mezzo per migliorare l’efficienza energetica dei singoli Stati membri. Le TIC possono infatti contribuire: a controllare e gestire il consumo energetico; a fornire nuove applicazioni e nuove tecnologie volte a migliorare l’impiego delle risorse naturali e il ricorso a processi produttivi e industriali più puliti. La consultazione pubblica su vasta scala avviata dalla Commissione europea ha permesso di chiarire in che modo le TIC possono contribuire all’efficienza energetica. La Commissione europea ha calcolato che i sistemi basati sulle TIC sono in grado di ridurre il consumo energetico degli edifici – stimato intorno al 40% del consumo energetico totale europeo – fino al 17% e le emissioni di carbonio nei trasporti fino al 27%. Un'organizzazione urbana con l'ausilio delle TIC può ridurre sostanzialmente il proprio impatto energetico. Occorre pertanto promuovere la diffusione delle buone pratiche e migliorare la consapevolezza dei decisori locali per quanto concerne le potenzialità offerte dalle TIC.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − L’Unione europea ha riaffermato il suo impegno a ridurre del 20% le emissioni di carbonio entro il 2020. Sarà difficile mantenere questo impegno senza sfruttare appieno il potenziale offerto dalle TIC. Le TIC possono di fatto ridurre notevolmente le emissioni di CO2.
Le TIC sono responsabili dell'1,75% delle emissioni di carbonio nel settore dei servizi in Europa e producono lo 0,25% delle emissioni legate alla produzione di attrezzature basate sulle TIC e di materiale elettronico di consumo. Il restante 98% di emissioni proviene da altri settori dell'economia e della società. È dunque auspicabile armonizzare i metodi di misurazione e quantificazione del rendimento energetico per disporre di dati che permettano di sviluppare strategie innovative di risparmio energetico e consentano di evitare il fenomeno della «disinformazione verde».
Vorrei evidenziare, in questo contesto, come le TIC possano svolgere un ruolo fondamentale nel perseguimento di obbiettivi fondamentali, nella misura in cui sono presenti in quasi tutti i settori dell'economia e contribuiscono per oltre il 40% all'aumento della produttività. Per tali ragioni riconfermo il pieno appoggio a questa strategia che combina un adeguato sviluppo economico/industriale ad una strategia eco-sostenibile.
Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) offrono in ogni Stato membro uno strumento per migliorare l’efficienza energetica e fornire nuove applicazione e tecnologie atte a perfezionare lo sfruttamento delle risorse naturali e a trasformare i processi e la produzione industriale in un’economia ecoefficiente. I sistemi basati sulle TIC sono in grado di ridurre il consumo energetico degli edifici – che oggi è responsabile del 40 per cento del consumo energetico totale europeo – fino al 17 per cento e le emissioni di carbonio nei trasporti fino al 27 per cento. Il settore delle TIC occupa 6,6 milioni di addetti nei 27 Stati membri dell’Unione europea, stimola la capacità innovativa di ogni settore e contribuisce con una quota superiore al 40 per cento all’incremento globale della produttività. La Commissione europea e il Comitato delle regioni devono presentare al più presto la “guida pratica per le autorità locali e regionali”, dedicata ai metodi per migliorare il rendimento energetico tramite l’uso innovativo delle TIC. Questo documento indicherà alle autorità la strada da seguire per inserire le TIC nei propri piani concernenti il cambiamento climatico; illustrerà anche in che modo i fondi di coesione possano sostenere partenariati fra imprese miranti a individuare applicazioni innovative delle TIC, allo scopo di incoraggiare e aiutare città e amministrazioni comunali a utilizzare le TIC per ridurre le emissioni.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Noi Verdi abbiamo votato a favore di questa relazione. Tutte le parti del testo originale che alcuni gruppi avrebbero voluto eliminare sono rimaste al loro posto.
Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. − (EN) Sono stata relatrice per parere, a nome della commissione per l’ambiente, su questa relazione, e sono perfettamente consapevole del potenziale del settore delle TIC, che può consentire notevoli risparmi energetici, soprattutto negli edifici e nel settore dei trasporti. Non dobbiamo però dimenticare gli effetti del cosiddetto “divario digitale”, che si osserva sia all’interno dei vari Stati membri che fra uno Stato membro e l’altro. Questa situazione perpetua la disuguaglianza economica e sociale e riduce la capacità delle TIC di produrre vantaggi di ampia portata in termini di efficienza energetica. L’accesso universale a Internet ad alta velocità è un elemento di importanza cruciale. Con l’assistenza della Commissione, gli Stati membri devono intensificare gli sforzi per diffondere le infrastrutture necessarie a garantire che tutti i cittadini e le imprese d’Europa possano godere i benefici delle tecnologie disponibili. In tal modo sarebbe possibile contrastare la disuguaglianza e le ingiustizie provocate dal divario digitale; inoltre, è questa l’unica via per sfruttare fino in fondo il potenziale di efficienza energetica delle TIC.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) Dal momento che le misure varate per raggiungere l’obiettivo di un risparmio energetico del 20 per cento entro il 2020 stanno operando con eccessiva lentezza, occorre incrementare e accelerare il carattere innovativo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, oltre che aumentare sensibilmente la quota di energia ottenuta da fonti rinnovabili. Va notato che un’espansione del settore dei trasporti si accompagna a una rapida crescita delle emissioni di diossido di carbonio. Occorre quindi insistere sull’applicazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione precisamente in questo settore, non solo per ridurre il livello di emissioni, ma anche per impedirne la crescita. La pianificazione della nuova politica dei trasporti europea deve includere soluzioni TIC. In tal modo sarà possibile diminuire l’intensità del traffico nei trasporti, con effetti positivi per l’ambiente naturale. Tutte queste misure non solo recheranno sensibili benefici al clima, ma ridurranno pure i costi associati all’uso dell’energia e consentiranno di creare un’occupazione ecocompatibile. Occorre però ricordare che i nuovi Stati membri non sono in grado di adeguarsi rapidamente ai nuovi requisiti introdotti dall’Unione europea. Dobbiamo tener conto anche degli interessi di questi paesi, poiché essi costituiscono un gruppo di notevole peso, che utilizza ancora fonti di energia tradizionali; per mutare questa situazione occorrono tempo e risorse finanziarie.