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Procedura : 2010/2610(RSP)
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Testi presentati :

B7-0409/2010

Discussioni :

PV 07/07/2010 - 13
CRE 07/07/2010 - 13

Votazioni :

PV 08/07/2010 - 6.3
CRE 08/07/2010 - 6.3
Dichiarazioni di voto
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Testi approvati :

P7_TA(2010)0281

Resoconto integrale delle discussioni
Giovedì 8 luglio 2010 - Strasburgo Edizione GU

8. Dichiarazioni di voto
Video degli interventi
Processo verbale
  

Dichiarazioni orali di voto

 
  
  

Relazione Alvaro (A7-0224/2010)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE). - (EN) Signor Presidente, ho votato a favore dell'accordo tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America sul trasferimento di dati di messaggistica finanziaria ai fini del controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi.

Siamo ben consapevoli della minaccia che il terrorismo costituisce, sia per la nostra sicurezza che per quella dei nostri partner sull’altra sponda dell’Atlantico. Non è necessario che vi ricordi tutti gli attacchi terroristici che si sono susseguiti sul territorio europeo nel corso degli ultimi dieci anni. É evidente che i nostri partner americani rappresentano un importante alleato strategico, non sono nell’area della sicurezza internazionale, ma anche in termini economici e in altri settori.

L’impegno per una cooperazione strategica di questo tipo è stata espressa chiaramente dal Vicepresidente Joe Biden, in quest’Aula, appena pochi mesi fa. Dovremmo dunque essere fieri di avere approvato un accordo così importante per il controllo delle attività dei terroristi, specialmente poiché contiene degli importanti miglioramenti e poiché molte delle delucidazioni proposte dal Parlamento europeo sono state prese in debita considerazione.

 
  
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  Gerard Batten (EFD). - (EN) Signor Presidente, esistono numerosi motivi per votare contro la presente risoluzione, troppi perché io possa citarli tutti in 60 secondi. Dobbiamo sicuramente contrastare il terrorismo, ma questa non può essere una scusa utilizzata dai governi per spiare i propri cittadini. Si tratta di informazioni a carattere riservato che appartengono ai cittadini e non all’Unione europea, al Parlamento o allo Stato nazionale.

Un qualunque accordo di questo tipo andrebbe concluso tra Stati nazionali sovrani, che rispondono ai propri cittadini tramite un processo democratico. Si tratta, in ogni caso, di un accordo unilaterale e non abbiamo motivo di ritenere che gli Stati Uniti lo onoreranno. Esso viola le norme britanniche sulla tutela dei dati, che vietano lo scambio di informazioni con terzi al di fuori dell’Unione europea, senza che sia stato espresso il consenso. Il Regno Unito può applicare in questo contesto la clausola di esclusione, e mi auguro che supererà l’abituale codardia e che si opporrà, esprimendo un voto contrario, proprio come ho fatto io.

 
  
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  Filip Kaczmarek (PPE).(PL) Ho sostenuto la relazione Alvaro. Affinché la lotta al terrorismo possa essere efficace, abbiamo bisogno di strumenti utilizzabili. Una misura preventiva estremamente importante riguarda il monitoraggio e la riduzione delle risorse finanziarie che vengono inviate e appartengono ai terroristi. Molto spesso, il denaro è di fatto il combustibile per le attività terroristiche che, senza fondi, sono ritardate, e questo evidentemente è il nostro obiettivo. Un migliore controllo del flusso di denaro può costituire un ostacolo fondamentale alle attività terroristiche e alla preparazione di atti terroristici. Sono pertanto lieto che si sia raggiunto un accordo e che siano stati adottati sia l’accordo che la relazione.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE). - (FI) Signor Presidente, ho votato in favore della relazione Alvaro. Ritengo sia estremamente importante lottare insieme contro il terrorismo e altrettanto importante che nazioni che condividono gli stessi valori lavorino insieme. É necessario rafforzare le relazioni transatlantiche tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America e, come ben sappiamo, condividiamo gli stessi valori.

Ovviamente, le norme sulla tutela dei dati devono essere rispettate, ma deve esistere un limite: non possiamo nasconderci dietro la tutela dei dati nel caso di terrorismo. É necessaria la massima chiarezza su questo punto. Io ritengo e mi auguro che in questo modo si possa proseguire nella lotta contro il terrorismo, portando la pace in questo mondo.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR). - (EN) Signor Presidente, l’equilibrio tra le libertà civili e la sicurezza è sempre delicato e più volte, dagli attacchi alle torri gemelle di nove anni fa, non siamo riusciti a raggiungerlo.

Abbiamo fallito a causa dell’equazione sbagliata nella politica, in virtù della quale i politici ritengono che le loro azioni debbano essere proporzionate all’oltraggio pubblico piuttosto che al bisogno di porre rimedio al problema identificato. Quest’Aula ha commesso questo errore, ma non è stata la sola. I parlamenti nazionali hanno fatto lo stesso su entrambe le sponde dell’Atlantico.

In questa occasione, tuttavia, ritengo che l’equilibrio sia stato raggiunto. Ci siamo presi il tempo necessario, abbiamo introdotto delle garanzie ragionevoli e ritengo che le forze di sicurezza di tutto il mondo siano ora nelle condizioni di collaborare efficacemente nella lotta al terrorismo, senza dover pagare un prezzo inaccettabile in termini di libertà civili. L’Unione europea dovrebbe concentrarsi proprio su questo: un tema transfrontaliero che non può essere affidato agli Stati membri. Se facesse sempre così, non sussisterebbero problemi di questo tipo.

 
  
  

Relazione Brok (A7-0228/2010)

 
  
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  Joe Higgins (GUE/NGL).(GA) Signor Presidente, ho votato conro la relazione sul Servizio europeo per l'azione esterna, che va collocato nel contesto della politica estera e di sicurezza comune e dei cambiamenti apportati a questa politica comune dal trattato di Lisbona.

Il trattato di Lisbona fornisce maggiori risorse per il rafforzamento dell’industria delle munizioni e di quella militare in Europa e, in virtù dello stesso trattato, i grandi paesi europei, che sono anche potenze militari, riusciranno ad organizzare una missione militare con maggiore facilità. Indubbiamente, in futuro, le pricipali potenze all’interno dell’Unione saranno propense ad avviare delle campagne militari al di fuori dell’Europa ogni volta che sarà nel loro interesse economico, esattamente come hanno fatto gli Stati Uniti.

Il Servizio per l’azione esterna sarà uno strumento di promozione degli interessi economici, politici e militari del capitalismo europeo e pertanto non agevolerà, ma piuttosto ostacolerà la pace globale.

 
  
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  Tunne Kelam (PPE). - (EN) Signor Presidente, ho sostenuto la relazione Brok. La posizione unita del Parlamento europeo ha tratto il massimo vantaggio dalle nuove opportunità offerte dal trattato di Lisbona. Io sostengo principalmente il ruolo di controllo politico e finanziario esercitato dal Servizio per l’azione esterna. Apprezzo il consenso espresso dall’Alto rappresentate per la creazione di una struttura specifica per i diritti umani e la democrazia quale è il SEAE. Inoltre, il che è ancora più importante, continuiamo a sostenere l’attuazione concreta di un giusto equilibrio geografico, garantendo che il personale del SEAE includa rappresentanti di tutti e 27 gli Stati membri. Il processo è appena iniziato e ritengo sia importante che la revisione 2013 comprenda anche il tema dell’equa rappresentanza.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore di questa relazione perché sono convinto che l'istituzione del Servizio europeo per l'azione esterna sia un passo fondamentale, un passo storico per lo sviluppo e l'evoluzione della politica estera dell'Unione europea.

Ritengo particolarmente condivisibile il passaggio della relazione in oggetto nel quale si sottolinea l'importanza, per assicurare una maggiore coerenza strategica all'azione esterna dell'Unione europea, di avviare consultazioni tra il SEAE e i servizi diplomatici degli Stati membri. Ciò infatti eviterebbe una duplicazione degli sforzi e allo stesso tempo garantirebbe una coerenza a lungo termine nella promozione dei valori fondamentali e degli interessi strategici dell'Unione europea all'estero.

 
  
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  Diane Dodds (NI). - (EN) Signor Presidente, ho votato contro la presente relazione. Benché molti miei colleghi siano indubbiamente entusiasti per la creazione del SEAE, considerato come un’ulteriore pietra miliare nel cammino dell’Europa, l’elettorato britannico è sempre più turbato dall’erosione della sovranità nazionale e perplesso all’idea che la politica estera del Regno Unito debba – o possa – dipendere da qualcuno che non è stato eletto dal popolo britannico.

Il nostro Ministro degli Esteri ora si impegna a lavorare a stretto contatto con l’ Alto rappresentante, poiché il SEAE avrà una grossa responsabilità, in futuro, relativamente al successo del ruolo globale dell’Europa. I contribuenti britannici non mancheranno di notare che, ironicamente, lo stesso governo che chiede ai dipartimenti di dimostrare gli effetti dei tagli operati per un valore del 40 per cento, sostiene un servizio che si prevede costerà 900 milioni di euro e di cui i contribuenti britannici non sentono il bisogno, né tantomeno il desiderio. Quanti tra di noi si sono opposti per principio alla creazione del SEAE continuano ad essere contrari.

 
  
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  Eija-Riitta Korhola (PPE). - (FI) Signor Presidente, per quanto concerne la votazione sull’istituzione del Servizio europeo per l’azione esterna, ho sostenuto gli emendamenti che si concentrano sull’inclusione dei parlamenti nazionali nella supervisione del servizio. Per il resto, ho votato seguendo la linea del mio gruppo sul tema. L’esigenza è evidente: è tempo che l’Unione europea venga riconosciuta più chiaramente non solo come contribuente, ma anche come attore globale. É necessario un cambiamento, come dimostrato dal nostro ruolo di principale finanziatore delle Nazioni Unite, ruolo ampiamente trascurato.

Inoltre, mi auguro che il cambiamento di ruolo si rifletta anche nella struttura del Consiglio di sicurezza dell’ONU. É auspicabile che organizzazioni internazionali come questa saranno in grado di rivedere le loro posizioni in merito alle attuali strutture globali.

 
  
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  Inese Vaidere (PPE).(LV) La ringrazio, signor Presidente. Il Servizio europeo per l’azione sterna offre la possibilità di rendere la politica estera dell’Unione europea più efficace, più unita e strategicamente più coerente. É giunta l’ora di dimostrare che possiamo agire in modo coordinato e che la nostra influenza nel mondo non è diminuita. Il Servizio europeo per l’azione esterna rappresenterà la posizione comune dell’intera Unione europea. Tuttavia, senza prendere in considerazione e armonizzare gli interessi e le situazioni delicate di ogni Stato membro, il Servizio non potrà operare efficacemente. Questa pratica deve diventare la priorità della politica estera dell’Unione europea. Un’adeguata rappresentazione geografica deve essere un principio fondamentale e non equivoco nella costituzione del Servizio. Dobbiamo garantire una rappresentazione proporzionale dei corpi diplomatici degli Stati membri nel Servizio fin dai suoi primi giorni di attività. Il compromesso che è stato introdotto – la rappresentanza significativa – assegna una responsabilità particolare alla fondazione di questo Servizio, per garantire che tutti gli Stati membri vengano debitamente rappresentati al suo interno, e sono grato all’onorevole Brok per l’eccellente lavoro svolto. La ringrazio.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE).(PL) Signor Presidente, abbiamo preso una decisione, oggi, che accelererà la creazione del Servizio europeo per l’azione esterna. Vorrei attirare la vostra attenzione su alcuni problemi importanti che dovremmo prendere in considerazione.

Innanzi tutto la politica estera richiede un coordinamento con molti altri ambiti ed è difficile separarlo, ad esempio, dal lavoro svolto per le politiche in materia di sviluppo o commercio, le operazioni delle istituzioni finanziarie internazionali o le questioni economiche in un mondo globalizzato. In secondo luogo, il servizio diplomatico dell’Unione europea dovrebbe riflettere il carattere dell’Unione. Il Parlamento è responsabile per importanti funzioni relative alla regolamentazione, alla supervisione e al bilancio. In terzo luogo, la situazione poco chiara in merito al controllo del SEAE è fonte di grandi preoccupazioni, il che potrebbe condurre alla creazione di un’ulteriore istituzione comunitaria. In quarto luogo, mancano delle competenze definite con chiarezza relativamente alle norme di cooperazione con i servizi diplomatici dei singoli Stati membri. Infine, vorrei ricordare che la buona diplomazia si costruisce negli anni. Il SEAE dovrebbe fondarsi sui valori e sull’identità dell’Unione europea.

Vorrei concludere affermando che, a livello internazionale, l’Unione europea dovrebbe essere preparata meglio in termini di gestione delle crisi e di capacità militari e civili nell’ambito …

(Il Presidente interrompe l’oratore)

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE).(FI) Signor Presidente, ho votato in favore della relazione sul Servizio europeo per l’azione esterna perché sono consapevole che deriva dal trattato di Lisbona, il trattato di riforma. Ciononostante, vorrei porre alcune domande ed esprimere alcune perplessità in merito a questo nuovo Servizio. In origine, quando si è cominciato a metterlo insieme, si era detto che non avrebbe avuto alcun costo, mentre ora sappiamo che costerà molto ai contribuenti europei.

Ovviamente, l’ Alto rappresentante ha bisogno di risorse. Ciononostante, quando si creano nuove istituzioni, nuovi sistemi, è sempre opportuno dichiarare fin da principio di cosa si tratta, per non dare l’impressione di progredire sulla base di quelle che possono sembrare bugie bianche.

L’aspetto che mi preoccupa è che gli Stati membri più grandi eserciteranno un’influenza ancora maggiore grazie a questo Servizio. Ecco perché mi auguro che, nello scegliere i diversi membri che vi lavoreranno, l’Europa verrà rappresentata equamente e che i parlamenti nazionali possano svolgere anch’essi un ruolo. In questo modo potremmo assicurare che il servizio operi in modo più equo.

 
  
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  David Martin (S&D). - (EN) Signor Presidente, approvo la votazione sul Servizio per l’azione esterna ma, ora che si è conclusa, ritengo sia importante passare dalle procedure e dalle strutture al lavoro vero e proprio del Servizio. É essenziale che l’Alto rappresentante Ashton, che ora ha a disposizione una squadra, metta in atto i principali valori europei.

I diritti umani devono essere la sua prima preoccupazione. Nello specifico, ha promesso che in ogni ufficio esterno sarà presente un responsabile per i diritti umani, ed è una promessa che deve mantenere. É necessaria inoltre una struttura che permetta a questa figura di riferire all’unità centrale in merito al suo lavoro, al fine di garantire che l’Unione europea possa gestire i diritti umani con un approccio comune.

Al momento conduciamo con molti paesi, non da ultimo la Cina, un dialogo in materia di diritti umani totalmente insignificante. Il Servizio per l’azione esterna, per essere all’altezza del denaro e dell’impegno che vi stiamo dedicando, deve cominciare a raggiungere dei risultati rispetto ai valori europei e ai diritti umani in particolare.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR). - (EN) Signor Presidente, questi dibattiti sulla creazione di un Servizio europeo per l’azione esterna sono vagamente buffi, quasi toccanti, come se l’Unione europea non avesse già un intero apparato di servizi diplomatici. Basta andare in un qualunque paese terzo per trovare un’ambasciata UE che sovrasta ogni legazione di uno Stato membro. Il corpo diplomatico dell’Unione europea ha già portato ad una riduzione dei servizi nazionali. La baronessa Ashton riceve un salario doppio rispetto a quello di William Hague, il Ministro per gli Esteri britannico, e controlla un bilancio circa venti volte superiore a quello del Ministero degli Esteri.

Da un certo punto di vista non sarebbe poi così male se si potesse dimostrare che la politica estera dell’Unione europea è superiore a quella perseguita dagli Stati membri, ma non è così. Cosa sta facendo? Sta isolando Taiwan e rassicurando i tiranni a Pechino, si rifiuta di affrontare la questione dei dissidenti anticastristi a Cuba, tranquillizza gli Ayatollah a Teheran e devolve denaro ad Hamas. Ritengo che potremmo fare di meglio. Siamo la quarta potenza militare sul pianeta e la quinta economia. Ritengo che potremmo gestire la nostra politica estera in modo tale da seguire i nostri stessi interessi!

 
  
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  Ingeborg Gräßle (PPE).(DE) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Brok per quattro motivi. L’architettura del servizio presenta numerosi punti deboli che, nello specifico, sono per noi motivo di grande preoccupazione.

In secondo luogo l’ambasciatore dell’Unione europea in futuro gestirà i fondi della Commissione, il che espone suddetti fondi a numerosi rischi, per i quali sono state previste delle garanzie ancora molto poco chiare.

Il terzo punto è la rinuncia dei diritti di questo Parlamento in un regolamento del Consiglio. Abbiamo il ruolo di codecisori di fatto in questa procedura, eppure abbiamo permesso ad un regolamento del Consiglio di anticipare i nostri diritti parlamentari. Pertanto, relativamente al mio fascicolo – il regolamento finanziario – vorrei dichiarare che non mi sento vincolata dalle decisioni odierne.

Il quarto punto riguarda il modo in cui ci relazioniamo gli uni agli altri in Parlamento. Abbiamo adottato una riforma parlamentare nell’ultima legislatura noché delle procedure che abbiamo calpestato, con l’approvazione dell’Ufficio e del Presidente. Perché portare avanti una riforma parlamentare che stabilisce delle procedure se, quando conta, violiamo queste procedure e non le seguiamo?

Questi i motivi per i quali non posso votare in favore di questa relazione.

 
  
  

Proposta di risoluzione sul Kosovo (B7-0409/2010)

 
  
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  Cristian Dan Preda (PPE).(RO) Ho votato diversamente dal gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano) in merito alla risoluzione sul Kosovo. Sfortunatamente non potevo che oppormi a questo testo.

Concordo con una serie di questioni basilari contenute nella risoluzione, che ritengo siano condivisibili da tutti. Gli abitanti del Kosovo devono poter godere di una democrazia effettiva, dotata di un sistema giudiziario equo e imparziale e di una società priva di ogni corruzione, in cui i diritti umani, e quelli delle minoranze in particolare, vengano rispettati. In breve, vorrei che le prospettive europee per i Balcani occidentali includessero stabilità duratura e sviluppo economico nella provincia del Kosovo.

Tuttavia, vengo da un paese che non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Da questo punto di vista, ritengo che alcuni riferimenti nel testo ad alcune caratteristiche di uno stato quali paese, governo, cittadini, confini eccetera, siano inaccettabili.

Mi dispiace che non sia stata riservata una maggiore considerazione alla posizione degli Stati che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo.

 
  
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  María Muñiz De Urquiza (S&D).(ES) Signor Presidente, come abbiamo ribadito in altre occasioni, nessun voto da parte della delegazione socialista spagnola può essere interpretato al pari di un’accettazione del riconoscimento internazionale, implicito o esplicito, della dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo.

Analogamente, con il nostro voto contrario, abbiamo inteso esprimere la nostra opposizione alla richiesta del Parlamento, che vorrebbe che gli Stati membri riconoscessero a livello internazionale un territorio la cui secessione non è sostenuta né da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, né da un accordo tra le parti. Sosteniamo che il diritto internazionale applicabile dipende da quanto sancito dalla risoluzione 1244/99 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ciononostante, non mettiamo in discussione una prospettiva europea per i Balcani e per quanti vi abitano e riteniamo che un percorso efficace per pervenirvi sia l’istituzione di un dialogo interregionale, come sostenuto dalla Presidenza spagnola del Consiglio, in occasione della conferenza ad alto livello tenutasi a Sarajevo il 2 giugno.

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE). - (EN) Signor Presidente, ho votato in favore della risoluzione. Apprezzo che il Parlamento europeo discuta dell’importante tema del futuro del Kosovo con la Commissione ed il Consiglio.

Il Kosovo può essere considerato l’ultimo tassello nel complesso mosaico politico dei Balcani. É pertanto essenziale collocare suddetto tassello al posto giusto e gestire il processo in modo armonico e pacifico. L’indipendenza del Kosovo è già stata riconosciuta da 69 paesi, inclusi 22 Stati membri. É importante rilevare che le prospettive di integrazione europea rappresentano il migliore incentivo per i paesi dei Balcani a intraprendere le riforme necessarie, nonché come fattore rilevante per la stabilità regionale.

Il Kosovo non costituisce un’eccezione. Pertanto, se desideriamo ancorare questo paese in Europa e assicurare stabilità nella regione dei Balcani, è fondamentale pervenire ad un approccio comune nei confronti dell’intera regione e del Kosovo in particolare.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE).(DE) Signor Presidente, in quanto relatore per il gruppo del gruppo del Partito popolare europeo (Democratico cristiano), vorrei ringraziare l’onorevole Lunacek per l’eccellente cooperazione. Il testo che abbiamo adottato oggi è decisamente migliore di quello prodotto dalla commissione, poiché abbiamo chiarito che la divisione del Kosovo non è un’alternativa valida. Si tratta di un punto centrale. Abbiamo richiesto – il che vale anche per il progetto prodotto dalla commissione – che i cinque Stati membri rimanenti riconoscano il Kosovo. É la cosa più logica da fare, poiché non più tardi del 2005 e del 2007, il Parlamento europeo ha chiesto che il Kosovo venisse riconosciuto con una maggioranza dei tre quarti. La maggior parte degli Stati membri lo ha fatto adesso.

Abbiamo quindi bisogno di chiarire la situazione, affinché risulti evidente che non vi saranno ulteriori negoziati sullo status del Kosovo. L’onorevole Panzeri, che rispetto molto, è stato citato dalla stampa oggi per aver dichiarato di essere in favore di un rinnovamento dei negoziati sullo status. Sarebbe estremamente pericoloso ed è pertanto essenziale essere chiari al riguardo e che questa relazione rafforzi l’indivisibilità e il riconoscimento del Kosovo oltre che il suo coinvolgimento nel processo di screening, in altre parole nella strategia di preadesione.

 
  
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  Daniel Hannan (ECR). - (EN) Signor Presidente, fin dall’inizio, con i trattati di Parigi e di Roma, il progetto europeo ha elevato l’obiettivo del sovranazionalismo oltre quello della libertà e della democrazia e, in tutta onestà, sta esportando la sua ideologia. Stiamo mantenendo, con buoni risultati, un protettorato in Kosovo, come anche in Bosnia, col solo scopo di tenere insieme, in modo artificiale, uno Stato multietnico.

Sono stato uno dei primi sostenitori dell’indipendenza del Kosovo. Mi sembrava una questione estremamente ovvia, poiché più del 90 per cento della popolazione aveva votato in un referendum in favore di una forma di autogoverno, che andava loro garantita. Ma dovremmo sicuramente estendere lo stesso principio alle minoranze nazionali sul territorio e mirare ai confini etnografici – in altre parole concedere alla popolazione serba, opportunamente raggruppata vicino alla Serbia, la possibilità di fare de iure quanto stanno già facendo de facto e di avere un governo dalle mani dei loro stessi compatrioti.

Esiste un conflitto tra il sovranazionalismo e la democrazia. Si può tenere uno Stato multietnico insieme – come nel caso della Federazione iugoslava e dell’impero ottomano, dell’impero asburgico e dell’Unione sovietica – ma non appena i cittadini possono votare, optano per l’autodeterminazione democratica. Dovremmo riconoscerlo.

 
  
  

Proposta di risoluzione sull’Albania (B7-0408/2010)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE). - (EN) Signor Presidente, ho votato in favore di questa risoluzione poiché ritengo che dovremmo ribadire una volta in più il nostro sostegno per le aspirazioni di integrazione europea dei paesi nella regione dei Balcani nell’ambito del processo di stabilizzazione e di associazione.

L’Albania è sicuramente un paese che ha compiuto dei progressi tangibili nel contesto del processo di riforma. Tuttavia, è anche un paese che deve fare di più per avvicinarsi alle norme comunitarie e ai criteri di adesione. É necessario un impegno più concreto al fine di irrobustire la democrazia e lo stato di diritto e di garantire lo sviluppo sostenibile del paese. Ci rammarichiamo per la crisi politica successiva alle elezioni parlamentari del giugno 2009. Dobbiamo chiarire ai nostri partner albanesi che delle istituzioni rappresentative pienamente funzionanti – tra le quali la più importante è il parlamento – sono la colonna portante di un sistema democratico consolidato e forse il criterio politico più importante per l’integrazione all’interno dell’UE.

 
  
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  Bernd Posselt (PPE).(DE) Signor Presidente, i socialisti ex-comunisti in Albania stanno tentando di destabilizzare un governo altrimenti di successo. Noi ci opponiamo ma, sfortunatamente, avviene esattamente la stessa cosa in Macedonia. Due giorni fa, il leader dell’opposizione socialista del paese, il signor Crvenkovski, era presente in quest’Aula. In seguito a dei colloqui confidenziali con il Commissario Füle – contravvenendo a qualunque regola comunitaria – è stato rilasciato un comunicato stampa relativo a suddetti colloqui, in cui si sosteneva che il Commissario gli avrebbe dato ragione relativamente alle sue polemiche politiche interne. Non era vero e l’ho dichiarato ieri allo stesso Commissario Füle. Un Commissario europeo non deve essere fruttato a fini di propaganda socialista e per tornaconti politici interni.

Il governo macedone gode di legittimità democratica. Svolge un lavoro di primo livello e sta indirizzando il paese sul cammino che la condurrà all’adesione all’Unione europea. L’opposizione ha il diritto di opporsi, ma non di sfruttare l’Unione europea a questo scopo.

 
  
  

Proposta di risoluzione sulla situazione in Kirghizistan (B7-0419/2010)

 
  
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  Laima Liucija Andrikienė (PPE). - (EN) Signor Presidente, ho votato in favore della risoluzione poiché vorrei unirmi ai miei colleghi nel condannare la violenza scoppiata in Kirghizistan il mese scorso.

É deplorabile che centinaia di kirghisi armati si siano riversati nelle strade della città, sparando ai civili e dando fuoco ai negozi, scegliendo i loro obiettivi puramente sulla base dell’etnia. Vorrei esprimere le mie condoglianze alle famiglie delle circa 300 vittime e dei 2000 feriti o ricoverati. É importante che l’Unione europea continui ad esercitare pressione sulle autorità kirghise per condurre delle indagini credibili, imparziali e indipendenti in merito a questi crimini.

 
  
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  Inese Vaidere (PPE).(LV) In conseguenza delle violenze etniche nel sud del Kirghizistan in giugno, centinaia di persone hanno perso le loro vite, migliaia sono state ferite e decine di migliaia sono state costrette ad abbandonare le proprie case, il che dimostra la necessità che l’Unione europea si impegni più attivamente per la risoluzione di questi processi nell’Asia centrale. É necessario indirizzare gli aiuti per il Kirghizistan verso i cittadini e non verso un governo specifico. Il 22 giugno, in occasione dell’incontro della delegazione dell’Asia centrale, l’ambasciatore del Kirghizistan, il signor Azilov, ha ribadito che le violenze non costituivano un atto di pulizia etnica e che i mezzi di comunicazione stranieri non stavano presentando un’analisi oggettiva della situazione. L’Uzbekistan ha un’opinione diversa in materia. Come indicato nella relazione, molti attivisti per i diritti umani sono stati arrestati in Kirghizistan senza giusta causa. É opportuno ricordare questi avvenimenti in sede di valutazione della strategia dell’Unione europea verso le potenze politiche attualmente presenti in Kirghizistan. É necessario che vengano organizzati dei negoziati in parallelo anche con altri Stati della regione, specialmente con la Russia e la Cina, paesi vicini del Kirghizistan. Questi paesi rivestono anche un’influenza rilevante nella regione. La relazione esorta il governo del Kirghizistan a condurre delle indagini sul conflitto credibili e responsabili, possibilmente in presenza di osservatori stranieri. Ecco perché sostengo la presente relazione, dal momento che suddetta indagine è fondamentale. Grazie.

 
  
  

Proposta di risoluzione sull’AIDS/HIV, in vista dell'imminente XVIII Conferenza internazionale sull'AIDS (Vienna, 18-23 luglio 2010) (RC-B7-0412/2010)

 
  
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  Anna Záborská (PPE). (SK) Dopo quasi trenta anni di politiche comunitarie attive, specialmente negli Stati africani, la relazione presentata oggi rileva una crescita nel numero delle persone malate di HIV/AIDS. Si dichiara che, soltanto nel 2008, sono state infettate 2,7 milioni di persone in più. L’Unione europea ha investito miliardi di euro e il numero di persone infette sta aumentando.

Vorrei chiedere se questo non è forse un motivo per considerare se stiamo facendo qualcosa di sbagliato. Sono già trascorsi 30 anni? Sembra che la distribuzione di preservativi non aiuti a contrastare la diffusione dell’HIV/AIDS al pari della fedeltà tra i partner.

