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Procedura : 2009/2155(INI)
Ciclo di vita in Aula
Ciclo dei documenti :

Testi presentati :

A7-0051/2010

Discussioni :

PV 19/04/2010 - 25
CRE 19/04/2010 - 25

Votazioni :

PV 18/05/2010 - 8.16
Dichiarazioni di voto
Dichiarazioni di voto

Testi approvati :

P7_TA(2010)0172

Resoconto integrale delle discussioni
Martedì 18 maggio 2010 - Strasburgo Edizione GU

9. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
Processo verbale
  

Dichiarazioni di voto orali

 
  
  

Relazione Tavares (A7-0125/2010)

 
  
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  Philip Claeys (NI).(NL) Ho votato contro la relazione Tavares perché l’introduzione di un programma di reinsediamento comune è l’ennesimo passo verso una politica europea del tutto uniforme in materia di asilo.

Non è necessario essere degli indovini per prevedere fin d’ora che una politica uniforme di questo genere porterà a un forte incremento del numero dei richiedenti asilo negli Stati membri. Il considerando della relazione nel quale si afferma che l’introduzione di un programma di reinsediamento comune renderebbe meno appetibile l’immigrazione illegale è particolarmente sgradevole. Questo pseudo-argomento ipocrita riemerge sempre quando in quest’Aula si tengono votazioni su testi che riguardano l’immigrazione o l’asilo. Si getta fumo negli occhi della gente. In paesi come il Belgio l’immigrazione illegale si verifica in genere quando una persona diventa clandestina dopo la procedura di asilo e successivamente viene premiata con la regolarizzazione.

Questo genere di cose deve essere combattuto, e un programma di reinsediamento comune non offre in alcun modo una soluzione.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Abbiamo approvato una direttiva che indubbiamente offrirà nuove opportunità per la ricerca sull’efficienza energetica degli edifici e che contribuirà al risparmio energetico in relazione al riscaldamento degli edifici. Sono soprattutto i vecchi fabbricati a costituire un problema, ovviamente, e non solo i caseggiati di appartamenti. Ieri la mia collega onorevole Marinescu ha parlato di un fondo speciale. In un momento di crisi lo stanziamento di risorse aggiuntive appare discutibile. È quindi necessario fare un uso migliore delle risorse attuali, che per il periodo 2010-2014 ammontano al 4 per cento.

 
  
  

Relazione Coelho (A7-0126/2010)

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Volevo intervenire di nuovo sulla relazione sul fondo per i rifugiati, ed è per questo mi sono fatta avanti. Dalla documentazione di voto è emerso che mi sono astenuta. Vorrei dichiarare qui, tuttavia, che sono favorevole alla condivisione di responsabilità per condizioni più dignitose per i legittimi richiedenti asilo e che ho votato a favore. D’altra parte, dobbiamo lottare in modo più efficace contro l’immigrazione clandestina.

Ora vorrei parlare, se posso, in merito alla questione Schengen. Oggi abbiamo approvato nuove misure per il lancio della versione due del Sistema d’informazione Schengen, la quale rafforza le garanzie di sicurezza per tutti gli europei che vivono in uno spazio comune senza barriere.

Tuttavia, le azioni della polizia tedesca e austriaca gettano un’ombra fosca sull’idea di Schengen e della solidarietà europea, considerato che numerosi cittadini cechi sono costretti a subire inutili, intimi e degradanti controlli alle frontiere interne. Due anni fa ho sollevato questo problema, insieme ad altre questioni, in un’interrogazione alla Commissione europea, ma la situazione non è ancora stata risolta in maniera soddisfacente. Ciò costituisce una chiara violazione delle regole, e nel caso dei cittadini cechi, compresi gli imprenditori e i lavoratori, limita la libera circolazione che è una delle libertà fondamentali garantite dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

 
  
  

Relazione Tavares (A7-0131/2010)

 
  
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  Clemente Mastella (PPE). – Una politica migratoria, signor Presidente, che voglia essere equa e realistica implica necessariamente l’adozione di un regime comune europeo in materia di asilo e deve anche prevedere un programma di reinsediamento efficace, solido e sostenibile. Mi preme qui sottolineare che il reinsediamento non persegue soltanto una finalità umanitaria, ma anche uno scopo di natura politica ed economica, cioè quello di sollevare i paesi terzi dall’onere di accogliere un gran numero di rifugiati e quello non meno importante di ripartire costi e responsabilità finanziarie.

Riteniamo tuttavia che una sola linea di bilancio e un sostegno finanziario non siano sufficienti; esortiamo quindi gli Stati membri a promuovere la creazione di ulteriori meccanismi di finanziamento privato, incoraggiando un partenariato pubblico-privato con le ONG e con altri partner sociali, quali organizzazioni religiose ed etniche, al fine di contribuire alla promozione del volontariato in tale settore. Nel quadro delle nuove prospettive finanziarie, ad esempio ci parrebbe opportuno prevedere una dotazione finanziaria specifica ad hoc, magari attraverso la forma di un nuovo fondo ad esso dedicato.

Proponiamo infine quindi un forte impegno da parte tutti i soggetti coinvolti per offrire ai rifugiati, specialmente a quelli più vulnerabili, l’accesso ad alloggi adeguati, all’istruzione e ai corsi di lingua, all’assistenza sanitaria, all’assistenza psicologica, nonché l’accesso al mercato del lavoro, indispensabile per garantire loro un’effettiva integrazione.

 
  
  

Raccomandazione per la seconda lettura: Astrid Lulling (A7-0146/2010)

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Sono lieta che la relazione della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere abbia ricevuto un così ampio consenso nella votazione odierna. Mi rendo conto che sono innanzitutto gli Stati membri ad avere la responsabilità di assicurare alle imprenditrici condizioni sociali che siano alla pari con quelle di cui godono i dipendenti di sesso femminile. Ciò nondimeno, questa relazione indica chiaramente le linee che i paesi dovrebbero seguire. Non la ritengo una violazione della sussidiarietà, ma se qualcuno nutre dei dubbi si può avviare un riesame. Anche i parlamenti nazionali possono farlo, grazie al trattato di Lisbona. Sono curiosa di vedere se essi si avvarranno di questa possibilità o se si limiteranno a fare interminabili discorsi a vuoto.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE).(LT) Ho votato a favore della relazione e ritengo sia importante sottolineare che in media le donne nell’Unione europea vengono ancora oggi pagate meno per ogni ora di lavoro: il 17,4 per cento in meno degli uomini. Negli ultimi 15 anni questa disparità è stata ridotta solo leggermente, mentre in alcuni paesi si è addirittura aggravata. Sono d’accordo con la richiesta del Parlamento di redigere relazioni periodiche sul differenziale retributivo di genere nell’Unione europea e sono favorevole a tutte le misure volte a ridurre la discriminazione nei confronti delle donne nell’Unione europea.

 
  
  

Relazione Manders (A7-0122/2010)

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Abbiamo approvato la controversa proposta perché la nostra commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori l’ha ampliata e rafforzata con l’introduzione anche per l’Unione europea dell’etichettatura del paese d’origine. Membri italiani hanno presentato ulteriori proposte alla sessione plenaria di oggi, tra le quali un ampliamento del regolamento che comprenda anche le calzature. Ho risolutamente appoggiato questa idea da tempo, ma deve essere redatta secondo uno standard elevato da parte della Commissione europea. Si tratta di risolvere le definizioni tecniche che il Parlamento stesso non può affrontare molto bene. Pertanto non ha votato a favore, ma allo stesso tempo vorrei chiedere alla Commissione di iniziare a lavorare immediatamente e di presentare la proposta.

 
  
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  Morten Løkkegaard (ALDE) . – (DA) Signora Presidente, vorrei solo dire che ho votato contro quelle parti della relazione che riguardano l’etichettatura “made in”, perché non credo che vi siano prove che dimostrino che i vantaggi sono superiori agli svantaggi. Credo che questa cosa inclini al protezionismo e trovo difficile approvarla. Ho quindi votato contro le parti in questione.

 
  
  

Relazione Alves (A7-0054/2010)

 
  
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  Marek Józef Gróbarczyk (ECR).(PL) Signora Presidente, ho deciso di approvare questa iniziativa che offre opportunità di sviluppo ad alcune regioni dell’Europa. Si dovrebbe prestare attenzione al fatto che in termini economici alcune zone nella stessa Europa stanno diventando regioni ultraperiferiche. Pertanto, programmi come questo hanno tra l’altro come obiettivo lo sviluppo delle aree in Europa, e mi auguro che promuovano lo sviluppo dell’agricoltura e anche del settore della pesca.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE). – (EN) Signora Presidente, desidero esprimere la mia preoccupazione circa la situazione dei produttori di banane delle isole Canarie, Guadalupe, Martinica e Madeira, che il trattato inserisce tra le regioni ultraperiferiche.

La loro situazione è stata resa più difficile soprattutto perché l’Unione europea, nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio, ha concluso un accordo con i paesi latinoamericani per ridurre le tariffe sulle importazioni di banane provenienti da quella regione. Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che nel 2006 l’Unione europea ha riformato la propria organizzazione comune di mercato per le banane. Ha impegnato fondi di bilancio per gli aiuti ai produttori di banane di quelle regioni. Dalla riforma in poi, l’Unione europea ha stanziato 208 milioni di euro ogni anno per sostenere i produttori di banane delle Canarie, delle Antille francesi, di Madeira e, in misura minore, delle Azzorre.

Anche se tale sostegno è una cosa positiva, per molti produttori di banane non sarà sufficiente. Quindi vorrei sollecitare le istituzioni competenti ad adottare le misure necessarie per garantire che le tradizionali branche dell’economia nell’Unione europea non vengano compromesse sul piano di obiettivi commerciali più strategici.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signora Presidente, sostengo questa relazione perché affronta la questione della diversità e della nostra politica agricola tra le regioni. Tuttavia vorrei commentare le note conclusive del Commissario Cioloş. Ha risposto alle preoccupazioni espresse sulla riapertura dei colloqui con i paesi del Mercosur e, anche se le sue parole hanno offerto qualche rassicurazione a coloro che ascoltavano – visto che ha detto che avrebbe fatto in modo di salvaguardare gli interessi e il modello agricolo dell’agricoltura europea – temo di non sentirmi tranquilla.

Dai documenti della stessa Commissione europea emerge con molta chiarezza che, se verrà raggiunto un accordo, i produttori di carni bovine, di carne di pollame e di carni suine dell’Unione europea subiranno un contraccolpo negativo. Stiamo riaprendo i colloqui in un momento in cui ci accingiamo a riformare la politica agricola. Il bilancio è in pericolo. Forse non abbiamo un budget sufficiente eppure ci troviamo ad affrontare ulteriori sconvolgimenti dei prezzi e dei redditi agricoli. Ciò è insensato, e spero che il Commissario presti ascolto a queste opinioni.

 
  
  

Relazione Ashworth (A7-0051/2010)

 
  
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  Krisztina Morvai (NI).(HU) Sono favorevole a questa relazione perché semplifica l’enorme onere amministrativo e burocratico che attualmente grava sugli agricoltori. Nutro grande fiducia che, a seguito della relazione, possa emergere una nuova forma di rapporto tra i funzionari responsabili dell’attuazione della politica agricola comune negli Stati membri, in particolare nei paesi post-comunisti come l’Ungheria, e gli agricoltori. Questo metterà fine a quella sorta di prassi in uso fino ad oggi che punisce, terrorizza e penalizza sistematicamente gli agricoltori. Mi auguro anche che si sviluppi finalmente una nuova forma di cooperazione tra funzionari e utenti. Penso che sia molto importante che la responsabilità non debba ricadere solo sugli agricoltori che finora hanno dovuto pagare sanzioni per ogni minimo incidente, ma che anche lo Stato si assuma tutte le responsabilità, come ad esempio quando la burocrazia ritarda i pagamenti dovuti agli agricoltori. Tanto gli agricoltori quanto gli utenti devono poter far valere il loro diritto a questi pagamenti in tribunale.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE). – Ho votato a favore della relazione Ashworth perché ritengo che una semplificazione e uno snellimento delle procedure burocratiche relative alla PAC, politica agricola comune, siano non solo auspicabili, ma necessarie per far sì che gli agricoltori europei ne possano sfruttare appieno i benefici e non incorrere, come spesso accade, in difficoltà e lungaggini amministrative.

Ritengo inoltre ampiamente condivisibile la volontà di assicurare una legislazione più chiara e più comprensibile, sia per le autorità competenti sia per gli agricoltori, di eliminare tutte le norme superflue e di promuovere lo scambio di buone prassi fra gli Stati membri e le autorità locali.

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signora Presidente, la politica agricola comune deve essere costantemente controllata per la sua praticabilità, in quanto un’inutile burocrazia costa una grande quantità di tempo e denaro a noi e soprattutto ai nostri agricoltori. Elementi che non sono significativi e appropriati devono essere smantellati e semplificati. Questo è il caso in particolare delle norme di condizionalità, spesso molto complicate e controverse.

Il nostro obiettivo dichiarato è quello di rendere più semplice e trasparente la politica agricola. Gli agricoltori dell’Unione europea devono tornare a poter trascorrere più tempo nei campi invece che dietro una scrivania. Spero davvero che la Commissione prenda atto di questo importante messaggio della nostra relazione e adotti provvedimenti per darvi seguito.

 
  
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  Diane Dodds (NI). – (EN) Signora Presidente, ho votato a favore di questa relazione al pari di molti altri che si sono attivamente impegnati in favore degli agricoltori nelle proprie regioni. Una delle cose principali di cui sentiamo parlare continuamente è il livello di burocrazia che caratterizza il settore. Quindi un aspetto chiave della nuova PAC deve essere una riduzione della quantità di oneri e della burocrazia. La legislazione deve essere sensata per gli agricoltori, e non dobbiamo impedire agli agricoltori di praticare la produzione alimentare. Tuttavia, non è importante solo lo snellimento della legislazione ma anche la flessibilità per gli Stati membri e, soprattutto, con la Commissione e la Corte dei conti europea.

La Corte dei conti europea mostra poca o nessuna flessibilità, e ancor meno senso comune, quando commina delle sanzioni. Questa legislazione ha bisogno di urgente attenzione ed è necessario introdurvi maggiore buon senso. E’ anche necessaria una revisione finanziaria per valutare il costo delle ispezioni presso le aziende agricole e la quantità di denaro recuperato con le sanzioni, per vedere se per il contribuente questo gioco valga effettivamente la candela.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signora Presidente, ritengo che quando abbiamo introdotto il disaccoppiamento degli aiuti pochi di noi abbiano compreso le implicazioni dell’inserimento della condizionalità incrociata nel pacchetto di regole che gli agricoltori devono ora rispettare. Penso che si tratti di più di 17 direttive diverse. Forse sarebbe opportuno che questo Parlamento si interrogasse sulla qualità del suo operato in materia di semplificazione legislativa.

Tuttavia c’è un particolare settore di cui voglio parlare: l’ambito delle ispezioni. Abbiamo la generale sorveglianza sulla condizionalità incrociata da parte delle autorità competenti, ma gli agricoltori si trovano sempre più di fronte ad altri livelli e gradi di ispezioni da parte dei trasformatori, dei commercianti e di ogni altro genere: c’è bisogno di un po’ di coordinamento e non di una duplicazione delle funzioni ispettive. Queste non aggiungono alcun valore o alcun grado di tutela o di sicurezza del prodotto finale: aggiungono invece un’enorme quantità di burocrazia e di frustrazione per i produttori che sono tenuti ad avere ad accogliere e ringraziare tutti questi ispettori. Sono favorevole a questa relazione.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signora Presidente, in primo luogo, desidero ringraziare il relatore, onorevole Ashworth, per la sua eccellente relazione. A mio avviso, vi è adesso un’ottima ragione per focalizzare l’attenzione sulla nostra capacità di semplificare i processi che riguardano l’agricoltura nell’Unione europea. Si potrebbe dire che la giungla dei pagamenti è tale che il normale imprenditore, che sia al nord o all’est della Finlandia, oppure altrove in Europa, è poco incline ad addentrarvisi. Abbiamo quindi bisogno di modelli chiari, funzionali e comprensibili. Abbiamo anche bisogno di ristabilire la fiducia tra agricoltori e governo in modo da poter fare dei passi in avanti.

Al momento la politica agricola dell’Unione europea è un tale caos, con i suoi 27 diversi paesi e le 27 differenti culture, che è difficile intravedere un futuro che non sia basato sulla semplificazione e la chiarezza dei sistemi. La relazione presentata dall’onorevole Ashworth è un ottimo passo in questa direzione, e spero che saremo in grado di continuare su questa strada: istruzioni e orientamenti chiari e semplici in materia di agricoltura, ora e in futuro.

 
  
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  Seán Kelly (PPE). – (EN) Signora Presidente, credo che avere oggi al Parlamento una relazione che inizia con la parola “semplificazione” faccia tirare a tutti un sospiro di sollievo. Certo, è un fatto che in sé non dovrebbe essere necessario ma che lascia intendere come fino ad ora la legislazione sia stata troppo complicata.

Tutto quello che comporta un approccio educativo a un particolare argomento dovrebbe portare alla semplificazione piuttosto che alla complicazione. Fino ad ora ci sono state troppe complicazioni, come ben sa chiunque abbia partecipato alle riunioni degli agricoltori. Gli agricoltori hanno completamente perso la bussola di fronte alla quantità di moduli che devono compilare e allo strapotere delle ispezioni che devono sopportare.

Quindi accolgo con favore questa proposta. Ovviamente va detto anche che non è quello che si scrive nei moduli a decidere come si coltiva in realtà la terra. E’ il modo in cui i contadini trattano i loro animali e in cui coltivano i loro terreni che ci offre la tracciabilità, la rendicontazione, la sicurezza e la qualità alimentare di cui abbiamo bisogno.

Dunque questo è un passo nella giusta direzione. Spero che avremo molte proposte in questo senso e che, un giorno, non sia più necessario chiedere l’introduzione della parola “semplificazione”, perché essa dovrebbe trovarvisi già automaticamente.

 
  
  

Relazione Trüpel (A7-0134/2010)

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE).(FI) Signora Presidente, ho votato a favore della relazione, ma ho sbagliato il mio voto sull’importantissimo articolo 34, secondo l’emendamento 5. E’ molto importante chiarire la dimensione di questa “impronta di carbonio” e, inoltre, indagarne i costi. E’ ora che il Parlamento europeo prenda una posizione univoca, e sono molto contento che il nuovo governo del Regno Unito abbia deciso che la questione sia affrontata nel quadro del suo programma. Mi auguro che anche gli altri Stati membri se ne facciano carico. E’ una questione di ambiente, ed è una questione di costi. Finché il Parlamento europeo sarà in grado di spendere tanto denaro come accade oggi in un impegno di questa natura, continueremo ad ignorare la crisi economica.

 
  
  

Raccomandazione per la seconda lettura: Silvia-Adriana Ţicău (A7-0124/2010)

 
  
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  Sonia Alfano (ALDE). – Allora, per quanto riguarda la relazione Ţicău io ho votato a favore della posizione comune per l’aggiornamento della direttiva sull’efficienza energetica nel settore dell’edilizia, perché l’obiettivo è di far partire dalla fine del 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione che abbiano un bilancio energetico pari a zero e deve essere perseguito con forza dalle Istituzioni europee. C’è un impegno comune da parte dell’Europa, forte è la convinzione che per il futuro prossimo non bisognerà produrre più energia bensì utilizzare meglio quella prodotta.

Il risparmio energetico e l’efficienza energetica rappresentano a tutti gli effetti una fonte di produzione di energia, non dobbiamo attendere dieci anni per muoverci in questa direzione, bisognerebbe che gli Stati membri si impegnassero da subito nel raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica utilizzando quelle risorse finanziarie destinate ad oggi alla produzione di maggiori quantità di energie.

Ricordo in particolare lo scellerato avvio del programma nucleare in Italia a danno e a rischio della salute dei cittadini e dell’ambiente con un enorme dispendio di risorse pubbliche e per produrre tra non meno di vent’anni quella quantità di energia di cui non avremmo bisogno se investissimo sin da subito le stesse risorse sull’efficienza energetica. Investimenti verdi, non scorie radioattive per i nostri figli!

Passo adesso alla dichiarazione di voto per la relazione Rühle.

 
  
  

Relazione Rühle (A7-0151/2010)

 
  
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  Sonia Alfano (ALDE). – L’ho votata favorevolmente perché ritengo importante che il Parlamento sostenga la semplificazione e la razionalizzazione della disciplina relativa agli appalti pubblici. Questo renderà più agevole il lavoro sia delle amministrazioni sia delle imprese e in particolare delle PMI, che verranno facilitate a partecipare alle gare.

Ritengo fondamentale il riferimento all’utilizzo degli appalti pubblici come strumento per incoraggiare percorsi di sviluppo sostenibile attraverso l’introduzione di criteri ambientali e sociali all’interno dei bandi. Penso inoltre che sia dovere di questo Parlamento e delle Istituzioni europee, specie con riferimento agli appalti pubblici, quello di promuovere in maniera insistente una sempre più completa e ampia trasparenza rispetto all’utilizzo del denaro pubblico attraverso tutti i mezzi possibili, soprattutto Internet.

Il controllo da parte dei cittadini rappresenta un apporto fondamentale per un utilizzo dei fondi pubblici che sia nell’interesse reale della collettività e per combattere, come ci ricorda la commissione per lo sviluppo regionale, l’elevata corruzione a livello di autorità locali e regionali.

 
  
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  Zuzana Roithová (PPE). (CS) Gli appalti pubblici sono purtroppo un ambito in cui si registra uno dei massimi livelli di corruzione. Ho sostenuto volentieri la relazione di Heide Rühle che chiede una semplificazione degli appalti pubblici. Al tempo stesso, però, mi piacerebbe sottolineare che fino a quando la Commissione non metterà a disposizione del pubblico un portale contenente informazioni sui contratti sospetti finanziati dall’Unione europea, non cambierà molto. La concorrenza non sarà efficiente, equa e accessibile alle piccole e medie imprese. Sto parlando per esempio del monitoraggio e dell’analisi di un prezzo di riferimento per un chilometro di autostrada, della pubblicazione dei nomi dei veri proprietari delle imprese aggiudicatarie, comprese le controllate di società capogruppo, e anche dei nomi delle aziende che ottengono ripetutamente gli appalti, in modo che possano essere oggetto di indagine da parte dei mezzi di informazione e del pubblico.

 
  
  

Relazione Keller (A7-0140/2010)

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE). – (EN) Signora Presidente, avrei desiderato parlare anche di efficienza energetica, ma a quanto pare la regola è che se non ci sono emendamenti non si possono pronunciare dichiarazioni di voto orali, quindi ne presenterò una scritta.

In merito alla relazione Keller, voglio affermare qui con molta chiarezza che la respingo sulla base dei paragrafi 44 e 45 e del considerando I. Ritengo molto preoccupante il paragrafo 44.

Inoltre, dove si riunisce questo Parlamento? L’anno scorso e l’anno prima, abbiamo insistito perché la Commissione adottasse misure per aiutare i produttori di latte in tutta l’Unione europea che si trovavano in una situazione disastrosa. Come misura d’emergenza la Commissione ha risposto con i rimborsi all’esportazione. Le uniche persone che se ne sono lamentate con me venivano dalla Nuova Zelanda, che non è un paese in via di sviluppo. Penso che inserire questi paragrafi nella presente relazione, peraltro lodevole, renda un cattivo servizio al Parlamento e ai produttori di tutta l’Unione europea, che lottano per sopravvivere. In Europa stiamo riducendo la produzione. Ciò produce delle conseguenze per il mondo in via di sviluppo. Noi dobbiamo ascoltarlo.

 
  
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  Presidente. – Onorevole McGuinness, lei ha ragione in merito al regolamento. Avevo pensato che l’onorevole Alfano stesse per pronunciarsi in maniera simile all’onorevole Jäätteenmäki ma in realtà tale relazione non avrebbe dovuto essere oggetto di alcune dichiarazioni di voto. Lei ha ragione.

 
  
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  Seán Kelly (PPE). – (EN) Signora Presidente, voglio solo dire che sono d’accordo con la mia collega onorevole McGuinness. Abbiamo incontrato delle difficoltà con alcune delle proposte presentate qui e per questa ragione non abbiamo seguito la linea del PPE come normalmente facciamo. Credo che l’onorevole McGuinness ne abbia spiegato la ragione. Capisco e condivido anche quello che ha detto e quindi spero che anche il PPE lo capirà.

 
  
  

Relazione Ranner (A7-0130/2010)

 
  
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  Peter van Dalen (ECR).(NL) Signora Presidente, ho votato a favore della relazione Ranner per il fatto che essa offre una buona soluzione al problema dei tempi di guida e di riposo nel campo del trasporto su strada. Questa soluzione risiede nell’armonizzazione e nell’interpretazione della normativa. La si può trovare al paragrafo 17, come modificato.

La Commissione europea, in collaborazione con la confederazione delle organizzazioni per il rafforzamento del trasporto su strada (CORTE), Tispol (rete europea di polizia stradale) ed Euro Contrôle Route (l’organizzazione europea degli addetti al controllo dei trasporti), deve produrre un’interpretazione articolo per articolo dell’applicazione della normativa. Inoltre, questa interpretazione deve essere chiara, e nota, a tutti gli interessati all’applicazione della legislazione sulle strade d’Europa.

Apprezzo anche il paragrafo 27 emendato e invito tutti gli autisti ad utilizzare lo sportello reclami per le multe spropositate presso l’Euro Contrôle Route. Le cose devono cambiare in Europa in termini di tempi di guida e di riposo per gli autisti, ed è quindi necessario un sistema che fornisca una prova. Vi incoraggio pertanto a presentare i vostri reclami a questo sportello messo a disposizione da Euro Contrôle Route.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signora Presidente, la relazione del collega sottolinea in maniera precisa come ci siano ancora delle notevoli discrepanze nel trattamento delle gravi infrazioni delle norme in materia sociale nel trasporto stradale tra i vari Stati membri. Sono pertanto favorevole alle misure proposte nel testo in questione per ciò che riguarda l’armonizzazione e l’equiparazione delle infrazioni e delle relative sanzioni a livello europeo e all’eventuale istituzione di uno strumento di coordinamento a livello dell’Unione europea.

 
  
  

Dichiarazioni di voto scritte

 
  
  

Richiesta di consultazione del Comitato economico e sociale europeo - Verso una zona europea di sicurezza stradale: orientamenti strategici per la sicurezza stradale fino al 2020

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Avvengono ancora troppi incidenti sulle strade d’Europa. Il fenomeno è collegato al volume di traffico in crescita ma anche alle eccessive pressioni sugli utenti della strada a causa dello stress professionale o privato e della stanchezza, come pure alla confusa massa di segnali stradali, cartelloni pubblicitari, ecc. Non dobbiamo nemmeno dimenticare che, specie in caso di incidenti con morti o feriti gravi, il traffico pesante svolge un ruolo negativo.

Per il bene dell’ambiente, dobbiamo finalmente attuare idee che vengono apprezzate solo a parole, come il trasferimento del trasporto merci sulle rotaie, ma dobbiamo anche adottare intelligenti misure per il traffico come il semaforo graduale. Le zone a traffico ridotto, i divieti di circolazione nei centri delle città e misure simili non sono ancora state sufficientemente studiate e quindi non devono essere applicate su larga scala. Ci sono una serie di problemi che questa relazione semplicemente non analizza in modo sufficientemente dettagliato, e quindi io ho votato “no”.

 
  
  

Raccomandazione per la seconda lettura: Jean Lambert (A7-0118/2010)

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) La presente proposta fa parte delle iniziative legislative dell’Unione rivolte all’instaurazione di un sistema europeo d’asilo. Questo Ufficio europeo di sostegno per l’asilo deve quindi fornire agli Stati membri l’assistenza di esperti e contribuire all’applicazione di una politica d’asilo comune europea coerente e di qualità.

Senza dubbio, la creazione di questo nuovo ufficio rappresenta un valore aggiunto per il rafforzamento della fiducia reciproca e la condivisione delle responsabilità tra gli Stati membri. Esso dovrà agevolare lo scambio di informazioni, analisi ed esperienze, organizzare attività di formazione e sviluppare una cooperazione concreta tra le amministrazioni incaricate di esaminare le richieste di asilo. E’ importante affrontare le divergenze significative nei processi decisionali dei 27 Stati membri per quanto riguarda le richieste di protezione internazionale introducendo una certa convergenza nel modo in cui gli Stati membri analizzano e rispondono a tali richieste.

Sono favorevole alla proposta del relatore di includere l’offerta di un sostegno in materia di reinsediamento. Sono d’accordo che le necessarie modifiche al bilancio del Fondo europeo per i rifugiati assicureranno nelle sue fasi iniziali adeguati finanziamenti per la nuova agenzia.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Le questioni relative all’immigrazione e soprattutto al diritto di asilo sono particolarmente delicate. Che questo diritto venga riconosciuto o meno ai cittadini non comunitari può avere effetti drammatici sulla loro vita, per cui la decisione deve essere presa con serietà, deve essere considerata con attenzione e trattata con umanità. Credo che sia una questione di buon senso ritenere inaccettabile una politica di porte aperte, priva di alcun criterio che limiti l’accesso al territorio dell’Unione, ma che sia intollerabile una politica che vieti assolutamente l’ingresso. E’ necessario trovare un giusto equilibrio per conciliare i legittimi interessi e le preoccupazioni dei cittadini degli Stati membri con le esigenze di coloro che cercano di ottenere l’asilo.

L’istituzione di un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo potrebbe costituire un passo importante verso l’adozione di buone pratiche in questo settore, rafforzando la maggiore fiducia reciproca tra gli Stati membri con un conseguente miglioramento dello scambio di informazioni.

Tuttavia gli Stati membri devono continuare ad avere libertà d’azione per quanto riguarda la scelta se ammettere o meno coloro che chiedono asilo sul loro territorio. Vorrei anche sottolineare che l’Unione europea non deve nascondere il fatto che gli interessi dei suoi Stati membri in questo settore non sono assolutamente convergenti.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Il compito dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo è di fornire un aiuto qualificato che contribuisca all’applicazione di una politica comune per l’asilo europeo che sia coerente e di alto profilo. Questo ufficio consente lo sviluppo della fiducia reciproca e la condivisione delle responsabilità, e sarà responsabile del coordinamento dello scambio di informazioni e di altre azioni da parte degli Stati membri in materia di reinsediamento. In quanto promotore dei valori della dignità umana, che costituiscono aspetti fondamentali della libertà, della democrazia e dello sviluppo socio-economico nel contesto dell’attuale panorama globale, l’Unione europea deve svolgere in materia di asilo il ruolo di apripista e di esempio per gli altri. La creazione di un Ufficio europeo, per sostenere gli Stati membri in questo settore di intervento nei confronti dei cittadini di paesi terzi, sarà un fattore determinante per applicare un sistema europeo comune di asilo e per la solidarietà degli Stati membri, in un’azione coerente che sia in linea con i valori e i principi del progetto di costruzione dell’Europa. Chiedo che vengano garantiti rapidamente i meccanismi e le risorse necessarie per istituire l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della creazione di un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo con la speranza che esso apporterà un sensibile valore aggiunto all’attuale sistema europeo di asilo, il quale oggi è chiaramente sbagliato. Certo, mi sarebbe piaciuto che il mandato di questo Ufficio fosse più ambizioso e costituisse lo strumento attraverso il quale venga finalmente istituita la solidarietà obbligatoria tra Stati membri, in modo da porre fine alla lotteria del diritto di asilo. Questo rimarrà un pio desiderio fino a quando non verranno adottate procedure di asilo comuni. Speriamo che questo Ufficio possa almeno avere il merito di contribuire a migliorare l’identificazione delle questioni e dei problemi relativi all’asilo, al fine di garantire la migliore protezione possibile per le persone vittime di persecuzioni che cercano rifugio nei nostri paesi.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore dell’istituzione di un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo in quanto, nel caso degli Stati membri il cui sistema nazionale d’asilo si trova sotto pressione, questo Ufficio sarà in grado di favorire l’attuazione di meccanismi di solidarietà intesi a promuovere una migliore ridistribuzione dei beneficiari della protezione internazionale da quegli Stati membri verso altri, garantendo al tempo stesso che non si compiano abusi con i sistemi d’asilo. Accolgo con favore il fatto che l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo coordinerà le azioni di assistenza congiunta degli Stati membri che si trovano ad affrontare situazioni specifiche, come il grande afflusso di cittadini di paesi terzi che hanno bisogno di protezione internazionale.

E’ per noi di vitale importanza armonizzare tanto le nostre leggi quanto le prassi in materia di asilo. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo individuerà le buone pratiche, organizzerà corsi di formazione a livello europeo e migliorerà l’accesso a informazioni precise sui paesi di origine. Inoltre, ritengo che le attività dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo debbano comprendere altresì l’elaborazione di linee guida volte a facilitare una valutazione più equa delle domande di asilo, nonché la conformità del monitoraggio e il rispetto della pertinente normativa comunitaria.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. − Siamo convinti del valore aggiunto che l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo rappresenterà per lo sviluppo della fiducia reciproca, della condivisione delle responsabilità, politiche ed economiche. Gli Stati membri dell’UE devono ancora trovare un accordo finale sul trattamento da riservare ai rifugiati, sul profilo delle persone cui riconoscere tale status e, soprattutto, devono superare le riserve di alcuni governi sulla questione degli eventuali costi.

Quest’Ufficio avrà il compito di fornire assistenza specializzata, avrà un ruolo di coordinamento, di scambio di informazioni e di azioni relative al reinsediamento dei profughi. Gestirà programmi di formazione rivolti ai responsabili nazionali del settore, contribuendo a una maggiore armonizzazione delle diverse prassi nazionali. Fondamentale sarà la prerogativa riservata a noi deputati di nominare il suo direttore esecutivo.

Ritengo doveroso sottolineare la nostra richiesta di apportare le necessarie modifiche al bilancio del Fondo europeo per i rifugiati, allo scopo di assicurare un adeguato finanziamento alla nuova agenzia. La maggiore questione politica resta il rapporto tra solidarietà umana e ripartizione degli oneri finanziari: l’UE è chiamata a sostenere efficacemente quegli Stati che sono maggiormente colpiti dai flussi migratori e da un numero elevato di richiedenti asilo, con pressioni specifiche e spesso sproporzionate rispetto alla loro dimensione nazionale.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Nel contesto di un argomento così delicato, relativo ai diritti umani, la creazione di un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo è importante per consentire un’assistenza specializzata a livello europeo che definisca una comune politica europea d’asilo coerente e di alto profilo. Per questa ragione ho votato come ho fatto.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo potrebbe rappresentare un’istituzione di grande utilità, in particolare se esso assumerà un ruolo di coordinamento in materia di rimpatrio, accelerando di conseguenza le misure di rimpatrio. Come risultato, tale aiuto sarebbe utile anche per il reinsediamento. La presente relazione considera solo come un problema secondario questo elemento, che ritengo molto importante. Contiene invece numerose proposte burocratiche che si tradurranno in un apparato pletorico e in una lenta attuazione delle misure. Mi sono quindi astenuto dal voto.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Esprimo sostegno alla proposta volta alla creazione di un Ufficio Europeo di sostegno in materia di asilo. Quest’Ufficio, inizialmente finanziato attraverso il Fondo europeo per i rifugiati, avrà il compito di fornire assistenza specializzata necessaria all’attivazione di una politica comune in materia di asilo e coordinerà gli scambi di informazioni e di azioni relative al reinsediamento dei profughi. In attuazione dei principi di trasparenza e di controllo democratico, spetterà al Parlamento europeo la nomina del suo direttore esecutivo. La solidarietà intracomunitaria si attuerà sulla base di un accordo fra gli Stati membri e con il consenso dell’interessato. Plaudo, poi, alla Istituzione del forum consultivo, voluto grazie alla spinta di noi deputati, volto ad assicurare uno stretto dialogo tra l’Ufficio di sostegno e le diverse parti interessate.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Oggi, stiamo dando il via libera alla creazione di un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo. Ciò avrà molteplici vantaggi. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo darà un decisivo contributo all’integrazione di un comune spazio europeo di asilo. Sarà presto messo in funzione un organismo che coordinerà e rafforzerà la cooperazione tra gli Stati membri sulle questioni dell’asilo attraverso la promozione di un riallineamento delle divergenti pratiche nazionali. L’Ufficio contribuirà inoltre a promuovere la convergenza tra le disposizioni regolamentari in materia di diritto d’asilo che si applicano nell’Unione europea. Considerati tutti questi benefici e il consenso sia degli Stati membri sia delle istituzioni europee sull’istituzione dell’Ufficio europeo, ho votato con piacere a favore della sua istituzione.