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. − (LT) Ho sostenuto l’iniziativa della Commissione europea mirante a utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per migliorare l’efficienza energetica dell’Unione e accrescere la competitività dell’industria europea. Secondo i calcoli presentati dalla Commissione europea, l’uso delle TIC rappresenta un’ottima misura per ridurre il consumo energetico e contemporaneamente diminuire la quantità di emissioni di diossido di carbonio fino al 27 per cento: un traguardo importantissimo, che mitigherebbe anche i danni all’ambiente. Condivido senza riserve e sostengo la posizione della relatrice, secondo la quale l’applicazione delle TIC è destinata a stimolare l’industria europea e il mercato delle nuove tecnologie, contribuendo così alla ripresa del mercato o alla creazione di nuova occupazione. A mio avviso è necessario prendere tutte le misure atte ad avviare l’applicazione delle TIC negli Stati membri in cui essa non è ancora iniziata, e a perfezionarla ove essa è già in corso. Sottolineo in particolare l’importanza delle TIC per la pianificazione di una nuova politica europea dei trasporti. La logistica è un importante fattore di razionalizzazione dei trasporti e di riduzione delle emissioni di carbonio. E’ importante riconoscere l’esigenza di incrementare gli investimenti pubblici e privati negli strumenti TIC per sviluppare infrastrutture intelligenti nel settore dei trasporti. L’utilizzo dei sistemi di trasporto intelligenti (STI) applicato al trasporto stradale e interfacciato con le altre modalità di trasporto può contribuire a ridurre la congestione e l’impatto negativo sull’ambiente che ne deriva. Come membro della commissione per lo sviluppo regionale, desidero sottolineare che abbiamo il dovere di incoraggiare gli Stati membri a diffondere le buone pratiche e migliorare la consapevolezza dei decisori locali per quanto concerne le potenzialità offerte dalle TIC.
Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. − Il libro bianco della Commissione europea sull'adattamento ai cambiamenti climatici contiene numerosi spunti su cui è e sarà necessario concentrarsi per limitare questa minaccia legata al riscaldamento globale.
Mi sembra poi particolarmente condivisibile il passaggio della relazione in cui si sottolinea l'importanza di integrare la dimensione dell'adattamento in tutte le politiche dell'Unione europea, siano quelle agricole o della pesca o legate alla gestione forestale, con un approccio trasversale ed intersettoriale che possa garantire una coerenza delle misure che, di volta in volta, verranno poste in essere.
Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) L’Europa sta attraversando un periodo in cui è necessario riconoscere l’urgenza di adottare misure che riducano l’impatto delle attività umane sul clima. Il Libro bianco sul cambiamento climatico rappresenta un passo in avanti verso la standardizzazione delle azioni tese a ridurre le emissioni di carbonio a livello europeo.
In considerazione dell’ambizioso traguardo che si è posta – una riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020 – l’Unione europea deve muoversi assai più rapidamente di quanto stia facendo attualmente. Gli Stati membri vecchi e nuovi hanno il dovere di intensificare in ugual misura gli sforzi, nella consapevolezza che prevenire una malattia o affrontarla nella sua fase iniziale offre speranze di successo ben maggiori rispetto alla lotta contro una condizione cronica.
Sarebbe triste se l’Europa dovesse rendersi conto troppo tardi che il cambiamento climatico può influire sulla possibilità che l’agricoltura offra un’importante e sostenibile fonte di prodotti alimentari per la popolazione europea e mondiale. Dobbiamo già affrontare ogni anno eventi meteorologici estremi come siccità e inondazioni; attualmente è difficile immaginare una situazione peggiore, ma gli esperti non sono molto ottimisti. Per tale motivo le azioni miranti a mitigare l’impatto dell’attività umana sul clima sono essenziali per il mantenimento della normalità.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Apprezzo l’iniziativa con cui la Commissione europea ha offerto un quadro di riferimento generale per l’azione europea in materia di politica di adattamento al clima. Tuttavia, le misure di adattamento non devono rimanere separate da quelle di mitigazione. Sottolineo l’importanza della direttiva sullo scambio delle quote di emissione (ETS), in base alla quale gli Stati membri dell’Unione europea dovrebbero destinare almeno il 50 per cento dei proventi dello scambio di quote di emissione a misure sia di mitigazione che di adattamento. Ritengo inoltre necessario dare priorità a misure supplementari, per promuovere la strategia comunitaria mirante a ottenere un incremento del 20 per cento dell’efficienza energetica entro il 2020, nella prospettiva di rendere tale obiettivo giuridicamente vincolante a livello di Unione europea. Fra le misure di adattamento presentate, mi pare opportuno mettere in rilievo quella riguardante la solidarietà degli Stati membri verso le regioni svantaggiate e quelle maggiormente colpite dal cambiamento climatico. Per realizzare tale solidarietà, è importante che la Commissione prenda in considerazione il potenziamento dei fondi pubblici destinati alla cooperazione internazionale nel futuro Ottavo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo, a sostegno della lotta contro il cambiamento climatico. Sottolineo anche l’importante ruolo che spetta a ricerca e tecnologia nello sviluppo di una società a basse emissioni di carbonio, alla luce della recente comunicazione della Commissione sul piano strategico per l’energia e la tecnologia (SET) nonché della logica d’intervento tra i settori pubblico e privato e tra i finanziamenti comunitari, nazionali e regionali.
Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. − (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione che esprime approvazione per il Libro bianco della Commissione su una strategia dell’Unione europea per l’adattamento ai cambiamenti climatici e propone un ventaglio di misure concernenti svariati settori politici. Anche se riusciremo a mantenere il riscaldamento globale entro livelli di sicurezza, i cambiamenti climatici comporteranno conseguenze inevitabili, tali da esigere sforzi di adattamento. E’ necessario integrare le procedure “a prova di clima” e la dimensione dell’adattamento in tutti i settori politici, ma soprattutto in quelli riguardanti le risorse idriche, il suolo, l’agricoltura e la pesca, e le zone costiere. E’ a rischio la biodiversità, ma è anche necessario garantire che la pianificazione delle aree urbane, dei trasporti e delle infrastrutture tenga conto dei cambiamenti climatici. I sistemi di protezione civile devono considerare prioritaria la preparazione alle inondazioni e alla siccità. Non si devono assolutamente trascurare le ripercussioni di questa sfida nel campo sociale e in quello della sanità pubblica; si tratta di una situazione che può incidere gravemente sulla salute respiratoria e aumentare la diffusione delle malattie trasmesse da vettori. Le comunità svantaggiate, i bambini poveri e gli anziani sono alcuni dei gruppi più vulnerabili ai rischi che il cambiamento climatico comporta per la salute. Le entrate derivanti dal sistema di scambio delle quote di emissione devono contribuire allo sforzo di adattamento, mentre il bilancio dell’Unione europea deve riflettere l’urgenza con cui è necessario affrontare questi problemi.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della relazione sul Libro bianco della Commissione: “L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione europeo”. Le misure di adattamento sono necessarie per far fronte alle sfide poste dal cambiamento climatico. Ritengo che l’adattamento al cambiamento sia un passo indispensabile, che ci consentirà di perfezionare gli attuali sistemi di gestione delle emergenze combinando i dati delle osservazioni satellitare e terrestre.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Come ho osservato ieri in occasione del voto sulla relazione Le Foll sull’agricoltura dell’Unione europea e il cambiamento climatico, “le preoccupazioni ambientali, pur legittime e necessarie, vanno accuratamente soppesate per tener conto dell’impatto delle proposte in termini di produttività e sostenibilità agricole”. Lo stesso discorso vale per tutti i settori di attività, ed è quindi essenziale che l’Unione europea formuli una strategia per affrontare il cambiamento climatico, impegnandosi seriamente a perseguire lo sviluppo sostenibile e a ridurre le proprie emissioni di carbonio, senza perciò mettere a repentaglio le proprie attività produttive, e in particolare l’industria. Soprattutto nel contesto di una crisi economica e finanziaria, qualsiasi politica in materia di cambiamento climatico deve perseguire la sostenibilità e l’efficienza economica, ponendo l’innovazione e la ricerca al servizio di nuove tecniche e di soluzioni più ecocompatibili ma altrettanto efficienti e competitive. I punti chiave di questo sforzo devono essere i seguenti: fonti pulite di energia, uso più efficiente delle risorse naturali, forti investimenti nella ricerca e in tecnologie maggiormente ecocompatibili. In tal modo sarà possibile mantenere la competitività europea e accrescere l’occupazione nel quadro di uno sviluppo sostenibile.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) L’Unione europea deve conservare e rafforzare il proprio ruolo guida nella lotta internazionale contro il cambiamento climatico. La ricerca scientifica in questo campo è un elemento indispensabile per riuscire a scegliere una strada corretta e sicura, sia per combattere i cambiamenti climatici che per adattarvisi. La questione dell’adattamento è trasversale, e riguarda svariate politiche settoriali; in questi settori occorre irrobustire il coordinamento politico da parte degli Stati membri. Per quanto mi riguarda, sono favorevole a piani nazionali obbligatori di adattamento, basati su un quadro comune europeo. A mio avviso dobbiamo dotarci di politiche europee comuni in settori quali – per esempio – le risorse idriche, l’energia e le foreste; ribadisco a tal proposito la necessità di redigere una carta europea dei rischi che incombono sui confini costieri. E’ anche indispensabile e urgente effettuare un’analisi dei rischi che il cambiamento climatico comporta per le regioni più vulnerabili d’Europa. Ritengo anche opportuno fissare obiettivi europei per l’efficienza dei sistemi pubblici di approvvigionamento idrico. Rammento inoltre che gli ecosistemi naturali sono i pozzi di assorbimento del carbonio più importanti della terra, poiché catturano il 50 per cento delle emissioni annue globali di gas a effetto serra e contribuiscono alla mitigazione e all’adattamento.
Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) Questa relazione aderisce alla credenza per cui i cambiamenti climatici sarebbero globali, catastrofici e di origine inevitabilmente umana. Ma proprio come tale credenza, che ha ormai assunto caratteristiche quasi religiose e non viene più messa in discussione, anche la relazione è eccessiva; e come tutte le cose eccessive, è ridicola. Così, senza attendere alcuna valutazione scientifica, si dovrebbe applicare un principio di precauzione assoluto per fronteggiare i peggiori scenari possibili dal punto di vista del possibile impatto del cosiddetto riscaldamento globale sugli ecosistemi, e poi anche sulle zone abitabili, gli impianti industriali e via discorrendo. Noto di passaggio che tanta cautela raramente si applica ad altre misure legate all’ambiente e alla salute umana, come per esempio gli OGM. Sulla base di rischi reali o immaginari – dalle malattie forse connesse al riscaldamento globale agli incendi boschivi che, a quanto pare, sarebbero dovuti esclusivamente allo stesso fenomeno, dalle inondazioni al surriscaldamento delle centrali elettriche – ci vien chiesto di accettare le interferenze della Commissione e delle politiche europee in tutti i settori, nessuno escluso, fino all’utilizzo del più minuscolo appezzamento di terra. E’ un peccato che per stampare questo testo siano stati sacrificati tanti alberi, noti per la loro capacità di assorbire il carbonio. Come dice il poeta: o taglialegna fermati un momento.
Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto. – (PL) L’inesorabile cambiamento del clima costringe la società e l’economia dell’Unione europea ad adattarsi a una nuova realtà. A mio avviso ci occorre una politica di adattamento che si adegui alle caratteristiche e al tipo di trasformazioni che si stanno verificando, e che comprenda anche una strategia per la protezione delle aree più a rischio. Concordo senza riserve con il relatore, e per un miglior coordinamento di queste misure ritengo importante realizzare un sistema di scambio di informazioni e di monitoraggio a livello internazionale, ma anche regionale e locale. Mi rallegro soprattutto che sia stato messo in particolare rilievo il significativo ruolo della politica agricola comune, che nel processo di adattamento al cambiamento climatico svolge l’essenziale funzione di custode degli ecosistemi e della biodiversità ecologica. Giudico perciò estremamente importanti i progetti tesi a prevenire o mitigare gli effetti di siccità e inondazioni, a sostegno degli agricoltori che lavorano in condizioni difficili.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Mi sono espresso in modo favorevole rispetto alla totalità della risoluzione sul Libro bianco della Commissione dal titolo "L'adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d'azione europeo" poiché ritengo sia di particolare interesse per l'Europa tutta e per l'Italia in particolare a causa delle sue peculiarità geo-climatiche. Ci sono, infatti, evidenti difficoltà nella gestione delle risorse idrologiche del nostro paese, come dimostrano i casi di siccità frequenti nel Mezzogiorno nei mesi estivi, ma anche alcuni episodi di inondazioni, come avvenuto lo scorso dicembre con il fiume Serchio in Toscana. In Italia abbiamo anche il terribile problema degli incendi estivi, per cui c'è un assoluto bisogno di migliorare le condizioni di sicurezza. Nonostante il progetto del Libro bianco rappresenti al momento un quadro di riferimento di partenza, ritengo si tratti sicuramente di un notevole contributo soprattutto per ciò che riguarda la gestione delle emergenze. Allo stesso tempo esso delinea un approccio strategico generale mirato ad aumentare la capacità di risposta dell'UE agli impatti del cambiamento climatico.
Andres Perello Rodriguez (S&D), per iscritto. – (ES) Un ampio settore del Parlamento, che comprende la delegazione spagnola del gruppo S&D, si è opposto formalmente al paragrafo 41 di questa risoluzione, che invita ad applicare il principio di sussidiarietà alla politica di tutela del suolo. Tutti riconosciamo la diversità che si riscontra fra le diverse regioni dell’Unione, ma è proprio per questo che – come si afferma nella risoluzione – l’Europa meridionale subisce in maniera ben più pesante la pressione del cambiamento climatico, e quindi ha bisogno dell’Europa e delle sue politiche comuni. Si tratta di una questione di solidarietà, da cui tutta l’Unione europea trarrebbe beneficio. Ci rammarichiamo profondamente, quindi, che dal testo sia scomparsa la prima proposta, con la quale l’onorevole Prodi chiedeva che la direttiva sulla protezione del suolo venisse sbloccata in sede di Consiglio. E’ cruciale varare questo strumento legislativo, che è essenziale per l’adattamento, e in particolare per contrastare il rischio del degrado e della desertificazione. E’ vero che questo rischio è più palpabile nell’Europa meridionale, ma non dimentichiamo che il cambiamento climatico colpisce tutto il patrimonio ambientale europeo. Coloro ai quali è indirizzata questa risoluzione devono sapere che un vasto settore del Parlamento invoca ancora una politica solidale e comune.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Noi Verdi abbiamo votato a favore di questa relazione. La buona notizia è che l’emendamento mirante a cancellare l’accento posto sulla sicurezza nucleare è stato respinto.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) I risultati del lavoro compiuto dagli scienziati dimostrano che gli effetti dei cambiamenti climatici eserciteranno un’influenza sempre più forte sull’ambiente naturale e sull’economia, oltre che sulla nostra vita quotidiana. Quindi, agire per adattarci agli effetti presenti e futuri del cambiamento climatico significa raccogliere in tutto il mondo un’ardua sfida sociale. Le decisioni sul metodo migliore per adattarsi al cambiamento climatico si devono prendere sulla base di analisi scientifiche ed economiche affidabili, ma non tutte le regioni hanno accesso a informazioni di qualità adeguata. Sembra quindi valida l’idea di istituire una piattaforma di sorveglianza dei cambiamenti climatici, poiché tale piattaforma sarebbe un prezioso strumento per lo scambio di informazioni, esperienze e migliori prassi a livello europeo, regionale e locale. Sospetto però che – assumendo un ruolo guida nella lotta internazionale contro il riscaldamento globale del clima, come raccomanda il documento – l’Unione europea si stia facendo carico di una responsabilità eccessiva per quel che riguarda i problemi globali. A mio avviso, nel momento in cui dobbiamo affrontare sfide come la crisi economica e il bisogno di creare crescita, non possiamo considerare prioritaria la spesa per la lotta contro il riscaldamento globale del clima. Indipendentemente dalle misure che verranno poste in opera per l’adattamento al cambiamento climatico, occorre ricordare che alcuni paesi dovranno affrontare, per l’attuazione della politica di adattamento, costi eccezionalmente elevati: negare a questi paesi ogni aiuto finanziario potrebbe approfondire le differenze di sviluppo che si registrano tra i vari Stati membri.
Dominique Vlasto (PPE), per iscritto. – (FR) Nella relazione che ho presentato in sede di commissione per i trasporti e il turismo ho deplorato la scarsa attenzione riservata al settore dei trasporti nella strategia europea per l’adattamento ai cambiamenti climatici, benché questo settore rivesta notevole importanza economica e sia una delle principali fonti di emissioni di CO2. Mi rallegro quindi che questa relazione collochi nuovamente il settore dei trasporti al centro del problema. Dobbiamo compiere uno sforzo possente per aiutare concretamente le imprese e gli utenti ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Il successo della nostra politica dipende dall’introduzione di metodi di finanziamento adeguati e innovativi, tali da limitare al massimo l’impatto sui cittadini, sull’equilibrio ecologico e sulle attività economiche. La nostra strategia deve poi tener presenti le zone geografiche sensibili, come le zone costiere, marittime e di montagna, che sono particolarmente vulnerabili e saranno destinate a subire tutto il peso del cambiamento climatico, se non adotteremo le opportune misure di tutela. Il nostro Parlamento deve adottare con urgenza efficaci meccanismi di adattamento per il settore dei trasporti, che non può rimanere solo la causa del problema ma deve diventare una soluzione nella lotta contro il cambiamento climatico.