Non si può tantomeno considerare il diritto all’aborto una soluzione, dal momento che i dottori possono già assicurare che una donna che ha contratto il virus dell’HIV dia alla luce un bambino sano. I nostri amici africani ci dicono spesso: “non solo siamo poveri, ma volete anche che siamo meno numerosi”.

Una politica sui diritti relativi alla salute sessuale e riproduttiva non aiuterà l’Africa. Vorrei pertanto chiedere alla Commissione europea di valutare l’efficacia del denaro investito nella lotta contro l’HIV/AIDS.

 
  
  

Proposta di risoluzione sull’entrata in vigore, il primo agosto 2010, della Convenzione sulle munizioni a grappolo (CCM) e il ruolo dell'UE (RC-B7-0413/2010)

 
  
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  Cristian Dan Preda (PPE).(RO) Ho preferito astenermi relativamente a questa risoluzione dal momento che la scadenza indicata all’articolo 2, che si riferisce anche alla Romania, potrebbe essere troppo restrittiva per giungere al bando di certi tipi di armi convenzionali, nel contesto dei negoziati di Ginevra sulla convenzione.

Ritengo che il meccanismo delle Nazioni Unite fornisca un quadro multilaterale adeguato per analizzare e negoziare uno strumento giuridico internazionale che regoli il regime delle munizioni a grappolo, in un momento in cui sono coinvolti nei negoziati 110 Stati.

 
  
  

Relazione Lyon (A7-0204/2010)

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signor Presidente, la politica agricola comune è un capitolo di successo. É stato dunque un piacere costatare l’ampio sostegno in seno al Parlamento, poiché abbiamo già ottenuto molto: innanzi tutto un approvvigionamento alimentare stabile per la popolazione, in secondo luogo il mantenimento e la conservazione del paesaggio culturale e, in terzo luogo, il rinnovamento di importanti risorse e la tutela dell’ambiente, della flora e della fauna.

Indubbiamente ci attendono nuove sfide per il futuro, che includono la crescita verde, le energie rinnovabili e la lotta alla fame nel mondo. Con la politica agricola comune, stiamo creando, in una certa misura, una fonte di occupazione all’interno dell’Unione europea, che prescinde dalla dimensione o dalla forma dell’impresa. La relazione Lyon definisce i compiti che attendono la politica agricola comune molto bene e riconosce, implicitamente, la sua struttura a due pilastri. É giunto il momento di collaborare per fornire le risorse finanziarie necessarie per adempiere a questi compiti politici.

 
  
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  Alfredo Antoniozzi (PPE). – Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione Lyon perché condivido con il relatore l'esigenza di predisporre una politica agricola comune, che da un lato prosegua l'ampio processo di riforma occorso negli ultimi anni e, dall'altro, sappia dare risposte concrete e all'avanguardia alle numerose sfide che andranno affrontate negli anni a venire.

Ritengo infatti che i cinque elementi fondamentali descritti nella relazione, cioè la sicurezza alimentare, la sostenibilità, l'agricoltura in Europa, la biodiversità e la protezione ambientale ed, infine, la crescita verde, siano un ottimo punto di partenza per garantire una futura PAC che tenga conto della continua e rapida evoluzione, non solo nel contesto europeo, ma piuttosto in quello globale.

 
  
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  Christa Klaß (PPE).(DE) Signor Presidente, grazie alla relazione Lyon sul futuro della politica agricola europea abbiamo permesso che si costituisse un un’opinione chiara e abbiamo fornito alla Commissione degli standard chiari e praticabili.

Ho votato in favore della relazione e sono lieta che abbia ottenuto grande sostegno in quest’Aula. A fronte di una crescente richiesta di un ambiente e di prodotti alimentari sani e di lungimiranza e sostenibilità nella produzione agricola, l’Unione europea deve anche essere preparata a sovvenzionare e sostenere questi ambiti cruciali.

L’Europa ha il dovere di garantire ai propri cittadini la sicurezza alimentare. Potendo godere di un clima naturalmente favorevole, l’Europa ha anche la responsabilità di garantire che i cittadini di tutto il mondo possano avere accesso a prodotti alimentari. Tuttavia, nel farlo, l’Unione europea deve operare meglio e in modo più coerente insieme al resto del mondo e deve garantire dei mezzi di sussistenza adeguati alle comunità rurali. É opportuno ricordare che, se necessario, potremmo anche importare i prodotti alimentari, ma non alle nostre condizioni. Dobbiamo produrre mantenendo un buon ambiente qui e garantendo ai nostri agricoltori un’equa retribuzione.

 
  
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  Czesław Adam Siekierski (PPE).(PL) Ho appoggiato questa relazione. Tuttavia, approvo la proposta di mantenere la possibilità di un intervento parziale nei mercati agricoli nel caso di situazioni difficili, il che non è in contraddizione con i principi di mercato.

Dobbiamo prestare maggiore attenzione allo sviluppo delle aree rurali, all’ampliamento delle infrastrutture, all’istruzione e alla situazione demografica. Il numero di giovani agricoltori continua a diminuire, mentre al contempo cresce quello degli agricoltori più anziani. Le condizioni e gli standard di vita nelle fattorie e nelle aree rurali sono significativamente più bassi – molto più bassi e molto peggiori – che nelle aree urbane. Oltretutto, il reddito delle famiglie agricole corrisponde a circa il 60 per cento di quello delle famiglie che si sostengono con altri mezzi. Gli agricoltori hanno protestato al proposito.

In breve, dovremmo puntare sullo sviluppo sostenibile dell’agricoltura nelle aree rurali.

 
  
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  Inese Vaidere (PPE).(LV) La ringrazio, signor Presidente. Sostengo questa relazione poiché pone l’accento su diversi precondizioni per il futuro della politica agricola comune, che va sostenuta. Sottolinea la necessità di mantenere il finanziamento delle politiche almeno per il prossimo esercizio finanziario di lungo termine. In secondo luogo, richiede che i pagamenti diretti agli agricoltori vengano finanziati interamente dal bilancio dell’Unione europea. In terzo luogo, si fa riferimento alla necessità di garantire una concorrenza leale, l’aspetto attualmente più importante e trascurato nella versione provvisoria della politica agricola comune. Sebbene il mio paese, la Lettonia, sia membro dell’Unione europea già da molto tempo, i nostri agricoltori ricevono dei sussidi pari, orientativamente, a 90 euro per ettaro, mentre gli agricoltori greci sono pagati approssimativamente 550 euro, e quelli francesi e tedeschi più di 300 euro per ettaro. Queste discrepanze distruttive falsano la concorrenza e l’intero mercato dell’Unione europea. Oltretutto, ampliano il divario tra vecchi e nuovi Stati membri, ignorano i principi di coesione, ritardano la loro attuazione e ostacolano lo sviluppo economico dei paesi. La nuova politica deve essere formulata in modo equo, sostenendo il pari valore al fine di eliminare ogni discrepanza distruttiva e garantire una concorrenza leale all’interno dell’intera Unione europea.

 
  
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  Hannu Takkula (ALDE). - (FI) Signor Presidente, ho votato in favore della relazione Lyon. Nutrivo alcune riserve nazionali, per così dire, su alcuni punti, o comunque ho votato in modo un po’ diverso. Dobbiamo renderci conto che, sebbene la relazione Lyon sia eccellente ed esaustiva dal punto di vista dell’agricoltura e della sua riforma all’interno dell’Unione europea, la politica agricola comune non si adatta da tutti i punti di vista ad ogni situazione – parlo in quanto cittadino di una piccola nazione, la Finlandia, in cui le condizioni agricole sono molto diverse da quelle dei grandi Stati membri, come la Francia e la Germania. Ecco perché, in sede di voto, ho introdotto alcune deroghe.

Mi auguro che, in futuro, il Parlamento europeo e l’Unione possano anche prestare maggiore attenzione alle agricolture su bassa scala, ai piccoli paesi e al loro comparto agricolo poiché l’agricoltura, per certi versi, è un’assicurazione nazionale sulla vita. Ogni Stato membro ha bisogno della propria agricoltura e deve assicurarsi che venga tutelata.

 
  
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  David Martin (S&D). - (EN) Signor Presidente, ho votato contro la relazione Lyon poiché in tutta Europa i governi stanno tagliando i loro bilanci. Nel Regno Unito, infermieri e insegnanti si trovano ad affrontare i tagli e vengono liberati i detenuti poiché non ci sono fondi per tenerli in prigione. Eppure qui, al Parlamento europeo, i rappresentanti dei partiti dei Conservatori e dei Liberali che compongono il governo si sentono a proprio agio nel votare a favore del mantenimento della spesa fino al 2013, e a conservare i livelli del 2013 anche oltre questa data.

Lo trovo assolutamente inaccettabile. Ritengo sbagliato che la comunità agricola venga tutelata in un modo sconosciuto a tutti gli altri comparti della società. Se è accettabile che i dipendenti pubblici affrontino dei tagli salariali, allora è giusto che lo stesso valga anche per altri all’interno della società. Il governo britannico e i governi di tutta Europa affermano che siamo uniti in questa situazione. Se è così, allora dobbiamo anche soffrire insieme.

 
  
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  Syed Kamall (ECR). - (EN) Signor Presidente, io credo che si possa comprendere perché i leader politici europei, guardando alle condizioni dei rispettivi paesi alla fine della Seconda guerra mondiale, abbiano voluto promuovere il concetto di sicurezza alimentare e l’idea di una politica agricola comune.

Tuttavia, analizzando la stessa politica a 60 ani di distanza, dovremo considerarne i costi per i cittadini dell’Unione europea. Il punto è che i cittadini pagano tre volte: una volta nelle tasse per la burocrazia, un’altra nelle tasse per finanziare i sussidi e infine devono pagare i prezzi più alti nei negozi. Indubbiamente, invece che parlare della riforma della politica agricola comune, dovremmo pensare di abolirla. L’eliminazione della PAC permetterebbe agli agricoltori più efficienti di crescere e ai contribuenti di risparmiare denaro che potrebbe essere speso in modo più utile, oltre a garantire dei prezzi più bassi.

Non basta una riforma – è giunta l’ora di abolire la PAC.

 
  
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  Anneli Jäätteenmäki (ALDE). - (FI) Signor Presidente, ho votato in favore della relazione Lyon: è bilanciata e garantisce e assicura che in Europa ci si possa dedicare all’agricoltura e alla produzione alimentare, assicurando una fornitura alimentare per tutti i cittadini.

Vi sono alcuni punti in merito ai quali ho votato in modo differente dal mio gruppo, poiché ritengo che in talune situazioni siano necessari una regolamentazione ed un intervento sul mercato al fine di garantire l’approvvigionamento e uno sviluppo sostenibile.

 
  
  

Relazione Cadec (A7-0207/2010)

 
  
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  Peter Jahr (PPE).(DE) Signor Presidente, ho votato in favore della relazione, che include due aspetti che mi stanno particolarmente a cuore. Il primo è di natura ambientale, sociale e qualitativa. A questo proposito, è importante che i beni importati soddisfino gli stessi requisiti di quelli prodotti all’interno dell’Unione europea, poiché che senso ha gestire i nostri stock ittici in modo sostenibile se poi i nostri partner commerciali arrivano quasi a cancellare le risorse ittiche presenti negli oceani in tutto il mondo?

Il secondo aspetto è di natura economica. Se l’autosufficienza nell’Unione europea si attesta appena al 40 per cento e le risorse ittiche sui mercati globali sono a rischio, allora è evidente che anche qui vi è una grande opportunità per quanto riguarda l’acquacoltura. Dobbiamo sviluppare questo settore economico e, soprattutto, strutturarlo in modo sostenibile, poiché è anche una fonte di occupazione, oltre a costituire un valore aggiunto per l’Unione europea.

 
  
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  Inese Vaidere (PPE).(LV) La ringrazio. La presente relazione evidenzia come la fattibilità economica ed ecologica della pesca all’interno dell’Unione europea vada mantenuta. É inclusa anche la pesca non industriale per un volume costante nelle acque costiere e tale da contribuire alla tutela dell’identità culturale delle regioni coinvolte, assicurare posti di lavoro in tutte le fasi della produzione e la fornitura di prodotti sicuri e di alta qualità. Sfortunatamente, la realtà è che i pescatori lattoni ricevono dei contingenti talmente esigui e un supporto così inconsistente da parte dell’Unione europea che diventa più conveniente smantellare le imbarcazioni e smettere di pescare. Si tratta di una situazione realmente tragica, che sta portando alla distruzione di un comparto economico tradizionale, in un paese che conta 550 km di coste. Si sta danneggiando l’intero settore della pesca artigianale con una politica comunitaria che sostiene i produttori industriali che spesso danneggiano l’ambiente. Per questo motivo io sostengo questa relazione, che richiede che l’attuale situazione venga modificata.

 
  
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  Seán Kelly (PPE).(GA) Signor Presidente,ho votato in favore dell’eccellente relazione dell’onorevole Cadec e ho partecipato al dibattito in Parlamento ma non c’è stato tempo per la procedura catch the eye, quindi colgo l’occasione adesso per intervenire.

Innanzi tutto, il primo obbligo dell’Unione europea è quello di prendersi cura dei propri cittadini, specialmente in relazione all’industria della pesca, poiché è un’attività che praticano da anni e i loro antenati da centinaia e migliaia di anni. Devono pertanto essere tutelati.

In secondo luogo, i prodotti che arrivano nell’Unione europea dovrebbero rispettare gli stessi standard – o forse anche più alti – dei prodotti che hanno origine all’interno dell’Unione stessa.

E infine dobbiamo impegnarci maggiormente in favore dell’acquacoltura, il che contribuirebbe notevolmente alla risoluzione di questo problema.

 
  
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  Syed Kamall (ECR). - (EN) Signor Presidente, vorrei ringraziare lei e tutti i suoi collaboratori per la pazienza dimostrata. Devo ammettere che quando ho riflettuto per la prima volta sull’idea di una PCP, pensavo che nell’acronimo la C dovesse indicare comunista più che comune. Si tratta, effettivamente, di un controllo centrale in cui alcuni decidono quanti pescatori posso lavorare all’interno di ogni nazione e, come nel comunismo, si è rivelato un disastro. Si è giunti alla riduzione delle risorse ittiche ed un numero sempre crescente di pescatori si lamenta per l’assegnazione dei contingenti.

Sicuramente è giunto il momento di imparare la lezione dai successi in termini di tutela e preservazione delle risorse ittiche. Guardiamo ai sistemi, basati sui diritti di proprietà, vigenti in Islanda ed in Nuova Zelanda dove, come riferito precedentemente da un altro oratore, le comunità costiere sono tutelate dal momento che vengono loro concessi in perpetuo dei diritti che possono rivendere, scambiare, o lasciare alle future generazioni. Indubbiamente è la soluzione migliore, essendosi dimostrata vincente e avendo tutelato le risorse ittiche a differenza del sistema della PCP, che si è rilevato un grande fallimento in Europa.

 
  
  

Dichiarazioni scritte di voto

 
  
  

Relazione: Alexander Alvaro (A7-0224/2010)

 
  
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  Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Abbiamo votato contro questo sciagurato accordo del terrore, che nel quadro della “collaborazione contro il terrorismo” fornisce ai servizi segreti statunitensi i dati personali di ogni abitante dell’Unione europea. I rappresentanti del capitale al Parlamento europeo che hanno votato a favore di questo “accordo SWIFT” non ne conoscono il contenuto, dato che solo ai deputati europei “fidati” è stato consentito di leggere il testo “riservato”, mentre il Parlamento europeo lo ha respinto due volte nel corso degli ultimi sei mesi. I deputati si sono accontentati della garanzia, da parte degli Stati Uniti, che “i servizi segreti assicureranno la protezione dei dati personali”.

L’approvazione di tale “accordo del terrore” dimostra che il Parlamento europeo, con metodi teoricamente democratici, legittima queste politiche che attuano un’unificazione europea di marca profondamente reazionaria e antipopolare. Inoltre, esso svolge un ruolo di primo piano nell’istituzionalizzazione di un quadro legislativo di terrorismo di Stato e repressione che soffoca i diritti democratici e le libertà popolari. Nessun “accordo del terrore” rispetta le libertà popolari. Queste misure colpiscono la lotta e la resistenza dei popoli, la loro avanguardia – il movimento comunista – e quelle forze radicali che rifiutano di piegarsi alla barbarie sfruttatrice del sistema capitalistico. Fino a quando il capitale e la sua sovrastruttura politica continueranno a intensificare le misure repressive miranti a soffocare i diritti dei lavoratori e a rafforzare e proteggere la propria sovranità, si diffonderanno inesorabilmente anche la resistenza, la disobbedienza e l’inevitabile lotta, tesa a rovesciare il potere dei gruppi monopolistici e dei loro organismi reazionari.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Nel febbraio 2010, il Parlamento europeo ha respinto un accordo Unione europea-Stati Uniti d’America sul trasferimento dei dati finanziari e ha chiesto di riprendere i negoziati. Oggi le condizioni di tale accordo sono state sensibilmente migliorate, nell’interesse dei cittadini europei. Questa volta, quindi, ho votato a favore dell’accordo, soprattutto in quanto esso prevede, nel lungo termine, l’istituzione di un sistema interamente europeo di estrazione dei dati. Il presente accordo costituisce perciò una soluzione provvisoria, che consente all’Unione europea e agli Stati Uniti di combattere il terrorismo, ma non si può considerare definitivo.

 
  
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  Jean-Luc Bennahmias (ALDE), per iscritto. (FR) Ho deciso di astenermi sull’accordo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America per il trasferimento di dati bancari da parte di SWIFT ai fini della lotta contro il terrorismo. L’accordo costituisce un notevole passo in avanti rispetto alla versione precedente; dopo essersi fatto sentire, il Parlamento europeo è riuscito a ottenere una serie di garanzie che rafforzano la protezione dei dati e i diritti dei cittadini interessati.

Giudico però inopportuna la scelta di Europol quale autorità responsabile per la trasmissione dei dati. Europol non è un’autorità indipendente, bensì un’agenzia di polizia che dubito sia in grado di controllare imparzialmente la conformità delle richieste di trasferimento avanzate dalle autorità statunitensi. Considerando la natura estremamente delicata dei dati personali trasferiti, non ho potuto votare a favore di questo accordo.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − E´una certezza quella per la quale dopo l´11 Settembre del 2001 nessun essere umano percepisce la propria sicurezza e la propria incolumità fisica come un banale dato di fatto. Il punto nevralgico di ogni intervento teso a ripristinare la fiducia dei cittadini é dunque rappresentato dalla tutela delle informazioni personali che, non solo vanno garantite in termini di privacy, ma il cui trattamento, soprattutto in materia finanziaria, rappresenta uno strumento significativo alla lotta contro il terrorismo internazionale. Ho quindi sostenuto con un voto favorevole la relazione del collega on. Alvaro sull'accordo che definisce le condizioni con le quali, a partire dal primo di agosto, il Tesoro americano potra' accedere ai dati finanziari di circa 8.000 istituzioni e banche di 200 paesi, gestiti dalla societa' Swift. Contemplate le dovute tutele quali la possibilità per un cittadino europeo di fare ricorso amministrativo godendo di reciprocità di trattamento con il cittadino Usa e il giro di vite sui tempi di stoccaggio delle informazioni, la cooperazione Europa e Stati Uniti rappresenta in questo caso il giusto tributo della globalizzazione ai sui effetti perversi.

 
  
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  Emine Bozkurt (S&D), per iscritto. (NL) La delegazione del PvdA (Partij van de Arbeid) al Parlamento europeo approva questo accordo, nella speranza che in un prossimo futuro potremo vedere la fine dei massicci trasferimenti di dati concernenti i cittadini europei. L’accordo prevede lo sviluppo di un sistema europeo per la raccolta e l’estrazione dei dati bancari, che renderà possibile vagliare i trasferimenti individualmente; mantenendo la supervisione sui dati, potremo proteggere i diritti dei nostri cittadini in maniera più efficace. La Commissione presenterà una proposta a tal fine entro un anno, e nel giro di tre anni dovremmo essere in grado di applicare il sistema da noi elaborato. Da quel momento in poi diventerà importante il nodo della reciprocità. I supervisori europei presenti negli Stati Uniti potranno verificare quotidianamente il trattamento di qualsiasi dato bancario europeo; Europol avrà il compito di verificare e approvare le richieste statunitensi. Sotto la pressione del Parlamento europeo, l’accordo che abbiamo già concluso viene sottoposto a revisione; non tutti i nostri desideri sono stati esauditi, ma il risultato che abbiamo ottenuto ci garantisce che gli Stati Uniti non saranno liberi di ficcare il naso a piacimento nei nostri dati. Il nuovo accordo mantiene un giusto equilibrio tra la protezione della sfera privata e la necessità di garantire la sicurezza; nel frattempo, la lotta contro il terrorismo rimane la nostra preoccupazione dominante.

 
  
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  Françoise Castex (S&D), per iscritto. – (FR) Ho votato a favore della relazione Alvaro relativa al nuovo accordo SWIFT, che definisce le condizioni per il trasferimento al Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti di determinati dati bancari conservati da SWIFT, nel quadro della lotta contro il terrorismo. Utilizzando i nuovi poteri conferiti con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, abbiamo obbligato la Commissione a rinegoziare con gli Stati Uniti un accordo più equilibrato; il testo attuale è soddisfacente, ma alcuni punti si potevano ancora migliorare. L’odierno voto positivo non è un assegno in bianco a favore degli americani: nei prossimi mesi il Parlamento continuerà a vigilare con estremo rigore, soprattutto per quanto riguarda la procedura di modifica dei poteri di Europol, la nomina dell’autorità indipendente presente a Washington e l’istituzione di un programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi (TFTP) europeo.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della nuova relazione SWIFT, poiché con gli Stati Uniti e il Consiglio europeo sono state negoziate alcune misure di salvaguardia che non comparivano nell’accordo presentato al Parlamento europeo quattro mesi fa. Quest’accordo relativo al trasferimento dei dati bancari agli Stati Uniti prevede che l’Unione europea sviluppi un sistema per evitare qualsiasi trasferimento di dati in massa, mentre l’accordo precedente non conteneva alcuna clausola in questo senso.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Ho votato contro la relazione sul trasferimento di dati bancari dall’Unione europea agli Stati uniti, per le medesime ragioni che avevano portato me e il mio gruppo a opporci al precedente tentativo di imporre tale accordo, nonostante i miglioramenti “tecnici” offerti dalla relazione. Il Parlamento europeo non deve approvare l’accordo con cui la Commissione europea trasferisce dati personali al governo e ai servizi segreti degli Stati Uniti con il pretesto della “lotta contro il terrorismo”. Mi oppongo all’insistente richiesta della Commissione di trasmettere agli Stati Uniti informazioni in massa sulle transazioni finanziarie, poiché ciò lede il rispetto per i dati personali; si tratta inoltre di informazioni e materiali che verranno usati, in maniera sostanzialmente incontrollata, dai servizi segreti degli Stati Uniti per i loro fini particolari.

 
  
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  Derek Roland Clark (EFD), per iscritto. (EN) Lo United Kingdom Independence Party ha votato oggi contro la relazione Alvaro poiché non intendiamo concedere all’Unione europea poteri più ampi in materia di dati personali. Questa misura provocherà pesanti violazioni della sfera privata; i dati finanziari di carattere riservato e privato appartengono alla persona, non all’Unione europea o al Parlamento.

Ci opponiamo con forza alla diffusione del terrorismo, ma quando non sussistano precedenti sospetti di azioni illecite è doveroso proteggere la sfera privata. Se il Regno Unito intende stipulare un accordo con gli Stati Uniti, deve trattarsi di un impegno pienamente reciproco e non di quel dispositivo praticamente a senso unico che l’Unione europea ha accettato in questa sede. É questa una materia su cui devono decidere i governi nazionali, e non il Parlamento europeo.

 
  
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  Carlos Coelho (PPE), per iscritto. (PT) A febbraio ho votato contro l’accordo in quanto esso violava i principi di necessità e proporzionalità, oltre che l’integrità e la sicurezza dei dati finanziari europei. L’accordo odierno è migliore del precedente: sono stati infatti introdotti alcuni miglioramenti, come la definizione più limitata del terrorismo, l’esclusione dei dati relativi allo spazio unico dei pagamenti in euro (SEPA), il meccanismo di monitoraggio e il riconoscimento dei diritti dei cittadini europei. Quest’accordo, però, consente ancora il trasferimento di dati in massa (bulk data). La scelta di Europol, inoltre, non è corretta; Europol non è un’autorità giudiziaria e neppure un’autorità preposta alla protezione dei dati. Attribuire nuove funzioni a Europol sarebbe possibile unicamente mutando la base giuridica, con la partecipazione del Parlamento europeo. La formulazione dell’articolo 20 dell’accordo compromette poi l’efficacia del riconoscimento dei vari diritti che sono stati presi in considerazione su richiesta del Parlamento. Attendo che la Commissione presenti un’iniziativa per l’istituzione di un programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi (TFTP) europeo, tale – mi auguro – da garantire una soluzione più solida, che consenta il data mining solo all’interno dell’Unione europea. Per tutte queste ragioni ho deciso di astenermi dal voto, poiché in piena coscienza non sono ancora convinto che il presente accordo sia giunto a un livello accettabile.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) La lotta contro il terrorismo deve costituire una priorità per l’Unione europea. In tale contesto la cooperazione attiva con gli Stati Uniti, soprattutto per quel che riguarda la condivisione delle informazioni e dei dati, è un fattore essenziale per rendere più efficace la lotta contro il terrorismo, scongiurare attacchi futuri e garantire la sicurezza dei cittadini europei. Voterò quindi a favore delle misure proposte in questa relazione. Gli emendamenti apportati all’accordo non solo corrispondono a gran parte delle preoccupazioni espresse dal Parlamento europeo al momento del voto negativo dell’11 febbraio, ma esprimono pure l’esigenza di proporzionalità nel trattamento di questi dati, in particolare per quanto riguarda il trattamento, l’archiviazione e la successiva cancellazione dei dati stessi. Ricordo anche le maggiori garanzie che il nuovo accordo offre ai cittadini europei in materia di protezione dei dati: in particolare il diritto di ricorso contro le sentenze giudiziarie e amministrative, il diritto alla trasparenza e alla comunicazione delle informazioni ai cittadini interessati, e la definizione dell’ambito di applicazione dei dati, che viene limitato alle attività direttamente collegate al terrorismo o al finanziamento dello stesso.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Sei mesi fa, il Parlamento europeo ha agito da paladino dei diritti fondamentali, respingendo l’accordo tra Unione europea e Stati Uniti relativo al trasferimento e al trattamento dei dati bancari (il cosiddetto accordo “SWIFT”. Grazie all’azione dei deputati al Parlamento europeo, e in particolare del nostro gruppo, è stato possibile redigere una nuova versione, che contiene significativi miglioramenti di fondo, come l’eliminazione dei trasferimenti di dati “in massa”. Si garantirà quindi una protezione più estesa ai diritti degli individui, pur riconoscendo l’importanza del controllo dei dati finanziari nella lotta contro il terrorismo; è questa la ragione per cui ho deciso di votare a favore del nuovo accordo. Continuerò in ogni caso a seguire con particolare attenzione i seguenti aspetti: le prerogative delle autorità europee competenti per la protezione dei dati, e la scelta di Europol come autorità incaricata di filtrare le richieste; l’efficacia del “diritto di ricorso” per i cittadini il cui diritto alla riservatezza sia stato violato; e infine il controllo e la valutazione della pertinenza dei dati trasmessi alle autorità americane.

 
  
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  Anne Delvaux (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della conclusione del nuovo accordo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America sul trattamento e il trasferimento di dati di messaggistica finanziaria dall’Unione europea agli Stati Uniti ai fini del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi poiché sono convinta che le nuove proposte presentate dalla Commissione offrano ai cittadini dell’Unione garanzie più ampie, soprattutto per quel che riguarda la protezione dei dati. Ritengo in effetti che qualsiasi trasferimento di dati personali di cittadini europei a paesi terzi a fini di sicurezza debba rispettare salvaguardie procedurali e diritti della difesa, nonché conformarsi alla vigente legislazione nazionale ed europea in materia di protezione dei dati.

Alcuni mesi or sono, la prima versione dell’accordo era troppo vaga e non offriva garanzie equivalenti, e per tale motivo l’abbiamo respinta. Oggi sono lieta di constatare che sono state recepite le nostre proposte di miglioramento, tra cui l’introduzione di un analogo sistema di scambio a livello europeo e la garanzia che il monitoraggio di follow-up sarà affidato a funzionari europei che dovranno essere in grado di opporsi all’estrazione di dati sul territorio degli Stati Uniti.