 
  
  

Raccomandazione per la seconda lettura: Silvia-Adriana Ţicău (A7-0124/2010)

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. – Sebbene il voto favorevole a questa relazione sia un atto dovuto, visto che con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona si sono resi necessari alcuni adeguamenti concernenti la base giuridica e gli atti delegati, vorrei sottolineare l’importanza che riveste l’efficienza energetica nel campo dell’edilizia nel raggiungimento entro il 2020 dell’obiettivo UE della riduzione del 20% del consumo energetico e delle emissioni di CO2 e dell’aumento del 20% della produzione di energia da fonti rinnovabili. Come noto, infatti, nei centri urbani gli obiettivi in materia di efficienza energetica e il taglio delle emissioni dipende soprattutto dal miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici esistenti e di quelli in costruzione.

Tuttavia ritengo che la direttiva fissi degli obiettivi molto ambiziosi che le amministrazioni comunali faranno fatica a raggiungere senza l’apporto di strumenti di finanziamento, anche di fonte comunitaria. Penso soprattutto all’enorme opera di recupero energetico dello stock di edifici già esistenti come quello dell’edilizia popolare, il cui rinnovo energetico (che aiuterebbe le famiglie a ridurre le spese delle bollette) richiederà un notevole impegno economico da parte dei comuni.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) Lo scopo di questo ambizioso testo è di favorire la costruzione/ristrutturazione di edifici secondo norme che siano maggiormente ecocompatibili, in quanto miranti ad una più elevata efficienza energetica. Ho votato risolutamente a favore della sua adozione. Con questo tipo di iniziativa, l’Unione europea dà prova del suo ruolo di leader nel settore dello sviluppo sostenibile. La direttiva è un buon compromesso tra incentivazione e restrizioni in favore di un’edilizia responsabile dal punto di vista ambientale.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) Il settore edilizio è responsabile del 40 per cento del consumo energetico dell’Unione europea e del 35 per cento delle sue emissioni. Questa normativa prevede che entro il 2020 le nuove costruzioni debbano avere un consumo energetico quasi pari a zero e che la ristrutturazione degli edifici esistenti soddisfi dei requisiti minimi di rendimento energetico. Questa normativa contribuirà pertanto a ridurre la dipendenza energetica in Europa, con una riduzione delle emissioni di CO2, il miglioramento della qualità dell’aria interna ed esterna, e un aumento del benessere nelle città. L’incentivo a migliorare le prestazioni energetiche degli edifici rappresenta anche l’occasione per riqualificare le nostre città in quanto contribuisce al turismo, alla creazione di posti di lavoro e a una crescita economica sostenibile nell’Unione europea. Tuttavia tale riqualificazione richiede un incremento degli investimenti pubblici e privati. Stiamo parlando di investimenti pubblici che hanno una ricaduta diretta sulla creazione di posti di lavoro e sul coinvolgimento delle piccole e medie imprese; un programma di rigenerazione urbana che sarà favorevole alla ripresa economica. Chiedo pertanto alla Commissione e agli Stati membri di utilizzare i fondi strutturali per riqualificare gli edifici in termini ambientali ed energetici, con questo finanziamento utilizzato come catalizzatore del finanziamento privato. Chiedo inoltre che si elabori un modello appropriato per il finanziamento della ristrutturazione degli edifici esistenti.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. – (FR) Trascorriamo il 50 per cento della vita nelle nostre case. Oggi il 30 per cento delle case esistenti in Europa sono malsane, anche se vi è grande disparità tra i vari Stati membri. E’ quindi importante non solo promuovere la sostenibilità dei nuovi edifici, ma anche favorire la sostenibilità delle ristrutturazioni. Accolgo con favore questa nuova normativa che aiuterà i consumatori a ridurre le bollette energetiche e l’intera Unione europea a raggiungere il proprio obiettivo climatico di ridurre i consumi energetici del 20 per cento nell’arco di 10 anni. Gli Stati membri dovranno adeguare i propri regolamenti edilizi in modo che tutti gli edifici costruiti a partire dalla fine del 2020 siano conformi alle norme di risparmio energetico. Gli edifici esistenti dovranno se possibile essere migliorati. Per il Movimento democratico, la questione abitativa è anche questione di urbanistica e di qualità costruttiva. Dobbiamo dare la priorità al modo in cui vengono progettate le nostre case. Dobbiamo quindi favorire la ristrutturazione del nostro patrimonio edilizio, per esempio attraverso una modulazione delle tasse di proprietà a seconda del rendimento energetico degli edifici. Invitiamo pertanto gli Stati membri a istituire un sistema fiscale che sia orientato a incoraggiare tutte le parti interessate a comportarsi in modo più ecologicamente responsabile.

 
  
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  Ioan Enciu (S&D), per iscritto. – (RO) Ritengo che questa relazione sia utile per il futuro del settore energetico dell’Unione europea, a condizione che gli obiettivi delineati in essa siano realizzabili e compatibili con la situazione finanziaria di tutti gli Stati membri. Accolgo con favore gli obiettivi adottati dal Consiglio in data 14 aprile 2010 sulla necessità di ridurre le notevoli disparità tra gli Stati membri in termini di rendimento termico degli edifici, così come l’obiettivo proposto di raggiungere entro il 31 dicembre 2020 un consumo energetico zero per tutti gli edifici, sulla base di progressi graduali adottati dagli Stati membri nel 2015 e nel 2018. Tuttavia, la Commissione e il Consiglio devono tenere presente che molti Stati membri stanno ancora affrontando la recessione economica e avranno bisogno di un sostegno finanziario e logistico per raggiungere gli obiettivi proposti. In futuro la Commissione dovrà prendere in considerazione l’elaborazione di un piano finanziario di intervento basato sulla assegnazione di fondi per lo sviluppo per sostenere gli Stati membri che non sono in grado di stanziare i fondi necessari, in particolare per i lavori di ristrutturazione. Questa misura deve essere considerata vantaggiosa per i cittadini comuni dato che sono essi a sostenere il peso di una parte dei costi di ristrutturazione.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della raccomandazione sul rendimento energetico degli edifici, perché presenta proposte ambiziose e realizzabili per una riduzione del 20 per cento dei consumi energetici e delle emissioni di CO2 nei settori non coperti dal sistema di scambio delle emissioni entro il 2020. La presente direttiva avrà un effetto diretto sulla vita dei cittadini europei, dato che aiuterà i consumatori a ridurre le spese energetiche e allo stesso tempo potrà contribuire a creare milioni di posti di lavoro in tutta l’Unione europea attraverso gli investimenti previsti per il miglioramento dell’efficienza energetica e per l’uso di fonti energetiche rinnovabili.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Nel 2008 l’Unione europea si è impegnata a una riduzione del 20 per cento del consumo energetico entro il 2020 e perché il 20 per cento dell’energia consumata provenga da fonti rinnovabili. Il miglioramento del rendimento energetico degli edifici è il modo più efficace per ridurre del 20 per cento il consumo di energia e delle emissioni per i settori al di fuori del sistema di scambio di emissioni. Inoltre, il risparmio energetico per l’efficienza energetica riguarda in media il 30 per cento degli edifici convenzionali.

Il 13 novembre 2008 la Commissione ha presentato la sua proposta di modifica della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico degli edifici. Queste modifiche avranno effetti significativi sulla vita dei cittadini europei in quanto avranno conseguenze immediate per gli edifici in cui vivono, e creeranno la necessità di individuare e sviluppare tecnologie più efficienti nel settore delle costruzioni. Inoltre, questa strategia creerà posti di lavoro e contribuirà alla crescita sostenibile. Visto che il progetto attuale è basato sull’accordo raggiunto nel novembre 2009 tra il Parlamento e il Consiglio, sono favorevole alla proposta del relatore.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L’adozione di questa direttiva in materia di rendimento energetico degli edifici è un passo importante verso la riduzione delle emissioni europee di CO2 e della dipendenza energetica. Questi fattori sono sempre più decisivi per la qualità della vita dei cittadini europei e per la competitività della nostra economia e organizzazione sociale. Dato che il settore edilizio è responsabile del 40 per cento del consumo energetico e del 35 per cento delle emissioni totali di CO2, l’autosufficienza e il miglioramento del rendimento energetico degli edifici ristrutturati stanno assumendo un’importanza decisiva per la capacità dell’Unione europea di conseguire entro il 2020 l’obiettivo di una riduzione del 20 per cento del consumo energetico e un aumento del 20 per cento dell’impiego di fonti rinnovabili di energia e dell’efficienza energetica. Oltre ad aiutare i consumatori privati e i servizi pubblici a ridurre i costi energetici, si spera che l’applicazione di questa nuova normativa possa contribuire a combattere la crisi nel settore dell’edilizia civile e che possa contribuire a sviluppare programmi di rigenerazione urbana che avranno un effetto positivo sul miglioramento della qualità della vita e del benessere dei cittadini.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il miglioramento del rendimento energetico degli edifici è particolarmente importante per aumentare l’efficienza energetica generale dell’Unione europea e per la riduzione delle emissioni dei gas serra. Se l’Unione europea vuole raggiungere gli obiettivi che si propone, ridurre il consumo energetico del 20 per cento, per garantire che il 20 per cento del consumo di energia provenga da fonti rinnovabili e per aumentare l’efficienza energetica del 20 per cento entro il 2020, dovrà assumersi un impegno significativo per le prestazioni energetiche degli edifici.

L’accordo politico raggiunto tra Parlamento e Consiglio ha portato al chiarimento degli aspetti tecnici e dei requisiti minimi di rendimento energetico a seconda dell’età di un edificio e se è stato o meno ristrutturato, della valutazione del ruolo degli enti locali e regionali, e del sostegno per le autorità pubbliche nell’applicazione delle raccomandazioni.

Tuttavia abbiamo ancora qualche preoccupazione per quanto riguarda un ruolo rafforzato della Commissione nella valutazione dei piani nazionali e dei rapporti di ispezione, nonché degli adeguamenti al trattato di Lisbona, che concentrano maggiori poteri alla Commissione attraverso i cosiddetti “atti delegati”.

 
  
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  Adam Gierek (S&D), per iscritto. – (PL) I fattori che influenzano le prestazioni energetiche sono: 1. la conversione di una forma di energia in un altra in modo che possa essere destinata a un uso specifico. Più lunga è la catena delle conversioni, maggiore è la perdita. In pratica ciò riguarda soprattutto il flusso di energia termica liberata da fonti di energia primaria. Gran parte di questa si disperde nell’ambiente. Questo effetto può essere ridotto con processi di cogenerazione che possono raggiungere un tasso di efficienza fino al 90 per cento. 2. La resistenza elettrica, o resistenza di Ohm, che è importante per la trasmissione dell’energia elettrica. 3. La resistenza termica. La bassa resistenza è importante per gli scambiatori di calore, mentre l’alta resistenza è importante a causa della ridotta conducibilità termica dei materiali isolanti. L’uso di questi materiali isolanti, come il polistirolo, la lana di roccia e il cemento cellulare, riduce in modo significativo le esigenze di energia termica residenziale. Al momento essa è piuttosto elevata: circa il 40 per cento dell’energia totale utilizzata. 4. L’attrito nei processi anti-attrito, come ad esempio nei cuscinetti, e nei processi di attrito, come i freni. Questo riguarda soprattutto le auto e la turbolenza negli aeroplani. Le perdite per attrito sono circa il 30 per cento del totale energetico.

Ho votato a favore del regolamento senza gli emendamenti perché le perdite di energia negli edifici residenziali sono – accanto alle perdite di conversione – le più elevate, mentre i risparmi aiuteranno i meno abbienti. Nel caso della Polonia, la modernizzazione termica, unitamente alla cogenerazione, può apportare benefici economici, sociali ed ecologici. In questo settore dovrebbe assegnata una certa priorità alla realizzazione, perché i nuovi regolamenti spesso rallentano l’attuazione di quelli precedenti.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore del progetto di revisione delle direttive sul rendimento energetico degli edifici in quanto ritengo che le nuove costruzioni debbano rispettare il principio del risparmio energetico e che in questo settore debbano essere applicate norme vincolanti, che siano effettivamente rispettate ovunque. Gli edifici pubblici daranno un esempio a partire dal 2018, dando più peso e legittimità alle autorità pubbliche nelle loro campagne informative per i cittadini. Questi testi precisano inoltre che il risparmio energetico deve essere un elemento fondamentale nella ristrutturazione degli edifici. Mi auguro quindi che queste misure diano nuovo slancio alle piccole e medie imprese e che gli Stati membri rafforzino i programmi di formazione per il personale incaricato di portare gli edifici all’efficienza energetica. Allo stesso modo, per quanto riguarda l’etichettatura energetica dei prodotti che consumano energia, sono convinto che i consumatori debbano essere consapevoli delle caratteristiche energetiche dei prodotti che acquistano.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Il tema dell’efficienza energetica è cruciale per la strategia 2020. Con l’adozione di questa raccomandazione è stato fatto un passo importante per ridurre i consumi energetici nei prossimi anni: essa punta a raggiungere entro il 2020 un dispendio energetico degli edifici quasi pari a zero. Lo sforzo deve essere effettuato non solo quando si costruiscono nuovi edifici, ma anche nei grandi progetti di ristrutturazione che coinvolgono edifici già esistenti. Sarà inoltre fondamentale dare il buon esempio nella progettazione dell’edilizia pubblica. Questa è la motivazione del mio voto.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) In passato sono state spesso attuate misure di risparmio energetico agevoli da implementare ed è difficile stimare quanto sia stato facile raggiungere (nel senso che esse sono possibili senza lavori di restauro estremamente impegnativi) un potenziale di risparmio energetico. Tutto questo, in ogni caso, non deve sfuggire di mano al punto che gli edifici nei quali sono stati effettuati lavori di ristrutturazione eccellenti per efficienza energetica rimangono vuoti perché gli affitti aumentano in modo esorbitante. In generale, anche ai fini della protezione del clima, non dobbiamo interferire eccessivamente con i diritti di proprietà dei cittadini interessati dai lavori di ristrutturazione.

Le misure di risparmio energetico sono, per un verso, molto costose e non sempre si fondano su tecnologie completamente sviluppate: quindi in questo senso non dobbiamo semplicemente prescrivere, dobbiamo dare degli incentivi tramite dei sussidi. Vista la riduzione dei salari e della sicurezza sociale che ci troviamo ad affrontare, dobbiamo raddoppiare e triplicare le verifiche in modo che i nuovi regolamenti non portino alla rovina i costruttori di case o i semplici residenti. L’impatto della domanda di energia non può essere chiaramente stimato, motivo per cui ho votato “no”.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. – (LT) Il settore edile è stato identificato dall’UE come uno dei mercati con il più alto potenziale di risparmio energetico. Il risparmio energetico per l’efficienza energetica degli edifici copre in media il 30 per cento delle costruzioni convenzionali. Nei nuovi Stati membri dell’Unione europea, tra cui la Lituania, in molti condomini viene sprecato circa il 60 per cento dell’energia termica. Solo in Lituania ci sono oltre 35 000 condomini. I loro abitanti non solo pagano somme enormi per il riscaldamento, ma producono anche l’emissione di tonnellate di CO2. Il governo conservatore della Lituania non è in grado di dare il via all’isolamento termico degli edifici. Dopo quasi due anni di promesse di imminenti rinnovamenti, non un solo edificio è stato ristrutturato.

Ho votato a favore della raccomandazione sul rendimento energetico degli edifici in quanto promuove l’obiettivo di progredire verso edifici a impatto energetico pari quasi allo zero. Ciò garantirà che nel tempo gli edifici dell’Unione europea divengano sostenibili da un punto di vista energetico. In attuazione della presente direttiva, inizieremo entro il 2020 il processo di riduzione di un quinto del consumo energetico dell’Unione europea. Gli investimenti per aumentare l’efficienza energetica creeranno milioni di posti di lavoro e contribuiranno alla crescita dell’economia dell’Unione europea.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Esprimo il mio sostegno alla raccomandazione volta a migliorare il rendimento energetico nell’edilizia. Rendimento energetico, significa non solo risparmio energetico, ma anche riduzione delle emissione di CO2 e gas serra. Per raggiungere quest’obiettivo si dovrebbe limitare la dispersione di energia in campo immobiliare, aumentata anche a causa di una tecnologia che ha spostato i costi energetici dalla costruzione al mantenimento. La ricerca nel settore delle costruzioni si sta orientando verso il “green building”.

Oggi i maggiori progetti si concentrano nei territori dei Paesi temperati, dove la diffusione di queste tecnologie consente già di ipotizzare, in un breve futuro, delle "città sostenibili". Nei Paesi mediterranei le nuove tecnologie non si stanno diffondendo con la stessa rapidità. Anche se in queste zone il problema della dispersione di calore é meno rilevante, gli edifici non hanno una maggiore sostenibilità ambientale.

Infatti, l’utilizzo crescente d’impianti di condizionamento, sempre più diffusi nelle abitazioni, comporta un elevatissimo impiego di energia. E’ pertanto necessario che l’Unione europea attui campagne informative e agisca tramite il ricorso ai fondi comunitari, incentivi e campagne informative, l’impiego e la ricerca sulle nuove tecniche produttive.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Per raggiungere l’obiettivo 20-20-20 entro il 2020 – ovvero una riduzione del 20 per cento del consumo energetico, un aumento al consumo energetico totale del rapporto di energia da fonti rinnovabili al 20 per cento, e un aumento del 20 per cento dell’efficienza energetica – richiede azioni coordinate e mirate sia da parte dell’Unione europea che degli Stati membri. Cosa ancora più importante, migliorare l’efficienza energetica degli edifici è il modo più efficace per ridurre il consumo energetico e le emissioni nei settori non-ETS del 20 per cento. Per la precisione, il risparmio energetico negli edifici efficienti raggiunge in media il 30 per cento rispetto alle costruzioni convenzionali. Inoltre gli edifici a risparmio energetico consumano meno acqua e hanno minori costi di manutenzione e bollette più ridotte. Ho pertanto votato a favore della direttiva sul rendimento energetico degli edifici poiché essa può avere effetti significativi sulla vita dei cittadini europei, visto che riguarda direttamente gli edifici in cui vivono e che utilizzano. Inoltre, gli investimenti nel miglioramento dell’efficienza energetica e nell’uso di fonti di energia rinnovabili creerà milioni di posti di lavoro e contribuirà alla crescita nell’Unione europea e, al tempo stesso, contribuirà anche a ridurre l’attuale spreco di denaro per la manutenzione dei fabbricati ad alto consumo energetico.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. – (RO) Gli edifici sono responsabili di quasi la metà delle emissioni di CO2 non incluse nel sistema dei certificati di scambio delle emissioni dell’Unione europea, e offrono una grande potenzialità di ridurre dette emissioni, con costi di abbattimento negativi o limitati. La nuova direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia stabilisce una serie di indicatori/requisiti minimi di rendimento energetico degli edifici di nuova costruzione in modo che possano raggiungere entro il 2020 un consumo di energia vicino allo zero, con una gran parte dell’energia proveniente da fonti rinnovabili. Ciò comporta inoltre l’applicazione di tali requisiti per gli edifici esistenti.

E’ fondamentale informare i cittadini di questi requisiti e incoraggiarli ad adottare – anche quando gli edifici sono in fase di ristrutturazione – sistemi intelligenti di misurazione (per sostituire impianti per l’acqua calda e di aria condizionata con valide alternative energetiche come le pompe di calore reversibili). Un finanziamento parziale per incoraggiare misure di efficienza energetica proverrà dal bilancio dell’Unione europea. Gli Stati membri devono adottare misure appropriate al fine di attuare rapidamente la presente direttiva. Ho votato a favore di questa relazione perché la nuova normativa aiuta i consumatori a ridurre l’importo delle loro bollette energetiche, consentendo in tal modo all’Unione europea di conseguire il proprio obiettivo di giungere entro il 2020 a una riduzione del 20 per cento dei consumi energetici.

 
  
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  Teresa Riera Madurell (S&D), per iscritto. – (ES) Ho votato a favore di questa importante direttiva a causa della necessità di migliorare l’efficienza energetica degli edifici, che rappresenta una delle aree con la maggiore potenzialità di contribuire agli obiettivi generali dell’Unione europea di aumentare entro il 2020 l’efficienza energetica del 20 per cento. Secondo il testo concordato tra il Parlamento e il Consiglio, entro la fine del 2020 tutti i nuovi edifici dovranno essere a zero impatto energetico e produrre tanta energia quanta ne consumano. Gli edifici pubblici devono dare l’esempio entro il 31 dicembre 2013 rispettando tale normativa. Il bilancio dell’Unione europea finanzierà in parte i costi delle riforme. Inoltre, gli edifici esistenti dovranno rispettare standard di efficienza energetica molto elevati calcolati dagli Stati membri sulla base di un quadro comune stabilito nella direttiva. L’indicatore per misurare l’efficienza energetica degli edifici deve essere incluso nelle pubblicità per la vendita o la locazione pubblicate sui mezzi di comunicazione. Un altro nuovo importante elemento riguarda i contatori intelligenti e i sistemi di controllo e di gestione focalizzati sul risparmio energetico. La direttiva sarà oggetto di revisione prima del 2017.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (FR) Il voto di oggi sulle norme dell’Unione europea per il rendimento energetico degli edifici rappresenta un progresso importante nel campo dell’efficienza energetica. Tuttavia deploriamo assolutamente il fatto che la normativa non tenga conto delle esigenze di ristrutturazione degli edifici esistenti, i quali in Europa rappresentano il 40 per cento del consumo energetico e il 36 per cento delle emissioni di gas a effetto serra. Invece di stabilire una politica ambiziosa di efficienza energetica investendo pesantemente nella ristrutturazione degli edifici, l’Unione europea si sta concentrando esclusivamente sugli edifici di nuova costruzione. Si sta così facendo sfuggire la possibilità di creare milioni di posti di lavoro, di ridurre la nostra dipendenza energetica dai nostri vicini e di combattere in modo significativo i mutamenti climatici.

 
  
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  Bart Staes (Verts/ALE), per iscritto. – (NL) Il settore edile ha un’enorme potenzialità di risparmio energetico. Il settore è responsabile del 40 per cento del consumo energetico e del 35 per cento delle emissioni totali di gas serra.

Il miglioramento del rendimento energetico degli edifici è il sistema più efficace per ridurre i consumi energetici e le emissioni.

Questo accordo merita il nostro pieno sostegno. Al più tardi entro il 31 dicembre 2020 tutti i nuovi edifici dovranno essere a impatto energetico quasi nullo. Tutti gli edifici del settore pubblico dovranno raggiungere questo obiettivo due anni prima. I requisiti minimi di rendimento energetico saranno applicati d’ora in poi anche nel caso delle ristrutturazioni di vecchi edifici. Gli edifici a impatto energetico vicino allo zero sono edifici con prestazioni energetiche molto elevate. Inoltre, l’importo trascurabile o molto ridotto di energia che essi consumano deve provenire in misura molto rilevante da fonti energetiche rinnovabili.

E’ un fatto positivo che la direttiva dedichi attenzione alla disponibilità degli strumenti di finanziamento per attivare questa transizione. Gli Stati membri devono redigere entro il 30 giugno 2011 un elenco di misure atte a raggiungere gli obiettivi della presente direttiva. Infine, la Commissione deve valutare il funzionamento della direttiva in tempo utile, cioè al più tardi entro il 10 gennaio 2017. Questa direttiva rappresenta un importante contributo alla lotta contro i mutamenti climatici.

 
  
  

Relazione Tavares (A7-0125/2010)

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Il programma di Stoccolma prevede la creazione in seno all’Unione europea di una politica d’asilo comune affidabile e sostenibile. Al fine di attuare e garantire gli obiettivi della politica d’asilo è tuttavia necessario incoraggiare gli Stati membri a partecipare volontariamente al programma congiunto dell’Unione europea di reinsediamento dei rifugiati. Pertanto il Parlamento europeo punta a offrire al maggior numero possibile di Stati membri l’opportunità di partecipare a programmi di reinsediamento dei rifugiati nell’Unione europea. Il Parlamento europeo sostiene la proposta della Commissione ed è del parere che il reinsediamento dei rifugiati debba svolgere un ruolo centrale nelle politiche esterne di asilo dell’Unione europea. Dovrebbe essere ulteriormente sviluppato e trasformato in uno strumento di protezione efficace da parte dell’Unione europea.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, con il voto favorevole a questa relazione l’Europa ha fatto un passo avanti per dotarsi di una politica comune di asilo. Sarà così possibile garantire in modo migliore i diritti umani e al contempo contenere l’immigrazione clandestina.

In materia di migrazione e di integrazione, infatti, l’UE dovrà far sentire la propria voce assumendosi l’onere di definire regole europee e contribuire alle spese sostenute dei paesi UE che sono interessati da flussi migratori. Tuttavia, il reinsediamento non può e non deve prescindere da un’azione comune di contrasto alla clandestinità, che può essere svolta non solo in accordo con i paesi frontalieri, ma direttamente in quei paesi da dove partono i "futuri clandestini".

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. – (EN) Il reinsediamento dei rifugiati è un processo grazie al quale è possibile per queste persone essere reinsediate in seguito a una richiesta da parte dell’UNHCR in cui si ritenga che essi abbiano la necessità di ricevere protezione internazionale. Questo è uno dei criteri di ammissibilità nell’ambito del Fondo europeo per i rifugiati. Questo processo può essere una soluzione ideale per quelle persone la cui sicurezza non può essere adeguatamente garantita dai paesi di primo asilo.

Sono d’accordo con le conclusioni che sono state presentate dal relatore ed ho quindi deciso di votare in favore della relazione.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) E’ solo attraverso una politica comune di asilo e un programma di reinsediamento in comune che possiamo perseguire una corretta politica dei diritti umani nell’Unione europea. Il reinsediamento è senza dubbio una delle soluzioni durature per i rifugiati la cui tutela non può essere garantita nei paesi di primo asilo. E’ importante che siano disponibili fondi adeguati, ma il solo stanziamento di una quota del bilancio non può essere considerato un vero e proprio programma di reinsediamento dei rifugiati.

Non nutriamo dubbio alcuno sull’importanza di questa modifica del Fondo per i rifugiati, che permette di colmare una lacuna esistente in vari Stati membri e di migliorare la loro capacità di reinsediamento. Sono lieto di notare che negli ultimi anni è aumentato il numero di Stati membri che partecipano a questo programma: è importante che si riesca a incoraggiare gli altri paesi a parteciparvi. Lo sviluppo e l’espansione europea di questo strumento di reinsediamento deve continuare al fine di creare la protezione più efficace possibile.

Pertanto la Commissione sarà in grado di impostare ogni anno le priorità comuni dell’Unione europea per quanto riguarda il reinsediamento delle persone. Tali priorità possono riferirsi al reinsediamento di specifiche regioni geografiche, nazionalità o categorie di rifugiati, anche se sono d’accordo che debba essere garantita una flessibilità al fine di rispondere alle situazioni d’emergenza.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. – (RO) La pressione dei flussi migratori si sta intensificando e vi è un certo numero di paesi di destinazione della migrazione dei quali dobbiamo comprendere le preoccupazioni rispetto a questo fenomeno. Ecco perché è importante che entri in vigore il programma di reinsediamento, in quanto può facilitare un’equa distribuzione di responsabilità nel rispetto degli obblighi internazionali in materia di protezione dei rifugiati e al tempo stesso può alleviare il peso sopportato dai paesi che accolgono un grande numero di rifugiati.

Un passo positivo sarebbe quello di mettere in funzione nel corso di quest’anno l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, che può fornire agli Stati membri il sostegno alle iniziative per l’attuazione del reinsediamento. Non importa in quale paese i profughi stiano per essere trasferiti: quello che è fondamentale è mettere a loro disposizione un immediato accesso alla lingua e a corsi sulla cultura del paese interessato, nonché ad altre strutture di carattere religioso e di consulenza psicologica, laddove ne sia la richiesta.

Credo che la sostenibilità debba costituire la caratteristica principale di un programma del genere, che in seguito di questa decisione ottiene la garanzia di una prospettiva di bilancio più a lungo termine. I beneficiari sono già stati traumatizzati dalla rottura con la cultura e le tradizioni del loro paese di provenienza. Debbono crearsi una nuova identità, elemento che è un processo traumatico da non accentuare rendendo precario e insicuro il loro futuro.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La necessità del reinsediamento dei rifugiati sta diventando sempre più importante in un’Europa che non vuole chiudersi al mondo esterno o chiudere gli occhi di fronte a quello che vi sta accadendo. L’accoglienza e la solidarietà per coloro che soffrono sono due caratteristiche europee che si ispirano al cristianesimo e che sarebbe bene recuperare per intero. Tuttavia ciò deve essere fatto senza trascurare i legittimi limiti previsti dagli Stati membri. Le priorità annuali comuni dell’Unione europea in termini di aree geografiche e in termini di specifiche categorie di rifugiati per il reinsediamento debbono realmente tener conto delle esigenze degli Stati membri e delle loro situazioni individuali: deve essere incoraggiata la partecipazione degli Stati membri alle azioni di reinsediamento.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Una delle “azioni sovvenzionabili” del Fondo europeo per i rifugiati (FER) è il reinsediamento. Il programma di Stoccolma, afferma che l’Unione europea deve agire in partenariato e cooperare con i paesi terzi che ospitano nuclei rilevanti di rifugiati. La Commissione definisce ogni anno le priorità comuni dell’Unione europea per le persone da reinsediare e tale definizione deve essere sufficientemente flessibile da consentire di rispondere ai casi d’emergenza. Occorre prestare particolare attenzione alle vittime dei sistemi culturali, sociali e politici più repressivi. Il numero di Stati membri che partecipano a programmi di reinsediamento dell’Unione europea è aumentato e deve essere esteso il più possibile. Vorrei sottolineare gli effetti positivi dello stanziamento di fondi a sostegno del reinsediamento, con importi maggiori per il primo e il secondo anno del processo. Questi fondi sono una risposta all’aumento dei costi naturalmente sostenuti per la creazione di meccanismi e strutture, nonché una conferma dell’importanza di garantire condizioni che assicurino la massima sostenibilità e la qualità del processo di reinsediamento dei rifugiati.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) Visto il suo impegno piuttosto scarso, l’Europa deve contribuire maggiormente allo sforzo di reinsediamento dei rifugiati la cui esistenza è a rischio nei paesi che li hanno ricevuti. La ragione per cui ho votato a favore di questa relazione è incoraggiare gli Stati membri a partecipare a questo movimento di solidarietà collettiva che mira a promuovere l’accoglienza e il reinsediamento dei rifugiati in Europa. Le buone intenzioni non bastano più: dobbiamo trasformare le parole in azioni e, in particolare, dare la priorità alle donne e ai bambini vittime di violenza o di sfruttamento, ai minori non accompagnati, alle persone vittime di torture e quanti sono gravemente ammalati.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Solo 10 Stati membri dell’UE, tra cui il Portogallo, accolgono rifugiati per il reinsediamento. Il reinsediamento dei rifugiati è una procedura che, sulla base di una richiesta Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati secondo la necessità di protezione internazionale per le persone, prevede il trasferimento di cittadini di paesi terzi o apolidi da un paese terzo verso uno Stato membro. L’adozione di questa raccomandazione mira ad aumentare il numero di Stati membri che attuano il reinsediamento dei rifugiati: a questo scopo, i paesi che lo attuano per la prima volta ricevono una maggiore assistenza finanziaria per i primi due anni. A prescindere da ogni priorità geografica stabilita dall’Unione europea per un determinato periodo, deve avere la priorità il reinsediamento delle seguenti categorie di persone: i bambini e le donne a rischio di violenza o di sfruttamento psicologico, fisico o sessuale; minori non accompagnati; persone con particolari esigenze mediche; i sopravvissuti a violenze e torture; le persone, infine, che hanno bisogno di nuova sistemazione d’emergenza per motivi legali e di protezione.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Le azioni ammissibili al sostegno nel quadro del Fondo europeo per i rifugiati (FER) comprendono il reinsediamento di rifugiati da paesi terzi. Col termine “reinsediamento” si intende il processo mediante il quale, su richiesta dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) fondata sulla necessità di protezione internazionale delle persone, i cittadini di paesi terzi o apolidi vengono trasferiti da un paese terzo verso uno Stato membro ed è loro consentito di a) soggiornare in qualità di rifugiato o b) ricevere uno status che offra loro gli stessi diritti e vantaggi dello status di rifugiato secondo il diritto nazionale e comunitario.

Le misure proposte nella relazione faranno sì che l’Unione europea – la quale deve già affrontare il problema dell’immigrazione di massa – diventi un polo di attrazione ancora maggiore per i migranti. Le cifre dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati lo confermano. Nel 2008 circa 5 000 persone sono state reinsediate in tutta l’Unione europea, mentre attualmente le persone in tutto il mondo che hanno questa esigenza sono 750 000. E’ per questo motivo che ho votato contro la relazione.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. – (DE) In molti Stati membri, compreso il mio paese di origine, l’Austria, la capacità di accoglienza dei profughi è già al punto di rottura e la popolazione oppone giustamente resistenza a nuovi centri di accoglienza e a strutture simili. E’ dunque ancora più incomprensibile la relazione sul Fondo europeo per i rifugiati che chiede il reinsediamento dei rifugiati nell’Unione europea. Ho quindi votato contro la relazione.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, il problema dei rifugiati è un problema europeo e non può essere lasciato alla gestione degli Stati nazionali, in considerazione anche delle differenze geografiche ed economiche. Vedo pertanto con favore, la creazione a livello dell’Unione Europea, di un Fondo.

La creazione di tale Fondo deve avere una doppia valenza, sia a sostegno dei rifugiati che arrivano nei nostri Paesi, spesso sulle nostre coste, in cerca di aiuto, sia a sostegno di quegli Stati, che data la loro posizione geografica, risultano essere i maggiori riceventi di questi disperati. Il problema infatti, è e deve essere un problema europeo e non può essere lasciato alla gestione di alcuni Stati. Mi auguro che il Fondo sia soltanto l’inizio di un cammino volto ad approcciare l’intera questione in un’ottica più europea e di solidarietà.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) In considerazione della necessità di aiutare i rifugiati in Europa, ritengo estremamente importante la decisione presa in merito dal Parlamento europeo. L’obiettivo principale del fondo è di sostenere le misure adottate dagli Stati membri, che molto spesso comportano spese supplementari. Tali misure sono intese a garantire condizioni di vita dignitose per i rifugiati e riguardano anche una regolamentazione giuridica del loro soggiorno nei paesi dell’Unione. Ritengo essenziale aumentare l’assistenza finanziaria per i paesi che sono impegnati ad aiutare i rifugiati.

Non possiamo farci criticare come paesi sviluppati che, invece di proteggere i rifugiati a tutti i costi, stanno cercando di impedirgli di arrivare. Ai rifugiati che vengono in Europa dai paesi in via di sviluppo – e che spesso hanno dovuto affrontare problemi enormi, quali la violenza, la mancanza di mezzi di sussistenza e la mancanza di accesso alle cure mediche – deve essere fornita assistenza nel miglior modo possibile da parte degli Stati membri dell’Unione europea.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. – (SK) Onorevoli colleghi, in seno alla commissione sono state messe ai voti numerose proposte di emendamento volte a sottolineare l’importanza della Chiesa e dei gruppi religiosi per risolvere il problema dei profughi. Tutte queste proposte di emendamento sono state respinte. Quando liberali e politici di sinistra affermano che l’opera quotidiana con i rifugiati è sufficientemente coperta dalle organizzazioni non governative e dai finanziamenti statali, rivelano il loro miope cinismo e la loro ipocrisia. In realtà accade l’esatto opposto. Non è forse vero che gli stati devono spesso affrontare critiche per il fatto che le condizioni nei campi profughi sono, per la maggior parte, poco dignitose? Sarebbe fuori luogo affermare apertamente l’ipocrisia di Stati come Germania, Spagna, Francia, Italia o Malta? I governi non riescono ad accogliere e a prendersi cura dei rifugiati. La miseria di queste persone più povere è un affronto alla ricca Europa, e così li respingiamo. A causa della cosiddetta correttezza politica, ignoriamo il fatto che nella più profonda miseria dei campi di accoglienza, dove le organizzazioni non governative “politically correct” hanno già abbandonato la lotta, sono ora solo gli ordini di suore cattoliche che svolgono con entusiasmo un lavoro oscuro. Grazie all’ordine di Malta, al Jesuit Refugee Service e a molte organizzazioni cristiane, i governi stanno riconoscendo l’obbligo di affrontare il destino dei rifugiati. Le organizzazioni cristiane sono una spina nel fianco della nostra coscienza. Per questo, meritano il nostro ringraziamento, perfino adesso che i finanziamenti dal bilancio dell’UE sono molto limitati e non vengono neppure menzionati nella relazione d’iniziativa su questo argomento.