Ryszard Czarnecki (ECR), per iscritto. − (EN) Per quanto riguarda il bilancio dell’Unione europea, le priorità essenziali del gruppo ECR sono l’efficienza economica e gestionale e l’eliminazione delle frodi. Apprezziamo quindi l’impostazione della relazione Cozzolino e gran parte delle sue conclusioni.
Il gruppo ECR non può però accettare l’idea di un pubblico ministero europeo. Tale carica rischia di costituire un primo, pericoloso passo verso la competenza europea su alcuni aspetti del diritto penale, e concentrarsi sulla sua istituzione significa ridurre la sorveglianza sull’efficacia dell’operato dei sistemi e degli organismi già esistenti.
Essendo stato respinto l’emendamento presentato dal nostro gruppo per eliminare il paragrafo che invita a procedere verso la creazione di un pubblico ministero europeo, il gruppo ECR si è astenuto nella votazione finale.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Anch’io, come il relatore, giudico positivo il fatto che l’incidenza delle irregolarità finanziarie segnalate alla Commissione dagli Stati membri sia scesa dai 1 024 milioni di euro del 2007 ai 783,2 milioni di euro del 2008; ritengo però che il nostro obiettivo sia quello di giungere a un livello di 0 milioni di euro di irregolarità finanziarie all’anno. A tale scopo stimo essenziale adottare misure che rendano più trasparente la lotta contro le frodi fiscali – soprattutto per quanto riguarda l’IVA – e tutti i reati di carattere finanziario; che portino a una cooperazione più stretta tra i governi nel caso di frodi transfrontaliere; che migliorino la qualità dei dati e rendano possibile il costante aggiornamento delle banche dati nazionali; e che infine consentano ai governi di rispondere rapidamente alle richieste di informazioni. Occorre poi migliorare l’amministrazione e il monitoraggio delle domande relative ai Fondi di coesione, prevedendo anche sanzioni a carico degli Stati membri che non facciano buon uso di tali fondi. Sottolineo pure il contributo fondamentale recato dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode alla riduzione di queste cifre.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) La relazione annuale sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità per il 2008 segnala che l’incidenza finanziaria stimata delle irregolarità, per quanto accertato, è diminuita, passando da 1 024 milioni di euro nel 2007 a 783,2 milioni di euro nel 2008 (il calo ha interessato tutti i settori, ad eccezione delle spese dirette e dei Fondi di preadesione). Sottolineo in particolare la necessità di integrare i dati relativi alle irregolarità esplicitando l’incidenza di errori e sospette frodi sul totale delle risorse mobilitate. La lotta contro la frode e la corruzione è un preciso dovere delle istituzioni europee e di tutti gli Stati membri, che si devono dotare di tutte le risorse necessarie per combattere efficacemente questi fenomeni al fine di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione e dei cittadini contribuenti.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) In questo periodo di crisi economica e finanziaria non si può sprecare neppure un euro del bilancio dell’Unione europea; tale ammonimento è ancor più valido quando tali sprechi sono il prodotto di frodi che comportano l’erogazione irregolare di fondi dell’Unione. Nel corso degli anni abbiamo assistito a una sensibile diminuzione di tali irregolarità; non possiamo però accontentarci della riduzione delle irregolarità a importi marginali, talvolta vicini allo zero. L’Unione europea deve adottare meccanismi di controllo del bilancio che si dimostrino efficaci nella prevenzione precoce e nell’individuazione delle frodi, in modo che i finanziamenti pubblici vengano erogati solo nei casi in cui vengano poi realmente utilizzati in modo corretto – indipendentemente dalle effettive punizioni comminate a coloro che violano le norme cercando di appropriarsi indebitamente di tali fondi, scarsi per loro natura.
Franz Obermayr (NI), per iscritto. − (DE) A mio parere la lotta contro la frode costituisce un problema di grande importanza, soprattutto per quanto riguarda i fondi regionali e di preadesione. Tuttavia, le misure proposte per combattere la frode hanno un carattere centralistico troppo accentuato. Mi sono perciò astenuto dal voto.
Aldo Patriciello (PPE), per iscritto. − Mi compiaccio che l'incidenza finanziaria stimata delle irregolarità, per quanto accertato, è diminuita, passando da 1 024 milioni di euro nel 2007 a 783,2 milioni di euro nel 2008 (il calo ha interessato tutti i settori, ad eccezione delle spese dirette e dei Fondi di preadesione). Appoggio con convinzione il lavoro svolto dalla Commissione e mi permetto d'evidenziare come la lotta contro la frode e la corruzione sia un preciso dovere delle istituzioni europee e di tutti gli Stati membri.
Vista la particolare situazione economica che affligge l'intera Europa, concordo sulla necessità di salvaguardare gli interessi finanziari dell'Unione e di contrastare la criminalità organizzata che, stando agli indicatori nazionali, sta rafforzando la sua capacità di collusione all'interno delle istituzioni proprio attraverso le frodi al bilancio comunitario.
Considero, quindi, indispensabile istituire uno strumento giuridico efficace per migliorare la cooperazione amministrativa contro le pratiche fiscali dannose e consentire un buon funzionamento del mercato interno. In tal senso, appoggio la proposta di direttiva del Consiglio, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, insistendo sull'importanza di ampliare la responsabilità degli Stati membri a partire dalla qualità delle informazioni inserite nelle banche dati.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Nella votazione finale mi sono espresso a favore. L’emendamento del gruppo ECR, per il quale ho espresso voto contrario, è stato respinto.
Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) Vale la pena di notare che nel 2008 si è registrata una significativa diminuzione delle irregolarità rispetto all’anno precedente. Il miglioramento più notevole si è verificato nel settore delle spese agricole: la relazione segnala che l’ammontare stimato delle irregolarità è sceso del 34 per cento. Viceversa, la crescita più vistosa si è avuta nel settore dei fondi di preadesione, dove le risorse spese in modo scorretto sono aumentate addirittura del 90,6 per cento; occorre però ricordare che questi paesi non sono ancora Stati membri e mancano di esperienza. Nonostante il miglioramento registrato nel 2008, una parte delle risorse di bilancio dell’Unione europea viene ancora spesa in maniera irregolare. In una certa misura, ciò dipende dalla mancanza di efficaci meccanismi di controllo e sorveglianza. L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), che esiste dal 1999, ha colto molteplici successi nella lotta contro le malversazioni; è essenziale però garantirne la piena indipendenza operativa. Sostengo la proposta del relatore di consentire all’OLAF di avvalersi maggiormente del lavoro svolto dal servizio di audit interno della Commissione anziché servirsi principalmente delle segnalazioni di funzionari o di Stati membri. Quale ruolo dovrebbe spettare agli Stati membri a ai loro sistemi di sorveglianza e audit? La lotta contro la frode nei progetti europei deve costituire per noi un impegno prioritario. Se spenderemo le limitate risorse del bilancio dell’Unione in maniera onesta e responsabile, potremo risparmiare denaro da utilizzare poi per contrastare le conseguenze della recessione. Non dobbiamo dimenticare che le risorse del bilancio comunitario appartengono a noi tutti, cioè ai contribuenti; dobbiamo quindi vigilare affinché vengano spese nel modo più efficace.
Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. − (LT) Vorrei ribadire che la lotta contro la frode e la corruzione costituisce un importante dovere delle istituzioni europee e di tutti gli Stati membri. In particolare, richiamo l’attenzione sul fatto che in alcuni paesi la corruzione nella distribuzione dei fondi dell’Unione europea è direttamente legata al discredito che ha colpito le politiche condotte in questi paesi, nei quali si vanno formando distinti clan politici e finanziari, che ambiscono a controllare la distribuzione dei fondi dell’Unione europea. Di conseguenza, il Parlamento europeo, la Commissione europea e altre importanti istituzioni dell’Unione devono vigilare con attenzione sulle discriminazioni e il discredito che colpiscono politiche e organizzazioni politiche, oppositori politici e leader dell’opposizione a livello nazionale. L’Unione europea, che promuove la democrazia, deve in primo luogo garantire ai partiti di opposizione nei propri Stati membri l’opportunità di operare ed esprimersi liberamente, nonché di controllare le attività di prevenzione della corruzione. Ancora, richiamo l’attenzione sul fatto che il denaro dell’Unione europea va impiegato per migliorare le infrastrutture degli Stati membri, per l’istruzione e per scopi analoghi. Il semplice fatto di investire i fondi europei nelle infrastrutture andrebbe a vantaggio sia del paese che della sua attività commerciale. Non vi sarebbero più imprenditori “poveri”, che chiedono sostegno ma non lo ottengono. In tal modo, inoltre, non sarebbe più necessario controllare la distribuzione dei fondi dell’Unione europea a migliaia di interessati, ossia destinatari degli aiuti, il che significa che sparirebbero anche migliaia di soggetti vittime di raggiri. Tutta l’attenzione va quindi diretta all’uso pubblico di questo denaro.
Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. − Colgo quest'importante occasione di commento del voto sulla relazione generale della BEI di Lussemburgo per ribadire, come già fatto attraverso alcune interrogazioni, l'importanza di rafforzare la dotazione finanziaria degli strumenti finanziari della Banca europea degli investimenti a supporto dei Piani di sviluppo e rigenerazione dei centri urbani.
Gli strumenti attualmente esistenti, come il fondo "Jessica", sono uno dei pochi strumenti di ingegneria finanziaria che una regione o un comune possono utilizzare per finanziare progetti di sviluppo urbano. Gli interventi si estendono anche all'edilizia popolare solo per quanto riguarda le aree complementari del progetto e il rinnovo e miglioramento energetico degli edifici. A tale proposito, colgo l'occasione per sottolineare che a mio parere il fondo "Jessica" dovrebbe essere esteso anche al finanziamento delle nuove costruzioni (ovviamente eco-compatibili), in quanto in questo modo contribuirebbe ad aiutare gli enti locali a rispondere anche al problema abitativo delle nostre città.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Accolgo con favore la relazione annuale 2008 della Banca europea per gli investimenti (BEI), e la invito a portare avanti la sua attività volta a favorire lo sviluppo dell’economia europea e a rafforzare la crescita, stimolare l’occupazione e promuovere la coesione interregionale e sociale. Mi congratulo altresì per l’importanza che è stata conferita dalla BEI alle piccole e medie imprese (PMI), all’energia sostenibile e alla mitigazione del cambiamento climatico, nonché agli investimenti nelle regioni di convergenza dell’Unione europea che sono state più colpite dal recente rallentamento dell’economia. La BEI ha risposto tempestivamente alla crisi economica globale, in particolare mediante il Piano europeo di ripresa economica e a favore degli Stati membri che hanno subito maggiormente gli effetti della crisi. In futuro sarebbe auspicabile che la relazione della BEI presentasse informazioni dettagliate sui principali prestiti che integrano le sovvenzioni del FESR a favore delle regioni che attuano programmi tecnologicamente avanzati o programmi relativi all’approvvigionamento di energie rinnovabili o pulite. Ugualmente, le relazioni sul Fondo investimenti devono includere informazioni sui risultati dei programmi finanziati. Mettendo a disposizione adeguati finanziamenti, la Banca europea per gli investimenti dovrebbe svolgere un ruolo più incisivo nel sostenere gli investimenti in infrastrutture, tecnologie verdi, innovazione e PMI, nell’ambito della Strategia Europea 2020.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La Banca europea per gli investimenti svolge un ruolo essenziale, aiutando gli Stati membri a far fronte alla grave crisi economica, finanziaria e sociale che li ha colpiti. Alla luce di tutto questo, credo che i maggiori finanziamenti erogati soprattutto alla politica di coesione dell’Unione europea siano stati cruciali per ridurre l’impatto della crisi sulle regioni meno favorite e più colpite. L’aumento dei finanziamenti alle piccole e medie imprese, che costituiscono la maggioranza delle imprese europee, e fondi supplementari stanziati a favore della ricerca e dello sviluppo contribuirebbero ad alleviare gli effetti di questa crisi. Quindi, in considerazione dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona e delle sfide attuali e future che l’Unione europea, attualmente travagliata da una difficile situazione economica e sociale, deve e dovrà affrontare, è essenziale consolidare le attività della Banca europea per gli investimenti, aumentandone la trasparenza e definendo le giuste priorità.