 
  
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  Ioan Enciu (S&D), per iscritto. (EN) Ho votato a favore dell’accordo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America sul trattamento e il trasferimento di dati di messaggistica finanziaria dall’Unione europea agli Stati Uniti ai fini del programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi. Grazie ai notevoli sforzi del relatore e dei membri della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, il testo attuale contiene sensibili miglioramenti rispetto alla precedente versione dell’accordo. Di particolare importanza, per la possibilità futura di combattere il terrorismo tutelando contemporaneamente i fondamentali diritti dei cittadini in materia di protezione dei dati personali, è l’articolo 2, che prevede l’elaborazione del quadro tecnico e giuridico di una struttura di estrazione dei dati nell’Unione europea. La Commissione dovrà svolgere questo compito con tempestiva acribia. L’inserimento nell’accordo dell’articolo 2 può consentire una significativa riduzione della quantità di trasferimenti in massa di dati, inviati a scopo di analisi all’esterno dell’Unione europea. Gli articoli 15 e 16 garantiscono ai cittadini più ampie possibilità di ricorso e maggiore trasparenza.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sull’accordo SWIFT relativo al trasferimento di dati bancari negli Stati Uniti, poiché ritengo che l’accordo negoziato con il Consiglio e gli Stati Uniti comprenda ora, in materia di protezione dei dati dei cittadini, misure di salvaguardia tali da eliminare la possibilità di trasferimenti di dati in massa verso paesi terzi. Si tratta di un accordo importante nel quadro della lotta contro il terrorismo, che garantirà la protezione delle libertà fondamentali dei cittadini europei.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Il fenomeno del terrorismo e il crescente impatto che esso viene esercitando sulla società europea mette a dura prova valori essenziali come il rispetto per la sfera privata e la necessità di salvaguardare la sicurezza collettiva.

In tale contesto, l’accordo tra Unione europea e Stati Uniti d’America sul trattamento dei dati è stato precedentemente respinto dalla nostra Assemblea, che non lo ha giudicato sufficiente. La nuova versione costituisce un miglioramento dell’ultima; mi auguro che l’accordo odierno giustifichi le ragioni che hanno portato a concluderlo, e che le parti in causa sappiano interpretarne adeguatamente le disposizioni, in modo da ostacolare e combattere le attività finanziarie dei terroristi.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) I progressi che si registrano in questo processo rappresentano un’incoraggiante dimostrazione dei benefici e dei vantaggi che la cooperazione istituzionale comporta ai fini di un positivo consolidamento dell’integrazione europea. In seguito alle preoccupazioni manifestate e alle raccomandazioni formulate dal Parlamento europeo, è stato possibile raggiungere con gli Stati Uniti un accordo equilibrato sul trattamento e il trasferimento di dati di messaggistica finanziaria, tenendo conto in particolare che si tratta di un processo che rientra nel programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi. Sottolineo che sono state inserite misure dirette a tutelare i diritti dei cittadini e le condizioni di successivi trasferimenti a paesi terzi, nonché a sventare i rischi di uso indebito delle informazioni e di spionaggio economico. Viene anche garantita la possibilità di rettificare situazioni di trasmissione di dati successivamente giudicate indebite. Il presente accordo garantisce una migliore regolamentazione delle procedure e una cooperazione utile e salutare per le relazioni istituzionali con gli Stati Uniti.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) É inaccettabile che, a quattro mesi di distanza dal voto con cui il Parlamento europeo ha respinto l’accordo SWIFT, il Parlamento stesso e il Consiglio abbiamo stipulato con le autorità americane un nuovo accordo che, con il pretesto della lotta al terrorismo, non garantisce né sicurezza né riservatezza. Ed è deprecabile che la maggioranza del Parlamento abbia votato ora a favore di tale accordo.

Lo scambio di informazioni e l’accesso alle basi di dati, da parte sia delle autorità statunitensi che delle agenzie dell’Unione europea, sono avvolti in un fitto velo di incertezza, da cui potrebbero derivare pericoli incontrollabili. Criminali e innocenti, sospetti e non sospetti rimarranno invischiati tutti insieme in un processo che, come appare chiaro, non fornisce alcuna garanzia di efficacia.

Come abbiamo già osservato, l’applicazione di quest’accordo si traduce nel mantenimento di misure scorrette, adottate nel quadro della cosiddetta lotta al terrorismo ma miranti alla soppressione dei diritti.

Siamo perfettamente convinti che sia necessario combattere ogni forma di criminalità, ma a tale scopo occorre in primo luogo concentrarsi sulle origini e la prevenzione di tali fenomeni, non insistere su fumose misure di sicurezza che ledono le libertà civili nonché i diritti fondamentali e le garanzie di cui godono i cittadini, minando così ulteriormente la democrazia in cui viviamo.

Non accettiamo di rinunciare alla libertà in cambio di una maggior sicurezza: alla fine le perderemmo entrambe. Siamo invece fautori di una società più sicura, che offra ampie libertà e diritti democratici.

 
  
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  Evelyne Gebhardt (S&D), per iscritto. (DE) La lotta contro il terrorismo richiede una cooperazione internazionale regolata da accordi. Tali accordi non devono però erodere i diritti fondamentali dei cittadini sanciti dalla Carta europea dei diritti fondamentali. Nell’epoca moderna, in particolare, fra tali diritti rientra pure la protezione dei dati, che non viene adeguatamente garantita dall’accordo SWIFT negoziato con gli Stati Uniti. La lotta contro il terrorismo non deve servire da pretesto per un’inadeguata protezione dei dati. Fra le altre gravi carenze di quest’accordo ricordiamo, per esempio, l’ispezione di dati bancari in assenza di approvazione giudiziaria, il lungo periodo di conservazione dei dati – inammissibile in base al diritto costituzionale tedesco – e inoltre l’inadeguata opportunità, per i cittadini, di difendersi in tribunale contro un uso scorretto dei dati: siamo di fronte a gravi violazioni dei diritti fondamentali. All’Unione europea non è però consentito di restringere indebitamente i diritti fondamentali vigenti. Sono quindi ancora contraria a quest’accordo SWIFT.

 
  
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  Sylvie Goulard (ALDE), per iscritto. (FR) Oggi, dopo matura riflessione, ho votato a favore dell’accordo SWIFT riveduto. Il compromesso non è certo perfetto, ma dobbiamo contemperare le esigenze della lotta contro il terrorismo con il rispetto delle libertà civili. La nuova versione contiene inoltre alcuni miglioramenti, concernenti in particolare le finalità del trasferimento dei dati.

In merito a un tema delicato come la protezione dei dati personali avrei gradito un rigore ancor maggiore, soprattutto sui seguenti aspetti: la necessità di affidare a un’autorità indipendente – non a Europol – la responsabilità di controllare la conformità delle domande o l’efficacia del diritto di compensazione per i cittadini i cui diritti siano stati violati.

Per il solidarietà con il mio gruppo politico, cui dobbiamo riconoscere il merito della battaglia combattuta nel febbraio scorso, e quindi di gran parte dei progressi compiuti, ho deciso di sostenere quest’accordo. Insieme ai colleghi seguirò con attenzione estrema l’attuazione delle condizioni dell’accordo stesso da parte degli Stati Uniti, ma vigilerò con il massimo rigore anche sull’adempimento degli impegni presi dalla Commissione e dal Consiglio. Se le promesse non verranno mantenute, al momento del riesame chiederò la denuncia dell’accordo.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. (FR) Ho seguito con attenzione particolare i negoziati sull’accordo SWIFT portati avanti fra Unione europea e Stati Uniti dopo l’ultimo voto negativo, grazie all’azione del gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa. Da febbraio in poi il Parlamento europeo, utilizzando con decisione i suoi nuovi poteri, è riuscito a compiere progressi significativi e a strappare garanzie supplementari: il duplice approccio propugnato dal nostro gruppo, e poi riesami regolari dell’accordo, valutazione iniziale entro sei mesi, relazione sui progressi dopo tre anni, diritti di accesso e di rettifica, possibilità di bloccare il trasferimento di alcuni dati, controllo dell’estrazione dei dati da parte di un’autorità europea negli Stati Uniti, e così via. Benché si siano compiuti notevoli progressi, l’accordo non è però ancora perfetto e contiene pure numerose carenze. Dopo ampia riflessione ho deciso di votare a favore di questo nuovo accordo, sia perché è necessario disporre di un quadro giuridico per la lotta contro il terrorismo, sia perché ci stiamo dirigendo, in ultima analisi, verso un futuro sistema europeo per il controllo del trasferimento di dati, che consentirà di effettuare l’estrazione dei dati in territorio europeo. D’ora in poi, spetterà alle istituzioni europee esercitare un rigoroso e vigile controllo sull’applicazione delle condizioni dell’accordo.

 
  
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  Matthias Groote e Bernhard Rapkay (S&D), per iscritto. (DE) La delegazione socialdemocratica tedesca (SPD) al Parlamento europeo è convinta della necessità di combattere il terrorismo internazionale, e insieme di offrire una protezione permanente ai dati personali, nel modo più deciso ed efficace possibile. Considerata l’importanza della protezione dei dati, la delegazione SPD non ha preso una decisione alla leggera. Dopo lunghe e meditate riflessioni siamo ora in grado di votare a favore dell’accordo: i socialdemocratici sono riusciti a garantire l’istituzione di un monitoraggio europeo permanente sull’estrazione dei dati effettuata direttamente presso il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, monitoraggio che comprende anche la facoltà di bloccare l’estrazione dei dati. La priorità più importante era per noi quella di limitare il trasferimento di dati in massa. I dati SEPA (relativi allo spazio unico dei pagamenti in euro) non rientrano nell’accordo, che del resto non riguarda affatto gran parte dei trasferimenti. Per il periodo quinquennale di conservazione dei dati si prevede un riesame annuale, mentre ogni dato non necessario si dovrà cancellare in un tempo ancor più breve. É previsto inoltre un riesame annuale della conformità a tutti gli standard di protezione dei dati, cui parteciperanno le autorità preposte alla protezione dei dati. Anche se noi avremmo preferito affidare il monitoraggio e il trasferimento dei dati a un’autorità giudiziaria, Europol deve svolgere il proprio mandato di approvazione del trasferimento dei dati, previsto dall’accordo, sotto il rigoroso controllo dell’Unione europea. Europol dispone bensì di un affidabile sistema di protezione dei dati, ma deve comunque conformarsi al trattato di Lisbona per svolgere i propri compiti nel quadro di un completo controllo democratico.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione Alvaro sull’accordo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America sul trattamento e il trasferimento di dati di messaggistica finanziaria ai fini della lotta al terrorismo, poiché ritengo che tale accordo abbia instaurato ora un corretto equilibrio tra obiettivi di sicurezza nella lotta al terrorismo e obiettivi di libertà nella protezione della sfera privata dei cittadini.

A differenza dell’accordo SWIFT presentato a febbraio, sul quale ho espresso voto contrario, l’accordo odierno garantisce una maggior protezione ai dati personali: i cittadini godranno del diritto di accesso e di rettifica per i dati che li riguardano, viene garantito loro il diritto di ricorso in sede amministrativa e giudiziaria, e inoltre il trasferimento dei dati ha subito una serie di rigide restrizioni e limitazioni.

Il Parlamento dovrà però ugualmente continuare a vigilare sulla modifica dei poteri di Europol, che ha la responsabilità di controllare i trasferimenti, oltre che sulla futura introduzione di un programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi.

 
  
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  Olle Ludvigsson e Marita Ulvskog (S&D), per iscritto. (SV) Il gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo è riuscito, insieme alla Presidenza spagnola, a negoziare alcuni miglioramenti all’accordo sullo scambio di dati bancari con gli Stati Uniti. Sono stati posti dei limiti alla quantità di dati bancari da trasferire (i dati relativi alle transazioni interne all’Unione europea sono esclusi dal trasferimento) e funzionari nominati dall’Unione europea esamineranno e approveranno in tempo reale i trasferimenti.

Anche se i negoziati hanno fatto registrare alcuni progressi, rimane ancora da affrontare il fondamentale problema del trasferimento di dati bancari in massa. Ciò significa che si continueranno a consegnare alle autorità statunitensi i dati di cittadini innocenti: è una prassi che noi socialdemocratici svedesi giudichiamo inaccettabile. Riteniamo inoltre che la scelta di Europol come autorità preposta al controllo dei trasferimenti presenti parecchi punti deboli, sia dal punto di vista giuridico che da quello pratico.

Per tali ragioni abbiamo deciso di non votare a favore dell’accordo con gli Stati Uniti sul trasferimento di dati bancari.

 
  
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  David Martin (S&D), per iscritto. (EN) Date le concessioni e le clausole che l’Unione europea è riuscita a garantirsi in merito all’accordo SWIFT sulla condivisione dei dati finanziari, sono lieto di dare ora il mio voto a quest’accordo. In particolare, noto con soddisfazione che il mio gruppo ha contribuito a strappare garanzie in merito al divieto di ricerche casuali, al diretto controllo del programma da parte di un funzionario dell’Unione europea e alla valutazione annuale dei periodi di conservazione dei dati. Il costante monitoraggio dell’accordo sarà comunque essenziale per far sì che le condizioni rimangano accettabili al nostro Parlamento e ai cittadini europei.

 
  
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  Clemente Mastella (PPE), per iscritto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore perché ritengo doveroso, segno di grande responsabilità appoggiare l'accordo negoziato tra Commissione europea e USA.

Il trasferimento dei dati personali è un tema estremamente sensibile in Europa, dove ci sono state dolorose esperienze di regimi totalitari che ne facevano abbondante e distorto uso. In base al nuovo accordo sarà consentito il trasferimento alle autorità americane di un certo numero di informazioni bancarie, purché ciò avvenga nel rispetto delle severe regole per la protezione dei dati personali, sui cui noi deputati europei ci impegniamo a vigilare. Tali informazioni potranno essere consultate esclusivamente nel caso in cui siano ritenute importanti per effettuare inchieste antiterrorismo: tale accesso è condizionato alla presentazione di prove adeguate da parte delle autorità americane.

Il nuovo accordo è una vittoria di tutte le istituzioni europee, del nostro Parlamento europeo in particolare: vede, infatti, accolte le nostre richieste per una più ampia protezione della privacy dei cittadini europei, offrendo loro una doppia garanzia: la completa trasparenza per l'accesso e l'uso dei dati da una parte e procedure adeguate di ricorso per garantire la protezione della privacy dall'altra. Garanzie adeguate perché questi due interessi, sicurezza e tutela della privacy, possano entrambi essere soddisfatti e tutelati.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Ho votato contro la relazione. Essa equivale ad approvare le ingerenze degli Stati Uniti in Europa con la complicità di organismi come SWIFT. Comporta poi la possibilità di trasferire negli Stati Uniti i dati personali di ogni cittadino, tanto è ampia la portata dell’accordo concluso tra il Consiglio e gli Stati Uniti; d’altra parte, non si richiede alcuna vera garanzia relativa alla protezione dei dati o alle possibilità di ricorso. Questa relazione e l’accordo che essa ratifica sono un simbolo dell’asservimento dell’Europa all’imperialismo americano.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La lotta contro il terrorismo sta a cuore all’Unione europea così come a tutto il mondo democratico. Tutti i meccanismi che contribuiscano a individuare possibili attacchi sono essenziali per il successo in questo campo, e l’accordo SWIFT rappresenta un’arma potentissima nella lotta contro il terrorismo: esso infatti consente di accedere a informazioni finanziarie riservate concernenti i trasferimenti finanziari da un paese all’altro. La rinegoziazione del presente accordo con gli Stati Uniti offre all’Unione europea l’opportunità di contribuire efficacemente a scovare nuovi terroristi e prevenire potenziali attacchi. Attualmente gli Stati Uniti sono ansiosi di collaborare, e tale circostanza agevola la conclusione di un accordo che protegga validamente i dati trasmessi e garantisca la massima reciprocità possibile. Il progetto di risoluzione approvato oggi costituisce un buon punto di partenza per i difficili negoziati che dovremo intavolare con gli Stati Uniti.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato ancora una volta contro l’accordo SWIFT sul trattamento dei dati bancari europei e il loro trasferimento negli Stati Uniti con il pretesto della lotta al terrorismo, in quanto giudico inaccettabile la pretesa avanzata dagli Stati Uniti, che costituisce anzi, a mio avviso, una minaccia per le libertà e i diritti dei cittadini europei. Con questa proposta, le forze più conservatrici hanno cercato di consegnarci, mani e piedi legati, agli interessi statunitensi, senza minimamente curarsi della sicurezza e della sfera privata dei cittadini. Il Parlamento europeo non può permettere che le libertà e i diritti civili degli europei vengano lesi con il pretesto della lotta al terrorismo.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) La protezione dei dati prevista dall’accordo SWIFT è un volgare imbroglio. La conservazione di pacchetti di dati illimitati per un periodo di tempo così lungo, in assenza di qualsiasi intervento giudiziario, contrasta con la nostra concezione del moderno stato di diritto. Incaricare proprio Europol – l’autorità di polizia europea, che è a sua volta interessata ai dati concernenti la lotta contro il terrorismo – di monitorare il rispetto delle norme di protezione dei dati e l’effettiva esistenza di sospetti di terrorismo, significa mettere la volpe a guardia del pollaio. L’idea poi che i garanti della protezione dei dati, che si sono spesso dimostrati completamente innocui, possano ottenere il blocco o la cancellazione dei dati negli Stati Uniti è francamente risibile. Un incremento della protezione dei dati non si profila quindi da nessuna parte, e di conseguenza respingo con decisione l’accordo SWIFT.

 
  
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  Claudio Morganti (EFD), per iscritto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho votato a favore della relazione Alvaro in quanto ritengo importante agire contro il terrorismo. Il terrorismo è una minaccia e come tale va combattuta. Gli USA sono un partner fondamentale per la lotta al terrorismo, con cui bisogna collaborare per individuare e tagliare eventuali finanziamenti che sono il vero carburante dei terroristi.

 
  
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  Franz Obermayr (NI), per iscritto. (DE) Con il pretesto della lotta al terrorismo, i dati bancari di onesti cittadini europei vengono trasferiti in massa negli Stati Uniti. La revisione dell’accordo SWIFT comporta da questo punto di vista modifiche irrilevanti. Non possiamo promettere ai nostri cittadini un’adeguata protezione dei dati, perché: - I dati sensibili vengono conservati in massa, e non solo in singoli casi che diano adito a sospetti di terrorismo. - I dati verranno conservati arbitrariamente per un periodo di ben cinque anni. - Il rispetto delle norme di protezione dei dati dovrebbe essere garantito da Europol, che però è essa stessa interessata ai dati. L’esecutore quindi si controlla da solo – qualcuno crede seriamente che possa trattarsi di un organismo di controllo indipendente? - I cittadini dell’Unione europea i cui diritti sono stati violati non hanno alcuna concreta possibilità di intraprendere un’azione legale con speranze di successo; essi dovrebbero per prima cosa sostenere i costi di procedimento legale negli Stati Uniti! L’esito che in febbraio era stato celebrato come un successo per il Parlamento europeo, si è trasformato ora in un fiasco. Il relatore stesso ammette di non essere completamente soddisfatto. L’accordo non garantisce affatto una protezione dei dati reale e concreta, e quindi è opportuno respingerlo.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. La versione finale dell'accordo soddisfa la maggior parte delle richieste del Parlamento, tutelando sia la sicurezza che la vita privata dei cittadini dell'UE e garantendo soluzioni giuridicamente vincolanti ai problemi in analisi. L'accordo segna inoltre una nuova tappa nell'evoluzione dei poteri del Parlamento, assicurando la supervisione democratica europea degli accordi internazionali. Oltre ai miglioramenti contenuti nell'accordo, il Consiglio e la Commissione hanno assunto l'impegno giuridicamente vincolante di istituire il quadro giuridico e tecnico che consentirà di estrarre i dati sul territorio UE. Tale impegno assicurerà a medio termine la cessazione dei trasferimenti di dati in massa alle autorità USA. L'istituzione di un sistema europeo di estrazione rappresenta un miglioramento di grande importanza, poiché il protrarsi del trasferimento di dati in massa costituisce un allontanamento dai principi su cui si basano la legislazione e la prassi dell'UE.

 
  
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  Georgios Papanikolaou (PPE), per iscritto. (EL) Nell’odierna seduta plenaria del Parlamento europeo ho votato a favore del nuovo accordo SWIFT. Si tratta di un accordo di estrema importanza, che mira a stroncare il terrorismo e la criminalità organizzata combattendone il finanziamento illegale; è importante il fatto che questo nuovo accordo tuteli pure il rispetto dei dati personali dei cittadini europei. Il nuovo accordo menziona la necessità di istituire un TFTP (programma per il controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi) europeo. Tale impegno si dovrà attuare nel giro di cinque anni, e quindi Parlamento europeo, Commissione e Consiglio hanno il dovere di procedere immediatamente all’attuazione dell’accordo stesso, per fornire all’Europa strumenti ancor più efficaci, che consentano di proteggere la sicurezza dei cittadini già nell’immediato futuro.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore in quanto approvo l’accordo, e inoltre per non sottrarmi al dovere e alla responsabilità di sostenere l’accordo negoziato tra l’Unione europea e gli Stati Uniti. Non ignoriamo certo l’esigenza di cogliere un punto d’equilibrio tra il rispetto della sfera privata e la necessità di salvaguardare la sicurezza collettiva, ma il fenomeno del terrorismo – che molti europei devono sperimentare quotidianamente – impone misure straordinarie. Mi sembra opportuno ricordare che – avendo partecipato all’epoca al processo elettorale interno del partito in cui milito a livello nazionale, il Partido Social Democrata – non sono stato in grado di votare a favore dell’accordo precedente, come pure era mia intenzione. So bene quale delicatezza questo problema rivesta in Europa, a causa delle esperienze che hanno lasciato il segno su popolazioni oppresse in passato da regimi totalitari usi a calpestare, senza la minima legittimità, la sfera privata dei cittadini. La situazione di cui ci occupiamo è però ben diversa. Stiamo combattendo una legittima battaglia contro il terrorismo, ricorrendo a metodi nuovi e sempre più innovativi, perché questo è l’unico modo per tutelare le libertà fondamentali dei cittadini europei. L’accordo attuale consente il trasferimento di dati bancari, ma prevede adeguate salvaguardie per la sicurezza e la tutela della vita privata. Si introducono norme severe in materia di protezione dei dati personali, l’accesso ai quali è subordinato alla presentazione di prove che dimostrino che le autorità competenti svolgono indagini antiterrorismo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) L’adozione del nuovo accordo SWIFT da parte della maggioranza del Parlamento europeo vibra un duro colpo ai negoziati per il varo di un sistema vincolante di protezione dei diritti fondamentali nella cooperazione internazionale in materia di sicurezza. Rispetto alla prima versione si registrano alcuni miglioramenti, ma vi sono ancora aspetti fortemente criticabili, come i trasferimenti di dati in massa, anche in assenza di sospetti iniziali, e l’eccessiva lunghezza dei periodi di conservazione dei dati. La grande coalizione di conservatori, liberali e socialdemocratici ha dunque accettato standard inferiori ai vigenti principi dello stato di diritto, e azzarda l’introduzione di un regolamento che viola il diritto comunitario. Noi Verdi ci siamo perciò opposti al nuovo accordo e, in quanto forza progressista, ci battiamo per una tutela più rigorosa della vita privata e per il principio dello stato di diritto nel quadro della cooperazione transatlantica.

In qualità di relatore del Parlamento per l’accordo complessivo in materia di protezione dei dati, progettato dal Commissario alla Giustizia signora Reding, collaborerò personalmente con l’amministrazione statunitense e il Congresso degli Stati Uniti per giungere all’introduzione di norme vincolanti in questo campo. Duole quindi dover constatare che il Parlamento europeo, accettando oggi l’accordo SWIFT, ha indebolito la propria influenza nei confronti degli Stati Uniti. Un reale mutamento di rotta in direzione della protezione dei diritti fondamentali nella lotta contro il terrorismo esige uno sforzo assai più intenso e coraggioso.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Voglio assolutamente evitare che il mio voto contro il nuovo accordo venga interpretato come un “no” alla lotta contro il terrorismo. É necessario prevenire le attività terroristiche e condannare ogni singola azione terroristica con la massima fermezza. Dall’altro lato c’è però la protezione dei diritti dei cittadini; tali diritti non sono un dato scontato, poiché abbiamo combattuto per affermarli. Sono convinta che, se quest’accordo fosse stato preceduto da una fase di discussione più lunga, entrambe le parti – Stati Uniti ed Europa – avrebbero raggiunto un esito più soddisfacente.

 
  
  

Relazione: Elmar Brok (A7-0228/2010)

 
  
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  Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) I deputati europei del partito comunista greco hanno votato contro la proposta di risoluzione comune, presentata da conservatori, liberali e socialdemocratici, per l’istituzione del servizio europeo per l’azione esterna, in quanto tale proposta si basa sul reazionario “trattato di Lisbona”. Essa attua provvedimenti di militarizzazione dell’Unione europea (comitato politico-militare, centro di gestione delle crisi, centro satellitare, comitato militare, esercito europeo, EULEX e così via), in applicazione della dottrina statunitense della guerra preventiva. Si tratta di uno strumento delle strategie belliche della NATO che, con il pretesto della lotta al terrorismo, conferisce all’Unione europea un diritto di intervento civile e militare persino all’interno degli Stati membri. Il SEAE limita ulteriormente i diritti sovrani degli Stati membri in campo nazionale, affidando responsabilità all’Unione europea in quasi tutti i settori dell’attività politica statale. Esso costituirà uno strumento per dare al diritto comunitario la precedenza sul diritto nazionale dei singoli Stati; rafforza i meccanismi imperialistici di intervento e repressione di cui dispone l’Unione europea (Frontex e altri) e ne crea di nuovi (per esempio il pubblico ministero europeo). Condanniamo la procedura inaccettabile e furtiva con cui i rappresentanti di Parlamento europeo, Commissione, Presidenza e Alto rappresentante e Vicepresidente della Commissione si sono affannati a celare l’inasprirsi di antagonismi e opposizioni tra le grandi potenze imperialistiche.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ho sostenuto il compromesso negoziato dai colleghi Brok e Verhofstadt con l’Alto rappresentante, il Consiglio e la Commissione europea, che ha portato all’istituzione del servizio europeo per l’azione esterna. Questo compromesso, che è stato al centro di ampi negoziati, mi sembra ora soddisfacente ed equilibrato; rafforza le prerogative del Parlamento europeo e mantiene il metodo comunitario. Oggi era soprattutto necessario garantire il rapido varo del SEAE, per lasciare spazio alle nomine e abbandonare l’insoddisfacente sistema utilizzato negli ultimi mesi.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) I negoziati per l’istituzione del singolo organismo comunitario previsto dal trattato di Lisbona si stanno avvicinando alla conclusione. Mi auguro che il Consiglio mantenga a sua volta fede all’accordo e che la decisione relativa al servizio europeo per l’azione esterna venga adottata alla fine di luglio. Dobbiamo far sì che il SEAE inizi a operare al più presto possibile e che la sua attività contribuisca alla formazione di una politica estera e di sicurezza comune europea di alto livello, tale da garantire la coerenza delle azioni esterne dell’Unione e rafforzarne la posizione sulla scena mondiale. Il Parlamento europeo deve battersi per irrobustire il controllo parlamentare, attuando una politica estera e di sicurezza comune ed esercitando attivamente la funzione legislativa e quella di formazione e discarico del bilancio. Dobbiamo garantire che l’operato del SEAE si basi sul principio della neutralità di bilancio ed evitare la duplicazione di compiti, funzioni e risorse tra SEAE e altre istituzioni. Occorre poi risolvere il problema della responsabilità, per quanto riguarda sia l’utilizzo dei fondi del bilancio dell’Unione, sia la distribuzione dei poteri.

 
  
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  Elena Băsescu (PPE), per iscritto. – (RO) Ho votato a favore dell’adozione della relazione dell’onorevole Brok, poiché essa segna un importante passo in avanti verso l’operatività del servizio europeo per l’azione esterna.

Il Parlamento europeo svolgerà un ruolo importante nell’attività del servizio europeo per l’azione esterna, in quanto la nostra Assemblea verrà consultata prima del varo di qualsiasi missione dell’Unione europea in paesi terzi. Inoltre, il bilancio del servizio sarà sottoposto al controllo politico del Parlamento.

La Romania è pronta a mettere a disposizione del servizio europeo per l’azione esterna – fin dal momento della sua formazione – personale dotato delle competenze necessarie. Il mio paese ha chiaramente dimostrato il proprio impegno nei confronti delle missioni europee di gestione delle crisi: abbiamo contribuito con più di 200 esperti, funzionari di polizia e di polizia militare, diplomatici, magistrati e soldati a gran parte delle missioni civili e militari dell’Unione europea.