 
  
  

Relazione Coelho (A7-0126/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. – (FR) La relazione sul sistema d’informazione Schengen e sulla sua modernizzazione contribuisce a questa splendida svolta della libera circolazione intra-europea. Di fronte a movimenti sempre crescenti di persone tra Stati membri nell’area Schengen, nonché all’ampliamento di quest’ultima, dobbiamo migliorare il trattamento dei dati per garantire che questa libertà venga esercitata in totale sicurezza. La relazione Coelho contribuisce alla ricerca di una maggiore efficacia nella circolazione delle informazioni, nonché al necessario rispetto delle libertà individuali garantite dall’Unione europea. Logicamente ho votato a favore di questa relazione.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) L’obiettivo di questa proposta è assicurare la migrazione dal sistema d’informazione Schengen, la cui attuale forma è il SIS 1+, alla seconda generazione del sistema d’informazione Schengen (SIS II). È un peccato che l’avvio di questo sistema sia stato ritardato. Il Parlamento europeo ha fatto tutto il possibile per garantire che il sistema entri in funzione il più presto possibile e che l’attuazione del processo del SIS II sia completamente trasparente. Ma è necessario ottenere l’approvazione di tutte le istituzioni. E’ importante sottolineare che, qualora il progetto SIS II non dovesse andare in porto, la Commissione dovrebbe attuare un programma alternativo e il Parlamento dovrebbe essere incluso nelle decisioni riguardanti la migrazione. Prima di passare al nuovo sistema SIS II, il Parlamento dovrebbe essere pienamente informato dalla Commissione sui risultati della sperimentazione e avere la possibilità di esprimere il suo parere.

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. – (EN) Prima della migrazione al nuovo SIS è necessario che siano eseguite le opportune prove e che siano in funzione le necessarie garanzie. Ritengo che quanto sopra debba essere effettuato in modo professionale e completo; condivido al tempo stesso anche la delusione del relatore per quanto riguarda i sensibili ritardi che stanno impedendo la migrazione al nuovo sistema.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Ho votato decisamente a favore degli emendamenti proposti al presente regolamento. La fase di migrazione dei dati è il compito finale nell’ambito del mandato di sviluppo della seconda generazione del sistema d’informazione Schengen (SIS II). Ciò giustifica quindi la necessità di affidare alla Commissione un mandato di sviluppo valido per lo sviluppo del sistema fino a quando esso non diventi operativo. Dato il notevole ritardo che è già stato sottolineato e l’aumento dei costi del progetto SIS II, comprendo che debba essere mantenuta la clausola di decadenza. Il nuovo mandato conferito alla Commissione deve essere definito in base alla data prevista, alla fine del 2011, quando il SIS II dovrebbe diventare operativo.

Tuttavia, la Commissione deve avere una certa flessibilità in modo da poter rinviare le date utilizzando la procedura di comitatologia, in modo da poter adattare il quadro giuridico a uno scenario alternativo qualora il SIS II non vada in porto. L’incapacità della Commissione nel fissare una data probabile per l’entrata in funzione del SIS II è inaccettabile, dal momento che da questo dipendono maggiori garanzie di sicurezza, libertà e giustizia in ambito europeo. Ciò solleva delle perplessità, anche sulla mancanza di trasparenza nel modo in cui è stato gestito il processo.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La particolare delicatezza di quest’argomento giustifica l’assegnazione della relazione a uno dei membri del Parlamento che più si è dedicato a questo tema, il mio collega onorevole Coelho, con il quale vorrei congratularmi per il lavoro svolto. I ritardi che questo processo ha subito sono deplorevoli, ma io condivido la sua cautela riguardo al successo del processo di migrazione e la sua preoccupazione per il diritto del Parlamento di essere informato degli sviluppi.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. – (FR) La “saga” della migrazione dal SIS I al SIS II è andata avanti per troppo tempo. Ecco perché ho votato a favore di questa relazione: allo scopo di sottolineare la necessità di rispettare le scadenze previste e di porre fine a quella che potrebbe – a seguito dei numerosi risultati infruttuosi e tenuto conto delle risorse impiegate finora senza successo per raggiungere l’obiettivo di tale migrazione – essere interpretata come cattiva gestione. La palla torna ora alla Commissione, ma in quanto autorità di bilancio il Parlamento europeo deve utilizzare i propri poteri e riservarsi il diritto di chiedere alla Corte dei conti europea di procedere a una verifica dettagliata della gestione del progetto e dell’impatto finanziario che un fallimento avrebbe sul bilancio dell’Unione europea.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. – (FR) Vedo un lievissimo progresso negli emendamenti della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni contenuti nella presente relazione. Questa commissione chiede infatti che il Parlamento europeo sia coinvolto nel processo decisionale e indica la necessità di un suo parere favorevole prima che si possa verificare una qualsiasi migrazione verso la seconda versione del sistema d’informazione Schengen. Tuttavia, questa relazione è ancora inaccettabile. Non possiamo sostenere impunemente la possibilità di migrazione verso il SIS II, il nuovo strumento per realizzare la “sicurezza totale”.

Con questo sistema, può essere raccolto un numero sempre crescente di dati personali, e per ragioni la cui validità è opinabile. Come può essere considerato valido il sospetto dell’intenzione di commettere un atto terroristico? Peggio di tutto, gli Stati Uniti hanno ricevuto accesso a questi dati. In quest’ora di crisi, l’eurocrazia dominante continua a costruirci un’Europa caratterizzata dalla concorrenza e da un’enfasi eccessiva sulla legge e sull’ordine. Invece, ora più che mai, è il momento di costruire quell’Europa della solidarietà e della cooperazione di cui abbiamo bisogno.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Abbiamo un sistema d’informazione Schengen che funziona e che è in grado di espandersi, e abbiamo un progetto ambizioso che costa milioni e sembra rivelarsi un insuccesso. E’ ora di smettere di gettare soldi a fondo perduto e salvare ciò che può ancora essere salvato. Se l’Unione europea vuole davvero spendere altri milioni, lo dovrebbe fare per la protezione delle frontiere o a beneficio delle famiglie. Invece di limitarsi a erogare “premi” per l’accoglienza dei rifugiati dovrebbe finalmente essere accuratamente applicata la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e ciò, naturalmente, non si applica all’esercito dei migranti spinti da motivi economici.

Infine, non abbiamo bisogno di un nuovo ufficio di sostegno in materia di asilo per espandere ulteriormente la giungla dell’asilo e il pantano delle agenzie dell’Unione europea che divorano milioni. L’area Schengen non deve essere ampliata finché non avremo un Sistema d’informazione Schengen funzionante. Le nuove proposte non solo sono mal concepite ma sono semplicemente controproducenti, e per questo motivo mi sono astenuto dal voto.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio più ampio sostegno alla relazione del collega Coelho. Il sistema di informazione Schengen si è rivelato da subito un ottimo e valido strumento per la gestione e il controllo all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, nel corso del suo sviluppo e date anche le ulteriori esigenze registrate, si è reso necessario un aggiustamento e un adeguamento.

La proposta del relatore si pone proprio in questo ordine di idee: la migrazione al sistema di seconda generazione non è più rinviabile o procrastinabile. Necessitiamo di strumenti efficaci ed efficienti per il coordinamento dei dati e per il controllo di coloro che entrano e viaggiano all’interno del sistema Schengen. Pertanto, sottolineo come il relatore, la necessità che la Commissione ponga in atto il nuovo sistema SIS di seconda generazione nel più breve tempo possibile.

 
  
  

Relazione Coelho (A7-0127/2010)

 
  
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  David Casa (PPE), per iscritto. – (EN) Prima della migrazione verso il nuovo SIS è necessario effettuare le opportune prove e mettere in atto le garanzie necessarie. Mentre credo che quanto sopra deve essere realizzato in modo professionale e completo, condivido anche la delusione del relatore per quanto riguarda il notevole ritardo, che ostacola la migrazione al nuovo sistema.

Inoltre ritengo necessario che la Corte dei conti sia invitata a svolgere un’indagine approfondita sulla gestione del problema.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) L’aumento del numero di Stati membri ha seriamente complicato il processo di transizione e migrazione dal primo sistema d’informazione Schengen a quello di seconda generazione. Il Parlamento sollecita giustamente informazioni esatte e aggiornate su come questo rapporto si sta realizzando. Mi auguro che la migrazione abbia luogo nel modo più efficace possibile, che questo cambiamento non danneggi in alcun modo la sicurezza dell’Europa e che produca un risultato soddisfacente.

 
  
  

Relazione Tavares (A7-0131/2010)

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore della relazione in quanto la questione dei rifugiati nella Comunità è ancora assai rilevante. Al momento, la questione del reinsediamento dei rifugiati all’interno dell’Unione europea non è adeguatamente coordinata e solo 10 Stati membri reinsediano i rifugiati su base annuale, provocando una mancanza di uso strategico del reinsediamento come strumento di politica estera dell’Unione europea. Accolgo con favore la decisione della Commissione di istituire un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo che sarà in grado di assistere gli Stati membri nella realizzazione delle iniziative di reinsediamento, garantendo nel contempo il coordinamento delle politiche all’interno dell’Unione europea.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. – (FR) Rispetto agli Stati Uniti e al Canada, l’Unione europea partecipa molto meno alla ricezione e al reinsediamento dei rifugiati provenienti da paesi terzi. Ho votato in favore della relazione di iniziativa del Parlamento europeo sulla creazione di un programma comune europeo di reinsediamento. Questo chiede l’istituzione all’interno dell’Unione europea di un programma di reinsediamento ambizioso e sostenibile e propone un sostegno finanziario per gli Stati membri pronti a parteciparvi.

La relazione è anche indice del nostro disaccordo con la visione del Consiglio. Quest’ultimo intende prendere la nazionalità dei profughi come base per decidere chi ha la priorità di essere reinsediato. Oltre alla provenienza geografica dei rifugiati, vorremmo fosse istituita una categoria di “rifugiati vulnerabili” (donne e bambini esposti alla violenza e allo sfruttamento, minori non accompagnati, persone bisognose di cure mediche, vittime di torture, e così via). Questi ultimi devono avere sempre la priorità.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) E’ essenziale che l’Unione europea disponga di una politica dell’immigrazione equa e realistica. Accolgo quindi con favore questo programma di reinsediamento efficace, appropriato e sostenibile, che fornisce una soluzione duratura per i rifugiati che non possono ritornare nel loro paese d’origine. Il programma di reinsediamento può contribuire a rendere l’immigrazione clandestina meno attraente per i rifugiati che cercano di entrare nell’Unione europea. Il successo di un programma di reinsediamento efficace richiede l’accesso a opportunità di lavoro per gli adulti e l’integrazione immediata dei minori nelle scuole. Per questo motivo è essenziale l’accesso ai servizi di orientamento scolastico e professionale. La verifica delle misure deve essere effettuata da diversi enti del settore pubblico (ad esempio i comuni) e della società civile, così come le organizzazioni non governative, le associazioni di beneficenza, le scuole e i servizi sociali; è essenziale promuovere la cooperazione tra i diversi enti. Invito gli Stati membri a promuovere la creazione di meccanismi di finanziamento privato e iniziative miste pubblico-privato più ampie, in modo da sostenere il programma europeo di reinsediamento.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) E’ positivo che negli ultimi anni sia andato aumentando il numero di Stati membri che partecipano a questi programmi di reinsediamento. Tuttavia, solo 10 Stati membri reinsediano i profughi su base annuale, e lo fanno senza coordinamento tra di loro o senza un programma comune europeo di reinsediamento. E’ importante che gli Stati membri dimostrino solidarietà reciproca e condividano invece la responsabilità per il rispetto degli obblighi internazionali.

Un programma europeo efficace e sostenibile di reinsediamento porterà benefici per il reinsediamento dei rifugiati, per gli Stati membri e per la stessa Unione europea, dandole un ruolo da protagonista in campo internazionale umanitario. E’ auspicabile un approccio multilaterale che coinvolga tutti i soggetti interessati a livello locale e senza dimenticare il ruolo fondamentale svolto dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Un efficace programma europeo di reinsediamento deve garantire protezione e soluzioni durature, nonché la creazione di meccanismi per la cooperazione e il coordinamento tra gli Stati membri. Tale programma deve consentire lo scambio di pratiche virtuose, creare una strategia comune e ridurre i costi delle operazioni di reinsediamento. Appoggio la proposta del relatore onorevole Tavares – col quale mi congratulo per l’eccellente relazione – di creare una nuova unità di reinsediamento che renda possibile coordinare e facilitare i processi di reinsediamento.

 
  
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  Robert Dušek (S&D), per iscritto. – (CS) Il progetto di regolamento applicabile al programma dell’Unione europea per la gestione e la regolazione del reinsediamento risolverà, in via prioritaria, l’inserimento e l’adattamento dei rifugiati nel loro nuovo ambiente. Catastrofi umanitarie e altri eventi imprevedibili possono scatenare un’ondata di rifugiati alla quale dobbiamo essere in grado di rispondere congiuntamente nel quadro dell’Unione europea. Tuttavia, respingo del tutto l’idea di rifugiati che chiedono asilo per motivi politici all’interno dell’Unione europea. Non riesco a immaginare legalmente accettabile in qualunque Stato membro dell’Unione europea che si perseguiti un cittadino per motivi politici. La partecipazione delle autorità locali a un programma di reinsediamento dovrebbe essere sempre su base volontaria, come nel caso della partecipazione degli Stati membri.

Alcuni paesi sono abituati a un aumento del numero del numero degli stranieri nella popolazione locale, ma per altri ovviamente si tratta di qualcosa di nuovo. Al fine di evitare fobie e preoccupazioni per la presenza di stranieri in alcuni paesi o regioni, dobbiamo rispettare il loro interesse o la loro mancanza di interesse a partecipare. Sarebbe inoltre opportuno – per il bene della conformità e della complementarità del programma di reinsediamento dell’Unione europea rispetto alle altre politiche europee in materia di asilo – coordinare il programma proposto nel quadro di un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo. Nonostante le riserve esposte in precedenza, approvo l’intera relazione.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Il reinsediamento dei rifugiati si è dimostrato necessario nel caso in cui i paesi terzi destinatari non siano in grado di fornire loro sicurezza e mezzi di sostentamento in modo che possano stabilirvisi. Per tale motivo, varie entità attive sul campo avvertono la necessità che questo problema sia affrontato a livello europeo, e il programma comune di reinsediamento UE proposto dalla Commissione potrebbe essere la giusta via per farlo. Indipendentemente dal modello che alla fine prevarrà, è palesemente urgente che gli Stati membri cooperino maggiormente fra di loro e con i paesi di primo insediamento, al fine di fornire una duratura soluzione sostenibile e interconnessa a questo grave problema umanitario.

 
  
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  Bruno Gollnisch (NI), per iscritto. – (FR) I cittadini europei non devono lasciarsi ingannare dal titolo di questa relazione: reinsediamento. Non stiamo parlando di un qualche pacchetto di aiuti o altro per il rimpatrio degli immigrati, ma dell’accoglienza sul territorio dell’Unione europea – su sollecitazione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – di persone che hanno già chiesto asilo in un paese terzo, dato che il paese di primo asilo o rifugio, per un motivo o un altro, non li soddisfa o non è in linea con le Nazioni Unite. Si tratta di un incredibile nuovo incentivo per un’immigrazione socio-economica dissimulata sotto la copertura di una domanda di protezione internazionale, mentre, che ci piaccia o no, un Ufficio europeo di sostegno per l’asilo sarà sempre più responsabile della distribuzione dei richiedenti asilo in tutta l’Unione europea. Come possiamo fidarci che le Nazioni Unite e i paesi di primo asilo organizzino tale controllo? Come possiamo tollerare il fatto che un’agenzia europea dica agli Stati membri che devono accettarli sul proprio territorio e secondo quale status? Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ci sono 750 000 persone nel mondo che potrebbero avere diritto all’asilo. Dobbiamo riceverli tutti nei nostri paesi, per ordine di quest’organizzazione? Ciò è del tutto irresponsabile.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) Solo 10 Stati membri dell’Unione europea, tra cui il Portogallo, accolgono i rifugiati per il reinsediamento. Questa situazione deve essere cambiata, e si devono trovare le soluzioni e gli incentivi perché la maggioranza degli Stati membri accetti di reinsediare i rifugiati. La creazione di questo programma rappresenta un importante passo in questa direzione. Contribuirà anche a un maggiore coinvolgimento dell’Unione europea nel reinsediamento a livello globale e in tal modo avrà anche un impatto sull’ambizione dell’Unione europea di svolgere un ruolo guida nelle questioni umanitarie mondiali e sulla scena internazionale.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, permettetemi di esprimere il mio appoggio alla relazione del collega Tavares. Come per quanto sottolineato in merito alla creazione del Fondo europeo per i rifugiati, sono necessari un’azione e un approccio europei al problema.

Ritengo, in tal senso, più che opportuna un’armonizzazione delle procedure per la concessione dello status di rifugiato. Non possiamo, infatti, avere disparità a livello europeo in merito a tale definizione. Un concetto comune eviterebbe sia la "migrazione" all’interno degli Stati Europei dei rifugiati, sia una gestione più adeguata. Un programma comune, quindi, mi sembra andare nella giusta direzione. Un programma di reinsediamento UE efficace dovrebbe, infine, fornire protezione e soluzioni durature tanto per le situazioni dei rifugiati che si protraggono nel tempo, quanto per la necessità di risposte rapide e adeguate in situazioni di emergenza o di urgenza imprevista.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) L’approvazione del programma di reinsediamento per i rifugiati provenienti da paesi terzi negli Stati membri dell’Unione europea è un passo nella giusta direzione e, ovviamente, ho votato a favore della relazione per la quale sono stato relatore per il gruppo del Partito popolare europeo (Democratici-cristiani). In realtà sulle questioni relative ai rifugiati è molto importante costruire una solidarietà tra l’Unione europea e i paesi terzi. Tuttavia avremo presto bisogno di essere audaci e dimostrare la stessa solidarietà all’interno dell’Unione europea con la creazione di un programma interno di respingimento al fine di attenuare la pressione che grava in misura sproporzionata su taluni Stati membri rispetto ad altri. Il programma pilota a Malta è un ottimo esempio in questa direzione.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) E’ positivo che sia stato stabilito un programma comune europeo di reinsediamento. Il numero di rifugiati che hanno bisogno di essere reinsediati è in crescita, a differenza del numero dei posti disponibili per accoglierli. Tuttavia, gli Stati membri che ricevono i rifugiati sono spesso tra i più poveri, e le loro risorse non consentono di accogliere un gran numero di persone. Il reinsediamento dovrebbero essere trattato come un’ultima risorsa: l’unica soluzione quando i rifugiati non possono tornare al loro paese e non possono trovare un rifugio sicuro in un paese terzo. Gli Stati membri dovrebbero adottare un programma più ambizioso che garantisca la qualità e l’efficacia del reinsediamento.

Dobbiamo sostenere la creazione di meccanismi di finanziamento privato e l’adozione più frequente di misure pubbliche e iniziative legali tese a rafforzare il programma europeo di reinsediamento. Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta alle risorse umane necessarie negli attuali e nei futuri programmi di reinsediamento dell’Unione europea, in modo che possa essere introdotta una procedura che consentirà buone pratiche in materia di adattamento e di integrazione dei rifugiati nella società di accoglienza.

L’obiettivo è di stabilire un programma comune europeo di reinsediamento, in modo che grazie alla più stretta cooperazione dei governi degli Stati membri dell’Unione europea il numero di persone reinsediate possa aumentare e che migliori la loro situazione nell’Unione europea. Dovrebbe essere intrapreso ogni sforzo da un numero maggiore di Stati membri dell’Unione europea per partecipare al programma europeo di reinsediamento, che darà inizio alla cooperazione politica e pratica tra gli Stati membri per la protezione permanente degli stranieri.

 
  
  

Relazioni Tavares (A7-0125/2010 - A7-0131/2010) e Coelho (A7-0126/2010 - A7-0127/2010)

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore di a queste relazioni, come concordato anche con i relatori durante le nostre discussioni in seno alla commissione per le libertà civili.

 
  
  

Relazione Badia i Cutchet (A7-0141/2010)

 
  
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  Maria Badia i Cutchet (S&D). per iscritto. – (ES) La relazione, per la quale mi auguro che la maggior parte di voi voterà a favore, è una valutazione dei progressi compiuti in Europa per l’istruzione e le politiche di formazione nel periodo 2007-2009. La relazione illustra inoltre i problemi individuati dall’iniziativa “Nuove competenze per nuovi lavori”. Il risultato dimostra che la formazione dei nostri giovani è ancora troppo carente, sia in termini di preparazione per i nuovi settori dell’economia sia per dare loro nuove competenze da sviluppare in un contesto in cui l’Europa e il mondo sono sempre più aperti e sempre più interdipendenti. La strategia 2020 riflette l’importanza della formazione e dell’istruzione per affrontare con successo le sfide sociali ed economiche che ci attendono nel prossimo decennio. Pertanto, nel contesto di una crisi economica dell’Unione europea, voglio sottolineare l’importanza di preservare i bilanci per l’istruzione e la formazione a livello nazionale ed europeo.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Ho sostenuto la relazione perché ritengo che dobbiamo migliorare la qualità dell’istruzione e della formazione nell’Unione europea. Purtroppo, le linee guida individuate nella strategia di Lisbona non saranno attuate fino alla fine del 2010. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, molti cittadini europei non sono ancora sufficientemente qualificati e un terzo della popolazione europea ha titoli di studio di livello molto basso. E’ preoccupante anche il fatto che un numero crescente di giovani lasci prematuramente la scuola e non acquisisca in seguito alcuna qualifica. Ritengo che sia molto importante cominciare al più presto ad applicare una politica volta a migliorare la qualità dell’istruzione e della formazione negli Stati membri. La Commissione europea, gli Stati membri e i datori di lavoro devono cooperare strettamente con i docenti e con chi è preposto alla formazione, per garantire un’istruzione di più elevato livello e di più ampia portata, al fine di soddisfare le esigenze dei settori professionali e del mercato del lavoro.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Il mio voto favorevole alla relazione sull’attuazione del programma di lavoro "Istruzione e formazione 2010" è motivato dalla presenza nella relazione di alcuni passaggi davvero importanti, che auspico possano trovare concretamente applicazione nell’ambito delle politiche comunitarie e successivamente pieno recepimento da parte degli Stati membri.

Parlo soprattutto dei punti che riguardano la formazione professionale e il collegamento tra processi formativi e necessità del mercato del lavoro. Da questo punto di vista, per il futuro tanto del nostro sistema scolastico quanto del nostro sistema economico, composto quasi esclusivamente di PMI, fa quindi ben sperare veder riconosciuta la necessità che si rafforzi il legame tra istituti, soprattutto di formazione professionale, e mondo delle imprese.

Senz’altro positiva è l’idea che si debba incoraggiare la creazione di forme di partenariato tra le realtà produttive nazionali e locali da una parte e mondo della formazione dall’altro: questo consentirebbe alla scuola di coordinare con maggiore successo i programmi formativi con le reali esigenze del territorio e del mondo economico che ne è espressione, senza tener conto che ciò peraltro aiuterebbe la scuola a mitigare l’annosa questione del reperimento di risorse adeguate a offrire ai giovani una formazione di qualità e di immediata spendibilità professionale.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato in favore di questa relazione perché questo è il momento opportuno per riesaminare gli obiettivi di istruzione e formazione fissati nella strategia di Lisbona e per valutare quello che non ha funzionato in questo settore. Sono lieto che uno degli obiettivi più importanti della nuova strategia Europa 2020 sia quello di migliorare il livello di istruzione, ridurre il numero di persone che lasciano la scuola senza una qualifica e aumentare il numero di persone con un’istruzione superiore o equivalente. In primo luogo vorrei evidenziare il fatto che a causa dello sviluppo rapido delle informazioni e delle nuove tecnologie, l’ambiente educativo è sempre più complesso e variegato, ed è necessario adeguarlo ai nuovi bisogni in un mondo che cambia. Pertanto è necessario riformare e migliorare i programmi di studio nelle scuole e nelle università, tenendo conto delle esigenze del mercato in trasformazione. In secondo luogo, chiedo un maggiore impegno per aumentare l’alfabetizzazione e per favorire l’aggiornamento delle competenze delle persone provenienti da ambienti svantaggiati. Uno degli obiettivi più importanti di questo programma è la modernizzazione dell’istruzione e della formazione professionale e dell’istruzione superiore. In altre parole sono sempre più necessari rapporti più stretti con il mondo delle imprese ed è fondamentale sviluppare nuove prospettive di qualificazione più allettanti e opportunità di mobilità per gli studenti iscritti all’istruzione e alla formazione professionale. Sono lieto che il Parlamento europeo abbia richiamato l’attenzione in maniera significativa sul fatto che dobbiamo facilitare l’integrazione delle persone con disabilità nei settori dell’istruzione e della formazione. Concordo altresì col fatto che si debbano stanziare le risorse necessarie per garantire l’integrazione delle persone con disabilità nel settore della formazione.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) L’istruzione di qualità e la formazione rappresentano un aspetto irrinunciabile della realizzazione personale dell’individuo, dell’uguaglianza, della lotta all’esclusione sociale e alla povertà, della cittadinanza attiva e della coesione sociale. E’ essenziale migliorare la qualità dell’istruzione e della formazione per tutti gli studenti al fine di raggiungere risultati e competenze migliori. Questo è l’unico modo per attuare la rinnovata agenda sociale per le opportunità, l’accesso e la solidarietà e per contribuire a creare nuovi e migliori posti di lavoro. Deve essere favorita la mobilità tra istituti di istruzione superiore, mondo degli affari e dell’istruzione e formazione professionale al fine di promuovere l’apprendimento incentrato sullo studente e sull’acquisizione di competenze, sull’imprenditorialità, sulla comprensione interculturale, sul pensiero critico e sulla creatività. Invito inoltre gli Stati membri ad aggiornare l’ordine del giorno dell’istruzione superiore e, in particolare, a coordinare i programmi rispetto alle esigenze del mercato del lavoro.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Dalla strategia di Lisbona, l’istruzione e le politiche di formazione sono diventate sempre più importanti nell’Unione europea. Accolgo quindi con favore questa relazione in generale e in particolar modo la comunicazione della Commissione “Competenze chiave per un mondo che cambia”. Mi preoccupa tuttavia la mancata corrispondenza tra i livelli di competenze acquisite a scuola e le esigenze del mercato del lavoro nell’Unione europea.

Un impegno chiaro per la formazione professionale e la formazione permanente contribuirà decisamente al successo dell’iniziativa "Nuove competenze per nuovi lavori”, al pari dello sviluppo di competenze trasversali cruciali come le competenze digitali, la capacità di apprendimento, le competenze sociali, civili, sportive e artistiche, la consapevolezza dell’imprenditorialità e della cultura.

Ritengo pertanto che sia indispensabile un insegnamento prescolare di alta qualità come strumento di acquisizione precoce delle competenze essenziali affinché le generazioni a venire siano in grado di superare l’attuale divario tra le competenze acquisite e le esigenze del mercato. Credo che anche l’istruzione primaria e secondaria debbano incentrarsi sullo sviluppo di competenze più specifiche quanto essenziali, come per esempio la padronanza delle lingue straniere e la capacità di adattarsi alle esigenze delle comunità in cui sono situate le scuole. E’ fondamentale anche un’istruzione superiore che sia coordinata con le esigenze del mercato del lavoro, le imprese e con la società nel suo complesso.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sulle competenze chiave per un mondo che cambia nel quadro dell’attuazione del programma “Istruzione e formazione 2010”. Nonostante alcuni miglioramenti, siamo ancora molto lontani dal raggiungimento degli obiettivi in materia di istruzione e formazione fissati dalla strategia di Lisbona. Questa relazione analizza gli insuccessi e propone sfide che devono ancora essere superate, come un miglior collegamento tra didattica, formazione professionale e sistemi di apprendimento permanente.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Avendo lavorato nel governo del mio paese nel campo dell’istruzione, trovo profondamente deplorevole vederla continuamente classificata erroneamente in praticamente tutti gli indicatori relativi a questi argomenti. Temo che questi risultati sfavorevoli siano, in larga misura, il risultato di un’ideologia dell’apprendimento che sembra essere completamente assente dalla comunicazione della Commissione e dalla risoluzione del Parlamento: non vi si citano una sola volta le parole “merito”, “rigore”, “sforzo”, “concentrazione” e “disciplina”, e il “trasferimento delle conoscenze” e la “memorizzazione” sono considerate meno importanti dei temi delle “attitudini” e degli “atteggiamenti” basati sulle “competenze essenziali”.

Sarebbe utile che i governi la smettessero di preoccuparsi delle statistiche e affrontassero invece il problema alla radice, abbandonando metodi che comportano un sacco di discorsi, lo scarico delle responsabilità da tutte le persone coinvolte nel processo di formazione e il camuffamento statistico. Essi devono invece adottare metodi concentrati, soprattutto, sui contenuti scientifici e sui processi cognitivi: apprendimento e insegnamento efficaci. Si deve spendere minore energia nell’affermare posizioni condivise che sono vuote quanto ben intenzionate. Dato il contenuto generalmente positivo della risoluzione, voterò a favore, ma non senza registrare il mio profondo disaccordo con questa interpretazione di ciò che dovrebbe costituire il sistema educativo.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Istruzione e della formazione sono chiaramente della massima importanza, considerato l’incessante progresso della scienza e della tecnologia, oltre alla crescente integrazione delle conoscenze scientifiche e tecniche nei processi produttivi. E’ in questo contesto che la relazione in discussione ritiene indispensabile “introdurre politiche che cerchino di migliorare la qualità dell’istruzione e della formazione”; noi naturalmente condividiamo questa preoccupazione.

Tuttavia, nel dar voce a questa preoccupazione, non viene neanche fatta la necessaria menzione dell’importanza della scuola pubblica nel perseguire questo obiettivo, né vi è alcun riferimento alle conseguenze della mancanza di investimenti nelle scuole pubbliche, o dell’esclusione di molti giovani dall’accesso all’istruzione e alla formazione; si sceglie invece di fare un riferimento sbagliato e ambiguo al rafforzamento della “cooperazione tra il pubblico e il privato”. Per quanto riguarda l’istruzione superiore, il processo di Bologna non offre alcuna soluzione per i miglioramenti necessari per l’istruzione: al contrario, in paesi come il Portogallo esso non ha fatto altro che peggiorare le cose, non ultimo il sistema statale.

Non possiamo che sottolineare e condannare l’accento posto sulla “flessibilità” che spinge i giovani verso lavori insicuri, incerti, non continuativi e mal retribuiti. Siamo anche in disaccordo con il concetto di volontariato come sostituto dei posti di lavoro, che aggrava lo sfruttamento dei giovani che cercano di entrare nel mondo del lavoro.

 
  
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  Emma McClarkin (ECR), per iscritto. – (EN) Io e i miei colleghi conservatori britannici concordiamo con gran parte di questa relazione. Restiamo favorevoli ai tentativi per sviluppare strategie di apprendimento permanente e per promuovere l’istruzione e la formazione professionale, e una migliore integrazione delle competenze chiave come la lingua straniera, la matematica e le scienze. E riteniamo che l’aspetto più importante sia garantire che il mercato del lavoro abbia sufficiente flessibilità da garantire ai giovani la possibilità di trovare un impiego.

Tuttavia, non possiamo approvare il riferimento contenuto nella relazione sull’opportunità di impartire a tutti i bambini migranti l’insegnamento nella loro lingua madre. E’ nostra convinzione che questo sarà estremamente impraticabile, costoso e inefficiente, soprattutto nelle scuole che hanno bambini provenienti da molti diversi contesti linguistici, e che ciò farebbe ben poco per promuovere l’integrazione dei migranti nelle comunità locali. Inoltre la politica dell’istruzione è e deve restare appannaggio dei singoli Stati nazionali. Per questo motivo, abbiamo votato contro la relazione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) A seguito della strategia Lisbona 2000, è stata attuata una serie di iniziative finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo strategico fissato dal Consiglio europeo “far diventare entro il 2010 l’economia europea basata sulla conoscenza la più competitiva e dinamica del mondo”. L’impegno per l’istruzione e la formazione è fondamentale e deve comportare il miglioramento della qualità e dell’efficacia dei sistemi educativi in Europa. Occorre impegnarsi per la formazione degli insegnanti e degli educatori, offrendo a tutti l’accesso ai sistemi di istruzione e formazione, rendendo il processo di insegnamento più attraente, aprendo al resto del mondo sistemi di istruzione e formazione, e promuovendo legami più forti con il mondo del lavoro. La standardizzazione degli obiettivi in un Quadro di competenze di base è stato un passo importante verso la realizzazione dei traguardi proposti per il 2010, che però non sono stati pienamente raggiunti. Dal punto di vista della verifica e della valutazione del lavoro compiuto fino ad ora, questo documento diventa ancora più importante se lo si considera come una preparazione delle strategie di recupero finalizzate al raggiungimento degli obiettivi inizialmente stabiliti per il settore dell’istruzione, tenendo conto della nuova proposta di inquadramento strategico della cooperazione europea in questo settore: Istruzione e formazione 2020.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) L’istruzione è importante, ma la realtà è che ormai da molto tempo un buon livello di istruzione e formazione non offre alcuna garanzia di occupazione, per non parlare di un buon impiego. Invece di investire soldi in adeguati programmi di qualificazione, si traghetta nell’UE del personale qualificato a buon prezzo con ogni tipo di soluzione cartacea, e le scadenze di transizione del mercato del lavoro sono considerate inutili. Date queste condizioni di base, il programma di formazione non è sufficiente, motivo per cui ho votato “no”.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, il riconoscimento che l’istruzione e la formazione sono essenziali per il successo della società della conoscenza e dell’economia di domani non è più un mito. Queste rappresentano le basi della nostra società e le fondamenta per il futuro nostre e delle prossime generazioni.

L’istruzione (prescolare, primaria, secondaria e superiore) e la formazione professionale di qualità sono indispensabili per rispondere alle sfide che deve affrontare l’Europa anche in virtù della strategia UE2020. Sono d’accordo con l’impianto della comunicazione che cita diverse strategie che potrebbero essere attuate, quali il sostegno dello sviluppo delle competenze degli insegnanti, l’aggiornamento dei metodi di valutazione e l’introduzione di nuove forme di organizzazione dell’apprendimento. Esprimo il mio appoggio e faccio i complimenti alla relatrice per la sensibilità dimostrata nel redigere il testo.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. – (EL) Ho votato a favore della relazione relativa alle competenze chiave per un mondo che cambia: attuazione del programma “Istruzione e formazione 2010”. Il testo presenta un approccio globale in materia di aggiornamento e di istruzione adeguati alle esigenze moderne. Individuare i motivi che hanno portato al fallimento degli obiettivi del processo di Bologna sulla convergenza dell’istruzione superiore tra gli Stati membri, l’importanza dell’adattamento dei sistemi di istruzione al fine di preparare le società europee in modo che possano uscire dalla crisi economica e riprendere una crescita sostenibile, e l’importanza della penetrazione delle nuove tecnologie a tutti i livelli di istruzione: sono questi i punti chiave per il sistema di istruzione del domani. Per questo motivo ho presentato emendamenti in tal senso, che sono stati adottati dalla commissione per la cultura e l’istruzione.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – (EN) Sono molto lieto che oggi abbiamo approvato la relazione presentata dalla collega catalana del gruppo S&D, onorevole Badia i Cutchet, sul tema molto importante del ruolo dell’istruzione e della formazione come competenze chiave per un mondo che cambia.

 
  
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  Marie-Thérèse Sanchez-Schmid (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore di questa relazione e vorrei ricordare l’importanza delle competenze di base che ogni cittadino europeo deve acquisire. Il numero di giovani che non sono in grado di leggere correttamente a 15 anni è in costante aumento (21,3 per cento nel 2000, e 24,1 per cento nel 2006). Con una strategia europea incentrata su posti di lavoro di qualità e su di un’economia intelligente, questa carenza di conoscenza spingerà una parte sempre crescente della popolazione verso l’emarginazione. Gli Stati membri devono integrare questa priorità dell’acquisizione delle competenze di base (lettura, scrittura, aritmetica) nei loro programmi educativi prima che i loro alunni si specializzino. Inoltre è di fondamentale importanza l’apprendimento delle lingue straniere. Io come insegnante di inglese ne sono particolarmente consapevole. Il fatto che alcuni paesi europei abbiano perso terreno nell’insegnamento delle lingue straniere chiude molte porte agli studenti, in un’epoca in cui l’occupazione acquista una dimensione sempre più internazionale. Infine l’adattamento dei modelli educativi alle nuove professioni dell’economia verde o dell’economia digitale rappresenta una grande sfida per l’istruzione in Europa. Per questo motivo, l’assistenza all’educazione permanente è la chiave per una carriera che sia flessibile e adeguata alle professioni del futuro.

 
  
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  Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) Ho approvato con piacere la relazione “Istruzione e formazione 2010”, nella speranza di una rapida attuazione delle idee del programma. In qualità di insegnante accademico e professore con molti anni di esperienza, rivolgo un’attenzione particolare alla necessità di creare maggiore mobilità tra le istituzioni della formazione superiore, il mondo degli affari e l’istruzione e formazione professionale.

L’educazione superiore moderna dovrebbe preparare accuratamente gli studenti all’accesso al mercato del lavoro. Oltre alle giuste competenze, sono sempre più significative caratteristiche come l’imprenditorialità, la comprensione interculturale e la creatività, che svolgono un ruolo determinante, pari a quello della formazione, nel raggiungimento del successo professionale.

Da questo punto di vista, quindi, l’istruzione è molto importante. E’ inoltre essenziale adottare misure efficaci per aumentare la rappresentanza delle donne nella scienza e nella ricerca scientifica. A questo proposito ho già chiesto alla Commissione europea un parere e di prendere in considerazione la possibilità di istituire speciali programmi per promuovere le pari opportunità per le donne nella scienza.