José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. − (PT) La Banca europea per gli investimenti (BEI) è stata istituita nel 1958 dal trattato di Roma. In quanto Banca dell’Unione europea per i finanziamenti a lungo termine, la BEI concede prestiti ai settori pubblico e privato per progetti di interesse europeo, utilizzando i mercati finanziari e risorse proprie. Il principale obiettivo della Banca è di contribuire all’integrazione, a uno sviluppo equilibrato e sostenibile e alla coesione economica e sociale degli Stati membri dell’Unione. Nel 2008 la Banca ha dovuto affrontare sfide senza precedenti, dal momento che la crisi economica mondiale ha raggiunto anche le economie dell’Unione europea. Per quanto riguarda la gestione della crisi, desidero sottolineare la rapida e tempestiva reazione della BEI alla crisi economica, mediante l’autofinanziamento dell’aumento del capitale e il conseguente incremento del volume dei prestiti a sostegno del piano di ripresa economica europeo. Accolgo quindi con favore la relazione annuale della BEI per il 2008 nonché l’adozione della relazione Deutsch, che stimola la Banca a portare avanti la propria attività volta a favorire lo sviluppo dell’economia europea e a rafforzare la crescita, stimolare l’occupazione e promuovere la coesione interregionale e sociale.
Nuno Melo (PPE), per iscritto. − (PT) La Banca europea per gli investimenti (BEI) svolge un ruolo molto importante nell’economia dell’Unione europea, poiché garantisce il finanziamento di operazioni in Europa nell’ambito dei seguenti settori: garantire la coesione economica e sociale; lavorare alla creazione di un'economia della conoscenza; sviluppare reti di accesso e trasporto transeuropee; sostenere le piccole e medie imprese (PMI); tutelare e valorizzare l'ambiente e garantire un'energia sostenibile, competitiva e sicura. Non sarà possibile conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020 senza il sostegno della Banca europea per gli investimenti che dovrà mettere a disposizione i fondi necessari per realizzare progetti nei settori delle infrastrutture, delle tecnologie verdi, dell’innovazione e delle PMI.
Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − La BEI ha visto crescere il suo ruolo nel 2008 a causa della crisi finanziaria. In un contesto di crisi di liquidità, la BEI ha continuato ad erogare prestiti ai settori pubblico e privato per progetti di interesse europeo, utilizzando i mercati finanziari e risorse proprie. Oltre a stimolare le economie nazionali, l'UE ha adottato una decisione in merito al piano europeo di ripresa economica, prevedendo un ruolo importante per la BEI, specialmente per l'aumento dei finanziamenti a favore delle PMI, le fonti di energia rinnovabili e i trasporti puliti. In risposta alla crisi, la BEI ha rivisto notevolmente al rialzo i propri obiettivi: allo scopo di aiutare le imprese e incoraggiare la ripresa economica, la BEI ha aumentato considerevolmente il volume delle proprie attività di prestito; l'importo erogato ha superato di 10 miliardi quello previsto; in particolare, i prestiti alle PMI sono aumentati del 42%. La Banca ha inoltre sviluppato nuovi strumenti finanziari con condivisione dei rischi, semplificato le procedure di prestito e accelerato l'attuazione di progetti negli Stati membri e nei settori più pesantemente colpiti dalla crisi. La relazione mette in luce gli effetti positivi ottenuti dalle misure citate, pur chiedendo una verifica puntuale degli effetti reali prodotti dai programmi di supporto per le PMI.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Questa è stata facile. Ho votato a favore nella votazione finale.
Proposte di risoluzione: Atrocità di massa a Jos, Nigeria (RC-B7-0247/2010)
Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − La risoluzione comune che votiamo sulle recenti atrocità interetniche in Nigeria appare soddisfacente dal punto di vista delle premesse e delle indicazioni che la nostra Assemblea vuole dare alle altre istituzioni comunitarie che si occupano dell'azione esterna dell'UE. È necessario che agiamo per la stabilizzazione politica della Nigeria e per la creazione di solide basi per lo sviluppo economico e sociale: le premesse sappiamo benissimo, non mancano, considerando la ricchezza di risorse naturali in Nigeria. La soluzione delle questioni politiche, economiche e sociali potrà rendere il contesto pacificato, meno soggetto a tensioni interetniche e capace di respingere le violenze che abbiamo visto essere tragicamente frequenti nell'ultimo decennio. Accanto al riconoscimento che le responsabilità delle violenze di massa tra cristiani e musulmani sono da ascriversi ad ambedue le etnie, avremmo forse dovuto precisare che un altro fattore di preoccupazione, che pure ha a che fare con gli episodi di violenza occorsi, è la graduale penetrazione in Nigeria dell´islamismo radicale, di cui è chiarissima espressione l´adozione da parti di 12 Stati su 36 della Sharia come legge di Stato. Tuttavia, per i motivi generali esposti, il mio voto alla risoluzione comune è favorevole.
Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. − (PT) Desidero esprimere il mio più profondo rammarico per gli eventi recentemente verificatisi a Jos nei mesi di gennaio e marzo, quando centinaia di persone sono state uccise in scontri religiosi ed etnici. I motivi di tali scontri sono di ordine religioso, economico, etnico, sociale, storico e politico. Dal momento che la Nigeria è l’ottavo produttore di petrolio al mondo, è triste dover constatare che la maggioranza degli abitanti di questo paese vive al di sotto della soglia di povertà. Gli effetti avversi del cambiamento climatico inoltre contribuiscono al deteriorarsi della situazione in Nigeria. Credo che, in un paese ricco di petrolio come la Nigeria, sia necessario garantire pari opportunità di accesso alle risorse e la ridistribuzione del reddito, per la risoluzione pacifica di questi conflitti. Chiedo al governo federale nigeriano di garantire uguali diritti a tutti i cittadini, affrontare i problemi relativi al controllo dei terreni agricoli fertili, all’accesso alle risorse, alla disoccupazione, alla povertà e alla mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. Invito inoltre la Commissione a proseguire il dialogo con la Nigeria, ai sensi dell’accordo di Cotonou, per esaminare le cause più profonde del conflitto e affrontare quanto prima le questioni che sono fondamentali per lo sviluppo sostenibile, come il cambiamento climatico, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, lo sviluppo delle capacità e l’istruzione.
Edite Estrela (S&D), per iscritto. − (PT) Ho votato a favore della proposta di risoluzione del Parlamento europeo sugli eccidi a Jos, Nigeria. Condanno con forza le violenze commesse di recente a Jos e nella zona, che hanno visto l’uccisione di parecchie centinaia di persone nel corso di scontri etnici e religiosi. L’Unione europea deve proseguire il dialogo politico con la Nigeria, in linea con l’articolo 8 dell’accordo di Cotonou rivisto, e affrontare quanto prima le questioni relative alla libertà di pensiero, coscienza, religione o credo così come sancita negli strumenti universali, regionali e nazionali in materia di diritti umani.
Diogo Feio (PPE), per iscritto. − (PT) Non è la prima volta che sulla Nigeria si abbatte un conflitto che minaccia di spaccare il paese. A questo proposito, ricordo la guerra civile che devastò il paese per tre anni, dal 1967 al 1970, portando quasi all’indipendenza la regione sudorientale del paese. Anche se la rivolta degli Igbo fu stroncata, allorché il potere militare del governo centrale impedì al Biafra di conquistare l’indipendenza, in realtà le differenze etniche, culturali e religiose persistono e anzi si approfondiscono, facendo di questo paese il classico caso di uno Stato su cui incombe perennemente la minaccia della disintegrazione. I confini della Nigeria sono stati tracciati dalle potenze coloniali, che hanno completamente trascurato le differenze appena ricordate. Ciò non significa però che la responsabilità dei conflitti che dilaniano il paese ricadano esclusivamente sugli europei. E’ tempo ormai che i leader africani rinuncino a questa logora scusa e cerchino invece di servire i propri concittadini con lucidità e competenza, presentando progetti e proposte. L’Africa diventerà quella che gli africani sognano, non appena vi saranno in quel continente leader all’altezza della sfida che li attende. Gli eccidi di Jos sono l’ennesima, deprecabile, tragica e sanguinosa pagina della storia di un paese in cui le tragedie si susseguono troppo rapidamente.
Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) A mio avviso era urgentemente necessario che il Parlamento europeo condannasse gli eccidi che si verificano in Nigeria, invocando il ritorno della pace. Considerando l’instabilità e la fragilità del più popoloso paese africano in cui la maggioranza della popolazione è afflitta dalla povertà, questa proposta di risoluzione può costituire la base di un rafforzamento del dialogo politico tra Unione europea e Nigeria, nonché di un progetto più dettagliato mirante a individuare soluzioni sostenibili di breve e lungo periodo per porre fine alla violenza e ristabilire una pace duratura. Ritengo che il Parlamento europeo possa svolgere una funzione precisa di difesa e promozione dei diritti umani che in Nigeria vengono violati quotidianamente. A mio parere quindi la clausola che chiede un processo equo per i responsabili delle violenze ha importanza fondamentale. Alla luce di tutte queste misure – che ovviamente non sarà facile applicare – ho votato con entusiasmo a favore di questa proposta di risoluzione comune.
Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) In Nigeria si sono ripetutamente verificati episodi di violenza che hanno contrapposto cristiani e musulmani; ognuno di questi due gruppi rappresenta circa metà della popolazione. Attualmente questi disordini si verificano a ritmo sempre più incalzante, e spesso violenti scontri hanno origine da pretesti banali. Neppure il coprifuoco che vige da gennaio, né il dispiegamento di truppe nella zona hanno impedito il verificarsi di nuovi eccidi. La lunga assenza del presidente Yar’Adua, che ha gettato la Nigeria occidentale in una crisi politica, i gravi scontri che hanno contrapposto cristiani e musulmani nella città di Jos nella Nigeria centrale, e la fine del cessate il fuoco nel delta del Niger, regione ricca di petrolio, sono tutti elementi che fanno presagire un cupo futuro, dopo la morte del presidente. Allorché popolazioni nomadi di fede musulmana hanno attaccato alcuni villaggi cristiani all’inizio di quest’anno, provocando la morte di almeno 500 persone, l’esercito, a quanto è stato riferito, ha reagito solo a parecchie ore di distanza dopo la prima segnalazione. Sono mancate le proteste dell’Unione europea. Quando gli elettori svizzeri, in occasione di un referendum, si sono espressi contro la costruzione di minareti, gli Stati musulmani hanno minacciato di colpire la Svizzera con sanzioni economiche e addirittura con la jihad. Ma quando i cristiani vengono assassinati solo a causa della loro religione, la reazione dell’Unione europea si fa attendere per mesi. Nel presente contesto, l’Unione deve agire da onesto sensale e rispondere con maggior rapidità; tale impostazione viene definita con chiarezza nella proposta di risoluzione e per questo motivo ho votato a favore.
Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. − (EN) Naturalmente ho votato a favore di una risoluzione tanto importante, e ho sostenuto con particolare convinzione l’emendamento orale presentato dalla collega, onorevole Kiil-Nielsen, che ci invita a esortare le autorità nigeriane a respingere la recente iniziativa dei governatori di alcuni Stati della Nigeria, intenzionati a giustiziare i condannati a morte.