Concluso sottolineando la necessità di rispettare, nel quadro della politica di assunzione del personale, i principi della competenza e dell’equilibrio geografico.

 
  
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  Dominique Baudis (PPE), per iscritto. (FR) In considerazione delle nuove competenze acquisite con l’adozione del trattato di Lisbona, l’Unione europea deve disporre di una forte diplomazia. Il servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) fa segnare da questo punto di vista un notevole progresso.

Ho votato a favore della risoluzione del Parlamento europeo sul SEAE perché l’Alto rappresentante, per svolgere positivamente il suo compito, ha urgente bisogno di dotarsi di un competente braccio diplomatico. La mia decisione si basa sulle conclusioni della Conferenza di Madrid del 21 giugno, in occasione della quale è stato individuato un equilibrio istituzionale.

L’interesse europeo del progetto iniziale è stato mantenuto. Commissione, Consiglio e Parlamento potranno ora collaborare alla formazione di un servizio diplomatico europeo valido e operativo. Confido che i successivi negoziati sull’istituzione del SEAE rispetteranno tale equilibrio.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − La creazione del Servizio di Azione Esterna presenta fin dall´inizio aspetti poco chiari e controversi. Con una certa preoccupazione dovremmo interrogarci sulle possibili contraddizioni che potrebbero sorgere tra l´attività della futura diplomazia comunitaria e quella tradizionalmente esercitata dagli Stati membri. Gli Stati perderanno la libertà di determinare la loro politica estera? Pur non trattandosi di una preoccupazione riguardo ad uno scenario imminente, tuttavia vale la pena chiedersi nel medio/lungo termine quali effetti avrà l'istituzione di un simile servizio a livello europeo. Detto chiaramente: se l´idea di base è quella di emulare il modello americano, in cui la politica estera é gestita direttamente ed esclusivamente dal governo federale al di sopra dei 50 Stati, allora sarebbe meglio ricordarsi che il governo di Washington é eletto dai cittadini, e la sua politica estera riceve ogni quattro anni una legittimazione democratica che Commissione e Consiglio dell´UE - e nemmeno il futuro Servizio di Azione Esterna - non hanno. Con il voto contrario alla relazione del collega Brok, esprimo quindi la mia preferenza per una politica estera europea intergovernativa, visto che comunque l´affidamento della PESC al livello comunitario non garantirebbe la sopranazionalità delle scelte prese in un campo così delicato.

 
  
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  Sebastian Valentin Bodu (PPE), per iscritto. (RO) I contribuenti europei potranno esercitare un controllo più rigoroso sul modo in cui il servizio europeo per l’azione esterna spende le risorse finanziarie dell’Unione europea. É ottima cosa che il Parlamento europeo abbia acquisito più ampi poteri di bilancio in questo settore, proprio nel momento in cui il bilancio del servizio verrà sottoposto a controllo da parte del potere legislativo. L’Unione europea impiega attualmente circa 7 000 diplomatici e funzionari della pubblica amministrazione, i quali garantiranno che gli obiettivi dell’Unione abbiano la precedenza sugli obiettivi nazionali o intergovernativi. Tutti i dipendenti del servizio europeo per l’azione esterna risponderanno politicamente al Parlamento europeo, i cui poteri si sono ampliati in seguito all’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Il Parlamento ha riportato una vittoria, poiché è riuscito a imporre l’idea che l’operato del servizio europeo per l’azione esterna dovrebbe rivolgersi in larga parte a promuovere i diritti umani e a salvaguardare la pace nel mondo. Ciò dimostra che l’Unione europea sta consapevolmente assumendo l’importantissimo ruolo di esportatore dei diritti umani fondamentali, che purtroppo in questo momento vengono deliberatamente violati in molti paesi del mondo.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sull’organizzazione e il funzionamento del servizio europeo per l’azione esterna. Si tratta di un passo in avanti molto importante per il rafforzamento del ruolo dell’Europa nel mondo e per il coordinamento delle politiche estere dei 27 Stati membri. Nel corso dei negoziati con il Consiglio e la Commissione, il Parlamento europeo ha visto rafforzare la dimensione comunitaria del servizio europeo per l’azione esterna, e tale circostanza ha ampliato il ruolo del Parlamento stesso nelle questioni politiche e di bilancio del nuovo organismo.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Ho votato contro la relazione sul servizio europeo per l’azione esterna, poiché tale organismo vene istituito con procedure del tutto opache ed è dotato di competenze confuse, mentre il Parlamento europeo – unica istituzione eletta dell’Unione – vi ha un ruolo limitatissimo, che riguarda unicamente gli aspetti di bilancio. Ancora, ho votato contro il SEAE poiché esso è concepito quale strumento dell’ulteriore militarizzazione dell’Unione europea ed è pensato anche per azioni militari, persino nei casi di assistenza e intervento umanitari. L’Unione europea non deve legare la sua politica estera – o la sua politica di solidarietà nelle situazioni di crisi – a strutture e meccanismi militarizzati o di azione militare. Essa deve piuttosto ideare politiche e organismi che salvaguardino un ruolo autonomo e pacifico nelle relazioni internazionali, assai lontano dall’opportunistico interventismo militare degli stati Uniti; deve battersi, nel rispetto del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, per un mondo di pace e di solidarietà.

 
  
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  Derek Roland Clark (EFD), per iscritto. (EN) Mi sono astenuto nella votazione sull’emendamento n. 80 perché, mentre è senz’altro opportuno consentire ai governi nazionali il diritto di controllare il SEAE, quest’emendamento concede il medesimo diritto anche al Parlamento europeo. Non è accettabile che un organismo europeo controlli il servizio diplomatico di una nazione sovrana; non è certamente questo il compito del Parlamento europeo.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) É stata per me una grandissima soddisfazione votare a favore della relazione Brok. Dopo parecchi mesi di discussioni in seno al Parlamento, oltre che con Consiglio e Commissione, i negoziati si sono finalmente conclusi con una fumata bianca. Mi auguro che ora il servizio europeo per l’azione esterna applichi la Carta europea dei diritti fondamentali, conformemente allo spirito e agli obiettivi del trattato di Lisbona; in tal modo il metodo comunitario avrà la priorità nella politica di sviluppo e nelle modalità di distribuzione degli aiuti esteri dell’Unione europea, mentre gli Stati membri (o più precisamente i ministri degli Esteri di alcuni Stati membri) accetteranno di dedicarsi alla formazione di questo nuovo organismo, oltre che alle nuove competenze e attribuzioni affidate all’Alto rappresentante in seguito all’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Mi auguro inoltre che non persistano quegli aspetti che alcuni Stati membri – o i responsabili governativi di tali paesi – considerano un’ingerenza nella propria sfera di competenze nazionale o governativa; auspico infine che il governo portoghese si batta per una rappresentanza che ci conferisca prestigio per la qualità, le competenze, le attribuzioni, e la quota proporzionale di agenti nazionali impiegati. In quanto deputati di questo Parlamento, noi non vogliamo un servizio scaturito dal gioco degli equilibri intergovernativi, bensì un servizio che appartenga all’Unione.

 
  
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  Luigi Ciriaco De Mita (PPE), per iscritto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, politica estera e politica economica comune sono gli obiettivi necessari del processo d'integrazione europea. Va ricordato che la moneta unica fu scelta anche perché si pensava accelerasse il processo d´integrazione arenatosi a Nizza. Il modo con cui viene organizzato il Servizio europeo di azione esterna rischia di avere più una logica di paralizzante inerzia che l'avvio di un virtuoso processo unificante.

 
  
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  Proinsias De Rossa (S&D), per iscritto. (EN) Accolgo con favore la relazione Brok come emendata. Era essenziale resistere alla proposta di sussumere la politica di sviluppo nel quadro più ampio della nostra politica estera; ci occorre invece un servizio autonomo per lo sviluppo, che risponda a un Commissario autonomo per lo sviluppo e gli aiuti umanitari. Ora, in base a questa relazione, il Commissario per lo sviluppo è responsabile dell’intero ciclo di programmazione, pianificazione e attuazione dello Strumento di cooperazione allo sviluppo (DCI) e del Fondo europeo di sviluppo (FES); dobbiamo far sì che tali operazioni avvengano in conformità dello spirito e della lettera dell’accordo. Alcuni elementi della proposta possono ancora dar luogo a interpretazioni differenti. Gli emendamenti introdotti dal Parlamento europeo rafforzano però l’autorità della Commissione sul bilancio operativo, garantendo di conseguenza la supervisione parlamentare e una chiara linea di responsabilità democratica.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sull’organizzazione e il funzionamento del servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), in quanto l’accordo ora concluso rafforza l’identità comunitaria del SEAE, oltre alla sua responsabilità politica e di bilancio di fronte al Parlamento.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Nel novembre del 2006, il Parlamento ha adottato una risoluzione che riconosceva l’importanza strategica delle lingue mondiali europee – inglese, spagnolo, portoghese e francese, per ordine di numero di parlanti – quali veicolo di comunicazione e strumento di solidarietà, cooperazione e investimenti economici. Nel 2008, la Commissione ha riconosciuto che queste lingue rappresentano un ponte di grande importanza tra popoli e paesi di differenti regioni del mondo.

Nel momento in cui si definiscono organizzazione e funzionamento del SEAE, mi sembra essenziale che questo servizio sfrutti fino in fondo la capacità di comunicazione delle lingue mondiali europee che ho menzionato, e le adotti come lingue di lavoro; le norme e le prassi che regoleranno l’uso delle lingue nel servizio riveleranno la portata del suo impegno in termini di comunicazione esterna.

Ciò premesso, non posso che rallegrarmi per l’istituzione del SEAE, e mi auguro che esso produca risultati all’altezza delle aspettative. L’Unione europea ha molto da guadagnare da un SEAE competente ed efficiente, capace di dar voce all’Unione sulla scena mondiale e cooperare attivamente con i servizi diplomatici degli Stati membri.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Scopo della presente decisione è fissare l’organizzazione e il funzionamento del servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), organo dell’Unione che opera in autonomia funzionale sotto l’autorità dell’Alto rappresentante, previsto dall’articolo 27, paragrafo 3 del trattato sull’Unione europea (TUE) modificato dal trattato di Lisbona. Anche il Parlamento europeo svolge un ruolo nella politica estera dell’Unione, in particolare con le funzioni di controllo politico previste dall’articolo 14, paragrafo 1 del TUE, così come con le funzioni legislative e di bilancio stabilite dai trattati. Inoltre, a norma dell’articolo 36 del TUE, l’Alto rappresentante consulta regolarmente il Parlamento europeo sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della PESC e provvede affinché le opinioni del Parlamento europeo siano debitamente prese in considerazione. Il SEAE assiste l’Alto rappresentante in tal senso. È opportuno prevedere meccanismi specifici per quanto riguarda l’accesso dei deputati al Parlamento europeo ai documenti e alle informazioni classificate nel settore della PESC. Non avendo obiezioni in merito, ho votato a favore della presente decisione.

 
  
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  Ilda Figueiredo (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Abbiamo votato contro questa relazione, che è il frutto dei negoziati condotti tra il Consiglio e la maggioranza del Parlamento su un tema che costituisce uno dei punti cruciali del trattato di Lisbona e una pietra di volta del federalismo nell’Unione europea, ed è provvisto ora di personalità giuridica secondo quanto prevede la Costituzione europea. Occorre osservare che a questo servizio parteciperanno più di 5 000 persone, nelle ambasciate dell’Unione europea in vari paesi del mondo.

Ad aggravare la situazione, notiamo la mancata adozione delle proposte avanzate dal nostro gruppo, in particolare quelle che chiedevano di non far rientrare le strutture militari dell’Unione europea nel servizio europeo per l’azione esterna, e anzi di eliminare qualsiasi collegamento istituzionale tra i due sistemi; lo stesso è avvenuto per i servizi di informazioni dell’Unione.

É particolarmente inquietante che sia stata respinta la proposta con cui chiedevamo al Consiglio di non sviluppare ulteriormente, e anzi di abolire le strutture militari e politico-militari che rientrano nella sua giurisdizione, nonché di togliere i finanziamenti alle attività militari e politico-militari. Il futuro dell’Unione europea e la rotta su cui essa si sta avviando destano perciò grande preoccupazione.

 
  
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  Lidia Joanna Geringer de Oedenberg (S&D), per iscritto.(PL) Nove anni fa a Laeken, durante la precedente Presidenza belga, iniziò il lavoro intorno al trattato costituzionale, mirante a rafforzare la politica estera dell’Unione europea rendendola compatta, coerente e visibile sulla scena internazionale. Nonostante numerose complicazioni connesse alla riforma dei trattati dell’Unione europea, oggi il Belgio ha la possibilità di coronare i suoi sforzi varando il servizio europeo per l’azione esterna, proprio nel primo anniversario dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009. In quanto deputati di un Parlamento europeo reso più forte dal trattato, noi possiamo contribuire a quest’opera. Dopo parecchi mesi di negoziati fra la delegazione del Parlamento europeo e la baronessa Ashton, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, il SEAE si sta sviluppando nel senso auspicato dal Parlamento. La relazione degli onorevoli Brok e Verhofstadt è un documento importante, che sintetizza tutta la mole del lavoro svolto e merita sostegno. Che cosa esattamente è riuscito a ottenere il Parlamento nelle trattative con l’Alto rappresentante? In primo luogo, un servizio diplomatico dell’Unione europea, non un servizio intergovernativo: ciò significa che il 60 per cento dei posti verrà assegnato dall’Unione stessa. In secondo luogo, la supervisione politica e di bilancio del SEAE da parte del Parlamento: ciò significa la possibilità di sottoporre ad audizione i candidati all’incarico di capodelegazione e di controllare le finanze dell’istituzione, come già facciamo per la Commissione e il Consiglio. In terzo luogo, una distribuzione equilibrata dei posti dal punto di vista della nazionalità e del genere, oltre a una revisione della composizione del servizio nel 2013, per correggere gli eventuali squilibri.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Mi rallegro per l’accordo raggiunto fra le tre istituzioni europee e la baronessa Ashton in merito all’istituzione del servizio europeo per l’azione esterna. Si tratta di un servizio equilibrato nella sua organizzazione e composizione, che assisterà la baronessa Ashton nella sua funzione di Alto rappresentante dell’Unione europea. Inoltre, esso avrà l’effetto di rafforzare i poteri di controllo politico e di bilancio del Parlamento europeo. Spero vivamente che questo servizio venga utilizzato nel modo più efficace, nell’interesse dell’Unione europea; quest’ultima darà così prova di vera coerenza politica e parlerà con una voce sola sulla scena internazionale. Questa esperienza la renderà più forte, e le sue iniziative ne acquisteranno legittimità ed efficacia.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) La proposta formulata dalla baronessa Ashton è inaccettabile, poiché comporta la standardizzazione della diplomazia europea sotto la guida della baronessa stessa e della Commissione, nonché la negazione dei poteri degli Stati membri in questo campo. Questa relazione ha il lieve merito di chiedere che tutti gli Stati membri siano rappresentati in seno al personale diplomatico europeo, agli ordini della baronessa Ashton e della Commissione. Ecco a che punto siamo ridotti in quest’Europa: a elemosinare il diritto di stare zitti, ma in proporzioni equilibrate! Voterò contro questo testo.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) L’adozione del trattato di Lisbona ha recato con sé la creazione del servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), che getta le basi di un robusto servizio diplomatico europeo. La creazione del SEAE serve a garantire la coerenza dell’azione esterna europea e della politica estera e di sicurezza comune.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato contro la relazione sul servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), poiché sono convinto che quest’organismo istituzionalizzerà la militarizzazione dell’Unione europea. Con tale voto ho inteso esprimere un giudizio totalmente negativo sul processo negoziale che ha condotto all’istituzione del SEAE, dal momento che i relatori e la baronessa Ashton hanno ceduto alle pressioni esercitate da alcuni Stati membri e hanno completamente scordato le regole della democrazia. Il SEAE si trasformerà in un’istituzione sui generis, operante al di fuori dei fondamentali meccanismi di controllo di qualsiasi sistema democratico. Stimo indispensabile garantire al Parlamento europeo – che è l’unica istituzione comunitaria eletta democraticamente – e ai parlamenti nazionali non solo il controllo di bilancio, ma anche il controllo politico del SEAE. Il mio gruppo è particolarmente preoccupato per l’orientamento sostanzialmente militare del SEAE e per il fatto che la componente civile della politica estera europea rientrerebbe in gran parte nell’ambito della politica europea di sicurezza e difesa: più specificamente, tutti gli aspetti connessi alla cooperazione allo sviluppo e alla risoluzione dei conflitti. Per tali ragioni il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica, in omaggio al proprio impegno nei confronti della pace e della smilitarizzazione dell’Unione europea, non è favorevole alla creazione del SEAE.

 
  
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  Elisabeth Morin-Chartier (PPE), per iscritto. (FR) Dopo gli ardui dibattiti che nelle ultime settimane hanno impegnato le commissioni parlamentari competenti e i vari gruppi politici sul tema del servizio europeo per l’azione esterna, vorrei ringraziare il collega onorevole Brok per il suo forte coinvolgimento in questo problema. Il voto odierno getta le basi di un robusto servizio diplomatico a livello di Unione europea. L’identità comunitaria del servizio ne verrà rafforzata e sarà garantita la responsabilità politica e di bilancio nei confronti del Parlamento europeo. Inoltre, almeno il 60 per cento del personale del nuovo servizio sarà costituito da funzionari dell’Unione europea. Deploriamo però che le audizioni dei rappresentanti speciali per gli affari esteri di fronte al Parlamento europeo rimangano “informali”. Mi auguro che questo nodo venga sciolto nel giro di alcuni anni. Nonostante tutto, il potere di revisione del Parlamento europeo ne esce rafforzato, in particolare per ciò che riguarda le missioni di politica estera e di sicurezza comune (PESC) finanziate con il bilancio comunitario.

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. (EN) Ho deciso di votare a favore della relazione sul servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), e di sostenere così senza riserve la formazione di un organismo che rappresenta una delle innovazioni fondamentali del trattato di Lisbona e una decisione di portata storica per il futuro d’Europa. A soli sette mesi di distanza dall’entrata in vigore del nuovo trattato, siamo riusciti insieme a raggiungere un consenso che garantisce la responsabilità politica e di bilancio del nuovo servizio nei confronti del Parlamento europeo. Tale ruolo di supervisione assicurerà un controllo veramente democratico del servizio, punto che ai miei occhi assume importanza fondamentale.

Questa relazione garantirà equilibrio geografico, oltre che maggiore coerenza tra i diversi aspetti del SEAE. Non si tratta di duplicare i servizi diplomatici all’interno dell’Unione europea, ma piuttosto di rafforzare i servizi diplomatici dell’Unione europea. Tale accordo è una chiara testimonianza dell’impegno con cui l’Unione cerca di raccogliere le forze per promuovere i propri valori in maniera più efficace, ed esercitare così un’influenza concreta nell’arena internazionale. É un’opportunità per l’Unione europea ma anche per gli Stati membri.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. È evidente l’importanza di un tempestivo coordinamento dei diversi ambiti della politica estera dell’Unione europea da parte della Commissione. A tal proposito l’istituzione del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) sotto l’egida dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione (AR/VP) può rendere più efficace l’azione esterna dell’Unione europea sulla scena mondiale, soprattutto al fine di evitare incongruenze e la duplicazione degli sforzi e garantire una coerenza a lungo termine nella promozione dei valori fondamentali e degli interessi strategici dell’Unione europea all’estero.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Come membro della commissione per gli affari costituzionali, in seno alla quale il servizio europeo per l’azione esterna è stato ampiamente discusso e dove ho potuto manifestare il mio punto di vista, e inoltre come membro del gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano), sostengo la presente relazione ed esprimo voto favorevole. Il Parlamento europeo ha presentato una posizione unitaria tra i gruppi politici, che avevano l’interesse comune di sfruttare fino in fondo le nuove competenze che il trattato di Lisbona assegna, in particolare alla nostra Assemblea, per il controllo politico e finanziario del SEAE. Ribadisco la preoccupazione che nutrivo sin dall’inizio e che ho ripetutamente manifestato, anche tramite proposte di emendamento ai progetti di relazione: in sintesi, l’esigenza di garantire l’equilibrio geopolitico del SEAE che sta per fare il suo esordio. Sottolineo che l’Alto rappresentante si è impegnata a formare una squadra basata sull’equilibrio geografico, che annoveri rappresentanti di tutti i 27 Stati membri, eliminando qualsiasi tipo di discriminazione e, all’opposto, promuovendo la parità.

 
  
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  Bernhard Rapkay (S&D), per iscritto. (DE) In qualità di relatore della commissione giuridica per il servizio europeo per l’azione esterna, desidero rilevare che – anche a causa degli emendamenti che essa apporta all’articolo 6 della proposta dell’Alto rappresentante – la relazione approvata oggi non ha assolutamente alcun effetto vincolante, né su di me come relatore, né sull’intero Parlamento europeo, per quanto riguarda le discussioni sull’adattamento del regolamento del personale; alludo in particolare alle note a piè di pagina adottate nel testo odierno. Una relazione concernente una proposta legislativa su cui il Parlamento europeo è stato unicamente consultato non può avere alcun effetto vincolante su settori in cui il Parlamento europeo, in virtù di una differente base giuridica, gode del potere di codecisione.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Il voto favorevole del Parlamento spalanca la strada a una politica estera europea più coerente ed efficace, e più corrispondente alle aspettative dei cittadini. Sarebbe però stato possibile costruire un servizio migliore.

Ci rammarichiamo che la baronessa Ashton, la Commissione e alcuni governi nazionali non abbiano avuto il coraggio di scegliere una soluzione più ambiziosa. Sosteniamo il compromesso perché il Parlamento è riuscito a migliorare sensibilmente l’originale proposta della baronessa Ashton: ricordiamo per esempio la robusta struttura in materia di diritti umani, le salvaguardie per la politica di sviluppo e contro la rinazionalizzazione delle politiche comunitarie, il controllo democratico rafforzato, la maggior trasparenza del bilancio degli affari esteri e infine l’equilibrio di genere nelle assunzioni.

L’accordo non è però privo di punti deboli, tra cui la definizione poco chiara delle strutture di gestione delle crisi, l’assenza della carica di vice Alto rappresentante permanente e la portata limitata dei servizi consolari offerti dal SEAE. Ora molto dipenderà dalle modalità di applicazione del compromesso: la palla ritorna perciò nel campo della baronessa Ashton, degli Stati membri e della Commissione. Essi devono collaborare, creare un esprit de corps comune e superare le divisioni cagionate dalla concorrenza.

 
  
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  Angelika Werthmann (NI), per iscritto. (DE) Come sempre, è difficile conciliare ed equilibrare interessi e posizioni che sono svariati e differenti. In ogni caso, nel tiro alla fune cui assistiamo attualmente non possiamo e non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo di fondo, ossia l’attuazione di una politica esterna dell’Unione europea efficiente e coerente. Occorre ancora chiarire gli aspetti seguenti: • Personale – quali e quanti funzionari? • Parità – il personale va selezionato sulla base dei principi della parità di genere. • Di quali poteri godrà il SEAE? • La supervisione del bilancio deve spettare al Parlamento europeo. • Un aspetto molto importante per i contribuenti: qual è il livello dei costi? Tali costi devono comunque rimanere entro limiti ragionevoli e comprensibili. A questo proposito, dobbiamo ricorrere a sinergie per ottenere il massimo della qualità e realizzare risparmi sui costi.

 
  
  

Proposta di risoluzione: Kosovo (B7-0409/2010)

 
  
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  Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) La delegazione del partito comunista greco al Parlamento europeo ha votato contro questa proposta di risoluzione, che mira a consolidare l’illegale secessione del Kosovo, imposta con la forza delle armi dalla NATO, e con la costrizione dall’Unione europea e da altre forze imperialistiche. La risoluzione esonera la NATO dalle responsabilità della guerra e dello smembramento della Serbia, e sostiene invece sia la presenza a lungo termine di truppe e basi della NATO nel Kosovo e nel resto della regione, sia gli interventi di unificazione europeistica attuati con il dispiegamento delle forze di EULEX. Questa risoluzione cerca di anticipare la sentenza della Corte internazionale dell’Aia sulla legalità della secessione del Kosovo. La politica imperialistica dell’Unione europea, che fa da sfondo alla risoluzione, esaspera i problemi dei lavoratori kosovari, lo sfruttamento, la corruzione, la criminalità, l’intensità della ristrutturazione capitalistica, e non lascia loro altra scelta che la migrazione. Tale politica, per di più, aggrava l’instabilità della regione e inasprisce l’oppressione che grava sui serbi e in genere sugli abitanti del Kosovo, nonché i problemi innescati dalla presenza di EULEX e della NATO.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Il Kosovo fa parte di una zona geografica delicatissima, sulla quale l’Unione europea deve vigilare con costante attenzione. Sottolineo in primo luogo la deplorevole mancanza di coesione che regna nell’Unione europea in merito alla linea politica da adottare nei confronti di questo paese, denunciata del resto dalla risoluzione stessa. In effetti cinque Stati membri dell’Unione europea devono ancora riconoscere l’indipendenza del Kosovo, richiesta peraltro nel 2008. Dobbiamo quindi – non solo ai fini della coesione interna dell’Unione europea, ma anche per la nostra credibilità agli occhi del resto del mondo – assumere una posizione politica comune, soprattutto su questioni fondamentali come la concessione dei visti. A mio parere, poi, il processo di integrazione europea di tutti i paesi di questa regione riveste estrema importanza per la stabilizzazione regionale, e tale stabilizzazione è a sua volta nell’interesse complessivo della nostra comunità. Per quanto riguarda il Kosovo, la prospettiva dell’adesione all’Unione europea rappresenta un potente incentivo per l’attuazione delle riforme necessarie, in particolare quelle concernenti i diritti umani, che sono già state avviate e che dobbiamo ulteriormente incoraggiare. Sostengo senza riserve questa risoluzione, che affronta problemi così importanti.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Ho votato contro la proposta di risoluzione sulle prospettive di integrazione europea del Kosovo, poiché essa considera e tratta quella regione come uno Stato indipendente. Essa non rispetta la risoluzione 1244/99 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e invita addirittura i cinque Stati membri dell’Unione europea (tra cui la Grecia) che non lo hanno ancora fatto, a riconoscere l’indipendenza del Kosovo, dichiarata unilateralmente; li invita, in altre parole, a violare la risoluzione dell’ONU. Di conseguenza, questa risoluzione non contribuisce né a risolvere il problema né a consolidare la stabilità e la pace nella regione; anzi, essa chiede perfino un rafforzamento della presenza di EULEX nel Kosovo.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato contro questa risoluzione. La risoluzione stessa, l’analisi della situazione e la direzione che viene suggerita dimostrano quanto fossero nel giusto gli oppositori della secessione del Kosovo.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Il Kosovo non ha ancora ricevuto il riconoscimento unanime di tutti gli Stati membri. La cautela con cui alcuni considerano questo nuovo paese dipende certo da motivazioni politiche e strategiche, ma anche da ragioni di natura più pratica: soprattutto dall’inquietante diffusione, in quel territorio, della corruzione e della criminalità organizzata, per cui il Kosovo non può credibilmente affermare di aver instaurato lo stato di diritto.

Come altri Stati della regione balcanica, anche il Kosovo farebbe bene a presentare le prove di essersi avviato irreversibilmente verso l’adozione di politiche e riforme che da un lato ne confermerebbero la scelta europea, e dall’altro ne rafforzerebbero l’organismo politico, gettando le basi del processo con cui i cittadini potrebbero abbracciare la democrazia e rifiutare la violenza – in particolare la violenza etnica – come metodo per la risoluzione dei conflitti. Il Kosovo deve ancora compiere un lungo cammino.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La presente risoluzione prende atto della dichiarazione d’indipendenza del Kosovo del 17 febbraio 2008, che è stata riconosciuta da 69 paesi, e incoraggia gli Stati membri a rafforzare il loro approccio comune nei confronti del Kosovo con l’obiettivo della sua adesione all’Unione europea. A mio parere, nonostante il pesantissimo retaggio del conflitto armato, la prospettiva dell’adesione all’Unione rappresenta un potente incentivo per l’attuazione delle riforme necessarie in Kosovo; esorto quindi a prendere misure concrete che rendano tale prospettiva più tangibile per i cittadini grazie all’applicazione dei diritti umani e al rafforzamento dello stato di diritto.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) Il semplice fatto che vari Stati membri dell’Unione europea non abbiano ancora riconosciuto l’indipendenza del Kosovo basta a dimostrare che il contenuto di questa risoluzione è inaccettabile. Purtroppo, ancora una volta la maggioranza del nostro Parlamento offre una copertura ad azioni illegali dal punto di vista del diritto internazionale. Come si afferma nell’emendamento presentato dal gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica e respinto dalla maggioranza, la ripresa del dialogo e dei negoziati in conformità del diritto internazionale è l’unico metodo suscettibile di portare a quella regione stabilità e pace duratura.