Tenendo conto delle allarmanti statistiche sulle qualifiche degli europei – tra l’altro il fatto che 77 milioni di persone, quasi un terzo della popolazione europea di età compresa tra i 25 e i 64 anni, non hanno un titolo di studio oppure hanno qualifiche molto basse – ritengo la relazione estremamente importante per promuovere la scienza e l’incremento delle qualifiche professionali. In relazione a questo, faccio appello agli Stati membri dell’Unione europea e alla Commissione perché diano una concreta realizzazione alle idee del programma.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) L’istruzione ha importanti funzioni sociali, crea opportunità e offre prospettive per un futuro migliore. Perciò dobbiamo fare ogni sforzo per contribuire all’istruzione dei giovani attraverso programmi dell’Unione europea e sovvenzioni combinate con misure nazionali. In un’epoca di globalizzazione, aumento della concorrenza e rapido cambiamento, è importante prendere parte all’educazione permanente.

Grazie agli scambi di studenti, come quelli offerti da Erasmus, i nostri giovani non sono solo approfondiscono le loro conoscenze in settori specifici ma ampliano anche i loro orizzonti. Sperimentare nuove culture e lingue e stringere contatti internazionali promuove la creazione di più solidi legami in Europa e contribuisce a creare l’identità europea. L’ambizione dell’Europa è di essere all’avanguardia in termini di ricerca e sviluppo, innovazione e nuove soluzioni tecnologiche che permettono una migliore gestione delle risorse energetiche.

Le nostre speranze sono riposte nei giovani: quindi dobbiamo considerare questo gruppo sociale come una priorità. I giovani che hanno completato la loro formazione universitaria hanno difficoltà a entrare nel mercato del lavoro perché i datori di lavoro molto spesso danno importanza all’esperienza professionale, di cui i giovani in questa fase della loro vita non dispongono. Per questo motivo dobbiamo promuovere il dialogo tra le università e le imprese, dobbiamo adeguare i corsi di studio alle esigenze del mercato del lavoro e dobbiamo puntare di più sui tirocini e sull’esperienza pratica, che renderanno più facile trovare lavoro.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) Onorevoli colleghi, in tutta Europa si tira la cinghia – con misure dolorose e gravi – e ciò comincia ad avere delle ripercussioni. Le vittime e i compromessi sono già diventati parte della vita quotidiana in molti settori dell’Unione europea, ma è importante (in particolare durante la recessione economica) non trascurare i nostri impegni nelle politiche per settori fondamentali come l’istruzione. Come la storia ha dimostrato, l’istruzione è una cosa per cui vale la pena lottare, tanto nelle istituzioni educative clandestine dell’Europa occupata dai nazisti quanto nelle “università volanti” dissidenti dell’epoca staliniana. La crisi economica globale significa che siamo costretti ad adattarci ancora una volta. L’istruzione e la formazione professionale devono essere adattate alle esigenze del mercato del lavoro. Il tasso di alfabetizzazione dell’Europa deve essere migliorato, dato che in questo settore l’Europa è molto indietro rispetto agli Stati Uniti e al Giappone. Dobbiamo colmare il divario. Non solo è importante aumentare il livello di alfabetizzazione, scrittura, calcolo e alfabetizzazione informatica dei giovani, ma anche quello degli adulti disoccupati appartenenti alla classe socio-economico inferiore. L’apprendimento permanente dalla culla alla tomba, così come la cosiddetta “seconda possibilità” dei programmi per adulti con capacità limitate, non solo sono importanti per stimolare l’economia e il mercato del lavoro, ma anche per l’inclusione sociale e la cittadinanza attiva. E’ nostro dovere elevare il livello della qualità della formazione in tutta Europa e rendere più attraente l’istruzione. Questa è una lotta a lungo termine, ma è qualcosa per cui vale la pena di lottare.

 
  
  

Relazione Lehne (A7-0135/2010)

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. – (RO) L’amministrazione e la gestione delle società commerciali è un’area che solleva nuove preoccupazioni, in particolare nell’attuale crisi, nonostante sia stata oggetto di costante regolamentazione. Infatti, rendere responsabili i dirigenti, e non mi riferisco qui solo agli amministratori, è una necessità assoluta in un contesto in cui vogliamo ridurre i rischi sistemici. Nel caso delle grandi imprese che operano in settori strategici, sia con un fatturato di grandi dimensioni o una quota di mercato significativa, i problemi finanziari che tali società possono avere vanno ovviamente oltre il semplice interesse degli azionisti e coinvolgono tutte le parti in causa, in altre parole i creditori, i lavoratori, i consumatori, l’intero settore industriale o lo Stato.

In tale situazione, l’emendamento proposto dal sottoscritto per responsabilizzare i membri del consiglio di amministrazione rendendo obbligatorio che una percentuale dei membri di questo organismo siano dei professionisti, favorisce la riduzione dei rischi sistemici. Infatti oggi non basta più essere un rappresentante degli azionisti dato che, come ho appena spiegato, i benefici prodotti dalla salute finanziaria e dalla stabilità di certe grandi imprese vanno ben oltre il solo rendimento degli investimenti sotto forma di proprietà del capitale sociale. Inoltre, al fine di incoraggiare il coinvolgimento degli azionisti nella vita di queste società, ruolo che è passivo in molti casi in cui la quota di capitale detenuta è troppo piccola, deve essere regolamentato il voto elettronico.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) La gestione delle imprese e la loro etica è una questione critica, specie in una situazione come quella attuale in cui molti azionisti subiscono perdite nei propri investimenti a causa di violazioni di alcuni di questi principi. I buoni manager che hanno atteggiamenti responsabili e il cui comportamento è guidato dall’etica sono fondamentali per un equilibrato processo decisionale che porta le imprese a diventare competitive. Se parliamo di regolamentare alcune pratiche etiche, non possiamo dimenticare il principio dell’autonomia privata e l’esigenza che ci sia un limite in base al quale certe pratiche devono essere regolamentate.

Ritengo inoltre indispensabile che gli azionisti partecipino in misura maggiore e che si assumano maggiore responsabilità nel garantire che i buoni amministratori siano premiati dal mercato e che quelli che non operano eticamente siano puniti, in modo che le loro pratiche non danneggino i diritti degli azionisti o abbiano un impatto negativo sull’intero mercato.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La recente crisi finanziaria ha reso più stringente la necessità di esaminare le questioni deontologiche relative a una gestione più responsabile delle società. I regimi di remunerazione e i meccanismi di gestione per quanto riguarda la remunerazione degli amministratori e dei dirigenti delle società quotate devono essere governati da principi etici e deontologici che non permettano il verificarsi di situazioni come quelle sperimentate nel recente passato, con l’assegnazione di premi di gestione in aziende che subito dopo presentano istanza di fallimento o risultano essere in gravi difficoltà. L’Unione europea deve avere un modello produttivo, sociale e ambientale con una prospettiva a lungo termine, che rispetti gli interessi di tutti: delle società, degli azionisti e dei lavoratori. Questo è il motivo che ha guidato la mia scelta di voto.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, esprimo il mio appoggio alla relazione del collega Lehne. La recente crisi finanziaria ha mostrato la necessità di analizzare questioni legate alle politiche retributive degli amministratori di azienda. Mi trovo d’accordo con l’approccio del relatore quando suggerisce un metodo basato su provvedimenti vincolanti con l’obiettivo di evitare che la parte variabile della remunerazione (bonus, stock, ecc...) provochi politiche d’investimento troppo rischiose e lontane dall’andamento dell’economia reale.

In tal senso, appare necessaria un’azione legislativa, che consenta di risolvere il problema delle disparità nelle norme nazionali in materia di retribuzione per le società, in particolare in casi di fusioni transfrontaliere. Soprattutto per quanto riguarda il settore finanziario è necessario porre al centro la questione deontologica e non soltanto da un punto di vista morale, ma anche e soprattutto sociale. In tal senso occorre porre in essere linee guida uniformi e globali.

 
  
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  Evelyn Regner (S&D), per iscritto. – (DE) Ho votato a favore della relazione di iniziativa sulle questioni deontologiche relative alla gestione delle aziende dato che, soprattutto, sostengo la richiesta del Parlamento europeo di incentivare una maggiore partecipazione delle donne alle funzioni dirigenziali e la richiesta alla Commissione europea di presentare una proposta per un sistema per la copertura dei ruoli negli organi decisionali delle aziende, dei ruoli in altri organi e dei posti di lavoro in generale. Allo stesso tempo, però, mi rammarico del fatto che nella risoluzione finale non sia stato incluso il mio emendamento, che l’avrebbe resa obbligatoria.

Mi sarebbe piaciuto vedere il Parlamento europeo avanzare richieste più ambiziose. In relazione alla politica delle retribuzioni, vorrei altresì segnalare le gravi differenze che prevalgono nella realtà e sottolineare che i principi sanciti dalle direttive europee sulla parità retribuzione e di trattamento tra uomini e donne devono essere rispettati e promossi. Sono favorevole che questi principi fondamentali siano resi obbligatori in tutti gli Stati membri, e ritengo che debba essere introdotto un sistema di sanzioni per il loro mancato rispetto.

 
  
  

Relazione Papanikolaou (A7-0113/2010)

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, ho appoggiato la relazione del collega perché sono consapevole che le conseguenze della crisi economica e finanziaria abbiano già raggiunto e colpito anche il tessuto sociale e in particolare i giovani europei, esponendoli a tassi di disoccupazione preoccupanti.

Ritengo, pertanto, che sia preciso dovere delle istituzioni europee predisporre una strategia ben definita che possa, da un lato, sfruttare i programmi di formazione e di mobilità già esistenti (come Comenius, Erasmus e Leonardo da Vinci) e, dall'altro, accrescere la corrispondenza tra l'offerta di formazione, le competenze e la domanda e le esigenze del mercato del lavoro, in modo da migliorare e assicurare quel passaggio necessario dalla fase della formazione professionale a quella occupazionale.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. – (LT) Sono d'accordo con questa risoluzione perché nel dare forma alle politiche di oggi ci assumiamo una forte responsabilità nei confronti dei giovani e delle generazioni future. L'Unione europea dispone di strumenti importanti in materia di politiche giovanili, ma questi strumenti devono essere sfruttati appieno, fatti conoscere e integrati. Sono preoccupato per il crescente numero di giovani disoccupati, sottoccupati o che non hanno sicurezza occupazionale, in particolare nell'attuale crisi economica attuale. E’ molto importante garantire una prospettiva per i giovani nel dopo Lisbona 2010 e nelle strategie Europa 2020. Sono anche a favore della proposta di inserire adeguate misure rivolte ai giovani nei piani di recupero dalla crisi economica e finanziaria, e di garantire una migliore integrazione dei giovani nel mercato del lavoro.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione, alla quale do il mio voto favorevole, contiene riflessioni e suggerimenti interessanti per lo sviluppo di politiche costruttive che mirino a responsabilizzare i giovani nella società odierna.

Oggi molte sono le sfide che questi devono affrontare per farsi strada nel mondo dell'occupazione e nell'inserimento sociale. Sono d'accordo con l'osservazione di fondo presente nella relazione: il Parlamento potrebbe essere un utile strumento di implementazione delle strategie europee sulla gioventù, viste la sua origine democratica e la sua conseguente capacità di raccogliere nel territorio e negli Stati membri le istanze dei giovani e portare all’attenzione dell'Europa sulle loro esigenze.

Ribadisco, come in altri interventi precedenti, l'importanza di raccordare il percorso formativo alle realtà produttive locali: solo così aiuteremo i giovani di oggi e di domani a entrare più facilmente e con maggiore soddisfazione nel mercato del lavoro, che oggi rimane il primo problema per milioni di giovani in Europa, soprattutto nel corso dell'attuale crisi economica, che ha portato il tasso di disoccupazione giovanile a più del 20%.

Sono pienamente d’accordo anche nel sottolineare la rilevanza sociale e umana, di cui la relazione fa giustamente menzione, della partecipazione dei giovani al volontariato, come fattore di crescita personale e collettiva.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. – (LT) Ho votato a favore di questa relazione, poiché la preparazione e l'attuazione della strategia dell'Unione europea per i giovani è molto importante, soprattutto in questo momento in cui la crisi economica e finanziaria ha avuto un impatto negativo sull'occupazione giovanile e minaccia ancora la loro futura prosperità. Dal momento che i giovani sono il futuro dell'Europa, è nostro dovere aiutarli applicando una ben meditata strategia per la gioventù. Pertanto, soprattutto gli Stati membri devono garantire il diritto di tutti i bambini e dei giovani di ricevere un'istruzione pubblica e devono garantire a tutti le stesse opportunità di istruzione, a prescindere dalla loro estrazione sociale e dalla loro situazione finanziaria. Vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che, come previsto nella nuova strategia Europa 2020, è necessario adottare nel più breve tempo possibile misure tese a ridurre il numero di studenti che abbandonano gli studi senza qualifiche. Solo creando condizioni di apprendimento più flessibili per tutti i giovani e salvaguardando il diritto di tutti di apprendere e di studiare, possiamo creare opportunità di accesso al mercato del lavoro per i giovani. Sottolineo inoltre che è necessario preparare specifiche linee guida per l'attuazione della politica di occupazione e per combattere la disoccupazione giovanile. E’ molto importante stimolare l'imprenditorialità giovanile e fornire ai giovani condizioni più flessibili per approfittare del microcredito e dei servizi di microfinanziamento.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. – (PT) La crisi finanziaria ha avuto un grave impatto sulla vita dei giovani. Accolgo quindi con favore la nuova strategia per i giovani che pone nell'agenda politica il benessere delle generazioni future. Poiché il triangolo della conoscenza è un elemento chiave per la crescita e la creazione di posti di lavoro, desidero sottolineare l'importanza della creazione di maggiori opportunità educative e lavorative per i giovani attraverso una crescente interazione tra l’istruzione, la ricerca e l’innovazione. I membri del Parlamento europeo svolgono un ruolo cruciale nella promozione negli Stati membri delle politiche europee in favore dei giovani. Richiamo la vostra attenzione sul problema della dispersione scolastica e la necessità di garantire che una più alta percentuale di giovani completi la scuola dell'obbligo.

Il Parlamento europeo svolge anche un ruolo essenziale nella formulazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle strategie per i giovani. E’ essenziale che i programmi e i fondi dell’Unione europea riflettano le ambizioni dell'Europa per i giovani, e che le politiche, i programmi e le azioni dell'Unione europea siano coordinati tenendo presente la strategia dell'Unione europea per i giovani.

 
  
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  Nessa Childers (S&D), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore perché, nonostante la strategia dell'Unione europea per i giovani sia per sua natura un documento ampio e onnicomprensivo, è fondamentale ribadire che qualsiasi nuova strategia deve porre l'istruzione al centro delle proprie ambizioni e politiche. In passato, una politica per l’istruzione di questo genere avrebbe giustamente messo l'accento sulla necessità che tutti gli studenti nell’Unione europea completino i livelli di istruzione primario e secondario. Per fortuna adesso siamo arrivati al punto in cui possiamo permetterci di rivolgere la nostra attenzione verso obiettivi più ambiziosi. Negli ultimi due decenni circa, sono state sperimentate molte iniziative mirate a conseguire che le persone provenienti da gruppi demografici tradizionalmente poco inclini agli studi universitari frequentassero gli istituti di istruzione di terzo livello. Alcune di queste iniziative sono state più efficaci di altri, ma in generale la stragrande maggioranza degli studenti di terzo livello continua a provenire dagli stessi gruppi sociali. Non possiamo più permettere che ciò continui. Se vogliamo davvero lottare contro la povertà, che nell’Unione europea continua ad esistere anche se spesso passa inosservata, dobbiamo riuscire a dotarci di un sistema efficace con il quale le aree sociali meno inclini inizino ad essere veramente rappresentate nell’istruzione di terzo livello.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. – (PT) Sono favorevole alla relazione dell'onorevole Papanikolaou su “Una strategia dell’Unione europea per investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità”. Sono d'accordo con il suo appello agli Stati membri perché attuino pienamente le disposizioni del trattato di Lisbona in materia di politiche per i giovani, quali incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita democratica, la particolare attenzione per i giovani e le giovani che si dedicano allo sport, e l'applicazione giuridica della Carta dei diritti fondamentali.

Vorrei sottolineare quale importante ruolo abbiano programmi come Comenius, Erasmus e Leonardo da Vinci nello sviluppo delle politiche europee dell’istruzione e della formazione. Invito la Commissione a dare priorità a strumenti che migliorino le qualifiche dei giovani e aumentino le opportunità di lavoro e, soprattutto, a sviluppare il programma “Erasmus per il primo impiego”. Sono d'accordo con la lotta contro l'uso di droghe, alcool e tabacco e le altre forme di dipendenza, compreso il gioco d'azzardo.

Vorrei sottolineare il ruolo dell’informazione dei giovani sui problemi dell'educazione sessuale al fine di proteggere la loro salute. Vorrei sottolineare l'importanza delle attività di volontariato e, come il Movimento giovanile portoghese socialdemocratico (JSD) ha sempre sostenuto, di affidare ai giovani di responsabilità cruciali nel concepire e attuare politiche per i giovani a livello europeo, nazionale e regionale.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. – (PT) Gli investimenti nelle politiche per i giovani sono essenziali per il futuro delle società europee, soprattutto in un momento in cui il numero di giovani nella popolazione continua a diminuire. Ho accolto con favore la “Strategia dell'Unione europea per i giovani”, in cui sono state raccolte per la prima volta informazioni sulla situazione dei giovani dell'Europa, così come le tre priorità per i giovani stabilite dalla Commissione.

Creare più opportunità per i giovani in materia di istruzione e di occupazione, migliorare l'accesso e la piena partecipazione di tutti i giovani nella società e favorire l'inclusione sociale e la solidarietà tra la società e i giovani, sono obiettivi fondamentali per un’efficace politica europea per la gioventù che sia in grado di contribuire allo sviluppo di una mentalità europea. Tuttavia, l'esistenza di diverse definizioni di “giovani” nei vari Stati membri e il fatto che la politica rivolta alla gioventù sia coperta dal principio di sussidiarietà, rivelano i problemi di un’efficace attuazione agli strumenti della politica per i giovani. Una forte volontà e un deciso impegno dei governi degli Stati membri sono i requisiti di una rinnovata cooperazione europea in materia di gioventù al fine di produrre risultati concreti, così come l’urgente rafforzamento del metodo aperto di coordinamento.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione “Una strategia dell’Unione europea per investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità”. La crisi finanziaria sta ipotecando, almeno a breve termine, il futuro professionale di milioni di giovani in tutta l'Unione europea, essenzialmente a causa della maggiore difficoltà ad accedere al mercato del lavoro. C’è urgente bisogno di garantire che le misure di formazione assicurino una migliore corrispondenza tra le competenze e le esigenze del mercato del lavoro, promuovendo in tal modo l’autonomia e l’indipendenza economica dei giovani, altrimenti corriamo il rischio di sprecare il talento dei giovani.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) In un momento in cui l'Europa è alle prese con la più grande e più grave crisi economica e finanziaria degli ultimi decenni, è essenziale che la strategia europea per i giovani che ora stiamo discutendo sia incentrata sui problemi che la crisi ha provocato e che riguardano soprattutto i giovani. Tra questi problemi, sottolineiamo l'elevato tasso di disoccupazione giovanile, la difficoltà di accesso al mercato del lavoro, i bassi salari, l'inadeguatezza della formazione scolastica e universitaria rispetto alle esigenze della vita lavorativa, e la difficoltà di conciliare l’inizio del lavoro, momento sempre delicato, con la vita familiare.

Si tratta di preoccupazioni che devono essere presenti in qualsiasi strategia europea per la gioventù. Dobbiamo cercare anche politiche e strategie che consentano agli europei di adeguarsi in maniera migliore e più rapida alle sfide del ventunesimo secolo, soprattutto in una situazione di crisi. Segnalo in particolare l'importanza di misure che tengano nel debito conto l'istruzione, che mirino all'acquisizione di nuove competenze e che stimolino la creatività e l'imprenditorialità. Infine ritengo che, al fine di raggiungere con successo gli obiettivi proposti sia necessario rafforzare il coordinamento tra i vari soggetti coinvolti nell’attuazione della strategia per la gioventù.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) L’impegno in favore dei giovani si ottiene attraverso un buon sistema educativo che dia assoluta priorità ai problemi della dispersione scolastica e dell'analfabetismo, e che promuova l’accesso paritario per tutti i giovani ad un'istruzione di alta qualità e alla formazione a tutti i livelli. Abbiamo anche sostenuto la promozione di opportunità per l'apprendimento permanente. Dato gli elevati tassi di disoccupazione ai quali sono esposti i giovani europei e visto che sono i giovani con qualifiche di basso livello ad avere più probabilità di essere disoccupati, è essenziale garantire che ricevano la migliore formazione possibile che garantisca un loro rapido accesso e una partecipazione a lungo termine al mercato del lavoro. Il primo impiego è estremamente importante. Per questo motivo abbiamo proposto il progetto “Erasmus per il primo impiego”, che è stato approvato: siamo in attesa che la Commissione dia seguito a questa proposta. L'Unione europea deve informare meglio, sviluppare e attuare gli strumenti che ha già a sua disposizione. I giovani devono essere chiamati a partecipare maggiormente, non ultimo nel costruire una società attenta al riciclaggio e all'obiettivo di combattere i mutamenti climatici, cui – è un dato di fatto –già contribuiscono generosamente.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Riteniamo che questa relazione assuma il corretto punto di vista nell'affrontare i problemi dei giovani come un qualcosa che attraversa i diversi settori della società. In questo modo essa identifica i problemi specifici nei diversi settori: istruzione e formazione, occupazione, salute, benessere e ambiente, cultura e altri. Questi problemi comprendono tra gli altri l’abbandono scolastico, i lavori insicuri e precari, gli apprendistati non retribuiti, la fuga dei cervelli, il degrado ambientale, la tossicodipendenza e l'esclusione sociale.

Sebbene per risolvere questi problemi il relatore presenti alcune proposte che mi sembrano giuste e che meritano il nostro sostegno, ve ne sono altre che sono chiaramente inadeguate, alcune addirittura ambigue e altre che si dimostrano contraddittorie. Non possiamo accettare, per esempio, che una strategia “Europa 2020” “maggiormente incentrata sui giovani” possa adottare il lavoro precario o intermittente come soluzione “strategica” per i giovani: entrambi questi concetti sono presenti nella strategia di cui sopra che sollecita anche la competitività come possibile via d'uscita dalla crisi.

Come in altri campi, l'armonizzazione si raggiunge attraverso il progresso sociale e non facendo sì che tutti finiscano per avere lo stesso basso tenore di vita. Alcuni paesi – tra cui il Portogallo – hanno incluso nelle proprie costituzioni una vasta gamma di diritti dei giovani, ma è importante che questi diritti siano attuati e che non vengano limitati.

 
  
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  Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. – Disoccupati, precari, stagisti. Che prospettive hanno di fronte i nostri giovani? Che aspettative di vita? Come possono sentirsi, costretti a rimanere in casa mantenuti dai genitori, senza poter neppure ipotizzare una famiglia? Lavorando a singhiozzo, spesso sottopagati, con mansioni ben inferiori al loro livello di scolarizzazione. Senza prospettive di pensione. Cosa riserverà loro il futuro?

Signor Presidente, onorevoli colleghi, i giovani stanno pagando il conto più pesante della crisi.

Sono disillusi e spaventati dalla possibilità di essere tagliati fuori dal mercato del lavoro. E’ inutile nascondersi dietro alle buone intenzioni, alle promesse. I giovani chiedono fatti. E noi abbiamo il dovere di dare risposte concrete.

Dobbiamo investire, dobbiamo dare certezze, offrire opportunità. Il mondo del lavoro sta cambiando, dobbiamo creare le condizioni perché i giovani siano i primi ad adattarsi al cambiamento, sfruttando le nuove tecnologie, intraprendendo percorsi scolastici adeguati alle nuove esigenze.

Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi, dobbiamo mettere i giovani al centro delle nostre politiche europee. Se i giovani non hanno futuro è l’intera società a non avere futuro.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE), per iscritto. – (EN) Ho votato a favore della relazione sulla nuova strategia per i giovani poiché ritengo che il futuro dell'Europa sia rappresentato dai giovani di oggi. Dobbiamo agire ora per garantire che i giovani siano meglio preparati per la loro vita futura e meglio attrezzati per affrontare le sfide.

Esorto gli Stati membri a prendere sul serio la nuova strategia per i giovani e ad attuare con decisione le misure proposte. La strategia per i giovani deve alimentare lo sviluppo personale e professionale di ogni giovane europeo, fornendogli i mezzi per imparare in patria e all'estero attraverso l'apprendimento formale, non formale e informale. La strategia dovrebbe anche servire a emancipare i giovani e ad aumentare la loro partecipazione nella società.

Inoltre, nessuna politica può davvero funzionare senza un’applicazione settoriale incrociata. Tutti i soggetti interessati in tutti i settori devono lavorare insieme per trasformare la strategia in un successo. Anche se le politiche per i giovani in Europa sono condotte a livello nazionale, dobbiamo imparare gli uni dagli altri e creare degli esempi. Rendere pubblici i rapporti dei singoli Stati membri è un passo fondamentale per essere più vicini ai nostri giovani cittadini, ma anche per imparare gli uni dagli altri attraverso le migliori pratiche e le possibili sfide.

 
  
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  Iosif Matula (PPE), per iscritto. – (RO) La crisi economica globale è solo uno dei fattori che contribuiscono ad un cambiamento nel comportamento e nelle condizioni di vita dei giovani in Europa. Questo deve far risuonare un campanello di allarme per gli Stati membri e per l'Unione europea tutta.

Da tempo siamo testimoni in Europa di un declino demografico, con le drammatiche conseguenze che ciò comporta per le nostre economie e i sistemi di protezione sociale. E’ preoccupante che i giovani si sposino sempre più tardi e abbiano sempre meno figli e in tarda età. Allo stesso tempo, non vengono fornite le condizioni adeguate per lo sviluppo delle loro competenze e per il loro coinvolgimento attivo nella società.

Istruzione, occupazione, inclusione sociale e salute sono le principali preoccupazioni delle giovani generazioni, ma questi problemi rappresentano una sfida per gli Stati membri. Questo è precisamente il motivo per cui ho votato in favore del progetto di relazione redatto dall’onorevole Papanikolaou. Sono fermamente convinto che gli emendamenti che abbiamo proposto apporteranno un significativo contributo alla definizione delle politiche destinate ai giovani, consentendo loro di prendere decisioni indipendenti e sostenendo le loro iniziative personali, la parità di accesso all'istruzione per i giovani svantaggiati e la loro successiva inclusione nel mercato del lavoro.

Credo che il partenariato con i mass media volto a migliorare la visibilità dei programmi e dei progetti europei per i giovani rappresenti un fattore chiave per aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. – (PT) La strategia dell'Unione europea per la gioventù è diventata sempre più importante e ora deve essere affrontata come una delle priorità politiche dell'Unione, dato che i giovani costituiscono il 20 per cento della popolazione totale. Gli obiettivi sono chiari e definiti e sono collegati con aree importanti come la creazione di maggiori opportunità di lavoro o il sostegno ai giovani perché svolgano un ruolo più attivo nella società. Nella situazione di crisi economica e finanziaria che stiamo attraversando, assieme al problema dell'invecchiamento della popolazione, i giovani sono uno dei gruppi più vulnerabili. Sono pertanto favorevole a un sempre crescente impegno per le politiche a livello europeo per i giovani. Questa è la ragione alla base della mia scelta di voto.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. – (DE) Specialmente i giovani sono colpiti dalla crisi attuale. Di fronte all’aumento della disoccupazione giovanile è importante migliorare le opportunità d’istruzione. Mentre a livello europeo si sta ancora parlando di promozione, gli Stati membri stanno già apportando tagli al finanziamento delle università.

Se davvero vogliamo aiutare i giovani, abbiamo bisogno di frenare il fenomeno dell’“eterno tirocinio”. Nella migliore delle ipotesi, queste misure sono una dichiarazione d'intenti, ma date le condizioni in questi tempi di crisi, sono appena sufficienti per raggiungere effettivamente qualche risultato. Perciò mi sono astenuto dal voto.

 
  
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  Radvilė Morkūnaitė-Mikulėnienė (PPE), per iscritto. – (LT) Ho votato in favore di questo documento poiché io stessa faccio parte di quella generazione più giovane che plasma il futuro dell'Unione europea e sono preoccupata per il tipo di futuro che attende me e le persone della mia generazione. Attualmente la disoccupazione è uno dei principali problemi dei giovani nel mio paese, la Lituania, e in altri Stati membri dell'Unione europea, e già si comincia a parlare dei giovani di oggi come la “generazione perduta” di questa epoca. Un altro problema è l'incompatibilità del sistema di istruzione con le esigenze del mercato del lavoro. Anche se siamo d'accordo con la comunicazione della Commissione su una strategia dell'Unione europea per i giovani, io sono preoccupata del fatto che essa – al pari di molte altre strategie che abbiamo adottato – non finisca per essere nient’altro che un insieme di belle dichiarazioni sulla carta. Noi, il Parlamento europeo, le altre istituzioni dell'Unione europea e gli Stati membri, dobbiamo comprendere che se non ci prendiamo a cuore i giovani di oggi, può accadere che nessuna delle nostre altre strategie – tra cui l’Europa 2020 – sia attuata perché non rimarrà più nessuno per darvi attuazione. Pertanto invito la Commissione, le altre istituzioni competenti e gli Stati membri ad adottare al più presto misure specifiche in modo che questa strategia divenga una realtà.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto. – (PL) Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo n. A7-0113/2010 concernente la relazione “Una strategia dell’Unione europea per investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità” (2009/2159 (INI)), in quanto la definizione di una strategia per i giovani è oggi estremamente importante. I settori giovanili della società europea si trovano davanti molte sfide che dovranno essere affrontate nel prossimo futuro. La crisi economica e l'invecchiamento demografico sono sicuramente questioni importanti e urgenti che riguardano principalmente coloro che costruiranno il futuro. Quello che dovremmo fare – e ciò che in realtà dobbiamo fare – è creare pari opportunità e parità di accesso per tutti coloro che tra pochi anni inizieranno la loro vita adulta, e anche per coloro che si trovano oggi all'inizio dell’età adulta. Purtroppo ci sono molti giovani e persone di talento che per una serie di ragioni sono stati lasciati indietro. Dobbiamo dare loro una seconda possibilità. Per una fluida transizione verso il mercato del lavoro sono essenziali misure come il sostegno finanziario per le persone che hanno finito l’università. Purtroppo il tasso di disoccupazione tra i giovani è elevato, e persistono le disuguaglianze nel mercato del lavoro. Vi sono sicuramente più problemi oltre a quelli che ho citato. Pertanto, sono pienamente d'accordo con il relatore che la “presente relazione costituisce un ulteriore passo in avanti nel quadro di uno sforzo costante. Uno sforzo che rappresenta un dovere. Un dovere imprescindibile verso le generazioni future.” Questo è ciò che oggi ci si aspetta da noi ed è ciò che dobbiamo fare.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Concordo con l'impianto espresso dal collega Papanikolaou. L'elaborazione di una nuova strategia dell'UE per la gioventù è di fondamentale importanza. La nuova strategia per la gioventù dovrebbe quindi avere come obiettivo principale un utilizzo più efficace degli strumenti esistenti e la promozione della loro conoscenza. È possibile realizzare dei progressi esortando i governi a una maggiore cooperazione in materia, indipendentemente dalle differenze esistenti nelle politiche nazionali per i giovani.

Si tratta di un fattore essenziale per offrire un avvenire promettente alle future generazioni di cittadini europei. La crisi economica colpisce profondamente i giovani e rappresenta una minaccia per la loro prosperità futura. Inoltre, l'invecchiamento della popolazione inciderà fortemente sul loro avvenire. In considerazione delle molteplici pressioni cui sono sottoposti i giovani, del conseguente dovere di sostenerli mediante un'efficace strategia per la gioventù, e del fatto che la politica a favore della gioventù è soggetta al principio di sussidiarietà e che gli Stati membri cooperano in tale ambito su base volontaria, è di fondamentale importanza che la nuova strategia superi i punti deboli di quella precedente e fornisca risultati concreti.

 
  
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  Ioan Mircea Paşcu (S&D), per iscritto. – (EN) L’istruzione dei giovani è un compito essenziale, perché se si commettono degli errori e non li si corregge in tempo, essi tendono ad avere conseguenze generazionali e rischiano di venir ripetuti aggiungendo così ulteriore degrado. Il problema delle nostre “strategie” è che una volta elaborate ci facciamo ossessionare dalla loro attuazione, trascurando così la necessità di riesaminarle e adeguarle regolarmente.

La strategia attuale in materia di gioventù – elaborata in sostanza prima della crisi attuale – si trova già di fronte a numerose sfide: come proteggere i giovani dall’impatto psicologico negativo della crisi attuale; come fare per prepararli ad affrontare il mondo di domani, non quello di oggi; le modalità per assicurare pari opportunità di istruzione indipendentemente dal reddito; come separare la “mobilità” dalla “fuga dei cervelli”; e come equilibrare i “rapporti virtuali” nella rete e i rapporti nel mondo reale e lo spirito di squadra attraverso l'azione collettiva.

Queste sono sfide “strategiche” che necessitano di attenzioni “strategiche” da parte dei responsabili delle decisioni strategiche in tutti i paesi dell'Unione europea.

 
  
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  Marie-Thérèse Sanchez-Schmid (PPE), per iscritto. – (FR) Ho votato in favore della relazione perché il suo fine è promuovere la cittadinanza attiva, l'inclusione sociale e la solidarietà di tutti i giovani. Per quanto riguarda le politiche per i giovani, dove la sussidiarietà è la regola, dobbiamo incoraggiare gli Stati membri a definire obiettivi e programmi comuni e a migliorare la loro cooperazione e il loro scambio di buone pratiche. E’ una questione di urgenza, perché sappiamo che in Europa un adolescente su quattro, a 15 anni di età, non sa leggere correttamente. Mentre stiamo discutendo il bilancio 2011, sono preoccupata per il divario tra le ambizioni della relazione che abbiamo appena votato e la riduzione del 3,4 per cento al bilancio “Gioventù in azione”. Perché tagliare un programma che mira appunto a sviluppare un senso di cittadinanza, solidarietà e tolleranza tra i giovani europei? Mi auguro quindi che la strategia 2020, che si basa su un’accorta economia sostenibile e solidale, si traduca in ambiziosi impegni finanziari per l'istruzione e la formazione dei giovani, perché in questi tempi di crisi sistemica, la sopravvivenza a medio termine dell'Unione europea dipende da giovani che siano istruiti e coinvolti nel progetto europeo.

 
  
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  Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto. – (PL) Ho sostenuto la strategia dell'Unione europea in favore dei giovani con assoluta convinzione e con la certezza del suo successo. E’ uno dei settori chiave del lavoro della commissione per la cultura e l'istruzione, di cui faccio parte. E’ imperativo migliorare la situazione dei giovani e le loro possibilità di istruzione e formazione professionale. In questo senso sono fondamentali tre aspetti.

1. I giovani nell’Unione europea, e anche in Polonia, stanno facendo buon uso dei programmi europei quali Comenius, Erasmus e Leonardo da Vinci. Pertanto, è molto importante aumentare i finanziamenti per questi programmi e considerarli come base per lo sviluppo di una strategia comunitaria pluriennale per i giovani. In futuro questi programmi dovrebbero ricevere maggiore sostegno finanziario. L’investimento nella formazione dei giovani è il miglior uso possibile del bilancio dell'Unione europea. Faccio appello anche al miglioramento e alla piena attuazione del programma Erasmus Mundus.

2. In quanto socialista, ho sottolineato anche la necessità di creare pari opportunità per i giovani nel loro accesso all'istruzione. E’ essenziale dare sostegno finanziario a coloro che non possono permettersi di completare l'istruzione di terzo livello. E’ importante altresì aiutare i giovani rendendo più agevole il loro accesso al mercato del lavoro.

3. In vista dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona, vorrei richiamare l'attenzione sugli obblighi degli Stati membri per l'attuazione della strategia, che include stimoli ai giovani perché partecipino alla vita democratica, con particolare attenzione ai giovani sportivi, e l'applicazione giuridica della Carta dei diritti fondamentali.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE), per iscritto. – (PL) La relazione approvata dal Parlamento europeo è un'analisi approfondita della questione pluridimensionale dei giovani, questione che talvolta sembra essere poco discussa o messa in secondo piano. I giovani di oggi daranno forma all'Europa del futuro, quindi dobbiamo fare in modo che si sviluppino correttamente: dobbiamo aiutarli a fare il miglior uso delle opportunità offerte dell'Unione. I giovani sono un particolare tipo di valore aggiunto: apportano freschezza e innovazione, e possono trasformare in realtà la visione sociale dell'Europa basata sulla tolleranza, la diversità e l’uguaglianza. La questione dei giovani assume un significato ancora maggiore nel contesto della situazione attuale ovvero della crisi economica e delle tendenze demografiche in Europa.

I giovani sono più vulnerabili agli effetti negativi causati dalla situazione economica attuale. La disoccupazione in questa fascia sociale è quasi il doppio rispetto alla quota complessiva, e la situazione finanziaria in cui si trovano i giovani spesso li costringe ad abbandonare gli studi, il che di conseguenza può portare alla povertà e all'esclusione.

Nel contesto di una popolazione che invecchia, occorre reperire strumenti che incoraggino i giovani a mettere su famiglia. Spesso rimandano questa decisione a causa della loro sfavorevole situazione finanziaria, dei problemi nel trovare un lavoro o della necessità di conciliare lavoro e vita familiare. Dobbiamo essere più chiari e specifici per quanto riguarda le questioni di organizzazione e le strutture di cooperazione nel settore giovanile. La questione dei giovani è complessa e richiede il coinvolgimento di numerose aree di intervento.

 
  
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  Joanna Katarzyna Skrzydlewska (PPE), per iscritto. – (PL) La risoluzione adottata oggi sulla comunicazione della Commissione sulla “Strategia comunitaria per la gioventù” punta nella giusta direzione, basata su un approccio integrato ai problemi e alle esigenze dei giovani. Ci aspettiamo che si tenga conto degli interessi dei giovani e delle generazioni future al momento di formulare a tutti i livelli politici strategie che consentano la soluzione efficiente ed efficace dei problemi più urgenti. Ad esempio, il persistente elevato livello di disoccupazione in questa fascia sociale mostra una mancanza di soluzioni strutturali o ad esempio gli errori nei sistemi dell’istruzione che formano i giovani in maniera scollegata rispetto alle esigenze del mercato del lavoro.

Dobbiamo incoraggiare i giovani a prendere parte attiva nella società civile, a essere politicamente attivi e stimolarli all’imprenditorialità. Dobbiamo creare le condizioni perché possano essere creativi nel campo della cultura e per risvegliare in loro l’interesse per l’arte, la scienza e le nuove tecnologie. D'altra parte, dobbiamo garantire la protezione dei giovani dalla discriminazione e attivare campagne che promuovano idee in favore dell’ambiente, senza dimenticare la lotta contro l'abuso di droga e altre dipendenze cui i giovani sono particolarmente vulnerabili. Per questo motivo, oggi ho approvato con piacere la risoluzione preparata dall’onorevole Papanikolaou.

 
  
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  Silvia-Adriana Ţicău (S&D), per iscritto. – (RO) I 96 milioni di giovani europei di età compresa fra 15 e 29 anni rappresentano circa il 20 per cento della popolazione dell'Unione europea. All'inizio dell'anno il tasso di disoccupazione tra i giovani ha toccato il livello del 20 per cento a causa della crisi economica, mentre il tasso di abbandono scolastico ha raggiunto il 17 per cento, con i giovani delle aree rurali che ne sono principalmente colpiti. Inoltre, ai giovani vengono offerti sempre più contratti di impiego temporaneo, riducendo le loro possibilità di raggiungere la stabilità finanziaria e di acquistare una casa in cui vivere. I giovani sono il nostro futuro e dobbiamo coinvolgerli maggiormente nel processo decisionale a livello europeo. Sono quelli che dovrebbero pianificare e attuare con noi, contribuendo allo sviluppo della società in cui viviamo. Chiedo alla Commissione e agli Stati membri di adottare quanto prima una specifica strategia e misure per aiutare i giovani ad essere maggiormente coinvolti nella società. Queste misure dovrebbero avere i seguenti obiettivi: fornire un accesso non discriminatorio all'istruzione permettendo loro di acquisire le competenze necessarie per trovare un lavoro che dia loro una vita decente; offrire servizi di assistenza all'infanzia accessibili per facilitare l'equilibrio vita-lavoro; fornire supporto per facilitare l'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e fornire alloggi sociali per i giovani.

 
  
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  Viktor Uspaskich (ALDE), per iscritto. – (LT) La crisi economica globale ha dolorosamente colpito tutti noi. La cosa più triste è il fatto che il colpo più duro è stato dato a coloro da cui dipende il nostro futuro. Lo tsunami finanziario di questi ultimi anni ha trasformato la maggior parte dei giovani in disoccupati o in sottoccupati. Secondo questa relazione, il tasso di disoccupazione tra i giovani nella maggior parte degli Stati membri è quasi raddoppiato rispetto alla popolazione attiva. Ora abbiamo la possibilità di trasformare la crisi in un'opportunità. Lo dobbiamo alle future generazioni europee.

Per il mio paese, la Lituania, insieme con la maggior parte dei suoi vicini, è importante fermare la sempre crescente fuga dei cervelli di lavoratori qualificati. Come indica il nome della relazione, possiamo riuscirci investendo e fornendo opportunità. L’istruzione e il lavoro sono le principali aree da un punto di vista di investimento. Dobbiamo facilitare una transizione meno problematica tra l’istruzione e il mercato del lavoro. Tuttavia l'impatto di questo investimento essenziale sarà limitato se non forniremo delle opportunità ai nostri giovani. Dobbiamo incoraggiare i nostri giovani a diventare cittadini più attivi, sia socialmente sia politicamente. In Europa orientale l'affluenza alle urne tra i giovani è molto bassa. Pertanto è necessario rianimare il loro interesse nel processo politico.

La società civile e le corrispondenti organizzazioni non governative sono in grado di sostenere gli interessi dell'Unione europea: per esempio, il progetto “Il mio voto”, che ha utilizzato le tecnologie innovative di Internet e ha contribuito alla coscienza politica dei giovani. Inoltre, dobbiamo avviare un dialogo costruttivo con i giovani e le organizzazioni giovanili in Europa, libero dai viluppi della burocrazia e dal gergo tecnico.

 
  
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  Derek Vaughan (S&D), per iscritto. – (EN) Ho sostenuto la relazione su una strategia europea per la gioventù poiché ritengo che nei prossimi anni si rivelerà fondamentale per stimolare l’impiego lavorativo a tempo pieno dei giovani. Con 5,5 milioni di europei di età inferiore ai 25 anni senza un lavoro, è chiaro che si rende necessaria una strategia efficace per combattere il problema.

Il problema della disoccupazione giovanile non è dovuto solo alla crisi economica: i datori di lavoro cercano persone con esperienza professionale. Sono pienamente d'accordo con la proposta che l'istruzione superiore debba essere collegata in modo più efficace con il mercato del lavoro. La cooperazione tra Stati membri è la chiave per affrontare i problemi della disoccupazione giovanile, che può avere costi molto pesanti sia sociali sia economici.

 
  
  

Raccomandazione per la seconda lettura Lulling (A7-0146/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) E’ importante proteggere le donne che esercitano un’attività autonoma e la relazione dell’onorevole Lulling sulla parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma rappresenta un passo in questa direzione. Il documento infatti prevede un congedo parentale di 14 settimane e la copertura previdenziale per il coniuge coadiuvante, misura che prima non era contemplata. Il Parlamento europeo ancora una volta garantisce protezione alle donne in ambito lavorativo. Condividendo siffatta visione, ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Regina Bastos (PPE), per iscritto. (PT) Alla luce della necessità di abrogare la direttiva 86/613/CEE sull’applicazione del principio di pari trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma, l’emendamento proposto rappresenta un passo avanti significativo, anche per i coniugi dei lavoratori autonomi.

Per quanto concerne la sicurezza sociale, si propone che, laddove vige un siffatto sistema per i lavoratori autonomi, gli Stati membri debbano prendere i provvedimenti necessari affinché il coniuge possa accedere alla previdenza ai sensi del diritto nazionale. Benché tale protezione sociale non sia obbligatoria, la proposta rappresenta un passo importante, poiché in molti Stati membri, i coniugi non godono di alcuna forma di tutela sociale obbligatoria e nemmeno volontaria.

Infine la proposta contiene una disposizione sulla protezione della maternità, benché al coniuge coadiuvante del lavoratore che esercita attività autonoma non sia riconosciuto lo stesso periodo di congedo per maternità dei lavoratori dipendenti. Tuttavia, tale categoria avrà il diritto di percepire un’indennità tale da consentirgli di lasciare l’attività per almeno 14 settimane e/o chiedere un servizio di sostituzione temporaneo. Per i suddetti motivi ho votato a favore della proposta.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) Per superare la recessione economica è molto importante investire nel capitale umano e nell’infrastruttura sociale, creando le condizioni affinché uomini e donne colgano tutte le opportunità che gli si presentano. L’Unione europea si è avvicinata all’obiettivo della strategia di Lisbona di conseguire un tasso di occupazione femminile del 60 per cento entro il 2010, ma il dato è molto disomogeneo tra i vari Stati membri. Pertanto la Commissione e gli Stati membri devono prendere provvedimenti effettivi per attuare quanto prima possibile la direttiva sull’applicazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma. Il tema della tutela della maternità per le donne che esercitano un’attività autonoma, per i coniugi coadiuvanti o per i partner riconosciuti è molto importante. Si deve riconoscere un’indennità a tale categoria in modo da consentire a queste donne di sospendere l’attività lavorativa per portare a termine la gravidanza in sicurezza e avere la possibilità di riprendersi dopo un periodo di riposo appropriato. L’indennità corrisposta alle donne deve anche essere adeguata. Pertanto convengo particolarmente con la relatrice in relazione alle proposte sulla direttiva in seconda lettura. Inoltre nelle consultazioni della Commissione sulla nuova strategia 2020 è stata assegnata un’attenzione insufficiente alla questione della parità di genere. Dobbiamo pertanto rafforzare e integrare le questioni che afferiscono alla dimensione della parità di genere nella nuova strategia.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Accolgo con favore l’adozione di questa direttiva che istituisce un quadro per l’applicazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma o che contribuiscono a questo genere di attività negli Stati membri. La ridotta partecipazione delle donne al lavoro autonomo provoca un’ineguaglianza, in quanto le responsabilità familiari si ripercuotono in maniera negativa sull’imprenditoria femminile contrariamente a quanto accade per gli uomini. Per quanto concerne i coniugi coadiuvanti, la mancanza di copertura previdenziale e il mancato riconoscimento del contributo che esse apportano all’attività familiare conferisce un vantaggio competitivo indebito ad alcune imprese, pertanto questa iniziativa garantirebbe pari condizioni in Europa. E’ essenziale adottare misure atte a risolvere le disparità di genere nel settore dell’imprenditoria al fine di favorire una migliore riconciliazione tra vita privata e vita professionale. Chiedo quindi agli Stati membri di garantire un’uguaglianza piena a livello pratico tra donne e uomini in ambito professionale in modo da promuovere le iniziative imprenditoriali femminili.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) La direttiva del dicembre 1986 si è rivelata inefficace, poiché, stando alle relazioni sull’attuazione, i risultati sono stati insoddisfacenti. Per tale ragione è urgente procedere al rafforzamento della protezione della maternità per le donne che esercitano un’attività autonoma e garantire parità di trattamento alle donne che esercitano un’attività autonoma, comprese le coniugi coadiuvanti.

In Europa il 16 per cento della popolazione attiva esercita un’attività autonoma e un terzo sono donne. Questa percentuale è senz’altro il frutto degli innumerevoli ostacoli che le imprenditrici si trovano a dover affrontare, anche per conciliare la vita familiare con la vita professionale. Ad ogni modo, la direttiva del 1986 non ha centrato il suo obiettivo e anche la proposta attuale manca di ambizione.

E’ deprecabile che il potenziale di questo testo sia stato ridimensionato per raggiungere un compromesso politico in seno al Consiglio. Tuttavia, la normativa può essere considerata un primo passo per migliorare la protezione sociale attualmente offerta alle donne che esercitano un’attività autonoma e ai coniugi coadiuvanti. Sono state infatti stabilite delle norme minime ai sensi delle quali viene riconosciuto per la prima volta il diritto all’indennità di maternità a livello comunitario, consentendo l’interruzione del lavoro per almeno 14 settimane.

 
  
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  Anna Maria Corazza Bildt, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark, Anna Ibrisagic e Alf Svensson (PPE), per iscritto. (SV) Ieri, 18 maggio 2010, la delegazione svedese in seno al gruppo PPE ha votato contro la posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma e che abroga la direttiva 86/613/CEE (A7-0146/2010). E’ cruciale che gli Stati membri lavorino insieme per garantire parità di trattamento a uomini e donne in modo che un maggior numero di donne possano dedicarsi all’attività autonoma. D’altro canto, non crediamo che sia compito dell’Unione europea assumere decisioni in tema di politica di parità, visto l’impatto articolato che essa produce sulle finanze pubbliche degli Stati membri. Sono gli Stati membri che devono decidere per se stessi. Inoltre non crediamo che sia garantita una parità di trattamento tra donne e uomini se solo le donne che esercitano un’attività autonoma, e non gli uomini, hanno diritto a un’indennità e al congedo parentale quando hanno un figlio. Infine ci preme evidenziare che la parità di genere costituisce una delle principali sfide per l’Unione europea e la Svezia in questo senso può fungere da modello per gli altri Stati membri dell’Unione. Nell’attuale crisi economica, inoltre, è assolutamente fondamentale che i lavoratori autonomi siano sostenuti e incoraggiati.

 
  
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  Corina Creţu (S&D), per iscritto. (RO) Sono passati oltre due anni da quando abbiamo dibattuto la relazione sulla situazione delle donne nelle zone rurali e in tale occasione avevamo chiesto con urgenza che venissero apportati i necessari aggiornamenti alla legislazione in tema di protezione sociale. Il Consiglio ora ci sottopone un nuovo tipo di direttiva il cui ambito di applicazione, tuttavia, si limita unicamente all’agricoltura. Non credo che vi siano dei motivi fondati atti a giustificare tale restrizione. La situazione delle donne nelle zone rurali è estremamente difficile, specialmente nei nuovi Stati membri e dobbiamo costantemente e attivamente occuparcene. Ad ogni modo, quando si parla di attività autonome, non dobbiamo dimenticare le persone che esercitano attività artigianali o commerciali o che hanno piccole o medie imprese o che esercitano una libera professione.

Inoltre ritengo inopportuni i provvedimenti proposti dal Consiglio, che consentono agli Stati membri di limitare l’accesso ai regimi di protezione sociale. Ai sensi dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà, la direttiva, nella forma emendata proposta dal Parlamento, delinea il quadro necessario volto a ridurre le disparità tra donne e uomini che esercitano un’attività autonoma. In proposito credo che, d’altro canto, la protezione della maternità sia fondamentale e che si debba garantire un periodo minimo di 14 settimane oltre all’indennità. Altrettanto fondamentale è il diritto dei coniugi coadiuvanti o dei partner riconosciuti a istituire legittimamente un’azienda.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) In quanto strenuo difensore dei diritti umani e del principio di uguaglianza, non intendo mettere a repentaglio iniziative volte a proteggere i diritti delle donne nel mercato del lavoro, come la relazione dell’onorevole Lulling. Come ho già detto, gli uomini e le donne devono avere un trattamento paritario, devono avere gli stessi diritti tenendo conto delle rispettive necessità. Nel caso delle donne bisogna tenere in considerazione, in particolare, il sostegno alla maternità, la necessità di conciliare il lavoro con la vita familiare….

Per tale ragione apprezzo che sia stato tenuto conto, tra l’altro, della protezione della maternità per le donne che esercitano un’attività autonoma. Tuttavia, sostengo strenuamente anche il principio della sussidiarietà e credo che molte delle tematiche discusse debbano rimanere nella sfera di competenza degli Stati membri.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Apprezzo gli sforzi che il Parlamento sta compiendo per rafforzare i meccanismi che attengono alla giustizia sociale e alla parità di genere nell’Unione europea. Oltre ad essere un principio incontestabile di civiltà, tanto più in Europa che vanta uno sviluppo culturale e sociale, garantire la parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma – soprattutto in relazione all’accesso ai meccanismi di protezione sociale, in particolare a quelli che attengono alla maternità – sta diventando sempre più urgente e ovvio in questo lungo periodo di profonda crisi economica e sociale. In particolare, vogliamo che siano eliminate le differenze di trattamento tra aree di attività dinanzi agli sviluppi che ben conosciamo a livello sia di organizzazione sia di strumenti e meccanismi di lavoro e di produzione. I lavoratori devono essere soggetti agli stessi criteri di accesso ai regimi pubblici di previdenza sociale, soprattutto in relazione ai contributi e ai privilegi. Sottolineo inoltre che questa raccomandazione rafforzerà sicuramente gli incentivi all’imprenditoria femminile. L’economia europea ha ancora molto da guadagnare e sono molti gli sviluppi che la attendono grazie ad una partecipazione rafforzata e più inclusiva delle donne.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Essendo particolarmente sensibile alle tematiche della parità di genere e della parità in generale, compresa la parità dei diritti sociali, accolgo con favore l’adozione di questa relazione. Infatti, reputo fondamentale che gli Stati membri garantiscano una protezione sociale alle donne che esercitano un’attività autonoma e ai coniugi coadiuvanti equiparabile a quella delle lavoratrici dipendenti. Questa misura incentiverà l’imprenditoria femminile in Europa, settore che è ancora eccessivamente esitante. Soprattutto, queste donne potranno beneficiare del congedo di maternità allo stesso modo di altre donne impegnate in altre occupazioni. Il congedo di maternità deve essere garantito in tutti gli Stati membri e per tutte le donne a prescindere dal lavoro che fanno. Visto che il provvedimento è soggetto al principio di sussidiarietà, speriamo che gli Stati membri si adopereranno affinché questi uomini e donne possano conciliare la famiglia con la vita professionale quanto prima e quanto più agevolmente possibile.

 
  
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  Lívia Járóka (PPE), per iscritto. (HU) Porgo le mie congratulazioni alla collega, onorevole Lulling, per l’adozione della sua relazione che rappresenta un importante passo in avanti verso la soluzione di un problema antico. La situazione dei coniugi e dei partner dei lavoratori autonomi – che contribuiscono all’attività e ai guadagni senza essere considerati dipendenti o soci – non ha potuto essere affrontata in maniera soddisfacente nella direttiva del Consiglio del 1986. Pertanto era giunto il momento di abrogare questa normativa e promulgarne una nuova atta a riconoscere il lavoro dei coniugi coadiuvanti, ponendoli su un piano di parità in termini di sicurezza sociale rispetto ai lavoratori autonomi.

Inoltre un’importante conquista della relatrice e del Parlamento europeo è che, rispetto alla raccomandazione originale del Consiglio, il campo di applicazione non si limita più solamente alle attività autonome a scopo di lucro nel settore agricolo, visto che questo gruppo bersaglio lavora anche nelle piccole e medie imprese, ad esempio, o nel commercio al dettaglio, in cui rappresenta la maggioranza. Benché il Consiglio non abbia accettato diverse importanti raccomandazioni avanzate dalla relatrice e dal Parlamento – lasciando facoltà agli Stati membri in tema di parità di protezione sociale per i coniugi e i partner riconosciuti e consentendo agli Stati membri di mantenere disposizioni restrittive in relazione a certi regimi o livelli di sicurezza sociale – la proposta di direttiva nel complesso rappresenta comunque un passo significativo.

 
  
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  Barbara Matera (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, plaudo all’approvazione della proposta di direttiva sull’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma. Finalmente il Parlamento europeo si esprime sull’applicazione di questo principio simbolo di progresso sociale ed economico!

Sempre nel rispetto delle prerogative statali, ritengo doveroso non solo cristallizzare uno standard minimo di tutela della donna-madre lavoratrice autonoma, nonché coniuge coadiuvante e conviventi riconosciute, ma anche equipararne la tutela rispetto alla donna-madre lavoratrice dipendente.

L’auspicio è che all’enunciazione dei diritti segua di fatto il rispetto degli stessi e, che quindi gli Stati si impegnino ad introdurre misure adeguate soprattutto a tutela della maternità delle donne che esercitano un’attività autonoma e delle coniugi coadiuvanti. Occorre combattere qualsiasi forma di discriminazione sul lavoro così da sostenere l’emancipazione del genere femminile parallelamente a quella del genere maschili.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La proposta della Commissione mira a garantire parità di trattamento agli uomini e alle donne che esercitano un’attività autonoma. Di conseguenza, l’adozione di questo testo è un passo molto importante e molto positivo verso la legislazione vigente per i lavoratori dipendenti, visto che in tale ambito i diritti fondamentali di parità e di protezione sociale godono già di una tutela, mentre gli emendamenti proposti al testo originale puntano a conseguire un miglioramento generale in relazione ala protezione dei coniugi dei lavoratori autonomi, segnatamente in relazione all’indennità di maternità assegnata alle donne che esercitano un’attività autonoma e ai coniugi o ai partner riconosciuti dei lavoratori autonomi. Sono queste le ragioni che hanno motivato il mio voto.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa relazione, non solo perché è importante e perché credo che riguarderà milioni di cittadini europei. Conosco molti artisti, avvocati e altri lavoratori autonomi e so che molto spesso sono coadiuvati da familiari, solitamente dalla moglie o dai figli. Il fatto che queste persone ora avranno diritto alla protezione sociale sicuramente contribuirà a migliorare la loro situazione materiale e morale e la motivazione lavorativa. Questo aspetto riveste un’importanza particolare per la Lituania, poiché al culmine della crisi che sta devastando i paesi baltici, la situazione di molte famiglie sfiora l’indigenza.

Non possiamo più rimanere inattivi dinanzi all’ingiustizia sociale che colpisce le donne o gli uomini che esercitano un’attività autonoma e che hanno famiglia. L’adozione di questa relazione rappresenta un segnale chiaro ai governi degli Stati membri affinché sostengano i coniugi dei lavoratori autonomi, garantendo loro il diritto ad una pensione, a ferie retribuite, a congedi parentali e aiutandoli ad integrarsi nel mercato del lavoro.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, tengo a esprimere il mio appoggio alla relazione della collega Lulling. Le ragioni della proposta sono da ricondurre al fatto che nel settore del lavoro autonomo si registra ancora un divario di genere molto elevato, che rischia di acutizzarsi; inoltre, si ritiene di dover garantire ai coniugi coadiuvanti, che spesso contribuiscono in maniera sostanziale all’attività del lavoratore autonomo, una protezione sociale di cui sono totalmente sprovvisti in molti Stati membri.

La proposta, che si pone anche l’obiettivo di incentivare l’accesso delle donne al mercato del lavoro e di contribuire alla lotta contro il lavoro sommerso, introduce tre modifiche principali rispetto alla legislazione comunitaria vigente: viene modificata la definizione di “coniuge coadiuvante” per ricomprendervi anche le coppie non sposate, laddove riconosciute dalla legislazione nazionale; viene riconosciuto alle lavoratrici autonome e alle coniugi coadiuvanti il diritto a beneficiare, su richiesta, di un’indennità di maternità per un periodo non inferiore alle 14 settimane; viene riconosciuto al coniuge coadiuvante il diritto ad accedere, su richiesta, ad un regime di protezione sociale.

 
  
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  Rovana Plumb (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore di questa relazione, poiché credo che l’adozione della direttiva rivesta un’importanza fondamentale per l’Unione europea, visto la crisi economica e finanziaria che stiamo attraversando. Considerando che nella maggior parte degli Stati membri, i coniugi coadiuvanti non godono delle prestazioni previdenziali di cui usufruisce invece il coniuge, laddove uno Stato membro stabilisce che il lavoratore autonomo debba aderire ad un regime di sicurezza sociale, tale misura deve riguardare anche il coniuge coadiuvante o il partner riconosciuto.

La posizione del Consiglio è deprecabile, in quanto non accetta l’obbligo per il coniuge o il partner riconosciuto che coadiuva il lavoratore autonomo di aderire al regime previdenziale nei paesi in cui è riconosciuto siffatto status ai sensi della legislazione nazionale. Visto che buona parte di queste persone non rientrano tali regimi, essi non possono accedere alle prestazioni previste che riguardano la malattia, la disabilità e la vecchiaia.

In qualità di relatrice ombra per il gruppo S&D, ho sostenuto la posizione delle donne che esercitano un’attività autonoma, dei coniugi e dei partner riconosciuti che decidono di avere un figlio, in quanto devono avere una tutela sociale e un’indennità. Non deve essergli impedito di percepire un’indennità per i figli, come invece sta accadendo in Romania ad opera del governo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Sono molto lieto che oggi il Parlamento europeo abbia adottato la posizione in seconda lettura sulla posizione del Consiglio in prima lettura sull’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma e che abroga la direttiva 86/613/CEE.

Le donne svolgono un ruolo essenziale, in quanto sostengono le imprese individuali in qualità di titolari, coniugi coadiuvanti o partner riconosciuti. Accolgo con favore la decisione del Parlamento sull’applicazione del principio di parità di trattamento tra donne e uomini per i lavoratori autonomi e i propri coniugi, che rappresenta una parte importante della legislazione comunitaria.

 
  
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  Marina Yannakoudakis (ECR), per iscritto. (EN) Il gruppo ECR sostiene vivamente le iniziative volte a colmare il divario di genere per i lavoratori autonomi e i loro partner. Sosteniamo il fine della relazione, in quanto vorremmo che tutti gli Stati membri offrissero appoggio e protezione sociale ai lavoratori autonomi. Tuttavia, non vogliamo che siffatta normativa venga varata a livello comunitario. Il gruppo ECR ha sempre difeso il principio di sussidiarietà e crede fortemente che gli Stati membri debbano assumere un ruolo trainante per creare e plasmare la legislazione in tema di occupazione e la politica sociale. Per tali motivi il gruppo ECR si è astenuto sugli emendamenti dal n.1 al n. 17.

 
  
  

Relazione Manders (A7-0122/2010)

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, oggi il Parlamento ha ribadito la necessità di ottenere in tutta l'UE un elevato livello di tutela dei consumatori e l'importanza di armonizzare la normativa in materia di etichettatura dei prodotti tessili rendendola obbligatoria per tutti i capi di abbigliamento commercializzati in Europa. L'entrata in vigore di un futuro regolamento sulla denominazione di origine dei prodotti tessili nonché le informazioni sulle indicazioni riguardanti la composizione fibrosa, semplificheranno il quadro regolamentare già esistente, rendendolo trasparente, chiaro e a vantaggio dei consumatori e delle PMI.

Tramite le etichette i consumatori potranno fare scelte consapevoli sull'acquisto dei prodotti anche sulla base di considerazioni etiche, come la salute, l'impatto sull'ambiente, i diritti umani, le condizioni e le retribuzioni dei lavoratori impiegati nella fabbricazione dei prodotti tessili. Mentre le PMI come l'industria tessile in generale, potranno tutelare la qualità, il design, l'innovazione dei loro prodotti, tutto ciò a vantaggio della competitività sul mercato non solo europeo ma anche mondiale. L'etichettatura "Made in" permetterebbe non solo di ottenere informazioni supplementari sulle caratteristiche del prodotto, ma contribuirebbe inoltre a rafforzare l'economia sviluppando nuovi prodotti destinati a molteplici settori, l'occupazione, come anche la lotta alla contraffazione verso quei prodotti provenienti da paesi terzi.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) In quest’epoca di globalizzazione in cui le merci sono sempre più il frutto di un viaggio lungo una catena di montaggio internazionale, è difficile identificarne la “nazionalità”. Parallelamente a questo fenomeno i consumatori vogliono acquistare nella piena consapevolezza dei fatti, talvolta preferendo articoli provenienti da paesi che hanno standard qualitativi, ambientali o sociali più elevati. In tale contesto ho deciso di votare a favore della relazione, in quanto essa propone di rendere obbligatoria l’etichettatura sul paese d’origine. A mio giudizio, si tratta di un’informazione essenziale che deve sempre essere comunicata al consumatore. Sottoscrivo inoltre l’idea che la Commissione europea prepari, tra due anni, una relazione o addirittura una proposta legislativa volta ad armonizzare le etichette sui tessili. Infatti, visto che da decenni condividiamo lo stesso mercato, perché le scale delle taglie e molti altri elementi informativi parimenti importanti sono ancora difformi tra gli Stati membri?

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questa normativa, poiché credo che apporterà maggiore chiarezza a beneficio sia dei produttori di tessili sia dei consumatori. Condivido la forma di normativa prescelta, che riunisce direttive distinte attualmente in vigore e quindi riduce le procedure amministrative di cui gli Stati membri si devono far carico per recepire nel diritto nazionale gli adattamenti tecnici necessari ogniqualvolta viene aggiunta all’elenco la denominazione di una nuova fibra. Ad ogni modo, credo sia ora di cominciare a discutere della revisione del sistema di etichettatura dei tessili, che non deve essere un ulteriore fardello per i produttori e che deve essere chiaramente compreso e accettato dai consumatori. Pertanto sostegno le proposte adottate nel regolamento secondo cui la Commissione europea deve occuparsi di temi quali l’uniformità europea del sistema di taglie indicate nell’etichettatura per l’abbigliamento e le calzature e l’indicazione di sostanze potenzialmente allergeniche o pericolose e temi afferenti all’etichettatura ambientale e sociale.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. (FR) Per quanto possa sembrare sorprendente, la dicitura “made in” che si trova sulle etichette di molti capi di abbigliamento attualmente non è obbligatoria e il suo uso varia notevolmente da Stato a Stato. Dovendo esaminare la proposta della Commissione relativa al un regolamento sui tempi di immissione sul mercato delle nuove fibre, l’abbiamo usata per porre rimedio a questo problema di etichettatura. In realtà, in assenza di una normativa europea c’è il rischio che compaiano sul mercato prodotti fabbricati in paesi terzi, ma recanti una dicitura che induce a credere che siano stati fabbricati in Europa. La relazione chiede anche alla Commissione di approntare un’etichettatura che possa dare ai consumatori un accesso alle informazioni sulle condizioni ambientali e sociali in cui sono stati fabbricati i prodotti che essi acquistano.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Mi complimento con il relatore Manders per l'impegnativo lavoro fin qui svolto, volto a unificare tre complesse direttive. Tale relazione semplifica il quadro regolamentare esistente, assicurando, ad esempio, tempi rapidi per l'immissione di una nuova fibra sul mercato. Per le nostre PMI ciò significa risparmio in spese amministrative e più rapidi profitti dalla vendita di nuove fibre. Provvedimenti che incoraggiano l'innovazione, elemento - a mio giudizio - fondamentale per le aziende europee. Solo con prodotti innovativi e di qualità, infatti, si può superare l'agguerrita concorrenza mondiale e superare questo difficile momento di crisi.

Il testo tutela inoltre i consumatori, il cui interesse - tengo a ribadire - è al centro delle nostre politiche. Le regole adottate, infatti, assicureranno ai cittadini europei norme più chiare e trasparenti, garantiranno loro anche l'opportunità di beneficiare in tempi brevi di prodotti innovativi. Sarà, infine, garantita in modo migliore la salute dei cittadini: attraverso una più dettagliata etichettatura, essi avranno la possibilità di conoscere l'origine di filati e prodotti affini.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Accolgo positivamente questa proposta di regolamento che mira a semplificare e a migliorare il quadro legislativo attualmente in vigore in modo da favorire l’innovazione nel settore del tessile e dell’abbigliamento, consentendo a chi usa le fibre e ai consumatori di avere più speditamente prodotti innovativi. Il tema della semplificazione è essenziale per promuovere l’innovazione nell’industria europea e per incrementare le informazioni date ai consumatori. E’ altresì importante creare una normativa alternativa meno pesante in termini di procedure e di costi in relazione al recepimento. L’industria trarrà beneficio dalla riduzione dei tempi tra la presentazione della domanda e la possibilità di immettere un prodotto sul mercato, si ridurranno così anche i costi amministrativi e i prodotti arriveranno prima sul mercato, incrementando i profitti sulle vendite.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. − Cari colleghi, abbiamo finalmente adottato le norme sul MADE IN nel settore tessile. Il Parlamento si era già espresso positivamente per la proposta di regolamento del 2005, relativa all'indicazione del paese di origine per taluni prodotti importati da paesi terzi, bloccata in Consiglio. Non trattandosi di procedura di codecisione, però, non si è potuto fare molto di fronte alla contrarietà di taluni governi nazionali.

Questo voto, invece, rappresenta oggi un segnale politico forte da parte dell'Assemblea che rappresenta i cittadini europei che chiede con forza al Consiglio l'adozione di queste norme. Questo è un traguardo oggi più vicino, anche nel contesto del trattato di Lisbona.

Si tratta di un voto in prima lettura, ma è un risultato importante, frutto di un grande lavoro svolto in questi mesi con i colleghi di altre delegazioni nazionali e di altri gruppi politici. Questa nuova normativa tutela i consumatori europei che desiderano conoscere l'origine dei prodotti tessili e le PMI che li realizzano all'interno degli Stati membri. Ciò vuol dire che non potremo più indicare ad esempio MADE IN uno Stato membro un prodotto che è prodotto solo per il 25 per cento in quel paese, oggi dovrà essere ivi prodotto almeno per il 50 per cento.

 
  
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  Lena Ek, Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. (SV) In linea generale sosteniamo la relazione dell’onorevole Manders relativa alle denominazioni tessili e all’etichettatura dei prodotti tessili. Sullo sfondo di questo presupposto siamo anche molto critici rispetto alla marchiatura d’origine obbligatoria, in quanto è destinata a far lievitare i prezzi al consumo in Europa, provocando un deterioramento delle condizioni inferiori e un incremento dei costi, soprattutto per le piccole e medie imprese. Crediamo nel libero scambio e quindi reputiamo importante che impedire che aumentino le barriere tecniche al commercio mediante una necessaria regolamentazione. Sosteniamo però la volontarietà del sistema di etichettatura in virtù del quale il consumatore può chiedere la marchiatura dell’origine.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Il 30 gennaio 2009 la Commissione ha adottato la proposta concernente il nuovo regolamento sulle denominazioni tessili e sull’etichettatura dei prodotti tessili. Il testo riunisce la legislazione in vigore sulle denominazioni tessili e sull’etichettatura dei prodotti tessili in un unico regolamento. Stando al relatore, la revisione “costituisce un esercizio puramente tecnico che non comporta alcuna implicazione politica rilevante.

Però sappiamo che, a causa della concorrenza per i prodotti europei, soprattutto a causa dei prodotti cinesi, dovremo assumere misure più incisive in materia di etichettatura in futuro. Pertanto deve essere questo il compito cui si deve dedicare la Commissione d’ora in avanti. Inoltre le sfide che l’Unione europea sta affrontando oggi richiedono che sia migliorato e rafforzato il mercato e quindi bisogna attivarsi per rimuovere gli ostacoli che si frappongono lungo questo cammino. L’armonizzazione e la semplificazione delle norme sulle denominazioni tessili centrano questo obiettivo, poiché chiariscono le informazioni date ai consumatori e quindi contribuiscono a rendere più competitivo il settore.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La capacità di identificare debitamente il luogo e le modalità di fabbricazione di un prodotto e materiali principali di cui è composto costituisce una prerogativa fondamentale dei consumatori per garantirne la fiducia e proteggere i loro diritti. Inoltre si introduce così anche un fattore importante per promuovere la concorrenza leale nel mercato mondiale dei tessili. In tale contesto la standardizzazione dell’etichettatura dei prodotti tessibili gioverà alla competitività dell’industria tessile e dell’abbigliamento in Europa, in particolare in Portogallo. Sottolineo la necessità di varare norme armonizzate sull’indicazione dell’origine dei prodotti tessili importanti da paesi terzi e criteri precisi per l’uso della dicitura “made in” per i prodotti fabbricati nell’UE nonché di un’etichettatura sociale in modo da informare i consumatori in merito al rispetto delle norme sanitarie e di sicurezza e dei diritti umani. Reputo importante anche l’etichettatura ecologica sui parametri ambientali dei prodotti tessili. Introducendo queste norme più chiare e più trasparenti sull’etichettatura – in cui sono comprese anche le informazioni su componenti non tessili di origine animale – i consumatori saranno meglio in grado di differenziare i prodotti e la relativa qualità.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa relazione in ragione del suo principale intento, che verte sull’apposizione dei marchi di origine e che punta a difendere i diritti dei consumatori, dei lavoratori e a proteggere le industrie tessili e dell’abbigliamento dei nostri paesi. Tuttavia, non siamo d’accordo su alcuni dettagli circa l’etichettatura, segnatamente sui contenuti eccessivamente dettagliati sulle fibre, soprattutto quando si parla di piccole e medie imprese, a causa dei costi che ciò comporta.