 
  
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  Lorenzo Fontana (EFD), per iscritto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la relazione dell'on. Lunacek pone in rilievo i limitati progressi ottenuti dal paese e ritengo che i problemi evidenziati rendano ancora meno plausibile il suo ingresso nell'UE, che in questo modo accentuerebbe il carattere eterogeneo che le ultime adesioni stanno contribuendo a plasmare. Analogamente a quanto ho sostenuto in merito alla questione dell'integrazione dell'Albania nell'UE, ritengo che ci troviamo a un bivio: l'Europa deve scegliere se limitarsi a divenire un'entità basata su meri criteri geografici o se ambisce a divenire più organica, coerente e composta da Stati che, nella loro diversità, riescano comunque a palesare caratteristiche comuni e coerenti con l'ideale europeo. Il nodo del mancato riconoscimento della sovranità del paese da parte di cinque Stati Membri rimane un ostacolo che rende, al momento, paradossale l'adesione del Kosovo all'Europa. Per questi motivi, ritengo di non appoggiare la relazione dell'on. Lunacek.

 
  
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  Jaromír Kohlíček (GUE/NGL), per iscritto. (CS) L’autrice del progetto di risoluzione sul processo di integrazione europea del Kosovo chiaramente non vive nel mondo reale e non comprende che il Kosovo non è un membro riconosciuto della comunità internazionale. Il tentativo di sostituire alle pressioni un miglioramento della situazione economica interna, di garantire la coesistenza fra gli abitanti originari, ossia serbi, gorani, rom e altri gruppi etnici attuali, e la maggioranza albanese, di impedire i soprusi nei confronti delle minoranze e affrontare con durezza i clan che smerciano droga in tutta Europa: ecco i problemi fondamentali la cui soluzione può contribuire a migliorare la situazione della zona e a irrobustire la cooperazione transfrontaliera. Non è ancora possibile riprendere il censimento dei cittadini, e il paese dipende ancora totalmente dagli aiuti economici stranieri. Manca la volontà politica di garantire elezioni regolari almeno a livello locale, insieme alle condizioni per il funzionamento delle autorità locali. In questa regione la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata rimane un concetto puramente formale, e lo stesso si può dire del decentramento e della riforma della pubblica amministrazione: tutto questo, perciò, non ha ancora concretamente inciso sulla situazione del paese. La corruzione rampante e diffusissima e il contrabbando di armi e droga fomentano disordini nella regione. É singolare poi constatare che la valuta di questo territorio è l’euro, soprattutto in quanto i requisiti fondamentali per l’utilizzo della moneta unica europea non sono neanche lontanamente soddisfatti. Chiaramente, il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica non può approvare questo progetto di risoluzione .

 
  
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  Marian-Jean Marinescu (PPE), per iscritto. (RO) All’inizio di questa settimana ho appreso con sgomento che un individuo aveva sparato quattro colpi d’arma da fuoco contro un deputato serbo nel parlamento del Kosovo. Quest’attentato ha avuto luogo quattro giorni dopo l’esplosione che ha funestato una manifestazione serba a Mitrovica. L’Unione europea deve essenzialmente affrontare il processo di costruzione della democrazia e di consolidamento della stabilità nel Kosovo. Per questo motivo, la proposta di risoluzione avrebbe dovuto riflettere in primo luogo le realtà di quella provincia, come l’annosa questione della riforma della giustizia e le difficoltà incontrate dalle missioni europee nei loro rapporti con le autorità locali a Pristina. La cooperazione regionale tra i paesi dei Balcani occidentali è un fattore essenziale per il loro sviluppo economico, ma più ancora per il reciproco rispetto e per il rispetto dello stato di diritto. In particolare, la cooperazione tra Belgrado e Pristina, soprattutto a livello locale, è di fondamentale importanza per i cittadini, soprattutto nei settori più duramente colpiti come l’ambiente, le infrastrutture e il commercio. Ultimo ma non meno importante punto, per quanto riguarda il riconoscimento dello status del Kosovo la risoluzione in discussione avrebbe dovuto ammettere chiaramente che essa non riflette la posizione di tutti gli Stati membri.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Cinque Stati membri dell’Unione europea, tra cui la Francia, non hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Di conseguenza, oggi è inaccettabile presentare una relazione che propugni l’integrazione del Kosovo nell’Unione europea. Infine, ho troppo rispetto per gli abitanti di quella provincia per costringerli ad applicare i criteri di Copenaghen, mentre già subiscono le conseguenze dei recenti conflitti. Voterò contro questo testo inaccettabile e provocatorio.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La stabilità regionale e l’integrazione dei paesi dei Balcani occidentali nell’Unione europea hanno sempre costituito una delle priorità dell’Unione stessa. In questo arduo processo alcuni paesi di quella regione si sono avvicinati all’UE più rapidamente di altri: penso alla Serbia, all’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e al Montenegro. Per svariate ragioni, il medesimo processo si è rivelato più lento nel Kosovo, i cui cittadini non possono ancora viaggiare nell’Unione europea senza visto. É urgente superare questa situazione, ma l’esito degli sforzi in tal senso dipende esclusivamente dal Kosovo, che dovrà attuare le riforme necessarie allo scopo.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato contro la risoluzione sul Kosovo, perché essa incoraggia i cinque Stati membri che non lo hanno ancora fatto a riconoscere l’indipendenza, dichiarata unilateralmente, del Kosovo. Il gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica si è sempre opposto alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo, che costituisce un atto contrario al diritto internazionale. Noi manteniamo viceversa il nostro impegno per una ripresa del dialogo con modalità soddisfacenti per entrambe le parti, sulla base della risoluzione 1244/99 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, conformemente al diritto internazionale, come unico metodo possibile per dare pace e stabilità alla regione.

 
  
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  Francisco José Millán Mon e José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra (PPE), per iscritto. – (ES) A nome della delegazione spagnola del gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratico Cristiano) desideriamo precisare il ragionamento che ha motivato il nostro voto sulla risoluzione concernente il processo di integrazione europea del Kosovo: tale risoluzione tratta il Kosovo come se esso fosse uno Stato indipendente in condizioni del tutto normali, trascurando il fatto che lo status di questo territorio è sempre assai controverso agli occhi della comunità internazionale – si attende un parere provvisorio della Corte internazionale di giustizia – e che cinque Stati membri dell’Unione europea, tra cui la Spagna, non hanno riconosciuto il Kosovo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Il Parlamento europeo ha inviato oggi un chiaro segnale: il futuro del Kosovo indipendente sta nell’integrazione nell’Unione europea. Si tratta di un segnale di incoraggiamento sia per il governo, sia per i cittadini del Kosovo; inoltre, costituisce una chiara richiesta di riconoscere il Kosovo, rivolta ai cinque Stati membri che non lo hanno ancora fatto, per rendere più efficace la nostra azione di sostegno. Il nostro Parlamento ha respinto a forte maggioranza la proposta di discutere ulteriormente la questione dello status del Kosovo, in considerazione del fatto che un parere della Corte internazionale di giustizia è atteso per luglio. Con questa risoluzione, il Parlamento si schiera a favore dell’avvio, il più rapido possibile, dei colloqui sulla liberalizzazione dei visti. Non si deve più negare ai cittadini del Kosovo quella libertà di viaggiare che l’Unione europea concederà probabilmente entro la fine dell’anno agli altri Stati della regione. La mia risoluzione chiede di applicare urgentemente questa misura indispensabile per strappare i kosovari dal loro isolamento regionale e internazionale.

 
  
  

Proposta di risoluzione: Albania (B7-0408/2010)

 
  
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  Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Il partito comunista greco ha votato contro questa proposta di risoluzione in quanto è contrario all’adesione dell’Albania all’Unione europea, per gli stessi motivi che lo inducono a opporsi all’adesione e alla permanenza della Grecia in quest’organismo imperialistico internazionale. L’adesione andrà a vantaggio del capitale albanese e di quello mirante all’unificazione europea, soprattutto nei settori energetico, minerario e dei trasporti, nonché dei piani di aggressione imperialistica dell’Unione europea e della NATO; danneggerà invece i lavoratori, i contadini poveri e le piccole e medie imprese.

La proposta di risoluzione invita a promuovere e intensificare il pacchetto di ristrutturazioni capitalistiche imposto, con la complicità dell’Unione europea, dallo spregevole sistema politico antipopolare guidato dai partiti borghesi del paese. Quest’azione antipopolare, che negli anni Novanta ha condotto a sollevazioni di massa, produce privatizzazioni, disoccupazione di massa, migrazione, spopolamento delle campagne, intensificazione dello sfruttamento, criminalità e corruzione. Cerca di attuare un intervento aperto e senza precedenti negli affari interni del paese e nel sistema di opposizione politica, e invoca una regolamentazione antidemocratica dell’attività dei partiti politici e del parlamento. La politica con cui l’Unione europea e le forze borghesi in Albania cercano di affrettare l’adesione aggrava i problemi di sviluppo del paese, la situazione dei lavoratori, la fuga di capitali e i flussi migratori, e comporta per di più rischi enormi per l’intera regione.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Votando a favore di questa proposta di risoluzione sul processo di adesione dell’Albania all’Unione europea, ho inteso approvarne i due principi di fondo. Da un lato sostengo l’idea di adesione a lungo termine di questo paese, giustificata in particolare dai grandi sforzi e dai cospicui progressi già compiuti. In effetti, si sono adottate misure concrete per combattere la corruzione e per rafforzare il quadro democratico dell’Albania. Dall’altro occorre fare ancora molta strada per consolidare la democrazia o semplicemente avviare lo sviluppo sostenibile del paese. La crisi politica vissuta dall’Albania dopo le elezioni legislative del giugno 2009 ci ha dimostrato che questo paese può ancora cadere in balia di gravi difficoltà; proprio per questo avrà bisogno di tutto il nostro aiuto.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. Questa relazione é la dimostrazione di che cosa possa produrre l´europropaganda quando vuole ignorare gli errori del passato; certo il lavoro del collega Chountis sottolinea i problemi interni dell´Albania, ma al tempo stesso sembra quasi dirci che siamo obbligati ad accogliere nell´Unione gli Stati balcanici, come se ciò fosse scritto nel libro del destino e nessuno potesse opporsi al suo dispiegarsi. Non sono affatto d´accordo: l´Albania ha oggi problemi evidentissimi di stabilitá politica interna, ed un livello di corruzione altissimo. Il suo ingresso porrebbe problemi ulteriori, oltre a quelli cui l´Unione giá ha dovuto e deve far fronte ancor oggi in seguito ad un allargamento consistente che ha quasi raddoppiato il numero degli Stati Membri. Non c´è ragione, se non la fame di potere e centralismo delle burocrazie comunitarie, per proseguire la strada verso l´adesione dell´Albania all´UE; considerando l´attuale situazione interna della Repubblica balcanica, non vedo quale contributo potrebbe portare il suo ingresso alla causa dell´integrazione europea.

 
  
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  Mário David (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore di questa risoluzione, poiché sono convinto che l’Albania debba procedere nel cammino verso la possibile adesione all’Unione europea. L’Unione, da parte sua, deve perseverare nella strategia di allargamento in maniera graduale e rigorosa; deve inoltre fungere da propulsore per l’attuazione di importanti riforme nei paesi candidati, o potenziali candidati, all’adesione all’Unione stessa. Tutti sanno però che la strada per l’ingresso nell’Unione è irta di difficoltà. Le condizioni che regolano l’adesione all’UE sono chiare e ben note, e non sempre facili da soddisfare; nel caso dell’Albania, come questa relazione eloquentemente dimostra, il cammino da percorrere è ancora lungo. In primo luogo, il paese deve ancora soddisfare i criteri di Copenaghen, che comprendono pure il processo di stabilizzazione delle istituzioni democratiche; a questo proposito, desidero da un lato sottolineare e sostenere gli sforzi compiuti dal Primo ministro Sali Berisha per individuare una soluzione adeguata all’attuale crisi politica, e dall’altro deplorare il disgustoso atteggiamento dell’opposizione socialista. Il ritmo a cui ciascun paese avanza lungo la strada che conduce all’ingresso nell’Unione europea dipende quindi dallo stesso paese candidato (o potenziale candidato). Mi auguro che l’Albania proceda in questo cammino con decisione e senza tentennamenti.

 
  
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  Bairbre de Brún (GUE/NGL), per iscritto. – (GA) Anche se ho votato a favore di questa relazione, ritengo che spetti ai cittadini albanesi decidere se il loro paese deve entrare a far parte dell’Unione europea.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Nel panorama di instabilità della regione dei Balcani occidentali, l’Albania non costituisce certo un’eccezione; quel paese attraversa anzi una crisi che minaccia di mettere a repentaglio le riforme già avviate, miranti in larga misura a intensificare l’avvicinamento all’Unione europea. Per chi ricordi i giorni della dittatura di Enver Hoxha, non è sorprendente che l’Albania offra ben poche garanzie di poter continuare sulla strada intrapresa e di portare lo sviluppo, il rispetto per lo stato di diritto e le libertà individuali a livelli accettabili rispetto agli standard europei. L’ingresso del paese nella NATO è stato forse un passo importante, ma non basta ancora a convincere l’Unione europea che l’Albania sia un credibile candidato all’adesione.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Benché la risoluzione riconosca i progressi compiuti dall’Albania nel processo di riforma, essa insiste sulla necessità di compiere ulteriori, significativi sforzi per consolidare la democrazia e lo stato di diritto e garantire al paese uno sviluppo economico sostenibile. Sono convinto che la prospettiva di integrazione nell’Unione europea darà impulso all’avvio di varie riforme nei Balcani occidentali e avrà un ruolo costruttivo nel rafforzamento della capacità di pace, stabilità e prevenzione dei conflitti della regione, favorendo le relazioni di buon vicinato e affrontando le necessità economiche e sociali attraverso lo sviluppo sostenibile. D’altra parte, i progressi di ciascun paese verso l’adesione all’Unione europea dipendono dagli sforzi messi in atto per soddisfare i criteri di Copenaghen e per ottemperare alle condizioni previste dal processo di stabilizzazione e associazione; mi auguro che l’Albania riesca a raggiungere questi obiettivi senza difficoltà.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Ho votato contro questo testo per un senso di amicizia nei confronti del popolo albanese. Come possiamo volere il loro ingresso in un’Unione europea che persegue gli interessi delle élite finanziarie, senza badare ad alcun’altra considerazione? Fino a quando l’Unione europea continuerà a propugnare la concorrenza tra i popoli e la difesa degli interessi dei privilegiati, non sarà concepibile alcun allargamento. Per di più, l’Albania postcomunista ha dimostrato scarsa capacità di combattere la criminalità organizzata, che spadroneggia indisturbata in quel paese. Ho votato contro il testo.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La stabilità regionale e l’integrazione dei paesi dei Balcani occidentali nell’Unione europea hanno sempre costituito una delle priorità dell’Unione stessa. La prospettiva dell’integrazione nell’UE spinge quindi i paesi di quella regione a compiere sforzi supplementari per attuare le riforme indispensabili a raggiungere gli obiettivi che consentiranno a tali paesi di conquistarsi la piena adesione all’Unione europea. Vanno sottolineati gli sforzi profusi da questi paesi per favorire pace, stabilità e prevenzione dei conflitti nella regione, oltre che per consolidare le relazioni di buon vicinato. L’Albania si trova ormai in una fase avanzata del processo di integrazione, e ha già risposto al questionario della Commissione per l’elaborazione del parere sulla domanda di adesione del paese all’Unione europea.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Ho votato a favore di questa risoluzione sull’Albania, che ribadisce il sostegno del Parlamento alle prospettive europee di quel paese, non appena esso avrà raggiunto un certo livello di stabilità politica e di affidabilità e avrà pienamente soddisfatto i criteri di Copenaghen. La risoluzione mette in luce i passi in avanti compiuti nel processo riformatore, ma sottolinea l’esigenza di mettere in atto ulteriori sforzi sostanziali, necessari sia per consolidare la democrazia e lo stato di diritto che per garantire uno sviluppo sostenibile del paese. Il testo plaude all’adozione della proposta sulla liberalizzazione dei visti e invita a introdurre l’esenzione dal visto per i cittadini albanesi entro la fine del 2010; sottolinea poi l’importanza della separazione dei poteri e del rispetto per l’indipendenza dell’apparato giudiziario, esortando a compiere progressi particolari su questo punto. I problemi della corruzione, della criminalità organizzata e del traffico di esseri umani costituiscono, nel paese, gli aspetti più preoccupanti su cui la risoluzione prende posizione. La relazione tocca poi i temi dei diritti delle minoranze, dei rom, dei diritti sindacali e della situazione sociale, dei diritti delle donne e delle consultazioni del governo con la società civile in merito ai progetti di legge e di riforma in corso. Incoraggia infine lo sviluppo e l’utilizzo dell’energia rinnovabile, dei trasporti pubblici e della legislazione ambientale.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Mi rallegro per l’adozione di questa risoluzione, soprattutto in quanto essa si compiace dei progressi conseguiti nell’ambito del sistema giudiziario, ma sottolinea che l’attuazione delle riforme è tuttora in una fase iniziale; ritiene che la riforma del sistema giudiziario, compresa l’esecuzione delle sentenze, costituisca una condizione preliminare fondamentale per il processo di adesione dell’Albania all’Unione europea e sottolinea l’importanza della separazione dei poteri in una società democratica; sottolinea che un apparato giudiziario trasparente, imparziale ed efficiente, indipendente da qualsiasi pressione o controllo politico o di altro tipo è fondamentale per lo stato di diritto e chiede l’adozione urgente di una strategia globale a lungo termine in tale ambito, che comprenda una tabella di marcia per l’adozione della legislazione e delle misure di attuazione necessarie; invita l’opposizione a partecipare alla sua elaborazione e a dare il pieno sostegno alla riforma giudiziaria; sottolinea inoltre la necessità di dotare l’apparato giudiziario di risorse finanziarie sufficienti per consentirgli di svolgere efficacemente la propria attività in tutto il paese; attende quindi con interesse nuove iniziative di assistenza da parte della Commissione europea e accoglie con favore, a tale riguardo, la recente inaugurazione del tribunale per i reati gravi a Tirana.

 
  
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  Søren Bo Søndergaard (GUE/NGL), per iscritto. (DA) Ho votato a favore della risoluzione, perché essa contiene una serie di giuste richieste relative a miglioramenti da effettuare in Albania. Il mio “sì” non va però in alcun modo interpretato come un invito, diretto o indiretto, al popolo albanese ad aderire all’Unione europea; su questo punto la scelta spetta esclusivamente agli stessi cittadini albanesi.

 
  
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  Eva-Britt Svensson (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Anche se ho votato a favore di questa relazione, sono fermamente convinta che spetti ai cittadini albanesi decidere in merito all’eventuale adesione del loro paese all’Unione europea.

 
  
  

Proposte di risoluzione: Kosovo (B7-0409/2010) e Albania (B7-0408/2010)

 
  
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  Justas Vincas Paleckis (S&D), per iscritto. (LT) Sia l’Albania che il Kosovo hanno compiuto dei progressi nell’attuazione delle riforme democratiche miranti a consolidare lo stato di diritto e a garantire lo sviluppo sostenibile del rispettivo paese. Dobbiamo però continuare a batterci per la realizzazione di tali obiettivi, soprattutto per quanto riguarda la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, il rafforzamento della capacità amministrativa delle istituzioni statali e il consolidamento dello stato di diritto. In Albania la tensione politica innescata dai risultati delle elezioni parlamentari si protrae da oltre un anno, e ostacola gli sforzi del paese per l’adesione all’Unione europea. Le forze politiche albanesi devono avviare un dialogo costruttivo per giungere a un accordo sui risultati e su una legge elettorale che garantisca un nuovo processo elettorale del tutto trasparente. Ho votato a favore delle risoluzioni anche perché esse invitano gli Stati membri dell’Unione europea a individuare nuovi metodi di interazione con questi paesi balcanici. Una di tali misure è la promozione dei contatti interpersonali, grazie a scambi accademici fra allievi, studenti e scienziati.

 
  
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  Ernst Strasser (PPE), per iscritto. (DE) Vorremmo formulare le seguenti osservazioni sul tema della liberalizzazione dei visti, trattato in questa risoluzione: in linea di principio siamo favorevoli all’esenzione dal visto per i paesi dei Balcani occidentali, ma il prerequisito di tale esenzione dev’essere il pieno soddisfacimento di tutte le condizioni previste.

 
  
  

Proposta di risoluzione: Situazione in Kirghizistan (B7-0419/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della proposta di risoluzione comune presentata da vari gruppi politici. Tale risoluzione conferma la necessità di sbloccare un importo superiore a quello già versato al Kirghizistan, con lo specifico obiettivo di rispondere all’appello urgente lanciato dalle Nazioni Unite, con il quale ci si propone di raccogliere i 71 milioni di dollari indispensabili per gli aiuti di emergenza. Inoltre, ritengo necessario offrire a questo paese non soltanto aiuti di emergenza, ma anche gli strumenti essenziali per stabilizzare la situazione e scongiurare il ripetersi di simili eventi. É perciò di fondamentale importanza introdurre tali strumenti per ristabilire la sicurezza in Kirghizistan.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Nonostante i successi ottenuti ufficialmente a livello politico, il Kirghizistan è ancora interessato da instabilità e conflitti, e niente fa pensare che la situazione possa stabilizzarsi nel breve periodo. Il paese, che ha ottenuto l’indipendenza dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, si è mostrato incapace di adottare standard migliori in relazione ai diritti umani e al rispetto delle libertà individuali.

Ritengo che l’Unione europea possa svolgere un ruolo di stabilizzazione nella sua veste di mediatore e, in una situazione effettiva di post-conflitto, dovrà contribuire attivamente all’arduo compito di pacificazione e democratizzazione in un paese che annovera tra i suoi vicini la Russia e la Cina.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Questa risoluzione esprime profonda preoccupazione per i tragici e violenti scontri recentemente scoppiati nel Kirghizistan meridionale e porge le condoglianze alle famiglie delle vittime. Ricordo l’appello della risoluzione a fare ogni sforzo per garantire il ritorno alla normalità e mettere in atto le condizioni necessarie affinché i rifugiati e gli sfollati interni possano volontariamente ritornare alle loro case in sicurezza e dignità. La risoluzione chiede inoltre alla Commissione di aumentare l’assistenza umanitaria in collaborazione con le organizzazioni internazionali e di avviare programmi per la ricostruzione a breve e medio termine delle abitazioni distrutte e per la sostituzione dei beni perduti, nonché progetti di risanamento, in collaborazione con le autorità kirghise e con altri donatori, per creare condizioni favorevoli al rimpatrio dei rifugiati e al ritorno degli sfollati interni.

 
  
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  Bogdan Kazimierz Marcinkiewicz (PPE), per iscritto.(PL) In relazione alle violenze e agli scontri scoppiati l’11 giugno nel Kirghizistan meridionale e in particolare nelle città di Osh e Jalal-Abad, durante i quali circa 300 persone hanno perso la vita e più di 2 000 sono rimaste ferite, credo che il Parlamento europeo, custode della democrazia, della legge, dell’ordine e del rispetto per i diritti umani, debba reagire con decisione a tali eventi, cercando di scongiurare i processi di destabilizzazione osservati in Kirghizistan. Vorrei quindi esprimere la mia solidarietà e il mio sostegno alla nazione kirghisa appoggiando questa risoluzione e votando a favore della sua approvazione.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) I violenti scontri recentemente scoppiati nelle città del Kirghizistan meridionale, Osh e Jalal-Abad, suscitano in me profonda preoccupazione. Quindi, in considerazione degli impegni assunti dall’Unione europea a favore di questa regione, in particolare attraverso la sua strategia per l’Asia centrale, dobbiamo assumere un ruolo di maggior rilievo nel sostenere il paese. Data la gravità della situazione, è necessario aumentare sensibilmente gli aiuti umanitari forniti dall’Unione europea, stanziandoli a favore di tutti coloro che sono stati colpiti da questi gravi conflitti.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Sono favorevole a questa risoluzione, soprattutto perché chiede un sostanziale aumento degli aiuti umanitari dell’Unione europea a favore delle persone colpite dalle recenti violenze che hanno insanguinato il Kirghizistan meridionale; essa sostiene inoltre un ampio uso dello strumento di stabilità, e ribadisce con noi la necessità di un nuovo livello di impegno dell’Unione nel Kirghizistan meridionale anche nel lungo periodo. La risoluzione ribadisce l’invito già rivolto dal Parlamento alla Commissione per l’elaborazione di proposte relative alla riassegnazione dei fondi dello strumento di cooperazione allo sviluppo, così da assicurare che la risposta dell’UE alla nuova situazione in Kirghizistan abbia una portata sufficiente; e afferma che nella politica dell’Unione sull’Asia centrale è necessario dare la priorità alla sicurezza umanitaria.

 
  
  

Proposta di risoluzione: AIDS/HIV in vista della XVIII conferenza internazionale sull'AIDS (18-23 luglio 2010 a Vienna) (RC-B7-0412/2010)

 
  
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  John Attard-Montalto, Louis Grech e Edward Scicluna (S&D), per iscritto. (EN) La delegazione laburista maltese ha votato a favore della proposta di risoluzione comune sulla risposta dell’Unione europea all’HIV/AIDS, soprattutto dal momento che essa affronta le tematiche fondamentali e le priorità di un problema globale e tragico che ha investito la vita di molte persone; si tratta principalmente delle donne e dei bambini di regioni povere come l’Africa subsahariana, dove 22,4 milioni di persone sono affette da HIV/AIDS. Benché in apparenza la risoluzione non approvi esplicitamente l’aborto, la mia delegazione non sostiene le parti che potrebbero essere interpretate come una giustificazione dell’aborto.

 
  
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  Carlo Casini (PPE), per iscritto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si verifica ancora una volta l'incresciosa situazione in cui, nel discutere di un problema reale e grave (in questo caso la lotta contro l'HIV) si introducono argomenti che, proponendo soluzioni inique riguardo al diritto alla vita, impediscono il voto favorevole. L'uso del linguaggio "salute sessuale e riproduttiva" è divenuto ormai il modo per convincere i parlamenti a promuovere l´aborto. Non possiamo lasciarci ingannare.

Tutti, io per primo, dobbiamo promuovere la salute sessuale e riproduttiva, ma quando le parole indicano una diversa e addirittura opposta realtà (l'uccisione di un essere umano intesa come diritto di libertà della donna) diviene necessario smascherare l'inganno. L'aborto nel mondo è un' autentica tragedia e lo è anche nella nostra Europa! Il mio voto contrario alla risoluzione non intende contrastare l'impegno a tutto campo per combattere l'AIDS, ma vuole opporsi al metodo e al contenuto che ho indicato.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della risoluzione sull’AIDS/HIV in vista della XVIII conferenza internazionale sull’AIDS, perché è necessario intensificare i nostri sforzi e adottare un approccio prioritario nei confronti dell’HIV/AIDS per la sanità pubblica globale, agevolando l’accesso universale alle cure sanitarie, all’istruzione e al lavoro per le persone affette da questo virus. É essenziale combattere contro la stigmatizzazione e la discriminazione delle persone affette da HIV/AIDS tutelando i loro diritti.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Su questa problematica dovrebbe coagularsi l’ampio consenso dei gruppi politici, che non avrebbero dovuto cercare di sfruttarla a favore di questo o quel programma politico. Dal momento che la proposta di risoluzione comune è stata firmata soltanto dai partiti di sinistra e di estrema sinistra del Parlamento, è facile constatare che questo obiettivo è purtroppo a rischio. La nostra azione dev’essere orientata soprattutto agli esseri umani, ad alleviarne le sofferenze e le malattie, e il relativo impatto sulla società, soprattutto nei paesi meno sviluppati. Dobbiamo trovare soluzioni migliori per combattere questo flagello e mitigarne gli effetti, per il bene di queste persone.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) La piaga dell’AIDS rimane un grave problema umanitario a livello mondiale, e richiede quindi una risposta integrata a livello globale che mobiliti gli Stati, le istituzioni e le società di regioni e continenti diversi. La stigmatizzazione sociale che continua a prevalere in questo campo e la continua diffusione della malattia, che provoca un alto tasso di mortalità ed effetti particolarmente devastanti nei paesi meno sviluppati e in quelli caratterizzati da situazione umanitarie drammatiche, devono suscitare le preoccupazioni e l’impegno delle istituzioni dell’Unione europea e degli Stati membri mobilitando le risorse necessarie per una risposta efficace e totale, capace di garantire la necessaria armonizzazione delle politiche di prevenzione e le cure più idonee per combattere la malattia. Non condivido tuttavia l’opportunità di associare la lotta all’HIV a una questione delicata come l’aborto.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. (PT) La risoluzione adotta un approccio a tutto campo nei confronti del problema dell’AIDS/HIV, sulla base dei dati disponibili. Essa sottolinea le questioni fondamentali, che naturalmente appoggiamo, come l’accesso universale alle cure sanitarie e la necessità che i governi adempiano i relativi obblighi, rendendo disponibili a tutti i servizi sanitari pubblici; la promozione, la tutela e il rispetto dei diritti umani, soprattutto del diritto alla salute sessuale e riproduttiva, per le persone affette da HIV/AIDS; l’opportunità di eliminare gli ostacoli economici, giudiziari, sociali e tecnici, nonché la legislazione punitiva e le misure che impediscono di rispondere efficacemente all’HIV; la necessità di finanziamenti equi e flessibili per la ricerca di nuove tecnologie di prevenzione, che comprendano vaccini e microbicidi; l’invito a Stati membri e Commissione a invertire la preoccupante tendenza che vede un calo dei finanziamenti tesi a promuovere la salute sessuale e riproduttiva e i diritti associati nei paesi in via di sviluppo.

 
  
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  Nathalie Griesbeck (ALDE), per iscritto. (FR) Ho votato con forza e convinzione a favore di questa risoluzione, che chiede agli Stati membri dell’Unione europea, alla vigilia della prossima conferenza internazionale sull’AIDS che si terrà a Vienna, nuove leggi per fornire farmaci anti-HIV accessibili ed efficaci, sostenere un maggior numero di campagne di sensibilizzazione nei paesi in via di sviluppo, accrescere il finanziamento per la ricerca di nuovi vaccini e microbicidi e lottare contro la discriminazione dei pazienti. Più di 33 milioni di persone in tutto il mondo convivono con l’AIDS, e dispongono di un accesso molto limitato ai farmaci antiretrovirali; mi auguro quindi che queste poche raccomandazioni saranno seguite in occasione della conferenza internazionale che si terrà la settimana prossima.

 
  
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  Sylvie Guillaume (S&D), per iscritto. (FR) Prima della prossima conferenza internazionale sull’AIDS che si terrà a Vienna nel prossimo luglio, mi sembra indispensabile che noi deputati europei lanciamo un messaggio forte ai governi. Di conseguenza ho votato a favore di questa risoluzione che invita la Commissione e il Consiglio a intensificare gli sforzi per affrontare l’HIV/AIDS come una priorità globale di salute pubblica, che ponga i diritti umani come elemento fondamentale per la prevenzione, le cure e il sostegno.

La percentuale di persone malate che attualmente viene curata è ancora troppo bassa; sono perciò necessarie leggi idonee a fornire farmaci anti-HIV accessibili ed efficaci. Condanno con forza gli accordi bilaterali commerciali che continuano a privilegiare gli interessi commerciali rispetto alla salute, nonostante l’accordo firmato con l’Organizzazione mondiale per il commercio. Come risulta in modo evidente dalla risoluzione, è necessario opporsi a qualsiasi legislazione che criminalizzi la trasmissione dell’HIV e alimenti la stigmatizzazione e la discriminazione nei confronti delle persone malate.

Infine, le statistiche relative alle donne e alle ragazze colpite mostrano il fallimento delle attuali politiche in materia di prevenzione; per questo motivo è indispensabile a mio avviso adottare un approccio veramente realistico, aumentando i finanziamenti della ricerca di nuovi vaccini e microbicidi.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) L’HIV/AIDS rimane una delle principali cause di morte a livello globale; è stata infatti responsabile di due milioni di morti nel 2008, e si prevede che, in tutto il mondo, rimarrà una causa importante di mortalità precoce nei prossimi decenni. Il numero delle nuove infezioni continua a essere superiore all’ampliamento delle cure, e due terzi delle persone che nel 2009 avrebbero avuto bisogno di cure ne sono rimaste prive; ciò significa che 10 milioni di persone non hanno avuto accesso alle cure necessarie. Ritengo che l’Unione europea debba fare il possibile per realizzare maggiori investimenti nei settori della ricerca, delle cure e dell’istruzione, per migliorare questa situazione. É altresì necessario porre fine alla stigmatizzazione e alla discriminazione delle persone affette da HIV/AIDS. L’Unione europea deve mostrare inoltre particolare sensibilità per il problema dell’Africa subsahariana la quale, con i suoi 22,4 milioni di persone che convivono con l’HIV/AIDS, rimane la regione più colpita.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Ho votato a favore della risoluzione comune sull’HIV/AIDS presentata da tutti i gruppi in Parlamento, poiché essa tratta elementi importanti di questo problema; per esempio la garanzia dell’accesso universale ai servizi sanitari pubblici per tutti i cittadini. La risoluzione inoltre chiede ai governi di rispettare gli impegni assunti e di mettere quindi a disposizione di tutti i cittadini i servizi sanitari pubblici. Essa inoltre tutela i diritti alla salute sessuale e riproduttiva dei sieropositivi. Sottolinea inoltre l’esigenza di finanziamenti, secondo le necessità della ricerca, in materia di nuove misure preventive, tra cui i vaccini.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) L’HIV/AIDS è ancora un flagello mondiale, che finora è stato affrontato con molta difficoltà. Soprattutto i paesi in via di sviluppo continuano a registrare percentuali altissime di nuove infezioni e, di conseguenza, un alto tasso di mortalità. Anche all’interno dell’Unione europea, tuttavia, i casi di nuove infezioni aumentano, e il numero di casi non denunciati potrebbe essere molto più alto. Prevale la paura di aver contratto la malattia e di essere stigmatizzati. Per arrestare la diffusione della malattia, anche all’interno dell’Unione europea si svolge un’intensa attività di ricerca. Poiché la ricerca è essenziale nel settore dell’HIV/AIDS, ho votato a favore della risoluzione.

 
  
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  Elisabeth Morin-Chartier (PPE), per iscritto. (FR) Alla vigilia della prossima conferenza internazionale sull’AIDS che si terrà a Vienna dal 18 al 23 luglio 2010, mi associo alla risoluzione che è stata adottata oggi e con la quale si invia un forte messaggio ai governi nazionali. In effetti è essenziale varare nuove leggi che consentano di offrire farmaci anti-HIV accessibili ed efficaci, tra cui gli antiretrovirali e altri farmaci sicuri ed efficaci. Vorrei ricordare che, in Europa e in Asia centrale, soltanto il 23 per cento dei pazienti affetti dall’HIV è a conoscenza delle cure antiretrovirali. Per esempio, tra i paesi dell’Unione europea gli Stati baltici sono quelli che hanno più bisogno di attuare politiche di prevenzione dell’AIDS. Mi rivolgo quindi all’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali affinché raccolga ulteriori informazioni sulla situazione delle persone affette dall’HIV/AIDS e garantisca che esse abbiano diritto a una vita sociale, sessuale e riproduttiva completa.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Signor Presidente, onorevoli colleghi, presento questa dichiarazione di voto perché, pur avendo votato a favore di gran parte della risoluzione, mi sono astenuto sul paragrafo 17. Infatti la versione in francese – a differenza di quella in portoghese – indicava la possibilità che l’espressione “salute sessuale e riproduttiva” includesse l’accettazione dell’aborto come mezzo per promuoverla. Come sostenitore del diritto alla vita, in tutta coscienza, non potevo votare a favore. L’uso dell’espressione “salute sessuale e riproduttiva” non può diventare un modo per persuadere i parlamenti a promuovere l’aborto. Ribadisco tuttavia il mio incondizionato sostegno alla lotta contro l’HIV/AIDS.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) La risoluzione comune è stata adottata, nel testo uscito dalle trattative, con 400 voti a favore e 166 contrari, benché il gruppo PPE, come usa fare, abbia richiesto il voto per parti separate sui diritti sessuali e riproduttivi. Ciò dimostra inoltre che il gruppo PPE è diviso sulla questione. Sono lieto del risultato, soprattutto perché tutte le nostre considerazioni in materia di diritti sessuali e riproduttivi sono state inserite.

 
  
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  Joanna Senyszyn (S&D), per iscritto.(PL) Le infezioni da HIV/AIDS sono un fenomeno globale che non investe esclusivamente i cosiddetti gruppi a rischio né regioni specifiche. Il problema oggi non riguarda i tossicodipendenti o gli omosessuali ma ognuno di noi. Le persone più a rischio sono i giovani, le persone con un buon livello di istruzione, gli individui di razza bianca e coloro che lavorano per le grandi aziende.

Quasi la metà di coloro che convivono con l’HIV sono donne; esse infatti sono più vulnerabili all’infezione perché il virus si trasmette più facilmente dagli uomini alle donne. La XVIII Conferenza internazionale sull’AIDS che si terrà a Vienna dal 18 al 23 luglio di quest’anno metterà in evidenza la necessità di intensificare le campagne informative dirette a giovani e donne. Le donne devono godere di un accesso facilitato e universale alle informazioni sulle cure sanitarie, sia in relazione ai servizi medici che per quanto riguarda gli aspetti sessuali e riproduttivi. Ugualmente importante è la distribuzione gratuita di farmaci anti-HIV alle donne in gravidanza, per scongiurare la trasmissione della malattia dalla madre al bambino. I programmi scolastici sui diritti sessuali e riproduttivi sono cruciali per la prevenzione dell’HIV/AIDS.

Gli effetti più visibili della mancanza di programmi di educazione sessuale nelle scuole sono i casi di infezione da HIV e di altre malattie sessualmente trasmissibili tra i giovani, e le gravidanze precoci e non pianificate tra le ragazze. Per la sua diffusione, il rischio di morte e l’alto numero di casi tra i giovani, l’epidemia di HIV/AIDS dovrebbe essere un motivo sufficiente per introdurre un’adeguata educazione sessuale nelle scuole. Per questo motivo ho votato a favore della risoluzione sull’HIV/AIDS nel quadro della XVIII Conferenza Internazionale sull’AIDS.

 
  
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  Charles Tannock (ECR), per iscritto. (EN) Il gruppo ECR sostiene incondizionatamente i diritti umani per tutti, indipendentemente dalla razza, il genere e l’orientamento sessuale. Siamo favorevoli a promuovere le cure, la prevenzione e l’accesso universale ai servizi sanitari, e incoraggiamo inoltre la sensibilizzazione e l’educazione nella lotta contro l’HIV e l’AIDS.

Riteniamo tuttavia che i diritti riproduttivi, tra cui l’aborto, siano una questione che riguarda la coscienza individuale, e che le proposte contenute in questa risoluzione tendano a ledere il diritto di ogni Stato sovrano di fissare una propria agenda per la politica sulla sanità e sull’aborto.

Per questi motivi, il gruppo ECR ha deciso di astenersi dalla votazione su questa risoluzione.

 
  
  

- Proposta di risoluzione sull’entrata in vigore della Convenzione sulle munizioni a grappolo (CCM) e ruolo dell'UE (RC-B7-0413/2010)

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) La CCM a grappolo vieterà l'uso, la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento di munizioni a grappolo come intera categoria di armi e ne prevede il ritiro e la distruzione. Ho appoggiato la proposta di risoluzione comune, che esorta tutti gli Stati membri a ratificare la suddetta Convenzione, consentendo così all’Unione europea di aderirvi. È fondamentale adottare le misure necessarie affinché i paesi che non hanno ancora ratificato la Convenzione provvedano quanto prima. Per quanto concerne gli Stati membri che l’hanno già sottoscritta, invece, la sua entrata in vigore rappresenta un’opportunità per adottare le misure necessarie alla sua attuazione attraverso, ad esempio, la distruzione delle scorte, l’eliminazione delle armi rimanenti e l’assistenza alle vittime.

 
  
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  Nikolaos Chountis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) Ho firmato e votato a favore della proposta di risoluzione sull’entrata in vigore della Convenzione sulle munizioni a grappolo e sul ruolo dell'Unione europea non soltanto perché si tratta di una questione di importanza capitale, ma anche perché la Grecia, purtroppo, è uno dei paesi che non ha ancora sottoscritto la Convenzione in oggetto. Si tratta di una Convenzione che tutti gli Stati devono attuare immediatamente. Le munizioni a grappolo comportano generalmente un elevato tasso di mortalità e rappresentano un grave rischio per i civili quando vengono utilizzate in prossimità di zone abitate. Le loro drammatiche conseguenze perdurano anche dopo il termine dei conflitti: l’uso di tali munizioni ha provocato molti decessi e ferimenti gravissimi fra i civili, dal momento che le submunizioni inesplose rimaste in loco vengono spesso trovate da bambini e altre persone innocenti ignare innocenti del pericolo.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Tutti i paesi che sono rimasti coinvolti in una guerra si ricordano bene le conseguenze devastanti delle munizioni a grappolo. La posizione del Parlamento a favore della loro proibizione ed estirpazione è del tutto giustificata. Temo, tuttavia, che la volontà dei politici e la ratifica della Convenzione da parte di un numero elevato di Stati potrebbero non essere sufficienti a raggiungere prontamente i risultati auspicati.

Detto questo, rimane indiscutibilmente un passo nella giusta direzione, che l’Unione europea e gli Stati membri hanno l’obbligo di sostenere.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. (PT) Considerando il ruolo insostituibile che svolge l’Unione europea nell’ambito della difesa della pace, della sicurezza, del rispetto per la libertà, la vita, i diritti umani e della qualità di vita dei suoi cittadini, appoggio la risoluzione in oggetto e ribadisco la necessità di trovare una risposta rapida e positiva all’appello rivolto a tutti gli Stati membri affinché sottoscrivano e ratifichino “senza indugio” la Convenzione sulle munizioni a grappolo. Desidero sottolineare che le munizioni a grappolo sono estremamente letali e costituiscono un serio pericolo per la popolazione civile, anche nei periodi post-bellici. Sfortunatamente, i bambini sono le vittime principali di questo genere di materiale esplosivo. Appoggio l’impegno dell’Europa nella lotta alla proliferazione delle armi che uccidono in maniera indiscriminata e mi auguro che gli Stati membri e le istituzioni comunitarie intervengano in maniera coerente e determinata a questo proposito nei confronti dei paesi terzi.

 
  
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  Paweł Robert Kowal (ECR), per iscritto.(PL) La nostra proposta di risoluzione è equilibrata e accoglie con favore le azioni degli Stati membri che hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione sulle munizioni a grappolo; al contempo, riconosce che altri Stati membri, a causa della loro situazione, non sono attualmente in grado di firmare. Il nostro testo esorta proprio quei paesi (fra cui la Polonia, ad esempio) a impegnarsi per soddisfare i requisiti – fra cui una riduzione significativa del numero di munizioni inesplose e la diminuzione dell’intervallo di dispersione, che porterebbero a una riduzione delle potenziali vittime civili – nel quadro di un protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra sulle armi convenzionali. Hanno scelto questa strada Stati Uniti d’America e Polonia, oltre ad altri Stati membri, fra cui Finlandia, Lettonia, Estonia, Romania e Slovacchia.

 
  
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  Sabine Lösing e Sabine Wils (GUE/NGL), per iscritto. (EN) Purtroppo i considerando della proposta di risoluzione comune contengono un accenno favorevole alla strategia europea di sicurezza e alla politica di sicurezza e di difesa comune, che il mio gruppo ed io non condividiamo. Vista però l’importanza capitale della Convenzione sulle munizioni a grappolo (CCM), adottata da 107 paesi, il gruppo GUE/NGL ed io abbiamo sottoscritto comunque la risoluzione comune sull’entrata in vigore della CCM e sul ruolo dell’UE, poiché riteniamo che la Convenzione rappresenti un successo enorme ai fini della proibizione delle munizioni a grappolo.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) La sottoscrizione della Convenzione sulle munizioni a grappolo da parte di venti Stati membri è un’ottima dimostrazione dell’impegno dell’Unione europea nella lotta alla proliferazione di armi che uccidono in maniera indiscriminata. Non possiamo dimenticare che munizioni di questo tipo colpiscono migliaia di civili, uccidendo indiscriminatamente i bambini e altre persone innocenti ignare del pericolo.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) Purtroppo la proposta di risoluzione comune contiene un accenno favorevole alla strategia europea di sicurezza e alla politica di sicurezza e di difesa comune, che il mio gruppo ed io non condividiamo. Vista però l’importanza capitale della Convenzione sulle munizioni a grappolo (CCM), adottata da 107 paesi, il gruppo http://www.europarl.europa.eu/members/expert/politicalBodies/search.do?group=2954&language=IT" \o "Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica" ed io abbiamo appoggiato la risoluzione comune sull’entrata in vigore della CCM e sul ruolo dell’UE. Credo che la risoluzione comune possa essere considerata un passo avanti verso la proibizione delle munizioni a grappolo e per questo ho espresso un voto favorevole.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. − (DE) Le munizioni a grappolo sono fra le armi più insidiose, poiché colpiscono prevalentemente persone innocenti. I bambini, in particolare, possono far brillare accidentalmente ordigni inesplosi rischiando di riportare ferite anche molto gravi. La CCM (Convenzione sulle munizioni a grappolo), già sottoscritta da 20 Stati membri, vieta l’uso delle armi in oggetto e impone ai paesi che le possiedono nel proprio arsenale di distruggerle. Ho appoggiato la risoluzione perché la CCM costituisce il primo passo nella giusta direzione, ovvero verso il divieto di utilizzare una volta per tutte queste armi così letali. Ho tuttavia votato contro la relazione perché non credo che l’accordo possa costringere i paesi a vietare le munizioni a grappolo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Con una stragrande maggioranza, il Parlamento europeo ha lanciato un segnale molto forte contro questa terribile minaccia per gli esseri umani nelle zone di crisi e di guerra. Migliaia di persone continuano a essere vittime delle munizioni a grappolo: si tratta quasi esclusivamente di civili, soprattutto bambini, che spesso scambiano le bombette per palline o giocattoli. Di conseguenza, il Parlamento europeo si è schierato nell’unica maniera possibile nei confronti di quest’arma disumana che non fa distinzioni con un “no” unanime alle munizioni a grappolo in Europa e in tutto il mondo. Il Parlamento europeo esige che tutti gli Stati membri e i paesi candidati che non hanno ancora sottoscritto o ratificato il trattato internazionale volto a bandire le munizioni a grappolo, provvedano nel più breve tempo possibile, preferibilmente entro la fine dell’anno. Noi verdi abbiamo richiesto e ottenuto che gli Stati che non sono ancora stati nominati venissero, appunto, citati, per consentire alla società civile di esercitare pressione laddove serve maggiormente. Estonia, Finlandia, Grecia, Lettonia, Polonia, Romania, Slovacchia e Turchia devono ancora sottoscrivere e ratificare il trattato; Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Ungheria, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Portogallo la Svezia l’hanno sottoscritto, ma non ancora ratificato a livello dei parlamenti nazionali.

 
  
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  Geoffrey Van Orden (ECR), per iscritto. (EN) Il gruppo ECR sostiene con decisione l’impegno finalizzato alla riduzione al minimo delle sofferenze dei combattenti e dei civili e per questo, abbiamo votato a favore della risoluzione in oggetto. Riteniamo, tuttavia, che non si debbano mai mettere a repentaglio l’efficacia operativa e la sicurezza delle nostre forze armate. Dobbiamo essere chiari sul fatto che le “munizioni a grappolo”, così come vengono definite nella Convenzione sulle munizioni a grappolo, non includono munizioni in grado di autodistruggersi o autodisinnescarsi, che saranno impiegate dalle forze armate designate nei nostri paesi.

Personalmente, non condivido la formulazione del paragrafo 10, in cui si invita l’Alto rappresentante “a fare tutto il possibile per realizzare l'adesione dell'Unione alla CCM”. Una delle numerose conseguenze spiacevoli del trattato di Lisbona è che ora anche la stessa Unione europea può aderire alle convenzioni internazionali. Questa dovrebbe essere una prerogativa delle nazioni sovrane e non di un’organizzazione come l’Unione europea, per quanto sia evidente che esistono persone che, purtroppo, cercano di trasformare l’Unione in uno Stato sovrano.

 
  
  

Relazione Lyon (A7-0204/2010)

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, onorevoli colleghi, la politica agricola comune (PAC) costituisce una delle più importanti politiche dell'Unione europea e in seguito all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona la riforma della PAC, cosi come qualsiasi nuova legislazione in materia agricola, non può essere approvata senza l'accordo del Parlamento.

Gli agricoltori producono beni al servizio di tutta la società, ma la politica agricola comune non riguarda solo gli agricoltori, perché c'è relazione tra agricoltura, ambiente, biodiversità, cambiamento climatico e gestione sostenibile di risorse naturali come l'acqua e la terra; c'è anche un legame evidente tra l'agricoltura e un corretto sviluppo economico e sociale delle vaste zone rurali dell'UE; oltre a fornire il cibo necessario per vivere.

Questa prima risoluzione sul futuro della PAC rappresenta il contributo di noi deputati al dibattito su come riformare la PAC in concomitanza con il nuovo bilancio multi annuale che comincia nel 2013 e su come stabilire i principi fondamentali che dovrebbero condizionare il processo di costruzione di una nuova politica agricola comune. Con questo voto il Parlamento ha messo l'accento su come affrontare le nuove sfide, come la lotta al cambiamento climatico, la sicurezza alimentare, la qualità degli alimenti, la competitività delle imprese e i redditi degli agricoltori.

 
  
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  Charalampos Angourakis (GUE/NGL), per iscritto. (EL) La relazione sul futuro della politica agricola comune dopo il 2013 promuove una politica di armonizzazione volta a eliminare gli agricoltori meno abbienti dalle imprese agricole di medie dimensioni, a favore di una produzione agricola capitalistica su larga scala. La PAC, le riforme sul suo stato di salute e le decisioni dell'OMC hanno avuto un impatto terribile sulle imprese agricole di medie dimensioni più povere. Prima di entrare a far parte della CEE/UE, la Grecia esportava la propria produzione agricola; oggi, investe 2,5 miliardi di euro nell’importazione di prodotti che potrebbe senza problemi produrre autonomamente. Ogni anno, nel settore agricolo si perdono ventimila posti di lavoro, la produzione è in calo, il reddito agricolo è diminuito del 20 per cento fra il 2000 e il 2008 e il 75 per cento delle imprese agricole registra un utile lordo compreso fra 1 200 e 9 600 euro.

La relazione considera le conseguenze dolorose per le piccole e medie imprese un fattore positivo. L’obiettivo della relazione consiste nell’adattare la PAC alla strategia del capitale monopolistico per l’economia agricola, così come affermato nella strategia UE 2020: “un’agricoltura competitiva”, grandi aziende agricole che monopolizzeranno la terra e i sussidi comunitari a discapito dei più poveri e delle aziende agricole di medie dimensioni e una concorrenza spietata per il possesso di una quota dei mercati globali che armonizzano l'Europa. La decisione della Commissione di sospendere o addirittura abolire i sussidi e gli aiuti europei all’agricoltura per tutti gli Stati membri che non soddisfano i requisiti di disciplina finanziaria previsti dal Patto di stabilità, costituisce un passo pressoché nella stessa direzione.

 
  
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  Elena Oana Antonescu (PPE), per iscritto. (RO) A oggi 13,6 milioni di cittadini comunitari sono occupati direttamente nei settori agricolo, forestale e ittico, e sono altri 5 milioni gli addetti che lavorano nell'industria agroalimentare. Ogni anno generano oltre 337 miliardi di euro in produzione a livello comunitario.

Dal momento che l’Unione europea deve garantire la sicurezza alimentare dei propri cittadini e contribuire allo sviluppo a lungo termine dei settori agricoli, l’agricoltura deve essere modificata radicalmente affinché mantenga la sua produttività, in un momento in cui è costretta ad adattarsi a vincoli ambientali più rigorosi di quelli attualmente in vigore.

Le politiche sulla diminuzione delle attività agricole per combattere il cambiamento climatico ridurranno l’estensione delle aree coltivate e imporranno nuovi vincoli alla produzione agricola, con l’obiettivo di ridurre l’impatto sull’ambiente e sul clima. La politica agricola comune dell’Unione dovrà adattarsi a un nuovo contesto economico e sociale a livello locale e regionale, che terrà in debita considerazione l’aumento dei costi dell’energia.

La relazione in oggetto ha identificato correttamente i problemi chiave che la politica agricola comune dovrà affrontare dopo il 2013; per questo motivo ho espresso voto favorevole.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) La relazione Lyon intende garantire e migliorare il futuro della politica agricola comune (PAC) dopo il 2013, in relazione al contesto di crisi economica e alle gravi difficoltà finanziarie a cui devono far fronte gli Stati membri, i contribuenti, gli agricoltori e i consumatori. L’Unione europea, di conseguenza, dovrà rispondere all’aumento della pressione demografica e della domanda proveniente dal mercato interno. Come evidenziato nella relazione, alla quale ho espresso voto favorevole, non si tratta banalmente di intensificare la produzione; le sfide a cui devono far fronte la PAC e i nostri agricoltori consisteranno prevalentemente nel produrre più alimenti con meno terra, meno acqua e meno energia. Nel corso della seduta plenaria sono stati presentati numerosi emendamenti; ho votato a favore dell’emendamento n. 1, che insiste sull’elevato valore nutrizionale dei prodotti agricoli, ma ho espresso voto contrario all’emendamento n. 2, che chiedeva l’eliminazione della struttura su due pilastri della PAC.

 
  
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  Zigmantas Balčytis (S&D), per iscritto. (LT) Ho votato a favore della relazione in oggetto. La riforma avviene in un contesto di crisi economica e di gravi difficoltà finanziarie cui devono far fronte Stati membri, contribuenti, agricoltori e consumatori. La nuova PAC dovrà adattarsi a un contesto globale ed europeo in evoluzione e affrontare numerose sfide: l'agricoltura europea deve garantire la sicurezza alimentare ai propri consumatori e contribuire a nutrire una popolazione mondiale in costante aumento. Sarà un compito decisamente arduo, poiché la crisi energetica, l'aumento del costo dell'energia e la necessità di ridurre le emissioni dei gas a effetto serra ostacoleranno la crescita della produzione. Inoltre, l'impatto del cambiamento climatico precluderà la possibilità di introdurre nella produzione nuovi ampi appezzamenti di terreno, e di conseguenza, l'Unione europea e l'agricoltura mondiale dovranno produrre più alimenti con meno terra, meno acqua e meno energia. Credo che il principio su cui si basa la PAC debba rimanere quello della certezza di un'agricoltura europea competitiva nei confronti di partner commerciali adeguatamente sovvenzionati – quali Stati Uniti, Giappone, Svizzera o Norvegia – fornendo agli agricoltori europei eque condizioni di scambio. Deve anche continuare a sostenere l'attività agricola in Europa, al fine di garantire una produzione alimentare locale e uno sviluppo territoriale equilibrato.

 
  
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  Bastiaan Belder (EFD), per iscritto. (NL) La relazione di iniziativa del collega Lyon riveste un’importanza capitale. Ora la Commissione europea è a conoscenza della posizione del Parlamento in merito e dovrà tenerla in debita considerazione quando presenterà nuove proposte. Per quanto concerne il mio partito, la politica agricola comune (PAC) continuerà a esistere anche dopo il 2013. L'agricoltura è importante per i nostri cittadini e la sicurezza alimentare, il paesaggio, l’ambiente, il benessere degli animali, il clima – solo per fare qualche esempio – sono ambiti in cui il contributo dell’agricoltura può essere vitale. Una politica solida dovrà essere sostenuta anche da mezzi finanziari sufficienti. Vi sono sfide che abbiamo già citato e ve ne saranno altre nuove cui dovremo far fronte. Attualmente, l’Unione europea è costituita da un vasto numero di Stati membri. Appoggio questa relazione perché chiede lo stanziamento di fondi comparabili per l’agricoltura nel bilancio per il periodo successivo al 2013, ma è comunque necessario un lavoro di riformulazione. Servono innanzi tutto disposizioni semplificate e meno burocrazia; dovremo poi passare da un modello in cui non tutti gli agricoltori ricevono aiuti finanziari a un modello basato sulla superficie coltivabile. In quest’ottica, sarà fondamentale un periodo di transizione in cui agire con cautela.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Trascorso il periodo di programmazione 2007-2013, la nuova Politica agricola comune dovrà affrontare una sfida importantissima per i nostri agricoltori: garantire almeno lo stesso livello di risorse finanziarie del passato distribuendole in maniera equa tra vecchi e nuovi Stati membri sulla base non solo del numero di ettari, ma anche di altri criteri oggettivi di valutazione. Ho sostenuto con un mio voto favorevole la relazione del collega Lyon in quanto appoggio pienamente il suo intento di regionalizzare e mantenere gli aiuti in forma accoppiata a favore dei territori e dei settori agricoli vulnerabili. Credo inoltre nell´importanza della politica della promozione delle Indicazioni Geografiche, nella semplificazione, nel rispetto degli standard comunitari da parte delle importazioni da Paesi terzi, nonché nel rafforzamento della posizione dei diversi attori della catena alimentare.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) Questa relazione conferisce alla politica agricola comune un ruolo strategico in termini di sicurezza alimentare e sviluppo sostenibile. Lo sviluppo di tecnologie verdi nel settore agricolo racchiude un enorme potenziale per la creazione di occupazione e contribuirà in maniera decisiva a raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. In questa relazione, il Parlamento europeo presenta la propria posizione in merito alla riforma e al finanziamento della politica agricola comune dopo il 2013. La relazione, inoltre, si sofferma sui legami esistenti fra politica agricola e cambiamento climatico.