Pertanto, pur avendo votato a favore del testo, vi sono dei dettagli che sono stati proposti e su cui dissentiamo. A nostro parere è necessaria una revisione o perlomeno delle misure di sostegno per evitare problemi alle PMI.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La designazione dell’origine di un prodotto è importante affinché i consumatori sappiano quale sia la provenienza esatta del prodotto che stanno acquistando. Non è corretto designare un dato prodotto come proveniente dall’UE quando viene solamente confezionato in un paese dell’Unione europea, mentre le altre fasi della produzione avvengono in paesi terzi. Le nuove norme approvate contribuiranno a innalzare la trasparenza nel commercio internazionale e ad apportare dei chiarimenti ai consumatori. Questa è stata la ragione che ha motivato il mio voto.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Ancora una volta l’etichettatura ecologica promette qualcosa di diverso rispetto a quanto effettivamente prevede – basti pensare allo scandalo del “cotone organico” o ai recenti fiaschi del biochimico. In primo luogo, infatti, crea nuovamente confusione tra etichette e marchi nel mercato dei prodotti biologici – che l’UE potrebbe standardizzare in maniera sensata una volta per tutte, un’attività peraltro che di solito compie con piacere. In secondo luogo, è abbondantemente giunto il momento che l’UE accetti il cotone geneticamente modificato. Se vogliamo attendere gli studi sui possibili effetti delle sostanze dannose, nel frattempo le etichette dovrebbero perlomeno indicare che i prodotti contengono cotone geneticamente modificato.

Inoltre è giunta anche l’ora che l’Unione si occupi dell’identificazione della radiofrequenza (RFID). Non possiamo applicare le etichette elettroniche ai tessili senza conoscerne le ricadute. Infatti non disponiamo ancora di norme adeguate sull’etichettatura. Se i pedoni devono rendersi visibili mediante abbigliamento RFID, allora sarà possibile controllare la gente ad ogni passo che fa. Visto che la relazione lo ha rilevato, ho votato a favore.

 
  
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  Cristiana Muscardini (PPE), per iscritto. − Sono favorevole alla relazione Manders sull'etichettatura di origine per i prodotti tessili in quanto risolve un problema che da tempo minaccia la libertà di scelta dei nostri consumatori. Il marchio di origine è essenziale per garantire trasparenza, sicurezza e informazione ai cittadini europei e per dare allo stesso tempo regole chiare e condivise alle nostre imprese.

Il problema resta però aperto per i prodotti tessili che provengono da paesi terzi, nostri partner commerciali. Invito quindi i colleghi a confermare il loro sostegno al regolamento per il marchio di origine in discussione alla commissione commercio estero che tutela i nostri consumatori e le nostre imprese non solo per i prodotti del tessile e dell'abbigliamento ma anche per quei settori delicati per la crescita economica europea.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − L’industria tessile europea ha reagito alle importanti sfide economiche degli ultimi anni avviando un difficile percorso di ristrutturazione, modernizzazione e innovazione tecnologica. Le imprese europee hanno migliorato la propria posizione sul mercato globale concentrandosi su vantaggi competitivi quali la qualità, il design e l’innovazione tecnologica dei prodotti con più elevati valori aggiunti. L’industria europea svolge un ruolo di primo piano a livello mondiale nello sviluppo di nuovi prodotti, tessili tecnici e non tessuti per nuove applicazioni, i prodotti per l’igiene, l’industria automobilistica o il settore medico.

Accolgo favorevolmente la proposta di regolamento della Commissione ritenendo che la stessa semplifica il quadro regolamentare esistente per lo sviluppo e la presa di nuove fibre ed ha il potenziale di incoraggiare l’innovazione nel tessile e il settore dell’abbigliamento, permettendo nel contempo agli utilizzatori di fibre e ai consumatori di beneficiare più tempestivamente di prodotti dal carattere innovativo.

Esprimo infine, il più ampio sostegno alla regolamentazione sul "Made In", ritenendo quest’ultima indispensabile a garantire un adeguato livello di tutela del consumatore sulla composizione del prodotto da acquistare e sulla sua provenienza.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Noi, come verdi, ci siamo astenuti nella votazione finale di questa relazione principalmente perché sono stati adottati alcuni tra gli emendamenti principali proposti dal PPE, dai liberali e dall’EFD. In sintesi tutti questi emendamenti puntano all’ampliamento delle disposizioni sulla dicitura “made in”.

 
  
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  Tokia Saïfi (PPE), per iscritto. (FR) Non ho sostenuto gli emendamenti contenuti nella relazione Manders sulle denominazioni tessili e sull’etichettatura dei prodotti tessili per quanto concerne la dicitura “made in” (emendamenti nn. 47/49, 48, 12 e 67). Tali emendamenti, che mirano a imporre la marchiatura sull’origine per i prodotti tessili importati da paesi terzi (con l’eccezione della Turchia e dei paesi dello spazio economico europeo) o a disciplinare precisamente le condizioni della marchiatura volontaria sull’origine dei prodotti tessili fabbricati in Europa, potrebbero mettere a repentaglio l’adozione in tempi brevi di questa importante normativa. La proposta di regolamento sulla marchiatura dell’origine presentata dalla Commissione europea infatti è ancora in corso di discussione in seno al Consiglio ed è l’oggetto di una relazione della commissione per gli scambi internazionali.

Non sono contro la trasparenza e la tracciabilità dei prodotti a beneficio del consumatore. Tuttavia, in quanto deputati al Parlamento europeo, abbiamo la responsabilità di rispettare determinati quadri normativi. A mio giudizio, prima di introdurre l’obbligo di apporre la dicitura “made in” sulle etichette dei capi di abbigliamento venduti in Europa, dovremmo prima assicurarci che la proposta di regolamento sulla dicitura “made in” preveda tutte le garanzie necessarie, in particolare circa i metodi di attuazione.

 
  
  

Relazione Moreira (A7-0058/2010)

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questo documento. Le relazioni tra UE e Ucraina sono sempre state molto strette e si sono sempre basate su un dialogo costruttivo. L’economia ucraina, come le economie degli Stati membri dell’Unione, è stata colpita dalla crisi finanziaria internazionale che ha provocato una drastica riduzione della produzione, l’aggravamento della posizione fiscale e un’accresciuta necessità di finanziamento esterno. L’assistenza macro finanziaria di 500 milioni di euro non dovrebbe fungere meramente da complemento ai programmi e alle risorse del FMI e della Banca mondiale, ma dovrebbe garantire il valore aggiunto derivante dal coinvolgimento comunitario. Ad ogni modo quest’assistenza può contribuire alla stabilizzazione economica dell’Ucraina solo se le principali forze politiche assicureranno stabilità politica al paese, raccogliendo un ampio consenso affinché le necessarie riforme strutturali siano attuate rigorosamente.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto. (LT) L’assistenza macrofinanziaria all’Ucraina riveste un significato del tutto particolare in questo momento. Essa infatti può accrescere l’influenza dell’Unione sulla formazione della politica ucraina, aiutando il paese a superare la profonda crisi economica che sta attraversando. L’assistenza finanziaria comunitaria testimonia che l’Ucraina è strategicamente importante come potenziale paese candidato all’adesione e sarebbe erogata in un momento in cui l’Unione sta mobilitando i finanziamenti a sostegno della riforma del settore energetico. La Commissione e le altre istituzioni coinvolte stanno lavorando insieme per definire un pacchetto di sostegno per le autorità ucraine atto a individuare una soluzione sostenibile a medio termine per gli obblighi derivanti dal transito del gas e dal relativo pagamento. Anche se l’assistenza proposta non è direttamente collegata a questo pacchetto, essa favorirebbe la stabilizzazione economica del paese e le riforme. Convengo quindi sula decisione di erogare l’assistenza macrofinanziaria eccezionale all’Ucraina. Senza tale aiuto il paese non sarebbe in grado di integrarsi pienamente in molti settori dell’economia e a conseguire gli obiettivi che si è prefissato.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) L’Ucraina ora sta pagando il prezzo della grave crisi economica e della protratta instabilità politica, ragione per cui le autorità di Kiev stanno accumulando dei ritardi nell’onorare gli impegni che si erano assunte verso le istituzioni finanziarie internazionali. E’ importante che l’Unione europea sia coinvolta nel fornire assistenza al proprio vicino sul fronte occidentale proprio adesso che la situazione sociale si sta deteriorando in un contesto in cui mancano le risorse finanziarie necessarie per consentire il funzionamento dello Stato.

L’Ucraina deve conseguire la stabilità. Il prestito concesso dalla Commissione europea, con l’approvazione dell’autorità legislativa, implica anche la conferma che Kiev può essere considerata un candidato all’adesione. Tuttavia, la Commissione europea d’ora in poi deve prestare grande attenzione ai meccanismi di controllo sul prestito concesso all’Ucraina.

Inoltre l’Unione europea è in una posizione tale da poter chiedere al paese di affrontare con maggiore decisione le riforme fondamentali atte a consolidare lo Stato di diritto. La transizione dell’Ucraina da economia centralizzata a economia di mercato implica un processo difficile e doloroso, soprattutto per la popolazione. Questa transizione economica deve essere accompagnata dagli sforzi volti a conseguire una riforma istituzionale. L’Ucraina deve prendere il toro per le corna su entrambi i fronti a prescindere da quanto possa apparire difficile in questo momento.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Accolgo con favore l’adozione della risoluzione legislativa sulla concessione di assistenza macrofinanziaria all’Ucraina, in quanto consentirà al paese di affrontare le conseguenze della crisi finanziaria globale, garantendo sostenibilità al fisco e ai conti con l’estero. Questa risposta alla richiesta dell’Ucraina è essenziale per la stabilizzazione economica in concomitanza con l’attuale programma del Fondo monetario internazionale. L’Ucraina, però, deve prendere provvedimenti adeguati per prevenire e contrastare le frodi, la corruzione e molte altre irregolarità associate all’assistenza e deve consentire i controlli della Commissione e le revisioni della Corte dei conti. Nella fattispecie mi riferisco al memorandum d’intesa e al contratto di prestito che deve essere concluso con le autorità ucraine in cui saranno contemplate delle misure specifiche che il paese dovrà mettere in atto per la prevenzione e l’azione di contrasto contro le frodi, la corruzione e le altre irregolarità connesse all’assistenza.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della proposta del Parlamento sulla concessione di assistenza macrofinanziaria all’Ucraina. In qualità di potenziale candidato all’adesione, l’Ucraina è un partner privilegiato e deve essere al centro di politiche specifiche volte a risolvere i problemi con cui si trova alle prese. Tuttavia, l’assistenza macrofinanziaria dell’UE per l’Ucraina contribuirà a conseguire la stabilizzazione economica del paese solamente se si stabilizzerà anche lo scenario politico e se le principali forze politiche – che negli ultimi anni sono state assorbite dalle piccole guerre interne per la conquista del potere e dell’autorità – stabiliscono un ampio consenso affinché siano rigorosamente attuale le riforme strutturali che servono per garantire il futuro del paese.

E’ altresì essenziale che il governo ucraino si attivi per mettere fine alla mancanza di indipendenza delle autorità giudiziarie, in quanto sono soggette a un’influenza eccessiva, non solo da parte del potere politico, ma anche da parte degli attori economici. Senza un sistema giudiziario libero e indipendente, non ci può essere uno Stato di diritto, i diritti umani non possono essere garantiti e non ci può essere alcun investimento estero o progresso. I meccanismi istituiti nel contratto di prestito devono tenere conto di questi fattori in modo da consentire alle istituzioni comunitarie di controllare rigorosamente l’appropriatezza dell’attuazione.

 
  
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  Ioan Enciu (S&D), per iscritto. (RO) Anche l’Ucraina, che è un paese limitrofo dell’Unione europea, figura tra i paesi che sono stati colpiti duramente dalla crisi economica globale. L’impatto nefasto della crisi sull’economia ucraina, oltre a mettere a repentaglio la stabilità interna, rischia anche di compromettere quella dell’intera regione. Ho votato a favore della concessione di assistenza macrofinanziaria all’Ucraina, poiché in tal modo si rende un contributo particolarmente importante alla creazione di stabilità e si consente il proseguimento delle riforme nel paese.

La Commissione e le altre istituzioni coinvolte – il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banca europea per gli investimenti – devono accelerare il processo volto a definire il pacchetto di supporto per l’Ucraina al fine di identificare e attuare una soluzione sostenibile per riformare l’economia a partire dal settore dell’energia.

E’ strategicamente importante risolvere i problemi correlati al transito di gas naturale nel territorio ucraino. Reputo positivo che il tema sia stato incluso nell’agenda di associazione UE-Ucraina. Credo fermamente che questa cooperazione debba essere consolidata, il che implica anche trovare nuove forme di cooperazione. L’Ucraina deve essere sostenuta affinché continui con le riforme, procedendo nel cammino verso l’integrazione europea, in linea con gli obiettivi dell’Unione europea che sono stati delineati nel quadro della politica europea di vicinato.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) I recenti episodi di violenza tra i deputati ucraini sono stati fonte di preoccupazione per l’Europa intera e hanno chiaramente rispecchiato le divisioni che spaccano la società ucraina, il bivio in cui il paese si trova attualmente e l’ineludibile ruolo della Russia nella regione. L’Unione europea deve continuare a fungere da ispirazione per l’Ucraina. A tal fine l’assistenza macrofinanziaria che siamo in procinto di concedere deve costituire un altro segno di avvicinamento e di solidarietà verso il paese in un momento di particolare debolezza sociale, economica e finanziaria.

Spero che l’Ucraina intraprenda risolutamente un processo di convergenza con l’Unione europea, che l’accordo di associazione proposto entri in vigore, rafforzando le relazioni bilaterali e gli scambi, e che alla fine di questo cammino l’Ucraina acceda al nostro spazio comune. Spero inoltre che la necessità di aiuti di questo tipo si ridimensioni progressivamente, che l’Ucraina ripristini la stabilità politica, che il paese riesca a riequilibrarsi a livello sociale, che rinnovi il suo tessuto commerciale e che continui a scegliere la democrazia, i diritti umani e lo Stato di diritto

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) L’economia ucraina subisce sempre più i contraccolpi della crisi finanziaria internazionale, riportando un drastico calo nella produzione, il deterioramento della posizione fiscale e un maggiore fabbisogno di finanziamenti esterni. Il sostegno finanziario comunitario riflette l’importanza strategica che il paese riveste in qualità di paese candidato all’adesione. Pertanto ho votato a favore della concessione di assistenza macrofinanziaria all’Ucraina sotto forma di strumento di credito per un importo massimo di 500 milioni di euro al fine di sostenere la stabilizzazione economica del paese e migliorare la bilancia dei pagamenti e le necessità di bilancio, come indicato nel programma in corso del Fondo monetario internazionale. Ritengo importante aiutare l’Ucraina a ritornare alla normalità sul fronte socio-economico, consentendo la stabilizzazione dei conti pubblici, in modo da creare prospettive di crescita e di fiducia politica. Credo anche che si debbano approntare meccanismi di controllo per intensificare la chiarezza, la trasparenza e la responsabilità. Il Parlamento europeo inoltre dovrebbe ricevere aggiornamenti periodici sul lavoro del Comitato economico e sociale.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) L’assistenza macrofinanziaria attualmente proposta è ben lungi dal costituire una forma di aiuto autenticamente disinteressato. Oltretutto, condizionare l’assistenza ai requisiti del Fondo monetario internazionale e ai “principi e agli obiettivi fondamentali di riforma economica fissati nell’Agenda di associazione UE-Ucraina” implica l’istituzione di un’area generale di libero scambio tra l’UE e l’Ucraina, l’obbedienza agli obiettivi della politica estera e di sicurezza comune dell’UE, una cooperazione più stretta mediante canali militari su questioni di interesse comune, la possibile partecipazione dell’Ucraina nell’operazione navale Atalanta, l’istituzione nel paese di un’economia di mercato completa e pienamente operativa, l’osservanza dei principi di stabilità macroeconomica stabiliti dall’UE e lo scambio di “migliori prassi” tra l’UE e l’Ucraina sulla riforma dello Stato previdenziale al fine di rendere più sostenibile il sistema pensionistico ucraino. A fronte di quanto è stato esplicitamente contemplato e di quello che si legge tra le righe, visto il significato ormai noto del linguaggio comunitario sopra riportato, non ci restava che votare contro la proposta. Il nostro voto vuole parimenti essere un’espressione di solidarietà per il popolo ucraino.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE), per iscritto.(PL) Signora Presidente, onorevoli colleghi, sostengo la relazione sull’assistenza macrofinanziaria all’Ucraina. Si tratta di una decisione importante che ci consente di aiutare un vicino molto importante per l’Unione europea e per la Polonia.

Il prestito di 500 milioni di euro aiuterà l’Ucraina a uscire dalla crisi finanziaria. Non credo di dover convincere nessuno del fatto che la stabilizzazione economica dell’Ucraina e la riforma del settore dell’energia rientrano tra gli interessi dell’Unione. Il conseguimento di tali obiettivi dipenderà poi dagli ucraini. Sono lieto che oggi abbiamo dimostrato di voler lavorare con loro e aiutarli.

 
  
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  Iosif Matula (PPE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della concessione dell’assistenza finanziaria comunitaria all’Ucraina, in quanto dobbiamo dar prova di solidarietà, il che implica anche contribuire a sostenere la ripresa dall’attuale crisi economica. In quanto paese limitrofo che intende aderire all’Unione in futuro, all’Ucraina deve essere dato un chiaro segnale politico atto a incoraggiare le autorità ad attuare le misure di riforme convenute con l’UE.

Al contempo è importante avere vicini prosperi, con una situazione interna stabile, in linea con gli standard e con i valori europei. In proposito speriamo che il prestito concesso dall’UE a questo paese limitrofo sarà usato per aiutare l’intera società ucraina, ossia anche gli oltre mezzo milione di rumeni che vivono nella Bukovina settentrionale, nel Maramureş meridionale e nella Bessarabia meridionale. Ovviamente la Commissione europea deve prendere ogni provvedimento possibile per garantire che questa assistenza finanziaria eccezionale sia usata con prudenza e laddove è necessaria affinché consegua i risultati attesi. Le condizioni sulla concessione dell’assistenza devono essere conformi ai principali obiettivi dell’agenda di associazione UE-Ucraina e il processo di utilizzo dei fondi deve essere soggetto a un rigoroso controllo europeo di cui il Parlamento europeo deve essere sistematicamente informato.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) E’ intollerabile che i prestiti e i sussidi europei siano soggetti ai limiti fissati dal FMI. E’ inaccettabile che la Commissione europea si arroghi il compito di verificare che le politiche della Banca mondiale e del FMI siano applicate dagli Stati membri che ne beneficiano, senza tener conto della sovranità del popolo ucraino.

Voterò contro l’assistenza macrofinanziaria presentata oggi al Parlamento europeo. Ciò non significa che non sostenga il popolo ucraino. Anzi, non voglio che soffra più di quanto stia già soffrendo a causa dell’obsoleto e pericoloso sistema neoliberista che l’FMI, la Banca mondiale e la Commissione europea stanno loro imponendo.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Il processo di stabilizzazione economica e di ripresa dell’Ucraina è sostenuto dall’assistenza finanziaria del Fondo monetario internazionale. Dinanzi a prospettive economiche sempre più fosche l’Ucraina ha chiesto assistenza macrofinanziaria all’Unione. Il programma di assistenza è vitale per migliorare la stabilità finanziaria delle nazioni europee che stanno attraversando la crisi economica e che risentono degli effetti che si sono prodotti sui principali partner commerciali. Gli squilibri finanziari riguardano il bilancio e la bilancia dei pagamenti. Questo aiuto è importante affinché l’Ucraina possa affrontare la crisi nella maniera più coerente. L’Unione deve infatti essere un’area di solidarietà. Sono questi i motivi che hanno giustificato il mio voto.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) L’Ucraina, che è uno dei partner principali e più importanti dell’UE tra i paesi limitrofi sul fronte occidentale, è stata colpita ferocemente dalla crisi economica globale. Per tale ragione deve essere approvata la concessione di assistenza macrofinanziaria proposta dalla Commissione per un massimo di 500 milioni di euro sotto forma di strumento di credito. Questi finanziamenti sono destinati a coprire la bilancia generale dei pagamenti e il debito estero, come indicato dal Fondo monetario internazionale (FMI).

L’Ucraina sarà sostenuta affinché possa intensificare la propria stabilità macroeconomica, in quanto è anche un importante partner commerciale per l’UE. Per me, ad ogni modo, era altresì importante che l’aiuto concesso dal bilancio comunitario non fosse conforme solo al programma del FMI, ma anche ai principali valori e obiettivi della politica comunitaria nei confronti dell’Ucraina. Grazie all’aiuto dell’Unione europea infatti sono state avviate ulteriori e necessarie riforme strutturali sulla base di una condizionalità positiva. Pertanto ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Ho espresso il mio voto favorevole alla relazione del collega Moreira. L'assistenza macrofinanziaria proposta è volta a integrare il sostegno dell'FMI previsto nel quadro dell'accordo di stand-by, nonché il sostegno della Banca mondiale, che dovrebbe assumere la forma di prestiti concessi a favore della politica di sostegno al bilancio.

Il programma assistenza macrofinanziaria sarebbe complementare ad altri finanziamenti dell'Unione. L'aiuto finanziario dell'Unione riflette l'importanza strategica dell'Ucraina come candidato potenziale all'adesione all'UE. La concessione dell’AMF ha luogo in un momento in cui l’UE partecipa anche alla mobilitazione di finanziamenti per riformare il settore ucraino dell’energia. Concordo con la linea espressa dal relatore volta a migliorare la chiarezza, la trasparenza e la documentabilità del progetto di proposta.

 
  
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  Ioan Mircea Paşcu (S&D), per iscritto. (EN) Nessuno contesta il fatto che l’Ucraina sia un nostro “partner strategico” la cui situazione ci interessa ampiamente. Oggi il paese si trova a un bivio tanto sul piano economico, vista la sua difficile situazione, che sul piano politico, in quanto il nuovo governo favorisce relazioni più strette con la Russia. Aiutare l’Ucraina, rendendo disponibili 500 milioni di euro, rappresenta quindi la decisione giusta a livello strategico, ed è un approccio che sosteniamo. Tuttavia, tatticamente, non sussiste forse una discrepanza tra il livello di sostegno finanziario – solo mezzo milione di euro rispetto ad altri programmi che comportano decine di miliardi in sostegno finanziario – e il controllo sulla politica economica ucraina che vogliamo conseguire in cambio?! Ovviamente l’Unione europea ha norme rigide che i beneficiari del sostegno finanziario devono rispettare a prescindere dall’importo che ricevono, ma talvolta, soprattutto quando il livello di tale sostegno è relativamente esiguo, mantenere la stessa condizionalità elevata è sintomo di un’inflessibilità politica che va solamente a intaccare l’efficacia di questo strumento, soprattutto quando gli altri sono molto più flessibili nel sostegno che erogano.

 
  
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  Traian Ungureanu (PPE), per iscritto. (EN) In quanto vicepresidente di Euronest, ho votato a favore della concessione di assistenza macrofinanziaria all’Ucraina. Spero che tale sostegno sia erogato presto secondo le modalità previste nelle condizioni che regolano il provvedimento. In particolare, accolgo con favore il coinvolgimento del Parlamento europeo in questo processo decisionale a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona. L’assistenza macrofinanziaria all’Ucraina rappresenta il primo caso sottoposto alla nuova procedura. Al contempo, però, sono deprecabili i ritardi registrati nel processo decisionale proprio a causa della nuova procedura.

Sollecito quindi le istituzioni comunitarie a fare tesoro dell’esperienza maturata nella concessione di assistenza macrofinanziaria all’Ucraina, evitando ulteriori ritardi. Ai nostri partner orientali infatti devono essere risparmiate lungaggini ingiustificate. Mi riferisco, in particolare, al caso della Repubblica moldava e al suo governo pro-europeista, che sta ancora attendendo l’erogazione dell’assistenza macrofinanziaria comunitaria. Nonostante il fatto che la Repubblica moldava abbia urgente bisogno di questo sostegno, la proposta della Commissione europea è già inaccettabilmente in ritardo. Infatti sarà presentata in Parlamento solamente questa settimana. Chiedo quindi alle istituzioni comunitarie di evitare ulteriori ritardi nella definizione dell’assistenza finanziaria alla Repubblica moldava.

 
  
  

Relazione Alves (A7-0054/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Le nostre nove regioni ultraperiferiche (Azzorre, Canarie, Guadalupe, Guyana francese, Madeira, Martinica, Réunion, Saint Bathélemy e Saint Martin) sono dei veri e propri punti di forza per l’Unione europea. Visto che la lontananza ne ostacola lo sviluppo, l’Unione europea deve adottare misure compensatorie specifiche. Infatti, a Réunion, ad esempio, deve essere possibile produrre latte UHT ricostituito da latte in polvere per il consumo umano. La deroga concessa a Madeira deve quindi essere estesa anche a Réunion, che ha le stesse caratteristiche dovute alla grande lontananza geografica. Pertanto ho votato a favore di questa relazione che mira a introdurre, prorogare o adattare le deroghe in atto per le Azzorre, le Canarie, Réunion e Madeira nei settori dello zucchero, del latte e del vino.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Le regioni ultraperiferiche si trovano a dover affrontare sfide più impegnative in ragione della loro posizione geografica, che le colloca lontano dal centro dell’Unione. Pertanto accolgo con favore l’adozione di misure specifiche nel settore agricolo al fine di aiutare queste regioni nell’attuale crisi economica. In particolare, sottolineo la natura specifica delle regioni delle Azzorre e di Madeira e apprezzo le principali misure che sono state adottate. Esse prevedono l’introduzione, la proroga e l’adattamento di talune deroghe nei settori dello zucchero, del latte e del vino. Va sottolineato inoltre che è essenziale disporre di una strategia integrata per le regioni ultraperiferiche, senza dimenticare che ciascuna di esse ha le proprie specificità ed è quindi importante trovare le risposte più appropriate per ciascuna di esse. Bisogna tener presente che esistono diversi strumenti europei, come le strategie regionali e la politica europea di vicinato, ed è altresì importante continuare a discutere delle linee guida strategiche per le regioni ultraperiferiche in modo da sensibilizzare i poteri decisionali circa le specificità e le potenzialità di queste regioni.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Le regioni ultraperiferiche si contraddistinguono per caratteristiche molteplici. Ciascuna isola e ciascun territorio ha un proprio carattere, una propria identità e i propri problemi. La relazione che abbiamo appena adottato consente l’introduzione di talune deroghe nel settore dell’agricoltura per aiutare le regioni ultraperiferiche. Ad esempio, a Réunion sarà possibile produrre latte UHT ricostituito da latte in polvere di origine UE, ovviando quindi alla produzione insufficiente di latte fresco. Le Azzorre invece beneficeranno di una deroga sulle norme che limitano le esportazioni di zucchero nell’UE, visto che la produzione di barbabietola da zucchero rappresenta l’alternativa migliore per l’isola – sia per la sua economia che per l’ambiente – quando sarà messo fine al sistema di quote di latte. Queste deroghe aiuteranno le regioni ultraperiferiche. E’ buona cosa e pertanto vorremmo che tali deroghe fossero garantite nel lungo termine, come ci aspettiamo che faccia la Commissione.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sulla proposta di regolamento che fissa misure specifiche nel comparto agricolo per le regioni ultraperiferiche dell’Unione europea. Oltre a rappresentare un’opportunità per la diversificazione dell’agricoltura, l’adozione di questa relazione implica l’abrogazione del divieto di ri-esportare determinati prodotti. Nel presente periodo di crisi economica questo è un contributo decisivo per ristrutturare e mantenere, non solo molte decine di posti di lavoro nelle Azzorre, ma anche l’attività nell’industria zuccheriera della regione.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La proposta della Commissione prevede degli emendamenti al regolamento (CE) n. 247/2006 recante misure specifiche nel settore dell’agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell’Unione. Le modifiche riguardano i settori dello zucchero, del latte e del vino. Porgo quindi le mie congratulazioni ai relatori per la qualità del lavoro che hanno svolto. Uno dei principi di base dell’attuale quadro finanziario pluriennale e delle prossime prospettive finanziarie deve essere il principio di solidarietà. E’ mediante strumenti di questo genere che deve essere garantita la coesione sociale e territoriale. Sappiamo tutti quali siano le difficoltà naturali contro cui devono combattere le regioni ultraperiferiche dell’UE a causa della loro posizione e delle loro condizioni geografiche, che si ripercuotono negativamente sull’attività economica e sulla capacità produttiva. Gli emendamenti proposti sono in linea con il principio di solidarietà e quindi li sostengo.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Il bilancio su cui poggia la relazione – che è stato esplicitato nel primo punto del preambolo della proposta di compromesso, in cui si sancisce la fine del sistema delle quote latte – è inaccettabile per noi, motivo per cui abbiamo votato contro il testo. In realtà, con la fine delle quote – come indica la relazione parlandone come di un fatto compiuto – si verranno a creare ripercussioni molto gravi sul settore del latte nelle Azzorre e nell’intero comparto caseario della regione.

Le conseguenze dell’abolizione delle quote latte per l’economia della regione – contro cui abbiamo combattuto e contro cui continueremo a combattere – non saranno mitigate dalle misure proposte per il comparto della lavorazione dello zucchero, anche considerando la proroga sulla ri-esportazione dello zucchero. L’obiettivo è giusto, ma viene pregiudicato sin dall’inizio, quando si accetta che anche questa misura sia gradualmente abolita nell’arco di cinque anni.

Per quanto riguarda Madeira, il processo di riconversione delle viti è oltremodo in ritardo e potrebbe essere compromesso se gli incentivi non vengono rafforzati. Sono state inoltre ignorate le conseguenze negative per la regione del cosiddetto “accordo di Ginevra” sul commercio delle banane. Un’altra questione che sarebbe importante considerare, inoltre, è la possibilità di erogare un aiuto volto a stimolare il mercato interinsulare per la vendita di prodotti agricoli locali.

 
  
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  Elie Hoarau (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Ho votato a favore del testo finale, che era stato dibattuto con la procedura d’urgenza, poiché l’applicazione di queste diverse deroghe per Réunion, le Azzorre, le Canarie e Madeira sono fondamentali per garantire l’occupazione e la continuazione delle attività agricole, in particolare la produzione di latte a Réunion. Tuttavia, ho votato contro il compromesso proposto dalla Commissione europea e dal Consiglio, poiché quest’ultimo aveva avanzato proposte molto inferiori rispetto alle misure che avevamo proposto e che erano state adottate dalla commissione per lo sviluppo regionale e dalla commissione per l’agricoltura.

E’ deprecabile che le quote per le esportazioni di zucchero non siano state mantenute a 3 000 tonnellate per le Azzorre, che la deroga concessa a Réunion per la produzione di latte non sia stata applicata anche ad altri dipartimenti d’oltremare francesi e che le salvaguardie sulla sostenibilità dei risultati conseguiti dai produttori di latte di Réunion non siano stati sostenuti dalla Commissione. Ripresenterò tutte queste questioni al tavolo negoziale dedicato alla riforma del programma POSEI.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto.(PL) Le regioni ultraperiferiche di solito sono caratterizzate da una bassa densità demografica, da dimensioni esigue, dalla stagnazione e da condizioni economiche difficili. Sono regioni che dipendono fortemente dalle condizioni climatiche e geografiche e il cui accesso ai prodotti e ai servizi si basa sulla cooperazione con il continente europeo. L’assistenza per queste regioni deve essere garantita in maniera permanente, visto che le difficoltà per la popolazione sono permanenti. Per garantire loro lo sviluppo delle imprese, lo stimolo all’attività professionale e lo stesso livello dell’Europa nel comparto agricolo, dobbiamo introdurre nuove concessioni legislative – e continuare con quelle in atto – adattandole alle esigenze delle regioni specifiche.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Lo sviluppo economico e sociale delle regioni ultraperiferiche dell’Unione europea è condizionato dall’estrema lontananza e dall’insularità, dalle dimensioni esigue, dal terreno e il clima difficili e dalla dipendenza economica da un ristretto numero di prodotti. Visto che l’insieme di questi fattori limita gravemente lo sviluppo, l’articolo 349 del trattato di Lisbona prevede delle misure specifiche a beneficio delle regioni ultraperiferiche, che devono essere messe in pratica mediante iniziative appropriate atte a rispondere alle loro necessità specifiche, anche nel comparto agricolo e della pesca. I principali emendamenti vertono sull’introduzione, la proroga e l’adattamento di talune deroghe nei comparti dello zucchero, del latte e del vino. Votiamo a favore di queste misure in ragione dei limiti cui ho accennato e della crisi internazionale che ci sta devastando. Sono questi i motivi che hanno giustificato il mio voto.

 
  
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  Wojciech Michał Olejniczak (S&D), per iscritto.(PL) Ho votato a favore della risoluzione (A7-0056/2010) del Parlamento europeo, poiché il secondo pilastro della politica agricola, ossia la politica per lo sviluppo rurale, è estremamente importante per migliorare l’efficacia della PAC stessa, ma anche per facilitare la gestione di un territorio che ha degli handicap naturali. Il documento che è stato redatto dal relatore è del tutto necessario, non solo per noi, ma per l’intera Unione europea. Dobbiamo essere informati circa i territori che, per ragioni che non dipendono dai proprietari, non possono essere usati in maniera adeguata o efficace. Convengo con il relatore rispetto all’analisi che ha stilato sulla revisione, avviata nel 2005, dei criteri di classificazione delle aree svantaggiate. I precedenti criteri per il sostegno di queste aree devono essere modificati in modo da dare un quadro effettivo degli handicap. Va inoltre ricordato che vi sono aree che rientrano in criteri specifici, ma in cui gli handicap sono stati rimossi grazie all’attuazione di misure efficaci. Dovrebbero essere gli Stati membri ad avere la responsabilità di definire le aree meno favorite e lo sviluppo degli aiuti e dei programmi di sviluppo. Ovviamente tutte queste misure si devono basare su un quadro comunitario.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − La proposta della Commissione, come migliorata dal relatore, prevede alcune modifiche alla precedente legislazione comunitaria nello specifico il regolamento n. 247 del 2006. Le modifiche principali riguardano l'introduzione, la proroga o l'adeguamento di alcune deroghe nei settori dello zucchero, del latte e del vino. Ritengo le modifiche proposte positive per le regioni ultraperiferiche interessate.

La situazione è molto difficile soprattutto in alcune zone che hanno risentito delle recenti crisi nei settori principali della loro economia (settore lattiero nelle Azzorre, barbabietola da zucchero, ecc.). Sarebbe pertanto opportuno incoraggiare una diversificazione delle attività economiche. Tuttavia, per incoraggiare tale diversificazione è necessario offrire ai produttori e ai trasformatori una prospettiva di lungo termine e consentire agli operatori economici di raggiungere un livello adeguato di attività industriale e commerciale. In ragione dell'impianto posto dal relatore e degli emendamenti presentati dai colleghi nella Commissione competente esprimo il mio parere favorevole alla relazione.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) In qualità di relatore per parere della commissione per lo sviluppo rurale sulla relazione dell’onorevole Alves, sono soddisfatto per la strada che è stata imboccata al fine di intervenire in maniera più rapida e più efficace sulle quantità massime per l’esportazione dei prodotti soggetti agli accordi di approvvigionamento dalle regioni ultraperiferiche. Il quadro della relazione si basa sull’articolo 349 del trattato di Lisbona, in cui è previsto un aiuto per le regioni ultraperiferiche affinché possano superare le difficoltà permanenti dovute alla loro situazione geografica, alla topografia e al clima.

Le disposizioni di questo regolamento devono affrontare le esigenze specifiche di queste regioni e le realtà del mercato locale. Avevo in mente questo obiettivo quando ho stilato le mie proposte, che la Commissione europea si è impegnata a rivisitare nel corso della revisione generale del regolamento che sarà avviata entro il 2010.

Ho pensato anche alla salvaguardia del reddito dei produttori vinicoli di Madeira e delle Azzorre rispetto alle varietà ibride vietate dall’organizzazione comune del mercato del vino, consentendo loro di continuare a coltivare queste varietà per il consumo delle loro famiglie senza costringerli a sradicarle. Come speravo, il compromesso derivante dal dialogo a tre tra Parlamento, Commissione e Consiglio oggi è stato confermato dalla grande maggioranza del Parlamento.

 
  
  

Relazione Trüpel (A7-0134/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) La relazione Trüpel sul bilancio 2011 segna una nuova fase nella procedura di adozione del bilancio del Parlamento europeo. In marzo il Parlamento aveva adottato le linee guida per il 2011. Ora invece bisogna adottare le stime proposte, che derivano dai negoziati avvenuti tra la commissione per i bilanci e l’Ufficio di presidenza del Parlamento, l’organismo responsabile per la materia. Io sostengo la relazione, che segnatamente prevede l’adozione della seconda tranche dei 1 500 euro di aumento mensile per l’indennità di assistenza parlamentare, il finanziamento dei 18 nuovi deputati dall’insediamento, il miglioramento dei servizi di supporto per i deputati (dipartimenti politici, servizi di biblioteca) e l’aumento nel numero di visitatori che ciascun deputato può sponsorizzare finanziariamente, che passano da 100 a 110 all’anno. Queste disposizioni sono in linea con le nuove responsabilità dell’Assemblea previste dal trattato di Lisbona. D’ora in avanti, in qualità di colegislatori insieme ai ministri degli Stati membri su quasi tutte le competenze europee, i deputati devono avere accesso ad un’esperienza tecnica approfondita sulle materie legislative, ma devono anche informare i cittadini circa il loro lavoro, in particolare ricevendoli in Parlamento a Strasburgo o a Bruxelles.