 
  
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  Ole Christensen, Dan Jørgensen, Christel Schaldemose e Britta Thomsen (S&D), per iscritto. (DA) Sull’intera relazione: Noi socialdemocratici danesi abbiamo deciso di votare contro la relazione sulla politica agricola comune dopo il 2013 perché crediamo che non rifletta in modo adeguato il desiderio di mettere a punto una riforma di cui abbiamo disperato bisogno. Avremmo preferito vedere l’Unione europea dare l’esempio e bloccare il pagamento di sovvenzioni alle esportazioni entro il 2013 al più tardi, a prescindere dagli interventi degli altri partner commerciali dell’OMC. Questo aspetto non compare nella relazione. Per quanto concerne il pagamento di sovvenzioni, avremmo preferito requisiti più severi per l’ambiente, il clima e la sostenibilità, rispetto a quelli attualmente in vigore, che sono decisamente poco ambiziosi. Nemmeno questo aspetto compare nella relazione. Avremmo preferito vedere una notevole riduzione della quota di bilancio dell’Unione europea destinata agli aiuti all’agricoltura, ma nemmeno questo punto compare nella relazione. Alla luce di quanto detto, noi socialdemocratici danesi non possiamo appoggiare la relazione finale sugli aiuti comunitari per l’agricoltura dopo il 2013.

Sull’emendamento n. 3: Noi socialdemocratici danesi riteniamo che le sovvenzioni comunitarie vadano eliminate dalla politica agricola comune. Un commercio libero ed equo deve costituire il principio guida per uno spazio agricolo basato sulla sostenibilità. Abbiamo votato contro l’emendamento in oggetto poiché lo riteniamo contraddittorio, dal momento che chiede l’erogazione di aiuti comunitari senza la distorsione del commercio libero ed equo, che è esattamente ciò che stanno provocando i meccanismi di sovvenzione dell’Unione europea.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Il mio è un sì deciso al mantenimento di un’equa distribuzione dei pagamenti nel quadro della politica agricola comune dopo il 2013 per gli agricoltori dei nuovi e dei vecchi Stati membri. Questo consentirebbe di eliminare la disparità di trattamento nei confronti degli Stati membri che hanno aderito all’Unione solo recentemente, fra i quali la stessa Romania.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Ci troviamo a un bivio nella definizione della futura riforma della politica agricola comune. Si tratta di una questione che riguarda non soltanto gli europei, ma i cittadini del mondo intero. Per questo motivo, la riforma in oggetto non dovrebbe essere esclusivamente appannaggio di esperti, ma anche di agricoltori e consumatori. Dobbiamo ridefinire gli obiettivi generali della nuova politica agricola comune e gli europei hanno nuove aspettative in termini di produzione e approvvigionamento alimentare: vogliono un’agricoltura rispettosa dell’ambiente e che raggiunga standard elevati in termini di qualità, tracciabilità, sicurezza alimentare e impronta di carbonio. Questa nuova politica deve rientrare in un progetto globale e prevedere una sfida enorme: riuscire a rispondere al raddoppiamento della domanda di produzione e approvvigionamento alimentare che registreremo entro il 2050, in un contesto caratterizzato da risorse idriche scarse, dalla riduzione delle terre coltivabili e dalla conclusione di un nuovo accordo energetico dettato dalla lotta al cambiamento climatico. L’organizzazione comune dei mercati agricoli va ridefinita, tenendo in considerazione i due principali motivi ispiratori di una politica agricola comune: garantire la sicurezza alimentare e proteggere la linfa vitale dei piccoli agricoltori e delle loro famiglie, sia a livello nazionale, sia nei paesi più poveri del mondo.

 
  
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  Diane Dodds (NI), per iscritto. (EN) Ho votato a favore della relazione in oggetto, ma desidero sottolineare che il mio sostegno costante è subordinato alla capacità della Commissione di tenere in debita considerazione e garantire il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

1. il bilancio della PAC deve essere in grado di garantire ai nostri agricoltori un reddito sostenibile e sicuro e ai consumatori la sicurezza alimentare;

2. dobbiamo mantenere i pagamenti nel quadro del primo pilastro, ricompensando gli agricoltori per il loro lavoro, garantendo pagamenti diretti all’industria;

3. dobbiamo chiarire cosa intendiamo per distribuzione equa della PAC e valutare i costi di produzione. Un sistema di pagamenti basato sulla superficie agricola che ricompenserà l’Irlanda meno rispetto ai livelli attuali distruggerà l’industria, peraltro già sull’orlo del precipizio. La variazione regionale è fondamentale;

4. dobbiamo conservare misure di controllo del mercato in grado di monitorare la volatilità dei prezzi e garantire la redditività.

 
  
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  Leonidas Donskis (ALDE), per iscritto.(LT) La risoluzione del Parlamento europeo sulla politica agricola comune è una riforma ambiziosa e mirata. Il gruppo http://www.europarl.europa.eu/members/expert/politicalBodies/search.do?group=2966&language=IT" \o "Gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa" ed io l’abbiamo appoggiata con voto favorevole. L’aspetto più importante è che la relazione riconosce le ingiustizie perpetrate nei confronti degli agricoltori dei nuovi Stati membri. Ci esorta, da un lato, a soddisfare le aspettative dei 12 nuovi Stati membri entrati a far parte dell’Unione dopo il 2004, e dall’altro, a trattarli in maniera equa nell’ambito della ridistribuzione dei fondi comunitari. Dal momento che i poteri del Parlamento europeo in questo settore sono aumentati in seguito all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, mi auguro che il Consiglio non ritorni a una distribuzione iniqua dei pagamenti diretti per gli agricoltori dei nuovi e dei vecchi Stati membri e che non approvi ulteriori finanziamenti generali che potrebbero danneggiare la concorrenza leale all’interno del mercato unico europeo. La nuova PAC deve garantire agli agricoltori un sostegno efficiente e mirato, che giovi alla società intera e ai consumatori in modo particolare. Questa politica richiama l’attenzione sulla sicurezza alimentare e sull’approvvigionamento di prodotti di elevata qualità a prezzi ragionevoli. In quanto liberale, posso giustificare l’attuale bilancio della PAC solo se la nuova politica agricola comune saprà creare un valore aggiunto senza distorcere il mercato; se saprà rendere l’Unione europea più competitiva rispetto ai suoi partner commerciali; se saprà creare occupazione e promuovere uno sviluppo equilibrato dell’agricoltura e delle campagne, preservando, allo stesso tempo, l’ambiente e il paesaggio. Le riforme proposte dal Parlamento europeo rappresentano un passo positivo che la famiglia dei liberali europei ed io accogliamo con favore e desideriamo compiere.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione sul futuro della PAC dopo il 2013 perché credo sia necessario rafforzare le politiche della PAC e garantire un bilancio adeguato per far fronte alle sfide che l’agricoltura europea si trova dinanzi, quali ad esempio il cambiamento climatico, la sicurezza e la qualità alimentari e la competitività del settore.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato contro l’emendamento n. 69 a questa proposta perché mette a repentaglio la definizione della politica agricola comune (PAC) nel suo complesso e mina gli interessi dell’agricoltura portoghese, poiché propone di eliminare i finanziamenti per le misure strutturali senza garantirne la sostituzione attraverso le modifiche al primo pilastro. Una proposta di questo tipo, inoltre, implica difficoltà di natura procedurale nella futura distribuzione dei fondi comunitari agli agricoltori, in un momento in cui il sistema attualmente in vigore andrebbe semplificato e non complicato ulteriormente. Desidero sottolineare che lo Stato portoghese continua a sprecare centinaia di milioni di euro nel quadro dei finanziamenti del primo pilastro. Con l’abolizione del secondo pilastro e il trasferimento di alcune misure di quest’ultimo al primo, verranno a cadere molte delle misure attualmente sostenute – soprattutto a causa dell’evidente condizione di irrealizzabilità del bilancio – con il conseguente indebolimento della PAC. Sinceramente, non capiamo quali benefici potrebbe apportare un eventuale trasferimento dei fondi della PAC ad altre politiche; sosteniamo, piuttosto, delle misure in grado di proteggere l’unica vera politica comune esistente in seno all’Unione europea.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) La PAC ha aumentato la produttività, ha garantito la disponibilità di approvvigionamenti e ha fornito ai consumatori prodotti alimentari di qualità a prezzi ragionevoli. La nuova PAC dovrà affrontare sfide nuove e pressanti, nonché proporre un quadro per l'avvenire basato su stabilità, prevedibilità e flessibilità in periodi di crisi.

La riforma della PAC dovrebbe essere rivista nel contesto della crisi economica e della lotta al cambiamento climatico e dovrebbe mantenere intatta la sua competitività a livello mondiale. Ci si aspetta che il settore agricolo riesca a contribuire in modo consistente, da un lato, al raggiungimento delle priorità della nuova strategia Europa 2020 in termini di lotta al cambiamento climatico, innovazione e creazione di occupazione attraverso una crescita verde; dall’altro, deve garantire nel tempo la disponibilità di approvvigionamenti ai consumatori europei, producendo alimenti sicuri e di qualità elevata.

Ritengo, tuttavia, che la PAC debba fare della produzione della cosiddetta prima generazione di beni pubblici la sua priorità e della sovranità alimentare il suo principio guida, con l’obiettivo di rendere autosufficienti gli Stati membri. Appoggio la regolamentazione del mercato nel settore lattiero-caseario, dalla produzione alla commercializzazione. In quest’ottica, ritengo che sia fondamentale mantenere le quote latte.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Fra i numerosi aspetti da considerare, i profondi cambiamenti da apportare alla politica agricola comune (PAC) dovrebbero includere: la definizione del principio di diritto al cibo e di sovranità alimentare; l’attribuzione dello status di priorità all’autosufficienza alimentare e alla possibilità per i singoli paesi e le singole regioni di avviare una produzione in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare a livello sia regionale sia nazionale; il sostegno ad attività che promuovano la produzione locale, che rispettino l’ambiente locale, le risorse idriche e il suolo, che aumentino la produzione di generi alimentari senza tracce di OGM, che promuovano la biodiversità delle sementi per gli agricoltori e la diversità delle specie di bestiame domestico. Questo è il succo di uno dei numerosi emendamenti che abbiamo presentato alla relazione oggetto della discussione odierna.

Il rifiuto dell’emendamento in oggetto e dei principi in esso contenuti da parte dei principali gruppi politici al Parlamento europeo mette in luce la direzione che intendono seguire, già evidenziata nella relazione stessa. Sebbene, da un lato, la relazione sostenga alcuni principi fondamentali – come ad esempio il rifiuto di rinazionalizzare la PAC o di ridurre l'ammontare complessivo del bilancio e la decisione di ridistribuire equamente gli aiuti fra paesi e produttori – dall’altro, conserva il punto di vista predominante nelle precedenti riforme della PAC, ovvero la liberalizzazione totale dei mercati agricoli e la subordinazione della PAC agli interessi dei negoziati dell’Unione europea in seno all’OMC. Questa visione è, a nostro avviso, inaccettabile.

 
  
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  Anne E. Jensen (ALDE), per iscritto. (DA) Quest’oggi i tre membri del Danmarks Liberale Parti (partito liberale danese) hanno votato a favore della relazione sulla politica agricola dell’Unione europea dopo il 2013. Il testo si sofferma sul processo volto a modernizzare e a rendere più efficiente l’agricoltura e garantisce che verranno migliorati i settori ambientale e del benessere animale; assicura inoltre che verrà considerato il contributo dell'agricoltura alla politica energetica e climatica e che verranno elaborate normative più semplici per il settore agricolo. Non condividiamo alcune dichiarazioni relative al bilancio agricolo dell’Unione europea e per questo il Danmarks Liberale Parti continuerà ad adoperarsi per una graduale eliminazione degli aiuti agricoli dell’Unione europea. Nel complesso, tuttavia, la relazione riflette il consolidamento e l’ulteriore sviluppo delle riforme della politica agricola dell’UE realizzate nel corso degli ultimi anni.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) Si prevede che la nuova politica agricola comune (PAC) verrà applicata al settore agricolo europeo a partire dal 2014. La relazione Lyon costituisce il preludio agli intensi negoziati sul futuro della PAC dopo il 2013 che avranno luogo nei prossimi tre anni. Per la prima volta nel quadro della riforma agricola comunitaria, il Parlamento europeo gode del potere di codecisione e sarà un negoziatore chiave fra gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione europea. Mediante le proposte iniziali incluse nella relazione, il Parlamento europeo definisce un approccio ben preciso: un impegno chiaro verso la politica agricola comune e i due pilastri che la costituiscono, i pagamenti diretti e lo sviluppo rurale, aspetti che dovranno essere salvaguardati nel quadro del modello agricolo per il post-2013. Soltanto la PAC, i cui finanziamenti previsti per il prossimo periodo di programmazione finanziaria saranno mantenuti per lo meno agli stessi livelli del bilancio per il 2013, sarà in grado di garantire un’agricoltura multifunzionale su tutto il territorio europeo e, di conseguenza, la disponibilità di alimenti di buona qualità. È necessario individuare un modello adeguato soprattutto per il mio paese, l’Austria: un modello che tuteli le strutture più piccole e garantisca un equilibrio duraturo per le zone montane. Oltre alla produzione alimentare, anche l’agricoltura contribuisce in modo significativo alla tutela del paesaggio culturale. Appoggio la relazione Lyon poiché vi è stato inserito l’emendamento che ho presentato a favore della tutela dell’agricoltura su tutto il territorio comunitario, incluse le zone montane; questa modifica offrirà una prospettiva stabile per il futuro dei giovani agricoltori.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio Presidente, cari colleghi, sostengo che l'agricoltura europea necessita di una politica comune che continui ad essere tale per evitare disparità inevitabili tra gli Stati membri e per garantire che la PAC sia equamente finanziata interamente dal bilancio europeo. Ho, pertanto, votato contro la rinazionalizzazione della PAC poiché la nuova politica agricola comune avrà bisogno di un adeguato finanziamento al fine di poter meglio sostenere questa politica conformemente alle principali sfide che questo settore cruciale per la sicurezza alimentare dell'UE dovrà affrontare nei prossimi anni. Proprio la sicurezza alimentare rappresenta un diritto per i consumatori che deve essere tutelato parimenti alla garanzia dei beni pubblici "di seconda generazione" quali l'ambiente, l'assetto territoriale e il benessere degli animali.

 
  
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  Marine Le Pen (NI), per iscritto. (FR) Se da un lato accolgo con favore la relazione in oggetto sul futuro dell’agricoltura, dall’altro non condivido l’opinione secondo cui la politica agricola comune avrebbe raggiunto i seguenti obiettivi: garantire un tenore di vita equo, stabilizzare i mercati, produrre alimenti di elevata qualità a prezzi ragionevoli, sviluppare l’economia nelle aree rurali e garantire la nostra sicurezza e sovranità alimentare. La realtà è ben diversa, basta guardare la situazione della Francia, paese agricolo per antonomasia, che ha registrato un calo del 34 per cento del reddito nei propri conti pubblici.

Come già avvenuto in passato, la PAC dopo il 2013 non sarà in grado di proteggere i nostri agricoltori dagli speculatori né dalla concorrenza selvaggia a livello globale, e non sarà nemmeno in grado di compensare gli eccessi delle multinazionali dell’industria della lavorazione alimentare e dei grandi operatori della distribuzione. La PAC dopo il 2013 si troverà bloccata fra la logica di mercato ultraliberale e internazionalista della Commissione europea e una futura PAC verde, al servizio – in realtà – dei neocapitalisti dell’ecobusiness. Si tratta di una logica che, da un lato, sacrifica la nostra ruralità – senza apportare alcun beneficio ai paesi più poveri o svantaggiati né alle aree desertificate in Europa – dall’altro, giustifica la rinazionalizzazione della PAC nel più breve tempo possibile.

 
  
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  Petru Constantin Luhan (PPE), per iscritto. (RO) Quello agricolo è e resterà un settore strategico per l’economia dell’Unione europea, che si trova ad affrontare le sfide del futuro e garantire l’indipendenza e la sicurezza alimentare dei cittadini europei mediante la propria politica comune. Ho votato a favore di questa importante relazione perché ritengo che, nel corso del prossimo periodo di programmazione, la politica agricola comune avrà bisogno del sostegno di un bilancio consolidato e ben strutturato, adeguato alle sfide cui dovremo far fronte. A mio avviso, dobbiamo creare legami solidi fra politica di sviluppo rurale e politica regionale, al fine di garantire un certo grado di coerenza con gli interventi dello stesso tipo realizzati nelle singole regioni e promuovendo, di conseguenza, la coesione territoriale all’interno dell’Unione europea. Ritengo fondamentale tenere in considerazione le caratteristiche territoriali e le priorità delle singole regioni, che dobbiamo avere ben presenti al momento di promuovere norme e obiettivi comuni. In questo modo potremo sviluppare un’agricoltura dinamica, multifunzionale e sostenibile in Europa.

 
  
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  Astrid Lulling (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione sulla politica agricola comune dopo il 2013 perché ritengo che il Parlamento europeo, oggi dotato di nuovi poteri grazie all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, stia dimostrando chiaramente – mediante l’eccellente relazione in oggetto – di assumersi pienamente le nuove responsabilità che gli spettano.

Il Parlamento è favorevole al mantenimento di una politica agricola comune degna di tale nome anche dopo il 2013, con un bilancio come minimo pari a quello attuale, al fine di garantire una produzione di elevata qualità e la sicurezza dell’approvvigionamento nei 27 Stati membri. Sono lieta di constatare che i miei emendamenti in materia sono stati accolti nel testo della relazione.

È stato ampiamente sostenuto anche il mio appello a favore del mantenimento di determinate misure di mercato che fungano da paracadute per gli agricoltori e i prezzi dei loro prodotti. Dobbiamo evitare, fra le altre cose, eventuali crisi di sovrapproduzione, per salvaguardare le attività agricole in tutte le regioni europee, nonché mantenere strumenti specifici per gestire il potenziale di produzione proprio di alcuni settori.

 
  
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  Véronique Mathieu (PPE), per iscritto. (FR) Ho votato a favore della relazione Lyon sul futuro della PAC e, in particolare, del mantenimento dei suoi due pilastri. La votazione odierna della plenaria sulla relazione Lyon riveste un significato simbolico, poiché gli europarlamentari sono i primi a prendere posizione sull’argomento e a presentare le relative proposte per la PAC dopo il 2013. Sono certa che il Commissario Cioloş terrà in debita considerazione l’esito di questa votazione nel quadro delle proposte che presenterà la Commissione a novembre.

Le priorità del settore agricolo europeo, fra cui la sicurezza alimentare, la regolamentazione del mercato e la pianificazione spaziale, sono chiaramente riconfermate, e lo stesso vale per le conseguenze in termini di bilancio che devono essere in linea con le ambizioni della PAC. Non dobbiamo dimenticare le misure a sostegno della biodiversità, che deve costituire il nucleo delle disposizioni della PAC, poiché la sua tutela non rappresenta più un semplice lusso per la conservazione delle specie e degli habitat.

 
  
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  Erminia Mazzoni (PPE), per iscritto. − La crisi del 2009 ha mostrato il volto debole del sistema di misure a sostegno del comparto agricolo. Gli effetti si sono avvertiti sul reddito degli agricoltori, che hanno subito una riduzione del 12% su ricavi che normalmente già si assestano intorno al 50% della media dei ricavi dell´Unione Europea. All'importanza del settore, che impiega circa 30 milioni di addetti, va dimensionata l'azione strategica per il dopo 2013, partendo dal rafforzamento della politica comune, da una politica di bilancio adeguata e mantenendo il budget, in considerazione dei molteplici effetti benefici dell'agricoltura per l'ambiente, per la salute e per i mutamenti climatici. É importante garantire attraverso aiuti mirati prezzi ragionevoli ai consumatori e un reddito equo per gli agricoltori. Nella strategia 2020 l'agricoltura deve avere maggior ruolo e definire azioni per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. L'instabilità del mercato cresce all'aumentare delle previsioni a garanzia della sicurezza e della sostenibilità dei prodotti perché tale situazione colloca i produttori dell'UE in una condizione di svantaggio competitivo rispetto alle importazioni. Diventa difficile assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori e remunerazione equa se non si introducono regole più severe per garantire il rispetto del principio della preferenza comunitaria.

 
  
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  Mairead McGuinness (PPE), per iscritto. (EN) Il Parlamento europeo ha acquisito nuovi poteri in virtù del trattato di Lisbona, nello specifico nell’ambito della politica agricola. Nuovi poteri implicano nuove responsabilità e il sostegno alla relazione Lyon sul futuro della politica agricola comune (PAC) dopo il 2013 dimostra che il Parlamento si sta assumendo i nuovi obblighi con serietà. Riconosciamo la necessità di mantenere la PAC, di disporre di un bilancio adeguato e di considerare la produzione alimentare come parte integrante dei cosiddetti “beni pubblici” generati dagli agricoltori e per cui devono essere ricompensati. Abbiamo votato a favore del mantenimento della struttura a due pilastri e le misure a sostegno del mercato sono, a nostro avviso, una componente fondamentale della PAC. Abbiamo rigettato tutti i tentativi di rinazionalizzare la politica. La relazione auspica un graduale allontanamento dallo storico sistema dei pagamenti entro il 2020, l’adozione del criterio della superficie e di criteri oggettivi in sostituzione del regime attualmente in vigore. La Commissione deve proporre nuove idee in proposito, ma sempre con cautela e la relazione Lyon offre la flessibilità necessaria a livello nazionale per adattare la PAC alle esigenze locali, regionali e nazionali, ivi inclusa quella di optare per il riaccoppiamento per motivi particolari. La nostra priorità assoluta è salvaguardare il bilancio: solo quando avremo raggiunto questo obiettivo potremo iniziare a discutere sul serio i dettagli.

 
  
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  Jean-Luc Mélenchon (GUE/NGL), per iscritto. (FR) Questo testo ha il merito di riconoscere gli insuccessi del mercato e di sostenere la lotta al cambiamento climatico. I suoi meriti, tuttavia, terminano qui. Per quanto riconosca gli insuccessi, il testo promuove la liberalizzazione dei mercati, la reattività degli agricoltori ai segnali del mercato, la competitività dell’agricoltura europea sul mercato globale e sui mercati regionali, e il concetto di capitalismo verde. Questo quadro non è di aiuto nella lotta al cambiamento climatico più di quanto non lo sia già il mercato del carbonio, i biocombustibili e gli OGM di cui va così fiera la relazione in oggetto. Questa situazione sostiene al contrario il produttivismo e la distruzione delle colture locali, non soltanto qui, ma anche nel resto del mondo.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato contro l’emendamento n. 69 a questa proposta perché mette a repentaglio la definizione della politica agricola comune (PAC) nel suo complesso e mina gli interessi dell’agricoltura portoghese, poiché propone di eliminare i finanziamenti per le misure strutturali senza garantirne la sostituzione attraverso le modifiche al primo pilastro. Una proposta di questo tipo, inoltre, implica difficoltà di natura procedurale nella futura distribuzione dei fondi comunitari agli agricoltori, in un momento in cui il sistema attualmente in vigore andrebbe semplificato e non complicato ulteriormente. Desidero sottolineare che lo Stato portoghese continua a sprecare centinaia di milioni di euro nel quadro dei finanziamenti del primo pilastro. Con l’abolizione del secondo pilastro e il trasferimento di alcune misure di quest’ultimo al primo, verranno a cadere molte delle misure attualmente sostenute – soprattutto a causa dell’evidente condizione di irrealizzabilità del bilancio – con il conseguente indebolimento della PAC. Sinceramente, non capiamo quali benefici potrebbe apportare un eventuale trasferimento dei fondi della PAC ad altre politiche; sosteniamo, piuttosto, delle misure in grado di proteggere l’unica vera politica comune esistente in seno all’Unione europea.

 
  
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  Willy Meyer (GUE/NGL), per iscritto. (ES) L’attuale politica agricola comune (PAC) sostiene un sistema di produzione industriale speculativo e delocalizzato, a vantaggio dei grandi operatori agricoli e non dei piccoli produttori. Il disaccoppiamento degli aiuti favorisce i grandi proprietari terrieri e mette a repentaglio i piccoli operatori e le aziende agricole a conduzione familiare. Nonostante il fallimento della strategia di Lisbona, l’Unione europea non ha modificato la sua politica economica: si impegna a favore non della sicurezza alimentare, ma piuttosto della competitività, scelta che favorisce esclusivamente le grandi multinazionali. Ritengo che il settore agricolo debba essere considerato strategico all’interno dell’Unione europea e serve dunque una riforma radicale della PAC, per consentire ai piccoli produttori di accedere agli aiuti, alla terra, alle sementi e alle risorse idriche, promuovendo un modello agricolo sociale, produttivo e sostenibile.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Negli ultimi decenni si è registrata una forte diminuzione delle attività agricole su tutto il territorio dell’Unione europea. La politica agricola comune è già stata riformata innumerevoli volte e ogni volta le normative agricole sono diventate più complesse e le spese burocratiche più elevate. A questo proposito, un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che l’Unione europea stabilisce standard elevati in materia di qualità e di protezione animale e dell’ambiente, ma al contempo autorizza le importazioni da paesi in cui queste norme non si applicano e i costi di produzione sono, per ovvi motivi, molto più bassi. Per garantire la sicurezza alimentare e l’autosufficienza all’interno dell’Unione europea, almeno in parte, è fondamentale sostenere le aziende agricole di piccole dimensioni e le attività agricole nelle regioni remote. Una semplificazione della PAC avrebbe senso solo qualora non comporti una ristrutturazione tale da relegare un numero ancor maggiore di operatori del settore a un’agricoltura di serie B, o addirittura da costringerli a chiudere, accelerando così la morte dell’agricoltura stessa. Le semplificazioni previste dalla relazione renderanno senza dubbio più semplice la vita degli agricoltori e per questo l’ho appoggiata.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − Gentile Presidente, onorevoli Colleghi, condivido l'impianto e l'approccio della relazione del collega Lyon. Questa relazione di iniziativa rappresenta una base importante per la definizione delle linee guida che il Parlamento europeo intende seguire per l'agricoltura futura, in attesa della comunicazione della Commissione prevista per fine anno. Per la prima volta, quindi, il Parlamento indica, con voce comune, un percorso per avviare un dialogo costruttivo su contenuti e priorità da assegnare per la competitività delle produzioni agroalimentari e per lo sviluppo sostenibile dei territori rurali. Le sfide cui é chiamata l'agricoltura europea sono numerose e di notevole impatto sull'economia di molti Paesi membri ma anche oggetto di dibattito, in ordine al budget di spesa da assegnare all'Unione europea, al fine di rendere proprio tali sfide un'opportunità di crescita del settore agricolo e di sviluppo per molti imprenditori agricoli europei.

 
  
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  Maria do Céu Patrão Neves (PPE), per iscritto. (PT) Accolgo con favore l’adozione da parte del Parlamento europeo della relazione Lyon, risultato dell’eccellente lavoro del relatore, dei relatori ombra e di tutti gli onorevoli colleghi che hanno presentato emendamenti, partecipando alla discussione e impegnandosi per la costruzione del consenso. Questa relazione è importante non solo in quanto fedele rappresentazione del consenso possibile fra i rappresentanti in Parlamento dei 27 Stati membri e di diverse famiglie politiche, , ma lo è ancor di più nel quadro dei nuovi poteri di codecisione spettanti al Parlamento europeo. La relazione, che rappresenta il risultato finale di numerose tornate negoziali, adotta posizioni che definiranno il futuro della politica agricola comune (PAC) e che noi riteniamo fondamentali: non ridurre il bilancio, non rinazionalizzare la PAC, mantenere i due pilastri, attuare un nuovo sistema di ridistribuzione delle sovvenzioni, distinguere i beni pubblici di prima e di seconda generazione, non rendere impossibile per il Consiglio revocare la decisione di abolire le quote latte, creare una rete di sicurezza, aumentare la trasparenza della catena alimentare e semplificare la PAC. Ora è importante monitorare il lavoro interno della Commissione finché non verrà pubblicata la comunicazione finale prevista per novembre.

 
  
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  Paulo Rangel (PPE), per iscritto. (PT) Ho votato a favore della relazione in oggetto, ma con la presente dichiarazione di voto intendo sottolineare che, per quanto concerne il paragrafo 44 sulla gestione del mercato, ho votato contro la prima parte proposta dal relatore e a favore della seconda, che vede finalmente il Parlamento europeo favorevole agli interessi strategici del Portogallo. Di fatto, la versione proposta dal relatore ha offerto la possibilità di abolire le quote latte, sebbene questa sia un’interpretazione forzata. Conosco e sostengo la posizione del settore agricolo portoghese, che ha più volte espresso la convinzione che l’eliminazione delle quote latte potrebbe essere fatale per i produttori portoghesi. Di fatto, il 93 per cento del latte prodotto nell’Unione europea viene venduto sul mercato europeo e rappresenta una porzione consistente del reddito delle nostre aziende lattiero-casearie. Le quote latte consentiranno il mantenimento e la crescita della produzione di latte nei 27 Stati membri, adattando l’offerta alla domanda (a livello sia europeo sia internazionale) nel settore e permettendo una stabilizzazione dei prezzi e la disponibilità di redditi sostenibili. L’abolizione di questo sistema in assenza di una proposta alternativa porterà all’abbandono della produzione nei paesi in cui risulta meno competitiva, tra cui il Portogallo.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto. (EN) Il gruppo Verde/Alleanza libera europea ha ottenuto l’accoglimento di numerosi emendamenti relativi all’influenza di fattori ambientali e sociali sui pagamenti diretti, alle misure contro il cambiamento climatico, a un approccio di più ampio respiro e più completo per lo sviluppo territoriale delle zone rurali e a un reddito equo per gli agricoltori. Siamo riusciti a introdurre una chiara distinzione fra i diversi livelli di concorrenza nella coltivazione e nella commercializzazione di prodotti alimentari e abbiamo appoggiato la ferma decisione di sostituire l’attuale criterio basato su indicatori storici di produzione per il calcolo dei pagamenti diretti con il principio dei beni pubblici. Di conseguenza, l’adozione di questa relazione è per noi fonte di profonda soddisfazione.

 
  
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  Olga Sehnalová (S&D), per iscritto. – (CS) Ho appoggiato questa relazione perché ritengo che la politica agricola comune dell’Unione europea debba rimanere una politica agricola comune e che non debba esserci alcuna rinazionalizzazione futura in questo settore. Uno degli obiettivi fondamentali della PAC deve essere l’esistenza di condizioni paritarie per gli agricoltori, soprattutto nell’ambito dei pagamenti diretti.

 
  
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  Brian Simpson (S&D), per iscritto. (EN) Ancora una volta il Parlamento europeo è venuto meno alle proprie responsabilità, fallendo nella riforma della PAC. Credo che la relazione andrebbe rinominata “relazione sull’aumento delle sovvenzioni per gli agricoltori inefficienti”. Perché mai il denaro dei contribuenti dovrebbe essere utilizzato per stabilizzare i mercati, per mantenere i prezzi artificialmente alti e per sostenere l’agricoltura in periodi di difficoltà economica quando gli agricoltori ricevono già sovvenzioni di altro tipo dagli stessi contribuenti? A nome dell’EPLP, credo che la relazione in oggetto non porti da nessuna parte, tanto meno alla promozione di cambiamenti ambiziosi; penalizza invece gli agricoltori efficienti, appoggiando quelli inefficienti, e penalizza i paesi in via di sviluppo, chiedendo di posticipare il graduale annullamento delle restituzioni all’esportazione, in nome di un palese ideale protezionistico. Non affronta l’enorme problema della sostenibilità rurale, adottando rigorosamente un sistema di pagamenti diretti che ostacola notevolmente la promozione della diversità e la tutela delle campagne. Esprimeremo voto contrario a questa relazione, che consideriamo estremamente elusiva, nella speranza che un giorno l’agricoltura efficiente venga ricompensata, che le attività di gestione del paesaggio vengano considerate importanti, che i consumatori non vengano derubati a causa dei prezzi mantenuti artificialmente alti e che il mondo in via di sviluppo venga trattato equamente. Questi dovrebbero essere gli obiettivi della riforma della PAC.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. – (PT) Ho appoggiato la relazione in oggetto perché riveste un’importanza strategica per paesi come il Portogallo e per le regioni europee ultraperiferiche, e perché il Parlamento si è impegnato a fondo per votare a favore della stessa nel corso del primo anno del suo mandato.

La politica agricola comune è una parte fondamentale del quadro finanziario e di bilancio dell’Unione europea per il post-2013 e merita un’analisi dettagliata. La produzione agricola nazionale, che può contribuire notevolmente alla sicurezza alimentare e al commercio con paesi terzi, riducendo al contempo il deficit commerciale degli Stati membri, ne rappresenta un aspetto chiave.

Gli agricoltori europei garantiscono livelli elevati di sicurezza e qualità nella produzione alimentare, nonché il rispetto di standard severi in materia di protezione animale e ambientale; per questo dovrebbero essere ricompensati, non penalizzati. E perché ciò accada, ai paesi terzi con cui l’Unione europea ha siglato accordi commerciali vanno imposte condizioni: e standard simili a quelli in vigore per i produttori che operano all’interno del mercato europeo.

Ho la sensazione che serva ancora un bilancio in grado di ridistribuire equamente le sovvenzioni e che presti particolare attenzione a regioni come Madeira e le Azzorre, costantemente costrette ad affrontare difficoltà sia in quanto regioni remote e insulari, sia a causa della loro situazione geografica e del clima sfavorevole. Per questo motivo, dovrebbero ricevere un sostegno costante.

 
  
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  Anna Záborská (PPE), per iscritto. (SK) Una politica agricola valida deve basarsi sulle esigenze dei consumatori e non sulle pretese dei produttori. Soltanto il 5 per cento dei cittadini dell’Unione europea, compresa la Slovacchia, è occupato nel settore agricolo, ma siamo tutti – il 100 per cento – consumatori di prodotti agricoli. Al consumatore interessano la qualità e il prezzo e questo vale non soltanto per le automobili e i televisori, ma anche per prodotti come il pane, la verdura, la carne e il latte. La politica agricola comune, tuttavia, ribalta totalmente la situazione, poiché si basa sulle esigenze degli agricoltori. La relazione presentata, in virtù del precedente approccio dell'Unione europea, si concentra troppo sulle conseguenze senza considerare le cause. Vi porto un semplice esempio: la relazione, attraverso incentivi e sovvenzioni, intende accrescere lo scarso interesse dimostrato dai giovani per le attività agricole e per la campagna, ma un mercato funzionante e un ambiente competitivo risolverebbero questo problema in modo naturale. L’unico aspetto positivo della relazione è forse – almeno in parte – la richiesta di correttezza, particolarmente importante per la Slovacchia e i nuovi Stati membri. Se l’Unione europea decide di proseguire, anche dopo il 2013, con la politica di sostegno agli agricoltori inefficace e dispendiosa adottata finora, allora dovrebbe anche far valere le stesse norme per tutti.

 
  
  

Relazione Cadec (A7-0207/2010)

 
  
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  Roberta Angelilli (PPE), per iscritto. − Signor Presidente, il settore della pesca rappresenta all'interno dell'UE una risorsa strategica per l'approvvigionamento della popolazione, nonché un contributo rilevante per lo sviluppo locale, l'occupazione e la conservazione delle tradizioni culturali delle comunità costiere. Purtroppo assistiamo negli ultimi anni ad una progressiva contrazione della produzione, anche a causa di alcuni provvedimenti comunitari a tutela dell'ecosistema marino, come il regolamento mediterraneo che ha la finalità di una pesca più sostenibile, ma che in realtà ha messo in ginocchio l'intero settore. I nostri pescatori sono obbligati a pescare meno, ma la domanda cresce e quindi crescono anche le importazioni dai paesi terzi. Per evitare la concorrenza sleale e per tutelare i consumatori, i prodotti importati devono rispettare le stesse regole delle produzioni comunitarie. Infatti le importazioni propongono prodotti spesso di prezzo inferiore, ma anche di inferiore qualità e con elementi di incertezza in termini di sicurezza. Pertanto è importante rafforzare nel settore un commercio equo, trasparente e sostenibile anche per quanto riguarda l'esigenza di introdurre criteri di certificazione e di etichettatura rigorosi in relazione alla qualità e tracciabilità dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura.

 
  
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  Sophie Auconie (PPE), per iscritto. (FR) Questa relazione di iniziativa sul regime di importazione nell’UE dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura intende tutelare il mantenimento – all’interno dei confini dell’Unione europea – di settori di pesca e acquacoltura rispettosi a lungo termine dal punto di vista ambientale e sostenibili dal punto di vista economico. In sostanza, stiamo assistendo a un aumento delle importazioni di prodotti provenienti da pesca e acquacoltura a spese della produzione dell’Unione europea. Condivido l’opinione del relatore, secondo cui è fondamentale ripristinare la produzione comunitaria, ma, sempre tenendo a mente le parole della relazione, questo va fatto nel rispetto della gestione sostenibile: bisogna, ad esempio, limitare la quantità di pesce catturato per gestire al meglio le risorse naturali. Sembra altresì necessario promuovere un consumo responsabile, in cui prevalgano la qualità e l’efficienza della produzione.

 
  
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  Bastiaan Belder (EFD), per iscritto. (NL) La relazione presentata dall’onorevole Cadec giunge al momento opportuno, dopo le consultazioni sul Libro verde sulla riforma della politica agricola comune (PAC) e ben prima della presentazione delle nuove proposte di legge da parte della Commissione europea. Le importazioni di prodotti della pesca e dell’acquacoltura sono aumentate esponenzialmente, ma si è trattato di un incremento indispensabile. Il consumo di pesce in Europa è in costante aumento, ma la domanda non può essere soddisfatta in maniera opportuna né attraverso un ulteriore aumento della quantità di pesce selvatico pescato, né attraverso la produzione acquicola a livello europeo. È fondamentale che i prodotti importati soddisfino gli stessi requisiti previsti per i prodotti della pesca europei. Non possiamo applicare questo principio esclusivamente alla sicurezza alimentare, ma dobbiamo considerare anche i fattori di natura ambientale e sociale. Le importazioni sono necessarie. Non è un segreto che io sia a favore del protezionismo, ma dobbiamo comunque evitare la concorrenza sleale. Le enormi quantità di pesce importato a basso costo stanno mettendo a repentaglio la produzione europea, sia derivante dalla pesca sia dalla produzione acquicola. Per questa ragione, ho votato a favore della relazione di iniziativa in oggetto.

 
  
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  Mara Bizzotto (EFD), per iscritto. − Ho inteso sostenere con il mio voto la relazione del collega on. Codec. In un momento storico come quello contingente, ritengo cruciale la questione del regime d'importazione dei prodotti ittici e dell´acquacoltura, ossia il problema della definizione delle condizioni con cui i prodotti di provenienza esterna all´Ue sono immessi nel mercato unico. Posto che la domanda interna é ora soddisfatta per il 60% dalle esportazioni e che si prevede un suo forte incremento entro il 2030 é necessario che l´Europa fornisca risposte agli interrogativi e alle legittime preoccupazioni degli operatori del settore. Sono dunque in linea con il pensiero dell´on. Cadec: é necessario investigare e monitorare affinché l´evoluzione della politica comunitaria in materia non implichi disparità di trattamento tra i produttori degli Stati membri e quelli dei paesi terzi.

 
  
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  Maria Da Graça Carvalho (PPE), per iscritto. (PT) La relazione in oggetto riguarda l’importazione, e le relative condizioni, di prodotti della pesca e dell’acquacoltura da parte dell’Unione europea. I prodotti importati devono soddisfare gli stessi criteri di qualità previsti per la merce europea. La relazione appoggia la creazione di un marchio di qualità ecologico per i prodotti della pesca che consentirebbe ai consumatori di ricevere informazioni relative all’origine dei prodotti e alle condizioni sanitarie, sociali e ambientali in cui sono stati pescati.

 
  
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  Vasilica Viorica Dăncilă (S&D), per iscritto. – (RO) Considerando l'importanza strategica del settore della pesca per l'approvvigionamento della popolazione e per l'equilibrio della bilancia alimentare dei singoli Stati membri e dell'Unione europea nel suo insieme, credo che, come quello agricolo, anche il settore della pesca sia importante dal punto di vista strategico nonché dipendente dalla conservazione e dallo sfruttamento sostenibile di risorse naturali.

 
  
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  Marielle De Sarnez (ALDE), per iscritto. (FR) Al pari del settore agricolo, anche quelli della pesca e dell'acquacoltura mal si prestano a un approccio puramente liberoscambista e la produzione comunitaria non riesce a soddisfare la domanda europea, attualmente coperta per il 60 per cento da prodotti importati. Dobbiamo garantire che i futuri schemi di importazione consentano di trovare il giusto equilibrio affinché la produzione europea, che si trova già in una situazione di crisi, non sia vittima della concorrenza sleale da parte di paesi terzi. Nell’ambito dei negoziati dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), i prodotti della pesca devono essere considerati prodotti sensibili, proprio come avviene per alcuni prodotti agricoli: in questo modo sarebbe più facile mantenere i dazi sulle importazioni provenienti da paesi terzi e i pescatori europei sarebbero tutelati da un dazio doganale ragionevole e flessibile e da un marchio di qualità ecologico. I paesi in via di sviluppo devono essere in grado di promuovere il proprio settore ittico e perché questo accada dobbiamo mettere in discussione la pertinenza degli accordi internazionali che consentono l’acquisto di licenze di pesca nei paesi in via di sviluppo e che autorizzano le flotte dei paesi terzi a realizzare attività di pesca industriale lungo le loro coste, privandoli di gran parte delle loro risorse naturali.

 
  
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  Edite Estrela (S&D), per iscritto. – (PT) Ho votato a favore della relazione sul regime di importazione nell’UE dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura in vista della riforma della politica comune della pesca (PCP) perché ritengo che le questioni relative all’importazione di prodotti della pesca e dell’acquacoltura nell’Unione europea devono essere considerate, in modo particolare, alla luce delle riforme della PCP attualmente in corso.

 
  
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  Diogo Feio (PPE), per iscritto. – (PT) Dopo aver votato a favore della relazione Milana su un nuovo impulso alla strategia per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura europea in occasione della scorsa sessione, siamo ora chiamati a votare un’altra relazione inerente al regime di importazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura.

Stando alla relazione, l’Europa attualmente importa il 60 per cento del pesce che consuma. Si prevede che il consumo aumenti fino al 2030 e che quest’incremento verrà coperto quasi interamente da un parallelo aumento delle importazioni.

Non potendo contare sulla produzione europea per il soddisfacimento della nostra domanda (impossibile sia ora sia in futuro), la realtà è che la futura riforma della politica comune della pesca (PCP) non potrà ignorare la questione delle importazioni e cercare una soluzione migliore, incrementando, ad esempio, la produzione europea (non soltanto delle catture, ma anche investendo nell’acquacoltura), esigendo che il pesce importato rispetti gli stessi standard in vigore per il pesce europeo, oppure fornendo al consumatore informazioni sufficienti in merito all’origine del prodotto. Come afferma il relatore, è una questione che va considerata seriamente nel quadro della riforma della PCP.

 
  
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  José Manuel Fernandes (PPE), per iscritto. – (PT) Il mercato europeo, dell'ordine di circa 12 milioni di tonnellate e 55 miliardi di euro nel 2007, è il primo mercato mondiale dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, seguito da Giappone e Stati Uniti. In forte crescita dal 2005, è sempre più dipendente dalle importazioni, al punto che il tasso di copertura del consumo attraverso la produzione comunitaria è oggi inferiore al 40 per cento, peri a un tasso di dipendenza dalle importazioni superiore al 60 per cento. Le previsioni di consumo indicano che la domanda potrebbe crescere ancora di circa 1 500 000 tonnellate entro il 2030 e questo aumento dovrà essere coperto quasi interamente da importazioni supplementari.

Come ho già fatto in plenaria a giugno, sostengo la proposta di una normativa a favore del raggruppamento di tutte le disposizioni comunitarie in materia di acquacoltura in un unico documento. In questo contesto e considerando che il Portogallo è il principale consumatore di pesce pro capite in Europa, credo che l’acquacoltura sia una priorità strategica per l’Unione europea. Sono quindi particolarmente lieto che sia stata appoggiata una politica sostenibile in materia di acquacoltura per ridurre la dipendenza dalle importazioni nei settori della pesca e dell’acquacoltura.

 
  
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  João Ferreira (GUE/NGL), per iscritto. – (PT) Il lavoro di raccolta e sistematizzazione dei dati reso possibile dalla relazione in oggetto va apprezzato, poiché ci aiuta a delineare il quadro di una situazione che è, sotto molti punti di vista, problematica, come riconosce la relazione stessa.

L’esistenza di paesi comunitari in cui i settori della pesca e dell’acquacoltura sono sostenibili è, da un punto di vista economico, ambientale e sociale, incompatibile con la politica commerciale che sta attuando l’Unione europea. Deregolamentare e liberalizzare il commercio internazionale, indirizzandolo verso una logica competitiva piuttosto che di complementarietà (che dovrebbe invece guidarlo), significa promuovere gli interessi di importatori e distributori, condannando alla rovina migliaia di produttori, che si vedranno costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, aumentando i deficit alimentari e minando i criteri di base per la qualità e la sicurezza alimentare e ambientale.

la pesca e l’acquacoltura (analogamente all’agricoltura) sono settori strategici di importanza capitale, incompatibili con un approccio di natura commerciale; proprio per questo è necessaria una normativa che preveda la possibilità di utilizzare strumenti di difesa commerciale, come suggerito nella relazione. Appoggiamo, inoltre, la necessità di riformare urgentemente l’organizzazione comune del mercato dei prodotti della pesca.

 
  
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  Christofer Fjellner (PPE), per iscritto. (SV) Oggi ho espresso voto contrario alla relazione di iniziativa sul regime di importazione nell’UE dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Condivido pienamente la necessità di modificare e dare nuovo impulso ai settori della pesca e dell’acquacoltura nell’Unione europea. La relazione, tuttavia, presuppone che i problemi possano essere risolti, almeno parzialmente, offrendo protezione dalla concorrenza esterna. La pesca europea non potrà sopravvivere a lungo in un contesto caratterizzato da protezionismo e sovvenzioni. I problemi intrinseci ai settori della pesca e dell’acquacoltura nell’Unione europea devono essere risolti nel quadro della prossima revisione della politica comune della pesca.

 
  
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  Elisabetta Gardini (PPE), per iscritto. – Signor Presidente, onorevoli colleghi, è tempo di rimediare a sottovalutazioni e ritardi del passato. La pesca è un settore chiave del nostro sistema economico e sociale e come tale deve essere considerata. In vista della riforma della politica comune della pesca abbiamo il dovere di mettere dei punti fermi per garantire i redditi, la stabilità dei mercati, una migliore commercializzazione dei prodotti, anche dell'acquicoltura. E tutelare i consumatori con una maggiore attenzione agli aspetti della sicurezza alimentare.

Ecco perché ho votato questa risoluzione che, considerando l'impatto negativo della liberalizzazione dei mercati sulle economie locali, sottolinea l’importanza strategica di una ragionevole protezione doganale. Dobbiamo infatti mettere un freno ad una concorrenza di importazioni extra UE a basso costo, che spesso non rispondono a garanzie ambientali, sociali, sanitarie e qualitative.

Dobbiamo anche introdurre criteri di certificazione e di etichettatura rigorosi in relazione alla tracciabilità dei prodotti, al fine di informare i consumatori sull’origine geografica, le condizioni di produzione, cattura e soprattutto qualità dei prodotti in vendita. Vorrei infine sottolineare che in un mercato largamente dipendente dalle importazioni, non sono più giustificabili operazioni di ritiro dal mercato finalizzate alla distruzione del prodotto. Il conseguente risparmio potrebbe essere messo a disposizione dei programmi delle organizzazioni dei produttori.

 
  
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  Elisabeth Köstinger (PPE), per iscritto. (DE) Uno sviluppo sostenibile dell’acquacoltura europea, della produzione acquicola, degli stagni piscicoli naturali e la creazione di condizioni di base migliori sono elementi essenziali per la competitività dell’industria europea della pesca. Anche la qualità dei prodotti della pesca importati riveste un’importanza capitale a questo proposito. Considerando il costante aumento delle importazioni da paesi terzi, infatti, dobbiamo garantire che i prodotti in entrata rispettino gli standard europei. L’industria europea della pesca prevede standard qualitativi elevati e notevoli conoscenze specialistiche e dobbiamo continuare a tutelare questi due aspetti. In quest’ottica, accolgo con favore la direttiva contro la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) entrata in vigore a gennaio. Si tratta di un segnale importante per evitare distorsioni della concorrenza a livello globale e per sostenere i pescatori onesti e rispettosi della legge. Appoggio la relazione Cadec, che mette in luce un aspetto fondamentale e di vasta portata dell’industria europea della pesca.

 
  
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  Giovanni La Via (PPE), per iscritto. − Egregio presidente, cari colleghi, ho sostenuto la risoluzione sul regime di importazione nell’UE dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura in vista della riforma della PCP, in quanto ritengo essenziale l'esistenza di una disciplina adeguata alle esigenze del settore. L’Unione europea costituisce il più grande mercato del mondo per i prodotti della pesca, ed é noto che la produzione non è sufficiente a soddisfare autonomamente la domanda interna. Si rende, pertanto, proritario garantire che le importazioni provenienti dai paesi terzi soddisfino le norme ambientali, sanitarie, sociali e qualitative imposte dall'UE, onde evitare una concorrenza sleale da parte di Paesi importatori attraverso prodotti di prezzo e qualità inferiore. La relazione approvata oggi dall'aula chiede, inoltre, con forza l'applicazione di criteri più rigorosi e trasparenti per quanto attiene la qualità, la tracciabilità e l'etichettatura dei prodotti della pesca.

 
  
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  Nuno Melo (PPE), per iscritto. (PT) L'Unione europea, in quanto maggior importatore di prodotti ittici al mondo, condivide con gli altri principali paesi importatori la responsabilità politica di garantire che le regole commerciali dell'OMC rispettino gli standard globali più elevati in termini di gestione e conservazione della pesca. L’Unione europea deve impegnarsi a fondo per aumentare nel tempo la produzione ittica da acquacoltura al fine di ridurre le importazioni nei settori della pesca e dell’acquacoltura. È per me fonte di preoccupazione, in particolare, il rischio di importare e immettere sul mercato prodotti ittici geneticamente modificati: ne va evitata la vendita all’interno dell’Unione europea. Sostengo, dunque, una politica di certificazione rigorosa in grado di controllare in modo efficace eventuali problemi di questo tipo e condivido l’impegno a favore della ricerca e dello sviluppo nel settore dell’acquacoltura europea, che rappresenta soltanto il 2 per cento della produzione mondiale.

 
  
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  Andreas Mölzer (NI), per iscritto. (DE) Per sopravvivere, ogni Stato deve conservare la propria autosufficienza alimentare. La pesca è importante per l’alimentazione e assicura una molteplicità di posti di lavoro. Come nel settore agricolo, stiamo imponendo elevati standard qualitativi, ambientali e di protezione animale ai nostri pescatori e questo si riflette ovviamente sul prezzo dei prodotti. Per quanto riguarda le importazioni, invece, è difficile monitorare il rispetto delle nostre normative ed acquisiscono quindi ancor più importanza la definizione di norme chiare in materia di importazione, etichettatura e qualità dei prodotti alimentari e i tentativi per scoraggiare la concorrenza alla nostra economia nazionale. Dobbiamo però evitare di ottenere l’effetto contrario nel settore dell’acquacoltura caricando gli ecosistemi di oneri ulteriori o facendo perdere il lavoro ai nostri pescatori, anziché garantire una maggiore protezione ambientale. Le misure proposte rappresentano un passo nella giusta direzione e per questo ho votato a favore della relazione.

 
  
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  Alfredo Pallone (PPE), per iscritto. − La questione del regime d'importazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura (PPA), ed in particolare le condizioni con cui i prodotti di provenienza esterna all'UE sono ammessi sul territorio dell'Unione a complemento, o in competizione con i prodotti ottenuti dalla pesca e dall'acquacoltura europee, è senza dubbio una questione prioritaria, imprescindibile in ogni analisi di questi settori specifici dell'economia europea. La regolazione di questa materia è essenziale in un contesto in cui il tasso di copertura del consumo attraverso la produzione comunitaria è oggi molto basso, con un tasso di dipendenza dalle importazioni superiore al 60%.

 
  
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  Raül Romeva i Rueda (Verts/ALE), per iscritto (EN) L’impronta iniziale della relazione era a difesa del protezionismo in materia di importazioni, in virtù del principio secondo cui i pescatori comunitari dovrebbero avere un accesso preferenziale al mercato dell’Unione, tranne nei casi di un insufficiente volume delle catture; solo in questi casi gli operatori comunitari della lavorazione avrebbero potrebbero all’importazione. Un commercio internazionale troppo intenso porta allo sfruttamento eccessivo e all’esaurimento degli stock ittici poiché i vari paesi cercano di aumentare le proprie esportazioni, ma vi sono comunque buone basi comuni da cui partire. Molti emendamenti che abbiamo proposto sono stati adottati; il più importante evidenziava che, sebbene da un lato il commercio internazionale di prodotti della pesca possa determinare un aumento della sicurezza alimentare nei paesi in via di sviluppo, dall’altro ha portato a un aumento delle attività di pesca per l’approvvigionamento del mercato dell’esportazione, fatto questo che potrebbe portare all’esaurimento degli stock. Altri emendamenti, invece, hanno messo in evidenza la necessità di un consumo responsabile e di rafforzare la gestione delle risorse e la sorveglianza della pesca; hanno chiarito, inoltre, che l’approvvigionamento ittico proviene da risorse naturali finite e che quindi la quantità di che può essere catturato, esportato e consumato è limitata.

 
  
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  Nuno Teixeira (PPE), per iscritto. (PT) Recentemente è stata approvata la strategia comunitaria per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura. È certamente giunto il momento di regolamentare l’importazione di prodotti della pesca e dell’acquacoltura, dal momento che l’Unione europea costituisce attualmente il principale mercato a livello mondiale per questi prodotti. La produzione europea, però, non basta a soddisfare la domanda e l’Unione europea si trova a dipendere dall’importazione, le cui modalità devono quindi essere regolamentate al fine di garantire che la qualità e le buone pratiche a cui devono attenersi i produttori comunitari valgano anche per i paesi terzi.

Condivido l’opinione del relatore in merito alla questione della protezione doganale. Non sembra fattibile, in questo particolare momento storico, abolire i dazi doganali e pretendere, allo stesso tempo, che i nostri prodotti possano sostituire ed essere competitivi rispetto a quelli provenienti dai paesi terzi.

Come ho affermato in precedenza, la questione della pesca e dell'acquacoltura è una delle priorità individuate da Madeira nel piano di sviluppo economico e sociale attualmente in vigore, in ottemperanza al quale la regione sta promuovendo la competitività nel settore grazie a una gestione sostenibile delle risorse, alla diversificazione della produzione ittica, alla valutazione della qualità dei prodotti e alla formazione degli operatori del settore della pesca al fine di aumentare la produttività.

Per tutte queste ragioni ho votato a favore della relazione in oggetto.

 
  
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  Jarosław Leszek Wałęsa (PPE), per iscritto.(PL) Ho votato a favore della relazione Cadec perché analizza molti aspetti importanti relativi alla protezione del mercato dell’Unione europea per i prodotti dell'acquacoltura nel quadro della riforma della politica comune della pesca. Ho appoggiato la relazione perché ho voluto mettere in luce una minaccia in particolare cui essa fa riferimento: la mancanza di informazioni affidabili e di ampia portata per i consumatori sulle implicazioni per la salute, sulla composizione e sull’origine di determinate specie di pesce. Se i consumatori non sono adeguatamente informati, l’unica discriminante sul mercato diventa il prezzo. I produttori europei offrono prodotti generalmente di qualità molto più elevata rispetto a quelli importati; in una lotta ad armi impari, tuttavia, sono destinati a soccombere. Per questo, è necessario rendere più rigorosa la legislazione sull’identificazione. Grazie per l’attenzione.

 
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