 
  
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  Martin Ehrenhauser (NI), per iscritto. (DE) Ho votato contro la relazione dell’onorevole Trüpel. In tal modo protesto contro l’aumento dell’indennità di assistenza e contro l’aumento del numero di funzionari al Parlamento europeo. Prima infatti bisogna dimostrare che il trattato di Lisbona aumenterà il lavoro dei deputati europei.

Se così dovesse essere, però, la soluzione in questo periodo, in cui il debito nazionale è alle stelle, è da ricercare solamente nella maggiore efficienza, non nell’aumento della burocrazia. Il potenziare per innalzare l’efficienza in quest’Assemblea è enorme e sarebbe facile anche incrementare il rendimento con un organico più ridotto e con meno finanziamenti.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Come ho già evidenziato, ai sensi del trattato di Lisbona, aumenterà il numero di materie che il Parlamento deve affrontare mediante procedura legislativa ordinaria. Sono quindi necessari mezzi tecnici e logistici adeguati per svolgere il lavoro in maniera rapida ed efficiente.

In vista del futuro allargamento dell’Unione europea e della necessità di meglio informare l’opinione pubblica circa i lavori dell’Assemblea, è necessario stanziare fondi atti a consentire un lavoro efficiente nel 2011, in modo che l’intero processo legislativo dell’Unione non rallenti a causa della mancanza di risorse finanziarie in Parlamento.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) In linea con le politiche che sostengo, reputo importante l’adozione della politica del bilancio zero all’inizio di ogni mandato parlamentare. In questo modo il bilancio del Parlamento rispecchierà le esigenze reali e si innalzerà la trasparenza, la disciplina di bilancio e l’efficienza. Credo inoltre debba essere operata una distinzione tra costi fissi e costi variabili, con l’obbligo di giustificare questi ultimi mediante un’analisi costi/benefici. Siffatta analisi è importante per garantire risultati migliori e una migliore gestione delle risorse. All’Assemblea sono state assegnate nuove competenze con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona e con l’inclusione di 18 nuovi deputati, pertanto bisogna creare le condizioni per consentire loro di esercitare il proprio mandato in maniera appropriata ed efficiente. Sottolineo che l’eccellenza nell’attività legislativa deve essere la priorità principale del Parlamento. Quest’Aula deve avere le risorse necessarie per operare in maniera adeguata tanto più in questo periodo così impegnativo in cui le istituzioni comunitarie hanno un ruolo cruciale da svolgere per gli europei e per la società nel suo insieme.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Noi in qualità di verdi abbiamo votato a favore della relazione dell’onorevole Trüpel. Tutti gli emendamenti presentati sulla relazione sono stati bocciati. Le stime per il 2011 per il Parlamento europeo verranno quindi comunicate alla Commissione affinché siano incluse nella proposta di bilancio per il 2011. Per quanto riguarda l’aumento della seconda tranche dell’indennità di assistenza per l’anno prossimo, gli stanziamenti sono stati inseriti nella riserva e si attende il rendiconto finanziario dettagliato su tutti i costi connessi. Il Parlamento potrà ritornare sulla questione in sede di prima lettura del bilancio 2011 in settembre-ottobre. Per quanto concerne la prima tranche dell’aumento dell’indennità di assistenza per il 2010 si voterà domani nell’ambito della relazione Maňka sugli emendamenti al bilancio n. 1/2010. Ora siamo già nella procedura di bilancio e il voto decreterà il risultato definitivo.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto.(PL) Siamo riusciti ad abituarci al fatto che il bilancio del Parlamento europeo rispecchi i complessi compromessi tra l’Assemblea e le altre istituzioni comunitarie e anche – indirettamente – tra l’Unione europea e gli Stati membri.

Il prossimo esercizio potrebbe risultare particolarmente difficile su questo fronte, se guardiamo all’importanza e alla portata del lavoro che ci attende. Da un lato, il Parlamento deve adattarsi alle nuove condizioni che derivano dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona e dall’allargamento dell’UE alla Croazia – basti pensare ai 18 nuovi deputati, ai 68 posti aggiuntivi e ai 62 posti collegati all’adesione della Croazia. Dall’altro, il bilancio del Parlamento non aumenterà in maniera significativa rispetto a quello del 2010 (5,5 per cento), e quindi si pone il problema di conciliare questo dato con la nuova realtà. In tale contesto accolgo con favore la proposta, che viene ribadita in tutto il testo, di pianificare la spesa con prudenza.

Come l’autore del documento, reputo necessario rivedere il livello dei sussidi versati alle famiglie dei dipendenti, l’organico della biblioteca deve essere aumentato solo dopo un’attenta analisi delle esigenze dei deputati, bisogna garantire la sicurezza del personale del Parlamento tenendo un occhio sui costi e si deve agire sulla base del principio di apertura verso il cittadino. Il Parlamento rimane un’istituzione eccessivamente chiusa e, per quanto possibile, dobbiamo aumentare il finanziamento di progetti come la Casa della storia europea e le visite al Parlamento.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona si ampliano i poteri del Parlamento europeo, che ovviamente deve trovare nuovi fondi per soddisfare queste accresciute esigenze. Sullo sfondo di tale presupposto la stima per il bilancio 2011 segna un aumento del 5,8 per cento rispetto all’esercizio finanziario 2010 affinché l’Assemblea riesca a usare pienamente le proprie prerogative e a esercitarle.

Il bilancio per il 2011 passerà a 1 710 574 354 euro, di cui il 20, 32 per cento è rappresentato dalla rubrica 5 (spese amministrative) in modo da consentire che gli obiettivi politici si concilino con i rispettivi finanziamenti. Questa proposta di bilancio prevede disposizioni sulla rappresentanza della Croazia, fondi supplementari per i servizi di assistenza dei deputati, un maggior numero di posti e un aumento nel numero annuale dei visitatori che i deputati possono invitare, la riduzione dell’impronta di carbonio del Parlamento e il finanziamento della Casa della storia europea e del centro visite.

La relazione delinea un bilancio sensato, improntato alla politica di sostenibilità del Parlamento, e al contempo segue un approccio rigoroso sull’uso effettivo delle risorse disponibili.

 
  
  

Relazione Ashworth (A7-0051/2010)

 
  
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  William (The Earl of) Dartmouth (EFD), per iscritto. (EN) Abbiamo votato contro questa relazione in linea con principi dell’UKIP, in quanto sosteniamo la legislazione solo laddove limita il potere dell’Unione europea o lo restituisce agli Stati nazionali. Gli emendamenti che a nostro parere arrecavano un pregiudizio ingiustificato agli agricoltori britannici non sono passati, come non sono passati gli emendamenti atti a espandere il controllo comunitario in questo settore. L’UKIP continuerà a difendere gli interessi degli agricoltori britannici contro l’interferenza dell’UE, poiché il comparto agricolo britannico è perfettamente in grado di gestirsi autonomamente e ottempera già a standard elevati sia sul versante della qualità sia su quello della sicurezza. L’UKIP non vuole che i contribuenti britannici siano costretti a sovvenzionare aziende agricole site in altre parti d’Europa, che competono con i nostri stessi agricoltori. L’UKIP reputa che il commercio nei prodotti agricoli debba essere disciplinato dalle norme dell’OMC.

 
  
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  Liam Aylward (ALDE), per iscritto.(GA) Il fardello amministrativo che grava sugli agricoltori deve essere ridotto e deve essere tagliata l’eccessiva burocrazia che spesso appesantisce l’agricoltura. Gli agricoltori devono essere liberi di dedicarsi al loro compito primario, ossia le produzioni di qualità elevata.

Ho votato a favore delle disposizioni contenute nella relazione volte a rimuovere l’attuale duplicazione e a innalzare la flessibilità. Convengo anche con quanto afferma la relazione in tema di normativa del settore. Infatti la legislazione deve essere proporzionale all’obiettivo e nessuna normativa deve essere varata prima di compiere una valutazione sul suo impatto rispetto ai potenziali costi finanziari. Bisogna tagliare l’eccesso di burocrazia, se vogliamo avere un settore agricolo efficiente e competitivo in Europa.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore di questo documento dal momento che lo ritengo necessario per proseguire nell’opera di semplificazione delle normative e delle disposizioni in materia di politica agricola comune che era stata avviata nel 2005. Gli agricoltori e gli altri operatori economici del comparto agricolo devono essere liberati dalla burocrazia e dagli obblighi che non sono strumentali al raggiungimento degli obiettivi politici, garantendo parallelamente la gestione appropriata del denaro dei contribuenti. La semplificazione della PAC è essenziale per rendere più competitivo il settore agricolo, per preservare e favorire l’occupazione e contribuire a un solido sviluppo delle zone rurali. In alcuni Stati membri è stato rilevato un gran numero di errori, il che provoca dei ritardi nell’erogazione dell’assistenza agli agricoltori. Gli Stati membri devono quindi approntare dei sistemi semplici, chiari e trasparenti per i potenziali beneficiari. Pertanto chiedo alla Commissione di includere la questione nelle discussioni bilaterali con gli Stati membri.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − A tre anni dalla riforma della PAC, ci poniamo opportunamente il problema di come adeguare la nostra politica agricola alle sfide del presente. La relazione di iniziativa offre suggerimenti utili e condivisibili per raggiungere l’obiettivo di un’agricoltura che unisca qualità e competitività. Dobbiamo accogliere positivamente lo spirito di questa relazione, perché con questa il Parlamento chiede che nel 2013 la nuova PAC nasca all’insegna della semplificazione burocratica per gli agricoltori. Ogni misura che snellisca le procedure e gli oneri amministrativi che gravano sui produttori agricoli -non meno che sulle amministrazioni pubbliche interessate- e che non comprometta gli standard qualitativi della produzione è auspicabile. Una relazione come quella che stiamo votando, attenta alle necessità degli agricoltori e al loro bisogno di non essere ostacolati nell’attività da oneri burocratici eccessivi, sarà senz’altro utile contributo al processo di riforma della Politica Agricola comunitaria, che per ovvie ragioni si prospetta complesso e molto delicato per il futuro dell’economia europea e per la salvaguardia delle innumerevoli produzioni tradizionali dei nostri territori. Voto pertanto favorevolmente alla relazione.

 
  
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  Vito Bonsignore (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, da sempre il gruppo PPE ha a cuore il mondo agricolo, che consideriamo un settore fondamentale dell'economia europea. Tuttavia, i nostri agricoltori sono da troppo tempo oberati di oneri burocratici e amministrativi: è tempo di alleggerire il loro fardello.

Sono, infatti, convinto che una semplificazione delle procedure burocratiche da adottare con la riforma della PAC dal 2013 sia non solo auspicabile, ma anche necessaria. Ritengo perciò opportuno applicare regole più semplici per l'identificazione elettronica degli animali e creare una linea di assistenza telefonica in ogni Stato membro dell'UE per un miglior accesso all'informazione. È inoltre essenziale ristabilire un rapporto di fiducia tra autorità e agricoltori.

Questi ultimi, inoltre, non devono più trascorrere le loro giornate a compilare moduli e dichiarazioni, ma a coltivare i loro campi fornendo così prodotti agricoli migliori e conformi a standard più elevati. Ho votato, dunque, a favore tali provvedimenti, che si iscrivono in quel processo di semplificazione burocratica, sostenuta con audacia dal mio gruppo parlamentare, che offre una risposta concreta in tempi di crisi.

 
  
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  David Campbell Bannerman (EFD), per iscritto. (EN) Abbiamo votato contro questa relazione in linea con principi dell’UKIP, in quanto sosteniamo la legislazione solo laddove limita il potere dell’Unione europea o lo restituisce agli Stati nazionali. Gli emendamenti che a nostro parere arrecavano un pregiudizio ingiustificato agli agricoltori britannici non sono passati, come non sono passati gli emendamenti atti a espandere il controllo comunitario in questo settore. L’UKIP continuerà a difendere gli interessi degli agricoltori britannici contro l’interferenza dell’UE, poiché il comparto agricolo britannico è perfettamente in grado di gestirsi autonomamente e ottempera già a standard elevati sia sul versante della qualità sia su quello della sicurezza. L’UKIP si oppone al fatto che la PAC storicamente sia stata usata in maniera indebita (si pensi ai vigneti fantasma) o per ingrassare il reddito di taluni politici dei paesi dell’UE che hanno “tenute agricole”. L’UKIP inoltre obietta all’obbligo di sovvenzionare aziende agricole site in altre parti d’Europa, che competono con i nostri stessi agricoltori. L’UKIP reputa che il commercio nei prodotti agricoli debba essere disciplinato dalle norme dell’OMC.

 
  
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  Derek Roland Clark (EFD), per iscritto. (EN) L’UKIP ha votato contro la relazione sulla semplificazione della PAC, poiché – seppur l’attuazione della relazione renderebbe più comprensibile, trasparente e praticabile questa politica, contribuendo a innalzarne la flessibilità per quanto concerne le condizioni di pagamento e rendendola più accessibile agli agricoltori – altrimenti si rischia di mantenerla ed estenderla per un’altra generazione! L’UKIP pertanto ha votato contro l’intera risoluzione, soprattutto perché è priva di qualsiasi impatto legislativo.

 
  
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  Lara Comi (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione sulla semplificazione della politica agricola comune e mi congratulo con l'on. Ashworth e i relatori ombra per l'ottimo lavoro svolto. È necessario agire per semplificare le procedure e i requisiti burocratici imposti sulle aziende, così da ridurre i loro costi aumentando, allo stesso tempo, la loro competitività e la certezza del diritto. Spesso dimentichiamo che, sebbene producano un bene di prima necessità, anche le imprese agricole sono aziende la cui competitività risente di una burocrazia eccessiva.

È proprio per questo motivo che trovo importante una relazione come questa, che sottolinea i problemi che sorgono per via di condizionalità, o procedure, troppo complicate, proponendo anche soluzioni per semplificare e migliorare quello che rimane il programma più importante della nostra Unione, se non altro in termini finanziari. Credo che il Parlamento, votando in favore di questa relazione, abbia fatto un altro passo in avanti verso una PAC più moderna, efficiente, meno costosa, ma sopratutto in grado di garantire i bisogni alimentari europei non solo oggi ma anche negli anni a venire.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. (RO) Gli agricoltori hanno sempre sostenuto ardentemente e strenuamente l’integrazione dell’Unione europea. Essi credono fermamente che la PAC sia una politica comune nel vero senso della parola. In un mondo globalizzato l’Unione europea, con il suo mercato comune, deve quindi intraprendere un’azione uniforme per garantire la sicurezza nell’approvvigionamento alimentare e per promuovere le risorse rinnovabili. Essa inoltre deve contrastare il cambiamento climatico e intensificare i propri sforzi di ricerca per sfruttare al meglio le opportunità che questo settore può offrire.

I potenziali tagli alla PAC provocherebbero considerevoli tensioni sociali ed economiche, impedendo all’agricoltura di affrontare le sfide del futuro. Dobbiamo comprendere che il reddito degli agricoltori dipende dai pagamenti diretti, anche se tali finanziamenti non assicurano agli agricoltori un tenore di vita decoroso. Il reddito agricolo medio nell’UE, includendo anche i pagamenti diretti, è solamente la metà della retribuzione media negli altri settori economici.

Se saranno ridotti i pagamenti diretti nell’ambito del primo pilastro della PAC, le conseguenze sarebbero devastanti non solo per gli agricoltori, ma per le aree rurali in genere, per i servizi pubblici collegati alla produzione agricola, per i consumatori e per la società che trae beneficio da siffatti pagamenti. I pagamenti diretti pertanto sono fondamentali e devono essere mantenuti.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) In linea generale ho votato a favore degli sforzi profusi per semplificare la politica agricola comune (PAC). Questa semplificazione arrecherà beneficio agli agricoltori, consentendo loro di concentrarsi sulla produzione di alimenti sicuri e di qualità, e alle autorità comunitarie, in quanto verranno ridotte le formalità burocratiche correlate all’attuazione della politica.

La PAC riveste un’importanza fondamentale per l’Unione europea, poiché garantisce la produzione di alimenti sicuri ed è volta a preservare l’ambiente e le aree rurali in modo da attuare uno sviluppo debitamente sostenibile. La semplificazione deve quindi implicare una maggiore responsabilità per tutti gli attori coinvolti.

Pertanto mi preme sottolineare la necessità di trasformare la PAC in uno strumento più semplice, più giusto e più trasparente. Prima di tutto evidenzio la proposta di creare un sistema uniforme di identificazione animale. Siffatto sistema deve includere la possibilità di autocertificazione, la riduzione delle quote di ispezioni a livelli inferiori rispetto a quelli attuali e la questione della tracciabilità della carne ovina e caprina. Nella fattispecie mi riferisco alla proposta sull’identificazione delle greggi per gli animali vivi. Infine nella necessaria riforma della PAC si dovrà operare una distinzione riguardo al sostegno erogato ai singoli agricoltori o alle cooperative agricole in modo da lasciare le grandi società agroalimentari alla mercé dei mercati.

 
  
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  Robert Dušek (S&D), per iscritto.(CS) La relazione proposta sulla semplificazione della politica agricola comune rappresenta un ulteriore passo per rendere più semplice e più efficiente la PAC. Ovviamente resta ancora molto da fare per stimolare la competitività dell’agricoltura europea, mantenere e creare occupazione e sostenere lo sviluppo naturale delle aree rurali. In tale contesto mi preme mettere in luce la questione dei pagamenti diretti nelle regioni di frontiera, dove si riscontra una concorrenza sleale e discriminazioni dovute al luogo di registrazione delle aziende agricole.

Nelle regioni confinanti con gli Stati membri in cui vi sono diversi livelli di prezzi, pare che alcune aziende agricole abbiano intrapreso un’azione economica massiccia proprio sulla base di queste differenze di prezzo. Un’azienda agricola che ottiene prezzi più elevati nel suo paese d’origine può operare in un altro paese (con prezzi diretti più bassi) con costi di produzione più bassi, realizzando vendite record oltrefrontiera. In questo modo le aziende agricole che ottengono prezzi più bassi nel proprio paese d’origine subiscono delle discriminazioni e sono svantaggiate sul piano economico sul mercato locale, mentre le aziende agricole degli Stati membri che hanno prezzi diretti più elevati si accaparrano un vantaggio economico sul mercato grazie alle politiche comunitarie. Per tali ragioni è necessario tenere conto delle implicazioni del prezzo nella riforma della PAC, ossia bisogna raffrontare il luogo di produzione con il luogo in cui vengono praticati i prezzi diretti. Mediante questo regolamento contribuiamo anche a creare un mercato nuovo e giusto per l’agricoltura. Sono a favore della relazione presentata.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione, poiché ritengo che la semplificazione della politica agricola comune sia fondamentale per la competitività dell’agricoltura comunitaria, per preservare l’occupazione e per lo sviluppo sostenibile delle zone rurali in Europa. Le norme sui controlli devono essere semplificate e rese più accessibili agli agricoltori, fornendo loro aiuto e consulenza mediante organismi nazionali, al fine di garantire che la qualità dei prodotti agricoli europei non comporti fardelli ingiustificati e difficoltà ulteriori per gli attori impegnati nell’attività agricola.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) La semplificazione della legislazione è un obiettivo essenziale per avvicinare l’opinione pubblica all’Europa. Sono necessarie politiche più semplici e comprensibili per chi non ha una conoscenza perfetta del codice comunitario e non parla il “comunitarese”. Per tale ragione una politica fondamentale e permanente come la politica agricola comune (PAC) deve essere compresa dai suoi principali beneficiari, ovverossia gli agricoltori europei.

Il relatore ha assolutamente ragione quando afferma che “una nuova PAC dovrebbe consentire agli agricoltori di concentrarsi sull’obiettivo centrale di fornire derrate alimentari sicure, di qualità e tracciabili, sostenendoli allo stesso tempo nella fornitura di beni pubblici non commerciali”. Spero che la nuova PAC sia più semplice, più trasparente e più giusta, che sia meglio mirata alle necessità degli agricoltori e del mercato e che le procedure previste siano più rapide e meno burocratiche, ma al contempo sicure ed efficaci. La certezza giuridica non richiede complessità o lungaggini, anzi presuppone semplicità ed efficacia. Ed è proprio questo che vogliamo per la nuova PAC.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La politica agricola comune (PAC), da un lato, deve assicurare un approvvigionamento adeguato di alimenti sicuri e, dall’altro, deve rispondere a sfide quali la conservazione delle zone rurali, delle regioni montane, delle aree svantaggiate nonché della multifunzionalità dell’agricoltura europea. L’armonizzazione della legislazione deve essere accompagnata dall’eliminazione degli elementi superflui. Si spera quindi che l’obiettivo di ridurre la burocrazia del 25 per cento sia conseguito prima del 2012. La PAC deve essere semplificata, in quanto è destinata a rendere la nostra economia agricola più competitiva, preservando e creando occupazione e favorendo lo sviluppo sostenibile delle zone rurali. La semplificazione della PAC deve prima di tutto recare un beneficio agli agricoltori e non solo alle autorità nazionali e agli organismi preposti al pagamento negli Stati membri. Gli agricoltori devono avere accesso a sistemi consoni, atti a consentire di presentare le domande in maniera agevole, senza burocrazia superflua, nel luogo in cui vivono. Questa semplificazione deve andare di pari passo con la semplificazione dell’attuazione e gli Stati membri devono ridurre al minimo le formalità burocratiche che i beneficiari devono espletare, soprattutto in tema di sviluppo rurale. Occorre una maggiore flessibilità, quindi chiediamo che siano autorizzati accordi di pagamento più flessibili anche prima del completamento di tutti i controlli.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Questa relazione ha aspetti positivi. Innanzi tutto la semplificazione della politica agricola comune (PAC) non deve implicare una diminuzione negli aiuti agli agricoltori e lo smantellamento degli strumenti tradizionali per la gestione dei mercati. Occorre poi ritoccare le sanzioni, specialmente quando riguardano illeciti che non rientrano nella responsabilità del produttore. E’ necessario semplificare i processi di applicazione e sono particolarmente positivi gli emendamenti sull’identificazione animale, soprattutto per gli ovini e i caprini.

Tuttavia, l’approccio proposto dal relatore è ampiamente improntato al mercato, alla competitività, alla “riduzione del protezionismo eccessivo”, punta a procedere con la liberalizzazione, il che scatena le conseguenze disastrose che ben conosciamo. La relazione inoltre sostiene il modello attuale di distribuzione degli aiuti. Afferma che: “la distribuzione del pagamento unico aziendale dovrebbe garantire l’equità”, ma non propone misure specifiche per conseguire tale obiettivo.

Il testo indica che l’attuale definizione di attività agricola ai fini del pagamento unico deve essere rivista, ma non propone nulla per emendare il modello attuale in virtù del quale si paga la gente affinché non produca. In sintesi, nella relazione mancano proposte e misure atte a cambiare il modello vigente di PAC a cominciare dalla distribuzione degli aiuti (ma non solo).

 
  
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  Marian Harkin (ALDE), per iscritto. (EN) Convengo pienamente sul fatto che la PAC non debba comportare una diminuzione degli aiuti agli agricoltori e lo smantellamento degli strumenti tradizionali di gestione del mercato. Inoltre convengo con il rinvio dell’obbligo di apporre etichette elettroniche sugli ovini.

 
  
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  Jarosław Kalinowski (PPE), per iscritto.(PL) La semplificazione dei principi che definiscono il funzionamento della politica agricola comune riveste una grandissima importanza. La PAC infatti non dovrebbe ridursi solamente alla distribuzione dei soldi. Personalmente vorrei che fossero stanziate più risorse ai singoli investitori agricoli, i quali sarebbero meglio in grado di modernizzare le aziende agricole e incrementare la produzione. Tuttavia, l’aumento dei finanziamenti per i pagamenti diretti, a mio parere, va ad alimentare la povertà nelle regioni più arretrate, in quanto tali fondi finiscono nelle tasche di beneficiari che in realtà non hanno nulla a che fare con l’agricoltura, ostacolando la ristrutturazione del comparto. Solo sovvenzionando i “veri” agricoltori – che producono alimenti sani e di prodotti di alta qualità – possiamo garantire sicurezza in quest’area d’Europa e nel mondo.

 
  
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  Cornelis de Jong, Kartika Tamara Liotard ed Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Abbiamo votato contro la relazione Ashworth sulla semplificazione della PAC (A7-0051/2010) in ragione del paragrafo 12. Gli agricoltori non hanno bisogno di altro sostegno comunitario diretto, ma vogliono prezzi più giusti per i loro prodotti.

Tuttavia, condividiamo l’essenza della relazione. La PAC è eccessivamente complicata e ingiustificatamente pesante per gli agricoltori, per gli Stati membri e per i governi e le autorità decentralizzate. Bisogna assolutamente attenuare questo carico amministrativo e ridurre la burocrazia, specialmente nell’attuale periodo di crisi.

Inoltre agli agricoltori che hanno commesso violazioni per errori involontari o per errori riconducibili a fattori che esulano dal loro controllo e che per questo vengono multati devono avere la possibilità di apportare delle correzioni. Inoltre deve essere incrementata la trasparenza in merito a siffatte sanzioni.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) La politica agricola comune rappresenta un elemento essenziale dell’Unione europea sia per l’approvvigionamento alimentare per i cittadini che per la conservazione e la protezione delle regioni montane e delle aree rurali nonché delle regioni ultraperiferiche o svantaggiate. Ho votato a favore della relazione, poiché sostengo la necessità di semplificare la PAC. Essa infatti deve essere orientata ai risultati e deve offrire una maggiore capacità di reazione. Credo inoltre che sia necessaria una cooperazione più stretta tra gli Stati membri e le autorità locali per lo scambio di buone prassi. Al contempo gli agricoltori devono essere tenuti ben informati e devono avere una maggiore assistenza da parte delle autorità.

 
  
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  Erminia Mazzoni (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'agricoltura è una delle principali risorse del territorio europeo, ma è anche il settore più vessato dalla pesante impalcatura burocratica dell'Unione. Non va sottaciuta, peraltro, l'incidenza dei fattori climatici e ambientali, che, per loro natura, sono difficilmente predeterminabili e che per i mutamenti globali in atto impegnano il mondo agricolo ad affrontare nuove e impegnative sfide.

In tale contesto, il Parlamento europeo ritiene indispensabile tener presente che l'obiettivo di una riduzione del 25 per cento degli oneri amministrativi, prevista nel programma varato nel 2003, risulta insufficiente e anche poco ambizioso, considerato che lo stesso probabilmente verrà raggiunto prima della data fissata del 2012, nonché indicare alla Commissione e al Consiglio alcuni interventi urgenti per ridurre ulteriormente gli oneri che gravano sugli agricoltori.

Le proposte contenute nella risoluzione parlamentare hanno peraltro l'ambizione di anticipare la riconsiderazione della PAC alla luce della strategia EU 2020, passaggio indispensabile a garantire la crescita del settore, e a salvaguardare il mantenimento della dotazione finanziaria dello stesso, in previsione della prevedibile erosione delle risorse UE che si verificherà dal 2013.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Questa relazione ha il merito di mettere in luce che il servizio pubblico garantisce da solo l’indipendenza e l’imparzialità delle ispezioni, sottolineando l’idea che l’agricoltura è un bene pubblico. Anche l’accento sulla tracciabilità dei prodotti alimentari è importante, mentre un’etichettatura chiara sull’impronta ambientale probabilmente apporterà una maggiore sensibilizzazione tra tutti i cittadini (produttori e consumatori) circa l’importanza della rilocazione e della qualità ambientale dei prodotti agricoli.

Il testo inoltre mostra una grande determinazione in merito alla semplificazione delle norme amministrative della politica agricola comune. Tuttavia, il fatto che la PAC sia considerata solamente dal punto di vista della competitività e del neoliberalismo, innestandosi sulla scia delle politiche attuate dall’Unione europea negli ultimi anni, mi impedisce di votare a favore del testo. Pertanto mi astengo in segno di buona volontà per i progressi compiuti e per le intenzioni dimostrate.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) E’ essenziale semplificare la politica agricola comune, se vogliamo conseguire l’obiettivo di ridurre le procedure amministrative del 25 per cento nel comparto agricolo entro il 2010. La burocrazia rappresenta un serio impedimento per gli agricoltori, i quali devono trascurare le attività quotidiane nei campi, sprecando tantissimo tempo per espletare le procedure burocratiche. Inoltre i nuovi emendamenti comportano altresì una riduzione di centinaia di milioni di euro nel carico amministrativo che grava sugli agricoltori, conseguendo benefici palpabili, soprattutto se consideriamo la difficile situazione economica che essi stanno attraversando. La semplificazione delle norme e dei meccanismi di controllo è essenziale per gli agricoltori, i quali devono garantire l’approvvigionamento alimentare a 500 milioni di persone a prezzi ragionevoli. Sono queste le ragioni che hanno giustificato il mio voto.

 
  
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  Rareş-Lucian Niculescu (PPE), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della relazione, la quale contiene disposizioni importanti volte a eliminare la burocrazia che grava sugli agricoltori europei, sopratutto in un momento in cui l’agricoltura risente pesantemente degli effetti della crisi economica. Ringrazio i colleghi che hanno votato a favore degli emendamenti che avevo presentato, mantenendo quindi il testo già approvato in seno alla commissione.

Mi riferisco principalmente all’emendamento n. 49 sull’elevato numero di errori che è stato registrato nelle domande di pagamenti diretti in alcuni Stati membri, il che denota anche che questi errori sono imputabili principalmente all’attrezzatura ortofotografica usata piuttosto che agli agricoltori. Mi riferisco inoltre all’emendamento n. 65 sul differimento dell’obbligo di identificazione elettronica degli ovini e dei caprini a partire dal 2010 in ragione del costo eccessivo in concomitanza con l’attuale crisi economica.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Signora Presidente, onorevoli colleghi, la proposta per la semplificazione della PAC si inquadra nel più ampio processo di snellimento delle procedure burocratiche, da tempo avviato dalle amministrazioni dei diversi Stati membri dell'UE, per garantire ai cittadini servizi più rapidi e più accessibili.

Anche per il settore agricolo, tale azione di riforma si impone necessaria per dare agli agricoltori la possibilità di risparmiare tempo e denaro per accedere ai benefici previsti dal sistema della condizionalità e dei pagamenti diretti nonché di quanto attiene ad alcuni aspetti dello sviluppo rurale e ai metodi di identificazione degli animali allevati.

Nella fase attuale, nella quale il dibattito per la PAC post 2013 è ormai avviato, tale proposta di semplificazione rappresenta il banco di prova attraverso il quale evidenziare opportunità e minacce su cui costruire una proposta per l'agricoltura europea del futuro. In ragione di quanto sopra esposto, ho espresso il mio voto favorevole alla relazione.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) La relazione sulla semplificazione della politica agricola comune (PAC) analizza una questione che suscita grandi preoccupazioni presso gli agricoltori, ossia i principali beneficiari, e anche tra l’opinione pubblica in generale, che trova difficile capire questa politica a causa della complessità dei suoi meccanismi. Tutti riconoscono che le misure di semplificazione sono necessarie e urgenti. E’ essenziale, però, che esse abbiano un impatto diretto sugli agricoltori e non solo sull’amministrazione dei singoli Stati membri, come è spesso accaduto. L’eliminazione degli strumenti di gestione del mercato inoltre non può essere indicata come uno dei mezzi di semplificazione.

Nella semplificazione bisogna eliminare le discriminazioni nel regime del pagamento unico nei vari Stati membri. Sussistono infatti dei problemi derivanti dall’inefficienza delle amministrazioni nazionali in merito ai controlli, ai termini, ai versamenti, eccetera. Se queste discriminazioni saranno ovviate, eviteremo di avere una PAC a velocità diverse che favorirebbe le disuguaglianze tra gli agricoltori dei vari Stati membri.

 
  
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  Daciana Octavia Sârbu (S&D), per iscritto. (RO) Ho votato a favore della relazione Ashworth sulla semplificazione della politica agricola comune affinché sia anche più facile da capire per gli agricoltori. L’amministrazione della PAC è spesso troppo complicata. Di conseguenza, è di fondamentale importanza semplificarla a beneficio dell’intero comparto agricolo, agevolando quindi anche la vita degli agricoltori. Le norme proposte dalla Commissione europea in molti casi sono estremamente difficili da attuare ed è tanta la burocrazia negli Stati membri nell’applicazione della legislazione agricola. In particolare, la normativa sull’identificazione animale deve essere rivista in modo da renderla più flessibile e meno burocratica. Le disposizioni vigenti in questo settore infatti sono eccessivamente rigide e spesso controproducenti.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) La semplificazione della politica agricola comune (PAC) è cruciale per rendere l’economia agricola europea più competitiva, preservare e favorire l’occupazione e contribuire allo sviluppo delle zone rurali. A mio giudizio è essenziale che la Commissione cerchi di eliminare gli ostacoli burocratici superflui, proponendo nuove normative per questo settore.

Più semplice è la legislazione, più è facile da comprendere per le parti interessate, ossia gli agricoltori, le autorità nazionali e regionali o gli organismi preposti al controllo sull’uso dei fondi. Allo stesso modo, meno tempo richiede la preparazione delle domande, minore è la possibilità di errore. Anche i costi dei controlli sui finanziamenti sono destinati a diminuire.

La semplificazione è necessaria anche in tema di controlli sulle modalità di utilizzo dei fondi e le revisioni contabili esterne, a mio parere, rappresentano la soluzione più efficiente. Le sanzioni devono essere applicate in modo tale da essere trasparenti e proporzionali e devono anche tener conto delle dimensioni dell’azienda agricola e della situazione locale, soprattutto in regioni ultraperiferiche come Madeira. Ho votato a favore di questa relazione oggi, poiché essa cerca di affrontare queste tematiche. Ora dobbiamo assicurare un migliore coordinamento tra la politica agricola e la politica di coesione nell’ambito del riesame generale della PAC.

 
  
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  Artur Zasada (PPE), per iscritto.(PL) Approvando questo documento, abbiamo espresso la nostra determinazione a semplificare la politica agricola comune. Siffatto processo è essenziale per garantire il giusto livello di competitività nel settore agricolo europeo. E’ ovvio che armonizzando le normative, riducendo le procedure burocratiche e abbassando i costi, abbiamo la possibilità di avere una politica agricola comune più semplice, più giusta e più comprensibile. Tuttavia, va ricordato che i beneficiari principali di queste semplificazioni non devono essere solo le autorità e gli organismi nazionali, che gestiscono il comparto agricolo, ma anche e prima di tutto gli agricoltori che sono schiacciati dalle normative.

 
  
  

Relazione Rühle (A7-0151/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) La relazione presentata dall’onorevole Rühle è una relazione d’iniziativa volta ad analizzare le modalità di miglioramento delle procedure degli appalti pubblici in Europa, al fine di raggiungere un quadro giuridico più stabile e trasparente. Difatti, l’applicazione non corretta delle regole previste per gli appalti pubblici rappresenta una delle più frequenti cause di errori nell’erogazione dei Fondi strutturali europei. Concordo con gli argomenti principali della relazione d’iniziativa: la richiesta di un migliore coordinamento delle procedure degli appalti pubblici all’interno delle diverse direzioni della Commissione europea, nonché l’ammissione del mancato raggiungimento, ovvero del raggiungimento solo parziale, degli obiettivi prefissati dalla revisione del 2004 delle direttive sugli appalti pubblici (maggiore chiarezza delle regole e certezza del diritto). Inoltre, approvo la posizione di questa relazione in merito al fatto che sono le piccole e medie imprese a soffrire in particolare a causa della complessità di tali procedure, le quali talvolta impediscono la loro partecipazione alle gare d’appalto per mancanza delle risorse necessarie per il supporto legale. Pertanto, ho votato a favore di questa relazione e seguirò con attenzione l’attuazione delle direttive attualmente in vigore sugli appalti pubblici nei Paesi Membri e in particolar modo in Francia.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho dato il mio sostegno a questa relazione poiché per il mercato interno è particolarmente importante disporre di un sistema di appalti pubblici efficiente e trasparente, al fine di promuovere la concorrenza transfrontaliera e l’innovazione, e per ottimizzare i benefici per le istituzioni pubbliche. Non sono stati raggiunti gli obiettivi del processo di revisione delle direttive sugli appalti pubblici del 2004, specie per quanto concerne la semplificazione delle regole degli appalti e il potenziamento della certezza del diritto. La Corte di giustizia europea ha vagliato un numero sproporzionato di casi di violazioni nel settore degli appalti pubblici, il che dimostra come diversi Stati membri si siano battuti per il rispetto delle direttive sugli appalti pubblici. Per la prima volta, il trattato di Lisbona ingloba nel diritto primario dell’Unione europea il riconoscimento del diritto all’autogoverno a livello regionale e locale, consolidando il concetto di sussidiarietà. Poiché le norme che disciplinano gli appalti pubblici sono volte a garantire una sana ed efficiente gestione dei fondi pubblici, nonché a offrire alle imprese interessate la possibilità di concorrere agli appalti pubblici in un contesto improntato alla concorrenza leale, invito la Commissione a semplificare le procedure degli appalti pubblici, al fine di evitare sia alle autorità locali che alle imprese di destinare grandi quantità di tempo e denaro a semplici questioni burocratiche e di agevolare l’accesso a tali appalti da parte delle piccole e medie imprese, consentendo loro di partecipare in presenza di condizioni più paritarie ed eque.

 
  
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  Vilija Blinkevičiūtė (S&D), per iscritto (LT) Una parte rilevante dei fondi di bilancio degli Stati membri viene destinata agli appalti pubblici. Pertanto, concordo con la relatrice sul fatto che i fondi pubblici debbano essere gestiti in modo trasparente e sotto il controllo pubblico. Gli appalti pubblici devono essere assegnati in presenza di condizioni di trasparenza, riservando a tutti gli stakeholder un pari trattamento, e con il rapporto tra prezzo e prestazione del progetto quale criterio fondamentale, affinché l’appalto sia aggiudicato all’offerta migliore e non solo a quella più bassa. Per aumentare la trasparenza degli appalti pubblici, è necessario semplificare le procedure di tali appalti in modo da evitare sia alle autorità locali sia alle imprese di destinare grandi quantità di tempo e denaro a questioni meramente burocratiche. Inoltre, la semplificazione delle procedure agevolerà l’accesso a tali appalti da parte delle piccole e medie imprese, consentendo loro di partecipare in presenza di condizioni più paritarie ed eque. In virtù dei processi legati alla globalizzazione, è particolarmente importante che la Commissione si concentri sulle procedure per l’applicazione dei criteri sociali. Pertanto, sono di importanza fondamentale le linee guida e le altre forme di assistenza fornite alle autorità governative e ad altri enti pubblici, per una gestione sostenibile degli appalti.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Accolgo con favore questa risoluzione per la semplificazione delle regole degli appalti pubblici e per la promozione di una maggiore certezza del diritto. Le iniziative europee in materia di appalti pubblici richiedono un coordinamento a livello europeo al fine di evitare incongruenze e problemi legali. E’ altrettanto importante un chiarimento di natura giuridica delle condizioni in cui la legislazione in materia di appalti si possa applicare a forme istituzionalizzate di partenariato pubblico privato. Invito la Commissione a semplificare le procedure in modo da evitare sia alle autorità locali sia alle imprese di destinare grandi quantità di tempo e denaro a questioni meramente burocratiche. Inoltre, la semplificazione delle procedure agevolerà l’accesso a tali appalti da parte delle piccole e medie imprese, consentendo loro di partecipare in presenza di condizioni più paritarie ed eque. E’ necessario incoraggiare gli enti pubblici a fondare gli appalti su criteri ambientali, sociali e simili. Invito la Commissione a valutare l’utilizzo di appalti ecologici quale strumento di promozione dello sviluppo sostenibile.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Nel 2004 la Commissione ha effettuato una revisione delle direttive sugli appalti pubblici, allo scopo di semplificarne le procedure e di rendere gli appalti pubblici più trasparenti, efficienti e flessibili, oltre che meno burocraticizzati.

Come dice la relatrice, “Obiettivo principale degli appalti pubblici è l'acquisto economico e conveniente di beni e servizi per l'adempimento delle funzioni pubbliche. Il settore pubblico non è tuttavia un partecipante al mercato come gli altri, essendo investito di una particolare responsabilità, poiché gestisce denaro pubblico”.

Devo nuovamente costare come una legge complessa non è una legge che tuteli al meglio gli interessi delle parti in causa; anzi, nel caso degli appalti pubblici è vero il contrario. Tanto più questa è complessa, tanto meno saranno trasparenti e snelle le sue procedure, e tanto maggiori saranno le probabilità che si riesca a eludere la legge. Nei casi più gravi si verificheranno anche degli episodi di corruzione. Pertanto, è essenziale che nella revisione delle attuali direttive in materia di appalti pubblici si identifichino regole più semplici ed efficaci per la regolamentazione di un settore che rappresenta quasi il 16 per cento del prodotto interno lordo dell’Unione europea.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Il totale della spesa destinato agli appalti pubblici per la fornitura di beni e servizi nell’Unione europea ammonta a1 500 miliardi di euro, ossia, più del 16 per cento del prodotto interno lordo dell’Unione europea. Sullo sfondo dell’attuale crisi economica, le direttive sugli appalti pubblici non debbono rallentare o rendere più costosi i procedimenti per l’aggiudicazione degli appalti. Le imprese appaltatrici, specie le piccole e medie imprese, richiedono certezza del diritto e procedure snelle. Credo che la Commissione e gli Stati membri, unitamente agli enti regionali e locali, debbano procedere a una revisione di tutta la normativa che riguarda gli appalti pubblici al fine di renderla uniforme, semplificando l’intero quadro normativo degli appalti pubblici, allo scopo di ridurre il rischio di errori e aumentare l’efficienza nell’utilizzo dei Fondi strutturali. Dobbiamo tenere presente che l’inadeguato recepimento delle regole dell’UE in materia di appalti risulta in un cospicuo numero di irregolarità nell’attuazione dei progetti europei cofinanziati dai Fondi strutturali e dal Fondo di coesione. Credo che la Commissione debba prendere in considerazione la possibilità di continuare, anche dopo il 2010, a utilizzare procedure accelerate nell’ambito dei Fondi strutturali, affinché gli Stati membri non disperdano queste risorse.

 
  
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  Françoise Grossetête (PPE), per iscritto. (FR) Sebbene io sia favorevole all’obiettivo della relazione di invitare la Commissione a semplificare le procedure degli appalti pubblici in modo da evitare sia alle autorità locali sia alle imprese di destinare grandi quantità di tempo e denaro a semplici questioni burocratiche, mi rammarico della formulazione della seconda parte del paragrafo 9.

Ritengo che tale interpretazione di una decisione della Corte di giustizia europea, in base alla quale le autorità locali possono collaborare tra loro senza dover mai fare ricorso al mercato, costituisca una deviazione dal principio di neutralità. Ciò potrebbe rivelarsi deleterio per le imprese (a capitale pubblico o privato), le quali si vedono così negare qualunque possibilità di concorrere all’assegnazione di appalti per la fornitura di servizi pubblici di natura economica.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Questa relazione getta un po’ di luce sugli standard sociali e ambientali che dobbiamo integrare nelle gare d’appalto; inoltre, essa presenta delle raccomandazioni per agevolare l’accesso delle piccole e medie imprese ai mercati degli appalti pubblici. Tuttavia, la relazione presenta anche una lacuna, ovvero l’assenza al momento del riesame delle direttive sugli appalti pubblici di un riferimento esplicito alla necessità di adottare uno strumento giuridico che indichi la definizione e lo stato delle concessioni di servizi. Non possiamo accontentarci dell’attuale giurisprudenza della Corte di giustizia europea in materia di concessioni di servizi pubblici; l’esigenza di disporre di una direttiva quadro relativa ai servizi di interesse generale è molto sentita. I chiarimenti giuridici sono essenziali e per il bene comune. E’ per questa ragione che mi sono astenuto dalla votazione finale di questa relazione.

 
  
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  Małgorzata Handzlik (PPE), per iscritto.(PL) Il mercato interno degli appalti pubblici dell’Unione europea rappresenta circa il 15 per cento del suo prodotto interno lordo. Sono gli enti committenti a trarre vantaggio dall’apertura del mercato degli appalti pubblici, poiché dei mercati più ampi consentono maggiori margini di scelta e, di conseguenza, costi inferiori e una qualità più elevata. E’ estremamente importante stabilire come venga speso il denaro pubblico, specie ora che l’economia post crisi necessita di stimoli, in un momento in cui gli Stati membri lottano contro le difficoltà di bilancio. Come giustamente rilevato dalla relatrice, l’attuale legislazione è alquanto complicata e ciò rappresenta una sfida particolare per le autorità locali e regionali, nonché per le piccole e medie imprese. Inoltre, sono ancora attesi dei chiarimenti in merito a questioni che comprendono il partenariato pubblico privato, l’urbanistica e le concessioni di servizi.

Pertanto, concordo con i punti principali della relazione dell’onorevole Rühle, i quali dimostrano la necessità di una maggiore trasparenza nel settore degli appalti pubblici e non richiedono modifiche immediate alle direttive attualmente in vigore, ma invocano piuttosto un’analisi rigorosa dei problemi che i servizi della Commissione europea saranno chiamati ad affrontare.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. – (RO) Gli appalti pubblici rappresentano una parte rilevante del prodotto interno lordo dell’Unione europea. Il loro scopo consiste nell’acquisto di beni e servizi con il miglior rapporto qualità prezzo. Le direttive sugli appalti pubblici causano dei ritardi nella procedura di aggiudicazione degli appalti, li rendono più costosi ed erodono il margine d’azione degli enti pubblici committenti. Sfortunatamente, un numero sempre più alto di Stati membri riscontrano tali problematiche. E’ per questo motivo che ho votato a favore della relazione, poiché sono estremamente favorevole alla semplificazione e all’aggiornamento delle procedure. Sono necessarie leggi semplificate e omogenee in tutti gli Stati membri. In questo modo potremo eliminare gli errori e le incongruità attualmente esistenti tra i regolamenti applicati dagli Stati membri, nonché fare un uso più efficiente del denaro pubblico.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Gli appalti pubblici sono una questione estremamente delicata, da affrontare con grande serietà, poiché coinvolgono i fondi pubblici. Devono dunque essere trasparenti e completamente aperti al pubblico, in modo da non destare il minimo sospetto. Ciò detto, tali appalti debbono essere aggiudicati in base a condizioni di trasparenza, in cui tutte le parti godono di uguale trattamento e il rapporto tra prezzo e prestazione del progetto rappresenta il criterio fondamentale, affinché l’appalto sia assegnato alla migliore offerta complessiva, e non solo a quella più economica. Per questo motivo che ho votato in questo modo.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Gli appalti pubblici rappresentano il circa il 18 per cento del PIL comunitario, e quindi svolgono un ruolo fondamentale per il rilancio dell’economia e la ripresa dell’occupazione, con un impatto significativo anche sulle PMI, che spesso agiscono in qualità di ente subappaltatore.

Nel contesto attuale, nel quale l’interazione tra mercato interno e mercati internazionali è sempre più chiara, le compagnie europee corrono il grave pericolo di subire una concorrenza sleale da parte di aziende di paesi terzi (ad esempio la Cina) che godono di aiuti di Stato vietati alle imprese europee, e, non rispettando gli standard europei in materia di sicurezza e di diritti dei lavoratori, arrivando così a proporre costi decisamente più bassi e tempi di realizzazione più corti.

È necessaria un’azione coordinata a livello europeo per combattere questo fenomeno. Ricordo, in ultimo, l’importanza del rispetto del principio di reciprocità e proporzionalità. Ad esempio, le imprese cinesi hanno accesso al mercato europeo, senza che le imprese europee possano concorrere a gare di appalto in Cina. Plaudo al relatore per il lavoro svolto ed esprimo il mio voto favorevole.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – Sono molto lieto del fatto che l’emendamento proposto dal gruppo http://www.socialistsanddemocrats.eu/gpes/index.jsp?request_locale=IT" \t "_blank" sia stato respinto, consentendo al nostro gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea di votare a favore della relazione dell’onorevole Rühle.

 
  
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  Bernadette Vergnaud (S&D), per iscritto. (FR) Condanno la politica dello struzzo di coloro che ritengono che l’attuale giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di concessioni di servizi sia soddisfacente, sostenendo che non vi sia alcun bisogno di legiferare. Per anni i socialisti si sono battuti invocando delle direttive quadro che tutelassero i servizi di interesse generale e ora un’inversione di rotta è fuori questione. L’unica garanzia di lungo periodo per i servizi pubblici è rappresentata da una legislazione europea, non dalla giurisprudenza, per quanto questa possa essere ben fondata. Come possiamo costatare di fronte alle difficoltà del recepimento della direttiva sui servizi relativa ai servizi sociali, solo uno specifico quadro normativo può garantire la certezza del diritto e la qualità dei servizi. Le piccole e medie imprese e le autorità regionali e locali si aspettano chiarezza e certezza giuridica nell’aggiudicazione degli appalti pubblici, come ad esempio nel caso di quelli per l’edilizia popolare. Tuttavia, non abbiamo voluto votare contro questa relazione, la quale presenta degli elementi importanti che dobbiamo riuscire a integrare nelle procedure degli appalti, con particolare riferimento agli standard sociali e ambientali, alle raccomandazioni per l’agevolazione dell’accesso a tali appalti da parte delle piccole e medie imprese, e s una chiara richiesta di vigilanza in materia di partenariato pubblico privato.

 
  
  

Relazione Keller (A7-0140/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) E’ fondamentale che le politiche europee per lo sviluppo siano coerenti. Tuttavia, la relazione dell’onorevole Keller in alcuni punti risulta essere formulata in modo eccessivo, mentre in altri è piuttosto vaga. Dal canto mio, con grande chiarezza dico “sì” alla coerenza delle politiche europee e “no” all’ipotesi di mettere in dubbio gli impegni dell’Unione europea (e della Francia) nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio. La nostra agricoltura deve evolversi in modo graduale, rispondendo alle difficoltà in cui si imbattono i nostri agricoltori, i quali svolgono un ruolo cruciale, non solo nelle zone rurali, ma anche nelle nostre città. Per questa ragione ho votato contro questa relazione.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) L’Unione europea è il principale donatore di aiuti a livello mondiale. Infatti, quest’anno gli aiuti allo sviluppo rivolti ai paesi extraeuropei raggiungeranno un importo di 69 miliardi di euro, pari a un incremento del 20 per cento rispetto al 2008. L’Unione europea si è dimostrata coerente rispetto agli impegni assunti nei confronti delle istituzioni internazionali. Il conflitto esistente tra la politica europea per lo sviluppo e quelle per il commercio è un dato di fatto. Tuttavia, l’Unione europea si è impegnata affinché tutte le politiche europee che si ripercuotono sui paesi in via di sviluppo tengano conto degli obiettivi di sviluppo che sono stati stabiliti.

Contrariamente alle previsioni iniziali, la crisi economica sta colpendo in modo particolare i paesi poveri, molti dei quali partecipano a progetti di sviluppo gestiti con fondi europei. D’altro canto, le politiche per le esportazioni e per l’agricoltura dell’Unione europea in questi paesi hanno un effetto avverso sul loro sviluppo. Dobbiamo, dunque, ammettere un risultato poco gradito: l’Unione europea costruisce a livello macro, ma ha un impatto negativo a livello micro. In tali circostanze, gli obiettivi adottati con la risoluzione votata ieri, nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo, acquistano un’importanza enorme, e devono essere adottati da tutte le istituzioni dell’UE.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) Alla luce della crisi economica e umanitaria con cui deve confrontarsi il mondo intero in questo momento, è più urgente che mai che le politiche di aiuto allo sviluppo dell’Unione siano gestite in modo coerente e unitario, e in pieno raccordo con le altre politiche dell’UE in materia di commercio, ambiente, ecc. E'’ oramai chiaro che nonostante, l’impegno dell’Unione europea in materia di aiuti allo sviluppo, e il fatto che essa rappresenti il principale donatore di aiuti allo sviluppo a livello mondiale, non sempre esistono connessioni efficaci tra le sue politiche, e ciò va a scapito del raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio.

Siamo giustamente desiderosi di cambiare la situazione attuale. Dobbiamo esaminare l’aiuto pubblico allo sviluppo da una prospettiva di lungo periodo per mettere insieme le sinergie dei vari Stati membri, e per garantire una maggiore coerenza tra le politiche. Quest’ultimo obiettivo deve essere raggiunto poiché contribuirà a soddisfare le esigenze in materia di sviluppo dei più bisognosi. Da un punto di vista generale, sostengo questa relazione del Parlamento europeo e ritengo che sia fondamentale che gli attori europei facciano quanto in loro potere per la rimozione degli ostacoli allo sviluppo, per il conseguimento degli obiettivi del Millennio, per la lotta alla povertà e per garantire che i diritti umani, sociali economici e ambientali vengano effettivamente implementati nei paesi in via di sviluppo.

 
  
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  Anna Maria Corazza Bildt, Christofer Fjellner, Gunnar Hökmark e Anna Ibrisagic (PPE), per iscritto. – (SV) Ieri (18 maggio 2010) la delegazione dei Conservatori svedesi ha votato contro la relazione A7-0140/2010 sulla “coerenza delle politiche per lo sviluppo dell’Unione europea e il concetto di aiuto pubblico allo sviluppo +” [2009/2218(INI)]. La principale motivazione è che non siamo favorevoli alla proposta di introduzione di una tassa internazionale sulle transazioni. L’istituzione di una tassa Tobin andrebbe a scapito dei paesi in via di sviluppo e condurrebbe a una maggiore povertà. Tuttavia, desideriamo ricordare che esistono degli elementi nella relazione che sono in sintonia con il nostro pensiero, ad esempio il fatto che i sussidi alle esportazioni dell’Unione europea hanno avuto un effetto disastroso sulla sicurezza alimentare e sullo sviluppo di un settore agricolo sostenibile nei paesi meno ricchi.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Un miliardo e quattrocento milioni di persone al mondo sopravvivono con meno di un euro al giorno. L’Unione europea ha il dovere di combattere contro questa situazione e ciò richiede politiche più efficienti ed efficaci di cooperazione allo sviluppo e di assistenza. Gli obiettivi di aiuto pubblico allo sviluppo ancora non sono stati raggiunti in modo soddisfacente. Per affrontare l’emergenza sviluppo, chiediamo alla Commissione di definire con urgenza delle risorse innovative aggiuntive per lo sviluppo, quali una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali per la creazione di maggiori risorse in modo da superare le conseguenze peggiori della crisi. In modo analogo, gli Stati membri dovrebbero ribadire l’impegno assunto al vertice sugli Obiettivi del millennio di destinare lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo all’aiuto pubblico allo sviluppo nell’arco del prossimo decennio, tenuto conto delle capacità di ricezione e di buon governo dei paesi destinatari. Infine, la politica europea di sviluppo deve essere collegata alla regolamentazione flessibile dei movimenti di persone, beni e capitali dai paesi in via di sviluppo.

 
  
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  Lena Ek, Marit Paulsen, Olle Schmidt e Cecilia Wikström (ALDE), per iscritto. (SV) Sosteniamo lo scopo di questa relazione di rendere la politiche dell’Unione europea coerenti con l’obiettivo dell’UE di promuovere lo sviluppo in paesi a reddito basso e medio. Tuttavia, la relazione dell’onorevole Keller indica, ad esempio, che un mercato di servizi avanzato con chiare regole per la concorrenza costituisca un ostacolo al conseguimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio. Ne consegue che non siamo in grado di sostenere la relazione nel suo insieme. L’esistenza di regole fondamentali chiare è il presupposto rendere un’economia di mercato in grado di funzionare adeguatamente, e il commercio nel settore dei servizi rappresenta un elemento importante nello sviluppo delle economie nazionali.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) L’Unione europea spesso si imbatte nei paradossi che essa stessa ha contribuito a creare, nonché nelle incongruenze che le proprie politiche causano agli Stati membri e ai loro cittadini, oppure a paesi terzi e alle loro popolazioni. In quanto maggiore donatore di aiuti allo sviluppo del mondo, l’Unione europea e gli Stati membri debbono impegnarsi affinché la loro politica di aiuto allo sviluppo non sia solo efficiente ma anche lineare e coerente; cosa che non sempre si è verificata in passato. Tutti gli sforzi per incoraggiare tale coerenza e per tentare di tenere a mente le molteplici esigenze dei popoli che ricevono gli aiuti sono benvenuti. La politica commerciale non può esimersi dal perseguimento di questo obiettivo.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) L’argomento di questa relazione è molto pertinente, poiché sappiamo che le politiche e le azioni dell’Unione europea in diversi settori sono spesso in contrasto con gli obiettivi dichiarati in materia di “aiuti allo sviluppo”. Diversi aspetti significativi vengono giustamente sollevati, quali, ad esempio, la piaga della fame a livello mondiale; l’incongruenza e la mancanza di efficacia degli accordi in materia di pesca rispetto agli obiettivi dichiarati di cooperazione allo sviluppo; la denuncia degli effetti dei sussidi europei alle esportazioni; le critiche rivolte alla liberalizzazione dei servizi, all’introduzione di regole per la concorrenza e dei paradisi fiscali, alla fuoriuscita di capitali dai paesi in via di sviluppo verso i paesi dell’Unione europea provocati da politiche incoerenti, e agli aiuti esigui riservati all’agricoltura; infine l’invito a istituire una comunità di brevetti per i medicinali anti HIV e AIDS. Sfortunatamente, la relatrice stessa pecca di incoerenza, quando invoca l’ulteriore sviluppo di strumenti quali le zone di libero scambio e i cosiddetti accordi di partenariato economico, ignorando che questi costituiscono una minaccia per gli interessi dei paesi in via di sviluppo in diversi settori - come hanno rivelato le resistenze di molti di paesi alla loro firma, resistenze superate, in alcuni casi, da pressioni e ricatti vergognosi esercitati dall’Unione europea.

 
  
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  Georgios Papastamkos (PPE), per iscritto. (EL) Riconosco pienamente l’importanza di una politica europea di sviluppo e di aiuti ai paesi in via di sviluppo. Tuttavia, ho votato contro la relazione dell’onorevole Keller a causa della posizione, che ritengo del tutto inesatta, che assume in merito agli effetti dei sussidi alle esportazioni agricole dell’Unione europea sul settore agricolo dei paesi in via di sviluppo.

Inoltre, l’Unione europea è un mercato particolarmente aperto alle importazioni di prodotti provenienti dai paesi in via di sviluppo, come conseguenza di molte iniziative quali “Tutto tranne le armi”, e altri accordi che istituiscono regimi preferenziali. E’ da notare come l’impegno assunto dagli Stati membri dell’Organizzazione mondiale della sanità in occasione del vertice ministeriale di Hong Kong del 2005 riguardi l’eliminazione in parallelo dei sussidi alle esportazioni e l’imposizione di regole su tutti i provvedimenti per le esportazioni aventi un effetto competitivo equivalente.

 
  
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  Evelyn Regner (S&D), per iscritto. (DE) Ho votato a favore di questa relazione in quanto tengo in modo particolare che gli accordi internazionali di libero scambio comprendano standard sociali e ambientali legalmente vincolanti. Credo sia particolarmente importante che l’Unione europea non solo applichi all’interno dell’UE il principio dell’economia di mercato sociale, ma anche che lo esporti al di fuori dei suoi confini. I nostri partner degli accordi di libero scambio devono mantenere determinati standard, e credo che dovremmo interrompere le trattative con coloro che non li rispettino.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. – Ho votato con entusiasmo a favore della relazione dell’onorevole Keller sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo, e sono molto lieto che sia stata adottata con un voto di maggioranza. Deploro il voto contrario dei gruppi del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano) e dei Conservatori e Riformisti europei.

 
  
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  Alf Svensson (PPE) , per iscritto. – (SV) Nella votazione al Parlamento europeo ho votato contro la relazione “Coerenza delle politiche per lo sviluppo dell’Unione europea e il concetto di aiuto pubblico allo sviluppo +”. La gestione di una politica responsabile ed efficace per lo sviluppo dovrebbe essere al centro dell’attenzione del Parlamento europeo. Personalmente mi occupo quotidianamente proprio di questo, assieme a molti altri all’interno della commissione Sviluppo. E’ palesemente assurdo e del tutto irresponsabile che l’Unione europea, da un canto gestisca dei sussidi all’agricoltura che rendono i paesi in via di sviluppo meno in grado di competere, per poi, dall’altro, fornire aiuti volti a “rimediare ai danni” così arrecati. Il dibattito sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo dell’Unione europea è, dunque, importante e prezioso.

Tuttavia, questa relazione contiene anche alcuni elementi che non posso sostenere, come il paragrafo sull’imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie e l’utilizzo del termine alquanto vago “diritti ambientali”. Una buona parte della relazione approvata in seduta plenaria è estremamente valida e il mio voto contrario non deve quindi essere inteso come una mancata adesione alla politica sulla coerenza delle politiche europee per lo sviluppo. Al contrario, si tratta di una questione che mi sta molto a cuore e tengo molto affinché tutto si svolga nel migliore dei modi.

 
  
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  Marc Tarabella (S&D), per iscritto. (FR) Sono particolarmente lieto dell’adozione della relazione sulla coerenza delle politiche europee per lo sviluppo e il concetto di “aiuto pubblico allo sviluppo +”. Si tratta di una relazione eccellente, volta a ottenere maggiore rispetto per i paesi in via di sviluppo. Sono particolarmente lieto dell’adozione, con un’esigua maggioranza, del paragrafo 70, in cui si invita la Commissione a includere in modo sistematico degli standard sociali e ambientali legalmente vincolanti all’interno degli accordi commerciali negoziati dall’Unione europea. Si tratta di un passo importante verso un commercio più equo. L’Unione europea deve dare il buon esempio in questo settore.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Data l’attuale congiuntura economica mondiale, questa relazione è estremamente importante, poiché tenta di dare maggiore coerenza alle politiche europee in modo da raggiungere gli obiettivi prefissati, quali gli Obiettivi di sviluppo del millennio. L’Unione europea è il maggiore donatore di aiuti del mondo – i dati più recenti indicano circa 49 milioni di euro – e i suoi interventi pongono l’accento sia sui paesi sia sui loro cittadini. Pertanto, si tratta di una politica europea ad ampio raggio, che investe aspetti di tipo commerciale, sociale e ambientale.

In questa relazione si pone l’accento sulla promozione dell’accesso ai mercati europei da parte dei prodotti provenienti da questi paesi; ad esempio, lo sviluppo di strumenti europei per l’abbattimento di tariffe doganali. Tuttavia, desidero esprimere i miei timori relativamente ad alcune sue proposte, in quanto dobbiamo dire che queste potrebbero avere delle conseguenze per i produttori europei, in particolare per quelli che si trovano in zone geografiche che richiedono un’attenzione particolare. Gli aiuti allo sviluppo e lo sradicamento della povertà sono esigenze di grande importanza e che meritano il mio sostegno incondizionato. Tuttavia, credo che non si debbano prendere degli impegni che finiranno con il colpire gli interessi dei nostri cittadini. Non dobbiamo né dimenticare i nostri cittadini né, tantomeno, subordinare i loro interessi: abbiamo nei loro confronti degli obblighi speciali.

 
  
  

Relazione Ranner (A7-0130/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore di questa relazione di iniziativa che risponde all’analisi della Commissione delle sanzioni per le infrazioni gravi delle norme in materia sociale nel trasporto stradale. Attualmente esistono delle differenze tra gli Stati membri che hanno ripercussioni negative sulle condizioni di equità del funzionamento del mercato interno e della sicurezza stradale. La commissione parlamentare Trasporti e turismo propone, in tal senso, delle possibili soluzioni. In particolare, la relazione propone l’armonizzazione delle sanzioni mediante una categorizzazione comune delle ammende. La relazione invoca l’istituzione di un ente di coordinamento avente delle responsabilità per il miglioramento della collaborazione tra gli Stati membri nell’attuazione delle norme in materia sociale, nonché l’istituzione di organi di vigilanza. Infine, sottolinea la necessità di fornire alle imprese di autotrasporto e agli autisti adeguate informazioni sulle norme pertinenti in materia sociale e sulle sanzioni previste per le violazioni, utilizzando la carta stampata, le tecnologie dell’informazione e i sistemi di trasporti intelligenti.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) I sistemi sanzionatori degli Stati membri dell’Unione europea sono molto divergenti e, pertanto, la situazione legale delle operazioni di trasporti internazionali è diventata molto difficile da comprendere per le imprese e soprattutto per gli autisti. Le normative e la direttiva in materia di norme sociali attualmente in vigore nel trasporto stradale lasciano agli Stati membri un ampio margine di interpretazione, e ciò si traduce nell’incapacità di giungere a un recepimento uniforme all’interno delle leggi nazionali degli Stati membri. Il trattato di Lisbona offre una possibilità di ravvicinamento delle disposizioni delle leggi penali e di altre norme dei singoli Stati membri. Credo che la Commissione debba sfruttare tale opportunità per sviluppare e promuovere un’impostazione comune ai controlli e intraprendere i provvedimenti normativi necessari in modo da rimuovere gli ostacoli al mercato unico europeo e migliorare la sicurezza stradale. Per garantire l’attuazione più efficace possibile delle norme in material sociale nel trasporto stradale, la Commissione europea dovrebbe identificare un’interpretazione comune e vincolante del regolamento sulla guida e sui turni di riposo di cui gli enti nazionali dovrebbero tenere conto.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. (FR) Dal 2006, una norma europea obbliga tutte le imprese autotrasportatrici in Europa a rispettare gli stessi periodi di guida giornalieri e a effettuare gli stessi periodi di riposo, al fine di garantire la sicurezza sulle strade d’Europa. Sfortunatamente, le modalità di applicazione di queste norme sono lungi dall’essere ottimali: le sanzioni per le varie infrazioni sono completamente diverse nei vari Stati membri.

Pertanto, la sanzione comminate a un autista che superi i periodi di guida giornalieri di più di due ore è dieci volte maggiore in Spagna rispetto alla Grecia. In alcuni Stati membri è prevista la reclusione per le violazioni più gravi, mentre in altri viene solo ritirata la patente. Tale mancata armonizzazione mina l’efficacia del regolamento e provoca grande incertezza tra gli operatori del settore.

Ho votato a favore della relazione dell’onorevole Ranner, che invita la Commissione a proporre sanzioni minime e massime per le varie violazioni da applicare in modo uniforme negli Stati membri. Inoltre, la relazione richiede la pubblicazione di una brochure informativa, semplice e di facile accesso, per informare i camionisti dei rischi connessi alle infrazioni.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) I timori dell’Unione europea per l’assenza a livello nazionale di un sistema uniforme per la gestione delle sanzioni al codice della strada sono giustificati. L’applicazione di tali sanzioni – quanto meno di quelle non pecuniarie – a tutti gli automobilisti degli Stati membri diminuirebbe la confusione provata da molti autotrasportatori, o dai singoli autisti, a causa delle discrepanze esistenti a livello legislativo tra il paese d’origine e il paese terzo in cui si trovano a dover guidare.

D’altro canto, la Commissione europea e le commissioni parlamentari competenti hanno ragione quando dicono che è prematuro anche solo ventilare l’ipotesi di una standardizzazione delle sanzioni pecuniarie comminate per le violazioni del codice della strada. L’Unione europea presenta delle differenziazioni significative nella situazione economica delle imprese e delle popolazioni, facendo sì che le sanzioni imposte per la medesima violazione non possano essere uguali nei vari Stati membri. Tuttavia, la standardizzazione delle norme applicate al trasporto passeggeri porrebbe maggiori responsabilità a carico delle imprese di trasporti.

L’armonizzazione delle normative di tutti gli Stati membri e la loro rigida applicazione – senza rimettere a ciascun Stato membro la decisione su se adottare o meno le r europee – aumenterebbe la sicurezza sulle strade d’Europa.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Le violazioni costituiscono un serio problema nei trasporti stradali, in cui sorgono questioni rilevanti in materia di attraversamento delle frontiere. Pertanto, è importante che la Commissione tenga conto delle situazioni esistenti nei vari Stati membri, nonché di ciò che costituisce reato nei diversi ordinamenti giuridici nazionali, unitamente alle relative sanzioni e ammende. A tale proposito, la relatrice sostiene “che un sistema sanzionatorio efficace, equilibrato e dissuasivo deve necessariamente fondarsi su sanzioni chiare, trasparenti ed equiparabili tra gli Stati” e “invita gli Stati membri a individuare soluzioni legislative e pratiche per ridurre le talvolta notevoli differenze in termini di tipologia e di importo delle sanzioni”.

Tendo a concordare con l’importanza di un sistema penale efficace ed equilibrato e sul fatto che gli Stati membri debbano collaborare per ridurre le disparità nel trattamento delle violazioni del codice della strada. Mi è, invece, difficile accettare che a livello nazionale il legislatore debba perdere autorità in ambito penale per favorire l’armonizzazione a livello europeo relativamente alla natura delle sanzioni e al valore delle ammende.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La relazione preparata dalla Commissione europea riassume le tipologie di sanzioni esistenti negli Stati membri, e dimostra le differenze tra i sistemi adottati da ciascuno Stato membro in questo settore, concludendo che la situazione è insoddisfacente. Essa invita pertanto gli Stati membri ad applicare le norme sociali al trasporto stradale in modo armonizzato. La relatrice del Parlamento europeo propone di incrementare gli sforzi tesi verso un’armonizzazione in questo settore, in particolare per quanto concerne l’"interpretazione dell'applicazione delle norme in materia sociale" e delle sanzioni, mediante una "categorizzazione" e il tentativo di "realizzare il mercato interno dei trasporti e di accrescere la certezza del diritto".

La sicurezza stradale è, senza dubbio, una questione importante, come anche il miglioramento delle condizioni di lavoro nel settore dei trasporti stradali, inclusi i periodi di guida e di riposo. Vorremmo ribadire che tali obiettivi non sono necessariamente raggiunti mediante un’armonizzazione generica. L’armonizzazione è certamente necessaria ma deve essere ottenuta mediante progressi, e non abbassando il livello di tutti, com’è sempre successo nel tentativo di “realizzare un mercato interno”. E’ necessario accrescere la sicurezza stradale, così come migliorare le condizioni di lavoro del settore dei trasporti. Così facendo garantiremo una maggiore sicurezza sulle strade in ciascuno stato membro.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La sicurezza nei trasporti stradali è da sempre una preoccupazione dell’Unione europea. L’adozione di questa risoluzione costituisce un ulteriore passo verso l’abolizione delle violazioni gravi delle norme sociali in questo settore. E’ necessaria una maggiore collaborazione tra gli Stati membri in modo da creare una rete che agevoli le comunicazioni per tutti gli operatori di questo settore quando si trovano in uno Stato membro che non è il loro. Uno sforzo finanziario particolare è anche necessario per creare presso la rete stradale europea delle infrastrutture adatte, compresi un numero sufficiente di parcheggi e servizi, affinché gli autisti possano effettivamente osservare le prescrizioni sui periodi di guida e di riposo. E’ questa la ragione che spiega il mio voto.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Le statistiche dimostrano che sono soprattutto i mezzi pesanti a essere fortemente coinvolti negli incidenti stradali. Pertanto, è estremamente importante che i veicoli si trovino sempre in perfette condizioni. L’attenzione degli autisti cala tanto per la stanchezza quanto per l’effetto dell’alcool. Di conseguenza, nel nome della sicurezza generale, dobbiamo garantire il rispetto di tali provvedimenti. In tal senso, è importante che si applichino le medesime condizioni ai dipendenti e ai lavoratori autonomi, per evitare di spingere sempre più persone a intraprendere un finto lavoro autonomo in cui vengono sfruttati al limite, quando non oltre, della loro sopportazione.

Tuttavia, le ammende sono spesso un modo inadeguato di garantire il rispetto dei periodi di riposo, che sono possibili unicamente quando i veicoli sono fermi. Poiché non è previsto alcun incremento di tali provvedimenti per la sicurezza ho votato contro.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. – Signora Presidente, onorevoli colleghi, la relazione della collega Ranner, alla quale faccio i complimenti per il lavoro svolto, mette in luce non solo le differenze d'importo delle ammende tra gli Stati Membri, ma anche le differenze circa le tipologie di sanzioni, considerando tale situazione insoddisfacente per conducenti e imprese di trasporti.

Concordo con l'impostazione della relazione del Parlamento che sottolinea l'importanza, anche per il mercato interno, dell'attuazione completa delle norme sociali, se necessario attraverso controlli più frequenti, l'istituzione di uno strumento di coordinamento europeo e un'armonizzazione delle infrazioni e delle relative sanzioni. Solo infatti con la presenza di un assetto uniforme si potrà infatti garantire anche un rapido recupero delle somme legate alle infrazioni. Pertanto esprimo il mio voto favorevole.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Questa relazione della collega della commissione per i trasporti e il turismo è un’eccellente iniziativa verso la soluzione di alcuni dei problemi esistenti in merito alle sanzioni applicabili nel trasporto stradale in caso di infrazioni gravi. Le norme applicabili in caso di gravi violazioni delle norme sociali variano in modo considerevole in ciascun Stato membro, rispetto al valore delle ammende e alla categorizzazione delle sanzioni, rendendo necessaria una maggiore armonizzazione.

Mi rallegro delle soluzioni proposte nella relazione per rimediare a tali differenze, in particolare per l’armonizzazione della categorizzazione delle infrazioni gravi e l’attuazione di un sistema di controlli – coordinati a livello europeo da un organismo dotato delle necessarie competenze – il cui scopo consisterebbe nel migliorare la collaborazione nell’ambito dell’attuazione di norme sociali e nel garantire l’addestramento di organi di ispezione incaricati di far rispettare tali norme.

Desidero inoltre ribadire l’importanza dello sviluppo di iniziative atte a fornire informazioni adeguate su tali norme sociali e per la creazione di infrastrutture e parcheggi tali da garantire il rispetto delle norme. Per queste ragioni ho votato a favore della relazione portata quest’oggi dinnanzi al Parlamento.

 
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